ANNO XXXIII N. 3 MAGGIO-GIUGNO 1981 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1982 



ABBONAMENTI ANNO 1981 

ANNo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 22.000 
UN NUMERO SEPARATO .�����.�����..� )) 4.000 


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ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n 11089 del 13 luglio 1966 


(2219323) Roma, 1982 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura 

Sezione seconda: 
Sezione terza: 

Sezione quarta: 
Sezione quinta: 
Sezione sesta: 
Sezione settima: 

Sezione ottava: 

del/'avv. Franco Favara) . . . . . . . . � pag. 265 
GIURISPRUDENZA 
ZIONALE (a cura 
COMUNITARIA E INTERNAdel/'
avv. Oscar Fiumara) � . � 290 
GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, 
Carlo Sica e Antonio Cingolo) . . � . .'� . � � 317 
GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati 
Adriano Rossi e Antonio Catrical�) . . . . � � 327 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura 
del/'avv. Raffaele Tamiozzo) . . . . . � � � � 338 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato 
Carlo Baf�le) � � . . . . . . . . . � 345 
GIURISPRUDENZA IN MA'rERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) � � � 410 
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avv.ti 
Paolo Di Tarsia Di Belmonte e Nicola Bruni) . . � 428 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 


QUESTIONI �. pag. 27 
LEGISLAZIONE � 33 


La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 

Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CONTU, Cagliari; 
Gu1cc1ARDI, Genova; Marce!Jo DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; 
Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, 
Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino; Maurizio DE 
FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancar.Jo MAND�, Venezia. 



DISCORSO PRONUNCIATO DALL'AVVOCATO GENERALE 
DELLO STATO, ECC. GIUSEPPE MANZARI, 
NEL CORSO DELLA CERIMONIA 
PER IL VENTICINQUENNALE 
DELLA CORTE COSTITUZIONALE 


�Noi aspiriamo ad ottenere il rispetto e la fiducia di tutti gli italiani 
�: questa la frase coraggiosa, orgogliosa e profetica con cui Enrico 
De Nicola, primo Presidente della Corte Costituzionale, sintetizz�, 
nell'udienza inaugurale del 23 aprile 1956, il programma e la 
volont� della nascente Corte Costituzionale. 

Furono parole coraggiose, perch� rivendicavano l'importanza delle 
funzioni della Corte in polemica con resistenze ed ostilit� che avevano 
attardato, per ben otto anni dalla entrata in vigore della Costituzione, 
l'insediamento del Tribunale delle leggi. 

E furono orgogliose, perch� lanciavano una sfida ad un'opinione 
pubblica disattenta, disinformata e scettica: proprio in quei giorni 
-come ha ricordato il Presidente Amadei -Curzio Malaparte, facendosi 
interprete di un diffuso sentimento, scriveva: �c'� forse 
da augurarsi, purtroppo, che la Corte Costituzionale, essendo pi� 
probabile che funzioni pi� in male che in bene, non funzioni n� 
in bene n� in male �. 

Ma furono soprattutto profetiche: a distanza di un quarto di 
secolo, arco di tempo sufficiente anche nel lungo respiro della 
storia per tirare le fila di un primo bilancio, riconosciamo nella 
Corte Costituzionale una delle strutture portanti del nostro sistema 
istituzionale e un'insostituibile garanzia dei nostri diritti fondamentali. 


Nata sul modello kelseniano del � legislatore negativo � e custode 
della Costituzione, la Corte Costituzionale italiana ha saputo 
presto affrancarsi dai limiti della struttura di originaria ispirazione. 

La sua creazione rispecchiava esemplarmente la teoria dello 
Schmitt, il quale ha messo in luce come la ricerca di un garante 
della Costituzione sia per lo pi� indizio di condizioni costituzionali 
� critiche �. Queste sussisvevano in grado eminente nel nostro Paese 


VI 

negli anni difficili di gestazione della nostra Costituzione: una guerra 
perduta, un'invasione di eserciti stranieri, un duro Trattato di pace, 
un radicale mutamento istituzionale. 

E tuttavia il progressivo miglioramento della situazione economica 
sociale e politica ed il consolidamento della democrazia non 
determinarono, come sarebbe stato nella logica di una funzione 
meramente negativa, l'appannamento dell'immagine della Corte. 

Si verific� il contrario, perch�, lungi dal confinarsi nel ruolo riduttivo 
di legislatore negativo, la Corte seppe, pur senza varcare il 
confine del � check and balance � dei poteri, segnato dalla Costituzione, 
esercitare un ruolo ben pi� determinante ed incisivo. 

In particolare, nell'esercizio della sua principale funzione di garante 
della conformit� a Costituzione delle leggi e degli atti aventi 
forza di legge, la Corte ha saputo condurre il suo sindacato con 
spirito costruttivo ed evolutivo. Con le sue sentenze manipolative 
ed additive ha delineato in progressione la propria funzione, ben 
al di l� del momento negativo, riuscendo a conseguire un pi� rapido 
e completo adeguamento dell'ordinamento alla Costituzione repubblicana. 
In cinque lustri di attivit� ben si pu� dire che non vi sia 
settore dell'ordinamento giuridico in cui la Corte non abbia lasciato 
una traccia profonda del suo intervento: dai diritti di libert�, al 
diritto di famiglia, alla propriet�, ai rapporti di lavoro, ai rapporti 
tributari, all'amministrazione della giustizia. Molte sue sentenze 
segnano troppe tappe storiche dell'evoluzione di una civilt� e di un 
costume. 

Non minore importanza ebbe lo sviluppo di altre funzioni. Accanto 
ai giudizi di legittimit� dobbiamo ricordare quelli di impugnazione 
diretta delle leggi statali e regionali, quelli di conflitto tra 
i poteri dello Stato, tra Stato e Regioni e tra Regioni. Ed inoltre i 
giudizi penali e quelli sull'ammissibilit� dei referendum. A parte 
l'episodio storico del giudizio penale conseguente all'affare Lockheed, 
va ricordata con ammirazione l'opera costruttiva ed equilibrata 
svolta dalla Corte con l'attivit� decisoria in materia referendaria. 


Come ha detto Leopoldo Elia, quando si far� un bilancio sereno, 
al di l� delle polemiche contingenti e partigiane, dei giudizi del 78 
e dell'Bl, si dovr� riconoscere come la disciplina costituzionale e 
quella legislativa dei referendum sia assai meno semplice di quanto 
da qualche parte si � sbrigativamente ritenuto. E si dovr� rilevare 
che proprio due sentenze della Corte Costituzionale -in tema di 
divorzio e di aborto -aprirono la strada ai due pi� significativi 
referendum della nostra storia dopo qu�llo del 1946. 

La Corte si � cos� posta nell'attuale sistema istituzionale, nella 
nostra Costituzione materiale, come un vero e proprio potere dello 


VJI 

Stato superiorem non :rncognoscens, la cui pronunzia prevale su ogni 
altro potere: su quello legislativo per la forza che ha di rimozione 
-e in certi casi di integrazione -delle leggi; su quello esecutivo 
perch� ne delimita i confini nei confronti� degli altri poteri dello Stato 
e delle sue articolazioni regionali; su quello giudiziario, che � soggetto 
alla sua pronunzia in caso di conflitto di potere. 

A fronte di questa posizione della Corte si delinea la peculiare 
natura dell'intervento del Presidente del Consiglio nei giudizi dt 
legittimit� costituzionale. 

Molte sentenze della Corte hanno riconosciuto che il Presidente 
del Consiglio partecipa a questi giudizi non come capo di un'amministrazione 
-e tanto meno come rappresentante di un potere, 
quello esecutivo, che non � titotare, ovviamente, della funzione legislativa 
-ma come rappresentante dello Stato, inteso come ordinamento 
unitario. 

Ci� qualifica la funzione che l'Avvocatura dello Stato si onora di 
esercitare davanti a questa Corte. 

Come il Presidente del Consiglio interviene per la tutela di interessi 
che sono immediatamente riferibili allo Stato.-comunit�, cos� 
l'Avvocato dello Stato, che lo rappresenta e difende, non esprime 
una posizione di parte, ma assume la veste dell'amicus curiae, dell'
� interlocutore privilegiato�, che esercita una funzione di collaborazione 
dialettica tanto importante che se ne � propugnata autorevolmente 
la necessariet�. 

L'Avvocatura dello Stato � stata cos� investita�di un� nuovo ruolo, 
di ordine costituzionale, dalle leggi integrative della Costituzione 
sul funzionamento della Corte. Questo ruolo si � ulteriormente precisato, 
nella costituzione materiale, con l'attribuzione del patrocinio 
(necessario) davanti ai collegi internazionali e sovranazionali per la 
tutela di interessi primari dello Stato � inteso come personificazione 
esterna dello Stato-comunit��. Ed inoltre con l'estensione della possibilit� 
di assumere il patrocinio organico, gi� previsto come obbligatorio 
per le Regioni a statuto speciale, anche per quelle a statuto 
ordinario. Ci� sulla traccia di. u.n insegnamento della Corte che, 
escludendo ogni dubbio di costituzionalit� del patrocinio comune a 
Stato e Regione, ha sottolineato come questo si raccomandi nel 
quadro di �coordinamento tra l'organizzazione amministrativa dello 
Stato e quella delle Regioni�, in vista dell'� unit� dell'ordinamento 
amministrativo generale �. 

In questa ottica, anche nei giudizi di conflitto tra Stato e Regioni, 
l'Avvocatura, pur intervenendo in rappresentanza dello Stato, 
esercita una funzione che trascende quella del difensore di parte. Si 
tratta di giudizi che rappresentano il momento di chiusura di una 


VIII 

complessa organizzazione costituzionale, che accentua l'autonomia 
delle articolazioni regionali sulle strutture classiche dello Stato 
unitario. 

L'obiettivo essenziale � quello di savaguardare l'osservanza dei 
cOnfini, segnati dalla Carta costituzionale, delle rispettive sfere di 
attribuzione. In questo senso si pu� parlare di una novella actio 
finium regundorum, che nel moderno diritto si � trasposta, dai campi 
del recessivo mondo dell'interesse privato, a quelli del mondo espansivo 
dell'interesse pubblico. 

Questa attivit� di collaborazione dialettica, che ha in comune con 
la Corte l'obbiettivo di assicurare il rispetto e l'attuazione della 
Costituzione, non rende, tuttavia, necessario l'intervento dell'Avvocatura. 
Ci� non soltanto perch� davanti alla Corte Costituzionale 
l'Avvocatura non �, come nelle sedi di giurisdizione, investita di un 
mandato ex lege, essendo la determinazione di intervento riservata 
al Presidente del Consiglio. Ma soprattutto perch� il Presidente del 
Consiglio, e per esso l'Avvocatura, non potrebbero intervenire per 
sostenere la illegittimit� costituzionale delle leggi: ci� altererebbe la 
funzione del giudizio di legittimit� costituzionale, trasformandolo 
in un anomalo e inammissibile giudizio di conflitto tra potere esecutivo 
e Parlamento. 

D'altra parte il Presidente del Consiglio non � il garante della 
Costituzione (tale � la funzione del Presidente della Repubblica e, 
nelle forme qui ricordate, della Corte Costituzionale). 

Il Presidente del Consiglio interviene, invece, per la tutela del 
valore immanente dell'ordinamento unitario dello Stato, di cui sono 
parte integrante (ma non ugualmente importante) tutte le leggi conformi 
alla Costituzione. Tale tutela non ha, dunque, ad oggetto il 
singolo prodotto legislativo, in quanto tale, ma in quanto funzionalizzato 
ed integrato nel sistema unitario, tenuto conto, come ho 
rilevato, della graduatoria di interessi che deriva dal diverso grado 
di importanza di ogni singola legge in rapporto al sistema in cui si 
inserisce. 

Questa graduazione di interessi esclude che al difetto di intervento 
si debba attribuire senz'altro il significato di una valutazione 
negativa di legittimit�. Del resto, altri strumenti sono a disposizione 
del Presidente del Consiglio (con l'ausilio della funzione di consulenza, 
allo scopo esplicitamente attribuita dalla legge all'Avvocato 
generale dello Stato) per promuovere -nel rispetto delle prerogative 
del Parlamento -l'adeguamento delle leggi al dettato costituzionale: 
funzione altissima, che l'Avvocatura dello Stato si onora di condividere 
quale � collaboratrice di giustizia � di codesta Corte con quel 
sentimento di rispetto per la Carta costituzionale che ci � comune. 


La nostra Costituzione ha compiuto ormai un terzo di secolo, 
durante il quale ha ben svolto il suo compito di fondamento dello 
Stato repubblicano. Essa � certo perfettibile, ma vorrei ricordare 
in proposito un arguto quanto calzante ammonimento di Enrico 
De Nicola: una Costituzione perfetta non � mai esistita e delle Costituzioni 
pu� dirsi ci� che Orazio diceva degli uomini. Tutte hanno 
i loro difetti, la migliore � quella che ne ha meno. D'altra parte, 
soggiungeva Enrico De Nicola, l'importante non � tanto far bene le 
leggi, quanto applicarle bene. 

E poich� nel nostro ordinamento la � retta � applicazione della 
Costituzione � affidata alla Corte Costituzionale, l'esperienza di questi 
25 anni consente di esprimere l'auspicio e la certezza che la Corte 
continuer� ad essere un faro illuminante per gli operatori del diritto 
ed un sicuro approdo per la tutela dei diritti fondamentali dei 
cittadini e per la salvaguardia delle istituzioni democratiche. 


DISCORSO DEL SENATORE GIANCARLO DE CAROLIS 


Pubblichiamo il discorso che il senatore 
Giancarlo De Carolis ha pronunciato nell'assumere 
le altissime funzioni di Vice Presidente 
del Consiglio Superiore della Magistratura 
a testimonianza del saluto e dell'augurio 
che l'Avvocato generale e gli avvocati dello 
Stato tutti desiderano indirizzargli nella cir� 
costanza. 

Signor Presidente, 

rivolgo, innanzitutto, un deferente saluto a Lei, per quello che 
Lei rappresenta in questo consesso, e La ringrazio per le espressioni 
di augurio e di sprone ad un intenso lavoro con le preziose indicazioni 
da Lei formulate per l'attivit� del Consiglio nella seduta di 
insediamento. 

Signor Presidente, colleghi, 

assumendo la funzione cui sono stato chiamato non posso non 
ricordare, tra coloro che mi hanno preceduto in questo incarico, la 
figura di Vittorio Bachelet, il cui sacrificio, insieme a quello di 
tanti magistrati. che hanno testimoniato con la vita la dedizione al 
proprio dovere, ci � di insegnamento e di monito. 

Le parole da lui pronunciate in quest'aula, all'atto dell'insediamento 
quale Vice Presidente del Consiglio ora cessato, risuonano 
ancora come una mirabile sintesi, dove gli accenti propri di un 
uomo dalle alte qualit� morali si legano, nella chiara visione del 
ruolo che nel nostro sistema incombe al Consiglio superiore, all'attenta 
sensibilit� ai problemi posti da una situazione della giustizia, 
da lui definita, quasi in un presagio premonitore, drammatica. In 
tal senso Vittorio Bachelet indicava come nostro compito principale 
la garanzia dell'autonomia e dell'indipendenza di tutta la Magistratura 
giudicante e requirente e dei singoli magistrati, da conseguire 
attraverso "l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario ai 
principi costituzionali e alle esigenze della societ� �. 


Questa evidenziazione degli stretti legami tra il supremo organo 
di autogoverno della Magistratura e il sistema vigente su cui si fonda 
l'ordinamento della Repubblica consentiva a Bachelet di cogliere 
nel pi� prof on do suo significato la sostanza di una riforma come 
quella contenuta nella nuova legge elettorale del Consiglio. Sostanza 
che egli individuava nell'obiettivo di favorire una presenza pi� variata 
di posizioni e di intenti in maniera da garantire una larga rappresentanza 
di tutti gli orientamenti presenti nella Magistratura e 
quindi una larga partecipazione di tutti alla gestione del Consiglio 
ed anche un correlato impegno di presenza nelle Commissioni in 
cui esso si articola. Di qui anche l'esigenza di sperimentare -sono 
parole testuali di Bachelet -quelle forme organiche di consultazione 
che consentissero di portare avanti con speditezza i lavori del 
Consiglio e quindi di ottenere la corresponsabilit� di tutti. 

E le forme di organico raccordo tra il comitato di Presidenza e 
tutti gli orientamenti presenti nel Consiglio, effettivamente realiz-� 
zate, nel rispetto rigoroso dell'articolo 2 della legge 24 marzo 1958, 

n. 195, dimostrano come quelle parole non fossero meri auspici ma 
rivelassero piuttosto una precisa volont� sulla cui direzione io ritengo 
si debba continuare: tali forme di raccordo potranno essere 
ulteriormente perfezionate, se il Consiglio lo vorr�. 
In questa visione, che da una parte sottolineava l'inserimento 
della Magistratura nel corpo vivo dell'ordinamento e della societ� e 
dall'altra poneva in particolare rilievo l'esigenza dell'attuazione del 
principio della partecipazione, come non cogliere il richiamo ad una 
verit� fondamentale e pure troppo spesso negletta: e cio� al fatto 
che le singole articolazioni del nostro sistema repubblicano, pur 
nell'autonomia e nella specificit� delle funzioni attribuite, sono tra 
loro indissolubilmente collegate e non possono non essere tutte 
pervase dai comuni valori di democraticit�, di cui la partecipazione 
� momento essenziale? 

Di questo stretto collegamento, d'altronde, i Costituenti vollero 

dare il segno pi� evidente attribuendo la presidenza del Consiglio 

superiore al Presidente della Repubblica, individuato come espres


sione di quel momento unitario in cui si compongono tutte le arti


colazioni dell'ordinamento. E anzitutto per questo, Signor Presi


dente, a Lei -garante di una azione della Magistratura conforme ai 

principi costituzionali -� doverosa e sincera l'attestazione dell'im


pegno mio personale e di tutti i colleghi per una piena e leale col


laborazione. 

Dalla scelta cos� operata dalla Costituzione discendono importanti 
conseguenze sui modi in cui il Consiglio superiore deve operare 
per contribuire a che l'equilibrio complessivo del sistema non 


xw 

sia turbato, consentendo ad ogni potere di svolgere i compiti secondo 
le linee tracciate dalla Carta costituzionale. 

Cos� se la questione della partecipazione si presenta come essenziale 
perch�, attraverso lo spazio dato alle istanze emergenti in ogni 
settore della Magistratura, trovano concreta espressione nel governo 
della Magistratura stessa tutte le realt� di una societ� in cui 
i magistrati sono parte integrante, ne segue la necessit� di rendere 
evidenti i modi in cui la partecipazione si viene a realizzare, per 
consentire appunto di individuare le linee sulle quali opera la Magistratura 
e al Presidente di rappresentarle con chiarezza davanti 
al Paese. 

Di qui la questione della pubblicit�, necessaria, in tale prospettiva, 
per assicurare verso l'esterno la pi� ampia informazione, secondo 
schemi che possano contemperare in modo soddisfacente le 
esigenze della informazione pubblica con quelle altrettanto essenziali 
del doveroso riserbo in particolari materie. 

Cos�, ancora, dal rispetto degli equilibri costituzionali deriva l'esigenza 
di uno scrupoloso adempimento dei doveri incombenti sui 
singoli magistrati, che sono posti anche a garanzia della loro indipendenza, 
oltre che quale sostanza della loro imparzialit�. Ne consegue 
in ispecie la necessit� che i procedimenti disciplinari siano 
condotti in modo corretto nella attuazione delle garanzie dell'incolpato 
e sollecito nello svolgimento, al fine di sollevare il singolo magistrato 
e la Magistratura, come ordine cui egli appartiene, da qualsiasi 
ombra o dubbio, inaccettabili per coloro che tanta abnegazione 
rivelano nello svolgimento delle proprie funzioni, e al fine 
altres� di soddisfare la legittima attesa della societ� che l'esercizio 
dell'attivit� giurisdizionale sia affidato a uomini degni e capaci. 

Sempre a tali esigenze di dignit� e di capacit� devono essere 
ispirate le scelte dei magistrati agli uffici direttivi; nella consapevolezza 
che la buona amministrazione della giustizia dipende dai 
mezzi materiali e da pi� moderni e idonei ordinamenti, che giustamente 
la Magistratura chiede e sollecita agli altri poteri dello Stato, 
ma dipende anche dalla gestione quotidiana della concreta attivit� 
giudiziaria, la quale deve rispondere a criteri di efficienza e di trasparente 
correttezza. 

La richiesta di pi� moderni e idonei ordinamenti richiama, infine, 
l'attivit� di ricerca, di studio, di proposta, di parere che il Consiglio, 
nel rispetto delle autonome prerogative del Parlamento e del 
Governo, ha gi� svolto con tanta efficacia e per il cui potenziamento 
occorrer� operare anche mediante l'intensificazione dei collegamenti 
con gli altri poteri dello Stato, utilizzando correttamente i canali 
istituzionali propri della funzione dell'esecutivo e quelli posti a disposizione 
dai regolamenti parlamentari. 


Signor Presidente, colleghi. 

queste mie dichiarazioni sono soltanto considerazioni .offerte 
alla riflessione del Consiglio, poich� sono ben consapevole della mia 
posizione di componente che deve svolgere funzioni di collaborazione 

o vicarie rispetto alle attribuzioni del Presidente della Repubblica: 
mi auguro che esse vengano accolte da Lei, Signor Presidente, e dai 
colleghi, come testimonianza dello spirito con il quale mi accingo 
ai compiti affidatimi in un momento cos� difficile della vita del 
Paese. 
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ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

CARAMAZZA l.F., Il Congresso di Messina del _3-8 novembre ;1981 . II, 27 

DI TARSIA DI BELMONTE P., In tema di aggravanti . .... I, 428 

DI TARSIA DI IBELMONTE P., Esistono ancora dei limiti alla responsabilit� 
diretta dell'Amministrazione per fatto del dipendente? .. I, 433 

MARUOTTI L., Considerazioni in tema di impugnabilit� dell'ordinanza 
di rilascio emessa nei confronti dell'occupante abusivo di bene 
demaniale ............................ . I, 338 


PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
-Autorizzazione -Abilitazione -Nozione 
-Rilascio di carta di circolazione 
-Natura -Controversie -Giur1schl:
cione dclll'a;g.o., 312. 

-Vizi -Eccesso di potere -Contraddittoriet� 
-Fattispecie -Limiti, 343.


dell'appaltatore, 410. 
-Appalto di opere pubbliche -Consegna 
dell'opera -Appalto disciplinato 
per legge o per convenzione dal 
capitolato generale per le opere pubbliche 
-Consegna frazionata dei lavori 
-Esclusione -Avvenuta consegna 
parziale -Conseguenze alternative, 
410. 
-Appalto di opere pubbliche -Sospensione 
-Protrazione -Pretesa di danni 
-Riserva -Iscrizione nel verbale 
di ripresa dei lavori -E' tempestiva, 
421. 
-Onerosit� e difficolt� dell'esecuzione 
-Disciplina prevista dall'articolo 
1664 cod. civ. -Applicazione analogica 
ed eventi sopravvenuti diversi 
da quelli indicati dalla norma -Inammissibilit� 
-Equo compenso -Interpretazione 
estensiva -Ammissibilit�, 
-410. 
-Onerosit� e difficolt� dell'esecuzione 
-Disciplina prevista dall'art. 1664 
cod. civ. -Finalit�, 410. 
ARBITRATO 
-Arbitrato obbligatorio -Norma regolamentare 
che lo prevede -Illegittimit� 
-Effetti -Vizio di nullit� 
del Jodo per nuJlit� de~ compromes� 
so, 421. 
-Condizioni generali per l'appalto dei 
lavori del Genio Militare -Inappellabilit� 
del lodo -Norma che lo prevede 
-Illegittimit� -Disapplicazione 
-Effetti, 421. 
ATTO AMMINISTRATIVO 
-Atto discrezionale -Annullamento -
Limiti all'indagine sulla legittimit� -
Effetti, 343. 
COMUNIT� EUROPEE 
-Agricoltura -Aiuti per l'impiego di 
prodotti proteici in main~rn:i -Condizioni 
-Acquisto di latte magro in 
polvere, 290. 
-Agricoltura -Pcrodotti composti -iR.estituzioni 
all'esportazione -Condizioni, 
290. 
-Agricoltura -Restituzioni all'esportazione 
-Condizioni, 290. 
-Agricoltura -Risorse proprie della 
Comunit� -Riscossione indebita -
Azione di ripetizione -Limiti, 290. 
-Corte di Giustizia -Pronuncia pregiudiziale 
ai sensi dell'art. 177 del 
�trattato CEE -Pronuncia di invali� 
dit� di un regolamento comunitario Effetti, 
290. 
-Unione Doganale -Libera circolazione 
delle merci -Disposizioni fiscali 
interne discriminatorie -Abolizione Efficacia 
diretta -Presa di posizione 
favorevole della Commissione -
Legittimo affidamento dello Stato 
membro -Insussistenza, 303. 
-Unione Doganale -Libera circolazione 
dehle merci -Ddisposdzioni fiscali 
interne discriminatorie -Abolizione 
non oltre ill'dnizio delJa seconda tappa 
del periodo transitorio -Efficacia 
diretta Inammissibilit� 
di deroghe, 
303. 
-Unione Doganale -Libera circolazione 
delle merci -Disposizioni fiscali 
interne discriminatorie -Regime fiscale 
degli alcoli -Diritto erariale 
sulle acquaviti di vino, 303. 
-Unione Doganale -Tributi discrimi� 
natori indebitamente riscossi -Traslazione 
sugli acquirenti -Restituzione 
-Limiti, 303. 
APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Consegna 
dell'opera -Appalto disciplinato 
dal capitolato generale delle 
opere pubbliche -Consegna tardiva Diritti 



INDICE DELLA 

-Violazioni del trattato CEE -Contestazione 
-Procedimento -Parere 
motivato della Commissione -Efficacia 
giuridica, 303. 

CONCESSIONI AMMINISTRATIVE 

-Morte del concessionario -Utilizzazione 
di fatto -Effetti -Limiti, 338. 

-Occupante abusivo di terreni dati 
in concessione a terzi -Impugnazione 
dell'ordinanza di rilascio -Titolarit� 
-Occupante abusivo, 338. 

CONTABILITA PUBBLICA 

-Crediti dei pubblici dipendenti -Rivalutazione 
-Esclusione -Regolamento 
di contabilit� -:t!. fonte secondaria, 
267. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Conflitto di attribuzione tra poteri 
dello Stato -Invasione da parte di 
organi ghtrisdizionali -Estremi, 272. 

-Conflitto di attribuzione tra poteri 
dello Stato -Pu� essere parte in 
un conflitto di attribuzione -Ordinanza 
della Corte costituzionale non 
preceduta da giudizio sulla ammissibilit� 
del ricorso ad essa proposto 
-Insussistenza della materia di 
un conflitto, 271. 

-Conflitto di attribuzione tra poteri 
dello Stato -Sfera di attribuzione 
del potere esecutivo -Invasione per 
atto emesso da organo giudiziario Ammissibilit�, 
272. 

-Ordinanza di rimessione -Difetto di 
motivi -Inammissibi!lit� deLla questione, 
277. 

-Principio di eguaglianza -Omessa indicazione 
di disposizioni di rango 
costituzionale -Rilevabilit� d'ufficio, 
283. 

-Questione incidentale di legittimit� 
costituzionale -Deduzioni defensionali 
dell'ente produttore della disposizione 
impugnata -Non determinano 
irrilevanza de1La questione, 282. 

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA 

-Libert� di manifestazione del pensiero 
-Contemperamento con altre 
esigenze costituzionalmente garantite 
-Necessit�, 277. 

GIURISPRUDENZA xvn 

DEMANIO 

-Beni di interesse paesaggistico -Vincoli 
-Effetti -Decorrenza -Pubblicazione 
elenchi nell'Albo Comunale Conseguenze, 
343. 

-Beni di interesse paesaggistico Vincoli 
panoramici -Costruzioni edilizie 
-Nulla osta della Soprintendenza 
ai monumenti -Legge n. 14971939 
e reg. 1357-11940 -Rapporti -Art. 
16 del regolamento -Criterio di interpretazione, 
343. 

-Beni di interesse paesaggistico -Vincolo 
panoramico -Costruzioni edilizie 
-Nulla osta della Soprintendenza 
ai monumenti -Motivazione del permesso 
a costruire -Modulo-tipo senza 
riferimenti al vincolo -Insufficienza, 
343. 

-Beni di interesse paesaggistico -Vincolo 
panoramico -Costruzioni edilizie 
-Nulla-osta della Soprintendenza 
ai monumenti -Successivo annullamento 
-Natura -Effetti, 343. 

FAMIGLIA 

-Patr~a potest� -Interruzione delJl:a 
gravidanza di donna. minorenne Mancata 
consultazione dei genitori Legittimit� 
costituzionale, 287. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Impiego pubblico -Presupposti � 
Atto di nomina � Mancanza � Irri� 

�l:evoanza � COI1Jtrrove11Sie � Giurisdizione 
del giudice amministrativo -Sussiste, 
317. 
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Ricorso giurisdizionale amministra� 
tivo � Legittimazione ad agire � Presup;
posti -Utente dii terreno in concessione 
a terzi � Legittimazione � 
Carenza, 338. 

-Ricorso giurisdizionale ammi.�l.istra� 
tivo � Natura � Indagine del Giudice 
amministrativo -Sopravvenuta carenza 
di interesse � Valutazione � Limiti 
� Riferibilit� alla posizione sostanziale 
di interesse legittimo � Effetti, 
341. 

-Ricorso giurisdizionale amministrativo 
� Provvedimento impugnabile Licenza 
edilizia -Autorizzazione di 
variante -Possibilit� di impugnatiiva 
autonoma -Preclusrone, 341. 


XVUI 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Funzionari onorari -Componenti delle 
Commissioni di controllo regionali 
-Indennit� -Misura -Controversia 
-Giurisdizione di legittimit� 
del giudice amministrativo, 319. 

ISTRUZIONE E SCUOLE 

-Insegnante universitario -Nuovi incarichi 
-Nozione ex art. 4 legge 

n. 76-1973 -Individuazione -Rinnovazione 
della copertura di cattedre 
mediante attribuzione precaria 
Esclusione, 342. 
LAVORO 

-Assistenza -Controversie -Decreto 
ingiuntivo -Competenza Giudice del 
lavoro, 327. 

-Controversia -Intervento coatto di 
un'amministrazione dello Stato -Sentenza 
del pretore -Appello -Tribunale 
-Competenza -Foro dello Stato 
-Applicabilit�, 328. 

-Decreto ingiuntivo -Opposizione Effetti, 
327. 
-Decreto in~untivo -Opposizione 
Notifica -Procedibilit� -Condizioni, 

327. 
ORDINAMENTO GIUDIZIARIO 

-Illecito disciplinare -Principio nulla 
poena sine lege -Non opera, 277. 

PENA 

-Revoca della sospensione condizionale 
-Limiti -Superamento per sentenza 
della Corte Costituzionale Esclusione, 
271. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

-Foro dello Stato -Chiamata in garanzia 
-Applicabilit�, 327. 

-Lavoro -Controversia -Intervento 
coatto di una amministrazione dello 
Stato -Foro dello Stato -Applicabilit�, 
327. 

PROCEDIMENTO PENALE 

-. 
Parte civile, ricorso per cassazione Sentenza 
di non doversi procedere 


Amnistia -Esclusione di aggravanti Difetto 
di interesse della parte civile 
all'impugnazione, 428. 

REGIONE 

-Turismo e industria alberghiera 
Classificazione alberghiera -Non � 
riservata allo Stato, 265. 

RESPONSABILITA CIVILE 

-Danno -Fatto illecito -Concause 
dell'evento dannoso -Nozione -Applicazione 
dell'art. 41 c.p., secondo 
comma -Limiti, 331. 

-Precettori -Maestri del Patronato 
scolastico -Presunzione di responsabilit� 
-Casi di esclusione -Limiti, 
332. 

-Responsabilit� diretta della pubblica 
amministrazione per fatto del 
dipendente -Occasionalit� necessaria 
-Rapporto organico -Sussiste 
anche in ipotesi di fatto commesso 
da sentinella che abbia abbandonato 
il posto di guardia, 432. 

SANITA 

-Interruzione della gravidanza -Donna 
minorenne -Assenso dei genitori 
o del tutore o autorizzazione 
del giudice tutelare -Necessit� Legittimit� 
costituzionale, 287. 

SUCCESSIONE 

-Collazione di donazione -Somma 
di danaro -Collazione secondo il 
principio nominalistico -Legittimit� 
costituzionale, 284. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Accertamento -Imposta sui redditi 
di ricchezza mobile -Plusvalenza Rettifica 
con metodo induttivo dell'ammontare 
dei ricavi non rispondente 
al presumibile valore -Legittimit�, 
357. 

-Accertamento -Modificazione per 
sopravvenuta conoscenza di elementi 
nuovi -Analiticit� dell'accertamento 
da modificare -Non � necessaria, 
372. 


INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

-Accertamento -Motivazione sintetica 
-Dichiarazione non corredata dei 
documenti contabili -Legittimit� Invito 
a produrre la documentazione 
-Non � necessario, 374. 

-Accertamento tributario -Incompetenza 
dell'ufficio tributario -Nullit� 
assoluta -Rilevabilit� d'ufficio, 

378. 
-Accertamento -Ufficio competente Incorporazione 
di societ� -� quello 
della sede della societ� incorporante, 
366. 

-Imposta sui redditi di ricchezza 
mobile -Plusvalenza -Assegnazione 
di beni ai soci di societ� di persone 
-Si realizza, 397. 

-Imposta sui redditi di ricchezza 
mobile -Plusvalenza -Cessione dell'intero 
pacchetto azionario -Costituzione 
di organizzazione di persone 
senza personalit� giuridica Realizzo 
di avviamento per cessione 
di azienda -Esclusione, 391. 

-Imposta sui redditi di ricchezza 
mobile -Plusvalenza -Realizzazione 
nel corso di procedura fallimentare Costituisce 
reddito tassabile -Esistenza 
di passivo fallimentare -Irrilevanza, 
387. 

- 
Imposta sulle societ� -Esenzione 
dell'art. 151, lett. f) del t.u. delle 
imposte dirette per nominati istituti 
di edilizia popolare -Estensione 
ad altri istituti non nominati 
-Esclusione, 360. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro -Agevolazione 
per le case di abitazione non di 
lusso -Pertinenze -Non si estende 
-Appalto per costruzione di 
strada interna -Esclusione della 
agevolazione, 363. 

-Imposta di registro -Concessione Servizio 
di illuminazione -Istituzione 
dell'ENEL -Continuazione del 
servizio da parte della societ� -Obbligazione 
per l'imposta di registro, 

409. 
-Imposta di registro -Vendita fra 
parenti -Applicazione della norma 
vigente al momento della stipulazione 
dell'atto, 3711. 

- 
Imposta di successione -Passivit� 
deducibili -Avallo cambiario e pri


vilegio speciale su bene dell'asse 
ereditario -Debiti neutralizzati da 
un corrispondente credito -Indeducibilit�, 
401. 

-Imposte ipotecarie -Sanzioni -Sistema 
di applicazione del tributo Distinzioni, 
381. 

-Imposte sulla circolazione degli 
autoveicoli -Imposta straordinaria 
istituita con l'art. 4 del d.l. 6 luglio 
1974, n. 251 -Furgone finestrato 
-Vi � soggetto -Art. 42 d.l. 
18 luglio 1976, n. 648 -Valore interpretativo, 
394. 

-Imposta sull'entrata -Condono Termine 
per il pagamento -� perentorio, 
380. 

-Sanzioni non penali -Interessi Non 
sono dovuti, 406. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Accertamento tributario -Notificazione 
-Destinatario irreperibile Deposito 
ed affissione presso la 
casa comunale -� regolare, 369. 

-Contenzioso tributario -Condono Ultima 
pronunzia di merito -� 
quella della commissione centrale 
in materia di estimazione complessa, 
390. 

-Contenzioso tributario -Giudizio di 
terzo grado -Ricorso alla commissione 
centrale -Rinuncia per ricorrere 
alla Corte d'Appello -Inammissibilit�, 
375. 

-Contenzioso tributario -Oggetto e 
natura del processo innanzi alle 
Commissioni, 345. 

-Contenzioso tributario -Sospensione 
della riscossione -Regolamento 
di giurisdizione -Ammissibilit�, 345. 

-Riscossione -Imposte dirette -Sospensione 
-Rimedi ammessi, 345. 

-Riscossione -Sospensione dei titoli 
esecutivi fiscali da parte del giudice 
-Difetto assoluto di potere, 

345. 
URBANISTICA 

-Licenza edilizia -Autorizzazione di 
variante -Illegittimit� della licenza 
originaria -Effetti sul provvedimento 
di autorizz�zione di variante -
Caducazione dell'atto successivo, 341. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

26 maggio 1981, n. 70 
26 maggio 1981, n. 711 
26 maggio 1981, n. 73 
28 maggio 1981, n. 77 (ord.) 
1� giugno 1981, n. 81 ... 
8 giugno 1981, n. 98 (ord.) 
8 giugno 1981, n. 100 
19 giugno 1981, n.105 . 
25 giugno 1981, n. 109 
25 giugno �1981, n. 197 
10 luglio 1981, n. 132 (ord.) 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

[3 maggio 1981, nella causa 66/80 . . . . . . . 
27 maggio 1981, nelle cause riunite 142 e 143/80 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. Un., 5 marzo 1980, n. 1471 . 
Sez. I, 19 marzo 1980, n. 1818 . 
Sez. I, 27 marzo 1980, n. 1908 . 
Sez. I, il0 aprile 1980, n. 2103 . 
Sez. I, 17 aprile 1980, n. 2507 . 
Sez. I, 2 giugno 1980, n. 3596 . 
Sez. I, 16 giugno 1980, n. 3824 . 
Sez. I, 24 giugno 1980, n. 3956 . 
Sez. I, 26 giugno 1980, n. 3998 . 
Sez. I, 1� luglio 1980, n. 4140. 
Sez. I, 2 luglio 1980, n. 4189 . 
Sez. I, 5 luglio 1980, n. 4277 . . 
Sez. I, 7 luglio 11980, n. 4322 . . 
Sez. I, 17 luglio 1980, n. 4652 . 
Sez. I, 19 luglio 1980, n. 4746 . 
Sez. I, 19 luglio 1980, n. 4748 . 
Sez. I, 22 luglio 1980, n. 4784 . 

pag. 265 
)) 267 
� 271 
� 271 
� 277 
� 272 
� 277 
� 282 
� 287 
� 284 
� 272 

pag. 290 
� 303 

pag. 345 
� 410 
� 357 
� 360 
� 363 
� 366 
� 369 
� 371 
� 372 
� 374 
� 375 
� 378 
)) 380 
� 381 
� 387 
� 390 
391 


INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA 

Sez. I, 22 ~uglio �1980, n. 47t88 
Sez. I, 24 luglio 1980, n. 4808 . 
Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4867 . 
Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4879. 
Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4880 . 
Sez. Lavoro, 9 gennaio 1981, n. 194. 
Sez. Lavoro, 10 gennaio 1981, n. 236 . 
Sez. III, 10 febbraio 1981, n. 826 . 
Sez. Un., 2 marzo 1981, n. 1203 . 
Sez. Un., 24 marzo 1981, n. 1687 . 
Sez. Un., 11 aprile 1981, n. 2113 . 
Sez. I, 14 maggio 1981, n. 3167 . 


GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Sez. IV, 16 dicembre 1980, n. 1217. 
Sez. V, 29 maggio 1981, n. 219 . . 
Sez. VI, 19 maggio 1981, n. 213 . 
Sez. VI, 19 maggio 1981, n. 221 . 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. VI, e.e. 22 marzo 1977 . 
Sez. IV, 14 aprile 1981, n. 878 . 


XXI 

� 394 
� 397 
� 401 
� 406 
)) 409 
� 327 
� 327 
� 331 
� 317 
� 319 
� 322 
� 421 

pag. 338 
� 341 
� 342 
� 343 

pag. 428 
� 432 


; 


~ 

PARTE SECONDA ~ 

i: 
I 
I 
<: 

QUESTIONI 

~'. 

Il congresso di Messina del 3-8 novembre 1981 . . . . . . . . . . . . . pag. 27 

LEGISLAZIONE 

I. -Norme dichiarate incostituzionali . 
pag. 33 

II. � Questioni dichiarate non fondate . )) 34 
III. � Questioni proposte )) 36 
1: 
! 1: 


PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 maggio 1981, n. 70 -Pres. Amadei -Rel. Elia Regione 
Piemonte (avv. Romano), Regione Puglia (n.p.), Regione Umbria 
(avv. Duranti) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato 
Azzariti). 

Regione -Turismo e industria alberghiera -Classificazione alberghiera -Non 
� riservata allo Stato. 

I principi stabiliti dalle leggi dello Stato delimitano il modo di esercizio 
delle potest� legislative regionali e non anche le materie di competenza 
regionale; la classificazione di alberghi pensioni e locande nonch� 
dei. complessi ricettivi all'aperto non � � submateria � sottratta alla materia 
� turismo � e riservata allo Stato. 

(omissis) In questo, come in altri casi gi� sottoposti a questa Corte 
(si veda per tutte la sent. n. 58 del 1958), la lesione dell'interesse nazionale 
comporta che per un settore di materia sia preclusa ogni possibilit� 
di int~ento della Regione. Ma la sottrazione della submateria � classificazione 
alberghiera � (rispetto alla pi� ampia materia del turismo ed 
industria alberghiera) dall'ambito dei poteri trasferiti alle Regioni non 
trova sostegno nei testi normativi. 

In primo luogo l'art. 1, lett. g) del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6, trasferisce 
alle Regioni, tra gli altri settori della materia, le funzioni amministrative 
concernenti �la 'classificazione e la locazione di immobili adibiti 
ad uso di albergo, pensione, locanda; i complessi ricettivi extraalberghieri 
(campeggi, villaggi turistici, ostelli)�; e certo la formula pi� ampia 
usata neM'art. 56 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 per definire il turismo 
e l'industria alberghiera non potrebbe interpretarsi in senso riduttivo 
rispetto al trasferimento disposto dal d.P.R. n. 6 del 1972, e cio� in contrasto 
con quanto � disposto in modo espresso dall'art. 136 del d.P.R. 

n. 616 del 1977. N� si rinvengono riserve a1lo Stato nell'ambito della 
submateria �classificazione alberghiera�, nel d.P.R. n. 6 del 1972 (artt. 3-5) 
e neppure nel d.P.R. n. 616 del 1977 (art. 58)'. 
D'altra parte non si pu� -in mancanza di deroga legittimamente 
disposta da!l legislatore -venir meno al para!llelismo tra funzioni aromi




266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nistrative e legislative (pi� volte riaffermato da questa Corte: tra l'altro 

II

nella sent. n. 39 del 1971), anche se pu� ammettersi che una disciplina 
riguardante il passaggio delle funzioni amministrative statali alle Regioni 
non � in grado di risolvere compiutamente i problemi de11e corrispondenti w 

H 

funzioni legislative. ;.:


Infine non si pu� trascurare un dato normativo sicuramente contrastante 
con l'affermazione di un interesse nazionale alla uniformit� della 
disciplina legislativa in tema di classificazione alberghiera, uniformit� che 

1 

dovrebbe ovviamente farsi valere in tutto il territorio nazionale. Infatti 
l'art. 8, primo comma, del d.P.R. 27 marzo 1952, n. 354 (Norme di attua~ 


I 
zione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), conteneva questa 
regola: �I criteri che le leggi dello Stato prescrivono per la determinazione 
delle classifiche alberghiere e le disposizioni a carattere nazionale 
in materia di tariffe alberghiere valgono anche per la Regione�; 
orbene, questa disposizione non figura pi� :nel testo del d.P.R. 22 marzo 
1974, n. 278 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione 
Trentino-Alto Adige in materia di turismo e di industrie alberghiere), 
che all'art. 10 abroga espressamente il citato d.P.R. 27 marzo 1952, 

n. 354. 
Ed � significativo, anche se non decisivo, che senza oppos1z10ne del 
Governo abbiano potuto essere adottate varie leggi regionali in tema 
di classificazione dei complessi ricettivi all'aperto (legge reg. Puglia 20 giugno 
1979, n. 35; legge reg. Veneto 10 agosto 1979, n. 56; legge reg. Piemonte 
31 agosto 1979, n. 54). Si pu� certo rilevare che di tali complessi 
non fa parola il r.d.I. 18 gennaio 1937, n. 975 (convertito con modifiche in 
legge 30 dicembre 1937, n. 2651 e modificato con ir.d.I. 5 settembre 1938, 

n. 1729), e cio� l'unico testo legislativo statale vigente in questo settore: 
ma, ove si trattasse di vero interesse nazionale aH'uniformit� di disciplina, 
l'obiezione risulterebbe formalistica, data l'identit� del1a ratio 
a favore della unicit� dei criteri classificatori a livello nazionale e data 
anche la mancanza di serie giustificazioni per una sottovalutazione degli 
esercizi ricettivi extraalberghieri (sottovalutazione gi� rilevabile peraltro 
nella legge n. 326 del 1958 ed ora nell'art. 60, lett. e) del d.P.R. n. 616 del 
1977). Ci� che si � esposto dimostra anche come l'attuale pronunzia, dato 
il diverso quadro normativo in cui si iscrive, non contraddice alla sen~ 
tenza di diverso segno a suo tempo adottata da ,questa Corte nelila stessa 
materia (sent. n. 15 del 1956). 
Quanto alla censura ci11ca la violazione del limite dei principi fondamentali 
della legislazione statale, essa � riferita innanzitutto alla esistenza 
di un principio fondamentale della materia che escluderebbe ogni possibilit� 
di intervento normativo delle Regi0111i in una submateria (in questo 
caso la �classificazione alberghiera�). Ma un principio fondamentale 
siffatto non pu� darsi nel quadro dell'art. 117, primo comma, della 
Costituzione, dovendo i principi riguardare in ogni caso il modo di eser




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

cizio della potest� legislativa regionale e non comportare l'inclusione o 
l'esclusione di singoli settori della materia dall'ambito di essa. Altrimenti 
non troverebbero rispondenza nella realt� dell'ordinamento i criteri fis� 
sati da questa Corte in occasione del giudizio relativo all'art. 17 della 
legge 16 maggio 1970, n. 281, (criteri che, nel trasferire Ja submateria 
�classificazione alberghiera>>, la normativa in vigore ha pienamente os� 
servato); infatti secondo la sentenza n. 39 del 1971, �unitariamente inter� 
pretato, l'art. 17 vuole che alle Regioni siano assegnate per intero le 
materie indicate nell'art. 117 della Costituzione; ma vuole, d'altro lato, 
ohe, sia attraverso Ja esplkita enunciazione dei "principi fondamentali", 
di oui allo stesso art. 117, sia in altre e diverse forme, che non :si rrisolvano 
in una preventiva e generale riserva allo Stato di settori di materie, 
lo svolgimento concreto delle funzioni regionali abbia ad essere armoni� 
camente conforme agli interessi unitari della collettivit� statale�. 

Infine, per l'altra interpretazione della censura sulla violazione del 
limite dei principi fondamentali, � quali si desumono dalle leggi vigenti � 
per regolare l'esercizio del potere legislativo concorrente delle Regioni, 
� sufficiente rilevare che qui ed ora tali principi consistono in criteri 
generalissimi (livello delle attrezzature, dell'arredamento e della presta� 
zione di servizi) che la disciplina contenuta nelle leggi rregionali non con� 
traddice da nessun punto di vista. N� potrebbero assurgere a dignit� 
di principi fondamentali della legislazione taluni dei requisiti indicati 
nella tabella del decreto-legge del 1937, non gi� perch� essi non sono 
pi� rilevanti ai fini di una aggiornata classificazione, ma piuttosto perch� 
non suscettibiili, in s� o per s�, di costituire limite e indirizzo per aa 
legislazione regionale concorrente. Le esigenze di sostanziale corrispon� 
denza tra le classificazioni adottate nelle varie Regioni possono essere 
soddisfatte mediante interventi de! potere statale pienamente compatibili 
con l'integrit� delle funzioni attribuite agli enti regionali e ci� a pre� 
scindere dalla possibilit� di un autocoordinamento in sede interregionale. 

(omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 maggio 1981, n. 71 � Pres. Amadei � Rel. La 
Pergola � Salerno ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Angelini Rota). 

Contabilit� pubblica � Crediti dei pubblici dipendenti � Rivalutazione � Esclusione 
� Regolamento di contabilit� � 1'. fonte secondaria. 
(Cost., artt. 3, 24, 35, 36, 97 e 113; cod. proc. civ., art. 429; r.d. 23 maggio 1924, n. 827, 

art. 270). 

La questione di legittimit� costituzionale di una disposizione del regolamento 
di contabilit� generale dello Stato (r.d. 23 maggio 1924, n. 827) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

268 

� inammissibile, posto che detto regolamento ha natura di fonte secondaria. 
D'altro canto, l'art. 429 cod. proc. civ. � disposizione applicabile ai 
rapporti di lavoro subordinato jure privato, e non anche a quelli dei 
dipendenti dello Stato e degli ent� pubblici non economici (1). 

(omissis) Giova alla corretta disamina del presente caso fermare 
anzitutto l'attenzione sulla censura che concerne l'art. 429, terzo comma, 
cod. proc. civ. Come risulta dal dispositivo dell'ordinanza di remissione 
del pretore di Palmi, detta disposizione � denunziata in quanto essa non 
derogherebbe al principio sopra richiamato, che si assume sancito nell'art. 
270 del regolamento di ,contabilit�, con la conseguenza di impedire, 
riguardo ai dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici, 
la decorrenza degli interessi e la rivalutazione degli stessi crediti dal 
giorno de1la maturazione deil diritto. Ora, se da un canto !l'art. 429, terzo 
comma, cod. proc. civ. � impugnato, nei termini test� riferiti, in relazione 
all'art. 270 del regolamento di contabilit�, dall'altro si deduce 
-dallo stesso pretore di Palmi, e con un'autonoma ed ulteriore censura 
-anche l'illegittimit� costituzionale di quest'ultima disposizione. 

Il punto esige un cenno di chiarimento. L'art. 429 cod. proc. civ. potrebbe 
derogare alla citata disposizione, e comunque al regime della 
contabilit� pubblica -sul presupposto, � appena il caso di avvertire, 
che si tratti di norme incidenti sulla disciplina dei rapporti di lavoro 
dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici -solo 
se tali rapporti ricadessero sotto la sua previsione: laddove si assume 
dal pretore di Palmi (e, analogamente dalla Corte d'appello di Caltanissetta) 
che essi ne rimangono necessariamente esclusi. La lesione del principio 
di eguaglianza -asserita in base alla discriminazione che opererebbe 
nel trattamento dei crediti di lavoro -viene cos� a prospettarsi 
sul semplice assunto che l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. sia 
inestensibile al caso di specie: indipendentemente, dunque, dalla dedotta 
incostituzionalit� dell'art. 270 del regolamento di contabilit�. Ma va subito 
osservato che, sotto il profilo ora in esame, la questioIJe non � fondata. 
In questo senso la Corte si � gi� pronunciata (sentenza n. 43 del 
1977) in altro giudizio, in cui la stessa disposizione dell'art. 429, terzo 
comma, veniva denunziata, sempre in riferimento all'art. 3 Cost., sostan


(1) Le affermazioni contenute nell'ultima parte della sentenza non debbono 
essere interpretate nel senso che mancherebhe un supporto legislativo all'art. 270 
del regolamento di contabilit�. Al contrario, la Corte costituzionale ha chiaramente 
indicato che nel silenzio della legge (o per quanto la legge non disponga 
esplicitamente) non pu� aversi rivalutazione di crediti vantati nei confronti dello 
Stato. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 269 

zialmente per i motivi qui in esame �Le ragioni giustificatrici della 
norma in questione � -� detto nella pronunzia test� citata, e va ora 
ripetuto -� non ri!levano negli stessi termini modi e misura in cui ricorrono 
per gli enti pubblici economici. Ci� basta per constatare che le situazioni 
poste a raffronto sono diverse e che quindi non sussiste l'assunta 
ililegittimit� costituzionale dellla norma nehla rparte in cui prevede la disciplina 
sopradetta solo per i dipendenti di cui all'art. 409 del codice di 
procedura civile �. Ci� detto si deve escludere anche la lamentata violazione 
degli artt. 35 e 36 Cost., dedotta sull'assunto, di cui si � appena 
veduta l'infondatezza, che la mancata estensione al nostro caso dell'art. 429, 
terzo comma, cod. proc. dv. abbia offeso :ilJ. priociJpio costituzionale di 
eguaglianza. 

Resta da considerare la denunzia dell'art. 270 del regolamento di 
contabilit�. Nell'ordinanza di rinvio emessa dal tribunale di Catania si 
afferma -e nelle altre due evidentemente si presuppone -che tale 
regolamento sia atto dotato della forza di :legge, quindi impugnabi.ile iin 
questa sede. 

La Corte � di contrario avviso. Il regolamento � posto con regio 
decreto in conformit� della norma di legge che ne costituisce il fondamento, 
l'art. 88 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440. Quest'ultimo atto legislativo 
�, a sua volta, un decreto emesso in virt� della delega concessa 
al governo con legge 3 dicembre 1922, n. 1601 (� Delegazione di pieni poteri 
al Governo del re per il riordinamento del sistema tributario e della 
pubblica amministrazione�). L'atto in cui � contenuta la norma censurata 
soddisfa, fuor di dubbio, i requisiti prescritti per la formazione dei 
regolamenti dalla legge che governava la materia: precisamente, il decreto 
emana, come doveva, dal re, in forza della menzionata delega, che. 
esso espressamente richiama, e su proposta del Ministro delle finanze, sentiti 
il Consiglio dei ministri, la Corte dei conti e il Consiglio di Stato. 
La compresenza nella specie di questi elementi formali consente quindi 
di stabilire -in via di esclusione, e alla stregua dei criteri predeterminati 
dalle norme vigenti -che l'atto in esame non poteva avere base 
diversa dalla potest� regolamentare, qui appositamente attribuita al governo. 
Tale risultato s'impone, del resto, anche in considerazione di precedenti 
pronunzie rese in analoghi casi dalla Corte, e specialmente di 
quel che si � affermato con sentenza n. 118 del 1968: �In presenza di 
una qualificazione data dalla legge, nel senso che il governo era legittimato 
ad emanare un regolamento, � necessario che concorrano elementi 
obiettivi, certi ed inequivoci per dimostrare che, al contrario, si trattava 
di una vera e propria delega legislativa: il che � da affermarsi specialmente 
in riferimento ad un ordinamento nel quale, a differenza di quello 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

attuale, la diversa forza degli atti normativi non dava luogo ad una semplice 
ripartizione fra organi diversi della competenza a sindacarne i vizi 
sostanziali, ma era rilevante al fine della configurabilit� stessa di un controllo 
giurisdizionale, notoriamente escluso per gli atti legislativi�. Si 
deve aggiungere che la qualificazione dell'atto come regolamento, privo 
del valore della legge, � nella specie pienamente suffragata anche dal preciso 
tenore della norma (il citato art. 88 del r.d. n. 2440 del 1923), dallla 
quale esso trae fondamento. Il governo veniva abilitato, nelle forme sopra 
viste, soltanto �a modificare le norme regolamentari vigenti per l'amministrazione 
del patrimonio e per la contabilit� generale dello Stato, 
con facolt� di emanare ogni altra disposizione di complemento, di coordinamento 
e di attuazione �. Si voleva dunque circoscrivere l'esercizio della 
potest� regolamentare rigorosamente nei limiti di una normazione secondaria 
e complementare rispetto alla legge. Nel caso in esame, infatti, 
il regolamento � subordinato allo stesso atto legislativo abilitante, che 
appresta, dal canto suo, un'organica disciplina della contabilit� generale 

dello Stato. 

Non varrebbe, d'altra parte, nemmeno osservare che la norma impugnata 
� stata costantemente considerata, nel diritto vivente ad opera 
della giurisprudenza, come un precetto idoneo a derogare, quando si 
tratti di debiti pecuniari dello Stato e degli anzidetti altri enti pubblici, 
il regime posto nel codice civile in tema di interessi moratori. A tacer 
d'altro, qui soccorre il rilievo che la Corte di cassazione ha con varie 
decisioni ultimamente negato il fondamento di una simile deroga: nel 
prospettare la presente questione si sarebbe, quindi, in ogni caso denunziata 
una norma, ormai spoglia del contenuto o dell'efficacia precettiva, 
che si vorrebbero far scaturire dall'interpretazione giurisprudenziale. Siamo 
invece, e sicuramente, di fronte ad una disposizione, la quale, comunque 
interpretata, � pur sempre prodotta mediante atto regolamentare: e con 
questa fonte non possono crearsi norme provviste dello stesso valore 
della legge. Nessun rilievo ha, infine, 1a circostanza che nelle ordinanze 
di rinvio si fa riferimento non solo all'art. 270 del regolamento di contabilit�, 
ma al contesto, o al sistema, della disciplina in cui figura questa 
singola disposizione, per dedurne -oltre, o piuttosto, che una norma un 
qualche principio, sul quale possa esercitarsi il sindacato della Corte. 
Con ci� non si �, invero, ancora dimostrato che il corpo normativo dai 
quale un tale principio andrebbe enucleato trascende la sfera del rego~
amento; n�, dunque, si � dimostrato che la disposizione oggetto di puntuale 
censura trova neH'or.dine delile fonti idonea e si�ura collocazione 
sul piano della legge formale, o di altro atto a questa equiparato. Il che, 
in conclusione, comprova l'inammissibilit� della questione. (omissis). 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 maggio 1981, n. 73 -Pres. Amadei -Rel. Andrioli 
-Botteochia (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. 
gen. Stato Chiarotti). 

Pena -Revoca della sospensione condizionale -Limiti -Superamento per 

sentenza della Corte Costituzionale -Esclusione. 

(Cost., art. 3; cod. pen., art. 168}. 

Il principio di legalit� dei reati e delle pene preclude alla Corte 
costituzionale un intervento sull'ordinamento normativo dal quale discen~ 
dano effetti sfavorevoli al reo. 

(omissis) Il dispositivo dell'ordinanza di rimessione impugna l'art. 168, 
primo comma n. l, cod. pen., l� dove non si prevede che la sospensione 
condizionale della pena �sia revocabile nei confronti del condannato il 
quale, nei termini stabiliti, commetta un delitto ovvero una contravvenzione 
della stessa indole, per cui venga inflitta una pena pecuniaria�. 

Poich� il primo comma dell'art. 168 configura tassativamente la ipotesi 
in cui la sospensione va revocata di diritto, ne segue che il giudice 
a quo chiede in sostanza che que~ta Corte introduca una nuova ipotesi 
di revoca obbligatoria mediante una sentenza di accoglimento. Senonch� 
il fondamentale principio di legalit� dei reati e delle pene preclude comunque 
alla Corte la creazione di una norma penale siffatta, dalla quale 
verrebbero a discendere effetti sfavorevoli al reo. (omissis). 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 maggio 1981, n. 77 (ord.) -Pres. Amadei -
Rel. Paladin -Tribunale di Siracusa e Corte costituzionale. 


Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato -Corte costituzionale -Pu� 
essere parte in im conflitto di attribuzione -Ordinanza della Corte costituzionale 
non preceduta da giudizio sulla ammissibilit� del ricorso ad , 
essa proposto -Insussistenza della materia ,df un conflitto. 

Tanto un tribunale quanto la Corte costituzionale rientrano tra gli 
organi legittimati ad essere parti in conflitti di attribuzione fra poteri 
dello Stato; non sussiste per� materia di conflitto qualora il tribunale 
contesti il modo in cui si � concretamente esplicata la giurisdizione propria 
della Corte costituzionale. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 giugno 1981, n. 98 (ord.) -Pres. Amadei -
Rel. Gionfrida -Presidente Consiglio dei Ministri e Pretore di Genova. 

Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato � Invasione da parte di organi 
giurisdizionali � Estremi. 

La Corte costituzionale non pu� essere chiamata, con ricorso per 
conflitto di attribuzione, a sindacare nel merito il modo in cui la giurisdizione 
� stata in concreto esercitata. 

III 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 luglio 1981, n. 132 (ord.) � Pres. Amadei -
Rel. Ferrari -Presidente Consiglio dei Ministri e Pretore di Menaggio. 

Corte Costituzionale � Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato �'Sfera 
di attribuzione del potere esecutivo � Invasione per atto emesso da 
organo giudiziario � Ammissibilit�. 

E ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal 
presidente del Consiglio dei ministri in relazione al provvedimento emesso 
da un pretore, modificativo di atti di una pubblica amministrazione 
(nella specie, l'A.N.A.S.) al di fuori dei casi espressamente e tassativamente 
previsti dalla legge. 

I 

(omissis) Ritenuto che il tribunale di Siracusa, chiamato a provvedere 
sull'istanza di revoca della provvisoria sospensione di Salvatore P.lacenti 
dai pubblici uffici, ordinata dal pretore di Augusta con sentenza del 18 febbraio 
1980, ha dichiarato di non potersi pronunciare sull'istanza medesima, 
dal momento che questa Corte, con ordinanza n. 94 del 1980, aveva a sua 
volta sospeso -nel corso di un giudizio per conflitto di attribuzione, 
instaurato dalla regione Sicilia -l'esecuzione della citata sentenza, nella 
parte concernente la provvisoria esclusione di Salvatore Piacenti dall'esercizio 
del pubblico ufficio di deputato regionale; che secondo il tribunale 
di Siracusa, per avere emesso la predetta ordinanza senza alcuna � pregiudiziale 
delibazione sull'ammissibilit� del conflitto di attribuzione solle� 
vato da!lla regione �, '1a Corte avrebbe �invaso� la �sfera di :attribuzione� 
spettante al tribunale stesso, quale �giudice naturale del Piacenti�: e ci� 
in violazione degli artt. 25, 101, 102, 104 e 134 della Costituzione. (omissis). 

Che per il ricorrente �l'organo nei cui confronti sia stato elevato 
conflitto non deve subire, nemmeno interinalmente, gli effetti di una ef. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

fettiva invasione di attribuzioni prima che il denunziato conflitto, in 
pendenza di giudizio, sia passato al vaglio di ammissibilit� della Corte 
costituzionale deputata a risolverlo�: senza di che verrebbe meno la 
sola garanzia � volta a scongiurare che con inammissibili ricorsi al regolamento 
delle competenze si paralizzi, anche se temporaneamente, l'attivit� 
istituzionale dell'organo apparentemente confliggente �; che gli artt. 40 
della legge n. 87 del 1953 e 28 delle norme integrative per i giudizi davanti 
a questa Corte dovrebbero interpretarsi nel senso � che le ordinanze di 
sospensione vengano adottate dalla Corte previo esame di ammissibilit� 
dei relativi conflitti�; che, nel caso contrario, spetterebbe alla Corte, 
�verificata la non manifesta infondatezza della eccezione� (che il ricorrente 
prospetta in via subordinata) �,ed attesa ila rilevanza della questione 
ai fini della risoluzione del conflitto�, dichiarare �incidentalmente� l'illegittimit� 
degli articoli medesimi; e che, in entrambe le ipotesi, la Corte 
dovrebbe statuire, � annullando il provvedimento impugnato�, che con 
lo stesso sarebbe stata temporaneamente sottratta al ricorrente �la funzione 
giurisdizionale penale ", impedendogli � di conoscere sulla istanza 
di revoca del menzionato interdetto pretorile in relazione agli uffici di 
deputato e assessore regionale�; 

considerato che 1a Corte � stata convocata, a norma dell'art. 37 della 
legge n. 87 del 1953, per decidere in camera di consigLio se il 'ricorso sia 
ammissibile: vale a dire, se il conflitto sorga �tra organi competenti a 
dichiarare definitivamente la volont� dei poteri cui appartengono e per 
la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri 
da norme costituzionali�; 

che tanto il tribunale di Siracusa quanto la C�rte costituzionale rientrano 
-potenziailmente -fra ,gli organi legittimati ad essere parti 'in 
conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato; che nel caso in esame non 
sussiste, per�, �la materia di un conflitto�, che, infatti, nel ricorso non 
si contesta alla Corte la spettanza del potere di sospendere, � per gravi 
ragioni�, l'esecuzione di provvedimenti impugnati mediante �conflitto di 
attribuzione, insorto .fra una regione e lo Stato; che non si contesta 
neppure il potere di disporre la sospensione di misure adottate da organi 
giurisdizionali, nei confronti dei quali una regione abbia proposto conflitto 
(come questa Corte ha ammesso fin dalla sentenza n. 66 del 1964); 
che il ricorso si limita, invece, a negare la legittimit� della sospensione 
disposta con l'ordinanza n. 94 del 1980, in quanto non sorretta da un previo 
specifico giudizio sull'ammissibilit� del ricorso ,regionale in esame: desumendo, 
da questo solo assunto, che la Corte avrebbe invaso una sfera di 
competenza costituzionalmente riservata al �ricorrente (e lasciando intendere 
che, ove la Corte avesse valutato l'ammissibilit� del ricorso predetto, 
ne sarebbe risultata l'insussistenza di ogni �materia di conflitto tra regione 
e Stato�); 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

che, di conseguenza, il presente conflitto si dimostra proposto allo 
scopo di censurare il modo in cui si � concretamente esplicata la giurisdizione 
propria della Corte: donde l'inidoneit� della predetta questione 
a determinare un conflitto di attribuzione, sia tra Stato e regione (cfr. la 
sent. n. 289 del 1974), sia tra poteri dello Stato (cfr. la sent. n. 30 del 1980); 
e che il ricorso del tribunale di Siracusa si risolve dunque in un inammissibile 
mezzo di gravame,, esp1icitamente escluso dal terzo comma dell'art. 
137 Cast., tanto pi� che l'attuale giudizio � ben distinto da quello 
nel corso del quale la Corte ha disposto l'impugnata sospensione; 

che, d'altra parte, dall'esercizio del potere di sospensione -previsto 
dagli artt. 40 della legge n. 87 del 1953 e 28 delle norme integrative per 
i giudizi davanti a questa Corte -non pu� derivare e non � derivato, 
nella specie, n� un disconoscimento nP. una menomazione di attribuzioni 
costituzionalmente spettanti al tribunale di Siracusa: anche ad 'ammettere, 
infatti, che il combinato disposto degli artt. 23 e 41 della Jegge n. 87 del 
1953 imponga al tribunale stesso di sospendere -in parte -il giudizio 
sulla predetta istanza di 'revoca promossa da Salvatore Piacenti, non ne 
discenderebbe altro che una nuova ipotesi di pregiudizialit� costituzionale, 
per s� non lesiva delle attribuzioni di nessun potere dello Stato; 

(omissis). 

II 

(omissis) Ritenuto che, con ricorso 15 maggio 1979 del presidente del 
Consiglio dei ministri (autorizzato con delibera del Consiglio stesso del 
27 novembre successivo) � stato sollevato conflitto di attribuzione nei 
confronti del pretore di Genova, � in conseguenza dell'istruttoria penale 
iniziata contro il comandante del porto di Genova (con comunicazione 
giudiziaria del 30 marzo 1979, per il reato previsto dall'art. 347 cod. pen. 
in relazione all'art. 56 d.P.R. n. 616 del 1977), e della successiva intimazione 
in data 26 aprile, indirizzata alla Capitaneria, di adottare convenienti 
provvedimenti ai sensi dell'art. 219 cod. proc. pen. in ordine alla 
prosecuzione non consentita dell'attivit� esplicata da~ stabilimenti balneari; 
nonch� del telegramma 9 maggio 1979, indirizzato al Comando Carabinieri, 
alla Questura ed ai Vigili urbani dei comuni :rivieraschi, e in 
genere in relazione al comportamento del suddetto pretore nella materia 
presa in considerazione dagli atti sopra richiamati�; 

che nel ricorso si assume che le denunciate iniziative del pretore � certamente 
oltrepassavano l'ambito delle sue attribuzioni istiturionali per 
invadere la sfera delle competenze costituzionalmente garantite al potere 
esecutivo�, poich� il magistrato -muovendo dall'erroneo presupposto 
che risultassero gi� trasferite agli organi regionali (per operativit� della 
delega ex art. 56 d.P.R. n. 616 cit.) le funzioni amministrative (tra cui 
quelle relative alle concessioni demaniali) sul litorale marittimo per scopi 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

turistici e ricreativi -ha contestato al funzionario statale il delitto di 
�usurpazione� di cui all'art. 347 cod. pen., in Q"elazione alil'esercizio (che 
questi aveva continuato a fare) delle funzioni predette, non tenendo conto 
che il funzionario stesso attuava, con ci�, conformi direttive, impartite 
dal Governo, �nella sua esclusiva competenza�, di individua:llione del 
contenuto dell'attivit� amministrativa (artt. 92 e 97 della Costituzione); 

considerato che, ai sensi dell'art. 37 della legge n. 8 del 1953, la 
Corte � chiamata, in questa fase, a decidere in Camera di consiglio se 
il ricorso sia ammissibile; vale a dire se il conflitto sorga �tra organi competenti 
a dichiarare definitivamente la volont� dei poteri cui appartengono 
e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per 
i vari poteri da norme costituzionali �; 

che, dal punto ~ vista subiettivo, � sufficiente richiamare, per quanto 
attiene alla legittimazione passiva del pretore di Genova, il principio pi� 
volte affermato (cfr. ordinanze Corte nn. 228, 229 del 1975; n. 49 del 1977; 

n. 87 del 1978; n. 123 del 1979 e sentenza n. 231 del 1975) per cui �i singoli 
organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in situazione di piena 
indipendenza costituzionalmente garantita, sono da considerarsi legittimati 
... ad essere parti in conflitti di attribuzione"; mentre, quanto alla 
legittimazione attiva, non v'� dubbio che questa sussista nei confronti del 
presidente del Consiglio dei ministri che agisce anche in conformit� a 
delibera del Consiglio stesso (cfr. ordinanza n. 123 del 1979 cit.); 
che difetta, invece, sotto il profilo obiettivo, la materi.a di un confilitto; 

che, infatti, perch� si realizzino gli estremi di un conflitto (come nella 
specie prospettato) per invasione da parte di organi giurisdizionali, occorre 
in primo luogo che la menomazione lamentata sia riferibile ad un atto 

o . comportamento che si assuma inficiato da un vizio che si concreti 
nell'esplicazione della giurisdizione fuori dei presupposti che per legge 
ne condizionano l'esercizio (il che, in precedenti fattispecie, � stato ritenuto 
in relazione al promovimento dell'azione penale con riguardo a comportamenti 
coperti dalla guarantigia dell'immunit�, e ad ipotesi di estensione 
della giurisdizione contabile a categorie di atti o soggetti che si 
assumeva esserne esenti: cfr., rispettivamente, sentenza n. 81 del 1975; 
n. 
110 del 1970; n. 211 del 1972); 
che, invece, nella specie, nessuna ragione di illegittimit� nei sensi 
sopra indicati dell'esercizio della giurisdizione penale � stata dedotta o 
. prospettata, indirizzandosi ogni censura al merito dell'imputazione (quale 
presupposta nella comunicazione giudiziaria ex art. 304 cod. proc. pen. 
e negli altri connessi provvedimenti, adottati dal pretore di Genova); 
dimodoch� la Corte � chiamata ad un non consentito sindacato (cfr. sentenza 
n. 289 del 1974) sul modo in cui la giurisdizione stessa � stata in 
concreto esplicata; 

che pertanto il ricorso � inammissibile. (omissis). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

III 

(omissis) Ritenuto che con ricorso depositato i!l 18 igennaio 1980 il presidente 
del Consiglio dei ministri, previa deiliberazione del Consigilio dei ministri, 
ha solilevato conflitto di attmbuzione nei confronti del pretore di Menaggio 
in conseguenza del provvedimento in data 30 ottobre 1979, con iJ quale 

e:m stato ordiro.ato � all'ANAS, compartimento di Milano, ... di eseguire 
nel termine di giorni trenta dalla ricezione del (presente) decreto, tutte 
le opere e i lavori necessari per l'adeguata manutenzione della SS. 340 
e l'illuminazione delle gallerie lungo iJ tratto Menaggio-Dongo, pena non 
soltanto l'incriminazione ai sensi degli a:rtt. 328 e 650 cod. pen., ma anche 
l'eventuale ordine di chiusura al traffico di detta strada�; 
che nel ricorso si assume che il pretore �ha non solo esercitato un 
potere attribuito al ministro dei Lavori pubblici quaJ.e presidente dell'ANAS, 
ma ha anche invaso la sfera di attribuzioni che, pi� in generale, 
� garantita al potere esecutivo da norme costituzionali�, travalicando i 
limiti posti al potere giurisdizionale degli artt. 101 e 102, nonch� dall'art. 
113 della Costituzione, a garanzia della sfera di attribuzioni del 
potere esecutivo; 

considerato che, ai sensi dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953, la 
Corte � chiamata, in questa fase, a decidere in camera di consiglio se il 
ricorso sia ammissibile; (omissis). 

che, sotto il profilo soggettivo, basta richiamare, per quanto concerne 
la legittimazione passiva del pretore di Menaggio, il principio pi� 
volte affermato (cfr. ordinanze nn. 228 e 229 del 1975, n. 49 del 1977, 

n. 87 del 1978, n. 123 del 1979, n. 98 del 1981; e sentenza n. 231 del 1975) 
per cui � i singoli organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in 
situazione di piena indipendenza costituzionalmente garantita, sono da 
considerarsi legittimati ... ad essere parti I�1l conflitti di attribuzione�; mentre, 
quanto alla legittimazione attiva, non v'� dubbio che questa sussista 
nei confronti del presidente del Consiglio dei ministri che agisce anche 
in conformit� a delibera del Consiglio stesso (cfr. ordinanze n. 123 del 
1979 e n. 98 del 1981 citate); 
che, dal punto di vista oggettivo, il conflitto sollevato attiene sicuriamente 
alla delimitazione della sfera di attribuzioni determinata, per ciascun 
potere, da norme costituzionali, assumendosi dal ricorrente presidente 
del Consiglio dei ministri ohe non spetta al potere giudiziario, ma 
a quello esecutivo, l'emanazione di provvedimenti amministrativi quale 
quello emesso daJ. pretore di Menaggio, il quale, inoltre, impartendo disposizioni 
contrarie a quelle dei competenti organi dell'ANAS, avrebbe �inteso 
evidentemente annullare i correlativi atti amministrativi�, con conse



277

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

guente � violazione di un limite posto al potere giurisdizionale dall'art. 113 
della Costituzione, in forza del quale deve ritenersi che, al di fuori dei 
casi espressamente previsti da1la legge, non spetta certo agli organi giurisdizionali 
il potere di annullare gli atti amministrativi�. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 1� giugno 1981, n. 81 -Pres. Gionfrida -Rel. 
Maocarone -Comis (n;p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice 
avv. gen. Stato Carafa), 

Corte Costituzionale -Ordinanza di rimessione -Difetto di motivi -Inammissibilit� 
della questione. 

Nell'ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale devono essere chiaramente 
enunciati, a pena di inammissibilit�, i termini ed i motivi della 
questione, e non � sufficiente la semplice trascrizione dei dati formali 
(disposizioni censurate e precetti costituzionali violati) della eccezione 
prospettata da una delle parti. 

CORTE COSTJTUZIONALE, 8 giugno 1981, n. 100 -Pres. Ama:dei -Rel. Maccarone 
-Governatori (avv. Pizzorusso), altri (n.p.) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). 

Ordinamento giudiziario -Illecito disciplinare -Principio � nulla poena sine 
lege � -Non opera. 
(Cost., artt. 25, 101 e 108; r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18). 

Costituzione della Repubblica -Libert� di manifestazione del pensiero Contemperamento 
con altre esigenze costituzionalmente garantite Necessit�. 
(Cost., artt. 21, 54, 101 e 104; r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18). 

La repressione degli illeciti disciplinari �, anche nei riguardi dei magistrati, 
espressione di una potest� amministrativa dello Stato, ed � regolata 
da principi diversi da quelli che reggono il magistero penale: cos�, non 
� pertinente il richiamo all'art. 25, secondo comma, Cast. (nuhla poena 
sine lege) per estendere all'ambito disciplinare il principio di tipicit� 
delle fattispecie sanzionate (1). 

(1) I due commi dell'art. 101 Cost. non paiono scindibili: � i giudici sono 
soggetti soltanto alla legge � quando ed in quanto amministrano la giustizia. Non 
pu� quindi desumersi, da una separata lettura del solo secondo comma di detto 

278 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La libert� di manifestazione del pensiero deve, per i magistrati, 
trovare equilibrato contemperamento con le esigenze, egualmente garantite 
dall'ordinamento costituzionale, di tutela della dignit� dell'ordine 
giudiziario e di ogni singolo magistrato. 

(omissis) La Corte � 'chiamata a ,stabilire se sia ,conforme ai precetti 
costituzionali l'art. 18 del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, nella parte in 
cui identifica un illecito disciplinare nel fatto che il magistrato �tenga, 
in ufficio o fuori, condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e 
della considerazione di cui deve godere o che comprometta il prestigio 
dell'ordine giudiziario�. 

Il dubbio di costituzionalit� � prospettato sotto un duplice profilo: 
a) per violazione del principio di legalit� posto dall'art. 25, secondo comma 
Cost., in quanto la norma censurata � non tipicizm l'illecito stesso 
ma lo individua in rapporto a criteri di valutazione e a modelli di comportamento 
a loro volta non tipicizzati � e conseguente violazione degli 
artt. 101, comma secondo e 108 comma primo, Cost., i quali � non consentono, 
salvo il disposto dell'art. 105 della Costituzione, la mediazione da 
parte di altri organi nella disciplina dello status del magistrato in quanto 
stabiliscono che i giudici sono soggetti soltanto alla legge e che Je norme 
sull'ordinamento giudiziario sono stabilite per legge�; b) per violazione 
dell'art. 21, comma primo, C�st., �il quale esclude limitazioni alla libert� 
di manifestazione del pensiero, sia pure in contemperamento con gli 
artt. 54, secondo comma, 101, secondo comma e 104, primo comma, della 
Costituzione�. 

Le censure non sono fondate. Relativamente al primo degli espooti 
dubbi di costituzionalit�, concernente fa dedotta violazione del principio 
di tipicit� dei comportamenti sanzionabili in via disciplinare, deve anzitutto 
osservarsi che non appare pertinente il richiamo all'art. 25, secondo 
comma, Cost. Tale norma infatti, interpretata nel necessario collegamento 
con il primo comma dello stesso articolo, si riferisce, come � 
generalm1mte ritenuto, solo alla materia penale e non � di conseguenza 
estensibile a situazioni, come gli iilleciti disciplinari, estranee 
all'attivit� del giudice penale, pur se con questa possono presentare, 
per determinati aspetti, una qualche affinit�. 

articolo, l'assenza di un �rapporto di supremazia speciale�, oltretutto esplici


tamente confermato dagli artt. 105 e 107, secondo comma Cost. 

La sentenza in rassegna appare alquanto indulgente nei riguardi delle tesi 

di coloro che vorrebbero, dalla riconosciuta assenza di (( gerarchia � nella orga


nizzazione giudiziaria e nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, far discendere 

una totale assenza di potest� amministrative nei confronti dei magistrati. Tra 

l'altro, non pare sia stato consolidato che il modulo gerarchico � assente anche 

in altri ordinamenti particolari (ad esempio, nel settore dell'istruzione e della 

cultura). 


P~TE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 279 

L'esercizio del potere disciplinare � regolato, invero, da principi sostanzialmente 
differenti e meno incisivi di quelli che reggono l'esercizio 
del magistero penale, poich� risponde alla potest� amministrativa dello 
Stato, e non aHa funzione di giustizia che quest'ultimo assolve attraverso 
l'attivit� giudiziaria. 

E tale differenza si riflette natumJmente sulla operativit�, nel 
campo disciplinare, dei principi generali in materia di esplicazione del 
potere punitivo, rendendola meno rigorosa ed estesa. 

N� vale invocare in contrario, come vien fatto nella memoria della 
parte privata costituitasi in questa sede, la decisione di questa Corte 

n. 78 del 31 luglio 1967; essa, nel punto in oui afferma che daWart. 25, 
secondo comma, Cost., � � ricavabile anche per le sanzioni amministrative 
il principio che deve essere rla legge a configurare i fatti da punire, 
va, infatti, intesa non come trasposizione della disposizione richiamata 
nella materia disciplinare, con conseguente applicazione di essa alle 
sanzioni amministrative, ma come riaffermazione della esigenza che 
anche per gli illeciti disciplinari sia la legge� a stabilire i comportamenti 
sanzionabili. 
Neppure pu� pervenirsi a diversa conclusione, come pure si sostiene 
nella memoria citata, per il fatto che, per i magistrati, l'applicazione 
delle sanzioni disciplinari non deriva da un potere discrezionale 
dell'amministrazione, quale � quello che normalmente si esercita 
per effetto del rapporto gerarchico e che, inoltre,_ � preordinato un 
organo giurisdizionale per l'accertamento dell'illecito e l'applicazione 
della relativa sanzione. Tali connotazioni non valgono infatti ad eliminare 
la sostanziale diversit� dell'illecito penale da quello disciplinare 
ma possono tutt'al pi� evidenziare soltanto qualche aspetto di affinit� 
tra i procedimenti volti all'accertamento dell'illecito. 

D'altra parte, va considerato che, pur dovendosi ritenere che, per 
quanto riguarda i magistrati, il fondamento del potere disciplinare non 
pu� ricercarsi, come per gli impiegati pubblici, nel rapporto di supremazia 
speciale della pubblica amministrazione verso i propri dipendenti, 
dovendo escludersi un rapporto del genere :nei riguardi dei magistrati 
stessi, �sottoposti soltanto alla legge� ex art. 101 Cost., deve anche 
riconoscersi che il potere disciplinare nei loro confronti � volto a 
garantire -ed � rimedio insostituibile -il rispetto dell'esigenza 
di assicurare il regolare svolgimento della funzione giudiziaria, che � 
uno degli aspetti fondamentali della vita dello Stato di diritto. Onde ben 
pu� configurarsi, su tale base, indipendentemente dal detto rapporto 
di supremazia, un potere disciplinare fondato direttamente sulla legge 
tendente alla tutela dei valori dell'ordinamento de11o Stato eventualmente 
lesi dal comportamento del magistrato. 

Ci� premesso, va peraltro affermato che, per quanto concerne la 
materia disciplinare riguardante i magistrati, il principio di legalit� 


280 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

trova egualmente piena applicazione, oltre che come fondamentale esigenza 
dello Stato di diritto, come conseguenza necessaria del nuovo 
assetto dato alla magistratura dal legislatore costituente, del quale sono 
puntuali espressioni la garanzia di indipendenza (artt. 101 e 104 Cost.) 
e di inamovibilit�, se non a seguito di deliberazione del ConsigJio superiore 
della Magistratura per motivi previsti (art. 107 Cost.) dall'ordinamento 
giudiziario, .le cui norme sono stabilite con legge (art. 108 Cost.). 

Posta, cos�, l'esigenza che nella materia in disamina debba essere 
la legge a determinare illeciti e sanzioni, occorre verificare se la norma 
denunziata, che all'uopo provvede, offra le garanzie volute dall'ordinamento 
costituzionale. 

Il dubbio di legittimit� viene fondato, come � stato gi� precisato, 
sul difetto di tipicit� dell'illecito, che verrebbe in concreto individuato 
in base a criteri di valutazione ed a modelli di comportamento 
non specificati, con possibile violazione delle garamiie di indipendenza 
dei magistrati. 

Nell'esaminare tali censure, non pu� prescindersi dal riferimento 
ai valori tutelati dalla norma proibitiva, al fine di stabilire, in relazione 
ad essi, se ed in quale misura sia possibile la tipizzazione dei 
comportamenti che possono violarli. Essi sono da un lato la fiducria 
e la considerazione di cui deve godere ciascun magistrato e dall'altro 
il prestigio dell'ordine giudiziario. � sufficiente esaminare di conte� 
nuto di tali valori. per constatare la impossibilit� di prevedere tutti i 
comportamenti che possono lederli; si tratta, infatti, di principi deontologici 
che non consentono di essere ricompresi in schemi preordinati, 
non essendo identificabili e catalogabili tutti i possibili comportamentii. 
con essi contrastanti e che potrebbero provocare una :negativa 
reazione dell'ambiente sociale. 

Ci� spiega la ragione per la quale, nelle leggi che nel passato 
hanno tentato di enunciare ipotesi tipiche di infrazioni disciplinari 
-come il r.d.l. 6 dicembre 1865, n. 2626 e la legge 17 lugiliio 1908, numero 
438 -sia stata posta una norma di chiusura generica ddretta 
a sanzionare tutti i comportamenti capaci di ledere la reputazione 
del singolo magistrato o la dignit� dell'ordine al quale egli appartiene. 

Per la stessa ragione i va11i progetti di riforma, pur con qualche 
specificazione, indubbiamente utile a �fini orientativi, fanno riferimento, 
per identificare J'illlecito per violazione di rego1e deontologiche, a formule 
generiche. 

Lo stesso avviene negli oridinamenti di varie categorie professionali. 


Le previsioni normative in materia non possono non avere portata 
generale perch� una indicazione tassativa renderebbe legittimi comportamenti 
non previsti ma egualmente riprovati dalla coscienza sociale. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 281 

Tali considerazioni giustificano la latitudine della previsione e lo 
ampio margine della valutazione affidata ad un organo, che, operando 
con le garanzie proprie di un procedimento giurisdizionale, �, per la sua 
strutturazione, particolarmente qualificato per apprezzare se i comportamenti 
di volta in volta considerati siano o meno lesivi dei valori 
tutelati. 

N� pu� ritenersi che tale sistema normativo violi il principio di 
legalit� perch�, come questa Corte ha affermato (cfr. sent. 191 del 1970 
e le altre ivi citate) esso � si attua non soltanto con ila rigorosa e tassativa 
descrizione di una fattispecie ma, in talune ipotesi, con l'uso di 
espressioni sufficienti per individuare con certezza il precetto e per 
giudicare se una determinata condotta J'abbia o meno violato �. 

� stato inoltre ritenuto (sent. 188 del 1975) che �le fattispecie criminose, 
cosiddette a forma libera, che richiamano, cio� con �locuzioni 
generiche ma di ovvia comprensione, concetti di comune esperienza o 
valori etico-sociali oggettivamente accertabili dall'interprete � sono pienamente 
compatibili con il principio di legalit�. 

Tali criteri interpretativi enunciati per fattispecie criminose, appaiono 
maggiormente validi nella materia disciplinare sia per la minore 
reazione sociale all'illecito disciplinare rispetto a quello penale e per 
la minore incidenza di esso sulle posizioni soggettive dell'interessato sia 
perch� � pi� ampia, rispetto alle singole ipotesi di reato, la possibilit� 
di comportamenti lesivi dei valori tutelati. 

N� appare censurabile il riferimento, nella norma, alla fiducia e 
considerazione di cui il magistrato deve godere ed al prestigio dell'ordine 
giudiziario, perch�, come si dir� in prosieguo, trattasi di concetti 
determinabili secondo la comune opinione. 

Deve pertanto escludersi la violazione delle norme costituzionali 
invocate, non risultando lesi n� il principio di lega1'it� (art. 25, secondo 
comma e 108, primo comma, Cost.) n� quello di indipendenza del giudice 
(art. 101, secondo comma, Cost.). 

Per quanto concerne la dedotta violazione dell'art. 21, primo comma, 
Cost., 1I1e1le ordinanze e neHa memoria della parte costituita, si osserva 
che ili diritto di libert� di manifesta:ziione del pensiero non pu� subire, 
per i magistrati, limitazioni diverse da quelle previste per fa generalit� 
dei oonsociati e ohe la generica formula:ziione della norma censurata 
consente una compressione del diritto stesso che non pu� subire restrizioni 
per .effetto dell'appairtenen:m ad un ordine o del rivestimento di 
una qualifica professionale, pur se ~�esercizio di esso va contemperato 
.con Je disposizioni degli artt. 54, secondo comma, 101, secondo comma, 
e 104, primo comma, dehla Costituzione. 

Deve riconoscersi -e non sono possibilli dubbi in proposito -che 
i magistrati debbono godere degli stessi diritti di Jii:bert� garantiti ad 
ogni 1altro cittadino ma deve del pari ammettersi che [e funziOIIli eser



-


282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

citate e la qualifica da essi rivestita non sono dndifferenti e prive di 
effetto per l'ordinamento costituzionale. 

Per quanto concerne la libert� di manifestazione del pensiero non 
� dubbio che essa rientri tra quelle fondamentali protette daHa nostra 
Costituzione ma � del ipartl .certo i0he essa, per la generalit� dei cittadini 
non � senza limiti, purch� questi siano posti dalla legge e trovino 
fondamento in precetti e principi costituzionali, espressamente enunciati 
o desumibili dalla Carta costituzionale (cfr. sent. 9 del 1965). 

I magistrati, per dettato costituzionale (art. 101, secondo comma, 
e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti 
e tali valori vanno tutelati non solo �con specifico �riferimento a.I concreto 
esercizio delle funzioni giurisdizionali ml'I anche come regola 
deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare 
che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialit� 
nell'adempimento del loro compito. 

I principi anzidetti sono quindi volti a tutelare anche la considerazione 
di cui iJ magistrato deve godere presso la pubblica opinione; 
assicurano, nel contempo, quella dignit� dell'intero ordine giudiziario, 
che la norma denunziata qualifica prestigio e che si concreta nella fi. 
ducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilit� di 
essa. 

Nel bilanciamento di tali interessi con il fond�mentale diritto alla 
libera espressione del pensiero, sta, come del resto finiscono per riconoscere 
le ordinanze di rimessione, il giusto equilibrio, ail fine di contemperare 
esigenze egualmente garantite dall'ordinamento costituzionale. 

Alla luce di tali considerazioni va interpretata la sentenza di questa 
Corte n. 145 del 1976, la quale riconosce �l'esigenza di una rigorosa tutela 
del prestigio dell'ordine giudiziario, che rientra senza dubbio tra 
i pi� rilevanti beni costituzionalmente protetti�. 

Gli anzidetti rilievi consentono di affermare la piena compatibilit� 
tra ilibern manifestazione del pensiero e tutela deMa dignit� del singolo 
magistrato e dell'intero ordine giudiziario; l'equilibrato bilanciamento 
degli interessi tutelati non comprime il diritto alla libert� di manifestare 
le proprie opinioni ma ne vieta soltanto l'esercizio anomalo e cio� 
l'abuso, che viene ad esistenza ove risultino lesi gli altri valori sopra 
menzionati. 

In questa sede non pu� precisarsi -e ci� non rientra del l.'esto nei 
compiti della Corte -quali possano essere i comportamenti di cui si 
� fatto cenno. Dovr� l'organo chiamato a valutare i singoli comportamenti 
stabilire se essi possano o meno essere riprovati dalla coscienza 
sociale e se siano o meno conformi alla valutazione che comunque possano 
fare di essi gli stessi consociati in relazione alla natura e rilevanza 
degli interessi tutelati ed in funzione del buon andamento dell'attivit� 
giudiziaria. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Il controllo di legittimit�, affidato al massimo organo della giurisdizione 
ordinaria, costituisce poi garanzia ulteriore della esatta osservanza 
dei principi costituzionali applicabili. 

Deve, pertanto, escludersi anche la violazione dell'art. 21, primo 
comma, della Costituzione (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 giugno 1981, n. 105 -Pres. Amadei -Rel. 
Paladin-Adila (avv. Vittorelli) e Regione Sicilia (avv. Aula). 

Corte Costituzionale -Questione incidentale di legittimit� costituzionale Deduzioni 
defensionali dell'ente . produttore della disposizione impugnata 
-Non determinano irrilevanza della questione. 

Corte Costituzionale -Principio di eguaglianza -Omessa indicazione di disposizioni 
di rango costituzionale -Rilevabilit� d'ufficio. 

(Cost., art. 3; Statuto Sicilia, art. 14; I. reg. Sicilia 23 febbraio 1962, n. 2, art. 1). 

Le deduzioni del difensore di regione intervenuta nel giudizio sulla 
legittimit� costituzionale di una propria legge, con le quali si � sostenuta 
la fondatezza dei ricorsi della parte privata e quindi l'insussistenza 
della lite, non valgono a privare di rilevanza la questione sollevata 
dal giudice a quo. 

Le questioni di eguaglianza delle leggi vanno affrontate in relazione 
ad ogni disposizione di rango costituzionale (anche diversa dall'art. 3 
Cast. ed anche non indicata nell'ordinanza di rinvio) che nella specie concorra 
a garantire l'eguaglianza. 

(omissis) Mediante un'ordinanza emessa il 15 luglio 1978, nel corso 
di un giudizio avente per tema la spettanza di pensione privilegiata alla 
vedova ed alle figlie di un dipendente regionale non di ruolo, la sezione 
giurisdizionale per la regione siciliana della Corte dei conti ha impugnato 
-in riferimento all'art. 3 Cost. -l'art. 1, primo comma, della 
legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, �nella parte in cui non prevede 
in favore degli impiegati non di ruolo della Regione medesima il diritto 
al trattamento di quiescenza a carico del Fondo di quiescenza, previdenza 
e assistenza per il personale di tale Regione�. (omissis) 

La Corte � chiamata a decidere se in base al combinato disposto 
del primo e secondo comma dell'art. 1 della legge regionale siciliana 
23 febbraio 1962, n. 2, debba tuttora escludersi che agli impiegati non 
di ruolo della regione spetti il diritto a pensione, a carico dell'apposito 
fondo istituito dall'art. 16 deMa legge regionale 29 luglio 1950, n. 65; e se, 
di conseguenza, la previsione dell'art. 1, primo comma (in quanto riferita 
ai soli �impiegati di ruolo deLl'amministraZJione della regione�), contrasti 
con il principio costituzionale di eguaglianza, per la deteriore con



284 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dizione attribuita agli impiegati non di iIUOlo, i qualli verrebbero in tal 
modo posti a carico dell'I.N.P.S., godendo perci� di un trattamento di 
quiescenza inferiore a quello erogato dalla regione medesima. 

La difesa della regione eccepisce preliminarmente -come gi� si � 
ricordato in narrativa -che la questione sarebbe inammissibile per 
difetto di rilevanza. Se correttamente interpretata, la norma in esame 
non porrebbe ostacolo all'accoglimento dei ricorsi de1la parte privata, 
tanto pi� che essi non si fonderebbero sul primo comma dell'art. l, 
bens� sul richiamo operato dall'art. 36 della legge regionale n. 2 del 
1962... (omissis). 

Ma la tesi non pu� esser 'condivisa. L'art. 36 della legge in questione 
rimanda alle predette norme statali per imporre la loro applicazione, 
�in quanto compatibili� con le corrispondenti norme regionali. E la 
ordinanza di rimessione deduce appunto che � tale applicabilit� non pu� 
ritenersi operante nella specie in ragione di una evidente incompatibilit� 
del sistema normativo regionale con quello statale�; sicch� le obiezioni 
avanzate dalla difesa della regione rilevano -se mai -sul piano del 
merito della proposta impugnativa, ma non valgono a dimostrarne la 
inammissibilit�. 

Vero �, tuttavia, che il fulcro del problema -opportunamente messo 
in evidenza dallo stesso giudice a quo -consiste nel rapporto fra norme 
legislative regionali e norme legislative statali in tema di trattamento 
di quiescenza del personale non di ruolo della regione siciliana. 

Di massima, per le regioni differenziate qual � la Sicilia, dotate di 
una potest� legislativa primaria od �esclusiva� in materia di ordinamento 
dei propri uffici e di trattamento del proprio presonale, il principio 
costituzionale di eguaglianza non esclude che tale trattamento possa 
essere diverso da quello spettante al personale statale. Ma, quanto alla 
Sicilia, l'esigenza che il personale regionale non venga comunque assoggettato 
ad arbitrarie discriminazioni risulta rafforzata dalla specifica previsione 
dell'art. 14 lett. q) dello statuto speciale, per cui lo � stato giuridico 
ed economico degli impiegati e funzionari della regione� dev'essere 
� in ogni caso non inferiore a quello del personale dello Stato�. Nel 
giudicare d'una impugnativa promossa per il deteriore trattamento pensionistico 
che sarebbe stato attribuito agli impiegati non di ruolo della 
amministrazione regionale rispetto ai corrispondenti impiegati dell'amministrazione 
dello Stato, questa previsione non pu� essere ignorata o 
trascurata dalla Corte, malgrado il giudice a quo non vi abbia fatto un 
esplicito riferimento, 1imitandosi a denunciare la violazione deJI'art. 3 
Cost.: le questioni di eguaglianza delle leggi vanno infatti affrontate anche 
in vista di ogni altra disposizione di rango costituzionale, che nella 
specie concorra a garantire l'eguaglianza stessa. (omissis) 

Conclusivamente, n� dal testo della disposizione impugnata n� dal-
l'insieme delle norme vigenti in materia di trattamento di quiescenza 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

dei dipendenti statali e regionali non di ruolo si ricavano dunque argomenti 
che impongano di pervenire alla ricostruzione sostenuta dal giudice 
a quo, anzich� alla predetta interpretai;ione adeguatrice. Ed in questi 
termini va pronunciato il rigetto della proposta impugnativa. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1981, n. 197 -Pres. Amadei -Rel. 
BHa-Ba:rilotti ed altri (n.ip.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice aw. 
gen. Stato Albisinni). 

Successione -Collazione di donazione -Somma di danaro -Collazione 
secondo il principio nominalistico -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 3; cod. civ., artt. 747, 750 e 751). 

Tra la collazione per imputazione di beni nel loro equivalente e la 
collazione di danaro �(che � collazione in natura e non per equivalente) 
non sussistono n� una identit� n� una affinit�, che possano richiedere 
un pari trattamento, ed anzi si ravvisa quella sostanziale diversit� che 
giustifica un trattamento differenziato; n� pu� configurarsi, a carico 
del beneficiario di una attribuzione in danaro, l'obbligo o l'onere di 
impiegarlo in acquisti. 

(omissis) Va ricordato, in secondo luogo, che il princ1p10 che regge 
l'istituto della collazione consiste nel computare nella determinazione 
della porzione spettante al condividente il bene che egli ha precedentemente 
ricevuto dal de cuius. 

Il bene che va conferito � quello che � stato ricevuto. Se, invero, � 
stato ricevuto un immobile, � questo che viene conferito (art. 747, cod. 
civ.). Parimenti � da conferi.re la somma di danaro, che non � mutata 
nella sua identit�, per il principio .di cui si � detto. 

Il problema della valutazione del bene al tempo dell'apertura della 
successione si pone nei casi in cui il bene non venga conferito in natura, 
o per scelta del conferente (art. 746, primo comma, cod. civ.) o per 
impossibiJlit�, materiale o giuridica (art. 746, secondo comma), o per 
disposizione di legge (art. 750). L'imputazione viene fatta con riferimento 
non soltanto al valore, ma anche alla consistenza del bene al 
tempo dell'apertura della successione, in quanto tale valore sostituisce 
il bene, quale avrebbe dovuto essere conferito, appunto, in tale momento. 

Per le somme di danaro non viene in considerazione un problema 
di imputazione, in quanto, per il principio innanzi ricordato, non si ha 
imputazione per equivalente, ma si ha collazione in natura della somma, 
che viene detratta nel valore suo proprio, rimasto immutato. 

Ed infatti, la circostanza che il danaro che viene conferito non � 
costituito dalla stessa species che � stata ricevuta non modifica l'essenza 
del conferimento, che resta conferimento in natura e non confe



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

rimento per equivalente, per il particolare carattere di fungibilit� della 
moneta, che rimane sempre il medesimo bene, quale che sia la specie 
in cui viene corrisposta. 

Tra \l'ipotesi, dunque, di collazione per imputazione di beni nel loro 
equivalente e l'ipotesi di co11azione di danaro, che � collazione in natura 
e non per e9uivalente, non sussistono n� una identit� n� una affinit�, che 
possano richiedere un pari trattamento ed anzi si ravvisa quella sostanziale 
diversit� che giustifica ognora un trattamento differenziato. 

Poich�, anzi, la collazione di somma di danaro � collazione in natura, 
questa si pone accanto al conferimento in natura di bene immobile, 
che � conferimento dello stesso bene e non di altro bene, di guisa 
che, ove si imponesse il conferimento di un bene diverso, quale sarebbe 
una somma di danaro di valore nominale pi� elevato, si verrebbe ad 
instaurare una diversit� di disciplina tra pari situazioni. 

In effetti le ordinanze di rimessione tendono a configurare una irrazionalit� 
nel sistema legislativo, in riferimento alle ipotesi di sopravvenuta 
grave svalutazione monetaria, in quanto, considerando la situazione 
dei condividenti nel momento dell'apertura della successione, si 
viene a verificare una grave disparit� di valori effettivi tra chi conferisce 
per imputazione l'equivalente in moneta del bene ricevuto e chi 
conferisce la somma di danaro, quale gli fu attribuita, giacch� il primo 
vede diminuita la sua porzione di un valore in moneta corrente notevolmente 
superiore alla diminuzione patrimoniale che subisce il secondo. 

La tesi della irrazionalit� muove, per�, da un presupposto che � del 

tutto estraneo all'istituto della collazione; dal presupposto, cio�, che chi 

abbia ricevuto una somma di danaro �senza vincoli� l'abbia investita 

nell'acquisto di beni o, quanto meno, ohe costui debba essere comunque� 

trattato come se a tale acqmsto sia addivenuto. 

Orbene, tale presupposto � privo di fondamento, in quanto non pu�� 

configurarsi a carico del beneficiario di una attribuzione in danaro n� 

l'obbligo n� l'onere di impiegarla in acquisti; ed invero fa giurisprudenza 

della Corte di cassazione � giustamente costante nell'affermare che si ha 

attribuzione in danaro, come tale da considerare ai fini della colla


zione, anche quando dl danaro ricevuto sia stato impiegato nell'acquisto 

di altri beni, in quanto � stato il danaro, e non il bene acquistato, l'og-. 

getto dell'attribuzione, ed � il danaro, e non tale bene, l'oggetto del con


ferimento. 

Il sospetto di irrazionalit� potrebbe essere avanzato, peraltro, con 

riferimento a diverse ipotesi, in relazione alle quali recenti pronunce 

giurisprudenziali hanno dato rilevanza al fenomeno della svalutazione 

monetaria, ipotesi che tuttavia concernono situazioni irriducibili a quella 

qui considerata. 

La svalutazione monetaria pu�, in realt�, venire in considerazione 

quando, a seguito del ritardo neHa presta:cione di una somma di danaro,.. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 287 

il creditore riceva un pregiudizio, ottenendo un valore, stimato con riguardo 
al potere di acquisto della moneta, inferiore a quello che egli 
legittimamente attendeva; in relazione a queste ipotesi � stato ritenuto, 
infatti, che nella determinazione del danno da risarcire possa tenersi 
conto dell'incidenza della sopravvenuta svalutazione nel patrimonio del 
creditore. 

Ma la medesima giurisprudenza ha pur sempre tenuto fermo il principio 
dell'immutabilit� del bene-moneta nel considerare la situazione 
propria dei rapporti obbligatori che � la pi� vicina a quella qui considerata; 
� rimasto fermo, dunque, che chi ha ricevuto in mutuo una 
somma di dan;:tro per un certo tempo � tenuto a dare la stessa somma, 
nel suo valore nominale, quale che ne sia stato il mutamento del valore 
di scambio nel tempo intercorso tra la nascita dell'obbligazione e la 
scadenza. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1981, n. 109 -Pres. Amadei -Rel. ' 
La Pergola -Gava ed altre (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Chiarotti). 

Sanit� -Interruzione della gravidanza � Donna minorenne -Assenso dei 

genitori o del tutore o autorizzazione del giudice tutelare -Necessit� 


Legittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 3, legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12). 

Famiglia -Patria potest� -Interruzione della gravidanza di donna mino


renne � Mancata consultazione dei genitori � Legittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 30; legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12). 

L'art. 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, ove si dispone che la 
volont� della donna minorenne di interrompere la gravidanza debba essere 
integrata, non contrasta (a prescindere dai criteri che possono soccorrere 
il genitore, il tutore o il giudice tutelare) con il principio di 
eguaglianza. 

Il diritto-dovere del genitore di mantenere, istruire ed educare i figli, 
anche se nati fuori del matrimonio, pu� essere sacrificato alla finalit� di 
prevenire l'aborto clandestino; non contrastano quindi con l'art. 30 Cast. 
le parole �o sconsiglino� contenute nel predetto art. 12 (1). 

(1) Mentre la parte della motivazione relativa alla prima massima appare 
poco significativa (per il che se ne omette la pubblicazione), si segnala la parte 
relativa alla seconda massima per la gravit� del problema in essa trattato. Se 
fosse consentito su un cos� delicato argomento il ricorso al paradosso, potrebbe 
dirsi che si consente -pur dopo un rituale omaggio all' � insostituibile rapporto 
affettivo che dovrebbe stabilmente legare i figli ai genitori � -una diversa clan� 
destinit� dell'aborto, e cio� la clandestinit� nei riguardi dei genitori ancora esercenti 
la patria potest�. 

288 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) La disciplina test� descritta � impugnata per le seguenti 
considerazioni: 

a) dal pretore di Verona si deduce la violazione dell'art. 30 Cost., 
prima di tutto in quanto il giudice tutelare potrebbe autorizzare la minore 
a deoidere l'interruzione della gravidanza senza che di ci� siano 
informati i genitori, dove seri motivi sconsiglino la consultazione di 
questi ultimi: in via subordinata, sotto il riflesso che il dettato della 
citata norma consentirebbe all'interprete di considerare come un serio 
motivo, ai fini considerati dalla legge, la �dichiarata� avversione dei 
genitori, per considerazioni di ordine morale o religioso, a:Ue pratiche 
abortive. Si afferma quindi, che, precluso per questa viia ,al genitore .di 
manifestare il suo avviso, risulti vulnemta ila sfera che gli � costituzio� 
nalmente garantita. L'invocato precetto costituzionale, si soggiunge, sancisce 
non soltanto il dovere, ma anche ii.I diritto del genitore di mantenere, 
istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, e cos� 
di offrire alla minore -di fronte alla grave e spesso traumatica scelta 
richiesta dal nostro caso -un aiuto che secondo esperienza pu� presumersi 
come il pi� qualificato ed efil�cace. D'altra parte, l'art. 30 Cost. 
prevederebbe, al secondo comma, e sempre riguardo alla sfera del diritto-
dovere che si assume leso, l'intervento solo sussidiario della pubblica 
autorit�: ma gli estremi di un tale intervento, ad avviso del giudice 
a quo, non ricorrono nella specie, bens� soltanto l�, dove li genitori 
risultino incapaci di assolvere i compiti loro affidati. Il diritto del genitore 
troverebbe poi un'implicita garanzia nell'altra disposizione costituzionale 
(l'art. 29), che riconosce la famiglia come societ� naturale fondata 
sul matrimonio, e la tutela nei confronti ,di qualsiasi interferenza 
esterna, specialmente di quella statale; 

b) in conseguenza dei rilievii sopra esposti si assume violato anche 
il principio costituzionale di eguaglianza. I genitori sarebbero discriminati 
in ragione della loro ritenuta attitudine di ostilit� verso l'aborto, 
e perci� dei convincimenti religiosi o morali che possono guidarli nello 
esevcizio de11a potest� sui figlli. Discrimina:llione, si osserva, tooto pi� giustificata, 
in quooto i motivi che ostano alla consultazione dei genitori, 
sottratti al sindacato del giudice, risultino dalle sole ed interessate affermazioni 
della gestante. (omissis). 

Da millenni accade che genitori pur attenti non vengano ad immediata conoscenza 
dello stato di gravidanza di una figlia minorenne; ed accade che la figlia 
in difficolt� cerchi di risolvere i propri problemi senza coinvolgere i genitori. Il 
problema per�, �, a personale avviso di chi scrive, un altro: � se la legge possa 
in qualche misura istituzionalizzare accorgimenti siffatti, secondando una propensione 
tutta italiana per le soluzioni indolori (e quel che pi� si desidera -poco 
impegnative), anche a scapito della crescita civile della societ� e della effettiva 
pienezza dei rapporti familiari. 



PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Quanto alle censure mosse negli altri provvedimenti di remissione 
all'art. 12, esse vanno disattese, sotto tutti i profili dedotti. 

Non sussiste, anzitutto, la lamentata lesione dell'art. 30 Cost. Il 
giudice a quo, va subito precisato, non nutre alcun dubbio sulla costituzionalit� 
del previsto intervento del giudice tutelare, che del resto 
egli assume conforme al sistema del codice civile. n vizio della norma 
impugnata starebbe, quindi, soltanto in ci�: che, quando una mmorenne 
richieda di interrompere la gravidanza senza averne informato 
i genitori, questi non sono obbligatoriamente sentiti nel corso del procedimento; 
ovvero, in subordine, che basta ad impedire la consultazione 
dei genitori l'avversione di principio alle pratiche abortive, !.oro 
imp�tata per via di note o presumibili opiniom morali o religiose. N0111 
si riflette, tuttavia, che se la consultazione del genitore non � prescritta, 
essa non � nemmeno esclusa, ma lasciata alla valutazione del consultorio, 
della struttura socio-sanitaria o del medico di fiducia: e in definitiva, 
ci� che pi� importa, al prudente apprezzamento del giudice. 
Soluzione, questa, che, quand'anche sancita in deroga alla comune previsione 
di una qualche presenza o consultazione del genitore nel sistema 
dei procedimenti avanti l'organo anzidetto, o analoghi altri, sarebbe 
pur sempre legittima: perch� giustificata dall'intento, nettamente 
perseguito dal legislatore, di prevenire, prima ancora che reprimere 
penalmente, l'aborto clandestino. Nel caso in esame non soltanto � a 
questo fine garantita, come per tutte le gestanti, la riservatezza della 
procedura; si prevede altres� che il genitore della minore possa non 
essere sentito: ma ci� quando, valutate le circostanze della specie e la 
seriet� dei motivi richiesti al riguardo dail.1a legge, sia ragionevole presumere 
che il doverlo consultare aggravi il rischio, appunto, del ricorso 
all'aborto clandestino. Siffatta cautela serve, peraltro, a fugare 
le remore che .Ja minore possa, dal canto suo, intrattenere circa il ri~ 
spetto delle prescritte procedure. 

Il disposto della statuizione censurata non �, dunque, quello che si 
prospetta nell'ordinanza di rinvio. L'esercizio del diritto-dovere sancito 
nell'art. 30 non � precluso, ma � consentito, dove il giudice tutelare 
abbia motivo di ritenere operante, nella specie, l'insostituibile rapporto 
affettivo che dovrebbe stabilmente Jegare i figli ai genitori, e di dedurne 
che questi, una volta consultati, soccorrerebbero la gestante nel 
frangente in cui essa versa. Sempre che ci.corra l'ipotesi ora considerata, 
nulla toglie, poi, che l'ausilio paterno possa esplicarsi, secondo 
i convincimenti morali e religiosi di chi esercita la potest�, anche nel 
senso di scons,igliare l'aborto e di indurre la minore ad una responsabile 
accettazione della maternit�. Esclusa la prospettata violazione 
dell'art. 30 Cost., deve aggiungersi che, iin ordine alla consultazione dei 
genitori, non si � adottato alcun criterio lesivo del principio di eguaglianza. 
(omissis). 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 13 maggio 1981, 
nella causa 66/80 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Reischl Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale civile 
di Roma nella causa fra la s.p.a. International Chemical Corporation 
(avv. Catalano) c. Amministrazione delle Finanze dello Stato -Interv.: 
Governo italiano (avv. Stato Braguglia), Commissione della C.E. 
(avv. Olmi e Berardis) e Consiglio de1le C.E. (avv. Schloh). 

Comunit� europee -Corte di Giustizia � Pronuncia pregiudiziale ai sensi 
dell'art. 177 del trattato CEE -Pronuncia di invalidit� di un regolamento 
comunitario -Effetti. 
(Trattato CEE, art. 177). 

Comunit� europee -Agricoltura � Aiuti per l'impiego di prodotti proteici 
in mangimi � Condizioni � Acquisto di latte magro in polvere . 
(Regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563)1 

Comunit� europee � Agricoltura � Risorse proprie della Comunit� � Riscossione 
indebita � Azione di ripetizione � Limiti. 
(Decisione del Consiglio 21 aprile 1970, artt. 4 e 6; regolamento CEE del Consiglio 

15 marzo 1976, n. 563). 

C�munit� europee -Agricoltura -Restituzioni all'esportazione � Condizioni. 

(Regolamenti CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, art. 8; del Consiglio 
15 marzo 1976, n. 563; della Commissione 26 marzo 1976, n. 677, art. 10). 

Comunit� europee � Agricoltura -Prodotti composti � Restituzioni all'esportazione 
� Condizioni. 
(Regolamento CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, art. 8). 

La sentenza della Corte che accerti, in forza dell'art. 177 del Trattato, 
l'invalidit� di un atto di un'Istituzione, in particolare di un regolamento 
del Consiglio o della Commissione, sebbene abbia come diretto destinatario 
solo il giudice che si � rivolto alla Corte, costituisce per qualsiasi 
altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido 
ai fini di una decisione che esso debba emette'f'e; poich� tale constatazione 
non ha tuttavia l'effetto di privare i giudici nazionali della competenza 
loro attribuita dall'art. 177 del Trattato, spetta a tali giudici 
stabilire se vi sia interesse a sollevare nuovamente una questione gi� 
risolta dalla Corte nel caso in cui questa abbia constatato in precedenza 
l'invalidit� di un atto di un'istituzione della Comunit�. Tale interesse 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 281 

Tali considerazioni giustificano la latitudine della previsione e lo 
ampio margine della valutazione affidata ad un organo, che, operando 
con le garanzie proprie di un procedimento giurisdizionale, �, per la sua 
strutturazione, particolarmente qualificato per apprezzare se i comportamenti 
di volta in volta considerati siano o meno lesivi dei valori 
tutelati. 

N� pu� ritenersi che tale sistema normativo violi il principio di 
legalit� perch�, come questa Corte ha affermato (cfr. sent. 191 del 1970 
e le altre ivi citate) esso � si attua non soltanto con ila rigorosa e tassativa 
descrizione di una fattispecie ma, in talune ipotesi, con l'uso di 
espressioni sufficienti per individuare con certezza il precetto e per 
giudicare se una determinata condotta l'abbia o meno violato �, 

� stato inoltre ritenuto (sent. 188 del 1975) che � le fattispecie criminose, 
cosiddette a forma libera, che richiamano, cio� con .Jocuzioni 
generiche ma di ovvia comprensione, concetti di comune esperienza o 
valori etico-sociali oggettivamente accertabili dall'interprete � sono pie� 
namente compatibili con il principio di legalit�. 

Tali criteri interpretativi enunciati per fattispecie criminose, appaiono 
maggiormente validi nella materia disciplinare sia per la minore 
reazione sociale all'illecito disciplinare rispetto a quello penale e per 
la minore incidenza di esso sulle posizioni soggettive dell'interessato sia 
perch� � pi� ampia, rispetto alle singole ipotesi di reato, la possibilit� 
di comportamenti lesivi dei valori tutelati. 

N� appare censurabile il riferimento, nella norma, alla fiducia e 
considerazione di cui il magistrato deve godere ed al prestigio dell'ordine 
giudiziario, perch�, come si dir� in prosieguo, trattasi di concetti 
determinabili secondo la comune opinione. 

Deve pertanto escludersi la violazione delle norme costituzionali 
invocate, non risultando lesi n� il principio di legalit� (art. 25, secondo 
comma e 108, primo comma, Cost.) n� quello di indipendenza del giudice 
(art. 101, secondo comma, Cost.). 

Per quanto concerne la dedotta violazione dell'art. 21, primo comma, 
Cost., 1I1e1le ordinanze e nelila memoria della parte costituita, si osserva 
che ~l diritto di libert� di mainifesta:zrl.one del pensiero non pu� subire, 
per i magistrati, limitazioni diverse da quelle previste per Ja generalit� 
dei 'OOnsociati e ohe la generica formula:zrl.one della norma censurata 
consente una compressione del diritto stesso che non pu� subire restrizioni 
per effetto dell'appartenenza ad un ordine o del rivestimento di 
una qualifica professionale, pur se ~'esercizio di esso va contemperato 
con Je disposizioni degli artt. 54, secondo comma, 101, secondo comma, 
e 104, primo comma, dehla Costituzione. 

Deve riconoscersi -e non sono possibili dubbi in proposito -che 
i magistrati debbono godere degli stessi diritti di Jiibert� garantiti ad 
ogni 1a:ltro cittadino ma deve del pari ammettersi che [e funzioni eser



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

citate e la qualifica da essi rivestita non sono dndifferenti e prive di 
effetto per l'ordinamento costituzionale. 

Per quanto concerne la libert� di manifestazione del pensiero non 
� dubbio che essa rientri tra quelle fondamentali protette daHa nostra 
Costituzione ma � del pam certo ohe essa, per la generalit� dei cittadini 
non � senza limiti, purch� questi siano posti dalla legge e trovino 
fondamento in precetti e principi costituzionali, espressamente enunciati 
o desumibili dalla Carta costituzionale (cfr. sent. 9 del 1965). 

I magistrati, per dettato costituzionale (art. 101, secondo comma, 
e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti 
e tali valori vanno tutelati non solo � con specifico riferimento aJ. concreto 
esercizio delle funzioni giurisdizionali mi'! anche come regola 
deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare 
che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialit� 
nell'adempimento del loro compito. 

I principi anzidetti sono quindi volti a tutelare anche la considerazione 
di cui il magistrato deve godere presso la pubblica opinione; 
assicurano, nel contempo, quella dignit� dell'intero ordine giudiziario, 
che �la norma denunziata qualifica prestigio e che si concreta nella fiducia 
dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilit� di 
essa. 

Nel bilanciamento di tali interessi con il fondamentale diritto alla 
libera espressione del pensiero, sta, come del resto finiscono per riconoscere 
le ordinanze di rimessione, il giusto equilibrio, ail fine di contemperare 
esigenze egualmente garantite dall'ordinamento costituzionale. 

Alla luce di tali considerazioni va interpretata la sentenza di questa 
Corte n. 145 del 1976, la quale riconosce �l'esigenza di una rigorosa tutela 
del prestigio dell'ordine giudiziario, che rientra senza dubbio tra 
i pi� rilevanti beni costituzionalmente protetti�. 

Gli anzidetti rilievi consentono di affermare la piena compatibilit� 
tra iJibem manifestazione del pensiero e tutela del!la dignit� del singolo 
magistrato e dell'intero ordine giudiziario; l'equilibrato bilanciamento 
degli interessi tutelati non comprime il diritto alla libert� di manifestare 
le proprie opinioni ma ne vieta soltanto l'esercizio anomalo e cio� 
l'abuso, che viene ad esistenza ove risultino lesi gli altri valori sopra 
menzionati. 

In questa sede non pu� precisarsi -e ci� non rientra del resto nei 
compiti della Corte -quali possano essere i comportamenti di cui si 
� fatto cenno. Dovr� l'organo chiamato a valutare i singoli comportamenti 
stabilire se essi possano o meno essere riprovati dalla coscienza 
sociale e se siano o meno conformi alla valutazione che comunque possano 
fare di essi gli stessi consociati in relazione �alla natura e rilevanza 
degli interessi tutelati ed in funzione del buon andamento dell'attivit� 
giudiziaria. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Il controllo di legittimit�, affidato al massimo organo della giurisdizione 
ordinaria, costituisce poi garanzia ulteriore della esatta osservanza 
dei principi costituzionali applicabili. 

Deve, pertanto, escludersi anche la violazione dell'art. 21, primo 
comma, della Costituzione (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 giugno 1981, n. 105 -Pres. Amadei -Rel. 
Paladin-Adila (avv. Vittorelli) e Regione Sicilia (avv. Aula). 

Corte Costituzionale -Questione incidentale di legittimit� costituzionale Deduzioni 
defensionali dell'ente produttore della disposizione impugnata 
-Non determinano irrilevanza della questione. 

Corte Costituzionale -Principio di eguaglianza -Omessa indicazione di disposizioni 
di rango costituzionale -Rilevabilit� d'ufficio. 

(Cost., art. 3; Statuto Sicilia, art. 14; I. reg. Sicilia 23 febbraio 1962, n. 2, art. 1). 

Le deduzioni del difensore di regione intervenuta nel giudizio sulla 
legittimit� costituzionale di una propria legge, con le quali si � sostenuta 
la fondatezza dei ricorsi della parte privata e quindi l'insussistenza 
della lite, non valgono a privare di rilevanza la questione sollevata 
dal giudice a quo. 

Le questioni di eguaglianza delle leggi vanno affrontate in relazione 
ad ogni disposizione di rango costituzionale (anche diversa dall'art. 3 
Cast. ed anche non indicata nell'ordinanza di rinvio) che nella specie concorra 
a garantire l'eguaglianza. 

(omissis) Mediante un'ordinanza emessa il 15 luglio 1978, nel corso 
di un giudizio avente per tema la spettanza di pensione privilegiata alla 
vedova ed alle figlie di un dipendente regionale non di ruolo, la sezione 
giurisdizionale per la regione siciliana della Corte dei conti ha impugnato 
-in riferimento all'art. 3 Cost. -l'art. 1, primo comma, della 
legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, �nella parte in cui non prevede 
in favore degli impiegati non di ruolo della Regione medesima il diritto 
al trattamento di quiescenza a carico del Fondo di quiescenza, previdenza 
e assistenza per il personale di tale Regione �. (omissis) 

La Corte � chiamata a decidere se in base a1 combinato disposto 
del primo e secondo comma dell'art. 1 della legge regionale siciliana 
23 febbraio 1962, n. 2, debba tuttora escludersi che agli impiegati non 
di ruolo della regione spetti il diritto a pensione, a carico dell'apposito 
fondo istituito dall'art. 16 deMa legge regionale 29 luglio 1950, n. 65; e se, 
di conseguenza, la previsione dell'art. 1, primo comma (in quanto riferita 
ai soli �impiegati di ruolo deLI'amministrazione della regione�), contrasti 
con il principio costituzionale di eguaglianza, per la deteriore con



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

dizione attribuita agli impiegati non di rnolo, i qua/li verrebbero in tal 
modo posti a carico dell'I.N.P.S., godendo perci� di un trattamento di 
quiescenza inferiore a quello erogato dalla regione medesima. 

La difesa della regione eccepisce preliminarmente -come gi� si � 
ricordato in narrativa -che la questione sarebbe inammissibile per 
difetto di rilevanza. Se correttamente interpretata, la norma in esame 
non porrebbe ostacolo all'accoglimento dei ricorsi della parte privata, 
tanto pi� che essi non si fonderebbero sul primo comma dell'art. 1, 
bens� sul richiamo operato dall'art. 36 della legge regionale n. 2 del 
1962... (omissis). 

Ma la tesi non pu� esser condivisa. L'art. 36 della .legge in questione 
rimanda alle predette norme statali per imporre la loro applicazione, 
� in quanto compatibili � con le corrispondenti norme regionali. E la 
ordinanza di rimessione deduce appunto che � tale applicabilit� non pu� 
ritenersi operante nella specie in ragione di una evidente incompatibilit� 
del sistema normativo regionale con quello statale�; sicch� le obiezioni 
avanzate dalla difesa della regione rilevano -se mai -sul piano del 
merito della proposta impugnativa, ma non valgono a dimostrarne la 
inammissibilit�. 

Vero �, tuttavia, che il fulcro del problema -opportunamente messo 
in evidenza dallo stesso giudice a quo -consiste nel rapporto fra norme 
legislative regionali e norme legislative statali in tema di trattamento 
di quiescenza del personale non di ruolo della regione siciliana. 

Di massima, per le regioni differenziate qual � la Sicilia, dotate di 
una potest� legislativa primaria od � esclusiva � in materia di ordinamento 
dei propri uffici e di trattamento del proprio presonale, il principio 
costituzionale di eguaglianza non esclude che tale trattamento possa 
essere diverso da quello spett�ante al personale statale. Ma, quanto alla 
Sicilia, l'esigenza che il personale regionale non venga comunque assoggettato 
ad arbitrarie discriminazioni risulta rafforzata dalla specifica previsione 
dell'art. 14 lett. q) dello statuto speciale, per cui lo � stato giuridico 
ed economico degli impiegati e funzionari della regione� dev'essere 
� in ogni caso non inferiore a quello del personale dello Stato �. Nel 
giudicare d'una impugnativa promossa per il deteriore trattamento pensionistico 
che sarebbe stato attribuito agli impiegati non di ruolo della 
amministrazione regionale rispetto ai corrispondenti impiegati dell'amministrazione 
dello Stato, questa previsione non pu� essere ignorata o 
trascurata dalla Corte, malgrado il giudice a quo non vi abbia fatto un 
esplicito riferimento, Limitandosi a denunciare la violazione deJl'art. 3 
Cost.: le questioni di eguaglianza delle leggi vanno infatti affrontate anche 
in vista di ogni altra disposizione di rango costituzionale, che nella 
specie concorra a garantire l'eguaglianza stessa. (omissis) 

Conclusivamente, n� dal testo della disposizione impugnata n� dall'insieme 
delle norme vigenti in materia di trattamento di quiescenza 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

dei dipendenti statali e regionali non di ruolo si ricavano dunque argomenti 
che impongano di pervenire alla ricostruzione sostenuta dal giudice 
a quo, anzich� alla predetta interpretaL'lione adeguatrice. Ed in questi 
termini va pronunciato il rigetto della proposta impugnativa. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1981, n. 197 -Pres. Amadei -Rel. 
Blia-Barlotti ed altri (rnp.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. 
gen. Stato Albisinni). 

Successione -Collazione di donazione -Somma di danaro -Collazione 
secondo il principio nominalistico -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 3; cod. civ., artt. 747, 750 e 751). 

Tra la collazione per imputazione di beni nel loro equivalente e la 
collazione di danaro �(che � collazione in natura e non per equivalente) 
non sussistono n� una identit� n� una affinit�, che possano richiedere 
un pari trattamento, ed anzi si ravvisa quella sostanziale diversit� che 
giustifica un trattamento differenziato; n� pu� configurarsi, a carico 
del beneficiario di una attribuzione in danaro, l'obbligo o l'onere di 
impiegarlo in acquisti. 

(omissis) Va ricordato, in secondo luogo, che il princ1p10 che regge 
l'istituto della collazione consiste nel computare nella determinazione 
della porzione spettante al condividente il bene che egli ha precedentemente 
ricevuto dal de cuius. 

Il bene che va conferito � quello che � stato ricevuto. Se, invero, � 
stato ricevuto un immobile, � questo che viene conferito (art. 747, cod. 
civ.). Parimenti � da confeflire la somma di danaro, che non � mutata 
nella sua identit�, per il principio .di cui si � detto. 

Il problema della valutazione del bene al tempo dell'apertura della 
successione si pone nei casi in cui il bene non venga conferito in natura, 
o per scelta del conferente (art. 746, primo comma, cod. civ.) o per 
impossibillit�, materiale o giuridica (art. 746, secondo comma), o per 
disposizione di legge (art. 750). L'imputazione viene fatta con riferimento 
non soltanto al valore, ma anche alla consistenza del bene al 
tempo dell'apertura della successione, in quanto tale valore sostituisce 
il bene, quale avrebbe dovuto essere conferito, appunto, in tale momento. 

Per le somme di danaro non viene in considerazione un problema 
di imputazione, in quanto, per il principio innanzi ricordato, non si ha 
imputazione per equivalente, ma si ha collazione in natura della somma, 
che viene detratta nel valore suo proprio, rimasto immutato. 

Ed infatti, la circostanza che il danaro che viene conferito non � 
costituito dalla stessa species che � stata ricevuta non modifica l'essenza 
del conferimento, che resta conferimento in natura e non confe



286 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 


rimento per equivalente, per il particolare carattere di fungibilit� della 
moneta, che rimane sempre il medesimo bene, quale che sia la specie 
in cui viene corrisposta. 

Tra ll'iipotesi, dunque, di collazione per imputazione di beni nel loro 
equivalente e l'ipotesi di co1lazione di danaro, che � collazione in natura 
e non per equivalente, non sussistono n� una identit� n� una affinit�, che 
possano richiedere un pari trattamento ed anzi si ravvisa quella sostanziale 
diversit� che giustifica ognora un trattamento differenziato. 

Poich�, anzi, la collazione di somma di danaro � collazione in natura, 
questa si pone accanto al conferimento in natura di bene immobile, 
che � conferimento dello stesso bene e non di altro bene, di guisa 
che, ove si imponesse il conferimento di un bene diverso, quale sarebbe 
una somma di danaro di valore nominale pi� elevato, si verrebbe ad 
instaurare una diversit� di disciplina tra pari situazioni. 

In effetti le ordinanze di rimessione tendono a configurare una irrazionalit� 
nel sistema legislativo, in riferimento alle ipotesi di sopravvenuta 
grave svalutazione monetaria, in quanto, considerando la situazione 
dei condividenti nel momento dell'apertura della successione, si 
viene a verificare una grave disparit� di valori effettivi trra chi conferisce 
per imputazione l'equivalente in moneta del bene riceVUJto e chi 
conferisce la somma di danaro, quale gli fu attri:ibuita, giacch� il primo 
vede diminuita la sua porzione di un valore in moneta corrente notevolmente 
superiore alla diminuzione patrimoniale che subisce il secondo. 

La tesi della irrazionalit� muove, per�, da un presupposto che � del 

tutto estraneo all'istituto della collazione; dal presupposto, cio�, che chi 

abbia ricevuto una somma di danaro � senza vincoli� l'abbia investita 

nell'acquisto di beni o, quanto meno, che costui debba essere comunque� 

trattato come se a tale acqUli.sto sia addivenuto. 

Orbene, tale presupposto � privo di fondamento, in quanto non pu� 

configurarsi a carico del beneficiario di una attribuzione in danaro n� 

l'obbligo n� l'onere di impiegarla in acquisti; ed invero la giurisprudenza 

della Corte di cassazione � giustamente costante nell'affermare che si ha 

attribuzione in danaro, come tale da considerare ai fini della colla


zione, anche quando il danaro ricevuto sia stato impiegato nell'acquisto 

di altri beni, in quanto � stato il danaro, e non il bene acquistato, l'og


getto dell'attribuzione, ed � il danaro, e non tale bene, l'oggetto del con


ferimento. 

Il sospetto di irrazionalit� potrebbe essere avanzato, peraltro, con 

riferimento a diverse ipotesa., in relazione alle quali recenti pronunce 

giurisprudenziali hanno dato rilevanza al fenomeno della svalutazione 

monetaria, ipotesi che tuttavia concernono situazioni irriducibili a quella 

qui considerata. 

La svalutazione monetaria pu�, in realt�, venire in considerazione� 

quando, a seguito del ritardo nella prestamone di una somma di danaro,. 


-


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 287 

il creditore riceva un pregiudizio, ottenendo un valore, stimato con riguardo 
al potere di acquisto della moneta, inferiore a quello che egli 
legittimamente attendeva; in relazione a queste ipotesi � stato ritenuto, 
infatti, che nella determinazione del danno da risarcire possa tenersi 
conto dell'incidenza della sopravvenuta svalutazione nel patrimonio del 
creditore. 

Ma la medesima giurisprudenza ha pur sempre tenuto fermo il principio 
dell'immutabilit� del bene-moneta nel considerare la situazione 
propria dei rapporti obbligatori che � la pi� vicina a quella qui considerata; 
� rimasto fermo, dunque, che chi ha ricevuto in mutuo una 
somma di dan;:i.ro per un certo tempo � tenuto a dare la stessa somma, 
nel suo valore nominale, quale che ne sia stato il mutamento del valore 
di scambio nel tempo intercorso tra la nascita dell'obbligazione e la 
scadenza. (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1981, n. 109 -Pres. Amadei -Rel . . 
La Pergola -Gava ed altre (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Chiarotti). 

Sanit� -Interruzione della gravidanza -Donna minorenne -Assenso dei 
genitori o del tutore o autorizzazione del giudice tutelare -Necessit� Legittimit� 
costituzionale. 
(Cost., art. 3, legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12). 

Famiglia -Patria potest� -Interruzione della gravidanza di donna minorenne 
-Mancata consultazione dei genitori -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3 e 30; legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12). 

L'art. 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, ove si dispone che la 
volont� della donna minorenne di interrompere la gravidanza debba essere 
integrata, non contrasta (a prescindere dai criteri che possono soccorrere 
il genitore, il tutore o il giudice tutelare) con il principio di 
eguaglianza. 

Il diritto-dovere del genitore di mantenere, istruire ed educare i figli, 
anche se nati fuori del matrimonio, pu� essere sacrificato alla finalit� di 
prevenire l'aborto clandestino; non contrastano quindi con l'art. 30 Cost. 
le parole �o sconsiglino� contenute nel predetto art. 12 (1). 

(1) Mentre la parte della motivazione relativa alla prima massima appare 
poco significativa (per il che se ne omette la pubblicazione), si segnala la parte 
relativa alla seconda massima per la gravit� del problema in essa trattato. Se 
fosse consentito su un cos� delicato argomento il ricorso al paradosso, potrebbe 
dirsi che si consente -pur dopo un rituale omaggio all'� insostituibile rapporto 
affettivo che dovrebbe stabilmente legare i figli ai genitori � -una diversa clandestinit� 
dell'aborto, e cio� la clandestinit� nei riguardi dei genitori ancora esercenti 
la patria potest�. 

288 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) La disciplina test� descritta � impugnata per le seguenti 
considerazioni: 

a) dal pretore di Verona si deduce la violazione dell'art. 30 Cost., 
prima di tutto in quanto il giudice tutelare potrebbe autorizzare la minore 
a decidere l'interruzione della gravidanza senza che di ci� siamo 
informati i genitori, dove seri motivi sconsiglino la consultazione di 
questi ultimi: in via subordinata, sotto il riflesso che iil dettato della 
citata norma consentirebbe all'interprete di considerare come un serio 
motivo, ai fini considerati dalla legge, la � dichiarata � avversione dei 
genitori, per considerazioni di ordine morale o religioso, a1Me rprntiche 
abortive. Si afferma quindi, che, precluso per questa via 1al genitore .di 
manifestare il suo avviso, risulti vulnerata fa sfera che gli � costituzio� 
nalmente garantita. L'invocato precetto costituzionale, si soggiunge, sancisce 
non soltanto il dovere, ma anche d.l di'l'."itto del genitore di mantenere, 
istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, e cos� 
di offrire alla minore -di fronte alla grave e spesso traumatica scelta 
richiesta dal nostro caso -un aiuto che secondo esperienza pu� presumersi 
come il pi� qualificato ed efificace. D'altra parte, l'art. 30 Cost. 
prevederebbe, al secondo comma, e sempre riguardo alla sfera del diritto-
dovere che si assume leso, l'intervento solo sussidiario della pubblica 
autorit�: ma gli estremi di un tale intervento, ad avviso del giudice 
a quo, non ricorrono nella specie, bens� soltanto l�, dove 1i genitori 
risultino incapaci di assolvere i compiti loro affidati. Il diritto del genitore 
troverebbe poi un'implicita garanzia nell'altra disposizione costituzionale 
(l'art. 29), che riconosce la famiglia come societ� naturale fondata 
sul matrimonio, e la tutela nei confronti di qualsiasi interferenza 
esterna, specialmente di quella statale; 

b) in conseguenza dei rilievi sopra esposti si assume violato anche 
il principio costituzionale di eguaglianza. I genitori sarebbero discriminati 
in ragione della loro ritenuta attitudine di ostilit� verso l'aborto, 
e perci� dei convincimenti religiosi o morali che possono guidarli nello 
esevcizio della potest� sui figli. Discrimina2li.one, ,si osserva, tanto pi� giustificata, 
in quanto i motivi che ostano alla consultazione dei genitori, 
sottratti al sindacato del giudice, risultino dalle sole ed interessate affermazioni 
della gestante. (omissis). 

Da millenni accade che genitori pur attenti non vengano ad immediata conoscenza 
dello stato di gravidanza di una figlia minorenne; ed accade che la figlia 
in difficolt� cerchi di risolvere i propri problemi senza coinvolgere i genitori. Il 
problema per�, �, a personale avviso di chi scrive, un altro: � se la legge possa 
in qualche misura istituzionalizzare accorgimenti siffatti, secondando una propensione 
tutta italiana per le soluzioni indolori (e quel che pi� si desidera -poco 
impegnative), anche a scapito della crescita civile della societ� e della effettiva 
pienezza dei rapporti familiari. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Quanto alle censure mosse negli altri provvedimenti di remissione 
all'art. 12, esse vanno disattese, sotto tutti i profili dedotti. 

Non sussiste, anzitutto, la lamentata lesione dell'art. 30 Cost. Il 
giudice a quo, va subito precisato, non nutre alcun dubbio sulla costituzionalit� 
del previsto intervento del giudice tutelare, che del resto 
egli assume conforme al sistema del codice civile, Il vizio della norma 
impugnata starebbe, quindi, soltanto in ci�: che, quando una mmorenne 
richieda di interrompere la gravidanza senza averne informato 
i genitori, questi non sono obbligatoriamente sentiti nel corso del procedimento; 
ovvero, in subordine, che basta ad impedire la consultazione 
dei genitori l'avversione di principio alle pratiche abortive, :loro 
imputata per via di note o presumibili opinioni morali o religiose. NOID. 
si riflette, tuttavia, che se la consultaziooe del genitore non � prescritta, 
essa non � nemmeno esclusa, ma lasciata alla valutazione del coosultorio, 
della struttura socio-sanitaria o del medico di fiducia: e in definitiva, 
ci� che pi� importa, al prudente apprezzamento del giudice. 
Soluzione, questa, che, quand'anche sancita in deroga alla comune previsione 
di una qualche presenza o consultazione del genitore nel sistema 
dei procedimenti avanti l'organo anzidetto, o analoghi altri, sarebbe 
pur sempre legittima: perch� giustificata dall'intento, nettamente 
perseguito dal legislatore, di prevenire, prima ancora che reprimere 
penalmente, l'aborto clandestino. Nel caso in esame non soltanto � a 
questo fine garantita, come per tutte le gestanti, la riservatezza della 
procedura; si prevede altres� che il genitore della Ininore possa non 
essere sentito: ma ci� quando, valutate le circostanze della specie e la 
seriet� dei motivi richiesti al riguardo dailla legge, sia ragionevole presumere 
che il doverlo consultare aggravi il rischio, appunto, del ricorso 
all'aborto clandestino. Siffatta cautela serve, peraltro, a fugare 
le remore che fa minore possa, dal canto suo, intrattenere circa il rispetto 
delle prescritte procedure. 

Il disposto della statuizione censurata non �,� dunque, quello che si 
prospetta nell'ordinanza di rinvio. L'esercizio del diritto-dovere sancito 
nell'art. 30 non � precluso, ma � consentito, dove il giudice tutelare 
abbia motivo di ritenere operante, nella specie, l'insostituibile rapporto 
affettivo che dovrebbe stabilmente Jegare i figli ai genitori, e di dedurne 
che questi, una volta consultati, soccorrerebbero la gestante nel 
frangente in cui essa versa. Sempre che ricorra l'ipotesi ora considerata, 
nulla toglie, poi, che l'ausilio paterno possa esplicarsi, secondo 
i convincimenti morali e religiosi di chi esercita la potest�, anche nel 
senso di scons,igliare l'aborto e di indurre la minore ad una responsabile 
accettazione della maternit�. Esclusa la prospettata violazione 
dell'art. 30 Cost., deve aggiungersi che, d.n ordine alla consultazione dei 
genitori, non si � adottato alcun criterio lesivo del principio di eguaglianza. 
(omissis). 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 13 maggio 1981, 
nella causa 66/80 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Reischl Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale civile 
di Roma nella causa fra la s.p.a. lnternational Chemical Corporation 
(avv. Catalano) c. Amministrazione delle Finanze dello Stato -lnterv.: 
Governo italiano (avv. Stato Braguglia), Commissione della C.E. 
(avv. Olmi e Berardis) e Consiglio delle C.E. (avv. Schloh). 

Comunit� europee -Corte di Giustizia -Pronuncia pregiudiziale ai sensi 
dell'art. 177 del trattato CEE -Pronuncia di invalidit� di un regolamento 
comunitario -Effetti. 
(Trattato CEE, art. 177). 

Comunit� europee -Agricoltura -Aiuti per l'impiego di prodotti proteici 
in mangimi -Condizioni -Acquisto di latte magro in polvere . 
(Regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563)1 

Comunit� europee -Agricoltura -Risorse proprie della Comunit� -Riscossione 
indebita -Azione di ripetizione -Limiti. 
(Decisione del Consiglio 21 aprile 1970, artt. 4 e 6; regolamento CEE del Consiglio

15 marzo 1976, n. 563). 

Comunit� europee -Agricoltura -Restituzioni all'esportazione -Condizioni. 
(Regolamenti CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, art. 8; del Consiglio

15. marzo 1976, n. 563; della Commissione 26 marzo 1976, n. 677, art. 10). . 
Comunit� europee -Agricoltura -Prodotti composti -Restituzioni all'esportazione 
� Condizioni. 
(Regolamento CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, art. 8). 

La sentenza della Corte che accerti, in forza dell'art. 177 del Trattato, 
l'invalidit� di un atto di un'Istituzione, in particolare di un regolamento 
del Consiglio o della Commissione, sebbene abbia come diretto destinatario 
solo il giudice che si � rivolto alla Corte, costituisce per qualsiasi 
altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido 
ai fini di una 'decisione che esso debba emetter:e; poich� tale constatazione 
non ha tuttavia l'effetto di privare i giudici nazionali della competenza 
loro attribuita dall'art. 177 del Trattato, spetta a tali giudici 
stabilire se vi sia interesse a sollevare nuovamente una questione gi� 
risolta dalla Corte nel caso in cui questa abbia constatato in precedenza 
l'invalidit� di un atto di un'istituzione della Comunit�. Tale interesse 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 291 

potrebbe, in particolare, esistere qualora sussistessero questioni relative 
ai motivi, alla portata ed eventualmente alle conseguenze dell'invalidit� 
precedentemente accertata (1). 

Il regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563, � invalido 
per i motivi gi� esposti nelle sentenze pronunciate il 5 luglio 1977, nelle 
cause 114, 116, 119 e 120/76 (perch� il prezzo che si doveva corrispondere 

(1) Sugli effetti della dichiarazione di invalidit� degli atti comunitari nell'ambito 
dell'art. 177 del Trattato, nelle osservazioni presentate alla Corte per 
il Governo italiano l'Avvocatura, richiamando le precedenti pronunzie in materia 
della Corte stessa e le opinioni espresse dagli Avvocati generali in altre occasiom, 
aveva precisato quanto segue: 
�Non si ignora che la questione -dell'efficacia, erga omnes ovvero inter 
partes, della pronuncia di invai1idiit� -� stata a Jiungo discussa e Jo � tuttora in 
dottrina, senza che ivi si sia giunti a conclusioni definitive. 

�La medesima questione .� stata affrontata anche da parte degli Avvocati 
generali Gand (causa 16/65, Racc. 1965, pag. 909), Warner (cause 112/76, 22/77 e 
32/77 e 37/77, Racc., 1977, pag. 1647) e Capotorti (causa 64-76 ed altre). 

�Nella giurisprudenza della Corte, la sentenza per la citata causa 16/65, pur 

non affrontando espressamente il prob:!Jema, non manc� di .precisare che " se � .ben 

vero che l'art. ,IN non concede alfa Cort�e facolt� di aa::l!nulJlialre tali atiti, non � 

men vero che questa norma attribuisce espressamente alla Corte il potere di 

statuire sulla validit� degli atti medesimi". In questa affermazione gi� si rinviene, 

ad avviso del Governo italiano, l'intendimento della Corte di considerare la sua 

pronuncia d'invalidit� non soltanto in rapporto al giudizio a quo; bens� anche 

in rapporto alla validit� stessa dell'atto, nella sua oggettivit�. 

� In altre parole, gi� dall'affermazione contenuta nella sentenza per la causa 

116/65 si pu� trarre il fondato convincimento che la Corte sia propensa ad una 

efficacia erga omnes, anzich� inter partes, della pronuncia di invalidit� resa in 

un giudizio ex art. 177. 

�Questo convincimento risulta confermato dalla sentenza 13 febbraio 1979 in 

causa 101/78 (Racc., 1979, pag. 623). 

�In questa sentenza, occupandosi delle conseguenze della dichiarazione di 

invalidit� del medesimo regolamento n. 563/76, la Corte ebbe .ad affermare per 

diritto: "Qualsiasi regolamento posto in vigore conformemente al Trattato deve 

presumersi valido finch� il giudice competente non ne abbia dichiarato l'invali


dit�"; ed ancora: "dal sistema legislativo e giurisdizionale istituito dal Trattato 

risulta quindi che, se il rispetto del principio della legittimit� comunitaria com


porta, per gli amministrati, il diritto di contestare in sede giurisdizionale la vali


dit� dei regolamenti, lo stesso principio implica pure, per tutti i soggetti di 

diritto comunitario, l'obbligo di riconoscere la piena efficacia dei regolamenti 

finch� il giudice competente non ne abbia dichiarato l'invalidit�". 

�Ragionando a contrario, dovrebbe invero dedursi che, una volta che il 

giudice competente abbia dichiarato l'invalidit� del regolamento, di questo tutti 

i soggetti di diritto comunitario non debbono pi� tener conto. 

� Questa conclusione dovrebbe anche comportare !'irricevibilit� di successive 

domande pregiudiziali in ordine alla validit� di un regolamento gi� dichiarato 

invalido dalla Corte. 

� � !! quanto il Governo italiano ebbe a sostenere -in considerazione di fondamentali 
esigenze di certezza del diritto comunitario -nella causa 22/77, MURA, 
dopo la dichiarazione di invalidit� dell'art. 46 n. 3 del regolamento del Consi




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292 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

per il latte in polvere obbligatoriamente acquistato era fissato in un 
importo talmente sproporzionato rispetto alle condizioni del mercato 
-il prezzo era tre volte superiore al valore foraggero -da costituire 
una ripartizione discriminatoria degli oneri fra i diversi settori agricoli 
e perch�, per di pi�, tale obbligo non era necessario per il raggiungimento 
dello scopo perseguito, cio� lo smaltimento delle giacenze di latte 
magro in polvere (2). 

L'esistenza, nel periodo in cui il regolamento del Consiglio n. 563/76 
� stato applicato, di un sistema specificamente congegnato al fine di 
ripartire gli effetti economici degli obblighi ch'esso imponeva priva 
di fondamento l'azione di ripetizione degli importi delle cauzioni prestate 
ed incamerate, anche se tale azione potrebbe essere fruttuosamente 
esperita in base al solo diritto nazionale. A questo proposito � indifferente 
che l'operatore abbia effettivamente riversato tale onere o si sia 
astenuto dal farlo per motivi inerenti alla strategia economica della sua 
impresa. A maggior ragione, la restituzione all'operatore � esclusa nel 
caso in cui egli, non essendo tenuto personalmente ad assolvere l'onere 
controverso, ne abbia volontariamente anticipato o rimborsato l'importo 
ai suoi fornitori (3). 

glio n. 1408/71, contenuta nella pronuncia della Corte 21 ottobre �1975 in causa 
24/75 (Racc., 1975, pag. 1149; cfr. conclusioni dell'avvocato generale Warner per 
la causa :112/76, Racc., 1977 pag. 1658, in particolare pag. 1661). 

� La Corte ha tuttavia ritenuto, in quella ed in altre occasioni (ad es., nella 
sentenza per la citata causa t.12/76, Racc., 1977, pag. 1647), di riesaminare nel 
merito la questione di validit� dell'atto gi� dichiarato invalido, confermando la 
pronuncia d'invalidit� e non tenendo quindi conto della tesi avanzata da parte 
del Governo italiano. Mentre nelle gi� citate conclusioni dell'avvocato generale 
Warner per la causa 112/76, pur riconoscendosi la ricevibilit� di successive domande 
pregiudiziali sulla validit� dell'atto gi� giudicato invalido dalla Corte, si 
conferm� in sostanza l'efficacia erga omnes della pronuncia di invalidit� resa 
dalla Corte di giustizia. 

� Sul primo quesito sollevato dal tribunale di Roma pu� dunque dirsi che a 
partire dalla data della pronuncia di invalidit� ad opera della Corte, il regolamento 
dichiarato invalido non deve essere pi� osservato n� applicato dai soggetti 
di ddiritto e dali �ijudici nazionaili� dehla ComU!l11�t�; e ci� anche se si ritenga 
che l'avvenuta dichiarazione di invalidit�, da parte della Corte, non vieta ai giudici 
nazionali di riproporre la questione alla Corte medesima�. 

Per la posizione assunta dal Governo italiano nelle cause 112/76 e 22/77, sopracitate, 
cfr. la nota alle sentenze 13 ottobre 1977, in questa Rassegna, 1977, I, 788. 
Sulla questione cfr., pi� ampiamente, BRAGUGLIA, Effetti della dichiarazione di 
invalidit� degli atti comunitari nell'ambito dell'art. 177 del trattato CEE, in Dir. 
comunitario e scambi internazionali, 1979, 667. 

(2) Le sentenze della Corte 5 luglio 1977, nelle cause 114, U6, 119 e 120/76, 
sono pubblicate in Racc., 1977, pag. 1247 e 1269. 
(3) Applicazione rpairticol!are -in for2la defila ritenuta esisitenza, nelila specie, di 
" un sistema specificamente congegnato al fine di ripartire gli effetti di un prov� 
vedimento di politica economica � -del principio della rilevanza, in tema di resti

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. CXIMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

293 

La declaratoria di invalidit� del regolamento CEE del Consiglio 
15 marzo 1976, n. 563, non giustifica deroghe, individuali o generali, al 
principio stabilito all'art. 8, n. 1, primo comma, del regolamento CEE 
della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, a norma del quale la restituzione 
� attribuita solo per prodotti che prima di essere esportati si 
trovano in libera pratica nella Comunit� (nella specie l'operatore aveva 
fatto ricorso al sistema dell'importazione sotto controllo doganale, anzich� 
soddisfare alle condizioni fissate nel regolamento della commissione, 
per sottrarsi agli effetti del regolamento del Consiglio, poi dichiarato 
invalido). 

L'art. 81 n. 1, terza comma, del regolamento n. 192/75 concerne unicamente 
il caso dei prodotti composti che, come tali, non possono fruire 
di restituzioni all'esportazione mentre taluni loro componenti possono 
fruirne. Esso non concerne il caso dei prodotti composti che, come tali, 
fruiscono di una restituzione ed ai quali si applica la condizione stabilita 
dall'art. 8, n. l, primo comma. 

(omissis) 1. -Con ordinanza 21 gennaio 1980, pervenuta in cancelleria 
il 3 marzo successivo, il Tribunale Civile di Roma ha sottoposto 
a questa Corte, in forza dell'art. 177 del Tmttato CEE, talune questioni 
pregiudiziali relative all'interpretazione del suddetto art. 177 ed. aU'interpretazione 
o alla validrt� di vari regolamenti del Consiglio o della 
Commissione, dei quali uno concerne l'acquisto obbligatorio di latte 
magro in polvere detenuto dagli enti d'fotervento e gli altri le restituzioni 
all'esportazione di mangimi composti. 

2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia 
tra l'Amministrazione italiana delle finanze ed un'impresa produttrice 
di mangimi composti, attrice nella causa principale, la quale 
esige dalla suddetta Amministrazione sia il rimborso dri cauzioni da essa 
prestate o quanto meno finanziate per conto dei suoi fornitori ed incamerate 
dalla stessa Amministrazione, sia il pagamento di restitiuzioni 
all'esportazione che le sono state negate in occasione dell'esportazione 
di taluni mangimi composti. 
3. -Allo scopo di ridurre le scorte di latte magro in polvere mediante 
un pi� largo impiego di tale prodotto nella fabbrioazione di 
alimenti zootecnici, il regolamento del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563 
tuzione di diritti indebitamente riscossi, del trasferimento dell'onere sugli acquirenti 
(cfr. le sentenze della Corte 27 marzo 1980, nella causa 61/79, DENKAVIT, e 
nelle cause 66, ,127 e 129/79, MERIDIONALE INDUSTRIA SALUMI s.r.l., in questa Rassegna, 
1980, I, 534, la sentenza 10 luglio 1980 nella causa 825/79, MIRECO s.p.a., ibidem, 743, 
e la sentenza 27 maggio 1981, nelle cause 142 e 143/80, ESSEVI, in questo numero, 
paig. 303). 



294 

RASSEGNA DELL'AWOCAT�JRA DELLO 'STATO 

(G. U. ri. L 67, pag. 18) collegava l'attribuzione, ai J�abbricanti di man� 
gimi, di taluni aiuti comunitari per J'impiego di prodotti proteici, 
nonch� la messa in aibera pratica nella Comunit� di determinati prodotti 
usati nella fabbricazione di mangimi composti, all'obbligo di acquistare 
determinate quantit� di latte magro in polvere giacente presso 
gli enti d'intervento. Onde garantire l'osservanza di quest'obbligo, l'attribuzione 
degli aiuti e la messa in libera priatica erano subordinate 
aMa prova dell'acquisto di latte magro 1in polvere oppure alla previa 
costituzione di una cauzione da incamerarsi in caso di inadempimento 
dell'obbligo di acquisto. 
4. -L'attrice nella causa principale costituiva inizialmente cauzioni 
e -secondo quanto essa dichiara -filnanziava inoltre le cauzioni 
prestate da ta!luni suoi fornitori, ottenendo cos� gli 'aiuti contemplati. 
Tuttavia, poich� essa non osservava l'obbligo di acquistare latte 
magro in polvere, dette cauzioni non venivano svincolate dall'Amministrazione 
italiana competente. Successivamente, per sottrarsi all'obbligo 
di prestare cauzione, essa importava in regime d'importazione 
temporanea, anzich� in regime di messa in libera pratica, taluni dei 
prodotti provenienti da paesi terzi da lei impiegati nella fabbricazione 
dei mangimi composti. In conseguenza di ci�, quando essa, nell'esportare 
i mangimi composti in paesi terzi, chiedeva di fruire delle restitu2lioni 
all'esportazione contemplate dall'art. 16 del regolamento del Consiglio 
29 ottobre 1975, n. 2727, relativo all'organizzazione comune dei 
mercati nel settore dei cereali (G. U. n. L. 281, pag. 1), tali restituzioni 
le venivano negate per il motivo che detti mangimi contenevano prodotti 
che non erano mai stati in 11ibera pratica IIlella Comunit�, mentre 
l'attribuzione delle restituzioni � subordinata alla condizione che taH 
materie prime siano originarie della Comunit� o, quanto meno, si trovino 
ivi in libera pratica. 
5. -Nelle sentenze emesse il 5 luglio 1977 nelle cause 114/76, 116/76, 
e 119-120/76 (Racc. 1977, pag. 1211), la Corte, pronunziandosi su talune 
questioni pregiudiziali sottopostele da diversi giudici nazionali, dichiarava 
che i!l regolamento del Consiglio n. 563/76 non era valido perch� 
il prezzo che si doveva corrispondere per il latte in polvere obbligatoriamente 
acquistato era fissato in un importo talmente sproporzionato 
rispetto alle condizioni del mercato da costituire una ripartizione 
discriminatoria degli oneri tra i diversi settori agricoli e perch� per 
di pi� tale obbligo non era necesswio per il raggiungimento dello 
scopo perseguito, cio� lo smaltimento delle giacenze di latte magro in 
polvere. 
6. -L'attrice nella causa principale -che non era parte nelle 
controversie che avevano dato luogo all'adizione della Corte -ne ha 

PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 295 

dedotto che le cauzioni da lei prestate o finanziate non potevano essere 
n� richieste n�, a maggior ragione, incamerate poich� servivano soltanto 
a garantire l'adempimento di un obbligo imposto illegittimamente; 
Essa assume inoltre che, siccome ha importato da paesi terzi taluni 
ingredienti dei mangimi composti da lei prodotti in regime di temporanea 
importazione anzich� in regime di libera pratica al solo scopo 
di evitare il deposito dclrle suddette oauzioni, essa deve fruire delle 
restituzioni all'esportazione dei mangimi composti come se detti in.
gredienti si fossero trovati in libera pratica nella Comunit�. L'attrice 
sostiene infine, in subordine, che le spettano comunque restituzioni per 
i componenti cerealicoli -che sono di origine comunitaria -dei 
prodotti che ha esportato. Essa esige dall'Amministrazione italiana la 
restituzione e il versamento degli importi corrispondenti alle cauzioni 
incamerate e, rispettivamente, alle restituzioni negate. 

7. -Per risolvere tale controversia il giudice na:cionale ha sottoposto 
a questa Corte le seguenti questioni: 
1) se, ai sensi dell'art. 177 del Trattato, la dichiarazione di invalidit� 
di un regolamento comunitario abbia efficacia erga omnes ovvero 
sia vincolante solo nei confronti del giudice a quo, con la precisazione 
se possa o meno essere esteso in questo caso alla dichiarazione d:i I�nvalidit� 
il principio contenuto nella sentenza 27 marzo 1963 in cause 28, 
29 e 30/62; 

2) se, sempre nel secondo caso, sia invalido il regolamento 15 marzo 
1976, n. 563, per gli stessi motivi di cui alla sentenza 5 luglio 1977 
in cause 114, 116, 119 e 120/76; 

3) ove sia esclusa la validit� di detto regolamento, se discenda 
dai principi ispiratori dell'ordinamento comunitario c)le debba intendersi 
consentita o vietata o permessa entro determinati limiti o termini 
la restituzione di quanto indebitamente versato dal privato e se, 
in caso positivo, la pronuncia di invalidit� comporti o meno per il 
privato stesso la possibHit� di ripetere, secondo il diritto interno dei 
vari Stati, quanto in precedenza pagato sulla base della norma dichiarata 
invalida e, in caso affermativo, se entro determinati limiti o 
termini o a date condizioni, con particolare riferimento all'ipotesi iin 
cui [a ripetizione riguardi rimborSli. effettuati a fornitori de1la parte che 
agisce in giudizio; 

4) se, con riferimento alle norme .comunitarie e, in particolare, 
ai regolamenti 7 gennaio 1975, n. 192, della Commissione (G.U. n. L 25, 
pag. 1), 29 ottobre 1975, n. 2727, del Consiglio (G.U. n. L 281, pag. 1), 
29 ottobre 1975, n. 2743, del Consiglio (G.U. n. L 281, pag. 60), 26 marzo 
1976, n. 677, della Commissione (G.U. n. L 81, pag. 23), 30 luglio 1976, 

n. 1871, della Commissione (G.U. n. L 206, pag. 23), 31 agosto 1976, 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

n. 2141, della Commissione (G.U. n. L 240, pag. 17), e 30 settembre 1976, 
n. 2372, della Commissione (G.U. n. L 268, pag. 17), sia da ritenersi 
dovuta la restituzione per l'esportazione di mangimi composti Mmitatamente 
ai soli componenti cerealicoli e se contrasti con i principi generali 
desumibi<li da tali norme che sia concessa restituzione per l'esportazione 
di prodotti composti e con riferimento solo ad alcuni dei componenti, 
qualora gli altri componenti siano stati importati in regime 
temporaneo. 
8. -Tali questioni sollevano in sostanza tre problemi. Il primo 
� quello dell'efficacia delle sentenze pregiudiziali, pronunziate dalla Corte 
il 5 luglio 1977, nei confronti dei terzi, siamo essi amministrati, Istituzioni 
o giudici nazionali (prima e seconda questione). Il secondo � 
quello delle conseguenze, sia nell'ordinamento giuridico comunitario 
che nell'ordinamento giuridico degli Stati membri, di una sentenza che 
dichiari un regolamento invalido, per quanto concerne la sorte delle 
somme il cui versamento era in precedenza imposto, come onere, agli 
operatori economici da detto regolamento (terza questione). Il terzo 
problema, soMevato in subordine, ha carattere ipi� specifico e riguarda 
taluni aspetti particolari del sistema delle restituzioni all'esportazione 
di determinati prodotti agricoli (quarta questione). 
Sulla prima e sulla seconda questione. 

9. -L'art. 177 del Trattato dispone che la Corte � competente a 
pronunziarsi in via _pregiudiziale sull'interpretazione del Trattato nonch� 
sulla validit� e sull'interpretazione degli atti compiuti dalle Istituzioni 
della Comunit� e cio�, fra l'altro, dei regolamenti sia del Consiglio 
che della Commissione. Lo stesso articolo aggiunge, a'l secondo 
e al terzo comma, che i giudici nazionali possono o devono, a seconda 
dei casi, sottoporre alla Corte tali questioni quando una decisfone su 
questo punto sia loro necessaria ai fini dell'emananda sentenza. 
10. -La portata delle sentenze emesse a questo titolo dev'essere 
valutata alla luce degli scopi dell'art. 177 e del posto ch'esso occupa 
nel sistema complessivo di tutela giurisdizionale istituito dai Trattati. 
11. -Le competenze attribuite alla Corte dall'art. 177 hanno essenzialmente 
lo scopo di garantire l'applicazione uniforme del diritto comunitario 
da parte dei giudici nazionali. Quest'applicazione uniforme 
� necessaria non solo quando �il giudice nazionale sia in presenza di una 
norma di diritto comunitario il cui senso e la cui portata abbiano bisogno 
di essere precisati, ma del pari quando esso si trovi di fronte ad 
una contestazione relativa alla validit� di un atto delle Istituzioni. 
' 

12. -Qualora la� Corte sia indotta, nell'ambito dell'art. 177, a dichiarare 
invalido un atto di un'Istituzione, alile esigenze relative aill'ap-
I! 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

plicazione uniforme del diritto comunitario si aggiungono esigenze particolarmente 
imperiose di certezza del diritto. Risulta infatti daUa natura 
stessa di una siffatta declaratoria che i giudici nazionali non potrebbero 
applicare l'atto dichiarato inva!lido senza creare nuovamente gravi incert.
ezze per quanto concerne il diritto comunitario da applicare. 

13. -Ne deriva che la sentenza de1la Corte che accerti, in forza 
dell'art. 177 del Trattato, l'invalidit� di un atto di un'Istituzione, in 
particolare di un regolamento del Consiglio o della Commissione, sebbene 
abbia come diretto destinatario solo il giudice che si � rivolto a:lla 
Corte, costituisce per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per 
considerare tale atto non valido ai fini di una decisione ch'esso debba 
emettere. 
14. -Poich� tale constatazione non ha tuttavia l'effetto di privare 
i giudici nazionali della competenza loro attribuita dall'art. 177 del Trattato, 
spetta a tali giudici stabilire se vi sia interesse a solilevare nuova� 
mente una questione gi� risolta dalla Corte nel caso in cui questa abbia 
constatato in precedenza l'invalidit� di un atto di un'Istituzione de1la 
Comunit�. Tale interesse potrebbe, in particolare, esistere qualora sussistessero 
questioni relative ai motivi, alla portata ed eventua1mente alle 
conseguenze dell'invalidit� precedentemente accertata. 
15. -Nel caso contrario, i giudici nazionali s�ono pienamente legittimati 
a trarre, per le cause dinanzi ad essi rinstaurate, fo debite conseguenze 
da una sentenza declaratoria d'invalidit� emessa dalla Col'te 
nell'ambito di una controversia tra altre parti. 
16. -Va peraltro osservato -come la Corte ha dichiarato nelle 
sentenze 19 ottobre 1977 ~cause riunite 117/76 e 16/77, Ruckdeschel e 
Diamalt, e cause riunite 124/76 e 20/77, Moulins de Pont-�-Mousson e 
Providence Agricole, Racc. pagg. 1753 e 1795) -che il Consiglio o la Commissione, 
autori di regolamenti dichiarati invalidi, sono tenuti a trarre 
dalla sentenza della Corte le conseguenze ch'essa comporta, 
17. -In base alle considerazioni che precedono, e poich� il giudice 
nazionale, con la seconda questione, ha chiesto, come gli era lecito fare, 
se il regolamento n. 563/76 sia invalido, gli si deve rispondere che in 
effetti lo � per i motivi gi� esposti nelle sentenze 5 luglio 1977. 
18. -La prima e la seconda questione vanno pertanto risolte come 
segue: 
a) la sentenza della Corte che accerti, in forza dell'art. 177 del 
Trattato, l'invalidit� di un atto di un'Istituzione, in particolare di un 
regolamento del Consiglio o della Commissione, sebbene abbia come diretto 
destinatario solo il giudice che si � rivolto alla Corte, costituisce 


RASSEGNA DELL'�VVOCATURA DELLO STATO 

per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto 
non valido ai fini di una decisione ch'esso debba emettere; poich� tale 
constatazione non ha tuttavia l'effetto di privare i giudici nazionaJi de11a 
competenza loro attribuita dall'art. 177 del Trattato, spetta a tali giudici 
stabilire se vi sia interesse a sollevare nuovamente una questione; 
gi� risolta dalla Corte nel caso in cui questa abbia constatato in precedenza 
'1'inva:lidit� di U!Il atto di un'lstitu:zJione de1la Comunit�. Tale 
interesse potrebbe, in particolare, esistere qualora sussistessero questioni 
relative ai motivi, alla portata ed eventualmente alle conseguenze dell'invalidit� 
precedentemente accertata. 

b) il regolamento del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563, � invalido 
per i motivi gi� esposti nelle sentenze pronunziate il 5 luglio 1977 ne1le 
cause 114, 116, 119-120/76. 

Sulla terza questione. 

19. -Con la terza questione si chiede in sostanza se delle norme 
di diritto comunitario disciplinino <le azioni esperite da operatori economici 
dinanzi ad un giudice nazionale ed intese ad ottenere il rimborso 
di oneri comunitari dovuti ed assolti in base ad un regolamento del 
Consiglio o della Commissione che detto giudice nazionale sia indotto 
a disapplicare a seguito di una sentenza della Corte che ne abbia dichiarato 
l'invalidit�. La questione comprende del pari, in ragione di taluni 
aspetti particolari della causa principale, l'ipotesi nella quale le somme 
di cui si chiede la restituzione non siano state pagate da1la parte che 
agisce in giudizio, ma da suoi fornitori, ai quali essa le abbia rimborsate. 
20. -A norma dell'art. 10, n. 2, del regolamento n. 563/76, le cauzioni 
incamerate sono detratte dalle spese d'intervento per le quali non 
� fissato un importo per unit� nell'ambito del regolamento del Consiglio 
n. 804/68, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del 
latte e dei prodotti lattiero-caseari (G.U. n. L 148, pag. 13). Ne consegue 
che gli importi corrispondenti costituiscono risorse comunitarie ai sensi 
dell'art. 4, n. 1, primo comma, della decisione del Consiglio 21 aprile 
1970, relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri 
con risorse proprie delle Comunit� (G.U. n. L 94, pag. 19). 
21. -A termini dell'art. 6 della stessa decisione, le risorse comunitarie 
di cui agli artt. 2, 3 e 4 di questa sono riscosse dagli Stati membri, 
che devono metterle a disposizione della Commissione, conformemente 
alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali. 
Le controversie relative alla restituzione di importi riscossi per 
conto della Comunit� rientrano, di conseguenza, nella competenza dei giudici 
nazionali e vanno da questi risolte in conformit� al loro diritto nazionale, 
per quanto concerne il rito ed il merito, qualora il diritto 
comunitario non abbia altrimenti disposto in materia. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

22. -Occorre pertanto accertare �se il regolamento n. 563/76, quale 
era applicato prima del momento in cui ne � stata constatata l'invalidit�, 
contenesse disposizioni aventi un'incidenza quanto alla restituzione delle 
somme incamerate dalle autorit� comunitarie o dalle autorit� nazionali 
che agivano per conto delle autorit� comunitarie in base al suddetto 
regolamento. 
23. -A questo proposito va osservato che l'art. 5 dello stesso regolamento 
disponeva espressamente che �per i contratti conclusi prima 
del giorno dell'entrata in vigore del presente regolamento, gli acquirenti 
successivi dei prodotti di cui agli artt. 2 e 3 o dei prodotti proteici derivanti, 
daHa loro tra~roi:tm�zione; subiscono l'incidenza dell'onere che 
risulta dal regime definito nel presente regolamento . Tale disposizione 
implicava eventualmente 1a modifica unilaterale dei contmtti commerciali 
stipulati in precedenza, allo scopo -come risulta dal quinto considerando 
del regolamento -di ripartire equamente fra tutti ghl operatori 
l'onere dell'acquisto obbligatorio di latte magro in polvere. Ne consegue 
che gli operatori assoggettati all'obbligo di acquistare latte magro 
in polvere e, per questo motivo, esposti al rischio di perdere la cauzione 
non dovevano, dal canto loro, subire alcuna perdita in ragione dell'onere 
imposto poich� questo era, per i contratti anteriori all'entrata in vigorre 
del regolamento, automaticamente riversato sui successivi acquirenti. 
Tale sistema implicava che, per i contratti conclusi successivamente all'entrata 
in vigore del regolamento, lo stesso risultato sarebbe stato raggiunto 
attraverso il gioco del mercato e della libert� contrattuale. Poich� 
l'importo delle cauzioni da prestare corrispondeva, grosso modo, all'onere 
risultante dall'obbligo di acquisto, le conseguenze finanziarie della loro 
perdita corrispondevano anch'esse, per gli operatori economici disposti 
a sacrificare la cauzione, a quelle che sarebbero per loro risultate dall'adempimento 
dell'obbligo di acquisto. 
24. -L'esistenza, durante l'intero periodo di vigenza del Tegolamento 
di cui trattasi, di un sistema specificamente congegnato al fine di ripartire 
gli effetti di un provvedimento di politica economica priva di fondamento 
!l'azione di ripetizione degli importi delle cauzioni depositate 
ed incamerate, anche se tale azione potrebbe essere fruttuosamente esperita 
in base al solo diritto nazionale. 
A questo proposito � indifferente che l'operatore abbia effettivamente 
riversato tale onere o si sia astenuto dal farlo per motivi inerenti alla 
strategia economica della sua impresa. A maggior mgione, la restituzione 
all'operatore � esclusa nel caso in cui egli non fosse tenuto personalmente 
ad assolvere l'onere controverso e ne abbia volontariamente anticipato 
o rimborsato l'importo ai suoi fornitori, dimostrando cos� l'effettiva 
esistenza della possibilit�, per costoro, di riversare l'onere. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

300 

25. -Tale conseguenza giuridica non pu� essere esclusa in base 
alla considerazione che il regolamento n. 563/76, essendo stato dichiarato 
invalido, non ha potuto spiegare effi.oacia giuridica. Si tratta nella 
fattispecie di esaminare gli effetti economici legati ali'applicazione del 
sistema istituito dal regolamento fintantoch� quest'ultimo determinava 
effettivamente il comportamento degli operatori economici interessati. 
La constatazione che detto sistema contemplava l'effettiva possibilit�, per 
gli operatori, di ripercuotere sulle fasi successive del processo ec�nomico 
l'onere loro imposto porta a condudere che in una situazione come 
quella oggetto della causa prindpale l'azione di ripetizione dell'indebito 
� priva di fondamento giuridico. 
26. -La terza questione va pertanto risolta nel senso che l'esistenza, 
nel periodo in cui il regolamento del Consiglio n. 563/76 � stato applicato, 
di un sistema specificamente congegnato al fine di ripartire gli 
effetti economici degli obblighi ch'esso imponeva priva di fondamento 
l'azione di ripetizione degli importi delle cauzioni prestate ed incamerate, 
anche se tale azione potrebbe essere fruttuosamente esperita in base al 
solo diritto nazionale. 
Sulla quarta questione. 

27. -La risposta al quarto quesito deve consentire di risolvere il 
problema del se all"attrice nella causa principale spettino restituzioni 
all'esportazione per i mangimi composti fra gli ingredienti dei quali figuravano 
prodotti provenienti da paesi terzi di cui all'art. 3, n. l, del regolamento 
n. 563/76, che sono stati importati e trasformati in mangimi 
composti in regime di controllo doganale, cio� senza essere stati messi 
'.in 1libera pratica neHa Comunit�. 
28. -Questo modo di procedere, adottato dall'attrice neHa causa 
principale, era consentito dall'art. 10, n. 2, del regolamento della Com� 
missione 26 marzo 1976, n. 677, che stabilisce talune modalit� di applicazione 
del regime di acquisto obbligatorio di latte magro in polvere 
cont~mplato dal regolamento n. 563/76 (G.U. n. L 81, pag. 23). A norma 
di detta disposizione, �le autorit� competenti degli Stati membri possono 
autoriz2iare l'importazione dei prodotti di cui all'articolo 3, paragrafo 
1, del regolamento (CEE) n. 563/76 [cio� di prodotti fa oui messa 
in libera pratica � subordinata all'adempimento dell'obbligo di acquisto 
di una determinata quantit� di latte magro in polvere] in vista della 
loro trasformazione sotto 1.lil1 regime di controllo doganale, aillorch� tali 
prodotti sono destinati ad essere esportati fuori del territorio doganale 
della Comunit� in tutto o in parte sotto forma di prodotti di compensazione
�. Tale disposizione era intesa ad esonerare dall'obbligo di produrre 
un �certificato proteine>>, cio� dall'obbligo di acquistare latte 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

magro in polvere, i produttori di mangimi che importavano da paesi terzi 
taluni ingredienti (quelli enumerati all'art. 3 del regolamento n. 563/76), 
a condizione che i mangimi contenenti tali ingredienti venis�sero esportati 
in paesi terzi. 

29. -Tuttavia, in base all'art. 8, n. l, primo comma, del regolamento 
della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, che stabilisce modalit� di 
applicazione delle restituzioni all'esportazione per i prodotti agricoli (G.U. 
n. L 25, pag. 1), la restituzione all'esportaziione � attribuita solo rper prodotti 
che pr,ima di essere esportati si trovavano in libera pratica nella 
Comunit�. 
30. -Il combinato disposto dell'art. 10, n. 2, del regolamento n. 677/76 
e dell'art. 8, n. 1, del regolamento n. 192/75 permetteva ai produttori di 
mangimi di scegliere tra due possibilit�: fare mettere in libera pratica 
gli ingredienti da essi importati, versando la cauzione o acquistando il 
prescritto quantitativo di latte magro in polvere, ci� che consentii.va loro 
di fruire delle restituzioni all'esportazione in caso di successiva esportazione 
dei mangimi di cui trattasi; oppure, importare gli stessi prodotti 
in regime di controllo doganale -neHa fattispecie, in regime di 
perfezionamento attivo -oi� che consentiva loro di sottrarsi all'obbligo 
di acouistare latte magro in polvere o di depositare la cauzione; in tal 
caso, per�, l'art. 8, n. l, del regolamento n. 192/75 ostava a che venissero 
loro attribuite restituzioni all'esportazione. 
31. -La quarta questione � intesa in primo luogo a stabi>lire se, 
tenuto conto del fatto che l'attrice nella causa p11incipale ha fatto ricorso 
al sistema dell'importazione sotto controllo doganale, consentito dal 
precitato art. 10, n. 2, al solo scopo di sottrarsi ad un obbligo di acquisto 
dichiarato illegittimo, si debba concludere ch'essa ha ugualmente diritto 
aHe restituzioni all'esportazione, come se avesse soddisfatto la condizione 
stabilita dall'art. 8, n. 1. 
32. -Questa parte della quarta questione va risolta in senso negativo. 
Infatti, n� l'invalidit� del regolamento n. 563/76, n� tampoco. l'invalidit� 
eventuale del regolamento n. 677/76, adottato per l'attuazione 
del primo, possono avere l'effetto di pregiudicare in qualsiasi modo l'efficacia 
vincolante dell'art. 8, n. l, del regolamento n. 192/75, a norma 
del quale la restituzione � attribuita solo per prodotti che pvima di essere 
esporti:i.ti si trovavano in libera pratica nella Comunit�. 
33. -La quarta questione mira in secondo luogo a stabilire se, 
prescindendo da qualunque consideraziione relativa alle conseguenze dell'invalidit� 
del regolamento n. 563/76, l'attrice nella causa principale non 
avesse diritto a restituzioni all'esportazione in base all'art. 8, n.. l, terz� 
comma, del regolamento n. 192/75, a termini del quale, �all'esportazione 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di prodotti composti che beneficiano di una restituzione fissata per uno 

o pi� componenti, la restituzione relativa ai componenti � concessa soltanto 
se il componente o i componenti per i quali � richiesta la restituzione 
si trovano in una delle situazioni di cui all'articolo 9, paragrafo 2, 
del Trattato� (cio� in libera pratica). 
34. -L'attrice nella causa principale sostiene che, in base alla citata 
disposizione, la restituzione all'esportazione 1e spetta almeno per quegli 
ingredienti dei mangimi composti da essa esportati che non erano stati 
importati da paesi terzi, ma erano originari della Comunit�, e pi� precisamente 
per i componenti cerealicoli dei suddetti mangimi. 
35. -Tale interpretazione dell'art. 8, n. 1, terzo comma, va respinta. 
Questa disposizione contempla unicamente l'ipotesi dell'esportazione di 
prodotti composti che, in quanto tali, non fruiscano di restituzioni alla 
esportazione, ma che contengano determinati ingredienti che, dal canto 
loro, fruiscono di una restituzione. Ci� risuJta chiaramente dal testo 
stesso della disposizione di cui trattasi, che si riferisce espressamente 
alle restituzioni fissate per uno o pi� componenti del prodotto composto. 
36. -Detta disposizione non concerne quindi il caso del prodotto 
composto che, in quanto tale, cio� nel suo insieme, fruisce di una restituzione 
all'esportazione. In questo caso, � l'art. 8, n. l, primo comma, 
che stabilisce le condizioni per l'attribuzione della restituzione, da cui 
risulta che tutti i componenti del prodotto devono essere originari della 
Comunit� o esservi stati messi in libera pratica. 
37. -I mangimi composti sono compresi nella sottovoce 23.07 B 
~:!ella Tariffa Dogana,le Comune. La restituzione all'esportazione, sebbene 
~alcolata in funzione del cm1tenuto di prodotti cerealicoli, �, per quanto 
li concerne, fissata per il prodotto nel suo insieme, di guisa che, per 
fruirne, il prodotto deve soddisfare la condizione stab�lita dall'art. 8, n. 1, 
primo comma. 
38. -La quarta questione va pertanto risolta come segue: 
a) la declaratoria dell'invalidit� del :regolamento n. 563/76 non 
giustifica deroghe, individuali o generali, al principio stabilito all'art. 8, 

n. 1, primo comma, del regolamento n. 192/75; 
b) l'art. 8, n. 1, terzo comma, di questo regolamento concerne unicamente 
il caso dei prodotti composti che, come ta:li, non possono fruire 
di :restituzioni all'esportazione mentre taluni loro componenti possono 
fruirne. Esso non concerne il caso dei prodotti composti che, come 
tali, fruiscooo di una restituzione ed ai quali si applica la condizione 
stabilita daH'art. 8, n. 1, primo comma. (omissis). �=� 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 303 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 27 maggio 1981, 
nelle cause riunite 142 e 143/80. -Pres. Mertens de WHmars -Avv. 
Gen. Capotorti -Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dalla 
Corte d'appello di Milano nelle cause Amministrazione delle finanze 

c. Essevi s.p.a. e c. Impresa Carlo Salengo -Interv.: Governo italiano 
(avv. Stato Conti) e Commissione delle C.E. (ag. Abate). 
Comunit� europee -Violazioni del trattato CEE -Contestazione -Procedimento 
-Parere motivato della Commissione -Efficacia giuridica. 
(Trattato CEE, artt. 155, 169). 

Comunit� europee � Unione doganale -Libera circolazione delle merci � 
Disposizioni fiscali interne .discriminatorie � Regime fiscale degli alcoli Diritto 
erariale sulle acquaviti di vino. 

(Trattato CEE, art. 95; r.d.l. 27 aprile 1936, n. 635; d.!. 6 ottobre 1948, n. 1200; legge10 maggio 1976, n. 249). 

Comunit� europee � Unione doganale � Libera circolazione delle merci Disposizioni 
fiscali interne discriminatorie � Abolizione non oltre l'inizio 
della seconda tappa del periodo transitorio -Efficacia diretta -Inammissibilit� 
di deroghe. 
(Trattato CEE, art. 95). 

Comunit� europee � Unione doganale � Libera circolazione delle merci � 
Disposizioni � fiscali interne discriminatorie -Abolizione -Efficacia 
dketta � Presa di posizione favorevole della .Commissione -Legittimo 
affidamento dello Stato membro -Insussistenza. 
(Trattato CEE, art. 95). 

Comunit� europee � Unione doganale -Tributi discriminatori indebitamente 
riscossi � Traslazi�;>ne sugli acquirenti � Restituzione -Limiti. 
(Trattato CEE, art. 95). 

I pareri emessi dalla Commissione delle C.E. ai sensi dell'art. 169 
del trattato CEE hanno efficacia giuridica soltanto in relazione al ricorso 
per inadempimento proposto alla Corte contro lo Stato interessato. La 
Commissione non pu�, mediante prese di posizione nell'ambito del relativo 
procedimento, esonerare lo Stato membro dagli obblighi ad esso 
incombenti o pregiudicare i diritti spettanti ai singoli in forza del trattato 
(1). 

Costituisce una discriminazione vietata dall'art. 95 del trattato CEE 
un sistema di tassazione dell'alcool, che subordini la concessione di una 
esenzione fiscale o l'applicazione di un'aliquota ridotta alla possibilit� di 
un controllo della produzione nell'ambito del territorio nazionale, in 

(1-5) Ili regime fiscale a1 quale si riferisce la decisione in �rassegna � a:ttuailmerite 
superato per effetto dell'art. 20 del d.l. 18 marzo 1976, n. 46 convertito nella 
legge 10 maggio 1976, n. 249 (che sancisce la completa equiparazione, agli effetti 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

304 

quanto esso pone una condizione che non pu� essere soddisfatta dai 
prodotti similari importati da altri Stati membri e ha l'effetto di escludere 
a priori questi prodotti dal godimento dell'agevolazione fiscale in 
questione e di riservare tale agevolazione ai prodotti nazionali (2). 

A norma del terzo comma dell'art. 95 del trattato CEE, il divieto 
di .discriminazione sancito dai primi due comma dello stesso articolo ha 

dell'applicazione del diritto erariale sugli alcoli, dei prodotti interni e di quelli 
importati dagli altri Paesi membri della Comunit�). 

Conservano, tuttavia, un notevole interesse i principi generali affermati dalla 
Corte, e, in particolare, quelli attinenti ai rapporti fra l'art. 95 del Trattato CEE 
(divieto di discriminazione fiscale) e gli artt. 92 e 93 (disciplina degli aiuti). 

La tesi sostenuta dall'Amministrazione delle Finanze, in questa e in analoghe 
cause, si fondava sulla qualificazione dell'esonero dal diritto erariale (concesso anteriormente 
al d.l. n. 46/76 -alle sole acquaviti di vino di produzione nazionale) 
come un � aiuto � ai sensi dell'art. 92 del Trattato, costituente parte integrante 
di un complesso sistema di interventi nel mercato dei prodotti agricoli. Da questa . 
qualificazione si faceva discendere la conseguenza che l'eventuale incompatibilit� 
dell'esonero con mmercaito comune avrebbe potuto essere aippl'ezzata so1tant'O dail1a 
Comoossione, nell'ambito delJ prooedimento disai)pJ:inato dal:l!art. 93, par. l e 2, 
del Trattato. Orbene, la Commissione, non soltanto non aveva emesso alcuna 
decisione di soppressione della misura di cui si tratta, ma ne aveva, anzi, esipressamente 
riconosciuto, in pi� occasioni, la compatibilit�. 

Taile tesi era staita pienamente accolta dalla Co!'te di cassaziione (sez. un., 
1~ marzo �1979, n. 1317 e n. 1321). La Corte di Giustizia l'ha, invece, respinta, affermando, 
in termini generali e di principio, che, secondo il sistema del Trattato, 
gli aiuti non potrebbero mai consistere in esoneri fiscali accordati ai soli prodotti 
interni. Discriminazioni fiscali di tal genere rientrerebbero nell'ambito della disciplina 
dell'art. 95, e non in quello degli artt. 92 e 93. 

La decisione nella� sua assolutezza non appare convincente. 

L'art. 92 si riferisce a tutti � gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante 
risorse statali, sotto qualsiasi forma,. per favorire talune imprese o talune 
produzioni. Non sembra contestabile, perci�, che la sfera di applicazione della 
disciplina degli aiuti abbracci tutte indistintamente le forme nelle quali pu� 
esprimersi l'intervento statale volto a sussidiare sia la produzione che la distribuzione 
di determinati beni. 

Pu� trattarsi, cio�, di sovvenzioni dirette, di agevolazioni creditizie, di concessioni 
di garanzie, e anche di agevolazioni fiscali, costituendo anzi queste ultime 
una delle forme pi� frequenti in cui gli aiuti statali si presentano. Naturalmente 
non ogni regime fiscale differenziato costituisce un aiuto, ma certamente rientrano 
in tale nozione i provvedimenti specifici che derogano alla regolamentazione 
generale dei carichi di imposta per favorire talune attivit� o imprese. 

Come ebbe ad osservare l'avvocato generale Capotorti nelle conclusioni 
presentate nella causa 148/77 (HANSEN, in Racc., 1978, 1810) �non vi � dubbio che 
un trattamento fiscale di favore, riservato a certe categorie di imprese rispetto 
alla generalit� dei produttori del settore, pu� costituire un aiuto ai sensi dell'art. 
92. La nozione di aiuto statale �, in effetti, molto larga, e comprende non 
solo i casi in cui lo Stato d� a talune imprese denaro, beni o servizi a condizioni 
particolarmente favorevoli, ma anche i casi in cui ,lo Stato rinuncia, in tutto , 

o in parte, a beneficio di certe imprese, ai propri introiti fiscali. Un sistema di 
imposte di consumo a tasso ridotto come quello in esame, supposto che abbia, 
per le caratteristiche sopra indicate, carattere discriminatorio, sembra atto a 
........................... ---�--�-z~.r.-rc� J: 


1

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 305 

prodotto pienamente i suoi effetti a partire dal 1� gennaio 1962. Uno 
Stato membro non poteva pi� essere autorizzato a mantenere, dopo tale 
data, una discriminazione fiscale preesistente nel regime vigente per 
l'importazione delle acquaviti originarie di altri Stati membri (3). 

Il divieto di discriminazione sancito dall'art. 95 del trattato CEE 
ha efficacia diretta e uno Stato membro non pu� invocare, -per negare, 
fino alla sentenza interpretativa della Corte di Giustizia, la restituzione 
di tributi indebitamente riscossi in forza di un sistema di disposizioni 
fiscali interne discriminatorio -, esigenze di certezza del diritto o l'esisistenza 
di una situazione di legittimo affidamento, se -il mantenimento 

falsare la concorrenza nel mercato comune e ad incidere sugli scambi fra gli 
Stati membri. Esso rientra quindi nell'ambito dell'art. 92, par. 1�. 

Lo sgravio fiscale che era accordato in Italia alle imprese nazionali produttrici 
di acquaviti di vino aveva, appunto, tutte le caratteristiche dell'aiuto rivolto ad 
assicurare la permanenza e lo sViluppo di questo settore produttivo, considerato 
sia in s� che, soprattutto, come sbocco della produzione vinicola nazionale. Si 
trattava, cio�, di una tipica forma di sostegno di una determinata produzione 
nazionale importante per assicurare l'equilibrio di un intero settore di mercato. 

Non sembra, perci�, che potessero sussistere ostacoli di principio ad ammettere 
che essa rientrasse nell'ambito di applicazione degli art. 92 e 93 del Trattato. 

Appare chiaro, poi, che l'applicabilit� degli artt. 92 e 93 avrebbe dovuto 
portare ad escludere l'applicazione dell'art. 95. Ha osservato, infatti, l'avvocato 
generale Capotorti nelle gi� richiamate conclusioni nella causa 148/77: 

� Quanto al criterio distintivo fra gli aiuti consistenti in riduzioni d'imposta 
e le imposizioni discriminatorie di cui si occupa l'art. 95, la disciplina degli 
aiuti degli Stati, compresa nel capo delle regole di concorrenza, presenta caratteri 
peculiari cos� rispetto alla disciplina della libera circolazione delle merci, 
come rispetto alle disposizioni fiscali del Trattato. Tali aiuti, riservati di regola 
alle imprese nazionali, sono per loro natura discriminatori; ma la loro eventuale 
ammissibilit�, sulla base degli artt. 92-94, dovrebbe escludere, a mio avviso, che 
essi siano valutati al tempo stesso alla luce del divieto generale di discriminazione 
in materia fiscale >>. 

Anche la Commissione si � sempre attenu1la a questo criterio. Pu� ricordarsi, 
in proposito, la risposta all'interrogazione scritta n. 78/69 presentata dall'on. 
Vredeling (in G.U.C.E. 1%9, n. C. 102/2), nella quale chiaramente si afferma 
che, ove un regime fiscale di favore costituisca un aiuto, esso non pu� rientrare 
nel campo di applicazione dell'art. 95, ma viene a cadere esclusivamente sotto il 
disposto dell'art. 93, e in particolare del paragrafo 1. E anche di recente, nelle 
osservazioni presentate nella causa 91/78 (HANSEN) la Commissione ha ribadito 
che � la reciproca e generale relazione tra gli artt. 95 e 92 si traduce nel fatto 
che esclusivamente gli artt. 92 e seguentd. vanno appLicaiti a sgravi fisca!li che ;nientmno 
nehl'art. 92 !in quanto hanno lo scopo di favo11iire talune fumprese o .ta1UDI� 
prodotti. Stando cos� le cose, � senz'altro possibile che differenziazioni nell'onere 
tributario, attraverso le quali vengano favoriti determinati produttori nazionali, 
vadano valutate alla luce degli artt. 92 e segg. �. 

Non sembra possibile contestare, in effetti, che, ove si tratti di aiuti consistenti 
in sgravi d'imposta, ammettere l'applicabilit� dell'art. 95 equivarrebbe a 
svuotare completamente di contenuto gli artt. 92 e 93, che non potrebbero trovare, 
almeno per questo frequentissimo tipo di aiuti, alcun margine residuo di operativit�. 
Fin dall'inizio della seconda tappa, l'art. 95 vieta in modo assoluto e incon


5 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO

306 

del sistema � stato avallato da una presa di posizione favorevole della 
Commissione delle C.E., allorch�, contemporaneamente, la compatibilit� 
stessa del sistema con il trattato ha formato oggetto di incertezze, tanto 
sul piano comunitario che su quello nazionale (4). 

La tutela dei diritti garantiti dall'ordinamento giuridico comunitario 
non esige che si conceda la restituzione dei tributi, indebitamente riscossi, 
in condizioni tali da causare l'indebito arricchimento degli aventi diritto: 
nulla impedisce, quindi, dal punto di vista del diritto comunitario, 
che i giudici nazionali tengano conto, conformemente al proprio diritto 
interno, della possibilit� che i tributi indebitamente percepiti siano stati 
incorporati nei prezzi dell'impresa assoggettata al pagamento e trasferiti 
sugli acquirenti (5). 

dizionato qualunque imposizione interna di carattere discriminatorio. Esso non 
conferisce, a differenza degli artt. 92 e 93, alcun potere discrezionale alla Commissione 
e al Consiglio, n� contempla, in favore degli Stati membri, alcuna facolt� 
paregonabiDe ail1a ipossibilit�, PQevista dalll!'al't. 93, n. 2, di modificaire un ,aiuto 
anzich� abolirlo. La contemporanea applicazione di due discipline ad un medesimo 
sgravio fiscale �, perci�, da escludere, non essendo logicamente possibile che lo 
sgravio di cui si tratta sia, al tempo stesso, assolutamente vietato e suscettibile 
di autorizzazione. 

N�, d'altra parte, sembra esatta l'affermazione secondo cui, mentre l'art. 92: 
espressamente si riferisce agli aiuti concessi � sotto qualsiasi forma >>, proprio le 
riduzioni d'imposta, che costituiscono una delle modalit� pi� frequentemente 
utilizzate per favorire determinate imprese o produzioni, sarebbero del tutto 
escluse dal campo di applicazione della disciplina degli aiuti per rientrare 
esclusivamente in quello dell'art. 95. Come ha osservato l'avvocato generale Warner 
nelle conclusioni presentate nelle cause 74/76 e 78/76, (in Racc., 1977, '579) con 
riferimento all'analogo problema dei rapporti fra l'art. 92 e l'art. 30, accogliere 
tale punto di vista � sarebbe come pretendere di adoperare uno strumento inservibile 
al posto dello strumento di precisione che gli autori del Trattato hanno 
elaborato per la materia di cui trattasi '" 

Anche agli aiuti consistenti in sgravi fiscali sembra doversi, in realt�, 
applicare lo � strumento di precisione � degli artt. 92 e 93. E da ci� inevitabilmente 
discende l'inapplicabilit� della disciplina, logicamente e praticamente 
incompatib~le, dell'art. 95. 

Sul divieto di disposizioni fiscali interne discriminatorie di cui all'art. 95 del 
trattato, in relazione alla tassazione degli alcoli, cfr., da ultimo, le sentenze della 
Corte di giustizia 27 febbraio 1980, in causa 169/78, COMMISSIONE c. ITALIA, in questa 
Rassegna, 1980, I, 272, e 14 gennaio 1981, nella causa 140/79 CHEMIAL FARMACEUTICI 
s.p.a., ibidem, ante, 47, entrambe non note. 

Sulla quinta massima cfr. le precedenti sentenze della Corte 27 marzo 1980, 
nella causa 61/79, DENKAVIT, e nelle cause 66, 127 e 129/79, MERIDIONALE INDUSTRIA 
SALUMI s.r.l., in questa Rassegna, �1980, I, 534, con nota di MARZANO, La restituzione 
di somme indebitamente riscosse come forma di risarcimento rilevante nell'ambito 
dell'ordinamento comunitario, la sentenza 10 luglio :1980, nella causa 825/79, 
MIRECO s.a.s., ididem, 7430, e le sentenze ivi citate in nota, nonch� la sentenza 
13 maggio 1981, nella causa 66/80, !NTERNATIONAL CHEMICAL CORPORATION, in questo. 
num'ero, pag. 290. 


PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 307 

(omissis) 1. -Con due ordinanze in data 19 febbriaio 1980, pervenute 
in cancelleria il 12 giugno successivo, la Corte d'appello di Milano ha sottoposto 
a questa Corte, in forza dell'art. 177 del T'rattato CEE, talune 
questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 95 e 169 
del Trattato CEE, al fine di st,abilire se il mantenimento in vigore, 
da parte della legislazione italiana, di un regime d'imposizione differenziata 
in materia di tassazione delle acquaviti di vino sia compatibile 
col Trattato. 

2. -Dal fascicolo risulta che le due societ� appellate nelle cause 
principali importavano, durante un periodo che va, per la prima, dal 
1� marzo 1962 al 1� dicembre 1967 e, per la seconda, dal 18 aprile 
1960 al 25 ottobre 1971, cognac di origine francese, sul quale esse 
pagavano i tributi stabiliti dalla legge per l'alcool etilico �di prima 
categoria�, e cio� per gli alcolici privi di determinati requisiti di 
provenienza e di fabbricazione ovvero, in quanto prodotti fuori del 
territorio dello Stato, non suscettibili di controllo nella fase di lavorazione. 
2. -Le appellate nelle cause principali, che avevano adito il Tribunale 
di Milano per chiedere la restituzione delle somme versate, 
allegando la violazione dell'art. 95 del Trattato CEE durante i periodi 
sopra 'indicati, ottenevano, con sentenze rispettivamente datate 26 gennaio 
e 1� giugno 1978, la condanna dell'Amministrazione italiana delle 
finanze alla restituzione dei tributi indebitamente riscossi. 
4. -Il 31 agosto 1978, la suddetta Amministrazione interponeva 
appello contro tali sentenze e, nel corso del procedimento, si richiamava 
alla giurisprudenza della Corte Suprema di cassazione, che, 
nelle sentenze 1� marzo 1979, nn. 1317, 1318 e 1321, aveva Ticonosoiuto 
la legittimit�, nei confronti del diritto comunitario, del sistema impositivo 
contestato. In tal sede, l'Amministrazione faceva valere ohe la 
Commissione delle Comunit� Europee, con parere 28 febbraio 1969, 
aveva riconosciuto alla Repubblica italiana la facolt� di applicare il 
tributo in questione come strumento della sua politica agricola nel 
settore degli alcolici e di mantenere provvisoriamente in vigore il 
contestato regime d'imposizione differenziata. Essa sosteneva che, in 
tale parere, la Commissione aveva espressamente riconosciuto detto 
regime come un � aiuto � compatibile con le norme comunitarie, di 
guisa che doveva considerarsi legittima la riscossione del diritto erariale 
sui prodotti aikolici importati dalla Francia. 
5. -La Corte d'appello considera che i summenzionati elementi 
non sono sufficienti per risolvere il problema dinanzi ad essa sollevato. 
Essa osserva che, sebbene la Commissione avesse ammesso, nel 

308 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

parrere 28 febbraio 1969, fa possibilit�, per l'Itallia, di mantenere in vigore 
ed applicare il regime fiscale di cui trattasi come strumento della 
sua politica agricola, dopo tale data sono intervenuti vari fatti nuovi. 
In proposito essa ricorda la sentenza emessa da questa Corte il 
15 ottobre 1969 (causa 16/69, Commissione c/ Italia, Racc. pag. 377), 
nella quale si affermava che ,le acquaviti, i liquori e le alt:re bevande 
alcoliche non sono prodotti agricoli ai sensi del Trattato; la sentenza 
10 dicembre 1974 (causa 48/74, Cha:rmasson, Racc. pag. 1383), nella 
quale questa Corte si pronunciava nel senso che sono incompatibili 
col merca:to comune, dopo la scadenza del periodo transitorio, gli 
ostacoli frapposti agli scambi fra Stati membl1i, anche quando tali 
ostacoli fanno parte di un'organizzazione nazionale di mercato; infine, 
il parere motivato rivolto dalla Commissione alla Repubblica italiana il 
31 luglio 1978, in merito al trattamento fiscale differenziato per quanto 
riguarda l'applicazione sia del diritto erariale sia dell'imposta di fabbricazione. 


6. -Tenuto conto di questi elementi nuovi, nonch� degli argomenti 
dinanzi a!d essa svolti dalll'Amministrazione, ila Corte d'aippehlo 
ha chiesto a questa Corte di stabilire in via pregiudiziak: 
� -previa la determinazione dell'efficacia da attribuirsi ai pareri 
sopra espressi dalla Commissione ai sensi dell'art. 169 del Trattato 
istitutivo della CEE; se l'Italia, applicando alle acquaviti di vino importate 
da altri Stati membri un sistema di tassazione comprendente 
il diritto erariale nella misura di lire 60.000 a ettanidro (dal marzo 
1976, lire 90.000), non previsto e non applicato al prodotto nazionale 
similare, ha violato l'art. 95 del Trattato; 

-se, dopo l'inizio dell:a seconda tappa, prevista dal terzo comma 
dell'art. 95 qua:le termine ultimo per l'abolizione delle norme interne 
in contrasto con il principio della parit� tributaria stabilito nei commi 
primo e secondo dello stesso articolo, potesse essere ammesso, in 
via ,di deroga, il mantenimento, per l'Italia, di una preesistente discriminazione 
nell'importazione dell'acquavite di vino�. 

Su taluni antefatti delle presenti cause. 

7. -Dai documenti prodotti in causa dal Governo italiano risulta 
che, 1'8 maggio 1968, la Commissione aveva inviato al Ministro italiano 
degli affari esteri una lettera del seguente tenore: 
� La prego di voler sotroporre all'1attenzione del Governo italiano 
quanto segue in materia di imposte sull'alcool. 

La legisfazione fiscale italiana in materia di imposte sull'alcool 
prevede che gli alcooli paghino un diritto erariale di 60.000 Lire/hl di 
alcool puro e un'imposta di fabbricazione di 60.000 Lire/hl di alcool 


PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

puro. Numerose riduzioni sono previste a favore di alcuni prodotti, 
tra cui le acqueviti di vino e di vinaccia. Queste acqueviti sono esenti 
dal diritto erariale e pagano l'imposta di fabbricazione nella misura 
di 53.000 Lire/hl per le acqueviti di vino e di 50.000 Lire/hl per le 
acqueviti di vinaccia. 

Ora, le acqueviti di vino e di vinaccia importate assolvono H diritto 
erariale nella misura di 60.000 Lire/hl di alcool puro e l'imposta 
di fabbricazione nella misura di 60.000 Lire/hl di alcool puro. 

Tale imposizione differenziata, a detrimento dei prodotti importati, 
� contraria all'articolo 95 del Trattato. 

(omissis). 

Con lettera del 4 novembre 1965 la Commissione ha gi� inviato 
al Governo italiano le sue osservazioni su questi problemi. Con lettera 
della Rappresentanza permanente italiana presso le Comunit� 
Europee, in data 12 febbraio 1966, il Governo italiano ha fatto conoscere 
alla Commissione il suo parere. Secondo il Governo italiano le 
imposizioni differenziate, in materia di ailcool, avrebbero [O scopo di 
permettere la coesistenza delle diverse sostanze per la fabbricazione 
di alcool e per ci� stesso di assicurare lo smercio di talune materi� 
prime alcooligene agricole. Di conseguenza l'abolizione di questo regime 
differenziato potrebbe essere prevista solo quando gli interessi 
agricoli italiani di questo settore fossero rpresi in carico, nel quadro 
della politica agricola comune in materia di alcool. D'altra parte, le 
autorit� italiane fanno presente che discriminazioni, come minimo, altrettanto 
rilevanti esistono negli altri Stati membri, quali quelle risultanti 
dail.J.'esistenza dei monopoli in Fmncia e in Germania. 

La Commissione non intende affatto negare l'esistenza dei problemi 
agricoli posti dall'alcool in Italia. Ritiene, pertanto, che 1e imposizioni 
differenziate, previste dalla legislazione italiana e dovute all'applicazione 
del diritto erariale, pos,sono sussistere provvisoriamente, 
dato che H diritto erariale costitruisce, in un certo senso, lo strumento 
della politica agricola italiana in materia di alcool, permettendo agli 
alcooli di qualsiasi origine di trovare smercio sul mercato quale che 
sia il costo della materia prima. 

Le esigenze agricole, tuttavia, non giustif�.<:ano tutte le suddette 
differenze di imposizione tra prodotti nazionali e prodotti importati; 
le necessit� agricole sono gi� a carico del diritto erariale, pagato dai 
soli prodotti importati. Ne risulta che considerazioni di carattere 
agricolo non possono essere invocate anche per l'imposta di fabbricazione, 
al fine di giustificare le imposizioni differenziate a detrimento 
delle acqueviti di vino e di vinaccia importate e dei prodotti similari 
al vermouth e al marsala importati. 

Per questi motivi, la Commissione ritiene che la Repubblica italiana 
ha mancato agli obblighi che le sono imposti dal Trattato per 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

quanto riguarda la riduzione dell'imposta di fabbricazione sulle acqueviti 
di vino e di vinaccia e la riduzione dell'imposta di fabbricazione 
sull'alcool utilizzato per la fabbricazione del vermouth e del 
marsala. La Commissione, pertanto, invita .il Governo della Repubblica 
italiana, a norma dell'art. 169 del Trattato, a voler farle conoscere le 
proprie osservazioni sul punto di vista in merito a quanto ha l'onore 
di sottoporgli, entro il termine di un mese dalla ricezione della presente 
lettera. La Commissione si riserva di emettere, se necessario, 
dopo aver preso conoscenza di dette osservazioni, il parere motivato 
previsto dall'art. 169 �. 

8. -Poich� il Governo italiano non dava seguito alle richieste 
della Commissione, questa formulava nei seguenti termini, il 28 febbraio 
1969, un parere motivato ai sensi dell'art. 169 del Trattato, in 
merito alle imposte di consumo sull'alcool : 
�In Italia, gli alcoli nazionali sono soggetti al diritto erariale di 

60.000 lire per ettolitro d'alcole puro e all'imposta di fabbricazione di 
60.000 lire per ettolitro d'alcole puro. Sono previste numerose riduzioni, 
in parrticolare per le aoquaviti di vino e di vinaocia, ohe sono 
esentate dal diritto erariale e soggette all'imposta di fabbricazione di 
53.000 lire per le acquaviti di vino e 50.000 lire per le aoquaviti di 
vinaccia. 
Le acquaviti di vino e di vinaccia importate in Italia sono invece 
soggette al diritto erariaile di 60.000 Hre rper ettolitTO di alcOile puro 
e all'imposta di fabbricazione di 60.000 lire per ettolitro di alcole 
puro. (omissis). 

Fin dal novembre 1965 la Commissione ha richiamato l'attenzione 

del Governo italiano sul carattere discriminatorio di questo regime. 

Successivamente, con >lettera... de11'8 maggio 1968, la Commissione 
ha avviato la procedura di cui all'articolo 169 del Trattato CEE per 
violazione dell'articolo 95 di detto Trattato. Nella sua risposta, mediante 
lettera del 23 luglio 1968 della Rappresentanza permanente 
dell'Italia, il Governo italiano ha informato la Commissione che non 
intendeva sopprimere le tassazioni differenziali in questione fintan-i 
toch� non si �fosse provveduto a modificare i monopoli nazionali esistenti 
in Germania ed in Francia e non fosse stata istituita una politica 
agraria comune per questo settore. (omissis). 

La argomentazioni addotte non sono di natura tale, a parte un 
unico punto, da mettere in discussione la fondatezza del punto di 
vista espresso dalla Commissione nella sua lettera de11'8 maggio 1968. 
Va anzitutto rilevato che in nessun caso gli Stati membri possono 
addurre le infoazioni di uguale natura compiute da altri Stati membri 
per sottrarsi agli obblighi che derivano loro dalle disposizioni del 
Trattato. 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Quanto all'argomento secondo cui l'Italia attua fa sua politica 
agraria in materia di alcole ricorrendo all'imposta e potr� modificare 
la sua posizione soltanto nel quadro dell'attuazione di una politica 
comune in materia �di alcoli, Ja Commissione ha gi� ammesso, nella 
succitata lettera dell'8 maggio 1968, che l'Italia poteva effettivamente 
applicare l'imposta come strumento della sua politica agraria in tale 
settore e mantenere provvisoriamente, in tale quadro, le tassazioni 
differenziali sino �a concorrenza dell'importo di 60.000 lire per ettolitro 
d'alcole puro derivanti dall'applicazione del diritto erariale. Il ricorso 
a siffatte differenziazioni consente idi �smericiare gli alcoli ad un 
prezzo pi� o meno uniforme, qualunque s.ia il loro prezzo di costo �. 

9. -Nello stesso parere motivato, fa Commissione constatava 
un inadempimento relativo a vari altri aspetti del regime fiscale in 
questione, a prescindere dal diritto erariale. Da notare che questo 
parere motivato non portava ad un ricovso dinanzi alla Corte. 
10. -Il 31 luglio 1975 la Commissione inviava al Governo italiano, 
in forza dell'art. 169, primo comma, una nuova comunicazione nella 
quale venivano formulate, dal punto di vista del divieto di discriminazione 
di cui all'art. 95, talune critiche nei confronti del regime fiscale 
vigente in Italia per gli alcolici, relativamente all'imposta di 
fabbricazione, al diritto erariale normale e al diritto erariale speciale, 
e nella quale si chiedeva al Governo italiano di abolire le discriminazioni 
che detto regime implicava nei confronti dei prodotti importati 
da altri Stati membri. 
11. -Poich� le autorit� italiane non davano seguito a questo 
nuovo intervento con piena soddisfazione della Commissione, questa 
formulava, il 31 luglio 1978, un parere motivato in merito al �trattamento 
fiscale differenziato per quanto riguarda l'applicazione della 
imposta di fabbricazione e del diritto erariale sugli alcool. Neppure 
a questo parere motivato faceva seguito un ricorso alla Corte. 
12. -Nel presente procedimento, il Governo italiano ha sostenuto 
la tesi secondo cui il regime impositivo in questione non � 
altro, in realt�, che un aiuto a favore dell'agricoltura, concesso sotto 
forma di agevolazione fiscale riservata alla produzione nazionale. A 
suo avviso, questo regime di aiuto � stato autorizzato col parere motivato 
28 febbraio 1969 e, in mancanza di qualsiasi atto contrario, tale 
autorizzazione sussiste tuttora e, in quanto legittima, non pu� essere 
disattesa dai giudici nazionali. Anche in mancanza di autovizzazione, 
l'aiuto -preesistente all'entrata in vigore del Trattato -potrebbe 
essere mantenuto ai sensi dell'art. 93. 


312 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Sulla portata delle prese di posizwne e dei pareri emessi dalla Commissione 
nell'ambito del procedimento di cui all'art. 169. 

13. -Le questioni formulate dalla ,corte d'appello mirano in 
primo luogo a stabilire quali silano, sul piano giuridico, la portata e 
il valore dei pareri emessi dalla Commissione nell'ambito del procedimento 
disciplinato dall'art. 169 del Trattato per !� ricorsi relativi 
a inadempimento da parte di uno Stato. Pi� precisamente, si tratta 
di determinare quale possa essere l'efficacia giuridica di un'assicurazione 
del genere di quella fornita dalla Commissione nella lettera di 
messa in mora in data 8 maggio 1968 e nel parere 28 febbraio 1969, 
emesso in forza deWart. 169 del Trattato, parere che autorizzava l'Italia 
a mantenere provvisoriamente un regime di � imposizione differenziata 
>>. 
14. -L'art. 169 dispone che la Commissione, quando reputi che 
uno Stato membro abbia mancato ad uno degli �obblighi ad esso incombenti 
in forza del Trattato, �emette un parere motivato al riguardo, 
dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue 
osservazioni�. Esso aggiunge che, qualora lo Stato in causa non s!�. 
conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa 
pu� adire la Corte di giustizia. 
15. -Lo scopo di questo procedimento preliminare, che s1 mquadra 
nell'ambito generale della mdssione di vigilanza affidata alla 
Commissione dall'art. 155, primo trattino, � anzitutto quello di dar 
modo allo Stato membro di giustificare la propria posizione ed eventualmente 
di consentire alla Commissione di indurre lo Stato membro 
a conformarsi volontariamente alle esigenze del Trattato. Qualora tale 
sforzo di accomodamento non sia coronato da successo, hl parere motivato 
serve a definire l'oggetto della controversia. 
16. -Per contro, la Commissione non ha il potere di stabilire in 
modo definitivo, con i pareri formulati ai sensi dell'art. 169 o mediante 
altre prese di posizione nell'ambito del relativo procedimento, 
i diritti e gli obblighi dello Stato membro interessato, o di dare a 
questo garanzie relative alla compatibilit� col Trattato di un determinato 
comportamento. Secondo il sistema istituito dagli artt. 169-171 
del Trattato, la determinazione dei diritti e degli obblighi degld Stati 
membri e il giudizio sul loro comportamento possono riisultare unicamente 
da una sentenza della Corte. 
17. -A maggior ragione, la Commissione non pu�, nelle prese di 
posizione e nei pareri che sia portata ad emettere ai sensi dell'art. 169, 
dispensare uno Stato membro dal rispetto degli obblighi ad esso incombenti 
in forza del Trattato. Assicuraziioni in tal senso non possono, 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

in particolare, avere l'effetto di impedire agli amministrati di far 
valere in sede giurisdizionale, contro atti legislativi o amministrativi 
di uno Stato membro che siano incon1patibili col diritto comunitario, 
diritti loro attribuiti dal Trattato. 

18. -La prima delle questioni .formulate dal giudice a quo va 
quindi risolta affermando che i pareri emessi daHa Commissione ai 
sensi dell'art. 169 hanno efficacia giuri.dica soltanto in relazione al 
ricorso per inadempimento proposto alla Corte contro lo Stato iinteressato, 
e che la Commissione non pu�, mediante prese di posizione 
nell'ambito del relativo procedimento, esonerare lo Stato membro dagli 
obblighi ad esso incombenti o pregiudicare i diritti spettanti ai 
singoli in forza del Trattato. 
Sulla compatibilit� con l'art. 95 di un regime d'imposizione differenziata 
dell'alcool. 

19. -La seconda del1e questioni sottoposte alla Corte � intesa a 
stabilire se uno Stato membro possa applicare ai prodotti alcolici 
originari di altri Stati membri un tributo dal quale i prodotti nazionali 
similari sono, in tutto o in parte, esenti. 
20. -Dalle ordinanze di rinvio risulta che iI rapporto di similarit�, 
ai sensi dell'art. 95, fra il prodotto importato (nella fattispecie, 
cognac d'origine francese) e il prodotto nazionale concorrente (nella 
fattispecie, acquavite di vino o di vinaccia) non � contestato. Secondo 
le indicazioni fornite dal Governo italiano, la differenza di trattamento 
fiscale fra l'una e l'altra merce risulta dal fatto che l'alcool importato, 
classificato come �alcool di prima categoria�, � in quanto tale 
integralmente gravato dall'onere del tnibuto, mentre i �conrispondenti 
alcool di produzione nazionale sono esenti dal diritto erariale, dal momento 
che rientrano nella � seconda categoria�, nella quale possono 
essere classificati soltanto prodotti suscettibili di controllo, nella fase 
della lavorazione, nel territorio dello Stato italiano. 
21. -Come questa Corte ha affermato in una giurisprudenza costante 
(cfr., da ultimo, la sentenza 14 gennaio 1981, causa 140/79, S.A. 
Chemial Farmaceutici), il diritto comunitario non limita, nello stadio 
attuale della sua evoluzione, la libert� di ciasclltilo Stato membro di 
istituire sistemi impositivi differenziati per taluni prodotti, in fwnzione 
di criteri obiettivi, quali la natura delle materie prime impiegate 
o i procedimenti di fabbricazione seguiti. Siffatte differenziazioni 
sono compatibili col diritto comunitario purch� perseguano scopi di 
politica economica compatibili, anch'essi, con gli imperativi del Trattato 
e del diritto derivato, e �le loro modalit� siano tali da evitare qual

314 RASSEGNA DELeA:VVOCATURA DELLO STATO 

siasi forma di discriminazione, diretta o indiretta, nei confronti dei 
prodotti importati dagli altri Stati� membri, o di protezione a favore 
di prodotti nazionali concorrenti. 

22. -Ora, il fatto di subordinare la concessione di un'esenzione 
fiscale o l'applicazione di un'aliquota ridotta alla possibilit� di un 
controllo della produzione nell'ambito del territorio nazionale costituisce 
una condizione che, per ipotesi, non pu� essere soddisfatta dai 
prodotti similari importati da altri Stati membri. Una siffatta esigenza 
ha l'effetto di escludere a priori questi prodotti dal godimento dehla 
agevolazione fiscale in questione e di riservare tale agevolazione ai 
prodotti nazionaili. � quindi evidente che un siffatto sistema impositivo 
� discriminatorio e, come tale, ricade sotto il divieto di cui 
aH'art. 95. 
23. La seconda delle questioni formulate dal giudice a quo 
va quindi risolta affermando che un sistema di tassazione dell'alcool 
strutturato in modo da riservare alla sola produzione nazionale esenzionf 
o riduzioni dell'aliquota fiscale costituisce una discriminazione 
vietata da>U'art. 95 del Trattato. 
Sull'efficacia nel tempo dell'art. 95 e sui rapporti di questa norma con 
il regime degli aiuti. 

24. -La terza delle questioni sottoposte alla Corte riguarda il 
problema del se, alla scadenza del termine stabilito dal terzo comma 
deH'art. 95, uno Stato membro _potesse essere 'autorizzato, in via 
di deroga, a mantenere una preesistente discriminazione nel regime 
fiscale vigente per l'importazione delle acquaviti di vino. 
25. -Da1l fascicolo, nonch� dagli a:11gomenti svolti dal Governo 
italiano nel corso del presente procedimento, msulta che si tratta, per 
il giudice nazionale, di sapere se l'opinione espressa dalla Commissione 
nella lettera 8 maggio 1968 e nel parere motivato 28 fiebbraio 
1969 in merito al provviisorio mantenimento del regime di �imposizione 
differenziata � in materia di diritto erariale possa eventualmente 
equivalere all'approvazione di un aiuto ai sensi degli artt. 92 e 93 del 
Trattato, anche dopo la scadenza del termine fissato dall'art. 95, terzo 
comma. 
26. -A norma dell'art. 95, terzo comma, �g1i Stati membri aboliscono 
o modificano, non oltre l'inizio della seconda tappa, le disposizioni 
esistenti al momento dell'entrata in vigore del presente Trattato 
che siano contrarie alle norme che precedono �. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 315 

27. -Dalla suddetta norma risulta che la data del 31 dicembre 
1961 costituiva il limite ultimo entro il quale gli Stati membri dovevano 
aver eliminato dalle loro legislazioni e prassi fiscali qualsiasi 
misura incompatibile col divieto di discruminazione enunciato nei primi 
due commi dell'art. 95. � quindi a partire da tale data che questi 
hanno acquistato piena affi.cacia e possono esser fatti valere dai singoli 
nei confronti di qualsiasi Stato membro. 
28. -La tesi sostenuta dallo Stato italiano, sia dinanzi al giudice 
nazionale sia dinanzi a questa Corte, nel senso che la deroga stabilita 
dalla Commissione nella lettera 8 maggio 1968 e nel parere motivato 
28 febbraio 1969 costituirebbe l'autorizziazione di un aiuto ai 
sensi del Trattato, � inammissibile in fatto e in didtto. Basta osser� 
vare in proposito che, secondo il sistema del Trattato, nessun aiuto 
pu� essere istituito n� autorizzato sotto forma di discriminazione fi. 
scale, da parte di uno Stato membro, nei confronti di prodotti ori� 
ginari di altri Stati membri. 
29. -La terza delle questioni formulate dal giudice a quo va 
quindi risolta affermando che, a norma del terzo comma dell'art. 95, 
il divieto di discriminazione sancito dai primi due commi dello stesso 
articolo ha prodotto pienamente i suoi effetti a partire dal t0 gennaio 
1962 e che uno Stato membro non poteva essere autoni.zzato a 
mantenere, dopo tale data, una discriminazione fiscale preesistente nel 
regime vigente per l'importazione delle acquaviti originarie di altri 
Stati membri. 
Sull'efficacia nel tempo della presente sentenza. 

30. -Nelle osservazioni presentate alla Corte, il Governo italiano 
ha chiesto che quest'ultima, qualora dovesse dichiarare l'inefficacia 
degli atti della Commissione per quanto riguarda l'applicazione, 
nella fattispecie, del divieto di cui all'art. 95, Hmiti fa portata della 
propria sentenza alle eventuali indebite percezioni di tributi che dovessero 
verificarsi in futuro, sancendo invece, per il passato, la definitivit� 
degli effetti della deroga concessa dalla Commissione. 
31. -A tale scopo esso fa valere, in primo luogo, il precedente 
della sentenza 8 aprile 1976 (causa 43/75, Defrenne, Racc. pag. 455), 
nella quale la Corte si sarebbe riconosciuto, in base al principio generale 
della certezza del diritto, il potere di limitare, eocezionalmente, 
la possibilit� degli interessati di far valere le sue sentenze. A queste 
considerazioni si aggiungerebbe, nella fattispecie, la necessit� di tutelare 
il legittimo affidamento che il Governo italiano poteva fare sulla 
validit� di una misura fiscale che era stata espressamente autorizzata 
dall'esecutivo comunitario. 

316 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

32. -In secondo luogo, il Governo italiano richiama l'attenzione 
sul fatto che i tributi in questione sono stati trasferiti da~i importatori 
sui commercianti, di guisa che una loro restituzione implicherebbe 
un grave onere per le finanze pubbliche italiane, senza alcun 
corrispondente vantaggio per i consumatori, i quali sono stati, in 
definitiva, gli unici soggetti colpiti dalla misura fiscale di cui trattasi. 
33. -Per quanto riguarda il primo argomento, si deve ricordare che 
la norma del Trattato da applicare nella fattispecie, e cio�, l'art. 95, 
e la questione della sua efficacia diretta costituiscono oggetto di una 
ormai consolidata, abbondante e dettagliata giurisprudenza, che non 
lascia sussistere alcun dubbio circa la portata di tale disposizione. In 
proposito, basta ricordare che, gi� nella sentenza 14 dicembre 1962 
(cause riunite 2 e 3/62, Commissione c/ Granducato del Lussemburgo 
e Regno del Belgio, Racc. pag. 793), emessa nello stesso periodo in 
cui venivano riscossi i tributi di cui � causa, la Corte sottolineava le 
rigorose esigenze inerenti a questa norma del Trattato. 
34. -Quanto ai provvedimenti fiscali che costituiscono oggetto 
della controversia, va rilevato che, anche se le prese di posizione della 
Commissione in proposito, dal 4 novembre 1965, potevano creare, nei 
riguardi delle autorit� italiane, un'apparenza di legittimit�, le incertezze 
manifestatesi tanto ,sul piano comunitario quanto sul. piano nazionale, 
dopo tale data, circa la compatibilit� dei provvedimenti in 
questione col diritto comunitario escludono ohe il Governo italiano 
possa far valere, nella fattispecie, ile esigenze della certezza del diritto 
o l'esistenza di una situazione di legittimo affidamento, in modo da 
giustificare una limitazione nel tempo della portata della presente 
sentenza. 
35. -Quanto all'argomento basato sulla circostanza che i tributi 
la cui restituzione costituisce oggetto delle cause principali sarebbero 
stati trasferiti sui consumatori, si deve precisare che la tutela dei 
diritti garantiti in materia dall'ordinamento giuridico comunitario non 
esige che si conceda la restituzione di tributi, indebitamente riscossi, 
in condizioni tali da causare l'indebito arricchimento degli aventi diritto. 
Nulla impedisce quindi, dal punto di v.ista del diritto comunitario, 
che i giudici nazionali tengano conto, conformemente ail proprio diritto 
interno, della possibilit� che i tributi indebitamente percepiti siano 
stati incorporati nei prezzi dell'impresa assoggettata al pagamento e 
trasferiti sug1i acquirenti ~sentenza 27 marzo 1980, causa 61/79, Amministrazione 
delle finanze c/ Denkavit italiana, Racc. pag. 1205). (omissis). 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 2 marzo 1981, n. 1203 -Pres. Rossi -Rel. 
Buffoni -P. M. Berri (conf.). Riccioni (avv. Funari) c. Ministero del 
Tesoro (avv. Stato Cerocchi). 

Giurisdizione civile -Impiego pubblico -Presupposti -Atto di nomina Mancanza 
-Irrilevanza -Controversie -Giurisdizione del giudice amministrativo 
-Sussiste. 

Sono requisiti necessari e sufficienti, al fine di identificare un rapporti:: 
di pubblico impiego, la natura pubblica dell'ente ed il concreto 
inserimento del lavoratore nell'apparato organizzativo dell'ente, in regime 
di subordinazione gerarchica, mentre non � necessario un atto 
formale (o uno scritto equipollente) dal quale emerga la volont� dell'ente 
di inserire il lavoratore nella propria organizzazione, e le controversie 
relative, anche se vertono sulla responsabilit� del datore di lavoro 
.per violazione delle norme sulle assicurazioni sociali, rientrano �nella 
giurisdizione del giudice amministrativo. 

(Omissis). Nel giudizio di appello si � peraltro discusso sulla natura 
del rapporto intercorso tra l'ente ed il Riccioni. 

Va subito detto che il riferimento che il ricorrente f� alla normativa 
sugli incarichi previsti dal t.u. sull'istruzione superiore (r.d. 31 agosto 
1933, n. 1592, art. 12) � affatto inconferente poich� detta disciplina. 
riguarda la universit� e gli istituti superiori collateiiali espressamente 
previsti dal citato decreto, fra i quali non � e non poteva essere compresa 
l'Accademia della GIL appartenente a tutt'altva organizzazione e 
istituita per ben diversi fini. 

Che l'attivit� del Riccioni si sia svolta nell'ambito 'di un rapporto 
d'impiego non � difficile dimostrare avuto riguardo al�la durata di essa 
(ben ventinove anni) alla predeterminazione della retribuzione ed alfa 

(1) Questa sentenza, gi� preceduta da altra pronuncia (cfr. Cass., 27 febbraio 
1980, n. 1352), rappresenta una evoluzione della giurisprudenza per la 
identificazione di un rapporto di pubblico impiego, che viene ad esistenza anche 
se non esiste un atto formale di nomina. In tal senso pu� ritenersi superata la 
giurisprudenza che riteneva nell'ipotesi ora considerata la sussistenza di un 
rapporto di impiego privatistico. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

commisurazione di essa ad anno, al vincolo di subordinazione insito nelle 
prestazioni dell'insegnante nell'organizzazione predisposta daill'ente per 
il funzionamento della scuola, alla corresponsione dei contributi assicurativi 
nel periodo successivo al 1953, nel quale il rapporto si svolse 
con le stesse modalit� di quello precedente. 

La Corte territoriale ha, peraltro, escluso la natura pubblica del-
l'impiego sul rilievo che era carente l'atto di nomina poich� questo 
non poteva essere presunto dal primo giudice dopo che il medesimo 
aveva affermato che non era mai �esistito�. 

I giudici dell'appello hanno, quindi, ritenuto ohe l'atto formale di 
nomina � requisito necessario per fa costituzione del rapporto di pubblico 
impiego, adottando un principio che si riscontra in talune decisioni 
di queste sezioni unite. Rispetto alle quali, rpe:rialtro, vi � stato 
un mutamento d'indirizzo che dall'esigenza di un atto formale di nomina 
(da ultimo, sent. n. 3258/1977) � passato alla sufficienza dell'atto 
di nomina, bench� privo di particolari formalit�, o di equipollenti di 
tale atto ravvisabili in documenti, 'anche successivi 'alla costituzione del 
rapporto, che forniscano fa prova dell'avvenuto inserimento del dipendente 
nell'apparato pubblicistico per l'esercizio di mansioni inerenti ai 
fini istituzionali dell'ente, ancorch� non contengano una tipica ed espressa 
manifestaZJione di volont� (in tale senso fra [e altre, sentt. nn. 2460-3658/ 
1978; 3070/3655/1979). 

Da ultimo, si � riaffermat� 1l'irri!levanZJa dell'atto di nomina (sailvo che 
esso non sia anche implicitamente richiesto da specifiche 1I1orme) sul rilievo 
che requisiti necessari e sufficienti, al fine dell'identificazione di un 
rapporto di pubblico impiego, sono la natura pubblicistica dell.'ente datore 
di lavoro ed il concreto inserimento del lavoratore nell"arpparato 
organizzativo dell'ente {sentt. nn. 6444/1979; 2070/3239/5498/5680/5681 del 
1980); e si � pure precisato che al predetto fine, non � necessarfo che 
la volont� dell'ente di inserire il lavo:riatore nella propria orgianizzazione 
emerga dall'atto formale di nomina o da uno scritto equipollente, rpoich� 
conta esclusivamente che '1e prestazioni del soggetto siano date e rioevute 
in regime di subordinazione, nell'ambito di detta organizzazione e 
per i fini pubblicistici del datore di lavoro, s� da realizzare l'indicato inse


rimento (sent. n. 1352/1980). 

Nel ribadire questo orientamento, giova precisare che esso non prescinde 
dalla sussistenza della volont� deM'ente diretta alla costituzione 
del rapporto, ma postula che detta volont� possa essere manifestata in 
qualsiasi modo, purch� risulti adeguata ed univoca; perci� non necessariamente 
con un atto scritto, ma anche con fatti e comportamenti, i 
quali, per essere conaludenti ed univoci devono rivelare non soltanto� 
che l'ente ha fatto proprie le prestazioni del soggetto, ma anche che le 
ha volute come attivit� da utilizzare nell'ambito della sua organizzazione. 


PARTE L SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 319 

Tale volont�, nella specie, emerge dagli elementi gi� posti. in evidenza 
per escludere la �sussistenza di un contratto di prestazioni autonome 
di opera professionale e per ritenere la costituzione di un rapporto 
di impiego (continuit� del rapporto, predisposizione e modalit� di commisurazione 
della retribuzione, assoggettamento dell'attivit� d'insegnamento 
alle esigenze organizzatorie della scuola, identit� di modalit� di 
attuazione del rapporto per la durata quas,i trentennale del suo svolgimento, 
versamento dei contributi assicurativi nel periodo 1953/1970). 

Conclusivamente deve affermarsi che nella specie concorrono gli 
estremi del rapporto di impiego pubblico e che la controversia insorta tra 
fo parti, vertendo sulla responsabilit� del datore di lavoro per violazione 
delle norme sulle assicurazioni sociali, fa cui osservanza gli � imposta 
quale soggetto del rapporto stesso, trova in questo titolo immediato e 
diretto. Pertanto, ai sensi degli artt. 29 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e 7 
della il:egge 6 dicembre 1971, n. 1034 non modificato dalla legge 11 agosto 
1973, n. 533, va dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
a conoscere della controversia come sopra individuata (da 
ultimo, sez. un. sentt. nn. 6021/1979; 4173/1980). (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 marzo 1981, n. 1687 -Pres. Rossi -
Rel. Buffoni -P. M. Silocchi (conf.). -Martuscelli (avv. Martuscelli) c. 
Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Mataloni). 

Impiego pubblico -Funzionari onorari -Componenti delle Commissioni di 
controllo regionali -Indennit� -Misura -Controversia � Giurisdizione 
di legittimit� del giudice amministrativo. 

Ai componenti delle commissioni di controllo regionali, nella qualit� 
di esperti di discipline amministrative, � attribuita una indennit� per 
ogni giornata di seduta, nella misura e con le modalit� da determinarsi 
nel regolamento; una controversia sulla misura della indennit� non rientra 
nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, perch�, tenendosi 
conto del rapporto tra i membri e la p.a., essi sono funzionari 
onorari; n� rientra nella giurisdizione ordinaria, perch� manca una norma 

(1) Cfr. Corte cost., 25 marzo 1971, n. 70, la quale ha escluso che l'art. 136 Cost. 
possa operare nei confronti di soggetti investiti di funzioni onorarie �ed ha escluso 
altres� che per questi possa prospettarsi una qualsiasi valutazione comparativa in 
relazione all'art. 3 Cost. 
In definitiva, quindi, non essendo configurabile un diritto soggettivo tutelabile 
al livello costituzionale del funzionario onorario ad un qualsiasi trattamento 
economico, a maggior ragione non � neppure configurabile una tutela a livello 
costituzionale o con riferimento a norme costituzionali che quel diritto presupporrebbero, 
in ordine alla misura del trattamento economico che sia eventualmente 
previsto: principi, tutti questi, di cui ha gi� avuto occasione di fare corretta 
applicazione (a proposito delle indennit� previste per i membri delle commissioni 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

(di relazione) che tuteli in modo diretto l'interesse individuale che possa 
assurgere a diritto soggettivo; rientra invece nella giurisdizione generale 
di legittimit� del giudice amministrativo, in quanto l'attivit� della p.a., 
nel commisurare la �ndennit�, in assenza di norme che la vincolino direttamente, 
� tipicamente discrezionale, e ci� qualifica la posizione soggettiva 
del privato come interesse legittimo (mentre di diritto soggettivo 
pu� parlarsi solo in seguito e in funzione della concreta determinazione 
della misura dell'indennit�, e nei limiti contenutistici risultanti da tale 
determinazione) (1). 

(Omissis). Come gi� si � accennato, l'art. 44 delila legge n. 62 del 
1953, istitutiva delle commissioni di controfilo regionaLi, stabilisce che 
ag:li esperti nelle disoipline amministrative nominati membri delle predette 
commissioni � attribuita un'indeillilit�, per og:ni giomata di seduta, 
nella misura e con le modalit� da determinarsi nel regolamento. 

Ora � indubbio che i membri deLle commissioni non sono pubblici 
impiegati ma funzionari onorari sicch� sul rapporto che la legge istituisce 
fra essi e :J'amministmziione non sussiste la giurisdizione esolusiva 
del giudice amministrativo. 

Perci� � in rela2lione alla natura che l'interesse sostanziale dedotto 
assume nell'ordinamento che deve essere individuato il giudice che ha la 
giurisdizione. Per attribuirla al giudice ordinario occorrerebbe che, come 
assumono i ricorrenti, nella disposizione su citata possa ravvisarsi una 
norma (di relazione) che tuteli in modo diretto l'interesse fatto valere 
sicch� esso assuma '1a figura del diritto soggettivo. 

Senonch� il testo legislativo, lungi dall'indicare criteri. obbiettivi, 
come elementi della fattispecie legale, che vincolino l'Amministrazione 
nella determinazione dell'indennit�, si limita ad att11ibuire ai componenti 
le commissioni il diritto ad un'indennit� per ogni seduta; mentre, 
in ordine alla misura e alle modalit� di corresponsione di essa, 1a norma 
demanda ali regolamento senza fissare a:lcuna presorizione tassativa e 
neppure orientativa (salvo que11a secondo cui l'indennit� � dovuta per ciascuna 
seduta). 

tributarie) il tribunale di Trieste con la sentenza 4 giugno <1977, n. 438/77 in causa 
Amodio c./ Min. Finanze, sentenza con la quale � stato osservato: � Conseguenza 
dell'espletamento delle funzioni onorarie � l'assenza di qualsiasi natura retributiva, 
onde l'inapplicabilit� degli schemi normativi indicati ed invocati dall'attore 
(riguardando in particolare l'art. 36 della Costituzione la retribuzione professionale 
dei lavoratori) e non essendovi dubbio che la propria opera a vantaggio di altri 
possa essere prestata a titolo gratuito (cfr. Cass., sez. Il, 14 novembre 1972, 

n. 3389). 111 "compenso" per �1':attivit� prestata ha dunque chiaramente un 
carattere del tutto accessorio rispetto alla dignit� sociale riconosciuta nel conferimento 
dell'incarico e che qualifica la funzione (la quale, comunque, � libera 
e rinunciabile) �. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

D'altra parte � da esoludere che parametri o criteri orientativi possano 
trarsi aliunde ed in particolare dalla disposizione secondo cui i componenti 
della commissione che siano pubblici funzionari 1sono esonerati 
da ogni altro lavoro. A prescindere dal.fa considerazione che Ja � ratio � 
di questa norma va ricercata nell'esigenza dii ovviare a possiibili incompatibilit�, 
va notato che lo �status� degli esperti liberi professionisti 
non � comparabile, agli effetti di cui si discute, con quello dei detti 
funzionari; i quali, in quanto legati alle amministmzioni di provenienza 
da un rappotro di pubblico impiego, debbono tenemi. a disposizione della 
commissione a tempo pieno, e quindi osservare un orario ed assolvere 
presumibilmente anche incombenze burocmtiche preparatorie e conseguenti 
rispetto alle funzioni collegiali propri.e dell'organo, ed in ogni 
oaso -a differenza degli altri membri -non possono svolgere altre 
attivit�. 

Pertanto, in assenza di disposizioni che la vincolino direttamente o 
indirettamente, l'attivit� demandata alla pubblica amministrazione in ordine 
alla commisurazione dell'indennit�, � tipicamente discrezionale. 

In quest'ambito, ai fini della qualificazione della posizione soggettiva 
del privato sulla quale detta attivit� interferisca, � pertinente e decisivo 
ill rilievo che essa ancorch� destinata a riflettersi -in senso positivo o 
negativo -su interessi privati, � sempre essenziailmente e fondamentalmente 
dominata dalla considerazione dell'interesse pubbLico, sia pur al 
fine dell'equo contemperamento con interessi concorrenti dei cittadini. 
Il che comporta che questi (salvo il oaso di atti, che in assoluta carenza 
di potere, ledano diritti soggettivi precostituiti) sono configurabili, se 
coinvolti, come interessi legittimi, giacch� assumono riil.ievo giuridico in 
funzione dell'interesse pubblico, e sono quindi tutelahiili, occasionalmente 
ed :indirettamente, attraverso il sindacato di legittimit� devoluto ail giudice 
amministrativo in o:ridine al modo (eventualmente scorretto) di esercizio 
del potere, qualora si alleghi che l'atto � inficiato da incompetenza 
ovvero da vizio di forma o di contenuto, ed in particolare -con riferimento 
al contenuto -dai vizio di eccesso di potere nelle sue varie m~ 
nifestazioni. 

Ora, nel caso in esame, in presenza del potere discrezionale come 
sopra demandato a:lla p.a., ricorre appunto la fattispecie test� esaminata; 
e la situazione giuridica dei soggetti interessati, per ci� che concerne il 
provvedimento di commisurazione dell'indennit� ed i criteri all'uopo adot� 
tati, � esattamente tutelabile come interesse legittimo (mentre -come � 
ovvio -assurge a diritto soggettivo solo a seguito ed in funzione della 
concreta determinazione della misura dell'indennit� da patte dell'ammi� 
nistrazione, e quindi nei limiti contenutistici risultanti da taile determinazione). 



322 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 

I

Ci� posto risutlta!Ilo inconferenti sia l'allega:llione da parte dei ricorrenti 
dei due pretesi vizi di violazione di legge e di eccesso di potere, 
sia il richlamo al principio che anche al giudice 011dinario spetta, ai 
sensi delil'art. 5, legge 20 marzo 11865, ai11. E, �Jl sindacato :suhla conformit� 
alla legge dell'atto amministrativo, sia pure al solo fiine delJla disappli


I

cazione di esso. 

Infatti, poich� la posizione giuridica dedotta via qualificata come 
interesse '1egittimo, non � applicabile il detto principio; il quale opera 
solo rispetto alle controve:raie relative a diritti soggettivi (in 011dine ahle 
quali, pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario sussiste in ogni 
caso, salvo in quelli iin cui � prevista 1a giurisdizione esclusivia del giudice 
amministrativo) ai fini deHa decisione di merito rispetto a11a quaile 
l'accertamento incidenter tantum de]la legittimit� o delfillegittimit� dell'atto 
amministrativo e la disapplicazione di esso nella seconda ipotesi, 
si riflette sulla concreta esistenza del. dil'itto sUil quale la pretesa S�i 
fonda. 

Infine, non � puntualmente �invocata la sentenza :n. 863 del 1978 di 
queste sezioni unite. 

In quella fattispecie la giurisdizione del giudice ordinario � stata 
ritenuta non in quanto la controversia avevia per oggetto la congruiti\ 
dailla indennit� corrisposta ad un funzionario onorario (nel caso vicepretore 
onorario) ma in quanto fa domanda si fondava sull'assunto che 
il rapporto aveva perso l'originario carattere onorario e che le norme 
dell'ordinamento giudiziario V�igenti anteriormente all'emanazione delle 
leggi 18 maggio 1970, n. 217 e 4 agosto 1977, n. 516, :non potevano disciplinarlo, 
perch� inadeguate rispetto all'essenza ed ailile �reali esigenze 
dehla fattispecie concreta e, soprattutto, ai principi costituzionaili sicch� 
la lite introduceva un complesso di questioni che sul presupposto dell'inapplicabilit� 
della disciplina del rapporto onorario involgevano pretese 
proprie del rapporto di �lavoro (aumenti biennaili sulla retribuzione 
corrisposta di fatto, compenso per ferie non godute, assicurazione presso 
INPS) aventi per oggetto diritti (di credito) maturati nel corso di un 
pflriodo ventennale che solo formalmente sarebbe stato riconducibile a 
servizio onorario. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 aprile 1981, n. 2113 -Pres. Rossi -
Rel. Caturani -P.M. Fabi -Ministero dei Tra:sporti ~avv. Stato Stipo) 
. c. Di Losa (avv. Rinaldi). 

Atto amministrativo -Autorizzazione -Abilitazione -Nozione � Rilascio di 
carta di circolazione -Natura � Controversie � Giurisdizione dell'a.g.o. 

Il rilascib della carta di circolazione, nel caso previsto dall'art. 58, 
sesto comma, cod. strad., rientra nella categoria delle abilitazioni ammi-f, 

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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 323 

nistrative, che si caratterizza per la mancanza di qualsiasi potest� discrezionale 
della p.a. di consentire o meno l'attivit� cui essa si riferisce, 
poich� il provvedimento si limita a procedere ad un accertamento di 
carattere tecnico circa la sussistenza di certi requisiti, con la conseguenza 
che, nel caso di rifiuto del provvedimento richiesto, le relative 
controversie rientrano nella giurisdizione dell'a.g.o. (1). 

(omissis) L'indirizzo generalmente seguito in dottrina che queste 
sezioni unite ritengono di condividere, sostiene che la carta di circolazione, 
per veicoli a motore, cui :l�a riferimento l'art. 58 del codice della 
strada, pur avendo un contenuto eminentemente permissivo, in quanto 
attraverso il suo rilascio si legittima una attiv;it� altrimenti vietata in 
linea generale, non possa farsi rientrare ne1l'aimpia categoria dei provvedimenti 
autorizzatori. 

Questi ultimi sono caratterizzati dal fatto che la pubblica amiministrazione, 
nel decidere se concedere o meno [a corrispondente autorizzazione, 
gode di Ullla pi� o meno ampia potest� discrezionale circa fu. 
rispondenza delle condizioni soggettive ed oggettive al!l'uopo previste 
dailfa norma agli interessi pubblici, la cui tutela � rimessa ail deddente 
ne1la emanazione del provvedimento. 

Da tali ipotesi, ben definite per dl principio di tipicit� del provvedimento 
amministrativo, sono state tenute distinte diverse fattispecie, 
tutte caratterizzate dal fatto che in esse non si � riscontrato nelila relativa 
potest� attribuita dalla legge all'autorit� amministrativa alcun potere 
discrezionale, onde si � proposta da autorevole dottrina la distinzione tra 
provvedimenti propriamente autorizzatori, licenze ed abilitazioni. 

Qualunque possa essere la tesi che si intendeva accogliere circa la 

distinzione tra le prime due categorie giuridiche, ormai non � pi� revo


cabile in dubbio che il connotato tipico delle abillitazioni � la mancamia 

di qualsiasi potest� disorezionale della p.a. di consentire o meno l'at


tivit� cui esse si riferiscono poich� in sostanza il provvedimento si 

limita a procedere ad un accertamento o valutazione di carattere pura


mente teanico circa la sussistenza di determinati requisiti e circa la 

idoneit� di persone o cose a svolgere Ja specifica attivit� ohe in conOI'eto 

viene in considerazione (abilitazione a11l'esercizio professionale: legge 

8 dicembre 1956, n. 1378; certificato di ,sicurezza e di idoneirt� del[e navi: 

art. 138 e 146 ss. cod. nav. e 313 ss. regolamento nav. maritt.; patente di 

guida per autoveicoli: art. 80 codice della strada; autorizzazione al 

(1) La sentenza � da condividere: nessun margine di discrezionalit� � lasciato 
alla p.a. in tema di rilascio della carta di circolazione, essendo l'attivit� disciplinata 
da norme di relazione. Per qualche riferimento cfr. Cass., 7 ottobre 1961, 
n. 2045, in Foro it., 1962, I, 318, con nota. 

RASSEGNA DEI,L'AWOCATURA DELLO STATO 

baliatico: art. 309 t.u. delle foggi sanitarie; oarta di circolazione degli 

autoveicoli: art. 58 del codice della strada). 

Rientra, a giudizio del Cdllegio, in tale categoria anche il rillascio 
della oarta di circolazione, da parte dell'lispettorato della motorizzazione 
civile, nel caso previsto dall'art. 58, sesto comma, del codice della strada 
che cos� dispone: � Quando si tratti di autobus da destinare ad uso 
privato la carta di drco1azione non pu� essere rillasciaita se non ad 
imprenditori, collettivit� e simili, iper Je loro necesisit� �. 

Dalla chiara formulazione della norma risulta che l'Ispettorato della 
motorizzazione, sulla base della documentazione fornita dagli interessati, 
'deve limitare iJ. suo esame 'aid una indagine puramente obiettiva, consistente 
nell'accertare se ricorrono <le due condizioni richieste dalla <legge 
per ottenere la carta di circolazione: a) la qualit� soggettiva del richiedente 
che deve essere un imprenditore, una collettivit� o simili; b) l'utiHzzazione 
dell'autobus per soddisfare le necessit� di uno di tali soggetti, 
nel senso che essa deve essere complementare e stnlmentale rispetto 
ail tipo ,di attivit� che essi esplioano ed agli scopi ohe si prefiggono di 
raggiungere nel campo economico. La norma escluide invece -per argomento 
a contrario -qualsiasi apprezzamento disorezionale dell'autorit� 
amministrativa circa la rilevanza dell'interesse e la convenienza che 
l'imprenditore, le collettivit� e simili possono avere ad avvalersi nell'ambito 
ed in funzione di esigenze inerenti aihla propria normale attivit�, 
di propri mezzi di trasporto, e ci� in consi�lerazi.one -ad esempio delle 
concrete caratteristiche e condizioni di svilurppo ed ef�ficienm. dei 
servizi pubblici di trasporto e quindi della maggiore o minore importanza 
ed utilit� che l'impiego di quei mezzi rivesta nel quadro della 
preesistente organizzazione delle specifiche attivit� e delle finalit� dei 
soggetti stessi. Il che significa che non � consentita ailcuna vailuta:done 
discrezionale delle predette esigenze e drca il modo di soddisfarle. 

I precedenti rilievi dimostrano che senza dubbio -come ha esattamente 
sostenuto in udienza H procuratore generale -il potere demandato 
in materia all'autorit� amminiistraitiva ha natura vincolata (e non 
discrezionale). Tuttavia il rappresentante del p.m. ha poi ri!levato che, 
pur ammessa 'la narura vincolata dell'attivit� am.miinlistrativa, essa sarebbe 
in ogni caso dominata dalla esigenza di soddisfare interessi pubblici 
connessi alla circolazione dei veicoli ed al.la� utilizzazione dei beni 
demaniali, per modo che la tutela delil'interesse individuale del richiedente 
l'atto abilitativo si realizzerebbe in maniera occasionale e indiretta, 
asslJ!l1gendo al rango ,di interesse legittimo. 

Non vi � dubbio alcuno che mentre il diritto soggettivo affievolisce 
ad interesse legittimo ove alla p:a. sia confevito dall'ordinamento un 
potere discrezionale che l'autorizza ad incidere sulla posizione soggettiva 
del privato, ove invece si verta in materia in cui l'attivit� amministra, 


PARTE I, SEZ. III, GIURiS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

tiva � vincolata, l'interprete deve stabilire caso per caso, aJ1 fine di 
risolvere il problema di giurisdizione, la natura e la finalit� delle norme 
che si assumono violate dailla p.a.; con la conseguenza che la controversia 
sar� relativa ad un diritto soggettivo se le norme sono rivolte 
a disciplinare rapporti tra privati e fa p.a., dal� quaili scaturiscono reci� 
proci diritti ed obblighi, mentre invece la controversia apparterr� alla 
giurisdizione del giudice amministrativo se la contestazione riguardi 
norme poste per assicurare la conformit� delil'azione dehla amministramone 
al pubblico interesse (Cass., 19 giugno 1968, n. 2027; sez. un., 
22 novembre 1966, n. 2785). 

Orbene, l'art. 58, sesto comma, del codice della strada, alllorch� staMlisce 
i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti ail fine di ottenere 
la carta di circolazione per autobus da destinare ad uso privato, non 
soltanto non attribuisce a:llla p.a. alcun potere discrezionale in ordine 
al rHascio o meno del documento, essendo la sua attivit�, come si � 
accennato, rigidamente vincolata dalla . legge, ma contempla un vincolo 
che si traduce in un dovere giuridico per la p.a. e che lungi da:ll'essere 
imposto in funzione della conformit� dell'azione amministrativa ahl'interesse 
pubblico, � inteso ex professo a sancire la giuridica rHevanza 
dell'interesse dei richiedenti (imprenditori, collettivit� e simili) sempre 
che la destinazione degli autobus sia rivolta a soddisfare le esigenze 
organizzative dei medesimi. 

La norma, invero, prende in considerazione direttamente e srpecifioamente 
le esigenze di imprenditori, collettivit� e simili di utilizzare 
gli autobus ad uso privato qualora tale uso si coordini comunque aiHe 
finalit� da essi perseguite. 

Pertanto, poich� l'interesse connesso a tale �esigenza sta in primo 
piano nella �ratio�, e nella economi� de11a norma, ed � tutelato per 
se stesso, cio� in via immediata e non mediatamente in funzione dell'interesse 
pubblico, se ne deduce che, nel concorso dei sulindicati requisiti, 
la legge conferisce un vero e proprio di!ritto soggettivo aJ rilascio 
della carta di circolazione; con la conseguenza che a questa situazione 
giuridica fa riscontro un obbligo della p.a.; per modo che, ove sussistano 
gli estremi della fattispecie legale, il rifiuto della carta costituisce un 
fatto illecito. E di tutto ci� offre ulteriore conferma il rilievo che il 
di:riitto di svolgere nell'ambito di una impresa ogni attivit� economica 
ad essa coordinata e funzionale si inquadra in definitiva nel diritto di 
libert� garantito dall'art. 41 della Carta costituzionale. 

Ora, se il riscontro che l'Ispettorato della motorizzazione deve compiere 
� puramente oggettivo e consiste nell'accertare se il soggetto rientri 
nelle categorie contemplate e se l'attivit� di trasporto corrisponda nel 
senso precisato, a necessit� del soggetto stesso, deve escludersi di conseguenza 
che la manifestazione di volont� delila p.a. sia diretta nella 
specie oltre che al compimento dell'atto dovuto, anche alla produzione 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di effetti giuridici (consenso alla circoiaz.i.one del veicolo), i quali non 
solo non possono vruriare in re1azione alla determinazione volitiva delnspettorato, 
ma sono direttamente collegati da1Ma norma al mero accertamento 
circa 1a ricorren2Ja dei requisiti all'uopo richiesti. 

D'altra parte, � aippena il caso di rilevare che sebbene tutta l'attivit� 
dell:a p.a. sia semp11e influen2Jata daLLa finalit� di realizzare finteresse 
pubblico, questa considerazione, per fa sua stessa genemcit�, non 
consente di risolvere il problema proposto; in caso contrario dovrebbe 
concludersi che giammai un diritto soggettivo potrebbe farsi valere neLla 
sua pienezza quando per il suo esercizio � mchiesto un atto (abi'Litatiivo) 
de11a p.a., la quale avrebbe, per definizione, il potere di affievoliruo in 
omaggio 'alle finalit� pubblioistiche che essa tende sempre a conseguire. 

In realt�, per quanto concerne la disciplina della circolazione e 
la disciplina dell'uso dei beni demaniali, cui in particolare si � riferito 
il procuratore generale nella sua requisitoria, deV1e rillevarsi che l'Ispettorato 
deHa motorizzazione non dispone al il'iguardo di alcun rpotere, 
poich� la sua attivit� si risolve -come si � premesso -nel rilasciare 
la carta di circolazione all'interessato (e nella conseguente immatricolazione 
del veicolo), nel concorso dei presupposti richiesti dalla norma, 
che all'uopo si limita ad accertare. 

Infine, � ormai chiaro che nel caso :di rifiuto del provvedimento r~chiesto, 
ove insorga controversia circa 1a legittimit� del provvedimento, 
il problema da affrontare, che concerne la sussistenza della dedotta lesione 
del di�ritto al rilascio della carta di ciocolazione per autobus destinati 
all'uso privato, consiste appunto nello stabilire, in sede di merito, 
se sussistano o meno i requisi1li soggettivi ed oggettivi come sopra richiesti 
.da11a legge: ed in particolare, nel caso concreto, si tratta di 
accertare -come del resto ha ben ohiarito il Consiglio di Stato in 
aderenza ad un precedente di questa Corte (sent. 7 ottobre 1961, n. 2045) se 
tra i compiti de11a agenzia di viaggio e turismo possa rientrare, a 
norma deM'art. 2 del d.I. 23 novembre 1936, n. 2523, anche ~I trasporto 
con propri autobus dei turisti che fanno ad essa capo, come attivit� 
complementare a quella propriamente diretta a:L1a loro assistenza. 

In definitiva, posto che nessun margine di apprezzamento discrezionale 
spetta in materia alla p.a., 1a cui attivit� neH'mnbito del rapporto 
con il privato � disciplinata da norme di relazione, si deve conoludere 
che 1l'azione diretta a far valere l'illlegittimit� del provvedimento negrutivo 
dell'Ispettorato involge una controversia rela1liva alla 'lesione di un 
diritto soggettivo devoluta come tale alla giurisdizione de11'a.g.o. (omissis). 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 9 gennaio 1981, n. 194 -Pres. 
Alibrandi -Rel. Amirante -P.M. Minetti -Ente Sviluppo in Pugliia 
e Lucania (avv. Stato Ferri) c. I.N.P.S. (avv. Romoli). 

Lavoro -Previdenza e assistenza -Controversie -Decreto ingiuntivo Competenza 
Giudice del lavoro. 

Lavoro � Controversie -Decreto ingiuntivo -Opposizione -Effetti. 

Lavoro -Controversie -Decreto !Ingiuntivo -Opposizione -Notifica -Procedibilirt� 
-Condizioni. 

Il Pretore, in qualit� di giudice del lavoro, pu� pronunciare decreto 
d'ingiunzione nelle controversie previdenziali ed assistenziali, dal momento 
che, per effetto dell'art. 444 cod. proc. civ. � funzionalmente competente 
sulla relativa domanda proposta in via ordinaria, tenuto anche 
conto che l'art. 633 cod. proc. civ. non subisce alcuna deroga in riferimento 
alle vertenze di lavoro. Pertanto l'eventuale fase di opposizione 
� regolata dalle norme sul processo del lavoro contenuto negli artt. 413 
e ss. cod. proc. civ. (1). 

Qualora l'opposizione al decreto ingiuntivo emanato dal Pretore in 
qualit� di giudice del lavoro sia proposta con citazione, questa pu� 
valere come ricorso solo nel momento in cui sia depositata nella cancelleria 
del giudice adito (2). 

L'opponente a decreto ingiuntivo � tenuto a notificare, a norma del 
quarto comma dell'art. 415 cod. proc. civ., l'opposizione e il pedissequo 
decreto di fissazione d'udienza, ma poich� nessuna norma processuale 
sancisce la improcedibilit� qualora la notificazione sia omessa, il giudice 
non potr� dichiarare senz'altro improcedibile il ricorso, ma dovr� 
concedere un termine perentorio per la notifica, dopo la cui scadenza 
soltanto il processo verr� meno per estinzione (3). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 10 gennaio 1981, n. 236 -Pres. Coletti 
-Rel. Mollica -P. M. Leo -Mirnstero della Pubblica Istruzione (avv. 
Stato Caramazza) c. Fiorenza Pasquaile (avv. Bussi) ed I.N.P.S. (n.c.). 

Procedimento civile -Foro dello Stato -Chiamata in garanzia -Applicabilit�. 

Procedimento civile � Lavoro -Controversia -Intervento coatto di una 
amministrazione dello Stato -Foro dello Stato � Applicabilit�. 

(1-3) Cfr. in termini Cass., 16 febbraio 1976, n. 495; Cass., 18 ottobre 1977, n. 4455. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Lavoro -Controversia -Intervento coatto di un'amministrazione dello 

Stato -Appello � Tribunale � Competenza -Foro dello Stato � Appli


cab:Uit�. 

Le norme sul c.d. foro dello Stato si applicano non solo in caso di 
intervento per chiamata in garanzia dell'amministrazione -art. 6, secondo 
comma, t.u. n. 1611 del 1933 -ma anche in tutte le ipotesi d'intervento 
coatto della stessa, anche se non espressamente previsto, rimanendo 
escluso solo per l'intervento volontario previsto nell'art. 7, primo 
comma dello stesso r.d. (1). 

Nell'ipotesi di intervento in giudizio iussu iudicis dell'Amministrazione 
in una causa di lavoro, il criterio inderogabile del foro erariale 
prevale sui criteri stabiliti in materia di competenza per territorio dalla 
legge n. 533 del 1973 (2). 

Le norme degli artt. 413 e 433 cod. proc. civ. non hanno natura speciale, 
essendo assorbite nel processo ordinario pur se con alcune peculiarit�, 
mentre le norme contenute nel t.u. del 1933 assumono carattere 
di specialit� e come tali derogano ai criteri del codice di rito. 

L'appello nei confronti di una sentenza emessa dal pretore in funzione 
di giudice del lavoro dal quale sia stato ordinato l'intervento in 
causa di un'amministrazione dello Stato, va quindi proposto al tribunale, 
sempre in funzione di giudice del lavoro, territorialmente competente 
ai sensi dell'art. 6 t.u. del 1933 (3). 

{omissis) Denunciando violazione deil!le norme sulla competenza, degli 
artt. 25 e 433 c.p.c. e dell'art. 7 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, nonch� 
difetto di motivazione, l'amministrazione rileva infatti con il primo mezzo 
che, non avendo la legge 11 agosto 1973, n. 533, innovato in ordine alla competenza 
in materia di controversie di 11avoro per ci� ch� riguarda i giudizi 
di impugnazione, deve trovare applicazione in detti giudizi la disposizione 
dell'art. 7 del cit. r.d. n. 1611 del 1933, per cui l'appello dehle sentenze 
dei pretori, qualora sia parte in causa una amministrazione dello 
Stato, deve essere proposto davanti al tribunale del luogo ove ha sede 
l'Avvocatura dello Stato nei cui distretti furono pronunciate le sentenze. 

La competenza del giudice del lavoro, infatti, ha carattere ordinario 
e non speciale, attiene, cio� al 1rito ordinario, laddove la disciplina dcl 

r.d. n. 1611 ha carattere speciale e derogativo della normativa comune. 
La regola del foro erariaile � pera:ltro dettata a tutela di interessi 
di maggiore considerazione quali sono quelli dello Stato e quindi a vantaggio 
della intera collettivit�, compresi i favoratori. 

(1-3) Cfr. Cass., 15 aprile 1976, n. 1352, in Giust. civ., 1976, I, 833 con nota di 
CARBONE; v. anche, suil!La p11ima massima Oass., 20 gennaio 1978, n. 252. 

II 


I f. 
~' 

II


f: 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

� Per altro verso, mentre la indicazione delle competenze te11ritoriali, 
contenuta nell'art. 413 cod. proc. civ., si giustifica con la pi� ef:l�icace 
tutela dei lavoratori sotto il profilo di una pi� facile acquisizione della 
prova e di un minor costo del giudizio, tale finalit� non V'ellI'ebbe meno 
nel giudizio di appe11o devoluto al foro erariale, perch� l'acquisizione 
delle prove costituisce in appello un fatto meramente eccezionale; d'ailtra 
parte il dispendio economico che iii !avoratore dovrebbe affrontare sarebbe 
minimo. 

Il motivo � fondato. 

Questa Suprema Corte (sentenze n. 1352 del 15 aprile 1976; n. 1922 
del 28 maggio 1976; p. 2997 del 28 luglio 1976) ha esaminato, in fattispecie 
analoghe, la questione se per una controversia di lavoro nella quale 
sia parte una 'amministrazione pubblica, il cui intervento sia stato disposto 
iussu iudicis, la competenm ratione loci in grado di appello debba 
determinarsi in relazione ail oriterio del foro emriaile o suHa base dei 
criteri stabiliti dalfa legge n. 533 del 1973, pervenendo alla conclusione 
che il criterio inderogabile del foro erariale assume carattere prevalente 
rispetto ai criteri stabiliti dalla legge in ordine a11a competenza 
territoriale nelle cause di lavoro. 

Si � cos� superato anche il dubbio se il foro erariale sia estensibile 
nella ipotesi di chiamata in causa iussu iudicis, posto che H secondo 
comma dell'art. 6 del t.u. delle leggi e delle norme giuridiche sulla 
rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, approvato con r.d. 30 ottobre 
1933, n. 611, contempla Ja sola ipotesi della chiamata in garanzia. 

La disposizione di detto comma � stata interpretata estens!�Vlamente, 
ricomprendendovi anche l'ipotesi dell'intervento coatto, sulla considerazione 
che il successivo art. 7 mantiene ferme le norme ordinarie sulla 
competenza unicamente nel caso di intervento volontario, di guisa che � 
lecito dedurre che ogni altra forma di intervento in causa debba rientrare 
nella previsione del citato art. 6, secondo comma. 

L'orientamento di questa Corte di attribuire al foro erariale carattere 
derogativo al regime processuale della competenza in tema di controversie 
di lavoro va indubbiamente condiviso e confermato anche perch� 
trova un suo addentellato costituzionale nella sentenza n. 118 del 
22 dicembre 1964 de!La Corte costituzionale che dtenev:a infondata la 
ques<tione di costituzionalit� dell'art. 25 cod. proc. civ. e degli artt. 6, 7, 
8, 1~ del t.u. n. 1611 del 1933 con riferimento agli artt. 3, 23, 25 e 113 
Cost., questione ora riproposta con la memoria del ricorrente per contrasto 
dell'art. 7 del cit. t.u. con gli artt. 24 e 30, secondo comma, Cost. 

La Corte costituzionale, con detta sentenza, ha ribadito il principio 
che la regola del foro dello Stato ha um.a giustificazione sufficientemenrte 
adeguata, da un lato, nella esigenza di concentrare, in vista del minor 
costo e di un migliore svolgimento del servizio (ridondante indirettamente 

�anche a beneficio dei singoli e degli stessi avversari dello Stato in giu



330 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dizio) gli uffici dell'Avvocatura dello Stato; e da:M'ail!tro di concentrare 
i giudizi in cui partecipa lo Stato presso un numero ristretto di �sedi. 

Tali esigenze non possono, a giudizio deMa Corte costituzionale, pregiudicare, 
n� direttamente n� indirettamente, il diritto di agire e di 
difendersi in giudizio: il maggior costo del giudizio stesso, infatti, a parte 
l'istituto del gratuito patrocinio e il diritto di ripetere le spese dallo 
Stato soccombente, non pu� costituire una remora aill'esercizio dei poteri 
processuali spettante al cittadino, il qua:le � protetto di riflesso dalla 
tutela dell'interesse generale alla concentrazione dei giudizi presso alcune 
sedi giudiziarie. 

Tali considerazioni valgono indubbiamente anche per H lavoratore, 
che non pu� subire a'lcun pregiudizio reale al suo diritto di difesa per 
effetto della devoluzione della causa in appe1lo a un giudice diverso da 
quello che sarebbe competente secondo le regole della competenza per 
territorio di cui all'art. 413 cod. proc. civ. 

Va poi osservato che le norme sUJl patrocinio 1a carico dello Stato dettate 
dagli artt. da 10 a 15 della Jegge n. 533 del 1973 sono pi� incisive 
di queHe relative al beneficio del gratuito patrocinio nei procedimenti 
ordinari. 

Non si vede poi in quale modo 1a competenza del foro erariale po


trebbe pregiudicare i diritti sanciti dal secondo comma dell'art. 38 Cost., 

immotivatamente invocato, donde la manifesta infondatezza de:Na questione 

di legittimit� costituzionale, non solo sotto l'accennato profillo dell'art. 24 

Cost., ma anche riguardo a tale ultima disposizione. 

Premessa l'applicabilit� del foro erariale alla ipotesi di chiamata 

iussu iudicis e confermata la compatibilit� costituzionale delle norme 

relative ail predetto foro con le norme del rito ordinario e del lavoro, 

occorre quindi esaminare se aiH'interno del sistema processuale del la


voro, risultante dalla riforma del 1973, pos.sano rinvenirsi raigioni che 

non consentano in vjja di ipotesi la deroga di competenza territoriale 

delle norme speciali contenute nel t.u. sulla rappresentanza in giudizio 

dello Stato. 

Nulla dispone al riguardo J'art. 413 cod. proc. civ. in merito ai rap


porti di lavoro in cui � parte la pubblica amministrazione; n� pu� assu~ 

mere rilevanza l'ultimo comma di detto articolo ohe commina la nuililit� 

delle clausole derogative della competenza per territorio, giacch� ~a di


sposizione con ogni evidenza fa riferimento ahle deroghe di carattere 

convenzionale, e non legale, con indiretto rinvio alfa regola generale di 

cui aill'art. 6 del codice. 

lll soocessivo art. 433 indica nel tribtl!Ilale territorialmente compe


tente in funzione di giudice del �lavoro, l'organo giurisdizionale al quale 

� riservata la cognizione delle impugnazioni delle sentenze pronunciate 

dal Pretore nelle controversie perviste dall'art. 409, ma l'espressione � ter-I 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

ritorialmente competente in funzione del giudice del 'lavoro � non pu� 
ohe essere interipretata, conformemente alil'art. 341 cod. proc. civ., nel 
senso del Tribunale nella cui giurisdizione � stata pronunciata la sentenza 
sottoposta a gravame, e non pu� quindi costituire elemento sufficiente 
per trarre argomento che si sia voluto circoscrivere unicamente 
al tribunale, in funzione del giudice del lavoro, la competenza territoriaJe 
sulle controversie di 'Lavoro, in deroga alla regola della competenza 
del foro erariale. 

Non essendo, quindi, possibile desumere dal contesto dehle norme 
sul rito del lavoro il principio che al giudice d'appello di ooi a11'art. 433 
siano devolute tutte le controversie di lavoro indipendentemente dailila natura 
deHe parti ed in deroga alle leggi speciali vigenti, � eviidente ohe 
solo se si conferisca natura speciale alle norme processuali sUil lavoro 
pu� profilarsi un conflitto con altre norme speciaili in materia di competenza 
territoriale, dettate anch'esse in funzione dehla tutela di particolari 
interessi. 

Orbene una corretta interpretazione sistematica degli artt. 413 e 
433 citati porta ad escludere tale natura speciale delle norme del rito 
del lavoro, che rimangono assorbite nell'ambito del processo ordinario, 
pur con le loro peculiari caratteristiche e finalit�. 

L'art. 433, invero, limitandosi ad immutare il testo dell'originario 
art. 450 cod. proc. civ., ha attribuito la competenza dei giudici di appelJo 
spettante alle Corti d'appello ai tribunali, mentre l'art. 413, 
modificando il disposto dell'art. 434, si inquadra ed ainnonizza perfettamente 
con l'intero sistema di determinazione dei criteri della competenza 
per territorio stabiliti in Hnea generale dal libro I, sez. III, 
del codice. 

Invero, accanto ai fori speciali degli artt. 20 e segg. la norma ha 
previsto, specificamente per le controversie di lavoro, altri. fori speciali 
alternativi, e concorrenti, con il foro generale applicabile per� 
solo in via sussidiaria. 

Fondato, perci�, appare l'assunto deHa ricorrente Amministrazione 
che l'art. 413 rientra nel 11ito ordinario rispetto al quale le norme del 

t.u. n. 1611 del 1933 assumono caretrere di specialit� e quindi derogano 
ai criteri stabiliti dal codice di rito. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 10 febbraio 1981, n. 826 -Pres. Pedroni 
-Rel. Meo -P.M. La ~alva -Tensi (avv. Vd.sciani) contro 
Ministero della Pubblica Istruzione (avv. Stato Cameri.ni). 

Responsabilit� civile -Concause deirevento dannoso -Applicazione dell'art. 
41 c.p., secondo comma -Limiti. 


332 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Responsabilit� civile � Precettori � Maestri del patronato scolastico -Presunzione 
di responsabilit� � Limiti. 

In tema di responsabilit� civile per fatto illecito, ciascun antecedente 
che ha contribuito, sia in modo diretto che indiretto, alla verificazione 
dell'evento, deve considerarsi causa di esso, salva sempre l'applicazione 
dell'art. 41 cod. pen., secondo comma, secondo cui il nesso 
eziologico viene escluso quando il fatto sopravvenuto � da solo sufficiente 
a produrre l'evento. Ai fini dell'accertamento concreto dell'esclusione del 
nesso di causalit� occorre dimostrare che il danno si sarebbe ugualmente 
verificato senza quell'antecedente, tenendo conto di tutte le circostanze 
del caso� (1). 

I precettori -nella cui nozione rientrano anche i maestri in servizio 
presso i patronati scolastici -superano la presunzione di responsabilit� 
ex art. 2048 cod. civ., solo se provano di aver esercitato, nella 
dovuta misura, la �vigilanza sugli alunni, e di non aver potuto evitare 
il fatto illecito per la sua repentinit� ed imprevedibilit� (2). 

(omissis) Con il primo mezzo la ricorrente, nel denunciare la violazione 
e falsa applicazione deg1i artt. 2043 cod. civ., 41 cod. pen. e 2 
della legge 4 marzo 1958, n. 261, nonch� il vizio di omessa e insufficiente 
motivazione circa un punto decisivo della controversia, si duole 
che la Corte di appehlo, affermando la responsabilit� di essa Tensi in 
concorso con quella solidale del Perozzi e del patronato scolastico di 
Verbania, si sia Jimitata a fare un generico J1iferimento aJ:la omissione, 
da parte di essa medesima Tensi, dei doveri di vigilanza, senza 
in alcun modo esaminare, pur configurando un concorso di cause, il 
problema deil rapporto tra ciascuna causa e l'evento nonch� quello della 
esclusivit� di una di esse e della coeva efficenza di quel1a remota e 
di quella prossima. Al riguardo deduce che l'esame di tale problema, 
se non fosse stato trascurato, avrebbe potuto condurre ad UJITa decisione 
diversa da quella adottata, in quanto, essendos!i. l'evento dannoso 
verificato durante l'espletamento di un'attivit� demandata per legge 
ai patronati scolastici (art. 2 legge sopra citata) e realii.zzata mediante 
insegnanti degli stessi patronati, aventi personatlit� giuridica di diritto 
pubblico, la responsabilit� di questi ultimi e dei loro ageillti non poteva 
che essere esclusiva, giacch�, per dettato deHa legge istitutiva, i patro


(1-2) Sulla prima massima la giurisprudenza � consolidata (Cass., 7 giugno 1977, 

n. 2342; Cass., 10 dicembre 1979, n. 6407; 26 gennaio 1980, n. 643); sulla seconda la 
giurisprudenza � altres� conforme; per tutte, v. Cass., 4 marzo 1977, n. 894. Sulla 
presunzione qi responsabilit� a carico del precettore cfr. Cass., 7 dicembre 1968, 
n. 3933, in questa Rassegna, 1969, I, 642 e Cass., 6 febbraio 1970, n. 263, ivi, 1970, I, 
230, con nota di richiamo. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

nati scolastici organizzano ed 1attuano il doposcuola, le attivit� del 
quale sono quindi riferibili soltanto ad essi. 

La censura non � fondata. 

La Corte di appello, affermando ohe la direttrice didattica, quale 
promotrice e vigilatrice delle opere sussidiarie ed assistenziali scolastiche, 
aveva posto in essere, unitamente al patronato scola:srl:!i.co, un 
comportamento qualificato da colpa concreta e grave per aver concorso 
a programmare, organizzare e realizzare un'attivit� di giochi ginnici 
da ritenersi pericolosa per il'incolumit� della popolazione scolastica, 
ha implicitamente risolto in senso affermativo la questione della 
esistenza o meno di un nesso di causalit� t11a il detto comportlamento 
della Tensi e l'evento dannoso, adottando una soluzione che appare conforme 
ai principi che regolano la materia. 

Alla stregua, infatti, di tali principi, ripetutamente affermati da 
questa Corte suprema (cfr. da ultimo sent. 26 genlllaio 1980, n. 643), 
tutti gli antecedenti in mancanza dei quali il danno non si sarebbe verificato, 
devono considerarsi causa di esso, senza ohe sia dato 1:Ustinguere 
tra que11i che hanno operato in via diretta e prossima e quelli 
che hanno avuto influenza soltanto indi11etta o remota, salvo il temperamento 
di qui all'art. 41, secondo comma, cod. pen., secondo ~l quale 
la causa prossima sufficiente da sola a produrre l'evento, esclude. il 
nesso eziologico tra questo e Je altre cause antecedenti, facendole scadere 
al rango di mere occasioni. 

Ora, nella specie risulta dalla sentenza impugnata che il comportamento 
tenuto dal patronato scolastico nell'organizzare ��!l gioco della 
:palla ail. volo, ponendo cos� in essere una situazione di pericolo 
senza la quale J'infortunio de quo non si sarebbe veri.fioaito, si � concretato 
bens� in una causa prossima, ma non di rilievo tale da poter 
essere considerata sufficiente da sola a determinare detta situa:ziione, 
poich� il giudice di merito ha accertato che questa si � prodotta per 
effetto delle condotte concorrenti del patronato scolastico e della direttri.
ce didattica, in quanto da un lato quest'ultima, nell'esercizio dei 
suoi compiti di promollione e vigilanza delle opere sussidiarie de1la 
scuola, ha programmato il gioco 8l12lidetto, da svolgerisi in un ambiente 
gi� rivelatosi, com'essa ben sapeva, pericoloso per l'ii.nco1umit� 
del!le persone, mentre dall'altro lato il paitronaito scolastico, nehl'espletamento 
deille sue incombenze di gestore del doposcuola, ha dato attuazione 
al programma predisposto dalla direttrice didattica, ponendo cos� 
in essere un'attivit�. di cui neppwr esso ignorava la pericolosit�. 

Pertanto, secondo quanto � stato accertato dalla Corte di appehlo 
in ordine alla corresponsabilit� della Tensi e del patronato scolastico, 
devesi ritenere che, come senza l'attivit� compiuta da quest'ultimo 
nel realizzare il gioco deHa palla a volo non sarebbe sorta la situazione 
di pericolo che ha reso possibile il verificarsi dell'evento dannoso, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

cos� senza il comportamento tenuto dalla Tens1i nel pirogrammare taile 
gioco, detta situazione non si sarebbe verificata, e comunque non pu� 
dl�Tsi che si sarebbe ugualmente verificata; onde, in base ai suesposti 
principi, non poteva il giudice di merito escludere ohe tale comportamento 
della Tensi fosse eziologicamente legato ahl'eveillto dannoso. Come, 
infatti, questa stessa Corte ha avuto oocasione di statuiire (cfr. 
sent. 10 dicembre 1979, n. 6407), in tema di responsabiHJit� per futto 
illecito, ove il giudice di merito accerti che le varie condotte concorrenti 
hanno posto in essere una situazione tale che senza ciascuna di 
esse l'evento dannoso, anche se immec:IIDatiamente riferibile aJil'ultima 
condotta, non si sarebbe verificato, il rapporto di caiusalfrt� non pu� 
essere escluso con riguardo a nessUJ11a delle condotte stesse, e non pu� 
trovare applicazione iil principio stabillito dal secondo comma dell'articolo 
41 cod. pen., il quale, come sri � visto, riguarda invece 11 caso in 
cui la causa prossima assurge a causa efficiente ed esclusiva dell'evento 
peroh�, mserendosi nella successione dei fatti, viene a spezzare ogni 
legame tra le cause preesistenti e l'evento medesimo, ci� che non � avvenuto 
nel caso in esame. 

D'altro canto, in tema d:i nesso di causalit�, per esdudere che un 
determinato fatto abbia concorso a cagionare un dru:mo, non basta af. 
fermare che il danno stesso avrebbe potuto verilf�oarsi anche in assenza 
di quel fatto, ma occorre dimostrare, avendo riguau:ido a tutte le circostanze 
del caso concreto, che il danno sii sarebbe ugualmente verificato 
anche senza quell'antecedente ~cfr. Cass., 7 ~gno 1977, n. 2342). 
Cosicch� nella specie non giova alla ricorrente sostenere, per escludere 
ogni nesso eziologico fra la sua condotita e l'infoiltunio subito dalla Gagliardi, 
che anche se essa non avesse programmato il gioco defila paJila 
a volo detto infortunio si sarebbe potuto ugualmente verifioore, giacch� 
per sostenere validamente tale tesi sarebbe stato neces,sario dimostrare 
che il patronato scolastico avvebbe organizzato i1 gioco pur se 
questo non fosse stato progl'ammato dalla diirezione dridattica: il che 
non solo non � stato dimostrato, ma � contrasrtato dagli accertamenti 
della Corte di merito, secondo cui il gioco anzidetto fu attuato dal patronato 
scolastico dietro programmazione del!la direttrice didattica, ci� 
che non consente di affermare che il gioco stesso sarebbe stato ugualimente 
realizzato se ,1a Tensi non l'avesse programmato. 

(omissis) Contrariamente a quanto potrebbe apparire da Ullla lettura 
superf�oiale della sentenza impugnata, fa Corte di appello ha posto 
a fondamento dell'affermazione di responsabilit� de11a Tensi, non gi� 
l'esistenza di una culpa in vigilando per omissione, da parte di costei, 
dei doveri di vigilanza cui fa stessa era tenuta qua:le direttrice dridattica 
sulla gestione del doposcuola, ma l'esistenza di una colpa grave per il 

compimento, da parte della medesima, di un'attivit� tale da 
a determinare, progr~mando fil gioco della palfa a volo, 

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PA!l.TE I, SEZ, IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

zione pericolosa per l'incolumit� della popolazione scolastica. Se � vero, 
infatti, che a un certo punto dehla motivazione di detta sent~ si fa 
riferimento alla omissione dei doveri di vigilanza incombenti sulla 
Tensi a norma dell'art. 59 del r.d. 26 apni1e 1928, n. 1297 e della circ<r 
1are 2 settembre 1967, n. 309 del Ministero del1a pubblica istiruzione, 
tale rifecimento, tuttavia, risulta effettuato con riguardo a qruooto affermato 
dal tribuna!le circa la ritenuta responsabilit� della Tens~. mentre 
in ordine a tale responsabilit� il giudizio del1a Corte di merito si 
riferisce precipuamente alla condotta tenuta dalla direttrice didattica 
nel programmare rii gioco anzidetto pur conoscendone la pericolosit� per 
il particolare ambiente in cui doveva svolgerisd. 

Pertanto, avendo la Corte di appello affermato la responsahfilit� 
dehla Tensi per un fotto illlecito da essa positivamente posto in essere, 
a prescindere da ogni considerazione circa ,l'osservanza o meno, da 
parte della Tensi stessa, dei menzionati doveri di vigilanza, del tutto 
irrilevante appare la questione, prospettata daJllia ricorrente con il motivo 
in esame, circa � la struttura, i modi di esplicazione e l'intensit� 
della vigilanza � che i direttori didattici sono tenuti a esercitare sulle 
attivit� del doposcuola, ai sensi deWart. 59 del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297. 
Infatti, anche ammettendo che tale vigilanza si concreti nel mero controllo 
(esterno) sUJ11a corretta attuazione dei programmi di integrazione 
cultura:Ie predisposti dai patronati scolastici, senza alcun dovere di 
sorveglianza in ordine alle modalit� di svolgimento del doposcuo~a. ci� 
non esclude che nella specie Ja Tensi, essendosi' assunta il compito di 
stabilire concretamente tali modalit�, col predisporre essa, nell'esercizio 
dei suoi compiti di promozione delle opere sussidiarie della 
scuola da lei diretta, il programma da attuare per il doposcuo1a, debbia 
rispondere delle conseguenze dannose di tale sua condotta, avendo con 
questa concorso a creare la situazione di pericolo che ha reso possibile 
il verificarsi deH'infortunio de quo. 

(omissis) Quanto all'assunto sub a), si osserva che, a norma del


l'art. 2048 cod. civ., i precettori (neMa cci nozione rientrano indiubbia


mente anche i maestri in servizio presso i patrona1Ji. scolastici) rispon


dono dei danni cagionati dal fatto illecito compiuto dagli a11ievi nel 

tempo in cui questi sono sottoposti alla loro viigHanza, se non provano 

di non aver potuto impedire il fatto; ed a tal fine, in tanto il precettore 

si libera dalla presunzione di responsabfilit�, m quooto provi di aver 

esercitato la vigilanza sugli alunni nella misura doV1Uta e di non aver 

potuto, ci� nonostante, impedire :il compimento del fatto illecito per 

la sua repentinit� ed imprevedibilit�, che non ha consentito un tem


pestivo, efficace intervento (cfr. Cass., 4 marzo 1977, n. 894). 

Ora, nella specie, secondo quanto accertato dai giudici di merito, 

il fatto rnecito dell'allievo che ebbe a scagliare il paillone conko una 

vetrata della palestra infrangendola, sebbene repentino, non era affatto 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

336 

imprevedibile, e quindi avrebbe potuto essere evitato dal Perozzi se questi 
avesse esattamente e compiutamente adempiuto i suoi doveri di 
vigilanza a norma di legge (art. 350 del r.d. 26 aprille 1928, n. 1297), 
giaoch� era noto al medesimo, per essersi egli trovato presente ad altri 
episodi del genere, che spesso, durante il gioco della palla a vdlo, gli 
a!lHevi usavano 1anciaire la palla con violenza servendosi non solo delle 
mani ma anche dei piedi, tanto che in precedenza le vetrate de1l'attiiguq 
palestra erano state infrante da paMon1 da essi comunque scagli!ati; on 
de il Perozzi avrebbe dovuto prospettarsi, secondo i criteri ordinari di 
una previsiione normale ed obiettiva, la possibilit� che .fatti come que1lo 
di cui trattasi avessero ancora a verifioavsi, e adottare conseguentemente 
tutti gli accorgimenti atti a evitare ohe si ripetessero, compreso 
qruello di non ammettere al gioco gli allievi meno disciplinati o addirittura 
sospendere, date le circostanze, lo svolgimento del gioco, riferendone 
quindi ai propri superiori. 

Quanto, poi, a:H'assunto sub b), � anzitutto da osservare ohe, giusta 
quanto risulta dalla sentenza impugnata, il Perozzi prestava servizio 
alle dirette dipendenze del patronato scolastico, da cui era stato assunto 
per l'espletamento delle mansioni inerenti �al doposcuola e dal quale 
percepiva direttamente '1e relative competenze, sicch�, in forza del irapporto 
organico che �si era instaurato fra ill BerozZJi. e l'ente pubblico, 
quest'ultimo doveva ritenersi responsabile in via diretta dei danni arrecati 
a terzi dal primo per colpa in vigilando nell'esercizio delle ainzidette 
mansioni; a nulla rillevando che l'attivit� del doposcuola fosse soggetta 
a:J!la vigilanza de.Ma direttrice didattica, . poich�, anche se iJ. contenuto di 
tale vigilanza fosse stato taile da implicare un controllo sostitUJtivo della 
direttrice sulla gestione del doposcuola, come sostiene appunto il 
ricorrente, ci� non avrebbe mai rpotiuto i1111:errompere H menzionato raprporto 
ovgainiJco, in costanza del quale, come si � detto, il patronato 
era tenuto a rispondere dei danni anmdetti. 

� pemltro da rilevare che fa responsabilit� del patronato � staita 
affermata dalla Corte di merito, non solo in virt� del suddetto rapporto 
organico, ma anche in considerazione dehl'attivit� illecita direttamente 
espletata da:Jil'ente, per avere organizzato e realizzato, in concorso 
con la direttrice didattica, l'espletamento di 1UI1 gioco ginnico 
di cui conosceva la pericolosit� in relazione al luogo in oui !il gioco 
stesso veniva svolto, dando cos� vita a quell:a situazione di pericolo 
che, come si � visto, ha reso possibile �l'infortunio subito dalla Gagli:
ardi. 

Al qua!J. riguardo inconsistente appare l'assunto sub e), secondo 

cui l'attivit� illecita posta in essere dalla direttrice d1'dattica col pro


grammare il gioco in questione anzich� vietado o sospenderlo, esclu


derebbe ogni responsabilit� sia del patronato che del maestro Pe


rozzii. Quanto al primo, infotti, � da escludere che il controllo di detta 


. .

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

direttrice sulle attivit� del doposcuola, per quanto intenso potesise 
essere, impediss:e al patronato di non includere, volendo, in dette attivit� 
i!l gioco de1la palla a volo per essere stato questo programmato 
dalla direttrice didattica, poich�, a 01omna dell'art. 2 della 1legge 4 
marzo 1958, n. 261, l'istituzione e la gestione del doposcuola costituivano 
compito esclusivo dei patronati scolastici, i quali lo eseguivano 
in piena autonomia senza essere in alcun modo vincolati, nell'o:q~anizzazione 
delle relative attivit�, alle direttive impartite dalla direttrice 
scolastica, il cui controllo sul doposcuola non aveva certo cavattere 
sostitutivo in mancanza di una espressa disposizione di legge 
che lo prevedesse ed in assenza di qualsiasi rapporto gerarchico fra 
la direttrice didattica, qua'le organo interno dell'amministrazione della 
pubblica istruzione, ed il patronato scolastico, quale ente pubblico diverso 
dall'amministrazione dello Stato. 

Quanto, poi, al Perozzi, questi anzitutto, come dipendente del patronato, 
era tenuto ad osservare le disposizioni dell'ente da cui dipendeva 
e non quelle di un ongano dii altra pubblica amministrazione, pur 
se avente compiti di vigilanza sull'attivit� del doposcuola, dato che fa, 
vigilanza si esplicava nei confronti dell'ente e non direttamente dei 
dipendenti di questo. D'altro canto, a prescindere da ci�, il Perozzi, 
pure attenendosi alle direttive della direttrice didattica, non poteva 
esimersi dall'esercitare, nell'espletamento delle sue mansioni, la vigilanza 
sugli allievi nei modi suindicati, onde il fatto che le attivit� 
del doposcuola venissero disimpegnate in base alle direttive anzidette, 
non pu� scagionare il Perozzi, rendendo inoperante la presunzione 
di l'esponsabilit� posta a suo carico dall'art. 2048 cod. civ. (omissis) 


SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA(*) 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 16 dicembre 1980, n. 1217 -Pres. Est. 
Imperatrice -Rel. Trotta -Lopez (avv. Cerviati e Romagnoli) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Gargiulo); Regione Lazio (n.c.); S.r.l. 
Bonavita Lamberto (avv. Bari1laro). 

Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale amministrativo -Legittimazione 
ad agire � Presupposti -Utente di terreno in concessione a 
terzi � Legittimazione � Carenza. 

Concessioni amministrative � Morte del concessionario � Utilizzazione di 
fatto >-Effetti � Limiti. 

Concessioni amministrative � Occupante abusivo di terreni dati in concessione 
a terzi � Impugnazione dell'ordinanza di rilascio � Titolarit� Occupante 
abusivo. 

Non � titolare di autonome posizioni soggettive tutelabili dinanzi 
al giudice amministrativo, sotto il profilo della carenza della legittimazione 
ad agire, colui il quale utilizzi un terreno oggetto di concessione 

(*) Alla redazione delle massime e delle note di questa Sezione ha collaborato 
l'avv. Luigi MARUOTTI. 

Considerazioni in tema di impugnabilit� dell'ordinanza di rilascio emessa 
nei confronti dell'occupante abusivo di bene demaniale. 

1. -La sentenza massimata riguarda una fattispecie nella quale un soggetto 
ha impugnato l'atto di concessione di un terreno demaniale a suo tempo rilasciato 
dalla p.a. ad un terzo (successivamente deceduto), terreno di cui il ricorrente 
aveva la detenzione, venutasi a costituire con il solo consenso tacito del 
precedente concessionario. 
La decisione non sembra immune da critiche. 

Infatti la prima massima presuppone l'accettazione della tesi, seguita dalla 
concorde giurisprudenza e da gran parte della dottrina, secondo la quale ogni 
problema di legittimazione ad agire nel processo amministrativo, cos� come 
in queHo oivihle, deve essere risolto in sede di merdto e non di verificazione dehla 
giurisdizione. 

Come comunemente si insegna, l'indagine sulla sussistenza o meno della 
1egi!ttimazione ad agire deve 1essere nettamente distinna da ogni valutazione che 
il giudice svolge allorquando, per radicare presso di s� la giurisdizione, valuta 
la � differenziazione � e la � qualificazione � della posizione di cui si chiede la 
tutela. 

Ultimamente il fondamento di tale impostazione � stato autorevolmente 
sostenuto, con qualche variante, da quella dottrina (cfr. CAIANIELLO, Lineamenti 
del processo amministrativo, Torino, 1979, p. 263 e ss.) la quale intende riportare 
nell'ambito del merito l'analisi della � differenziazione � dell'interesse proprio in 



339

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVN 

a favore di un terzo, qualora sia intervenuto il consenso del concessionario 
ma non quello della pubblica amministrazione (1). 
L'utilizzazione agricola di un terreno in proprio dopo la morte del 
concessionario, quale ne sia la durata, non nova soggettivamente il titolo 

base alla considerazione che, in definitiva, la relativa problematica deve essere 
inserita in quella afferente alla legittimazione ad agire, che, secondo l'opinione 
in esame, riguarderebbe pur sempre il merito. 

Questa posizione dottrinale vuole riaffermare la rilevanza dell'indagine sulle 
condizioni dell'azione, e, in particolare, sulla legittimazione ad agire, anche nel 
campo del processo amministrativo, traendo spunto dall'osservazione che anche 
in questa sede il diritto di azione � certamente � autonomo dalla situazione 
sostanziale dell'interesse legittimo, perch� � un diritto ad ottenere dal giudice un 
provvedimento per l'attuazione della volont� astratta della legge verso la controparte 
del rapporto sostanziale� (CAIANIELLO, op cit., p. 266). 

Viene cos� affermato che solo in termini di merito e non di giurisdizione 

pu� trovarsi �lo spartiacque tra azione generalizzata (cio� del quisque de populo) 

e diritto di azione qualificata � (CAIANIELLO, op. cit., p. 267). 

Contrastando tale assunto, non si intende peraltro negare che anche nel 

processo amministrativo possa avere una sua rilevanza il concetto di legittima


:z;ione ad .agiire; sembra tuttavia neoessaTio niidurne 11a portata, riaffermandone �1a 

validit� unicamente per i soggetti presenti nel processo diversi dal ricorrente. 

In effetti la dottrina non sembra abbia chiarito finora che il giudice ammini


strativo, in sede di delibazione sull'esistenza o meno dell'interesse legittimo, 

automaticamente e a fortiori risolve, quanto al ricorrente, ogni problema di 

legittimazione ad agire, operando in modo che questa conservi una propria 

rilevanza in sede di giudizio di merito solo per le parti non ricorrenti, per le 

quali potrebbe ancora svolgersi 1'indagine circa la effettiva titolarit� della 

situazione dedotta in iudicio. 

La individuazione dell'interesse legittimo, in altre parole, presuppone sempre 

la presenza della legittimazione ad agire, con la conseguenza che nel processo 

amministrativo di annullamento non ha senso parlare di un problema di legitti


mazione attiva in capo al ricorrente, in quanto le relative questioni sono risolte 

in sede di venificazJ�'one deihla g.iurlsdi:Zlione. 

Pertanto, sembra possibile sostenere che nella sentenza che si annota il 

giudice amministrativo avrebbe dovuto dichiarare il proprio difetto di giurisdi


zione, sulla considerazione che il ricorrente, in quanto non legittimato all'impu


gnazione che pure altri poteva proporre, non era titolare di alcuna posizione di 

interesse legittimo. 

2. -Anche la terza massima suscita perplessit�, forse maggiori, dal momento 
che identifica in capo all'occupante abusivo di un bene demaniale un interesse 
legittimo, al fine della impugnazione della relativa ordinanza di rilascio. 
Infatti, se pure si voglia riconoscere che in tale fattispecie la posizione 
dell'occupante abusivo sia differenziata rispetto a quella degli altri consociati,. 
non sembra che da questa sola considerazione possa desumersi una posizione� 
giuridica meritevole di tutela. 

Se si concorda col principio, gi� ricordato, per il quale pu� parlarsi di 
interesse legittimo soltanto quando nei confronti della autorit� amministrativa 
vi sia una situazione non solo differenziata, ma anche e soprattutto qualificata 
(cfr. per tutti SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1978, p. 86e 
s.), deve ammettersi che nel caso di specie presupposto della emanazione 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

formale di concessione a favore del subentrante di fatto, che � portatore 
di un mero interesse semplice, non essendovi possibilit� di configurare 
una specifica posizione soggettiva autonoma e differenziata (2). 

dell'ordinanza di rilascio � proprio una situazione contra legem, che rende il 
destinatario dell'atto affatto immeritevole di considerazione. 

� pur vero che �nell'interesse legittimo alla semplicit� del diritto soggettivo 
fa riscontro la complessit� delle componenti strutturali� (cfr. CoRREALE, Struttura 
del processo amministrativo e situazione fatta valere, Caserta, s.d.), ma tale 
complessit� sembra facilmente superabile, al fine della negazione della sua 
rilevanza, allorquando il soggetto chiede l'intervento del giudice amministrativo 
per una situazione che incontrovertibilmente � inquadrabile in un comportamento 
illegittimo. 

Per svolgere adeguatamente l'indagine sulla �qualificazione�, occorre naturalmente 
analizzare l'incidenza dell'interesse pubblico e di quello privato nelle 
V'ar,ie teoriche a :proposito delritl!teresse Jegittimo. 

In breve pu� ricordarsi che storicamente si � assistito dapprima ad una 
prevalenza della considerazione degli interessi pubblici, tanto che pu� affermarsi 
ancora ricorrente in giurispn1denza l'eco dell'insegnamento di quegli autori 
secondo i quali l'interesse legittimo � strettamente connesso all'interesse pubblico, 
trovando solo una tutela indiretta ed occasionale (cfr. per una breve disamina 
storica CAIANIELLO, op. cit., p. 89 e ss.). 

Attualmente � sempre pi� seguita quella tesi (v. CAIANIELLO, op. cit., p. 95) 
secondo la quale �il pi� delle volte il riferimento all'interesse pubblico � inconferente, 
dovendo vertere l'indagine sull'interesse del privato�, che da varie disposizioni 
� visto in s� e per s�, essendo la norma dettata esclusivamente a tutela 
del suo interesse. 

Qualsiasi orientamento debba ritenersi preferibile, alla base di entrambe 
le posizioni vii � certamente Ja necessit� di svolgere le indagiini su1lia � qllalLificazione 
� della situazione del privato, ai fini del riconoscimento della sua tutelabilit� 
in sede giurisdizionale. Deve pertanto sempre farsi riferimento alla sua 
posizione nei confronti del potere della pubblica amministrazione, mediante una 
analisi che dovr� considerare strettamente collegate le nozioni relative all'interesse 
pubblico e a quello individuale. 

Il giudice allora pu� e deve accertare inizialmente se il privato instauri il 
processo a scopo di giustizia, oppure per ottenere qualcosa che sia la negazione 
di questa, svolgendo una indagine dalla quale deve, sia pur sommariamente, 
risultare che la norma, conferendo il potere alla amministrazione, tutela in 
qualche modo il privato oppure lo prende in considerazione proprio per negarne 
la relativa situazione giuridica. 

Nel caso in esame, il potere di emanare l'ordinanza di rilascio sottende, 
quindi, la volont� dell'ordinamento di non qualificare assolutamente la posizione 
dell'occupante abusivo, il quale trova la sua tutela solo al di fuori dei casi di 
intervento della amministrazione, in sede di tutela possessoria dinanzi al giudice 
ordinario. 

La posizione differenziata, proprio perch� illegittima, preclude ogni possibilit� 
di � qualificazione '" 

In capo all'occupante abusivo, quindi, sussiste nei confronti dell'ordinanza 
di rilascio un interesse contrario alla legge, perch� tendente a perpetuare l'illegittima 
occupazione abusi.va: � proprio la previsione normativa dell'ordinanza 

I 

I 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVN 

341 

L'impugnazione dell'ordinanza di rilascio di terreni detenuti senza 
titolo pu� essere proposta dall'occupante abusivo, in quanto questi � 
titolare dell'interesse a persistere nella detenzione o a mantenere un 
comportamento contrario a quello intimato (3). 

di sgombero che definisce la situazione contra legem, senza che possa individuarsi 
un interesse legittimo. 

Tenendo conto che la dottrina (v. CANNADA BARTOLI, voce Interesse, in E.d.D., 
Varese, 1972, p. 23 e ss.) ha creato la figura dell'interesse �illegittimo�, pu� 
riscontrarsi proprio nel caso in esame una ipotesi in cui questo si manifesta, 
dal momento che la posizione soggettiva del privato tende per l'appunto a porsi 
in contrasto ontologico con la normativa di legge. 

L'occupante abusivo � titolare pertanto di un interesse �illegittimo�, poich� 
in sostanza mira al differimento della reintegrazione del possesso da parte della 
pubblica amministrazione, e quindi al ritardo nella attuazione della volont� della 
legge. 

LUIGI MARUOTTI 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 29 maggio 1981, n. 219 -Pres. (ff.) Scarcella 
-Est. Baccarini -De Luca (avv.ti U. e C. faccarino) c. Servillo 
(avv. Salvia) e Comune di Napoli (avv. Gleijcses e Galassi). 
Appello avverso decisione T.A.R. Campania, 23 marzo 1976, n. 252. 

Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale amministrativo -Natura Indagine 
del Gi.dice amministrativo � Sopravvenuta carenza di interesse 
� Valutazione � Limiti � Riferibilit� alla posizione sostanziale di 
interesse legittimo -Effetti. 

Giustizia amministrativa � Ricorso giurisdizionale amministrativo -Provvedimento 
impugnabile J-Licenza edilizia � Autorizzazione di variante Possibilit� 
di impugnativa autonoma -Preclusione. 

Urbanistica � Licenza edilizia � Autorizzazione di variante -Illegittimit� 
della licenza originarla -Effetti sul provvedimento di autorizzazione di 
variante -Caducazione dell'atto successivo. 

Il processo amministrativo, pur non essendo un giudizio sul rapporto, 
ha per oggetto la situazione soggettiva dedotta, la quale trova 
tutela con la prospettazione di vizi dell'atto nei motivi di impugnazione, 
i quali, se fondati, conducono all'annullamento dell'atto e alla conseguente 
determinazione dei limiti di efficacia del giudicato; pertanto ogni 
indagine del giudice amministrativo circa la sopravvenuta carenza di 
interesse ,del ricorrente deve tener conto non della sua posizione formale 
nei confronti dell'atto amministrativo impugnato, ma della sua posizione 
sostanziale di interesse legittimo di cui si chiede la tutela (1). 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

342 

Qualora il ricorrente abbia impugnato un atto con il quale la pubblica 
amministrazione aveva concesso una licenza edilizia, adducendo, 
a sostegno del ricorso, la inedificabilit� dell'area, ogni provvedimento 
sopravvenuto che sia da considerarsi confermativo circa la determinazione 
dello jus aedificandi non solo non comporta la cessazione della 
materia del contendere, ma � da ritenere non sottoposto ad alcun 
onere di impugnazione autonoma (2). 

Si verifica la caducazione automatica, senza che occorra ulteriore 
attivit�, del provvedimento con cui si � autorizzata una variante 
ad una licenza edilizia, allorquando venga riconosciuta l'illegittimit� 
dell'atto originario (3). 

(1-3) Cfr. in termini, in tema di variante a licenza edilizia, Ad. PI., 27 ottobre 
1970, n. 4, in Il Consiglio di Stato, 1970, I, 1543; Sez. V, 6 novembre 11973, ni 787, 
ivi, 1973, I, 1640; Sez. IV, 5 luglio 1967, n. 276, ivi, 1967, I, 1098; Sez. V, 17 marzo 
1978, n. 323, ivi, 1978, I, 414. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 maggio 1981, 11. 213 -Pres. Laschena 
-Est. Berruti -Quaglino (avv. Pulvirenti e Dal Piaz) c. 
Ministero Pubblica Istruzione ed altro (avv. Stato Tamiozzo) Appello 
avverso decisione TAR Piemonte, 13 maggio 1975, n. 151. 

Istruzione e scuole -Insegnante universitario -Nuovi incarichi -Nozione 
ex art. 4 legge :n. 766-1973 -Individuazione -Rinnovazione della copertura 
di cattedre mediante attribuzione .precaria -Esclusione. 

La semplice .rinnovazione della copertura di cattedre mediante 
attribuzione precaria, anche se a diversi docenti, � altra cosa rispetto 
all'istituzione di un nuovo posto di insegnamento non di ruolo per 
cattedra precedentemente non� attivata o coperta da professore di 
ruolo e pertanto non rientra nella nozione di � nuovo incarico � di insegnamento, 
contemplata dalla legge 30 novembre 1973, n. 766 (recante 
misure urgenti per l'Universit�), con l'ulteriore conseguenza che ad 
essa non si applica l'art. 4, quarto comma, della stessa legge, a norma 
del quale � vietata l'attribuzione di nuovi incarichi, se gratuiti (1). 

(1) Cfr. in termini da ultimo Sez. VI, 28 aprile 19811, n. :169, in Il Consiglio 
di Stato, 1981, I, 454. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA' 

343 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 maggio 1981, n. 221 -Pres. Laschena 
-Rel. Cifarelli -Soc. Santa Mal'gherita ~avv. SteHa Riohter) c. 
Sopraintendenza ai Monumenti e Gallerie di Cagliari (avv. Stato 
Ferri). Appello avverso decisione T.A.R. Sardegna, 30 novembre 
1976, n. 348. 

Demanio -Beni di interesse paesaggistico -Vincoli -Effetti -Decorrenza Pubblicazione 
elenchi nell'Albo Comunale -Conseguenze. 

Demanio -Beni di interesse paesaggistico -Vincolo panoramico -Costruzioni 
edilizie -Nulla-osta della Soprintendenza ai monumenti � Successivo 
annullamento � Natura � Effetti. 

Demanio � Beni di interesse paesaggistico � Vincolo panoramico � Costruzioni 
edilizie -Nulla-osta della Soprintendenza ai monumenti -Motivazione 
del permesso a costruire � Modulo-tipo senza riferimenti al 
vincolo � Insufficienza. 

Atto amministrativo -Atto discrezionale -Annullamento -Limiti all'indagine 
sulla legittimit� � Effetti. 

Atto amministrativo � Vizi -Eccesso di potere � �Contraddittoriet� -Fattispecie 
Limiti. 

Demanio -Beni di interesse paesaggistico -Vincolo panoramico � Costruzioni 
edilizie ,. Nulla-osta della Soprintendenza ai monumenti . Legge 

n. 1497-1939 e reg. 1357-1940 � Rapporti -Art. 16 del regolamento . Criterio 
di inteiipretazione. 
Poich� l'imposizione del vincolo panoramico a tutela delle bellezze 
naturali si perfeziona al momento della pubblicazione degli elenchi delle 
rispettive localit� nell'albo comunale, da tale data decorre l'obbligo di 
richiedere il nulla-osta al soprintendente ai monumenti, previsto dal1'
art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (1). 

(1-6) Decisione esatta e da condividere, in quanto riafferma, fra l'altro, in 
forma esplicita, l'esigenza della motivazione, anche solo sintetica, nei provvedimenti 
con i quali si concedono autorizzazioni a costruire in presenza di un 
vincolo di interesse ambientale. 

Per quanto concerne la prima massima, la decorrenza dell'obbligo ex art. 7 

della legge 29 giugno 1939, n. 1497, a partire dalla data in cui la bellezza d'insieme 
viene conosciuta con la pubblicazione dell'elenco relativo nell'albo comunale, 
non gi� dalla data del provvedimento ministeriale, atto terminale del 
procedimento, � stata ribadita nella decisione dell'Ad. PI., 6 maggio 1976, n. 3 
~in Il Consiglio di Stato, 1976, I, 560). 

Sulle altre massime ricordiamo le dee. Sez. IV, 9 aprile 1974, n. 305 (ivi, 1974, 
I, 533); Sez. VI, 16 giugno 1978, n. 741 (ivi, 11978, I, 1192); 19 ottobre 1979, n. 708 
(ivi, 11979, I, 1422); 14 dicembre 1979, n. 890 (ivi, 1979, I, 1852). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

344 

Qualora risulti emanato un atto di nulla-osta alla realizzazione di un 
manufatto in una zana sottoposta a vincolo panoramico, ben pu� il 
Soprintendente ai monumenti adottare un provvedimento (che costituisce 
ipotesi di annullamento d'ufficio e non revoca), con il quale si 
ponga nel nulla il precedente nulla-osta (2). 

Costituisce atto illegittimo il rilascio del nulla-osta a costruire edifici 
in zona protetta da vincolo panoramico qualora dal provvedimento 
non risulti una adeguata motivazione, sia pure sintetica, e ci� in quanto 
tutti i cittadini sono portatori dell'interesse a difendere il patrimonio 
paesaggistico e, conseguentemente, l'Amministrazione deve dare conto 
delle ragioni che, in presenza del vincolo, giustificano il rilascio del permesso 
stesso (3). 

L'autorit� amministrativa, al fine di esercitare il potere di autotutela 
in tema di provvedimenti discrezionali, pu� spingere l'indagine, al pari 
del giudice amministrativo, a tutte le figure sintomatiche dell'eccesso di 
potere, anche a quelle in cui si sia ai confini tra la illegittimit� e la inopportunit� 
della adozione del provvedimento (4). 

L'atto amministrativo col quale la pubblica amministrazione rappresenti 
un apprezzamento del pubblico interesse che sia rusolutamente' 
inadeguato rispetto alla situazione oggettiva da disciplinare, presentando 
evidenti contraddizioni e incongruenze, � da ritenere affetto dal vizio di 
eccesso di potere e pertanto annullabile, dal momento che in tal modo 
sicuramente esso ha deviato dalla funzione che gli � propria (5). 

La norma contenuta nell'art. 16 del r.d. 3 giugno 1940, n. 1357, nel 
prevedere in cinque anni la validit� dell'approvazione della Soprintentendenza 
in materia di tutela paesaggistica, non limita in alcun modo il 
potere di autotutela della pubblica amministrazione nel caso in cui l'approvazione 
sia viziata, ma tende solo ad assicurare una nuova possibilit� 
di intervento alla Soprintendenza, qualora la situazione obiettiva esistente 
al momento della sua emanazione risulti cambiata (6). 



SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 marzo 1980, n. 1471 -Pres. NovelliEst. 
Sandulli -P. M. Saja (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato 
D'Amato) c. Soc. ERG, Raffineria, E. Garrone (avv. Glendi). 

Tributi (in generale) -Contenzioso tributarlo -Sospensione della riscossione 
-Regolamento di giurisdizione -Ammissibilit�. 
(Cod. proc. civ., art. 41). 

Tributi (in generale) -Contenzioso tributario -Oggetto e natura del processo 
innanzi alle Commissioni. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). 
Tributi (in generale) -Riscossione -Sospensione dei titoli esecutivi fiscali 
da parte del giudice -Difetto assoluto di 1potere. 

Tributi (in generale) -Riscossione~ Imposte dirette -Sospensione -Rimedi 
ammessi. 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, 39, 53 e 54). 
� ammissibile il regolamento di giurisdizione riferito al potere del 
giudice di pronunciare la sospensione della riscossione dei tributi proposto 
in pendenza del giudizio di merito anche se sia stato gi� emesso it 
provvedimento di sospensione (l). 

(1-4) Identica � l'altra sentenza in pari data n. 1472. 
Decisione di grandissima rilevanza non soltanto sul punto centrale della 
controversia, ma su vari altri problemi basilari del processo tributario. 

La prima massima applica una regola di diritto comune ormai consolidata, 
ma implicitamente riconosce la ammissibilit� del regolamento di giurisdizione 
rispetto al processo innanzi alle commissioni; di ci� invero non vi era ragione 
di dubbio (art. 362 cod. proc. civ.) una volta riconosciuto, come ormai � paci-� 
fico, che le commissioni sono giudici speciali; ma essendo questa, a quanto 
consta, la prima pronunzia che interviene sul punto, merita di essere segnalata 
anche per questo. 

Molto importante per la definizione della natura del processo tributario � 
la seconda massima. Bench� il processo sia cronologicamente collegato ad un 
atto (amministrativo) dell'ente impositore, essa ha per oggetto �il completo 
riesame del merito del rapporto�; il giudice si pronunzia �con pienezza di indagine 
sulla sussistenza della obbligazione pubblica � e quindi sulla � verifica dei 
presupposti e degli effetti del rnpporto � quale � ori19ina!10 dai1la norma iimpos,]
tiiva, con 11a conseguenza che la pronunzia del giudice �ha natura dichiarativa 
della obbligazione sorta ex lege �; in conclusione il processo tributario � di 
� accertamento del rapporto � e non di annullamento dell'atto di accertamento 



346 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Le commissioni tributarie non sono organi della giustizia amministrativa 
cui � conferito il potere di annullamento degli atti della p.a., ma 
organi di giurisdizione speciale chiamati a pronunciare, con pienezza di 
indagine, sull'accertamento del rapporto e quindi ad emettere pronunzie 
dichiarative sulla sussistenza della obbligazione tributaria sorta ex Iege 
e non pronunzie costitutive di annullamento dell'atto di accertamento 
(2). 

Al giudice tributario (e ad ogni altro giudice), in mancanza di norme 
espresse, non pu� essere riconosciuto il potere di sospendere i titoli esecutivi 
fiscali per la riscossione delle imposte (3). 

La sospensione legale (parziale) della riscossione prevista automaticamente 
come effetto deZla impugnazione dell'accertamento, la possibilit� 
di ricorrere all'intendente di finanza che deve emettere una decisione 
amministrativa motivata suscettibile di impugnazione innanzi al 
giudice amministrativo ed il rimedio sostitutivo della azione di risarci


ovvero, secondo una terminologia ormai largamente seguita, di �impugnazionemerito 
� e non di �impugnazione-annullamento�. Corollario di ci� � che le 
commissioni tributarie sono s� giudici speciali, ma non org�ni della giustizia 
amministrativa, con la conseguenza che nel processo tributario il giudice, che 
non ha il potere di rimuovere l'atto di esercizio della potest� amministrativa, 
perviene all'accertamento della obbligazione senza la necessit� della formale eli


minazione dell'atto, spettando successivamente all'amministrazione annullare ed 
eventualmente sostitui11e gli atti r;konosoiuti 1~legHtimi e rhliquidare l'imposta 
disponendo in ipotesi il rimborso sulla base del giudicato. 

In questa parte della sentenza sono condensate proposizioni che, in armonia 
con le tesi da sempre sostenute dalla Avvocatura, fissano i caratteri fondamentali 
del processo tributario. 

Un breve, ma solidissimo cenno alla struttura del processo tributario era 
gi� contenuto in altra importantissima sentenza delle Sez. Un. che ritenne la 
improponibilit� delle azioni di mero accertamento (8 marzo 1977, n. 942, in 
questa Rassegna, 1977, I, 302, con nota di C. BAFILE). 

� particolarmente da segnalare, oltre alla non nuova affermazione della 
natura dichiarativa della decisione, il particolare rapporto tra la pronunzia 
sulla sussistenza della obbligazione e i provvedimenti conseguenziali della Amministrazione 
per la riliquidazione dell'imposta e gli eventuali rimborsi. 

Sul punto specifico del'la controversia :La deci:sione, pur 1tarnto avversata, 
� perfettamente in linea con una lunga tradizione. � sempre stato escluso che 
il giudice ordinario avesse il potere di sospendere la riscossione (v. Relazione 
Avv. Stato, �197'1, 75, II, 594) e non era pensabile che un tale potere potesse 
essere conferito alle commissioni; che le norme del nuovo contenzioso escludono 
una tale eventualit� � del tutto chiaro, s� che questa parte della pronunzia � 
la meno problematica. 

Molto importante � invece la disamina sulla confutazione del sospetto di 
illegittimit� costituzionale, sia sul punto che il potere cautelare, specie innanzi 
al giudice dei diritti, non � un attributo necessario della giurisdizione, sia sul 
punto che le guarantigie offerte dal sistema con la sospensione legale, il ricorso 
all'intendente e la domanda di risarcimento contro l'esattore sono sufficienti 
nell'ambito del necessario contemperamento di esigenze contrastanti. Bench� la 



�� �� 
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 347 

mento del danno contro l'esattore, assicurano al contribuente una esaustiva 
tutela, compatibile con la necessit� di contemperare l'esigenza di 
assicurare la vita finanziaria dello Stato con l'esigenza della tutela del 
cittadino (4). 

(omissis) A carico della societ� per azioni Raffineria Edoardo Gar


rone veniva iscritta a ruolo la somma di lire 362.495.040 per imposta di 

ricchezza mobile, dovuta per gli anni dal 1967 al 1972, a seguito di 

riliquidazione effettuata in applicazione del condono stabilito con d.I. 5 

novembre 1973, n. 660. 

La sooiet�, con ricorso del 1� giugno 1977, impugnava il ruolo innanzi 

alla commissione tributaria di primo grado di Genova, contestando l'ob


bligazione tributaria; ed otteneva, poi, dall'intendente di finanza, a norma 

dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, la sospensione della riscos


sione fino al 31 ottobre 1977. 

Con ricorso del 5 settembre 1977, nell'imminenza della soadenza di 
detto termine, la societ� chiedeva al presidente della commissione di 
�disporre la sospensione della riscossione dell'imposta iscritta a ruolo. 
Con decreto del 20 ottobre 1977, il presidente della commissione fissava 
l'udienza per la decisione della domanda di sospensione, ordinando 

la comunicazione del ricorso e del decreto all'ufficio delle imposte. 

Con ordinanza del 2 novembre 1977, la commissione tributaria di 

primo grado sospendeva la riscossione, fissando per la trattazione del 

merito l'udienza del 21 dicembre 1977. 

Considerava la commissione tributaria: -ohe l'Intendente di Fi


nanza aveva disposto la sospensione della ,riscossione a norma dell'arti


colo 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per un limitato periodo di 

tempo, anzich� sino alla decisione di primo grado; -che l'esclusione del 

potere di sospensione della commissione tributaria contra$tava con l'esi


genza costituzionale di un'ampia tutela del cittadino contro gli atti della 

pubblica amministrazione (art. 113, primo comma, Cost.); -che non 

ostavano a tale potere la tradizione legisiativa riBalente a tempi in oui 

era limitata la protezione del singolo, l'espressa previsione in altri ordini 

giurisdizionali e la ritenuta legitt:imit� della posticipazione della tutela 

dei soggetti coinvolti neHa esecuzione esattoriale; -e che argomenti a 

favore del cennato potere potevano trarsi dall'analogia con la giurisdi


pronunzia abbia specifico riferimento alle imposte dirette, essa � dichiaratamente 

applicabile anche alle imposte indirette ed anche per la giurisdizione ordinaria. 

Ancora da notare l'implicita soluzione della questione della impugnabilit� 

innanzi al giudice amministrativo del provvedimento dell'intendente di finanza, 

che era stata messa in dubbio proprio dal Consiglio di Stato (Sez. IV, ord. 

12 febbraio 1974, n. 173, in questa Rassegna, 1974, I, 657 con nota di R. TAMIOZZO). 

C. BAFILE 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

zione amministrativa e dall'essere ricompreso il potere di sospensione nel 
potere di annullamento delle commissioni tributarie. 

In pendenza del giudizio di merito, l'amministrazione finanziaria 
dello Stato ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione 
limitatamente alla domanda cautelare di sospensione, deducendo 
un unico motivo, illustrato da memoria. Ha resistito con controricorso, 
anch'esso illustrato da memoria, la societ� Raffineria Garrone, la quale 
ha eccepito l'inammissibilit� del regolamento, proposto dopo l'emissione 
del provvedimento di sospensione e I'esaurimento del relativo procedimento 
incidentale. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

L'amministrazione finanziaria -denunciata la violazione dell'art. 39 
del d.P.R. 29 settembzre 1973, n. 602, degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 
1865, n. 2248, all. E, dell'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e dei 
pr1nc�pi generali del contenzioso tributario -sostiene che, sebbene sussista 
la giurisdizione della commissione tributaria nella causa principale 
promossa con l'impugnazione del ruolo esattoriale, tale giurisdizione difetti 
nel giudizio incidentale instaurato con l'istanza di sospensione, in 
quanto -esulando dalle attribuzioni giurisdizionali del giudice tributario 
e di ogni altro giudice il potere di sospensione della riscossione 
dell'imposta iscritta a ruolo, attribuito, in via esolush'a all'intendente di 
finanza ex art. 39 del d.P.R. n. 602 del 1973 -la domanda di sospensione 
dell'esecuzione sarebbe (assolutamente) improponibile innanzi a qualsiasi 
giudice. 

Il ricorso per regolamento � ammissibile e fondato. 

In via pregiudiziale, la Societ� resistente ha eccepito l'inammissibilit� 
del regolamento preventivo di giurisdizione proposto, in pendenza 
deHa causa principale, non per contestare la giurisdizione del giudice adito 
(pienamente riconosciuta), ma con riguardo al solo procedimento incidentale 
ad essa inerente, successivamente all'emissione del provvedimento 
di sospensione ed all'esaurimento del procedimento cautelare. 

L'eccezione di inammissibilit� va disattesa. 

Invero, data la funzione dell'azione cautelare, tesa ad ottenere (quando 
possibile) la sospensione deM'esecuzione, il vincolo di strumentalit� 
della cautela, :rispetto al fine cui tende il giudizio di merito, non consente 
l'ipotesi di separazione del procedimento cautelare da quello di 
merito n� quella di una giurisdizione diversa per i due procedimenti. 

Infatti -esigendo il rapporto strumen1laile tra la pretesa di merito 
e queHa cautelare che entrambi i procedimenti siano volti alla tutela 
della medesima situazione giuridica soggettiva, con la conseguente implicazione 
della necessit� della identit� di giurisdizione -deve �ritenersi 
che i due procedimenti (cautelare e di merito), pur muilliti di una certa 
autonomia, costituiscano fasi processuali di un unico giudizio, fra loro 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

in consecuzione finalistica, e che, conseguentemente, l'oricliinanza di so


spensione -non integrando, per la sua funzione, per la precariet� del 

provvedimento e per la sommaruet� detla delibazione, una proouncia di 

merito e non potendo, quindi, dar luogo ad un giudicato (1implicito) in 

relazione alla giurisdizione sulla pretesa di merito -non possa preclu


dere l'esperimento del regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 

cod. proc. civ. (nel senso della esclusione della impugnabilit� immediata 

dell'ordinanza di sospensione ex art. 111 Cost.: cfr. Cass., sent. n. 2733 del 

1973; sent. n. 3047 del 1962). 

Per modo che il regolamento, proposto in pendenza della causa di 

merito, deve considerarsi ammissibile, anche se, contestandosi il po


tere di sospensione, il provvedimento cautelare sia stato (in ipotesi) 

irritualmente pronunciato. 

Passando all'esame del-merito, il problema che si pone � se, nel 
.quadro della tutela accordata dall'ordinamento giuridico ai soggetti passivi 
dell'attivit� amministrativa di accertamento e riscossfone delle imposte, 
le Commissioni tributarie siano investite del potere di sospensione 
dei titoli esecutivi fiscali, e cio� se esse possano sospendere in via caute.
fare l'efficacia esecutiva della iscrizione a ruolo e la riscossione esatto


riale del tributo. 

II quesito proposto, attinente all'ammissibilit� (o meno) della tu


tela giurisdizionale preventiva e cautelare nel processo tributario, � stato 

vivamente dibattuto e variamente risolto. 

Gli argomenti a sostegno della soluzione negativa vengono indivi


duati nel rinvio dell'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (revisione 

.della disciplina del contenzioso tributario) alle sole norme del libro 

primo del codice di procedura civile, nella espressa attribuzione della 

potest� di sospensione della riscossione aH'intendente di finanza ai sensi 

.dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (disposizioni sulla riscos


.sione delle imposte sul reddito) e ne1la previsione della cosiddetta so


.spensione legale, relativa alla progressiva esazione del triibuto (art. 15 

.del cit. d.P.R. n. 602 del 1973). 

La soluzione positiva, invece, trae �argomenti dalla considerazione 

�che il potere di sospensione dell'efficacia di un atto � inscindibile da 

quello di annullamento, costituendo di questo un quid minoris, dal ri


lievo che il giudice speciale tributario � un giudice amministrativo esclu


sivo, in grado di fornire ogni forma di tutela, e dal riflesso che 1'esclusione 

del potere di sospensione cautelare contrasta con l'esigenza costitu


zionale, espressa negli artt. 24 e 113, primo comma, Cost., della pi� 

.ampia tutela del cittadino. 

Fra le due contrapposte opinioni, le sezioni unite della Corte Su


prema ritengono di dover aderire all'orientamento negativo e che, quindi 

-a:tla stregua de1la normativa vigente e dei principi sanciti negli arti� 

,coli 24 e 113 della Costituzione -non spetti al giudice tributario H po



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tere di sospensione cautelare nei confronti della riscossione esattoriale 
delle imposte. 

I sostenitori della tesi positiva tendono ad affermare la sussistenza 
del potere cautelare delle commissioni tributarie, quale naturale completamento 
delle 101:0 attribuzioni giurisdizionali, attraverso la seguente 
costruzione giuridica: il potere cautelare (strumentale rispetto al merito), 
inerente alle attribuzioni giurisdizionali ed avente, per la sua applicazione 
generaile, la sua base normativa nei princ�pi costituzionaili fissati 
negli artt. 24 e 113 Cost., va riconosciuto alle commissioni tributarie, 
in quanto -costituendo questi organi (speciali) della giustizia amministrativa, 
davanti a cui la tutela tributaria � configurata come impugnativa 
del provvedimento dell'ufficio finanziario -ad esse va esteso 
in via anailogica H potere di sospensione il1iconosciuto al giudice amministrativo 
investito del potere di annullamento degli atti del1la pubblica 
amministrazione. 

La concezione delineata non � condivisibile. 

Va, innanzi tutto, osservato come l'art. 24 della Costituzione -mirando 
a disciplinare non la giurisdizione ma l'accesso alla stessa e non 
predeterminando i contenuti dei poteri dei giudici e la tipologia ed il 
vailore dei provvedimenti giurisdizionali -non possa costituire il fondamento 
del potere cautelare del giudice tributario, s� che -rientrando 
nelle scelte del legislatore i modi di strutturazione dei vari sistemi giurisdizionali 
-deve escludersi che possa farsi discendere automaticamente 
dalla disposizione costituzionale dell'art. 24 il potere di sospensione degli 
atti di riscossione delle imposte. 

N� pu� ritenersi implicitamente devoluto alle commissioni tributarie 
il potere di sospensione in base aH'art. 113 Cost., sul riflesso che la 
tutela giurisdizionale da esso garantita, per avere in ogni momento 
carattere di pienezza ed effettivit�, debba ricomprendere anche la protezione 
cautelare del cittadino nella fase iniziale del procedimento, in 
quanto la potest� di sospendere non pu� considerarsi necessariamente 
inclusa nella giurisdizione di merito, ma deve essere conferita al giudice 
da norme espresse, non suscettive di interpretazione analogica ed 
estensiva. 

E ci� � stato espressamente riconosciuto dalla Corte costituzionale, 
la quale, con la sentenza n. 284 del 1974, ha statuito che l'esclusione del 
potere di sospensione nell'ambito di un sistema di tutela giurisdizionale 
pu� considerarsi costituzionalmente legittima se ragionevolmente giustificata, 
e con le sentenze n. 195 del 1975, n. 67 del 1974, n. 138 del 1968 e n. 87 
del 1962, ha affermato che un trattamento differenziato dei rimedi offerti 
per l'esecuzione esattoriale (con esclusione del potere cautelare di sospensione) 
� giustificato dalla particolare qualificazione del �preminente 
interesse costituzionale (fondamentale e pTimario) di garantire il regolare 
svolgimento della vita finanziaria dello Stato�. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 351 

Va, quindi, confermato come -essendo consentito al legislatore 
ordinario, in materia processuale, di stabilire procedure differenziate, dn 
vista della possibile diversificazione deHa tutela giurisdizionale a causa 
delle differenti peculiarit� deHe singole situazioni sostarnziali, regolando 
in maniera diversa i modi e l'efficacia deMa tutela giurisdizionale, con 
esclusione, quindi, di una identica tutela (dr., in tal senso, oltre le decisioni 
della Corte costituzionale g�� citate, la sent. della stessa Corte n. 161 
del 1971) -il potere di sospensione, non discendendo implicitamente ed 
automaticamente da disposizioni normative della Costituzione, debba essere 
conferito necessariamente da norme espresse. 

Va, poi, considerato come debba escludersi che le commissioni tributarie 
costituiscano �organi della giustizia amministrativa�, ricompresi 
nel �sistema della giurisdizione amministrativa, e che il sistema di tutela 
giurisdizionale loro affidato si realizzi con l'annullamento degli atti della 
pubblica amministrazione. 

Invero, le commissioni tributarie sono � organi di giurisdizione speciale
� del tutto diversificati dagli organi della giustizia �amministrativa 
tipicamente considerati dalla Costituzione, legittimati dalla disposizione 
VI transitoria della Carta costituzionale e risultanti dalla revisione delle 
commissioni tributarie preesistenti attuata alla stregua dei rprindpi stabiliiti 
nella [egge 9 ottobre 1971, n. 825, concernente Ja delega legislativa 
per la riforma tributaria (cfr. Corte cost., sent. n. 215 del 1976; sent. n. 287 
del 1974; Cass., sez. un., n. 4507 del 1978). 

Ed, innanzi' ad esse, il giudizio tributario -ancorch� costruito for� 

malmente come ricorso contro un atto dell'ente impositore -ha per 

oggetto il completo riesame del merito del rapporto (cfr. Cass., sez. un., 

sent. n. 4507 del 1978; sent. n. 942 del 1977), trattandosi -secondo fa pi� 

autorevole dottrina -di un giudizio di impugnazione-merito (e non di 

impugnazione-.annullamento). 

Il processo instaurato innanzi al giudice tributario �, quindi, di accer


tamento del rapporto. 

E -poich� al giudice spetta di pronunziare, con pienezza di inda


gine, su1la sussistenza deU'obbligazione pubblica e non sulla corret


tezza dell'esercizio del potere amministrativo -l'oggetto del giudizio 

viene a risolversi nella verifica dei presupposti e degli effetti del rap. 

porto. 

Il giudizio tributario �, quindi, limitato all'accertamento del regime 

legale del rapporto originato dalla norma impositiva e fa pronunzia resa 

dal giudice tributario ha natura dichiarativa dell'obbligazione sorta ex 

lege (e non costitutiva di annullamento). 

Per modo che il processo tributario -in mancanza di un potere 

autoritativo del giudice volto alla rimozione del concl'eto atto di eser


cizio della potest� amministrativa -perviene a1l'accertamento dell'ob


bligazione tributaria senza necessit� della formale eliminazione deU'atto, 


352 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
spettando successivamente all'amministrazione finanziaria annullare ed 
352 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
spettando successivamente all'amministrazione finanziaria annullare ed 
�eventualmente sostituire gli atti riconosciuti ,LUegittimi e riliquidare l'im


posta (disponendo, in ipotesi, il rimborso, slll1la base della pronunzia 
:giurisdizionale). 

La giurisdizione, quindi, dichiara legittima o illegittima {in tutto o 
in parte) la pretesa tributaria sul piano sostanziale, senza necessit� di 
revoca de1l'atto proveniente dall'amministrazione. 

Pertanto, in mancanza di un giudizio di arnlullamento, non appare 
valorizzabile l'idea di un potere di sospensione {strumenta:le) del giu
�dice tributario ricompreso in quello di anm.uillamento. 

Conseguentemente al giudice tributario non pu� essere riconosciuto 
neppure in via analogica il potere di sospensione, assegnato (unitamente 
al potere di annullamento) al Consiglio di Stato dall'art. 39 del r.d. 26 
:giugno 1924, n. 1054 (t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato) ed ai T1ribrunali 
amministrativi regionali dall'art. 21, ultimo comma, della legge 6 di.
cembre 1971, n. 1034 (istituzione dei tribunali amministrativi regionali). 

D'altro canto, -costituendo l'art. 6 della legge 20 marzo 1865, 

n. 2248, all. E (sul contenzioso amministrativo) il cardine del sistema 
�giurisdizionale tributario e permanendo, dopo la riforma tributaria, la 
regola generale che le controversie d'imposta, ove non sia diversamente 
�disposto, sono soggette alla giurisdizione ordinaria -non pu� ricorrersi 
.:ai priindpi di analogia per riconoscere alle commissioni tributarie il 
potere cautelare di sospensione neppur�e in ordine alla giurisdizione ordinaria, 
sprovvista in materia tributaria di sil�fatto potere. 
E -poich� l'impossibilit� della sospensione ape judicis della riscos-
sione delle imposte indirette risulta dagli artt. 54, quarto comma, del 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (disciplina dell'imposta di registro) e 45, 
-primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 (disdplina dell'imposta 
sulle successioni e donazioni), i quali irichiamano espressamente l'art. 31 
�del r.d. 14 aprile 1910, n. 639 (t.u. delle disposizioni di legge relative alla 
riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato), che ~nibisce la sospen-
sione degli effetti del titolo esecutivo fiscale (cfr., Cass., sez. un., sent. 
n. 855 del 1975; sent. n. 2583 del 1974) -peir ragioni di carattere sistematico, 
il potere di sospensione va escluso, nell'ambito della giurisdizione 
�delle commissioni tributarie, anche nel settore delle imposte dirette. 
Sgombrato il campo, attraverso ila critica su delineata, dalla costru?:
ione giuridica di segno positivo, deve procedersi a1l'esame degli elementi 
argomentativi addotti a sostegno della soluzione negativa. 

In base al sistema tributario vigente prima della �riforma attuata con 
'i decreti presidenziali delegati emessi in base alla legge 9 ottobre 1971, 

n. 825, concernente la delega legislativa per la riforma tributaria, non 
spettava alle commissioni tributarie n� al giudice ordinario, nel quadro 
della tutela accordata daH'o11dinamento ai soggetti passivi dell'attivit� 
:amministrativa di accertamento e di riscossione delle imposte, alcun 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

potere di sospensione dei titoli esecutivi fiscaili (artt. 188, 208 e 209 del 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 t.u. delle leggi sulle imposte dirette). (Riguardo 
al settore delle imposte dirette, J'U!Ilica possibilit� di intervento 
esterno sul coiiso dell'esecuzione em rappresentata da1la facolt� di sospensione 
aUribuita al pretore nel caso di opposizione di terzo, introducente 
una controversia del tutto estranea alla materia tributaria: cfr. 
Cass., sent. n. 564 del 1972; sent. n. 1771 del 1968; sent. n. 2032 del 1967). 
Nell'articolato� sistema giurisdizionale tributario, apprestato daJl'ordinamento 
con la riforma, la tutela � fondamentaJmente rivolta contro 
l'atto di accertamento (art. 16, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, 

n. 636), che, non costituendo titolo esecutivo, non propone un problema 
di sospensione. 
Al ricorso contro l'accertamento (riferentesi a periodi d'imposta gi� 
decorsi) � ricondotto l'effetto di limitare l'obbligo della iscrizione a 
ruolo -incombente ex lege all'amministrazione (cfr. Corte cost., sent. 

n. 114 del 1963) -ad �un terzo dell'imposta corrispoIJJdente aill'imponibile 
accertato dall'.uffi.cio � (art. 15, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 602, Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul 
reddito). 
Alla pendenza del giudizio tri:butario �, inoltre, dovuto, per la cosiddetta 
sospensione legale, l'effetto de1la progressiva esazione del tributo. 

Invero, dopo la decisione della commissione .tributaria di primo 
grado, l'imposta � iscritta a ruolo per la met� dell'imponibile determinato 
(art. 15, secondo comma, lett. a); successivamente alla pronuncia 
di secondo grado per due terzi di questo (ar-t. 15, secondo comma, lett. b); 
e dopo la decisione della Commissione centrale rper l'ammontare corrispondente 
all'imponibile stabilito (art. 15, secondo comma, iett. e), (in 
modo analogo dispone l'art. 6 della legge 23 febbraio 1978, n. 38). Al 
contribuente � accordata, poi, la possibilit� di proporre ricorso contro 
l'iscrizione a ruolo (costituente il titolo esecutivo) -ove questa non sia 
stata preceduta dalla notifioa dehl'accertamento o del provvedimento di 
irrogazione della sanzione pecuniaria ovvero per vizi propri del ruolo innanzi 
alla commissione tributaria di primo gmdo (art. 16, secondo 
comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636). 

Tale ricorso, per�, non sospende la riscossione (art. 39, primo comma, 
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602). 

Peraltro, contro gli atti esecutivi dell'esattore il contribuente pu� 
esperire il ricorso previsto dall'art. 53, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 602, all'intendente di finanza, 1il quale � tenuto a decidere 
sull'impugnativa nel termine di trenta giorni dalla sua presentazione, 
dopo aver sentito l'ufficio delle imposte ed avere invitato !L'esattore 
a presentare le sue deduzioni entro quindici giorni (art. 53, terzo 
comma). 


354 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Esclusivamente alfintendente di finanza resta devoluto (come disposto 
anche dall'art. 188, quarto comma, del t,u. 29 geru:iaio 1958, n. 645) 
il .potere di sospensione (deHa 1riscossione e della esecuzione) sia nel 
caso di ricorso avverso il ruolo sia nel caso di ricorso avverso gli atti ese-� 
cutivi dell'esattore. 

Invero, l'art. 39, primo comma, del d.PiR. 29 settembre 1973, n. 602' 
-dopo aver stabilito che il ricorso contro il ruolo non sospende la 
riscossione -dispone che �tuttavia l'intendente di finanza, sentito l'ufficio 
delle imposte, ha facolt� di disporla in tutto o in parte d.�no aHa 
decisione della commissione di primo grado, con provvedimento motivato� 
notificato aill'esattove ed ail contribuente� � che � tale provvedimento pu� 
es,sere revocato dall'intendente di fillanza ove sopravvenga fondato pericolo 
per la riscossione�; e l'art. 53, terzo comma, del medesimo decreto 
presidenziale n. 602 del 1973 prevede che, nel periodo di tempo assegnatogli 
per decidere sul ricorso ad esso rivolto (trenta giorni}, l'intendente 
di finanza pu� � sospendere gli atti esecutivi con provvedimento motivato
�. 

Inoltre, mentre con l'art. 54 del d.P.R. n. 602 del 1973 si � rinnovato� 
il divieto delle opposizioni all'esecuzione ed agli atti esecutivi, regolate� 
dagli artt. 615-618 cod. proc. dv., gi� stabilito dall'art. 209, secondo comma, 
del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, con 1l'1art. 53, quarto comma, del 

d.P.R. n. 602 del 1973 si � disposto che �i provvedimenti dell'intendente 
di finanza sono definitivi�. 
In base al delineato quadro normativo va, quindi, stabilito se sia 
concesso al giudice tributario (o ad altro giudice) il potere di sospensione� 
e se, mediante i mezzi d'impugnativa esperibili dal contribuente, sia 
previsto dall'ordinamento giuridico un adeguato sistema di tutela delle 
situazioni soggettive del soggetto passivo dell'obbligazione pubblica tributaria. 


Come si � visto, nel sistema della riscossione delle imposte dirette 
-pur essendo consentita al contribuente l'impugnativa del ruolo innanzi 
alla commissione di primo grado (e la proposizione del ricorso all'intendente 
di .finanza contro gli atti esecutivi de1l'esattore) -non � accordata 
al soggetto passivo d'imposta iscritta a ruolo altria fovma di tutela in 
via d'urgenza al di fuori di quella rappresentata dalla possibhlit� di richie� 
dere la sospensione all'intendente di finanza. 

Tale forma di tutela giustiziale non pu� far considerare non sufficientemente 
protetto il contribuente. 

Invero, l'impossibilit� d'intervento del giudice tributario sul regime 
della riscossione fiscale e l'attribuzione al contribuente del recLamo all'intendente 
di finanza come unico mezzo di tutela contro l'esecuzione 
esattoriale non valgono a far ritenere labile la tutela (giurisdizionale e 
giustiziale) del cittadino nei confronti dell'attivit� esattoriale della pubblica 
amministrazione, s� da far considerare praticamente rivalutato 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

-come si � sostenuto da taluni in dottrina -il principio del salve et 

repete, gi� espunto dall'ordinamento giuridico da decisioni del1a Corte 

costituzionale. 

Va, innanzi tutto, rilevato come, attravevso la cosiddetta 'sospensione 
legale, concretantesi nella progressiva esazione del tributo, ila quale, in 
pendenza del giudizio tributario, comporta la riduzione dehl'imponibile 
(accertato ex officio) iscrivibile a :ruolo :a:d un terzo (con l'aumento di esso, 
nel caso in cui il reddito imponibile sia stato determinato dalla commissione 
di primo ~rado, fino alla met� e, nel ca:so in cui ~'imponibile sia 
stato deciso dalla commissione di secondo grado, fino a due terzi, giungendo 
all'iscrizione dell'intero reddito imponibile soltanto dopo la pronuncia 
della commissione centrale), si 1abbia gi� una congrua ed efficace 
tutela del contribuente, soprattutto, quando in presenza della incontrovertibilit� 
del fondamento de1l'obbligazione pubblioa, si discuta esclusivamente 
dell'esattezza della liquidazione del debito tributario. 

N� pu� ritenersi che le disposizioni normative, integranti H complesso 
sistema di tutela apprestato in favore del contribuente dall'ordinamento 
tributario -ispirato al criterio dell'indipendenza della reazione 
all'accertamento dal procedimento di riscossione -le quali escludendo 
il potere cautelare di sospensione del giudice tributario (non 
potendo consentirsi ad esso, privo del potere di annullamento, di operare 
sull'atto amministrativo teso aMa riscossione, limitandone fa incidenza 
effettuale) attribuiscono lo stesso esclusivamente aH'intendente 
di finanza, non garantiscano sufficientemente fa tutela costituzionalmente 
assegnata al contribuente. 

Invero, il reclamo all'intendente di finanza proposto ex art. 39 del 
diP,R. n. 602 del 1973 promuove un provvedimento giustiziale contenzioso 
che impegna l'intendente a pronunciare motivatamente il provvedimento 
di sospensione o di diniego della sospensione in un tempo assolutamente 
breve, previsto ex lege nel termine di trenta giorni, che, 
soprattutto, nei casi in cui si appalesi evidente l'errore di calcolo o di 
trascrizione ovvero l'i1legittimit� della iscrizione a ruolo, vale ad evitare 
(neLle intenzioni del legislatore) ohe il contribuente onerato, tenuto 
alla corresponsione di un tributo, o di un ammontare d'imposta, 
non dovuta, sia inciso nella sua sfera patrimoniale senza che ricorrano 
(in tutto o in parte) i .presupposti della liquidazione del debito tributario. 


E -poich� tale procedimento giustiziale consente (essendo i provvedimenti 
dell'Intendente di Finanza considerati definitivi ex art. 55, 
quarto comma, del d.P.R. n. 602 del 1973) che avverso il provvedimento 
di diniego della sospensione della riscossione dell'imposta ~scritta a 
ruolo possa adirsi, mediante l'esperimento dei rimedi giurisdizionali, 
il giudice amministrativo -non pu� avallarsi la tesi volta a sostenere 
che il contribuente -legittimato comunque ad agire in via risarcitoria 


356 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

nei confronti dell'esattore -sia sprovvisto di una garantistica ed esaustiva 
tutela, giacch� -essendo l'esercizio del potere di sospensione 
dell'intendente di finanza sindacabile, sotto il profilo della legittimit�, 
da giudici appartenenti all'ordine giurisdizionale amministrativo -non 
pu� ritenersi che il contribuente sia adeguatamente protetto di fronte 
all'azione amministrativa degli uffici tributari. 

H '1egistl.atore tributario -ispirandosi ai prindpi fondamentali della 
Carta costituzionale -ha proceduto, nel fissare i rimedi assegnati 
al contribuente per consentirgli di opporsi all'attivit� amministrativa 
esorbitante dai limiti posti a1l'esercizio del potere di riscossione dello 
ufficio tributario, al bi!lanciamento degli interessi contrastanti del privato 
e dello Stato ed ha ritenuto che -fra l'esigenza costituzionale di 
assicurare la vita finanziaria dello Stato, essenziale per lo svolgimento 
delle funzioni e dei servizi pubblici dello Stato -apparato, attraverso 
il puntuale adempimento delle obbligazioni pubbliche e la non dilazionata 
corresponsione dei carichi tributari, e l'esigenza ugualmente fondamentale 
della tutela del cittadino, tenuto ex art. 53, primo comma, 
della Costituzione a concorrere alle spese pubbliche in ragione della 
sua capacit� contributiva -dovesse trovarsi una situazione di giusto 
equilibrio che, contemperando i contrapposti interessi, nella visione 
del superiore bene dello Stato, valesse a salvaguardare, mediante la 
attribuzione delle guarentigie cautelative sopra profilate, la posizione 
giuridica soggettiva del contribuente, senza, nel contempo, privare lo 
Stato dei mezzi finanziari occorrenti per far fronte alle proprie funzioni 
pubbliche, aventi come scopo primario ed essenziale il soddisfacimento 
dei bisogni, materiali e morali, del co11po sociale. 

Ed �, quindi, alla luce di tale prospettiva che va considerata unitamente 
alla disposizione dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, 

n. 602, contenente la espressa attribuzione della potest� di sospensione 
delila riscossione dell'Intendente. di Finanza -ila statU!izione legislativa 
contenuta ne1la norma dii rinvio dell'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, 
n. 636, che, stabilendo l'applicabilit�, nel procedimento dinanzi al:le commissioni 
tributarie {in quanto compatibili) delle sole nol1IIle contenute nel 
primo [ibro del codice di procedura ciwle (con ila implicita esclusione dell'applicabilit� 
di altre disposizioni dello stesso codice), ha negato che 
dell'istituto de11a sospensione dell'esecuzione possa farsi applicazione nel 
processo tributario. 
Ed -essendo conseguentemente negata l'applicabilit� dell'art. 373 
-cod. proc. civ. da parte della commissione tributaria centrale (cfr., in 
tal senso, comm. trib. centrale, III sez., ordinanza 2 dicembre 1978) e 
non potendo l'iscrizione a ruolo, per quanto si � innanzi cons1derato, essere 
paralizzata da un provvedimento del giudice ordinario nel corso 
del giudizio proseguente innanzi ad esso -non si vede come -in 
mancanza di una norma attributiva espressa -il potere di sospensione 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 357 

dell'efficacia esecutiva del titolo fiscale e della riscossione dell'imposta 
iscritta a ruolo (richiedente il concorso dei requisiti essenziali del fumus 
boni juris e del danno o pregiudizio grave ed irreparabile) possa 
considerarsi esercitabile dalla commissione tributaria di .primo grado. 

In conclrusione, deve affermarsi che -competendo esclusivamente 
a11'1ntendente di finanza ex art. 39, primo comma, deil d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 602, il potere di sospendere, su istanza di parte, la 
riscossione dei tributi accertati ed iscritti a ruolo (salvo riscontro giurisdizionale 
di legittimit� dell'eventuale provvedimento di diniego) le 
commissioni tributarie e qualsiasi altro giudice, privi di ogni potere 
di incidenza sul regime legale degli effetti esecutivi dei titoli fiscali, 
siano sforniti della potest� giurisdizionale di sospendere la riscos~ione 
esattoriale delle imposte. 

In definitiva, la domanda di sospensione della riscossione esattoriale 
del tributo iscritto a ruolo promossa dalla societ� contribuente va 
dichiarata improponibile; e conseguentemente va pronunciato il difetto 
assoluto di giurisdizione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 27 marzo 1980, n. 1908 -Pres. Mirabelli 
-Est. Sandulli -P. M. Minetti (conf.). Soc. ORMA (avv. ContaJ1di) 
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Pagano). 

Tributi erariali diretti � Accertamento -Imposta sui redditi di ricchezza 
mobile � Plusvalenza � Rettifica con metodo induttivo dell'ammontare 
dei ricavi non rispondente al presumibile valore -Legittimit�. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 100, 106, 119, 120, 121). 
� legittimo l'accertamento con il quale in via induttiva viene corretta 
l'indicazione nel bilancio del ricavo ottenuto con la vendita di un 
bene quando questa non appaia rispondente al suo presumibile valore, 
a tal fine utilizzando come mero elemento presuntivo di inattendibilit� 
del prezzo espresso in bilancio il valore determinato ai fini dell'imposta 
di registro. A tale accertamento pu� farsi ricorso anche per individuare 
una plusvalenza e determinarne l'entit� (1). 

(omissis) Con il primo, la ricorrente, -denunciata la violazione e 
la falsa applicazione degli artt. 145, 148, 150 del d.P.R. 29 gennaio 1958, 

n. 645, nonch� l'omessa contraddittoria ed insufficiente motivazione si 
duole che la commissione tributaria centrale aibbia accertato il reddito 
di ricchezza mobile, categoria B, posto a base dell'imposta sulle 
societ�, senza tener conto delle risultanze del bilancio. 
(1) La massima � di molto interesse. 
La possibilit� di determinare la plusvalenza attraverso la verifica della con� 
gruit� del prezzo di realizzo rispetto al valore (che � poi un ineliminabile mezzo 
per impedire il mascheramento delle plusvalenze) era stato in passato ritenuto 



358 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Con il secondo, la ricorrente -denunciata la violazione e la falsa 
a:pplica21ione degli artt. 37, 39, 119, 120, 121 del d.P.R. 29 gennaio 1958, 
n. 645, nonch� l'omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione -
sostiene la illegittimit� dell'accertamenrto del reddito di ricchezza mobile, 
categoria B, eseguito in modo induttivo in contrasto con il principio 
stabilito dall'art. 119 del cit. decreto presidenziale, secondo cui 
il reddito dei �soggetti tassabili in base al bilancio deve essere determinato 
sulle risultanze del bilancio e del conto profitti e perdite, e con 
quello, secondo cui il ricorso aJl'aocertamento sintetico � possibile soltanto 
quanto :le entrate siano state omesse o indicate in modo inesatto. 

La censura, articolata con i riassunti motivi, � priva di fondamento. 


La commissione tributaria centrale -nell'accertare le plusvalenza, 
assoggettabile all'imposta di ricchezza mob1le ai sensi .del coordinarto 
disposto degli artt. 81, 100 e 106 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (t.u. 
dehle leggi sulle imposte dirette), realizzata daUa societ� per azioni Immobiliare 
Orma con la vendita di uno stabile -ha correttamente ritenuto 
che l'ufficio tributario -di fronte alla inesattezza della impostazione 
di bilancio relativa alla somma ricavata dalla vendita -abbia 
proceduto legittimamente alla correzione della posta contabile inesatta, 
facendo applicazione del metodo induttivo a norma dell'ultimo comma 
dell'art. 119 del cita d.P.R. n. 645 del 1958. 

In particolare, essa ha considerato che -essendo stata indicata 
in bilancio dalla societ� contribuente in modo inesatto l'entrata, relativa 
al prezzo di vendita dello stabile -I'Ammirnistrazione Finanziaria 
abbia proceduto legittimamente a correggere in via induttiva la inesatta 
impostazione di bilancio, determinando il valore effettivo del ricavo 
della vendita in base alla ubicazione ed alla consistenza dell'edificio ed 
ai prezzi di mercato praticati per le vendite in blocco di fabbricati analoghi, 
costituiti da appartamenti concessi iin locazione ed assoggettati 
al regime vincolistico e gravati da :ipoteche accese a garianzia di mutui 
fondiari -utilizzando il prezzo concordato ai fini della imposta di 
registro soltanto come parametro di riferimento, e cio� come mero elemento 
presuntivo di inattendibilit� del prezzo di Tealizzo espresso in 
bilancio. 

Inoltre, ha rilevato come la societ� contribuente -a seguito della 
contestazione dell'accertamento eseguito induttivamente dall'ufficio del-

ammissibile, ma con notevole timidezza; solo recentemente con le sentenze 
7 gennaio 1980, n. 75 e 21 marzo 1980, n. 1904, in questa Rassegna, 1980, I, 618 
e 958 si � passati ad una presa di posizione pi� sicura. 

Di rilievo � la precisazione che il valore accertato ai fini dell'imposta di 
registro � soltanto uno degli indizi sui quali l'accertamento pu� essere basato; 
non vi sarebbe quindi impedimento oggi a procedere allo stesso accertamento 
nel caso che il negozio di cessione sia stato assoggettato all'i.v.a. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

le imposte -non abbia fornito -crnne avrebbe dovuto, ai sensi dell'art. 
121, secondo comma, del cit. d.P.R. n. 645 del 1958 -alcuna 
prova al fine di dimostrare il'inesattezza della col'rezione apportata alla 
posta di bilancio relativa alfa somma ricavata dalla vendita. 

Cos� decidendo, la Commissione tributari.a centrale ha posto a 
supporto della sua statuizione giudi:lrlale un adeguato svolgimento motivazionale, 
immune da vi:lrl logici e da errori giuridici. 

Invero -come questa Corte Suprema ha gi� avuto occasione di 
affermare (cfr. sent. 7 novembre 1974, n. 3384) -quando i soggetti. tassabili 
in base a bilancio abbiano presentato, ai fini dell'imposta di 
ricchezza mobile, la dichiarazione ana:litica dei redditi con riferimento 
alle risultanze del bilancio e dei documenti contabili ad esso annessi, 
l'amminstrazione finanziaria per pervenire all'esatto aocertamento dei 
redditi pu� seguire due distinui procedmnenti: a) pu� procedere alla 
integrazione o correzione delle impostazioni di bilancio mancanti o inesatte 
(art. 199 del t.u. n. 645 del 1958); b) pu� disattendere nei suoi risultati 
il bilancio ed accertare il reddito imponibile in base alla situazione 
economica dell'azienda, desunta da elementi e dati comunque raccolti 
(art. 120 del cit. t.u.). 

Il ricorso al secondo procedimento, con cui viene negata validit� 
all'intero bilancio, presuppone che questo non sia fondato su scritture 
contabili regolari o presenti. tali incompletezze, inesattezze o irregolarit� 
da dover essere considerato inattendibile nella sua interezza. 

In tal caso, il'amministrazione pu� procedere all'accertamento sintetico 
del reddito, in base a concreti elementi di valutazione della situazione 
economica dell'azienda. 

Invece, quando dal controllo delle singole poste del bilancio ["isulti 
che siano state omesse o indicate in modo inesatto le entrate o siano 
state indicate spese o perdite inesistenti o superiori a quelle effettive 
ovvero emerga che i fatti aziendali siano S'tati comunque riportati 
inesattamente o irregolarmente in modo da concludere con un risultato 
diverso da quello effettivo, pu� seguirsi il pirimo procedimento accertativo; 
ed, in tali ipotesi, l'amministrazione finanziaria procede anche 
induttivamente alla integrazione o alla correzione delle impostazioni di 
bilancio mancanti o inesatte. 

Nel caso di specie, l'amministmzione ha seguito quest'mrimo procedimento, 
avvalendosi del pi� limitato potere di integrazione e correzione 
prevista dall'art. 119 del testo unico del 1958. 

Infatti, essa -rilevato che l'entrata relativa all'alienazione dello 
stabile era stata indicata in bilancio in misura inesatta -ha provveduto 
alla rettifica della stessa. 

E -poich� l'art. 119 del cit. t.u. consente aLl'ufficio delle imposte 
di valutare i1l bene, di cui si � indicato il prezzo di realizzo in bilancio, 
anche induttivamente, quando questo non appaia rispondente al suo 


360 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

presumibile valore di ricavo -deve ritenersi co11retta fa decisione impugnata, 
la quale ha ritenuto legittimo l'accertamento del reddito effettivo 
condotto induttivamente dall'ufficio fiscale in base ai dati ed agli 
elementi di valutazione raccolti, utili per la determinazione accertativa 
della base imponibile, anche in considerazione del fatto che contro l'accertamento 
dell'ufficio la societ� contribuente non abbia fornito, come 
avrebbe dovuto in base all'art. 121 del t.u. n. 645 del 1958, la prova dell'effettivo 
["ealizzo, conseguito con la vendita del bene. 

Ed -avendo l'ufficio finanziario, nel procedere a1la dete["IDinazione 
del reddito ai sensi dell'art. 119, terzo comma, compiutamente adempiuto 
all'obbligo di. motivazione, impostogli daill'art. 121 successivo, indicando 
nell'avviso di accertamento le ragioni giustificatrici deihla cmrezione 
(ubicazione e consistenza dello stabile venduto a prezzi correnti 
di mercato praticati per fabbricati in analoghe condizioni, e cio� per 
edifici costituiti da appartamenti locati con contratti assoggettati a regime 
vincolistico e gravati di ipoteche iscritte a garanzia di mutui fondiari) 
che facevano apparire i.I prezzo di realizzo indicato lin bi!lancio 
non rispondente al presumibile prezzo di vendita delil'immobile, ed essendosi 
l'ufficio avvalso, nel procedere all'autonoma valutazione del 
bene alienato, della presunzione di inattendibilit� del prezzo di vendita 
indicato in bilancio, ricavabile dal concordato intervenuto in ordine al 
prezzo agli effetti dell'imposta di registro (c:l�r. in tal senso, Cass., 9 giugno 
1971, n. 1705) -deve considerarsi infondata la censura mossa con 
i profilati motivi ail!la decisione impugnata, la quaJle ha ritenuto corretto 
il procedimento accertativo della base imponibile seguito dall'ufficio 
delle imposte. 

Entrambi i motivi del ricorso sono, quindi, da disattendere. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� aprile 1980, n. 2103 -Pres. Marchetti Est. 
Caccavale � P. M. Dettori (diff.). Ministero delile Finanze (avv. Stato 
Angelini Rota) c. I.A.C.P. Cagliari (avv. Mesiano). 

Tributi erariali diretti � Imposta sulle societ� � Esenzione dell'art. 151, 
lett. f) del t.u. delle imposte dirette per nominati istituti di edilizia 
popolare � Estensione ad altri istituti non nominati � Esclusione. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 151, lett. f). 
L'esenzione dall'imposta sulle societ� dell'art. 151, lett. f) per enti edilizi 
specificamente e nominutivamente individuati (INCIS, IACP, ecc.) non � 
estensibile ad altro ente non nominato, se pure svolgente attivit� �similare, 
quale l'Istituto per le case popolari della Societ� mineraria carbonifera 
sarda (1). 

(1) Massima esatta sul pljllto specifico e sulla pi� estesa argomentazione 
volta alla delimitazione dell'agevolazione. Non constano precedenti specifici. 

-


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(omissis) L'Amministrazione finanziaria ricorrente denuncia, con l'unico 
mezzo formulato, violazione e falsa applicazione dell'art. 151, lett. f) 
del t.u. 28 gennaio 1958, n. 645, i!ll relazione all'art. 14 de1le disposizioni 
del:la legge in generale, ai sensi dell'art. 111 deHa Costituzione e dell'articolo 
360 n. 3 cod. proc. civ. L'art. 151 citato, alla lettera f), sostiene la 
ricorrente, dichiara esenti dall'imposta suHe societ� � l'Istituto nazionale 
per le case degli impiegati statali, la gestione I.N.A.-Casa, gli Istituti autonomi 
per le case popolari e le aziende autonome di case popollari dipendenti 
da regioni, province 1e comuni e relativi consorzi�, con criterio tassativamente 
soggettivo, il quale non consente che siano da considerare 
beneficiari di quella stessa esenzione altri enti, solo perx:h� svolgono attivit� 
analoga e cio� costruzione di abitazioni economiche e. :popolari, 
sulla base di un criterio oggettivo e con interpretazione chiaramente 
analogica, non ccinsentita per disposizioni di carattere eccezionale come 
quella in esame. 

Il motivo � fondato. La norma dell'art. 151, lett. f) del t.u. sulle imposte 
dirette (d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645), riproducendo quella dalla 
>legge 6 agosto 1954, n. 603), istitutiva deUa imposta surl:le societ�, art. 3 

n. 5, dispone che dalla imposta anzidetta sono esenti �l'Istituto nazionale 
per le case degli impiegati statali, la gestione I.N.A.�Casa, gli istituti 
autonomi per le case popolari e le aziende autonome di case popolari 
dipendenti da rngioni, province, comuni e relativi consorzi�, enti specificamente 
e nominativamente individuati. L'esenzione dunque, anche se 
si riconduce manifestamente all'oggetto della attivit� di quegli enti ed 
alla mancanza di_ scopi lucrativi nell'eserx:izio della attivit� medesima, � 
di natura tipicamente soggettiva. 
Trattandosi d'altro canto di una disposizione di carattere singolare 
recante eccezione alla norma comune della generailit� degli oneri tributari, 
essa impone, nella sua applicazione, una interpretazione rigorosa, 
la quale (art. 14 delle disposizioni della legge in generale premesse al 
codice civile) esclude ogni considerazione analogica come quella che ha 
giustificato fa decisione impugnata de1la commissione tributaria centrale 
(l'Istituto per le case popolari della societ� carbonifera sarda, eretto ad 
ente morale con r.d. 17 febbraio 1938, n. 345, provvedeva a simiglianza 
degli istituti per le case popolari considerati dal t.u. alle case dei lavoratori 
dipendenti dalla societ� stessa) ed anche una interpretazione 
estensiva, intesa cio� a ricondurre sotto 1a norma interpretata quei casi 
che solo apparentemente ne sembrano esclusi (Cass, 3 guigno 1976, 

n. 2004), vietandolo, nella specie, la tassativa indicazione, nella norma, 
degli enti beneficiari della esenzione. 
N� pu� offrire valido sostegno alla tesi dell'Istituto controricorrente 
la norma dell'art. 23, ultimo comma, del rid. 28 aprile 1938, n. 1165, il 
quale recita: �il riconoscimento delle gestioni speciaH di cui all'ultimo 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

362 

comma dell'art. 22 � dato con decreto reale... ed importa l'estensione 
.alle gestioni stesse, a tutti gli effetti, delle disposizioni riguardanti gli 
istituti autonomi provinciali per le case popo1a:ri, in quanto applicabili �. 
� vero infatti che � le gestioni speciali � cui la norma si richiama 
sono quelle costituite, come nella fattispecie, da �enti di diritto pubblico 
che esplicano nel territorio del regJ110 attivit� industriale estrattiva 
-di interesse nazionale� (art. 22 citato), quali appunto la societ� mineraria 
carbonifera sarda, ma le disposizioni cui fa norma stessa fa riferimendo 
sono evidentemente quelle contenute nel medesimo testo di legge 
�e concem.enti �soprattutto le norme 'J:"elative alla stipulazione di mutui 
(art. 16 n. 4) a condizioni agevolate per Ia costJ:"UZione di case popolari 
{aJ:"t. 4 e segg.), ail concorso dello Stato peJ:" fa costruzione delle case stesse, 
all'intervento diretto dei comuni per la esecuzione delle opere di urbanizzazione 
primaria (art. 44). Il titolo IX della legge prevede poi nume;rose 
agevolazioni tributarie concesse agli istituti autonomi per le case 
popolari (art. 147: riduzione al quarto delle tasse di iscrizione e trascri
�zione ipotecarie in dipendenza di contratti prestito, di acquisto di loca
�zione e di trasferimento di case popolari, della tassa di registro sui contratti 
per i lavori di costruzione e manutenzione delle case medesime, 
�delle tasse di concessione governativa ecc.; aJ:"t. 153: esenzione dal bollo 
tassa fissa minima di registro e ipotecaria e di voltura catastale per gli 
:atti di mutuo, que1li relativi alle costruzioni ecc.; esenzione dei mutui 

stipulati ai fini delle costruzioni .anzidette; art. 154: esenzione dalla tassa 
di bollo e scambio per i materiali acquistati di!rettamente per la costru:
zione delle case che si devono ritenere estese in virt� di quella norma 
anche alle gestioni speciali degli enti, come la societ� carbonifera sarda, 
i quali esplicano attivit� industriale estrattiva di interesse nazionale, in 
�quanto rivolta direttamente a beneficio della edilizia popolare che si 
intendeva incentivare. 

Deve ritenersi tuttavia altrettanto per certo che quella stessa norma 
non legittima una estensione altiJ."ettanto aiutomatica ed immediata, al 
di l� della disciplina della legge medesima, a queste gestioni speciali, Qle 
-quali pur affiancandosi agli Istituti autonomi per le oase popolari e ad 
.altre istituzioni del genere, non perdono la loro sostanziale origine privatistica 
ed il loro collegamento ad imprese industriali) di agevolazioni 
<la tributi, come quello in discussione, Ja cui istituzione oltre tutto � 
sopravvenuta alla norma del 1938 (l'imposta sulle rsociet� venne istituita, 
come � noto, con la legge 6 agosto 1954, n. 603) e della quale � prevista 
-espressamente la non applicazione (art. 3 n. 5, della legge ora citata) 

� all'Istituto nazionale per le case degli impiegati st�atali, al1a gestione 

I.N.A.-Casa, agli istituti autonomi per le case popolari dipendenti da 

Regioni, Province e Comuni�, mentre �le gestioni speciali degli enti che 

esplicano attivit� industriale estrattiva non sono nominate. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 363 

Alle argomentazioni svolte innanzi a proposito della impossibile adozione 
di una interpretazione analogica od anche estensivra di questa 
norma, pu� aggiungersi, con particolare riferimento al valore della dispo.
sizione dell'ultimo comma dell'art. 23 del r.d. 1165 del 1938, che non � 
consentito presumere che la volont� del legislatore espressa nella norma 
agevolatrice del 1954 si ricollegasse alla estensione delle disposizioni riguardanti 
gli Istituti autonomi per le case popolari e quelle gestioni 
speciali previste da quella norma, nonostante il diverso carattere di 
queste ultime, inducendosi perci� a non nominarle espressamente senza 
un comprensibile motivo, contrariamente a manifeste ragioni di necessaria 
chiarezza legislativa, specie in una norma di natura eccezionale 
�come quella in questione. 

Ci� tanto pi� quando la stessa legge, nella enumerazione dei soggetti 
esenti dalla imposta sulle societ�, ha adoperato espressioni pi� 
generiche ed ampiamente comprensive, come per g;li enti di previdenza 
ed assistenza sociale (n. 6); gli ist>ituti di istruzione che non hanno 
scopo di lucro (n. 8) e gli enti con fini equiparati per Jegge a quelli di 
istruzione (n. 9). 

Il ricorso della amministrazione finanziaria dello Stato merita qu:indi 
favorevole accoglimento e la decisione impugnata deve essere cassata, 
rinviandosi il procedimento ad altra sezione 'della commissione tributaria 
centrale per nuovo esame. (omissis) 

�CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 aprile 1980, n. 2507 -Pres. Vigorita Est. 
Gualtieri -P. M. Del Grosso (conf.). Soc. Coppo~a Pinetamare c. 
Ministero delle Finanze (avv. Stato Cevaro). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per le case 
di abitazione non di lusso -Pertinenze -Non si estende -Appalto per 
costruzione di strada interna -Esclusione della agevolazione. 

(legge 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). 

L'agevolazione della legge 2 luglio 1949, n. 408, si applica alle parti 
:integranti della casa di abitazione (intese come elementi necessari per 
completare la casa affinch� soddisfi i bisogni a cui � destinata) ma non 
si estende alle pertinenze (intese come elemento non essenziale a servizio 
o ornamento di una cosa gi� completa ed utile di per s�); di con.
seguenza non pu� beneficiare della agevolazione un contratto di appalto 
per la sistemazione di una strada interna ad un complesso edilizio (1). 

(1) Decisione da condividere che pone in termini precisi limiti di esten:
sione del beneficio. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

364 

(omissis) Con '.l'unico motivo, demmziando violazione e falsa appliicaziione 
degli artt. 13 e 14 legge 3 luglio 1949, n. 408, 6 legge 7 febbiraio 
1968, n. 26, che ha carattere interpretativo dell'art. 14 legge n. 408 del 
1949; 47 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, 12 e 14 delle preleggi e 817 cod. civ., 
in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 codice di rito, la ricorrente deduce: 

a) l'art. 14 legge n. 408 del 1949 non pu� essere interpretato restrittivamente, 
ossia limitatamente ai soli lavori relativi alle strutture proprie 
degli edifici, ma deve ritenersi comprensivo di tutte le opere complementari 
necessarie -quali strade, servizi, ecc. per l'abitabilit� e la funzionalit� 
dei fabbricati stessi; 

b) la corte del merito ha errato nel ritenere applicabile l'art. 14 
delle preleggi, secondo cui le leggi che fanno ecceziione a regole generali 

o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in essi considerati, 
poich� tale articolo riguarda solo l'interpretazione analogica mentre, 
nella specie, doveva trovare applicazione il precedente art. 12, che consente 
l'interpretazione estensiva, dovendosi identificare iJ contenuto 
della norma contrattuale o legale, oltre il signid�cato letterale delle parole 
usate, per cui tale norma non incontra i limiti stab:i!liti nell'art. 14; 
e) la Corte del merito non ha considerato, violando cos� l'art. 817 
cod. civ., che la strada e i relativi tappetini nonch� i cordoni stradali e 
la pavimentazione di essa costituivano pertinenze de1la casa essendo 
destinate in modo durevole al servizio di questa, per garantirne la funzionalit�, 
in quanto opere necessarie per le sue abitabilit~. 

Il motivo � infondato. 

Non v'� dubbio che il legislatore, usando all'art. 14, primo comma, 
legge n. 408 del 1949, l'espressione �costruzione delle case di cui al precedente 
art. 13 � abbia voluto riferirsi alle � case� considerandole nella 
loro unit� strutturale, con esclusione, quindi, delle pertinenze. 

Pertanto, decisiva rilevanza, ai fini dehla interpretazione di detta 

norma (che concede benefici fiscali in tema di imposte di registro e 

ipotecaria per gli acquisti di aree edificabili e per i contratti d'appalto 

aventi ad oggetto la costruzione di case non di lusso) e della conseguente 

delimitazione dell'ambito di detti benefici � la differenza fra i concetti 

di � parte integrante� e di � pertinenza�, necessari per individuare, in 

re1azione alla unit� strutturale del fabbricato, quelle opere che, al di 

l� della separazione fisica, possono essere cons~derate comprese in tale 

unit�. 

Come questa Corte ha gi� avuto occasione di affermaTe proprio in 
sede di interpretazione dell'art. 14, i concetti di �parte� e di � pertinenza
� sono anche economico-sociali e non soltianto materialistici e il diritto 
li recepisce, cos� come sono intesi nella coscienza economico-sociale, adattandoli 
alle esigenze, proprie della regolamentazione giuridica. Ci� com



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

porta che, sul piano giuridico la distinzione fra ta1i concetti va ravvisata, 
conformemente ad una elaborazione dogmatica che, presupposta da 
numerose norme del nostro diritto positivo (cfr. soprattutto gli artt. 812 
ss. cod. civ.), riceve il conforto di una lunga tradizione legislativa e dottrinale, 
in un diverso atteggiamento del collegamento funzionale della 
� parte � al tutto e della pertinenza alla cosa principale. 

Codesto collegamento si esprime per la � parte � come necessit� di 
questa per completare la cosa, cio�, secondo La tradizione romanistica, 
p�r attuare la perfectio di essa; in questa prospettiva, fa parte segna 
l'aspetto definitivo della cosa perch� essa soddisfi i bisogni cui � destinata, 
come sentiti concretamente in un determinato momento storico e 
in una determinata societ�; onde, si rpu� dire che fa parte � ritenuta elemento 
essenziale della cosa. 

Nella pertinenza, invece, il collegamento funzionale consiste in un 
�servizio� od �ornamento� (per usare le parole dell'art. 817 cod. civ., 
in cui l'istituto � definito), che la pertinenza stessa realizza per una cosa 
gi� completa ed ut1le di per s�; per� trattasi di elemento che attiene 
non all'essenza della cosa, bens� alla sua gestione economica o alla sua 
forma estetica (cfr. sent. 22 giugno 1974, n. 1899). 

A:Ha stregua dei suesposti prindpi, devesi ritenere che, ai fini che qui 
interessano, la strada ancorch� interna in un complesso edilizio, non 
possa qualificarsi come elemento ,essenziale della casa, essendo questa, di 
per s�, gi� organicamente completa e perfetta ne11a sua unit� stirutturaile; 
al pi� si tratterebbe di accertare se di essa sia una pertinenza (di immobile 
ad immobile), ma l'esclusione della qualificazione come elemento 
costitutivo ed integrante � sufficiente per negare l'applicabilit� del beneficio 
fiscale, che concerne la casa e non le sue evientuaJi pertinenze, donde 
l'irrilevanza della censura relativa alla pretesa violazione dell'art. 817 
cod. civ. 

Quanto al richiamo della ricorrente alla agevolazione, accordata dall'art. 
14, secondo comma, alla parte di suolo, attigua al fabbricato, non 
eccedente il doppio dell'area coperta, o comunque necessaria al rispetto 
dei volumi imposti dalla normativa urbanistica (art. 6 legge 7 febbraio 
1968, n. 26) esso � del tutto inconferente poich�, nella fattispecie in esame, 
viene in gioco il beneficio accordato agli appalti e non quello relativo 
aMe compravendite di aree edificabili. 

Per ci� che concerne poi ila pretesa violazione dell'art. 12 delle preleggi 
� sufficiente rilevare che la Corte del merito non ha affatto negato 
che l'art. 14 pi� volte citato, pur essendo norma eccezionale, sia suscettibile 
di interpretazione estensiva, ma ha affermato ed esattamente che 
di fronte ad una norma la quale agevoli gli elementi A e B, l'esten~ 
sione del beneficio a C pu� essere frutto soltanto di integrazione analo1 
gica, non gi� di interpretazione estensiva. (omissis) 


366 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 giugno 1980, n. 3596 -Pres. Vigorita -
Est. Battimelli -P. M. Raja (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Camerini) c. Soc. Massey Fe!'guson (avv. Cogliati Dezza). 
Tributi erariali diretti -Accertamento -Ufficio competente -IncoriporaZlione 
di societ� -� quello della sede della societ� incorporante. 
(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 124). 
Poich� spetta alla societ� incorporante provvedere, come obbligo proprio, 
a dichiarare in base a specifico bilancio il reddito dell'ultimo esercizio 
dei soggetti estinti, competente all'accertamento � l'ufficio delle im� 
poste ove ha sede la societ� incorporante (1). 
(omissis) Il ricorso non pu� essere accolto. 
Nel caso di specie, infatti, si � verificata una particolare ipotesi di 
successione di un soggetto di di:riitto ad altro soggetto, in conseguenza 
della estinzione della societ� inc011porata e del contestuale nascere di un 
nuovo soggetto di diritto, diverso, quanto meno per patrimonio e capitale, 
(oltre che, eventualmente, per strutturazione degJi organi sociali e 
per numero dei soci) anche daHa societ� incorporante quale essa era !'['ima 
della incorporazione: fenomeno, questo, che assume una particolare 
regolamentazione, diversa da quella rtipica della successione universale di 
una persona fisica ad altra persona fisica estinta (per impossibilit� di 
separazione dei patrimoni e di limitazione di ['esponsabilit� del successore, 
per immediata confusione dei due patrimoni, per impossibilit� di 
rinuncia, ecc., come gi� chiaramente evidenziato da questa Corte con 
la sentenza n. 2872 del 1971, richiamata dalla stessa ricorrente). La com(
1) La decisione suscita qualche perplessit�. Se fosse vero che con l'incorporazione 
si verifica una automatica ed immediata confusione di rapporti, di 
patrimoni, di debiti e di crediti, la societ� incorporante, senza nessuna partico-� 
lare normativa, dovrebbe presentare soltanto la sua ordinaria dichiarazione alla 
fine del periodo di imposta con un bilancio che, registrando l'evento della 
incomparazione, raccoglie il tutto in capo alla societ�. Ma quando la legge 
impone (con l'art. 124 del t.u. del 1958) che sia compilato un bilancio distinto� 
per lo spezzone del periodo di imposta della (o delle) societ� incorporate, 
366 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 giugno 1980, n. 3596 -Pres. Vigorita -
Est. Battimelli -P. M. Raja (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Camerini) c. Soc. Massey Fe!'guson (avv. Cogliati Dezza). 
Tributi erariali diretti -Accertamento -Ufficio competente -IncoriporaZlione 
di societ� -� quello della sede della societ� incorporante. 
(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 124). 
Poich� spetta alla societ� incorporante provvedere, come obbligo proprio, 
a dichiarare in base a specifico bilancio il reddito dell'ultimo esercizio 
dei soggetti estinti, competente all'accertamento � l'ufficio delle im� 
poste ove ha sede la societ� incorporante (1). 
(omissis) Il ricorso non pu� essere accolto. 
Nel caso di specie, infatti, si � verificata una particolare ipotesi di 
successione di un soggetto di di:riitto ad altro soggetto, in conseguenza 
della estinzione della societ� inc011porata e del contestuale nascere di un 
nuovo soggetto di diritto, diverso, quanto meno per patrimonio e capitale, 
(oltre che, eventualmente, per strutturazione degJi organi sociali e 
per numero dei soci) anche daHa societ� incorporante quale essa era !'['ima 
della incorporazione: fenomeno, questo, che assume una particolare 
regolamentazione, diversa da quella rtipica della successione universale di 
una persona fisica ad altra persona fisica estinta (per impossibilit� di 
separazione dei patrimoni e di limitazione di ['esponsabilit� del successore, 
per immediata confusione dei due patrimoni, per impossibilit� di 
rinuncia, ecc., come gi� chiaramente evidenziato da questa Corte con 
la sentenza n. 2872 del 1971, richiamata dalla stessa ricorrente). La com(
1) La decisione suscita qualche perplessit�. Se fosse vero che con l'incorporazione 
si verifica una automatica ed immediata confusione di rapporti, di 
patrimoni, di debiti e di crediti, la societ� incorporante, senza nessuna partico-� 
lare normativa, dovrebbe presentare soltanto la sua ordinaria dichiarazione alla 
fine del periodo di imposta con un bilancio che, registrando l'evento della 
incomparazione, raccoglie il tutto in capo alla societ�. Ma quando la legge 
impone (con l'art. 124 del t.u. del 1958) che sia compilato un bilancio distinto� 
per lo spezzone del periodo di imposta della (o delle) societ� incorporate, 
bilancio che serve alla determinazione definitiva dell'imposta dovuta per l'ultimo 
esercizio dei soggetti estinti, vuol dire che si vuole per l'appunto evitare la. 
confusione e mantenere separata la obbligazione del soggetto estinto, anche 
se per esso risponde ormai il soggetto subentrato. Alla norma dell'art. 124 si 
collega quella dell'art. 22 la quale dispone che nel caso di fusione la dichiarazione 
dell'ultimo esercizio dei soggetti estinti deve essere presentata (dalla societ� 
inco:qio11ainte) entro tre mesti dalil'atito di fusfone o incorporazione (non sostanzi:
aiLmente dissimilffi se pure pi� dettagliate sono le norme vigenti: airt. 73� d.P.R.. 

n. 597/197'3.; art. 16 d.P.R. n. 598/1973; art. 11 d.P.R. n. 600/1973~. 
E naturalmente tutto questo ha anche un rilievo sostanziale: se una delle 
societ� incorporate ha prodotto un reddito ed altra una perdita non si fa con-� 

fusione di utili di perdite. 
In conclusione la societ� incorporante � un successore a titolo universale 
che � diventato debitore di un'obbligazione che gi� faceva capo ad un soggetto� 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 367 

penetrazione immediata del preesistente soggetto nel nuovo che si viene 
a fomnare per effetto della fusione o incorporazione, invero, porta ad una 
automatica immediata confusione di rapporti, di patrimoni, di debiti e 
crediti, e aUa conseguente automatica assunzione da parte del nuovo 
soggetto dei diritti e degli obblighi del soggetto estinto (art. 2504, ultimo� 
comma, cod. civ.), senza alcuna �so1uzione di continuit�, s� che, in particolare, 
il rieddito del soggetto incorporato confluisce immediatamente iin 
quello della incoriporante e le attivit� e passivit� delle due diverse preesistenti 
gestioni si sommano e formano un tutto unico in testa al nuovo 
soggetto. 

Le conseguenze, anche in campo fiscale, sono, come indirettamente �� 
confermato dal disposto del IV comma dell'art. 176 del t.u. n. 645 del 1958,. 
per quanto attiene allo specifico problema che forma oggetto deHa controversia 
in esame, che .l'obbligo della diohiamzione dei redditi (e quello 
ad esso funzionale della compilazione del bUancio) diventa un obbligo 
proprio e diretto della societ� incoriporante, non gi� la successione in 
un obhligo preesistente, e che -l'espletamento di tali atti fa nascere in 
testa alla societ� incorporante la concreta sottomissione all'imposizione, 
in precedenza esistente solo arllo stato potenzi!aile; ci� in qUJanto, seppure 
il presupposto dell'imposta � la produzione di un reddito, in concreto, 
per i soggetti tassabili in base a bilancio (alle cui risultanze l'imposizione 
stessa � indissolubilmente legata) la preesistente situazione di soggezione 
alla potest� tributaria in astmtto si trasforma in obbligazione 
concreta solo nel momento in cui il bilancio viene redatto e la conse-� 
guente dichiarazione di reddito viene presentata; s� che, nel caso della 
incorporazione, la societ� incorporante, nel redigere il bUancio dell'incorporata 
e nel presentare la relativa dichiarazione, viene a soddisfare 

estinto; continuano pertanto a valere le regole riferibili al soggetto originario, 
come nel caso di successione fra persone fisiche. 

Ma soprattutto non pu� essere condivisa l'argomentazione fondamentale 
della sentenza in esame: per i soggetti tassabili in base a bilancio (sembrerebbe 
per questi esduslivamente) �sowtanto con la �redazione del bilancio e con ]a dichia-� 
razione diventerebbe concreta l'obbligazione che anteriormente, pur se il reddito 
� srtlaito prodotto, eslisterebbe solo ailllo stato potenziale, s� che l'obbligazione 
nascerebbe direttamente in capo ai1la societ� :incor.i;iorante, 11a sola tenuta alla 
dichiarazione. Una tale accettazione della teoria c.d. costitutivista, sempre rifiutata 
dalla giurisprudenza della S.C. (cfr. da ultimo 5 marzo 1980, n. 1471, in 
ques�to fascicol'o, pag. 345), peraltro limitata ai soli soggetti tassrab:hli in baJSe 
a bilancio (senza considerare che le stesse norme degli artt. 22 e 124 valgono 
anche quando una societ� di persone sia incorporata da una societ� di capitali) 
non potrebbe mai essere sufficiente per determinare effetti tanto rilevanti, quali 
la nullit� dell'accertamento. 

:�. comunque evidente che l'obbligazione nasce in capo al soggetto che produce 
il reddito anche se questo si estingue prima del momento in cui devono 
essere compiuti gli adempimenti formali della dichiarazione e del bilancio. 

C. BAFILE 

.368 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

un obbligo proprio e diretto, non gi� un obbligo altrui iin cui essa sia 
succeduta. E una indiretta conferma di ci� deriva proprio dal testo delfart. 
124 del t.u. del 1958, n. 645, laddove esso dispone che a cura della 
societ� incorporante deve essere compilato il bilancio cli chiusura che 
serve di base per la �determinazione definitiva dell'imposta dovuta per 
l'ultimo esercizio �dei� soggetti estinti (e non gi� �dai� soggetti estinti) 
la norima, cio�, nella sua chiara formulazione letteraile, indica che 11 debito 
d'imposta � a carneo diretto della societ� incorporante, che vi � soggetta 
per aver fatto proprio l'ultimo esericizio � deMa � societ� estinta, non gi� 
che esso � un debito � della� societ� estinta, ohe ila societ� inc011porante 
deve soddisfare. 

E invero, la dichiarazione in questione non � contemplata fra quelle 
disciplinate nell'art. 28 del t.u., relativo alle dichiariazioni � di redditi 
altrui�, 

D'altronde, posto che il domicilio fiscale si determina in funzione 
della sede del � soggetto � all'imposizione, e posto che in concreto l'imposizione 
non pu� aver luogo, per i soggetti tassabili in base a bhlancio, 
se non in funzione delJa compHazione del bilancio e deMa successiva dichiarazione, 
non vi � dubbio che soggetto all'imposi:llione �, in concreto, la 
societ� incorporante, nei cui confronti si attua ila potest� impositiva, in 
precedenza esistente solo come mera potenzialit�, e che, conseguentemente, 
l'ufficio competente a ricevere fa dichiarazione non pu� essere che 
queJ1lo nehla cui ciricoscrizione ha sede il soggetto di imposta, ossia Ja 
societ� incoriporainte, come esattamente � stato posto in ri:lievo :nelJa decisione 
impugnata. N� pu� ritenersi che, li!n casi del genere, il domicilio 
fiscale debba essere determinato in funzione del luogo dove si � prodotto 
i<l reddito, in quanto questo � un criterio sussidiario, previsto dall'ultimo 
comma dell'art. 9 del t.u. del 1958, per l'ipotesi in curi non risiultino aipplicabiili 
i commi precedenti; e poich� la dichiarazione deve essere presentata 
(art. 29, primo comma) all'ufficio distrettuale nella cui circoscrizione si 
�trova� il domicilio fiscale del soggetto (id. est, del dichiarante, soggetto 
in 'concreto a!11'imposizione), non par dubbio che, in casi del genere, si 
debba identificare J'uffioio competente a ricevere la dichiarazione in quelJo 
del domicilio fiscale del dichiarante al momento della dichiarazione stessa, 
al momento, cio�, in oui l'obbligo viene adempiuto. 

N� a Ci� pu� obieUarsi, come fa l'a:mministriazione ricorrente, che 
in tal modo si rimetterebbe alla volont� dell'incorporata, attraverso la 
scelta delila societ� incorporante, anche la scelta dell'ufficio impositore, 
diverso da queMo �naturalmente� competente; a parte, infatti, che l'adduzione 
di un inconveniente (un mero inconveniente, che non rappresenti 
cio� una chiara deroga a precise disposizioni ad hoc) non pu� valere come 
criterio di interpretazione, va comunque rilevato che � addirittura assurda 


l'ipotesi di una incoriporazione deliberata dalla societ� inc011porata (quanto 
alla scelta del soggetto incorporante) in funzione unicamente della futura 

X-�.'.:��<�=. 
X 
:-:~--: -:-:��. :--.-��� X-�.'.:��<�=. 
X 
:-:~--: -:-:��. :--.-��� 
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 369 

dichiarazione dei redditi e di adempimenti e situazioni giuridiche future, 
che si vedf�cherainno quaindo la societ� incorporata avr� cessato di esistere 
nel mondo giuridico e nei confronti deLle quali, pertanto, essa non pu� 
avere alcun interesse concreto {senza dire, che, a contrario, potrebbe 
ipotizzarsi, ove il domicilio fiscale e il conseguente ufficio impositore 
fossero quel1i deMa societ� incorporata, una scelta di tale ufficio da 1parte 
del:la societ� incorporante, che sceglierebbe ila societ� i.!11corporata in funzione 
di tali conseguenze). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 giugno 1980, n. 3824 -Pres. ed Est. 
Sandulli -P. M. Dettori (conf.) -Soc. Ferradra (avv. Gallo) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Vittoria). 

Tributi in genere -Accertamento tributario -Notificazione -Destinatario 
irreperibile -Deposito ed affissione presso la casa comunale -E' regolare. 


(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 38, lett. f); cod. proc. civ., artt. 140 e 143). 
Ove nel Comune in cui deve eseguirsi la notificazione di un atto del 
procedimento tributario non esistono, per inesatta indicazione del contribuente 
o per sopravvenuto trasferimento o per altra causa, n� abitazione 
n� ufficio n� azienda del destinatario della notificazione, questa 
� legittimamente eseguita, a norma dell'art. 38, lett. f) del t.u. del.le Imposte 
dirette, mediante deposito presso la casa comunale ed affissione dell'avviso 
nell'albo comunale, non essendo l'amministrazione tenuta a ricercare 
il destinatario in luoghi diversi da quello da lui reso noto con la 
comunicazione iniziale o con quella successiva di variazione e non potendo 
addossarsi all'amministrazione le conseguenze dell'inosservanza da 
parte del contribuente dei doveri di lealt� e diligenza su lui incombenti 
(1). 

(omissis) Con il primo motivo, la ricorrente -denunciata la violazione 
e la falsa applicazione degli artt. 38, lett. g) del t.u. 29 gennaio 1958, 

n. 645 e 145 cod. proc. civ., nonch� l'omessa, insufficiente e contradditto(
1) La decisione accoglie la tesi, sempre sostenuta dall'Avvocatura, che per 
la notifica di un atto di un procedimento gi� instaurato � sempre precostituito 
il luogo in cui la notifica va eseguita, s� che non pu� essere imposto all'uffic~o 
di inseguire il destinatario nei suoi nuovi luoghi di domicilio e non pu� 
ricadere sull'ufficio l'effetto (per lo pi� irreparabile) dell'inosservanza del dovere 
che il soggetto passivo ha in via generica di partecipare lealmente al procedimento 
e specificamente di comunicare le variazioni di domicilio. Se cos� non 
fosse risulterebbe oggettivamente impossibile in molti casi la tempestiva notifica. 
La sentenza ora intervenuta ha un precedente puntuale in quella 3 aprile 1978, 

n. 1503 (in Giur. it., 1978, I, I, 2322) che si riallaccia ad altre pronunce che valorizzavano 
il collegamento fra dichiarazione del domicilio fiscale e notifica nel 
luogo dichiarato (Cass., 8 maggio 1976, n. 1619 e 12 maggio 1976, n. 1663, in questa 
Rassegna, 1976, I, 793 con ampi richiami). Parallelamente per� altre decisioni, 
9 



370 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

ria motivazione su un punto decisivo della controversia -ilamenta che 
la commissione tributaria centrale abbia ritenuto legittimamente effettuata 
a norma dell'art. 140 cod. proc. civ., la notmca degli atti di accertamento 
in base ai quali �l'ufficio ha provveduto ad iscrivere a ruolo 
le imposte accertate, in quanto, per dichiarazione espressa del messo 
comunale contenuta nella relata, il procedimento di notifk:azione adottato 
sarebbe stato quello previsto dall'art. 143 cod. proc. civ., non applicabile, 
a norma dell'art. 38 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, per la notificazione 
degli avvisi di accerta1II1ento. 

La 
censura � priva di fondamento. 

Secondo la tesi della ricorrente, la notificazione de11'avviso di accertamento, 
eseguita (per affermazione del messo comunale) ai sensi dell'art. 
38 Jett. f) del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, sarebbe nulla. 

Secondo l'opinione della commissione tributaria centrale -essendo 
privo di rilevanza giuridica il richiamo a11'art. 143 cod. proc. civ. faHo 
in relat~ dal messo comunale -sarebbe legittima la notificazione dell'atto 
di accertamento, eseguita mediante il deposito di copia neHa casa 
comunale e l'affissione deH'avviso di deposito nell'albo pretorio, nell'ipotesi 
in cui la Societ�, destinata~ia della notificazione, non abbia pi� la 
sua sede sociale nel Comune (di domicilio fiscale). 

Questa Corte Suprema ritiene che la commissione tributaria centrale 
-non avendo il messo comunale potuto eseguire la notificazione 
dell'accertamento nei confronti della societ� ricorirente ne11'ufficio di 
via �Piemonte, per non avere questa pi� ila sua sede soc~aie in tale luogo abbia 
correttamente dichiarato validamente eseguita la notificazione dell'accertamento, 
effettuata mediante deposito di copia nella casa comunale 
ed affis�sione dell'avviso di deposito nell'albo del comune. 

La Corte di cassazione ha avuto pi� volte occasione di affermare 
(cfr., da ultimo, sent. 3 aprile 1978, n. 1503) che le disposizioni in materia 
di notificazioni di avvisi e di atti del proced�II11ento tributario, contenute 
nell'art. 38 del t.u. delle leggi sulle imposte dirette approvato con 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, hanno il carattere di principi generali 
applicabili a tutte le imposte erariali, e, quindi, non solo alle imposte 
dirette, e che in base alla disposizione contenuta nella lett. g) dell'art. 38 
ignorando il collegamento fra dichiarazione e notificazione o negando che il 
contribuente abbia il dovere di indicare con effetto vincolante il domicilio e 
le sue variazioni, affermano che l'Amministrazione abbia il dovere di individuare 
anche attraverso ricerche anagrafiche il domicilio reale (Cass., 29 settembre 
1976, n. 3181 e 25 ottobre 1976, n. 3845, ivi, 1977, I, 149), giungendo a 
negare la stessa possibilit� di notifica a soggetto irreperibile ~18 luglio 1979, 

n. 
4297, ivi, 1979, I, 770). 
Gli orientamenti sono ancora alquanto divergenti. 
Ormai il problema dovrebbe trovare soluzione su un punto diverso, attraverso 
la sanatoria della notifica tentata disciplinata dall'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 636. 



PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 371 

del cit. t.u., non trova applicazione, in materia di notificazione di atti 
del prooecjimento tributario amministrativo o contenzioso, tra Je altre, 
la disposizione dell'art. 143 cod. proc. dv. 

Per modo che -ove nel Comune in oui deve eseguirsi la notificazione 
di alcuni di tali atti non esistano (come nel oaso di specie), per inesatta 
indicazione del contribuente o per sopravvenuto trasf�mmento o per 
qualsiasi altra causa, n� abitazione, n� ufficio, n� azienda del destinatario 
della notificazione -questa deve essere eseguita a norma della disposizione 
contenuta nell'iart. 38, lett. f), del t.u. n. 645 del 1958 (la cui conformit� 
al principio della tutela del diritto di difesa, sancito dall'art. 24 
Cost., � stata implicitamente dichiarata dalla Corte costituzionale con 
la sentenza 26 giugno 1974, n. 189). 

In tal caso, quindi, -restando esoluso che l'amministrazione finanziaria 
sia tenuta a ricePcare il destinatario de1la notificazione in luoghi 
diversi da quello da lui reso noto alla stessa amministrazione, con la 
comunicazione iniziale o con quella successiva di varia2iione, e non 
potendo addossarsi all'amministrazione le conseguenze dell'inosservanza, 
da parte del contribuente, dei doveri di lealt� e ,di diJJigenza su lui incombenti 
-la notificazione ha luogo mediante 11 deposito di copia dell'atto 
nella casa comunale e l'affissione dell'avviso del deposito nell'albo pretorio, 
senza che sia necessario darne notizia per raccomandata con avviso 
di ricevimento al contribuente, di cui � ignoto, per sua colpa, il recapito 
(cfr., in tal senso, Cass., 3 aprile 1978, n. 1503). 

E -poich�, nel caso di specie, la societ� ricorrente, destinataria 
della notiificazione, non ha pi� la sua sede sociale nel comrune di Opera 
ed il messo comunale ha osservato le descritte modalit� nel procedere 
alla notificazione -deve ritenersi che co!lrettamente la commissione tributaria 
centrale abbia dichiarato validamente effettuata la notificazione 
degli avvisi di accertamento nei confronti della societ� ricorrente. 

Il primo motivo di ricorso, � quindi da disattendere. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 giugno 1980, n. 3956 -Pres. Vigorita Est. 
Sensale -P. M. Minetti (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato D'Amico) c. Marra. 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Vendita fra parenti -Ap


plicazione della nonna vigente al momento della stipulazione dell'atto. 

(d.!. 8 marzo 1945, n. 90, art. 5; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, artt. 25 e 77). 

La nuova disciplina dell'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, 
in materia di vendita fra parenti, non avendo natura processuale, non 
si applica agli atti formati sotto il vigore della precedente normativa (1). 

(1) Viene confermata l'esatta pronuncia 25 luglio 1978, n. 3709, in questa 
Rassegna, 1978, I, 747. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

372 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 giugno 1980, n. 3998 -Pres. Vigorita Est. 
Sensale -P. M. Ferraiolo (conf.) -T,ruoato c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato D'Avanzo). 

Tributi erariali diretti -Accertamento � Modificazione per sopravvenuta 
conoscenza di elementi nuovi � Analiticit� dell'accertamento da modi� 
ficare � Non � necessaria. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 35). 
Per la modificabilit� dell'accertamento per la sopravvenuta conoscenza 
di elementi nuovi a norma dell'art. 35 del t.u. delle imposte dirette, 
non si richiede che l'accertamento da modificare sia motivato analiticamente, 
trovando la norma applicazione per ogni tipo di accertamento (1). 

(omissis) Con il primo motivo il ricorrente, ai sensi dell'art. 360, n. 3 
e 5, cod. proc. civ., denunzia la violazione dell'art. 35, primo comma, 
del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, nonch� il vizio dii omessa o, comunque, 
insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, deducendo 
che, in presenza di un accertamento sintetico per effetto della 
pura e semplice adesione del contriibuente, non sussiste per l'amministrazione 
il potere d'integrazione o di modificazione dell'accertamento 
in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, poich� non � 
possibile in tal caso, stabiliire il carattere di novit� degli elementi di 
conoscenza sui quali si basa l'accertamento integrativo n� � consentito 
desumere aliunde tale carattere, come la Corte di merito ha ritenuto 
di poter fare, con un giudizio meramente tirpotetico. 

La censUTa � infondata. 

L'art. 35, priimo comma, del t.u. 645/58 consente ~'integrazione o la 
modificazione dell'accertamento, ancorch� sia intervenuta l'adesione del 
contribuente, in base alla sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi 
e cio� di elementi del tutto ignorati daH'ufficio al momento del primo 
accertamento e che, 1se prima conosciuti, avrebbero dato luogo ad una 
diversa e maggiore v,alutazione dell'imponi.bile acoertato. '� escluso che 
possa trattarsi di elementi gi� noti e ritenuti non influenti ai fini 
della determinazione del reddito imponibtile o insufficientemente valutati 
nella loro preesistente interezza, poich� la potest� di cui alla norma 
citata non � accordata all'Amministrazione al fine di correggere errori 
di apprezzamento commessi in precedenza. 

La norma non dice che il primo accertamento debba essere analitico 
e ci� si giustifica coordinando il primo comma dell'art. 35 con iJ succes


(1) Decisione evidentemente esatta. Per la modificabilit� dell'accertamento 
quel che conta � soltanto la conoscenza da parte dell'ufficio; non importa invece 
che l'elemento sia stato o meno utilizzato. Non � quindi in base alla motivazione 
dell'accertamento che si pu� stabilire se il fatto fosse o meno conosciuto. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

sivo art. 37, che, se da un lato prescrive l'analitica motivazione dell'accertamento 
(primo comma) dall'altro non la richiede per l'accertamento dei 
redditi non dichiarati dal contribuente o dichiarati senza l'indicazione 
anailitica degli elementi attivi e passivi r(terzo ,comma). Se la tesi del 
ricorrente fosse fondata si dovrebbe concludere che la potest� d'integrazione 
o di modificazione dell'accertamento sarebbe preclusa all'amministrazione 
nei confronti del contribuente che mali2liosamente abbia omesso 
di dichiarare i suoi redditi o li abbia dichiarati senza la indicazione 
analitica degli elementi attivi e passivi; e fa disciplina normativa favorirebbe 
l'evasione fiscale, che il legislatore tende invece ad impedire 
e a combattere. La stessa ratio che � aihla base della non analiticit� 
dell'accertamento (cio�, l'omessa o non analitica denunzia del conki� 
buente) giustifica, quindi, anche in questo caso, la potest� d',irltegrazione 
dell'accertamento. 

Che l'analiticit� dell'accertamento non sia circostanza detel'm1rlante 
al fine dell'esercizio da parte dell'amministmzione del potere d'integrazione 
risulta anche dalla considerazione che, se da un fato l'indicazione 
degli elementi per la determinazione del ireddito offre sicure ragioni per 
escludere la novit� della conoscenza di quegli elementi al fine dell'integrazione 
dell'accertamento, dall'altro l'omessa indicazione di tailuni elementi 
non sarebbe sufficiente a giustificare tale integl'.'azione, ove si dimostrasse 
che gli elementi omessi fossero tuttavia noti all'Ammiinistrazione 
e siano stati ritenuti ininfluenti ai fini della determinazione del reddito 
imponibile o insufficientemente valutati. 

Allo stesso modo deve ritenersi che la sinteticit� dell'accertamento 
per sua natura non offre elementi di valutazione soltanto nei casi in cui 
non sia altrimenti certo che la conoscenza dei fatti posti a base del nuovo 
accertamento sia successiva al primo. 

Tutto si risolve, quindi, in una indagine di merito, che nel caso concreto 
� sorretta da adeguata motiva2lione, essendosi rilevato che -omessa 
la prescritta dichiarazione del contribuente -l'ufficio era stato 
costretto a rricorrere in un primo momento ad un accertamento concordato 
sinteticamente e divenuto definitivo per non essere stato impugnato 
nel termine di decadenza stabiHto dall'art. 34 del t.u.; e che venuto 
a conoscenza, certamente (e non in via di mera ipotesi) in un 
momento successivo, della percezione da parte del contribuente di un 
reddito occultato di R.M. cat. C/1, costituito dalla provvtigione di lire 

209.423.336 da lui incassata a titolo di mediazione nell'anno 1965 -legittimamente 
aveva ritenuto che tale guadagno facesse-presumere un reddito 
soggetto ad imposta complementare di gran lunga maggiore di 
quello definito con l'adesione del contribuente in liire 2.740.000, il cui 
ammontare era inequivocamente indicativo dell'occultamento, da parte 
del contrtibuente, del maggior reddito e dell'ignoranza, da parte dell'ufficio, 
delle fonti di reddito occultate. (omissis) 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� luglio 1980, n. 4140 -Pres. MiTabelli Est. 
Martinelli -P. M. Valente (conf.) -Rossi (avv. Guidi) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Viceconte). 

Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione sintetica -Dichiarazione 
non corredata dei documenti contabili -Legittimit� -Invito a 
produrre la documentazione -Non � necessario. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 39 e 117). 
Legittimamente l'ufficio ricorre all'accertamento sintetico quando la 
dichiarazione non sia corredata dei documenti contabili prescritti; non 
� necessario che l'ufficio inviti preliminarmente il contribuente a norma 
dell'art. 39 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 a present�re le scritture mancanti 
(1). 

(omissis) Con l'unico e complesso motivo la ricorl'enrte, lamentando 
la violazione degli artt. 39, 118 t.u. n. 645 del 1958 in relazione aM'art. 360 

n. 3 cod. proc. civ., censura l'impugnata decisione per aver erroneamente, 
ritenuto che l'ufficio distrettuale delle imposte dirette possa procedere 
ad accertamento induttivo e sintetico nei confronti di soggetto non tassabile 
in base a bilancio, qualora la denuncia dei redditi, sebbene anailitica, 
non sia stata accompagnata dalla prescritta dooumenta:llione giustificativa, 
senza disporre la preventiva richiesta d'informazione (ex art. 39 
n. 1 t.u. cit.); per avere, inoltre, affermato la legittimit� del ricorso aJ.I'accertamento 
induttivo o sintetico in caso di ,asserita mancanza o irregolarit� 
di scritture contabili; senza ohe tale omissione risulti dail prescritto 
verbale previsto dal penulTiimo comma dell'art. 39 citato; oppure facendo 
riferimento ad altre circostanze o notizie acquisite dall'ufficio distrettuale 
delle imposte. 
La censura � destituita di fondamento. 

Va, innanzitutto, rilevato che la commissione centrale ha, esattamente, 
posto in luce ohe l'ufficio ha proceduto ad accertamento i'll!duttivo 
del reddito, soggetto ad imposta di recchezza mobile (cat. B), e concorrente, 
di conseguenza nel reddito complessivo soggetto ad imposta complementare, 
facendo riferimento ai diversi valori emergenti dai contratti 
di vendita degli immobili (costituenti oggetto dell'attivit� commerciaile 
esercitata dalla societ�) e debitamente registriati; di gran lunga superiori 
a quelli indicati nella denuncia dei redditi. Stante l'evidente ,discol'danza 
tra gli anzidetti valori, � incontrovertibile la legittimit� dell'operato dell'ufficio 
che 1ha proceduto ad accertamento in rettifica, fornendo adeguata 

(1) Il principio della massima � stato riconfermato con la sentenza 30 ottobre 
1980, n. 5827, di cui si omette la pubblicazione. 
Decisione indubbiamente esatta che pone in rilievo un ulteriore aspetto 
del problema: l'invito al contribuente a presentare i documenti non � mai un 
dovere dell'ufficio. 


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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

motivazione a sostegno di detto accertamento (ex art. 39, ultimo comma, 

t.u. n. 645 del 1958). 
Per completezza di motivazione, va, peraHro, rilevato (conformemente 
ad un consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte) che 
l'ufficio distrettuale delle imposte � legittimato a procedere ad accertamento 
induttivo e sintetico nel caso in cui il contribuente, �soggetto 
non tassabile in base a bilancio �, abbia presentato -come nella specie, 
-una denuncia di reddito, che, seppure ana:litioa, sia sprovvista del1a 
prescritta documentazione giustificativa. Tale conclusione irisulta suffragata 
da quanto disposto dall'art. 117 t.u. oit. che per quanto riguarda 
i soggetti non tassabili in base a bilancio, impone alla p.a. di procedere 
ad accertamento analitico soltanto nel caso in cui fa denuncia assuma 
tale carattere, ed esista la documentazione giustificativa delle attivit� 
e passh~it�. 

N� pu� ritenersi fondato l'assunto prospettato dalla ricorrente, la 
quale rileva che la p.a. in mancanza di detta documentazione giust:idicativa, 
non possa procedere ad accertamento induttivo e sintetico se non 
dopo aver ,richiesto e non ottenuto, le necessarie informazioni (ex art. 39 

n. 1 t.u. cit.). Infatti, � indubbio che tale richiesta non costituisce un 
atto dovuto o un onere per l'amministrazione finainziaria. 
Ci� si desume, oltre che dalla chiara formuilazione Jetterale degli 
artt. 39, 117 t.u., dall'evidente � :riatio � su cui si fondano dette disposizi�ni. 
Pertanto, ove il contribuente intenda far valere nei confronti dell'ufficio 
una pretesa ad �ottenere, �in caso di accertamento in rettifica, 
un'individuazione analitica e motivata dei redditi nel l.oro an e nel loro 
quantum, � tenuto al rispetto degli adempimenti pTevisti dalla legge per 
la presentazione della denlincia dei vedditi, ivi compresi quelili contemplati 
nell'art. 117 nei confr�nti di soggetti non tassabili in base a bilancio. 

La legittimit� dell'accertamento di ufficio in ordine al reddito di ricchezza 
mobile, cos� come � posto in evidenza dalla commissione centrale, 
comporta l� conseguente legittimit� dell'accertamento in ordine rulo stesso 
reddito considerato ai fini dell'imposta complementare. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 luglio 1980, n. 4189 -Pres. Marchetti Est. 
Zappulli -P. M. Cantagalli (conf.) -Rubino (avv. Lanciari) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi (in genere) -Contenzioso tributario � Giudizio di terzo grado � Ricorso 
alla commissione centrale � Rinuncia per ricorrere alla Corte 
d'appello -Inammissibilit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art.' 40). 
Il ricorso proposto innanzi alla commissione centrale preclude in 
ogni caso la proposizione della impugnazione innanzi alla Corte d'appel



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

376 

lo anche se sia stata fatta dichiarazione di rinuncia al ricorso alla commissione 
centrale (1). 

(omissis) Il ricorrente Rubino ha censurato la sentenza impugnata, 
con. l'unico motivo del ricorso, per violazione degli artt. 40 del d.P.R. 
26 ottobre 1972, n. 636, e 1 terzo comma, del d.l. 10 dicembre 1976, n. 798, 
per avere ritenuto la corte di merito ohe l'lintervenuto ritiro o rinunzia 
per il ricorso proposto alla commissione tributaria centrale non legittimava 
la conseguente proposizione dell'azione innanzi la Corte d'appello, 
mentre, secondo il ricorrente, non essendo assoluta l'alternativiit� tra i 
due mezzi di impugnazione, quel ritiro avvenuto prima della scadenza 
del termine di sessanta giorni previsto dall'art. 25 dello stesso decreto 
impediva che fosse � consumato il gravame in quella sede � e rendeva 
possibile la presentazione dell'impugnazione innanzi quella Corite. Il ricorrente, 
inoltre, ha sostenuto che la proroga del termine previsto dall'art. 1 
del citato d.l. n. 798 del 1976 non si applicava nel caso di gravame inoonzi 
il giudice ordinario. 

Il motivo � infondato. 

Invero, il suddetto art. 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, ha posto 
una precisa e rigorosa alternativa tria Je due impugnazioll!� della decisione 
della commissione tributaria di secondo grado :innanzi la Corte d'appello 

o innanzi la commissione tributada centmle, richiedendo per la prima 
ohe sia � decorso inutilmente per tutte le parti :fil termine � per la seconda. 
Quest'ultimo, ovviamente, non pu� ritenersi � .inutilmente decorso � 
quando l'impugnazione diretta alila commissione centrale sia stata presentata 
perch� essa ha consumato, automaticamente e necessariamente 
all'atto della presentazione stessa, il potere di impugnazione e la corirelativa 
scelta, dando luogo a quella condizione di legge che preclude H gravame 
innanzi la Corte d'appello previsto dalla citata norma, indipendentemente 
da ogni evento successivo. 

N� al riguardo pu� avere alcun valore Il ri1liro, chiesto dal ricorrente 
fuori di ogni norma processuale, o fa �rinunzia a[ ricorso stesso perch� 

(1) Decisione esatta sul tormentato problema della alternativa delle due 
impugnazioni di terzo grado. La proposizione del ricorso alla centrale produce 
l'effetto di designare per tutte le parti la commissione centrale come giudice 
della impugnazione. Da questo momento tutte le altre parti, che non possono 
pi� proporre l'impugnazione alla Corte d'appello, sono vincolate alla scelta 
fatta dalla parte pi� diligente; per questa ragione si deve ritenere che la 
rinuncia al ricorso alla centrale non pu� riaprire la strada per il ricorso alla 
Corte d'appello in quanto la rinuncia non pu� produrre effetti che toccano le 
altre parti. Resta a vedere se la rinuncia, che non produce effetto sulla proponibiliirt� 
diel!l'impugnazione ailla Corte dlappello, vai]ga come tale per il ricorso 
alla commissione centrale; se cio� diventino improponibili ambedue le impugnazioni. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

talle rinunzia, -(a prescindere dall'assenza di ogni presentazione o indica


zione di procura da parte dell'avvocato che la sottoscrisse, rHevata nella 

sentenza impugnata) -, ITTon ha effetto retroattivo, e non esclude, e ru:J.2)� 

presuppone, che l'impugnazione rinunziata sia stata presentata effettiva


mente. Non pu�, perci�, ritenersi che in virt� di essa iJI ricorso sia da 

considerare tamquam non esset e che la condizione impeditiva del gravame 

innanzi il giudice ordinario non si sia anteriormente verificata. 

Al riguardo non ha pregio l'osservazione del ricorrente sulla non assoggettabilit� 
di quella rinunzia ad accettazione della controparte. Invero, 
-indipendentemente dal fatto ohe nel procedimento innanzi le commissioni 
tributarie non � prevista una forma di costituzione distinta dalla 
presentazione degli opposti ricorsi e delle rispettiive memorie e che, quindi, 
non potrebbe trovare applicazione, in assenza di atti della controparte, 
la norma dell'art. 306 cod. proc. civ. sull'accettazione delle parti costituite, 
-la rinunzia non perde, per questo, il suo carattere di fatto sorpiravvenuto 
e non acquista la retroattivit� attribuitagli dal ricorrente senza 
che aJcuna norma di legge consenta quella diversit� di effetti rispetto alla 
rinunzia disciplinata dal comune codice di rito. 

N� possono trovare accoglimento le ulteriori deduzioni contenute nella 
memoria del ricorrente, secondo [e quali tale diversit� di effetti sarebbe 
consentita dalla natura amministrativa degli organi del contenzioso tributanio 
e dalla qualificazione del procedimento innanzi le commissioni tributarie 
come iter amministrativo, in virt� del quale il � ritiro o meglio abbandono 
del ricorso � alla commissione centraile non implica rinunzia all'azione, 
cos� come in materia di previdenza o di ricorsi gerarchici i relativi 
procedimenti sono soltanto condizione per iJ. rpromovimento dell'azione 
innanzi il giudice ordinario o amministrativo. 

Infatti, il carattere giurisdizionale delle commissioni tributarie � stato 
costantemente riconosciuto, sia per il periodo anteriore sia per quello 
posteriore al decreto medesimo, dalla Corte costituzionale (dee. 3 agosto 
1976, n. 215) e da questa Corte (sent. 7 novembre 1974, n. 3392; 25 maggio 
1973, n. 1530; 27 maggio 1972, n. 1665), onde � stato costantemente ammesso 
il ricorso a questa corte di fogittimit� ex art. 111 della Costituzione, ohe 
non pu� essere, invece, proposto avverso provvedimenti di carattere non 
giurisdizionale. 

L'obbligatoriet�, rilevata dal ricorrente, dei primii due gradii innanzi 
le commissioni tributarie per la proponibilit� della successiva a:ziione giudiziaria 
� nella struttura della Corte d"appello � non solo non in!ficia la 
tesi della giurisdizionalit� detle commissioni tributarie in genere, ma anzi la 
rafforza. Essa da un lato ha creato un diretto collegamento tra le commissioni 
di primo e di secondo grado e quella della corte, tanto che nell'art. 40 
del citato d.P.R. del 1972 il termine di �.impugnazione� innan:zii lia stessa 
manifesta la continuit� e unitariet� del procedimento, dall'altro, con l'attribuire 
la competenza per la materia tributaria a quel giudice che nell'ord�



378 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

namento giudiziario ha normalmente funzioni d'appello, ha accentuato tale 
continuit�. In certo modo, la nuova legge ha dato luogo ad una equiparazione 
parziale tra il giudice ordinario di primo grado e quelle commissli.
oni tributarie territoria!li, pur aggil(J[lgendo un altro grado per le stesse 
per esigenze di maggiore avvicinamento agli uffici finanziari e ai singoli 
contribuenti in questo ulteriore decentramento, anche in co.nswerazione 
della loro pi� ampia competenza estesa alle estimazioni semplici. 

Pertanto, a causa della diversit� delle iregolamentazioni rispettive e per 
il carattere e la struttura delle commissioni suddette, non ha alcun rilievo 
quel richiamo a materie estranee e diversamente disciplinate. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 lugldo 1980, n. 4277 -Pres. Mirabelli Est. 
Gualtieri -P. M. Valente (conf.) -Mastropietro c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Ferri). 

Tributi erariali diretti -Accertamento tributario -Incompetenza dell'ufficio 
tributario -Nullit� assoluta -Rilevabilit� d'ufficio. 

Poich� la competenza per territorio nella materia amministrativa ha 
carattere funzionale ed inderogabile, l'accertamento tributario emesso da 
un ufficio incompetente � assolutamente nullo e detta nullit� pu� essere 
rilevata in ogni stato e grado del procedimento tributario avente per 
oggetto l'atto medesimo (1). 

(omissis) Con il primo motivo, denunziando erria1Ja interipretazione ed 
applicazione degli artt. 9, 21, 29 e 33 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e 28 e 38 
codice di rito, nonch�, in genere, delle norme rela1Jive alla competenza 
funzionale dell'ufficio finanziario, il ricorrente deduce che ha errato la 
commissione tributaria centrale nel ritenere che gli atti posti in essere da 

(1) La massima che pure ha un precedente nella sentenza 19 ottobre 1977, 
n. 4462 (in questa Rassegna, 1977, I, 863) non pu� essere totalmente condlivisa. 
Sono esatte le premesse che la nullit� dell'accertamento comporta un vizio 
sostanziale del potere di pretendere il tributo e si pu� anche ammettere che 
l'incompetenza dell'ufficio renda l'accertamento nullo, ma non inesistente. Non 
si pu� tuttavia condividere l'affermazione che il vizio di incompetenza dell'accertamento, 
quale atto amministrativo, possa essere rilevato d'ufficio in ogni 
stato e grado. 

Se � vero che il potere attribuito agli organi amministrativi non pu� essere 
esercitato al di l� dei limiti assegnati, non si pu� certo dire che il vizio di 
incompetenza, anzich� essere oggetto di una impugnazione di legittimit�, pu� 
essere rilevato con una mera pronuncia declaratoria in qualunque tempo e sede. 

Si deve anche osservare che la decisione sulla competenza dell'ufficio comporta 
un esame di fatti e prove che devono essere tempestivamente dedotti 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 379 

ufficio tributario incompetente per territorio non siano � nulli e inefficaci 
ma soltanto invalidi >>, laddove avrebbe dovuto affermare il principio che 
un atto amministrativo di natura tributaria � assolutamente nullo quando 
sia compiuto da un organo la cui incompetenza sia evidente prima facie, 
come avviene nell'ipotesi di incompetenza territoriale, per cui 1a relativa 
eccezione, solleviata da esso ricorrente aH'udien:lla di discussione in primo 
grado non avrebbe dovuto essere considerata tardiva dallla commisisione. 

La censura � sostanziailmente fondata. 

Devesi rilevare che l'accertamento tributario riveste contemporaneamente 
carattere sostanziale e processuale poioh�, mentre, da un lato, costituisce 
elemento essenziale del rapporto giw:Wdico di imposta, in quanto 
indica che si sono verificati in concreto i presupposti per '1'appHcazione 
del tributo secondo la valq.tazione degli elemen1li di fatto e ne determina 
l'imponibile e, divettamente o no, la relativa imposta, daJ:l'altro, esso contiene 
l'affermazione della pretesa tributaria ben determinata, susce1JtlibiJe, 
dopo la notificazione dell'avviso quale provocatio ad agendum, di divenire 
esecutiva (cfr. sent. sez. un. 21 settembre 1970, n. 1635). 

Da questo contenuto bivalente dell'accertamento tributario consegue 
che, secondo che siano dedotti vizi del suo aspetto sostailZ)iale o di quehlo 
processuale, vanno diversamente regolati l'ammissibilit� dei motivi ed 
eccezioni ad esso riferentisi innanzi al giudice o:ridinanio e gli effetti delle 
decisioni delle commissioni tributarie. Al riguardo, non pu� dubitarsi ohe 
ha carattere sostanziale ogni ques1lione concernente il potere di applica� 
re l'imposta, sia per il lato oggettivo dell'esistenza dei suoi presupposti 
e dei limiti stabiliti dalla legge, sia per il lato soggettivo della competenza 
dell'ufficio che vi procede. 

E poich� la competenza, nell'ambito generale delle attivdt� della pubblica 
amministrazione � �il complesso delle potest�, ossia deJ!le funzioni, 
che ciascun organo � autorizzato ad esercitare, entro i limiti, non solo d1 
tempo, ma anche di �Spazio, nei quali l'agente possa essere considerato 
autorit� amministrativa, la competenza territoriale � determinante per 
la stessa esistenza del singolo atto amministrativo. Consegue che l'atto 
posto in essere fuori di dettli limiti (si pensi al provvedimento di un pre� 
fetto destinato a operare in una provincia diversa da quella alla quaJ!e 

perch� l'altra parte possa esercitare la difesa (la menzionata sentenza ha ad 
esempio ritenuto che non sussiste incompetenza dell'ufficio quando il contribuente 
abbia presentato la dichiarazione allo stesso ufficio incompetente) s� che 
deve escludersi che la statuizione possa intervenire sorprendendo le parti (per 
un caso di individuazione particolarmente laboriosa della competenza dell'ufficio 
e tale da escludere sicuramente la rilevabilit� d'ufficio v. la sentenza 2 giugno 
1980, n. 3596, in questo fascico1o, pag. 366). 

Se perfino l'incompetenza territoriale del giudice non pu� essere pronunciata 

senza eccezione della parte � poco credibile che l'incompetenza dell'organo sia 

rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado. 



380 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

egli sia preposto) deve ritenersi, secondo la dottrina, inesistente; quanto 
meno esso � affetto da nullit� assoluta proprio per mancanza di potere 
dell'organo che lo ha emesso e avendo la competenza per territorio, nella 
materia amministrativa, carattere funzionale e inderogabile. Quindi, il 
difetto di potere, quando riguardi l'accertamento tributario (che � atto 
amministrativo), costituisce un vizio sostanziale e radicale che ne importa 
la nullit� assoluta, rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del 
procedimento tributario, avente per oggetto l'atto medesimo (cfr. sent. 
19 ottobre 1977, n. 4462). 

fai virt� di questo carattere sostanziale del dedotto vizio di incompetenza 
territoriale de1l'ufficio II.DD. di Montepulciano (che notific� al 
Mastropietro tre avvisi di accertamento dei redditi di R.M. e complementare 
per gli anni 1967, 1968 e 1969) e della sua rilevabilit� in ogni stato 
e grado del procedimento, va negata ogni possibilit� di applicazione, nella 
fattispecie, della norma dell'art. 19, quarto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, 

n. 636, sulla revisione della disciplina del contenzioso tributario, secondo 
cui il contribuente pu� dedurre motiivi ed eccezioni, ancorch� non indicati 
nel ricorso, fino a dieci giorni precedenti la prima udienza avanti la commissione 
di primo grado. 
Ha errato, pertanto, la commissione tributru:iia centrale, nell'escludere 
il carattere assoluto della nrutllit� in parola e nel rutenere, per conseguenza, 
intempestiva la relativa eccezione, sollevata dal Mastropiietro dopo il termine 
suindicato. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 1uglio 1980, n. 4322 � Pres. Vigoriita Est. 
Martinelli -P. M. Catelani (comf.) -Ministero deHe Finanze (avv. 
Stato Viola) c. Soc. SEGES. 

Tributi erariali indiretti -Imposta sull'entrata -Condono -Termine per il 
pagamento r 1!: perentorio. 

(d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 8). 
Ai fini dell'applicazione del condono concesso con il d.l. 5 novembre 
1973, n. 660, in materia di imposta sull'entrata, � necessario che il contribuente 
rispetti il termine perentorio previsto dall'art. 8 per quanto attiene 
sia alla presentazione della domanda sia al pagamento del tributo nella 
misura stabilita dalla legge (1). 

(1) Giurisprudenza costante opportunamente riconfermata (Cass., 19 febbraio 
1980, n. 1218, in questa Rassegna, 1980, I, 823). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 381 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 luglio 1980, n. 4652 -Pres. Granata 


Est. Corda -P. M. Grossi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 

Soprano) c. Barbato (avv. Miele). 

Tributi erariali indiretti -Imposte ipotecarie -Sanzioni -Sistema di applicazione 
del tributo -Distinzioni. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635, artt. 7 e 17). 
Il sistema di applicazione dei tributi ipotecari si articola in due diverse 
categorie di prelievo: una prima che prevede il pagamento dell'imposta, 
di facile liquidazione, nelle mani del conservatore dei registri immobiliari 
in occasione della richiesta di formalit� ipotecarie; una seconda che prevede 
il pagamento di una imposta proporzionale sulla stessa base imponibile 
della imposta di trasferimento presso l'ufficio del registro contemporaneamente 
al pagamento dell'imposta di registro o di successione. Per 
le imposte della seconda categoria, l'omesso pagamento, che si manifesia 
con la omessa richiesta di trascrizione (art. 17, primo comma, d.P.R. 
26 ottobre 1972, n. 635) d� luogo ad una pena pecuniaria la cui entit� � riferita 
all'ammontare dell'imposta evasa. � poi prevista una sanzione (art. 17, 
secondo comma) per l'omessa richiesta della formalit�, sia nel caso che 
sia dovuta una imposta fissa o da prenotarsi a debito sia nel caso che 
non sia dovuta alcuna ulteriore imposta per essere gi� avvenuto il pagamento 
dell'imposta proporzionale (1). 

(omissis) Con l'unico motivo di esso, la 11icorrente amministrazione 
finanziaria dello Stato -nel denunciare la vti.olazione dell'art. 17 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635 -sostiene che nel caso di specie (caratterizzato 
dal fatto che l'omessa presentazione al conservatore dei registri immobiliari, 
nel termine di trenta giorni della nota di trascrizione, concerneva 
un atto soggetto all'imposta ipotecaria proporzionale) la sanzione applica(
1) La sentenza � sicuramente molto istruttiva; forse non tutte le considerazioni 
in essa contenute sono incontrovertibili, ma sembra da condividere il 
criterio generale: in sostanza, quando � stabilito il pagamento presso l'ufficio 
del registro di una imposta, per l:o pi� propor2lionaile, si p!'evede una duplice 
sanzione: a) per l'omesso pagamento, enunciato (primo comma dell'art. :17) sotto 
forma di omessa richiesta di trascrizione (che poi si concretizza in omessa 
richiesta di registrazione o omessa dichiarazione di successione); b) per l'omessa 
richiesta di formalit� malgrado l'avvenuto pagamento della imposta. Negli altri 
casi opera soltanto la sanzione del secondo comma per l'omessa richiesta di 
formalit� e non si d� carico all'omesso pagamento dell'imposta, fissa o da pre!notarsi 
a debito. 
In modo autonomo � disciplinata la sanzione per l'omessa trascrizione (da 
parte del capo dell'ufficio del registro) del certificato di denunziata successione 
(terzo comma). In alternativa alla pena pecuniaria del primo comma � dovuta 
una soprattassa quando l'imposta anzich� omessa sia pagata con ritardo (ultimo 
comma). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

bile, per la ritardata presentazione deLla nota di trascrizione, era quella 
prevista dal primo comma dell'art. 17. Avrebbe errato quindi la commissione 
tributaria centrale nel ritenere che la sanzione applicabile era quella 
prevista dal secondo comma. 

La censura � priva di fondamento. 
Il sistema di applicazione dei tributi ipotecari, com'� noto, si articola 
in due diverse categorie di prelievo. 

Da un lato, si configura una disciplina che pu� dirni tipica, iin quanto 
applicabile a tutte le ipotesi per le quali non sia, dalla legge, prevista 
espressamente una particolare regolamentazione. Nel suo ambito, 1spioca 
la caratteristica ohe il versamento delle somme stabilite dalla legge deve 
essere effettuato, in occasione della richiesta della formalit� ipotecaria, 
nelle mani del converisatore dei registri immobiliari e costituisce condizione 
necessaria per l'esecuzione della pubblicit� (art. 7, terzo comma, del 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635). In questo caso, l'attivit� di accertamento del 
conservatore si estrinseca esclusivamente in 1i1spezioni e controlli documentali, 
poich� la determinatlone quaintitativa del tributo � effettuata direttamente 
dalla legge, in misura fissa (artt. 3, 4, 7, 8, 9, 10, 12 e 15 della tariffa 
allegata al decreto presidenziale), ovvero risUJlta dall'applicazione di aliquote 
proporzionali alla somma per cui sono effettuate le formalit� ipotecarie 
(immediatamente risultanti dalle relative note o domande: art. 4 del citato 
decreto presidenziale e 11, 13 e 14 della tariffo, ali. A). 
Tale disciplina � applicabile ai tributi proporzionali sulle iscrizioni 
e sugli annotamenti (artt. 1, 2, 11 e 14 della predetta tariffa), nonch� ai 
tributi fissi su iscrizioni, annotamenti e trascriziOl!l�. Nel suo ambito, il 
tri!buto (riscosso dal Conservatore) assume a presupposto, com'� intuitivo, 
l'esecullione della formalit� ipotecaria. 

La seconda disciplina, invece, � quella relativa ai tributi proporzionali 
sulle trascrizioni (compresi quelli per la trascrizione del certificato di 
denunciata succession�, che � disposta esdusivamente a .fini fiscali: art. 14, 
terzo comma, del decreto presidenziale), nonch� alle imposte fisse dovute 
per gli atti soggetti aM'i.v.a. e quelle dovute per trascrizione obbligatoria 
in forza del medesimo atto o sentenza assoggettati ad imposta proporzionale. 
Di tale disciplina � caratteristico il fatto che i tributi vengono 
riscossi dagli uffici del registro e di successione e contemporaneamente 
alle dette imposte proporzionali sui trasferimenti per atti tra vivi o mortis 
causa (art. 7, primo e secondo comma). 

Nell'ambito di questa seconda disciplina, i tributi riscossi (dall'ufficio 
del registro) hanno presupposto identico a quelli delle imposte di registro 

o di succes�sione, ossia la (semplice) formazione dell'atto o l'apertura della 
successione traslativi di diritti immobiliari (tanto che, se anche la trascrizione 
non venga poi effettuata, l'imposta pagata all'ufficio del registro non 
potr� essere restituita). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIJlUTARIA 

Sempre nell'ambito di questa seconda disciplina, va ancora :Posta in 
rilievo la caratteristica che, allo11ch� al conservatore dei registri irrurnobiliari 
viene demandata 1a trascrizione, non deve essere pagata, per quella 
formalit�, alcuna imposta ipotecaria, poich� la stessa (in misura proporzionale) 
� gi� stata versata aJ.l'ufi�icio del registro. Al predetto conservatore, 
cio�, viene solo presentata la nota per la trascrizione e su questa 
� richiesta di formalit� � sono dovuti solo gli emolumenti e i diritt!i di 
scritturato (legge 23 ottobre 1969, n. 789 e 25 luglio 1971, n. 545), i quali, 
evidentemente, non sono � imposta ipotecaria�. La detta richiesta dri 
formalit�, rivolta al conservatore dei registri immobiliari, � pertanto �non 
soggetta ad imposta�. 

Ora, dopo questa precisazione di carattere sistematico, riesce senz'altro 
agevole spiegare l'ambito di applicazione de:ll'art. 17 del citato d.P.R. 
26 ottobre 1972, n. 635, disciplinante le sanz!ioni per le �omissioni� in esso 

~ndicate. 

Il primo comma stabilisce che per �l'omissione della richiesta di trascrizione 
degli atti e sentenze e di ogni altra trascrizione obbligatoria 1si 
applica la pena pecuniaria .da una a tre volte l'imposta�. Il successivo comma, 
a sua volta, stabilisce che �per l'omissione della richiesta di formalit� 
di trascrizione o di annotamento soggetta ad imposta fissa o non soggetta 
ad imposta o da eseguirsi a debito si applica la pena pecuniaria da 
lire diecimila a lire centomila�, 

Le due fattispecie, delineate dalle su riportate disposizioni, sono, quindi, 
facilmente .individuabili. 

La prima � quella concernente l'omesso pagamento, all'ufficio del registro, 
dell'imposta (proporzionale) dovuta per fa trascri:z;ione, quando quest'ultima 
sia resa obbligatoria dalla natura dell'atto: omesso pagamento 
che in tanto pu� verificarsi, in quanto sia omessa la richiesta di trascrizione. 


La disposizione, com'� chiaro, riguarda il caso in cui la trascrizione 
sia obbligatoria: non �, infatti, concepibile la comminatoria cli una sanzione 
se non in rapporto a una obbligatoriet� disposta dalla legge (articoli 
2643 e �segg. cod. civ.). 

Questa osservazione, per�, non pu� non valere anche in refazione alla 
disposizione contenuta nel secondo comma. Detta disposizione, quindi, non 
pu� che riguardare l'omissione di una richiesta (rivolta, in questo oaso, 
al conservatore dei registri immobiliari) resa obbligatoria della legge, 
di una formalit� che sia: a) soggetta a imposta fissa; b) o non soggt<tta 
ad imposta; e) ovvero da eseguirsi a debito. Non, quindi, qualunque omissione 
� sanzionata (pur in relazione a queste tre ipotesi), ma solo quella 
che sia da ricollegare alla stabilita obbligatm1iet� della trascrizione. 

Ora, quali siano le formalit� soggette a imposta fissa � stabilito espressamente 
dalla tariffa allegata al decreto presidenziale in esame (artt. 3, 4, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

6, 7, 8, 9 e 10); quali si.ano, poi, le formalit� da eseguirsi a debito � stabilito 
dall'art. 11 dell detto decreto: ed � ovvio che per stabilire della loro obbligatoriet� 
(nel senso di ritenere sanzionabile l'omissione) dovr� pur sempre 
farsi riferimento alla natura dell'atto e, perci�, a11e richiamate norme dcl 
codice civile. Cos�, ad esempio, se non viene richiesta la trascrizione � di 
atti o sentenze che non trasferiscono la propriet� di beni immobili o di 
diritti capaci di ipoteca� (art. 9 della tariffa), ossia viene omessa la richiesta 
di una formalit� (soggetta, nel caso in cui veniga richiesta, ad imposta 
fissa) relativa a un atto per il quale la tmscrizione non � obbliigatoria, 
la sanzione non sar� ovviamente aipplioabile. Quest'ultima sar�, iinvece, 
applicabile se l'omessa richiesta di formalit� riguardi, ad esempio, una 
� trascrizione necessaria nelle procedure di fallimento (art. 11, n. 4 del 
decreto presidenziale), in relazione 'alla quale la formalit� deve essere eseguita 
a debito. 

La terza ipotesi � quella concernente l'omessa richiesta di formalit� 
� non soggetta ad imposta �. 

Il caso considerato �, come appare evidente, quello dell'omesso compimento 
di un'attivit� necessaria per la completa attuazione del meccanismo 
della trascrizione, cio�, in definitiva, dell'omessa presentazione, aiJ. conservato:
rie dei registri immobiliari, delle note di trascrizione, in relazione 
a un atto soggetto all'imposta proporzionale (gi� pagata a!ll'ufficio del 
registro), ovvero non soggetto alla stessa se la t:mscrizione � eseguita 
nell'interesse delle amministrazioilli dello Stato (art. 12 del decreto presidenziale). 
In nessuno di questi casi, invero, la fonnalit� della presentazione 
delle note di trascrizione � soggetta ad imposta: e ci�, si ritiene, 
perch� gi� l'imposta proporzionaile � stata pagata, ovvero non � dovuta; 
ma sarebbe fo:rise pi� esatto diTe ohe l'imposta non � dovuta per ta!le 
formalit� semplicemente perch� il legislatore ha omes,so di menzionarla 
fra quelle che ai sensi delia tariffa, sono soggette all'imposta fissa. Va 
rico!'dato, per chiarezza di esposizione, che allorquando viene domandata 
la trascrizione di un atto in relazione al quale fa trascrizione stessa non 
� obbligatoria, la sola formalit� da compiere � quella della presentazione 
delle note a:l conservatore dei registri immobiliari. In tal caso, ila sola 
imposta dovuta � quella �fissa�, secondo ill disposto dell'art. 9 della 
tariffa; di modo che, colui che domanda la wascrizione � tenuto a pagare, 
al conservatore, l'imposta predetta al momento del compimento della 
formalit�, ossia al momento della presentazione delle note di trascrizione. 
Quando, invece, la stessa richiesta di formalit� riguarda un atto in relazione 
al quale la trascrizione � obbligatoria, il Tichiedente pu� farne presentazione 
solo se, prima, abbia pagato (UIIli�tamente a quella di registro) 
la relativa imposta proporzionale, salvo che l'atto sia �non soggetto alle 
imposte�, ai sensi del citato airt. 12 del decreto presidenziale; e quando 
tale condizione sia stata adempiuta, potr� richiedere la formalit� al con



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

servatore, senza il pagamento di alcune (ulteriore) imposta, ma solo degli 
� emolumenti e di diritti di scritturato �. 

Ed � proprio a queste fattispecie, oltre che a quel1a concernente l'esecuzione 
delle formalit� �a debito�, che intende riferirsi il secondo comma 
dell'art. 17 in esame. 

Ora, nel caso di specie, poich� la controversia tributaria concerneva 
il caso di un notaio che, dopo avere pagato, in sede di registrazione, 
l'imposta patrimoniale ipotecaria su Uiil atto pubblico di trasferimento 
immobiliare (per il quale la trascrizione era obbligatoria, dana la natura 
dell'atto), aveva omesso la (tempestiva) �richiesta di formalit� di trascrizione
�, da rivolgersi al conservatore dei registri immobiliari, 1a commissione 
tributaria centrale ha ritenuto applicabile la disposizione contenuta 
nel secondo comma del citato art. 17, proprio perch� trattavasi di (omessa) 
� richiesta di formalit� di trascrizione... non soggetta ad imposta�. 

La ricorrente amministrazione, per�, censura la relativa decisione, 
sostenendo che non sarebbe �pertinente� !'.applicazione di detta disposizione, 
poich� l'atto in questione (l'atto pubblico di trasferimento immobiliare) 
� soggetto all'imposta proporzionale e, quindi, non sarebbe �non 
soggetto ad imposta�. Siffatta enunciazione, per�, omette di considerare 
che la � non soggezione� dJ cui parla la norma in esame (secondo comma 
dell'art. 17) riguarda -come si � chiarito -non gi� l'atto, bens� fa 
�richiesta di formalit�� rivolta al conservatore dei registri immobiliani. 
Riguarda, oio�, fa fattispecie in cui Ja richiesta (obbHgatoria) di trascrizione 
sia stata gi� rivolta all'ufficio del registro (col contestua:le pagamento 
dell'imposta proporzionale) e sia stata, invece, omessa l'ulteriore 
attivit� necessaria per l'attuazione della indispensabile pubblicit� delil'atto, 
cio� la richiesta (al conservatore predetto) �di formalit� di traiscri.zione >>, 
ossia fa {tempestiva) presentazione delile note di trascrizione: attivit�, 
quest'ultima, non soggetta ad (ulteriore) imposta, ma solo a quegli � emolumenti 
e diritti di scritturato� che, come si � detto, non vengono neppure 
in considerazione. Ci� che non � � pertinente �, quindi, � solo il a:iferimento 
alla natura dell'atto da trascrivere, ossia alla sua soggezione all'imposta 
ipotecaria di trascrizione. 

Sostiene, infine, la ricorrente che la commissione tributaria centrale 
avrebbe errato allorch� ha affermato -al fine di esoludeme la concreta 
applicabilit� -che il primo comma dell'art. 17 del citato d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 635, riguarda �la omissione di richiesta di registra:ziione con 
conseguente omissione del pagamento delle imposte ipotecarie�. Assume 
che una tale interpretazione della norma sarebbe errata, � in quanto tale 
specifico caso � previsto proprio dall'ultimo comma del citato art. 17 �. 

Anche tale assunto �, per�, privo di fondamento -o, quantomeno, 
non giova affatto alla tesi della ricorrente -perch� non considera ohe il 
primo e l'ultimo comma in questione riguardano, proprio, la medesima 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

386 

fattispecie di omissione del contribuente: il primo, ai fini dell'applicazione 
della pena pecuniaria; il secondo, ai fini della soprattassa (che qui 
non vriene in considerazione). Si tratta, comunque e in ogni caso, di una 
fattispecie legale diversa da quella concernente il caso concreto. 

Con l'unico motivo del ricorso incidentale, il resistente Notaio sostiene 
che per la ritardata presentazione delle note di trascrizione si 
sarebbe dovuta applicare la sanzione di cui al quairto comma dell'art. 17 
in esame, non gi� quella di cui al secondo comma. E ci� perch� il caso 
concreto concerneva un'ipotesi non gi� di � omissione � (contemplata, 
appunto, dal secondo comma), bens� di {(ritardata)) presentazione: e 
poich� una tale irregolarit� non � espressamente prevista dalla norma 
sanzionatoria, la stessa non potrebbe 'ritenersi rientrante altro che riella 
generica previsione di applicazione della pena pecuniaria (da lire diecimila 
a fue cinquantamila) �per ogni altra inosservanza delle norme del 
presente decreto �. 

Anche tale censura �, per�, infondata. 

Giova ricordare, per inquadrare compiutamente la questione, che li:\ 
legge precedente (art. 24 della legge 25 giugno 1943, n. 540) sanzionava 
con pena pecuniaria la mancata richiesta, nel termine di trenta giorni, 
della trascrizione degli atti e delle sentenze concernenti trasferimenti im. 
mobiliari e dei certificati di denunciata successione e di ogni altra tmscrizione 
non soggetta ad imposta o da eseguirsi a debito. 

La nuova legge, come si � gi� riJevato esaminando il ricorso principale, 
indica, invece, come punibile solo il fatto della � omissione della 
richiesta �. Non riporta, cio�, le parole �nel termine di trenta giorni �; 
ed � proprio da questa mancata indicazione che H ricorrente incidentale 
ritrae argomento per sostenere >l'inapplicabilit�, al caso concreto, della 
norma contenuta nel secondo comma dell'art. 17 del d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 635. 

Siffatto assunto, per�, non tiene conto che anche nel sistema della 
nuova legge il termine di trenta giomi, imposto aJ notaio che ha ricevuto 
l'atto soggetto a trascrizione, per la richiesta delle formalit� (termine 
derivante, com'� noto, dal disposto dell'art. 2671 cod. civ.), ha carattere 
essenziale: di modo che, nella previsione sanzionatoria, allorch� si parla 
di �omissione della richiesta�, si intende, evidentemente, parlare di 
omissione nel termine stabilito dalla legge. L'imposizione di tale termine, 
infatti, � stata dettata non solo e non tanto da esigenze di utilit� particolare, 
ma soprattutto da esigenze di natura pubblicistica, perch� il servizio 
ipotecario, al di sopra del beneficio che ne ritraggono coloro che vri 
ricorrono, � organizzato dallo Stato per esigenze di tutela della fede pubblica, 
attuata mediante un conveniente e sicuro ovdinamento economicogiuridico 
della propriet� immobiliare (cfr. in tale sens�,'" la sent. 24 aprile 
1929, in Foro it., 1929, I, 910). Ed � ovvio che se sussiste la preminenza 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

di un tale interesse di certezza dei rapporti giuridici immobiliari, la 

stessa deve essere attuata mediante l'imposizione di un termine per La 

trascrizione degli at1Ji di trasferimento dei diritti: di modo ohe il man


cato rispetto di quel termine equivale alla totale omissione della trascri


zione, essendo entrambi i due fatti parimen1Ji idonei a ledere l'interesse 

pubblico de1la certezz;a dei rapporti giunidici relativi alla propriet� im


mobiliare. 

Deve, pertanto, ritenersi che il legislatore, nel dettare le nuove norme 
(che, peraltro, ricalcano quasi integralmente le precedenti, le quali appaiono 
solo rielaborate in forma pi� concisa), ha considerato come superfluo 
il ripetere nella norma sanzionatoria, che l'omissione in parola doveva 
verificarsi �nel termine di trenta giorni�: iJ nuovo legislatore, cio�, 
ha ritenuto, semplicemente, che se la richies1Ja di trascrizione, o la richiesta 
di formalit� di trascrizione, non venivano effettuate nel termine 
stabilito dalla legge, gi� si verificava quella omissione a cui era ricollegabile 
l'applicazione della sanzione. 

Non sembra, peraltro, superfluo osservare che la pena pecuniaria 
comminata per l'omissione in parola va, nella previsione Jegisilativa, da 
un minimo ad un massimo: e poich� si tratta, proprio, delle �pene pecuniarie
� disciplinate dalla legge 7 gennaio 1929, n. 4, la concreta determinazione 
della loro misura deve tener conto (art. 4, secondo comma) 
della gravit� della violazione della legge e della personaJit� di chi la det1Ja 
violazione ha commesso ( � desunta dai precedenti penali e giudiziari e, 
in genere, dalla sua condotta�). Dal che � agevole desumere che nella 
fattispecie di omissione qui considerata, data l'ampia latitudine tra il 
minimo ed il massimo della pena prevista, il legislatore abbia (implicitamente) 
considerato che l'omissione potrebbe anche consistere in un 
semplice ritardo, pur di breve durata, e che, quindi, l'amministrazione 
attiva, in sede di irrogazione, pu� anche tener conto che l'im.erzia del 
contribuente non sia stata totale e che l'interesse pubblico di certezza 
dei rapporti giuridici immobiliari possa anche, in relazione al tempo, 
avere risentito solo di un danno scarsamente apprezzabile. 

Anche il ricorso incidentale deve, perci�, essere respinto. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 luglio 1980, n. 4746 -Pres. Sposato Est. 
Battimelli -P. M. Grossi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Cevaro) c. Quorti. 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza 
-Realizi:azione nel corso di procedura fallimentare -Costituisce 
reddito tassabile -Esistenza di passivo fallimentare -Irrilevanza. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 100 e 106). 
Costituisce reddito tassabile la plusvalenza realizzata in sede di liquidazione 
dell'attivo fallimentare di un'impresa,� non deve essere data la 


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388 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 

dimostrazione dell'intento di speculazione, che � presunto nell'attivit� dell'impresa, 
ed � irrilevante il fatto che le plusvalenze realizzate siano 
state destinate a soddisfare i creditori (1). 

(omissis) I tre motivi di riC0I1so, che affrontano, sotto diversi aspetti 
la stessa unica questione della tassabilit� di plusvalenze realizzate nel 
corso della procedura fallimentare,� vanno esaminati congiUIIltamente e 
vanno riconosciuti fondati. 

Ed invero va anzitutto premesso che la tassabilit� delle plusvalenze, 
in base alla normativa del t.u. n. 645 del 1958, non si fondava sempire 
sugli stessi presupposti, ma era articolata diversamente in funzione del 
soggetto che le realizzava e dell'attivit� in occasione della quale si verificava 
il realizzo, per cui altra cosa erano le plusvalenze realizzate in 
dipendenza di operazioni speculative, di cui al secondo comma dell'art. 81 
(componenti del reddito di qualsiasi persona: fisica), altre quelle, previste 
dalla stessa norma, ma da questa espressamente distinte dalle precedenti, 
realizzate nell'esercizio di una impresa commerciale (e tas�sabili 
a sensi dell'art. 100 del t.u.), altra, infine, quelle realizzate da soggetti 
tassabili in base a bilancio (sottoposte ad imposizione a sensi dell'art. 106). 

Solo per 1a tassabilit� delle prime, infatti, era richies�ta la sussistenza 
di una operazione speculativa, mentre per le altre, come esattamente 
pone in rilievo l'amministramone ricorrente nel primo motivo di 
ricorso, la tassabilit� discendeva dal solo �fotto obiettivo del reaJlizzo, 
come .conseguenza diretta del tipo di attivit� ese:ocitata, i:stitu2liona!l.mente, 
dal soggetto passivo di imposta, alfa cui attivit� erano collegati, 

(1) Sul problema della realizzazione della plusvalenza attraverso la liquidazione 
dell'attivo del fallimento non si rinvengono pronunce espresse. L'orientamento 
della dottrina � prevalentemente favorevole, se pure sono variamente 
risolte le non semplici questioni conseguenziali sui modi di liquidazione e 
riscossione dell'imposta (FALSITTA, La tassazione delle plusvalenze e sopravvenienze 
nelle imposte sui redditi, Padova, 1918, 264 ss., e, con riferimento alla normativa 
vigente, Puon, Procedure concorsuali ed imposte sui redditi, 1n Riv. dir. finanz., 
1977, I, 583). 
Il parallelismo con la liquidazione della societ� � indubbiamente corretto 
se pure non risolutivo, in quanto la plusvalenza pu� riguardare anche l'impresa 
individuale. 

. Importante � l'ultimo profilo esaminato: la produzione di un reddito da 

parte del fallimento � tassabile indipendentemente dalla destinazione del suo 

provento al soddisfacimento dei crediti insinuati. 

Dal reddito vanno naturalmente dedotte le spese e passivit� inerenti alla 

relativa produzione; ma queste sono cosa ben diversa dai debiti, che possono 

avere causa da rapporti di ogni genere, anteriori alla dichiarazione di fallimento. 

Con le norme della riforma (art. 73, d.P.R. 597 e art. 110, d.P.R. 600 del 1973) 
il problema si arricchisce di nuovi profili, sui quali � necessaria una attenta 
riflessione. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

con presunzione iuris et de iure, a sensi dei suddetti artt. 100 e 106, 
tutti i beni appartenenti al soggetto; s� ohe iJ plusvalore conseguente 
all'alienazione di uno qualsiasi di detti beni era, per ci� solo, considerato 
reddito imponibile. 

Esattamente, pertanto, col terzo motivo di ricorso si pone in evidenza 
l'errore in cui � incorsa la decisione impugnata, allorch� ha escluso 
la tassabilit� per carenza di intento speculativo, non ipotizzabii:le nel 
corso di una amministrazione fallimentare; ed invero, a parte le considerazioni 
relative alla possibilit� della contl�lnuazione, sda pure provvisoria, 
dell'attivit� imprenditoriale in corso di tf�a!Himento {girustamente 
prospettate in astratto dall'amministrazione nicorrente, ma dehle quali, 
nel caso di specie, manca il presupposto, non essendo stato provato che 
si sia fatto ricoiiso alla procedura prevista dall'art. 90 della legge fallimentare), 
la decisone impugnata non ha tenuito presente che nel caiso 
di specie si trattava del fallimento di una societ� di capitia!1i, per cui 
la tassabilit� della plusvalenza discendeva non dail disposto del secoodo 
comma dell'art. 81 t.u., ma specificamente da quello dell'art. 106, che 
non prevede affatto, ai fini della sottoposizione del plusvalore al tributo, 
l'esistenza di una operazione speculativa. 

Inoltre, la decisione impugnata non ha tenuto presente che, se in 
caso di fallimento di una societ� a responsabilit� Limitata (quale era 
appunto la �Societ� Immobhli Urbani�) si verifica lo scioglimento de1Ja 
societ� stessa, ci� non produce ipso iure La fine del so~etto, che avviene 
solo dopo la cancellazione del registro dell'impresa, previa liquidazione; 
e non ha rilievo il fatto che in altre ipotesi di scioglimento, conseguenti 
ad altre cause, la liquidazione sia operata da organi nominati c1ahla societ� 
(i liquidatori), mentre in caso di fallimento 1a liquidazione sia conseguente 
all'attivit� degli organi fallimentari: nell'Wl caso come nell'altro, 
infatti, La natura delle operazioni e il fine cui esse tendono restano 
identici, ossia la realizzazione dell'attivo e il soddisfacimento dei creditori 
sociali, per cui, se l'attivo, in ipotesi, � tassabile in corso di una 
liquidazione ordinaria, ugualmente deve esserlo nel corso di una liquidazione 
fallimentare, posto che la condizione giuridica del soggetto e la 
conseguente cessazione di vere e proprie attivit� imprenditoriali (salvi 
i casi di esercizio provvisorio che possono verificarsi in entrambe le 
ipotesi) sono uguali in entrambi i oasi; per cui, come esattamente pone 
in rilievo l'amministrazione ricorrente nel primo motivo di ricorso, se 
� prevista in astratto, e senza alcuna distinzione, dall'art. 125 del t.u. 
del 1958, la tassazione della societ� in liquidazione ai fui dehla imposta 
di R. M., tale tassazione deve intendersi effettuabile in relazione a qualsiasi 
tipo di liquidazione, anche a quella fallimentare (il che d'altronde, 
se � desumibile dal coordinamento delle varie norrm.e del t.u. del 1958 fin 
qui esaminate, � stato espressamente riconosciuto, con la recente riforma 


390 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tributaria, dagli artt. 73 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, e 10 del 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598). 
Ancora, va riconosciuta l'esattezza del rilievo sollevato dalla ricorrente 
circa l'erroneit� dell'affermazione, contenuta nella sentenza impu� 
gnata, della non tassabilit� del realizzo in quanto trasformazione dei 
beni patrimoniali in valuta, con assorbimento dell'intero valore patri.moniale 
nella soddisfazione parziale dei credito11i; ed invero, a parte 
che ci� si verifica anche nel caso di liquidazione per cause diverse 
dal fallimento (liquidazione che, come gi� detto, non � di ostacolo alla 
tassazione a sensi dell'art. 125 del t.u.), va osservato che in ogni caso 
la plusvalenza per vendita di immobili consiste in una trasformazione 
di beni patrimondali in valuta e che � <ininfluente, aii. fini della tassazione, 
la destinazione della valuta cos� 11ealizzata (ved. dn tahl sensi, per ultima, 
la sentenza di questa Corte n. 4300 del 19 luglio 1979). Senza dire infine, 
che il fallimento non fa perdere al fallito la propriet� dei beni e che 
il risultato finale della liquidazione non � indifferente per !il fahlito il 
quale, anche dopo la chiusura del fallimento, continua a rispondere della 
parte di debiti non soddisfatta; per cui qualsdasi vantaggio economico 
realizzato nel corso della liquidazione si 11ifle1lte, indirettamente, sulla 
situazione patrimonda1e del fallito, che, a fallimento chiuso, realizza un 
vantaggio dail fatto che sia stata soddisfatta una parte maggiore dei suod 
creditori, il che, ol1Jretutto, assumeva pa:rticola11e rilevanza nel oaso di 
specie, in cui, a seguito del concordato, 1a societ� em tornata in bonis 
e aveva ripreso la sua attivit� (come appare dal fatto che legittimato 
al giudizio � di nuovo il suo amministratore), per cui, in definitiva, il 
realizzo in questione � risU!ltato essere un effettivo realizzo del soggetto 
di imposta, se pur occasionalmente verifioatosii nel corso della liquidazione 
fallimentare. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 luglio 1980, n. 4748 -Pres. Mirabelli 
-Est. Virgilio -P. M. Minetti (conf) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Angelini Rota) c. Cassa di Risparmio di Pesaro (avv 
Micheli). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Condono -Ultima pronunzia di 
merito -� quella della commissione centrale in materia di estimazione 
complessa. 
(d.!. 5 novembre 1973, n. 660, art. 2). 

Agli effetti dell'art. 2, lett. e) del .d.l. 5 novembre 1973, n. 660, per 
ultima pronunzia di merito deve intendersi quella della commissione centrale 
quando sia pronunziata in materia di estimazione complessa (1). 

(1) Una riconferma della importante sentenza 21 febbraio 1980, n. 1241, in 
questa Rassegna, 1981, I, 104. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 391 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 luglio 1980, n. 4784 -Pres. Granata Est. 
Sensale -P. M. Grossi (conf.) -Moli� (avv. Uckmar) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Camerini). 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza 
-Cessione dell'intero pacchetto azionario -Costituzione di organizzazione 
di persone senza personalit� giuridica -Realizzo di avviamento 
per cession~ di azienda -Esclusione. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 8, 81, 100 e 106). 
I soci di una societ� di capitali, se pure occasionalmente riuniti per 
la vendita concentrata dell'intero pacchetto azionario ad un solo soggetto, 
non sono una impresa commerciale che possa essere titolare di 
un avviamento; parallelamente la cessione dell'intero pacchetto azionario 
non d� luogo ad una cessione di azienda non operando affatto un trasferimento 
dei beni sociali; di conseguenza la cessione del pacchetto azionario 
non pu� dar luogo a plusvalenza per realizzo dell'avviamento (1). 

(omissis) L'esame del quinto motivo ha priorit� rtspetto a quello degli 
altri motivi, poich� la plusvalenza, che l'ufficio -nell'atto di accertamento 
-e la commissione centrale -nella decisione impugnata -hanno 
ritenuta realizzata, sarebbe consistita nel valore di avviamento che g1i 
azionisti della societ� � Elah �, con la cessione delle rispettive azioni ad 

(1) Il grosso problema affrontato nella decisione � risolto con argomentazioni 
piuttosto formali. � vero che nella societ� di capitali il trasferimento delle 
azioni � indifferente per la continuit� aziendale (Cass., 28 luglio 1972, n. 2577, 
citata nel testo, che � per� riferita all'imposta di registro, in questa Rassegna, 
1972, I, 1172), ma la concentrazione del pacchetto azionario su un unico azionista, 
che risponde illimitatamente, non pu� essere un fatto del tutto indifferente, ai 
fini tributari.. :Si discute se 1'accol:'do fra i soai per I'eaJ.izmre l'uil!ificazione del 
pacchetto dia luogo non tanto ad una atipica (�altra�) organizzazione di persone, 
ma ad una vera e propria societ� di persone, sia pure unius negotii, che sia 
in quanto tale un imprenditore rispetto al quale la plusvalenza � sempre tassabile 
essendo presunto lo scopo di speculazione (art. 100 t.u. del 1958). Su 
questa premessa la plusvalenza pu� essere costituita dal maggior valore che le 
azioni riunite hanno rispetto al valore che esse avevano singolarmente negoziate 
(ed ove ci� avvenga sarebbe anche possibile individuare nell'accordo che ha 
portato a tale risultato uno scopo di speculazione, ove si escludesse la presunzione 
di un tale scopo). 

U]teriore problema � se la cessione del pacchetto azionario attuaJta attraverso 
l'accordo dei soci, costituiti in impresa, crei una plusvalenza in relazione all'avviamento. 
Al riguardo non varrebbe il rilievo della sentenza in esame che una 
organizzazione atipica di persone non � un'impresa; pi� seria � certamente 
l'obiezione che i soci trasferiscono le azioni e non l'azienda; ma forse � pi� rilevante 
la considerazione che nel prezzo delle azioni raggruppate e supervalutate 
� gi� compreso l'avviamento. 



392 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

un'unica societ�, avrebbero conseguito mediante una sostanzdale alienazione 
dell'rintero patrimonio sociale. In conseguenzia, il problema giuridico ohe 
deve, innanzi tutto, risolvers,i, sul presupposto della variabilit� della plusvalenza 
tassabile in relazione al soggetto che, secondo fa propria natura, 
pu� rea:lizza:rfa, � quello della sua riferibilit�, cos� come illldividuata nello 
atto di accertamento e nella decisione impugnata, al soggetto curi � stata 
attribuita; e successivamente queHo delLa configurabi.Iit�, ne:Lla cessione 
delle azioni sociali, di un trasferimento dell'avviament�. 

L'art. 8 del t.u. n. 645/58, in tema di imposte dirette, individua in via 
generale i soggetti passivi del rapporto tributario nelle persone fisiohe 
e giuridiche, nelle societ� e associazioni, nonch� nelle altre organdzzaziOIIll�. 
di persone e di beni, prive di personalit� giuridica e non appartenenti a 
soggetti tassabi1i in base a bilancio, nei confronti delle quali il presupposto 
d'imposta isi verifica in modo Ull.l:itario ed autonomo. Con riferimento 
all'imposta dei reddditi di r.m., l'art. 81 indica, fra l'a:ltro, come 
presupposto d'imposta le plusvalenze e le sopravvenienze indioaite negili 
art. 100 (plusvalenze, compreso l'avviamento, derivanti dal realizzo cli 
beni relativi all'impresa) e 106 (plusvalenze di tutti i beni appartenenti 
ai soggetti tassabili in base a bilancio), nonch� le plusvalenze da chiunque 
realizzate in dipendenza cli operazioni speculative. 

Tale sistema normativo prevede diverse categorie di soggetti., ill1 relazione 
a1le qua1i � configurabile la realizziazione di plusvalenze e cio� fo 
imprese commerciali (art. 100), i soggetti tassabili in base a bilancio (airt. 
106) e qualunque altro soggetto (art. 81 cpv.); e per ciascuna chl tali categorie 
indica il modo di determinazione delle plusvalenze: differenza tra 
il prezzo di realizzo dei beni e :il loro cosito non ammortiz:zJato o, se diverso, 
l'ultimo valore riconosciuto ai fini della determinazione del reddito (articolo 
100); plusvalenze di tutti i beni riferite :all'eseroizio ill1 cui sono state 
realrizzate, distribuite o iscritte in bilancio e sopravvenienze attive, comunque 
conseguite nell'esercizio (art. 106); plusvia1enze dipendenti da 
operazioni speculative, da premi o da vincite (avt. 81 opv.). In partioo[are, 
da un lato, la dipendenza in concreto della plusvalenza da operazioni speculative 
non � menzionata in relazione alle rimprese commeroia1i, esse01do 
il fine specula1Jivo il connotato naturale di queste; dall'altro, l'avviamento 
sia che s'intenda come bene immateriale compreso nell'azienda, sia ohe 
si riferisca come l'attitudine di questa a produrre utili, non � configurabi:
le, anche agLi effetti tributari, se non in relazione all'impresa commerciale, 
neWambito deHa quale riceve :tutela ,giuridica ed � suscettibiiJe 
di valutazione economica. 

In conseguenza, l'accertamento dell'avviiarrnento, come plusvalenza 
tassabile, non pu� avvenire che con riferimento ad una impresa commercia~
e e non pu� essere collegato agli ,alitmi 1soggetti genericamente indicati 
nel capoverso dell'art. 81 (e, fra essi, alle �altre organizzazioni di 


. :-: . :X :x.� .�;.: ---=-�-�:-�--....-�-x: 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

persone� menzionate nell'arit. 8 fra i soggetti passivi del rapporto tributario). 
In particolare la realiz21a:?Jione del valore di avviamento non � 
configurabile nell'ipotesi di alienazione de1le azioni da parite dei soci 
di una societ� commerciale. 

Infatti, la personalit� giuridica della societ� di oapirtali esclude nello 
unico acquirente di tutte le azioni sociali la vesrte di acquirente, per ci� 
stesso, dei beni compresi nel patrimonio della .societ� o de�ll'dntero pa� 
trimonio sociale, che rimane di propriet� della societ� (v. in arg., le sentenze 
n. 3625/69 e n. 2577/72). N� tale principio pu�, nel caso concrerto, essere 
scalfito dalla considerazione del risultato economdco voluto dalle 
parti. L'interpretazione d'un atto �secondo . la sua irntrinseca natura e 
gli effetti suoi propri non vuol dire che si debba prescindere dalla 
volont� delle parti, ma soltanto che bisogna prescindere dalla considerazione 
del negozio secondo le sue forme apparenti se ed in 
quanto queste siano in contrasto con il risultato economico conoretamente 
voluto dalle parti; ed in tale riceroa, l'adeguamento al criterio 
obiettivo della cosiddetta potenzialit� ed efficacia de1l'atto non togilie 
che il negozio debba essere interpretato nel senso pi� coerente con 
il risultato e la funzione economica come illlnanzi iindiviiduata. 

Alla stregua di tali princ�pi, questa Corte ha ritenuto che ila cessione 
ad un singolo socio di tutte le quote di una societ� a r.l. non 
significa cessione di tutti i beni costituenti il patrimonio sociale, ohe 
restano di propriet� di un soggetto diverso, quale � l'ente societario (sentenza 
n. 3672/69). Ed ha ulteriormente precisato, con riguarido ad una 
societ� in nome collettivo (v. sentenza n. 1537/79), che, ai fini de1la 
imposta di r.m., la cessione, da parte di un socio, della quota sociale 
ad altro soggetto non � tassabile sotto il profilo de1la plusvalenza n� 
ai sensi dell'art. 106 n� ai sensi dell'art. 100 del t.u. n. 645/58 (norme 
richiamate dal secondo comma dell'art. 81 del medesimo t.u.), poioh� 
la prima disciplina la tassazione delle plusvalenze di beni aippartenenti 
a soggetti tassabili in base al bHancio (quale non era nella 
ipotesi considerata una societ� in nome collettivo), mentre la seconda 
norma consente la tassazione dell'avviamento, quale plusvalenza derivante 
dal realizzo del valore dei beni ['elativi all'impresa, solo nel caso 
in cui la societ� venga a cessare col trnsferimento dell'intera azienda 
ad altra societ� o con la concentrazione delle quote .sociali nella persona 
di un unico socio (ipotesi, quest'ultima, configurabile per 11a 
societ� in nome collettivo in virt� del richiamo, da parte dell'art. 2308 
cod. civ., dell'art. 2272, a norma del quale il venir meno della pluralit� 
dei soci, non ricostituita nei sei mesi successivi, determina lo scioglimento 
della societ� di persone; ma non anche per le societ� per azioni, 
per le quali la mancanza di pluralit� di soci non � oausa di scioglimento, 
ma, lasciando in vita la societ�, determina, ai sensi dell'art. 2362, 
la responsabilit� illimitata dell'unico azionista per 1e obbligazioni so



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ciali sorte nel periodo in cui le azioni risultano essere appartenute 
ad una sola persona). In ogni altra ipotesi, quando muta soltanto la 
posizione patrimoniale del singolo socio, senza che si verifichi alcun 
realizzo di beni sociali o di avviamento (che, come tale, non � rileribile 
che alla societ�), il plusvalore conseguente -al trasferimento delle 
quote sociali pu� essere assoggettato a tassazione nei confronti del 
singolo socio cedente, a norma del capoverso dell'art. 81 (e non del-
l'art. 100), solo se in concreto resti aocertato che esso � conseguenza 
di un'operazione speculativa del socio stesso. 

La censura formulata con il quinto motivo del ricorso �, quindi, 
fondata per avere la commissione tributaria centrale erroneamente 
ravvisato nella cessione, da parte degli azionisti, dell'intero pacchetto 
azionario l'alienazione del patrimonio sodale e la realizzazione, da parte 
degli stessi azionisti, considerati come organiz:ziazione di perisone, di 
una plusvalenza costituita dal valore di avviamento, che � configurabile, 
ai sensi dell'art. 100 del t.u. n. 645/58, limitatamente alle imprese commerciali 
e non anche in relazione agli aLtri soggetti, fra i quali le 
organizzazioni di persone. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 22 luglio 1980, n. 4788 -Pres. Mirabelli 
-Est. Virgilio -P. M. Minetti (conf.) -Soc. Cizo (avv. Rosati) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Camerini). 
Tributi erariali indiretti -Imposte sulla circolazione degli autoveicoli -Imposta 
straordinaria istituita 'con l'art. 4 del d.l. 6 luglio 1974, n. 251 Furgone 
finestrato -Vi � soggetto -Art. 42 d.l. 18 luglio 1976, n. 648 
Valore interpretativo. 
(d.!. 6 luglio 1974, n. 251, art. 4; d.!. 18 luglio 1976, n. 648, art. 42). 

Il � furgone finestrato � non si sottrae all'imposta straordinaria 
istituita con l'art. 4 del d.l. 6 luglio 1974, n. 251, che esenta i veicoli 
carrozzati a furgone o a cassone; l'art. 42 del d.l. 18 luglio 1976, n. 648, 
che si ricollega strettamente alla precedente normativa, ha valore interpretativo 
per la parte che dichiara soggetto all'imposta il furgone 
finestrato (1). 

(omissis) Deduce la ricorrente che l'art. 4 del d.l. 6 luglio 1974, 

n. 251 (convertito nella legge 14 agosto 1974, n. 336) prevede esplicitamente 
l'esenzione dal tributo per i veicoli adibiti all'uso promiscuo 
carrozzati a fu11gone o a cassone, per cui la Corte di appello non 
avrebbe potuto negare il beneficio per l'autoveicolo in contestazione 
(1) Una soluzione logica ed ineccepibile alla tormentata questione. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA: 395 

(furgone finestrato), non es1sendo prevista, nell'ambito della categoria 
agevolata (furgoni), alcuna distinzione. 

La censura non � fondata, anche se la sentenza impugnata, conforme 
a diritto nel dispositivo, deve essere in parte corretta nella 
motivazione, ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ. 

Va premesso che la fonte normativa alla quale deve farni riferimento 
� costituita dal d.l. 6 luglio 1974, n. 251 (convertito, con modidicazioni, 
ne11a legge 14 agosto 1974, n. 346), il cui art. 4 esent� daitl'timposta straordinaria 
una tantum i veicoli carrozzati a � furgone � o a � cassone �. 

Con il successivo d.l. 18 settembre 1976, n. 648 (convertito, con modificazioni, 
~ella legge 30 ottobre 1976, n. 730), l'imposta straordinaria prevista nel 
precedente provvedimento legislativo, fu dichiarata nuovamente applicabile 
�per l'anno 1976 �. 

I due contesti legislativi, pur essendo preordinati 1aJfo disciplina 
di materie diverse (il d.l. n. 251 del 1974 reca modificazioni al regime 
fiscale di alcuni prodotti petroliferi. e prevede una imposta straordinaria 
una tantum sui veicoli a motore, autoscafi e aeromobili, mentre 
il d.l. n. 648 del 1976 stabilisce interventi per ile zone del Friuli-Venezia 
Giulia colpite dagli eventi sismici dell'anno 1976), hanno tuttavia in 
comune quella parte che, nell'un caso e nell'.altro, istituisce un'imposta 
straordinaria sui veicoli per sopperire ad esigenze contingenti. 

In tale parte il dl. n. 648 del 1976 (art. 42) ha disdplinato l'imposta, 
sia in relazione alle ipotesi di tassabilit� che aHe modalit� di riscossione, 
richiamando quasi integralmente (ad eccemone idi qualche punto 
particolare che ai fini della questione in esame non interessa) le norme 
contenute negli artt. 4 e 5 del d.l. n. 251 del 1974, sicoh� ricorre tipicamente 
il fenomeno della produzione norm:mtiva per relationem, attraverso 
il quale, per evidenti ragioni di tecnica legislativa, in un testo 
di legge successivo non vengono riprodotte disposizioni gi� contenute 
in altro testo, ma ad esse si fa 1semplicemente riferimento, con efficacia 
recettizia. 

Mediante tale fenomeno fo disposizioni 11ichiamate vengono a far 

corpo con il contesto normativo in cui � contenuto il rinvio, per cui la 

disciplina legislativa diventa unica nelle due materie separatamente 

considerate, salvo eventuali differenze espressamente contemplate. 

Nel quadro di queste premesse, sorge il problema de1la interpreta


zione dell'art. 4 del d.l. 6 luglio 1974, n. 251 (nella parte in oui dichiara 

esenti dall'imposta una tantum i veicoli carrozzati �a furgone� o a 

�cassone�), in riferimento a1l'art. 42 del d.l. 18 luglio 1976, n. 648, 

il quale -dopo aver integralmente richiamato, per la individua


zione dei veicoli soggetti al tributo, quelli indicati negli artt. 4 e 5 

del precedente d.l. del 1974 -aggiunge testualmente: � L'imposta � 

dovuta anche per i veicoli adibiti al trasporto promiscuo di persone 

e di cose con carrozzeria "a furgone finestrato"�. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

396 

La questione consiste nello stabilire se quest'ultima disposizione 
abbia efficacia innovativa o semplicemente interpretativa rispetto alla 
esenzione prevista dall'art. 4 del d.l. del 1974, che riiguardava, come 
si � detto, i veicoli adibiti ad uso prornisouo carrozzati a furgone o a 
cassone. 

Va al riguardo rilevato che la materia dell'imposta una tantum 
risulta regolata, nei due provvedimenti JegisLativi, sul piano di una 
sostanziale coincidenza di criteri impositivi e di riscossione. 

Gi� questo elemento induce a rritenere ohe l'ambito delle esenzioni 
dal tributo, come delineato ne1 provvedimento deil 1974, sia rimasto immutato, 
non essendo ravvisabile alcuna ragione logica che possa giustificare, 
nei due casi, una diversit� di disoiplina. 

A tale elemento va aggiunto, con riguavdo alla struttura delle fattispecie 
legali (la quale rappresenta l'indice fondamentale per la indi
�viduazione del carattere interpretativo di una norma rispetto ,ad un'altra: 
v. Cass., 29 luglio 1974, n. 2289) che ['espressione letterale di cui 
all'ultima parte dell'art. 42 del d.l. del 1976 -�L'imposta � dovuta 
anche per i veicoli adibiti 1al trasporto promisouo di persone e di cose 
con carrozzeria " a furgone finestrato " � -acquista un senso ed un 
significato preciso solo mediante il collegamento, in funzione integrativa, 
con la precedente disposizione di esenzione CO!Iltenuta nell'art. 4 
del d.l. del 1974. 

La riportata ultima parte dell'art. 42 non pu� quindi essere consi


derata come norma innovativa, cio� introdotta soltanto ai fini del prov


vedimento del 1976, sia perch� mancherebbe -come si � gi� detto 


una logica spiegazione del diverso trattamento giuridico, sia perch� 

nella nozione dei veicoli carrozzati � a furgone � o a � cassone � gi� 

non potevano farsi rientrare, agli effetti deLla esenzione prevista da1l 

d.l. del 1974, anche gli autoveicoli �a furgone finestrato�. 
La ratio della norma di esenzione denota chiaramente che il legi


slatore ha inteso riferirsi, come criterio di individuazione dei veicoli 

esenti, non alle caratteristiche della carrozzeria, in s� stes,se astratta


mente considerate, ma all'elemento estrinseco del tipo di carrozzeria 

come indice rivelatore deMa destinazione, esclusiva o p.revaJ.ente, dei 

veicoli a determinati usi; ed i veicoli in questione sono di regola adibiti 

al trasporto delle persone. 

Inoltre, essi -pur potendo tin [inea generale essere classificati nel 

�genus dei veicoli carrozzati a furgone -se ne differenziano, tuttavia, 
come species, perch� la struttura �finestrata� della ca11r0zzeria denuncia 
una idoneit� d'impiego ohe appare incompatibile con l'intento 
del legislatore, volto ad agevolare soltanto gli autoveicoli per i quali 
si dovesse presumere, in relazione a determinate caratteristiche (� significativa 
1'equiparazione tra quelli carrozzati a furgone o a cassone), 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 397 

un normale impiego nei processi produttivi economici, ossia nel settore 
dei trasporti di cose. 

La indicata differenza nella oarrozzeria era perci� elemento sufficiente, 
gi� secondo la disposizione dell'art. 4 del d.L del 1974, per 
escludere dall'esenzione i furgoni finestrati. 

Il legislatore, peraltro, tenuto conto. delle incertezze gi� insorte 
sulla portata precisa della norma di esenzione, ha tratto occasione 
dalla emanazione del provvedimento del 1976 per specificare come dovesse 
intendersi la precedente disposizione. 

La relatio esistente tra la parte della norma richiamata (art. 4) 
e l'aggiunta, di carattere chiaramente esplicativo, inserita nell'art. 42 
del d.l. del 1976 in ordine ai �furgoni finestrati�, rende palese che suJ 
punto ora in discussione � intervenuta una disposizione di natura interoretativa. 
(omissis} 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 luglio 1980, n. 4808 -Pres. Mirabelli Est. 
Cochetti -P. M. Dettori (conf.) -Nicoletti (avv. Manfredonia) c. 
Ministero delle Finanze (avv. Stato Rossi). 

Tributi erariali diretti -Imposta sul redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza 
-Assegnazione di beni ai soci di societ� di persone -Si realizza. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 81 e 100). 
L'assegnazione in natura ai soci di societ� di persone di beni plusvalenti, 
sia quando venga effettuata durante la vita della societ� in conseguenza 
di recesso morte o esclusione di un socio, sia quando abbia causa 
da vicende estintive o modificative, costituisce una operazione di realizzo 
di plusvalenza (1). 

{omissis) Con i due motivii. del ricorso, che in quanto connessi nelle 
relative censure possono essere esaminati congiuntamente, i �ricorrenti 
denunziando violazione degli artt. 8, 81 e 100 del t,u. 29 .gennaio 1958, 

n. 645, nop.ch� insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi, 
(1) Decisione esatta che pone diverse questioni. Sul punto, maggiormente 
discusso, che il trasferimento di un bene della societ� di persone ad un socio 
costituisca un trasferimento che realizza la plusvalenza, � facile osservare che 
l'assegnazione del bene al socio non soltanto interviene fra soggetti distinti, se 
pure uno di essi � dotato soltanto di autonomia patrimoniale, ma d� luogo alla 
uscita del bene dal patrimonio dell'impresa (societ�) ed all'acquisizione da parte 
di sogg.etto che non �, e pu� non ess�ere, impa:-endiitoJ:1e. La p[u:sva�enza, che sia 
oggettiV1amente esistente, pu� essern tassata soltanto in questo momenrt:o ed in 
questo momento � .realtlzzata in modo certo �e �I1I1evet.sibilie (v. 1anche Cass., .1� luglio 
1980, n. 4143, di cui si omette fa pubblicazioll!e) . 
Il partko1are rapporto che esiste tra la societ� di persone ed i suoi soci relativamente 
alla propriet� dei beni potr� essere rilevante ai fini dell'imposta di regi




398 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sostengono che il rogito Giuliani, con il quale fu proceduto alla divisione 
dei beni della societ� di fatto, non aveva natura di atto traslativo idoneo 
a far ritenere realizzata una plusvalenza, perch� con esso i soci avevano 

conseguito un bene che ad essi gi� apparteneva quali comproprietari 
del patrimonio sociale. La decisione denunoiata, nel pervenire ad opposta 
conolusione, avrebbe trascurato la considerazione dell'efficacia dichiarativa 
del negozio di divisione e dell'assenza di personalit� giuridica, della societ� 
di fatto, erroneamente applicando aJ caso principi affermatisi con esclusivo 
riferimento alle societ� di capitali. 

La censura non � fondata. 

Va premesso che la Tescione, come � precisato nelle decisioni in atti 
delle commissioni tributarie, intervenne nell'atto Giuliani non quale 
socio della disciolta societ� di fatto, -la qualit� di socio di una societ� 
personale non si acquista, infatti, jure hereditatis -ma quale erede del 
defunto genitore e che l'�rede del socio di una societ� di persone ha un 
diritto di credito (ex art. 2289 cod. civ.) alla quota di liquidazione, con 
la conseguenza che ove le parti convengano, come hanno fotto nella 
specie, di soddisfare in natura tale credito, a tale negozio va riconosciuta 
l'efficacia costitutiva di una datio in solutum e non l'efficacia dichiarativa 
di una divisione (cfr. Cass., sent. n. 2684/63). 

stro; infatti l'abrogata legge di registro, pur considerando vero e proprio trasferimento 
il conferimento (art. 81, tariffa A}, considerava divisione l'assegnazione 
in projporzione de.He quote dei beni, acquistati dailLa societ� o Fassegnazlione a:I 
conferente dello stesso bene gi� conferito (art. 88); oggi questa distinzione non 
esiste pi� e l'assegnazione di beni sociali ai soci � considerata traslativa come il 
conferimento e non si fa pi� distinzione tra societ� di persone e societ� di capi


tali (art. 4, lett. e), tariffa A, parte prima, d.P.R. n. 634/1972). Ma ai fini della plusvalenza 
quel che conta non � tanto il trasferimento da uno ad altro soggetto, ma 
piuttosto la eliminazione del bene dall'ambito dell'impresa. Oggi per l'espressa 
norma dell'art. 54, settimo comma (nel testo modificato) la plusvalenza si realizza 
quando il bene (relativo all'impresa) viene destinato al consumo personale o 
familiare dell'imprenditore o ad altre finalit� estranee all'esercizio dell'impresa; 
si ha quindi plusvalenza sol perch� il bene non � pi� relativo all'impresa anche 
se appartiene ancora allo stesso soggetto. 

Questa norma specifica un principio che era contenuto gi� nel precedente 
ordinamento. Nessun dubbio quindi che il passaggio del bene dalla societ� al 
socio equivalga ad una cessione. 

Per questa ragione iil menzionato art. 54, ottavo comma, considera rnailizzata 1a 
plusvalenza, come si ricorda nel testo, con la distribuzione ai soci o con l'assegnazione 
dei beni nonostante che, a differenza di quanto si verificava per l'imposta 
di ricchezza mobile, soggetto passivo dell'IRPEF sia il socio e non la societ�; 
viene cio� considerata plusvalenza l'assegnazione (cessione) del bene allo stesso 
soggetto che era gi� titolare (pro quota) del reddito della societ� cedente). Tuttavia 
viene esattamente colpita in questo momento la plusvalenza, che diversamente 
si sottrarrebbe per sempre all'imposizione, perch� l'assegnazione fa uscire 
il bene dalle impresa, poco importando che in questo caso titolare del reddito 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 399 

Quanto alla ulteriore circostanza, enunciata nella censura, che i ricorrenti 
assumono trascurata della commissione tributaria, e cio� che la 
societ� di fatto sia priva di personalit� giuridica, ci� non esclude che 
essa sia un autonomo centro di imputazione di rapporti g1uridici (dr. 
art. 2268, 2271 cod. civ.) e, ci� che pi� rileva sotto il profilo fiscale, che 
essa abbia un'autonoma soggettivit� tributaria (v. art. 9 t.u. n. 645 
del 1958), talch� la compropriet� del patrimonio sociale non impedisce come 
questa Corte ha gi� avuto occasione di affermare (cfr. Cass., sent. 

n. 900/78) -che possa realiz2larsi fra i soci, aMo scioglimento della 
societ�, un'ipotesi traslativa pro-quota dei beni sociali, con conseguente 
assoggettabilit� all'imposta mobiliare delle plusvalenze. 
In tal senso dispone esplicitamente l'art. 54 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 597, concernente la disciplina della nuova imposta sul 
reddito delle persone fisiche, il quale articolo considera come componenti 
del reddito imponibile �le plusvalenze distribuite ai soci prima 
dell'alienazione o mediante assegnazione dei beni�: formula, questa, che 
per la sua ampieZ:lla impone di riferire la previsione normativa, oltre 
che alle ripartizioni in danaro, a tutte le ipotesi di assegnazioni in natura 
di beni plusvalenti, quale che sia, cio�, la causa della stessa. 

Ma ad identica conolusione deve pervenirsi anche in base alle disposizioni 
dell'abrogato t.u. n. 645 del 1958, con riguardo alla soppressa 

dell'impresa sia lo stesso socio, che per� come tale � un partecipante all'impresa 
mentre come assegnatario del bene � estraneo all'impresa. 

Altro aspetto del problema � quello della inesistenza di un corrispettivo 
dell'assegnazione e conseguenziariamente quello della determinazione dei valori di 
riferimento. Sul punto la giurisprudenza � stata molto oscillante anche recentemente. 
Pi� volte era stato affermato che quel che conta ai fini della plusvalenza 
� la sua � cristallizzazione � ossia la certezza dell'incremento patrimoniale, abbia 

-o meno dato luogo ad un'utilit� espressa in moneta (16 febbraio 1978, n. 725, in 

questa Rassegna, 1978, I, 384; 26 luglio 1978, n. 3749 e 25 settembre 1978, n. 4282, 

ivi, 1979, I, 58). 

Senonch�, dopo risoluzioni contrastanti incentratesi sul problema della permuta, 
le sez. un. con J,a sentenza 9 ottobre .1979, n. 5220 (ivi 1980, I, 184) affermarono 
che essenziale per la realizzazione della plusvalenza � un negozio del tipo della 
compravendita che realizza un introito in moneta. Tuttavia successivamente (7 gennaio 
1980, n. 75, ivi, 618) la sezione semplice, pure escludendo che la plusvalenza 
si realizzi attraverso la donazione, � tornata ad ammettere che il � prezzo � cui fa 
riferimento l'art. 100 del t.u. delle imposte dirette non va inteso necessariamente 
come una somma di danaro. Oggi, in modo sicuramente esatto, si afferma ancora 
che il difetto di corrispettivit� non esclude che un valore sia realizzato. 

Per la determinazione di tale valore dovr� farsi ricorso necessariamente al 

valore normale, come espressamente si prevede nella menzionata norma dell'arti


colo 54 del d.P.R. n. 597/73. La indeterminatezza del valore non pu� essere una 

ragione per escludere la tassazione della plusvalenza. Peraltro la pi� recente giu


risprudenza ritiene con ~arghezza ammissibile il ricorso a11a rilevazione del v.aillore 

venale a vari effetti rilevanti sulla plusvalenza (21 marzo 1980, n. 1904, in questa 

Rassegna, 1980, I, 95'8; 27 m~rzo 11980, m questo fascicolo, pag. 357). 

C. BAFILE 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

imposta di ricchezza mobile. � stato, infatti, precisato da1la g�unsprudenza 
di questa Corte che il concetto di �realizzo�, considerato dall'art. 
100 del citato t.u., quale presupposto di tassabilit� della plusvalenza, 
non � legato necessariamente a]il'esistenza di un contratto di 
scambio, ma postula la certezza e la definitivit� del plusvalore in dipendenza 
di fatti o atti giuridici che ne evidenziano la definitiva acquisizione 
nel patrimonio del beneficiario, s� da potersi tale maggior valore 
considerare una entit� staccata ed autonoma rispetto al cespite produttore, 
riguardo al quale il maggior valore non era fino allora evidenziato, 
agli effetti fiscali, ed aveva solo natura potenziale. Ed � stato 
chiarito, in particdlare, (v. sent. n. 1683/74) che nella norma ora ci.tata 
il termine �prezzo � � sinonimo di �valore �, come si desume anche, 
dall'origine della disposizione che, com'� noto, deriva dall'art. 20 deHa 
legge 5 gennaio 1956, n. 5, il quale faceva riferimento ai � maggiori 
valori�. Pu� aggiungersi che secondo l'art. 81 dello. stesso testo unico 
(ed anche secondo l'opinione generalmente accolta precedentemente: 

v. Cass., sent. n. 2312/66) il presupposto dell'imposta di R.M. poteva 
consistere anche in un reddito in natura. 
In questa prospettiva non vi � dubbio che l'assegnazione in natura 
di beni plusvalenti, sia quando venga effettuata durante la vita normale 
della societ� in dipendenza di recesso, morte o esclusione del socio (la 
liquidazione deHa quota, come si � dianzi rilevato, pu� convenzionalmente 
avvenire in natura: Cass., sent. n. 898/73), sia quando sia effettuata 
in relazione a vicende estintive o modificative della societ� stessa, 
costituisca un'operazione di �realizzo�, perch� sottraendo i beni alfa 
loro destinazione imprenditoriale, con la definitiva acquisizione al patrJmonio 
dei beneficiari, consente di evidenziare il �plusvalore � che 
il bene ha acquisito in capo alla societ� durante il periodo in cm e 
stato destinato all'attivit� economica, e rende, perci�, ce~ta e definitiva� 
la � plusva!lenza �. 

Tenuto conto di ci� -e per riprendere l'arigomento suil. quale la 
difesa dei ricorrenti ha maggiormente insistito -risuil.ta irrHevante accertare 
la natura giuridica, sotto il pro.filo dvilisti:co, dell'atto con il quale, 
estintosi i1 rapporto sociale per mancata ricostituzione della pluralit� dei 
soci, il socio supersvite e l'erede del socio deceduto procedono alla ripartizione 
dei beni �gi� posseduti in societ� di fatto. Quetlo che conta, agli 
effetti fiscali, � che i beni assegnati costituiscono una diversa envit� economica, 
definitivamente acquisita al patrimonio degli aventi diritto, capace 

d:i racchiudere nel suo .effetvivo valore iJ maggior valore aocumuilatosi in 
capo ai beni medesimi durante societate, integrando, perci�, i presupposti 
della plusvalenza tassabile. 
� appena il caso di aggiungere che la tesi contraria porterebbe 
ad un � salto di imposta � -il che � inammissibHe in campo tributario 
-perch� le plusvalenze realizzate dalla societ� che si estingue li 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 401 

(mai tassate perch� mai evidenziate) non potrebbero essere tassate 
neppure nei confronti dei soci, essendosi formato il plusvalore nei 
confronti della societ�, e non dei soci che vi hanno concorso solo 
indirettamente con la sottoscrizione del capitaile sociale. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 lul�lio 1980, n. 4867 -Pres. Sposato Est. 
Corda -P. M. Catelani (conf.) -Ministero delle Finanze {avv. Stato 
Salimei) c. Borrelli (avv. Guaitoli). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di successione -Passivit� deducibili Avallo 
cambiario e privilegio speciale su bene dell'asse ereditario Debiti 
neutralizzati da un corrispondente �credito -Indeducibilit�. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, art. 45). 
L'avallo prestato dall'autore della successione costituisce un debito 
effettivo per l'eredit� che tuttavia � neutralizzato da un corrispondente 
credito verso l'avallato; non � di conseguenza deducibile come passivit� 
l'importo della cambiale avallata. Lo stesso � a dirsi per il privilegio 
speciale che grava un bene caduto in successione per un debito del precedente 
possessore che � pure neutralizzato dal credito dell'eredit� verso 
il debitore principale (1). 

(omissis) Col primo motivo, la ricorrente amministrazione finanziaria 
denuncia: 1) violazione degli artt. 1, 32 e 42 della legge tributaria sulle 
successioni (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270); 2) omessa o insufficiente 
motivazione. 

Sostiene che la commissione tributaria centrale non avrebbe considerato 
che le dmposte di suocessione colpiscono l'arricchimento ohe si 
verifica in capo all'erede e a!l legatario per effetto della trasmissione 
mortis causa, e, pertanto, i debiti e gli ailtri oneri che gravano sul patrimonio 
trasmesso in tanto sono deducibili dall'attivo, in quanto costituiscono 
una vera e propria passivit�. Se ci� avesse considerato, non 
avrebbe certo omesso di rilevare che nessuno dei due debiti costituiva, 

(1) Decisione interessante di questione nuova. E' evidente che l'avallo non 
pu� isolatamente essere considerato una passivit� anche se � in effetti un debito 
solidale; resta il problema di verificare se, come ed in quali termini sia ammissibile 
la deduzione dopo che il debito sia stato soddisfatto e la rivalsa sia 
risultata, in tutto o in parte, infruttuosa. 
Riguardo al privilegio speciale � sicuramente valida la stessa argomentazione, 
ma potrebbe ulteriormente affermarsi che il possessore del bene gravato 
da privilegio speciale non � nemmeno debitore; egli non � obbligato ad adempiere 
ed ha solo l'onere (o la facolt�) di pagare il debito altrui per salvare il bene �lell'esecuzione. 


li 



402 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

al momento deill'apertura della successione, una �passivit��, nel senso 
richiesto dalle norme tributarie sulle successioni, poich� si trattava 
soltanto di debiti futuri ed eventuali, 

Chiarisce che � la posizione de11'avaMante e quella del terzo acquirente 
l'immobile gravato da privilegio fiscale non costituiscono ab origine 
delle passivit� poich� a fronte di ciascuna di esse sussiste il diritto di 
esigere da altri la reintegrazione dell'avvenuta perdita patrimoniale 
subita. L'avallante, che sia stato costretto al pagamento dal creditore e 
non � detto che lo sia dail momento che il pagamento deve essere 
richiesto all'obbligato principale -ha l'azione verso 11'avallato diretta 
appunto a reintegrarlo completamente e, prima ancora di avere pagato, 
pu� agire in rilievo nei confronti dell'avallato a norma dell'art. 1953 
cod. civ.; cos� il terzo acquirente dell'immobiJe gravato da privilegio 
che abbia pagato o abbia subito l'esecuzione -e non � detto che lo 
sia perch� il procedimento di riscossione coattiva deve essere promosso 
anche nei confronti dei soggetti obbligati -� surrogato nei dil1i1lti della 
amministrazione finanziaria nei confronti dei debitori delJ'imposta �. 

Lamenta, poi, che �in aperta violazione dell'art. 32 (della legge 
triibutaria sulle successfoni), le commissioni si sono sostituite alla amministrazione 
nel giudicare inesigibili tanto il credito deLI'aval1ante verso 
la societ� avalJata -credito che non si sa neppure se sia stato ins~nuato 
nel fallimento della societ� -quanto il credito verso i debitori delle 
imposte di successione garantite dal privilegio; credito che non si sa 
neppure se sia mai stato fatto valere �. 

In. relazione a. tale motivo di ricorso, �, anzitutto, da rilevare che 

esso� attiene, principailmente, al debito cambiario di lire 12.547.459 della 

S.r.l. Fide verso la Soc. Sacelit, del quale il de cuius era avallante, e, 
in parte, al debito di lire 3.170.230, per imposte non pagate dal precedente 
propr.ietario di un immobile facente parte del.l'asse ereditario. 
Gli �argomenti, cio�, addotti come censura contro il capo di decisione 
ohe ha ritenuto deducibile dall'asse ereditario il primo dei due debiti, 
sono� dalila ricorrente riferiti, in parte, anche al secondo. 
Qu�, per�, per ragioni di comodit� espositiva, conviene esaminare 

il motivo in esame solo per ci� che attiene alla deducibilit� del debito 

di lire 12.547.459, rinviando all'esame del secondo motivo (che � specifico 

sul punto) la trattazione degli argomenti addotti per censurare la 

ritenuta deducibilit� del debito di lire 3.170.230. 

Con questa precisa:lli.one, va subito rilevato che il detto primo 

motivo di r.icorso � fondato. 

L'art. 45 defila vecchia legge tributaria sulle successioni (r.d. 30 dicembre 
1923, n. 3270, applicabile al caso di specie, perch� il rapporto 
triibutario in esame era sorto prima della :emanazione del d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 637, ora vligente), esige, perch� un debito del de cuius 
possa essere portato in deduzione dall'asse ereditario, che il debito� 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 403 

stesso sia certo, liquido e, ovviamente, esistente al momento dell'apertura 
della successione. 

Nelle precedenti fasi, anche per contraddire quanto veniva via via 
affermato dalJle commissioni tributarie, l'ufficio aveva sostenuto che 
se il de cuius, al momento de1l'apertura della successione, era cambiariamente 
obbligato verso un terzo, in qualit�, per�, di avvalante il suo debito 
era, a quel momento, non certo, perch� solo �eventuale� (condizionato, 
cio�, al fatto del mancato pagamento da parte del debitore principale), e 
non attuale, perch� tale diventerebbe solo dopo la negattlva escussione 
del predetto debitore principale. 

Una siffatta impostazione, per�, non poteva certo aspirare al successo 
(come in effetti, si � verificato), per l'ovvia considerazione che l'avallante, 
in quanto cambiariamente obbligato, si trova nella identica posizione del 
debitore solidale; di modo che il possessore della cambiale pu� �rivolgersi 
indifferentemente verso l'avallato o l'avallante, n� quest'ultimo pu� 
invoca11e il beneficium excussionis. 

Con maggiore puntualit�, perci�, l'Amministrazione ricorrente prospetta 
ora in termini del tutto diversi la soluzione del problema giuri.dico 
sottoposto a1l'esame, facendo rilevare che il debito dell'avaHa:nte non � 
tale da essere ricompreso fra le passivit� deducibili, perch� alla posizione 
debitoria � simmetrica la posizione creditoria, essendo innegabhle il diritto 
dell'avallante �di esigere da altri la reintegrazione dell'eventuale perdita 
patri.monia1e subita �. 

Ora, non v'� dubbio che una tale impostazione del problema meriti 
sorte diversa da quella che in precedenza era toccata alla tesi per prima 
proposta, se si ritiene -com'� possib�le -che l'ava1lante sia creditore, 
pure eventuale, dell'avallato. 

Com'� noto, gi� in passato era sorta questione se l'avallante, prima 
cli avere pagato, potesse esercitare l'azione pauliana, a norma dell'articolo 
2901 cod. civ., contro gli atti compiuti dall'avallato in frode ai suoi 
creditori. � noto, altres�, che in sede dottrinale una tale possibilit� era 
stata negata, sul rilievo che l'avallante era pur sempre un �debitore 
eventuale� (e non gi� �condizionale�), tenuto, cio�, a pagare solo per 
il caso che a1la scadenza la cambiale non venisse pagata dall'avallato; 
ossia, soltanto dopo aver pagato, l'avallante sarebbe divenuto cred1tore 
attuale e immediato dell'avallato per il rimborso, mentre l'azione revocatoria 
presuppone la qualit� di creditore, se pure condizionale di chi 
l'esercita. 

Siffatta impostazione dottrinale, per�, era stata gi� contraddetta 

dalla giurisprudenza di questa �Corte Suprema che, vigente ancora il 

codice abrogato, aveva deciso per l'affermativa, sul riflesso che, anche 

prima del pagamento, lo avallante � creditore, sia pure eventuale, dello 

avallato (v. la sent. 13 giugno 1933, n. 2200, in Foro it., 1934, I, 159). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� vero, peraltro, che una tale conclusione traeva argomento dal 
rilievo che all'avallante, anche prima di aver pagato, era concesso di 
sperimentare l'azione dli rilievo concessa al fideiussore. Ma se pu�, da 
un lato, affermarsi -in base ai pi� recenti orientamenti giurisprudenziali 
-che le norme sulla fideiussione non si applicano all'avallo, 
non pu�, d'altra parte, omettersi la considerazione che l'art. 2901 del 
codice vigente sancisce espressamente che �l'azione revocatoria pu� essere 
esperita anche dai creditori condizionali. 

A questo punto, ovviamente, il problema potrebbe subire una dilatazione, 
rappresentandosi, quantomeno, l'opportunit� di distinguere fra 
creditore condizionale e creditore eventuale, nonch� fra le rispettive 
posizioni. 

Ma se la necessit� di una tale distinzione pu� configurarsi con riferimento 
all'esercizio dell'azione pauliana (giacch� la norma da ultimo citata 
menziona il creditore condizionale), una necessit� analoga sicuramente 
non si configura qualora si debba, semplicemente, affermare -agli 
effetti della norma tributaria in esame -ohe l'avallante � creditore 
dell'avallato. Sia esso, cio�, creditore eventuale o condizionale, � giocoforza 
ammette11e che lo stesso assume una posizione che, ai fini della 
determinazione dell'asse ereditario, quantomeno neutralizza la posizione 
debitoria nei confronti del terzo possessore della cambiale. 

D'altra parte, la legge tributaria sulle successioni (art. 29, primo 
comma), allorch� precisa che �sono considerati crediti, agli effetti di 
questa fogge, i diritti, le obbligazioni e le a2lioni che hanno esclusivamente 
per oggetto somme di denaro�, non sembra escludere, data la 
mancanza di ogni Uilteriore specificazione, che l'obbligo di denuncia possa 
sussistere anche per i crediti eventuali o condizionali. 

Perci�, se pu�, da un lato, affermarsi che un obbligo di denuncia non 
sussiste per siffatti crediti, allorch� sia ad essi simmetrica una posizione 
debitoria (qual �, appunto, quel.la dell'avallante), deve giocoforza ammettersi 
che non pu� pretendersi il puro e semplice inserimento, fra le 
passivit�, di un deb1to cui in realt� corrisponde una simmetrica posizione 
creditoria della quale non sia stata fatta denuncia. 

� ovvia, quindi, la conolusione che pu� trarsi da tali premesse. Se 
l'erede dell'avallante pretende di dedurre dall'asse ereditario il debito 
del de cuius verso il terzo portatore della cambiale, deve nel contempo 
denunciare l'esistenza del credito dello stesso avallante verso l'avallato. 
E non v'� dubbio che, in tal caso, la pretesa di deduzione viene automaticamente 
a dissolversi. 

Giova, peraltro, ribadire che una tale conclusione non � impedita 
dal fatto che il credito in parola � solo eventuale, posto che una siffatta 
caratteristica � propria anche del debito che si pretende di portare in 
deduzione. Poich�, infatti, sotto questo aspetto il debito e il credito si 
trovano in identica posizione giuridica, non pare sussistere difficolt� 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 405 

ailcuna a concludere che se uno di essi ha diritto di cittadinanza nei 
confronti dell'asse ereditario, analogo diritto deve essere riconosciuto 
anche all'altro, sempre col risultato dell'azzeramento delle due poste. 

La ricorrente censura anche la decisione impugnata per avere indebitamente 
sostituendosi, cos�, all'amministrazione attiva -giudioato 
sul presupposto dell'inesigibilit� del credito dell'avvaHante verso la societ� 
avalilata, poi fallita. 

Tale censura sarebbe sicuramente pertinente se la commissione 
tributaria centrale avesse svolto un ragionamento analogo a quehlo in 
questa sede proposto dalla ricorrente e, daHa ritenuta inesigibilit� del 
credito, avesse tratto una qualunque conseguenza. 

In effetti, per�, la detta Commissione ha semplicemente dato atto, 
nelJa parte motiva della decisione, di un �ormai avvenuto fallimento 
nell'apri.le del 1966 della S.r.l. Fide� e della �riconosciuta insolvibilit� 
della stessa �. Ma poich� da tali premesse non sono state tratte, con 
procedimento sillogistico, specifiche conseguenze e poich�, quindi, non 
� dato di conoscere quanto e come quegli elementi di fatto abbiano influito 
sulla decisione, pi� per,tinente, oltre che palesemente fondata, si 
appalesa la censura di difetto di motivazione che, pure, la ricorrente 
non ha omesso di presentare, anche con riferimento al futto che una tale 
inesigibilit� non avrebbe potuto essere ritenuta senza il previo accertamento 
che ~l credito (dell'avallante) era stato insinuato nel passivo fallimentare 
e che la procedura concol'.'suale si era conclusa con risultato 
negativo per l'insinuante. 

Non sembra, peraltro, inutile ricordare che l'art. 32 della vecchia 
legge tributaria sulle successioni non esclude affatto che i crediti � di 
dubbia esigibilit�� debbano essere denunciati come facenti parte dell'asse 
ereditario, ma dispone, semplicemente, che in relazione ad essi 
rimane sospesa l'esazione della tassa. 

Col secondo motivo, la ricorrente denuncia [a violazione degli articoli 
45 e 68 della legge tributaria sulle successioni (r.d. 30 dicembre 1923, 

n. 3270). 
Sostiene -con riferimento alla ritenuta deducibilit� dall'asse ere


ditario del debito di lire 3.170.230 che i precedenti proprietari di un im


mobile facente parte dell'asse ereditario avevano verso lo Stato, a causa 

del mancato pagamento di un'imposta -che la commissione tributaria 

centrale avrebbe omesso di considerare che la posta di cui si era pre


tesa la deduzione non presentava � neppure gli estremi essenziali del de


bHo e tanto meno la indispensabile caratteristica della liquidit� �. 

Anche questo motivo di ricorso � sostanzialmente fondato. 

Il debito di cui si era pretesa la dedu;z;ione dall'asse ereditario, invero, 
era sorto non gi� come debito del de cuius, bens� dei precedenti 
proprietari di un immobile che, poi, era entrato a far parte del patrimonio 
del predetto de cuius. Costoro, infatti, lo avevano a suo tempo 


<�-06 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO. STATO 

acquistato per eredit�, ma non avevano, evidentemente, pagato Jlimposta 
di successione, tanto che la finanza era rimasta di essi creditrice, col 
privilegio, sull'immobile, di cui all'art. 68 della legge in esame. Pervenuto, 
poi, l'immobile nel patrimonio del dante causa dei Borre1li e della 
Scarci, su di esso aveva continuato a gravare il privilegio predetto; e 
gli eredi e la legataria di Filippo BorreHi (gli odierni resistenti) -come 
si � chiarito nella parte espositiva -avevano chiesto in deduzione, dal 
patrimonio ad essi pervenuto, la somma corrispondente al debito del 
precedente proprietario verso la finanza. 

Nel ritenere fondata codesta loro pretesa, per�, la commissione tributaria 
centrale non ha, evidentemente tenuto conto che il de cuius si 
trovava, rispetto al debito garantito .da un privilegio gravante su immobile 
facente parte dell'asse ereditario, nella sostanziale posizione del 
garante, post� che il soggetto passivo del debito era pur sempre il suo 
dante causa. 

Egli, perci�, si trovava in una condizione sostanzialmente corrispondente 
a quella del debitore eventuale; ma � ovvio che se tale era la sua 
posizione, egli si trovava, nei confronti del debitore, in una posizione 
corrispondente a quella del creditore eventuale, della quale si � detto 
esaminando il primo motivo di ricorso. E non v'� dubbio che, essendo 
egli in contemporanea posizione sostanziale di debitore e di creditore (in 
entrambi i casi �eventuale�), valgono le ragioni esposte in precedenza 
per negare che un debito di siffatta natura possa essere portato in deduzione 
dahl'asse patrimoniale, ai sensi della legge tributaria sulle successioni 
del 1923. 

In conclusione, il ricorso deve essere accolto e, conseguentemente, 
deve essere cassata la decisione impugnata, in quanto informata a un 
principio giuridico opposto a que1lo qui affe:mnato. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4879. Pres. Sposato -Est. 
Battimelli -P. M. Leo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Viceconte) 
c. Fa:Mimento Niele. 

Tributi erariali indiretti -Sanzioni non penali -Interessi -Non sono 
dovuti. 
(legge 26 gennaio 1961, n. 29, artt. 1, 2 e 4). 

Le norme eccezionali della legge 26 gennaio 1961 n. 29, da interpretare 
restrittivamente, sono riferibili soltanto alle somme dovute per tasse ed 
imposte indirette sugli affari, fra le quali non possono ricomprendersi n� 
le soprattasse n� le pene pecuniarie (1). 

(1) Un improvviso cambiamento di indirizzo sia sul punto specifico della 
debenza degli interessi sulla soprattassa (Cass., 16 febbraio 1978, n. 727; 5 aprile 
1978, n. 1549; 29 maggio 1978, n. 2689, in questa Rassegna, 1978, I, 385, 609 e 614), 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 407 

(omissis) Non pu� aocogliersi, invece, il ricorso in relazione al secondo 
motivo, con cui si denunzia che erroneament� � stato ritenuto 
che, data la natura della soprattassa �avente la stessa natura di prestazione 
obbligatoria, di quella tributaria di cui segue le sorti e alla 
quale � indissolubilmente legata>>, non fossero dovuti gli interessi per 
non essere questi dovuti sull'impos�ta. 

Seppure, infatti, � evidente la mancanza di motivazione specifica sulla 
questione in esame, pur tuttavia, con una diversa motivazione, la decisione 
qui impugnata va confermata, essendo esatta la conclusione cui 
essa � giunta, a sensi deN'art. 384 cod. proc. civ. E a tale soluzione questa 
Corte ritiene di dover giungere in difformit� di due precedenti decisioni 
(sentenze n. 727, n. 1549 'e n. 2689 del 1978) con cui � stata affermata 
l�> debenza degli interessi su soprattassa applicata in occasione di tardiva 
registrazione con l'unica costante motivazione della comprensibilit� 
deUa sovratassa fra le � somme dovute per tasse o imposte indirette sugli 
affari>>, previste all'art. 1 della legge n. 29 del 1961. 

Meglio approfondendo il problema, infatti, non sembra potersi confermare 
tale indirizzo giurisprudenziale, a parte, infatti, ogni considerazione 
circa la natura della soprattassa, che va distinta da .quella del 
tributo cui essa afferisce per la sua funzione satisfattoria di risarcimento 
del danno causato dall'inadempimento dell'obbligazione tributaria (come 
si evince dalla stessa relazione allla legge fondamentale del 7 gennaio 
1929, n. 4), come risulta, oltretutto, per quanto attiene all'imposta di registro, 
dalla sua commisurazione, sia pure non proporzionale, alla durata 
dell'inadempimento -art. 104 della legge di registro del 1923 -, 
per cui pu� ritenersi che essa trova la sua fonte in un fatto contrario 

sia in generale sulla natura della soprattassa. Su questo secondo punto era stato 
sempre affermato che la soprattassa, per la quale non sono dettate norme particolari, 
segue la sorta dell'imposta a tutti gli effetti (prescrizione, privilegi, ecc.) 
e non ha una sua autonomia (Relazione Avv. Stato, 1966, 70, II, 440 e segg.). Ora, 
negandosi la assimilazione della soprattassa al tributo, si porrebbe il problema 
della definizione stessa della obbligazione per soprattassa. 

Seguendo la interpretazione della sentenza in esame, si deve ritenere che anche 
l'amministrazione tenuta a rimborsare somme ritenute non dovute non deve 
gli interessi sulle soprattasse. 

Sotto questa visuale la distinzione appare assai poco logica; ma la premessa 
della legge n. 929 del 1961 sta proprio nella parit� di posizioni della 
Amministrazione e del contribuente. 

A seguito della riforma l'obbligazione di interessi � disciplinata specificamente 
per alcune imposte mentre per altre continua ad essere applicabile la 
legge n. 29/1961. 

Per l'i.v.a. gli interessi sono dovuti anche sulla soprattassa e perfino sulla 
pena pecuniaria, per l'espressa norma dell'art. 61 del d.P.R. n. 633/1972; non 
sembra che 1sffia giustificabiile una diversa soluzione per J>e altre dmposte per 
le quali letteralmente le norme fanno riferimento soltanto ai tributi, ma non 
escludono la ricomprensione degli accessori. 



408 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

I 

Iili 
ad una norma di legge e si differenzia dal tributo in quanto costituisce 
un mezzo particolare per il risarcimento del danno; a parte tali conside-m 
razioni di natura generale, sta di fatto che il problema va risotto proprio 1>�~ 
sulla base della normativa specifica contenuta nella legge n. 29 del 1961. ::: 

Ed invero va ricordato che, prima della legge suddetta, non esisteva fi 
alcuna generaile disciplina normativa degli interessi sui tributi indiretti 1��:, 
(salve poche eccezioni, ad es. in materia doganale e, per quanto attiene 
all'imposta di registro, ma con particolari giustificazioni, nell'ipotesi prevista 
da[['art. 92 della legge di registro del 1923) e che la legge del 1961, 

per la primail~ v~lbta, .intdr~us~e unah specifica dis~iplinffa degli interessi di @I 
mora su t 'I tn ut1: 1sc1p1ma c e, pera1tro, s1 di erenzia nettamente 
dalla disciplina generale della mora quale ricavabile dal codice civile, non 
solo e non tanto per la natura deMe obb[igazioni cui afferisce, quanto 
per le particolari regolamentazioni in esse contenute, che in pi� punti ~ 
divergono da detta disciplina generale, non solo per le ipotesi, gi� ricor-

I 

date, regolamentate dall'art. 2, quanto soprattutto per due punti fonda-~ 

mentali: il tasso degli interessi, superiore a quello legale, e il 11oro com-m,.._ 

puto temporale (a semestre compiuto, e non a giorni). Trattasi, pertanto, 

di una normativa di natura eccezionale, che � soggetta, nella sua appli


cazione, ai limiti previsti daJl'art. 14 delle disposizioni sulla legge in ge-i 

nera!le, premesse a[ codice civile. i 

Ne consegue che la lettura dell'art. 1 della legge in questione va @ 

fatta in modo rigoroso e tale da escludere una possibilit� di applicazione ~ 

analogica, e che pertanto, allorch� si fa menzione di � somme dovute 1:: 

per tasse o imposte indirette �, si debba intendere che si parli esclusi-I;_, 

vamente delle tasse e imposte propriamente dette e che la parola � som-~ 

ma � non stia ad indicare qualsiasi debito comunque connesso all'adem-!~ 

pimento di una obbligazione tributaria (e la soprattassa, per quanto in ~j 

generale osservato in precedenza, non ha tale natura, ma ha natura e 

I 

funzione risarcitoria), bens� indichi, pi� semplicemente, l'ammontare del Fa 

tributo, il � quantum� su cui vanno applicati e commisurati gli interessi: i 

l'espressione, quindi, �per tasse e imposte indirette � sta ad indicare lo 

I 

specifico �titolo� in forza del quale determinate somme di danaro sono @ 
dovute, per cui l'applicazione degli interessi sulla soprattassa viene a di-

I 

scendere non gi� da una intenpretazione estensiva, bens� da una app[i-r; 

cazione analogica della norma. 

I 

E ci� � confermato dalla lettura non del solo art. 1 della legge, ma � 

I ~ 

altres� da quella de.hl'art. 4, in cui sono espressamente contemrplate :le >=l 

penailit� e soprattasse specificamente previste dalle singole leggi tribu


tarie come obbligazioni diverse dall'obbligazione tributaPia vera e propria 

1:= 

e la cui applicazione, per espressa volont� del legislatore (che ha cos� f:l 

(�'. 

inteso risolvere una questione dibattuta in dottrina e nella pratica), non ~: 

� di ostacolo aHa percezione degli interessi sul tributo vero e proprio. 1: 

L'espressa previsione deHe pene pecuniarie e delle soprattasse, contenuta ):: 

-



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 409 

nell'art. 4, deve portare a concludere, in aggiunta all'interpretazione innanzi 
data dell'art. 1, che per il legislatore del 1961 dette forme di sanzione 
erano considerate come qualcosa di sostanzialmente diverso dal 
tributo (quali in effetti esse sono, data la diversa loro causa, natura e 
funzione) e come tali, quindi, non rientranti nella previsione de1l'art. 1. 

In tali sensi, pertanto, va modificata la motivazione della decisione 
impugnata, confermandosene peraltro il dispositivo, dovendosi riconoscere 
che sulle somme dovute non per tasse o imposte indirette sugli affari, 
bens� per pene pecuniarie o per soprattasse conseguenti all'inadempimento 
di obbligazioni tributarie non sono percepibili gli interessi di cui alla 
legge in esame e che, rispetto ad esse, il problema dehla percezione degli 
interessi va risolto non in base a:lla disciplina eccezionale in detta legge 
contenuta, ma in base ai princ�pi generali, Jn forza dei quali, nel caso 
di specie, deve riconoscersi l'inapplicabilit� degli interessi sulla soprattassa 
riscossa al momento della tardiva registrazione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4880 -Pres. Granata Est. 
Scanzano -P. M. Leo (conf.) -ENEL c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Viola). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Concessione -Servizio di 
illuminazione -Istituzione dell'ENEL -Continuazione del servizio da 
parte della societ� -Obbligazione per l'imposta di registro. 
(legge 6 dicembre 1962, n. 1643, artt. 2 e 4). 

L'entrata in vigore della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, sulla nazionalizzazione 
dell'energia elettrica, non ha prodotto automaticamente ed immediatamente 
il trasferimento all'ENEL degli impianti, che sono rimasti in 
possesso delle rispettive imprese fino al momento del successivo trasf erimento 
operato con decreto; conseguentemente � normalmente dovuta l'imposta 
di registro sulla concessione in favare della societ� conclusa in epoca 
anteriore all'effettivo trasferimento, anche se dell'imposta deve rispondere 
l'ENEL subentrato nel rapporto (1). 

(1) Una puntuale riconferma della sentenza 25 ottobre 1979, n. 5594, in 
questa Rassegna, 1979, I, 401). 

SEZIONE SETTIJMA 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 marzo 1980, n. 1818 � Pres. Mirabelli 
-Rel. Cantillo -P. M. Del Grosso (conf.) � IM.CO. Impresa 
Centrale costruzioni S.p.A. (avv. Mascioli, Piga e Guarino) c. I.A.C.P. 
di Firenze (avv. Vannutelli, Capaccioli e Cardoso). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche � Consegna dell'opera � Appalto disciplinato 
per legge o per convenzione dal capitolato generale per le opere 
pubbliche -Consegna frazionata dei lavori� Esclusione �Avvenuta con


.� segna parziale � Conseguenze alternative. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 10; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 10). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche � Consegna dell'opera � Appalto disciplinato 
dal capitolato generale delle opere pubbliche � Consegna tardiva 
� Diritti dell'appaltatore. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 10; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 10). 
Appalto . Onerosit� e difficolt� dell'esecuzione � Disciplina prevista dal� 
l'art. 1664 cod. civ. -Finalit�. 
(cod. civ., artt. 1467, 1664). 

Appalto. Onerosit� e difficolt� dell'esecuzione -Disciplina prevista dall'articolo 
1664 cod. civ. � Applicazione analogioa ad eventi sopravvenuti 
diversi da quelli indicati dalla norma � Inammissibilit� � Equo compenso 
-Interpretazione estensiva � Ammissibilit�. 
(cod. civ., artt. 1467, 1664; disp. prel. legge in generale artt. 12, 14),. 

Negli appalti ai quali si applichi, per legge o per convenzione, il 
capitolato generale per le opere pubbliche dello Stato (d.P.R. 16 luglio 
1962, n. 1063) e nei quali non sia consentita la consegna frazionata 
dei lavori, sono configurabili due ipotesi: se la consegna parziale, per 
gli effetti che produce, � tale da doversi equiparare a mancata consegna, 
� applicabile la disciplina dell'art. 10 del capitolato la quale, 
per il caso che il contratto preveda il frazionamento della consegna dei 
lavori, prevede lo spostamento del termine di consegna dell'opera, sicch� 
l'appaltatore pu� avvalersi della facolt� di scegliere tra la prosecuzione 
del rapporto nonostante il ritardo, rinunziando cos� a qualsiasi 

pretesa risarcitoria, e la richiesta di recesso, la quale, se non accolta, 
comporta un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo; se, 
invece, il frazionamento nella consegna dei lavori � scarsamente rile



PARTE I, SEZ. VII, Gl'.URIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 411 

vante nell'economia del rapporto, l'appaltatore potr�, al massimo, pretendere 
un prolungamento del termine di completamento dell'opera e, 
se del caso, il ristoro dei maggiori oneri relativi alla parte consegnata 
in ritardo, previa formulazione delle opportune riserve (1). 

In tema di appalto disciplinato dal capitolato generale delle opere 
pubbliche dello Stato l'intempestiva consegna dei lavori conferisce 
all'appaltatore il diritto di risarcimento dei danni solo nel caso che 
abbia manifestato la volont� di recedere dal contratto (dichiarazione 
che ha valore di proposta di risoluzione del rapporto), mentre, in caso 
contrario, nulla pu� successivamente pretendere. Tale disciplina � diretta 
ad assicurare all'amministrazione la possibilit� di conoscere immediatamente 
le conseguenze del ritardo, e, quindi, di stabilire l'opportunit� 
di mantenere in vita il rapporto ovvero di adottare una diversa 
determinazione in vista dell'eventuale superamento degli originari 
limiti di spesa, sicch� tale finalit� sarebbe elusa ove fosse dato all'appaltatore 
di richiedere il rimborso di maggiori oneri, a qualsiasi titolo 
durante e dopo l'esecuzione dell'opera, pur avendo accettato senza riserve 
la consegna tardiva dei lavori e il nuovo termine contrattuale (2). 

L'alea connaturale al contratto di appalto non incide sulle prestazioni 
delle parti in modo da renderle quantitativamente e qualitativamente 
incerte, ma investe soltanto la sfera economica dei contraenti, 
restando estranea al contenuto giuridico del rapporto, in nulla differendo, 
se non per la maggior intensit� e latitudine, dall'alea economica 
presente in ogni contratto a prestazioni corrispettive, e, in particolare, 
in quelli ad esecuzione differita, periodica o continuativa, nei quali le 
vicende economiche sopravvenute possono alterare la situazione di 
equilibrio fra le prestazioni considerate dalle parti al momento della 
stipulazione. Rientrano, pertanto, nell'alea normale del contratto anche 
le sopravvenienze imprevedibili, rispetto alle quali i rimedi previsti dall'art. 
1664 cod. civ. sono finalizzati esclusivamente al contenimento del 
rischio economico, consentendo di ripristinare l'equilibrio del sinallagma 

(1-4) La decisione, resa su controversia cui erano estranee amministrazioni 
dello Stato, si pubblica per il notevole interesse delle questioni affrontate, 

risolte in base a princ�pi applicabili identicamente agli appalti di opere pub� 
bliche di competenza statale. 

~1-2) SuLla consegna dei lavori come co11abo~azione del creditore aill'adempimento 
da parte del debitore e sulla necessit� della dichiarazione di voler 
recedere come presupposto per far valere pretese di danni per il protrarsi del 
ritardo nella consegna, cfr. Cass., 4 marzo 1978, n. 1083, in Arch. giur. op. pubbl., 
1978, Il, 206; Cass., 19 febbraio 1977, n. 773, in questa Rassegna, 1977, I, 332 con 

nota di P. VITTORIA Ritardata consegna dei lavori e tutela degli interessi dell'appaltatore 
negli appalti pubblici; Cass., 26 giugno 1976, n. 2395, in Giust. civ., 
1976, I, 1414; Cass., 19 giugno 1975, n. 2467, in questa Rassegna, 1975, I, 764; Cass., 
23 gennaio 1931, n. 222, in Giur. it., 1931, I, 1, 340. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

quando la sproporzione superi i limiti emergenti dalla disposizione 
predetta (3). 

Gli istituti disciplinati dall'art. 1664 cod. civ., che correggono i rigori 
dell'alea contrattuale nell'appalto, riversando (anche) sul committente 
le conseguenze di determinate sopravvenienze, rivestono carattere eccezionale 
rispetto alla disciplina generale della risoluzione del contratto per 
eccessiva onerosit� sopravvenuta, di cui all'art. 1467 cod. civ., e sono 
perci� insuscettibili di applicazione analogica ad eventi sopravvenuti 
diversi da quelli considerati dalla norma. E, peraltro, ammissibile l'interpretazione 
estensiva della norma che, nel secondo comma, prevede 
il diritto dell'appaltatore ad un equo compenso per le difficolt� di esecuzione 
sopravvenute, derivanti da cause geologiche, idriche e � simili�, 
che rendano pi� onerosa la sua prestazione, nel senso che debbono ritenersi 
comprese nella previsione normativa tutte le difficolt� di esecuzione 
dipendenti da cause naturali, e cio� tutte quelle che presentino 
le stesse qualit� e caratteristiche intrinseche delle precedenti, esplicitamente 
menzionate, ma non quelle provocate da sopravvenienze oggettive 
di tipo diverso che provochino effetti identici o analoghi, come il 
fatto del terzo e il factum prindpis, le quali possono rientrare nella 
disciplina generale dell'art. 1467 cod. civ. (4). 

(omissis) 1. -H ricorso priincipale della IM.CO. e quello incidentale 
dell'Istituto autonomo per le case popolari debbono essere riuniti 
perch� proposti contro la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.). 


2. -I primi tre motivi del ricorso principale possono essere esaminati 
insieme perch� diretti a censurare, sotto altrettanti profili, la 
sentenza impugnata nella parte in cui, in applicazione dell'art. 32 del 
capitolato di appalto, ha ritenuto infondata la pretesa della IM.CO. per 
fatti ricollegabili al ritardo nella consegna dei lavori da parte del 
committente. 
La Corte fiorentina ha interpretato detta clausola -la quale riproduce 
l'art. 10 del capitolato generale per le opere pubbliche dello 
Stato, approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, senza tuttavia avere 


(3) Nello stesso senso, Cass., 6 giugno 1977, n. 2326, in questa Rassegna, 
1977, I, 572, nonch� Cass., 5 marzo 1979, n. 1364, in Arch. giur. op. pubbl., 
1979, Il, 67. 
(4) La questione appare essere stata per la prima volta affrontata dalla 
Cassazione che, come avverte la decisione, l'ha risolta in senso non condiviso 
dalla prevalente dottrina. 
Sul punto, in dottrina, cfr. RuBINO, L'appalto (con note di E. MOSCATI), in 
Trattato di diritto civile, Torino, UTET, 1980, n. 300, pag. 727 e 729; CAGNASSO, 
Appalto e sopravvenienza contrattuale, Milano, Giuffr�, pag. 98 ss. e 106; e, nel 
senso accolto dalla sentenza CIANFLONE, L'appalto di opere pubbliche, Milano, 
Giuffr�, 1976, n. 339, pag. 486 e 488. 


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!: 

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f: 

PARTE.I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 413 

il valore di norma di diritto positivo, in quanto, com'� noto, il capitolato 
della GESCAL, utilizzato dal I.A.C.P. quale ente incaricato dalla 
stessa, ha natura contrattuale -pervenendo alla conclusione che essa, 
nell'ipotesi di ritardata consegna dei lavori per fatto della stazione 
appaltante, pone l'appaltatore nell'alternativa di scegliere� fra la richiesta 
di recesso dal contratto e l'esecuzione del rapporto: nel primo caso, 
gli attribuisce il diritto al rimborso delle spese sostenute per il contratto 
oppure, nel caso che la committente non aderisca al recesso, 
quello di ottenere un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal 
ritardo; nel secondo caso, invece, non attribuisce alcun diritto all'appaltatore, 
il quale, quindi, a parere della Corte, non pu� successivamente 
avanzare pretese risarcitorie comunque relazionate al ritardato 
inizio dei lavori. 

In base a questa premessa ha affermato che: 

a) la consegna dei lavori da parte dell'Istituto (che aveva incontrato 
difficolt� nell'acquisizione delle aree edificande) avvenne il 15 maggio 
1968, cio� sette mesi dopo il termine convenuto, ma la societ� appaltatrice 
non si avvalse della facolt� di chiedere il recesso ed accett� 
espressamente, anzi, di mantenere in vita il rapporto, sottoscrivendo 
senza riserve il verbale di consegna, con il quale i termini del programma 
di esecuzione dei lavori e di completamento delle opere furono 
ragguagliati alla nuova data di inizio; 

b) era pertanto irrilevante la circostanza che alcune minori porzioni 
del suolo fossero state consegnate in tempo successivo, non essendosi 
di ci� doluta l'appaltatrice neppure in occasione della consegna 
di tali aree residue; 

e) avendo scelto di dare esecuzione al rapporto nel nuovo termine, 
la IM.CO. si era assunta il rischio degli eventuali maggiori oneri 
costruttivi verificatisi nel termine medesimo, ancorch� dipendenti da 
fatti ignoti al tempo della consegna, salvo, ovviamente, il diritto alla 
revisione dei prezzi nel concorso degli altri elementi che la legittimano; 

d) sok> con la comparsa conclusionale di quel grado la societ� 
aveva riferito alcune pretese (rientranti fra quelle formulate con le 
prime sette riserve) ad un asserito comportamento colposo dell'Istituto 
successivo alla data di consegna, sicch� per questo verso la domanda 
non poteva essere esaminata, in quanto del tutto nuova. 

La prima delle critiche della ricorrente investe i punti sub a) e b). 
Essa si duole che la sentenza impugnata abbia omesso di valuta11e, 
sotto il profilo dell'individuazione del momento della consegna, la circostanza 
che alcune aree furono consegnate in tempo successivo ed 
abbia conseguenzialmente violato l'art. 10, ultimo comma, del r.d. 
25 maggio 1895, n. 350, secondo il quale, nel caso di consegne frazionate, 
�la data legale della consegna, per tutti gli effetti di legge�, � 


414 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

quella dell'ultima di esse; sostiene che in base a questa disposizione 
la Corte di merito avrebbe dovuto escludere che la consegna fosse 
avvenuta il 15 maggio 1968 e ritenere, quindi, inapplicabile l'art. 32 
del capitolato. 

La censura � infondata. 

L'art. 10 cit. consente che il capitolato speciale di un appailto pubblico 
preveda il frazionamento in singole quote della consegna dei 
lavori quando questa, per la natura e l'importanza dell'opera appaltata, 
richieda �molto tempo �; e con riferimento a siffatta previsione 
qualifica come �data legale� della consegna quell.a dell'ultimo verbale 
di consegna parziale (o �provvisoria�, secondo il Hnguaggio della 
norma), tranne che diversamente risulti dal capitolato medesimo. 

La disposizione, cio�, riflette l'ipotesi in oui lo stesso contratto 
preveda l'eventuale frazionamento della consegna in tempi successivi, 
come modalit� di attuazione del rapporto, la cui adozione non � idonea, 
quindi, a configurare un ritardo� imputabile all'amministrazione committente 
e non d� .luogo a responsabilit� della medesima, unica conseguenza 
essendo lo spostamento del termine di completamento dell'opera, 
che prende a decorrere, se non sia diversamente convenuto, dal 
perfezionamento della consegna medesima (e prima di questo momento 
non � possibile, di regola, neppure dare inizio ai lavori per la parte 
oggetto delle consegne parziali). 

La norma � estranea, invece, alle fattispecie -come quella in 

esame -in cui il contratto non consenta la consegna frazionata dei 

lavori, per essere l'inizio di questi e,� quel che pi� conta, il termine 

di completamento dell'intera opera, stabiliti con riferimento all'unico 

verbale di consegna. In tal caso, la mancata consegna completa dei 

lavori nel termine fissato si qualifica, se imputabile alla stazione appal


tante, come inadempimento e legittima il ricorso dell'appaltatore ai 

normali rimedi� risolutori e/o risarcitori. 

In particolare, per gli appalti nei quali sia operante, per legge o per 

convenzione, il regolamento delineato dall'art. 10 del capitolato generale 

dello Stato, sono configurabili due ipotesi, a seconda dell'importanza 

che le parti non consegnate assumano sul regolare inizio dei lavori e 

sullo svolgimento del programma contrattuale: se la consegna parziale, 

per le conseguenze che produce, � tale da doversi equiparare alla man


canza della consegna, torna applicabile la disciplina dell'art. 10 del capi


tolato, sicch� l'appaltatore pu� � rifiutare la consegna incompleta ed 

avvalersi, quando sar� completata, della facolt� di scegliere tra la richie


sta di recesso e la prosecuzione del rapporto nonostante il ritardo; se, 

per contro, il frazionamento � scarsamente rilevante sull'economia del 

rapporto, l'appaltatore potr�, al limite, pretendere il prolungamento dei 

termini e, se del caso, il ristoro dei maggiori oneri riflettenti la parte� 

consegnata in ritardo, formulando le opportune riserve. 


PARTE.I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

La Corte fiorentina ha correttamente valutato nei termini suesposti, 
cio� sotto il profilo dell'inadempimento e in relazione all'alternativa 
suddetta, ,ili fatto de11a consegna ritardata (rispetto a quella effettuata 
con verbale del maggio 1968) alla IM.CO. delle due piccole porzioni in 
oggetto e lo ha ritenuto irrilevante ai fini della decisione in quanto ha 
accertato che la ditta appaltatrice, eia un lato, aveva accettato la consegna 
incompleta ed il nuovo termine di ultimazione dell'intera opera 
appaltata senza formulare akuna riserva in ordine alle superfici mancanti, 
cos� dimostrando di considerarle di nulla o scarsa importanza 
per l'organizzazione generale del lavoro e lo sviluppo del programma 
costruttivo; da!l.l'altro, non aveva provveduto ad iscrivere alcuna .riserva 
neppure al momento della tardiva consegna delle stesse e, coerentemente, 
non aveva formulato nel successivo giudizio alcuna pretesa 
risarcitoria specificamente riflettente tale ritardo. E questi apprezzamenti 
di merito, congruamente e logicamente motivati, non sono qui 
censurabili. 

3. -Le altre due censure investono i punti sub e) e d) sopra riassunti 
ed attengono entrambe all'ambito di efficacia dell'art. 32 cit. del 
capitdlato, rimproverandosi alla sentenza impugnata (in relazione ai numeri 
3 e 5 dell'art. 360 cod. proc. civ.) di avere ricollegato al mancato 
esercizio, da parte della IM.CO., de11a facolt� di recesso, l'esonero del 
committente da ogni responsabilit� per la sua colpa, non solo quanto 
ai maggiori oneri direttamente cagionati dalla tardiva consegna, ma 
pure quanto alle conseguenze di eventi produttivi di danno successivi 
alla consegna ed imprevedibili alla data di questa: in tal modo, la Corte 
di appello avrebbe violato le regole fondamentali dell'illecito contrattuale, 
omettendo di valutare tali eventi successivi con riguardo al comportamento 
colpevole dell'Istituto, anche posteriore alla consegna (secondo 
motivo di ricorso); avrebbe violato i princ�pi fondamentali dell'appalto, 
giacch�, assoggettando l'appaltatore al.!le conseguenze di fatti 
imprevedibili, avrebbe attribuito al contratto carattere aleatorio, tale 
da comprendere, oltre al rischio in senso economico, quello in senso 
tecnico-giuridico (terzo motivo). 
Anche queste critiche sono prive di fondamento. 

Va anzitutto precisato, con riferimento alla prima censura, che la 

Corte di appello non ha interpretato la disposizione dell'art. 32 del ca


pitolato nel senso che il mancato recesso potesse influenzare la respon


sabilit� del committente per fatti colposi successivi all'inizio dei lavori. 

All'opposto, ha espressamente distinto il ritardo nella consegna, e 
gli effetti del medesimo manifestatisi successivamente, dagli eventuali 
inadempimenti posteriori; e non � affatto entrata nel merito di quest'ultimo 
profilo della domanda, astenendosi dal prenderlo in considerazione 
perch� tale causa petendi era stata prospettata per la prima 
volta con la comparsa conclusionale, in violazione dell'art. 345 cod. proc. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

civ., essendosi in precedenza la IM.CO. doluta sempre e soltanto del 
ritardo iniziaile. 

E poich� questa statuizione non � stata impugnata, non avendo la 
ricorrente denunziato, in proposito, un errar in procedendo della sentenza, 
la censura deve essere esaminata solo nella parte che attiene 
alle conseguenze della ritardata consegna dei lavori, riguardante, cio�, 
i maggiori oneri che sarebbero derivati all'appaltatrice per l'operare di 
fatti oggettivi, vedficatisi dopo la consegna medesima e non riferibili 
alla committente, dei quali questa dovrebbe tuttavia rispondere in 
conseguen:m della colpa iniziale (siccome non avrebbero inciso sul rapporto 
se questo si fosse svolto nel termine contrattuale). 

Le ragioni di questo assunto non sono univocamente esposte negli 
scritti difensivi della ricorrente: mentre in ricorso si sostiene che 
l'art. 32 cit. fosse destinato ad operare solo quando il ritardo dipendesse 
da colpa della committente, nella memoria, introducendosi una 
apodittica distinzione fra il periodo precedente e quello successivo alla 
tairdiva consegna, si sostiene che, in forza della disposizione, la scelta 
dell'appaltatore di dare esecuzione al contratto nonostante il ritardo 
valesse ad escludere la responsabilit� della committente solo per i maggiori 
oneri sopportati nel primo periodo, continuando ad essere rilevante, 
per quello successivo, l'inadempimento iniziale. 

Entrambe le proposte esegetiche sono state, per�, esaminate e disattese 
dailla Corte di appello, il cui apprezzamento in ordine al contenuto 
ed all'ambito della disposizione -che, giova ricordarlo, nel contratto 
in questione ha valore negoziale -� incensurabile in questa sede, in 
quanto sorretto da congrua e logica motivazione. 

La sentenza impugnata, in base alla testuale formulazione della 
clausola ed alla sua ratio, ha osservato, da un lato, che essa riguairdava 
ogni ipotesi di tardiva consegna dei lavori da parte della committente, 
senza distinguere fra ritardo dovuto a colpa della medesima 

o ritardo dipendente da caso fortuito o forza maggiore, e, anzi, avendo 
di mira proprio la prima ipotesi, solo in relazione alla quale si poteva 
configurare nei confronti della committente, ove non avesse aderito alla 
eventuale richiesta di recesso dell'appaltatore, l'obbligo di corrispondergli 
�i maggiori oneri dipendenti dal ritardo�; dall'altro, che la scelta 
dell'appaltatore di mantenere in vita il rapporto rendeva completamente 
irrilevante, sotto il profilo della responsabilit� della committente, il 
fatto della ritardata consegna dei lavori, precludendo, quindi, quals~asi 
successiva pretesa dell'appaltatore medesimo per maggiori oneri dipendenti 
da sopravvenienze oggettive verificatesi nel nuovo termine contrattuale. 
La ricorrente, pur insistendo in questa sede nelle ipotesi interpretative 
anzidette, non ha denunziato vizi attinenti al procedimento ermeneutico 
seguito dalla sentenza impugnata, essendosi limitata a dedurre, 


PARTI! I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 417 

come si � riferito, oltre a non precisate carenze della motivazione, la 
violazione dei princ�pi sulla responsabilit� contrattuale. Il quale vizio, 
a parte la genericit� della denunzia, chiaramente non sussiste, appena 
si consideri che il significato come sopra attribuito alla clausola coin� 
cide con l'interpretazione data all'identica disposizione dell'art. 10 del 
capitolato generale del 1962 da questa Corte Suprema, la quale ha chiarito 
che la intempestiva consegna dei lavori conferisce all'appaltatore 
ill diritto al ristoro dei danni solo nel caso che abbia manifes,tato la 
volont� di recedere dal contratto (dichiarazione che ha valore di proposta 
di risoluzione del rapporto), mentre, in caso contrario, nulla 
pu� successivamente pretendere, posto che la norma � diretta ad assicurare 
all'amministrazione la possibilit� di conoscere immediatamente 
le conseguenze cui potrebbe andare incontro in conseguenza del ritardo, 
e, quindi, di stabilire se sia opportuno mantenere in vita il rapporto 
ovvero adottare una diversa determinazione in vista dell'eventuale superamento 
degli originari limiti di spesa; e tale finalit� sarebbe eviden� 
temente elusa ove fosse dato all'appaltatore di richiedere il rimborso 
di maggiori oneri, a qualsiasi titolo, durante o dopo l'esecuzione del� 
l'opera, pur avendo accettato senza riserve la consegna tardiva e ii 
nuovo termine contrattua~e (cfr. Cass., sent. n. 1083 del 1978). 

Del pari infondata � la seconda censura. 

L'alea connaturale al contratto di appalto non !incide sulle prestazioni 
dovute in modo da renderle quantitativamente o qualitativamente 
incerte e perci� non si riscontra la nota caratteristica essenziale 
dei contratti aleatori per legge o per volont� de1le parti, nei quali 
il sinallagma de1le prestazioni si pone .necessariamente come scambio 
fra una prestazione certa ed una incerta; essa, invece, rimane estranea 
al contenuto giuridico del rapporto, in quanto investe soltanto la sfera 
economica dei contraenti (rendendo pi� onerosa l'attuazione della pre� 
stazione o vanificando il risultato sperato), e in nulla differisce, quindi, 
se non per la maggiore intensit� e latitudine, dall'alea c.d. economica 
presente in ogni contratto a prestazioni corrispettive, in particolare in 
quelJi ad esecuzione differita, periodica e continuativa, nei quali le vicende 
economiche sopravvenute possono a~terare la situazione di equilibrio 
fra le prestazioni considerate dalle parti al momento della sti� 
pulazione. 

Questo rilievo � valido, manifestamente, anche per le sopravvenienze 
imprevedibili, che ugualmente rientrano nell'alea del contratto e rispetto 
aLle quali i peculiari rimedi previsti da!ll'art. 1664 cod. civ. sono 
finalizzati esclusivamente al contenimento del rischio economico, siccome 
consentono di ripristinare l'equilibrio del l'inailagma quand; la 
sproporzione superi i limiti emergenti daUa medesima disposizione (che 
corrispondentemente operano come elementi di definizione legale dell'alea 
normale dell'appalto); e ci� si conferma 'considerando che la ri



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nunzia a tali rimedi, sicuramente ammissibile stante il carattere dispositivo 
di detta norma, non trovia ostacolo nella natura commutativa 
del contratto ed � perci� consentita anche quando il limite legale venga 
del tutto eliminato (cfr., da wltimo, Cass. sent. n. 529 del 1974). 

Nella specie, la Corte di appello ha osservato che, avendo accettato 
la tardiva consegna dei lavori, la ricorrente si era assunta, in 
forza della clausola de qua, ogni rischio inerente al nuovo termine contrattuale, 
compTeso queMo delle sopravvenienze imprevedibili; ed ha 
correttamente escluso -per quanto ora detto -che ci� fosse in contrasto 
con la causa commutativa del rapporto, tanto pi� che restavano 
operanti i rimedi di cui a11'art. 1664 cit. 

4. -Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 
1664 secondo comma cod. civ. e rimprovera alla sentenza impugnata 
di avere respinto la sua domanda subordinata, volta ad ottenere 
la liquidazione di un equo compenso per i maggiori oneri sopportati, 
eNoneamente affermando che la disposizione si applica solo per la 
sopravvenienza di cause naturaili; sostiene che, tenuto conto della ratio 
legis, e del carattere esemplificativo delle cause espressamente indicate 
dalla norma, questa debba essere interpretata nel senso che comprenda 
tutti gli eventi imprevedibili, non imputabili alle parti, diversi dall'aumento 
del costo deHa manodopera e dei materiali, menzionati nel 
primo comma. 
La censura non merita accoglimento, ritenendo questa Corte Suprema 
che non abbia fondamento positivo la tesi, pur autorevolmente 
sostenuta in dottrina (talvolta seguita dalla giurisprudenza di merito 
ordinaria ed onoraria), che amplia la portata del secondo comma dell'art. 
1664 al di l� delle sopravvenienze naturali, alle quaili essa testualmente 
si riferisce, disponendo che l'appaltatore ha diritto ad un equo 
compenso �se nel corso dell'opera si manifestano difficolt� di esecuzione 
derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle 
parti, che rendano notevolmente pi� onerosa la prestazione dell'appaltatore 
� medesimo. 

n superamento del dato testmrle, finalizzato a concrete esigenze 
equitative, viene proposto in base all'interpretazione analogica e, pi� 
spesso, estensiva della disposizione, essenzialmente suJ rilievo che le 
cause perturbatrici non naturali operano, e vengono considerate daLla 
coscienza sociale, allo stesso modo delle difficolt� di esecuzione dipendenti 
da cause naturali, presentando le medesime caratteristiche di 
imprevedibilit� ed inevitabilit�. 

La via dell'interpretazione analogica �, per�, chiaramente preclusa 
dail carattere eccezionaile della norma, posto che nel vigente ordinamento 
le sopravvenienze, le quali rendano pi� onerosa la prestazione 
dell'obbligato, non attribuiscono, di regola il diritto ad ottenere la reductio 
ad aequitatem. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Nei contratti con prestazioni coI'rispettive, l'unico rimedio dato alla 
parte che sarebbe tenuta alla prestazione diventata pi� onerosa � la 
risoluzione del contratto, ex art. 1467 cod. civ., legata al presupposto 
che entrambe le obbligazioni nascenti dal contratto, al momento in cui 
se ne chieda la risoluzione, siano in tutto o in parte ineseguite. L'istituto 
dell'offurta di riduzione ad equit� � previsto, invece, dal medesimo 
art. 1467, terzo comma, come mera facolt� rimessa all'iniziativa 
del creditore, il quale intenda evitare la risoluzione domandata dal 
contraente onerato. 

E questa disciplina � coerente con il sistema, giacch�, come l'onerato 
pu� scegliere fra la risoluzione o la continuazione del rapporto, 
analoga scelta deve essere assicurata dal creditore, il quale va posto 
nella condizione di stabN.ire se accedere alla risoluzione ovvero mantenere 
in vita il rapporto sobbarcandosi alla modificazione delle condizioni 
contrattuali imposite dalile sopravvenienze. Se si ammettesse, infatti, 
contro il disposto normativo, un'azione dell'obbligato dirntta ad 
ottenere coattivamente la riduzione ad equit�, si verrebbe a fiar ricadere 
le conseguenze delle sopravvenienze sulla cont,roparte, la quale 
-non potendo chiedere la risoluzione del contratto -dowebbe in 
ogni caso sottostare ad esso, ancorch� divenuto per lui molto oneroso. 

In questo sistema, gli ist1tuti disciplinati dai1l'art. 1664 per il con


tratto di appalto, che correggono i rigori dell'alea contrattuale river


sando (anche) sui! committente le conseguenze di determinate soprav


venienze, rivestono carattere eccezionale e sono insuscettibili di appi!i


cazione analogica ad eventi sopravvenuti diversi da que11i indicati nella 

norma. 

Quanto all'interpretazione estensiva -che non trova ostacolo, ma


nifestamente, neJJ.'eccezionalit� della norma ed � imposta, anzi, dal


l'espressa previsione di cause innominate �simili� a quelle geologi


che o idriche, la cui individuazione � perci� rimessa all'interprete -il 

nodo ermeneutico da sciogliere concerne appunto il significato dell'ag


gettivo �simili�, il quale, secondo l'opinione che qui si contrasta, fa


rebbe riferimento non solo e non tanto alla qualit� delle cause nomi


nate, bens� al loro modo di operare ed agli effetti che producono, con 

la conseguenza che dovrebbero considerarsi simili tutte le cause che, 

abbiano o non abbiano origine naturale, non sono imputabili alle parti 

(consistendo, cio�, nel fatto del terzo o nel factum principis) e pro


vocano l'identica conseguenza di rendere pi� onerosa la prestazione 

dell'appaltatore. 

A respingere questa esegesi � agevole obiettare, anzitutto, che in 

tal modo si attribuisce, in sostanza, carattere residuale aJ disposto in 

esame, tale da comprendere, cio�, ogni sopravvenienza oggettiva di


versa dall'aumento dei costi della manodopera e dei materiali, di cui 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

al primo comma, purch� produttiva deM'effetto di rendere pi� gravosa 

la prestazione dell'appa1tatore. E ci� � chiaramente in contrasto, gi� 

' !I

sul piano sistematico, con la portata dell'art. 1664, che non � volto a 
far partecipare il committente al rischio di tutte le sopravvenienze 
oggettive, bens� soltanto di taluni eventi tipicamente individuati: la Il 
stessa �distinzione -e la diversit� di disciplina -fra le fattispecie 
previste dai due commi riposa sui criteri qualitativi attinenti a:Ua 
natura delle cause, a seconda che riguardino direttamente il costo di 
determinati fattori produWvi, cio� consistano nella variazione dei prezzi 
di mercato degli stessi (primo comma) ovvero incidano sul programma 
costruttivo, rendendo pi� difficoltosa, e conseguenzialmente 
pi� onerosa, l'esecuzione dell'opera (secondo comma). 

SuJ. piano testuale, poi, la specificit� della fattispecie, indiscutibile 
per quelle del primo tipo (posto che la revisione � ammessa, come si 
� detto, soltanto per taluni fattori produttivi, con esclusione degli altri), 
risulta altrettanto chiara per quelle del secondo comma, giacch� nel 
contesto dell'espressione �cause geologiche, idriche e simili�, quest'�ultimo 
aggettivo vale ad individuare soltanto le ailtre cause che presentino 
le stesse qualit� e caratteristiche intrinseche delle precedenti (cause) 
esplicitamente menzionate. 

L'enunciato normativo, cio�, non lascia spazio a dubbi ermeneutici, 
anche perch� esso fa riferimento al tipo dell'evento, non agli effetti 
che possano derivarne: il diritto all'equo compenso � stabilito per il 
prodursi di cause geologiche, idriche e simili, non per altre cause che 
provochino effetti identici e anailoghi. Pertanto, l'interpretazione estensiva 
consente di comprendere nella previsione tutte le difficolt� di esecuzione 
dipendenti da cause naturali, non quelle provocate da sopravvenienze 
oggettive di tipo diverso, quali il fatto del terzo o il factum 
principis. 

Giova aggiungere, poi, che l'interpretazione lata non si giustifica 
neppure con esigenze di completezza del regolamento delle sopravvenienze, 
giacch�, accanto alla disciplina speciale dell'art. 1664, rimane 
valida quella generale dell'art. 1467, alla quale possono ricondursi le 
ipotesi non previste dalla prima norma. 

N� si pu� dubitare, con il ricorrente, della legittimit� costituzionale 
della disposizione, secondo l'interpretazione qui adottata, essendo evidente 
che la diversit� di disciplina delle cause naturali rispetto alle 
altre non comporta affatto una disparit� di trattamento tra gli imprenditori-
appaltatori, riJevainte agli effetti degli artt. 3 e 41 Cost. 

Pertanto, una volta accertato, con incensurabile apprezzamento di 
fatto, che nessuna delle cause sopravvenute era riconducibile fra quelle 
naturali, correttamente la Corte di appello ha escluso che fosse applicabile 
l'art. 1664, secondo comma, cit. (omissis) 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 421 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 maggio 1981, n. 3167 -Pres. D'Orsi -
Rel. Scanzano -P. M. Grossi (diff.) -Ministero della Difesa (avv. Stato 
Carafa) c. Impr. Costr. Vincenzo Bologna (avv. Carusi). 

Arbitrato -Arbitrato obbligatorio -Norma regolamentare che lo prevede Illegittimit� 
-Effetti -Vizio di nullit� del lodo per nullit� del compromesso. 


(r.d. 17 marzo 1932, n. 366, art. 51; legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 5; cod. 
proc. civ., art. 829 n. 1). 
Arbitrato -Condizioni generali per l'appalto dei lavori del Genio Militare Inappellabilit� 
del lodo -Norma che fo prevede -Illegittimit� -Disapplicazione 
-Effetti. 

(r.d. 17 marzo 1932, n. 366, art. 59; cod. proc. civ., art. 829; Cost., art. 24; legge 20 marzo 
1865, n. 2248, all. E, art. 5). 
Appalto -Appalto di opere pubbliche -Sospensione -Protrazione -Pretesa di 
danni -Riserva -Iscrizione nel verbale di ripresa dei lavori -E' 
tempestiva. 

L'illegittimit� della disposizione di capitolato generale contenente la 
previsione di un arbitrato obbligatorio, risolvendosi nella invalidit� del titolo 
di investitura degli arbitri, d� luogo ad un'ipotesi riconducibile al vizio 
di nullit� del dolo per nullit� del compromesso, che deve essere fatta 
valere come motivo dell'impugnazione per nullit� (1). 

L'art. 59 del capitolato generale per le opere di competenza del Genio 
militare approvato con r.d. 17 marzo 1932, n. 366, in quanto esclude la 
appellabilit� del lodo, configura un caso. di lodo non impugnabile, cio� 
non soggetto ad impugnazione per inosservanza di regole di diritto, ed � 
pertanto illegittima per contrasto con gli artt. 8?9 ult. parte cod. proc. civ. 
e 24 Cost., in quanto la non oppugnabilit� non trova il suo fondamento 
nell'accordo delle parti, ma nella normativit� della disposizione, destinata 
a regolare il contratto di appalto indipendentemente dal richiamo che le 
parti di questo ne facciano, con clausola che per s� non ha che un valore 
ricognitivo. La disposizione va pertanto disapplicata dal giudice dell'im


(1) Cass., 28 gennaio 1980, n. 658, richiamata nella prima parte della sentenza, 
pu� leggersi in questa Rassegna, 1980, I, 209 con annotazione e richiami 
a Corte Cost., 14 luglio 1977, n. 127. 
Mentre Cass., 28 gennaio ,1980, n. 658, aveva esaminato un caso di giudizio 
promosso davanti al giudice ordinario nel corso del quale era emersa una 
questione di competenza (dello stesso giudice o degli arbitri), la sentenza in 
rassegna ha esaminato un caso di giudizio promosso davanti agli arbitri. Riallacciandosi 
a quanto si osservava in sede commento alla prima decisione, va 
rilevato che l'equiparazione della norma regolamentare illegittima al compromesso 
nullo � conseguenziale all'utilizzazione dello strumento della disapplicazione. 




422 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
pugnazione del lodo con conseguente obbligo di esame dei motivi che prospettino 
errores in iudicando (2). 
Se l'appaltatore ricolleghi la pretesa di danno non alla sospensione in 
s�, ma alla sua eccessiva protrazione, la riserva � tempestiva ove sia formulata 
nel verbale di ripresa dei lavori (3). 
(omissis) Col primo motivo l'amministrazione ricorrente, premesso 
che il capitolato generale per le opere di competen:z;a del Genio militare 
approvato con r.d. 17 marzo 1932, n. 366, ha valore normativo e non 
contrattuale, sostiene che l'art. 59 del detto testo � illegittimo -per 
contrasto con l'art. 829 cod. proc. civ. e con gli artt. 24, 102 e 111 Cost. 
-e va quindi disapplicato, sia pe:rich� impone alle parti di rimettere 
agili arbitri la decisione delle controversie relative all'appalto, sia perch�, 
escludendo l'appellabilit� del lodo, impone la rinuncia alla impugnazione 
fondata sulla violazione di norme di diritto. Soggiunge, con riferimento 
alil.'a.rt. 111 Cost., che tale norma � posta anche a tutela della 
funzione regolatrice della Corte Suprema e, se non consente di impugnare 
direttamente per cassazione la sentenza arbitrale, importa l'impugnabilit� 
di questa secondo l'ultimo comma dell'art. 829 cod. proc. civ.; 
deduce 1nfine che, se si escludesse tale impugnabilit�, la detta sentenza 
si risolverebbe in una pronunzia secondo equit�, in contrasto con il 
principio secondo cui 1a p.a. pu� agire solo nell'ambito deLle norme di 
diritto e sottoporsi solo al controllo di giudici preposti all'applicazione 
deMe norme stesse. 
La censura � fondata solo in parte. 
Con sentenza del 14 luglio 1977, n. 127, la Corte costituzionale, 
dichiarando l'illegittimit� costituzionale dell'art. 25 r.d. 29 giugno 1939, 
n. 1127, che prevedeva un arbitrato necessario e precludeva quindi 
autoritativamente la facolt� di adire il giudice per la tutela di un 
diritto, ha espresso il principio che il fondamento costituzionale dell'arbitrato 
� da rinvenirsi nella libera scelta delle parti. 
In applicazione di tale principio questo Supremo Collegio, con 
sentenza n. 658 del 1980, e con riferimento proprio all'arbitrato previsto 
dagli artt. 51 segg. r.d. n. 366 del 1932 recante approvazione delle condi(
2) Sulla natura regolamentare dei capitolati generali per gli appalti delle 
opere di competenza del ministero dei lavori pubblici, cfr. l'annotazione a 
Cass., 28 gennaio 1980, n. 658, in questa Rassegna, 1980, I, 209 ed i precedenti 
richiamati sub (1-6). 

(3) In tema di sospensione e riserve correlate al fatto che la sospensione 
sia ordinata od a quello che si protragga senza giustificazione, cfr., da ultimo, 
Cass., 16 ottobre 1980, n. 5564 e 1� aprile 1980, n. 2097, in questa Rassegna, 
1980, I, 967. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 423 

zioni generali per l'appalto dei lavori del Genio militare, ritenuto che le 
relative disposizioni hanno valore normativo (e non negoziale), ha 
affermato che esse vanno disapplicate in quanto contrastanti con gli 
avtt. 24 e 102 Cost. e 806 cod. proc. civ. 

L'odierna censura, nella parte in cui -attraverso la affermazione 
dell'inapplicabilit� di tali disposizioni, e del potere del giudice di disapplicarle 
ex art. 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, trattandosi di 
disposizioni regolamentari non soggette al giudizio della Corte costituzionale 
-� diretta a provocare 1a caducazione dell'intero procedimento 
arbitrale e del lodo, � inammissibile perch� la relativa questione � 
preclusa. La dedotta illegittimit� della noI1ma del capitolato che predispone 
l'arbitrato, risolvendosi nell'inva[idit� del titolo di investitura 
degili arbitri, d� luogo ad un'ipotesi riconducibile alla previsione dell'art. 
829 n. 1 cod. proc. civ.: cio� ad un motivo di nUJl.lit� della sentenza 
arbitrale, che avrebbe dovuto essere dedotto avanti alla Corte d'appello 
come motivo d'impugnazione della sentenza stessa. Ci� per� non � 
avvenuto, essendosi in quella sede l'amministrazione limitata a contestare 
la configurabilit� di una valida rinuncia all'impugnazione per 
violazione delle regole di diritto, ail fine di dare ingresso a motivi di 
censura per errores in iudicando. 

Il problema prospettato conserva per� la sua rilevanza ai fini della 
seconda parte della censura, che si ricollega ad un motivo ritualmente 
dedotto -nel senso di cui test� si � detto -al giudice dell'impugnazione. 


Non v'� dubbio che l'inappe1labilit� del lodo, disposta daill'art. 59 
del citato r.d. n. 366 del 1932 fa s� che quello emesso nella specie dagli 
arbitri dovrebbe qualificarsi, ai sensi dell'art. 829, ult. parte, cod. proc. 
civ., come � lodo non impugnabile �, con l'effetto, ivi previsto, della 
improponibilit� dell'impugnazione basata suM� violazione delle regole 
di diritto. 

Un tale effetto pu� derivare solo da una inequivoca conforme 

volont� delle parti, ci� essendo espressamente richiesto dal citato 

art. 829, e coerente con il principio enunciato dalla Corte costituzionaile 

con la sentenza n. 127/77, con riferimento all'art. 24 Cost., che garantisce 

a tutti la possibilit� di invocare la tutela giurisdizionale in conformit� 

alle norme delll'ordinamento. Consentire che gli arbitri possano -senza 

un accordo delle parti -insindacabilmente sottrarsi, nel giudicare, 

all'osservanza delle regole dti diritto, significa, infatti, lasciare le posi


zioni soggettive che nel diritto trovano 11 loro fondamento, prive di 

tutela avanti ai giudici presso i quali la Costituzione ha inteso concen


trare la funzione giu11isdiziona1le. 

Si tratta dunque di vedere se la previsione dell'inappel1abilit� del 

lodo, contenuto nell'art. 59 del capitolato generale su indicato, sia ricon



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

424 

ducibile ailla volont� delle parti, o se invece operi in via '1Utoritaria 
ed eteronoma. 

La tesi che in quest'ultimo senso sostiene l'Amministrazione ricorrente 
trova conforto, oltre che nella citata sentenza n. 658/80 (specificamente 
reliativa al detto capitolato), nella consolidata giu:riisprudenza di 
questa Corte, relativa alla natura delle disposizioni del capitolato generale 
per le opere pubbliche approvate con d.m. 28 maggio 1895: disposizioni 
che, -come quelJle del successivo capitolato del 1962 -per le 
opere di competenza deHo Staito, hrunno natura normativa e non negoziale 
(Cass., sentt. nn. 1478/62, 1589/64, 2928/67, 2571/73, 2856/73, 3018/75, 
3675/77), e che non diventano clausole �negoziali� sol perch� siano 
richiamate dal contratto. Tanto ci� � vero, che la previsione della competenza 
arbitrale contenuta, nei contratti per opere appaltate dallo Stato, 
in conformit� al disposto dell'art. 42 del capitolato del 1895, non ha 
bisogno -a differenza deHa clausofa compromissoria contenuta nelle 
condizioni generali dei comunj. contratti per adesione -della specifica 
approvazione scritta richiesta daill'art. 1341 cod. civ. (Cass., 23 lugilio 1964, 

n. 1989). 
Deve qruindi ritenersi che l'innegabile esistenza di un atto di autonomia 
negoziale, quaile la determinazione a stipulare il contratto di 
appalto, non consente di ricollegare a tale autonomia anche queMe 
clausole che sono destinate ad operare comunque in forza di disposizioni 
normative: il cui richiamo, perci�, non pu� avere che valore puramente 
ricognitivo. 

N� sono decisivi in contrario i riJlievi svolti daUa difesa del Bologna, 
secondo cui: a) la fonte della pretesa eterointegrazione contrattuale 
sarebbe -ex art. 99 e 88 r.d. 23 maggio 1924, n. 827 -non una norma 
di legge, ma una disposizione di un regolamento (di esecmiione della 
legge sulla contabilit� dello Stato, costituita questa, a sua volta, da un 
decreto governativo) che si limita a prevedere -art. 45 -l'approvazione 
ministeriale dei capitolati d'oneri; b) l'obbligo, posto da taile regolamento 
ai contraenti, di fare riferimento ai capitolati generali, importerebbe 
che l'integrazione contrattuale sia frutto della volont� delle 
parti; e) comunque, non avrebbe senso parlare di eteronomia, nei con� 
fronti della p.a., rispetto a regolamenti predisposti da essa medesima; 
d) inoltre la facolt� riconosciuta alla p.a. (artt. 7 legge di contabilit�, 
108, 109 del relativo regolamento) di stipulare contratti non conformi ai 
capitolati generali, sia pure previo parere del Consiglio di Stato, �implicherebbe 
che anche le clausole conformi ai detti capitolati siano ricollegabili 
all'autonomia negoziaJ:e; e) sarebbe particolarmente vero per la 
clausola compromissoriia, in quanto -secondo l'art. 349 legge 20 marzo 
1865, n. 2248, a11. F, sui lavori pubblici -llinserimento di essa nei 
capitolati, generali o speciali che siano, � facoltativo; f) in tale quadro 
normativo, affermare che l'obbligo e la disciplina dell'arbitrato, di cui 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

a11'art. 51 r.d. n. 366 del 1932, derivino dalla legge anzich� da11a volont� 
delle parti, significherebbe obliterare l'art. 1372 cod. civ. e trascurare la 
prospettiva del contratto per adesione; g) che se pu� operare la disciplina 
della decadenza -per mancanza di tempestiva riserva -prevista 
dal capitolato, e se � 'pacifico che questo non � una legge, deve ad 
esso necessariamente attribuirsi valore di contratto, affinch� risu:lti 
rispettato il disposto dell'art. 2966 cod. civ .. 

Tali rilievi non giustificano iii mutamento dell'indirizzo espresso 
da1la sentenza n. 658/80 e, in generale, daHa giurisprudenza dianzi citata. 

L'art. 59 del regolamento di esecuzione della legge sulla contabiilit� 
dello Stato (regolamento approvato con r.d. 23 maggio 1924, n. 827, che 
ha lo stesso valore di una fonte primaria, in quanto emanato in forza 
dell'art. 88 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, avente, a sua volta, vigore 
di legge in base alla delega contenuta nelila legge 3 dicembre 1922, 

n. 1601), disponendo che nei capitolati (part<icolari) debbano essere 
richiamate le condizioni generali stabilite dalle disposizioni legislative 
e regolamentari in mate:riia di opere pubbliche (e tra quelle regolamentari 
rientrano le condizioni contenute nei capitolati generali), attribuisce 
a tali disposizioni il ruolo di fonte obbligatoria della disciplina del 
rapporto (Cass., sent. 15 luglio 1980, n. 4542) disciplina, dunque, imposta 
ed autoritativa, che tale rimane, ma:lgrado il richiamo fattone nel 
contratto, in quanto tale richiamo essendo a sua vo1ta imposto, non pu� 
in s� modificare il ruolo anzidetto e condizionare l'operativit� delle disposizioni 
medesime. In relazione alla norma ora esaminata, l'art. 45 dello 
stesso regolamento n. 827, allorch� stabilisce che i capitolati generali 
contengono le condizioni che � possono applicarsi indistintamente ad un 
determinato genere di lavoro, appalto o contratto �, non ha il significato 
supposto dal Bologna (che vorrebbe ricollegare l'operativit� di quelle 
disposizioni al richiamo che le parti ne facciano), ma esprime solo, 
nell'ambito della classificazione -fatta nel comma precedente -dei 
capitolati in generali e speciali, l'attitudine dei primi ad operare per la 
generalit� dei contratti. 
Che poi in taluni casi e con le opportune cautele possa pattuirsi 
qualche clausola in difformit� dai capitolati generali, come afferma il 
Bologna (supra, punto d), e che le clausole particolari cos� pattuite 
abbiano natura tipicamente contrattuale, significa che nel capitolato 
generale possono esistere norme di natura dispositiva e non inderogabili, 
ma non implica anche che il titolo di efficacia di quelle concretamente 
non derogate cessi di risiedere nell'atto normativo che le 
contiene. Va aggiunto, in proposito, che non appare affatto contraddittorio 
parlare di eteronomia, nei confronti de11a p.a., rispetto a condizioni 
da essa predisposte, sol che si distingua -come devesi -tra la posizione 
dell'amministrazione nell'esercizio dei poteri normativi e quella 
che essa assume quando nella cura concreta dell'interesse pubblico 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

connesso ad una specifica situa:mone, si determina alla stipulazione di un 
particolare contratto: ci� che, inoltre, con riferimento alle condizioni 
contenute nei cap1tolati generali, non consente neppure (come gi� dianzi 
accennato) di assimilare sic et simpliciter l'amministrazione appaltante 
alla parte che predispone il contratto per adesione, essendo 
appunto la emanazione del capitolato generale espressione di un potere 
diverso, rispetto a que1lo di autonomia negoziale cui si ricollega il singolo 
appalto. Non giova infine al controricorrente il richiamo all'art. 349 della 
legge sui lavori pubblici del 1865: il fatto che, secondo tale disposizione, 
nei capitolati di appalto � potr� � prestabilirsi che la soluzione delle 
controversie sia rimessa agli arbitri, non toglie che, quando la p.a. abbia 
predisposto il capitolato generale inserendovi la previsione dell'arbitrato 
necessario, questo venga a risultare uno strumento imposto autoritati� 
vamente, ed imposta venga ad essere altres� la relativa disciplina procedimentale. 


N� ha prngio il riferimento finaile all'art. 2966 cod. civ. in tema di 
decadenze (v. supra, punto g), in quanto in tale disposizione il termine 
� legge � non vuole indicare la legge in senso formale ma in generale 
l'atto normativo. 

Alla s1Jregua di tali considerazioni, deve conclusivamente affermarsi 
che la inappellabilit� del lodo (implicante l'improponibilit� dell'impugnazione 
per nullit� fondata sull'inosservanza delle regole di diritto, 
ex art. 829, ultimo comma, cod. proc. civ.) prevista da!11'airt. 59 r.d. n. 366 del 
1932 che approva Je condizioni generali per l'appalto di lavori del Genio 
Militare, non � ricollegabile alfa volont� delle parti, ma � il contenuto 
di una disposizione normativa: la quale, oltre a: contmstare con l'art. 829, 
ult. parte, cod. proc. civ., si pone in contrasto con l'art. 24 Cost., e va 
disapplicata dal giudice ordinario ai sensi dell'art. 5 legge 20 marzo 1865, 

n. 2248, all. E. 
L'impugnata sentenza deve essere pertanto cassata nella parte in 
cui ha negato ingresso ai motivi di nullit� fondati su violazione delle 
regole di diritto, con rinvio ad altro giudice, che si uniformer� ai principi 
dianzi enunciati e proceder� all'esame dei detti motivi, se ed in 

quanto ritualmente dedotti con l'atto d'impugnazione. 

Col secondo motivo si denuncia insufficienza e contraddittoriet� di 
motivazione nonch� violazione del principio della domanda, in relazione 
all'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ. 

L'amministrazione ricorrente sostiene che la riserva di risarcimento 
dei danni, assertamente derivati dalla sospensione dei lavori disposta 
dalla stazione appal11Jante, avrebbe dovuto essere formulata dal Bologna 
al momento stesso della sospensione, in quanto, essendo stata essa 
motivata con la necessit� di progettare lavori aggiuntivi che superavano 
il sesto quinto, era chiaro fin da quel momento che il relativo ordine 
non rientrava nei casi consentiti ed era illegittimo. La riserva formu



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

lata nel verbale di ripresa dei lavori sarebbe quindi tardiva, tanto pm 
che il Bologna aveva accettato incondizionatamente l'esecuzione delle 
opere aggiuntive, legittimando cos� in via negoziale la sospensione (che 
era stata appunto disposta in relazione a tali opere, neanche oggettivamente 
preliminari a quelle principali). 

La censura non � fondata. 

In proposito � sufficiente osservare: 

a) che nella specie il danno lamentato dal Bologna � stato ricollegato 
dagli arbitri (con motivazione giudicata coerente ed adeguata) 
non alla sospensione in s�, ma alla sua eccessiva protrazione, non 
giustificata dal�e esig~nz~ della progettazione dei lavoti aggiuntivi e 
del perfezionamento del relativo' atto, di guisa che -secondo gli stessi 
arbitri -il danno stesso assunse consistenza e divenne obiettivamente 
apprezzabile solo quando la durata defila sospensione venne ad assumere 
una dimensione inragionevole, mentre nessuna rilevanza causale 
poteva avere la illegittimit� della sospensione stessa in s� considerata; 

b) che, in tale situazione, trova applicazione il principio costantemente 
espresso da questa Suprema Corte, secondo cui � tempestiva 
la riserva formulata nel verbale di ripresa dei lavori cio� quando � 
accertabile la rilevanza causale del fatto illegittimo dell'appaltante 
rispetto ai maggiori oneri derivati all'appaltatore (Cass., sentt. nn. 2486/73, 
2841/75, 3958/75, 8/76, 1137/76, 2097/80); 

e) che esattamente il giudice dell'impugnazione ha ritenuto atti 
nenti al merito della decisione arbitrale (esprimendo poi un giudizio 
insindacabide in ordine alla congruit� della re1ativa motivazione) le questioni 
relative agli effetti ed alle implicazioni dell'iniziale accordo sulle 
finalit� deUa sospensione ed alla sottoscrizione, da parte del Bologna, 
dell'atto aggiuntivo. 

Il giudice di rinvio provveder� anche sulle spese di questa fase. 

{omissis) 


SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, C.C. 22 marzo 1977 -rie. Delia Alongi 
Donato, parte civile (avv. Stato Paolo Di Tarsia). 

Procedimento penale -Parte civile, ricorso .per cassazione . Sentenza di non 
doversi procedere � Amnistia � Esclusione di aggravanti � Difetto di 
interesse della parte civile all'impugnazione. 
(cod. proc. pen., art. 195; cod. civ., art. 2059). 

E inammissibile per difetto d'interesse, il ricorso per cassazione proposto 
dalla parte civile contro la sentenza che ha dichiarato non doversi 
procedere contro l'imputato per essersi estinto il reato per amnistia, 
quando ci� sia avvenuto in seguito all'esclusione di aggravanti che non 
sono suscettibili di ridurre la misura della liquidazione (1). 

In tema di aggravanti. 

(1) La sentenza della Suprema Corte, che ha accolto la richiesta del procuratore 
generale, appare correttamente motivata, secondo il principio prevalentemente 
accolto, secondo il quale per pregiudizio della parte lesa non pu� 
intendersi la necessit� di provare in giudizio civile fatti che, altrimenti, con 
la sentenza di condanna sarebbero gi� coperti dal giudicato. Tale affermazione 
anche se ha purtroppo valore pi� teorico che pratico, deve essere .condivisa, 
con il conseguente corollario dell'inammissibilit� del ricorso nel caso di 
specie in cui, con sagge precisazioni, La Cassazione ha negato alcun pregiudizio 
alla pretesa risarcitoria azionabile in sede civile. 
Per quanto concerne il merito, la Suprema Corte non ha esaminato -n� 
del resto lo avrebbe potuto -le argomentazioni sulle quali era basata la 
sentenza del tribunale, erronea in diritto. 

Infatti il tribunale aveva erroneamente escluso la aggravante di cui all'art. 
61 n. �10 del codice penale (l'aver cio� commesso il fatto contro un pubblico 
ufficiale) perch� la qualit� di pubblico ufficiale della persona offesa dal 
reato di lesioni � gi� elemento costitutivo del reato di oltraggio addebitato allo 
imputato e sarebbe iniquo farlo gravare due volte. L'esclusione dell'aggravante, 
argomenta il tribunale, � gi� prevista per l'ipotesi in cui la circostanza 
sia altres� elemento costitutivo dello stesso reato cui dovrebbe essere applicata 
(art. 61 cod. pen.), ed il principio � stato in motivazione applicato anche al 
caso di specie in cui ricorre un'ipotesi di concorso formale di reati. 

L'affermazione del tribunale era peraltro erronea: � proprio infatti la 
norma contenuta nel primo comma dell'art. 61 con la sua tassativa disposizione 
ad escludere che l'ipotesi di esclusione di applicabilit� dell'aggravante ivi 
prevista possa applicarsi anche alla diversa ipotesi di concorso formale di 
reati. � Aggravano iJ reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze 
aggravanti speciali...� � frase che deve intendersi nel senso che l'esclusione 
non opera per le ipotesi che i reati siano diversi. La preposizione � ne � 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 429 

(omissis) Il 29 ottobre 1968 Giuseppe Sabatini, recatosi presso la 
scuola media statale �Ludovico Ariosto � in Roma per protestare contro 
il trattamento ingiusto che riteneva inflitto al nipote, allievo della scuola, 
colp� con uno schiaffo la professoressa Delia Mongi Donato, in presenza 
del segretario e dei bidelli, pronunciando le parole � Io l'ammazzo! �. 
Lo schiaffo produsse lesioni personali guarite in quaranta giorni. 

In seguito a ci� il Sabatini fu tratto a giudizio davanti al tribunale 
di Roma per rispondere di oltraggio (con le aggravanti della presenza 
di pi� persone e dell'uso di violenza e minaccia) e di lesioni personali 
volontarie (con le aggravanti di cui ai numeri 10 e 2 dell'art. 61 cod. pen., 
per avere commesso il fatto in danno di pubblico ufficiale al fine di 
eseguire il delitto di oltraggio). 

Con sentenza deH'8 maggio 1976 il tribunale dichiar� non doversi 
procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato di oltraggio perch� 
estinto per prescrizione, e in ordine a quello di ~esioni volontarie, 
escluse le aggravanti contestate, perch� estinto in virt� dell'amnistia 
concessa col d.P.R. 22 maggio 1970, n. 283. Il tribunale motiv� l'esclusione 
osservando: a) quanto all'art. 61 n. 10, che la qualit� di pubblico 
ufficiale della persona offesa era gi� elemento costitutivo del delitto 
di oltraggio, onde non si poteva valutarla una seconda volta a carico 
dell'imputato come aggravante del delitto di lesioni, commesso in concorso 
formale col primo; b) quanto al nesso teleologico, che, pur dovendosene 
in linea di principio ammettere la configurabilit� anche nel caso 
di concorso formale, non era concretamente provato che il Sabatini 

indica chiaramente che la norma ha possibilit� di applicazione soltanto in riferi� 
mento allo stesso reato. 

D'altronde la giurisprudenza ha esaminato altre volte la fattispecie cos� 
singolarmente decisa dal tribunale ed ha sempre affermato che ricorre l'aggravante 
nel delitto di lesioni commesse contro il pubblico ufficiale, a nulla rilevando 
che si versi in ipotesi di concorso di reati. 

Il tribunale aveva escluso altres� che nel caso di specie ricorresse l'aggravante 
prevista dall'art. 61 cod. pen., perch� aveva affermato che sarebbe 
stato troppo pretendere di aver raggiunto la certezza che il Sabatini volesse 
nello stesso tempo percuotere, ferire, oltraggiare e contemporaneamente rendersi 
conto che le lesioni erano in funzione dell'oltraggio. Secondo il tribunale 
cio�, d~re che H Sabartrlm aviesse consapevolezza del rapporto eSi�IStente fra rea1to� 
mezzo e reato-fine nell'attimo in cui colpiva, signmcava sostenere preventivamente 
un fatto di cui non si aveva certezza. 

Il tribunale, cos� decidendo, si era richiamato a quella giurisprudenza 
della Cassa2lione ~a quale ha affermato che d!l rearto di iliesione personale � 
aggravato dalla circostanza inerente alla connessione teleologica allorquando, 
.secondo l'apprezzamento in fatto, la lesione � stata voluta dal reo in aggiunta 
alla violenza necessaria e 'sufficiente ad integrare l'ipotesi prevista dall'ultimo 
comma dell'art. 341 cod. pen., sicch� la motivazione della sentenza del tribu� 
nale sembrava, con il richiamo a considerazioni di mero fatto, sfuggire a censure 
di legittimit�. Viceversa l'attenta !ettura della motivazione della sentenza 
persuadeva che questa � erroneamente imposta in diritto: innanzitutto il tri




430 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
avesse avuto consapevolezza del rapporto esistente tra il reato-mezzo e 
il reato-fine: non era provato, cio�, che il Sabatini, nell'attimo in cui 
colpiva, avesse voluto contemporaneamente percuotere, ferire e oltrag� 
giare, rendendosi conto, insieme, che le lesioni erano in funzione dell'oltraggio. 
La Alongi Donato, che si era costituita parte civile, ha proposto 
ricorso contro il capo relativo alle lesioni personali, deducendo: a) la 
violazione dell'art. 61 n. 10 cod. pen. per avere il tribunale escluso l'aggravante 
sebbene la qualit� di pubblico ufficiale fosse elemento costitutivo 
non del medesimo reato, come tassativamente previsto dalla prima parte 
dell'articolo, ma di un reato diverso, sia pure commesso in concorso 
formale col primo; b) la violazione dell'art. 61 n. 2 cod. pen., per avere 
il tribunale escluso il nesso teleologico in base ad una asserita impos� 
sibilit� di stabilire con certezza le reali intenzioni del colpevole, e ci� 
in contrasto col principio desumibile dall'art. 43 cod. pen., per cui si 
pu�. e si deve raggiungere tale certezza attraverso elementi induttivi 
ricavati dall'azione o dall'omissione. 

(omissis) Il ricorso � inammissibile per difetto d'interesse. 

In generale, a seguito delle sentenze n. 1/1970 e 29/1971 della Corte 
costituzionale, la parte civile pu� ricorrere per cassazione contro la 
disposizioni della sentenza penale che, pur non essendo di per s� preclu


bunale non indicava i fatti a sostegno della sua convinzione e pertanto sotto 
questo profilo la sentenza poteva essere censurata per il vizio di omessa motivazione. 
Non si pu� infatti ritenere valida motivazione quella basata soltanto su argomentazioni 
astratte, non riferite a precisi fatti di causa, mentre erano decisamente 
astratte le considerazioni che il tribunale aveva fatto in ordine all'intenzione 
dell'agente. In secondo luogo vi era sicuramente un censurabile errore 
di diritto laddove il primo giudice, che aveva pur premesso la possibilit� di 
giungere all'accertamento della sussistenza del nesso teleologico attraverso 
elementi induttivi, aveva Oltllesso di considerare i fatti fenomenici nehla Joro 

obiettiva realt� come conseguenza dell'azione del reo (art. 43 cod. pen.). Non 
v'� dubbio che nessun giudice � in grado di stabilire con certezza le reali 
intenzioni dell'uomo che delinque con una penetrante indagine psicologica 
ed � proprio per questo che il corretto modo di giudicare voluto dal principio 
desumibile dall'art. 43 cod. pen., � quello di giungere all'accertamento attraverso 
elementi induttivi desumibili dall'azione od omissione. Il procedimento 
non pu� essere, cos� come il giudice di merito aveva fatto, invertito se non 
sotto pena di escludere la possibilit�, pur imposta dall'ordinamento positivo, 
di giungere a certezze giuridiche. 

Sull'impugnazione della parte civile e sui rapporti fra giudicato penale e 
giudizio civile dopo le decisioni della Corte costituzionale v. I giudizi di costituzionalit� 
e il contenzioso dello Stato negli anni 1971-1975, Ili, p. 908 nonch� 
Cass., 2 aprile 1979, n. 521, m. 1142.652 in Mass. dee. pen., 1979, p. 811; 28 gennaio 
1976, n. 196, m. 132.945, ivi 1976, p. 537; �15 maggio 1975 n. 1331, m. 131.803, 
ivi, 1976, p. 46. 

PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

sive dell'azione civile, arrechino comunque pregiudizio ai suoi interessi, 
ad esempio escludendo o limitando il risarcimento dei danni morali. 

Di solito il proscioglimento per amnistia, in quanto prescinde dall'accertamento 
dei fatti, non pregiudica in alcun modo _gli interessi civili 
del danneggiato. Estinto il reato per amnistia, il giudice civile, adito 
per le restituzioni e il risarcimento del danno, conserva piena ed autonoma 
facolt� non solo di ricostruire il fatto, ma anche di accertare, 
agli effetti dell'art. 2059 cod. civ., se in esso ricorrano gli elementi costitutivi 
del reato. 

B vero che tale principio incontra un limite allorch� l'accertamento 
di merito del giudice penale sia stato necessario per l'applicazione dell'amnistia, 
e cos� per escludere un'aggravante (Cass. civ., Sez. III, 10 novembre 
1970, n. 237, in Giust. civ., 1971, I, 48); ed � altrettanto vero 
che il giudizio sulle circostanze del reato pu� pregiudicare gli interessi 
della parte civile, talvolta limitando il risarcimento del danno patrimoniale 
(come quando venga a cadere l'aggravante di cui all'art. 61 n. 7, o 
viceversa sia concessa l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen.), e pi� 
spesso incidendo sfavorevolmente sulla liquidazione del danno non patrimoniale. 
Questa liquidazione � bens� affidata al criterio discrezionale del 
giudice di merito, ma deve essere proporzionata all'intensit� delle sofferenze 
morali dell'offeso, la quale a sua volta dipende (salvo quanto 
subito si dir�) dalla complessiva gravit� del reato, valutata in rapporto 
a tutte le particolarit� del caso singolo. Perci� l'esclusione di una 
aggravante pu� (o pi� esattamente, nei congrui casi, deve) influire sul 
detto potere discrezionale e, di conseguenza, ridurre la misura della 
liquidazione. 

Ma per altro verso occorre considerare: a) in primo Juogo, che alcune 
aggravanti, in quanto determinano un aumento della pena esclusivamente 
per ragioni di difesa sociale, come indice di pi� spiccata pericolosit� 
del reo, sono per loro natura inidonee non solo ad aggravare il 
danno economico, ma anche ad accrescere le sofferenze morali dell'offeso, 
onde la loro affermazione o esclusione non pu� influire sulla misura 
del risarcimento; b) in secondo luogo, che, anche fuori della suddetta 
~potesi, gli interessi civili del danneggiato possono �risentire pregiudizio 
non gia per la qualificazione giuridica data al fatto dal giudice penale, 
ma soltanto per l'esclusione degli elementi di fatto su cui l'aggravante 
� fondata. 

Sotto il primo profilo, la parte civile non ha alcun interesse a dolersi 
dell'esclusione dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 cod. pen. La connessione 
tra reato-mezzo e reato-fine non pu� arrecare all'offeso, neppure 
in forma di afflizione morale, un pregiudizio ulteriore e distinto rispetto 
a quello che gi� risulta dall'oggettiva combinazione delle due lesioni 
giuridiche. Qualora il reato-<fine non sia commesso, ovvero i due reati 
incidano su soggetti diversi, il nesso teleologico, in quanto attiene esclu



432 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sivamente alla particolare perversit� e pericolosit� del colpevole, � del 
pari inidoneo a cagionare alla vittima del reato-mezzo un ulteriore pregiudizio 
materiale o morale. 

Sotto il secondo profilo, si deve escludere, nel caso specifico, che 
l'eliminazione dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 10 cod. pen. pregiudichi 
gli interessi civili della Alongi Donato. In generale, il fatto che un reato 
sia commesso contro un pubblico ufficiale nell'atto o a causa dell'adempimento 
delle funzioni non � privo di rilevanza ai fini del risarcimento 
del danno, quanto meno morale: il soggetto passivo, per l'offesa arrecata 
al proprio prestigio di pubblico ufficiale, risente un'afflizione maggiore 
di quella che deriverebbe dal reato semplice. Nella specie, per�, la sentenza 
impugnata non ha escluso la situazione di fatto su cui si fonda 
l'aggravante (qualit� di pubblico ufficiale del soggetto passivo e connessione 
fra tale qualit� e la condotta dell'imputato): al contrario, ha 
riconosciuto esistente questa situazione, e si � limitata ad ,escludere, a 
fini puramente penalistici, che essa potesse valutarsi due volte a carico 
del Sabatini, come elemento costitutivo dell'oltraggio e come aggravante 
delle lesioni contestualmente commesse. Trattandosi di concorso ,formale 
di reati (ossia di unica azione) a danno della stessa persona, il fatto 
illecito, agli effetti civilistici, � unico: e il giudice civile pu� valutare 
con pienezza di poteri, sotto il duplice aspetto patrimoniale e morale, 
la portata lesiva del fatto, cos� accertato nella sua materialit�. 

In tale situazione, il riconoscimento delle aggravanti controverse 
non amplierebbe la sfera del danno risarcibile e non apporterebbe alcun 
vantaggio, concreto e giuridicamente rilevante, alla Alongi Donato: la 
quale, perci�, non ha interesse a ricorrere contro la sentenza che tali 
aggravanti ha escluso. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. IV, 14 aprile 1981, n. 878 -Pres. Ridola -
Rel. Di Noi -P. M. Antonucci (conf.) -Rie. Ministero Difesa (avv. 
Stato Paolo Di Tarsia). 

Responsabilit� civile � Responsabilit� diretta della pubblica amministra


zione per fatto del dipendente -Occasionalit� necessaria � Rapporto 

organico -1Sussiste anche in ipotesi di fatto commesso da sentinella 

che abbia abbandonato il posto di guardia. 

(cost., art. 28; cod. civ., art. 2049)~ 

L'Amministrazione della Difesa risponde a titolo di responsabilit� 
organica diretta dell'omicidio colposo commesso da una sentinella nel 
periodo di tempo durante il quale ha abbandonato momentaneamente 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 433 

il posto, trovando il fatto anche in tale ipotesi la sua necessaria occasione 
nel servizio al quale l'imputato era stato preposto (1). 

(omissis) Verso le ore 2,30 della notte dal 16 e 17 febbmio 1974, a 
bordo della motocannoniera � Lampo � della Marina militare, ormeggiata 
nel porto di BrindiSli, due militari in servizio di guardia, i sergenti 
Alvaro Checchi e Francesco De Palo, dopo essersi aHontanati dal posto 
ad essi assegnato rispettivamente a poppa ed a prua del natante, si 
davano convegno in un locale antistante la � centrale di propulsione � 
allo scopo di sorbire un �caff�. Senonch�, in quel momento, dal mitra 
in possesso del De Palo partiva un colpo che raggiungeva il Checchi, 
uccidendolo. 

Tratto a giudizio del tribunale di Brindisi per rispondere del reato 
di omicidio colposo, il De Palo, con sentenza in data 12 aprile 1979, veniva 
riconosduto colpevole e condannato, in concorso di circostanze 
attenuanti generiche, aHa pena di mesi otto di reclusione, condizionaimente 
sospesa, nonch�, in solido con il Ministero della difesa, respon-

Esistono ancora dei limiti alla responsabilit� diretta dell'Amministrazione 
per fatto del dipendente? 

Il meno che si possa dire della sentenza che si annota � che si tratta di 
una decisione pietatis causa, mentre con un pi� appropriato linguaggio giuridico 
potrebbe affermarsi che la soluzione adottata offre un ulteriore esempio 
della tendenza a travolgere i principi su cui si basa la responsabilit� organica 
della p.a. 

Come � ben noto, la p.a. risponde a titolo di responsabilit� diretta per 
il fatto del suo dipendente perch�, non avendo n� mano, n� testa, n� voce, 
l'amministrazione si avvale necessariamente della mano, della testa e della 
voce del suo dipendente: �denrt.rit� quindi e non diversit� di soggetti. e impossibilit�, 
perci�, per definizione, di ogni riferimento all'art. 2049 cod. civ. 

La responsabilit� diretta perci�, presupponendo unica soggettivit� giuridica, 
richiede un ulteriore, indispensabile requisito: che il dipendente abbia 
agito per i fini istituzionali della p,a. 

Che cosa significa? Ci� � abbastanza chiaro alfa giunispmdenza meno recente: 
se il dipendente � lo strumento attraverso il quale l'amministrazione 
si muove, quel dipendente si deve muovere secondo gli scopi, che l'amministrazione 
si propone. � un'affermazione di carattere generico: certo non pu� 
risalire all'amministrazione soltanto l'azione del carabiniere che arresta, del 
carabiniere che previene, del carabiniere che accompagna; risale all'amministrazione 
anche l'attivit� del carabiniere che spara per errore, se l'intento 
non esula dai fini istituzionali dell'ente, risale all'amministrazione l'attivit� 
del dipendente del Ministero delle finanze che, in un accertamento tributario, 
erra e aggrava l'imposizione. In questi casi, pur nell'errore, il riferimento 
all'amministrazione non si interrompe, perch� ogni attivit�, sia correttamente, 
sia scorrettamente posta in essere, purch� abbia riferimento astratto agli 
scopi dell'ente, � all'ente stesso riferibile. 

Ma c'� un limite a tutto ci�, limite che � stato abbondantemente studiato 
in dottrina e in giurisprudenza. Si � detto che il dolo del dipendente interrompe 
il rapporto organico e su questa affermazione � dolo� vi sono state in 



434 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sabile civile, al risarcimento dei danni in favore di Checchi Antoni�, 
padre della vittima, costituitosi parte civile. 

A seguito di rituale impugnazione, proposta sia dall'imputato �che 
dal responsabile civile, la Corte d'appello di Lecce, con sentenza del 
29 febbraio 1980, concedeva al De Palo il beneficio della non menzione 
della condanna nel certificato del casellario giudiziale rilasciato a richiesta 
da privati, confermando nel resto la decisione appellata. 

Ricorrono per cassazione l'imputato ed il Ministero della difesa. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. -La Corte osserva preliminarmente che il De Palo ha omesso 
di presentare, a norma dell'art. 201 cod. proc. pen., i motivi a sostegno 
del ricorso. 
Quest'ultimo va pertanto dichiarato inammissibile. 

2. -Il Ministero della difesa deduce due motivi di censura. 
I

Con il primo di essi lamenta la violazione e falsa applicazione degli 

I ~ 

artt. 28 della Costituzione e 2049 cod. civ., in relazione agli artt. 185 
cod. pen.. e 524, n. 1 cod. proc. pen., nonch� l'erronea e insufficiente 
motivazione su un punto decisivo della controversia. 

I ~ 

La Corte d'appello, nell'affermare la responsabilit� civile del Ministero 
della Difesa, avrebbe erroneamente .fatto riferimento alla teoria 

realt� delle incertezze giurisprudenziali. In un primo tempo si era detto che 
il dolo inteso in senso penalistico come intenzione e volont� di un evento i 

I{: 
cui elementi si rappresentavano compiutamente al reo, interrompeva di per 
s� solo il rapporto organico, perch� non era concepibile atteggiamento doloso 
riferito all'amministrazione dello Stato. La giurisprudenza ha poi per� esteso 
la responsabilit� dell'amministrazione, stabilendo che non bastava l'intenzione 

I 

e la volont�, cio� il dolo inteso in senso penalistico, per interrompere il rap


r: 
porto organico, perch� se era vero che il dipendente � strumento dell'amminisfrazione 
quando agisce per i suoi scopi istituzionali, poteva non essere vero 
che la realizzazione di un evento con dolo non rientrasse negli scopi istituzionali 
dell'ente. Oos�, nell'esempio dell'accertamento fiscale, si pu� intenzionalmente 
voler realizzare un evento di accertamento pi� oneroso, ma pur sempre 
riferibile all'attivit� dell'amministrazione, diretta alla percezione dei tributi. 
Ll criterio clisorirnmatore allom � stato rinvenuto nel .definire il dolo 
in un ambito pi� ristretto rispetto all'accezione penalistica del termine e lo si 
� inteso come dolo di parte, cio� come fine egoistico, esclusivo, proprio della 
persona fisica del dipendente, il quale, sia pure in occasione dell'inserimento 
nella p.a., ma trascurando per� completamente i compiti istituzionali o addirittura 
in contrasto con essi, realizza un evento per un dolo cos�, come la 
giurisprudenza la definisce, di parte, un evento che quindi non corrisponde in 
astratto ai fini istituzionali dell'Ente. 

A questo punto l'evoluzione giurisprudenziale avrebbe potuto fermarsi, 
avendo assicurato, entro corretti limiti e in coerenza con le surrichiamate 
caratteristiche deilr'iistituto, 1a rLferibilllH� aiLl'ammini:strazione deilie azioni 
commesse dal suo dipendente. Coerenti applicazioni ne sono state fatte quando, 



PARTE l, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 435 

della cosiddetta occasionalit� necessaria, peraltro non ravvisabile nella 
fattispecie, anzitutto perch� i due militari avevano illegittimamente 
� sospeso � il servizio ed in secondo luogo perch� l'incidente era scaturito 
dall'uso dell'arma effettuato al di fuori dell'esercizio delle attribuzioni 
d'istituto. 

In altri termini -secondo il ricorrente -la semplice detenzione 
di un'arma per ragioni di servizio non consentirebbe di ritenere che 
tutte le conseguenze derivanti dall'uso di essa debbano necessariamente 
ricollegarsi al servizio medesimo, dovendosi per conto accertare, di volta 
in volta, i moventi dell'azione. 

Con il secondo motivo, poi, si denuncia la violazione e falsa applicazione 
degli artt. 2056 e 1227 cod. civ., in relazione dell'art. 524, n. 1 
cod. proc. pen., per vizio di motivazione in punto di diniego di ogni concorso 
di co1pa della vittima. 

Ci� premesso si osserva che il ricorso del Ministero della difesa 
non � fondato. 

Quanto al primo motivo � invero principio giurisprudenziale ormai 
consolidato (Cass., Sez. IV pen., 18 novembre 1975, rie. Lauria) che, ai 
fini della sussistenza della responsabilit� della pubblica amministrazione 
per fatti illeciti dei suoi dipendenti, devono concorrere due condizioni: 
anzitutto, il nesso di causalit� oggettiva tra il� comportamento 
del dipendente e l'evento dannoso; e, in secondo luogo, la riferibilit� 
all'amministrazione del fatto posto in essere dall'autore. Va peraltro 

ad esempio, fu ritenuta fa <responsab~Lit� del1'Ammirnst1razione per hl: darn1.o 
cagionato in seguito ad un incidente automobilistico commesso da un militare 
che, pur avendo abbandonato il suo posto, aveva accompagnato con una campagnola 
due sentinelle ai rispettivi posti di guardia (Cass., 18 novembre 1975, 

n. 2681, in Mass. dee. pen., 1976, p. 621, m. 100.13'8) o quando si rifer� alla p.a. 
la responsabilit� di altro incidente stradale commesso da un brigadiere di 
p.s. che, incaricato di accompagnare, con mezzi pubblici, due profughi al centro 
di raccolta, si era invece servito della propria auto privata (Cass., 24 gennaio 
1976, n. 223, in Foro it. mass., 1976, 69, n. 227). 
Queste decisioni, anche se estendono l'ambito delLa responsabilit� organica 
in un modo che non � andato esente da critiche (v. I giudizi di costituzionalit� 
e il Contenzioso dello Stato negli anni ([966-1970, II, p. 237 e ss.) avevano 
peraltro il pregio di presupporre, come indispensabili, due elementi: il 
nesso di causalit� e la riferibilit� all'amministrazione del liatto commesso, in 
quanto in collegamento di necessaria :xcasionalit� con i fini istituzionali. Per 
spiegare questo concetto una valida occasione era stata offer1la alla Suprema 
Corte quando, di fronte ad una domanda di risarcimento danni da incidente 
stradale, la cui responsabilit�, accer�ata definitivamente in giudizio penale, risaliva 
ad un carabiniere che, incaricato di recapitare un plico, si era servito 
come mezzo di trasporto, di una bicicletta non appartenente all'amministrazione 
e il cui uso non era previsto da disposizione di servizio, afferm� che il 
rapporto organico, in forza del quale la pubblica amministrazione � chiamata 
a rispondere direttamente dei danni arrecati ai terzi, con dolo o con colpa, 
dai propri dipendenti, deve ritenersi interrotto quando l'attivit� di questi ultimi 



436 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO 
soggiunto, quanto alla seconda delle due condizioni succitate, che se 
pure � vero che il rapporto organico in forza del quale la pubblica ammin.
istrazione � chiamata a rispondere dei danni arrecati ai terzi, con 
dolo e con colpa dei propri dipendenti, deve ritenersi interrotto allorquando 
l'attivit� di questi ultimi sia stata rivolta a:l conseguimento di 
proprie :finalit� e non gi� alla realizzazione degli scopi istituzionali propri 
dell'amministrazione medesima, tuttavia non sempre e necessariamente 
le eventuali deviazioni dai comportamenti dovuti e persino l'abuso 
di potere posti in essere dai dipendenti comportano tale interruzione 
(Cass., Sez. IV pen., 18 novembre 1975, gi� citata; Cass., Sez. III civ., 
436 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO 
soggiunto, quanto alla seconda delle due condizioni succitate, che se 
pure � vero che il rapporto organico in forza del quale la pubblica ammin.
istrazione � chiamata a rispondere dei danni arrecati ai terzi, con 
dolo e con colpa dei propri dipendenti, deve ritenersi interrotto allorquando 
l'attivit� di questi ultimi sia stata rivolta a:l conseguimento di 
proprie :finalit� e non gi� alla realizzazione degli scopi istituzionali propri 
dell'amministrazione medesima, tuttavia non sempre e necessariamente 
le eventuali deviazioni dai comportamenti dovuti e persino l'abuso 
di potere posti in essere dai dipendenti comportano tale interruzione 
(Cass., Sez. IV pen., 18 novembre 1975, gi� citata; Cass., Sez. III civ., 
24 marzo 1979, n. 1708, rie. Pratese; Cass., Sez. III civ., 24 gennaio 
1976, n. 227, rie. Ministero interno). 

Invero, al fine di stabilire se la deviazione di comportamento da 
parte dell'agente abbia avuto l'effetto di determinare l'interouzione del 
rapporto organico con l'amministrazione e quindi del nesso causale, 
oltre ad aver riguardo alla :finalit� terminale cui l'attivit� risulti nel 
suo complesso preordinata (Cass., Sez. III civ., 21 febbraio 1966, n. 551, 
rie. Amministrazione difesa-esercito), necessita compiere una duplice valutazione: 
la prima di natura soggettiva, rivolta cio� ad accertare l'effettivo 
intendimento del dipendente e la consapevolezza dello stesso circa 
le conseguenze del suo operato; la seconda, invece, diretta a determinare, 
sotto il profilo obbiettivo, se il comportamento deviante abbia 
inciso sull'attivit� dell'amministrazione in maniera cos� penetrnnte da 

sia stata rivolta ai fini propri e non gi� alla realizzazione dei fini istituzionali 
dell'ente, e che per apprezzare la esatta portata di questo principio, oc> 
corre considerare che ogni attivit� diretta al conseguimento di un determinato 
scopo si articola normalmente in una serie di operazioni, concettualmente 
isolabili in vista delle rispettive finalit� di carattere intermedio 
ma tuttavia riconducibili, per la loro funzione strumentale, alla finalit� 
terminale cui tende l'attivit� nel suo complesso. 

� appunto a questa ultima finalit� che occorre richiamarsi quando si 
tratti di stabilire il nesso di occasionalit� necessario tra l'attivit� del dipendente 
e le incombenze ad esso affidate, e la conseguente riferibilit� dell'evento 
dannoso alla pubblica amministrazione; n� tale nesso rimane escluso per il 
fatto che, nel corso delle operazioni intermedie, il dipendente commetta abuso 
di poteri, allorch� tale abuso (ancorch� determinato, in ipotesi, da esigenze 
puramente egoistiche) appaia strumentalmente connesso, anche in materia 
anomala, con i fini istituzionali dell'ente (v. Cass., 21 febbraio 1966, n. 551, 
in Foro it. Mass., 1966, 187). 

In queM'occasione la Cassaz;ione, fornendo una implioi1Ja definizione del1'
�occasionalit� necessaria�, aveva precisato che non valeva distinguere tra 
la consegna del plico, come attivit� svolta nell'interesse della pubblica amministrazione, 
e l'uso della bicicletta, come attivit� diretta al soddisfacimento di una 
comodit� personale dell'incaricato e che, anche ad ammettere che l'impiego della 
bicicletta costituisse un abuso, come diretto alla soddisfazione di una esigenza 
puramente egoistica, ci� non escludeva che quella attivit� fosse diretta, in via 
strumentale, e sia pure come modalit� anomala, alla consegna del plico, all'adem



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 437 

trasformarne la connotazione fino a renderla comunque non riferibile 
ai compiti istituzionali propri della stessa. 

Ora, nell'aipplicare tali principi alla fattispecie in esame, la Corte 
rileva: a) che, pur essendosi il De Palo ed il Checchi allontanati, per 
spontanea detemninazione, dai rispettivi posti di guardia loro assegnati, 
i predetti non ebbero comunque a manifestare, n� esplicitamente, n� 
implicitamente, l'intento di abbandonare, in vfa definitiva, il servizio al 
quale erano preposti, tant'� che, nel portarsi all'interno del focale ove 
poi l'incide:nte si verific�, i due continuarono a mantenere le armi in 
loro dotazione, confermando con ci� la non equivoca volont� di considerarsi 
attivamente impegnati in quel servizio; b) che la situazione ambientale 
(tenuto conto, infatti, che, a causa delle ridotte dimensioni 
della nave, sussisteva una certa contiguit� dei posti di guardia all'esterno, 
rispetto al locale in cui i due si dettero convegno) non appariva 
tale da contraddire quell'intendimento o, in ogni caso, da vanificarlo 
nella sostanza: il momentaneo allontanamento dai posti di guardia ebbe 
cio� di incidere non tanto sulla continuit� del servizio di vigilanza, 
da ritenere ancora sicuramente in atto, quanto piuttosto sulla sua orga� 
nizzazione e sulla conseguente efficacia operativa, specie ove le circostanze 
avessero, in ipotesi, richiesto immediatezza e rapidit� di interventi; 
e) che l'interruzione del rapporto organico e del nesso causale 
non � neppure ravvisabile con riferimento al comportamento assunto 
dall'imputato e dalla vittima, una volta aH'im.terno deil focale. Con sta-

pimento, cio�, di quella incombenza, finalit� terminale, che al militare era stata 
affidata nell'ambito del servizio. 
� evidente, negli esempi fin' qui fatti, la logica coerenza delle affermaziorui: 
giurisprudenziailii con Ja. voluta eSltensione del principio. 

Nel caso in esame per� non � stata fatta applicazione estensiva del 
principio stesso, essendo stato questo totalmente travolto e la necessaria 
occasionalit�, vista come inserimento di un atto personale del dipendente 
che purtuttavia non � antitetico con la realizzazione dei fini istituzionali 

della p.a., diventa mera occasionalit� naturale! Poich� le armi di cui erano 
dotate le sentinelle -erano state date loro dall'amministrazione, questa risponde 
automaticamente all'omicidio, anche se il gravissimo reato da quelle 
commesso (abbandono del posto di guardia punito dal codice penale militare di 
pace) era di per s� solo idoneo ad escludere l'inserimento della loro azione nella 
scia dei fini istituzionali. 

Il travolgimento del principio sarebbe stato ancor pi� grave tuttavia 
se la Suprema Corte non avesse dato credito alla ricostruzione della Corte 
d'appello che ha ritenuto che fra i due imputati non si era dato avvio ad una 
giara di velocit� nel brandeggio delle armi: cos�, negato il fatto pi� allarmante, 
minimizzato l'abbandono di posto per recarsi a sorbire il caff�, affermata 
la possibilit� della guardia di una nave... anche da un locale sottocoperta, 
� stato possiibiie alla Sup:rema Corte dii Cassazione non stroncare ila riichiesta 
di risarcimento rivolta alla p.a. 

PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE 



438 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tuizione di fatto insindacabile nel corso del presente giudizio di legittimit�, 
perch� correttamente motivata sulla base delle risuJ.tanze processuali, 
la Corte d'appello ha invero escluso che il colpo mortale sia 
partito dal mitra dell'imputato durante una finta gara di velocit� nel 
brandeggio delle armi; sicch� non pu� essere revocata in dubbio la 
sussistenza di una diretta correlazione tra i seguenti elementi: la continuit� 
del servizio di guardia, sostanzialmente ancora in atto per le 
ragioni anzidette; il possesso delle armi da parte dei due protagonisti, 
in funzione esclusiva di quel servizio; l'insussistenza di alcuna iniziativa 
arbitraria nell'uso e nel maneggio delle armi medesime. 

Da tale stretta correlazione discende dunque che l'incidente di cui 
trattasi, pur essendo ascrivibile, penalmente, alla colpevole condotta 
del De Palo, nei termini accertati dai giudici di merito, trov� tuttavia 
la propria � necessaria oocasione � nel servizio al quale l'imputato era 
stato preposto (unitamente alla vittima) da parte dell'amministrazione 
militare alla quale egli in quel momento era legato da un rapporto 
organico di dipendenza; onde la responsabilit� civile dell'accaduto deve 

I 

direttamente essere riferita all'amministrazione medesima. 

I ~ 

In ordine, poi, al secondo motivo di censura, la Corte rileva che 
il preteso concorso di colpa viene ad essere configurato, in questa 
sede, sotto un profilo sostanzialmente nuovo rispetto a quello delineato 
in appello. In quell'occasione, invero, il responsabile civile ebbe a rile


I

vare la sussistenza del concorso in parola sul presupposto che l'incidente 
si fosse verificato nel corso di una gara ingaggiata, per giuoco, I 
tra i due protagonisti (gara consistente nel misurare la velocit� nell'impugnare 
le armi e nell'aprire il fuoco); ma tale ipotesi non ha tro


I

vato credito da parte del giudice d'appello che l'ha infatti disattesa, 
come dinanzi precisato. Il motivo di ricorso in esame prospetta invece 
la sussistenza del preteso concorso di colpa sotto il diverso profilo del


I 
l'illecito comportamento del Checchi, per avere quest'ultimo abbandoij 
nato, in violazione della consegna ricevuta, il posto di guardia. L'inammissibilit� 
della censura appare tuttavia trasparente, per la radicale 
immutazione 9-el suo contenuto rispetto all'originaria, prospettazione 
sottoposta all'esame della Corte di merito. (omissis) 



PARTE SECONDA 



QUESTIONI 


IL CONGRESSO DI MESSINA DEL 3-8 NOVEMBRE 1981 (*) 

1. -Intitolato a cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia 
ed organizzato dalla Facolt� di giurisprudenza dell'universit� di Messina 
con la collaborazione della casa editrice Giuffr�, inaugurato con 
J',intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e concluso dal 
Ministro di grazia e giustizia, si � svolto a Messina ed a Taormina 
un congresso a cui hanno dato lustro moltissimi fra i pi� prestigiosi 
esponenti del Gotha giuridico italiano, che hanno analizzato, come relatori, 
l'esperienza legislativa, scientifica, giurisprudenziale e professionale 
dell'ultimo mezzo secolo. 
Chi vi ha partecipato come uditore ha potuto cos� godere del singolare 
privilegio di ascoltare la narrazione di un periodo di storia �per 
bocca dei suoi protagonisti� (1) e liberarsi, se mai ne fosse stato affetto, 
dal cinico pregiudizio che l'esperienza sia soltanto il nome che 
ciascuno d� ai propri errori. 

Non si vuole certo qui riferire del Congresso per anticipare in modo 
parziale ed impreciso quella che sar� la pubblicazione integrale dei 
lavori. Sembra, invece, non ozioso tentare di cogliere alcune costanti 
che, :per aver caratterizzato molti interventi (o anche solo alouni di 
essi, ma fra i pi� significativi) si propongono come interessante momento 
di riflessione. 

2. -Un primo dato che emerge, forse indotto anche dall'approssimarsi 
delle soglie del millennio, nonostante le revisioni operate dalla 
storiografia pi� recente sulla tradizionale immagine dell' � Anno Mille 
� (2) -ma, ahim�, quanto consono con le realt� contemporanee -� 
il taglio � millenaristico � di molte relazioni. 
I termini ricorrenti con sintomatica frequenza sono stati quelli 
di �crisi� (dello Stato, del diritto, della societ�, dei valori di civilt�) 
e di �catastrofe�: il tutto rapportato, naturalmente, alla scala della 

(*) T'ra ille relazioni presentaite a1 congresso vi era que1Jla dell'avvocato 
generale dello Stato, avv. Giuseppe MANzARI, il cui testo integrale sar� pubblicato 
per i tipi di Giuffr� con tutti i lavori del convegno. Su questa Ras� 
segna pubblicheremo, contemporaneamente, il pi� breve testo della trascrizione 
dell'intervento orale. 

(1) F. SANTORO PASSARELLI, Considerazioni conclusive. 
(2) G. DABY, L'An Mil, Julliard, 1967. 

$. ., 
. . 
$. ., 
. . 
-

28 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dimensione planetaria (3). Con riferimento specifico aJ nostro Paese, 
si �, poi, parlato delle � acque melmose di un procedimento di involuzione 
� (4) dal cui stagnare sembra difficile trarre incoraggianti 
auspici. 

Il dato appare particolarmente allavmante, considerato anche che 
chi, in chiusura di lavori, aveva cercato di reagire con una parola di 
ottimismo e dl negazione della crisi, ha dovuto, poi, concludere la 
sua relazione definendo quello italiano come �un orilinamento che ha 
perduto punti e centri di riferimento ed �, si direbbe, al limite dell'anomia 
� e diagnosticando, in sede mondiale, il declino irreversibile 
dello Stato nazioniale, giunto all'esaurimento del suo ciclo storico e 
l'avvento �prossimo venturo � -attraverso un lungo travaglio di guerre 
e rivoluzioni -di una �Repubblica Universale� (5). 

La crisi attuale, analizzata in uno spaccato orizzontale, � stata individuata, 
con singolari consonanze interdisciplinari fra sociologia, filosofia 
e diritto, in quella di un tempo � interepocale � (6), caratterizzato da una 
d]varicazione fra l'evolversi de1la realt� sociale e la risposta defila norma 
giuridica (7), in cui la confusione dei linguaggi porta all'incomunicabilit� 
(non a caso alcuni orientamenti di filosofia del diritto puntano alla critica 
non del contenuto delle norme, ma della loro forma espressiva) (8) 
ed il rifiuto totale del formalismo giuridico all'irrazionalit� (9). La societ� 
�, dunque, minacciata nella sua stessa identit� dai mostri generati 
dal sonno della ragione, in una situazione inquietantemente simile, 
nelle prospettive, a quehla degli anni '30 (10), anche se profondamente 
diversa nei contenuti, individuabili in una degradazione della convivenza 
a mera coesistenza, in una degenerazione del pluralismo in particolarismo 
ed in un difetto di tutela apprestata dall'ordinamento ai gruppi intermedi 
sprovvisti di capacit� aggregante (11). 

3..-Al di l� del momento .contenutistico cos� delineato con pessimismo 
purtroppo quanto mai realistico, la consonanza sopra individuata 

(3) Per tutti, cfr. A. FALZEA, Relazione introduttiva e, con diverse sfumature 
ed angolazioni; A. BRANCACCIO, Esperienza giurisprudenziale -Diritto penale,� 
G. FLORE, Esperienza giurisprudenziale -Diritto privato; F. GRANDE STEVENS, 
Esperienza professionale -Diritto privato; G. MANZARI, Esperienza professionale 
-Avvocatura dello Stato; R. NICOL�, Esperienza scientifica -Diritto civile; 
F. PIGA, Esperienza giurisprudenziale -Diritto pubblico,� A. SORRENTINO, Esperienza 
professionale -Diritto pubblico. 
(4) V. CRISAFULLI, Esperienza legislativa. 
(5) M. S. GIANNINI, Esperienza scientifica -Diritto amministrativo. 
(6) A. FALZEA, cit. 
(7) R. TREVES, Esperienza scientifica -Sociologia del diritto. 
(8) S. COTTA, Esperienza scientifica -Filosofia del diritto. 
(9) A. FALZEA, cit. 
(10) V. CRISAFULLI, cit. 
(11) A. FALZEA, cit. 
I ~ 

I 



PARTE II, QUESTIONI 29 

fra tante delle relazioni mette in luce anche una comunanza di metodo 
storico-critico usato dai relatori e volto a cogliere, nel fluire degli eventi 
nel tempo, i nessi fra momento socio-politico, momento culturale e momento 
giuridico. Come per il termine finale, cos� anche per il termine 
iniziale del periodo in considerazione � stato, quindi, naturalmente colto 
lo svolgersi parallelo di una crisi del diritto correlata ad una crisi sociopolitica 
e culturale. Ovvio, poi, che tale metodo abbia portato ad un 
ampliamento dell'orizzonte oltre gli angusti confini nazionali, coinvolgendo 
nell'esame la civilt� europea nel suo insieme (12) o, addirittura 
(e forse pi� esattamente), tutto l'occidente industrializzato (13). 

4. -Altro caratteristico dato di consonanza -relativo, questa volta, 
pi� specificamente all'Italia -si rinviene nella datazione del momento 
che separa, effettivamente, in questo dopoguerra, l'esperienza autoritaria 
da quella democratica, segnando anche l'inizio di una nuova �crisi epocale
�. 
Con una coincidenza troppo precisa per essere casuale, tale momento 
viene collocato da molti relatori, non gi� nel 1948, ma nel cuore 
degli anni '60, dovendosi ravvisare nel primo periodo repubblicano � una 
sostanziale continuit� dell'ordinamento�, soprattutto nella sua prassi (14) 
e dovendosi attendere addirittura gli anni '70 per vedere realizzate �le 
riforme� (15) volute dal Costituente. In altri termini cos� il legislatore 
ordinario (16) come il giurista e l'operatore del diritto, conservatori per 
tradizione (17), come le pubbliche istituzioni e la coscienza sociale (18), 
furono �inizialmente indifferenti� nei confronti della Costituzione repubblicana 
(19), ed il �ceto politico impieg� venti anni per acquisirne coscienza 
� (20). 

Inutile sottolineare l'importanza di questa constatazione al confine 
fra l'esame collettivo di coscienza e la scoperta di un fenomeno di discrasia 
fra ordinamento e societ�, d'altronde non infrequente (21). 

Nel respiro lungo defila storia appaiono, quindi, nettamente fuori bersaglio 
le critiche, spesso assai dure, rivolte all'Avvocatura dello Stato 
per aver difeso, nei primi giudizi di costituzionalit� � tesi antidemocrati


(12) V. CRISAFULLI, cit., 
(13) A. FALZEA, cit.; G. FERRI, Esperienza scientifica -Diritto commerciale; 
F. GRANDE STEVENS, cit.; G. MANZARI, cit. 
(14) F. PIGA, cit. In senso sostanzialmente conforme A. BRANCACCIO, cit.; 
G. MANZARI, cit. 
(15) V. CRISAFULLI, cit. 
(16) A. FALzEA, cit. 
(17) R. NICOL�, cit. 
(18) G. MANZARI, cit.; F. PIGA, cit. 
(19) R. NICOL�, cit. 
(20) M. S. GIANNINI, cit. 
(21) G. MANZARI, cit. 

;o RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
che�, prima fra tutte quella della inassoggettabilit� delle norme precostituzionali 
al giudizio di legittimit�. A parte il rilievo, infatti, che fu 
taciuto -o non fu tenuto in debita considerazione -il fatto che l'Avvocatura, 
lungi dal sostenere la sopravvivenza globale dell'ordinamento 
previgente alla Costituzione, propugn� la tesi della forza abrogatrice della 
norma fondamentale, lex superveniens alla stregua dell'art. 15 delle 
preleggi (si mosse, cio�, sul piano della dogmatica giuridica, sostenendo 
una tesi tanto poco eterodossa da essere stata fatta propria dalla Corte 
costituzionale della Repubblica federale tedesca), giova osservare che 
la �sensibilit� costituzionale� dell'istituto si � dimostrata essere stata 
quella comune all'epoca a molti altri soggetti ed istituzioni ed in definitiva 
adeguata ai tempi. 
5. -Altra linea di tendenza emersa con molta chiarezza � quella 
del superamento deUe anguste barriere nazionali: l'area delle � economie 
di scala � abbl:'accia ormai gran parte del pianeta, travalicando le 
frontiere nazionali con o senza la mediazione di ordinamenti sovrannazionaili 
e, poich� il diritto segue l'economia (anche per chi non condivide 
il pensiero filosofico del Crooe), tutti i giuristi, senza eccezione, 
devono oggi far fronte a problemi di comparazione di diritto straniero, 
di applicazione di diritto internazionale, di applicazione di diritto sovrannazionale 
(22), Je cui fonti di produzione spesso interferiscono con 
quelle interne, 'creando situazioni di equilibrio o di attrito di singolare 
delicatezza (23). 
6. -Queste brevi note si sono aperte all'insegna di un pessimismo 
distruttivo. Sia consentito chiuderle, costruttivamente, con un -pur 
cauto -cenno di ottimismo. � proprio del giurista -� stato detto -
non cedere alle tentazioni di un cupio dissolvi universale ed interrogarsi, 
invece, su cosa ha fatto, cosa sta facendo e cosa potr� fare per 
salvare la civilt� cui appartiene (24). 
Limitando la domanda ai problemi specifici dell'istituto resta da 
chiedersi cosa pu� fare ogni avvocato dello Stato e cosa pu� fare l'Avvocatum 
per fornire il proprio contributo al superamento di una crisi 
indubbiamente gravissima. 
La risposta non pu� che venire dai due canali privilegiati attraverso 
i quali l'istituto capta i fermenti del divenire sociale e quindi 
intende i bisogni della societ� in cui opera: l'attivit� professionale, 
da un lato; l'appartenenza all'organismo statuale, dall'altro (25). 
(22) F. GRANDE STEVENS, cit.; G. GoRLA, Esperienza scientifica -Diritto comparato; 
G. FERRI, cit.; M. GIULIANO, Esperienza scientifica -Diritto internazionale e 
comunitario; G. MANzARI, cit. 

(23) G. MANZARI, cit. 
(24) A. FALzEA, cit.; G. MANZARI, cit.; G. VASSALLI, Esperienza scientifica -Diritto 
penale. 
(25) G. MANZARI, cit. 

PARTE II, QUESTIONI J1 

Orbene, l'indicazione che proviene dall'uno come dall'altro canale 
� univoca. 

Dall'esperienza professionale privata viene, infatti, l'indicazione di 
una emergente importanza dell'attivit� consrultiva. �La parte "patologica 
�, quella della lite -ha detto Grande Stevens (26) -ha ceduto 
sempre pi� il passo al lavoro � fisiologico �, quello cio�, di consulenza 
stragiudiziale talvolta diretta proprio a prevenire ed evitare una lite. 
Non solo, ma una porziione del lavoro giudiziaile � anch'essa di natura 
�fisiologica�: si tratta delle c.d. liti-pilota che si svolgono con dovizia 
di forza giuridiche perch� dal loro esito dipendono, o sono orientati, 
migliaia di altri casi simili �. 

� La grande organizzazione economica come la grande impresa, o 
l'associazione di entit� o soggetti economici, vuole conoscere i rischi 
di antigiurididt� di un proprio comportamento con le relative conseguenze 
per evitarli o, raramente, per decidere di affrontarli consapevolmente 
considerandone e valutandone la portata nel proprio programma 
di attivit��. 

Non solo: ma il responso rkhiesto all'avvocato deve essere anche 
sollecito. Ogni suo ritardo si risolve in un intralcio allo svolgimento 
dell'attivit� economica e quindi in una �perdita di competitivit��. Soltanto 
in una societ� agricola o preindustriale poteva trovar luogo il 
cras respondebo dell'antico giureconsulto, dovendosi, invece, oggi adeguare 
tempi e modelli di risposta a tanto mutate esigenze. 

Non diverso segnale giunge, poi, dal canale del1a appartenenza 
istituzionale. Da sempre partecipe -sia pure in forma e modi diversi 
nei tempi -da un lato dell'amministrazione della giustizia e, dall'altro, 
della realizzazione della giustizia nell'amministrazione, l'Avvocatura ha 
costantemente annoverato fra i suoi compiti queUo di contribuire ad 
assicurare la legalit� � interna � dell'azione amministrativa. 

Orbene, si d� il caso che, mentre nello Stato accentrato, quale era 
quello italiano fino agli anni '60, tipico esempio di un paese �a diritto 
amministrativo � classico, il potere esecutivo era il � primo garante 
della legalit� e giudice... delle stesse controversie che al suo interno 
sorgessero per la migliore realizzazione del pubblico inte.resse � (27) 
(naturalmente la legalit� garantita era quella -alquanto �formale� -del 
tempo, che privilegiava largamente il principio di autorit� rispetto a quello 
di libert�) -s� che la funzione dell'Avvocatura si poneva in posizione omogenea 
fra i due poli (altrettanto omogenei) dell'amministrazione e della giurisdizione 
-nell'attuale organizzazione de1la societ�, in cui pluralismo ed 
autonomismo danno vita ad uno stato � comunitario� e � poliarchico�, la 
situazione muta profondamente. Infatti � La societ� po'Harchica si orga


(26) Relazione, cit. 
(27) F. PIGA, cit. 

J2 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

nizza in modo da esercitare il potere senza altro �controllo che non sia 
quello dei veti reciproci ed incrociati. Inoltre la moltiplicazione dei 
cenvri di potere, il prepotere dei gruppi e dei centri rappresentativi 
di interessi organizzati... accentua il momento prevaricatore del potere 
e spinge l'azione amministrativa verso J'arbitrio � (28). 

Ne consegue inevitabilmente il progressivo appannamento della funzione 
di garanzia interna della 1egalit�, anche se quest'ultima acquista, 
per converso, pi� pregnanti e sostanziali contenuti. 

Se cos� �, l'ultima spiaggia per la difesa della legalit� dell'azione 
amministrativa, prima del di1agare del conflitto di interessi in quella 
sede contenziosa in cui amministrazione e giurisdizione si troverebbero 
ormai in posizione disomogenea, perch� non pi� accomunate dal fine 
unico del rispetto della legalit�, appare proprio l'Avvocatura dello Stato 
che, trasponendo nel campo pubblico quelle esigenze dei tempi sopra 
segnalate come emergenti nel privato, pu� svolgere adeguata azione 
di prevenzione della litigiosit�, offrendo una prima garanzia di compimento 
di giustizia nei rapporti tra amministrati ed amministrazione. 
Rapporti che, come ancora di recente � stato ricordato al congresso 
di Madrid del 9-14 novembre 1981 sulla funzione consultiva (29), sono 
sempre qualcosa di profondamente diverso dai rapporti degli amministrati 
fra loro. 

Un potenziamento della funzione consultiva nei tempi, nei contenuti 
e nella flessibilit� dei moduli sembm, dunque, il pi� valido contributo 
che l'Avvocatura e gli avvocati dello Stato possano dare per il 
superamento della attuale emergenza. 

IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA 

(28) F. PIGA, cit. 
(29) Relazione della Delegazione dell'Avvocatura dello Stato italiana. 

LEGISLAZIONE 


QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice penale, art. 603. 

Sentenza 8 giugno ,1981, n. 96, G.U. 10 giugno 1981, n. 158. 

legge 11 gennaio 1943, n. 138, art. 4 nella parte in cui limita alle categorie 
di lavoratori ivi indicate l'iscrizione obbligatoria all'ente. 

Sentenza 29 aprile 1981, n. 103, G.U. 24 giugno 1981, n. 172. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, "quinto comma, nella parte in cui non 
consente che, ai fini dell'esercizio di regresso dell'INAIL, l'accertamento del fatto 
reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nei casi in cui il procedimento 
penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente si sia 
ooncluso con proscioglimento in sede istruttoria o vi sia provvedimento di archiviazione. 
Sentenza 29 aprile 1981, n. 102, G.U. 24 giugno 1981, n. 172. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, quinto comma, nella parte in cui non 
consente che, ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'INAIL, l'accertamento 
del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in 
cui la sentenza di condanna penale non faccia stato nel giudizio civile instaurato 
dall'INAIL. 
Sentenza 29 aprile 1981, n. 102, G.U. 24 giugno 1981, n. 172. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11 nella parte in cui preclude in sede 
civile l'esercizio di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro qualora 
il processo penale promosso contro di lui o di un suo dipendente per il fatto 
dal quale l'infortunio � derivato si sia concluso con sentenza di assoluzione, 
malgrado che l'Istituto non sia stato posto in grado di partecipare al detto 
procedimento penale. 

Sentenza 29 aprile 1981, n. 102, G.U. 24 giugno 1981, n. 172. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 11 e 10, nella parte in cui dispone che, 
nel giudizio civile di danno a carico del datore di lavoro per un infortunio di 
cui sia civilmente responsabile per fatto di un proprio dipendente, l'accertamento 
dei fatti materiali che furono oggetto di un giudizio penale sia vincolante 
anche nei confronti del datore di lavoro rimasto ad esso estraneo perch� non 
posto in condizione di intervenire. 
Sentenza 29 aprile 1981, n. 102, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. 

d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 1, nella parte in cui prevedendo per le 
pensioni supplementari l'aumento nella misura di lire 2.400 mensili, lo limita a 
quelle aventi decorrenza anteriore al 1� maggio 1968 e non lo estende a quelle 
ugualmente liquidate con il sistema contributivo, aventi decorrenza posteriore 
al 30 aprile 1968. 
Sentenza 29 aprile 1981, n. 101, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. 



J4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 9, nella parte in cui, prevedendo per le 
pensioni supplementari l'aumento in misura pari al 10 per cento del loro 
ammontare, lo limita a quelle aventi decorrenza anteriore al 1� gennaio 1969, e 
non lo estende a quelle, �egualmente liquidate con il sistema contributivo, aventi 
decorrenza posteriore al 31 dicembre 1968. 

Sentenza 29 aprile 1981, n. 101, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6, nella parte in cui non indica con 
quali mezzi i comuni, le aziende municipalizzate e relativi consorzi, faranno 
fronte agli oneri finanziari posti a loro carico. 

Sentenza 8 giugno 1981, n. 92, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. 

legge 5 agosto 1978, n. 468, art. 31, per quanto concerne la regione Sardegna. 

Sentenza 8 giugno 1981, n. 95, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. 

legge 5 agosto 1978, n. 468, art. 31, per quanto concerne la regione Valle 
d'Aosta. 
Sentenza 8 giugno 11981, n. 95, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. 

II � QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

Codice civile, art. 314/4, primo e terzo comma (art. 3, primo comma, della 
Costituzione). 
Sentenza 1� giugno 1981, n. 80, G. U. 10 giugno 1981, n. 1158. 

codice civile art. 1224 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 26 maggio 1981, n. 76, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. 

codice di procedura civile art. 282 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 26 maggio 1981, n. 76, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. 

codice di procedura civile art. 423 (artt. 3, 24 e 102 della Costituzione). 

Sentenza 26 maggio 1981, n. 76, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. 

codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 3, 35, primo comma, 
e 36 della Costituzione). 
Sentenza 26 maggio 1981, n. 71, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. 

codice di procedura civile, artt. 429 e 409 (artt. 3, 11, 4 e 35 della Costituzione). 
Sentenza 26 maggio 1981, n. 76, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. 

:-:

' 



PARTE II, LEGISLAZIONE JJ 

r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 (artt. 21, primo comma, 25, secondo 
corrima, 101, secondo comma e 108, primo comma, della Costituzione).. 
Sentenza 8 giugno 1981, n. 100, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. 

legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. 19 [modificato dalla legge 28 aprile 1967, 

n. 264 e dal d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 271] (artt. 3, 29, 36 e 38 della 
Costituzione). 
Sentenza 26 maggio 1981, n. 75, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. 

legge reg. Sicilia 23 febbraio 1962, n. 2, art. 1, primo comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Sentenza 19 giugno 1981, n. 105, G.U. 24 giugno 1981, n. 172. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10, primo comma e 131 (artt. 3, 4, 24, 
32 e 41 della Costituzione). 
Sentenza 26 maggio 1981, n. 74, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 75, 79 e 80 (artt. 3, 35, 38 e 76 della 
Costituzione). 
Sentenza 8 giugno 1981, n. 93, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 79 e 80 (artt. 3 e 38, secondo comma 
della Costituzione). 
Sentenza 8 giugno 1981, n. 93, G. U. :17 giugno 1981, n. 165. 

legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 1, 8 e 9 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 19 giugno 1981, n. 104, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 2, 3, 4, 36, 38, 52, 53, 97, 117 e 118 della 
Costituzione). 

Sentenza 8 giugno 1981, n. 92, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. 

legge 9 ottobre 1971 n. 824, art. 6 (artt. 81, quarto comma, 114 e 128 della 
Costituzione). 

Sentenza 8 giugno 1981, n. 92, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. 

legge 5 agosto 1978, n. 468, artt. 30, 31 e 36 (artt. 130, secondo comma, della 
Costituzione e 1, 4, n. 1, 29, secondo comma, 58 e 60 dello statuto della regione 
Friuli -Venezia Giulia). 

Sentenza 8 giugno 1981, n. 95, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. 

legge 5 agosto 1978, n. 468, artt. 31 e 36 (artt. 115, 119 e 123 della Costituzione). 


Sentenza 8 giugno 1981, n. 94, G. U; 17 giugno 1981, n. 165. 

14 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 5 agosto 1978, n. 468, artt. 34, 35 e 36 (art. 127 della Costituzione 
e 1, 19, 20, 25, 36 e 38 dello statuto della regione siciliana). 

Sentenza 8 giugno 1981, n. 95, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. 

legge reg. Piemonte riapp. il 10 ottobre 1979 (art. 117, primo comma, della 
Costituzione). 

Sentenza 26 maggio 1981, n. 70, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. 

legge reg. Umbria riapp. il 4 febbraio 1980 (art. 117, primo comma, della 
Costituzione). 

Sentenza 26 maggio 1981, n. 70, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

Codice di procedura civile, art. 246 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 10 dicembre 1980, n. 150/1981, G.U. 10 giugno 
1981, n. 158. 

codice di procedura civile, art. 636, secondo comma (artt. 3, 24 e 113 della 
Costituzione). 

Pretore di Pinerolo, ordinanza 17 novembre 1980, n. 110/1981, G. U. 13 maggio 
1981, n. 130. 

codice penale, artt. 519, 539 (artt. 2, 3, 27, primo comma, della Costituzione). 

Giudice istruttore del Tribunale di Milano, ordinanza 16 settembre 1980;� 

n. 126/1981, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. 
codice penale, art. 584 (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'assise di Cagliari, ordinanza 24 ottobre 1980, n. 139/1981, G. U. 24 giugno 
1981, n. 172. 

codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Pretore di Ferrara, ordinanza 19 gennaio 1981, n. 152, G. U. 13 maggio 
1981, n. 130. 
Pretore di Lecce, ordinanza 20 ottobre 1980, n. 180/1981, G. U. 17 giugno 1981, 

n. 165. 
codice penale, art. 707 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Pavia, ordinanza 7 gennaio 1981, n. 203, G. U. 3 giugno 1981, 

n. 
151. 
Pretore di Pavia, ordinanza 14 gennaio 1981, n. 144, G. U. 3 giugno 1981, 
n. 151. 
! 


-



PARTE II, LEGISLAZIONE 

codice penale militare di pace, art. 189, primo comma, prima ipotesi (art. 3 
della Costituzione). 

Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanza 111 dicembre 1980, 

n. 140/1981, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. 
codice penale militare di pace, artt. da 277 a 282 e da 415 a 431 (artt. 101, 
secondo comma, 102, secondo comma, 104, 108, secondo comma, 52, terzo comma, 
della Costituzione). 

Giudice istn1ttore del Tribunale militare territoriale di Roma, sezione autonoma 
di Cagliari, ordinanza 10 dicembre 1980, n. 142/1981, G. U. 3 giugno 1981, 
Il. 151. 

legge 17 luglio 1890, n. 6972, art. 1 (art. 38, ultimo comma, della Costituzione). 

Tribunale di Forl�, ordinanze (due) 12 gennaio 1981, n.. 124 e 125, G. U. 
3 giugno 1981, n. 151. 

r.d.I. 3 marzo 1938, n. 680, art. 40, quinto comma (art. 3 della Costituzione). 
Corte dei Conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 12 gennaio 1979, 

n. 104/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. 
r.d. 9 settembre 1941, n. 1024, artt. 28 e 35 (artt. 101, secondo comma, 
102, secondo comma, 104, 108, secondo comma e 52, terzo comma, della Costituzione). 
Giudice istruttore del Tribunale militare territoriale di Roma, sezione autonoma 
di Cagliari, ordinanza 10 dicembre 1980, n. 142/1981, G. U. 3 giugno 1981, 

n. 151. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 98, secondo e terzo comma (art. 24, secondo 
comma, della Costituzione). 
Tribunale di Catania, ordinanza 20 marzo 1980, n. 103/1981, G. U. 13 maggio 
1981, n. 130. 

r.d.I. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 (artt. 21, primo comma, 54, secondo comma 
e 98, primo comma, della Costituzione). 
Consiglio superiore della magistratura, sezione disciplinare, ordinanza 
21 novembre 1980, n. 129/1981, G.U. 3 giugno 1981, n. 151. 

legge 10 agosto 1950, n. 648, art. 71 (artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione). 


Corte dei Conti, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 4 giugno 1980, 

n. 145/1981, G.U. 17 giugno 1981, n. 165. 
legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, secondo comma (artt. 134 e 24, primo 
comma, della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza il1 settembre 1980, n. 102/1981, G. U. 20 maggio 
1981, n. 137. 


JB RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 17 luglio 1954, n. 823, artt. 2, allegato 2, e 3 (artt. 3 e 35 della 
Costituzione). 

Pretore di Avellino, ordinanza 20 gennaio 1980, n. 162/1981, G. U. 24 giugno 
1981, n. 172. 

legge 11 aprile 1955, n. 379, art. 8, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Corte dei Conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 12 gennaio 1979, 

n. 104/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. 
d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 398 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Pisa, ordinanza 15 gennaio 1981, n. a.28, G. U. 17 giugno 1981, 

n. 165. 
d.P.R. 30 marzo 1957, n. 36, art. 119 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Verbania, ordinanze (due) 24 novembre 1980, nn. 242 e 243/1981, 

G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 
d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 136 (artt. 3, 30, 31, 37 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Sassari, ordinanza 20 marzo 
.1979, n. 154/1981, G. U. !10 giugno 1981, n. 158. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, artt. 94, 80, tredicesimo, quindicesimo e sedicesimo 
comma, 83, quinto comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Cairo Montenotte, ordinanza 28 ottobre 1980, n. 99/1981, G. U. 
13 maggio 1981, n. 130. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Ancona, ordinanza 12 dicembre 1980, n. 179/1981, G. U. 27 maggio 
1981, n. 144. 

d.P.R. 15 giugrio 1959, n. 393, art. 121 [modificato dalla legge 5 maggio 1976, 
n. 313, art. 5] (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Riesi, ordinanze (due) 3 dicembre 1980 e 14 gennaio 1981, nn. 220 
e 221, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Albenga, ordinanza 19 novembre 1980, n. 166/1981, G. U. 27 maggio 
1981, n. 144. 

d.JP'.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma, quarta ipotesi (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Cosenza, ordinanza 17 dicembre 1980, n. 241/1981, G. U. 27 maggio 
1981, n. 144. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 1, quarto e quinto comma (artt. 3 e 24, cpv., 
della Costituzione). 

Pretore di Perugia, ordinanza 17 gennaio 1981, n. 156, G. U. 17 giugno 1981, 

n. 165. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lettera a) (art. 3 della 
Costituzione). 
Pretore di Trieste, ordinanza 13 gennaio 1981, n. 158, G. U. 20 maggio 1981, 

n. 137. 
Pretore di Avellino, ordinanza 11 gennaio 1980, n. 165/1981, G. U. 3 giugno 
1981, n. �151. 

legge 12 agosto 1962, n. 1339, art. 1, secondo comma (art. 3 del)a Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanza 2 gennaio 1981, n. 112, G. U. 6 maggio 1981, 

n. 123. 
legge 31 dicembre 1962, n. 1860, art. 29, secondo comma (artt. 76 e 77, primo 
comma, della Costituzione). 
Pretore di La Spezia, ordinanza 22 dicembre '1980, n. 113/1981, G. U. 13 maggio 
1981, n. 130. 

d.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525, art. unico, n. 51 (artt. 3 e 33 della Costituzione). 
Tribunale di Avellino, ordinanza 30 dicembre 1980, n. 120/1981, G. U. 13 maggio 
1981, n. 130. 

d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Lecce, ordinanza 6 novembre 1980, n. l&l/1981, G. U. 17 giugno 
1981, n. 165. 

d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 11, 41 e 3 della Costituzione). 
Tribunale di Ravenna, ordinanza 15 dicembre 1980, n. 115/1981, G. U. 6 maggio 
1981, n. 123. 

legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 6 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Trapani, ordinanza 21 maggio :1980, n. 84/1981, G. U. 6 maggio 
1981, n. 123. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, primo e quarto comma (artt. 3 e 38, 
secondo comma, della Costituzione). 
Tribunale di Bologna, ordinanza 28 maggio 1980, n. 94/1981, G. U. 6 maggio 
1981, n. 123. 
Tribunale di Bologna, ordinanza 5 novembre 1980, n. 95/1981, G. U. 6 maggio 
1981, n. 123. 


40 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 63 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Voltri, ordinanza 2 gennaio 1981, n. 101, G. U. 13 maggio 1981, 

n. 130. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 85 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Salerno, ordinanza 27 gennaio 1981, n. 146, G. U. 3 giugno 1981, 

n. 151. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, lettera a) [modif. da legge 27 dicembre 
1975, n. 780] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Tribunale di Pescara, ordinanze (due) 6 novembre e 4 dicembre 1980, nn. 86 
e 87/1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, primo comma, lettera a) (artt. 3, 
primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 26 febbraio 1981, n. 335, G. U. 27 maggio 1981,. 

n. 144. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 209 (artt. 3 e 38, secondo comma, della 
Costituzione). 
Pretore di Ascoli Piceno, ordinanza 19 dicembre 1980, n. 157;.1981, G. U. 
24 giugno 1981, n. 172. 

legge 4 febbraio 1968, n. 482, art. 6, secondo comma (artt. 3, primo comma, 
4, primo comma, 35, primo comma, 38, quarto comma, della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 11 settembre 1980, n. 102/1981, G. U. 20 maggio 
1981, n. 137. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, artt. 2 e seguenti (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Messina, ordinanza 21 luglio 1980, n. 92/1981, G. U. 6 maggio 
1981, n. 123. 

legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 64 (artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione). 


Corte dei conti, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 4 giugno 1980, 

n. 145/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. 
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Trieste, ordinanza 13 gennaio 1981, n. 158, G.U. 20 maggio .1981, 

n. 137. 
Pretore di Avellino, ordinanza 11 gennaio 1980, n. 165/1981, G. U. 3 giugno 
1981, n. 151. 

d.p. giunta prov. Bolzano 23 giugno 1970, n. 20, art. 16, sesto e settimo 
comma [modif. da legge prov. Bolzano 20 settembre 1973, n. 38, art. 7] (artt. 5 
della Costituzione e 4, 8 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). 
Consiglio di Stato, adunanza plenaria, ordinanza 25 febbraio 1980, n. 97I 
1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 23 dicembre 1970, n. 1054, art. 1 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanze (due) 10 luglio 
e 30 ottobre 1980, nn. 148 e 149/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. 

legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 7 (artt. 76 e 10 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 30 giugno 
1980, n. 159/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 (artt. 3 e 42, terzo comma, 
della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 23 dicembre 1980, n. 122/1981, G. U. 
3 giugno 1981, n. 151. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, quarto comma [modif. da d.P.R. 29 gennaio 
1979, n. 24, artt. 1 e 3, quarto comma] (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Rovigo, ordinanza 19 dicembre 
1980, n. 239/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 47 e ali. A, art. 4 (artt. 76 e 10 della 
Costitqzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 30 giugno 
1980, n. 159/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 (artt. 2, 24 e 76 della Costituzione). 
Commissione Tributaria di primo grado di Lodi, ordinanza 27 marzo 1980, 

n. 123/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. 
legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). 

Pretore di Pistoia, ordinanza 26 novembre 1980, n. 130/1981, G. U. 27 maggio 
1981, n. 144. 
Pretore di Roma, ordinanze (due) 17 dicembre 1980, nn. 135 e '136/1981, G. U. 
27 maggio 1981, n. 144. 
Pretore di Pescia, ordinanza 24 novembre 1980, n. 191/1981, G. U. 27 maggio 
1981, n. 144. 
Pretore di Varallo, ordinanza 18 dicembre ,1980, n. 182/1981, G. U. 27 maggio 
1981, n. 144. 
Corte di Cassazione, ordinanza 1<> ottobre 1980, n. 237/1981, G. U. 27 maggio 
1981, n. ,144. 
Corte di Cassazione, ordinanza 26 novembre 1981, n. 238, G. U. 27 maggio 
1981, n. 144. 
Pretore di Chiavenna, ordinanza 11 novembre 1980, n. 312/1981, G. U. 27 maggio 
1981, n. 144. 
Pretore di Castiglione del Lago, ordinanze (due) 10 ottobre 1980, nn. 192 e 
193/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Cremona, ordinanza 18 dicembre 
1980, n. 147, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 


42 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
legge 30 luglio 1973, n. 477, art. 17 (artt. 97 e 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 22 gennaio 1979, 
n. 137/1981, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (artt. 76 e 10 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 30 giugno 
1980, n .. 159/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. 
legge 14 febbraio 1974, n. 62, art. 2, quindicesimo comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Lecce, ordinanza 10 novembre 1980, n. 88/1981, G. U. 6 maggio 
1981, n. 123. 

d.l. 6 luglio 1974, n. 159, art. 4 [convertito in legge 17 agosto 1974, n. 384] 
(artt. 3, 29, 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanza 15 maggio 
1979, n. 133/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. 

legge 20 marzo 1975, n. 70, art. 13 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Messina, ordinanza 21 luglio 1980, n. 92/1981, G. U. 6 maggio 
1981, n. 123. 

legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 47, secondo comma (artt. 3, primo comma, 
e 42, terzo comma, della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 3 dicembre 1980, n. 219/19&1, G. U. 24 giugno 
1981, n. 172. 

legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Livorno, ordinanza 17 dicembre 1980, n. 85/1981, G. U. 6 maggio 
1981, n. 123. 

legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Tirano, ordinanza 29 settembre 1980, n. rlll/1981, G. U. 6 maggio 
1981, n. 123. 

Tribunale di Ravenna, ordinanze (due) 12 dicembre 1980, nn. 116 e 117/1981, 

G. U. 13 maggio 1981, n. 130. 
legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 25 (ar. 27 della Costituzione). 

Tribunale di Como, ordinanza 3 ottobre 1980, n. 161/1981, G. U. 20 maggio 
1981, n. 137. 

legge 8 ottobre 1976, n. 689, art. 3 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Livorno, ordinanza 17 dicembre 1980, n. 85/1981, G. U. 6 mag.. 

! 

gio .1981, n. 123. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 4J 

legge 8 ottobre 1976, n. 690, art. 1 quater (artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Tribunale di Mantova, ordinanza 26 novembre 1980, n. 121/1981, G. U. 20 maggio 
1981, n. 137. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3, 29, 31 e 53 
della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Gorizia, ordinanza 2 maggio 
1980, n. 127/1981, G. U. 20 maggio 19811, n. 137. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Torino, ordinanza 13 novembre 
1979, n. 317/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanze (due) 24 maggio 
1978, n. 131 e 132/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 4 e 5 (artt. 3, 29 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Sassari, ordinanza 20 marzo 
1979, n. 154/1981, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. 

legge 23 dicembre 1976, n. 863, art. 2, decimo comma (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale di Bolzano, ordinanza lo dicembre 1980, n. 98/1981, G. U. 13 maggio 
~1981, n. 130. 

legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 17, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 


Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 13 maggio 
1980, n. 160/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. 

d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 25, quinto comma (artt. 76 e 77, primo 
comma, 117, 118 e 38, ultimo comma, della Costituzione). 
Tribunale di Forl�, ordinanze (due) 12 gennaio :1981, nn. 124 e 125, G. U. 
3 giugno 1981, n. 151. 

legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 5, ultimo comma (artt. 3, 24, 100, primo comma, 
103, primo comma, 113 e 125, secondo comma, della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 30 luglio 1980, 

n. 210/1981, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. 
d.P.R. 6 marzo 1978, n. 21 (artt. 76 e 10 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 30 giugno 
1980, n. 159/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). 

Tribunale di Brindisi, ordinanza 3 dicembre 1980, n. 100/1981, G. U. 13 maggio 
1981, n. 130. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 3, 24, primo comma, e 113, primo 
comma, della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 24 novembre 11980, n. 141/1981, G. U. 10 giugno 
1981, n. 158. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 24, primo comma, e 3 della Costituzione). 


Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 12 gennaio 1981, n. 119, G. U. 17 giugno 
1981, n. 165. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 21, quinto comma (art. 3 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Torino, ordinanza 3 novembre 1980, n. 45/1981, G. U. 
6 maggio 1981, n. 123. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 26, secondo comma, 58, prima parte, 59, 

n. 1, 64, primo comma (artt. 3, 16, primo comma, 24, primo comma, 29, primo 
comma, 31, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione). 
Giudice conciliatore di Forano, ordinanza 31 maggio 1980, n. 138/1981, 

G. U. 24 giugno 1981, n. 172. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Voltri, ordinanza 15 gennaio 1981, n. 143, G. U. 3 giugno 1981, 

n. 151. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). 


Tribunale di Parma, ordinanza 18 dicembre 1980, n. 105/1981, G. U. 6 maggio 
1981, n. 123. 

legge reg. Lombardia 31 luglio 1978, n. 47, art. 44, n. 1, tab. A, lettera e) 
(artt. 117 e 119 della Costituzione). 

Pretore di Mantova, ordinanza 23 ottobre 1980, n. 114/1981, G. U. 13 maggio 
1981, n. 130. 

legge reg. Abruzzo 28 dicembre 1978, n. 87, art. 15 (artt. 36, 97 e 117 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 7 dicembre 
1979, n. 151/11981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 
4f 

legge 23 novembre 1979, n. 595, art. 1 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). 

Tribunale di Brindisi, ordinanza 3 dicembre 1980, n. 100/1981, G. U. 13 maggio 
1981, n. 130. 

legge reg. Abruzzo appr. il 23 aprile 1980 e riappr. il 15 aprile 1981 (artt. 117 
e 118 della Costituzione). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 16 maggio 1981, n. 21, G. U. 
27 maggio 1981, n. 144. 

legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1 (artt. 42, terzo comma, e 24, primo comma, 
della Costituzione). 

Corte d'appello di Genova, ordinanza 3 novembre 1980, n. 200/1981, G. U. 
24 giugno 1981, n. 172. 

legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3, primo comma, 42, terzo 
comma, 43, primo comma, 84, quarto comma, e ,136, primo comma, della 
Costituzione). 

Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 12 dieembre 1980, n. 134/1981, G. V. 
20 maggio 1981, n. 137. 

legge reg. Valle d'Aosta appr. il 26 febbraio 1981, riappr. il 26 aprile 1981 
(artt. 41, terzo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione). 

Presidenza del Consiglio dei Ministri, ricorso 28 maggio 1981, n. 25, G. U. 
3 giugno 1981, n. 151. 

legge 30 marzo 1981, n. 113 (artt. 5 e 106 della Costituzione e 14, lettere a) 
g) m) o) e p) dello statuto speciale della regione siciliana). 

Presidente della giunta regionale della regione siciliana, ricorso 4 maggio 
1981, n. 9, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. 

legge 30 marzo 1981, n. 113 (artt. 8, n. 1, 17, 21 e 25 dello statuto speciale 
della regione Trentino-Alto Adige). 

Presidente della giunta provinciale di Bolzano, ricorso 13 maggio 1981, 

n. 14, G. U. 25 maggio 1981, n. 137. 
legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 35 (artt. 3, 97 e 117 della Costituzione). 

Presidente della giunta regionale Liguria, ricorso 12 maggio 1981, n. 13, 

G. U. 20 maggio 1981, n. 137. 
legge 30 marzo 1981, n. 119, artt. 35, quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo 
e nono comma, e 40, primo, secondo, quinto e decimo comma (artt. 8, n. 1, 
9, n. 110, 16 e da 70 a 86 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige). 

Presidente della giunta provinciale di Bolzano, ricorso 15 maggio 1981, 

n. 
15, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 
Presidente della giunta provinciale di Trento, ricorso 15 maggio 1981, n. 16, 
G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

46 

legge 30 marzo 1981, n. 119, artt. 35 e 40 (artt. 5, 117 e 119 della Costituzione). 


Presidente della giunta regionale della regione Toscana, ricorso 21 mag-� 
gio 1981, n. 22, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 
Presidente della giunta regionale dell'Emilia Romagna, ricorso 21 maggio 
1981, n. 23, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 
Presidente della giunta della regione Piemonte, ricorso 21 maggio 1981, 

n. 24, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 
Jegge 30 marzo 1981, n. 119, artt. 35 e 40 (art. 4 dello statuto speciale della 
regione Trentino-Alto Adige). 

Presidente della giunta regionale del Trentino-Alto Adige, ricorso 16 maggio 
1981, n. 20, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 

legge 30 marzo 1981, n. 119, artt. 35 e 40 (artt. 5, 115, 117, 118, 119 e 123 
della Costituzione). 

Presidente della giunta regionale del Veneto, ricorso 16 maggio 1981, n. 19, 

G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 
legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 40 (artt. 1, 19, 20 e 36 dello statuto speci�le 
per la regione siciliana). 

Presidente della giunta regionale della regione siciliana, ricorso 115 maggio 
1981, n. 18, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 

legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 40, primo, quarto, quinto e ottavo comma 
(artt. 1, 3, 4, 6, 7 e seguenti dello statuto speciale per la Sardegna). 

Presidente della giunta regionale della Sardegna, ricorso 15 maggio 1981, 

n. 17, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 
legge reg. siciliana appr. il lo aprile 1981 (artt. 97 della Costituzione e 43 
e 2, secondo comma, dello statuto speciale della regione siciliana). 

Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 116 aprile 1981, 

n. 6, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. 
legge reg. siciliana 15 aprile 1981, art. 2, ultimo comma (artt. 14 e 17 dello 
statuto speciale della regione siciliana). 

Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 30 aprile 1981, 

n. 7, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. 
legge reg. siciliana 15 aprile 1981, artt. 20, ultimo comma, e 21 (art. 81 
della Costituzione). 

Commissario dello Stato per la regione siciliana, ordinanza 30 aprile 1981, 

n. 8, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. 
legge reg. siciliana appr. il 22 aprile 1981, artt. 1, ultimo comma, e 2 (artt. 3, 
81 e 97 della Costituzione e 14 e 17 dello statuto speciale della regione siciliana). 

Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 8 maggio 1981, 
n. 11, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 47 

legge reg. siciliana 22 aprile 1981, artt. 1, 2, 3 e 5 (artt. 14 e 17 dello statuto 
speciale della regione siciliana). 

Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 8 maggio 1981, 

n. 10, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. 
legge reg. siciliana appr. il 22 aprile 1981, artt. 1, 2, 3, 4 e 5 (artt. 14 e 17 
dello statuto speciale per la regione siciliana). 

Commissario dello Stato per la regione siciliana, rieorso 8 maggio ([981, 

n. 12, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. 
legge 23 aprile 1981, n. 154 (artt. 17, ultimo comma, e 55, secondo comma, 
dello statuto sardo). 

Presidente della giunta regionale della regione autonoma Sardegna, ricorso 
5 giugno 1981, n. 26, G. U. 10 giugno 1981, n. 158.