ANNO XXXIII N. 3 MAGGIO-GIUGNO 1981 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1982 ABBONAMENTI ANNO 1981 ANNo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 22.000 UN NUMERO SEPARATO .�����.�����..� )) 4.000 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n 11089 del 13 luglio 1966 (2219323) Roma, 1982 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura Sezione seconda: Sezione terza: Sezione quarta: Sezione quinta: Sezione sesta: Sezione settima: Sezione ottava: del/'avv. Franco Favara) . . . . . . . . � pag. 265 GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA E INTERNAdel/' avv. Oscar Fiumara) � . � 290 GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . . � . .'� . � � 317 GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Adriano Rossi e Antonio Catrical�) . . . . � � 327 GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/'avv. Raffaele Tamiozzo) . . . . . � � � � 338 GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Baf�le) � � . . . . . . . . . � 345 GIURISPRUDENZA IN MA'rERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) � � � 410 GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avv.ti Paolo Di Tarsia Di Belmonte e Nicola Bruni) . . � 428 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO QUESTIONI �. pag. 27 LEGISLAZIONE � 33 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CONTU, Cagliari; Gu1cc1ARDI, Genova; Marce!Jo DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Raffaele CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Francesco ARGAN, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancar.Jo MAND�, Venezia. DISCORSO PRONUNCIATO DALL'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO, ECC. GIUSEPPE MANZARI, NEL CORSO DELLA CERIMONIA PER IL VENTICINQUENNALE DELLA CORTE COSTITUZIONALE �Noi aspiriamo ad ottenere il rispetto e la fiducia di tutti gli italiani �: questa la frase coraggiosa, orgogliosa e profetica con cui Enrico De Nicola, primo Presidente della Corte Costituzionale, sintetizz�, nell'udienza inaugurale del 23 aprile 1956, il programma e la volont� della nascente Corte Costituzionale. Furono parole coraggiose, perch� rivendicavano l'importanza delle funzioni della Corte in polemica con resistenze ed ostilit� che avevano attardato, per ben otto anni dalla entrata in vigore della Costituzione, l'insediamento del Tribunale delle leggi. E furono orgogliose, perch� lanciavano una sfida ad un'opinione pubblica disattenta, disinformata e scettica: proprio in quei giorni -come ha ricordato il Presidente Amadei -Curzio Malaparte, facendosi interprete di un diffuso sentimento, scriveva: �c'� forse da augurarsi, purtroppo, che la Corte Costituzionale, essendo pi� probabile che funzioni pi� in male che in bene, non funzioni n� in bene n� in male �. Ma furono soprattutto profetiche: a distanza di un quarto di secolo, arco di tempo sufficiente anche nel lungo respiro della storia per tirare le fila di un primo bilancio, riconosciamo nella Corte Costituzionale una delle strutture portanti del nostro sistema istituzionale e un'insostituibile garanzia dei nostri diritti fondamentali. Nata sul modello kelseniano del � legislatore negativo � e custode della Costituzione, la Corte Costituzionale italiana ha saputo presto affrancarsi dai limiti della struttura di originaria ispirazione. La sua creazione rispecchiava esemplarmente la teoria dello Schmitt, il quale ha messo in luce come la ricerca di un garante della Costituzione sia per lo pi� indizio di condizioni costituzionali � critiche �. Queste sussisvevano in grado eminente nel nostro Paese VI negli anni difficili di gestazione della nostra Costituzione: una guerra perduta, un'invasione di eserciti stranieri, un duro Trattato di pace, un radicale mutamento istituzionale. E tuttavia il progressivo miglioramento della situazione economica sociale e politica ed il consolidamento della democrazia non determinarono, come sarebbe stato nella logica di una funzione meramente negativa, l'appannamento dell'immagine della Corte. Si verific� il contrario, perch�, lungi dal confinarsi nel ruolo riduttivo di legislatore negativo, la Corte seppe, pur senza varcare il confine del � check and balance � dei poteri, segnato dalla Costituzione, esercitare un ruolo ben pi� determinante ed incisivo. In particolare, nell'esercizio della sua principale funzione di garante della conformit� a Costituzione delle leggi e degli atti aventi forza di legge, la Corte ha saputo condurre il suo sindacato con spirito costruttivo ed evolutivo. Con le sue sentenze manipolative ed additive ha delineato in progressione la propria funzione, ben al di l� del momento negativo, riuscendo a conseguire un pi� rapido e completo adeguamento dell'ordinamento alla Costituzione repubblicana. In cinque lustri di attivit� ben si pu� dire che non vi sia settore dell'ordinamento giuridico in cui la Corte non abbia lasciato una traccia profonda del suo intervento: dai diritti di libert�, al diritto di famiglia, alla propriet�, ai rapporti di lavoro, ai rapporti tributari, all'amministrazione della giustizia. Molte sue sentenze segnano troppe tappe storiche dell'evoluzione di una civilt� e di un costume. Non minore importanza ebbe lo sviluppo di altre funzioni. Accanto ai giudizi di legittimit� dobbiamo ricordare quelli di impugnazione diretta delle leggi statali e regionali, quelli di conflitto tra i poteri dello Stato, tra Stato e Regioni e tra Regioni. Ed inoltre i giudizi penali e quelli sull'ammissibilit� dei referendum. A parte l'episodio storico del giudizio penale conseguente all'affare Lockheed, va ricordata con ammirazione l'opera costruttiva ed equilibrata svolta dalla Corte con l'attivit� decisoria in materia referendaria. Come ha detto Leopoldo Elia, quando si far� un bilancio sereno, al di l� delle polemiche contingenti e partigiane, dei giudizi del 78 e dell'Bl, si dovr� riconoscere come la disciplina costituzionale e quella legislativa dei referendum sia assai meno semplice di quanto da qualche parte si � sbrigativamente ritenuto. E si dovr� rilevare che proprio due sentenze della Corte Costituzionale -in tema di divorzio e di aborto -aprirono la strada ai due pi� significativi referendum della nostra storia dopo qu�llo del 1946. La Corte si � cos� posta nell'attuale sistema istituzionale, nella nostra Costituzione materiale, come un vero e proprio potere dello VJI Stato superiorem non :rncognoscens, la cui pronunzia prevale su ogni altro potere: su quello legislativo per la forza che ha di rimozione -e in certi casi di integrazione -delle leggi; su quello esecutivo perch� ne delimita i confini nei confronti� degli altri poteri dello Stato e delle sue articolazioni regionali; su quello giudiziario, che � soggetto alla sua pronunzia in caso di conflitto di potere. A fronte di questa posizione della Corte si delinea la peculiare natura dell'intervento del Presidente del Consiglio nei giudizi dt legittimit� costituzionale. Molte sentenze della Corte hanno riconosciuto che il Presidente del Consiglio partecipa a questi giudizi non come capo di un'amministrazione -e tanto meno come rappresentante di un potere, quello esecutivo, che non � titotare, ovviamente, della funzione legislativa -ma come rappresentante dello Stato, inteso come ordinamento unitario. Ci� qualifica la funzione che l'Avvocatura dello Stato si onora di esercitare davanti a questa Corte. Come il Presidente del Consiglio interviene per la tutela di interessi che sono immediatamente riferibili allo Stato.-comunit�, cos� l'Avvocato dello Stato, che lo rappresenta e difende, non esprime una posizione di parte, ma assume la veste dell'amicus curiae, dell' � interlocutore privilegiato�, che esercita una funzione di collaborazione dialettica tanto importante che se ne � propugnata autorevolmente la necessariet�. L'Avvocatura dello Stato � stata cos� investita�di un� nuovo ruolo, di ordine costituzionale, dalle leggi integrative della Costituzione sul funzionamento della Corte. Questo ruolo si � ulteriormente precisato, nella costituzione materiale, con l'attribuzione del patrocinio (necessario) davanti ai collegi internazionali e sovranazionali per la tutela di interessi primari dello Stato � inteso come personificazione esterna dello Stato-comunit��. Ed inoltre con l'estensione della possibilit� di assumere il patrocinio organico, gi� previsto come obbligatorio per le Regioni a statuto speciale, anche per quelle a statuto ordinario. Ci� sulla traccia di. u.n insegnamento della Corte che, escludendo ogni dubbio di costituzionalit� del patrocinio comune a Stato e Regione, ha sottolineato come questo si raccomandi nel quadro di �coordinamento tra l'organizzazione amministrativa dello Stato e quella delle Regioni�, in vista dell'� unit� dell'ordinamento amministrativo generale �. In questa ottica, anche nei giudizi di conflitto tra Stato e Regioni, l'Avvocatura, pur intervenendo in rappresentanza dello Stato, esercita una funzione che trascende quella del difensore di parte. Si tratta di giudizi che rappresentano il momento di chiusura di una VIII complessa organizzazione costituzionale, che accentua l'autonomia delle articolazioni regionali sulle strutture classiche dello Stato unitario. L'obiettivo essenziale � quello di savaguardare l'osservanza dei cOnfini, segnati dalla Carta costituzionale, delle rispettive sfere di attribuzione. In questo senso si pu� parlare di una novella actio finium regundorum, che nel moderno diritto si � trasposta, dai campi del recessivo mondo dell'interesse privato, a quelli del mondo espansivo dell'interesse pubblico. Questa attivit� di collaborazione dialettica, che ha in comune con la Corte l'obbiettivo di assicurare il rispetto e l'attuazione della Costituzione, non rende, tuttavia, necessario l'intervento dell'Avvocatura. Ci� non soltanto perch� davanti alla Corte Costituzionale l'Avvocatura non �, come nelle sedi di giurisdizione, investita di un mandato ex lege, essendo la determinazione di intervento riservata al Presidente del Consiglio. Ma soprattutto perch� il Presidente del Consiglio, e per esso l'Avvocatura, non potrebbero intervenire per sostenere la illegittimit� costituzionale delle leggi: ci� altererebbe la funzione del giudizio di legittimit� costituzionale, trasformandolo in un anomalo e inammissibile giudizio di conflitto tra potere esecutivo e Parlamento. D'altra parte il Presidente del Consiglio non � il garante della Costituzione (tale � la funzione del Presidente della Repubblica e, nelle forme qui ricordate, della Corte Costituzionale). Il Presidente del Consiglio interviene, invece, per la tutela del valore immanente dell'ordinamento unitario dello Stato, di cui sono parte integrante (ma non ugualmente importante) tutte le leggi conformi alla Costituzione. Tale tutela non ha, dunque, ad oggetto il singolo prodotto legislativo, in quanto tale, ma in quanto funzionalizzato ed integrato nel sistema unitario, tenuto conto, come ho rilevato, della graduatoria di interessi che deriva dal diverso grado di importanza di ogni singola legge in rapporto al sistema in cui si inserisce. Questa graduazione di interessi esclude che al difetto di intervento si debba attribuire senz'altro il significato di una valutazione negativa di legittimit�. Del resto, altri strumenti sono a disposizione del Presidente del Consiglio (con l'ausilio della funzione di consulenza, allo scopo esplicitamente attribuita dalla legge all'Avvocato generale dello Stato) per promuovere -nel rispetto delle prerogative del Parlamento -l'adeguamento delle leggi al dettato costituzionale: funzione altissima, che l'Avvocatura dello Stato si onora di condividere quale � collaboratrice di giustizia � di codesta Corte con quel sentimento di rispetto per la Carta costituzionale che ci � comune. La nostra Costituzione ha compiuto ormai un terzo di secolo, durante il quale ha ben svolto il suo compito di fondamento dello Stato repubblicano. Essa � certo perfettibile, ma vorrei ricordare in proposito un arguto quanto calzante ammonimento di Enrico De Nicola: una Costituzione perfetta non � mai esistita e delle Costituzioni pu� dirsi ci� che Orazio diceva degli uomini. Tutte hanno i loro difetti, la migliore � quella che ne ha meno. D'altra parte, soggiungeva Enrico De Nicola, l'importante non � tanto far bene le leggi, quanto applicarle bene. E poich� nel nostro ordinamento la � retta � applicazione della Costituzione � affidata alla Corte Costituzionale, l'esperienza di questi 25 anni consente di esprimere l'auspicio e la certezza che la Corte continuer� ad essere un faro illuminante per gli operatori del diritto ed un sicuro approdo per la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e per la salvaguardia delle istituzioni democratiche. DISCORSO DEL SENATORE GIANCARLO DE CAROLIS Pubblichiamo il discorso che il senatore Giancarlo De Carolis ha pronunciato nell'assumere le altissime funzioni di Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura a testimonianza del saluto e dell'augurio che l'Avvocato generale e gli avvocati dello Stato tutti desiderano indirizzargli nella cir� costanza. Signor Presidente, rivolgo, innanzitutto, un deferente saluto a Lei, per quello che Lei rappresenta in questo consesso, e La ringrazio per le espressioni di augurio e di sprone ad un intenso lavoro con le preziose indicazioni da Lei formulate per l'attivit� del Consiglio nella seduta di insediamento. Signor Presidente, colleghi, assumendo la funzione cui sono stato chiamato non posso non ricordare, tra coloro che mi hanno preceduto in questo incarico, la figura di Vittorio Bachelet, il cui sacrificio, insieme a quello di tanti magistrati. che hanno testimoniato con la vita la dedizione al proprio dovere, ci � di insegnamento e di monito. Le parole da lui pronunciate in quest'aula, all'atto dell'insediamento quale Vice Presidente del Consiglio ora cessato, risuonano ancora come una mirabile sintesi, dove gli accenti propri di un uomo dalle alte qualit� morali si legano, nella chiara visione del ruolo che nel nostro sistema incombe al Consiglio superiore, all'attenta sensibilit� ai problemi posti da una situazione della giustizia, da lui definita, quasi in un presagio premonitore, drammatica. In tal senso Vittorio Bachelet indicava come nostro compito principale la garanzia dell'autonomia e dell'indipendenza di tutta la Magistratura giudicante e requirente e dei singoli magistrati, da conseguire attraverso "l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario ai principi costituzionali e alle esigenze della societ� �. Questa evidenziazione degli stretti legami tra il supremo organo di autogoverno della Magistratura e il sistema vigente su cui si fonda l'ordinamento della Repubblica consentiva a Bachelet di cogliere nel pi� prof on do suo significato la sostanza di una riforma come quella contenuta nella nuova legge elettorale del Consiglio. Sostanza che egli individuava nell'obiettivo di favorire una presenza pi� variata di posizioni e di intenti in maniera da garantire una larga rappresentanza di tutti gli orientamenti presenti nella Magistratura e quindi una larga partecipazione di tutti alla gestione del Consiglio ed anche un correlato impegno di presenza nelle Commissioni in cui esso si articola. Di qui anche l'esigenza di sperimentare -sono parole testuali di Bachelet -quelle forme organiche di consultazione che consentissero di portare avanti con speditezza i lavori del Consiglio e quindi di ottenere la corresponsabilit� di tutti. E le forme di organico raccordo tra il comitato di Presidenza e tutti gli orientamenti presenti nel Consiglio, effettivamente realiz-� zate, nel rispetto rigoroso dell'articolo 2 della legge 24 marzo 1958, n. 195, dimostrano come quelle parole non fossero meri auspici ma rivelassero piuttosto una precisa volont� sulla cui direzione io ritengo si debba continuare: tali forme di raccordo potranno essere ulteriormente perfezionate, se il Consiglio lo vorr�. In questa visione, che da una parte sottolineava l'inserimento della Magistratura nel corpo vivo dell'ordinamento e della societ� e dall'altra poneva in particolare rilievo l'esigenza dell'attuazione del principio della partecipazione, come non cogliere il richiamo ad una verit� fondamentale e pure troppo spesso negletta: e cio� al fatto che le singole articolazioni del nostro sistema repubblicano, pur nell'autonomia e nella specificit� delle funzioni attribuite, sono tra loro indissolubilmente collegate e non possono non essere tutte pervase dai comuni valori di democraticit�, di cui la partecipazione � momento essenziale? Di questo stretto collegamento, d'altronde, i Costituenti vollero dare il segno pi� evidente attribuendo la presidenza del Consiglio superiore al Presidente della Repubblica, individuato come espres sione di quel momento unitario in cui si compongono tutte le arti colazioni dell'ordinamento. E anzitutto per questo, Signor Presi dente, a Lei -garante di una azione della Magistratura conforme ai principi costituzionali -� doverosa e sincera l'attestazione dell'im pegno mio personale e di tutti i colleghi per una piena e leale col laborazione. Dalla scelta cos� operata dalla Costituzione discendono importanti conseguenze sui modi in cui il Consiglio superiore deve operare per contribuire a che l'equilibrio complessivo del sistema non xw sia turbato, consentendo ad ogni potere di svolgere i compiti secondo le linee tracciate dalla Carta costituzionale. Cos� se la questione della partecipazione si presenta come essenziale perch�, attraverso lo spazio dato alle istanze emergenti in ogni settore della Magistratura, trovano concreta espressione nel governo della Magistratura stessa tutte le realt� di una societ� in cui i magistrati sono parte integrante, ne segue la necessit� di rendere evidenti i modi in cui la partecipazione si viene a realizzare, per consentire appunto di individuare le linee sulle quali opera la Magistratura e al Presidente di rappresentarle con chiarezza davanti al Paese. Di qui la questione della pubblicit�, necessaria, in tale prospettiva, per assicurare verso l'esterno la pi� ampia informazione, secondo schemi che possano contemperare in modo soddisfacente le esigenze della informazione pubblica con quelle altrettanto essenziali del doveroso riserbo in particolari materie. Cos�, ancora, dal rispetto degli equilibri costituzionali deriva l'esigenza di uno scrupoloso adempimento dei doveri incombenti sui singoli magistrati, che sono posti anche a garanzia della loro indipendenza, oltre che quale sostanza della loro imparzialit�. Ne consegue in ispecie la necessit� che i procedimenti disciplinari siano condotti in modo corretto nella attuazione delle garanzie dell'incolpato e sollecito nello svolgimento, al fine di sollevare il singolo magistrato e la Magistratura, come ordine cui egli appartiene, da qualsiasi ombra o dubbio, inaccettabili per coloro che tanta abnegazione rivelano nello svolgimento delle proprie funzioni, e al fine altres� di soddisfare la legittima attesa della societ� che l'esercizio dell'attivit� giurisdizionale sia affidato a uomini degni e capaci. Sempre a tali esigenze di dignit� e di capacit� devono essere ispirate le scelte dei magistrati agli uffici direttivi; nella consapevolezza che la buona amministrazione della giustizia dipende dai mezzi materiali e da pi� moderni e idonei ordinamenti, che giustamente la Magistratura chiede e sollecita agli altri poteri dello Stato, ma dipende anche dalla gestione quotidiana della concreta attivit� giudiziaria, la quale deve rispondere a criteri di efficienza e di trasparente correttezza. La richiesta di pi� moderni e idonei ordinamenti richiama, infine, l'attivit� di ricerca, di studio, di proposta, di parere che il Consiglio, nel rispetto delle autonome prerogative del Parlamento e del Governo, ha gi� svolto con tanta efficacia e per il cui potenziamento occorrer� operare anche mediante l'intensificazione dei collegamenti con gli altri poteri dello Stato, utilizzando correttamente i canali istituzionali propri della funzione dell'esecutivo e quelli posti a disposizione dai regolamenti parlamentari. Signor Presidente, colleghi. queste mie dichiarazioni sono soltanto considerazioni .offerte alla riflessione del Consiglio, poich� sono ben consapevole della mia posizione di componente che deve svolgere funzioni di collaborazione o vicarie rispetto alle attribuzioni del Presidente della Repubblica: mi auguro che esse vengano accolte da Lei, Signor Presidente, e dai colleghi, come testimonianza dello spirito con il quale mi accingo ai compiti affidatimi in un momento cos� difficile della vita del Paese. i' i i t'.� ;;: ~:~ (-: 1:. ~� r:: ~= ~=� ii ii f.: 1� f; ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI CARAMAZZA l.F., Il Congresso di Messina del _3-8 novembre ;1981 . II, 27 DI TARSIA DI BELMONTE P., In tema di aggravanti . .... I, 428 DI TARSIA DI IBELMONTE P., Esistono ancora dei limiti alla responsabilit� diretta dell'Amministrazione per fatto del dipendente? .. I, 433 MARUOTTI L., Considerazioni in tema di impugnabilit� dell'ordinanza di rilascio emessa nei confronti dell'occupante abusivo di bene demaniale ............................ . I, 338 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA -Autorizzazione -Abilitazione -Nozione -Rilascio di carta di circolazione -Natura -Controversie -Giur1schl: cione dclll'a;g.o., 312. -Vizi -Eccesso di potere -Contraddittoriet� -Fattispecie -Limiti, 343. dell'appaltatore, 410. -Appalto di opere pubbliche -Consegna dell'opera -Appalto disciplinato per legge o per convenzione dal capitolato generale per le opere pubbliche -Consegna frazionata dei lavori -Esclusione -Avvenuta consegna parziale -Conseguenze alternative, 410. -Appalto di opere pubbliche -Sospensione -Protrazione -Pretesa di danni -Riserva -Iscrizione nel verbale di ripresa dei lavori -E' tempestiva, 421. -Onerosit� e difficolt� dell'esecuzione -Disciplina prevista dall'articolo 1664 cod. civ. -Applicazione analogica ed eventi sopravvenuti diversi da quelli indicati dalla norma -Inammissibilit� -Equo compenso -Interpretazione estensiva -Ammissibilit�, -410. -Onerosit� e difficolt� dell'esecuzione -Disciplina prevista dall'art. 1664 cod. civ. -Finalit�, 410. ARBITRATO -Arbitrato obbligatorio -Norma regolamentare che lo prevede -Illegittimit� -Effetti -Vizio di nullit� del Jodo per nuJlit� de~ compromes� so, 421. -Condizioni generali per l'appalto dei lavori del Genio Militare -Inappellabilit� del lodo -Norma che lo prevede -Illegittimit� -Disapplicazione -Effetti, 421. ATTO AMMINISTRATIVO -Atto discrezionale -Annullamento - Limiti all'indagine sulla legittimit� - Effetti, 343. COMUNIT� EUROPEE -Agricoltura -Aiuti per l'impiego di prodotti proteici in main~rn:i -Condizioni -Acquisto di latte magro in polvere, 290. -Agricoltura -Pcrodotti composti -iR.estituzioni all'esportazione -Condizioni, 290. -Agricoltura -Restituzioni all'esportazione -Condizioni, 290. -Agricoltura -Risorse proprie della Comunit� -Riscossione indebita - Azione di ripetizione -Limiti, 290. -Corte di Giustizia -Pronuncia pregiudiziale ai sensi dell'art. 177 del �trattato CEE -Pronuncia di invali� dit� di un regolamento comunitario Effetti, 290. -Unione Doganale -Libera circolazione delle merci -Disposizioni fiscali interne discriminatorie -Abolizione Efficacia diretta -Presa di posizione favorevole della Commissione - Legittimo affidamento dello Stato membro -Insussistenza, 303. -Unione Doganale -Libera circolazione dehle merci -Ddisposdzioni fiscali interne discriminatorie -Abolizione non oltre ill'dnizio delJa seconda tappa del periodo transitorio -Efficacia diretta Inammissibilit� di deroghe, 303. -Unione Doganale -Libera circolazione delle merci -Disposizioni fiscali interne discriminatorie -Regime fiscale degli alcoli -Diritto erariale sulle acquaviti di vino, 303. -Unione Doganale -Tributi discrimi� natori indebitamente riscossi -Traslazione sugli acquirenti -Restituzione -Limiti, 303. APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Consegna dell'opera -Appalto disciplinato dal capitolato generale delle opere pubbliche -Consegna tardiva Diritti INDICE DELLA -Violazioni del trattato CEE -Contestazione -Procedimento -Parere motivato della Commissione -Efficacia giuridica, 303. CONCESSIONI AMMINISTRATIVE -Morte del concessionario -Utilizzazione di fatto -Effetti -Limiti, 338. -Occupante abusivo di terreni dati in concessione a terzi -Impugnazione dell'ordinanza di rilascio -Titolarit� -Occupante abusivo, 338. CONTABILITA PUBBLICA -Crediti dei pubblici dipendenti -Rivalutazione -Esclusione -Regolamento di contabilit� -:t!. fonte secondaria, 267. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato -Invasione da parte di organi ghtrisdizionali -Estremi, 272. -Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato -Pu� essere parte in un conflitto di attribuzione -Ordinanza della Corte costituzionale non preceduta da giudizio sulla ammissibilit� del ricorso ad essa proposto -Insussistenza della materia di un conflitto, 271. -Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato -Sfera di attribuzione del potere esecutivo -Invasione per atto emesso da organo giudiziario Ammissibilit�, 272. -Ordinanza di rimessione -Difetto di motivi -Inammissibi!lit� deLla questione, 277. -Principio di eguaglianza -Omessa indicazione di disposizioni di rango costituzionale -Rilevabilit� d'ufficio, 283. -Questione incidentale di legittimit� costituzionale -Deduzioni defensionali dell'ente produttore della disposizione impugnata -Non determinano irrilevanza de1La questione, 282. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -Libert� di manifestazione del pensiero -Contemperamento con altre esigenze costituzionalmente garantite -Necessit�, 277. GIURISPRUDENZA xvn DEMANIO -Beni di interesse paesaggistico -Vincoli -Effetti -Decorrenza -Pubblicazione elenchi nell'Albo Comunale Conseguenze, 343. -Beni di interesse paesaggistico Vincoli panoramici -Costruzioni edilizie -Nulla osta della Soprintendenza ai monumenti -Legge n. 14971939 e reg. 1357-11940 -Rapporti -Art. 16 del regolamento -Criterio di interpretazione, 343. -Beni di interesse paesaggistico -Vincolo panoramico -Costruzioni edilizie -Nulla osta della Soprintendenza ai monumenti -Motivazione del permesso a costruire -Modulo-tipo senza riferimenti al vincolo -Insufficienza, 343. -Beni di interesse paesaggistico -Vincolo panoramico -Costruzioni edilizie -Nulla-osta della Soprintendenza ai monumenti -Successivo annullamento -Natura -Effetti, 343. FAMIGLIA -Patr~a potest� -Interruzione delJl:a gravidanza di donna. minorenne Mancata consultazione dei genitori Legittimit� costituzionale, 287. GIURISDIZIONE CIVILE -Impiego pubblico -Presupposti � Atto di nomina � Mancanza � Irri� �l:evoanza � COI1Jtrrove11Sie � Giurisdizione del giudice amministrativo -Sussiste, 317. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Ricorso giurisdizionale amministra� tivo � Legittimazione ad agire � Presup; posti -Utente dii terreno in concessione a terzi � Legittimazione � Carenza, 338. -Ricorso giurisdizionale ammi.�l.istra� tivo � Natura � Indagine del Giudice amministrativo -Sopravvenuta carenza di interesse � Valutazione � Limiti � Riferibilit� alla posizione sostanziale di interesse legittimo � Effetti, 341. -Ricorso giurisdizionale amministrativo � Provvedimento impugnabile Licenza edilizia -Autorizzazione di variante -Possibilit� di impugnatiiva autonoma -Preclusrone, 341. XVUI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO IMPIEGO PUBBLICO -Funzionari onorari -Componenti delle Commissioni di controllo regionali -Indennit� -Misura -Controversia -Giurisdizione di legittimit� del giudice amministrativo, 319. ISTRUZIONE E SCUOLE -Insegnante universitario -Nuovi incarichi -Nozione ex art. 4 legge n. 76-1973 -Individuazione -Rinnovazione della copertura di cattedre mediante attribuzione precaria Esclusione, 342. LAVORO -Assistenza -Controversie -Decreto ingiuntivo -Competenza Giudice del lavoro, 327. -Controversia -Intervento coatto di un'amministrazione dello Stato -Sentenza del pretore -Appello -Tribunale -Competenza -Foro dello Stato -Applicabilit�, 328. -Decreto ingiuntivo -Opposizione Effetti, 327. -Decreto in~untivo -Opposizione Notifica -Procedibilit� -Condizioni, 327. ORDINAMENTO GIUDIZIARIO -Illecito disciplinare -Principio nulla poena sine lege -Non opera, 277. PENA -Revoca della sospensione condizionale -Limiti -Superamento per sentenza della Corte Costituzionale Esclusione, 271. PROCEDIMENTO CIVILE -Foro dello Stato -Chiamata in garanzia -Applicabilit�, 327. -Lavoro -Controversia -Intervento coatto di una amministrazione dello Stato -Foro dello Stato -Applicabilit�, 327. PROCEDIMENTO PENALE -. Parte civile, ricorso per cassazione Sentenza di non doversi procedere Amnistia -Esclusione di aggravanti Difetto di interesse della parte civile all'impugnazione, 428. REGIONE -Turismo e industria alberghiera Classificazione alberghiera -Non � riservata allo Stato, 265. RESPONSABILITA CIVILE -Danno -Fatto illecito -Concause dell'evento dannoso -Nozione -Applicazione dell'art. 41 c.p., secondo comma -Limiti, 331. -Precettori -Maestri del Patronato scolastico -Presunzione di responsabilit� -Casi di esclusione -Limiti, 332. -Responsabilit� diretta della pubblica amministrazione per fatto del dipendente -Occasionalit� necessaria -Rapporto organico -Sussiste anche in ipotesi di fatto commesso da sentinella che abbia abbandonato il posto di guardia, 432. SANITA -Interruzione della gravidanza -Donna minorenne -Assenso dei genitori o del tutore o autorizzazione del giudice tutelare -Necessit� Legittimit� costituzionale, 287. SUCCESSIONE -Collazione di donazione -Somma di danaro -Collazione secondo il principio nominalistico -Legittimit� costituzionale, 284. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza Rettifica con metodo induttivo dell'ammontare dei ricavi non rispondente al presumibile valore -Legittimit�, 357. -Accertamento -Modificazione per sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi -Analiticit� dell'accertamento da modificare -Non � necessaria, 372. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Accertamento -Motivazione sintetica -Dichiarazione non corredata dei documenti contabili -Legittimit� Invito a produrre la documentazione -Non � necessario, 374. -Accertamento tributario -Incompetenza dell'ufficio tributario -Nullit� assoluta -Rilevabilit� d'ufficio, 378. -Accertamento -Ufficio competente Incorporazione di societ� -� quello della sede della societ� incorporante, 366. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Assegnazione di beni ai soci di societ� di persone -Si realizza, 397. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Cessione dell'intero pacchetto azionario -Costituzione di organizzazione di persone senza personalit� giuridica Realizzo di avviamento per cessione di azienda -Esclusione, 391. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Realizzazione nel corso di procedura fallimentare Costituisce reddito tassabile -Esistenza di passivo fallimentare -Irrilevanza, 387. - Imposta sulle societ� -Esenzione dell'art. 151, lett. f) del t.u. delle imposte dirette per nominati istituti di edilizia popolare -Estensione ad altri istituti non nominati -Esclusione, 360. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Pertinenze -Non si estende -Appalto per costruzione di strada interna -Esclusione della agevolazione, 363. -Imposta di registro -Concessione Servizio di illuminazione -Istituzione dell'ENEL -Continuazione del servizio da parte della societ� -Obbligazione per l'imposta di registro, 409. -Imposta di registro -Vendita fra parenti -Applicazione della norma vigente al momento della stipulazione dell'atto, 3711. - Imposta di successione -Passivit� deducibili -Avallo cambiario e pri vilegio speciale su bene dell'asse ereditario -Debiti neutralizzati da un corrispondente credito -Indeducibilit�, 401. -Imposte ipotecarie -Sanzioni -Sistema di applicazione del tributo Distinzioni, 381. -Imposte sulla circolazione degli autoveicoli -Imposta straordinaria istituita con l'art. 4 del d.l. 6 luglio 1974, n. 251 -Furgone finestrato -Vi � soggetto -Art. 42 d.l. 18 luglio 1976, n. 648 -Valore interpretativo, 394. -Imposta sull'entrata -Condono Termine per il pagamento -� perentorio, 380. -Sanzioni non penali -Interessi Non sono dovuti, 406. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento tributario -Notificazione -Destinatario irreperibile Deposito ed affissione presso la casa comunale -� regolare, 369. -Contenzioso tributario -Condono Ultima pronunzia di merito -� quella della commissione centrale in materia di estimazione complessa, 390. -Contenzioso tributario -Giudizio di terzo grado -Ricorso alla commissione centrale -Rinuncia per ricorrere alla Corte d'Appello -Inammissibilit�, 375. -Contenzioso tributario -Oggetto e natura del processo innanzi alle Commissioni, 345. -Contenzioso tributario -Sospensione della riscossione -Regolamento di giurisdizione -Ammissibilit�, 345. -Riscossione -Imposte dirette -Sospensione -Rimedi ammessi, 345. -Riscossione -Sospensione dei titoli esecutivi fiscali da parte del giudice -Difetto assoluto di potere, 345. URBANISTICA -Licenza edilizia -Autorizzazione di variante -Illegittimit� della licenza originaria -Effetti sul provvedimento di autorizz�zione di variante - Caducazione dell'atto successivo, 341. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 26 maggio 1981, n. 70 26 maggio 1981, n. 711 26 maggio 1981, n. 73 28 maggio 1981, n. 77 (ord.) 1� giugno 1981, n. 81 ... 8 giugno 1981, n. 98 (ord.) 8 giugno 1981, n. 100 19 giugno 1981, n.105 . 25 giugno 1981, n. 109 25 giugno �1981, n. 197 10 luglio 1981, n. 132 (ord.) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE [3 maggio 1981, nella causa 66/80 . . . . . . . 27 maggio 1981, nelle cause riunite 142 e 143/80 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 5 marzo 1980, n. 1471 . Sez. I, 19 marzo 1980, n. 1818 . Sez. I, 27 marzo 1980, n. 1908 . Sez. I, il0 aprile 1980, n. 2103 . Sez. I, 17 aprile 1980, n. 2507 . Sez. I, 2 giugno 1980, n. 3596 . Sez. I, 16 giugno 1980, n. 3824 . Sez. I, 24 giugno 1980, n. 3956 . Sez. I, 26 giugno 1980, n. 3998 . Sez. I, 1� luglio 1980, n. 4140. Sez. I, 2 luglio 1980, n. 4189 . Sez. I, 5 luglio 1980, n. 4277 . . Sez. I, 7 luglio 11980, n. 4322 . . Sez. I, 17 luglio 1980, n. 4652 . Sez. I, 19 luglio 1980, n. 4746 . Sez. I, 19 luglio 1980, n. 4748 . Sez. I, 22 luglio 1980, n. 4784 . pag. 265 )) 267 � 271 � 271 � 277 � 272 � 277 � 282 � 287 � 284 � 272 pag. 290 � 303 pag. 345 � 410 � 357 � 360 � 363 � 366 � 369 � 371 � 372 � 374 � 375 � 378 )) 380 � 381 � 387 � 390 391 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA Sez. I, 22 ~uglio �1980, n. 47t88 Sez. I, 24 luglio 1980, n. 4808 . Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4867 . Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4879. Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4880 . Sez. Lavoro, 9 gennaio 1981, n. 194. Sez. Lavoro, 10 gennaio 1981, n. 236 . Sez. III, 10 febbraio 1981, n. 826 . Sez. Un., 2 marzo 1981, n. 1203 . Sez. Un., 24 marzo 1981, n. 1687 . Sez. Un., 11 aprile 1981, n. 2113 . Sez. I, 14 maggio 1981, n. 3167 . GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 16 dicembre 1980, n. 1217. Sez. V, 29 maggio 1981, n. 219 . . Sez. VI, 19 maggio 1981, n. 213 . Sez. VI, 19 maggio 1981, n. 221 . GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, e.e. 22 marzo 1977 . Sez. IV, 14 aprile 1981, n. 878 . XXI � 394 � 397 � 401 � 406 )) 409 � 327 � 327 � 331 � 317 � 319 � 322 � 421 pag. 338 � 341 � 342 � 343 pag. 428 � 432 ; ~ PARTE SECONDA ~ i: I I <: QUESTIONI ~'. Il congresso di Messina del 3-8 novembre 1981 . . . . . . . . . . . . . pag. 27 LEGISLAZIONE I. -Norme dichiarate incostituzionali . pag. 33 II. � Questioni dichiarate non fondate . )) 34 III. � Questioni proposte )) 36 1: ! 1: PARTE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 26 maggio 1981, n. 70 -Pres. Amadei -Rel. Elia Regione Piemonte (avv. Romano), Regione Puglia (n.p.), Regione Umbria (avv. Duranti) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Regione -Turismo e industria alberghiera -Classificazione alberghiera -Non � riservata allo Stato. I principi stabiliti dalle leggi dello Stato delimitano il modo di esercizio delle potest� legislative regionali e non anche le materie di competenza regionale; la classificazione di alberghi pensioni e locande nonch� dei. complessi ricettivi all'aperto non � � submateria � sottratta alla materia � turismo � e riservata allo Stato. (omissis) In questo, come in altri casi gi� sottoposti a questa Corte (si veda per tutte la sent. n. 58 del 1958), la lesione dell'interesse nazionale comporta che per un settore di materia sia preclusa ogni possibilit� di int~ento della Regione. Ma la sottrazione della submateria � classificazione alberghiera � (rispetto alla pi� ampia materia del turismo ed industria alberghiera) dall'ambito dei poteri trasferiti alle Regioni non trova sostegno nei testi normativi. In primo luogo l'art. 1, lett. g) del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6, trasferisce alle Regioni, tra gli altri settori della materia, le funzioni amministrative concernenti �la 'classificazione e la locazione di immobili adibiti ad uso di albergo, pensione, locanda; i complessi ricettivi extraalberghieri (campeggi, villaggi turistici, ostelli)�; e certo la formula pi� ampia usata neM'art. 56 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 per definire il turismo e l'industria alberghiera non potrebbe interpretarsi in senso riduttivo rispetto al trasferimento disposto dal d.P.R. n. 6 del 1972, e cio� in contrasto con quanto � disposto in modo espresso dall'art. 136 del d.P.R. n. 616 del 1977. N� si rinvengono riserve a1lo Stato nell'ambito della submateria �classificazione alberghiera�, nel d.P.R. n. 6 del 1972 (artt. 3-5) e neppure nel d.P.R. n. 616 del 1977 (art. 58)'. D'altra parte non si pu� -in mancanza di deroga legittimamente disposta da!l legislatore -venir meno al para!llelismo tra funzioni aromi 266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nistrative e legislative (pi� volte riaffermato da questa Corte: tra l'altro II nella sent. n. 39 del 1971), anche se pu� ammettersi che una disciplina riguardante il passaggio delle funzioni amministrative statali alle Regioni non � in grado di risolvere compiutamente i problemi de11e corrispondenti w H funzioni legislative. ;.: Infine non si pu� trascurare un dato normativo sicuramente contrastante con l'affermazione di un interesse nazionale alla uniformit� della disciplina legislativa in tema di classificazione alberghiera, uniformit� che 1 dovrebbe ovviamente farsi valere in tutto il territorio nazionale. Infatti l'art. 8, primo comma, del d.P.R. 27 marzo 1952, n. 354 (Norme di attua~ I zione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), conteneva questa regola: �I criteri che le leggi dello Stato prescrivono per la determinazione delle classifiche alberghiere e le disposizioni a carattere nazionale in materia di tariffe alberghiere valgono anche per la Regione�; orbene, questa disposizione non figura pi� :nel testo del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 278 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di turismo e di industrie alberghiere), che all'art. 10 abroga espressamente il citato d.P.R. 27 marzo 1952, n. 354. Ed � significativo, anche se non decisivo, che senza oppos1z10ne del Governo abbiano potuto essere adottate varie leggi regionali in tema di classificazione dei complessi ricettivi all'aperto (legge reg. Puglia 20 giugno 1979, n. 35; legge reg. Veneto 10 agosto 1979, n. 56; legge reg. Piemonte 31 agosto 1979, n. 54). Si pu� certo rilevare che di tali complessi non fa parola il r.d.I. 18 gennaio 1937, n. 975 (convertito con modifiche in legge 30 dicembre 1937, n. 2651 e modificato con ir.d.I. 5 settembre 1938, n. 1729), e cio� l'unico testo legislativo statale vigente in questo settore: ma, ove si trattasse di vero interesse nazionale aH'uniformit� di disciplina, l'obiezione risulterebbe formalistica, data l'identit� del1a ratio a favore della unicit� dei criteri classificatori a livello nazionale e data anche la mancanza di serie giustificazioni per una sottovalutazione degli esercizi ricettivi extraalberghieri (sottovalutazione gi� rilevabile peraltro nella legge n. 326 del 1958 ed ora nell'art. 60, lett. e) del d.P.R. n. 616 del 1977). Ci� che si � esposto dimostra anche come l'attuale pronunzia, dato il diverso quadro normativo in cui si iscrive, non contraddice alla sen~ tenza di diverso segno a suo tempo adottata da ,questa Corte nelila stessa materia (sent. n. 15 del 1956). Quanto alla censura ci11ca la violazione del limite dei principi fondamentali della legislazione statale, essa � riferita innanzitutto alla esistenza di un principio fondamentale della materia che escluderebbe ogni possibilit� di intervento normativo delle Regi0111i in una submateria (in questo caso la �classificazione alberghiera�). Ma un principio fondamentale siffatto non pu� darsi nel quadro dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, dovendo i principi riguardare in ogni caso il modo di eser PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE cizio della potest� legislativa regionale e non comportare l'inclusione o l'esclusione di singoli settori della materia dall'ambito di essa. Altrimenti non troverebbero rispondenza nella realt� dell'ordinamento i criteri fis� sati da questa Corte in occasione del giudizio relativo all'art. 17 della legge 16 maggio 1970, n. 281, (criteri che, nel trasferire Ja submateria �classificazione alberghiera>>, la normativa in vigore ha pienamente os� servato); infatti secondo la sentenza n. 39 del 1971, �unitariamente inter� pretato, l'art. 17 vuole che alle Regioni siano assegnate per intero le materie indicate nell'art. 117 della Costituzione; ma vuole, d'altro lato, ohe, sia attraverso Ja esplkita enunciazione dei "principi fondamentali", di oui allo stesso art. 117, sia in altre e diverse forme, che non :si rrisolvano in una preventiva e generale riserva allo Stato di settori di materie, lo svolgimento concreto delle funzioni regionali abbia ad essere armoni� camente conforme agli interessi unitari della collettivit� statale�. Infine, per l'altra interpretazione della censura sulla violazione del limite dei principi fondamentali, � quali si desumono dalle leggi vigenti � per regolare l'esercizio del potere legislativo concorrente delle Regioni, � sufficiente rilevare che qui ed ora tali principi consistono in criteri generalissimi (livello delle attrezzature, dell'arredamento e della presta� zione di servizi) che la disciplina contenuta nelle leggi rregionali non con� traddice da nessun punto di vista. N� potrebbero assurgere a dignit� di principi fondamentali della legislazione taluni dei requisiti indicati nella tabella del decreto-legge del 1937, non gi� perch� essi non sono pi� rilevanti ai fini di una aggiornata classificazione, ma piuttosto perch� non suscettibiili, in s� o per s�, di costituire limite e indirizzo per aa legislazione regionale concorrente. Le esigenze di sostanziale corrispon� denza tra le classificazioni adottate nelle varie Regioni possono essere soddisfatte mediante interventi de! potere statale pienamente compatibili con l'integrit� delle funzioni attribuite agli enti regionali e ci� a pre� scindere dalla possibilit� di un autocoordinamento in sede interregionale. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 26 maggio 1981, n. 71 � Pres. Amadei � Rel. La Pergola � Salerno ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). Contabilit� pubblica � Crediti dei pubblici dipendenti � Rivalutazione � Esclusione � Regolamento di contabilit� � 1'. fonte secondaria. (Cost., artt. 3, 24, 35, 36, 97 e 113; cod. proc. civ., art. 429; r.d. 23 maggio 1924, n. 827, art. 270). La questione di legittimit� costituzionale di una disposizione del regolamento di contabilit� generale dello Stato (r.d. 23 maggio 1924, n. 827) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 268 � inammissibile, posto che detto regolamento ha natura di fonte secondaria. D'altro canto, l'art. 429 cod. proc. civ. � disposizione applicabile ai rapporti di lavoro subordinato jure privato, e non anche a quelli dei dipendenti dello Stato e degli ent� pubblici non economici (1). (omissis) Giova alla corretta disamina del presente caso fermare anzitutto l'attenzione sulla censura che concerne l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. Come risulta dal dispositivo dell'ordinanza di remissione del pretore di Palmi, detta disposizione � denunziata in quanto essa non derogherebbe al principio sopra richiamato, che si assume sancito nell'art. 270 del regolamento di ,contabilit�, con la conseguenza di impedire, riguardo ai dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici, la decorrenza degli interessi e la rivalutazione degli stessi crediti dal giorno de1la maturazione deil diritto. Ora, se da un canto !l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. � impugnato, nei termini test� riferiti, in relazione all'art. 270 del regolamento di contabilit�, dall'altro si deduce -dallo stesso pretore di Palmi, e con un'autonoma ed ulteriore censura -anche l'illegittimit� costituzionale di quest'ultima disposizione. Il punto esige un cenno di chiarimento. L'art. 429 cod. proc. civ. potrebbe derogare alla citata disposizione, e comunque al regime della contabilit� pubblica -sul presupposto, � appena il caso di avvertire, che si tratti di norme incidenti sulla disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici -solo se tali rapporti ricadessero sotto la sua previsione: laddove si assume dal pretore di Palmi (e, analogamente dalla Corte d'appello di Caltanissetta) che essi ne rimangono necessariamente esclusi. La lesione del principio di eguaglianza -asserita in base alla discriminazione che opererebbe nel trattamento dei crediti di lavoro -viene cos� a prospettarsi sul semplice assunto che l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. sia inestensibile al caso di specie: indipendentemente, dunque, dalla dedotta incostituzionalit� dell'art. 270 del regolamento di contabilit�. Ma va subito osservato che, sotto il profilo ora in esame, la questioIJe non � fondata. In questo senso la Corte si � gi� pronunciata (sentenza n. 43 del 1977) in altro giudizio, in cui la stessa disposizione dell'art. 429, terzo comma, veniva denunziata, sempre in riferimento all'art. 3 Cost., sostan (1) Le affermazioni contenute nell'ultima parte della sentenza non debbono essere interpretate nel senso che mancherebhe un supporto legislativo all'art. 270 del regolamento di contabilit�. Al contrario, la Corte costituzionale ha chiaramente indicato che nel silenzio della legge (o per quanto la legge non disponga esplicitamente) non pu� aversi rivalutazione di crediti vantati nei confronti dello Stato. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 269 zialmente per i motivi qui in esame �Le ragioni giustificatrici della norma in questione � -� detto nella pronunzia test� citata, e va ora ripetuto -� non ri!levano negli stessi termini modi e misura in cui ricorrono per gli enti pubblici economici. Ci� basta per constatare che le situazioni poste a raffronto sono diverse e che quindi non sussiste l'assunta ililegittimit� costituzionale dellla norma nehla rparte in cui prevede la disciplina sopradetta solo per i dipendenti di cui all'art. 409 del codice di procedura civile �. Ci� detto si deve escludere anche la lamentata violazione degli artt. 35 e 36 Cost., dedotta sull'assunto, di cui si � appena veduta l'infondatezza, che la mancata estensione al nostro caso dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. dv. abbia offeso :ilJ. priociJpio costituzionale di eguaglianza. Resta da considerare la denunzia dell'art. 270 del regolamento di contabilit�. Nell'ordinanza di rinvio emessa dal tribunale di Catania si afferma -e nelle altre due evidentemente si presuppone -che tale regolamento sia atto dotato della forza di :legge, quindi impugnabi.ile iin questa sede. La Corte � di contrario avviso. Il regolamento � posto con regio decreto in conformit� della norma di legge che ne costituisce il fondamento, l'art. 88 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440. Quest'ultimo atto legislativo �, a sua volta, un decreto emesso in virt� della delega concessa al governo con legge 3 dicembre 1922, n. 1601 (� Delegazione di pieni poteri al Governo del re per il riordinamento del sistema tributario e della pubblica amministrazione�). L'atto in cui � contenuta la norma censurata soddisfa, fuor di dubbio, i requisiti prescritti per la formazione dei regolamenti dalla legge che governava la materia: precisamente, il decreto emana, come doveva, dal re, in forza della menzionata delega, che. esso espressamente richiama, e su proposta del Ministro delle finanze, sentiti il Consiglio dei ministri, la Corte dei conti e il Consiglio di Stato. La compresenza nella specie di questi elementi formali consente quindi di stabilire -in via di esclusione, e alla stregua dei criteri predeterminati dalle norme vigenti -che l'atto in esame non poteva avere base diversa dalla potest� regolamentare, qui appositamente attribuita al governo. Tale risultato s'impone, del resto, anche in considerazione di precedenti pronunzie rese in analoghi casi dalla Corte, e specialmente di quel che si � affermato con sentenza n. 118 del 1968: �In presenza di una qualificazione data dalla legge, nel senso che il governo era legittimato ad emanare un regolamento, � necessario che concorrano elementi obiettivi, certi ed inequivoci per dimostrare che, al contrario, si trattava di una vera e propria delega legislativa: il che � da affermarsi specialmente in riferimento ad un ordinamento nel quale, a differenza di quello RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO attuale, la diversa forza degli atti normativi non dava luogo ad una semplice ripartizione fra organi diversi della competenza a sindacarne i vizi sostanziali, ma era rilevante al fine della configurabilit� stessa di un controllo giurisdizionale, notoriamente escluso per gli atti legislativi�. Si deve aggiungere che la qualificazione dell'atto come regolamento, privo del valore della legge, � nella specie pienamente suffragata anche dal preciso tenore della norma (il citato art. 88 del r.d. n. 2440 del 1923), dallla quale esso trae fondamento. Il governo veniva abilitato, nelle forme sopra viste, soltanto �a modificare le norme regolamentari vigenti per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilit� generale dello Stato, con facolt� di emanare ogni altra disposizione di complemento, di coordinamento e di attuazione �. Si voleva dunque circoscrivere l'esercizio della potest� regolamentare rigorosamente nei limiti di una normazione secondaria e complementare rispetto alla legge. Nel caso in esame, infatti, il regolamento � subordinato allo stesso atto legislativo abilitante, che appresta, dal canto suo, un'organica disciplina della contabilit� generale dello Stato. Non varrebbe, d'altra parte, nemmeno osservare che la norma impugnata � stata costantemente considerata, nel diritto vivente ad opera della giurisprudenza, come un precetto idoneo a derogare, quando si tratti di debiti pecuniari dello Stato e degli anzidetti altri enti pubblici, il regime posto nel codice civile in tema di interessi moratori. A tacer d'altro, qui soccorre il rilievo che la Corte di cassazione ha con varie decisioni ultimamente negato il fondamento di una simile deroga: nel prospettare la presente questione si sarebbe, quindi, in ogni caso denunziata una norma, ormai spoglia del contenuto o dell'efficacia precettiva, che si vorrebbero far scaturire dall'interpretazione giurisprudenziale. Siamo invece, e sicuramente, di fronte ad una disposizione, la quale, comunque interpretata, � pur sempre prodotta mediante atto regolamentare: e con questa fonte non possono crearsi norme provviste dello stesso valore della legge. Nessun rilievo ha, infine, 1a circostanza che nelle ordinanze di rinvio si fa riferimento non solo all'art. 270 del regolamento di contabilit�, ma al contesto, o al sistema, della disciplina in cui figura questa singola disposizione, per dedurne -oltre, o piuttosto, che una norma un qualche principio, sul quale possa esercitarsi il sindacato della Corte. Con ci� non si �, invero, ancora dimostrato che il corpo normativo dai quale un tale principio andrebbe enucleato trascende la sfera del rego~ amento; n�, dunque, si � dimostrato che la disposizione oggetto di puntuale censura trova neH'or.dine delile fonti idonea e si�ura collocazione sul piano della legge formale, o di altro atto a questa equiparato. Il che, in conclusione, comprova l'inammissibilit� della questione. (omissis). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 26 maggio 1981, n. 73 -Pres. Amadei -Rel. Andrioli -Botteochia (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Pena -Revoca della sospensione condizionale -Limiti -Superamento per sentenza della Corte Costituzionale -Esclusione. (Cost., art. 3; cod. pen., art. 168}. Il principio di legalit� dei reati e delle pene preclude alla Corte costituzionale un intervento sull'ordinamento normativo dal quale discen~ dano effetti sfavorevoli al reo. (omissis) Il dispositivo dell'ordinanza di rimessione impugna l'art. 168, primo comma n. l, cod. pen., l� dove non si prevede che la sospensione condizionale della pena �sia revocabile nei confronti del condannato il quale, nei termini stabiliti, commetta un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole, per cui venga inflitta una pena pecuniaria�. Poich� il primo comma dell'art. 168 configura tassativamente la ipotesi in cui la sospensione va revocata di diritto, ne segue che il giudice a quo chiede in sostanza che que~ta Corte introduca una nuova ipotesi di revoca obbligatoria mediante una sentenza di accoglimento. Senonch� il fondamentale principio di legalit� dei reati e delle pene preclude comunque alla Corte la creazione di una norma penale siffatta, dalla quale verrebbero a discendere effetti sfavorevoli al reo. (omissis). I CORTE COSTITUZIONALE, 28 maggio 1981, n. 77 (ord.) -Pres. Amadei - Rel. Paladin -Tribunale di Siracusa e Corte costituzionale. Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato -Corte costituzionale -Pu� essere parte in im conflitto di attribuzione -Ordinanza della Corte costituzionale non preceduta da giudizio sulla ammissibilit� del ricorso ad , essa proposto -Insussistenza della materia ,df un conflitto. Tanto un tribunale quanto la Corte costituzionale rientrano tra gli organi legittimati ad essere parti in conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato; non sussiste per� materia di conflitto qualora il tribunale contesti il modo in cui si � concretamente esplicata la giurisdizione propria della Corte costituzionale. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II CORTE COSTITUZIONALE, 8 giugno 1981, n. 98 (ord.) -Pres. Amadei - Rel. Gionfrida -Presidente Consiglio dei Ministri e Pretore di Genova. Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato � Invasione da parte di organi giurisdizionali � Estremi. La Corte costituzionale non pu� essere chiamata, con ricorso per conflitto di attribuzione, a sindacare nel merito il modo in cui la giurisdizione � stata in concreto esercitata. III CORTE COSTITUZIONALE, 10 luglio 1981, n. 132 (ord.) � Pres. Amadei - Rel. Ferrari -Presidente Consiglio dei Ministri e Pretore di Menaggio. Corte Costituzionale � Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato �'Sfera di attribuzione del potere esecutivo � Invasione per atto emesso da organo giudiziario � Ammissibilit�. E ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal presidente del Consiglio dei ministri in relazione al provvedimento emesso da un pretore, modificativo di atti di una pubblica amministrazione (nella specie, l'A.N.A.S.) al di fuori dei casi espressamente e tassativamente previsti dalla legge. I (omissis) Ritenuto che il tribunale di Siracusa, chiamato a provvedere sull'istanza di revoca della provvisoria sospensione di Salvatore P.lacenti dai pubblici uffici, ordinata dal pretore di Augusta con sentenza del 18 febbraio 1980, ha dichiarato di non potersi pronunciare sull'istanza medesima, dal momento che questa Corte, con ordinanza n. 94 del 1980, aveva a sua volta sospeso -nel corso di un giudizio per conflitto di attribuzione, instaurato dalla regione Sicilia -l'esecuzione della citata sentenza, nella parte concernente la provvisoria esclusione di Salvatore Piacenti dall'esercizio del pubblico ufficio di deputato regionale; che secondo il tribunale di Siracusa, per avere emesso la predetta ordinanza senza alcuna � pregiudiziale delibazione sull'ammissibilit� del conflitto di attribuzione solle� vato da!lla regione �, '1a Corte avrebbe �invaso� la �sfera di :attribuzione� spettante al tribunale stesso, quale �giudice naturale del Piacenti�: e ci� in violazione degli artt. 25, 101, 102, 104 e 134 della Costituzione. (omissis). Che per il ricorrente �l'organo nei cui confronti sia stato elevato conflitto non deve subire, nemmeno interinalmente, gli effetti di una ef. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE fettiva invasione di attribuzioni prima che il denunziato conflitto, in pendenza di giudizio, sia passato al vaglio di ammissibilit� della Corte costituzionale deputata a risolverlo�: senza di che verrebbe meno la sola garanzia � volta a scongiurare che con inammissibili ricorsi al regolamento delle competenze si paralizzi, anche se temporaneamente, l'attivit� istituzionale dell'organo apparentemente confliggente �; che gli artt. 40 della legge n. 87 del 1953 e 28 delle norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte dovrebbero interpretarsi nel senso � che le ordinanze di sospensione vengano adottate dalla Corte previo esame di ammissibilit� dei relativi conflitti�; che, nel caso contrario, spetterebbe alla Corte, �verificata la non manifesta infondatezza della eccezione� (che il ricorrente prospetta in via subordinata) �,ed attesa ila rilevanza della questione ai fini della risoluzione del conflitto�, dichiarare �incidentalmente� l'illegittimit� degli articoli medesimi; e che, in entrambe le ipotesi, la Corte dovrebbe statuire, � annullando il provvedimento impugnato�, che con lo stesso sarebbe stata temporaneamente sottratta al ricorrente �la funzione giurisdizionale penale ", impedendogli � di conoscere sulla istanza di revoca del menzionato interdetto pretorile in relazione agli uffici di deputato e assessore regionale�; considerato che 1a Corte � stata convocata, a norma dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953, per decidere in camera di consigLio se il 'ricorso sia ammissibile: vale a dire, se il conflitto sorga �tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volont� dei poteri cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali�; che tanto il tribunale di Siracusa quanto la C�rte costituzionale rientrano -potenziailmente -fra ,gli organi legittimati ad essere parti 'in conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato; che nel caso in esame non sussiste, per�, �la materia di un conflitto�, che, infatti, nel ricorso non si contesta alla Corte la spettanza del potere di sospendere, � per gravi ragioni�, l'esecuzione di provvedimenti impugnati mediante �conflitto di attribuzione, insorto .fra una regione e lo Stato; che non si contesta neppure il potere di disporre la sospensione di misure adottate da organi giurisdizionali, nei confronti dei quali una regione abbia proposto conflitto (come questa Corte ha ammesso fin dalla sentenza n. 66 del 1964); che il ricorso si limita, invece, a negare la legittimit� della sospensione disposta con l'ordinanza n. 94 del 1980, in quanto non sorretta da un previo specifico giudizio sull'ammissibilit� del ricorso ,regionale in esame: desumendo, da questo solo assunto, che la Corte avrebbe invaso una sfera di competenza costituzionalmente riservata al �ricorrente (e lasciando intendere che, ove la Corte avesse valutato l'ammissibilit� del ricorso predetto, ne sarebbe risultata l'insussistenza di ogni �materia di conflitto tra regione e Stato�); RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che, di conseguenza, il presente conflitto si dimostra proposto allo scopo di censurare il modo in cui si � concretamente esplicata la giurisdizione propria della Corte: donde l'inidoneit� della predetta questione a determinare un conflitto di attribuzione, sia tra Stato e regione (cfr. la sent. n. 289 del 1974), sia tra poteri dello Stato (cfr. la sent. n. 30 del 1980); e che il ricorso del tribunale di Siracusa si risolve dunque in un inammissibile mezzo di gravame,, esp1icitamente escluso dal terzo comma dell'art. 137 Cast., tanto pi� che l'attuale giudizio � ben distinto da quello nel corso del quale la Corte ha disposto l'impugnata sospensione; che, d'altra parte, dall'esercizio del potere di sospensione -previsto dagli artt. 40 della legge n. 87 del 1953 e 28 delle norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte -non pu� derivare e non � derivato, nella specie, n� un disconoscimento nP. una menomazione di attribuzioni costituzionalmente spettanti al tribunale di Siracusa: anche ad 'ammettere, infatti, che il combinato disposto degli artt. 23 e 41 della Jegge n. 87 del 1953 imponga al tribunale stesso di sospendere -in parte -il giudizio sulla predetta istanza di 'revoca promossa da Salvatore Piacenti, non ne discenderebbe altro che una nuova ipotesi di pregiudizialit� costituzionale, per s� non lesiva delle attribuzioni di nessun potere dello Stato; (omissis). II (omissis) Ritenuto che, con ricorso 15 maggio 1979 del presidente del Consiglio dei ministri (autorizzato con delibera del Consiglio stesso del 27 novembre successivo) � stato sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del pretore di Genova, � in conseguenza dell'istruttoria penale iniziata contro il comandante del porto di Genova (con comunicazione giudiziaria del 30 marzo 1979, per il reato previsto dall'art. 347 cod. pen. in relazione all'art. 56 d.P.R. n. 616 del 1977), e della successiva intimazione in data 26 aprile, indirizzata alla Capitaneria, di adottare convenienti provvedimenti ai sensi dell'art. 219 cod. proc. pen. in ordine alla prosecuzione non consentita dell'attivit� esplicata da~ stabilimenti balneari; nonch� del telegramma 9 maggio 1979, indirizzato al Comando Carabinieri, alla Questura ed ai Vigili urbani dei comuni :rivieraschi, e in genere in relazione al comportamento del suddetto pretore nella materia presa in considerazione dagli atti sopra richiamati�; che nel ricorso si assume che le denunciate iniziative del pretore � certamente oltrepassavano l'ambito delle sue attribuzioni istiturionali per invadere la sfera delle competenze costituzionalmente garantite al potere esecutivo�, poich� il magistrato -muovendo dall'erroneo presupposto che risultassero gi� trasferite agli organi regionali (per operativit� della delega ex art. 56 d.P.R. n. 616 cit.) le funzioni amministrative (tra cui quelle relative alle concessioni demaniali) sul litorale marittimo per scopi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE turistici e ricreativi -ha contestato al funzionario statale il delitto di �usurpazione� di cui all'art. 347 cod. pen., in Q"elazione alil'esercizio (che questi aveva continuato a fare) delle funzioni predette, non tenendo conto che il funzionario stesso attuava, con ci�, conformi direttive, impartite dal Governo, �nella sua esclusiva competenza�, di individua:llione del contenuto dell'attivit� amministrativa (artt. 92 e 97 della Costituzione); considerato che, ai sensi dell'art. 37 della legge n. 8 del 1953, la Corte � chiamata, in questa fase, a decidere in Camera di consiglio se il ricorso sia ammissibile; vale a dire se il conflitto sorga �tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volont� dei poteri cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali �; che, dal punto ~ vista subiettivo, � sufficiente richiamare, per quanto attiene alla legittimazione passiva del pretore di Genova, il principio pi� volte affermato (cfr. ordinanze Corte nn. 228, 229 del 1975; n. 49 del 1977; n. 87 del 1978; n. 123 del 1979 e sentenza n. 231 del 1975) per cui �i singoli organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in situazione di piena indipendenza costituzionalmente garantita, sono da considerarsi legittimati ... ad essere parti in conflitti di attribuzione"; mentre, quanto alla legittimazione attiva, non v'� dubbio che questa sussista nei confronti del presidente del Consiglio dei ministri che agisce anche in conformit� a delibera del Consiglio stesso (cfr. ordinanza n. 123 del 1979 cit.); che difetta, invece, sotto il profilo obiettivo, la materi.a di un confilitto; che, infatti, perch� si realizzino gli estremi di un conflitto (come nella specie prospettato) per invasione da parte di organi giurisdizionali, occorre in primo luogo che la menomazione lamentata sia riferibile ad un atto o . comportamento che si assuma inficiato da un vizio che si concreti nell'esplicazione della giurisdizione fuori dei presupposti che per legge ne condizionano l'esercizio (il che, in precedenti fattispecie, � stato ritenuto in relazione al promovimento dell'azione penale con riguardo a comportamenti coperti dalla guarantigia dell'immunit�, e ad ipotesi di estensione della giurisdizione contabile a categorie di atti o soggetti che si assumeva esserne esenti: cfr., rispettivamente, sentenza n. 81 del 1975; n. 110 del 1970; n. 211 del 1972); che, invece, nella specie, nessuna ragione di illegittimit� nei sensi sopra indicati dell'esercizio della giurisdizione penale � stata dedotta o . prospettata, indirizzandosi ogni censura al merito dell'imputazione (quale presupposta nella comunicazione giudiziaria ex art. 304 cod. proc. pen. e negli altri connessi provvedimenti, adottati dal pretore di Genova); dimodoch� la Corte � chiamata ad un non consentito sindacato (cfr. sentenza n. 289 del 1974) sul modo in cui la giurisdizione stessa � stata in concreto esplicata; che pertanto il ricorso � inammissibile. (omissis). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO III (omissis) Ritenuto che con ricorso depositato i!l 18 igennaio 1980 il presidente del Consiglio dei ministri, previa deiliberazione del Consigilio dei ministri, ha solilevato conflitto di attmbuzione nei confronti del pretore di Menaggio in conseguenza del provvedimento in data 30 ottobre 1979, con iJ quale e:m stato ordiro.ato � all'ANAS, compartimento di Milano, ... di eseguire nel termine di giorni trenta dalla ricezione del (presente) decreto, tutte le opere e i lavori necessari per l'adeguata manutenzione della SS. 340 e l'illuminazione delle gallerie lungo iJ tratto Menaggio-Dongo, pena non soltanto l'incriminazione ai sensi degli a:rtt. 328 e 650 cod. pen., ma anche l'eventuale ordine di chiusura al traffico di detta strada�; che nel ricorso si assume che il pretore �ha non solo esercitato un potere attribuito al ministro dei Lavori pubblici quaJ.e presidente dell'ANAS, ma ha anche invaso la sfera di attribuzioni che, pi� in generale, � garantita al potere esecutivo da norme costituzionali�, travalicando i limiti posti al potere giurisdizionale degli artt. 101 e 102, nonch� dall'art. 113 della Costituzione, a garanzia della sfera di attribuzioni del potere esecutivo; considerato che, ai sensi dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953, la Corte � chiamata, in questa fase, a decidere in camera di consiglio se il ricorso sia ammissibile; (omissis). che, sotto il profilo soggettivo, basta richiamare, per quanto concerne la legittimazione passiva del pretore di Menaggio, il principio pi� volte affermato (cfr. ordinanze nn. 228 e 229 del 1975, n. 49 del 1977, n. 87 del 1978, n. 123 del 1979, n. 98 del 1981; e sentenza n. 231 del 1975) per cui � i singoli organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in situazione di piena indipendenza costituzionalmente garantita, sono da considerarsi legittimati ... ad essere parti I�1l conflitti di attribuzione�; mentre, quanto alla legittimazione attiva, non v'� dubbio che questa sussista nei confronti del presidente del Consiglio dei ministri che agisce anche in conformit� a delibera del Consiglio stesso (cfr. ordinanze n. 123 del 1979 e n. 98 del 1981 citate); che, dal punto di vista oggettivo, il conflitto sollevato attiene sicuriamente alla delimitazione della sfera di attribuzioni determinata, per ciascun potere, da norme costituzionali, assumendosi dal ricorrente presidente del Consiglio dei ministri ohe non spetta al potere giudiziario, ma a quello esecutivo, l'emanazione di provvedimenti amministrativi quale quello emesso daJ. pretore di Menaggio, il quale, inoltre, impartendo disposizioni contrarie a quelle dei competenti organi dell'ANAS, avrebbe �inteso evidentemente annullare i correlativi atti amministrativi�, con conse 277 PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE guente � violazione di un limite posto al potere giurisdizionale dall'art. 113 della Costituzione, in forza del quale deve ritenersi che, al di fuori dei casi espressamente previsti da1la legge, non spetta certo agli organi giurisdizionali il potere di annullare gli atti amministrativi�. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 1� giugno 1981, n. 81 -Pres. Gionfrida -Rel. Maocarone -Comis (n;p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa), Corte Costituzionale -Ordinanza di rimessione -Difetto di motivi -Inammissibilit� della questione. Nell'ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale devono essere chiaramente enunciati, a pena di inammissibilit�, i termini ed i motivi della questione, e non � sufficiente la semplice trascrizione dei dati formali (disposizioni censurate e precetti costituzionali violati) della eccezione prospettata da una delle parti. CORTE COSTJTUZIONALE, 8 giugno 1981, n. 100 -Pres. Ama:dei -Rel. Maccarone -Governatori (avv. Pizzorusso), altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Ordinamento giudiziario -Illecito disciplinare -Principio � nulla poena sine lege � -Non opera. (Cost., artt. 25, 101 e 108; r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18). Costituzione della Repubblica -Libert� di manifestazione del pensiero Contemperamento con altre esigenze costituzionalmente garantite Necessit�. (Cost., artt. 21, 54, 101 e 104; r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18). La repressione degli illeciti disciplinari �, anche nei riguardi dei magistrati, espressione di una potest� amministrativa dello Stato, ed � regolata da principi diversi da quelli che reggono il magistero penale: cos�, non � pertinente il richiamo all'art. 25, secondo comma, Cast. (nuhla poena sine lege) per estendere all'ambito disciplinare il principio di tipicit� delle fattispecie sanzionate (1). (1) I due commi dell'art. 101 Cost. non paiono scindibili: � i giudici sono soggetti soltanto alla legge � quando ed in quanto amministrano la giustizia. Non pu� quindi desumersi, da una separata lettura del solo secondo comma di detto 278 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La libert� di manifestazione del pensiero deve, per i magistrati, trovare equilibrato contemperamento con le esigenze, egualmente garantite dall'ordinamento costituzionale, di tutela della dignit� dell'ordine giudiziario e di ogni singolo magistrato. (omissis) La Corte � 'chiamata a ,stabilire se sia ,conforme ai precetti costituzionali l'art. 18 del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, nella parte in cui identifica un illecito disciplinare nel fatto che il magistrato �tenga, in ufficio o fuori, condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere o che comprometta il prestigio dell'ordine giudiziario�. Il dubbio di costituzionalit� � prospettato sotto un duplice profilo: a) per violazione del principio di legalit� posto dall'art. 25, secondo comma Cost., in quanto la norma censurata � non tipicizm l'illecito stesso ma lo individua in rapporto a criteri di valutazione e a modelli di comportamento a loro volta non tipicizzati � e conseguente violazione degli artt. 101, comma secondo e 108 comma primo, Cost., i quali � non consentono, salvo il disposto dell'art. 105 della Costituzione, la mediazione da parte di altri organi nella disciplina dello status del magistrato in quanto stabiliscono che i giudici sono soggetti soltanto alla legge e che Je norme sull'ordinamento giudiziario sono stabilite per legge�; b) per violazione dell'art. 21, comma primo, C�st., �il quale esclude limitazioni alla libert� di manifestazione del pensiero, sia pure in contemperamento con gli artt. 54, secondo comma, 101, secondo comma e 104, primo comma, della Costituzione�. Le censure non sono fondate. Relativamente al primo degli espooti dubbi di costituzionalit�, concernente fa dedotta violazione del principio di tipicit� dei comportamenti sanzionabili in via disciplinare, deve anzitutto osservarsi che non appare pertinente il richiamo all'art. 25, secondo comma, Cost. Tale norma infatti, interpretata nel necessario collegamento con il primo comma dello stesso articolo, si riferisce, come � generalm1mte ritenuto, solo alla materia penale e non � di conseguenza estensibile a situazioni, come gli iilleciti disciplinari, estranee all'attivit� del giudice penale, pur se con questa possono presentare, per determinati aspetti, una qualche affinit�. articolo, l'assenza di un �rapporto di supremazia speciale�, oltretutto esplici tamente confermato dagli artt. 105 e 107, secondo comma Cost. La sentenza in rassegna appare alquanto indulgente nei riguardi delle tesi di coloro che vorrebbero, dalla riconosciuta assenza di (( gerarchia � nella orga nizzazione giudiziaria e nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, far discendere una totale assenza di potest� amministrative nei confronti dei magistrati. Tra l'altro, non pare sia stato consolidato che il modulo gerarchico � assente anche in altri ordinamenti particolari (ad esempio, nel settore dell'istruzione e della cultura). P~TE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 279 L'esercizio del potere disciplinare � regolato, invero, da principi sostanzialmente differenti e meno incisivi di quelli che reggono l'esercizio del magistero penale, poich� risponde alla potest� amministrativa dello Stato, e non aHa funzione di giustizia che quest'ultimo assolve attraverso l'attivit� giudiziaria. E tale differenza si riflette natumJmente sulla operativit�, nel campo disciplinare, dei principi generali in materia di esplicazione del potere punitivo, rendendola meno rigorosa ed estesa. N� vale invocare in contrario, come vien fatto nella memoria della parte privata costituitasi in questa sede, la decisione di questa Corte n. 78 del 31 luglio 1967; essa, nel punto in oui afferma che daWart. 25, secondo comma, Cost., � � ricavabile anche per le sanzioni amministrative il principio che deve essere rla legge a configurare i fatti da punire, va, infatti, intesa non come trasposizione della disposizione richiamata nella materia disciplinare, con conseguente applicazione di essa alle sanzioni amministrative, ma come riaffermazione della esigenza che anche per gli illeciti disciplinari sia la legge� a stabilire i comportamenti sanzionabili. Neppure pu� pervenirsi a diversa conclusione, come pure si sostiene nella memoria citata, per il fatto che, per i magistrati, l'applicazione delle sanzioni disciplinari non deriva da un potere discrezionale dell'amministrazione, quale � quello che normalmente si esercita per effetto del rapporto gerarchico e che, inoltre,_ � preordinato un organo giurisdizionale per l'accertamento dell'illecito e l'applicazione della relativa sanzione. Tali connotazioni non valgono infatti ad eliminare la sostanziale diversit� dell'illecito penale da quello disciplinare ma possono tutt'al pi� evidenziare soltanto qualche aspetto di affinit� tra i procedimenti volti all'accertamento dell'illecito. D'altra parte, va considerato che, pur dovendosi ritenere che, per quanto riguarda i magistrati, il fondamento del potere disciplinare non pu� ricercarsi, come per gli impiegati pubblici, nel rapporto di supremazia speciale della pubblica amministrazione verso i propri dipendenti, dovendo escludersi un rapporto del genere :nei riguardi dei magistrati stessi, �sottoposti soltanto alla legge� ex art. 101 Cost., deve anche riconoscersi che il potere disciplinare nei loro confronti � volto a garantire -ed � rimedio insostituibile -il rispetto dell'esigenza di assicurare il regolare svolgimento della funzione giudiziaria, che � uno degli aspetti fondamentali della vita dello Stato di diritto. Onde ben pu� configurarsi, su tale base, indipendentemente dal detto rapporto di supremazia, un potere disciplinare fondato direttamente sulla legge tendente alla tutela dei valori dell'ordinamento de11o Stato eventualmente lesi dal comportamento del magistrato. Ci� premesso, va peraltro affermato che, per quanto concerne la materia disciplinare riguardante i magistrati, il principio di legalit� 280 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO trova egualmente piena applicazione, oltre che come fondamentale esigenza dello Stato di diritto, come conseguenza necessaria del nuovo assetto dato alla magistratura dal legislatore costituente, del quale sono puntuali espressioni la garanzia di indipendenza (artt. 101 e 104 Cost.) e di inamovibilit�, se non a seguito di deliberazione del ConsigJio superiore della Magistratura per motivi previsti (art. 107 Cost.) dall'ordinamento giudiziario, .le cui norme sono stabilite con legge (art. 108 Cost.). Posta, cos�, l'esigenza che nella materia in disamina debba essere la legge a determinare illeciti e sanzioni, occorre verificare se la norma denunziata, che all'uopo provvede, offra le garanzie volute dall'ordinamento costituzionale. Il dubbio di legittimit� viene fondato, come � stato gi� precisato, sul difetto di tipicit� dell'illecito, che verrebbe in concreto individuato in base a criteri di valutazione ed a modelli di comportamento non specificati, con possibile violazione delle garamiie di indipendenza dei magistrati. Nell'esaminare tali censure, non pu� prescindersi dal riferimento ai valori tutelati dalla norma proibitiva, al fine di stabilire, in relazione ad essi, se ed in quale misura sia possibile la tipizzazione dei comportamenti che possono violarli. Essi sono da un lato la fiducria e la considerazione di cui deve godere ciascun magistrato e dall'altro il prestigio dell'ordine giudiziario. � sufficiente esaminare di conte� nuto di tali valori. per constatare la impossibilit� di prevedere tutti i comportamenti che possono lederli; si tratta, infatti, di principi deontologici che non consentono di essere ricompresi in schemi preordinati, non essendo identificabili e catalogabili tutti i possibili comportamentii. con essi contrastanti e che potrebbero provocare una :negativa reazione dell'ambiente sociale. Ci� spiega la ragione per la quale, nelle leggi che nel passato hanno tentato di enunciare ipotesi tipiche di infrazioni disciplinari -come il r.d.l. 6 dicembre 1865, n. 2626 e la legge 17 lugiliio 1908, numero 438 -sia stata posta una norma di chiusura generica ddretta a sanzionare tutti i comportamenti capaci di ledere la reputazione del singolo magistrato o la dignit� dell'ordine al quale egli appartiene. Per la stessa ragione i va11i progetti di riforma, pur con qualche specificazione, indubbiamente utile a �fini orientativi, fanno riferimento, per identificare J'illlecito per violazione di rego1e deontologiche, a formule generiche. Lo stesso avviene negli oridinamenti di varie categorie professionali. Le previsioni normative in materia non possono non avere portata generale perch� una indicazione tassativa renderebbe legittimi comportamenti non previsti ma egualmente riprovati dalla coscienza sociale. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 281 Tali considerazioni giustificano la latitudine della previsione e lo ampio margine della valutazione affidata ad un organo, che, operando con le garanzie proprie di un procedimento giurisdizionale, �, per la sua strutturazione, particolarmente qualificato per apprezzare se i comportamenti di volta in volta considerati siano o meno lesivi dei valori tutelati. N� pu� ritenersi che tale sistema normativo violi il principio di legalit� perch�, come questa Corte ha affermato (cfr. sent. 191 del 1970 e le altre ivi citate) esso � si attua non soltanto con ila rigorosa e tassativa descrizione di una fattispecie ma, in talune ipotesi, con l'uso di espressioni sufficienti per individuare con certezza il precetto e per giudicare se una determinata condotta J'abbia o meno violato �. � stato inoltre ritenuto (sent. 188 del 1975) che �le fattispecie criminose, cosiddette a forma libera, che richiamano, cio� con �locuzioni generiche ma di ovvia comprensione, concetti di comune esperienza o valori etico-sociali oggettivamente accertabili dall'interprete � sono pienamente compatibili con il principio di legalit�. Tali criteri interpretativi enunciati per fattispecie criminose, appaiono maggiormente validi nella materia disciplinare sia per la minore reazione sociale all'illecito disciplinare rispetto a quello penale e per la minore incidenza di esso sulle posizioni soggettive dell'interessato sia perch� � pi� ampia, rispetto alle singole ipotesi di reato, la possibilit� di comportamenti lesivi dei valori tutelati. N� appare censurabile il riferimento, nella norma, alla fiducia e considerazione di cui il magistrato deve godere ed al prestigio dell'ordine giudiziario, perch�, come si dir� in prosieguo, trattasi di concetti determinabili secondo la comune opinione. Deve pertanto escludersi la violazione delle norme costituzionali invocate, non risultando lesi n� il principio di lega1'it� (art. 25, secondo comma e 108, primo comma, Cost.) n� quello di indipendenza del giudice (art. 101, secondo comma, Cost.). Per quanto concerne la dedotta violazione dell'art. 21, primo comma, Cost., 1I1e1le ordinanze e neHa memoria della parte costituita, si osserva che ili diritto di libert� di manifesta:ziione del pensiero non pu� subire, per i magistrati, limitazioni diverse da quelle previste per fa generalit� dei oonsociati e ohe la generica formula:ziione della norma censurata consente una compressione del diritto stesso che non pu� subire restrizioni per .effetto dell'appairtenen:m ad un ordine o del rivestimento di una qualifica professionale, pur se ~�esercizio di esso va contemperato .con Je disposizioni degli artt. 54, secondo comma, 101, secondo comma, e 104, primo comma, dehla Costituzione. Deve riconoscersi -e non sono possibilli dubbi in proposito -che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di Jii:bert� garantiti ad ogni 1altro cittadino ma deve del pari ammettersi che [e funziOIIli eser - 282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO citate e la qualifica da essi rivestita non sono dndifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale. Per quanto concerne la libert� di manifestazione del pensiero non � dubbio che essa rientri tra quelle fondamentali protette daHa nostra Costituzione ma � del ipartl .certo i0he essa, per la generalit� dei cittadini non � senza limiti, purch� questi siano posti dalla legge e trovino fondamento in precetti e principi costituzionali, espressamente enunciati o desumibili dalla Carta costituzionale (cfr. sent. 9 del 1965). I magistrati, per dettato costituzionale (art. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo �con specifico �riferimento a.I concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali ml'I anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialit� nell'adempimento del loro compito. I principi anzidetti sono quindi volti a tutelare anche la considerazione di cui iJ magistrato deve godere presso la pubblica opinione; assicurano, nel contempo, quella dignit� dell'intero ordine giudiziario, che la norma denunziata qualifica prestigio e che si concreta nella fi. ducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilit� di essa. Nel bilanciamento di tali interessi con il fond�mentale diritto alla libera espressione del pensiero, sta, come del resto finiscono per riconoscere le ordinanze di rimessione, il giusto equilibrio, ail fine di contemperare esigenze egualmente garantite dall'ordinamento costituzionale. Alla luce di tali considerazioni va interpretata la sentenza di questa Corte n. 145 del 1976, la quale riconosce �l'esigenza di una rigorosa tutela del prestigio dell'ordine giudiziario, che rientra senza dubbio tra i pi� rilevanti beni costituzionalmente protetti�. Gli anzidetti rilievi consentono di affermare la piena compatibilit� tra ilibern manifestazione del pensiero e tutela deMa dignit� del singolo magistrato e dell'intero ordine giudiziario; l'equilibrato bilanciamento degli interessi tutelati non comprime il diritto alla libert� di manifestare le proprie opinioni ma ne vieta soltanto l'esercizio anomalo e cio� l'abuso, che viene ad esistenza ove risultino lesi gli altri valori sopra menzionati. In questa sede non pu� precisarsi -e ci� non rientra del l.'esto nei compiti della Corte -quali possano essere i comportamenti di cui si � fatto cenno. Dovr� l'organo chiamato a valutare i singoli comportamenti stabilire se essi possano o meno essere riprovati dalla coscienza sociale e se siano o meno conformi alla valutazione che comunque possano fare di essi gli stessi consociati in relazione alla natura e rilevanza degli interessi tutelati ed in funzione del buon andamento dell'attivit� giudiziaria. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Il controllo di legittimit�, affidato al massimo organo della giurisdizione ordinaria, costituisce poi garanzia ulteriore della esatta osservanza dei principi costituzionali applicabili. Deve, pertanto, escludersi anche la violazione dell'art. 21, primo comma, della Costituzione (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 19 giugno 1981, n. 105 -Pres. Amadei -Rel. Paladin-Adila (avv. Vittorelli) e Regione Sicilia (avv. Aula). Corte Costituzionale -Questione incidentale di legittimit� costituzionale Deduzioni defensionali dell'ente . produttore della disposizione impugnata -Non determinano irrilevanza della questione. Corte Costituzionale -Principio di eguaglianza -Omessa indicazione di disposizioni di rango costituzionale -Rilevabilit� d'ufficio. (Cost., art. 3; Statuto Sicilia, art. 14; I. reg. Sicilia 23 febbraio 1962, n. 2, art. 1). Le deduzioni del difensore di regione intervenuta nel giudizio sulla legittimit� costituzionale di una propria legge, con le quali si � sostenuta la fondatezza dei ricorsi della parte privata e quindi l'insussistenza della lite, non valgono a privare di rilevanza la questione sollevata dal giudice a quo. Le questioni di eguaglianza delle leggi vanno affrontate in relazione ad ogni disposizione di rango costituzionale (anche diversa dall'art. 3 Cast. ed anche non indicata nell'ordinanza di rinvio) che nella specie concorra a garantire l'eguaglianza. (omissis) Mediante un'ordinanza emessa il 15 luglio 1978, nel corso di un giudizio avente per tema la spettanza di pensione privilegiata alla vedova ed alle figlie di un dipendente regionale non di ruolo, la sezione giurisdizionale per la regione siciliana della Corte dei conti ha impugnato -in riferimento all'art. 3 Cost. -l'art. 1, primo comma, della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, �nella parte in cui non prevede in favore degli impiegati non di ruolo della Regione medesima il diritto al trattamento di quiescenza a carico del Fondo di quiescenza, previdenza e assistenza per il personale di tale Regione�. (omissis) La Corte � chiamata a decidere se in base al combinato disposto del primo e secondo comma dell'art. 1 della legge regionale siciliana 23 febbraio 1962, n. 2, debba tuttora escludersi che agli impiegati non di ruolo della regione spetti il diritto a pensione, a carico dell'apposito fondo istituito dall'art. 16 deMa legge regionale 29 luglio 1950, n. 65; e se, di conseguenza, la previsione dell'art. 1, primo comma (in quanto riferita ai soli �impiegati di ruolo deLl'amministraZJione della regione�), contrasti con il principio costituzionale di eguaglianza, per la deteriore con 284 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dizione attribuita agli impiegati non di iIUOlo, i qualli verrebbero in tal modo posti a carico dell'I.N.P.S., godendo perci� di un trattamento di quiescenza inferiore a quello erogato dalla regione medesima. La difesa della regione eccepisce preliminarmente -come gi� si � ricordato in narrativa -che la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza. Se correttamente interpretata, la norma in esame non porrebbe ostacolo all'accoglimento dei ricorsi de1la parte privata, tanto pi� che essi non si fonderebbero sul primo comma dell'art. l, bens� sul richiamo operato dall'art. 36 della legge regionale n. 2 del 1962... (omissis). Ma la tesi non pu� esser 'condivisa. L'art. 36 della legge in questione rimanda alle predette norme statali per imporre la loro applicazione, �in quanto compatibili� con le corrispondenti norme regionali. E la ordinanza di rimessione deduce appunto che � tale applicabilit� non pu� ritenersi operante nella specie in ragione di una evidente incompatibilit� del sistema normativo regionale con quello statale�; sicch� le obiezioni avanzate dalla difesa della regione rilevano -se mai -sul piano del merito della proposta impugnativa, ma non valgono a dimostrarne la inammissibilit�. Vero �, tuttavia, che il fulcro del problema -opportunamente messo in evidenza dallo stesso giudice a quo -consiste nel rapporto fra norme legislative regionali e norme legislative statali in tema di trattamento di quiescenza del personale non di ruolo della regione siciliana. Di massima, per le regioni differenziate qual � la Sicilia, dotate di una potest� legislativa primaria od �esclusiva� in materia di ordinamento dei propri uffici e di trattamento del proprio presonale, il principio costituzionale di eguaglianza non esclude che tale trattamento possa essere diverso da quello spettante al personale statale. Ma, quanto alla Sicilia, l'esigenza che il personale regionale non venga comunque assoggettato ad arbitrarie discriminazioni risulta rafforzata dalla specifica previsione dell'art. 14 lett. q) dello statuto speciale, per cui lo � stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della regione� dev'essere � in ogni caso non inferiore a quello del personale dello Stato�. Nel giudicare d'una impugnativa promossa per il deteriore trattamento pensionistico che sarebbe stato attribuito agli impiegati non di ruolo della amministrazione regionale rispetto ai corrispondenti impiegati dell'amministrazione dello Stato, questa previsione non pu� essere ignorata o trascurata dalla Corte, malgrado il giudice a quo non vi abbia fatto un esplicito riferimento, 1imitandosi a denunciare la violazione deJI'art. 3 Cost.: le questioni di eguaglianza delle leggi vanno infatti affrontate anche in vista di ogni altra disposizione di rango costituzionale, che nella specie concorra a garantire l'eguaglianza stessa. (omissis) Conclusivamente, n� dal testo della disposizione impugnata n� dal- l'insieme delle norme vigenti in materia di trattamento di quiescenza PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dei dipendenti statali e regionali non di ruolo si ricavano dunque argomenti che impongano di pervenire alla ricostruzione sostenuta dal giudice a quo, anzich� alla predetta interpretai;ione adeguatrice. Ed in questi termini va pronunciato il rigetto della proposta impugnativa. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1981, n. 197 -Pres. Amadei -Rel. BHa-Ba:rilotti ed altri (n.ip.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice aw. gen. Stato Albisinni). Successione -Collazione di donazione -Somma di danaro -Collazione secondo il principio nominalistico -Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; cod. civ., artt. 747, 750 e 751). Tra la collazione per imputazione di beni nel loro equivalente e la collazione di danaro �(che � collazione in natura e non per equivalente) non sussistono n� una identit� n� una affinit�, che possano richiedere un pari trattamento, ed anzi si ravvisa quella sostanziale diversit� che giustifica un trattamento differenziato; n� pu� configurarsi, a carico del beneficiario di una attribuzione in danaro, l'obbligo o l'onere di impiegarlo in acquisti. (omissis) Va ricordato, in secondo luogo, che il princ1p10 che regge l'istituto della collazione consiste nel computare nella determinazione della porzione spettante al condividente il bene che egli ha precedentemente ricevuto dal de cuius. Il bene che va conferito � quello che � stato ricevuto. Se, invero, � stato ricevuto un immobile, � questo che viene conferito (art. 747, cod. civ.). Parimenti � da conferi.re la somma di danaro, che non � mutata nella sua identit�, per il principio .di cui si � detto. Il problema della valutazione del bene al tempo dell'apertura della successione si pone nei casi in cui il bene non venga conferito in natura, o per scelta del conferente (art. 746, primo comma, cod. civ.) o per impossibiJlit�, materiale o giuridica (art. 746, secondo comma), o per disposizione di legge (art. 750). L'imputazione viene fatta con riferimento non soltanto al valore, ma anche alla consistenza del bene al tempo dell'apertura della successione, in quanto tale valore sostituisce il bene, quale avrebbe dovuto essere conferito, appunto, in tale momento. Per le somme di danaro non viene in considerazione un problema di imputazione, in quanto, per il principio innanzi ricordato, non si ha imputazione per equivalente, ma si ha collazione in natura della somma, che viene detratta nel valore suo proprio, rimasto immutato. Ed infatti, la circostanza che il danaro che viene conferito non � costituito dalla stessa species che � stata ricevuta non modifica l'essenza del conferimento, che resta conferimento in natura e non confe RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO rimento per equivalente, per il particolare carattere di fungibilit� della moneta, che rimane sempre il medesimo bene, quale che sia la specie in cui viene corrisposta. Tra \l'ipotesi, dunque, di collazione per imputazione di beni nel loro equivalente e l'ipotesi di co11azione di danaro, che � collazione in natura e non per e9uivalente, non sussistono n� una identit� n� una affinit�, che possano richiedere un pari trattamento ed anzi si ravvisa quella sostanziale diversit� che giustifica ognora un trattamento differenziato. Poich�, anzi, la collazione di somma di danaro � collazione in natura, questa si pone accanto al conferimento in natura di bene immobile, che � conferimento dello stesso bene e non di altro bene, di guisa che, ove si imponesse il conferimento di un bene diverso, quale sarebbe una somma di danaro di valore nominale pi� elevato, si verrebbe ad instaurare una diversit� di disciplina tra pari situazioni. In effetti le ordinanze di rimessione tendono a configurare una irrazionalit� nel sistema legislativo, in riferimento alle ipotesi di sopravvenuta grave svalutazione monetaria, in quanto, considerando la situazione dei condividenti nel momento dell'apertura della successione, si viene a verificare una grave disparit� di valori effettivi tra chi conferisce per imputazione l'equivalente in moneta del bene ricevuto e chi conferisce la somma di danaro, quale gli fu attribuita, giacch� il primo vede diminuita la sua porzione di un valore in moneta corrente notevolmente superiore alla diminuzione patrimoniale che subisce il secondo. La tesi della irrazionalit� muove, per�, da un presupposto che � del tutto estraneo all'istituto della collazione; dal presupposto, cio�, che chi abbia ricevuto una somma di danaro �senza vincoli� l'abbia investita nell'acquisto di beni o, quanto meno, ohe costui debba essere comunque� trattato come se a tale acqmsto sia addivenuto. Orbene, tale presupposto � privo di fondamento, in quanto non pu�� configurarsi a carico del beneficiario di una attribuzione in danaro n� l'obbligo n� l'onere di impiegarla in acquisti; ed invero fa giurisprudenza della Corte di cassazione � giustamente costante nell'affermare che si ha attribuzione in danaro, come tale da considerare ai fini della colla zione, anche quando dl danaro ricevuto sia stato impiegato nell'acquisto di altri beni, in quanto � stato il danaro, e non il bene acquistato, l'og-. getto dell'attribuzione, ed � il danaro, e non tale bene, l'oggetto del con ferimento. Il sospetto di irrazionalit� potrebbe essere avanzato, peraltro, con riferimento a diverse ipotesi, in relazione alle quali recenti pronunce giurisprudenziali hanno dato rilevanza al fenomeno della svalutazione monetaria, ipotesi che tuttavia concernono situazioni irriducibili a quella qui considerata. La svalutazione monetaria pu�, in realt�, venire in considerazione quando, a seguito del ritardo neHa presta:cione di una somma di danaro,.. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 287 il creditore riceva un pregiudizio, ottenendo un valore, stimato con riguardo al potere di acquisto della moneta, inferiore a quello che egli legittimamente attendeva; in relazione a queste ipotesi � stato ritenuto, infatti, che nella determinazione del danno da risarcire possa tenersi conto dell'incidenza della sopravvenuta svalutazione nel patrimonio del creditore. Ma la medesima giurisprudenza ha pur sempre tenuto fermo il principio dell'immutabilit� del bene-moneta nel considerare la situazione propria dei rapporti obbligatori che � la pi� vicina a quella qui considerata; � rimasto fermo, dunque, che chi ha ricevuto in mutuo una somma di dan;:tro per un certo tempo � tenuto a dare la stessa somma, nel suo valore nominale, quale che ne sia stato il mutamento del valore di scambio nel tempo intercorso tra la nascita dell'obbligazione e la scadenza. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1981, n. 109 -Pres. Amadei -Rel. ' La Pergola -Gava ed altre (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Sanit� -Interruzione della gravidanza � Donna minorenne -Assenso dei genitori o del tutore o autorizzazione del giudice tutelare -Necessit� Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 3, legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12). Famiglia -Patria potest� -Interruzione della gravidanza di donna mino renne � Mancata consultazione dei genitori � Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 30; legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12). L'art. 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, ove si dispone che la volont� della donna minorenne di interrompere la gravidanza debba essere integrata, non contrasta (a prescindere dai criteri che possono soccorrere il genitore, il tutore o il giudice tutelare) con il principio di eguaglianza. Il diritto-dovere del genitore di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio, pu� essere sacrificato alla finalit� di prevenire l'aborto clandestino; non contrastano quindi con l'art. 30 Cast. le parole �o sconsiglino� contenute nel predetto art. 12 (1). (1) Mentre la parte della motivazione relativa alla prima massima appare poco significativa (per il che se ne omette la pubblicazione), si segnala la parte relativa alla seconda massima per la gravit� del problema in essa trattato. Se fosse consentito su un cos� delicato argomento il ricorso al paradosso, potrebbe dirsi che si consente -pur dopo un rituale omaggio all' � insostituibile rapporto affettivo che dovrebbe stabilmente legare i figli ai genitori � -una diversa clan� destinit� dell'aborto, e cio� la clandestinit� nei riguardi dei genitori ancora esercenti la patria potest�. 288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) La disciplina test� descritta � impugnata per le seguenti considerazioni: a) dal pretore di Verona si deduce la violazione dell'art. 30 Cost., prima di tutto in quanto il giudice tutelare potrebbe autorizzare la minore a deoidere l'interruzione della gravidanza senza che di ci� siano informati i genitori, dove seri motivi sconsiglino la consultazione di questi ultimi: in via subordinata, sotto il riflesso che il dettato della citata norma consentirebbe all'interprete di considerare come un serio motivo, ai fini considerati dalla legge, la �dichiarata� avversione dei genitori, per considerazioni di ordine morale o religioso, a:Ue pratiche abortive. Si afferma quindi, che, precluso per questa viia ,al genitore .di manifestare il suo avviso, risulti vulnemta ila sfera che gli � costituzio� nalmente garantita. L'invocato precetto costituzionale, si soggiunge, sancisce non soltanto il dovere, ma anche ii.I diritto del genitore di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, e cos� di offrire alla minore -di fronte alla grave e spesso traumatica scelta richiesta dal nostro caso -un aiuto che secondo esperienza pu� presumersi come il pi� qualificato ed efil�cace. D'altra parte, l'art. 30 Cost. prevederebbe, al secondo comma, e sempre riguardo alla sfera del diritto- dovere che si assume leso, l'intervento solo sussidiario della pubblica autorit�: ma gli estremi di un tale intervento, ad avviso del giudice a quo, non ricorrono nella specie, bens� soltanto l�, dove li genitori risultino incapaci di assolvere i compiti loro affidati. Il diritto del genitore troverebbe poi un'implicita garanzia nell'altra disposizione costituzionale (l'art. 29), che riconosce la famiglia come societ� naturale fondata sul matrimonio, e la tutela nei confronti ,di qualsiasi interferenza esterna, specialmente di quella statale; b) in conseguenza dei rilievii sopra esposti si assume violato anche il principio costituzionale di eguaglianza. I genitori sarebbero discriminati in ragione della loro ritenuta attitudine di ostilit� verso l'aborto, e perci� dei convincimenti religiosi o morali che possono guidarli nello esevcizio de11a potest� sui figlli. Discrimina:llione, si osserva, tooto pi� giustificata, in quooto i motivi che ostano alla consultazione dei genitori, sottratti al sindacato del giudice, risultino dalle sole ed interessate affermazioni della gestante. (omissis). Da millenni accade che genitori pur attenti non vengano ad immediata conoscenza dello stato di gravidanza di una figlia minorenne; ed accade che la figlia in difficolt� cerchi di risolvere i propri problemi senza coinvolgere i genitori. Il problema per�, �, a personale avviso di chi scrive, un altro: � se la legge possa in qualche misura istituzionalizzare accorgimenti siffatti, secondando una propensione tutta italiana per le soluzioni indolori (e quel che pi� si desidera -poco impegnative), anche a scapito della crescita civile della societ� e della effettiva pienezza dei rapporti familiari. PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Quanto alle censure mosse negli altri provvedimenti di remissione all'art. 12, esse vanno disattese, sotto tutti i profili dedotti. Non sussiste, anzitutto, la lamentata lesione dell'art. 30 Cost. Il giudice a quo, va subito precisato, non nutre alcun dubbio sulla costituzionalit� del previsto intervento del giudice tutelare, che del resto egli assume conforme al sistema del codice civile. n vizio della norma impugnata starebbe, quindi, soltanto in ci�: che, quando una mmorenne richieda di interrompere la gravidanza senza averne informato i genitori, questi non sono obbligatoriamente sentiti nel corso del procedimento; ovvero, in subordine, che basta ad impedire la consultazione dei genitori l'avversione di principio alle pratiche abortive, !.oro imp�tata per via di note o presumibili opiniom morali o religiose. N0111 si riflette, tuttavia, che se la consultazione del genitore non � prescritta, essa non � nemmeno esclusa, ma lasciata alla valutazione del consultorio, della struttura socio-sanitaria o del medico di fiducia: e in definitiva, ci� che pi� importa, al prudente apprezzamento del giudice. Soluzione, questa, che, quand'anche sancita in deroga alla comune previsione di una qualche presenza o consultazione del genitore nel sistema dei procedimenti avanti l'organo anzidetto, o analoghi altri, sarebbe pur sempre legittima: perch� giustificata dall'intento, nettamente perseguito dal legislatore, di prevenire, prima ancora che reprimere penalmente, l'aborto clandestino. Nel caso in esame non soltanto � a questo fine garantita, come per tutte le gestanti, la riservatezza della procedura; si prevede altres� che il genitore della minore possa non essere sentito: ma ci� quando, valutate le circostanze della specie e la seriet� dei motivi richiesti al riguardo dail.1a legge, sia ragionevole presumere che il doverlo consultare aggravi il rischio, appunto, del ricorso all'aborto clandestino. Siffatta cautela serve, peraltro, a fugare le remore che .Ja minore possa, dal canto suo, intrattenere circa il ri~ spetto delle prescritte procedure. Il disposto della statuizione censurata non �, dunque, quello che si prospetta nell'ordinanza di rinvio. L'esercizio del diritto-dovere sancito nell'art. 30 non � precluso, ma � consentito, dove il giudice tutelare abbia motivo di ritenere operante, nella specie, l'insostituibile rapporto affettivo che dovrebbe stabilmente Jegare i figli ai genitori, e di dedurne che questi, una volta consultati, soccorrerebbero la gestante nel frangente in cui essa versa. Sempre che ci.corra l'ipotesi ora considerata, nulla toglie, poi, che l'ausilio paterno possa esplicarsi, secondo i convincimenti morali e religiosi di chi esercita la potest�, anche nel senso di scons,igliare l'aborto e di indurre la minore ad una responsabile accettazione della maternit�. Esclusa la prospettata violazione dell'art. 30 Cost., deve aggiungersi che, iin ordine alla consultazione dei genitori, non si � adottato alcun criterio lesivo del principio di eguaglianza. (omissis). SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 13 maggio 1981, nella causa 66/80 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Reischl Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale civile di Roma nella causa fra la s.p.a. International Chemical Corporation (avv. Catalano) c. Amministrazione delle Finanze dello Stato -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Braguglia), Commissione della C.E. (avv. Olmi e Berardis) e Consiglio de1le C.E. (avv. Schloh). Comunit� europee -Corte di Giustizia � Pronuncia pregiudiziale ai sensi dell'art. 177 del trattato CEE -Pronuncia di invalidit� di un regolamento comunitario -Effetti. (Trattato CEE, art. 177). Comunit� europee -Agricoltura � Aiuti per l'impiego di prodotti proteici in mangimi � Condizioni � Acquisto di latte magro in polvere . (Regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563)1 Comunit� europee � Agricoltura � Risorse proprie della Comunit� � Riscossione indebita � Azione di ripetizione � Limiti. (Decisione del Consiglio 21 aprile 1970, artt. 4 e 6; regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563). C�munit� europee -Agricoltura -Restituzioni all'esportazione � Condizioni. (Regolamenti CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, art. 8; del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563; della Commissione 26 marzo 1976, n. 677, art. 10). Comunit� europee � Agricoltura -Prodotti composti � Restituzioni all'esportazione � Condizioni. (Regolamento CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, art. 8). La sentenza della Corte che accerti, in forza dell'art. 177 del Trattato, l'invalidit� di un atto di un'Istituzione, in particolare di un regolamento del Consiglio o della Commissione, sebbene abbia come diretto destinatario solo il giudice che si � rivolto alla Corte, costituisce per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido ai fini di una decisione che esso debba emette'f'e; poich� tale constatazione non ha tuttavia l'effetto di privare i giudici nazionali della competenza loro attribuita dall'art. 177 del Trattato, spetta a tali giudici stabilire se vi sia interesse a sollevare nuovamente una questione gi� risolta dalla Corte nel caso in cui questa abbia constatato in precedenza l'invalidit� di un atto di un'istituzione della Comunit�. Tale interesse PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 281 Tali considerazioni giustificano la latitudine della previsione e lo ampio margine della valutazione affidata ad un organo, che, operando con le garanzie proprie di un procedimento giurisdizionale, �, per la sua strutturazione, particolarmente qualificato per apprezzare se i comportamenti di volta in volta considerati siano o meno lesivi dei valori tutelati. N� pu� ritenersi che tale sistema normativo violi il principio di legalit� perch�, come questa Corte ha affermato (cfr. sent. 191 del 1970 e le altre ivi citate) esso � si attua non soltanto con ila rigorosa e tassativa descrizione di una fattispecie ma, in talune ipotesi, con l'uso di espressioni sufficienti per individuare con certezza il precetto e per giudicare se una determinata condotta l'abbia o meno violato �, � stato inoltre ritenuto (sent. 188 del 1975) che � le fattispecie criminose, cosiddette a forma libera, che richiamano, cio� con .Jocuzioni generiche ma di ovvia comprensione, concetti di comune esperienza o valori etico-sociali oggettivamente accertabili dall'interprete � sono pie� namente compatibili con il principio di legalit�. Tali criteri interpretativi enunciati per fattispecie criminose, appaiono maggiormente validi nella materia disciplinare sia per la minore reazione sociale all'illecito disciplinare rispetto a quello penale e per la minore incidenza di esso sulle posizioni soggettive dell'interessato sia perch� � pi� ampia, rispetto alle singole ipotesi di reato, la possibilit� di comportamenti lesivi dei valori tutelati. N� appare censurabile il riferimento, nella norma, alla fiducia e considerazione di cui il magistrato deve godere ed al prestigio dell'ordine giudiziario, perch�, come si dir� in prosieguo, trattasi di concetti determinabili secondo la comune opinione. Deve pertanto escludersi la violazione delle norme costituzionali invocate, non risultando lesi n� il principio di legalit� (art. 25, secondo comma e 108, primo comma, Cost.) n� quello di indipendenza del giudice (art. 101, secondo comma, Cost.). Per quanto concerne la dedotta violazione dell'art. 21, primo comma, Cost., 1I1e1le ordinanze e nelila memoria della parte costituita, si osserva che ~l diritto di libert� di mainifesta:zrl.one del pensiero non pu� subire, per i magistrati, limitazioni diverse da quelle previste per Ja generalit� dei 'OOnsociati e ohe la generica formula:zrl.one della norma censurata consente una compressione del diritto stesso che non pu� subire restrizioni per effetto dell'appartenenza ad un ordine o del rivestimento di una qualifica professionale, pur se ~'esercizio di esso va contemperato con Je disposizioni degli artt. 54, secondo comma, 101, secondo comma, e 104, primo comma, dehla Costituzione. Deve riconoscersi -e non sono possibili dubbi in proposito -che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di Jiibert� garantiti ad ogni 1a:ltro cittadino ma deve del pari ammettersi che [e funzioni eser RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO citate e la qualifica da essi rivestita non sono dndifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale. Per quanto concerne la libert� di manifestazione del pensiero non � dubbio che essa rientri tra quelle fondamentali protette daHa nostra Costituzione ma � del pam certo ohe essa, per la generalit� dei cittadini non � senza limiti, purch� questi siano posti dalla legge e trovino fondamento in precetti e principi costituzionali, espressamente enunciati o desumibili dalla Carta costituzionale (cfr. sent. 9 del 1965). I magistrati, per dettato costituzionale (art. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo � con specifico riferimento aJ. concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali mi'! anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialit� nell'adempimento del loro compito. I principi anzidetti sono quindi volti a tutelare anche la considerazione di cui il magistrato deve godere presso la pubblica opinione; assicurano, nel contempo, quella dignit� dell'intero ordine giudiziario, che �la norma denunziata qualifica prestigio e che si concreta nella fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilit� di essa. Nel bilanciamento di tali interessi con il fondamentale diritto alla libera espressione del pensiero, sta, come del resto finiscono per riconoscere le ordinanze di rimessione, il giusto equilibrio, ail fine di contemperare esigenze egualmente garantite dall'ordinamento costituzionale. Alla luce di tali considerazioni va interpretata la sentenza di questa Corte n. 145 del 1976, la quale riconosce �l'esigenza di una rigorosa tutela del prestigio dell'ordine giudiziario, che rientra senza dubbio tra i pi� rilevanti beni costituzionalmente protetti�. Gli anzidetti rilievi consentono di affermare la piena compatibilit� tra iJibem manifestazione del pensiero e tutela del!la dignit� del singolo magistrato e dell'intero ordine giudiziario; l'equilibrato bilanciamento degli interessi tutelati non comprime il diritto alla libert� di manifestare le proprie opinioni ma ne vieta soltanto l'esercizio anomalo e cio� l'abuso, che viene ad esistenza ove risultino lesi gli altri valori sopra menzionati. In questa sede non pu� precisarsi -e ci� non rientra del resto nei compiti della Corte -quali possano essere i comportamenti di cui si � fatto cenno. Dovr� l'organo chiamato a valutare i singoli comportamenti stabilire se essi possano o meno essere riprovati dalla coscienza sociale e se siano o meno conformi alla valutazione che comunque possano fare di essi gli stessi consociati in relazione �alla natura e rilevanza degli interessi tutelati ed in funzione del buon andamento dell'attivit� giudiziaria. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Il controllo di legittimit�, affidato al massimo organo della giurisdizione ordinaria, costituisce poi garanzia ulteriore della esatta osservanza dei principi costituzionali applicabili. Deve, pertanto, escludersi anche la violazione dell'art. 21, primo comma, della Costituzione (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 19 giugno 1981, n. 105 -Pres. Amadei -Rel. Paladin-Adila (avv. Vittorelli) e Regione Sicilia (avv. Aula). Corte Costituzionale -Questione incidentale di legittimit� costituzionale Deduzioni defensionali dell'ente produttore della disposizione impugnata -Non determinano irrilevanza della questione. Corte Costituzionale -Principio di eguaglianza -Omessa indicazione di disposizioni di rango costituzionale -Rilevabilit� d'ufficio. (Cost., art. 3; Statuto Sicilia, art. 14; I. reg. Sicilia 23 febbraio 1962, n. 2, art. 1). Le deduzioni del difensore di regione intervenuta nel giudizio sulla legittimit� costituzionale di una propria legge, con le quali si � sostenuta la fondatezza dei ricorsi della parte privata e quindi l'insussistenza della lite, non valgono a privare di rilevanza la questione sollevata dal giudice a quo. Le questioni di eguaglianza delle leggi vanno affrontate in relazione ad ogni disposizione di rango costituzionale (anche diversa dall'art. 3 Cast. ed anche non indicata nell'ordinanza di rinvio) che nella specie concorra a garantire l'eguaglianza. (omissis) Mediante un'ordinanza emessa il 15 luglio 1978, nel corso di un giudizio avente per tema la spettanza di pensione privilegiata alla vedova ed alle figlie di un dipendente regionale non di ruolo, la sezione giurisdizionale per la regione siciliana della Corte dei conti ha impugnato -in riferimento all'art. 3 Cost. -l'art. 1, primo comma, della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, �nella parte in cui non prevede in favore degli impiegati non di ruolo della Regione medesima il diritto al trattamento di quiescenza a carico del Fondo di quiescenza, previdenza e assistenza per il personale di tale Regione �. (omissis) La Corte � chiamata a decidere se in base a1 combinato disposto del primo e secondo comma dell'art. 1 della legge regionale siciliana 23 febbraio 1962, n. 2, debba tuttora escludersi che agli impiegati non di ruolo della regione spetti il diritto a pensione, a carico dell'apposito fondo istituito dall'art. 16 deMa legge regionale 29 luglio 1950, n. 65; e se, di conseguenza, la previsione dell'art. 1, primo comma (in quanto riferita ai soli �impiegati di ruolo deLI'amministrazione della regione�), contrasti con il principio costituzionale di eguaglianza, per la deteriore con RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dizione attribuita agli impiegati non di rnolo, i qua/li verrebbero in tal modo posti a carico dell'I.N.P.S., godendo perci� di un trattamento di quiescenza inferiore a quello erogato dalla regione medesima. La difesa della regione eccepisce preliminarmente -come gi� si � ricordato in narrativa -che la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza. Se correttamente interpretata, la norma in esame non porrebbe ostacolo all'accoglimento dei ricorsi della parte privata, tanto pi� che essi non si fonderebbero sul primo comma dell'art. 1, bens� sul richiamo operato dall'art. 36 della legge regionale n. 2 del 1962... (omissis). Ma la tesi non pu� esser condivisa. L'art. 36 della .legge in questione rimanda alle predette norme statali per imporre la loro applicazione, � in quanto compatibili � con le corrispondenti norme regionali. E la ordinanza di rimessione deduce appunto che � tale applicabilit� non pu� ritenersi operante nella specie in ragione di una evidente incompatibilit� del sistema normativo regionale con quello statale�; sicch� le obiezioni avanzate dalla difesa della regione rilevano -se mai -sul piano del merito della proposta impugnativa, ma non valgono a dimostrarne la inammissibilit�. Vero �, tuttavia, che il fulcro del problema -opportunamente messo in evidenza dallo stesso giudice a quo -consiste nel rapporto fra norme legislative regionali e norme legislative statali in tema di trattamento di quiescenza del personale non di ruolo della regione siciliana. Di massima, per le regioni differenziate qual � la Sicilia, dotate di una potest� legislativa primaria od � esclusiva � in materia di ordinamento dei propri uffici e di trattamento del proprio presonale, il principio costituzionale di eguaglianza non esclude che tale trattamento possa essere diverso da quello spett�ante al personale statale. Ma, quanto alla Sicilia, l'esigenza che il personale regionale non venga comunque assoggettato ad arbitrarie discriminazioni risulta rafforzata dalla specifica previsione dell'art. 14 lett. q) dello statuto speciale, per cui lo � stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della regione� dev'essere � in ogni caso non inferiore a quello del personale dello Stato �. Nel giudicare d'una impugnativa promossa per il deteriore trattamento pensionistico che sarebbe stato attribuito agli impiegati non di ruolo della amministrazione regionale rispetto ai corrispondenti impiegati dell'amministrazione dello Stato, questa previsione non pu� essere ignorata o trascurata dalla Corte, malgrado il giudice a quo non vi abbia fatto un esplicito riferimento, Limitandosi a denunciare la violazione deJl'art. 3 Cost.: le questioni di eguaglianza delle leggi vanno infatti affrontate anche in vista di ogni altra disposizione di rango costituzionale, che nella specie concorra a garantire l'eguaglianza stessa. (omissis) Conclusivamente, n� dal testo della disposizione impugnata n� dall'insieme delle norme vigenti in materia di trattamento di quiescenza PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dei dipendenti statali e regionali non di ruolo si ricavano dunque argomenti che impongano di pervenire alla ricostruzione sostenuta dal giudice a quo, anzich� alla predetta interpretaL'lione adeguatrice. Ed in questi termini va pronunciato il rigetto della proposta impugnativa. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1981, n. 197 -Pres. Amadei -Rel. Blia-Barlotti ed altri (rnp.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Albisinni). Successione -Collazione di donazione -Somma di danaro -Collazione secondo il principio nominalistico -Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; cod. civ., artt. 747, 750 e 751). Tra la collazione per imputazione di beni nel loro equivalente e la collazione di danaro �(che � collazione in natura e non per equivalente) non sussistono n� una identit� n� una affinit�, che possano richiedere un pari trattamento, ed anzi si ravvisa quella sostanziale diversit� che giustifica un trattamento differenziato; n� pu� configurarsi, a carico del beneficiario di una attribuzione in danaro, l'obbligo o l'onere di impiegarlo in acquisti. (omissis) Va ricordato, in secondo luogo, che il princ1p10 che regge l'istituto della collazione consiste nel computare nella determinazione della porzione spettante al condividente il bene che egli ha precedentemente ricevuto dal de cuius. Il bene che va conferito � quello che � stato ricevuto. Se, invero, � stato ricevuto un immobile, � questo che viene conferito (art. 747, cod. civ.). Parimenti � da confeflire la somma di danaro, che non � mutata nella sua identit�, per il principio .di cui si � detto. Il problema della valutazione del bene al tempo dell'apertura della successione si pone nei casi in cui il bene non venga conferito in natura, o per scelta del conferente (art. 746, primo comma, cod. civ.) o per impossibillit�, materiale o giuridica (art. 746, secondo comma), o per disposizione di legge (art. 750). L'imputazione viene fatta con riferimento non soltanto al valore, ma anche alla consistenza del bene al tempo dell'apertura della successione, in quanto tale valore sostituisce il bene, quale avrebbe dovuto essere conferito, appunto, in tale momento. Per le somme di danaro non viene in considerazione un problema di imputazione, in quanto, per il principio innanzi ricordato, non si ha imputazione per equivalente, ma si ha collazione in natura della somma, che viene detratta nel valore suo proprio, rimasto immutato. Ed infatti, la circostanza che il danaro che viene conferito non � costituito dalla stessa species che � stata ricevuta non modifica l'essenza del conferimento, che resta conferimento in natura e non confe 286 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO rimento per equivalente, per il particolare carattere di fungibilit� della moneta, che rimane sempre il medesimo bene, quale che sia la specie in cui viene corrisposta. Tra ll'iipotesi, dunque, di collazione per imputazione di beni nel loro equivalente e l'ipotesi di co1lazione di danaro, che � collazione in natura e non per equivalente, non sussistono n� una identit� n� una affinit�, che possano richiedere un pari trattamento ed anzi si ravvisa quella sostanziale diversit� che giustifica ognora un trattamento differenziato. Poich�, anzi, la collazione di somma di danaro � collazione in natura, questa si pone accanto al conferimento in natura di bene immobile, che � conferimento dello stesso bene e non di altro bene, di guisa che, ove si imponesse il conferimento di un bene diverso, quale sarebbe una somma di danaro di valore nominale pi� elevato, si verrebbe ad instaurare una diversit� di disciplina tra pari situazioni. In effetti le ordinanze di rimessione tendono a configurare una irrazionalit� nel sistema legislativo, in riferimento alle ipotesi di sopravvenuta grave svalutazione monetaria, in quanto, considerando la situazione dei condividenti nel momento dell'apertura della successione, si viene a verificare una grave disparit� di valori effettivi trra chi conferisce per imputazione l'equivalente in moneta del bene riceVUJto e chi conferisce la somma di danaro, quale gli fu attri:ibuita, giacch� il primo vede diminuita la sua porzione di un valore in moneta corrente notevolmente superiore alla diminuzione patrimoniale che subisce il secondo. La tesi della irrazionalit� muove, per�, da un presupposto che � del tutto estraneo all'istituto della collazione; dal presupposto, cio�, che chi abbia ricevuto una somma di danaro � senza vincoli� l'abbia investita nell'acquisto di beni o, quanto meno, che costui debba essere comunque� trattato come se a tale acqUli.sto sia addivenuto. Orbene, tale presupposto � privo di fondamento, in quanto non pu� configurarsi a carico del beneficiario di una attribuzione in danaro n� l'obbligo n� l'onere di impiegarla in acquisti; ed invero la giurisprudenza della Corte di cassazione � giustamente costante nell'affermare che si ha attribuzione in danaro, come tale da considerare ai fini della colla zione, anche quando il danaro ricevuto sia stato impiegato nell'acquisto di altri beni, in quanto � stato il danaro, e non il bene acquistato, l'og getto dell'attribuzione, ed � il danaro, e non tale bene, l'oggetto del con ferimento. Il sospetto di irrazionalit� potrebbe essere avanzato, peraltro, con riferimento a diverse ipotesa., in relazione alle quali recenti pronunce giurisprudenziali hanno dato rilevanza al fenomeno della svalutazione monetaria, ipotesi che tuttavia concernono situazioni irriducibili a quella qui considerata. La svalutazione monetaria pu�, in realt�, venire in considerazione� quando, a seguito del ritardo nella prestamone di una somma di danaro,. - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 287 il creditore riceva un pregiudizio, ottenendo un valore, stimato con riguardo al potere di acquisto della moneta, inferiore a quello che egli legittimamente attendeva; in relazione a queste ipotesi � stato ritenuto, infatti, che nella determinazione del danno da risarcire possa tenersi conto dell'incidenza della sopravvenuta svalutazione nel patrimonio del creditore. Ma la medesima giurisprudenza ha pur sempre tenuto fermo il principio dell'immutabilit� del bene-moneta nel considerare la situazione propria dei rapporti obbligatori che � la pi� vicina a quella qui considerata; � rimasto fermo, dunque, che chi ha ricevuto in mutuo una somma di dan;:i.ro per un certo tempo � tenuto a dare la stessa somma, nel suo valore nominale, quale che ne sia stato il mutamento del valore di scambio nel tempo intercorso tra la nascita dell'obbligazione e la scadenza. (omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1981, n. 109 -Pres. Amadei -Rel . . La Pergola -Gava ed altre (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Sanit� -Interruzione della gravidanza -Donna minorenne -Assenso dei genitori o del tutore o autorizzazione del giudice tutelare -Necessit� Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 3, legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12). Famiglia -Patria potest� -Interruzione della gravidanza di donna minorenne -Mancata consultazione dei genitori -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3 e 30; legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12). L'art. 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, ove si dispone che la volont� della donna minorenne di interrompere la gravidanza debba essere integrata, non contrasta (a prescindere dai criteri che possono soccorrere il genitore, il tutore o il giudice tutelare) con il principio di eguaglianza. Il diritto-dovere del genitore di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio, pu� essere sacrificato alla finalit� di prevenire l'aborto clandestino; non contrastano quindi con l'art. 30 Cost. le parole �o sconsiglino� contenute nel predetto art. 12 (1). (1) Mentre la parte della motivazione relativa alla prima massima appare poco significativa (per il che se ne omette la pubblicazione), si segnala la parte relativa alla seconda massima per la gravit� del problema in essa trattato. Se fosse consentito su un cos� delicato argomento il ricorso al paradosso, potrebbe dirsi che si consente -pur dopo un rituale omaggio all'� insostituibile rapporto affettivo che dovrebbe stabilmente legare i figli ai genitori � -una diversa clandestinit� dell'aborto, e cio� la clandestinit� nei riguardi dei genitori ancora esercenti la patria potest�. 288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) La disciplina test� descritta � impugnata per le seguenti considerazioni: a) dal pretore di Verona si deduce la violazione dell'art. 30 Cost., prima di tutto in quanto il giudice tutelare potrebbe autorizzare la minore a decidere l'interruzione della gravidanza senza che di ci� siamo informati i genitori, dove seri motivi sconsiglino la consultazione di questi ultimi: in via subordinata, sotto il riflesso che iil dettato della citata norma consentirebbe all'interprete di considerare come un serio motivo, ai fini considerati dalla legge, la � dichiarata � avversione dei genitori, per considerazioni di ordine morale o religioso, a1Me rprntiche abortive. Si afferma quindi, che, precluso per questa via 1al genitore .di manifestare il suo avviso, risulti vulnerata fa sfera che gli � costituzio� nalmente garantita. L'invocato precetto costituzionale, si soggiunge, sancisce non soltanto il dovere, ma anche d.l di'l'."itto del genitore di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, e cos� di offrire alla minore -di fronte alla grave e spesso traumatica scelta richiesta dal nostro caso -un aiuto che secondo esperienza pu� presumersi come il pi� qualificato ed efificace. D'altra parte, l'art. 30 Cost. prevederebbe, al secondo comma, e sempre riguardo alla sfera del diritto- dovere che si assume leso, l'intervento solo sussidiario della pubblica autorit�: ma gli estremi di un tale intervento, ad avviso del giudice a quo, non ricorrono nella specie, bens� soltanto l�, dove 1i genitori risultino incapaci di assolvere i compiti loro affidati. Il diritto del genitore troverebbe poi un'implicita garanzia nell'altra disposizione costituzionale (l'art. 29), che riconosce la famiglia come societ� naturale fondata sul matrimonio, e la tutela nei confronti di qualsiasi interferenza esterna, specialmente di quella statale; b) in conseguenza dei rilievi sopra esposti si assume violato anche il principio costituzionale di eguaglianza. I genitori sarebbero discriminati in ragione della loro ritenuta attitudine di ostilit� verso l'aborto, e perci� dei convincimenti religiosi o morali che possono guidarli nello esevcizio della potest� sui figli. Discrimina2li.one, ,si osserva, tanto pi� giustificata, in quanto i motivi che ostano alla consultazione dei genitori, sottratti al sindacato del giudice, risultino dalle sole ed interessate affermazioni della gestante. (omissis). Da millenni accade che genitori pur attenti non vengano ad immediata conoscenza dello stato di gravidanza di una figlia minorenne; ed accade che la figlia in difficolt� cerchi di risolvere i propri problemi senza coinvolgere i genitori. Il problema per�, �, a personale avviso di chi scrive, un altro: � se la legge possa in qualche misura istituzionalizzare accorgimenti siffatti, secondando una propensione tutta italiana per le soluzioni indolori (e quel che pi� si desidera -poco impegnative), anche a scapito della crescita civile della societ� e della effettiva pienezza dei rapporti familiari. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Quanto alle censure mosse negli altri provvedimenti di remissione all'art. 12, esse vanno disattese, sotto tutti i profili dedotti. Non sussiste, anzitutto, la lamentata lesione dell'art. 30 Cost. Il giudice a quo, va subito precisato, non nutre alcun dubbio sulla costituzionalit� del previsto intervento del giudice tutelare, che del resto egli assume conforme al sistema del codice civile, Il vizio della norma impugnata starebbe, quindi, soltanto in ci�: che, quando una mmorenne richieda di interrompere la gravidanza senza averne informato i genitori, questi non sono obbligatoriamente sentiti nel corso del procedimento; ovvero, in subordine, che basta ad impedire la consultazione dei genitori l'avversione di principio alle pratiche abortive, :loro imputata per via di note o presumibili opinioni morali o religiose. NOID. si riflette, tuttavia, che se la consultaziooe del genitore non � prescritta, essa non � nemmeno esclusa, ma lasciata alla valutazione del coosultorio, della struttura socio-sanitaria o del medico di fiducia: e in definitiva, ci� che pi� importa, al prudente apprezzamento del giudice. Soluzione, questa, che, quand'anche sancita in deroga alla comune previsione di una qualche presenza o consultazione del genitore nel sistema dei procedimenti avanti l'organo anzidetto, o analoghi altri, sarebbe pur sempre legittima: perch� giustificata dall'intento, nettamente perseguito dal legislatore, di prevenire, prima ancora che reprimere penalmente, l'aborto clandestino. Nel caso in esame non soltanto � a questo fine garantita, come per tutte le gestanti, la riservatezza della procedura; si prevede altres� che il genitore della Ininore possa non essere sentito: ma ci� quando, valutate le circostanze della specie e la seriet� dei motivi richiesti al riguardo dailla legge, sia ragionevole presumere che il doverlo consultare aggravi il rischio, appunto, del ricorso all'aborto clandestino. Siffatta cautela serve, peraltro, a fugare le remore che fa minore possa, dal canto suo, intrattenere circa il rispetto delle prescritte procedure. Il disposto della statuizione censurata non �,� dunque, quello che si prospetta nell'ordinanza di rinvio. L'esercizio del diritto-dovere sancito nell'art. 30 non � precluso, ma � consentito, dove il giudice tutelare abbia motivo di ritenere operante, nella specie, l'insostituibile rapporto affettivo che dovrebbe stabilmente Jegare i figli ai genitori, e di dedurne che questi, una volta consultati, soccorrerebbero la gestante nel frangente in cui essa versa. Sempre che ricorra l'ipotesi ora considerata, nulla toglie, poi, che l'ausilio paterno possa esplicarsi, secondo i convincimenti morali e religiosi di chi esercita la potest�, anche nel senso di scons,igliare l'aborto e di indurre la minore ad una responsabile accettazione della maternit�. Esclusa la prospettata violazione dell'art. 30 Cost., deve aggiungersi che, d.n ordine alla consultazione dei genitori, non si � adottato alcun criterio lesivo del principio di eguaglianza. (omissis). SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 13 maggio 1981, nella causa 66/80 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Reischl Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale civile di Roma nella causa fra la s.p.a. lnternational Chemical Corporation (avv. Catalano) c. Amministrazione delle Finanze dello Stato -lnterv.: Governo italiano (avv. Stato Braguglia), Commissione della C.E. (avv. Olmi e Berardis) e Consiglio delle C.E. (avv. Schloh). Comunit� europee -Corte di Giustizia -Pronuncia pregiudiziale ai sensi dell'art. 177 del trattato CEE -Pronuncia di invalidit� di un regolamento comunitario -Effetti. (Trattato CEE, art. 177). Comunit� europee -Agricoltura -Aiuti per l'impiego di prodotti proteici in mangimi -Condizioni -Acquisto di latte magro in polvere . (Regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563)1 Comunit� europee -Agricoltura -Risorse proprie della Comunit� -Riscossione indebita -Azione di ripetizione -Limiti. (Decisione del Consiglio 21 aprile 1970, artt. 4 e 6; regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563). Comunit� europee -Agricoltura -Restituzioni all'esportazione -Condizioni. (Regolamenti CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, art. 8; del Consiglio 15. marzo 1976, n. 563; della Commissione 26 marzo 1976, n. 677, art. 10). . Comunit� europee -Agricoltura -Prodotti composti -Restituzioni all'esportazione � Condizioni. (Regolamento CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, art. 8). La sentenza della Corte che accerti, in forza dell'art. 177 del Trattato, l'invalidit� di un atto di un'Istituzione, in particolare di un regolamento del Consiglio o della Commissione, sebbene abbia come diretto destinatario solo il giudice che si � rivolto alla Corte, costituisce per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido ai fini di una 'decisione che esso debba emetter:e; poich� tale constatazione non ha tuttavia l'effetto di privare i giudici nazionali della competenza loro attribuita dall'art. 177 del Trattato, spetta a tali giudici stabilire se vi sia interesse a sollevare nuovamente una questione gi� risolta dalla Corte nel caso in cui questa abbia constatato in precedenza l'invalidit� di un atto di un'istituzione della Comunit�. Tale interesse PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 291 potrebbe, in particolare, esistere qualora sussistessero questioni relative ai motivi, alla portata ed eventualmente alle conseguenze dell'invalidit� precedentemente accertata (1). Il regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563, � invalido per i motivi gi� esposti nelle sentenze pronunciate il 5 luglio 1977, nelle cause 114, 116, 119 e 120/76 (perch� il prezzo che si doveva corrispondere (1) Sugli effetti della dichiarazione di invalidit� degli atti comunitari nell'ambito dell'art. 177 del Trattato, nelle osservazioni presentate alla Corte per il Governo italiano l'Avvocatura, richiamando le precedenti pronunzie in materia della Corte stessa e le opinioni espresse dagli Avvocati generali in altre occasiom, aveva precisato quanto segue: �Non si ignora che la questione -dell'efficacia, erga omnes ovvero inter partes, della pronuncia di invai1idiit� -� stata a Jiungo discussa e Jo � tuttora in dottrina, senza che ivi si sia giunti a conclusioni definitive. �La medesima questione .� stata affrontata anche da parte degli Avvocati generali Gand (causa 16/65, Racc. 1965, pag. 909), Warner (cause 112/76, 22/77 e 32/77 e 37/77, Racc., 1977, pag. 1647) e Capotorti (causa 64-76 ed altre). �Nella giurisprudenza della Corte, la sentenza per la citata causa 16/65, pur non affrontando espressamente il prob:!Jema, non manc� di .precisare che " se � .ben vero che l'art. ,IN non concede alfa Cort�e facolt� di aa::l!nulJlialre tali atiti, non � men vero che questa norma attribuisce espressamente alla Corte il potere di statuire sulla validit� degli atti medesimi". In questa affermazione gi� si rinviene, ad avviso del Governo italiano, l'intendimento della Corte di considerare la sua pronuncia d'invalidit� non soltanto in rapporto al giudizio a quo; bens� anche in rapporto alla validit� stessa dell'atto, nella sua oggettivit�. � In altre parole, gi� dall'affermazione contenuta nella sentenza per la causa 116/65 si pu� trarre il fondato convincimento che la Corte sia propensa ad una efficacia erga omnes, anzich� inter partes, della pronuncia di invalidit� resa in un giudizio ex art. 177. �Questo convincimento risulta confermato dalla sentenza 13 febbraio 1979 in causa 101/78 (Racc., 1979, pag. 623). �In questa sentenza, occupandosi delle conseguenze della dichiarazione di invalidit� del medesimo regolamento n. 563/76, la Corte ebbe .ad affermare per diritto: "Qualsiasi regolamento posto in vigore conformemente al Trattato deve presumersi valido finch� il giudice competente non ne abbia dichiarato l'invali dit�"; ed ancora: "dal sistema legislativo e giurisdizionale istituito dal Trattato risulta quindi che, se il rispetto del principio della legittimit� comunitaria com porta, per gli amministrati, il diritto di contestare in sede giurisdizionale la vali dit� dei regolamenti, lo stesso principio implica pure, per tutti i soggetti di diritto comunitario, l'obbligo di riconoscere la piena efficacia dei regolamenti finch� il giudice competente non ne abbia dichiarato l'invalidit�". �Ragionando a contrario, dovrebbe invero dedursi che, una volta che il giudice competente abbia dichiarato l'invalidit� del regolamento, di questo tutti i soggetti di diritto comunitario non debbono pi� tener conto. � Questa conclusione dovrebbe anche comportare !'irricevibilit� di successive domande pregiudiziali in ordine alla validit� di un regolamento gi� dichiarato invalido dalla Corte. � � !! quanto il Governo italiano ebbe a sostenere -in considerazione di fondamentali esigenze di certezza del diritto comunitario -nella causa 22/77, MURA, dopo la dichiarazione di invalidit� dell'art. 46 n. 3 del regolamento del Consi %. %.'-' %. . . - 292 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO per il latte in polvere obbligatoriamente acquistato era fissato in un importo talmente sproporzionato rispetto alle condizioni del mercato -il prezzo era tre volte superiore al valore foraggero -da costituire una ripartizione discriminatoria degli oneri fra i diversi settori agricoli e perch�, per di pi�, tale obbligo non era necessario per il raggiungimento dello scopo perseguito, cio� lo smaltimento delle giacenze di latte magro in polvere (2). L'esistenza, nel periodo in cui il regolamento del Consiglio n. 563/76 � stato applicato, di un sistema specificamente congegnato al fine di ripartire gli effetti economici degli obblighi ch'esso imponeva priva di fondamento l'azione di ripetizione degli importi delle cauzioni prestate ed incamerate, anche se tale azione potrebbe essere fruttuosamente esperita in base al solo diritto nazionale. A questo proposito � indifferente che l'operatore abbia effettivamente riversato tale onere o si sia astenuto dal farlo per motivi inerenti alla strategia economica della sua impresa. A maggior ragione, la restituzione all'operatore � esclusa nel caso in cui egli, non essendo tenuto personalmente ad assolvere l'onere controverso, ne abbia volontariamente anticipato o rimborsato l'importo ai suoi fornitori (3). glio n. 1408/71, contenuta nella pronuncia della Corte 21 ottobre �1975 in causa 24/75 (Racc., 1975, pag. 1149; cfr. conclusioni dell'avvocato generale Warner per la causa :112/76, Racc., 1977 pag. 1658, in particolare pag. 1661). � La Corte ha tuttavia ritenuto, in quella ed in altre occasioni (ad es., nella sentenza per la citata causa t.12/76, Racc., 1977, pag. 1647), di riesaminare nel merito la questione di validit� dell'atto gi� dichiarato invalido, confermando la pronuncia d'invalidit� e non tenendo quindi conto della tesi avanzata da parte del Governo italiano. Mentre nelle gi� citate conclusioni dell'avvocato generale Warner per la causa 112/76, pur riconoscendosi la ricevibilit� di successive domande pregiudiziali sulla validit� dell'atto gi� giudicato invalido dalla Corte, si conferm� in sostanza l'efficacia erga omnes della pronuncia di invalidit� resa dalla Corte di giustizia. � Sul primo quesito sollevato dal tribunale di Roma pu� dunque dirsi che a partire dalla data della pronuncia di invalidit� ad opera della Corte, il regolamento dichiarato invalido non deve essere pi� osservato n� applicato dai soggetti di ddiritto e dali �ijudici nazionaili� dehla ComU!l11�t�; e ci� anche se si ritenga che l'avvenuta dichiarazione di invalidit�, da parte della Corte, non vieta ai giudici nazionali di riproporre la questione alla Corte medesima�. Per la posizione assunta dal Governo italiano nelle cause 112/76 e 22/77, sopracitate, cfr. la nota alle sentenze 13 ottobre 1977, in questa Rassegna, 1977, I, 788. Sulla questione cfr., pi� ampiamente, BRAGUGLIA, Effetti della dichiarazione di invalidit� degli atti comunitari nell'ambito dell'art. 177 del trattato CEE, in Dir. comunitario e scambi internazionali, 1979, 667. (2) Le sentenze della Corte 5 luglio 1977, nelle cause 114, U6, 119 e 120/76, sono pubblicate in Racc., 1977, pag. 1247 e 1269. (3) Applicazione rpairticol!are -in for2la defila ritenuta esisitenza, nelila specie, di " un sistema specificamente congegnato al fine di ripartire gli effetti di un prov� vedimento di politica economica � -del principio della rilevanza, in tema di resti PARTE I, SEZ. II, GIURIS. CXIMUNITARIA E INTERNAZIONALE 293 La declaratoria di invalidit� del regolamento CEE del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563, non giustifica deroghe, individuali o generali, al principio stabilito all'art. 8, n. 1, primo comma, del regolamento CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, a norma del quale la restituzione � attribuita solo per prodotti che prima di essere esportati si trovano in libera pratica nella Comunit� (nella specie l'operatore aveva fatto ricorso al sistema dell'importazione sotto controllo doganale, anzich� soddisfare alle condizioni fissate nel regolamento della commissione, per sottrarsi agli effetti del regolamento del Consiglio, poi dichiarato invalido). L'art. 81 n. 1, terza comma, del regolamento n. 192/75 concerne unicamente il caso dei prodotti composti che, come tali, non possono fruire di restituzioni all'esportazione mentre taluni loro componenti possono fruirne. Esso non concerne il caso dei prodotti composti che, come tali, fruiscono di una restituzione ed ai quali si applica la condizione stabilita dall'art. 8, n. l, primo comma. (omissis) 1. -Con ordinanza 21 gennaio 1980, pervenuta in cancelleria il 3 marzo successivo, il Tribunale Civile di Roma ha sottoposto a questa Corte, in forza dell'art. 177 del Tmttato CEE, talune questioni pregiudiziali relative all'interpretazione del suddetto art. 177 ed. aU'interpretazione o alla validrt� di vari regolamenti del Consiglio o della Commissione, dei quali uno concerne l'acquisto obbligatorio di latte magro in polvere detenuto dagli enti d'fotervento e gli altri le restituzioni all'esportazione di mangimi composti. 2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra l'Amministrazione italiana delle finanze ed un'impresa produttrice di mangimi composti, attrice nella causa principale, la quale esige dalla suddetta Amministrazione sia il rimborso dri cauzioni da essa prestate o quanto meno finanziate per conto dei suoi fornitori ed incamerate dalla stessa Amministrazione, sia il pagamento di restitiuzioni all'esportazione che le sono state negate in occasione dell'esportazione di taluni mangimi composti. 3. -Allo scopo di ridurre le scorte di latte magro in polvere mediante un pi� largo impiego di tale prodotto nella fabbrioazione di alimenti zootecnici, il regolamento del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563 tuzione di diritti indebitamente riscossi, del trasferimento dell'onere sugli acquirenti (cfr. le sentenze della Corte 27 marzo 1980, nella causa 61/79, DENKAVIT, e nelle cause 66, ,127 e 129/79, MERIDIONALE INDUSTRIA SALUMI s.r.l., in questa Rassegna, 1980, I, 534, la sentenza 10 luglio 1980 nella causa 825/79, MIRECO s.p.a., ibidem, 743, e la sentenza 27 maggio 1981, nelle cause 142 e 143/80, ESSEVI, in questo numero, paig. 303). 294 RASSEGNA DELL'AWOCAT�JRA DELLO 'STATO (G. U. ri. L 67, pag. 18) collegava l'attribuzione, ai J�abbricanti di man� gimi, di taluni aiuti comunitari per J'impiego di prodotti proteici, nonch� la messa in aibera pratica nella Comunit� di determinati prodotti usati nella fabbricazione di mangimi composti, all'obbligo di acquistare determinate quantit� di latte magro in polvere giacente presso gli enti d'intervento. Onde garantire l'osservanza di quest'obbligo, l'attribuzione degli aiuti e la messa in libera priatica erano subordinate aMa prova dell'acquisto di latte magro 1in polvere oppure alla previa costituzione di una cauzione da incamerarsi in caso di inadempimento dell'obbligo di acquisto. 4. -L'attrice nella causa principale costituiva inizialmente cauzioni e -secondo quanto essa dichiara -filnanziava inoltre le cauzioni prestate da ta!luni suoi fornitori, ottenendo cos� gli 'aiuti contemplati. Tuttavia, poich� essa non osservava l'obbligo di acquistare latte magro in polvere, dette cauzioni non venivano svincolate dall'Amministrazione italiana competente. Successivamente, per sottrarsi all'obbligo di prestare cauzione, essa importava in regime d'importazione temporanea, anzich� in regime di messa in libera pratica, taluni dei prodotti provenienti da paesi terzi da lei impiegati nella fabbricazione dei mangimi composti. In conseguenza di ci�, quando essa, nell'esportare i mangimi composti in paesi terzi, chiedeva di fruire delle restitu2lioni all'esportazione contemplate dall'art. 16 del regolamento del Consiglio 29 ottobre 1975, n. 2727, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali (G. U. n. L. 281, pag. 1), tali restituzioni le venivano negate per il motivo che detti mangimi contenevano prodotti che non erano mai stati in 11ibera pratica IIlella Comunit�, mentre l'attribuzione delle restituzioni � subordinata alla condizione che taH materie prime siano originarie della Comunit� o, quanto meno, si trovino ivi in libera pratica. 5. -Nelle sentenze emesse il 5 luglio 1977 nelle cause 114/76, 116/76, e 119-120/76 (Racc. 1977, pag. 1211), la Corte, pronunziandosi su talune questioni pregiudiziali sottopostele da diversi giudici nazionali, dichiarava che i!l regolamento del Consiglio n. 563/76 non era valido perch� il prezzo che si doveva corrispondere per il latte in polvere obbligatoriamente acquistato era fissato in un importo talmente sproporzionato rispetto alle condizioni del mercato da costituire una ripartizione discriminatoria degli oneri tra i diversi settori agricoli e perch� per di pi� tale obbligo non era necesswio per il raggiungimento dello scopo perseguito, cio� lo smaltimento delle giacenze di latte magro in polvere. 6. -L'attrice nella causa principale -che non era parte nelle controversie che avevano dato luogo all'adizione della Corte -ne ha PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 295 dedotto che le cauzioni da lei prestate o finanziate non potevano essere n� richieste n�, a maggior ragione, incamerate poich� servivano soltanto a garantire l'adempimento di un obbligo imposto illegittimamente; Essa assume inoltre che, siccome ha importato da paesi terzi taluni ingredienti dei mangimi composti da lei prodotti in regime di temporanea importazione anzich� in regime di libera pratica al solo scopo di evitare il deposito dclrle suddette oauzioni, essa deve fruire delle restituzioni all'esportazione dei mangimi composti come se detti in. gredienti si fossero trovati in libera pratica nella Comunit�. L'attrice sostiene infine, in subordine, che le spettano comunque restituzioni per i componenti cerealicoli -che sono di origine comunitaria -dei prodotti che ha esportato. Essa esige dall'Amministrazione italiana la restituzione e il versamento degli importi corrispondenti alle cauzioni incamerate e, rispettivamente, alle restituzioni negate. 7. -Per risolvere tale controversia il giudice na:cionale ha sottoposto a questa Corte le seguenti questioni: 1) se, ai sensi dell'art. 177 del Trattato, la dichiarazione di invalidit� di un regolamento comunitario abbia efficacia erga omnes ovvero sia vincolante solo nei confronti del giudice a quo, con la precisazione se possa o meno essere esteso in questo caso alla dichiarazione d:i I�nvalidit� il principio contenuto nella sentenza 27 marzo 1963 in cause 28, 29 e 30/62; 2) se, sempre nel secondo caso, sia invalido il regolamento 15 marzo 1976, n. 563, per gli stessi motivi di cui alla sentenza 5 luglio 1977 in cause 114, 116, 119 e 120/76; 3) ove sia esclusa la validit� di detto regolamento, se discenda dai principi ispiratori dell'ordinamento comunitario c)le debba intendersi consentita o vietata o permessa entro determinati limiti o termini la restituzione di quanto indebitamente versato dal privato e se, in caso positivo, la pronuncia di invalidit� comporti o meno per il privato stesso la possibHit� di ripetere, secondo il diritto interno dei vari Stati, quanto in precedenza pagato sulla base della norma dichiarata invalida e, in caso affermativo, se entro determinati limiti o termini o a date condizioni, con particolare riferimento all'ipotesi iin cui [a ripetizione riguardi rimborSli. effettuati a fornitori de1la parte che agisce in giudizio; 4) se, con riferimento alle norme .comunitarie e, in particolare, ai regolamenti 7 gennaio 1975, n. 192, della Commissione (G.U. n. L 25, pag. 1), 29 ottobre 1975, n. 2727, del Consiglio (G.U. n. L 281, pag. 1), 29 ottobre 1975, n. 2743, del Consiglio (G.U. n. L 281, pag. 60), 26 marzo 1976, n. 677, della Commissione (G.U. n. L 81, pag. 23), 30 luglio 1976, n. 1871, della Commissione (G.U. n. L 206, pag. 23), 31 agosto 1976, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO n. 2141, della Commissione (G.U. n. L 240, pag. 17), e 30 settembre 1976, n. 2372, della Commissione (G.U. n. L 268, pag. 17), sia da ritenersi dovuta la restituzione per l'esportazione di mangimi composti Mmitatamente ai soli componenti cerealicoli e se contrasti con i principi generali desumibi<li da tali norme che sia concessa restituzione per l'esportazione di prodotti composti e con riferimento solo ad alcuni dei componenti, qualora gli altri componenti siano stati importati in regime temporaneo. 8. -Tali questioni sollevano in sostanza tre problemi. Il primo � quello dell'efficacia delle sentenze pregiudiziali, pronunziate dalla Corte il 5 luglio 1977, nei confronti dei terzi, siamo essi amministrati, Istituzioni o giudici nazionali (prima e seconda questione). Il secondo � quello delle conseguenze, sia nell'ordinamento giuridico comunitario che nell'ordinamento giuridico degli Stati membri, di una sentenza che dichiari un regolamento invalido, per quanto concerne la sorte delle somme il cui versamento era in precedenza imposto, come onere, agli operatori economici da detto regolamento (terza questione). Il terzo problema, soMevato in subordine, ha carattere ipi� specifico e riguarda taluni aspetti particolari del sistema delle restituzioni all'esportazione di determinati prodotti agricoli (quarta questione). Sulla prima e sulla seconda questione. 9. -L'art. 177 del Trattato dispone che la Corte � competente a pronunziarsi in via _pregiudiziale sull'interpretazione del Trattato nonch� sulla validit� e sull'interpretazione degli atti compiuti dalle Istituzioni della Comunit� e cio�, fra l'altro, dei regolamenti sia del Consiglio che della Commissione. Lo stesso articolo aggiunge, a'l secondo e al terzo comma, che i giudici nazionali possono o devono, a seconda dei casi, sottoporre alla Corte tali questioni quando una decisfone su questo punto sia loro necessaria ai fini dell'emananda sentenza. 10. -La portata delle sentenze emesse a questo titolo dev'essere valutata alla luce degli scopi dell'art. 177 e del posto ch'esso occupa nel sistema complessivo di tutela giurisdizionale istituito dai Trattati. 11. -Le competenze attribuite alla Corte dall'art. 177 hanno essenzialmente lo scopo di garantire l'applicazione uniforme del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali. Quest'applicazione uniforme � necessaria non solo quando �il giudice nazionale sia in presenza di una norma di diritto comunitario il cui senso e la cui portata abbiano bisogno di essere precisati, ma del pari quando esso si trovi di fronte ad una contestazione relativa alla validit� di un atto delle Istituzioni. ' 12. -Qualora la� Corte sia indotta, nell'ambito dell'art. 177, a dichiarare invalido un atto di un'Istituzione, alile esigenze relative aill'ap- I! PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE plicazione uniforme del diritto comunitario si aggiungono esigenze particolarmente imperiose di certezza del diritto. Risulta infatti daUa natura stessa di una siffatta declaratoria che i giudici nazionali non potrebbero applicare l'atto dichiarato inva!lido senza creare nuovamente gravi incert. ezze per quanto concerne il diritto comunitario da applicare. 13. -Ne deriva che la sentenza de1la Corte che accerti, in forza dell'art. 177 del Trattato, l'invalidit� di un atto di un'Istituzione, in particolare di un regolamento del Consiglio o della Commissione, sebbene abbia come diretto destinatario solo il giudice che si � rivolto a:lla Corte, costituisce per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido ai fini di una decisione ch'esso debba emettere. 14. -Poich� tale constatazione non ha tuttavia l'effetto di privare i giudici nazionali della competenza loro attribuita dall'art. 177 del Trattato, spetta a tali giudici stabilire se vi sia interesse a solilevare nuova� mente una questione gi� risolta dalla Corte nel caso in cui questa abbia constatato in precedenza l'invalidit� di un atto di un'Istituzione de1la Comunit�. Tale interesse potrebbe, in particolare, esistere qualora sussistessero questioni relative ai motivi, alla portata ed eventua1mente alle conseguenze dell'invalidit� precedentemente accertata. 15. -Nel caso contrario, i giudici nazionali s�ono pienamente legittimati a trarre, per le cause dinanzi ad essi rinstaurate, fo debite conseguenze da una sentenza declaratoria d'invalidit� emessa dalla Col'te nell'ambito di una controversia tra altre parti. 16. -Va peraltro osservato -come la Corte ha dichiarato nelle sentenze 19 ottobre 1977 ~cause riunite 117/76 e 16/77, Ruckdeschel e Diamalt, e cause riunite 124/76 e 20/77, Moulins de Pont-�-Mousson e Providence Agricole, Racc. pagg. 1753 e 1795) -che il Consiglio o la Commissione, autori di regolamenti dichiarati invalidi, sono tenuti a trarre dalla sentenza della Corte le conseguenze ch'essa comporta, 17. -In base alle considerazioni che precedono, e poich� il giudice nazionale, con la seconda questione, ha chiesto, come gli era lecito fare, se il regolamento n. 563/76 sia invalido, gli si deve rispondere che in effetti lo � per i motivi gi� esposti nelle sentenze 5 luglio 1977. 18. -La prima e la seconda questione vanno pertanto risolte come segue: a) la sentenza della Corte che accerti, in forza dell'art. 177 del Trattato, l'invalidit� di un atto di un'Istituzione, in particolare di un regolamento del Consiglio o della Commissione, sebbene abbia come diretto destinatario solo il giudice che si � rivolto alla Corte, costituisce RASSEGNA DELL'�VVOCATURA DELLO STATO per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido ai fini di una decisione ch'esso debba emettere; poich� tale constatazione non ha tuttavia l'effetto di privare i giudici nazionaJi de11a competenza loro attribuita dall'art. 177 del Trattato, spetta a tali giudici stabilire se vi sia interesse a sollevare nuovamente una questione; gi� risolta dalla Corte nel caso in cui questa abbia constatato in precedenza '1'inva:lidit� di U!Il atto di un'lstitu:zJione de1la Comunit�. Tale interesse potrebbe, in particolare, esistere qualora sussistessero questioni relative ai motivi, alla portata ed eventualmente alle conseguenze dell'invalidit� precedentemente accertata. b) il regolamento del Consiglio 15 marzo 1976, n. 563, � invalido per i motivi gi� esposti nelle sentenze pronunziate il 5 luglio 1977 ne1le cause 114, 116, 119-120/76. Sulla terza questione. 19. -Con la terza questione si chiede in sostanza se delle norme di diritto comunitario disciplinino <le azioni esperite da operatori economici dinanzi ad un giudice nazionale ed intese ad ottenere il rimborso di oneri comunitari dovuti ed assolti in base ad un regolamento del Consiglio o della Commissione che detto giudice nazionale sia indotto a disapplicare a seguito di una sentenza della Corte che ne abbia dichiarato l'invalidit�. La questione comprende del pari, in ragione di taluni aspetti particolari della causa principale, l'ipotesi nella quale le somme di cui si chiede la restituzione non siano state pagate da1la parte che agisce in giudizio, ma da suoi fornitori, ai quali essa le abbia rimborsate. 20. -A norma dell'art. 10, n. 2, del regolamento n. 563/76, le cauzioni incamerate sono detratte dalle spese d'intervento per le quali non � fissato un importo per unit� nell'ambito del regolamento del Consiglio n. 804/68, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari (G.U. n. L 148, pag. 13). Ne consegue che gli importi corrispondenti costituiscono risorse comunitarie ai sensi dell'art. 4, n. 1, primo comma, della decisione del Consiglio 21 aprile 1970, relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri con risorse proprie delle Comunit� (G.U. n. L 94, pag. 19). 21. -A termini dell'art. 6 della stessa decisione, le risorse comunitarie di cui agli artt. 2, 3 e 4 di questa sono riscosse dagli Stati membri, che devono metterle a disposizione della Commissione, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali. Le controversie relative alla restituzione di importi riscossi per conto della Comunit� rientrano, di conseguenza, nella competenza dei giudici nazionali e vanno da questi risolte in conformit� al loro diritto nazionale, per quanto concerne il rito ed il merito, qualora il diritto comunitario non abbia altrimenti disposto in materia. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 22. -Occorre pertanto accertare �se il regolamento n. 563/76, quale era applicato prima del momento in cui ne � stata constatata l'invalidit�, contenesse disposizioni aventi un'incidenza quanto alla restituzione delle somme incamerate dalle autorit� comunitarie o dalle autorit� nazionali che agivano per conto delle autorit� comunitarie in base al suddetto regolamento. 23. -A questo proposito va osservato che l'art. 5 dello stesso regolamento disponeva espressamente che �per i contratti conclusi prima del giorno dell'entrata in vigore del presente regolamento, gli acquirenti successivi dei prodotti di cui agli artt. 2 e 3 o dei prodotti proteici derivanti, daHa loro tra~roi:tm�zione; subiscono l'incidenza dell'onere che risulta dal regime definito nel presente regolamento . Tale disposizione implicava eventualmente 1a modifica unilaterale dei contmtti commerciali stipulati in precedenza, allo scopo -come risulta dal quinto considerando del regolamento -di ripartire equamente fra tutti ghl operatori l'onere dell'acquisto obbligatorio di latte magro in polvere. Ne consegue che gli operatori assoggettati all'obbligo di acquistare latte magro in polvere e, per questo motivo, esposti al rischio di perdere la cauzione non dovevano, dal canto loro, subire alcuna perdita in ragione dell'onere imposto poich� questo era, per i contratti anteriori all'entrata in vigorre del regolamento, automaticamente riversato sui successivi acquirenti. Tale sistema implicava che, per i contratti conclusi successivamente all'entrata in vigore del regolamento, lo stesso risultato sarebbe stato raggiunto attraverso il gioco del mercato e della libert� contrattuale. Poich� l'importo delle cauzioni da prestare corrispondeva, grosso modo, all'onere risultante dall'obbligo di acquisto, le conseguenze finanziarie della loro perdita corrispondevano anch'esse, per gli operatori economici disposti a sacrificare la cauzione, a quelle che sarebbero per loro risultate dall'adempimento dell'obbligo di acquisto. 24. -L'esistenza, durante l'intero periodo di vigenza del Tegolamento di cui trattasi, di un sistema specificamente congegnato al fine di ripartire gli effetti di un provvedimento di politica economica priva di fondamento !l'azione di ripetizione degli importi delle cauzioni depositate ed incamerate, anche se tale azione potrebbe essere fruttuosamente esperita in base al solo diritto nazionale. A questo proposito � indifferente che l'operatore abbia effettivamente riversato tale onere o si sia astenuto dal farlo per motivi inerenti alla strategia economica della sua impresa. A maggior mgione, la restituzione all'operatore � esclusa nel caso in cui egli non fosse tenuto personalmente ad assolvere l'onere controverso e ne abbia volontariamente anticipato o rimborsato l'importo ai suoi fornitori, dimostrando cos� l'effettiva esistenza della possibilit�, per costoro, di riversare l'onere. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 300 25. -Tale conseguenza giuridica non pu� essere esclusa in base alla considerazione che il regolamento n. 563/76, essendo stato dichiarato invalido, non ha potuto spiegare effi.oacia giuridica. Si tratta nella fattispecie di esaminare gli effetti economici legati ali'applicazione del sistema istituito dal regolamento fintantoch� quest'ultimo determinava effettivamente il comportamento degli operatori economici interessati. La constatazione che detto sistema contemplava l'effettiva possibilit�, per gli operatori, di ripercuotere sulle fasi successive del processo ec�nomico l'onere loro imposto porta a condudere che in una situazione come quella oggetto della causa prindpale l'azione di ripetizione dell'indebito � priva di fondamento giuridico. 26. -La terza questione va pertanto risolta nel senso che l'esistenza, nel periodo in cui il regolamento del Consiglio n. 563/76 � stato applicato, di un sistema specificamente congegnato al fine di ripartire gli effetti economici degli obblighi ch'esso imponeva priva di fondamento l'azione di ripetizione degli importi delle cauzioni prestate ed incamerate, anche se tale azione potrebbe essere fruttuosamente esperita in base al solo diritto nazionale. Sulla quarta questione. 27. -La risposta al quarto quesito deve consentire di risolvere il problema del se all"attrice nella causa principale spettino restituzioni all'esportazione per i mangimi composti fra gli ingredienti dei quali figuravano prodotti provenienti da paesi terzi di cui all'art. 3, n. l, del regolamento n. 563/76, che sono stati importati e trasformati in mangimi composti in regime di controllo doganale, cio� senza essere stati messi '.in 1libera pratica neHa Comunit�. 28. -Questo modo di procedere, adottato dall'attrice neHa causa principale, era consentito dall'art. 10, n. 2, del regolamento della Com� missione 26 marzo 1976, n. 677, che stabilisce talune modalit� di applicazione del regime di acquisto obbligatorio di latte magro in polvere cont~mplato dal regolamento n. 563/76 (G.U. n. L 81, pag. 23). A norma di detta disposizione, �le autorit� competenti degli Stati membri possono autoriz2iare l'importazione dei prodotti di cui all'articolo 3, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 563/76 [cio� di prodotti fa oui messa in libera pratica � subordinata all'adempimento dell'obbligo di acquisto di una determinata quantit� di latte magro in polvere] in vista della loro trasformazione sotto 1.lil1 regime di controllo doganale, aillorch� tali prodotti sono destinati ad essere esportati fuori del territorio doganale della Comunit� in tutto o in parte sotto forma di prodotti di compensazione �. Tale disposizione era intesa ad esonerare dall'obbligo di produrre un �certificato proteine>>, cio� dall'obbligo di acquistare latte PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE magro in polvere, i produttori di mangimi che importavano da paesi terzi taluni ingredienti (quelli enumerati all'art. 3 del regolamento n. 563/76), a condizione che i mangimi contenenti tali ingredienti venis�sero esportati in paesi terzi. 29. -Tuttavia, in base all'art. 8, n. l, primo comma, del regolamento della Commissione 17 gennaio 1975, n. 192, che stabilisce modalit� di applicazione delle restituzioni all'esportazione per i prodotti agricoli (G.U. n. L 25, pag. 1), la restituzione all'esportaziione � attribuita solo rper prodotti che pr,ima di essere esportati si trovavano in libera pratica nella Comunit�. 30. -Il combinato disposto dell'art. 10, n. 2, del regolamento n. 677/76 e dell'art. 8, n. 1, del regolamento n. 192/75 permetteva ai produttori di mangimi di scegliere tra due possibilit�: fare mettere in libera pratica gli ingredienti da essi importati, versando la cauzione o acquistando il prescritto quantitativo di latte magro in polvere, ci� che consentii.va loro di fruire delle restituzioni all'esportazione in caso di successiva esportazione dei mangimi di cui trattasi; oppure, importare gli stessi prodotti in regime di controllo doganale -neHa fattispecie, in regime di perfezionamento attivo -oi� che consentiva loro di sottrarsi all'obbligo di acouistare latte magro in polvere o di depositare la cauzione; in tal caso, per�, l'art. 8, n. l, del regolamento n. 192/75 ostava a che venissero loro attribuite restituzioni all'esportazione. 31. -La quarta questione � intesa in primo luogo a stabi>lire se, tenuto conto del fatto che l'attrice nella causa p11incipale ha fatto ricorso al sistema dell'importazione sotto controllo doganale, consentito dal precitato art. 10, n. 2, al solo scopo di sottrarsi ad un obbligo di acquisto dichiarato illegittimo, si debba concludere ch'essa ha ugualmente diritto aHe restituzioni all'esportazione, come se avesse soddisfatto la condizione stabilita dall'art. 8, n. 1. 32. -Questa parte della quarta questione va risolta in senso negativo. Infatti, n� l'invalidit� del regolamento n. 563/76, n� tampoco. l'invalidit� eventuale del regolamento n. 677/76, adottato per l'attuazione del primo, possono avere l'effetto di pregiudicare in qualsiasi modo l'efficacia vincolante dell'art. 8, n. l, del regolamento n. 192/75, a norma del quale la restituzione � attribuita solo per prodotti che pvima di essere esporti:i.ti si trovavano in libera pratica nella Comunit�. 33. -La quarta questione mira in secondo luogo a stabilire se, prescindendo da qualunque consideraziione relativa alle conseguenze dell'invalidit� del regolamento n. 563/76, l'attrice nella causa principale non avesse diritto a restituzioni all'esportazione in base all'art. 8, n.. l, terz� comma, del regolamento n. 192/75, a termini del quale, �all'esportazione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di prodotti composti che beneficiano di una restituzione fissata per uno o pi� componenti, la restituzione relativa ai componenti � concessa soltanto se il componente o i componenti per i quali � richiesta la restituzione si trovano in una delle situazioni di cui all'articolo 9, paragrafo 2, del Trattato� (cio� in libera pratica). 34. -L'attrice nella causa principale sostiene che, in base alla citata disposizione, la restituzione all'esportazione 1e spetta almeno per quegli ingredienti dei mangimi composti da essa esportati che non erano stati importati da paesi terzi, ma erano originari della Comunit�, e pi� precisamente per i componenti cerealicoli dei suddetti mangimi. 35. -Tale interpretazione dell'art. 8, n. 1, terzo comma, va respinta. Questa disposizione contempla unicamente l'ipotesi dell'esportazione di prodotti composti che, in quanto tali, non fruiscano di restituzioni alla esportazione, ma che contengano determinati ingredienti che, dal canto loro, fruiscono di una restituzione. Ci� risuJta chiaramente dal testo stesso della disposizione di cui trattasi, che si riferisce espressamente alle restituzioni fissate per uno o pi� componenti del prodotto composto. 36. -Detta disposizione non concerne quindi il caso del prodotto composto che, in quanto tale, cio� nel suo insieme, fruisce di una restituzione all'esportazione. In questo caso, � l'art. 8, n. l, primo comma, che stabilisce le condizioni per l'attribuzione della restituzione, da cui risulta che tutti i componenti del prodotto devono essere originari della Comunit� o esservi stati messi in libera pratica. 37. -I mangimi composti sono compresi nella sottovoce 23.07 B ~:!ella Tariffa Dogana,le Comune. La restituzione all'esportazione, sebbene ~alcolata in funzione del cm1tenuto di prodotti cerealicoli, �, per quanto li concerne, fissata per il prodotto nel suo insieme, di guisa che, per fruirne, il prodotto deve soddisfare la condizione stab�lita dall'art. 8, n. 1, primo comma. 38. -La quarta questione va pertanto risolta come segue: a) la declaratoria dell'invalidit� del :regolamento n. 563/76 non giustifica deroghe, individuali o generali, al principio stabilito all'art. 8, n. 1, primo comma, del regolamento n. 192/75; b) l'art. 8, n. 1, terzo comma, di questo regolamento concerne unicamente il caso dei prodotti composti che, come ta:li, non possono fruire di :restituzioni all'esportazione mentre taluni loro componenti possono fruirne. Esso non concerne il caso dei prodotti composti che, come tali, fruiscooo di una restituzione ed ai quali si applica la condizione stabilita daH'art. 8, n. 1, primo comma. (omissis). �=� ~~ ~'. 11 i: ~~ (; i: PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 303 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 27 maggio 1981, nelle cause riunite 142 e 143/80. -Pres. Mertens de WHmars -Avv. Gen. Capotorti -Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dalla Corte d'appello di Milano nelle cause Amministrazione delle finanze c. Essevi s.p.a. e c. Impresa Carlo Salengo -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Conti) e Commissione delle C.E. (ag. Abate). Comunit� europee -Violazioni del trattato CEE -Contestazione -Procedimento -Parere motivato della Commissione -Efficacia giuridica. (Trattato CEE, artt. 155, 169). Comunit� europee � Unione doganale -Libera circolazione delle merci � Disposizioni fiscali interne .discriminatorie � Regime fiscale degli alcoli Diritto erariale sulle acquaviti di vino. (Trattato CEE, art. 95; r.d.l. 27 aprile 1936, n. 635; d.!. 6 ottobre 1948, n. 1200; legge10 maggio 1976, n. 249). Comunit� europee � Unione doganale � Libera circolazione delle merci Disposizioni fiscali interne discriminatorie � Abolizione non oltre l'inizio della seconda tappa del periodo transitorio -Efficacia diretta -Inammissibilit� di deroghe. (Trattato CEE, art. 95). Comunit� europee � Unione doganale � Libera circolazione delle merci � Disposizioni � fiscali interne discriminatorie -Abolizione -Efficacia dketta � Presa di posizione favorevole della .Commissione -Legittimo affidamento dello Stato membro -Insussistenza. (Trattato CEE, art. 95). Comunit� europee � Unione doganale -Tributi discriminatori indebitamente riscossi � Traslazi�;>ne sugli acquirenti � Restituzione -Limiti. (Trattato CEE, art. 95). I pareri emessi dalla Commissione delle C.E. ai sensi dell'art. 169 del trattato CEE hanno efficacia giuridica soltanto in relazione al ricorso per inadempimento proposto alla Corte contro lo Stato interessato. La Commissione non pu�, mediante prese di posizione nell'ambito del relativo procedimento, esonerare lo Stato membro dagli obblighi ad esso incombenti o pregiudicare i diritti spettanti ai singoli in forza del trattato (1). Costituisce una discriminazione vietata dall'art. 95 del trattato CEE un sistema di tassazione dell'alcool, che subordini la concessione di una esenzione fiscale o l'applicazione di un'aliquota ridotta alla possibilit� di un controllo della produzione nell'ambito del territorio nazionale, in (1-5) Ili regime fiscale a1 quale si riferisce la decisione in �rassegna � a:ttuailmerite superato per effetto dell'art. 20 del d.l. 18 marzo 1976, n. 46 convertito nella legge 10 maggio 1976, n. 249 (che sancisce la completa equiparazione, agli effetti RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 304 quanto esso pone una condizione che non pu� essere soddisfatta dai prodotti similari importati da altri Stati membri e ha l'effetto di escludere a priori questi prodotti dal godimento dell'agevolazione fiscale in questione e di riservare tale agevolazione ai prodotti nazionali (2). A norma del terzo comma dell'art. 95 del trattato CEE, il divieto di .discriminazione sancito dai primi due comma dello stesso articolo ha dell'applicazione del diritto erariale sugli alcoli, dei prodotti interni e di quelli importati dagli altri Paesi membri della Comunit�). Conservano, tuttavia, un notevole interesse i principi generali affermati dalla Corte, e, in particolare, quelli attinenti ai rapporti fra l'art. 95 del Trattato CEE (divieto di discriminazione fiscale) e gli artt. 92 e 93 (disciplina degli aiuti). La tesi sostenuta dall'Amministrazione delle Finanze, in questa e in analoghe cause, si fondava sulla qualificazione dell'esonero dal diritto erariale (concesso anteriormente al d.l. n. 46/76 -alle sole acquaviti di vino di produzione nazionale) come un � aiuto � ai sensi dell'art. 92 del Trattato, costituente parte integrante di un complesso sistema di interventi nel mercato dei prodotti agricoli. Da questa . qualificazione si faceva discendere la conseguenza che l'eventuale incompatibilit� dell'esonero con mmercaito comune avrebbe potuto essere aippl'ezzata so1tant'O dail1a Comoossione, nell'ambito delJ prooedimento disai)pJ:inato dal:l!art. 93, par. l e 2, del Trattato. Orbene, la Commissione, non soltanto non aveva emesso alcuna decisione di soppressione della misura di cui si tratta, ma ne aveva, anzi, esipressamente riconosciuto, in pi� occasioni, la compatibilit�. Taile tesi era staita pienamente accolta dalla Co!'te di cassaziione (sez. un., 1~ marzo �1979, n. 1317 e n. 1321). La Corte di Giustizia l'ha, invece, respinta, affermando, in termini generali e di principio, che, secondo il sistema del Trattato, gli aiuti non potrebbero mai consistere in esoneri fiscali accordati ai soli prodotti interni. Discriminazioni fiscali di tal genere rientrerebbero nell'ambito della disciplina dell'art. 95, e non in quello degli artt. 92 e 93. La decisione nella� sua assolutezza non appare convincente. L'art. 92 si riferisce a tutti � gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma,. per favorire talune imprese o talune produzioni. Non sembra contestabile, perci�, che la sfera di applicazione della disciplina degli aiuti abbracci tutte indistintamente le forme nelle quali pu� esprimersi l'intervento statale volto a sussidiare sia la produzione che la distribuzione di determinati beni. Pu� trattarsi, cio�, di sovvenzioni dirette, di agevolazioni creditizie, di concessioni di garanzie, e anche di agevolazioni fiscali, costituendo anzi queste ultime una delle forme pi� frequenti in cui gli aiuti statali si presentano. Naturalmente non ogni regime fiscale differenziato costituisce un aiuto, ma certamente rientrano in tale nozione i provvedimenti specifici che derogano alla regolamentazione generale dei carichi di imposta per favorire talune attivit� o imprese. Come ebbe ad osservare l'avvocato generale Capotorti nelle conclusioni presentate nella causa 148/77 (HANSEN, in Racc., 1978, 1810) �non vi � dubbio che un trattamento fiscale di favore, riservato a certe categorie di imprese rispetto alla generalit� dei produttori del settore, pu� costituire un aiuto ai sensi dell'art. 92. La nozione di aiuto statale �, in effetti, molto larga, e comprende non solo i casi in cui lo Stato d� a talune imprese denaro, beni o servizi a condizioni particolarmente favorevoli, ma anche i casi in cui ,lo Stato rinuncia, in tutto , o in parte, a beneficio di certe imprese, ai propri introiti fiscali. Un sistema di imposte di consumo a tasso ridotto come quello in esame, supposto che abbia, per le caratteristiche sopra indicate, carattere discriminatorio, sembra atto a ........................... ---�--�-z~.r.-rc� J: 1 r111111111=111J11111rJ!ililllJtl&wJiili!r~1rif;;1f&1~1~111fiif111r&i=illlirl:i:=tii!rif&;1~1;r1==~:=111rt1t1111111{f:w@ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 305 prodotto pienamente i suoi effetti a partire dal 1� gennaio 1962. Uno Stato membro non poteva pi� essere autorizzato a mantenere, dopo tale data, una discriminazione fiscale preesistente nel regime vigente per l'importazione delle acquaviti originarie di altri Stati membri (3). Il divieto di discriminazione sancito dall'art. 95 del trattato CEE ha efficacia diretta e uno Stato membro non pu� invocare, -per negare, fino alla sentenza interpretativa della Corte di Giustizia, la restituzione di tributi indebitamente riscossi in forza di un sistema di disposizioni fiscali interne discriminatorio -, esigenze di certezza del diritto o l'esisistenza di una situazione di legittimo affidamento, se -il mantenimento falsare la concorrenza nel mercato comune e ad incidere sugli scambi fra gli Stati membri. Esso rientra quindi nell'ambito dell'art. 92, par. 1�. Lo sgravio fiscale che era accordato in Italia alle imprese nazionali produttrici di acquaviti di vino aveva, appunto, tutte le caratteristiche dell'aiuto rivolto ad assicurare la permanenza e lo sViluppo di questo settore produttivo, considerato sia in s� che, soprattutto, come sbocco della produzione vinicola nazionale. Si trattava, cio�, di una tipica forma di sostegno di una determinata produzione nazionale importante per assicurare l'equilibrio di un intero settore di mercato. Non sembra, perci�, che potessero sussistere ostacoli di principio ad ammettere che essa rientrasse nell'ambito di applicazione degli art. 92 e 93 del Trattato. Appare chiaro, poi, che l'applicabilit� degli artt. 92 e 93 avrebbe dovuto portare ad escludere l'applicazione dell'art. 95. Ha osservato, infatti, l'avvocato generale Capotorti nelle gi� richiamate conclusioni nella causa 148/77: � Quanto al criterio distintivo fra gli aiuti consistenti in riduzioni d'imposta e le imposizioni discriminatorie di cui si occupa l'art. 95, la disciplina degli aiuti degli Stati, compresa nel capo delle regole di concorrenza, presenta caratteri peculiari cos� rispetto alla disciplina della libera circolazione delle merci, come rispetto alle disposizioni fiscali del Trattato. Tali aiuti, riservati di regola alle imprese nazionali, sono per loro natura discriminatori; ma la loro eventuale ammissibilit�, sulla base degli artt. 92-94, dovrebbe escludere, a mio avviso, che essi siano valutati al tempo stesso alla luce del divieto generale di discriminazione in materia fiscale >>. Anche la Commissione si � sempre attenu1la a questo criterio. Pu� ricordarsi, in proposito, la risposta all'interrogazione scritta n. 78/69 presentata dall'on. Vredeling (in G.U.C.E. 1%9, n. C. 102/2), nella quale chiaramente si afferma che, ove un regime fiscale di favore costituisca un aiuto, esso non pu� rientrare nel campo di applicazione dell'art. 95, ma viene a cadere esclusivamente sotto il disposto dell'art. 93, e in particolare del paragrafo 1. E anche di recente, nelle osservazioni presentate nella causa 91/78 (HANSEN) la Commissione ha ribadito che � la reciproca e generale relazione tra gli artt. 95 e 92 si traduce nel fatto che esclusivamente gli artt. 92 e seguentd. vanno appLicaiti a sgravi fisca!li che ;nientmno nehl'art. 92 !in quanto hanno lo scopo di favo11iire talune fumprese o .ta1UDI� prodotti. Stando cos� le cose, � senz'altro possibile che differenziazioni nell'onere tributario, attraverso le quali vengano favoriti determinati produttori nazionali, vadano valutate alla luce degli artt. 92 e segg. �. Non sembra possibile contestare, in effetti, che, ove si tratti di aiuti consistenti in sgravi d'imposta, ammettere l'applicabilit� dell'art. 95 equivarrebbe a svuotare completamente di contenuto gli artt. 92 e 93, che non potrebbero trovare, almeno per questo frequentissimo tipo di aiuti, alcun margine residuo di operativit�. Fin dall'inizio della seconda tappa, l'art. 95 vieta in modo assoluto e incon 5 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 306 del sistema � stato avallato da una presa di posizione favorevole della Commissione delle C.E., allorch�, contemporaneamente, la compatibilit� stessa del sistema con il trattato ha formato oggetto di incertezze, tanto sul piano comunitario che su quello nazionale (4). La tutela dei diritti garantiti dall'ordinamento giuridico comunitario non esige che si conceda la restituzione dei tributi, indebitamente riscossi, in condizioni tali da causare l'indebito arricchimento degli aventi diritto: nulla impedisce, quindi, dal punto di vista del diritto comunitario, che i giudici nazionali tengano conto, conformemente al proprio diritto interno, della possibilit� che i tributi indebitamente percepiti siano stati incorporati nei prezzi dell'impresa assoggettata al pagamento e trasferiti sugli acquirenti (5). dizionato qualunque imposizione interna di carattere discriminatorio. Esso non conferisce, a differenza degli artt. 92 e 93, alcun potere discrezionale alla Commissione e al Consiglio, n� contempla, in favore degli Stati membri, alcuna facolt� paregonabiDe ail1a ipossibilit�, PQevista dalll!'al't. 93, n. 2, di modificaire un ,aiuto anzich� abolirlo. La contemporanea applicazione di due discipline ad un medesimo sgravio fiscale �, perci�, da escludere, non essendo logicamente possibile che lo sgravio di cui si tratta sia, al tempo stesso, assolutamente vietato e suscettibile di autorizzazione. N�, d'altra parte, sembra esatta l'affermazione secondo cui, mentre l'art. 92: espressamente si riferisce agli aiuti concessi � sotto qualsiasi forma >>, proprio le riduzioni d'imposta, che costituiscono una delle modalit� pi� frequentemente utilizzate per favorire determinate imprese o produzioni, sarebbero del tutto escluse dal campo di applicazione della disciplina degli aiuti per rientrare esclusivamente in quello dell'art. 95. Come ha osservato l'avvocato generale Warner nelle conclusioni presentate nelle cause 74/76 e 78/76, (in Racc., 1977, '579) con riferimento all'analogo problema dei rapporti fra l'art. 92 e l'art. 30, accogliere tale punto di vista � sarebbe come pretendere di adoperare uno strumento inservibile al posto dello strumento di precisione che gli autori del Trattato hanno elaborato per la materia di cui trattasi '" Anche agli aiuti consistenti in sgravi fiscali sembra doversi, in realt�, applicare lo � strumento di precisione � degli artt. 92 e 93. E da ci� inevitabilmente discende l'inapplicabilit� della disciplina, logicamente e praticamente incompatib~le, dell'art. 95. Sul divieto di disposizioni fiscali interne discriminatorie di cui all'art. 95 del trattato, in relazione alla tassazione degli alcoli, cfr., da ultimo, le sentenze della Corte di giustizia 27 febbraio 1980, in causa 169/78, COMMISSIONE c. ITALIA, in questa Rassegna, 1980, I, 272, e 14 gennaio 1981, nella causa 140/79 CHEMIAL FARMACEUTICI s.p.a., ibidem, ante, 47, entrambe non note. Sulla quinta massima cfr. le precedenti sentenze della Corte 27 marzo 1980, nella causa 61/79, DENKAVIT, e nelle cause 66, 127 e 129/79, MERIDIONALE INDUSTRIA SALUMI s.r.l., in questa Rassegna, �1980, I, 534, con nota di MARZANO, La restituzione di somme indebitamente riscosse come forma di risarcimento rilevante nell'ambito dell'ordinamento comunitario, la sentenza 10 luglio :1980, nella causa 825/79, MIRECO s.a.s., ididem, 7430, e le sentenze ivi citate in nota, nonch� la sentenza 13 maggio 1981, nella causa 66/80, !NTERNATIONAL CHEMICAL CORPORATION, in questo. num'ero, pag. 290. PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 307 (omissis) 1. -Con due ordinanze in data 19 febbriaio 1980, pervenute in cancelleria il 12 giugno successivo, la Corte d'appello di Milano ha sottoposto a questa Corte, in forza dell'art. 177 del T'rattato CEE, talune questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 95 e 169 del Trattato CEE, al fine di st,abilire se il mantenimento in vigore, da parte della legislazione italiana, di un regime d'imposizione differenziata in materia di tassazione delle acquaviti di vino sia compatibile col Trattato. 2. -Dal fascicolo risulta che le due societ� appellate nelle cause principali importavano, durante un periodo che va, per la prima, dal 1� marzo 1962 al 1� dicembre 1967 e, per la seconda, dal 18 aprile 1960 al 25 ottobre 1971, cognac di origine francese, sul quale esse pagavano i tributi stabiliti dalla legge per l'alcool etilico �di prima categoria�, e cio� per gli alcolici privi di determinati requisiti di provenienza e di fabbricazione ovvero, in quanto prodotti fuori del territorio dello Stato, non suscettibili di controllo nella fase di lavorazione. 2. -Le appellate nelle cause principali, che avevano adito il Tribunale di Milano per chiedere la restituzione delle somme versate, allegando la violazione dell'art. 95 del Trattato CEE durante i periodi sopra 'indicati, ottenevano, con sentenze rispettivamente datate 26 gennaio e 1� giugno 1978, la condanna dell'Amministrazione italiana delle finanze alla restituzione dei tributi indebitamente riscossi. 4. -Il 31 agosto 1978, la suddetta Amministrazione interponeva appello contro tali sentenze e, nel corso del procedimento, si richiamava alla giurisprudenza della Corte Suprema di cassazione, che, nelle sentenze 1� marzo 1979, nn. 1317, 1318 e 1321, aveva Ticonosoiuto la legittimit�, nei confronti del diritto comunitario, del sistema impositivo contestato. In tal sede, l'Amministrazione faceva valere ohe la Commissione delle Comunit� Europee, con parere 28 febbraio 1969, aveva riconosciuto alla Repubblica italiana la facolt� di applicare il tributo in questione come strumento della sua politica agricola nel settore degli alcolici e di mantenere provvisoriamente in vigore il contestato regime d'imposizione differenziata. Essa sosteneva che, in tale parere, la Commissione aveva espressamente riconosciuto detto regime come un � aiuto � compatibile con le norme comunitarie, di guisa che doveva considerarsi legittima la riscossione del diritto erariale sui prodotti aikolici importati dalla Francia. 5. -La Corte d'appello considera che i summenzionati elementi non sono sufficienti per risolvere il problema dinanzi ad essa sollevato. Essa osserva che, sebbene la Commissione avesse ammesso, nel 308 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO parrere 28 febbraio 1969, fa possibilit�, per l'Itallia, di mantenere in vigore ed applicare il regime fiscale di cui trattasi come strumento della sua politica agricola, dopo tale data sono intervenuti vari fatti nuovi. In proposito essa ricorda la sentenza emessa da questa Corte il 15 ottobre 1969 (causa 16/69, Commissione c/ Italia, Racc. pag. 377), nella quale si affermava che ,le acquaviti, i liquori e le alt:re bevande alcoliche non sono prodotti agricoli ai sensi del Trattato; la sentenza 10 dicembre 1974 (causa 48/74, Cha:rmasson, Racc. pag. 1383), nella quale questa Corte si pronunciava nel senso che sono incompatibili col merca:to comune, dopo la scadenza del periodo transitorio, gli ostacoli frapposti agli scambi fra Stati membl1i, anche quando tali ostacoli fanno parte di un'organizzazione nazionale di mercato; infine, il parere motivato rivolto dalla Commissione alla Repubblica italiana il 31 luglio 1978, in merito al trattamento fiscale differenziato per quanto riguarda l'applicazione sia del diritto erariale sia dell'imposta di fabbricazione. 6. -Tenuto conto di questi elementi nuovi, nonch� degli argomenti dinanzi a!d essa svolti dalll'Amministrazione, ila Corte d'aippehlo ha chiesto a questa Corte di stabilire in via pregiudiziak: � -previa la determinazione dell'efficacia da attribuirsi ai pareri sopra espressi dalla Commissione ai sensi dell'art. 169 del Trattato istitutivo della CEE; se l'Italia, applicando alle acquaviti di vino importate da altri Stati membri un sistema di tassazione comprendente il diritto erariale nella misura di lire 60.000 a ettanidro (dal marzo 1976, lire 90.000), non previsto e non applicato al prodotto nazionale similare, ha violato l'art. 95 del Trattato; -se, dopo l'inizio dell:a seconda tappa, prevista dal terzo comma dell'art. 95 qua:le termine ultimo per l'abolizione delle norme interne in contrasto con il principio della parit� tributaria stabilito nei commi primo e secondo dello stesso articolo, potesse essere ammesso, in via ,di deroga, il mantenimento, per l'Italia, di una preesistente discriminazione nell'importazione dell'acquavite di vino�. Su taluni antefatti delle presenti cause. 7. -Dai documenti prodotti in causa dal Governo italiano risulta che, 1'8 maggio 1968, la Commissione aveva inviato al Ministro italiano degli affari esteri una lettera del seguente tenore: � La prego di voler sotroporre all'1attenzione del Governo italiano quanto segue in materia di imposte sull'alcool. La legisfazione fiscale italiana in materia di imposte sull'alcool prevede che gli alcooli paghino un diritto erariale di 60.000 Lire/hl di alcool puro e un'imposta di fabbricazione di 60.000 Lire/hl di alcool PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE puro. Numerose riduzioni sono previste a favore di alcuni prodotti, tra cui le acqueviti di vino e di vinaccia. Queste acqueviti sono esenti dal diritto erariale e pagano l'imposta di fabbricazione nella misura di 53.000 Lire/hl per le acqueviti di vino e di 50.000 Lire/hl per le acqueviti di vinaccia. Ora, le acqueviti di vino e di vinaccia importate assolvono H diritto erariale nella misura di 60.000 Lire/hl di alcool puro e l'imposta di fabbricazione nella misura di 60.000 Lire/hl di alcool puro. Tale imposizione differenziata, a detrimento dei prodotti importati, � contraria all'articolo 95 del Trattato. (omissis). Con lettera del 4 novembre 1965 la Commissione ha gi� inviato al Governo italiano le sue osservazioni su questi problemi. Con lettera della Rappresentanza permanente italiana presso le Comunit� Europee, in data 12 febbraio 1966, il Governo italiano ha fatto conoscere alla Commissione il suo parere. Secondo il Governo italiano le imposizioni differenziate, in materia di ailcool, avrebbero [O scopo di permettere la coesistenza delle diverse sostanze per la fabbricazione di alcool e per ci� stesso di assicurare lo smercio di talune materi� prime alcooligene agricole. Di conseguenza l'abolizione di questo regime differenziato potrebbe essere prevista solo quando gli interessi agricoli italiani di questo settore fossero rpresi in carico, nel quadro della politica agricola comune in materia di alcool. D'altra parte, le autorit� italiane fanno presente che discriminazioni, come minimo, altrettanto rilevanti esistono negli altri Stati membri, quali quelle risultanti dail.J.'esistenza dei monopoli in Fmncia e in Germania. La Commissione non intende affatto negare l'esistenza dei problemi agricoli posti dall'alcool in Italia. Ritiene, pertanto, che 1e imposizioni differenziate, previste dalla legislazione italiana e dovute all'applicazione del diritto erariale, pos,sono sussistere provvisoriamente, dato che H diritto erariale costitruisce, in un certo senso, lo strumento della politica agricola italiana in materia di alcool, permettendo agli alcooli di qualsiasi origine di trovare smercio sul mercato quale che sia il costo della materia prima. Le esigenze agricole, tuttavia, non giustif�.<:ano tutte le suddette differenze di imposizione tra prodotti nazionali e prodotti importati; le necessit� agricole sono gi� a carico del diritto erariale, pagato dai soli prodotti importati. Ne risulta che considerazioni di carattere agricolo non possono essere invocate anche per l'imposta di fabbricazione, al fine di giustificare le imposizioni differenziate a detrimento delle acqueviti di vino e di vinaccia importate e dei prodotti similari al vermouth e al marsala importati. Per questi motivi, la Commissione ritiene che la Repubblica italiana ha mancato agli obblighi che le sono imposti dal Trattato per RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quanto riguarda la riduzione dell'imposta di fabbricazione sulle acqueviti di vino e di vinaccia e la riduzione dell'imposta di fabbricazione sull'alcool utilizzato per la fabbricazione del vermouth e del marsala. La Commissione, pertanto, invita .il Governo della Repubblica italiana, a norma dell'art. 169 del Trattato, a voler farle conoscere le proprie osservazioni sul punto di vista in merito a quanto ha l'onore di sottoporgli, entro il termine di un mese dalla ricezione della presente lettera. La Commissione si riserva di emettere, se necessario, dopo aver preso conoscenza di dette osservazioni, il parere motivato previsto dall'art. 169 �. 8. -Poich� il Governo italiano non dava seguito alle richieste della Commissione, questa formulava nei seguenti termini, il 28 febbraio 1969, un parere motivato ai sensi dell'art. 169 del Trattato, in merito alle imposte di consumo sull'alcool : �In Italia, gli alcoli nazionali sono soggetti al diritto erariale di 60.000 lire per ettolitro d'alcole puro e all'imposta di fabbricazione di 60.000 lire per ettolitro d'alcole puro. Sono previste numerose riduzioni, in parrticolare per le aoquaviti di vino e di vinaocia, ohe sono esentate dal diritto erariale e soggette all'imposta di fabbricazione di 53.000 lire per le acquaviti di vino e 50.000 lire per le aoquaviti di vinaccia. Le acquaviti di vino e di vinaccia importate in Italia sono invece soggette al diritto erariaile di 60.000 Hre rper ettolitTO di alcOile puro e all'imposta di fabbricazione di 60.000 lire per ettolitro di alcole puro. (omissis). Fin dal novembre 1965 la Commissione ha richiamato l'attenzione del Governo italiano sul carattere discriminatorio di questo regime. Successivamente, con >lettera... de11'8 maggio 1968, la Commissione ha avviato la procedura di cui all'articolo 169 del Trattato CEE per violazione dell'articolo 95 di detto Trattato. Nella sua risposta, mediante lettera del 23 luglio 1968 della Rappresentanza permanente dell'Italia, il Governo italiano ha informato la Commissione che non intendeva sopprimere le tassazioni differenziali in questione fintan-i toch� non si �fosse provveduto a modificare i monopoli nazionali esistenti in Germania ed in Francia e non fosse stata istituita una politica agraria comune per questo settore. (omissis). La argomentazioni addotte non sono di natura tale, a parte un unico punto, da mettere in discussione la fondatezza del punto di vista espresso dalla Commissione nella sua lettera de11'8 maggio 1968. Va anzitutto rilevato che in nessun caso gli Stati membri possono addurre le infoazioni di uguale natura compiute da altri Stati membri per sottrarsi agli obblighi che derivano loro dalle disposizioni del Trattato. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE Quanto all'argomento secondo cui l'Italia attua fa sua politica agraria in materia di alcole ricorrendo all'imposta e potr� modificare la sua posizione soltanto nel quadro dell'attuazione di una politica comune in materia �di alcoli, Ja Commissione ha gi� ammesso, nella succitata lettera dell'8 maggio 1968, che l'Italia poteva effettivamente applicare l'imposta come strumento della sua politica agraria in tale settore e mantenere provvisoriamente, in tale quadro, le tassazioni differenziali sino �a concorrenza dell'importo di 60.000 lire per ettolitro d'alcole puro derivanti dall'applicazione del diritto erariale. Il ricorso a siffatte differenziazioni consente idi �smericiare gli alcoli ad un prezzo pi� o meno uniforme, qualunque s.ia il loro prezzo di costo �. 9. -Nello stesso parere motivato, fa Commissione constatava un inadempimento relativo a vari altri aspetti del regime fiscale in questione, a prescindere dal diritto erariale. Da notare che questo parere motivato non portava ad un ricovso dinanzi alla Corte. 10. -Il 31 luglio 1975 la Commissione inviava al Governo italiano, in forza dell'art. 169, primo comma, una nuova comunicazione nella quale venivano formulate, dal punto di vista del divieto di discriminazione di cui all'art. 95, talune critiche nei confronti del regime fiscale vigente in Italia per gli alcolici, relativamente all'imposta di fabbricazione, al diritto erariale normale e al diritto erariale speciale, e nella quale si chiedeva al Governo italiano di abolire le discriminazioni che detto regime implicava nei confronti dei prodotti importati da altri Stati membri. 11. -Poich� le autorit� italiane non davano seguito a questo nuovo intervento con piena soddisfazione della Commissione, questa formulava, il 31 luglio 1978, un parere motivato in merito al �trattamento fiscale differenziato per quanto riguarda l'applicazione della imposta di fabbricazione e del diritto erariale sugli alcool. Neppure a questo parere motivato faceva seguito un ricorso alla Corte. 12. -Nel presente procedimento, il Governo italiano ha sostenuto la tesi secondo cui il regime impositivo in questione non � altro, in realt�, che un aiuto a favore dell'agricoltura, concesso sotto forma di agevolazione fiscale riservata alla produzione nazionale. A suo avviso, questo regime di aiuto � stato autorizzato col parere motivato 28 febbraio 1969 e, in mancanza di qualsiasi atto contrario, tale autorizzazione sussiste tuttora e, in quanto legittima, non pu� essere disattesa dai giudici nazionali. Anche in mancanza di autovizzazione, l'aiuto -preesistente all'entrata in vigore del Trattato -potrebbe essere mantenuto ai sensi dell'art. 93. 312 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Sulla portata delle prese di posizwne e dei pareri emessi dalla Commissione nell'ambito del procedimento di cui all'art. 169. 13. -Le questioni formulate dalla ,corte d'appello mirano in primo luogo a stabilire quali silano, sul piano giuridico, la portata e il valore dei pareri emessi dalla Commissione nell'ambito del procedimento disciplinato dall'art. 169 del Trattato per !� ricorsi relativi a inadempimento da parte di uno Stato. Pi� precisamente, si tratta di determinare quale possa essere l'efficacia giuridica di un'assicurazione del genere di quella fornita dalla Commissione nella lettera di messa in mora in data 8 maggio 1968 e nel parere 28 febbraio 1969, emesso in forza deWart. 169 del Trattato, parere che autorizzava l'Italia a mantenere provvisoriamente un regime di � imposizione differenziata >>. 14. -L'art. 169 dispone che la Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato ad uno degli �obblighi ad esso incombenti in forza del Trattato, �emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni�. Esso aggiunge che, qualora lo Stato in causa non s!�. conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa pu� adire la Corte di giustizia. 15. -Lo scopo di questo procedimento preliminare, che s1 mquadra nell'ambito generale della mdssione di vigilanza affidata alla Commissione dall'art. 155, primo trattino, � anzitutto quello di dar modo allo Stato membro di giustificare la propria posizione ed eventualmente di consentire alla Commissione di indurre lo Stato membro a conformarsi volontariamente alle esigenze del Trattato. Qualora tale sforzo di accomodamento non sia coronato da successo, hl parere motivato serve a definire l'oggetto della controversia. 16. -Per contro, la Commissione non ha il potere di stabilire in modo definitivo, con i pareri formulati ai sensi dell'art. 169 o mediante altre prese di posizione nell'ambito del relativo procedimento, i diritti e gli obblighi dello Stato membro interessato, o di dare a questo garanzie relative alla compatibilit� col Trattato di un determinato comportamento. Secondo il sistema istituito dagli artt. 169-171 del Trattato, la determinazione dei diritti e degli obblighi degld Stati membri e il giudizio sul loro comportamento possono riisultare unicamente da una sentenza della Corte. 17. -A maggior ragione, la Commissione non pu�, nelle prese di posizione e nei pareri che sia portata ad emettere ai sensi dell'art. 169, dispensare uno Stato membro dal rispetto degli obblighi ad esso incombenti in forza del Trattato. Assicuraziioni in tal senso non possono, PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE in particolare, avere l'effetto di impedire agli amministrati di far valere in sede giurisdizionale, contro atti legislativi o amministrativi di uno Stato membro che siano incon1patibili col diritto comunitario, diritti loro attribuiti dal Trattato. 18. -La prima delle questioni .formulate dal giudice a quo va quindi risolta affermando che i pareri emessi daHa Commissione ai sensi dell'art. 169 hanno efficacia giuri.dica soltanto in relazione al ricorso per inadempimento proposto alla Corte contro lo Stato iinteressato, e che la Commissione non pu�, mediante prese di posizione nell'ambito del relativo procedimento, esonerare lo Stato membro dagli obblighi ad esso incombenti o pregiudicare i diritti spettanti ai singoli in forza del Trattato. Sulla compatibilit� con l'art. 95 di un regime d'imposizione differenziata dell'alcool. 19. -La seconda del1e questioni sottoposte alla Corte � intesa a stabilire se uno Stato membro possa applicare ai prodotti alcolici originari di altri Stati membri un tributo dal quale i prodotti nazionali similari sono, in tutto o in parte, esenti. 20. -Dalle ordinanze di rinvio risulta che iI rapporto di similarit�, ai sensi dell'art. 95, fra il prodotto importato (nella fattispecie, cognac d'origine francese) e il prodotto nazionale concorrente (nella fattispecie, acquavite di vino o di vinaccia) non � contestato. Secondo le indicazioni fornite dal Governo italiano, la differenza di trattamento fiscale fra l'una e l'altra merce risulta dal fatto che l'alcool importato, classificato come �alcool di prima categoria�, � in quanto tale integralmente gravato dall'onere del tnibuto, mentre i �conrispondenti alcool di produzione nazionale sono esenti dal diritto erariale, dal momento che rientrano nella � seconda categoria�, nella quale possono essere classificati soltanto prodotti suscettibili di controllo, nella fase della lavorazione, nel territorio dello Stato italiano. 21. -Come questa Corte ha affermato in una giurisprudenza costante (cfr., da ultimo, la sentenza 14 gennaio 1981, causa 140/79, S.A. Chemial Farmaceutici), il diritto comunitario non limita, nello stadio attuale della sua evoluzione, la libert� di ciasclltilo Stato membro di istituire sistemi impositivi differenziati per taluni prodotti, in fwnzione di criteri obiettivi, quali la natura delle materie prime impiegate o i procedimenti di fabbricazione seguiti. Siffatte differenziazioni sono compatibili col diritto comunitario purch� perseguano scopi di politica economica compatibili, anch'essi, con gli imperativi del Trattato e del diritto derivato, e �le loro modalit� siano tali da evitare qual 314 RASSEGNA DELeA:VVOCATURA DELLO STATO siasi forma di discriminazione, diretta o indiretta, nei confronti dei prodotti importati dagli altri Stati� membri, o di protezione a favore di prodotti nazionali concorrenti. 22. -Ora, il fatto di subordinare la concessione di un'esenzione fiscale o l'applicazione di un'aliquota ridotta alla possibilit� di un controllo della produzione nell'ambito del territorio nazionale costituisce una condizione che, per ipotesi, non pu� essere soddisfatta dai prodotti similari importati da altri Stati membri. Una siffatta esigenza ha l'effetto di escludere a priori questi prodotti dal godimento dehla agevolazione fiscale in questione e di riservare tale agevolazione ai prodotti nazionaili. � quindi evidente che un siffatto sistema impositivo � discriminatorio e, come tale, ricade sotto il divieto di cui aH'art. 95. 23. La seconda delle questioni formulate dal giudice a quo va quindi risolta affermando che un sistema di tassazione dell'alcool strutturato in modo da riservare alla sola produzione nazionale esenzionf o riduzioni dell'aliquota fiscale costituisce una discriminazione vietata da>U'art. 95 del Trattato. Sull'efficacia nel tempo dell'art. 95 e sui rapporti di questa norma con il regime degli aiuti. 24. -La terza delle questioni sottoposte alla Corte riguarda il problema del se, alla scadenza del termine stabilito dal terzo comma deH'art. 95, uno Stato membro _potesse essere 'autorizzato, in via di deroga, a mantenere una preesistente discriminazione nel regime fiscale vigente per l'importazione delle acquaviti di vino. 25. -Da1l fascicolo, nonch� dagli a:11gomenti svolti dal Governo italiano nel corso del presente procedimento, msulta che si tratta, per il giudice nazionale, di sapere se l'opinione espressa dalla Commissione nella lettera 8 maggio 1968 e nel parere motivato 28 fiebbraio 1969 in merito al provviisorio mantenimento del regime di �imposizione differenziata � in materia di diritto erariale possa eventualmente equivalere all'approvazione di un aiuto ai sensi degli artt. 92 e 93 del Trattato, anche dopo la scadenza del termine fissato dall'art. 95, terzo comma. 26. -A norma dell'art. 95, terzo comma, �g1i Stati membri aboliscono o modificano, non oltre l'inizio della seconda tappa, le disposizioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del presente Trattato che siano contrarie alle norme che precedono �. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 315 27. -Dalla suddetta norma risulta che la data del 31 dicembre 1961 costituiva il limite ultimo entro il quale gli Stati membri dovevano aver eliminato dalle loro legislazioni e prassi fiscali qualsiasi misura incompatibile col divieto di discruminazione enunciato nei primi due commi dell'art. 95. � quindi a partire da tale data che questi hanno acquistato piena affi.cacia e possono esser fatti valere dai singoli nei confronti di qualsiasi Stato membro. 28. -La tesi sostenuta dallo Stato italiano, sia dinanzi al giudice nazionale sia dinanzi a questa Corte, nel senso che la deroga stabilita dalla Commissione nella lettera 8 maggio 1968 e nel parere motivato 28 febbraio 1969 costituirebbe l'autorizziazione di un aiuto ai sensi del Trattato, � inammissibile in fatto e in didtto. Basta osser� vare in proposito che, secondo il sistema del Trattato, nessun aiuto pu� essere istituito n� autorizzato sotto forma di discriminazione fi. scale, da parte di uno Stato membro, nei confronti di prodotti ori� ginari di altri Stati membri. 29. -La terza delle questioni formulate dal giudice a quo va quindi risolta affermando che, a norma del terzo comma dell'art. 95, il divieto di discriminazione sancito dai primi due commi dello stesso articolo ha prodotto pienamente i suoi effetti a partire dal t0 gennaio 1962 e che uno Stato membro non poteva essere autoni.zzato a mantenere, dopo tale data, una discriminazione fiscale preesistente nel regime vigente per l'importazione delle acquaviti originarie di altri Stati membri. Sull'efficacia nel tempo della presente sentenza. 30. -Nelle osservazioni presentate alla Corte, il Governo italiano ha chiesto che quest'ultima, qualora dovesse dichiarare l'inefficacia degli atti della Commissione per quanto riguarda l'applicazione, nella fattispecie, del divieto di cui all'art. 95, Hmiti fa portata della propria sentenza alle eventuali indebite percezioni di tributi che dovessero verificarsi in futuro, sancendo invece, per il passato, la definitivit� degli effetti della deroga concessa dalla Commissione. 31. -A tale scopo esso fa valere, in primo luogo, il precedente della sentenza 8 aprile 1976 (causa 43/75, Defrenne, Racc. pag. 455), nella quale la Corte si sarebbe riconosciuto, in base al principio generale della certezza del diritto, il potere di limitare, eocezionalmente, la possibilit� degli interessati di far valere le sue sentenze. A queste considerazioni si aggiungerebbe, nella fattispecie, la necessit� di tutelare il legittimo affidamento che il Governo italiano poteva fare sulla validit� di una misura fiscale che era stata espressamente autorizzata dall'esecutivo comunitario. 316 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 32. -In secondo luogo, il Governo italiano richiama l'attenzione sul fatto che i tributi in questione sono stati trasferiti da~i importatori sui commercianti, di guisa che una loro restituzione implicherebbe un grave onere per le finanze pubbliche italiane, senza alcun corrispondente vantaggio per i consumatori, i quali sono stati, in definitiva, gli unici soggetti colpiti dalla misura fiscale di cui trattasi. 33. -Per quanto riguarda il primo argomento, si deve ricordare che la norma del Trattato da applicare nella fattispecie, e cio�, l'art. 95, e la questione della sua efficacia diretta costituiscono oggetto di una ormai consolidata, abbondante e dettagliata giurisprudenza, che non lascia sussistere alcun dubbio circa la portata di tale disposizione. In proposito, basta ricordare che, gi� nella sentenza 14 dicembre 1962 (cause riunite 2 e 3/62, Commissione c/ Granducato del Lussemburgo e Regno del Belgio, Racc. pag. 793), emessa nello stesso periodo in cui venivano riscossi i tributi di cui � causa, la Corte sottolineava le rigorose esigenze inerenti a questa norma del Trattato. 34. -Quanto ai provvedimenti fiscali che costituiscono oggetto della controversia, va rilevato che, anche se le prese di posizione della Commissione in proposito, dal 4 novembre 1965, potevano creare, nei riguardi delle autorit� italiane, un'apparenza di legittimit�, le incertezze manifestatesi tanto ,sul piano comunitario quanto sul. piano nazionale, dopo tale data, circa la compatibilit� dei provvedimenti in questione col diritto comunitario escludono ohe il Governo italiano possa far valere, nella fattispecie, ile esigenze della certezza del diritto o l'esistenza di una situazione di legittimo affidamento, in modo da giustificare una limitazione nel tempo della portata della presente sentenza. 35. -Quanto all'argomento basato sulla circostanza che i tributi la cui restituzione costituisce oggetto delle cause principali sarebbero stati trasferiti sui consumatori, si deve precisare che la tutela dei diritti garantiti in materia dall'ordinamento giuridico comunitario non esige che si conceda la restituzione di tributi, indebitamente riscossi, in condizioni tali da causare l'indebito arricchimento degli aventi diritto. Nulla impedisce quindi, dal punto di v.ista del diritto comunitario, che i giudici nazionali tengano conto, conformemente ail proprio diritto interno, della possibilit� che i tributi indebitamente percepiti siano stati incorporati nei prezzi dell'impresa assoggettata al pagamento e trasferiti sug1i acquirenti ~sentenza 27 marzo 1980, causa 61/79, Amministrazione delle finanze c/ Denkavit italiana, Racc. pag. 1205). (omissis). SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 2 marzo 1981, n. 1203 -Pres. Rossi -Rel. Buffoni -P. M. Berri (conf.). Riccioni (avv. Funari) c. Ministero del Tesoro (avv. Stato Cerocchi). Giurisdizione civile -Impiego pubblico -Presupposti -Atto di nomina Mancanza -Irrilevanza -Controversie -Giurisdizione del giudice amministrativo -Sussiste. Sono requisiti necessari e sufficienti, al fine di identificare un rapporti:: di pubblico impiego, la natura pubblica dell'ente ed il concreto inserimento del lavoratore nell'apparato organizzativo dell'ente, in regime di subordinazione gerarchica, mentre non � necessario un atto formale (o uno scritto equipollente) dal quale emerga la volont� dell'ente di inserire il lavoratore nella propria organizzazione, e le controversie relative, anche se vertono sulla responsabilit� del datore di lavoro .per violazione delle norme sulle assicurazioni sociali, rientrano �nella giurisdizione del giudice amministrativo. (Omissis). Nel giudizio di appello si � peraltro discusso sulla natura del rapporto intercorso tra l'ente ed il Riccioni. Va subito detto che il riferimento che il ricorrente f� alla normativa sugli incarichi previsti dal t.u. sull'istruzione superiore (r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, art. 12) � affatto inconferente poich� detta disciplina. riguarda la universit� e gli istituti superiori collateiiali espressamente previsti dal citato decreto, fra i quali non � e non poteva essere compresa l'Accademia della GIL appartenente a tutt'altva organizzazione e istituita per ben diversi fini. Che l'attivit� del Riccioni si sia svolta nell'ambito 'di un rapporto d'impiego non � difficile dimostrare avuto riguardo al�la durata di essa (ben ventinove anni) alla predeterminazione della retribuzione ed alfa (1) Questa sentenza, gi� preceduta da altra pronuncia (cfr. Cass., 27 febbraio 1980, n. 1352), rappresenta una evoluzione della giurisprudenza per la identificazione di un rapporto di pubblico impiego, che viene ad esistenza anche se non esiste un atto formale di nomina. In tal senso pu� ritenersi superata la giurisprudenza che riteneva nell'ipotesi ora considerata la sussistenza di un rapporto di impiego privatistico. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO commisurazione di essa ad anno, al vincolo di subordinazione insito nelle prestazioni dell'insegnante nell'organizzazione predisposta daill'ente per il funzionamento della scuola, alla corresponsione dei contributi assicurativi nel periodo successivo al 1953, nel quale il rapporto si svolse con le stesse modalit� di quello precedente. La Corte territoriale ha, peraltro, escluso la natura pubblica del- l'impiego sul rilievo che era carente l'atto di nomina poich� questo non poteva essere presunto dal primo giudice dopo che il medesimo aveva affermato che non era mai �esistito�. I giudici dell'appello hanno, quindi, ritenuto ohe l'atto formale di nomina � requisito necessario per fa costituzione del rapporto di pubblico impiego, adottando un principio che si riscontra in talune decisioni di queste sezioni unite. Rispetto alle quali, rpe:rialtro, vi � stato un mutamento d'indirizzo che dall'esigenza di un atto formale di nomina (da ultimo, sent. n. 3258/1977) � passato alla sufficienza dell'atto di nomina, bench� privo di particolari formalit�, o di equipollenti di tale atto ravvisabili in documenti, 'anche successivi 'alla costituzione del rapporto, che forniscano fa prova dell'avvenuto inserimento del dipendente nell'apparato pubblicistico per l'esercizio di mansioni inerenti ai fini istituzionali dell'ente, ancorch� non contengano una tipica ed espressa manifestaZJione di volont� (in tale senso fra [e altre, sentt. nn. 2460-3658/ 1978; 3070/3655/1979). Da ultimo, si � riaffermat� 1l'irri!levanZJa dell'atto di nomina (sailvo che esso non sia anche implicitamente richiesto da specifiche 1I1orme) sul rilievo che requisiti necessari e sufficienti, al fine dell'identificazione di un rapporto di pubblico impiego, sono la natura pubblicistica dell.'ente datore di lavoro ed il concreto inserimento del lavoratore nell"arpparato organizzativo dell'ente {sentt. nn. 6444/1979; 2070/3239/5498/5680/5681 del 1980); e si � pure precisato che al predetto fine, non � necessarfo che la volont� dell'ente di inserire il lavo:riatore nella propria orgianizzazione emerga dall'atto formale di nomina o da uno scritto equipollente, rpoich� conta esclusivamente che '1e prestazioni del soggetto siano date e rioevute in regime di subordinazione, nell'ambito di detta organizzazione e per i fini pubblicistici del datore di lavoro, s� da realizzare l'indicato inse rimento (sent. n. 1352/1980). Nel ribadire questo orientamento, giova precisare che esso non prescinde dalla sussistenza della volont� deM'ente diretta alla costituzione del rapporto, ma postula che detta volont� possa essere manifestata in qualsiasi modo, purch� risulti adeguata ed univoca; perci� non necessariamente con un atto scritto, ma anche con fatti e comportamenti, i quali, per essere conaludenti ed univoci devono rivelare non soltanto� che l'ente ha fatto proprie le prestazioni del soggetto, ma anche che le ha volute come attivit� da utilizzare nell'ambito della sua organizzazione. PARTE L SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 319 Tale volont�, nella specie, emerge dagli elementi gi� posti. in evidenza per escludere la �sussistenza di un contratto di prestazioni autonome di opera professionale e per ritenere la costituzione di un rapporto di impiego (continuit� del rapporto, predisposizione e modalit� di commisurazione della retribuzione, assoggettamento dell'attivit� d'insegnamento alle esigenze organizzatorie della scuola, identit� di modalit� di attuazione del rapporto per la durata quas,i trentennale del suo svolgimento, versamento dei contributi assicurativi nel periodo 1953/1970). Conclusivamente deve affermarsi che nella specie concorrono gli estremi del rapporto di impiego pubblico e che la controversia insorta tra fo parti, vertendo sulla responsabilit� del datore di lavoro per violazione delle norme sulle assicurazioni sociali, fa cui osservanza gli � imposta quale soggetto del rapporto stesso, trova in questo titolo immediato e diretto. Pertanto, ai sensi degli artt. 29 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e 7 della il:egge 6 dicembre 1971, n. 1034 non modificato dalla legge 11 agosto 1973, n. 533, va dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a conoscere della controversia come sopra individuata (da ultimo, sez. un. sentt. nn. 6021/1979; 4173/1980). (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 marzo 1981, n. 1687 -Pres. Rossi - Rel. Buffoni -P. M. Silocchi (conf.). -Martuscelli (avv. Martuscelli) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Mataloni). Impiego pubblico -Funzionari onorari -Componenti delle Commissioni di controllo regionali -Indennit� -Misura -Controversia � Giurisdizione di legittimit� del giudice amministrativo. Ai componenti delle commissioni di controllo regionali, nella qualit� di esperti di discipline amministrative, � attribuita una indennit� per ogni giornata di seduta, nella misura e con le modalit� da determinarsi nel regolamento; una controversia sulla misura della indennit� non rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, perch�, tenendosi conto del rapporto tra i membri e la p.a., essi sono funzionari onorari; n� rientra nella giurisdizione ordinaria, perch� manca una norma (1) Cfr. Corte cost., 25 marzo 1971, n. 70, la quale ha escluso che l'art. 136 Cost. possa operare nei confronti di soggetti investiti di funzioni onorarie �ed ha escluso altres� che per questi possa prospettarsi una qualsiasi valutazione comparativa in relazione all'art. 3 Cost. In definitiva, quindi, non essendo configurabile un diritto soggettivo tutelabile al livello costituzionale del funzionario onorario ad un qualsiasi trattamento economico, a maggior ragione non � neppure configurabile una tutela a livello costituzionale o con riferimento a norme costituzionali che quel diritto presupporrebbero, in ordine alla misura del trattamento economico che sia eventualmente previsto: principi, tutti questi, di cui ha gi� avuto occasione di fare corretta applicazione (a proposito delle indennit� previste per i membri delle commissioni RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (di relazione) che tuteli in modo diretto l'interesse individuale che possa assurgere a diritto soggettivo; rientra invece nella giurisdizione generale di legittimit� del giudice amministrativo, in quanto l'attivit� della p.a., nel commisurare la �ndennit�, in assenza di norme che la vincolino direttamente, � tipicamente discrezionale, e ci� qualifica la posizione soggettiva del privato come interesse legittimo (mentre di diritto soggettivo pu� parlarsi solo in seguito e in funzione della concreta determinazione della misura dell'indennit�, e nei limiti contenutistici risultanti da tale determinazione) (1). (Omissis). Come gi� si � accennato, l'art. 44 delila legge n. 62 del 1953, istitutiva delle commissioni di controfilo regionaLi, stabilisce che ag:li esperti nelle disoipline amministrative nominati membri delle predette commissioni � attribuita un'indeillilit�, per og:ni giomata di seduta, nella misura e con le modalit� da determinarsi nel regolamento. Ora � indubbio che i membri deLle commissioni non sono pubblici impiegati ma funzionari onorari sicch� sul rapporto che la legge istituisce fra essi e :J'amministmziione non sussiste la giurisdizione esolusiva del giudice amministrativo. Perci� � in rela2lione alla natura che l'interesse sostanziale dedotto assume nell'ordinamento che deve essere individuato il giudice che ha la giurisdizione. Per attribuirla al giudice ordinario occorrerebbe che, come assumono i ricorrenti, nella disposizione su citata possa ravvisarsi una norma (di relazione) che tuteli in modo diretto l'interesse fatto valere sicch� esso assuma '1a figura del diritto soggettivo. Senonch� il testo legislativo, lungi dall'indicare criteri. obbiettivi, come elementi della fattispecie legale, che vincolino l'Amministrazione nella determinazione dell'indennit�, si limita ad att11ibuire ai componenti le commissioni il diritto ad un'indennit� per ogni seduta; mentre, in ordine alla misura e alle modalit� di corresponsione di essa, 1a norma demanda ali regolamento senza fissare a:lcuna presorizione tassativa e neppure orientativa (salvo que11a secondo cui l'indennit� � dovuta per ciascuna seduta). tributarie) il tribunale di Trieste con la sentenza 4 giugno <1977, n. 438/77 in causa Amodio c./ Min. Finanze, sentenza con la quale � stato osservato: � Conseguenza dell'espletamento delle funzioni onorarie � l'assenza di qualsiasi natura retributiva, onde l'inapplicabilit� degli schemi normativi indicati ed invocati dall'attore (riguardando in particolare l'art. 36 della Costituzione la retribuzione professionale dei lavoratori) e non essendovi dubbio che la propria opera a vantaggio di altri possa essere prestata a titolo gratuito (cfr. Cass., sez. Il, 14 novembre 1972, n. 3389). 111 "compenso" per �1':attivit� prestata ha dunque chiaramente un carattere del tutto accessorio rispetto alla dignit� sociale riconosciuta nel conferimento dell'incarico e che qualifica la funzione (la quale, comunque, � libera e rinunciabile) �. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE D'altra parte � da esoludere che parametri o criteri orientativi possano trarsi aliunde ed in particolare dalla disposizione secondo cui i componenti della commissione che siano pubblici funzionari 1sono esonerati da ogni altro lavoro. A prescindere dal.fa considerazione che Ja � ratio � di questa norma va ricercata nell'esigenza dii ovviare a possiibili incompatibilit�, va notato che lo �status� degli esperti liberi professionisti non � comparabile, agli effetti di cui si discute, con quello dei detti funzionari; i quali, in quanto legati alle amministmzioni di provenienza da un rappotro di pubblico impiego, debbono tenemi. a disposizione della commissione a tempo pieno, e quindi osservare un orario ed assolvere presumibilmente anche incombenze burocmtiche preparatorie e conseguenti rispetto alle funzioni collegiali propri.e dell'organo, ed in ogni oaso -a differenza degli altri membri -non possono svolgere altre attivit�. Pertanto, in assenza di disposizioni che la vincolino direttamente o indirettamente, l'attivit� demandata alla pubblica amministrazione in ordine alla commisurazione dell'indennit�, � tipicamente discrezionale. In quest'ambito, ai fini della qualificazione della posizione soggettiva del privato sulla quale detta attivit� interferisca, � pertinente e decisivo ill rilievo che essa ancorch� destinata a riflettersi -in senso positivo o negativo -su interessi privati, � sempre essenziailmente e fondamentalmente dominata dalla considerazione dell'interesse pubbLico, sia pur al fine dell'equo contemperamento con interessi concorrenti dei cittadini. Il che comporta che questi (salvo il oaso di atti, che in assoluta carenza di potere, ledano diritti soggettivi precostituiti) sono configurabili, se coinvolti, come interessi legittimi, giacch� assumono riil.ievo giuridico in funzione dell'interesse pubblico, e sono quindi tutelahiili, occasionalmente ed :indirettamente, attraverso il sindacato di legittimit� devoluto ail giudice amministrativo in o:ridine al modo (eventualmente scorretto) di esercizio del potere, qualora si alleghi che l'atto � inficiato da incompetenza ovvero da vizio di forma o di contenuto, ed in particolare -con riferimento al contenuto -dai vizio di eccesso di potere nelle sue varie m~ nifestazioni. Ora, nel caso in esame, in presenza del potere discrezionale come sopra demandato a:lla p.a., ricorre appunto la fattispecie test� esaminata; e la situazione giuridica dei soggetti interessati, per ci� che concerne il provvedimento di commisurazione dell'indennit� ed i criteri all'uopo adot� tati, � esattamente tutelabile come interesse legittimo (mentre -come � ovvio -assurge a diritto soggettivo solo a seguito ed in funzione della concreta determinazione della misura dell'indennit� da patte dell'ammi� nistrazione, e quindi nei limiti contenutistici risultanti da taile determinazione). 322 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO I Ci� posto risutlta!Ilo inconferenti sia l'allega:llione da parte dei ricorrenti dei due pretesi vizi di violazione di legge e di eccesso di potere, sia il richlamo al principio che anche al giudice 011dinario spetta, ai sensi delil'art. 5, legge 20 marzo 11865, ai11. E, �Jl sindacato :suhla conformit� alla legge dell'atto amministrativo, sia pure al solo fiine delJla disappli I cazione di esso. Infatti, poich� la posizione giuridica dedotta via qualificata come interesse '1egittimo, non � applicabile il detto principio; il quale opera solo rispetto alle controve:raie relative a diritti soggettivi (in 011dine ahle quali, pertanto, la giurisdizione del giudice ordinario sussiste in ogni caso, salvo in quelli iin cui � prevista 1a giurisdizione esclusivia del giudice amministrativo) ai fini deHa decisione di merito rispetto a11a quaile l'accertamento incidenter tantum de]la legittimit� o delfillegittimit� dell'atto amministrativo e la disapplicazione di esso nella seconda ipotesi, si riflette sulla concreta esistenza del. dil'itto sUil quale la pretesa S�i fonda. Infine, non � puntualmente �invocata la sentenza :n. 863 del 1978 di queste sezioni unite. In quella fattispecie la giurisdizione del giudice ordinario � stata ritenuta non in quanto la controversia avevia per oggetto la congruiti\ dailla indennit� corrisposta ad un funzionario onorario (nel caso vicepretore onorario) ma in quanto fa domanda si fondava sull'assunto che il rapporto aveva perso l'originario carattere onorario e che le norme dell'ordinamento giudiziario V�igenti anteriormente all'emanazione delle leggi 18 maggio 1970, n. 217 e 4 agosto 1977, n. 516, :non potevano disciplinarlo, perch� inadeguate rispetto all'essenza ed ailile �reali esigenze dehla fattispecie concreta e, soprattutto, ai principi costituzionaili sicch� la lite introduceva un complesso di questioni che sul presupposto dell'inapplicabilit� della disciplina del rapporto onorario involgevano pretese proprie del rapporto di �lavoro (aumenti biennaili sulla retribuzione corrisposta di fatto, compenso per ferie non godute, assicurazione presso INPS) aventi per oggetto diritti (di credito) maturati nel corso di un pflriodo ventennale che solo formalmente sarebbe stato riconducibile a servizio onorario. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 aprile 1981, n. 2113 -Pres. Rossi - Rel. Caturani -P.M. Fabi -Ministero dei Tra:sporti ~avv. Stato Stipo) . c. Di Losa (avv. Rinaldi). Atto amministrativo -Autorizzazione -Abilitazione -Nozione � Rilascio di carta di circolazione -Natura � Controversie � Giurisdizione dell'a.g.o. Il rilascib della carta di circolazione, nel caso previsto dall'art. 58, sesto comma, cod. strad., rientra nella categoria delle abilitazioni ammi-f, 1: ,, I: I: I �~ I ' f 1111�J11Jr1111r~1111111P1a1:1r11111�1,r�1~1rilitrl# ! PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 323 nistrative, che si caratterizza per la mancanza di qualsiasi potest� discrezionale della p.a. di consentire o meno l'attivit� cui essa si riferisce, poich� il provvedimento si limita a procedere ad un accertamento di carattere tecnico circa la sussistenza di certi requisiti, con la conseguenza che, nel caso di rifiuto del provvedimento richiesto, le relative controversie rientrano nella giurisdizione dell'a.g.o. (1). (omissis) L'indirizzo generalmente seguito in dottrina che queste sezioni unite ritengono di condividere, sostiene che la carta di circolazione, per veicoli a motore, cui :l�a riferimento l'art. 58 del codice della strada, pur avendo un contenuto eminentemente permissivo, in quanto attraverso il suo rilascio si legittima una attiv;it� altrimenti vietata in linea generale, non possa farsi rientrare ne1l'aimpia categoria dei provvedimenti autorizzatori. Questi ultimi sono caratterizzati dal fatto che la pubblica amiministrazione, nel decidere se concedere o meno [a corrispondente autorizzazione, gode di Ullla pi� o meno ampia potest� discrezionale circa fu. rispondenza delle condizioni soggettive ed oggettive al!l'uopo previste dailfa norma agli interessi pubblici, la cui tutela � rimessa ail deddente ne1la emanazione del provvedimento. Da tali ipotesi, ben definite per dl principio di tipicit� del provvedimento amministrativo, sono state tenute distinte diverse fattispecie, tutte caratterizzate dal fatto che in esse non si � riscontrato nelila relativa potest� attribuita dalla legge all'autorit� amministrativa alcun potere discrezionale, onde si � proposta da autorevole dottrina la distinzione tra provvedimenti propriamente autorizzatori, licenze ed abilitazioni. Qualunque possa essere la tesi che si intendeva accogliere circa la distinzione tra le prime due categorie giuridiche, ormai non � pi� revo cabile in dubbio che il connotato tipico delle abillitazioni � la mancamia di qualsiasi potest� disorezionale della p.a. di consentire o meno l'at tivit� cui esse si riferiscono poich� in sostanza il provvedimento si limita a procedere ad un accertamento o valutazione di carattere pura mente teanico circa la sussistenza di determinati requisiti e circa la idoneit� di persone o cose a svolgere Ja specifica attivit� ohe in conOI'eto viene in considerazione (abilitazione a11l'esercizio professionale: legge 8 dicembre 1956, n. 1378; certificato di ,sicurezza e di idoneirt� del[e navi: art. 138 e 146 ss. cod. nav. e 313 ss. regolamento nav. maritt.; patente di guida per autoveicoli: art. 80 codice della strada; autorizzazione al (1) La sentenza � da condividere: nessun margine di discrezionalit� � lasciato alla p.a. in tema di rilascio della carta di circolazione, essendo l'attivit� disciplinata da norme di relazione. Per qualche riferimento cfr. Cass., 7 ottobre 1961, n. 2045, in Foro it., 1962, I, 318, con nota. RASSEGNA DEI,L'AWOCATURA DELLO STATO baliatico: art. 309 t.u. delle foggi sanitarie; oarta di circolazione degli autoveicoli: art. 58 del codice della strada). Rientra, a giudizio del Cdllegio, in tale categoria anche il rillascio della oarta di circolazione, da parte dell'lispettorato della motorizzazione civile, nel caso previsto dall'art. 58, sesto comma, del codice della strada che cos� dispone: � Quando si tratti di autobus da destinare ad uso privato la carta di drco1azione non pu� essere rillasciaita se non ad imprenditori, collettivit� e simili, iper Je loro necesisit� �. Dalla chiara formulazione della norma risulta che l'Ispettorato della motorizzazione, sulla base della documentazione fornita dagli interessati, 'deve limitare iJ. suo esame 'aid una indagine puramente obiettiva, consistente nell'accertare se ricorrono <le due condizioni richieste dalla <legge per ottenere la carta di circolazione: a) la qualit� soggettiva del richiedente che deve essere un imprenditore, una collettivit� o simili; b) l'utiHzzazione dell'autobus per soddisfare le necessit� di uno di tali soggetti, nel senso che essa deve essere complementare e stnlmentale rispetto ail tipo ,di attivit� che essi esplioano ed agli scopi ohe si prefiggono di raggiungere nel campo economico. La norma escluide invece -per argomento a contrario -qualsiasi apprezzamento disorezionale dell'autorit� amministrativa circa la rilevanza dell'interesse e la convenienza che l'imprenditore, le collettivit� e simili possono avere ad avvalersi nell'ambito ed in funzione di esigenze inerenti aihla propria normale attivit�, di propri mezzi di trasporto, e ci� in consi�lerazi.one -ad esempio delle concrete caratteristiche e condizioni di svilurppo ed ef�ficienm. dei servizi pubblici di trasporto e quindi della maggiore o minore importanza ed utilit� che l'impiego di quei mezzi rivesta nel quadro della preesistente organizzazione delle specifiche attivit� e delle finalit� dei soggetti stessi. Il che significa che non � consentita ailcuna vailuta:done discrezionale delle predette esigenze e drca il modo di soddisfarle. I precedenti rilievi dimostrano che senza dubbio -come ha esattamente sostenuto in udienza H procuratore generale -il potere demandato in materia all'autorit� amminiistraitiva ha natura vincolata (e non discrezionale). Tuttavia il rappresentante del p.m. ha poi ri!levato che, pur ammessa 'la narura vincolata dell'attivit� am.miinlistrativa, essa sarebbe in ogni caso dominata dalla esigenza di soddisfare interessi pubblici connessi alla circolazione dei veicoli ed al.la� utilizzazione dei beni demaniali, per modo che la tutela delil'interesse individuale del richiedente l'atto abilitativo si realizzerebbe in maniera occasionale e indiretta, asslJ!l1gendo al rango ,di interesse legittimo. Non vi � dubbio alcuno che mentre il diritto soggettivo affievolisce ad interesse legittimo ove alla p:a. sia confevito dall'ordinamento un potere discrezionale che l'autorizza ad incidere sulla posizione soggettiva del privato, ove invece si verta in materia in cui l'attivit� amministra, PARTE I, SEZ. III, GIURiS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE tiva � vincolata, l'interprete deve stabilire caso per caso, aJ1 fine di risolvere il problema di giurisdizione, la natura e la finalit� delle norme che si assumono violate dailla p.a.; con la conseguenza che la controversia sar� relativa ad un diritto soggettivo se le norme sono rivolte a disciplinare rapporti tra privati e fa p.a., dal� quaili scaturiscono reci� proci diritti ed obblighi, mentre invece la controversia apparterr� alla giurisdizione del giudice amministrativo se la contestazione riguardi norme poste per assicurare la conformit� delil'azione dehla amministramone al pubblico interesse (Cass., 19 giugno 1968, n. 2027; sez. un., 22 novembre 1966, n. 2785). Orbene, l'art. 58, sesto comma, del codice della strada, alllorch� staMlisce i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti ail fine di ottenere la carta di circolazione per autobus da destinare ad uso privato, non soltanto non attribuisce a:llla p.a. alcun potere discrezionale in ordine al rHascio o meno del documento, essendo la sua attivit�, come si � accennato, rigidamente vincolata dalla . legge, ma contempla un vincolo che si traduce in un dovere giuridico per la p.a. e che lungi da:ll'essere imposto in funzione della conformit� dell'azione amministrativa ahl'interesse pubblico, � inteso ex professo a sancire la giuridica rHevanza dell'interesse dei richiedenti (imprenditori, collettivit� e simili) sempre che la destinazione degli autobus sia rivolta a soddisfare le esigenze organizzative dei medesimi. La norma, invero, prende in considerazione direttamente e srpecifioamente le esigenze di imprenditori, collettivit� e simili di utilizzare gli autobus ad uso privato qualora tale uso si coordini comunque aiHe finalit� da essi perseguite. Pertanto, poich� l'interesse connesso a tale �esigenza sta in primo piano nella �ratio�, e nella economi� de11a norma, ed � tutelato per se stesso, cio� in via immediata e non mediatamente in funzione dell'interesse pubblico, se ne deduce che, nel concorso dei sulindicati requisiti, la legge conferisce un vero e proprio di!ritto soggettivo aJ rilascio della carta di circolazione; con la conseguenza che a questa situazione giuridica fa riscontro un obbligo della p.a.; per modo che, ove sussistano gli estremi della fattispecie legale, il rifiuto della carta costituisce un fatto illecito. E di tutto ci� offre ulteriore conferma il rilievo che il di:riitto di svolgere nell'ambito di una impresa ogni attivit� economica ad essa coordinata e funzionale si inquadra in definitiva nel diritto di libert� garantito dall'art. 41 della Carta costituzionale. Ora, se il riscontro che l'Ispettorato della motorizzazione deve compiere � puramente oggettivo e consiste nell'accertare se il soggetto rientri nelle categorie contemplate e se l'attivit� di trasporto corrisponda nel senso precisato, a necessit� del soggetto stesso, deve escludersi di conseguenza che la manifestazione di volont� delila p.a. sia diretta nella specie oltre che al compimento dell'atto dovuto, anche alla produzione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di effetti giuridici (consenso alla circoiaz.i.one del veicolo), i quali non solo non possono vruriare in re1azione alla determinazione volitiva delnspettorato, ma sono direttamente collegati da1Ma norma al mero accertamento circa 1a ricorren2Ja dei requisiti all'uopo richiesti. D'altra parte, � aippena il caso di rilevare che sebbene tutta l'attivit� dell:a p.a. sia semp11e influen2Jata daLLa finalit� di realizzare finteresse pubblico, questa considerazione, per fa sua stessa genemcit�, non consente di risolvere il problema proposto; in caso contrario dovrebbe concludersi che giammai un diritto soggettivo potrebbe farsi valere neLla sua pienezza quando per il suo esercizio � mchiesto un atto (abi'Litatiivo) de11a p.a., la quale avrebbe, per definizione, il potere di affievoliruo in omaggio 'alle finalit� pubblioistiche che essa tende sempre a conseguire. In realt�, per quanto concerne la disciplina della circolazione e la disciplina dell'uso dei beni demaniali, cui in particolare si � riferito il procuratore generale nella sua requisitoria, deV1e rillevarsi che l'Ispettorato deHa motorizzazione non dispone al il'iguardo di alcun rpotere, poich� la sua attivit� si risolve -come si � premesso -nel rilasciare la carta di circolazione all'interessato (e nella conseguente immatricolazione del veicolo), nel concorso dei presupposti richiesti dalla norma, che all'uopo si limita ad accertare. Infine, � ormai chiaro che nel caso :di rifiuto del provvedimento r~chiesto, ove insorga controversia circa 1a legittimit� del provvedimento, il problema da affrontare, che concerne la sussistenza della dedotta lesione del di�ritto al rilascio della carta di ciocolazione per autobus destinati all'uso privato, consiste appunto nello stabilire, in sede di merito, se sussistano o meno i requisi1li soggettivi ed oggettivi come sopra richiesti .da11a legge: ed in particolare, nel caso concreto, si tratta di accertare -come del resto ha ben ohiarito il Consiglio di Stato in aderenza ad un precedente di questa Corte (sent. 7 ottobre 1961, n. 2045) se tra i compiti de11a agenzia di viaggio e turismo possa rientrare, a norma deM'art. 2 del d.I. 23 novembre 1936, n. 2523, anche ~I trasporto con propri autobus dei turisti che fanno ad essa capo, come attivit� complementare a quella propriamente diretta a:L1a loro assistenza. In definitiva, posto che nessun margine di apprezzamento discrezionale spetta in materia alla p.a., 1a cui attivit� neH'mnbito del rapporto con il privato � disciplinata da norme di relazione, si deve conoludere che 1l'azione diretta a far valere l'illlegittimit� del provvedimento negrutivo dell'Ispettorato involge una controversia rela1liva alla 'lesione di un diritto soggettivo devoluta come tale alla giurisdizione de11'a.g.o. (omissis). SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 9 gennaio 1981, n. 194 -Pres. Alibrandi -Rel. Amirante -P.M. Minetti -Ente Sviluppo in Pugliia e Lucania (avv. Stato Ferri) c. I.N.P.S. (avv. Romoli). Lavoro -Previdenza e assistenza -Controversie -Decreto ingiuntivo Competenza Giudice del lavoro. Lavoro � Controversie -Decreto ingiuntivo -Opposizione -Effetti. Lavoro -Controversie -Decreto !Ingiuntivo -Opposizione -Notifica -Procedibilirt� -Condizioni. Il Pretore, in qualit� di giudice del lavoro, pu� pronunciare decreto d'ingiunzione nelle controversie previdenziali ed assistenziali, dal momento che, per effetto dell'art. 444 cod. proc. civ. � funzionalmente competente sulla relativa domanda proposta in via ordinaria, tenuto anche conto che l'art. 633 cod. proc. civ. non subisce alcuna deroga in riferimento alle vertenze di lavoro. Pertanto l'eventuale fase di opposizione � regolata dalle norme sul processo del lavoro contenuto negli artt. 413 e ss. cod. proc. civ. (1). Qualora l'opposizione al decreto ingiuntivo emanato dal Pretore in qualit� di giudice del lavoro sia proposta con citazione, questa pu� valere come ricorso solo nel momento in cui sia depositata nella cancelleria del giudice adito (2). L'opponente a decreto ingiuntivo � tenuto a notificare, a norma del quarto comma dell'art. 415 cod. proc. civ., l'opposizione e il pedissequo decreto di fissazione d'udienza, ma poich� nessuna norma processuale sancisce la improcedibilit� qualora la notificazione sia omessa, il giudice non potr� dichiarare senz'altro improcedibile il ricorso, ma dovr� concedere un termine perentorio per la notifica, dopo la cui scadenza soltanto il processo verr� meno per estinzione (3). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 10 gennaio 1981, n. 236 -Pres. Coletti -Rel. Mollica -P. M. Leo -Mirnstero della Pubblica Istruzione (avv. Stato Caramazza) c. Fiorenza Pasquaile (avv. Bussi) ed I.N.P.S. (n.c.). Procedimento civile -Foro dello Stato -Chiamata in garanzia -Applicabilit�. Procedimento civile � Lavoro -Controversia -Intervento coatto di una amministrazione dello Stato -Foro dello Stato � Applicabilit�. (1-3) Cfr. in termini Cass., 16 febbraio 1976, n. 495; Cass., 18 ottobre 1977, n. 4455. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Lavoro -Controversia -Intervento coatto di un'amministrazione dello Stato -Appello � Tribunale � Competenza -Foro dello Stato � Appli cab:Uit�. Le norme sul c.d. foro dello Stato si applicano non solo in caso di intervento per chiamata in garanzia dell'amministrazione -art. 6, secondo comma, t.u. n. 1611 del 1933 -ma anche in tutte le ipotesi d'intervento coatto della stessa, anche se non espressamente previsto, rimanendo escluso solo per l'intervento volontario previsto nell'art. 7, primo comma dello stesso r.d. (1). Nell'ipotesi di intervento in giudizio iussu iudicis dell'Amministrazione in una causa di lavoro, il criterio inderogabile del foro erariale prevale sui criteri stabiliti in materia di competenza per territorio dalla legge n. 533 del 1973 (2). Le norme degli artt. 413 e 433 cod. proc. civ. non hanno natura speciale, essendo assorbite nel processo ordinario pur se con alcune peculiarit�, mentre le norme contenute nel t.u. del 1933 assumono carattere di specialit� e come tali derogano ai criteri del codice di rito. L'appello nei confronti di una sentenza emessa dal pretore in funzione di giudice del lavoro dal quale sia stato ordinato l'intervento in causa di un'amministrazione dello Stato, va quindi proposto al tribunale, sempre in funzione di giudice del lavoro, territorialmente competente ai sensi dell'art. 6 t.u. del 1933 (3). {omissis) Denunciando violazione deil!le norme sulla competenza, degli artt. 25 e 433 c.p.c. e dell'art. 7 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, nonch� difetto di motivazione, l'amministrazione rileva infatti con il primo mezzo che, non avendo la legge 11 agosto 1973, n. 533, innovato in ordine alla competenza in materia di controversie di 11avoro per ci� ch� riguarda i giudizi di impugnazione, deve trovare applicazione in detti giudizi la disposizione dell'art. 7 del cit. r.d. n. 1611 del 1933, per cui l'appello dehle sentenze dei pretori, qualora sia parte in causa una amministrazione dello Stato, deve essere proposto davanti al tribunale del luogo ove ha sede l'Avvocatura dello Stato nei cui distretti furono pronunciate le sentenze. La competenza del giudice del lavoro, infatti, ha carattere ordinario e non speciale, attiene, cio� al 1rito ordinario, laddove la disciplina dcl r.d. n. 1611 ha carattere speciale e derogativo della normativa comune. La regola del foro erariaile � pera:ltro dettata a tutela di interessi di maggiore considerazione quali sono quelli dello Stato e quindi a vantaggio della intera collettivit�, compresi i favoratori. (1-3) Cfr. Cass., 15 aprile 1976, n. 1352, in Giust. civ., 1976, I, 833 con nota di CARBONE; v. anche, suil!La p11ima massima Oass., 20 gennaio 1978, n. 252. II I f. ~' II f: PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE � Per altro verso, mentre la indicazione delle competenze te11ritoriali, contenuta nell'art. 413 cod. proc. civ., si giustifica con la pi� ef:l�icace tutela dei lavoratori sotto il profilo di una pi� facile acquisizione della prova e di un minor costo del giudizio, tale finalit� non V'ellI'ebbe meno nel giudizio di appe11o devoluto al foro erariale, perch� l'acquisizione delle prove costituisce in appello un fatto meramente eccezionale; d'ailtra parte il dispendio economico che iii !avoratore dovrebbe affrontare sarebbe minimo. Il motivo � fondato. Questa Suprema Corte (sentenze n. 1352 del 15 aprile 1976; n. 1922 del 28 maggio 1976; p. 2997 del 28 luglio 1976) ha esaminato, in fattispecie analoghe, la questione se per una controversia di lavoro nella quale sia parte una 'amministrazione pubblica, il cui intervento sia stato disposto iussu iudicis, la competenm ratione loci in grado di appello debba determinarsi in relazione ail oriterio del foro emriaile o suHa base dei criteri stabiliti dalfa legge n. 533 del 1973, pervenendo alla conclusione che il criterio inderogabile del foro erariale assume carattere prevalente rispetto ai criteri stabiliti dalla legge in ordine a11a competenza territoriale nelle cause di lavoro. Si � cos� superato anche il dubbio se il foro erariale sia estensibile nella ipotesi di chiamata in causa iussu iudicis, posto che H secondo comma dell'art. 6 del t.u. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, approvato con r.d. 30 ottobre 1933, n. 611, contempla Ja sola ipotesi della chiamata in garanzia. La disposizione di detto comma � stata interpretata estens!�Vlamente, ricomprendendovi anche l'ipotesi dell'intervento coatto, sulla considerazione che il successivo art. 7 mantiene ferme le norme ordinarie sulla competenza unicamente nel caso di intervento volontario, di guisa che � lecito dedurre che ogni altra forma di intervento in causa debba rientrare nella previsione del citato art. 6, secondo comma. L'orientamento di questa Corte di attribuire al foro erariale carattere derogativo al regime processuale della competenza in tema di controversie di lavoro va indubbiamente condiviso e confermato anche perch� trova un suo addentellato costituzionale nella sentenza n. 118 del 22 dicembre 1964 de!La Corte costituzionale che dtenev:a infondata la ques<tione di costituzionalit� dell'art. 25 cod. proc. civ. e degli artt. 6, 7, 8, 1~ del t.u. n. 1611 del 1933 con riferimento agli artt. 3, 23, 25 e 113 Cost., questione ora riproposta con la memoria del ricorrente per contrasto dell'art. 7 del cit. t.u. con gli artt. 24 e 30, secondo comma, Cost. La Corte costituzionale, con detta sentenza, ha ribadito il principio che la regola del foro dello Stato ha um.a giustificazione sufficientemenrte adeguata, da un lato, nella esigenza di concentrare, in vista del minor costo e di un migliore svolgimento del servizio (ridondante indirettamente �anche a beneficio dei singoli e degli stessi avversari dello Stato in giu 330 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dizio) gli uffici dell'Avvocatura dello Stato; e da:M'ail!tro di concentrare i giudizi in cui partecipa lo Stato presso un numero ristretto di �sedi. Tali esigenze non possono, a giudizio deMa Corte costituzionale, pregiudicare, n� direttamente n� indirettamente, il diritto di agire e di difendersi in giudizio: il maggior costo del giudizio stesso, infatti, a parte l'istituto del gratuito patrocinio e il diritto di ripetere le spese dallo Stato soccombente, non pu� costituire una remora aill'esercizio dei poteri processuali spettante al cittadino, il qua:le � protetto di riflesso dalla tutela dell'interesse generale alla concentrazione dei giudizi presso alcune sedi giudiziarie. Tali considerazioni valgono indubbiamente anche per H lavoratore, che non pu� subire a'lcun pregiudizio reale al suo diritto di difesa per effetto della devoluzione della causa in appe1lo a un giudice diverso da quello che sarebbe competente secondo le regole della competenza per territorio di cui all'art. 413 cod. proc. civ. Va poi osservato che le norme sUJl patrocinio 1a carico dello Stato dettate dagli artt. da 10 a 15 della Jegge n. 533 del 1973 sono pi� incisive di queHe relative al beneficio del gratuito patrocinio nei procedimenti ordinari. Non si vede poi in quale modo 1a competenza del foro erariale po trebbe pregiudicare i diritti sanciti dal secondo comma dell'art. 38 Cost., immotivatamente invocato, donde la manifesta infondatezza de:Na questione di legittimit� costituzionale, non solo sotto l'accennato profillo dell'art. 24 Cost., ma anche riguardo a tale ultima disposizione. Premessa l'applicabilit� del foro erariale alla ipotesi di chiamata iussu iudicis e confermata la compatibilit� costituzionale delle norme relative ail predetto foro con le norme del rito ordinario e del lavoro, occorre quindi esaminare se aiH'interno del sistema processuale del la voro, risultante dalla riforma del 1973, pos.sano rinvenirsi raigioni che non consentano in vjja di ipotesi la deroga di competenza territoriale delle norme speciali contenute nel t.u. sulla rappresentanza in giudizio dello Stato. Nulla dispone al riguardo J'art. 413 cod. proc. civ. in merito ai rap porti di lavoro in cui � parte la pubblica amministrazione; n� pu� assu~ mere rilevanza l'ultimo comma di detto articolo ohe commina la nuililit� delle clausole derogative della competenza per territorio, giacch� ~a di sposizione con ogni evidenza fa riferimento ahle deroghe di carattere convenzionale, e non legale, con indiretto rinvio alfa regola generale di cui aill'art. 6 del codice. lll soocessivo art. 433 indica nel tribtl!Ilale territorialmente compe tente in funzione di giudice del �lavoro, l'organo giurisdizionale al quale � riservata la cognizione delle impugnazioni delle sentenze pronunciate dal Pretore nelle controversie perviste dall'art. 409, ma l'espressione � ter-I i I:,, f:i f. '' f f. 1 f. flllll=lllrlilttllllllfliitrliiliiflliflt.!llfifllirtll-filltiliflilll'l9tRlllll PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE ritorialmente competente in funzione del giudice del 'lavoro � non pu� ohe essere interipretata, conformemente alil'art. 341 cod. proc. civ., nel senso del Tribunale nella cui giurisdizione � stata pronunciata la sentenza sottoposta a gravame, e non pu� quindi costituire elemento sufficiente per trarre argomento che si sia voluto circoscrivere unicamente al tribunale, in funzione del giudice del lavoro, la competenza territoriaJe sulle controversie di 'Lavoro, in deroga alla regola della competenza del foro erariale. Non essendo, quindi, possibile desumere dal contesto dehle norme sul rito del lavoro il principio che al giudice d'appello di ooi a11'art. 433 siano devolute tutte le controversie di lavoro indipendentemente dailila natura deHe parti ed in deroga alle leggi speciali vigenti, � eviidente ohe solo se si conferisca natura speciale alle norme processuali sUil lavoro pu� profilarsi un conflitto con altre norme speciaili in materia di competenza territoriale, dettate anch'esse in funzione dehla tutela di particolari interessi. Orbene una corretta interpretazione sistematica degli artt. 413 e 433 citati porta ad escludere tale natura speciale delle norme del rito del lavoro, che rimangono assorbite nell'ambito del processo ordinario, pur con le loro peculiari caratteristiche e finalit�. L'art. 433, invero, limitandosi ad immutare il testo dell'originario art. 450 cod. proc. civ., ha attribuito la competenza dei giudici di appelJo spettante alle Corti d'appello ai tribunali, mentre l'art. 413, modificando il disposto dell'art. 434, si inquadra ed ainnonizza perfettamente con l'intero sistema di determinazione dei criteri della competenza per territorio stabiliti in Hnea generale dal libro I, sez. III, del codice. Invero, accanto ai fori speciali degli artt. 20 e segg. la norma ha previsto, specificamente per le controversie di lavoro, altri. fori speciali alternativi, e concorrenti, con il foro generale applicabile per� solo in via sussidiaria. Fondato, perci�, appare l'assunto deHa ricorrente Amministrazione che l'art. 413 rientra nel 11ito ordinario rispetto al quale le norme del t.u. n. 1611 del 1933 assumono caretrere di specialit� e quindi derogano ai criteri stabiliti dal codice di rito. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 10 febbraio 1981, n. 826 -Pres. Pedroni -Rel. Meo -P.M. La ~alva -Tensi (avv. Vd.sciani) contro Ministero della Pubblica Istruzione (avv. Stato Cameri.ni). Responsabilit� civile -Concause deirevento dannoso -Applicazione dell'art. 41 c.p., secondo comma -Limiti. 332 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Responsabilit� civile � Precettori � Maestri del patronato scolastico -Presunzione di responsabilit� � Limiti. In tema di responsabilit� civile per fatto illecito, ciascun antecedente che ha contribuito, sia in modo diretto che indiretto, alla verificazione dell'evento, deve considerarsi causa di esso, salva sempre l'applicazione dell'art. 41 cod. pen., secondo comma, secondo cui il nesso eziologico viene escluso quando il fatto sopravvenuto � da solo sufficiente a produrre l'evento. Ai fini dell'accertamento concreto dell'esclusione del nesso di causalit� occorre dimostrare che il danno si sarebbe ugualmente verificato senza quell'antecedente, tenendo conto di tutte le circostanze del caso� (1). I precettori -nella cui nozione rientrano anche i maestri in servizio presso i patronati scolastici -superano la presunzione di responsabilit� ex art. 2048 cod. civ., solo se provano di aver esercitato, nella dovuta misura, la �vigilanza sugli alunni, e di non aver potuto evitare il fatto illecito per la sua repentinit� ed imprevedibilit� (2). (omissis) Con il primo mezzo la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione deg1i artt. 2043 cod. civ., 41 cod. pen. e 2 della legge 4 marzo 1958, n. 261, nonch� il vizio di omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, si duole che la Corte di appehlo, affermando la responsabilit� di essa Tensi in concorso con quella solidale del Perozzi e del patronato scolastico di Verbania, si sia Jimitata a fare un generico J1iferimento aJ:la omissione, da parte di essa medesima Tensi, dei doveri di vigilanza, senza in alcun modo esaminare, pur configurando un concorso di cause, il problema deil rapporto tra ciascuna causa e l'evento nonch� quello della esclusivit� di una di esse e della coeva efficenza di quel1a remota e di quella prossima. Al riguardo deduce che l'esame di tale problema, se non fosse stato trascurato, avrebbe potuto condurre ad UJITa decisione diversa da quella adottata, in quanto, essendos!i. l'evento dannoso verificato durante l'espletamento di un'attivit� demandata per legge ai patronati scolastici (art. 2 legge sopra citata) e realii.zzata mediante insegnanti degli stessi patronati, aventi personatlit� giuridica di diritto pubblico, la responsabilit� di questi ultimi e dei loro ageillti non poteva che essere esclusiva, giacch�, per dettato deHa legge istitutiva, i patro (1-2) Sulla prima massima la giurisprudenza � consolidata (Cass., 7 giugno 1977, n. 2342; Cass., 10 dicembre 1979, n. 6407; 26 gennaio 1980, n. 643); sulla seconda la giurisprudenza � altres� conforme; per tutte, v. Cass., 4 marzo 1977, n. 894. Sulla presunzione qi responsabilit� a carico del precettore cfr. Cass., 7 dicembre 1968, n. 3933, in questa Rassegna, 1969, I, 642 e Cass., 6 febbraio 1970, n. 263, ivi, 1970, I, 230, con nota di richiamo. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE nati scolastici organizzano ed 1attuano il doposcuola, le attivit� del quale sono quindi riferibili soltanto ad essi. La censura non � fondata. La Corte di appello, affermando ohe la direttrice didattica, quale promotrice e vigilatrice delle opere sussidiarie ed assistenziali scolastiche, aveva posto in essere, unitamente al patronato scola:srl:!i.co, un comportamento qualificato da colpa concreta e grave per aver concorso a programmare, organizzare e realizzare un'attivit� di giochi ginnici da ritenersi pericolosa per il'incolumit� della popolazione scolastica, ha implicitamente risolto in senso affermativo la questione della esistenza o meno di un nesso di causalit� t11a il detto comportlamento della Tensi e l'evento dannoso, adottando una soluzione che appare conforme ai principi che regolano la materia. Alla stregua, infatti, di tali principi, ripetutamente affermati da questa Corte suprema (cfr. da ultimo sent. 26 genlllaio 1980, n. 643), tutti gli antecedenti in mancanza dei quali il danno non si sarebbe verificato, devono considerarsi causa di esso, senza ohe sia dato 1:Ustinguere tra que11i che hanno operato in via diretta e prossima e quelli che hanno avuto influenza soltanto indi11etta o remota, salvo il temperamento di qui all'art. 41, secondo comma, cod. pen., secondo ~l quale la causa prossima sufficiente da sola a produrre l'evento, esclude. il nesso eziologico tra questo e Je altre cause antecedenti, facendole scadere al rango di mere occasioni. Ora, nella specie risulta dalla sentenza impugnata che il comportamento tenuto dal patronato scolastico nell'organizzare ��!l gioco della :palla ail. volo, ponendo cos� in essere una situazione di pericolo senza la quale J'infortunio de quo non si sarebbe veri.fioaito, si � concretato bens� in una causa prossima, ma non di rilievo tale da poter essere considerata sufficiente da sola a determinare detta situa:ziione, poich� il giudice di merito ha accertato che questa si � prodotta per effetto delle condotte concorrenti del patronato scolastico e della direttri. ce didattica, in quanto da un lato quest'ultima, nell'esercizio dei suoi compiti di promollione e vigilanza delle opere sussidiarie de1la scuola, ha programmato il gioco 8l12lidetto, da svolgerisi in un ambiente gi� rivelatosi, com'essa ben sapeva, pericoloso per l'ii.nco1umit� del!le persone, mentre dall'altro lato il paitronaito scolastico, nehl'espletamento deille sue incombenze di gestore del doposcuola, ha dato attuazione al programma predisposto dalla direttrice didattica, ponendo cos� in essere un'attivit�. di cui neppwr esso ignorava la pericolosit�. Pertanto, secondo quanto � stato accertato dalla Corte di appehlo in ordine alla corresponsabilit� della Tensi e del patronato scolastico, devesi ritenere che, come senza l'attivit� compiuta da quest'ultimo nel realizzare il gioco deHa palla a volo non sarebbe sorta la situazione di pericolo che ha reso possibile il verificarsi dell'evento dannoso, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO cos� senza il comportamento tenuto dalla Tens1i nel pirogrammare taile gioco, detta situazione non si sarebbe verificata, e comunque non pu� dl�Tsi che si sarebbe ugualmente verificata; onde, in base ai suesposti principi, non poteva il giudice di merito escludere ohe tale comportamento della Tensi fosse eziologicamente legato ahl'eveillto dannoso. Come, infatti, questa stessa Corte ha avuto oocasione di statuiire (cfr. sent. 10 dicembre 1979, n. 6407), in tema di responsabiHJit� per futto illecito, ove il giudice di merito accerti che le varie condotte concorrenti hanno posto in essere una situazione tale che senza ciascuna di esse l'evento dannoso, anche se immec:IIDatiamente riferibile aJil'ultima condotta, non si sarebbe verificato, il rapporto di caiusalfrt� non pu� essere escluso con riguardo a nessUJ11a delle condotte stesse, e non pu� trovare applicazione iil principio stabillito dal secondo comma dell'articolo 41 cod. pen., il quale, come sri � visto, riguarda invece 11 caso in cui la causa prossima assurge a causa efficiente ed esclusiva dell'evento peroh�, mserendosi nella successione dei fatti, viene a spezzare ogni legame tra le cause preesistenti e l'evento medesimo, ci� che non � avvenuto nel caso in esame. D'altro canto, in tema d:i nesso di causalit�, per esdudere che un determinato fatto abbia concorso a cagionare un dru:mo, non basta af. fermare che il danno stesso avrebbe potuto verilf�oarsi anche in assenza di quel fatto, ma occorre dimostrare, avendo riguau:ido a tutte le circostanze del caso concreto, che il danno sii sarebbe ugualmente verificato anche senza quell'antecedente ~cfr. Cass., 7 ~gno 1977, n. 2342). Cosicch� nella specie non giova alla ricorrente sostenere, per escludere ogni nesso eziologico fra la sua condotita e l'infoiltunio subito dalla Gagliardi, che anche se essa non avesse programmato il gioco defila paJila a volo detto infortunio si sarebbe potuto ugualmente verifioore, giacch� per sostenere validamente tale tesi sarebbe stato neces,sario dimostrare che il patronato scolastico avvebbe organizzato i1 gioco pur se questo non fosse stato progl'ammato dalla diirezione dridattica: il che non solo non � stato dimostrato, ma � contrasrtato dagli accertamenti della Corte di merito, secondo cui il gioco anzidetto fu attuato dal patronato scolastico dietro programmazione del!la direttrice didattica, ci� che non consente di affermare che il gioco stesso sarebbe stato ugualimente realizzato se ,1a Tensi non l'avesse programmato. (omissis) Contrariamente a quanto potrebbe apparire da Ullla lettura superf�oiale della sentenza impugnata, fa Corte di appello ha posto a fondamento dell'affermazione di responsabilit� de11a Tensi, non gi� l'esistenza di una culpa in vigilando per omissione, da parte di costei, dei doveri di vigilanza cui fa stessa era tenuta qua:le direttrice dridattica sulla gestione del doposcuola, ma l'esistenza di una colpa grave per il compimento, da parte della medesima, di un'attivit� tale da a determinare, progr~mando fil gioco della palfa a volo, concorrere ! una situa ! 'r. !: �~ i. i' 1: 'f r PA!l.TE I, SEZ, IV, GIURISPRUDENZA CIVILE zione pericolosa per l'incolumit� della popolazione scolastica. Se � vero, infatti, che a un certo punto dehla motivazione di detta sent~ si fa riferimento alla omissione dei doveri di vigilanza incombenti sulla Tensi a norma dell'art. 59 del r.d. 26 apni1e 1928, n. 1297 e della circ<r 1are 2 settembre 1967, n. 309 del Ministero del1a pubblica istiruzione, tale rifecimento, tuttavia, risulta effettuato con riguardo a qruooto affermato dal tribuna!le circa la ritenuta responsabilit� della Tens~. mentre in ordine a tale responsabilit� il giudizio del1a Corte di merito si riferisce precipuamente alla condotta tenuta dalla direttrice didattica nel programmare rii gioco anzidetto pur conoscendone la pericolosit� per il particolare ambiente in cui doveva svolgerisd. Pertanto, avendo la Corte di appello affermato la responsahfilit� dehla Tensi per un fotto illlecito da essa positivamente posto in essere, a prescindere da ogni considerazione circa ,l'osservanza o meno, da parte della Tensi stessa, dei menzionati doveri di vigilanza, del tutto irrilevante appare la questione, prospettata daJllia ricorrente con il motivo in esame, circa � la struttura, i modi di esplicazione e l'intensit� della vigilanza � che i direttori didattici sono tenuti a esercitare sulle attivit� del doposcuola, ai sensi deWart. 59 del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297. Infatti, anche ammettendo che tale vigilanza si concreti nel mero controllo (esterno) sUJ11a corretta attuazione dei programmi di integrazione cultura:Ie predisposti dai patronati scolastici, senza alcun dovere di sorveglianza in ordine alle modalit� di svolgimento del doposcuo~a. ci� non esclude che nella specie Ja Tensi, essendosi' assunta il compito di stabilire concretamente tali modalit�, col predisporre essa, nell'esercizio dei suoi compiti di promozione delle opere sussidiarie della scuola da lei diretta, il programma da attuare per il doposcuo1a, debbia rispondere delle conseguenze dannose di tale sua condotta, avendo con questa concorso a creare la situazione di pericolo che ha reso possibile il verificarsi deH'infortunio de quo. (omissis) Quanto all'assunto sub a), si osserva che, a norma del l'art. 2048 cod. civ., i precettori (neMa cci nozione rientrano indiubbia mente anche i maestri in servizio presso i patrona1Ji. scolastici) rispon dono dei danni cagionati dal fatto illecito compiuto dagli a11ievi nel tempo in cui questi sono sottoposti alla loro viigHanza, se non provano di non aver potuto impedire il fatto; ed a tal fine, in tanto il precettore si libera dalla presunzione di responsabfilit�, m quooto provi di aver esercitato la vigilanza sugli alunni nella misura doV1Uta e di non aver potuto, ci� nonostante, impedire :il compimento del fatto illecito per la sua repentinit� ed imprevedibilit�, che non ha consentito un tem pestivo, efficace intervento (cfr. Cass., 4 marzo 1977, n. 894). Ora, nella specie, secondo quanto accertato dai giudici di merito, il fatto rnecito dell'allievo che ebbe a scagliare il paillone conko una vetrata della palestra infrangendola, sebbene repentino, non era affatto RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 336 imprevedibile, e quindi avrebbe potuto essere evitato dal Perozzi se questi avesse esattamente e compiutamente adempiuto i suoi doveri di vigilanza a norma di legge (art. 350 del r.d. 26 aprille 1928, n. 1297), giaoch� era noto al medesimo, per essersi egli trovato presente ad altri episodi del genere, che spesso, durante il gioco della palla a vdlo, gli a!lHevi usavano 1anciaire la palla con violenza servendosi non solo delle mani ma anche dei piedi, tanto che in precedenza le vetrate de1l'attiiguq palestra erano state infrante da paMon1 da essi comunque scagli!ati; on de il Perozzi avrebbe dovuto prospettarsi, secondo i criteri ordinari di una previsiione normale ed obiettiva, la possibilit� che .fatti come que1lo di cui trattasi avessero ancora a verifioavsi, e adottare conseguentemente tutti gli accorgimenti atti a evitare ohe si ripetessero, compreso qruello di non ammettere al gioco gli allievi meno disciplinati o addirittura sospendere, date le circostanze, lo svolgimento del gioco, riferendone quindi ai propri superiori. Quanto, poi, a:H'assunto sub b), � anzitutto da osservare ohe, giusta quanto risulta dalla sentenza impugnata, il Perozzi prestava servizio alle dirette dipendenze del patronato scolastico, da cui era stato assunto per l'espletamento delle mansioni inerenti �al doposcuola e dal quale percepiva direttamente '1e relative competenze, sicch�, in forza del irapporto organico che �si era instaurato fra ill BerozZJi. e l'ente pubblico, quest'ultimo doveva ritenersi responsabile in via diretta dei danni arrecati a terzi dal primo per colpa in vigilando nell'esercizio delle ainzidette mansioni; a nulla rillevando che l'attivit� del doposcuola fosse soggetta a:J!la vigilanza de.Ma direttrice didattica, . poich�, anche se iJ. contenuto di tale vigilanza fosse stato taile da implicare un controllo sostitUJtivo della direttrice sulla gestione del doposcuola, come sostiene appunto il ricorrente, ci� non avrebbe mai rpotiuto i1111:errompere H menzionato raprporto ovgainiJco, in costanza del quale, come si � detto, il patronato era tenuto a rispondere dei danni anmdetti. � pemltro da rilevare che fa responsabilit� del patronato � staita affermata dalla Corte di merito, non solo in virt� del suddetto rapporto organico, ma anche in considerazione dehl'attivit� illecita direttamente espletata da:Jil'ente, per avere organizzato e realizzato, in concorso con la direttrice didattica, l'espletamento di 1UI1 gioco ginnico di cui conosceva la pericolosit� in relazione al luogo in oui !il gioco stesso veniva svolto, dando cos� vita a quell:a situazione di pericolo che, come si � visto, ha reso possibile �l'infortunio subito dalla Gagli: ardi. Al qua!J. riguardo inconsistente appare l'assunto sub e), secondo cui l'attivit� illecita posta in essere dalla direttrice d1'dattica col pro grammare il gioco in questione anzich� vietado o sospenderlo, esclu derebbe ogni responsabilit� sia del patronato che del maestro Pe rozzii. Quanto al primo, infotti, � da escludere che il controllo di detta . . . l �1a111J11111&111�111�1111at�w11�&111w1=t1111a~�l311t PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE direttrice sulle attivit� del doposcuola, per quanto intenso potesise essere, impediss:e al patronato di non includere, volendo, in dette attivit� i!l gioco de1la palla a volo per essere stato questo programmato dalla direttrice didattica, poich�, a 01omna dell'art. 2 della 1legge 4 marzo 1958, n. 261, l'istituzione e la gestione del doposcuola costituivano compito esclusivo dei patronati scolastici, i quali lo eseguivano in piena autonomia senza essere in alcun modo vincolati, nell'o:q~anizzazione delle relative attivit�, alle direttive impartite dalla direttrice scolastica, il cui controllo sul doposcuola non aveva certo cavattere sostitutivo in mancanza di una espressa disposizione di legge che lo prevedesse ed in assenza di qualsiasi rapporto gerarchico fra la direttrice didattica, qua'le organo interno dell'amministrazione della pubblica istruzione, ed il patronato scolastico, quale ente pubblico diverso dall'amministrazione dello Stato. Quanto, poi, al Perozzi, questi anzitutto, come dipendente del patronato, era tenuto ad osservare le disposizioni dell'ente da cui dipendeva e non quelle di un ongano dii altra pubblica amministrazione, pur se avente compiti di vigilanza sull'attivit� del doposcuola, dato che fa, vigilanza si esplicava nei confronti dell'ente e non direttamente dei dipendenti di questo. D'altro canto, a prescindere da ci�, il Perozzi, pure attenendosi alle direttive della direttrice didattica, non poteva esimersi dall'esercitare, nell'espletamento delle sue mansioni, la vigilanza sugli allievi nei modi suindicati, onde il fatto che le attivit� del doposcuola venissero disimpegnate in base alle direttive anzidette, non pu� scagionare il Perozzi, rendendo inoperante la presunzione di l'esponsabilit� posta a suo carico dall'art. 2048 cod. civ. (omissis) SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA(*) CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 16 dicembre 1980, n. 1217 -Pres. Est. Imperatrice -Rel. Trotta -Lopez (avv. Cerviati e Romagnoli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo); Regione Lazio (n.c.); S.r.l. Bonavita Lamberto (avv. Bari1laro). Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale amministrativo -Legittimazione ad agire � Presupposti -Utente di terreno in concessione a terzi � Legittimazione � Carenza. Concessioni amministrative � Morte del concessionario � Utilizzazione di fatto >-Effetti � Limiti. Concessioni amministrative � Occupante abusivo di terreni dati in concessione a terzi � Impugnazione dell'ordinanza di rilascio � Titolarit� Occupante abusivo. Non � titolare di autonome posizioni soggettive tutelabili dinanzi al giudice amministrativo, sotto il profilo della carenza della legittimazione ad agire, colui il quale utilizzi un terreno oggetto di concessione (*) Alla redazione delle massime e delle note di questa Sezione ha collaborato l'avv. Luigi MARUOTTI. Considerazioni in tema di impugnabilit� dell'ordinanza di rilascio emessa nei confronti dell'occupante abusivo di bene demaniale. 1. -La sentenza massimata riguarda una fattispecie nella quale un soggetto ha impugnato l'atto di concessione di un terreno demaniale a suo tempo rilasciato dalla p.a. ad un terzo (successivamente deceduto), terreno di cui il ricorrente aveva la detenzione, venutasi a costituire con il solo consenso tacito del precedente concessionario. La decisione non sembra immune da critiche. Infatti la prima massima presuppone l'accettazione della tesi, seguita dalla concorde giurisprudenza e da gran parte della dottrina, secondo la quale ogni problema di legittimazione ad agire nel processo amministrativo, cos� come in queHo oivihle, deve essere risolto in sede di merdto e non di verificazione dehla giurisdizione. Come comunemente si insegna, l'indagine sulla sussistenza o meno della 1egi!ttimazione ad agire deve 1essere nettamente distinna da ogni valutazione che il giudice svolge allorquando, per radicare presso di s� la giurisdizione, valuta la � differenziazione � e la � qualificazione � della posizione di cui si chiede la tutela. Ultimamente il fondamento di tale impostazione � stato autorevolmente sostenuto, con qualche variante, da quella dottrina (cfr. CAIANIELLO, Lineamenti del processo amministrativo, Torino, 1979, p. 263 e ss.) la quale intende riportare nell'ambito del merito l'analisi della � differenziazione � dell'interesse proprio in 339 PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVN a favore di un terzo, qualora sia intervenuto il consenso del concessionario ma non quello della pubblica amministrazione (1). L'utilizzazione agricola di un terreno in proprio dopo la morte del concessionario, quale ne sia la durata, non nova soggettivamente il titolo base alla considerazione che, in definitiva, la relativa problematica deve essere inserita in quella afferente alla legittimazione ad agire, che, secondo l'opinione in esame, riguarderebbe pur sempre il merito. Questa posizione dottrinale vuole riaffermare la rilevanza dell'indagine sulle condizioni dell'azione, e, in particolare, sulla legittimazione ad agire, anche nel campo del processo amministrativo, traendo spunto dall'osservazione che anche in questa sede il diritto di azione � certamente � autonomo dalla situazione sostanziale dell'interesse legittimo, perch� � un diritto ad ottenere dal giudice un provvedimento per l'attuazione della volont� astratta della legge verso la controparte del rapporto sostanziale� (CAIANIELLO, op cit., p. 266). Viene cos� affermato che solo in termini di merito e non di giurisdizione pu� trovarsi �lo spartiacque tra azione generalizzata (cio� del quisque de populo) e diritto di azione qualificata � (CAIANIELLO, op. cit., p. 267). Contrastando tale assunto, non si intende peraltro negare che anche nel processo amministrativo possa avere una sua rilevanza il concetto di legittima :z;ione ad .agiire; sembra tuttavia neoessaTio niidurne 11a portata, riaffermandone �1a validit� unicamente per i soggetti presenti nel processo diversi dal ricorrente. In effetti la dottrina non sembra abbia chiarito finora che il giudice ammini strativo, in sede di delibazione sull'esistenza o meno dell'interesse legittimo, automaticamente e a fortiori risolve, quanto al ricorrente, ogni problema di legittimazione ad agire, operando in modo che questa conservi una propria rilevanza in sede di giudizio di merito solo per le parti non ricorrenti, per le quali potrebbe ancora svolgersi 1'indagine circa la effettiva titolarit� della situazione dedotta in iudicio. La individuazione dell'interesse legittimo, in altre parole, presuppone sempre la presenza della legittimazione ad agire, con la conseguenza che nel processo amministrativo di annullamento non ha senso parlare di un problema di legitti mazione attiva in capo al ricorrente, in quanto le relative questioni sono risolte in sede di venificazJ�'one deihla g.iurlsdi:Zlione. Pertanto, sembra possibile sostenere che nella sentenza che si annota il giudice amministrativo avrebbe dovuto dichiarare il proprio difetto di giurisdi zione, sulla considerazione che il ricorrente, in quanto non legittimato all'impu gnazione che pure altri poteva proporre, non era titolare di alcuna posizione di interesse legittimo. 2. -Anche la terza massima suscita perplessit�, forse maggiori, dal momento che identifica in capo all'occupante abusivo di un bene demaniale un interesse legittimo, al fine della impugnazione della relativa ordinanza di rilascio. Infatti, se pure si voglia riconoscere che in tale fattispecie la posizione dell'occupante abusivo sia differenziata rispetto a quella degli altri consociati,. non sembra che da questa sola considerazione possa desumersi una posizione� giuridica meritevole di tutela. Se si concorda col principio, gi� ricordato, per il quale pu� parlarsi di interesse legittimo soltanto quando nei confronti della autorit� amministrativa vi sia una situazione non solo differenziata, ma anche e soprattutto qualificata (cfr. per tutti SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1978, p. 86e s.), deve ammettersi che nel caso di specie presupposto della emanazione RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO formale di concessione a favore del subentrante di fatto, che � portatore di un mero interesse semplice, non essendovi possibilit� di configurare una specifica posizione soggettiva autonoma e differenziata (2). dell'ordinanza di rilascio � proprio una situazione contra legem, che rende il destinatario dell'atto affatto immeritevole di considerazione. � pur vero che �nell'interesse legittimo alla semplicit� del diritto soggettivo fa riscontro la complessit� delle componenti strutturali� (cfr. CoRREALE, Struttura del processo amministrativo e situazione fatta valere, Caserta, s.d.), ma tale complessit� sembra facilmente superabile, al fine della negazione della sua rilevanza, allorquando il soggetto chiede l'intervento del giudice amministrativo per una situazione che incontrovertibilmente � inquadrabile in un comportamento illegittimo. Per svolgere adeguatamente l'indagine sulla �qualificazione�, occorre naturalmente analizzare l'incidenza dell'interesse pubblico e di quello privato nelle V'ar,ie teoriche a :proposito delritl!teresse Jegittimo. In breve pu� ricordarsi che storicamente si � assistito dapprima ad una prevalenza della considerazione degli interessi pubblici, tanto che pu� affermarsi ancora ricorrente in giurispn1denza l'eco dell'insegnamento di quegli autori secondo i quali l'interesse legittimo � strettamente connesso all'interesse pubblico, trovando solo una tutela indiretta ed occasionale (cfr. per una breve disamina storica CAIANIELLO, op. cit., p. 89 e ss.). Attualmente � sempre pi� seguita quella tesi (v. CAIANIELLO, op. cit., p. 95) secondo la quale �il pi� delle volte il riferimento all'interesse pubblico � inconferente, dovendo vertere l'indagine sull'interesse del privato�, che da varie disposizioni � visto in s� e per s�, essendo la norma dettata esclusivamente a tutela del suo interesse. Qualsiasi orientamento debba ritenersi preferibile, alla base di entrambe le posizioni vii � certamente Ja necessit� di svolgere le indagiini su1lia � qllalLificazione � della situazione del privato, ai fini del riconoscimento della sua tutelabilit� in sede giurisdizionale. Deve pertanto sempre farsi riferimento alla sua posizione nei confronti del potere della pubblica amministrazione, mediante una analisi che dovr� considerare strettamente collegate le nozioni relative all'interesse pubblico e a quello individuale. Il giudice allora pu� e deve accertare inizialmente se il privato instauri il processo a scopo di giustizia, oppure per ottenere qualcosa che sia la negazione di questa, svolgendo una indagine dalla quale deve, sia pur sommariamente, risultare che la norma, conferendo il potere alla amministrazione, tutela in qualche modo il privato oppure lo prende in considerazione proprio per negarne la relativa situazione giuridica. Nel caso in esame, il potere di emanare l'ordinanza di rilascio sottende, quindi, la volont� dell'ordinamento di non qualificare assolutamente la posizione dell'occupante abusivo, il quale trova la sua tutela solo al di fuori dei casi di intervento della amministrazione, in sede di tutela possessoria dinanzi al giudice ordinario. La posizione differenziata, proprio perch� illegittima, preclude ogni possibilit� di � qualificazione '" In capo all'occupante abusivo, quindi, sussiste nei confronti dell'ordinanza di rilascio un interesse contrario alla legge, perch� tendente a perpetuare l'illegittima occupazione abusi.va: � proprio la previsione normativa dell'ordinanza I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVN 341 L'impugnazione dell'ordinanza di rilascio di terreni detenuti senza titolo pu� essere proposta dall'occupante abusivo, in quanto questi � titolare dell'interesse a persistere nella detenzione o a mantenere un comportamento contrario a quello intimato (3). di sgombero che definisce la situazione contra legem, senza che possa individuarsi un interesse legittimo. Tenendo conto che la dottrina (v. CANNADA BARTOLI, voce Interesse, in E.d.D., Varese, 1972, p. 23 e ss.) ha creato la figura dell'interesse �illegittimo�, pu� riscontrarsi proprio nel caso in esame una ipotesi in cui questo si manifesta, dal momento che la posizione soggettiva del privato tende per l'appunto a porsi in contrasto ontologico con la normativa di legge. L'occupante abusivo � titolare pertanto di un interesse �illegittimo�, poich� in sostanza mira al differimento della reintegrazione del possesso da parte della pubblica amministrazione, e quindi al ritardo nella attuazione della volont� della legge. LUIGI MARUOTTI CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 29 maggio 1981, n. 219 -Pres. (ff.) Scarcella -Est. Baccarini -De Luca (avv.ti U. e C. faccarino) c. Servillo (avv. Salvia) e Comune di Napoli (avv. Gleijcses e Galassi). Appello avverso decisione T.A.R. Campania, 23 marzo 1976, n. 252. Giustizia amministrativa -Ricorso giurisdizionale amministrativo -Natura Indagine del Gi.dice amministrativo � Sopravvenuta carenza di interesse � Valutazione � Limiti � Riferibilit� alla posizione sostanziale di interesse legittimo -Effetti. Giustizia amministrativa � Ricorso giurisdizionale amministrativo -Provvedimento impugnabile J-Licenza edilizia � Autorizzazione di variante Possibilit� di impugnativa autonoma -Preclusione. Urbanistica � Licenza edilizia � Autorizzazione di variante -Illegittimit� della licenza originarla -Effetti sul provvedimento di autorizzazione di variante -Caducazione dell'atto successivo. Il processo amministrativo, pur non essendo un giudizio sul rapporto, ha per oggetto la situazione soggettiva dedotta, la quale trova tutela con la prospettazione di vizi dell'atto nei motivi di impugnazione, i quali, se fondati, conducono all'annullamento dell'atto e alla conseguente determinazione dei limiti di efficacia del giudicato; pertanto ogni indagine del giudice amministrativo circa la sopravvenuta carenza di interesse ,del ricorrente deve tener conto non della sua posizione formale nei confronti dell'atto amministrativo impugnato, ma della sua posizione sostanziale di interesse legittimo di cui si chiede la tutela (1). RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 342 Qualora il ricorrente abbia impugnato un atto con il quale la pubblica amministrazione aveva concesso una licenza edilizia, adducendo, a sostegno del ricorso, la inedificabilit� dell'area, ogni provvedimento sopravvenuto che sia da considerarsi confermativo circa la determinazione dello jus aedificandi non solo non comporta la cessazione della materia del contendere, ma � da ritenere non sottoposto ad alcun onere di impugnazione autonoma (2). Si verifica la caducazione automatica, senza che occorra ulteriore attivit�, del provvedimento con cui si � autorizzata una variante ad una licenza edilizia, allorquando venga riconosciuta l'illegittimit� dell'atto originario (3). (1-3) Cfr. in termini, in tema di variante a licenza edilizia, Ad. PI., 27 ottobre 1970, n. 4, in Il Consiglio di Stato, 1970, I, 1543; Sez. V, 6 novembre 11973, ni 787, ivi, 1973, I, 1640; Sez. IV, 5 luglio 1967, n. 276, ivi, 1967, I, 1098; Sez. V, 17 marzo 1978, n. 323, ivi, 1978, I, 414. CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 maggio 1981, 11. 213 -Pres. Laschena -Est. Berruti -Quaglino (avv. Pulvirenti e Dal Piaz) c. Ministero Pubblica Istruzione ed altro (avv. Stato Tamiozzo) Appello avverso decisione TAR Piemonte, 13 maggio 1975, n. 151. Istruzione e scuole -Insegnante universitario -Nuovi incarichi -Nozione ex art. 4 legge :n. 766-1973 -Individuazione -Rinnovazione della copertura di cattedre mediante attribuzione .precaria -Esclusione. La semplice .rinnovazione della copertura di cattedre mediante attribuzione precaria, anche se a diversi docenti, � altra cosa rispetto all'istituzione di un nuovo posto di insegnamento non di ruolo per cattedra precedentemente non� attivata o coperta da professore di ruolo e pertanto non rientra nella nozione di � nuovo incarico � di insegnamento, contemplata dalla legge 30 novembre 1973, n. 766 (recante misure urgenti per l'Universit�), con l'ulteriore conseguenza che ad essa non si applica l'art. 4, quarto comma, della stessa legge, a norma del quale � vietata l'attribuzione di nuovi incarichi, se gratuiti (1). (1) Cfr. in termini da ultimo Sez. VI, 28 aprile 19811, n. :169, in Il Consiglio di Stato, 1981, I, 454. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA' 343 CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 maggio 1981, n. 221 -Pres. Laschena -Rel. Cifarelli -Soc. Santa Mal'gherita ~avv. SteHa Riohter) c. Sopraintendenza ai Monumenti e Gallerie di Cagliari (avv. Stato Ferri). Appello avverso decisione T.A.R. Sardegna, 30 novembre 1976, n. 348. Demanio -Beni di interesse paesaggistico -Vincoli -Effetti -Decorrenza Pubblicazione elenchi nell'Albo Comunale -Conseguenze. Demanio -Beni di interesse paesaggistico -Vincolo panoramico -Costruzioni edilizie -Nulla-osta della Soprintendenza ai monumenti � Successivo annullamento � Natura � Effetti. Demanio � Beni di interesse paesaggistico � Vincolo panoramico � Costruzioni edilizie -Nulla-osta della Soprintendenza ai monumenti -Motivazione del permesso a costruire � Modulo-tipo senza riferimenti al vincolo � Insufficienza. Atto amministrativo -Atto discrezionale -Annullamento -Limiti all'indagine sulla legittimit� � Effetti. Atto amministrativo � Vizi -Eccesso di potere � �Contraddittoriet� -Fattispecie Limiti. Demanio -Beni di interesse paesaggistico -Vincolo panoramico � Costruzioni edilizie ,. Nulla-osta della Soprintendenza ai monumenti . Legge n. 1497-1939 e reg. 1357-1940 � Rapporti -Art. 16 del regolamento . Criterio di inteiipretazione. Poich� l'imposizione del vincolo panoramico a tutela delle bellezze naturali si perfeziona al momento della pubblicazione degli elenchi delle rispettive localit� nell'albo comunale, da tale data decorre l'obbligo di richiedere il nulla-osta al soprintendente ai monumenti, previsto dal1' art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (1). (1-6) Decisione esatta e da condividere, in quanto riafferma, fra l'altro, in forma esplicita, l'esigenza della motivazione, anche solo sintetica, nei provvedimenti con i quali si concedono autorizzazioni a costruire in presenza di un vincolo di interesse ambientale. Per quanto concerne la prima massima, la decorrenza dell'obbligo ex art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, a partire dalla data in cui la bellezza d'insieme viene conosciuta con la pubblicazione dell'elenco relativo nell'albo comunale, non gi� dalla data del provvedimento ministeriale, atto terminale del procedimento, � stata ribadita nella decisione dell'Ad. PI., 6 maggio 1976, n. 3 ~in Il Consiglio di Stato, 1976, I, 560). Sulle altre massime ricordiamo le dee. Sez. IV, 9 aprile 1974, n. 305 (ivi, 1974, I, 533); Sez. VI, 16 giugno 1978, n. 741 (ivi, 11978, I, 1192); 19 ottobre 1979, n. 708 (ivi, 11979, I, 1422); 14 dicembre 1979, n. 890 (ivi, 1979, I, 1852). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 344 Qualora risulti emanato un atto di nulla-osta alla realizzazione di un manufatto in una zana sottoposta a vincolo panoramico, ben pu� il Soprintendente ai monumenti adottare un provvedimento (che costituisce ipotesi di annullamento d'ufficio e non revoca), con il quale si ponga nel nulla il precedente nulla-osta (2). Costituisce atto illegittimo il rilascio del nulla-osta a costruire edifici in zona protetta da vincolo panoramico qualora dal provvedimento non risulti una adeguata motivazione, sia pure sintetica, e ci� in quanto tutti i cittadini sono portatori dell'interesse a difendere il patrimonio paesaggistico e, conseguentemente, l'Amministrazione deve dare conto delle ragioni che, in presenza del vincolo, giustificano il rilascio del permesso stesso (3). L'autorit� amministrativa, al fine di esercitare il potere di autotutela in tema di provvedimenti discrezionali, pu� spingere l'indagine, al pari del giudice amministrativo, a tutte le figure sintomatiche dell'eccesso di potere, anche a quelle in cui si sia ai confini tra la illegittimit� e la inopportunit� della adozione del provvedimento (4). L'atto amministrativo col quale la pubblica amministrazione rappresenti un apprezzamento del pubblico interesse che sia rusolutamente' inadeguato rispetto alla situazione oggettiva da disciplinare, presentando evidenti contraddizioni e incongruenze, � da ritenere affetto dal vizio di eccesso di potere e pertanto annullabile, dal momento che in tal modo sicuramente esso ha deviato dalla funzione che gli � propria (5). La norma contenuta nell'art. 16 del r.d. 3 giugno 1940, n. 1357, nel prevedere in cinque anni la validit� dell'approvazione della Soprintentendenza in materia di tutela paesaggistica, non limita in alcun modo il potere di autotutela della pubblica amministrazione nel caso in cui l'approvazione sia viziata, ma tende solo ad assicurare una nuova possibilit� di intervento alla Soprintendenza, qualora la situazione obiettiva esistente al momento della sua emanazione risulti cambiata (6). SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 marzo 1980, n. 1471 -Pres. NovelliEst. Sandulli -P. M. Saja (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amato) c. Soc. ERG, Raffineria, E. Garrone (avv. Glendi). Tributi (in generale) -Contenzioso tributarlo -Sospensione della riscossione -Regolamento di giurisdizione -Ammissibilit�. (Cod. proc. civ., art. 41). Tributi (in generale) -Contenzioso tributario -Oggetto e natura del processo innanzi alle Commissioni. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). Tributi (in generale) -Riscossione -Sospensione dei titoli esecutivi fiscali da parte del giudice -Difetto assoluto di 1potere. Tributi (in generale) -Riscossione~ Imposte dirette -Sospensione -Rimedi ammessi. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, 39, 53 e 54). � ammissibile il regolamento di giurisdizione riferito al potere del giudice di pronunciare la sospensione della riscossione dei tributi proposto in pendenza del giudizio di merito anche se sia stato gi� emesso it provvedimento di sospensione (l). (1-4) Identica � l'altra sentenza in pari data n. 1472. Decisione di grandissima rilevanza non soltanto sul punto centrale della controversia, ma su vari altri problemi basilari del processo tributario. La prima massima applica una regola di diritto comune ormai consolidata, ma implicitamente riconosce la ammissibilit� del regolamento di giurisdizione rispetto al processo innanzi alle commissioni; di ci� invero non vi era ragione di dubbio (art. 362 cod. proc. civ.) una volta riconosciuto, come ormai � paci-� fico, che le commissioni sono giudici speciali; ma essendo questa, a quanto consta, la prima pronunzia che interviene sul punto, merita di essere segnalata anche per questo. Molto importante per la definizione della natura del processo tributario � la seconda massima. Bench� il processo sia cronologicamente collegato ad un atto (amministrativo) dell'ente impositore, essa ha per oggetto �il completo riesame del merito del rapporto�; il giudice si pronunzia �con pienezza di indagine sulla sussistenza della obbligazione pubblica � e quindi sulla � verifica dei presupposti e degli effetti del rnpporto � quale � ori19ina!10 dai1la norma iimpos,] tiiva, con 11a conseguenza che la pronunzia del giudice �ha natura dichiarativa della obbligazione sorta ex lege �; in conclusione il processo tributario � di � accertamento del rapporto � e non di annullamento dell'atto di accertamento 346 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Le commissioni tributarie non sono organi della giustizia amministrativa cui � conferito il potere di annullamento degli atti della p.a., ma organi di giurisdizione speciale chiamati a pronunciare, con pienezza di indagine, sull'accertamento del rapporto e quindi ad emettere pronunzie dichiarative sulla sussistenza della obbligazione tributaria sorta ex Iege e non pronunzie costitutive di annullamento dell'atto di accertamento (2). Al giudice tributario (e ad ogni altro giudice), in mancanza di norme espresse, non pu� essere riconosciuto il potere di sospendere i titoli esecutivi fiscali per la riscossione delle imposte (3). La sospensione legale (parziale) della riscossione prevista automaticamente come effetto deZla impugnazione dell'accertamento, la possibilit� di ricorrere all'intendente di finanza che deve emettere una decisione amministrativa motivata suscettibile di impugnazione innanzi al giudice amministrativo ed il rimedio sostitutivo della azione di risarci ovvero, secondo una terminologia ormai largamente seguita, di �impugnazionemerito � e non di �impugnazione-annullamento�. Corollario di ci� � che le commissioni tributarie sono s� giudici speciali, ma non org�ni della giustizia amministrativa, con la conseguenza che nel processo tributario il giudice, che non ha il potere di rimuovere l'atto di esercizio della potest� amministrativa, perviene all'accertamento della obbligazione senza la necessit� della formale eli minazione dell'atto, spettando successivamente all'amministrazione annullare ed eventualmente sostitui11e gli atti r;konosoiuti 1~legHtimi e rhliquidare l'imposta disponendo in ipotesi il rimborso sulla base del giudicato. In questa parte della sentenza sono condensate proposizioni che, in armonia con le tesi da sempre sostenute dalla Avvocatura, fissano i caratteri fondamentali del processo tributario. Un breve, ma solidissimo cenno alla struttura del processo tributario era gi� contenuto in altra importantissima sentenza delle Sez. Un. che ritenne la improponibilit� delle azioni di mero accertamento (8 marzo 1977, n. 942, in questa Rassegna, 1977, I, 302, con nota di C. BAFILE). � particolarmente da segnalare, oltre alla non nuova affermazione della natura dichiarativa della decisione, il particolare rapporto tra la pronunzia sulla sussistenza della obbligazione e i provvedimenti conseguenziali della Amministrazione per la riliquidazione dell'imposta e gli eventuali rimborsi. Sul punto specifico del'la controversia :La deci:sione, pur 1tarnto avversata, � perfettamente in linea con una lunga tradizione. � sempre stato escluso che il giudice ordinario avesse il potere di sospendere la riscossione (v. Relazione Avv. Stato, �197'1, 75, II, 594) e non era pensabile che un tale potere potesse essere conferito alle commissioni; che le norme del nuovo contenzioso escludono una tale eventualit� � del tutto chiaro, s� che questa parte della pronunzia � la meno problematica. Molto importante � invece la disamina sulla confutazione del sospetto di illegittimit� costituzionale, sia sul punto che il potere cautelare, specie innanzi al giudice dei diritti, non � un attributo necessario della giurisdizione, sia sul punto che le guarantigie offerte dal sistema con la sospensione legale, il ricorso all'intendente e la domanda di risarcimento contro l'esattore sono sufficienti nell'ambito del necessario contemperamento di esigenze contrastanti. Bench� la �� �� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 347 mento del danno contro l'esattore, assicurano al contribuente una esaustiva tutela, compatibile con la necessit� di contemperare l'esigenza di assicurare la vita finanziaria dello Stato con l'esigenza della tutela del cittadino (4). (omissis) A carico della societ� per azioni Raffineria Edoardo Gar rone veniva iscritta a ruolo la somma di lire 362.495.040 per imposta di ricchezza mobile, dovuta per gli anni dal 1967 al 1972, a seguito di riliquidazione effettuata in applicazione del condono stabilito con d.I. 5 novembre 1973, n. 660. La sooiet�, con ricorso del 1� giugno 1977, impugnava il ruolo innanzi alla commissione tributaria di primo grado di Genova, contestando l'ob bligazione tributaria; ed otteneva, poi, dall'intendente di finanza, a norma dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, la sospensione della riscos sione fino al 31 ottobre 1977. Con ricorso del 5 settembre 1977, nell'imminenza della soadenza di detto termine, la societ� chiedeva al presidente della commissione di �disporre la sospensione della riscossione dell'imposta iscritta a ruolo. Con decreto del 20 ottobre 1977, il presidente della commissione fissava l'udienza per la decisione della domanda di sospensione, ordinando la comunicazione del ricorso e del decreto all'ufficio delle imposte. Con ordinanza del 2 novembre 1977, la commissione tributaria di primo grado sospendeva la riscossione, fissando per la trattazione del merito l'udienza del 21 dicembre 1977. Considerava la commissione tributaria: -ohe l'Intendente di Fi nanza aveva disposto la sospensione della ,riscossione a norma dell'arti colo 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per un limitato periodo di tempo, anzich� sino alla decisione di primo grado; -che l'esclusione del potere di sospensione della commissione tributaria contra$tava con l'esi genza costituzionale di un'ampia tutela del cittadino contro gli atti della pubblica amministrazione (art. 113, primo comma, Cost.); -che non ostavano a tale potere la tradizione legisiativa riBalente a tempi in oui era limitata la protezione del singolo, l'espressa previsione in altri ordini giurisdizionali e la ritenuta legitt:imit� della posticipazione della tutela dei soggetti coinvolti neHa esecuzione esattoriale; -e che argomenti a favore del cennato potere potevano trarsi dall'analogia con la giurisdi pronunzia abbia specifico riferimento alle imposte dirette, essa � dichiaratamente applicabile anche alle imposte indirette ed anche per la giurisdizione ordinaria. Ancora da notare l'implicita soluzione della questione della impugnabilit� innanzi al giudice amministrativo del provvedimento dell'intendente di finanza, che era stata messa in dubbio proprio dal Consiglio di Stato (Sez. IV, ord. 12 febbraio 1974, n. 173, in questa Rassegna, 1974, I, 657 con nota di R. TAMIOZZO). C. BAFILE RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO zione amministrativa e dall'essere ricompreso il potere di sospensione nel potere di annullamento delle commissioni tributarie. In pendenza del giudizio di merito, l'amministrazione finanziaria dello Stato ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione limitatamente alla domanda cautelare di sospensione, deducendo un unico motivo, illustrato da memoria. Ha resistito con controricorso, anch'esso illustrato da memoria, la societ� Raffineria Garrone, la quale ha eccepito l'inammissibilit� del regolamento, proposto dopo l'emissione del provvedimento di sospensione e I'esaurimento del relativo procedimento incidentale. MOTIVI DELLA DECISIONE L'amministrazione finanziaria -denunciata la violazione dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembzre 1973, n. 602, degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, dell'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e dei pr1nc�pi generali del contenzioso tributario -sostiene che, sebbene sussista la giurisdizione della commissione tributaria nella causa principale promossa con l'impugnazione del ruolo esattoriale, tale giurisdizione difetti nel giudizio incidentale instaurato con l'istanza di sospensione, in quanto -esulando dalle attribuzioni giurisdizionali del giudice tributario e di ogni altro giudice il potere di sospensione della riscossione dell'imposta iscritta a ruolo, attribuito, in via esolush'a all'intendente di finanza ex art. 39 del d.P.R. n. 602 del 1973 -la domanda di sospensione dell'esecuzione sarebbe (assolutamente) improponibile innanzi a qualsiasi giudice. Il ricorso per regolamento � ammissibile e fondato. In via pregiudiziale, la Societ� resistente ha eccepito l'inammissibilit� del regolamento preventivo di giurisdizione proposto, in pendenza deHa causa principale, non per contestare la giurisdizione del giudice adito (pienamente riconosciuta), ma con riguardo al solo procedimento incidentale ad essa inerente, successivamente all'emissione del provvedimento di sospensione ed all'esaurimento del procedimento cautelare. L'eccezione di inammissibilit� va disattesa. Invero, data la funzione dell'azione cautelare, tesa ad ottenere (quando possibile) la sospensione deM'esecuzione, il vincolo di strumentalit� della cautela, :rispetto al fine cui tende il giudizio di merito, non consente l'ipotesi di separazione del procedimento cautelare da quello di merito n� quella di una giurisdizione diversa per i due procedimenti. Infatti -esigendo il rapporto strumen1laile tra la pretesa di merito e queHa cautelare che entrambi i procedimenti siano volti alla tutela della medesima situazione giuridica soggettiva, con la conseguente implicazione della necessit� della identit� di giurisdizione -deve �ritenersi che i due procedimenti (cautelare e di merito), pur muilliti di una certa autonomia, costituiscano fasi processuali di un unico giudizio, fra loro PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA in consecuzione finalistica, e che, conseguentemente, l'oricliinanza di so spensione -non integrando, per la sua funzione, per la precariet� del provvedimento e per la sommaruet� detla delibazione, una proouncia di merito e non potendo, quindi, dar luogo ad un giudicato (1implicito) in relazione alla giurisdizione sulla pretesa di merito -non possa preclu dere l'esperimento del regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 cod. proc. civ. (nel senso della esclusione della impugnabilit� immediata dell'ordinanza di sospensione ex art. 111 Cost.: cfr. Cass., sent. n. 2733 del 1973; sent. n. 3047 del 1962). Per modo che il regolamento, proposto in pendenza della causa di merito, deve considerarsi ammissibile, anche se, contestandosi il po tere di sospensione, il provvedimento cautelare sia stato (in ipotesi) irritualmente pronunciato. Passando all'esame del-merito, il problema che si pone � se, nel .quadro della tutela accordata dall'ordinamento giuridico ai soggetti passivi dell'attivit� amministrativa di accertamento e riscossfone delle imposte, le Commissioni tributarie siano investite del potere di sospensione dei titoli esecutivi fiscali, e cio� se esse possano sospendere in via caute. fare l'efficacia esecutiva della iscrizione a ruolo e la riscossione esatto riale del tributo. II quesito proposto, attinente all'ammissibilit� (o meno) della tu tela giurisdizionale preventiva e cautelare nel processo tributario, � stato vivamente dibattuto e variamente risolto. Gli argomenti a sostegno della soluzione negativa vengono indivi duati nel rinvio dell'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (revisione .della disciplina del contenzioso tributario) alle sole norme del libro primo del codice di procedura civile, nella espressa attribuzione della potest� di sospensione della riscossione aH'intendente di finanza ai sensi .dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (disposizioni sulla riscos .sione delle imposte sul reddito) e ne1la previsione della cosiddetta so .spensione legale, relativa alla progressiva esazione del triibuto (art. 15 .del cit. d.P.R. n. 602 del 1973). La soluzione positiva, invece, trae �argomenti dalla considerazione �che il potere di sospensione dell'efficacia di un atto � inscindibile da quello di annullamento, costituendo di questo un quid minoris, dal ri lievo che il giudice speciale tributario � un giudice amministrativo esclu sivo, in grado di fornire ogni forma di tutela, e dal riflesso che 1'esclusione del potere di sospensione cautelare contrasta con l'esigenza costitu zionale, espressa negli artt. 24 e 113, primo comma, Cost., della pi� .ampia tutela del cittadino. Fra le due contrapposte opinioni, le sezioni unite della Corte Su prema ritengono di dover aderire all'orientamento negativo e che, quindi -a:tla stregua de1la normativa vigente e dei principi sanciti negli arti� ,coli 24 e 113 della Costituzione -non spetti al giudice tributario H po RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tere di sospensione cautelare nei confronti della riscossione esattoriale delle imposte. I sostenitori della tesi positiva tendono ad affermare la sussistenza del potere cautelare delle commissioni tributarie, quale naturale completamento delle 101:0 attribuzioni giurisdizionali, attraverso la seguente costruzione giuridica: il potere cautelare (strumentale rispetto al merito), inerente alle attribuzioni giurisdizionali ed avente, per la sua applicazione generaile, la sua base normativa nei princ�pi costituzionaili fissati negli artt. 24 e 113 Cost., va riconosciuto alle commissioni tributarie, in quanto -costituendo questi organi (speciali) della giustizia amministrativa, davanti a cui la tutela tributaria � configurata come impugnativa del provvedimento dell'ufficio finanziario -ad esse va esteso in via anailogica H potere di sospensione il1iconosciuto al giudice amministrativo investito del potere di annullamento degli atti del1la pubblica amministrazione. La concezione delineata non � condivisibile. Va, innanzi tutto, osservato come l'art. 24 della Costituzione -mirando a disciplinare non la giurisdizione ma l'accesso alla stessa e non predeterminando i contenuti dei poteri dei giudici e la tipologia ed il vailore dei provvedimenti giurisdizionali -non possa costituire il fondamento del potere cautelare del giudice tributario, s� che -rientrando nelle scelte del legislatore i modi di strutturazione dei vari sistemi giurisdizionali -deve escludersi che possa farsi discendere automaticamente dalla disposizione costituzionale dell'art. 24 il potere di sospensione degli atti di riscossione delle imposte. N� pu� ritenersi implicitamente devoluto alle commissioni tributarie il potere di sospensione in base aH'art. 113 Cost., sul riflesso che la tutela giurisdizionale da esso garantita, per avere in ogni momento carattere di pienezza ed effettivit�, debba ricomprendere anche la protezione cautelare del cittadino nella fase iniziale del procedimento, in quanto la potest� di sospendere non pu� considerarsi necessariamente inclusa nella giurisdizione di merito, ma deve essere conferita al giudice da norme espresse, non suscettive di interpretazione analogica ed estensiva. E ci� � stato espressamente riconosciuto dalla Corte costituzionale, la quale, con la sentenza n. 284 del 1974, ha statuito che l'esclusione del potere di sospensione nell'ambito di un sistema di tutela giurisdizionale pu� considerarsi costituzionalmente legittima se ragionevolmente giustificata, e con le sentenze n. 195 del 1975, n. 67 del 1974, n. 138 del 1968 e n. 87 del 1962, ha affermato che un trattamento differenziato dei rimedi offerti per l'esecuzione esattoriale (con esclusione del potere cautelare di sospensione) � giustificato dalla particolare qualificazione del �preminente interesse costituzionale (fondamentale e pTimario) di garantire il regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato�. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 351 Va, quindi, confermato come -essendo consentito al legislatore ordinario, in materia processuale, di stabilire procedure differenziate, dn vista della possibile diversificazione deHa tutela giurisdizionale a causa delle differenti peculiarit� deHe singole situazioni sostarnziali, regolando in maniera diversa i modi e l'efficacia deMa tutela giurisdizionale, con esclusione, quindi, di una identica tutela (dr., in tal senso, oltre le decisioni della Corte costituzionale g�� citate, la sent. della stessa Corte n. 161 del 1971) -il potere di sospensione, non discendendo implicitamente ed automaticamente da disposizioni normative della Costituzione, debba essere conferito necessariamente da norme espresse. Va, poi, considerato come debba escludersi che le commissioni tributarie costituiscano �organi della giustizia amministrativa�, ricompresi nel �sistema della giurisdizione amministrativa, e che il sistema di tutela giurisdizionale loro affidato si realizzi con l'annullamento degli atti della pubblica amministrazione. Invero, le commissioni tributarie sono � organi di giurisdizione speciale � del tutto diversificati dagli organi della giustizia �amministrativa tipicamente considerati dalla Costituzione, legittimati dalla disposizione VI transitoria della Carta costituzionale e risultanti dalla revisione delle commissioni tributarie preesistenti attuata alla stregua dei rprindpi stabiliiti nella [egge 9 ottobre 1971, n. 825, concernente Ja delega legislativa per la riforma tributaria (cfr. Corte cost., sent. n. 215 del 1976; sent. n. 287 del 1974; Cass., sez. un., n. 4507 del 1978). Ed, innanzi' ad esse, il giudizio tributario -ancorch� costruito for� malmente come ricorso contro un atto dell'ente impositore -ha per oggetto il completo riesame del merito del rapporto (cfr. Cass., sez. un., sent. n. 4507 del 1978; sent. n. 942 del 1977), trattandosi -secondo fa pi� autorevole dottrina -di un giudizio di impugnazione-merito (e non di impugnazione-.annullamento). Il processo instaurato innanzi al giudice tributario �, quindi, di accer tamento del rapporto. E -poich� al giudice spetta di pronunziare, con pienezza di inda gine, su1la sussistenza deU'obbligazione pubblica e non sulla corret tezza dell'esercizio del potere amministrativo -l'oggetto del giudizio viene a risolversi nella verifica dei presupposti e degli effetti del rap. porto. Il giudizio tributario �, quindi, limitato all'accertamento del regime legale del rapporto originato dalla norma impositiva e fa pronunzia resa dal giudice tributario ha natura dichiarativa dell'obbligazione sorta ex lege (e non costitutiva di annullamento). Per modo che il processo tributario -in mancanza di un potere autoritativo del giudice volto alla rimozione del concl'eto atto di eser cizio della potest� amministrativa -perviene a1l'accertamento dell'ob bligazione tributaria senza necessit� della formale eliminazione deU'atto, 352 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO spettando successivamente all'amministrazione finanziaria annullare ed 352 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO spettando successivamente all'amministrazione finanziaria annullare ed �eventualmente sostituire gli atti riconosciuti ,LUegittimi e riliquidare l'im posta (disponendo, in ipotesi, il rimborso, slll1la base della pronunzia :giurisdizionale). La giurisdizione, quindi, dichiara legittima o illegittima {in tutto o in parte) la pretesa tributaria sul piano sostanziale, senza necessit� di revoca de1l'atto proveniente dall'amministrazione. Pertanto, in mancanza di un giudizio di arnlullamento, non appare valorizzabile l'idea di un potere di sospensione {strumenta:le) del giu �dice tributario ricompreso in quello di anm.uillamento. Conseguentemente al giudice tributario non pu� essere riconosciuto neppure in via analogica il potere di sospensione, assegnato (unitamente al potere di annullamento) al Consiglio di Stato dall'art. 39 del r.d. 26 :giugno 1924, n. 1054 (t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato) ed ai T1ribrunali amministrativi regionali dall'art. 21, ultimo comma, della legge 6 di. cembre 1971, n. 1034 (istituzione dei tribunali amministrativi regionali). D'altro canto, -costituendo l'art. 6 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (sul contenzioso amministrativo) il cardine del sistema �giurisdizionale tributario e permanendo, dopo la riforma tributaria, la regola generale che le controversie d'imposta, ove non sia diversamente �disposto, sono soggette alla giurisdizione ordinaria -non pu� ricorrersi .:ai priindpi di analogia per riconoscere alle commissioni tributarie il potere cautelare di sospensione neppur�e in ordine alla giurisdizione ordinaria, sprovvista in materia tributaria di sil�fatto potere. E -poich� l'impossibilit� della sospensione ape judicis della riscos- sione delle imposte indirette risulta dagli artt. 54, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (disciplina dell'imposta di registro) e 45, -primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 (disdplina dell'imposta sulle successioni e donazioni), i quali irichiamano espressamente l'art. 31 �del r.d. 14 aprile 1910, n. 639 (t.u. delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato), che ~nibisce la sospen- sione degli effetti del titolo esecutivo fiscale (cfr., Cass., sez. un., sent. n. 855 del 1975; sent. n. 2583 del 1974) -peir ragioni di carattere sistematico, il potere di sospensione va escluso, nell'ambito della giurisdizione �delle commissioni tributarie, anche nel settore delle imposte dirette. Sgombrato il campo, attraverso ila critica su delineata, dalla costru?: ione giuridica di segno positivo, deve procedersi a1l'esame degli elementi argomentativi addotti a sostegno della soluzione negativa. In base al sistema tributario vigente prima della �riforma attuata con 'i decreti presidenziali delegati emessi in base alla legge 9 ottobre 1971, n. 825, concernente la delega legislativa per la riforma tributaria, non spettava alle commissioni tributarie n� al giudice ordinario, nel quadro della tutela accordata daH'o11dinamento ai soggetti passivi dell'attivit� :amministrativa di accertamento e di riscossione delle imposte, alcun PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA potere di sospensione dei titoli esecutivi fiscaili (artt. 188, 208 e 209 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 t.u. delle leggi sulle imposte dirette). (Riguardo al settore delle imposte dirette, J'U!Ilica possibilit� di intervento esterno sul coiiso dell'esecuzione em rappresentata da1la facolt� di sospensione aUribuita al pretore nel caso di opposizione di terzo, introducente una controversia del tutto estranea alla materia tributaria: cfr. Cass., sent. n. 564 del 1972; sent. n. 1771 del 1968; sent. n. 2032 del 1967). Nell'articolato� sistema giurisdizionale tributario, apprestato daJl'ordinamento con la riforma, la tutela � fondamentaJmente rivolta contro l'atto di accertamento (art. 16, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636), che, non costituendo titolo esecutivo, non propone un problema di sospensione. Al ricorso contro l'accertamento (riferentesi a periodi d'imposta gi� decorsi) � ricondotto l'effetto di limitare l'obbligo della iscrizione a ruolo -incombente ex lege all'amministrazione (cfr. Corte cost., sent. n. 114 del 1963) -ad �un terzo dell'imposta corrispoIJJdente aill'imponibile accertato dall'.uffi.cio � (art. 15, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito). Alla pendenza del giudizio tri:butario �, inoltre, dovuto, per la cosiddetta sospensione legale, l'effetto de1la progressiva esazione del tributo. Invero, dopo la decisione della commissione .tributaria di primo grado, l'imposta � iscritta a ruolo per la met� dell'imponibile determinato (art. 15, secondo comma, lett. a); successivamente alla pronuncia di secondo grado per due terzi di questo (ar-t. 15, secondo comma, lett. b); e dopo la decisione della Commissione centrale rper l'ammontare corrispondente all'imponibile stabilito (art. 15, secondo comma, iett. e), (in modo analogo dispone l'art. 6 della legge 23 febbraio 1978, n. 38). Al contribuente � accordata, poi, la possibilit� di proporre ricorso contro l'iscrizione a ruolo (costituente il titolo esecutivo) -ove questa non sia stata preceduta dalla notifioa dehl'accertamento o del provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria ovvero per vizi propri del ruolo innanzi alla commissione tributaria di primo gmdo (art. 16, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636). Tale ricorso, per�, non sospende la riscossione (art. 39, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602). Peraltro, contro gli atti esecutivi dell'esattore il contribuente pu� esperire il ricorso previsto dall'art. 53, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, all'intendente di finanza, 1il quale � tenuto a decidere sull'impugnativa nel termine di trenta giorni dalla sua presentazione, dopo aver sentito l'ufficio delle imposte ed avere invitato !L'esattore a presentare le sue deduzioni entro quindici giorni (art. 53, terzo comma). 354 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Esclusivamente alfintendente di finanza resta devoluto (come disposto anche dall'art. 188, quarto comma, del t,u. 29 geru:iaio 1958, n. 645) il .potere di sospensione (deHa 1riscossione e della esecuzione) sia nel caso di ricorso avverso il ruolo sia nel caso di ricorso avverso gli atti ese-� cutivi dell'esattore. Invero, l'art. 39, primo comma, del d.PiR. 29 settembre 1973, n. 602' -dopo aver stabilito che il ricorso contro il ruolo non sospende la riscossione -dispone che �tuttavia l'intendente di finanza, sentito l'ufficio delle imposte, ha facolt� di disporla in tutto o in parte d.�no aHa decisione della commissione di primo grado, con provvedimento motivato� notificato aill'esattove ed ail contribuente� � che � tale provvedimento pu� es,sere revocato dall'intendente di fillanza ove sopravvenga fondato pericolo per la riscossione�; e l'art. 53, terzo comma, del medesimo decreto presidenziale n. 602 del 1973 prevede che, nel periodo di tempo assegnatogli per decidere sul ricorso ad esso rivolto (trenta giorni}, l'intendente di finanza pu� � sospendere gli atti esecutivi con provvedimento motivato �. Inoltre, mentre con l'art. 54 del d.P.R. n. 602 del 1973 si � rinnovato� il divieto delle opposizioni all'esecuzione ed agli atti esecutivi, regolate� dagli artt. 615-618 cod. proc. dv., gi� stabilito dall'art. 209, secondo comma, del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, con 1l'1art. 53, quarto comma, del d.P.R. n. 602 del 1973 si � disposto che �i provvedimenti dell'intendente di finanza sono definitivi�. In base al delineato quadro normativo va, quindi, stabilito se sia concesso al giudice tributario (o ad altro giudice) il potere di sospensione� e se, mediante i mezzi d'impugnativa esperibili dal contribuente, sia previsto dall'ordinamento giuridico un adeguato sistema di tutela delle situazioni soggettive del soggetto passivo dell'obbligazione pubblica tributaria. Come si � visto, nel sistema della riscossione delle imposte dirette -pur essendo consentita al contribuente l'impugnativa del ruolo innanzi alla commissione di primo grado (e la proposizione del ricorso all'intendente di .finanza contro gli atti esecutivi de1l'esattore) -non � accordata al soggetto passivo d'imposta iscritta a ruolo altria fovma di tutela in via d'urgenza al di fuori di quella rappresentata dalla possibhlit� di richie� dere la sospensione all'intendente di finanza. Tale forma di tutela giustiziale non pu� far considerare non sufficientemente protetto il contribuente. Invero, l'impossibilit� d'intervento del giudice tributario sul regime della riscossione fiscale e l'attribuzione al contribuente del recLamo all'intendente di finanza come unico mezzo di tutela contro l'esecuzione esattoriale non valgono a far ritenere labile la tutela (giurisdizionale e giustiziale) del cittadino nei confronti dell'attivit� esattoriale della pubblica amministrazione, s� da far considerare praticamente rivalutato PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA -come si � sostenuto da taluni in dottrina -il principio del salve et repete, gi� espunto dall'ordinamento giuridico da decisioni del1a Corte costituzionale. Va, innanzi tutto, rilevato come, attravevso la cosiddetta 'sospensione legale, concretantesi nella progressiva esazione del tributo, ila quale, in pendenza del giudizio tributario, comporta la riduzione dehl'imponibile (accertato ex officio) iscrivibile a :ruolo :a:d un terzo (con l'aumento di esso, nel caso in cui il reddito imponibile sia stato determinato dalla commissione di primo ~rado, fino alla met� e, nel ca:so in cui ~'imponibile sia stato deciso dalla commissione di secondo grado, fino a due terzi, giungendo all'iscrizione dell'intero reddito imponibile soltanto dopo la pronuncia della commissione centrale), si 1abbia gi� una congrua ed efficace tutela del contribuente, soprattutto, quando in presenza della incontrovertibilit� del fondamento de1l'obbligazione pubblioa, si discuta esclusivamente dell'esattezza della liquidazione del debito tributario. N� pu� ritenersi che le disposizioni normative, integranti H complesso sistema di tutela apprestato in favore del contribuente dall'ordinamento tributario -ispirato al criterio dell'indipendenza della reazione all'accertamento dal procedimento di riscossione -le quali escludendo il potere cautelare di sospensione del giudice tributario (non potendo consentirsi ad esso, privo del potere di annullamento, di operare sull'atto amministrativo teso aMa riscossione, limitandone fa incidenza effettuale) attribuiscono lo stesso esclusivamente aH'intendente di finanza, non garantiscano sufficientemente fa tutela costituzionalmente assegnata al contribuente. Invero, il reclamo all'intendente di finanza proposto ex art. 39 del diP,R. n. 602 del 1973 promuove un provvedimento giustiziale contenzioso che impegna l'intendente a pronunciare motivatamente il provvedimento di sospensione o di diniego della sospensione in un tempo assolutamente breve, previsto ex lege nel termine di trenta giorni, che, soprattutto, nei casi in cui si appalesi evidente l'errore di calcolo o di trascrizione ovvero l'i1legittimit� della iscrizione a ruolo, vale ad evitare (neLle intenzioni del legislatore) ohe il contribuente onerato, tenuto alla corresponsione di un tributo, o di un ammontare d'imposta, non dovuta, sia inciso nella sua sfera patrimoniale senza che ricorrano (in tutto o in parte) i .presupposti della liquidazione del debito tributario. E -poich� tale procedimento giustiziale consente (essendo i provvedimenti dell'Intendente di Finanza considerati definitivi ex art. 55, quarto comma, del d.P.R. n. 602 del 1973) che avverso il provvedimento di diniego della sospensione della riscossione dell'imposta ~scritta a ruolo possa adirsi, mediante l'esperimento dei rimedi giurisdizionali, il giudice amministrativo -non pu� avallarsi la tesi volta a sostenere che il contribuente -legittimato comunque ad agire in via risarcitoria 356 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO nei confronti dell'esattore -sia sprovvisto di una garantistica ed esaustiva tutela, giacch� -essendo l'esercizio del potere di sospensione dell'intendente di finanza sindacabile, sotto il profilo della legittimit�, da giudici appartenenti all'ordine giurisdizionale amministrativo -non pu� ritenersi che il contribuente sia adeguatamente protetto di fronte all'azione amministrativa degli uffici tributari. H '1egistl.atore tributario -ispirandosi ai prindpi fondamentali della Carta costituzionale -ha proceduto, nel fissare i rimedi assegnati al contribuente per consentirgli di opporsi all'attivit� amministrativa esorbitante dai limiti posti a1l'esercizio del potere di riscossione dello ufficio tributario, al bi!lanciamento degli interessi contrastanti del privato e dello Stato ed ha ritenuto che -fra l'esigenza costituzionale di assicurare la vita finanziaria dello Stato, essenziale per lo svolgimento delle funzioni e dei servizi pubblici dello Stato -apparato, attraverso il puntuale adempimento delle obbligazioni pubbliche e la non dilazionata corresponsione dei carichi tributari, e l'esigenza ugualmente fondamentale della tutela del cittadino, tenuto ex art. 53, primo comma, della Costituzione a concorrere alle spese pubbliche in ragione della sua capacit� contributiva -dovesse trovarsi una situazione di giusto equilibrio che, contemperando i contrapposti interessi, nella visione del superiore bene dello Stato, valesse a salvaguardare, mediante la attribuzione delle guarentigie cautelative sopra profilate, la posizione giuridica soggettiva del contribuente, senza, nel contempo, privare lo Stato dei mezzi finanziari occorrenti per far fronte alle proprie funzioni pubbliche, aventi come scopo primario ed essenziale il soddisfacimento dei bisogni, materiali e morali, del co11po sociale. Ed �, quindi, alla luce di tale prospettiva che va considerata unitamente alla disposizione dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, contenente la espressa attribuzione della potest� di sospensione delila riscossione dell'Intendente. di Finanza -ila statU!izione legislativa contenuta ne1la norma dii rinvio dell'art. 39 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, che, stabilendo l'applicabilit�, nel procedimento dinanzi al:le commissioni tributarie {in quanto compatibili) delle sole nol1IIle contenute nel primo [ibro del codice di procedura ciwle (con ila implicita esclusione dell'applicabilit� di altre disposizioni dello stesso codice), ha negato che dell'istituto de11a sospensione dell'esecuzione possa farsi applicazione nel processo tributario. Ed -essendo conseguentemente negata l'applicabilit� dell'art. 373 -cod. proc. civ. da parte della commissione tributaria centrale (cfr., in tal senso, comm. trib. centrale, III sez., ordinanza 2 dicembre 1978) e non potendo l'iscrizione a ruolo, per quanto si � innanzi cons1derato, essere paralizzata da un provvedimento del giudice ordinario nel corso del giudizio proseguente innanzi ad esso -non si vede come -in mancanza di una norma attributiva espressa -il potere di sospensione PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 357 dell'efficacia esecutiva del titolo fiscale e della riscossione dell'imposta iscritta a ruolo (richiedente il concorso dei requisiti essenziali del fumus boni juris e del danno o pregiudizio grave ed irreparabile) possa considerarsi esercitabile dalla commissione tributaria di .primo grado. In conclrusione, deve affermarsi che -competendo esclusivamente a11'1ntendente di finanza ex art. 39, primo comma, deil d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, il potere di sospendere, su istanza di parte, la riscossione dei tributi accertati ed iscritti a ruolo (salvo riscontro giurisdizionale di legittimit� dell'eventuale provvedimento di diniego) le commissioni tributarie e qualsiasi altro giudice, privi di ogni potere di incidenza sul regime legale degli effetti esecutivi dei titoli fiscali, siano sforniti della potest� giurisdizionale di sospendere la riscos~ione esattoriale delle imposte. In definitiva, la domanda di sospensione della riscossione esattoriale del tributo iscritto a ruolo promossa dalla societ� contribuente va dichiarata improponibile; e conseguentemente va pronunciato il difetto assoluto di giurisdizione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 27 marzo 1980, n. 1908 -Pres. Mirabelli -Est. Sandulli -P. M. Minetti (conf.). Soc. ORMA (avv. ContaJ1di) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Pagano). Tributi erariali diretti � Accertamento -Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Plusvalenza � Rettifica con metodo induttivo dell'ammontare dei ricavi non rispondente al presumibile valore -Legittimit�. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 100, 106, 119, 120, 121). � legittimo l'accertamento con il quale in via induttiva viene corretta l'indicazione nel bilancio del ricavo ottenuto con la vendita di un bene quando questa non appaia rispondente al suo presumibile valore, a tal fine utilizzando come mero elemento presuntivo di inattendibilit� del prezzo espresso in bilancio il valore determinato ai fini dell'imposta di registro. A tale accertamento pu� farsi ricorso anche per individuare una plusvalenza e determinarne l'entit� (1). (omissis) Con il primo, la ricorrente, -denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 145, 148, 150 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, nonch� l'omessa contraddittoria ed insufficiente motivazione si duole che la commissione tributaria centrale aibbia accertato il reddito di ricchezza mobile, categoria B, posto a base dell'imposta sulle societ�, senza tener conto delle risultanze del bilancio. (1) La massima � di molto interesse. La possibilit� di determinare la plusvalenza attraverso la verifica della con� gruit� del prezzo di realizzo rispetto al valore (che � poi un ineliminabile mezzo per impedire il mascheramento delle plusvalenze) era stato in passato ritenuto 358 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Con il secondo, la ricorrente -denunciata la violazione e la falsa a:pplica21ione degli artt. 37, 39, 119, 120, 121 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, nonch� l'omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione - sostiene la illegittimit� dell'accertamenrto del reddito di ricchezza mobile, categoria B, eseguito in modo induttivo in contrasto con il principio stabilito dall'art. 119 del cit. decreto presidenziale, secondo cui il reddito dei �soggetti tassabili in base al bilancio deve essere determinato sulle risultanze del bilancio e del conto profitti e perdite, e con quello, secondo cui il ricorso aJl'aocertamento sintetico � possibile soltanto quanto :le entrate siano state omesse o indicate in modo inesatto. La censura, articolata con i riassunti motivi, � priva di fondamento. La commissione tributaria centrale -nell'accertare le plusvalenza, assoggettabile all'imposta di ricchezza mob1le ai sensi .del coordinarto disposto degli artt. 81, 100 e 106 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (t.u. dehle leggi sulle imposte dirette), realizzata daUa societ� per azioni Immobiliare Orma con la vendita di uno stabile -ha correttamente ritenuto che l'ufficio tributario -di fronte alla inesattezza della impostazione di bilancio relativa alla somma ricavata dalla vendita -abbia proceduto legittimamente alla correzione della posta contabile inesatta, facendo applicazione del metodo induttivo a norma dell'ultimo comma dell'art. 119 del cita d.P.R. n. 645 del 1958. In particolare, essa ha considerato che -essendo stata indicata in bilancio dalla societ� contribuente in modo inesatto l'entrata, relativa al prezzo di vendita dello stabile -I'Ammirnistrazione Finanziaria abbia proceduto legittimamente a correggere in via induttiva la inesatta impostazione di bilancio, determinando il valore effettivo del ricavo della vendita in base alla ubicazione ed alla consistenza dell'edificio ed ai prezzi di mercato praticati per le vendite in blocco di fabbricati analoghi, costituiti da appartamenti concessi iin locazione ed assoggettati al regime vincolistico e gravati da :ipoteche accese a garianzia di mutui fondiari -utilizzando il prezzo concordato ai fini della imposta di registro soltanto come parametro di riferimento, e cio� come mero elemento presuntivo di inattendibilit� del prezzo di Tealizzo espresso in bilancio. Inoltre, ha rilevato come la societ� contribuente -a seguito della contestazione dell'accertamento eseguito induttivamente dall'ufficio del- ammissibile, ma con notevole timidezza; solo recentemente con le sentenze 7 gennaio 1980, n. 75 e 21 marzo 1980, n. 1904, in questa Rassegna, 1980, I, 618 e 958 si � passati ad una presa di posizione pi� sicura. Di rilievo � la precisazione che il valore accertato ai fini dell'imposta di registro � soltanto uno degli indizi sui quali l'accertamento pu� essere basato; non vi sarebbe quindi impedimento oggi a procedere allo stesso accertamento nel caso che il negozio di cessione sia stato assoggettato all'i.v.a. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA le imposte -non abbia fornito -crnne avrebbe dovuto, ai sensi dell'art. 121, secondo comma, del cit. d.P.R. n. 645 del 1958 -alcuna prova al fine di dimostrare il'inesattezza della col'rezione apportata alla posta di bilancio relativa alfa somma ricavata dalla vendita. Cos� decidendo, la Commissione tributari.a centrale ha posto a supporto della sua statuizione giudi:lrlale un adeguato svolgimento motivazionale, immune da vi:lrl logici e da errori giuridici. Invero -come questa Corte Suprema ha gi� avuto occasione di affermare (cfr. sent. 7 novembre 1974, n. 3384) -quando i soggetti. tassabili in base a bilancio abbiano presentato, ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, la dichiarazione ana:litica dei redditi con riferimento alle risultanze del bilancio e dei documenti contabili ad esso annessi, l'amminstrazione finanziaria per pervenire all'esatto aocertamento dei redditi pu� seguire due distinui procedmnenti: a) pu� procedere alla integrazione o correzione delle impostazioni di bilancio mancanti o inesatte (art. 199 del t.u. n. 645 del 1958); b) pu� disattendere nei suoi risultati il bilancio ed accertare il reddito imponibile in base alla situazione economica dell'azienda, desunta da elementi e dati comunque raccolti (art. 120 del cit. t.u.). Il ricorso al secondo procedimento, con cui viene negata validit� all'intero bilancio, presuppone che questo non sia fondato su scritture contabili regolari o presenti. tali incompletezze, inesattezze o irregolarit� da dover essere considerato inattendibile nella sua interezza. In tal caso, il'amministrazione pu� procedere all'accertamento sintetico del reddito, in base a concreti elementi di valutazione della situazione economica dell'azienda. Invece, quando dal controllo delle singole poste del bilancio ["isulti che siano state omesse o indicate in modo inesatto le entrate o siano state indicate spese o perdite inesistenti o superiori a quelle effettive ovvero emerga che i fatti aziendali siano S'tati comunque riportati inesattamente o irregolarmente in modo da concludere con un risultato diverso da quello effettivo, pu� seguirsi il pirimo procedimento accertativo; ed, in tali ipotesi, l'amministrazione finanziaria procede anche induttivamente alla integrazione o alla correzione delle impostazioni di bilancio mancanti o inesatte. Nel caso di specie, l'amministmzione ha seguito quest'mrimo procedimento, avvalendosi del pi� limitato potere di integrazione e correzione prevista dall'art. 119 del testo unico del 1958. Infatti, essa -rilevato che l'entrata relativa all'alienazione dello stabile era stata indicata in bilancio in misura inesatta -ha provveduto alla rettifica della stessa. E -poich� l'art. 119 del cit. t.u. consente aLl'ufficio delle imposte di valutare i1l bene, di cui si � indicato il prezzo di realizzo in bilancio, anche induttivamente, quando questo non appaia rispondente al suo 360 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO presumibile valore di ricavo -deve ritenersi co11retta fa decisione impugnata, la quale ha ritenuto legittimo l'accertamento del reddito effettivo condotto induttivamente dall'ufficio fiscale in base ai dati ed agli elementi di valutazione raccolti, utili per la determinazione accertativa della base imponibile, anche in considerazione del fatto che contro l'accertamento dell'ufficio la societ� contribuente non abbia fornito, come avrebbe dovuto in base all'art. 121 del t.u. n. 645 del 1958, la prova dell'effettivo ["ealizzo, conseguito con la vendita del bene. Ed -avendo l'ufficio finanziario, nel procedere a1la dete["IDinazione del reddito ai sensi dell'art. 119, terzo comma, compiutamente adempiuto all'obbligo di. motivazione, impostogli daill'art. 121 successivo, indicando nell'avviso di accertamento le ragioni giustificatrici deihla cmrezione (ubicazione e consistenza dello stabile venduto a prezzi correnti di mercato praticati per fabbricati in analoghe condizioni, e cio� per edifici costituiti da appartamenti locati con contratti assoggettati a regime vincolistico e gravati di ipoteche iscritte a garanzia di mutui fondiari) che facevano apparire i.I prezzo di realizzo indicato lin bi!lancio non rispondente al presumibile prezzo di vendita delil'immobile, ed essendosi l'ufficio avvalso, nel procedere all'autonoma valutazione del bene alienato, della presunzione di inattendibilit� del prezzo di vendita indicato in bilancio, ricavabile dal concordato intervenuto in ordine al prezzo agli effetti dell'imposta di registro (c:l�r. in tal senso, Cass., 9 giugno 1971, n. 1705) -deve considerarsi infondata la censura mossa con i profilati motivi ail!la decisione impugnata, la quaJle ha ritenuto corretto il procedimento accertativo della base imponibile seguito dall'ufficio delle imposte. Entrambi i motivi del ricorso sono, quindi, da disattendere. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� aprile 1980, n. 2103 -Pres. Marchetti Est. Caccavale � P. M. Dettori (diff.). Ministero delile Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. I.A.C.P. Cagliari (avv. Mesiano). Tributi erariali diretti � Imposta sulle societ� � Esenzione dell'art. 151, lett. f) del t.u. delle imposte dirette per nominati istituti di edilizia popolare � Estensione ad altri istituti non nominati � Esclusione. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 151, lett. f). L'esenzione dall'imposta sulle societ� dell'art. 151, lett. f) per enti edilizi specificamente e nominutivamente individuati (INCIS, IACP, ecc.) non � estensibile ad altro ente non nominato, se pure svolgente attivit� �similare, quale l'Istituto per le case popolari della Societ� mineraria carbonifera sarda (1). (1) Massima esatta sul pljllto specifico e sulla pi� estesa argomentazione volta alla delimitazione dell'agevolazione. Non constano precedenti specifici. - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (omissis) L'Amministrazione finanziaria ricorrente denuncia, con l'unico mezzo formulato, violazione e falsa applicazione dell'art. 151, lett. f) del t.u. 28 gennaio 1958, n. 645, i!ll relazione all'art. 14 de1le disposizioni del:la legge in generale, ai sensi dell'art. 111 deHa Costituzione e dell'articolo 360 n. 3 cod. proc. civ. L'art. 151 citato, alla lettera f), sostiene la ricorrente, dichiara esenti dall'imposta suHe societ� � l'Istituto nazionale per le case degli impiegati statali, la gestione I.N.A.-Casa, gli Istituti autonomi per le case popolari e le aziende autonome di case popollari dipendenti da regioni, province 1e comuni e relativi consorzi�, con criterio tassativamente soggettivo, il quale non consente che siano da considerare beneficiari di quella stessa esenzione altri enti, solo perx:h� svolgono attivit� analoga e cio� costruzione di abitazioni economiche e. :popolari, sulla base di un criterio oggettivo e con interpretazione chiaramente analogica, non ccinsentita per disposizioni di carattere eccezionale come quella in esame. Il motivo � fondato. La norma dell'art. 151, lett. f) del t.u. sulle imposte dirette (d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645), riproducendo quella dalla >legge 6 agosto 1954, n. 603), istitutiva deUa imposta surl:le societ�, art. 3 n. 5, dispone che dalla imposta anzidetta sono esenti �l'Istituto nazionale per le case degli impiegati statali, la gestione I.N.A.�Casa, gli istituti autonomi per le case popolari e le aziende autonome di case popolari dipendenti da rngioni, province, comuni e relativi consorzi�, enti specificamente e nominativamente individuati. L'esenzione dunque, anche se si riconduce manifestamente all'oggetto della attivit� di quegli enti ed alla mancanza di_ scopi lucrativi nell'eserx:izio della attivit� medesima, � di natura tipicamente soggettiva. Trattandosi d'altro canto di una disposizione di carattere singolare recante eccezione alla norma comune della generailit� degli oneri tributari, essa impone, nella sua applicazione, una interpretazione rigorosa, la quale (art. 14 delle disposizioni della legge in generale premesse al codice civile) esclude ogni considerazione analogica come quella che ha giustificato fa decisione impugnata de1la commissione tributaria centrale (l'Istituto per le case popolari della societ� carbonifera sarda, eretto ad ente morale con r.d. 17 febbraio 1938, n. 345, provvedeva a simiglianza degli istituti per le case popolari considerati dal t.u. alle case dei lavoratori dipendenti dalla societ� stessa) ed anche una interpretazione estensiva, intesa cio� a ricondurre sotto 1a norma interpretata quei casi che solo apparentemente ne sembrano esclusi (Cass, 3 guigno 1976, n. 2004), vietandolo, nella specie, la tassativa indicazione, nella norma, degli enti beneficiari della esenzione. N� pu� offrire valido sostegno alla tesi dell'Istituto controricorrente la norma dell'art. 23, ultimo comma, del rid. 28 aprile 1938, n. 1165, il quale recita: �il riconoscimento delle gestioni speciaH di cui all'ultimo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 362 comma dell'art. 22 � dato con decreto reale... ed importa l'estensione .alle gestioni stesse, a tutti gli effetti, delle disposizioni riguardanti gli istituti autonomi provinciali per le case popo1a:ri, in quanto applicabili �. � vero infatti che � le gestioni speciali � cui la norma si richiama sono quelle costituite, come nella fattispecie, da �enti di diritto pubblico che esplicano nel territorio del regJ110 attivit� industriale estrattiva -di interesse nazionale� (art. 22 citato), quali appunto la societ� mineraria carbonifera sarda, ma le disposizioni cui fa norma stessa fa riferimendo sono evidentemente quelle contenute nel medesimo testo di legge �e concem.enti �soprattutto le norme 'J:"elative alla stipulazione di mutui (art. 16 n. 4) a condizioni agevolate per Ia costJ:"UZione di case popolari {aJ:"t. 4 e segg.), ail concorso dello Stato peJ:" fa costruzione delle case stesse, all'intervento diretto dei comuni per la esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria (art. 44). Il titolo IX della legge prevede poi nume;rose agevolazioni tributarie concesse agli istituti autonomi per le case popolari (art. 147: riduzione al quarto delle tasse di iscrizione e trascri �zione ipotecarie in dipendenza di contratti prestito, di acquisto di loca �zione e di trasferimento di case popolari, della tassa di registro sui contratti per i lavori di costruzione e manutenzione delle case medesime, �delle tasse di concessione governativa ecc.; aJ:"t. 153: esenzione dal bollo tassa fissa minima di registro e ipotecaria e di voltura catastale per gli :atti di mutuo, que1li relativi alle costruzioni ecc.; esenzione dei mutui stipulati ai fini delle costruzioni .anzidette; art. 154: esenzione dalla tassa di bollo e scambio per i materiali acquistati di!rettamente per la costru: zione delle case che si devono ritenere estese in virt� di quella norma anche alle gestioni speciali degli enti, come la societ� carbonifera sarda, i quali esplicano attivit� industriale estrattiva di interesse nazionale, in �quanto rivolta direttamente a beneficio della edilizia popolare che si intendeva incentivare. Deve ritenersi tuttavia altrettanto per certo che quella stessa norma non legittima una estensione altiJ."ettanto aiutomatica ed immediata, al di l� della disciplina della legge medesima, a queste gestioni speciali, Qle -quali pur affiancandosi agli Istituti autonomi per le oase popolari e ad .altre istituzioni del genere, non perdono la loro sostanziale origine privatistica ed il loro collegamento ad imprese industriali) di agevolazioni <la tributi, come quello in discussione, Ja cui istituzione oltre tutto � sopravvenuta alla norma del 1938 (l'imposta sulle rsociet� venne istituita, come � noto, con la legge 6 agosto 1954, n. 603) e della quale � prevista -espressamente la non applicazione (art. 3 n. 5, della legge ora citata) � all'Istituto nazionale per le case degli impiegati st�atali, al1a gestione I.N.A.-Casa, agli istituti autonomi per le case popolari dipendenti da Regioni, Province e Comuni�, mentre �le gestioni speciali degli enti che esplicano attivit� industriale estrattiva non sono nominate. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 363 Alle argomentazioni svolte innanzi a proposito della impossibile adozione di una interpretazione analogica od anche estensivra di questa norma, pu� aggiungersi, con particolare riferimento al valore della dispo. sizione dell'ultimo comma dell'art. 23 del r.d. 1165 del 1938, che non � consentito presumere che la volont� del legislatore espressa nella norma agevolatrice del 1954 si ricollegasse alla estensione delle disposizioni riguardanti gli Istituti autonomi per le case popolari e quelle gestioni speciali previste da quella norma, nonostante il diverso carattere di queste ultime, inducendosi perci� a non nominarle espressamente senza un comprensibile motivo, contrariamente a manifeste ragioni di necessaria chiarezza legislativa, specie in una norma di natura eccezionale �come quella in questione. Ci� tanto pi� quando la stessa legge, nella enumerazione dei soggetti esenti dalla imposta sulle societ�, ha adoperato espressioni pi� generiche ed ampiamente comprensive, come per g;li enti di previdenza ed assistenza sociale (n. 6); gli ist>ituti di istruzione che non hanno scopo di lucro (n. 8) e gli enti con fini equiparati per Jegge a quelli di istruzione (n. 9). Il ricorso della amministrazione finanziaria dello Stato merita qu:indi favorevole accoglimento e la decisione impugnata deve essere cassata, rinviandosi il procedimento ad altra sezione 'della commissione tributaria centrale per nuovo esame. (omissis) �CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 aprile 1980, n. 2507 -Pres. Vigorita Est. Gualtieri -P. M. Del Grosso (conf.). Soc. Coppo~a Pinetamare c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Cevaro). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Pertinenze -Non si estende -Appalto per costruzione di strada interna -Esclusione della agevolazione. (legge 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). L'agevolazione della legge 2 luglio 1949, n. 408, si applica alle parti :integranti della casa di abitazione (intese come elementi necessari per completare la casa affinch� soddisfi i bisogni a cui � destinata) ma non si estende alle pertinenze (intese come elemento non essenziale a servizio o ornamento di una cosa gi� completa ed utile di per s�); di con. seguenza non pu� beneficiare della agevolazione un contratto di appalto per la sistemazione di una strada interna ad un complesso edilizio (1). (1) Decisione da condividere che pone in termini precisi limiti di esten: sione del beneficio. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 364 (omissis) Con '.l'unico motivo, demmziando violazione e falsa appliicaziione degli artt. 13 e 14 legge 3 luglio 1949, n. 408, 6 legge 7 febbiraio 1968, n. 26, che ha carattere interpretativo dell'art. 14 legge n. 408 del 1949; 47 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, 12 e 14 delle preleggi e 817 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 codice di rito, la ricorrente deduce: a) l'art. 14 legge n. 408 del 1949 non pu� essere interpretato restrittivamente, ossia limitatamente ai soli lavori relativi alle strutture proprie degli edifici, ma deve ritenersi comprensivo di tutte le opere complementari necessarie -quali strade, servizi, ecc. per l'abitabilit� e la funzionalit� dei fabbricati stessi; b) la corte del merito ha errato nel ritenere applicabile l'art. 14 delle preleggi, secondo cui le leggi che fanno ecceziione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in essi considerati, poich� tale articolo riguarda solo l'interpretazione analogica mentre, nella specie, doveva trovare applicazione il precedente art. 12, che consente l'interpretazione estensiva, dovendosi identificare iJ contenuto della norma contrattuale o legale, oltre il signid�cato letterale delle parole usate, per cui tale norma non incontra i limiti stab:i!liti nell'art. 14; e) la Corte del merito non ha considerato, violando cos� l'art. 817 cod. civ., che la strada e i relativi tappetini nonch� i cordoni stradali e la pavimentazione di essa costituivano pertinenze de1la casa essendo destinate in modo durevole al servizio di questa, per garantirne la funzionalit�, in quanto opere necessarie per le sue abitabilit~. Il motivo � infondato. Non v'� dubbio che il legislatore, usando all'art. 14, primo comma, legge n. 408 del 1949, l'espressione �costruzione delle case di cui al precedente art. 13 � abbia voluto riferirsi alle � case� considerandole nella loro unit� strutturale, con esclusione, quindi, delle pertinenze. Pertanto, decisiva rilevanza, ai fini dehla interpretazione di detta norma (che concede benefici fiscali in tema di imposte di registro e ipotecaria per gli acquisti di aree edificabili e per i contratti d'appalto aventi ad oggetto la costruzione di case non di lusso) e della conseguente delimitazione dell'ambito di detti benefici � la differenza fra i concetti di � parte integrante� e di � pertinenza�, necessari per individuare, in re1azione alla unit� strutturale del fabbricato, quelle opere che, al di l� della separazione fisica, possono essere cons~derate comprese in tale unit�. Come questa Corte ha gi� avuto occasione di affermaTe proprio in sede di interpretazione dell'art. 14, i concetti di �parte� e di � pertinenza � sono anche economico-sociali e non soltianto materialistici e il diritto li recepisce, cos� come sono intesi nella coscienza economico-sociale, adattandoli alle esigenze, proprie della regolamentazione giuridica. Ci� com PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA porta che, sul piano giuridico la distinzione fra ta1i concetti va ravvisata, conformemente ad una elaborazione dogmatica che, presupposta da numerose norme del nostro diritto positivo (cfr. soprattutto gli artt. 812 ss. cod. civ.), riceve il conforto di una lunga tradizione legislativa e dottrinale, in un diverso atteggiamento del collegamento funzionale della � parte � al tutto e della pertinenza alla cosa principale. Codesto collegamento si esprime per la � parte � come necessit� di questa per completare la cosa, cio�, secondo La tradizione romanistica, p�r attuare la perfectio di essa; in questa prospettiva, fa parte segna l'aspetto definitivo della cosa perch� essa soddisfi i bisogni cui � destinata, come sentiti concretamente in un determinato momento storico e in una determinata societ�; onde, si rpu� dire che fa parte � ritenuta elemento essenziale della cosa. Nella pertinenza, invece, il collegamento funzionale consiste in un �servizio� od �ornamento� (per usare le parole dell'art. 817 cod. civ., in cui l'istituto � definito), che la pertinenza stessa realizza per una cosa gi� completa ed ut1le di per s�; per� trattasi di elemento che attiene non all'essenza della cosa, bens� alla sua gestione economica o alla sua forma estetica (cfr. sent. 22 giugno 1974, n. 1899). A:Ha stregua dei suesposti prindpi, devesi ritenere che, ai fini che qui interessano, la strada ancorch� interna in un complesso edilizio, non possa qualificarsi come elemento ,essenziale della casa, essendo questa, di per s�, gi� organicamente completa e perfetta ne11a sua unit� stirutturaile; al pi� si tratterebbe di accertare se di essa sia una pertinenza (di immobile ad immobile), ma l'esclusione della qualificazione come elemento costitutivo ed integrante � sufficiente per negare l'applicabilit� del beneficio fiscale, che concerne la casa e non le sue evientuaJi pertinenze, donde l'irrilevanza della censura relativa alla pretesa violazione dell'art. 817 cod. civ. Quanto al richiamo della ricorrente alla agevolazione, accordata dall'art. 14, secondo comma, alla parte di suolo, attigua al fabbricato, non eccedente il doppio dell'area coperta, o comunque necessaria al rispetto dei volumi imposti dalla normativa urbanistica (art. 6 legge 7 febbraio 1968, n. 26) esso � del tutto inconferente poich�, nella fattispecie in esame, viene in gioco il beneficio accordato agli appalti e non quello relativo aMe compravendite di aree edificabili. Per ci� che concerne poi ila pretesa violazione dell'art. 12 delle preleggi � sufficiente rilevare che la Corte del merito non ha affatto negato che l'art. 14 pi� volte citato, pur essendo norma eccezionale, sia suscettibile di interpretazione estensiva, ma ha affermato ed esattamente che di fronte ad una norma la quale agevoli gli elementi A e B, l'esten~ sione del beneficio a C pu� essere frutto soltanto di integrazione analo1 gica, non gi� di interpretazione estensiva. (omissis) 366 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 giugno 1980, n. 3596 -Pres. Vigorita - Est. Battimelli -P. M. Raja (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. Stato Camerini) c. Soc. Massey Fe!'guson (avv. Cogliati Dezza). Tributi erariali diretti -Accertamento -Ufficio competente -IncoriporaZlione di societ� -� quello della sede della societ� incorporante. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 124). Poich� spetta alla societ� incorporante provvedere, come obbligo proprio, a dichiarare in base a specifico bilancio il reddito dell'ultimo esercizio dei soggetti estinti, competente all'accertamento � l'ufficio delle im� poste ove ha sede la societ� incorporante (1). (omissis) Il ricorso non pu� essere accolto. Nel caso di specie, infatti, si � verificata una particolare ipotesi di successione di un soggetto di di:riitto ad altro soggetto, in conseguenza della estinzione della societ� inc011porata e del contestuale nascere di un nuovo soggetto di diritto, diverso, quanto meno per patrimonio e capitale, (oltre che, eventualmente, per strutturazione degJi organi sociali e per numero dei soci) anche daHa societ� incorporante quale essa era !'['ima della incorporazione: fenomeno, questo, che assume una particolare regolamentazione, diversa da quella rtipica della successione universale di una persona fisica ad altra persona fisica estinta (per impossibilit� di separazione dei patrimoni e di limitazione di ['esponsabilit� del successore, per immediata confusione dei due patrimoni, per impossibilit� di rinuncia, ecc., come gi� chiaramente evidenziato da questa Corte con la sentenza n. 2872 del 1971, richiamata dalla stessa ricorrente). La com( 1) La decisione suscita qualche perplessit�. Se fosse vero che con l'incorporazione si verifica una automatica ed immediata confusione di rapporti, di patrimoni, di debiti e di crediti, la societ� incorporante, senza nessuna partico-� lare normativa, dovrebbe presentare soltanto la sua ordinaria dichiarazione alla fine del periodo di imposta con un bilancio che, registrando l'evento della incomparazione, raccoglie il tutto in capo alla societ�. Ma quando la legge impone (con l'art. 124 del t.u. del 1958) che sia compilato un bilancio distinto� per lo spezzone del periodo di imposta della (o delle) societ� incorporate, 366 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 giugno 1980, n. 3596 -Pres. Vigorita - Est. Battimelli -P. M. Raja (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. Stato Camerini) c. Soc. Massey Fe!'guson (avv. Cogliati Dezza). Tributi erariali diretti -Accertamento -Ufficio competente -IncoriporaZlione di societ� -� quello della sede della societ� incorporante. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 124). Poich� spetta alla societ� incorporante provvedere, come obbligo proprio, a dichiarare in base a specifico bilancio il reddito dell'ultimo esercizio dei soggetti estinti, competente all'accertamento � l'ufficio delle im� poste ove ha sede la societ� incorporante (1). (omissis) Il ricorso non pu� essere accolto. Nel caso di specie, infatti, si � verificata una particolare ipotesi di successione di un soggetto di di:riitto ad altro soggetto, in conseguenza della estinzione della societ� inc011porata e del contestuale nascere di un nuovo soggetto di diritto, diverso, quanto meno per patrimonio e capitale, (oltre che, eventualmente, per strutturazione degJi organi sociali e per numero dei soci) anche daHa societ� incorporante quale essa era !'['ima della incorporazione: fenomeno, questo, che assume una particolare regolamentazione, diversa da quella rtipica della successione universale di una persona fisica ad altra persona fisica estinta (per impossibilit� di separazione dei patrimoni e di limitazione di ['esponsabilit� del successore, per immediata confusione dei due patrimoni, per impossibilit� di rinuncia, ecc., come gi� chiaramente evidenziato da questa Corte con la sentenza n. 2872 del 1971, richiamata dalla stessa ricorrente). La com( 1) La decisione suscita qualche perplessit�. Se fosse vero che con l'incorporazione si verifica una automatica ed immediata confusione di rapporti, di patrimoni, di debiti e di crediti, la societ� incorporante, senza nessuna partico-� lare normativa, dovrebbe presentare soltanto la sua ordinaria dichiarazione alla fine del periodo di imposta con un bilancio che, registrando l'evento della incomparazione, raccoglie il tutto in capo alla societ�. Ma quando la legge impone (con l'art. 124 del t.u. del 1958) che sia compilato un bilancio distinto� per lo spezzone del periodo di imposta della (o delle) societ� incorporate, bilancio che serve alla determinazione definitiva dell'imposta dovuta per l'ultimo esercizio dei soggetti estinti, vuol dire che si vuole per l'appunto evitare la. confusione e mantenere separata la obbligazione del soggetto estinto, anche se per esso risponde ormai il soggetto subentrato. Alla norma dell'art. 124 si collega quella dell'art. 22 la quale dispone che nel caso di fusione la dichiarazione dell'ultimo esercizio dei soggetti estinti deve essere presentata (dalla societ� inco:qio11ainte) entro tre mesti dalil'atito di fusfone o incorporazione (non sostanzi: aiLmente dissimilffi se pure pi� dettagliate sono le norme vigenti: airt. 73� d.P.R.. n. 597/197'3.; art. 16 d.P.R. n. 598/1973; art. 11 d.P.R. n. 600/1973~. E naturalmente tutto questo ha anche un rilievo sostanziale: se una delle societ� incorporate ha prodotto un reddito ed altra una perdita non si fa con-� fusione di utili di perdite. In conclusione la societ� incorporante � un successore a titolo universale che � diventato debitore di un'obbligazione che gi� faceva capo ad un soggetto� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 367 penetrazione immediata del preesistente soggetto nel nuovo che si viene a fomnare per effetto della fusione o incorporazione, invero, porta ad una automatica immediata confusione di rapporti, di patrimoni, di debiti e crediti, e aUa conseguente automatica assunzione da parte del nuovo soggetto dei diritti e degli obblighi del soggetto estinto (art. 2504, ultimo� comma, cod. civ.), senza alcuna �so1uzione di continuit�, s� che, in particolare, il rieddito del soggetto incorporato confluisce immediatamente iin quello della incoriporante e le attivit� e passivit� delle due diverse preesistenti gestioni si sommano e formano un tutto unico in testa al nuovo soggetto. Le conseguenze, anche in campo fiscale, sono, come indirettamente �� confermato dal disposto del IV comma dell'art. 176 del t.u. n. 645 del 1958,. per quanto attiene allo specifico problema che forma oggetto deHa controversia in esame, che .l'obbligo della diohiamzione dei redditi (e quello ad esso funzionale della compilazione del bUancio) diventa un obbligo proprio e diretto della societ� incoriporante, non gi� la successione in un obhligo preesistente, e che -l'espletamento di tali atti fa nascere in testa alla societ� incorporante la concreta sottomissione all'imposizione, in precedenza esistente solo arllo stato potenzi!aile; ci� in qUJanto, seppure il presupposto dell'imposta � la produzione di un reddito, in concreto, per i soggetti tassabili in base a bilancio (alle cui risultanze l'imposizione stessa � indissolubilmente legata) la preesistente situazione di soggezione alla potest� tributaria in astmtto si trasforma in obbligazione concreta solo nel momento in cui il bilancio viene redatto e la conse-� guente dichiarazione di reddito viene presentata; s� che, nel caso della incorporazione, la societ� incorporante, nel redigere il bUancio dell'incorporata e nel presentare la relativa dichiarazione, viene a soddisfare estinto; continuano pertanto a valere le regole riferibili al soggetto originario, come nel caso di successione fra persone fisiche. Ma soprattutto non pu� essere condivisa l'argomentazione fondamentale della sentenza in esame: per i soggetti tassabili in base a bilancio (sembrerebbe per questi esduslivamente) �sowtanto con la �redazione del bilancio e con ]a dichia-� razione diventerebbe concreta l'obbligazione che anteriormente, pur se il reddito � srtlaito prodotto, eslisterebbe solo ailllo stato potenziale, s� che l'obbligazione nascerebbe direttamente in capo ai1la societ� :incor.i;iorante, 11a sola tenuta alla dichiarazione. Una tale accettazione della teoria c.d. costitutivista, sempre rifiutata dalla giurisprudenza della S.C. (cfr. da ultimo 5 marzo 1980, n. 1471, in ques�to fascicol'o, pag. 345), peraltro limitata ai soli soggetti tassrab:hli in baJSe a bilancio (senza considerare che le stesse norme degli artt. 22 e 124 valgono anche quando una societ� di persone sia incorporata da una societ� di capitali) non potrebbe mai essere sufficiente per determinare effetti tanto rilevanti, quali la nullit� dell'accertamento. :�. comunque evidente che l'obbligazione nasce in capo al soggetto che produce il reddito anche se questo si estingue prima del momento in cui devono essere compiuti gli adempimenti formali della dichiarazione e del bilancio. C. BAFILE .368 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO un obbligo proprio e diretto, non gi� un obbligo altrui iin cui essa sia succeduta. E una indiretta conferma di ci� deriva proprio dal testo delfart. 124 del t.u. del 1958, n. 645, laddove esso dispone che a cura della societ� incorporante deve essere compilato il bilancio cli chiusura che serve di base per la �determinazione definitiva dell'imposta dovuta per l'ultimo esercizio �dei� soggetti estinti (e non gi� �dai� soggetti estinti) la norima, cio�, nella sua chiara formulazione letteraile, indica che 11 debito d'imposta � a carneo diretto della societ� incorporante, che vi � soggetta per aver fatto proprio l'ultimo esericizio � deMa � societ� estinta, non gi� che esso � un debito � della� societ� estinta, ohe ila societ� inc011porante deve soddisfare. E invero, la dichiarazione in questione non � contemplata fra quelle disciplinate nell'art. 28 del t.u., relativo alle dichiariazioni � di redditi altrui�, D'altronde, posto che il domicilio fiscale si determina in funzione della sede del � soggetto � all'imposizione, e posto che in concreto l'imposizione non pu� aver luogo, per i soggetti tassabili in base a bhlancio, se non in funzione delJa compHazione del bilancio e deMa successiva dichiarazione, non vi � dubbio che soggetto all'imposi:llione �, in concreto, la societ� incorporante, nei cui confronti si attua ila potest� impositiva, in precedenza esistente solo come mera potenzialit�, e che, conseguentemente, l'ufficio competente a ricevere fa dichiarazione non pu� essere che queJ1lo nehla cui ciricoscrizione ha sede il soggetto di imposta, ossia Ja societ� incoriporainte, come esattamente � stato posto in ri:lievo :nelJa decisione impugnata. N� pu� ritenersi che, li!n casi del genere, il domicilio fiscale debba essere determinato in funzione del luogo dove si � prodotto i<l reddito, in quanto questo � un criterio sussidiario, previsto dall'ultimo comma dell'art. 9 del t.u. del 1958, per l'ipotesi in curi non risiultino aipplicabiili i commi precedenti; e poich� la dichiarazione deve essere presentata (art. 29, primo comma) all'ufficio distrettuale nella cui circoscrizione si �trova� il domicilio fiscale del soggetto (id. est, del dichiarante, soggetto in 'concreto a!11'imposizione), non par dubbio che, in casi del genere, si debba identificare J'uffioio competente a ricevere la dichiarazione in quelJo del domicilio fiscale del dichiarante al momento della dichiarazione stessa, al momento, cio�, in oui l'obbligo viene adempiuto. N� a Ci� pu� obieUarsi, come fa l'a:mministriazione ricorrente, che in tal modo si rimetterebbe alla volont� dell'incorporata, attraverso la scelta delila societ� incorporante, anche la scelta dell'ufficio impositore, diverso da queMo �naturalmente� competente; a parte, infatti, che l'adduzione di un inconveniente (un mero inconveniente, che non rappresenti cio� una chiara deroga a precise disposizioni ad hoc) non pu� valere come criterio di interpretazione, va comunque rilevato che � addirittura assurda l'ipotesi di una incoriporazione deliberata dalla societ� inc011porata (quanto alla scelta del soggetto incorporante) in funzione unicamente della futura X-�.'.:��<�=. X :-:~--: -:-:��. :--.-��� X-�.'.:��<�=. X :-:~--: -:-:��. :--.-��� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 369 dichiarazione dei redditi e di adempimenti e situazioni giuridiche future, che si vedf�cherainno quaindo la societ� incorporata avr� cessato di esistere nel mondo giuridico e nei confronti deLle quali, pertanto, essa non pu� avere alcun interesse concreto {senza dire, che, a contrario, potrebbe ipotizzarsi, ove il domicilio fiscale e il conseguente ufficio impositore fossero quel1i deMa societ� incorporata, una scelta di tale ufficio da 1parte del:la societ� incorporante, che sceglierebbe ila societ� i.!11corporata in funzione di tali conseguenze). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 giugno 1980, n. 3824 -Pres. ed Est. Sandulli -P. M. Dettori (conf.) -Soc. Ferradra (avv. Gallo) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Vittoria). Tributi in genere -Accertamento tributario -Notificazione -Destinatario irreperibile -Deposito ed affissione presso la casa comunale -E' regolare. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 38, lett. f); cod. proc. civ., artt. 140 e 143). Ove nel Comune in cui deve eseguirsi la notificazione di un atto del procedimento tributario non esistono, per inesatta indicazione del contribuente o per sopravvenuto trasferimento o per altra causa, n� abitazione n� ufficio n� azienda del destinatario della notificazione, questa � legittimamente eseguita, a norma dell'art. 38, lett. f) del t.u. del.le Imposte dirette, mediante deposito presso la casa comunale ed affissione dell'avviso nell'albo comunale, non essendo l'amministrazione tenuta a ricercare il destinatario in luoghi diversi da quello da lui reso noto con la comunicazione iniziale o con quella successiva di variazione e non potendo addossarsi all'amministrazione le conseguenze dell'inosservanza da parte del contribuente dei doveri di lealt� e diligenza su lui incombenti (1). (omissis) Con il primo motivo, la ricorrente -denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 38, lett. g) del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e 145 cod. proc. civ., nonch� l'omessa, insufficiente e contradditto( 1) La decisione accoglie la tesi, sempre sostenuta dall'Avvocatura, che per la notifica di un atto di un procedimento gi� instaurato � sempre precostituito il luogo in cui la notifica va eseguita, s� che non pu� essere imposto all'uffic~o di inseguire il destinatario nei suoi nuovi luoghi di domicilio e non pu� ricadere sull'ufficio l'effetto (per lo pi� irreparabile) dell'inosservanza del dovere che il soggetto passivo ha in via generica di partecipare lealmente al procedimento e specificamente di comunicare le variazioni di domicilio. Se cos� non fosse risulterebbe oggettivamente impossibile in molti casi la tempestiva notifica. La sentenza ora intervenuta ha un precedente puntuale in quella 3 aprile 1978, n. 1503 (in Giur. it., 1978, I, I, 2322) che si riallaccia ad altre pronunce che valorizzavano il collegamento fra dichiarazione del domicilio fiscale e notifica nel luogo dichiarato (Cass., 8 maggio 1976, n. 1619 e 12 maggio 1976, n. 1663, in questa Rassegna, 1976, I, 793 con ampi richiami). Parallelamente per� altre decisioni, 9 370 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ria motivazione su un punto decisivo della controversia -ilamenta che la commissione tributaria centrale abbia ritenuto legittimamente effettuata a norma dell'art. 140 cod. proc. civ., la notmca degli atti di accertamento in base ai quali �l'ufficio ha provveduto ad iscrivere a ruolo le imposte accertate, in quanto, per dichiarazione espressa del messo comunale contenuta nella relata, il procedimento di notifk:azione adottato sarebbe stato quello previsto dall'art. 143 cod. proc. civ., non applicabile, a norma dell'art. 38 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, per la notificazione degli avvisi di accerta1II1ento. La censura � priva di fondamento. Secondo la tesi della ricorrente, la notificazione de11'avviso di accertamento, eseguita (per affermazione del messo comunale) ai sensi dell'art. 38 Jett. f) del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, sarebbe nulla. Secondo l'opinione della commissione tributaria centrale -essendo privo di rilevanza giuridica il richiamo a11'art. 143 cod. proc. civ. faHo in relat~ dal messo comunale -sarebbe legittima la notificazione dell'atto di accertamento, eseguita mediante il deposito di copia neHa casa comunale e l'affissione deH'avviso di deposito nell'albo pretorio, nell'ipotesi in cui la Societ�, destinata~ia della notificazione, non abbia pi� la sua sede sociale nel Comune (di domicilio fiscale). Questa Corte Suprema ritiene che la commissione tributaria centrale -non avendo il messo comunale potuto eseguire la notificazione dell'accertamento nei confronti della societ� ricorirente ne11'ufficio di via �Piemonte, per non avere questa pi� ila sua sede soc~aie in tale luogo abbia correttamente dichiarato validamente eseguita la notificazione dell'accertamento, effettuata mediante deposito di copia nella casa comunale ed affis�sione dell'avviso di deposito nell'albo del comune. La Corte di cassazione ha avuto pi� volte occasione di affermare (cfr., da ultimo, sent. 3 aprile 1978, n. 1503) che le disposizioni in materia di notificazioni di avvisi e di atti del proced�II11ento tributario, contenute nell'art. 38 del t.u. delle leggi sulle imposte dirette approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, hanno il carattere di principi generali applicabili a tutte le imposte erariali, e, quindi, non solo alle imposte dirette, e che in base alla disposizione contenuta nella lett. g) dell'art. 38 ignorando il collegamento fra dichiarazione e notificazione o negando che il contribuente abbia il dovere di indicare con effetto vincolante il domicilio e le sue variazioni, affermano che l'Amministrazione abbia il dovere di individuare anche attraverso ricerche anagrafiche il domicilio reale (Cass., 29 settembre 1976, n. 3181 e 25 ottobre 1976, n. 3845, ivi, 1977, I, 149), giungendo a negare la stessa possibilit� di notifica a soggetto irreperibile ~18 luglio 1979, n. 4297, ivi, 1979, I, 770). Gli orientamenti sono ancora alquanto divergenti. Ormai il problema dovrebbe trovare soluzione su un punto diverso, attraverso la sanatoria della notifica tentata disciplinata dall'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 371 del cit. t.u., non trova applicazione, in materia di notificazione di atti del prooecjimento tributario amministrativo o contenzioso, tra Je altre, la disposizione dell'art. 143 cod. proc. dv. Per modo che -ove nel Comune in oui deve eseguirsi la notificazione di alcuni di tali atti non esistano (come nel oaso di specie), per inesatta indicazione del contribuente o per sopravvenuto trasf�mmento o per qualsiasi altra causa, n� abitazione, n� ufficio, n� azienda del destinatario della notificazione -questa deve essere eseguita a norma della disposizione contenuta nell'iart. 38, lett. f), del t.u. n. 645 del 1958 (la cui conformit� al principio della tutela del diritto di difesa, sancito dall'art. 24 Cost., � stata implicitamente dichiarata dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 giugno 1974, n. 189). In tal caso, quindi, -restando esoluso che l'amministrazione finanziaria sia tenuta a ricePcare il destinatario de1la notificazione in luoghi diversi da quello da lui reso noto alla stessa amministrazione, con la comunicazione iniziale o con quella successiva di varia2iione, e non potendo addossarsi all'amministrazione le conseguenze dell'inosservanza, da parte del contribuente, dei doveri di lealt� e ,di diJJigenza su lui incombenti -la notificazione ha luogo mediante 11 deposito di copia dell'atto nella casa comunale e l'affissione dell'avviso del deposito nell'albo pretorio, senza che sia necessario darne notizia per raccomandata con avviso di ricevimento al contribuente, di cui � ignoto, per sua colpa, il recapito (cfr., in tal senso, Cass., 3 aprile 1978, n. 1503). E -poich�, nel caso di specie, la societ� ricorrente, destinataria della notiificazione, non ha pi� la sua sede sociale nel comrune di Opera ed il messo comunale ha osservato le descritte modalit� nel procedere alla notificazione -deve ritenersi che co!lrettamente la commissione tributaria centrale abbia dichiarato validamente effettuata la notificazione degli avvisi di accertamento nei confronti della societ� ricorrente. Il primo motivo di ricorso, � quindi da disattendere. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 giugno 1980, n. 3956 -Pres. Vigorita Est. Sensale -P. M. Minetti (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico) c. Marra. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Vendita fra parenti -Ap plicazione della nonna vigente al momento della stipulazione dell'atto. (d.!. 8 marzo 1945, n. 90, art. 5; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, artt. 25 e 77). La nuova disciplina dell'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, in materia di vendita fra parenti, non avendo natura processuale, non si applica agli atti formati sotto il vigore della precedente normativa (1). (1) Viene confermata l'esatta pronuncia 25 luglio 1978, n. 3709, in questa Rassegna, 1978, I, 747. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 372 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 giugno 1980, n. 3998 -Pres. Vigorita Est. Sensale -P. M. Ferraiolo (conf.) -T,ruoato c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Avanzo). Tributi erariali diretti -Accertamento � Modificazione per sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi � Analiticit� dell'accertamento da modi� ficare � Non � necessaria. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 35). Per la modificabilit� dell'accertamento per la sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi a norma dell'art. 35 del t.u. delle imposte dirette, non si richiede che l'accertamento da modificare sia motivato analiticamente, trovando la norma applicazione per ogni tipo di accertamento (1). (omissis) Con il primo motivo il ricorrente, ai sensi dell'art. 360, n. 3 e 5, cod. proc. civ., denunzia la violazione dell'art. 35, primo comma, del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, nonch� il vizio dii omessa o, comunque, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, deducendo che, in presenza di un accertamento sintetico per effetto della pura e semplice adesione del contriibuente, non sussiste per l'amministrazione il potere d'integrazione o di modificazione dell'accertamento in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, poich� non � possibile in tal caso, stabiliire il carattere di novit� degli elementi di conoscenza sui quali si basa l'accertamento integrativo n� � consentito desumere aliunde tale carattere, come la Corte di merito ha ritenuto di poter fare, con un giudizio meramente tirpotetico. La censUTa � infondata. L'art. 35, priimo comma, del t.u. 645/58 consente ~'integrazione o la modificazione dell'accertamento, ancorch� sia intervenuta l'adesione del contribuente, in base alla sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi e cio� di elementi del tutto ignorati daH'ufficio al momento del primo accertamento e che, 1se prima conosciuti, avrebbero dato luogo ad una diversa e maggiore v,alutazione dell'imponi.bile acoertato. '� escluso che possa trattarsi di elementi gi� noti e ritenuti non influenti ai fini della determinazione del reddito imponibtile o insufficientemente valutati nella loro preesistente interezza, poich� la potest� di cui alla norma citata non � accordata all'Amministrazione al fine di correggere errori di apprezzamento commessi in precedenza. La norma non dice che il primo accertamento debba essere analitico e ci� si giustifica coordinando il primo comma dell'art. 35 con iJ succes (1) Decisione evidentemente esatta. Per la modificabilit� dell'accertamento quel che conta � soltanto la conoscenza da parte dell'ufficio; non importa invece che l'elemento sia stato o meno utilizzato. Non � quindi in base alla motivazione dell'accertamento che si pu� stabilire se il fatto fosse o meno conosciuto. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA sivo art. 37, che, se da un lato prescrive l'analitica motivazione dell'accertamento (primo comma) dall'altro non la richiede per l'accertamento dei redditi non dichiarati dal contribuente o dichiarati senza l'indicazione anailitica degli elementi attivi e passivi r(terzo ,comma). Se la tesi del ricorrente fosse fondata si dovrebbe concludere che la potest� d'integrazione o di modificazione dell'accertamento sarebbe preclusa all'amministrazione nei confronti del contribuente che mali2liosamente abbia omesso di dichiarare i suoi redditi o li abbia dichiarati senza la indicazione analitica degli elementi attivi e passivi; e fa disciplina normativa favorirebbe l'evasione fiscale, che il legislatore tende invece ad impedire e a combattere. La stessa ratio che � aihla base della non analiticit� dell'accertamento (cio�, l'omessa o non analitica denunzia del conki� buente) giustifica, quindi, anche in questo caso, la potest� d',irltegrazione dell'accertamento. Che l'analiticit� dell'accertamento non sia circostanza detel'm1rlante al fine dell'esercizio da parte dell'amministmzione del potere d'integrazione risulta anche dalla considerazione che, se da un fato l'indicazione degli elementi per la determinazione del ireddito offre sicure ragioni per escludere la novit� della conoscenza di quegli elementi al fine dell'integrazione dell'accertamento, dall'altro l'omessa indicazione di tailuni elementi non sarebbe sufficiente a giustificare tale integl'.'azione, ove si dimostrasse che gli elementi omessi fossero tuttavia noti all'Ammiinistrazione e siano stati ritenuti ininfluenti ai fini della determinazione del reddito imponibile o insufficientemente valutati. Allo stesso modo deve ritenersi che la sinteticit� dell'accertamento per sua natura non offre elementi di valutazione soltanto nei casi in cui non sia altrimenti certo che la conoscenza dei fatti posti a base del nuovo accertamento sia successiva al primo. Tutto si risolve, quindi, in una indagine di merito, che nel caso concreto � sorretta da adeguata motiva2lione, essendosi rilevato che -omessa la prescritta dichiarazione del contribuente -l'ufficio era stato costretto a rricorrere in un primo momento ad un accertamento concordato sinteticamente e divenuto definitivo per non essere stato impugnato nel termine di decadenza stabiHto dall'art. 34 del t.u.; e che venuto a conoscenza, certamente (e non in via di mera ipotesi) in un momento successivo, della percezione da parte del contribuente di un reddito occultato di R.M. cat. C/1, costituito dalla provvtigione di lire 209.423.336 da lui incassata a titolo di mediazione nell'anno 1965 -legittimamente aveva ritenuto che tale guadagno facesse-presumere un reddito soggetto ad imposta complementare di gran lunga maggiore di quello definito con l'adesione del contribuente in liire 2.740.000, il cui ammontare era inequivocamente indicativo dell'occultamento, da parte del contrtibuente, del maggior reddito e dell'ignoranza, da parte dell'ufficio, delle fonti di reddito occultate. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� luglio 1980, n. 4140 -Pres. MiTabelli Est. Martinelli -P. M. Valente (conf.) -Rossi (avv. Guidi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Viceconte). Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione sintetica -Dichiarazione non corredata dei documenti contabili -Legittimit� -Invito a produrre la documentazione -Non � necessario. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 39 e 117). Legittimamente l'ufficio ricorre all'accertamento sintetico quando la dichiarazione non sia corredata dei documenti contabili prescritti; non � necessario che l'ufficio inviti preliminarmente il contribuente a norma dell'art. 39 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 a present�re le scritture mancanti (1). (omissis) Con l'unico e complesso motivo la ricorl'enrte, lamentando la violazione degli artt. 39, 118 t.u. n. 645 del 1958 in relazione aM'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., censura l'impugnata decisione per aver erroneamente, ritenuto che l'ufficio distrettuale delle imposte dirette possa procedere ad accertamento induttivo e sintetico nei confronti di soggetto non tassabile in base a bilancio, qualora la denuncia dei redditi, sebbene anailitica, non sia stata accompagnata dalla prescritta dooumenta:llione giustificativa, senza disporre la preventiva richiesta d'informazione (ex art. 39 n. 1 t.u. cit.); per avere, inoltre, affermato la legittimit� del ricorso aJ.I'accertamento induttivo o sintetico in caso di ,asserita mancanza o irregolarit� di scritture contabili; senza ohe tale omissione risulti dail prescritto verbale previsto dal penulTiimo comma dell'art. 39 citato; oppure facendo riferimento ad altre circostanze o notizie acquisite dall'ufficio distrettuale delle imposte. La censura � destituita di fondamento. Va, innanzitutto, rilevato che la commissione centrale ha, esattamente, posto in luce ohe l'ufficio ha proceduto ad accertamento i'll!duttivo del reddito, soggetto ad imposta di recchezza mobile (cat. B), e concorrente, di conseguenza nel reddito complessivo soggetto ad imposta complementare, facendo riferimento ai diversi valori emergenti dai contratti di vendita degli immobili (costituenti oggetto dell'attivit� commerciaile esercitata dalla societ�) e debitamente registriati; di gran lunga superiori a quelli indicati nella denuncia dei redditi. Stante l'evidente ,discol'danza tra gli anzidetti valori, � incontrovertibile la legittimit� dell'operato dell'ufficio che 1ha proceduto ad accertamento in rettifica, fornendo adeguata (1) Il principio della massima � stato riconfermato con la sentenza 30 ottobre 1980, n. 5827, di cui si omette la pubblicazione. Decisione indubbiamente esatta che pone in rilievo un ulteriore aspetto del problema: l'invito al contribuente a presentare i documenti non � mai un dovere dell'ufficio. fil t=f: ~ � ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA motivazione a sostegno di detto accertamento (ex art. 39, ultimo comma, t.u. n. 645 del 1958). Per completezza di motivazione, va, peraHro, rilevato (conformemente ad un consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte) che l'ufficio distrettuale delle imposte � legittimato a procedere ad accertamento induttivo e sintetico nel caso in cui il contribuente, �soggetto non tassabile in base a bilancio �, abbia presentato -come nella specie, -una denuncia di reddito, che, seppure ana:litioa, sia sprovvista del1a prescritta documentazione giustificativa. Tale conclusione irisulta suffragata da quanto disposto dall'art. 117 t.u. oit. che per quanto riguarda i soggetti non tassabili in base a bilancio, impone alla p.a. di procedere ad accertamento analitico soltanto nel caso in cui fa denuncia assuma tale carattere, ed esista la documentazione giustificativa delle attivit� e passh~it�. N� pu� ritenersi fondato l'assunto prospettato dalla ricorrente, la quale rileva che la p.a. in mancanza di detta documentazione giust:idicativa, non possa procedere ad accertamento induttivo e sintetico se non dopo aver ,richiesto e non ottenuto, le necessarie informazioni (ex art. 39 n. 1 t.u. cit.). Infatti, � indubbio che tale richiesta non costituisce un atto dovuto o un onere per l'amministrazione finainziaria. Ci� si desume, oltre che dalla chiara formuilazione Jetterale degli artt. 39, 117 t.u., dall'evidente � :riatio � su cui si fondano dette disposizi�ni. Pertanto, ove il contribuente intenda far valere nei confronti dell'ufficio una pretesa ad �ottenere, �in caso di accertamento in rettifica, un'individuazione analitica e motivata dei redditi nel l.oro an e nel loro quantum, � tenuto al rispetto degli adempimenti pTevisti dalla legge per la presentazione della denlincia dei vedditi, ivi compresi quelili contemplati nell'art. 117 nei confr�nti di soggetti non tassabili in base a bilancio. La legittimit� dell'accertamento di ufficio in ordine al reddito di ricchezza mobile, cos� come � posto in evidenza dalla commissione centrale, comporta l� conseguente legittimit� dell'accertamento in ordine rulo stesso reddito considerato ai fini dell'imposta complementare. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 luglio 1980, n. 4189 -Pres. Marchetti Est. Zappulli -P. M. Cantagalli (conf.) -Rubino (avv. Lanciari) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi (in genere) -Contenzioso tributario � Giudizio di terzo grado � Ricorso alla commissione centrale � Rinuncia per ricorrere alla Corte d'appello -Inammissibilit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art.' 40). Il ricorso proposto innanzi alla commissione centrale preclude in ogni caso la proposizione della impugnazione innanzi alla Corte d'appel RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 376 lo anche se sia stata fatta dichiarazione di rinuncia al ricorso alla commissione centrale (1). (omissis) Il ricorrente Rubino ha censurato la sentenza impugnata, con. l'unico motivo del ricorso, per violazione degli artt. 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, e 1 terzo comma, del d.l. 10 dicembre 1976, n. 798, per avere ritenuto la corte di merito ohe l'lintervenuto ritiro o rinunzia per il ricorso proposto alla commissione tributaria centrale non legittimava la conseguente proposizione dell'azione innanzi la Corte d'appello, mentre, secondo il ricorrente, non essendo assoluta l'alternativiit� tra i due mezzi di impugnazione, quel ritiro avvenuto prima della scadenza del termine di sessanta giorni previsto dall'art. 25 dello stesso decreto impediva che fosse � consumato il gravame in quella sede � e rendeva possibile la presentazione dell'impugnazione innanzi quella Corite. Il ricorrente, inoltre, ha sostenuto che la proroga del termine previsto dall'art. 1 del citato d.l. n. 798 del 1976 non si applicava nel caso di gravame inoonzi il giudice ordinario. Il motivo � infondato. Invero, il suddetto art. 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, ha posto una precisa e rigorosa alternativa tria Je due impugnazioll!� della decisione della commissione tributaria di secondo grado :innanzi la Corte d'appello o innanzi la commissione tributada centmle, richiedendo per la prima ohe sia � decorso inutilmente per tutte le parti :fil termine � per la seconda. Quest'ultimo, ovviamente, non pu� ritenersi � .inutilmente decorso � quando l'impugnazione diretta alila commissione centrale sia stata presentata perch� essa ha consumato, automaticamente e necessariamente all'atto della presentazione stessa, il potere di impugnazione e la corirelativa scelta, dando luogo a quella condizione di legge che preclude H gravame innanzi la Corte d'appello previsto dalla citata norma, indipendentemente da ogni evento successivo. N� al riguardo pu� avere alcun valore Il ri1liro, chiesto dal ricorrente fuori di ogni norma processuale, o fa �rinunzia a[ ricorso stesso perch� (1) Decisione esatta sul tormentato problema della alternativa delle due impugnazioni di terzo grado. La proposizione del ricorso alla centrale produce l'effetto di designare per tutte le parti la commissione centrale come giudice della impugnazione. Da questo momento tutte le altre parti, che non possono pi� proporre l'impugnazione alla Corte d'appello, sono vincolate alla scelta fatta dalla parte pi� diligente; per questa ragione si deve ritenere che la rinuncia al ricorso alla centrale non pu� riaprire la strada per il ricorso alla Corte d'appello in quanto la rinuncia non pu� produrre effetti che toccano le altre parti. Resta a vedere se la rinuncia, che non produce effetto sulla proponibiliirt� diel!l'impugnazione ailla Corte dlappello, vai]ga come tale per il ricorso alla commissione centrale; se cio� diventino improponibili ambedue le impugnazioni. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA talle rinunzia, -(a prescindere dall'assenza di ogni presentazione o indica zione di procura da parte dell'avvocato che la sottoscrisse, rHevata nella sentenza impugnata) -, ITTon ha effetto retroattivo, e non esclude, e ru:J.2)� presuppone, che l'impugnazione rinunziata sia stata presentata effettiva mente. Non pu�, perci�, ritenersi che in virt� di essa iJI ricorso sia da considerare tamquam non esset e che la condizione impeditiva del gravame innanzi il giudice ordinario non si sia anteriormente verificata. Al riguardo non ha pregio l'osservazione del ricorrente sulla non assoggettabilit� di quella rinunzia ad accettazione della controparte. Invero, -indipendentemente dal fatto ohe nel procedimento innanzi le commissioni tributarie non � prevista una forma di costituzione distinta dalla presentazione degli opposti ricorsi e delle rispettiive memorie e che, quindi, non potrebbe trovare applicazione, in assenza di atti della controparte, la norma dell'art. 306 cod. proc. civ. sull'accettazione delle parti costituite, -la rinunzia non perde, per questo, il suo carattere di fatto sorpiravvenuto e non acquista la retroattivit� attribuitagli dal ricorrente senza che aJcuna norma di legge consenta quella diversit� di effetti rispetto alla rinunzia disciplinata dal comune codice di rito. N� possono trovare accoglimento le ulteriori deduzioni contenute nella memoria del ricorrente, secondo [e quali tale diversit� di effetti sarebbe consentita dalla natura amministrativa degli organi del contenzioso tributanio e dalla qualificazione del procedimento innanzi le commissioni tributarie come iter amministrativo, in virt� del quale il � ritiro o meglio abbandono del ricorso � alla commissione centraile non implica rinunzia all'azione, cos� come in materia di previdenza o di ricorsi gerarchici i relativi procedimenti sono soltanto condizione per iJ. rpromovimento dell'azione innanzi il giudice ordinario o amministrativo. Infatti, il carattere giurisdizionale delle commissioni tributarie � stato costantemente riconosciuto, sia per il periodo anteriore sia per quello posteriore al decreto medesimo, dalla Corte costituzionale (dee. 3 agosto 1976, n. 215) e da questa Corte (sent. 7 novembre 1974, n. 3392; 25 maggio 1973, n. 1530; 27 maggio 1972, n. 1665), onde � stato costantemente ammesso il ricorso a questa corte di fogittimit� ex art. 111 della Costituzione, ohe non pu� essere, invece, proposto avverso provvedimenti di carattere non giurisdizionale. L'obbligatoriet�, rilevata dal ricorrente, dei primii due gradii innanzi le commissioni tributarie per la proponibilit� della successiva a:ziione giudiziaria � nella struttura della Corte d"appello � non solo non in!ficia la tesi della giurisdizionalit� detle commissioni tributarie in genere, ma anzi la rafforza. Essa da un lato ha creato un diretto collegamento tra le commissioni di primo e di secondo grado e quella della corte, tanto che nell'art. 40 del citato d.P.R. del 1972 il termine di �.impugnazione� innan:zii lia stessa manifesta la continuit� e unitariet� del procedimento, dall'altro, con l'attribuire la competenza per la materia tributaria a quel giudice che nell'ord� 378 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO namento giudiziario ha normalmente funzioni d'appello, ha accentuato tale continuit�. In certo modo, la nuova legge ha dato luogo ad una equiparazione parziale tra il giudice ordinario di primo grado e quelle commissli. oni tributarie territoria!li, pur aggil(J[lgendo un altro grado per le stesse per esigenze di maggiore avvicinamento agli uffici finanziari e ai singoli contribuenti in questo ulteriore decentramento, anche in co.nswerazione della loro pi� ampia competenza estesa alle estimazioni semplici. Pertanto, a causa della diversit� delle iregolamentazioni rispettive e per il carattere e la struttura delle commissioni suddette, non ha alcun rilievo quel richiamo a materie estranee e diversamente disciplinate. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 lugldo 1980, n. 4277 -Pres. Mirabelli Est. Gualtieri -P. M. Valente (conf.) -Mastropietro c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Ferri). Tributi erariali diretti -Accertamento tributario -Incompetenza dell'ufficio tributario -Nullit� assoluta -Rilevabilit� d'ufficio. Poich� la competenza per territorio nella materia amministrativa ha carattere funzionale ed inderogabile, l'accertamento tributario emesso da un ufficio incompetente � assolutamente nullo e detta nullit� pu� essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento tributario avente per oggetto l'atto medesimo (1). (omissis) Con il primo motivo, denunziando erria1Ja interipretazione ed applicazione degli artt. 9, 21, 29 e 33 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e 28 e 38 codice di rito, nonch�, in genere, delle norme rela1Jive alla competenza funzionale dell'ufficio finanziario, il ricorrente deduce che ha errato la commissione tributaria centrale nel ritenere che gli atti posti in essere da (1) La massima che pure ha un precedente nella sentenza 19 ottobre 1977, n. 4462 (in questa Rassegna, 1977, I, 863) non pu� essere totalmente condlivisa. Sono esatte le premesse che la nullit� dell'accertamento comporta un vizio sostanziale del potere di pretendere il tributo e si pu� anche ammettere che l'incompetenza dell'ufficio renda l'accertamento nullo, ma non inesistente. Non si pu� tuttavia condividere l'affermazione che il vizio di incompetenza dell'accertamento, quale atto amministrativo, possa essere rilevato d'ufficio in ogni stato e grado. Se � vero che il potere attribuito agli organi amministrativi non pu� essere esercitato al di l� dei limiti assegnati, non si pu� certo dire che il vizio di incompetenza, anzich� essere oggetto di una impugnazione di legittimit�, pu� essere rilevato con una mera pronuncia declaratoria in qualunque tempo e sede. Si deve anche osservare che la decisione sulla competenza dell'ufficio comporta un esame di fatti e prove che devono essere tempestivamente dedotti PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 379 ufficio tributario incompetente per territorio non siano � nulli e inefficaci ma soltanto invalidi >>, laddove avrebbe dovuto affermare il principio che un atto amministrativo di natura tributaria � assolutamente nullo quando sia compiuto da un organo la cui incompetenza sia evidente prima facie, come avviene nell'ipotesi di incompetenza territoriale, per cui 1a relativa eccezione, solleviata da esso ricorrente aH'udien:lla di discussione in primo grado non avrebbe dovuto essere considerata tardiva dallla commisisione. La censura � sostanziailmente fondata. Devesi rilevare che l'accertamento tributario riveste contemporaneamente carattere sostanziale e processuale poioh�, mentre, da un lato, costituisce elemento essenziale del rapporto giw:Wdico di imposta, in quanto indica che si sono verificati in concreto i presupposti per '1'appHcazione del tributo secondo la valq.tazione degli elemen1li di fatto e ne determina l'imponibile e, divettamente o no, la relativa imposta, daJ:l'altro, esso contiene l'affermazione della pretesa tributaria ben determinata, susce1JtlibiJe, dopo la notificazione dell'avviso quale provocatio ad agendum, di divenire esecutiva (cfr. sent. sez. un. 21 settembre 1970, n. 1635). Da questo contenuto bivalente dell'accertamento tributario consegue che, secondo che siano dedotti vizi del suo aspetto sostailZ)iale o di quehlo processuale, vanno diversamente regolati l'ammissibilit� dei motivi ed eccezioni ad esso riferentisi innanzi al giudice o:ridinanio e gli effetti delle decisioni delle commissioni tributarie. Al riguardo, non pu� dubitarsi ohe ha carattere sostanziale ogni ques1lione concernente il potere di applica� re l'imposta, sia per il lato oggettivo dell'esistenza dei suoi presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge, sia per il lato soggettivo della competenza dell'ufficio che vi procede. E poich� la competenza, nell'ambito generale delle attivdt� della pubblica amministrazione � �il complesso delle potest�, ossia deJ!le funzioni, che ciascun organo � autorizzato ad esercitare, entro i limiti, non solo d1 tempo, ma anche di �Spazio, nei quali l'agente possa essere considerato autorit� amministrativa, la competenza territoriale � determinante per la stessa esistenza del singolo atto amministrativo. Consegue che l'atto posto in essere fuori di dettli limiti (si pensi al provvedimento di un pre� fetto destinato a operare in una provincia diversa da quella alla quaJ!e perch� l'altra parte possa esercitare la difesa (la menzionata sentenza ha ad esempio ritenuto che non sussiste incompetenza dell'ufficio quando il contribuente abbia presentato la dichiarazione allo stesso ufficio incompetente) s� che deve escludersi che la statuizione possa intervenire sorprendendo le parti (per un caso di individuazione particolarmente laboriosa della competenza dell'ufficio e tale da escludere sicuramente la rilevabilit� d'ufficio v. la sentenza 2 giugno 1980, n. 3596, in questo fascico1o, pag. 366). Se perfino l'incompetenza territoriale del giudice non pu� essere pronunciata senza eccezione della parte � poco credibile che l'incompetenza dell'organo sia rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado. 380 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO egli sia preposto) deve ritenersi, secondo la dottrina, inesistente; quanto meno esso � affetto da nullit� assoluta proprio per mancanza di potere dell'organo che lo ha emesso e avendo la competenza per territorio, nella materia amministrativa, carattere funzionale e inderogabile. Quindi, il difetto di potere, quando riguardi l'accertamento tributario (che � atto amministrativo), costituisce un vizio sostanziale e radicale che ne importa la nullit� assoluta, rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento tributario, avente per oggetto l'atto medesimo (cfr. sent. 19 ottobre 1977, n. 4462). fai virt� di questo carattere sostanziale del dedotto vizio di incompetenza territoriale de1l'ufficio II.DD. di Montepulciano (che notific� al Mastropietro tre avvisi di accertamento dei redditi di R.M. e complementare per gli anni 1967, 1968 e 1969) e della sua rilevabilit� in ogni stato e grado del procedimento, va negata ogni possibilit� di applicazione, nella fattispecie, della norma dell'art. 19, quarto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sulla revisione della disciplina del contenzioso tributario, secondo cui il contribuente pu� dedurre motiivi ed eccezioni, ancorch� non indicati nel ricorso, fino a dieci giorni precedenti la prima udienza avanti la commissione di primo grado. Ha errato, pertanto, la commissione tributru:iia centrale, nell'escludere il carattere assoluto della nrutllit� in parola e nel rutenere, per conseguenza, intempestiva la relativa eccezione, sollevata dal Mastropiietro dopo il termine suindicato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 1uglio 1980, n. 4322 � Pres. Vigoriita Est. Martinelli -P. M. Catelani (comf.) -Ministero deHe Finanze (avv. Stato Viola) c. Soc. SEGES. Tributi erariali indiretti -Imposta sull'entrata -Condono -Termine per il pagamento r 1!: perentorio. (d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 8). Ai fini dell'applicazione del condono concesso con il d.l. 5 novembre 1973, n. 660, in materia di imposta sull'entrata, � necessario che il contribuente rispetti il termine perentorio previsto dall'art. 8 per quanto attiene sia alla presentazione della domanda sia al pagamento del tributo nella misura stabilita dalla legge (1). (1) Giurisprudenza costante opportunamente riconfermata (Cass., 19 febbraio 1980, n. 1218, in questa Rassegna, 1980, I, 823). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 381 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 luglio 1980, n. 4652 -Pres. Granata Est. Corda -P. M. Grossi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano) c. Barbato (avv. Miele). Tributi erariali indiretti -Imposte ipotecarie -Sanzioni -Sistema di applicazione del tributo -Distinzioni. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635, artt. 7 e 17). Il sistema di applicazione dei tributi ipotecari si articola in due diverse categorie di prelievo: una prima che prevede il pagamento dell'imposta, di facile liquidazione, nelle mani del conservatore dei registri immobiliari in occasione della richiesta di formalit� ipotecarie; una seconda che prevede il pagamento di una imposta proporzionale sulla stessa base imponibile della imposta di trasferimento presso l'ufficio del registro contemporaneamente al pagamento dell'imposta di registro o di successione. Per le imposte della seconda categoria, l'omesso pagamento, che si manifesia con la omessa richiesta di trascrizione (art. 17, primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635) d� luogo ad una pena pecuniaria la cui entit� � riferita all'ammontare dell'imposta evasa. � poi prevista una sanzione (art. 17, secondo comma) per l'omessa richiesta della formalit�, sia nel caso che sia dovuta una imposta fissa o da prenotarsi a debito sia nel caso che non sia dovuta alcuna ulteriore imposta per essere gi� avvenuto il pagamento dell'imposta proporzionale (1). (omissis) Con l'unico motivo di esso, la 11icorrente amministrazione finanziaria dello Stato -nel denunciare la vti.olazione dell'art. 17 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635 -sostiene che nel caso di specie (caratterizzato dal fatto che l'omessa presentazione al conservatore dei registri immobiliari, nel termine di trenta giorni della nota di trascrizione, concerneva un atto soggetto all'imposta ipotecaria proporzionale) la sanzione applica( 1) La sentenza � sicuramente molto istruttiva; forse non tutte le considerazioni in essa contenute sono incontrovertibili, ma sembra da condividere il criterio generale: in sostanza, quando � stabilito il pagamento presso l'ufficio del registro di una imposta, per l:o pi� propor2lionaile, si p!'evede una duplice sanzione: a) per l'omesso pagamento, enunciato (primo comma dell'art. :17) sotto forma di omessa richiesta di trascrizione (che poi si concretizza in omessa richiesta di registrazione o omessa dichiarazione di successione); b) per l'omessa richiesta di formalit� malgrado l'avvenuto pagamento della imposta. Negli altri casi opera soltanto la sanzione del secondo comma per l'omessa richiesta di formalit� e non si d� carico all'omesso pagamento dell'imposta, fissa o da pre!notarsi a debito. In modo autonomo � disciplinata la sanzione per l'omessa trascrizione (da parte del capo dell'ufficio del registro) del certificato di denunziata successione (terzo comma). In alternativa alla pena pecuniaria del primo comma � dovuta una soprattassa quando l'imposta anzich� omessa sia pagata con ritardo (ultimo comma). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bile, per la ritardata presentazione deLla nota di trascrizione, era quella prevista dal primo comma dell'art. 17. Avrebbe errato quindi la commissione tributaria centrale nel ritenere che la sanzione applicabile era quella prevista dal secondo comma. La censura � priva di fondamento. Il sistema di applicazione dei tributi ipotecari, com'� noto, si articola in due diverse categorie di prelievo. Da un lato, si configura una disciplina che pu� dirni tipica, iin quanto applicabile a tutte le ipotesi per le quali non sia, dalla legge, prevista espressamente una particolare regolamentazione. Nel suo ambito, 1spioca la caratteristica ohe il versamento delle somme stabilite dalla legge deve essere effettuato, in occasione della richiesta della formalit� ipotecaria, nelle mani del converisatore dei registri immobiliari e costituisce condizione necessaria per l'esecuzione della pubblicit� (art. 7, terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635). In questo caso, l'attivit� di accertamento del conservatore si estrinseca esclusivamente in 1i1spezioni e controlli documentali, poich� la determinatlone quaintitativa del tributo � effettuata direttamente dalla legge, in misura fissa (artt. 3, 4, 7, 8, 9, 10, 12 e 15 della tariffa allegata al decreto presidenziale), ovvero risUJlta dall'applicazione di aliquote proporzionali alla somma per cui sono effettuate le formalit� ipotecarie (immediatamente risultanti dalle relative note o domande: art. 4 del citato decreto presidenziale e 11, 13 e 14 della tariffo, ali. A). Tale disciplina � applicabile ai tributi proporzionali sulle iscrizioni e sugli annotamenti (artt. 1, 2, 11 e 14 della predetta tariffa), nonch� ai tributi fissi su iscrizioni, annotamenti e trascriziOl!l�. Nel suo ambito, il tri!buto (riscosso dal Conservatore) assume a presupposto, com'� intuitivo, l'esecullione della formalit� ipotecaria. La seconda disciplina, invece, � quella relativa ai tributi proporzionali sulle trascrizioni (compresi quelli per la trascrizione del certificato di denunciata succession�, che � disposta esdusivamente a .fini fiscali: art. 14, terzo comma, del decreto presidenziale), nonch� alle imposte fisse dovute per gli atti soggetti aM'i.v.a. e quelle dovute per trascrizione obbligatoria in forza del medesimo atto o sentenza assoggettati ad imposta proporzionale. Di tale disciplina � caratteristico il fatto che i tributi vengono riscossi dagli uffici del registro e di successione e contemporaneamente alle dette imposte proporzionali sui trasferimenti per atti tra vivi o mortis causa (art. 7, primo e secondo comma). Nell'ambito di questa seconda disciplina, i tributi riscossi (dall'ufficio del registro) hanno presupposto identico a quelli delle imposte di registro o di succes�sione, ossia la (semplice) formazione dell'atto o l'apertura della successione traslativi di diritti immobiliari (tanto che, se anche la trascrizione non venga poi effettuata, l'imposta pagata all'ufficio del registro non potr� essere restituita). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIJlUTARIA Sempre nell'ambito di questa seconda disciplina, va ancora :Posta in rilievo la caratteristica che, allo11ch� al conservatore dei registri irrurnobiliari viene demandata 1a trascrizione, non deve essere pagata, per quella formalit�, alcuna imposta ipotecaria, poich� la stessa (in misura proporzionale) � gi� stata versata aJ.l'ufi�icio del registro. Al predetto conservatore, cio�, viene solo presentata la nota per la trascrizione e su questa � richiesta di formalit� � sono dovuti solo gli emolumenti e i diritt!i di scritturato (legge 23 ottobre 1969, n. 789 e 25 luglio 1971, n. 545), i quali, evidentemente, non sono � imposta ipotecaria�. La detta richiesta dri formalit�, rivolta al conservatore dei registri immobiliari, � pertanto �non soggetta ad imposta�. Ora, dopo questa precisazione di carattere sistematico, riesce senz'altro agevole spiegare l'ambito di applicazione de:ll'art. 17 del citato d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635, disciplinante le sanz!ioni per le �omissioni� in esso ~ndicate. Il primo comma stabilisce che per �l'omissione della richiesta di trascrizione degli atti e sentenze e di ogni altra trascrizione obbligatoria 1si applica la pena pecuniaria .da una a tre volte l'imposta�. Il successivo comma, a sua volta, stabilisce che �per l'omissione della richiesta di formalit� di trascrizione o di annotamento soggetta ad imposta fissa o non soggetta ad imposta o da eseguirsi a debito si applica la pena pecuniaria da lire diecimila a lire centomila�, Le due fattispecie, delineate dalle su riportate disposizioni, sono, quindi, facilmente .individuabili. La prima � quella concernente l'omesso pagamento, all'ufficio del registro, dell'imposta (proporzionale) dovuta per fa trascri:z;ione, quando quest'ultima sia resa obbligatoria dalla natura dell'atto: omesso pagamento che in tanto pu� verificarsi, in quanto sia omessa la richiesta di trascrizione. La disposizione, com'� chiaro, riguarda il caso in cui la trascrizione sia obbligatoria: non �, infatti, concepibile la comminatoria cli una sanzione se non in rapporto a una obbligatoriet� disposta dalla legge (articoli 2643 e �segg. cod. civ.). Questa osservazione, per�, non pu� non valere anche in refazione alla disposizione contenuta nel secondo comma. Detta disposizione, quindi, non pu� che riguardare l'omissione di una richiesta (rivolta, in questo oaso, al conservatore dei registri immobiliari) resa obbligatoria della legge, di una formalit� che sia: a) soggetta a imposta fissa; b) o non soggt<tta ad imposta; e) ovvero da eseguirsi a debito. Non, quindi, qualunque omissione � sanzionata (pur in relazione a queste tre ipotesi), ma solo quella che sia da ricollegare alla stabilita obbligatm1iet� della trascrizione. Ora, quali siano le formalit� soggette a imposta fissa � stabilito espressamente dalla tariffa allegata al decreto presidenziale in esame (artt. 3, 4, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 6, 7, 8, 9 e 10); quali si.ano, poi, le formalit� da eseguirsi a debito � stabilito dall'art. 11 dell detto decreto: ed � ovvio che per stabilire della loro obbligatoriet� (nel senso di ritenere sanzionabile l'omissione) dovr� pur sempre farsi riferimento alla natura dell'atto e, perci�, a11e richiamate norme dcl codice civile. Cos�, ad esempio, se non viene richiesta la trascrizione � di atti o sentenze che non trasferiscono la propriet� di beni immobili o di diritti capaci di ipoteca� (art. 9 della tariffa), ossia viene omessa la richiesta di una formalit� (soggetta, nel caso in cui veniga richiesta, ad imposta fissa) relativa a un atto per il quale la tmscrizione non � obbliigatoria, la sanzione non sar� ovviamente aipplioabile. Quest'ultima sar�, iinvece, applicabile se l'omessa richiesta di formalit� riguardi, ad esempio, una � trascrizione necessaria nelle procedure di fallimento (art. 11, n. 4 del decreto presidenziale), in relazione 'alla quale la formalit� deve essere eseguita a debito. La terza ipotesi � quella concernente l'omessa richiesta di formalit� � non soggetta ad imposta �. Il caso considerato �, come appare evidente, quello dell'omesso compimento di un'attivit� necessaria per la completa attuazione del meccanismo della trascrizione, cio�, in definitiva, dell'omessa presentazione, aiJ. conservato: rie dei registri immobiliari, delle note di trascrizione, in relazione a un atto soggetto all'imposta proporzionale (gi� pagata a!ll'ufficio del registro), ovvero non soggetto alla stessa se la t:mscrizione � eseguita nell'interesse delle amministrazioilli dello Stato (art. 12 del decreto presidenziale). In nessuno di questi casi, invero, la fonnalit� della presentazione delle note di trascrizione � soggetta ad imposta: e ci�, si ritiene, perch� gi� l'imposta proporzionaile � stata pagata, ovvero non � dovuta; ma sarebbe fo:rise pi� esatto diTe ohe l'imposta non � dovuta per ta!le formalit� semplicemente perch� il legislatore ha omes,so di menzionarla fra quelle che ai sensi delia tariffa, sono soggette all'imposta fissa. Va rico!'dato, per chiarezza di esposizione, che allorquando viene domandata la trascrizione di un atto in relazione al quale fa trascrizione stessa non � obbligatoria, la sola formalit� da compiere � quella della presentazione delle note a:l conservatore dei registri immobiliari. In tal caso, ila sola imposta dovuta � quella �fissa�, secondo ill disposto dell'art. 9 della tariffa; di modo che, colui che domanda la wascrizione � tenuto a pagare, al conservatore, l'imposta predetta al momento del compimento della formalit�, ossia al momento della presentazione delle note di trascrizione. Quando, invece, la stessa richiesta di formalit� riguarda un atto in relazione al quale la trascrizione � obbligatoria, il Tichiedente pu� farne presentazione solo se, prima, abbia pagato (UIIli�tamente a quella di registro) la relativa imposta proporzionale, salvo che l'atto sia �non soggetto alle imposte�, ai sensi del citato airt. 12 del decreto presidenziale; e quando tale condizione sia stata adempiuta, potr� richiedere la formalit� al con PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA servatore, senza il pagamento di alcune (ulteriore) imposta, ma solo degli � emolumenti e di diritti di scritturato �. Ed � proprio a queste fattispecie, oltre che a quel1a concernente l'esecuzione delle formalit� �a debito�, che intende riferirsi il secondo comma dell'art. 17 in esame. Ora, nel caso di specie, poich� la controversia tributaria concerneva il caso di un notaio che, dopo avere pagato, in sede di registrazione, l'imposta patrimoniale ipotecaria su Uiil atto pubblico di trasferimento immobiliare (per il quale la trascrizione era obbligatoria, dana la natura dell'atto), aveva omesso la (tempestiva) �richiesta di formalit� di trascrizione �, da rivolgersi al conservatore dei registri immobiliari, 1a commissione tributaria centrale ha ritenuto applicabile la disposizione contenuta nel secondo comma del citato art. 17, proprio perch� trattavasi di (omessa) � richiesta di formalit� di trascrizione... non soggetta ad imposta�. La ricorrente amministrazione, per�, censura la relativa decisione, sostenendo che non sarebbe �pertinente� !'.applicazione di detta disposizione, poich� l'atto in questione (l'atto pubblico di trasferimento immobiliare) � soggetto all'imposta proporzionale e, quindi, non sarebbe �non soggetto ad imposta�. Siffatta enunciazione, per�, omette di considerare che la � non soggezione� dJ cui parla la norma in esame (secondo comma dell'art. 17) riguarda -come si � chiarito -non gi� l'atto, bens� fa �richiesta di formalit�� rivolta al conservatore dei registri immobiliani. Riguarda, oio�, fa fattispecie in cui Ja richiesta (obbHgatoria) di trascrizione sia stata gi� rivolta all'ufficio del registro (col contestua:le pagamento dell'imposta proporzionale) e sia stata, invece, omessa l'ulteriore attivit� necessaria per l'attuazione della indispensabile pubblicit� delil'atto, cio� la richiesta (al conservatore predetto) �di formalit� di traiscri.zione >>, ossia fa {tempestiva) presentazione delile note di trascrizione: attivit�, quest'ultima, non soggetta ad (ulteriore) imposta, ma solo a quegli � emolumenti e diritti di scritturato� che, come si � detto, non vengono neppure in considerazione. Ci� che non � � pertinente �, quindi, � solo il a:iferimento alla natura dell'atto da trascrivere, ossia alla sua soggezione all'imposta ipotecaria di trascrizione. Sostiene, infine, la ricorrente che la commissione tributaria centrale avrebbe errato allorch� ha affermato -al fine di esoludeme la concreta applicabilit� -che il primo comma dell'art. 17 del citato d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635, riguarda �la omissione di richiesta di registra:ziione con conseguente omissione del pagamento delle imposte ipotecarie�. Assume che una tale interpretazione della norma sarebbe errata, � in quanto tale specifico caso � previsto proprio dall'ultimo comma del citato art. 17 �. Anche tale assunto �, per�, privo di fondamento -o, quantomeno, non giova affatto alla tesi della ricorrente -perch� non considera ohe il primo e l'ultimo comma in questione riguardano, proprio, la medesima RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 386 fattispecie di omissione del contribuente: il primo, ai fini dell'applicazione della pena pecuniaria; il secondo, ai fini della soprattassa (che qui non vriene in considerazione). Si tratta, comunque e in ogni caso, di una fattispecie legale diversa da quella concernente il caso concreto. Con l'unico motivo del ricorso incidentale, il resistente Notaio sostiene che per la ritardata presentazione delle note di trascrizione si sarebbe dovuta applicare la sanzione di cui al quairto comma dell'art. 17 in esame, non gi� quella di cui al secondo comma. E ci� perch� il caso concreto concerneva un'ipotesi non gi� di � omissione � (contemplata, appunto, dal secondo comma), bens� di {(ritardata)) presentazione: e poich� una tale irregolarit� non � espressamente prevista dalla norma sanzionatoria, la stessa non potrebbe 'ritenersi rientrante altro che riella generica previsione di applicazione della pena pecuniaria (da lire diecimila a fue cinquantamila) �per ogni altra inosservanza delle norme del presente decreto �. Anche tale censura �, per�, infondata. Giova ricordare, per inquadrare compiutamente la questione, che li:\ legge precedente (art. 24 della legge 25 giugno 1943, n. 540) sanzionava con pena pecuniaria la mancata richiesta, nel termine di trenta giorni, della trascrizione degli atti e delle sentenze concernenti trasferimenti im. mobiliari e dei certificati di denunciata successione e di ogni altra tmscrizione non soggetta ad imposta o da eseguirsi a debito. La nuova legge, come si � gi� riJevato esaminando il ricorso principale, indica, invece, come punibile solo il fatto della � omissione della richiesta �. Non riporta, cio�, le parole �nel termine di trenta giorni �; ed � proprio da questa mancata indicazione che H ricorrente incidentale ritrae argomento per sostenere >l'inapplicabilit�, al caso concreto, della norma contenuta nel secondo comma dell'art. 17 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635. Siffatto assunto, per�, non tiene conto che anche nel sistema della nuova legge il termine di trenta giomi, imposto aJ notaio che ha ricevuto l'atto soggetto a trascrizione, per la richiesta delle formalit� (termine derivante, com'� noto, dal disposto dell'art. 2671 cod. civ.), ha carattere essenziale: di modo che, nella previsione sanzionatoria, allorch� si parla di �omissione della richiesta�, si intende, evidentemente, parlare di omissione nel termine stabilito dalla legge. L'imposizione di tale termine, infatti, � stata dettata non solo e non tanto da esigenze di utilit� particolare, ma soprattutto da esigenze di natura pubblicistica, perch� il servizio ipotecario, al di sopra del beneficio che ne ritraggono coloro che vri ricorrono, � organizzato dallo Stato per esigenze di tutela della fede pubblica, attuata mediante un conveniente e sicuro ovdinamento economicogiuridico della propriet� immobiliare (cfr. in tale sens�,'" la sent. 24 aprile 1929, in Foro it., 1929, I, 910). Ed � ovvio che se sussiste la preminenza PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA di un tale interesse di certezza dei rapporti giuridici immobiliari, la stessa deve essere attuata mediante l'imposizione di un termine per La trascrizione degli at1Ji di trasferimento dei diritti: di modo ohe il man cato rispetto di quel termine equivale alla totale omissione della trascri zione, essendo entrambi i due fatti parimen1Ji idonei a ledere l'interesse pubblico de1la certezz;a dei rapporti giunidici relativi alla propriet� im mobiliare. Deve, pertanto, ritenersi che il legislatore, nel dettare le nuove norme (che, peraltro, ricalcano quasi integralmente le precedenti, le quali appaiono solo rielaborate in forma pi� concisa), ha considerato come superfluo il ripetere nella norma sanzionatoria, che l'omissione in parola doveva verificarsi �nel termine di trenta giorni�: iJ nuovo legislatore, cio�, ha ritenuto, semplicemente, che se la richies1Ja di trascrizione, o la richiesta di formalit� di trascrizione, non venivano effettuate nel termine stabilito dalla legge, gi� si verificava quella omissione a cui era ricollegabile l'applicazione della sanzione. Non sembra, peraltro, superfluo osservare che la pena pecuniaria comminata per l'omissione in parola va, nella previsione Jegisilativa, da un minimo ad un massimo: e poich� si tratta, proprio, delle �pene pecuniarie � disciplinate dalla legge 7 gennaio 1929, n. 4, la concreta determinazione della loro misura deve tener conto (art. 4, secondo comma) della gravit� della violazione della legge e della personaJit� di chi la det1Ja violazione ha commesso ( � desunta dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla sua condotta�). Dal che � agevole desumere che nella fattispecie di omissione qui considerata, data l'ampia latitudine tra il minimo ed il massimo della pena prevista, il legislatore abbia (implicitamente) considerato che l'omissione potrebbe anche consistere in un semplice ritardo, pur di breve durata, e che, quindi, l'amministrazione attiva, in sede di irrogazione, pu� anche tener conto che l'im.erzia del contribuente non sia stata totale e che l'interesse pubblico di certezza dei rapporti giuridici immobiliari possa anche, in relazione al tempo, avere risentito solo di un danno scarsamente apprezzabile. Anche il ricorso incidentale deve, perci�, essere respinto. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 luglio 1980, n. 4746 -Pres. Sposato Est. Battimelli -P. M. Grossi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Cevaro) c. Quorti. Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Realizi:azione nel corso di procedura fallimentare -Costituisce reddito tassabile -Esistenza di passivo fallimentare -Irrilevanza. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 100 e 106). Costituisce reddito tassabile la plusvalenza realizzata in sede di liquidazione dell'attivo fallimentare di un'impresa,� non deve essere data la �x '//. .Wffi..�=~::=:::=:;;r::::��@=r'.===='�� -''/:;;�=���� � -� :::w.�::::.-�.�.'w..;:pp , w, .; � ,. /" '. .+� %*=''.:f//, :::: rL ,. "� d!'illt " &ll%f � . " . . . I ' 388 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO dimostrazione dell'intento di speculazione, che � presunto nell'attivit� dell'impresa, ed � irrilevante il fatto che le plusvalenze realizzate siano state destinate a soddisfare i creditori (1). (omissis) I tre motivi di riC0I1so, che affrontano, sotto diversi aspetti la stessa unica questione della tassabilit� di plusvalenze realizzate nel corso della procedura fallimentare,� vanno esaminati congiUIIltamente e vanno riconosciuti fondati. Ed invero va anzitutto premesso che la tassabilit� delle plusvalenze, in base alla normativa del t.u. n. 645 del 1958, non si fondava sempire sugli stessi presupposti, ma era articolata diversamente in funzione del soggetto che le realizzava e dell'attivit� in occasione della quale si verificava il realizzo, per cui altra cosa erano le plusvalenze realizzate in dipendenza di operazioni speculative, di cui al secondo comma dell'art. 81 (componenti del reddito di qualsiasi persona: fisica), altre quelle, previste dalla stessa norma, ma da questa espressamente distinte dalle precedenti, realizzate nell'esercizio di una impresa commerciale (e tas�sabili a sensi dell'art. 100 del t.u.), altra, infine, quelle realizzate da soggetti tassabili in base a bilancio (sottoposte ad imposizione a sensi dell'art. 106). Solo per 1a tassabilit� delle prime, infatti, era richies�ta la sussistenza di una operazione speculativa, mentre per le altre, come esattamente pone in rilievo l'amministramone ricorrente nel primo motivo di ricorso, la tassabilit� discendeva dal solo �fotto obiettivo del reaJlizzo, come .conseguenza diretta del tipo di attivit� ese:ocitata, i:stitu2liona!l.mente, dal soggetto passivo di imposta, alfa cui attivit� erano collegati, (1) Sul problema della realizzazione della plusvalenza attraverso la liquidazione dell'attivo del fallimento non si rinvengono pronunce espresse. L'orientamento della dottrina � prevalentemente favorevole, se pure sono variamente risolte le non semplici questioni conseguenziali sui modi di liquidazione e riscossione dell'imposta (FALSITTA, La tassazione delle plusvalenze e sopravvenienze nelle imposte sui redditi, Padova, 1918, 264 ss., e, con riferimento alla normativa vigente, Puon, Procedure concorsuali ed imposte sui redditi, 1n Riv. dir. finanz., 1977, I, 583). Il parallelismo con la liquidazione della societ� � indubbiamente corretto se pure non risolutivo, in quanto la plusvalenza pu� riguardare anche l'impresa individuale. . Importante � l'ultimo profilo esaminato: la produzione di un reddito da parte del fallimento � tassabile indipendentemente dalla destinazione del suo provento al soddisfacimento dei crediti insinuati. Dal reddito vanno naturalmente dedotte le spese e passivit� inerenti alla relativa produzione; ma queste sono cosa ben diversa dai debiti, che possono avere causa da rapporti di ogni genere, anteriori alla dichiarazione di fallimento. Con le norme della riforma (art. 73, d.P.R. 597 e art. 110, d.P.R. 600 del 1973) il problema si arricchisce di nuovi profili, sui quali � necessaria una attenta riflessione. I II I I� I rn PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA con presunzione iuris et de iure, a sensi dei suddetti artt. 100 e 106, tutti i beni appartenenti al soggetto; s� ohe iJ plusvalore conseguente all'alienazione di uno qualsiasi di detti beni era, per ci� solo, considerato reddito imponibile. Esattamente, pertanto, col terzo motivo di ricorso si pone in evidenza l'errore in cui � incorsa la decisione impugnata, allorch� ha escluso la tassabilit� per carenza di intento speculativo, non ipotizzabii:le nel corso di una amministrazione fallimentare; ed invero, a parte le considerazioni relative alla possibilit� della contl�lnuazione, sda pure provvisoria, dell'attivit� imprenditoriale in corso di tf�a!Himento {girustamente prospettate in astratto dall'amministrazione nicorrente, ma dehle quali, nel caso di specie, manca il presupposto, non essendo stato provato che si sia fatto ricoiiso alla procedura prevista dall'art. 90 della legge fallimentare), la decisone impugnata non ha tenuito presente che nel caiso di specie si trattava del fallimento di una societ� di capitia!1i, per cui la tassabilit� della plusvalenza discendeva non dail disposto del secoodo comma dell'art. 81 t.u., ma specificamente da quello dell'art. 106, che non prevede affatto, ai fini della sottoposizione del plusvalore al tributo, l'esistenza di una operazione speculativa. Inoltre, la decisione impugnata non ha tenuto presente che, se in caso di fallimento di una societ� a responsabilit� Limitata (quale era appunto la �Societ� Immobhli Urbani�) si verifica lo scioglimento de1Ja societ� stessa, ci� non produce ipso iure La fine del so~etto, che avviene solo dopo la cancellazione del registro dell'impresa, previa liquidazione; e non ha rilievo il fatto che in altre ipotesi di scioglimento, conseguenti ad altre cause, la liquidazione sia operata da organi nominati c1ahla societ� (i liquidatori), mentre in caso di fallimento 1a liquidazione sia conseguente all'attivit� degli organi fallimentari: nell'Wl caso come nell'altro, infatti, La natura delle operazioni e il fine cui esse tendono restano identici, ossia la realizzazione dell'attivo e il soddisfacimento dei creditori sociali, per cui, se l'attivo, in ipotesi, � tassabile in corso di una liquidazione ordinaria, ugualmente deve esserlo nel corso di una liquidazione fallimentare, posto che la condizione giuridica del soggetto e la conseguente cessazione di vere e proprie attivit� imprenditoriali (salvi i casi di esercizio provvisorio che possono verificarsi in entrambe le ipotesi) sono uguali in entrambi i oasi; per cui, come esattamente pone in rilievo l'amministrazione ricorrente nel primo motivo di ricorso, se � prevista in astratto, e senza alcuna distinzione, dall'art. 125 del t.u. del 1958, la tassazione della societ� in liquidazione ai fui dehla imposta di R. M., tale tassazione deve intendersi effettuabile in relazione a qualsiasi tipo di liquidazione, anche a quella fallimentare (il che d'altronde, se � desumibile dal coordinamento delle varie norrm.e del t.u. del 1958 fin qui esaminate, � stato espressamente riconosciuto, con la recente riforma 390 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tributaria, dagli artt. 73 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, e 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598). Ancora, va riconosciuta l'esattezza del rilievo sollevato dalla ricorrente circa l'erroneit� dell'affermazione, contenuta nella sentenza impu� gnata, della non tassabilit� del realizzo in quanto trasformazione dei beni patrimoniali in valuta, con assorbimento dell'intero valore patri.moniale nella soddisfazione parziale dei credito11i; ed invero, a parte che ci� si verifica anche nel caso di liquidazione per cause diverse dal fallimento (liquidazione che, come gi� detto, non � di ostacolo alla tassazione a sensi dell'art. 125 del t.u.), va osservato che in ogni caso la plusvalenza per vendita di immobili consiste in una trasformazione di beni patrimondali in valuta e che � <ininfluente, aii. fini della tassazione, la destinazione della valuta cos� 11ealizzata (ved. dn tahl sensi, per ultima, la sentenza di questa Corte n. 4300 del 19 luglio 1979). Senza dire infine, che il fallimento non fa perdere al fallito la propriet� dei beni e che il risultato finale della liquidazione non � indifferente per !il fahlito il quale, anche dopo la chiusura del fallimento, continua a rispondere della parte di debiti non soddisfatta; per cui qualsdasi vantaggio economico realizzato nel corso della liquidazione si 11ifle1lte, indirettamente, sulla situazione patrimonda1e del fallito, che, a fallimento chiuso, realizza un vantaggio dail fatto che sia stata soddisfatta una parte maggiore dei suod creditori, il che, ol1Jretutto, assumeva pa:rticola11e rilevanza nel oaso di specie, in cui, a seguito del concordato, 1a societ� em tornata in bonis e aveva ripreso la sua attivit� (come appare dal fatto che legittimato al giudizio � di nuovo il suo amministratore), per cui, in definitiva, il realizzo in questione � risU!ltato essere un effettivo realizzo del soggetto di imposta, se pur occasionalmente verifioatosii nel corso della liquidazione fallimentare. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 luglio 1980, n. 4748 -Pres. Mirabelli -Est. Virgilio -P. M. Minetti (conf) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota) c. Cassa di Risparmio di Pesaro (avv Micheli). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Condono -Ultima pronunzia di merito -� quella della commissione centrale in materia di estimazione complessa. (d.!. 5 novembre 1973, n. 660, art. 2). Agli effetti dell'art. 2, lett. e) del .d.l. 5 novembre 1973, n. 660, per ultima pronunzia di merito deve intendersi quella della commissione centrale quando sia pronunziata in materia di estimazione complessa (1). (1) Una riconferma della importante sentenza 21 febbraio 1980, n. 1241, in questa Rassegna, 1981, I, 104. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 391 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 luglio 1980, n. 4784 -Pres. Granata Est. Sensale -P. M. Grossi (conf.) -Moli� (avv. Uckmar) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Camerini). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Cessione dell'intero pacchetto azionario -Costituzione di organizzazione di persone senza personalit� giuridica -Realizzo di avviamento per cession~ di azienda -Esclusione. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 8, 81, 100 e 106). I soci di una societ� di capitali, se pure occasionalmente riuniti per la vendita concentrata dell'intero pacchetto azionario ad un solo soggetto, non sono una impresa commerciale che possa essere titolare di un avviamento; parallelamente la cessione dell'intero pacchetto azionario non d� luogo ad una cessione di azienda non operando affatto un trasferimento dei beni sociali; di conseguenza la cessione del pacchetto azionario non pu� dar luogo a plusvalenza per realizzo dell'avviamento (1). (omissis) L'esame del quinto motivo ha priorit� rtspetto a quello degli altri motivi, poich� la plusvalenza, che l'ufficio -nell'atto di accertamento -e la commissione centrale -nella decisione impugnata -hanno ritenuta realizzata, sarebbe consistita nel valore di avviamento che g1i azionisti della societ� � Elah �, con la cessione delle rispettive azioni ad (1) Il grosso problema affrontato nella decisione � risolto con argomentazioni piuttosto formali. � vero che nella societ� di capitali il trasferimento delle azioni � indifferente per la continuit� aziendale (Cass., 28 luglio 1972, n. 2577, citata nel testo, che � per� riferita all'imposta di registro, in questa Rassegna, 1972, I, 1172), ma la concentrazione del pacchetto azionario su un unico azionista, che risponde illimitatamente, non pu� essere un fatto del tutto indifferente, ai fini tributari.. :Si discute se 1'accol:'do fra i soai per I'eaJ.izmre l'uil!ificazione del pacchetto dia luogo non tanto ad una atipica (�altra�) organizzazione di persone, ma ad una vera e propria societ� di persone, sia pure unius negotii, che sia in quanto tale un imprenditore rispetto al quale la plusvalenza � sempre tassabile essendo presunto lo scopo di speculazione (art. 100 t.u. del 1958). Su questa premessa la plusvalenza pu� essere costituita dal maggior valore che le azioni riunite hanno rispetto al valore che esse avevano singolarmente negoziate (ed ove ci� avvenga sarebbe anche possibile individuare nell'accordo che ha portato a tale risultato uno scopo di speculazione, ove si escludesse la presunzione di un tale scopo). U]teriore problema � se la cessione del pacchetto azionario attuaJta attraverso l'accordo dei soci, costituiti in impresa, crei una plusvalenza in relazione all'avviamento. Al riguardo non varrebbe il rilievo della sentenza in esame che una organizzazione atipica di persone non � un'impresa; pi� seria � certamente l'obiezione che i soci trasferiscono le azioni e non l'azienda; ma forse � pi� rilevante la considerazione che nel prezzo delle azioni raggruppate e supervalutate � gi� compreso l'avviamento. 392 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO un'unica societ�, avrebbero conseguito mediante una sostanzdale alienazione dell'rintero patrimonio sociale. In conseguenzia, il problema giuridico ohe deve, innanzi tutto, risolvers,i, sul presupposto della variabilit� della plusvalenza tassabile in relazione al soggetto che, secondo fa propria natura, pu� rea:lizza:rfa, � quello della sua riferibilit�, cos� come illldividuata nello atto di accertamento e nella decisione impugnata, al soggetto curi � stata attribuita; e successivamente queHo delLa configurabi.Iit�, ne:Lla cessione delle azioni sociali, di un trasferimento dell'avviament�. L'art. 8 del t.u. n. 645/58, in tema di imposte dirette, individua in via generale i soggetti passivi del rapporto tributario nelle persone fisiohe e giuridiche, nelle societ� e associazioni, nonch� nelle altre organdzzaziOIIll�. di persone e di beni, prive di personalit� giuridica e non appartenenti a soggetti tassabi1i in base a bilancio, nei confronti delle quali il presupposto d'imposta isi verifica in modo Ull.l:itario ed autonomo. Con riferimento all'imposta dei reddditi di r.m., l'art. 81 indica, fra l'a:ltro, come presupposto d'imposta le plusvalenze e le sopravvenienze indioaite negili art. 100 (plusvalenze, compreso l'avviamento, derivanti dal realizzo cli beni relativi all'impresa) e 106 (plusvalenze di tutti i beni appartenenti ai soggetti tassabili in base a bilancio), nonch� le plusvalenze da chiunque realizzate in dipendenza cli operazioni speculative. Tale sistema normativo prevede diverse categorie di soggetti., ill1 relazione a1le qua1i � configurabile la realizziazione di plusvalenze e cio� fo imprese commerciali (art. 100), i soggetti tassabili in base a bilancio (airt. 106) e qualunque altro soggetto (art. 81 cpv.); e per ciascuna chl tali categorie indica il modo di determinazione delle plusvalenze: differenza tra il prezzo di realizzo dei beni e :il loro cosito non ammortiz:zJato o, se diverso, l'ultimo valore riconosciuto ai fini della determinazione del reddito (articolo 100); plusvalenze di tutti i beni riferite :all'eseroizio ill1 cui sono state realrizzate, distribuite o iscritte in bilancio e sopravvenienze attive, comunque conseguite nell'esercizio (art. 106); plusvia1enze dipendenti da operazioni speculative, da premi o da vincite (avt. 81 opv.). In partioo[are, da un lato, la dipendenza in concreto della plusvalenza da operazioni speculative non � menzionata in relazione alle rimprese commeroia1i, esse01do il fine specula1Jivo il connotato naturale di queste; dall'altro, l'avviamento sia che s'intenda come bene immateriale compreso nell'azienda, sia ohe si riferisca come l'attitudine di questa a produrre utili, non � configurabi: le, anche agLi effetti tributari, se non in relazione all'impresa commerciale, neWambito deHa quale riceve :tutela ,giuridica ed � suscettibiiJe di valutazione economica. In conseguenza, l'accertamento dell'avviiarrnento, come plusvalenza tassabile, non pu� avvenire che con riferimento ad una impresa commercia~ e e non pu� essere collegato agli ,alitmi 1soggetti genericamente indicati nel capoverso dell'art. 81 (e, fra essi, alle �altre organizzazioni di . :-: . :X :x.� .�;.: ---=-�-�:-�--....-�-x: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA persone� menzionate nell'arit. 8 fra i soggetti passivi del rapporto tributario). In particolare la realiz21a:?Jione del valore di avviamento non � configurabile nell'ipotesi di alienazione de1le azioni da parite dei soci di una societ� commerciale. Infatti, la personalit� giuridica della societ� di oapirtali esclude nello unico acquirente di tutte le azioni sociali la vesrte di acquirente, per ci� stesso, dei beni compresi nel patrimonio della .societ� o de�ll'dntero pa� trimonio sociale, che rimane di propriet� della societ� (v. in arg., le sentenze n. 3625/69 e n. 2577/72). N� tale principio pu�, nel caso concrerto, essere scalfito dalla considerazione del risultato economdco voluto dalle parti. L'interpretazione d'un atto �secondo . la sua irntrinseca natura e gli effetti suoi propri non vuol dire che si debba prescindere dalla volont� delle parti, ma soltanto che bisogna prescindere dalla considerazione del negozio secondo le sue forme apparenti se ed in quanto queste siano in contrasto con il risultato economico conoretamente voluto dalle parti; ed in tale riceroa, l'adeguamento al criterio obiettivo della cosiddetta potenzialit� ed efficacia de1l'atto non togilie che il negozio debba essere interpretato nel senso pi� coerente con il risultato e la funzione economica come illlnanzi iindiviiduata. Alla stregua di tali princ�pi, questa Corte ha ritenuto che ila cessione ad un singolo socio di tutte le quote di una societ� a r.l. non significa cessione di tutti i beni costituenti il patrimonio sociale, ohe restano di propriet� di un soggetto diverso, quale � l'ente societario (sentenza n. 3672/69). Ed ha ulteriormente precisato, con riguarido ad una societ� in nome collettivo (v. sentenza n. 1537/79), che, ai fini de1la imposta di r.m., la cessione, da parte di un socio, della quota sociale ad altro soggetto non � tassabile sotto il profilo de1la plusvalenza n� ai sensi dell'art. 106 n� ai sensi dell'art. 100 del t.u. n. 645/58 (norme richiamate dal secondo comma dell'art. 81 del medesimo t.u.), poioh� la prima disciplina la tassazione delle plusvalenze di beni aippartenenti a soggetti tassabili in base al bHancio (quale non era nella ipotesi considerata una societ� in nome collettivo), mentre la seconda norma consente la tassazione dell'avviamento, quale plusvalenza derivante dal realizzo del valore dei beni ['elativi all'impresa, solo nel caso in cui la societ� venga a cessare col trnsferimento dell'intera azienda ad altra societ� o con la concentrazione delle quote .sociali nella persona di un unico socio (ipotesi, quest'ultima, configurabile per 11a societ� in nome collettivo in virt� del richiamo, da parte dell'art. 2308 cod. civ., dell'art. 2272, a norma del quale il venir meno della pluralit� dei soci, non ricostituita nei sei mesi successivi, determina lo scioglimento della societ� di persone; ma non anche per le societ� per azioni, per le quali la mancanza di pluralit� di soci non � oausa di scioglimento, ma, lasciando in vita la societ�, determina, ai sensi dell'art. 2362, la responsabilit� illimitata dell'unico azionista per 1e obbligazioni so RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ciali sorte nel periodo in cui le azioni risultano essere appartenute ad una sola persona). In ogni altra ipotesi, quando muta soltanto la posizione patrimoniale del singolo socio, senza che si verifichi alcun realizzo di beni sociali o di avviamento (che, come tale, non � rileribile che alla societ�), il plusvalore conseguente -al trasferimento delle quote sociali pu� essere assoggettato a tassazione nei confronti del singolo socio cedente, a norma del capoverso dell'art. 81 (e non del- l'art. 100), solo se in concreto resti aocertato che esso � conseguenza di un'operazione speculativa del socio stesso. La censura formulata con il quinto motivo del ricorso �, quindi, fondata per avere la commissione tributaria centrale erroneamente ravvisato nella cessione, da parte degli azionisti, dell'intero pacchetto azionario l'alienazione del patrimonio sodale e la realizzazione, da parte degli stessi azionisti, considerati come organiz:ziazione di perisone, di una plusvalenza costituita dal valore di avviamento, che � configurabile, ai sensi dell'art. 100 del t.u. n. 645/58, limitatamente alle imprese commerciali e non anche in relazione agli aLtri soggetti, fra i quali le organizzazioni di persone. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, 22 luglio 1980, n. 4788 -Pres. Mirabelli -Est. Virgilio -P. M. Minetti (conf.) -Soc. Cizo (avv. Rosati) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Camerini). Tributi erariali indiretti -Imposte sulla circolazione degli autoveicoli -Imposta straordinaria istituita 'con l'art. 4 del d.l. 6 luglio 1974, n. 251 Furgone finestrato -Vi � soggetto -Art. 42 d.l. 18 luglio 1976, n. 648 Valore interpretativo. (d.!. 6 luglio 1974, n. 251, art. 4; d.!. 18 luglio 1976, n. 648, art. 42). Il � furgone finestrato � non si sottrae all'imposta straordinaria istituita con l'art. 4 del d.l. 6 luglio 1974, n. 251, che esenta i veicoli carrozzati a furgone o a cassone; l'art. 42 del d.l. 18 luglio 1976, n. 648, che si ricollega strettamente alla precedente normativa, ha valore interpretativo per la parte che dichiara soggetto all'imposta il furgone finestrato (1). (omissis) Deduce la ricorrente che l'art. 4 del d.l. 6 luglio 1974, n. 251 (convertito nella legge 14 agosto 1974, n. 336) prevede esplicitamente l'esenzione dal tributo per i veicoli adibiti all'uso promiscuo carrozzati a fu11gone o a cassone, per cui la Corte di appello non avrebbe potuto negare il beneficio per l'autoveicolo in contestazione (1) Una soluzione logica ed ineccepibile alla tormentata questione. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA: 395 (furgone finestrato), non es1sendo prevista, nell'ambito della categoria agevolata (furgoni), alcuna distinzione. La censura non � fondata, anche se la sentenza impugnata, conforme a diritto nel dispositivo, deve essere in parte corretta nella motivazione, ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ. Va premesso che la fonte normativa alla quale deve farni riferimento � costituita dal d.l. 6 luglio 1974, n. 251 (convertito, con modidicazioni, ne11a legge 14 agosto 1974, n. 346), il cui art. 4 esent� daitl'timposta straordinaria una tantum i veicoli carrozzati a � furgone � o a � cassone �. Con il successivo d.l. 18 settembre 1976, n. 648 (convertito, con modificazioni, ~ella legge 30 ottobre 1976, n. 730), l'imposta straordinaria prevista nel precedente provvedimento legislativo, fu dichiarata nuovamente applicabile �per l'anno 1976 �. I due contesti legislativi, pur essendo preordinati 1aJfo disciplina di materie diverse (il d.l. n. 251 del 1974 reca modificazioni al regime fiscale di alcuni prodotti petroliferi. e prevede una imposta straordinaria una tantum sui veicoli a motore, autoscafi e aeromobili, mentre il d.l. n. 648 del 1976 stabilisce interventi per ile zone del Friuli-Venezia Giulia colpite dagli eventi sismici dell'anno 1976), hanno tuttavia in comune quella parte che, nell'un caso e nell'.altro, istituisce un'imposta straordinaria sui veicoli per sopperire ad esigenze contingenti. In tale parte il dl. n. 648 del 1976 (art. 42) ha disdplinato l'imposta, sia in relazione alle ipotesi di tassabilit� che aHe modalit� di riscossione, richiamando quasi integralmente (ad eccemone idi qualche punto particolare che ai fini della questione in esame non interessa) le norme contenute negli artt. 4 e 5 del d.l. n. 251 del 1974, sicoh� ricorre tipicamente il fenomeno della produzione norm:mtiva per relationem, attraverso il quale, per evidenti ragioni di tecnica legislativa, in un testo di legge successivo non vengono riprodotte disposizioni gi� contenute in altro testo, ma ad esse si fa 1semplicemente riferimento, con efficacia recettizia. Mediante tale fenomeno fo disposizioni 11ichiamate vengono a far corpo con il contesto normativo in cui � contenuto il rinvio, per cui la disciplina legislativa diventa unica nelle due materie separatamente considerate, salvo eventuali differenze espressamente contemplate. Nel quadro di queste premesse, sorge il problema de1la interpreta zione dell'art. 4 del d.l. 6 luglio 1974, n. 251 (nella parte in oui dichiara esenti dall'imposta una tantum i veicoli carrozzati �a furgone� o a �cassone�), in riferimento a1l'art. 42 del d.l. 18 luglio 1976, n. 648, il quale -dopo aver integralmente richiamato, per la individua zione dei veicoli soggetti al tributo, quelli indicati negli artt. 4 e 5 del precedente d.l. del 1974 -aggiunge testualmente: � L'imposta � dovuta anche per i veicoli adibiti al trasporto promiscuo di persone e di cose con carrozzeria "a furgone finestrato"�. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 396 La questione consiste nello stabilire se quest'ultima disposizione abbia efficacia innovativa o semplicemente interpretativa rispetto alla esenzione prevista dall'art. 4 del d.l. del 1974, che riiguardava, come si � detto, i veicoli adibiti ad uso prornisouo carrozzati a furgone o a cassone. Va al riguardo rilevato che la materia dell'imposta una tantum risulta regolata, nei due provvedimenti JegisLativi, sul piano di una sostanziale coincidenza di criteri impositivi e di riscossione. Gi� questo elemento induce a rritenere ohe l'ambito delle esenzioni dal tributo, come delineato ne1 provvedimento deil 1974, sia rimasto immutato, non essendo ravvisabile alcuna ragione logica che possa giustificare, nei due casi, una diversit� di disoiplina. A tale elemento va aggiunto, con riguavdo alla struttura delle fattispecie legali (la quale rappresenta l'indice fondamentale per la indi �viduazione del carattere interpretativo di una norma rispetto ,ad un'altra: v. Cass., 29 luglio 1974, n. 2289) che ['espressione letterale di cui all'ultima parte dell'art. 42 del d.l. del 1976 -�L'imposta � dovuta anche per i veicoli adibiti 1al trasporto promisouo di persone e di cose con carrozzeria " a furgone finestrato " � -acquista un senso ed un significato preciso solo mediante il collegamento, in funzione integrativa, con la precedente disposizione di esenzione CO!Iltenuta nell'art. 4 del d.l. del 1974. La riportata ultima parte dell'art. 42 non pu� quindi essere consi derata come norma innovativa, cio� introdotta soltanto ai fini del prov vedimento del 1976, sia perch� mancherebbe -come si � gi� detto una logica spiegazione del diverso trattamento giuridico, sia perch� nella nozione dei veicoli carrozzati � a furgone � o a � cassone � gi� non potevano farsi rientrare, agli effetti deLla esenzione prevista da1l d.l. del 1974, anche gli autoveicoli �a furgone finestrato�. La ratio della norma di esenzione denota chiaramente che il legi slatore ha inteso riferirsi, come criterio di individuazione dei veicoli esenti, non alle caratteristiche della carrozzeria, in s� stes,se astratta mente considerate, ma all'elemento estrinseco del tipo di carrozzeria come indice rivelatore deMa destinazione, esclusiva o p.revaJ.ente, dei veicoli a determinati usi; ed i veicoli in questione sono di regola adibiti al trasporto delle persone. Inoltre, essi -pur potendo tin [inea generale essere classificati nel �genus dei veicoli carrozzati a furgone -se ne differenziano, tuttavia, come species, perch� la struttura �finestrata� della ca11r0zzeria denuncia una idoneit� d'impiego ohe appare incompatibile con l'intento del legislatore, volto ad agevolare soltanto gli autoveicoli per i quali si dovesse presumere, in relazione a determinate caratteristiche (� significativa 1'equiparazione tra quelli carrozzati a furgone o a cassone), PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 397 un normale impiego nei processi produttivi economici, ossia nel settore dei trasporti di cose. La indicata differenza nella oarrozzeria era perci� elemento sufficiente, gi� secondo la disposizione dell'art. 4 del d.L del 1974, per escludere dall'esenzione i furgoni finestrati. Il legislatore, peraltro, tenuto conto. delle incertezze gi� insorte sulla portata precisa della norma di esenzione, ha tratto occasione dalla emanazione del provvedimento del 1976 per specificare come dovesse intendersi la precedente disposizione. La relatio esistente tra la parte della norma richiamata (art. 4) e l'aggiunta, di carattere chiaramente esplicativo, inserita nell'art. 42 del d.l. del 1976 in ordine ai �furgoni finestrati�, rende palese che suJ punto ora in discussione � intervenuta una disposizione di natura interoretativa. (omissis} CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 luglio 1980, n. 4808 -Pres. Mirabelli Est. Cochetti -P. M. Dettori (conf.) -Nicoletti (avv. Manfredonia) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Rossi). Tributi erariali diretti -Imposta sul redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Assegnazione di beni ai soci di societ� di persone -Si realizza. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 81 e 100). L'assegnazione in natura ai soci di societ� di persone di beni plusvalenti, sia quando venga effettuata durante la vita della societ� in conseguenza di recesso morte o esclusione di un socio, sia quando abbia causa da vicende estintive o modificative, costituisce una operazione di realizzo di plusvalenza (1). {omissis) Con i due motivii. del ricorso, che in quanto connessi nelle relative censure possono essere esaminati congiuntamente, i �ricorrenti denunziando violazione degli artt. 8, 81 e 100 del t,u. 29 .gennaio 1958, n. 645, nop.ch� insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi, (1) Decisione esatta che pone diverse questioni. Sul punto, maggiormente discusso, che il trasferimento di un bene della societ� di persone ad un socio costituisca un trasferimento che realizza la plusvalenza, � facile osservare che l'assegnazione del bene al socio non soltanto interviene fra soggetti distinti, se pure uno di essi � dotato soltanto di autonomia patrimoniale, ma d� luogo alla uscita del bene dal patrimonio dell'impresa (societ�) ed all'acquisizione da parte di sogg.etto che non �, e pu� non ess�ere, impa:-endiitoJ:1e. La p[u:sva�enza, che sia oggettiV1amente esistente, pu� essern tassata soltanto in questo momenrt:o ed in questo momento � .realtlzzata in modo certo �e �I1I1evet.sibilie (v. 1anche Cass., .1� luglio 1980, n. 4143, di cui si omette fa pubblicazioll!e) . Il partko1are rapporto che esiste tra la societ� di persone ed i suoi soci relativamente alla propriet� dei beni potr� essere rilevante ai fini dell'imposta di regi 398 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sostengono che il rogito Giuliani, con il quale fu proceduto alla divisione dei beni della societ� di fatto, non aveva natura di atto traslativo idoneo a far ritenere realizzata una plusvalenza, perch� con esso i soci avevano conseguito un bene che ad essi gi� apparteneva quali comproprietari del patrimonio sociale. La decisione denunoiata, nel pervenire ad opposta conolusione, avrebbe trascurato la considerazione dell'efficacia dichiarativa del negozio di divisione e dell'assenza di personalit� giuridica, della societ� di fatto, erroneamente applicando aJ caso principi affermatisi con esclusivo riferimento alle societ� di capitali. La censura non � fondata. Va premesso che la Tescione, come � precisato nelle decisioni in atti delle commissioni tributarie, intervenne nell'atto Giuliani non quale socio della disciolta societ� di fatto, -la qualit� di socio di una societ� personale non si acquista, infatti, jure hereditatis -ma quale erede del defunto genitore e che l'�rede del socio di una societ� di persone ha un diritto di credito (ex art. 2289 cod. civ.) alla quota di liquidazione, con la conseguenza che ove le parti convengano, come hanno fotto nella specie, di soddisfare in natura tale credito, a tale negozio va riconosciuta l'efficacia costitutiva di una datio in solutum e non l'efficacia dichiarativa di una divisione (cfr. Cass., sent. n. 2684/63). stro; infatti l'abrogata legge di registro, pur considerando vero e proprio trasferimento il conferimento (art. 81, tariffa A}, considerava divisione l'assegnazione in projporzione de.He quote dei beni, acquistati dailLa societ� o Fassegnazlione a:I conferente dello stesso bene gi� conferito (art. 88); oggi questa distinzione non esiste pi� e l'assegnazione di beni sociali ai soci � considerata traslativa come il conferimento e non si fa pi� distinzione tra societ� di persone e societ� di capi tali (art. 4, lett. e), tariffa A, parte prima, d.P.R. n. 634/1972). Ma ai fini della plusvalenza quel che conta non � tanto il trasferimento da uno ad altro soggetto, ma piuttosto la eliminazione del bene dall'ambito dell'impresa. Oggi per l'espressa norma dell'art. 54, settimo comma (nel testo modificato) la plusvalenza si realizza quando il bene (relativo all'impresa) viene destinato al consumo personale o familiare dell'imprenditore o ad altre finalit� estranee all'esercizio dell'impresa; si ha quindi plusvalenza sol perch� il bene non � pi� relativo all'impresa anche se appartiene ancora allo stesso soggetto. Questa norma specifica un principio che era contenuto gi� nel precedente ordinamento. Nessun dubbio quindi che il passaggio del bene dalla societ� al socio equivalga ad una cessione. Per questa ragione iil menzionato art. 54, ottavo comma, considera rnailizzata 1a plusvalenza, come si ricorda nel testo, con la distribuzione ai soci o con l'assegnazione dei beni nonostante che, a differenza di quanto si verificava per l'imposta di ricchezza mobile, soggetto passivo dell'IRPEF sia il socio e non la societ�; viene cio� considerata plusvalenza l'assegnazione (cessione) del bene allo stesso soggetto che era gi� titolare (pro quota) del reddito della societ� cedente). Tuttavia viene esattamente colpita in questo momento la plusvalenza, che diversamente si sottrarrebbe per sempre all'imposizione, perch� l'assegnazione fa uscire il bene dalle impresa, poco importando che in questo caso titolare del reddito PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 399 Quanto alla ulteriore circostanza, enunciata nella censura, che i ricorrenti assumono trascurata della commissione tributaria, e cio� che la societ� di fatto sia priva di personalit� giuridica, ci� non esclude che essa sia un autonomo centro di imputazione di rapporti g1uridici (dr. art. 2268, 2271 cod. civ.) e, ci� che pi� rileva sotto il profilo fiscale, che essa abbia un'autonoma soggettivit� tributaria (v. art. 9 t.u. n. 645 del 1958), talch� la compropriet� del patrimonio sociale non impedisce come questa Corte ha gi� avuto occasione di affermare (cfr. Cass., sent. n. 900/78) -che possa realiz2larsi fra i soci, aMo scioglimento della societ�, un'ipotesi traslativa pro-quota dei beni sociali, con conseguente assoggettabilit� all'imposta mobiliare delle plusvalenze. In tal senso dispone esplicitamente l'art. 54 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, concernente la disciplina della nuova imposta sul reddito delle persone fisiche, il quale articolo considera come componenti del reddito imponibile �le plusvalenze distribuite ai soci prima dell'alienazione o mediante assegnazione dei beni�: formula, questa, che per la sua ampieZ:lla impone di riferire la previsione normativa, oltre che alle ripartizioni in danaro, a tutte le ipotesi di assegnazioni in natura di beni plusvalenti, quale che sia, cio�, la causa della stessa. Ma ad identica conolusione deve pervenirsi anche in base alle disposizioni dell'abrogato t.u. n. 645 del 1958, con riguardo alla soppressa dell'impresa sia lo stesso socio, che per� come tale � un partecipante all'impresa mentre come assegnatario del bene � estraneo all'impresa. Altro aspetto del problema � quello della inesistenza di un corrispettivo dell'assegnazione e conseguenziariamente quello della determinazione dei valori di riferimento. Sul punto la giurisprudenza � stata molto oscillante anche recentemente. Pi� volte era stato affermato che quel che conta ai fini della plusvalenza � la sua � cristallizzazione � ossia la certezza dell'incremento patrimoniale, abbia -o meno dato luogo ad un'utilit� espressa in moneta (16 febbraio 1978, n. 725, in questa Rassegna, 1978, I, 384; 26 luglio 1978, n. 3749 e 25 settembre 1978, n. 4282, ivi, 1979, I, 58). Senonch�, dopo risoluzioni contrastanti incentratesi sul problema della permuta, le sez. un. con J,a sentenza 9 ottobre .1979, n. 5220 (ivi 1980, I, 184) affermarono che essenziale per la realizzazione della plusvalenza � un negozio del tipo della compravendita che realizza un introito in moneta. Tuttavia successivamente (7 gennaio 1980, n. 75, ivi, 618) la sezione semplice, pure escludendo che la plusvalenza si realizzi attraverso la donazione, � tornata ad ammettere che il � prezzo � cui fa riferimento l'art. 100 del t.u. delle imposte dirette non va inteso necessariamente come una somma di danaro. Oggi, in modo sicuramente esatto, si afferma ancora che il difetto di corrispettivit� non esclude che un valore sia realizzato. Per la determinazione di tale valore dovr� farsi ricorso necessariamente al valore normale, come espressamente si prevede nella menzionata norma dell'arti colo 54 del d.P.R. n. 597/73. La indeterminatezza del valore non pu� essere una ragione per escludere la tassazione della plusvalenza. Peraltro la pi� recente giu risprudenza ritiene con ~arghezza ammissibile il ricorso a11a rilevazione del v.aillore venale a vari effetti rilevanti sulla plusvalenza (21 marzo 1980, n. 1904, in questa Rassegna, 1980, I, 95'8; 27 m~rzo 11980, m questo fascicolo, pag. 357). C. BAFILE RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO imposta di ricchezza mobile. � stato, infatti, precisato da1la g�unsprudenza di questa Corte che il concetto di �realizzo�, considerato dall'art. 100 del citato t.u., quale presupposto di tassabilit� della plusvalenza, non � legato necessariamente a]il'esistenza di un contratto di scambio, ma postula la certezza e la definitivit� del plusvalore in dipendenza di fatti o atti giuridici che ne evidenziano la definitiva acquisizione nel patrimonio del beneficiario, s� da potersi tale maggior valore considerare una entit� staccata ed autonoma rispetto al cespite produttore, riguardo al quale il maggior valore non era fino allora evidenziato, agli effetti fiscali, ed aveva solo natura potenziale. Ed � stato chiarito, in particdlare, (v. sent. n. 1683/74) che nella norma ora ci.tata il termine �prezzo � � sinonimo di �valore �, come si desume anche, dall'origine della disposizione che, com'� noto, deriva dall'art. 20 deHa legge 5 gennaio 1956, n. 5, il quale faceva riferimento ai � maggiori valori�. Pu� aggiungersi che secondo l'art. 81 dello. stesso testo unico (ed anche secondo l'opinione generalmente accolta precedentemente: v. Cass., sent. n. 2312/66) il presupposto dell'imposta di R.M. poteva consistere anche in un reddito in natura. In questa prospettiva non vi � dubbio che l'assegnazione in natura di beni plusvalenti, sia quando venga effettuata durante la vita normale della societ� in dipendenza di recesso, morte o esclusione del socio (la liquidazione deHa quota, come si � dianzi rilevato, pu� convenzionalmente avvenire in natura: Cass., sent. n. 898/73), sia quando sia effettuata in relazione a vicende estintive o modificative della societ� stessa, costituisca un'operazione di �realizzo�, perch� sottraendo i beni alfa loro destinazione imprenditoriale, con la definitiva acquisizione al patrJmonio dei beneficiari, consente di evidenziare il �plusvalore � che il bene ha acquisito in capo alla societ� durante il periodo in cm e stato destinato all'attivit� economica, e rende, perci�, ce~ta e definitiva� la � plusva!lenza �. Tenuto conto di ci� -e per riprendere l'arigomento suil. quale la difesa dei ricorrenti ha maggiormente insistito -risuil.ta irrHevante accertare la natura giuridica, sotto il pro.filo dvilisti:co, dell'atto con il quale, estintosi i1 rapporto sociale per mancata ricostituzione della pluralit� dei soci, il socio supersvite e l'erede del socio deceduto procedono alla ripartizione dei beni �gi� posseduti in societ� di fatto. Quetlo che conta, agli effetti fiscali, � che i beni assegnati costituiscono una diversa envit� economica, definitivamente acquisita al patrimonio degli aventi diritto, capace d:i racchiudere nel suo .effetvivo valore iJ maggior valore aocumuilatosi in capo ai beni medesimi durante societate, integrando, perci�, i presupposti della plusvalenza tassabile. � appena il caso di aggiungere che la tesi contraria porterebbe ad un � salto di imposta � -il che � inammissibHe in campo tributario -perch� le plusvalenze realizzate dalla societ� che si estingue li li ! ! i: �1. i: io ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 401 (mai tassate perch� mai evidenziate) non potrebbero essere tassate neppure nei confronti dei soci, essendosi formato il plusvalore nei confronti della societ�, e non dei soci che vi hanno concorso solo indirettamente con la sottoscrizione del capitaile sociale. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 lul�lio 1980, n. 4867 -Pres. Sposato Est. Corda -P. M. Catelani (conf.) -Ministero delle Finanze {avv. Stato Salimei) c. Borrelli (avv. Guaitoli). Tributi erariali indiretti -Imposta di successione -Passivit� deducibili Avallo cambiario e privilegio speciale su bene dell'asse ereditario Debiti neutralizzati da un corrispondente �credito -Indeducibilit�. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, art. 45). L'avallo prestato dall'autore della successione costituisce un debito effettivo per l'eredit� che tuttavia � neutralizzato da un corrispondente credito verso l'avallato; non � di conseguenza deducibile come passivit� l'importo della cambiale avallata. Lo stesso � a dirsi per il privilegio speciale che grava un bene caduto in successione per un debito del precedente possessore che � pure neutralizzato dal credito dell'eredit� verso il debitore principale (1). (omissis) Col primo motivo, la ricorrente amministrazione finanziaria denuncia: 1) violazione degli artt. 1, 32 e 42 della legge tributaria sulle successioni (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270); 2) omessa o insufficiente motivazione. Sostiene che la commissione tributaria centrale non avrebbe considerato che le dmposte di suocessione colpiscono l'arricchimento ohe si verifica in capo all'erede e a!l legatario per effetto della trasmissione mortis causa, e, pertanto, i debiti e gli ailtri oneri che gravano sul patrimonio trasmesso in tanto sono deducibili dall'attivo, in quanto costituiscono una vera e propria passivit�. Se ci� avesse considerato, non avrebbe certo omesso di rilevare che nessuno dei due debiti costituiva, (1) Decisione interessante di questione nuova. E' evidente che l'avallo non pu� isolatamente essere considerato una passivit� anche se � in effetti un debito solidale; resta il problema di verificare se, come ed in quali termini sia ammissibile la deduzione dopo che il debito sia stato soddisfatto e la rivalsa sia risultata, in tutto o in parte, infruttuosa. Riguardo al privilegio speciale � sicuramente valida la stessa argomentazione, ma potrebbe ulteriormente affermarsi che il possessore del bene gravato da privilegio speciale non � nemmeno debitore; egli non � obbligato ad adempiere ed ha solo l'onere (o la facolt�) di pagare il debito altrui per salvare il bene �lell'esecuzione. li 402 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO al momento deill'apertura della successione, una �passivit��, nel senso richiesto dalle norme tributarie sulle successioni, poich� si trattava soltanto di debiti futuri ed eventuali, Chiarisce che � la posizione de11'avaMante e quella del terzo acquirente l'immobile gravato da privilegio fiscale non costituiscono ab origine delle passivit� poich� a fronte di ciascuna di esse sussiste il diritto di esigere da altri la reintegrazione dell'avvenuta perdita patrimoniale subita. L'avallante, che sia stato costretto al pagamento dal creditore e non � detto che lo sia dail momento che il pagamento deve essere richiesto all'obbligato principale -ha l'azione verso 11'avallato diretta appunto a reintegrarlo completamente e, prima ancora di avere pagato, pu� agire in rilievo nei confronti dell'avallato a norma dell'art. 1953 cod. civ.; cos� il terzo acquirente dell'immobiJe gravato da privilegio che abbia pagato o abbia subito l'esecuzione -e non � detto che lo sia perch� il procedimento di riscossione coattiva deve essere promosso anche nei confronti dei soggetti obbligati -� surrogato nei dil1i1lti della amministrazione finanziaria nei confronti dei debitori delJ'imposta �. Lamenta, poi, che �in aperta violazione dell'art. 32 (della legge triibutaria sulle successfoni), le commissioni si sono sostituite alla amministrazione nel giudicare inesigibili tanto il credito deLI'aval1ante verso la societ� avalJata -credito che non si sa neppure se sia stato ins~nuato nel fallimento della societ� -quanto il credito verso i debitori delle imposte di successione garantite dal privilegio; credito che non si sa neppure se sia mai stato fatto valere �. In. relazione a. tale motivo di ricorso, �, anzitutto, da rilevare che esso� attiene, principailmente, al debito cambiario di lire 12.547.459 della S.r.l. Fide verso la Soc. Sacelit, del quale il de cuius era avallante, e, in parte, al debito di lire 3.170.230, per imposte non pagate dal precedente propr.ietario di un immobile facente parte del.l'asse ereditario. Gli �argomenti, cio�, addotti come censura contro il capo di decisione ohe ha ritenuto deducibile dall'asse ereditario il primo dei due debiti, sono� dalila ricorrente riferiti, in parte, anche al secondo. Qu�, per�, per ragioni di comodit� espositiva, conviene esaminare il motivo in esame solo per ci� che attiene alla deducibilit� del debito di lire 12.547.459, rinviando all'esame del secondo motivo (che � specifico sul punto) la trattazione degli argomenti addotti per censurare la ritenuta deducibilit� del debito di lire 3.170.230. Con questa precisa:lli.one, va subito rilevato che il detto primo motivo di r.icorso � fondato. L'art. 45 defila vecchia legge tributaria sulle successioni (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, applicabile al caso di specie, perch� il rapporto triibutario in esame era sorto prima della :emanazione del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, ora vligente), esige, perch� un debito del de cuius possa essere portato in deduzione dall'asse ereditario, che il debito� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 403 stesso sia certo, liquido e, ovviamente, esistente al momento dell'apertura della successione. Nelle precedenti fasi, anche per contraddire quanto veniva via via affermato dalJle commissioni tributarie, l'ufficio aveva sostenuto che se il de cuius, al momento de1l'apertura della successione, era cambiariamente obbligato verso un terzo, in qualit�, per�, di avvalante il suo debito era, a quel momento, non certo, perch� solo �eventuale� (condizionato, cio�, al fatto del mancato pagamento da parte del debitore principale), e non attuale, perch� tale diventerebbe solo dopo la negattlva escussione del predetto debitore principale. Una siffatta impostazione, per�, non poteva certo aspirare al successo (come in effetti, si � verificato), per l'ovvia considerazione che l'avallante, in quanto cambiariamente obbligato, si trova nella identica posizione del debitore solidale; di modo che il possessore della cambiale pu� �rivolgersi indifferentemente verso l'avallato o l'avallante, n� quest'ultimo pu� invoca11e il beneficium excussionis. Con maggiore puntualit�, perci�, l'Amministrazione ricorrente prospetta ora in termini del tutto diversi la soluzione del problema giuri.dico sottoposto a1l'esame, facendo rilevare che il debito dell'avaHa:nte non � tale da essere ricompreso fra le passivit� deducibili, perch� alla posizione debitoria � simmetrica la posizione creditoria, essendo innegabhle il diritto dell'avallante �di esigere da altri la reintegrazione dell'eventuale perdita patri.monia1e subita �. Ora, non v'� dubbio che una tale impostazione del problema meriti sorte diversa da quella che in precedenza era toccata alla tesi per prima proposta, se si ritiene -com'� possib�le -che l'ava1lante sia creditore, pure eventuale, dell'avallato. Com'� noto, gi� in passato era sorta questione se l'avallante, prima cli avere pagato, potesse esercitare l'azione pauliana, a norma dell'articolo 2901 cod. civ., contro gli atti compiuti dall'avallato in frode ai suoi creditori. � noto, altres�, che in sede dottrinale una tale possibilit� era stata negata, sul rilievo che l'avallante era pur sempre un �debitore eventuale� (e non gi� �condizionale�), tenuto, cio�, a pagare solo per il caso che a1la scadenza la cambiale non venisse pagata dall'avallato; ossia, soltanto dopo aver pagato, l'avallante sarebbe divenuto cred1tore attuale e immediato dell'avallato per il rimborso, mentre l'azione revocatoria presuppone la qualit� di creditore, se pure condizionale di chi l'esercita. Siffatta impostazione dottrinale, per�, era stata gi� contraddetta dalla giurisprudenza di questa �Corte Suprema che, vigente ancora il codice abrogato, aveva deciso per l'affermativa, sul riflesso che, anche prima del pagamento, lo avallante � creditore, sia pure eventuale, dello avallato (v. la sent. 13 giugno 1933, n. 2200, in Foro it., 1934, I, 159). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � vero, peraltro, che una tale conclusione traeva argomento dal rilievo che all'avallante, anche prima di aver pagato, era concesso di sperimentare l'azione dli rilievo concessa al fideiussore. Ma se pu�, da un lato, affermarsi -in base ai pi� recenti orientamenti giurisprudenziali -che le norme sulla fideiussione non si applicano all'avallo, non pu�, d'altra parte, omettersi la considerazione che l'art. 2901 del codice vigente sancisce espressamente che �l'azione revocatoria pu� essere esperita anche dai creditori condizionali. A questo punto, ovviamente, il problema potrebbe subire una dilatazione, rappresentandosi, quantomeno, l'opportunit� di distinguere fra creditore condizionale e creditore eventuale, nonch� fra le rispettive posizioni. Ma se la necessit� di una tale distinzione pu� configurarsi con riferimento all'esercizio dell'azione pauliana (giacch� la norma da ultimo citata menziona il creditore condizionale), una necessit� analoga sicuramente non si configura qualora si debba, semplicemente, affermare -agli effetti della norma tributaria in esame -ohe l'avallante � creditore dell'avallato. Sia esso, cio�, creditore eventuale o condizionale, � giocoforza ammette11e che lo stesso assume una posizione che, ai fini della determinazione dell'asse ereditario, quantomeno neutralizza la posizione debitoria nei confronti del terzo possessore della cambiale. D'altra parte, la legge tributaria sulle successioni (art. 29, primo comma), allorch� precisa che �sono considerati crediti, agli effetti di questa fogge, i diritti, le obbligazioni e le a2lioni che hanno esclusivamente per oggetto somme di denaro�, non sembra escludere, data la mancanza di ogni Uilteriore specificazione, che l'obbligo di denuncia possa sussistere anche per i crediti eventuali o condizionali. Perci�, se pu�, da un lato, affermarsi che un obbligo di denuncia non sussiste per siffatti crediti, allorch� sia ad essi simmetrica una posizione debitoria (qual �, appunto, quel.la dell'avallante), deve giocoforza ammettersi che non pu� pretendersi il puro e semplice inserimento, fra le passivit�, di un deb1to cui in realt� corrisponde una simmetrica posizione creditoria della quale non sia stata fatta denuncia. � ovvia, quindi, la conolusione che pu� trarsi da tali premesse. Se l'erede dell'avallante pretende di dedurre dall'asse ereditario il debito del de cuius verso il terzo portatore della cambiale, deve nel contempo denunciare l'esistenza del credito dello stesso avallante verso l'avallato. E non v'� dubbio che, in tal caso, la pretesa di deduzione viene automaticamente a dissolversi. Giova, peraltro, ribadire che una tale conclusione non � impedita dal fatto che il credito in parola � solo eventuale, posto che una siffatta caratteristica � propria anche del debito che si pretende di portare in deduzione. Poich�, infatti, sotto questo aspetto il debito e il credito si trovano in identica posizione giuridica, non pare sussistere difficolt� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 405 ailcuna a concludere che se uno di essi ha diritto di cittadinanza nei confronti dell'asse ereditario, analogo diritto deve essere riconosciuto anche all'altro, sempre col risultato dell'azzeramento delle due poste. La ricorrente censura anche la decisione impugnata per avere indebitamente sostituendosi, cos�, all'amministrazione attiva -giudioato sul presupposto dell'inesigibilit� del credito dell'avvaHante verso la societ� avalilata, poi fallita. Tale censura sarebbe sicuramente pertinente se la commissione tributaria centrale avesse svolto un ragionamento analogo a quehlo in questa sede proposto dalla ricorrente e, daHa ritenuta inesigibilit� del credito, avesse tratto una qualunque conseguenza. In effetti, per�, la detta Commissione ha semplicemente dato atto, nelJa parte motiva della decisione, di un �ormai avvenuto fallimento nell'apri.le del 1966 della S.r.l. Fide� e della �riconosciuta insolvibilit� della stessa �. Ma poich� da tali premesse non sono state tratte, con procedimento sillogistico, specifiche conseguenze e poich�, quindi, non � dato di conoscere quanto e come quegli elementi di fatto abbiano influito sulla decisione, pi� per,tinente, oltre che palesemente fondata, si appalesa la censura di difetto di motivazione che, pure, la ricorrente non ha omesso di presentare, anche con riferimento al futto che una tale inesigibilit� non avrebbe potuto essere ritenuta senza il previo accertamento che ~l credito (dell'avallante) era stato insinuato nel passivo fallimentare e che la procedura concol'.'suale si era conclusa con risultato negativo per l'insinuante. Non sembra, peraltro, inutile ricordare che l'art. 32 della vecchia legge tributaria sulle successioni non esclude affatto che i crediti � di dubbia esigibilit�� debbano essere denunciati come facenti parte dell'asse ereditario, ma dispone, semplicemente, che in relazione ad essi rimane sospesa l'esazione della tassa. Col secondo motivo, la ricorrente denuncia [a violazione degli articoli 45 e 68 della legge tributaria sulle successioni (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270). Sostiene -con riferimento alla ritenuta deducibilit� dall'asse ere ditario del debito di lire 3.170.230 che i precedenti proprietari di un im mobile facente parte dell'asse ereditario avevano verso lo Stato, a causa del mancato pagamento di un'imposta -che la commissione tributaria centrale avrebbe omesso di considerare che la posta di cui si era pre tesa la deduzione non presentava � neppure gli estremi essenziali del de bHo e tanto meno la indispensabile caratteristica della liquidit� �. Anche questo motivo di ricorso � sostanzialmente fondato. Il debito di cui si era pretesa la dedu;z;ione dall'asse ereditario, invero, era sorto non gi� come debito del de cuius, bens� dei precedenti proprietari di un immobile che, poi, era entrato a far parte del patrimonio del predetto de cuius. Costoro, infatti, lo avevano a suo tempo <�-06 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO. STATO acquistato per eredit�, ma non avevano, evidentemente, pagato Jlimposta di successione, tanto che la finanza era rimasta di essi creditrice, col privilegio, sull'immobile, di cui all'art. 68 della legge in esame. Pervenuto, poi, l'immobile nel patrimonio del dante causa dei Borre1li e della Scarci, su di esso aveva continuato a gravare il privilegio predetto; e gli eredi e la legataria di Filippo BorreHi (gli odierni resistenti) -come si � chiarito nella parte espositiva -avevano chiesto in deduzione, dal patrimonio ad essi pervenuto, la somma corrispondente al debito del precedente proprietario verso la finanza. Nel ritenere fondata codesta loro pretesa, per�, la commissione tributaria centrale non ha, evidentemente tenuto conto che il de cuius si trovava, rispetto al debito garantito .da un privilegio gravante su immobile facente parte dell'asse ereditario, nella sostanziale posizione del garante, post� che il soggetto passivo del debito era pur sempre il suo dante causa. Egli, perci�, si trovava in una condizione sostanzialmente corrispondente a quella del debitore eventuale; ma � ovvio che se tale era la sua posizione, egli si trovava, nei confronti del debitore, in una posizione corrispondente a quella del creditore eventuale, della quale si � detto esaminando il primo motivo di ricorso. E non v'� dubbio che, essendo egli in contemporanea posizione sostanziale di debitore e di creditore (in entrambi i casi �eventuale�), valgono le ragioni esposte in precedenza per negare che un debito di siffatta natura possa essere portato in deduzione dahl'asse patrimoniale, ai sensi della legge tributaria sulle successioni del 1923. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e, conseguentemente, deve essere cassata la decisione impugnata, in quanto informata a un principio giuridico opposto a que1lo qui affe:mnato. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4879. Pres. Sposato -Est. Battimelli -P. M. Leo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Viceconte) c. Fa:Mimento Niele. Tributi erariali indiretti -Sanzioni non penali -Interessi -Non sono dovuti. (legge 26 gennaio 1961, n. 29, artt. 1, 2 e 4). Le norme eccezionali della legge 26 gennaio 1961 n. 29, da interpretare restrittivamente, sono riferibili soltanto alle somme dovute per tasse ed imposte indirette sugli affari, fra le quali non possono ricomprendersi n� le soprattasse n� le pene pecuniarie (1). (1) Un improvviso cambiamento di indirizzo sia sul punto specifico della debenza degli interessi sulla soprattassa (Cass., 16 febbraio 1978, n. 727; 5 aprile 1978, n. 1549; 29 maggio 1978, n. 2689, in questa Rassegna, 1978, I, 385, 609 e 614), PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 407 (omissis) Non pu� aocogliersi, invece, il ricorso in relazione al secondo motivo, con cui si denunzia che erroneament� � stato ritenuto che, data la natura della soprattassa �avente la stessa natura di prestazione obbligatoria, di quella tributaria di cui segue le sorti e alla quale � indissolubilmente legata>>, non fossero dovuti gli interessi per non essere questi dovuti sull'impos�ta. Seppure, infatti, � evidente la mancanza di motivazione specifica sulla questione in esame, pur tuttavia, con una diversa motivazione, la decisione qui impugnata va confermata, essendo esatta la conclusione cui essa � giunta, a sensi deN'art. 384 cod. proc. civ. E a tale soluzione questa Corte ritiene di dover giungere in difformit� di due precedenti decisioni (sentenze n. 727, n. 1549 'e n. 2689 del 1978) con cui � stata affermata l�> debenza degli interessi su soprattassa applicata in occasione di tardiva registrazione con l'unica costante motivazione della comprensibilit� deUa sovratassa fra le � somme dovute per tasse o imposte indirette sugli affari>>, previste all'art. 1 della legge n. 29 del 1961. Meglio approfondendo il problema, infatti, non sembra potersi confermare tale indirizzo giurisprudenziale, a parte, infatti, ogni considerazione circa la natura della soprattassa, che va distinta da .quella del tributo cui essa afferisce per la sua funzione satisfattoria di risarcimento del danno causato dall'inadempimento dell'obbligazione tributaria (come si evince dalla stessa relazione allla legge fondamentale del 7 gennaio 1929, n. 4), come risulta, oltretutto, per quanto attiene all'imposta di registro, dalla sua commisurazione, sia pure non proporzionale, alla durata dell'inadempimento -art. 104 della legge di registro del 1923 -, per cui pu� ritenersi che essa trova la sua fonte in un fatto contrario sia in generale sulla natura della soprattassa. Su questo secondo punto era stato sempre affermato che la soprattassa, per la quale non sono dettate norme particolari, segue la sorta dell'imposta a tutti gli effetti (prescrizione, privilegi, ecc.) e non ha una sua autonomia (Relazione Avv. Stato, 1966, 70, II, 440 e segg.). Ora, negandosi la assimilazione della soprattassa al tributo, si porrebbe il problema della definizione stessa della obbligazione per soprattassa. Seguendo la interpretazione della sentenza in esame, si deve ritenere che anche l'amministrazione tenuta a rimborsare somme ritenute non dovute non deve gli interessi sulle soprattasse. Sotto questa visuale la distinzione appare assai poco logica; ma la premessa della legge n. 929 del 1961 sta proprio nella parit� di posizioni della Amministrazione e del contribuente. A seguito della riforma l'obbligazione di interessi � disciplinata specificamente per alcune imposte mentre per altre continua ad essere applicabile la legge n. 29/1961. Per l'i.v.a. gli interessi sono dovuti anche sulla soprattassa e perfino sulla pena pecuniaria, per l'espressa norma dell'art. 61 del d.P.R. n. 633/1972; non sembra che 1sffia giustificabiile una diversa soluzione per J>e altre dmposte per le quali letteralmente le norme fanno riferimento soltanto ai tributi, ma non escludono la ricomprensione degli accessori. 408 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO I Iili ad una norma di legge e si differenzia dal tributo in quanto costituisce un mezzo particolare per il risarcimento del danno; a parte tali conside-m razioni di natura generale, sta di fatto che il problema va risotto proprio 1>�~ sulla base della normativa specifica contenuta nella legge n. 29 del 1961. ::: Ed invero va ricordato che, prima della legge suddetta, non esisteva fi alcuna generaile disciplina normativa degli interessi sui tributi indiretti 1��:, (salve poche eccezioni, ad es. in materia doganale e, per quanto attiene all'imposta di registro, ma con particolari giustificazioni, nell'ipotesi prevista da[['art. 92 della legge di registro del 1923) e che la legge del 1961, per la primail~ v~lbta, .intdr~us~e unah specifica dis~iplinffa degli interessi di @I mora su t 'I tn ut1: 1sc1p1ma c e, pera1tro, s1 di erenzia nettamente dalla disciplina generale della mora quale ricavabile dal codice civile, non solo e non tanto per la natura deMe obb[igazioni cui afferisce, quanto per le particolari regolamentazioni in esse contenute, che in pi� punti ~ divergono da detta disciplina generale, non solo per le ipotesi, gi� ricor- I date, regolamentate dall'art. 2, quanto soprattutto per due punti fonda-~ mentali: il tasso degli interessi, superiore a quello legale, e il 11oro com-m,.._ puto temporale (a semestre compiuto, e non a giorni). Trattasi, pertanto, di una normativa di natura eccezionale, che � soggetta, nella sua appli cazione, ai limiti previsti daJl'art. 14 delle disposizioni sulla legge in ge-i nera!le, premesse a[ codice civile. i Ne consegue che la lettura dell'art. 1 della legge in questione va @ fatta in modo rigoroso e tale da escludere una possibilit� di applicazione ~ analogica, e che pertanto, allorch� si fa menzione di � somme dovute 1:: per tasse o imposte indirette �, si debba intendere che si parli esclusi-I;_, vamente delle tasse e imposte propriamente dette e che la parola � som-~ ma � non stia ad indicare qualsiasi debito comunque connesso all'adem-!~ pimento di una obbligazione tributaria (e la soprattassa, per quanto in ~j generale osservato in precedenza, non ha tale natura, ma ha natura e I funzione risarcitoria), bens� indichi, pi� semplicemente, l'ammontare del Fa tributo, il � quantum� su cui vanno applicati e commisurati gli interessi: i l'espressione, quindi, �per tasse e imposte indirette � sta ad indicare lo I specifico �titolo� in forza del quale determinate somme di danaro sono @ dovute, per cui l'applicazione degli interessi sulla soprattassa viene a di- I scendere non gi� da una intenpretazione estensiva, bens� da una app[i-r; cazione analogica della norma. I E ci� � confermato dalla lettura non del solo art. 1 della legge, ma � I ~ altres� da quella de.hl'art. 4, in cui sono espressamente contemrplate :le >=l penailit� e soprattasse specificamente previste dalle singole leggi tribu tarie come obbligazioni diverse dall'obbligazione tributaPia vera e propria 1:= e la cui applicazione, per espressa volont� del legislatore (che ha cos� f:l (�'. inteso risolvere una questione dibattuta in dottrina e nella pratica), non ~: � di ostacolo aHa percezione degli interessi sul tributo vero e proprio. 1: L'espressa previsione deHe pene pecuniarie e delle soprattasse, contenuta ):: - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 409 nell'art. 4, deve portare a concludere, in aggiunta all'interpretazione innanzi data dell'art. 1, che per il legislatore del 1961 dette forme di sanzione erano considerate come qualcosa di sostanzialmente diverso dal tributo (quali in effetti esse sono, data la diversa loro causa, natura e funzione) e come tali, quindi, non rientranti nella previsione de1l'art. 1. In tali sensi, pertanto, va modificata la motivazione della decisione impugnata, confermandosene peraltro il dispositivo, dovendosi riconoscere che sulle somme dovute non per tasse o imposte indirette sugli affari, bens� per pene pecuniarie o per soprattasse conseguenti all'inadempimento di obbligazioni tributarie non sono percepibili gli interessi di cui alla legge in esame e che, rispetto ad esse, il problema dehla percezione degli interessi va risolto non in base a:lla disciplina eccezionale in detta legge contenuta, ma in base ai princ�pi generali, Jn forza dei quali, nel caso di specie, deve riconoscersi l'inapplicabilit� degli interessi sulla soprattassa riscossa al momento della tardiva registrazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 luglio 1980, n. 4880 -Pres. Granata Est. Scanzano -P. M. Leo (conf.) -ENEL c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Viola). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Concessione -Servizio di illuminazione -Istituzione dell'ENEL -Continuazione del servizio da parte della societ� -Obbligazione per l'imposta di registro. (legge 6 dicembre 1962, n. 1643, artt. 2 e 4). L'entrata in vigore della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, sulla nazionalizzazione dell'energia elettrica, non ha prodotto automaticamente ed immediatamente il trasferimento all'ENEL degli impianti, che sono rimasti in possesso delle rispettive imprese fino al momento del successivo trasf erimento operato con decreto; conseguentemente � normalmente dovuta l'imposta di registro sulla concessione in favare della societ� conclusa in epoca anteriore all'effettivo trasferimento, anche se dell'imposta deve rispondere l'ENEL subentrato nel rapporto (1). (1) Una puntuale riconferma della sentenza 25 ottobre 1979, n. 5594, in questa Rassegna, 1979, I, 401). SEZIONE SETTIJMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 marzo 1980, n. 1818 � Pres. Mirabelli -Rel. Cantillo -P. M. Del Grosso (conf.) � IM.CO. Impresa Centrale costruzioni S.p.A. (avv. Mascioli, Piga e Guarino) c. I.A.C.P. di Firenze (avv. Vannutelli, Capaccioli e Cardoso). Appalto -Appalto di opere pubbliche � Consegna dell'opera � Appalto disciplinato per legge o per convenzione dal capitolato generale per le opere pubbliche -Consegna frazionata dei lavori� Esclusione �Avvenuta con .� segna parziale � Conseguenze alternative. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 10; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 10). Appalto � Appalto di opere pubbliche � Consegna dell'opera � Appalto disciplinato dal capitolato generale delle opere pubbliche � Consegna tardiva � Diritti dell'appaltatore. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 10; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 10). Appalto . Onerosit� e difficolt� dell'esecuzione � Disciplina prevista dal� l'art. 1664 cod. civ. -Finalit�. (cod. civ., artt. 1467, 1664). Appalto. Onerosit� e difficolt� dell'esecuzione -Disciplina prevista dall'articolo 1664 cod. civ. � Applicazione analogioa ad eventi sopravvenuti diversi da quelli indicati dalla norma � Inammissibilit� � Equo compenso -Interpretazione estensiva � Ammissibilit�. (cod. civ., artt. 1467, 1664; disp. prel. legge in generale artt. 12, 14),. Negli appalti ai quali si applichi, per legge o per convenzione, il capitolato generale per le opere pubbliche dello Stato (d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063) e nei quali non sia consentita la consegna frazionata dei lavori, sono configurabili due ipotesi: se la consegna parziale, per gli effetti che produce, � tale da doversi equiparare a mancata consegna, � applicabile la disciplina dell'art. 10 del capitolato la quale, per il caso che il contratto preveda il frazionamento della consegna dei lavori, prevede lo spostamento del termine di consegna dell'opera, sicch� l'appaltatore pu� avvalersi della facolt� di scegliere tra la prosecuzione del rapporto nonostante il ritardo, rinunziando cos� a qualsiasi pretesa risarcitoria, e la richiesta di recesso, la quale, se non accolta, comporta un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo; se, invece, il frazionamento nella consegna dei lavori � scarsamente rile PARTE I, SEZ. VII, Gl'.URIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 411 vante nell'economia del rapporto, l'appaltatore potr�, al massimo, pretendere un prolungamento del termine di completamento dell'opera e, se del caso, il ristoro dei maggiori oneri relativi alla parte consegnata in ritardo, previa formulazione delle opportune riserve (1). In tema di appalto disciplinato dal capitolato generale delle opere pubbliche dello Stato l'intempestiva consegna dei lavori conferisce all'appaltatore il diritto di risarcimento dei danni solo nel caso che abbia manifestato la volont� di recedere dal contratto (dichiarazione che ha valore di proposta di risoluzione del rapporto), mentre, in caso contrario, nulla pu� successivamente pretendere. Tale disciplina � diretta ad assicurare all'amministrazione la possibilit� di conoscere immediatamente le conseguenze del ritardo, e, quindi, di stabilire l'opportunit� di mantenere in vita il rapporto ovvero di adottare una diversa determinazione in vista dell'eventuale superamento degli originari limiti di spesa, sicch� tale finalit� sarebbe elusa ove fosse dato all'appaltatore di richiedere il rimborso di maggiori oneri, a qualsiasi titolo durante e dopo l'esecuzione dell'opera, pur avendo accettato senza riserve la consegna tardiva dei lavori e il nuovo termine contrattuale (2). L'alea connaturale al contratto di appalto non incide sulle prestazioni delle parti in modo da renderle quantitativamente e qualitativamente incerte, ma investe soltanto la sfera economica dei contraenti, restando estranea al contenuto giuridico del rapporto, in nulla differendo, se non per la maggior intensit� e latitudine, dall'alea economica presente in ogni contratto a prestazioni corrispettive, e, in particolare, in quelli ad esecuzione differita, periodica o continuativa, nei quali le vicende economiche sopravvenute possono alterare la situazione di equilibrio fra le prestazioni considerate dalle parti al momento della stipulazione. Rientrano, pertanto, nell'alea normale del contratto anche le sopravvenienze imprevedibili, rispetto alle quali i rimedi previsti dall'art. 1664 cod. civ. sono finalizzati esclusivamente al contenimento del rischio economico, consentendo di ripristinare l'equilibrio del sinallagma (1-4) La decisione, resa su controversia cui erano estranee amministrazioni dello Stato, si pubblica per il notevole interesse delle questioni affrontate, risolte in base a princ�pi applicabili identicamente agli appalti di opere pub� bliche di competenza statale. ~1-2) SuLla consegna dei lavori come co11abo~azione del creditore aill'adempimento da parte del debitore e sulla necessit� della dichiarazione di voler recedere come presupposto per far valere pretese di danni per il protrarsi del ritardo nella consegna, cfr. Cass., 4 marzo 1978, n. 1083, in Arch. giur. op. pubbl., 1978, Il, 206; Cass., 19 febbraio 1977, n. 773, in questa Rassegna, 1977, I, 332 con nota di P. VITTORIA Ritardata consegna dei lavori e tutela degli interessi dell'appaltatore negli appalti pubblici; Cass., 26 giugno 1976, n. 2395, in Giust. civ., 1976, I, 1414; Cass., 19 giugno 1975, n. 2467, in questa Rassegna, 1975, I, 764; Cass., 23 gennaio 1931, n. 222, in Giur. it., 1931, I, 1, 340. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quando la sproporzione superi i limiti emergenti dalla disposizione predetta (3). Gli istituti disciplinati dall'art. 1664 cod. civ., che correggono i rigori dell'alea contrattuale nell'appalto, riversando (anche) sul committente le conseguenze di determinate sopravvenienze, rivestono carattere eccezionale rispetto alla disciplina generale della risoluzione del contratto per eccessiva onerosit� sopravvenuta, di cui all'art. 1467 cod. civ., e sono perci� insuscettibili di applicazione analogica ad eventi sopravvenuti diversi da quelli considerati dalla norma. E, peraltro, ammissibile l'interpretazione estensiva della norma che, nel secondo comma, prevede il diritto dell'appaltatore ad un equo compenso per le difficolt� di esecuzione sopravvenute, derivanti da cause geologiche, idriche e � simili�, che rendano pi� onerosa la sua prestazione, nel senso che debbono ritenersi comprese nella previsione normativa tutte le difficolt� di esecuzione dipendenti da cause naturali, e cio� tutte quelle che presentino le stesse qualit� e caratteristiche intrinseche delle precedenti, esplicitamente menzionate, ma non quelle provocate da sopravvenienze oggettive di tipo diverso che provochino effetti identici o analoghi, come il fatto del terzo e il factum prindpis, le quali possono rientrare nella disciplina generale dell'art. 1467 cod. civ. (4). (omissis) 1. -H ricorso priincipale della IM.CO. e quello incidentale dell'Istituto autonomo per le case popolari debbono essere riuniti perch� proposti contro la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.). 2. -I primi tre motivi del ricorso principale possono essere esaminati insieme perch� diretti a censurare, sotto altrettanti profili, la sentenza impugnata nella parte in cui, in applicazione dell'art. 32 del capitolato di appalto, ha ritenuto infondata la pretesa della IM.CO. per fatti ricollegabili al ritardo nella consegna dei lavori da parte del committente. La Corte fiorentina ha interpretato detta clausola -la quale riproduce l'art. 10 del capitolato generale per le opere pubbliche dello Stato, approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, senza tuttavia avere (3) Nello stesso senso, Cass., 6 giugno 1977, n. 2326, in questa Rassegna, 1977, I, 572, nonch� Cass., 5 marzo 1979, n. 1364, in Arch. giur. op. pubbl., 1979, Il, 67. (4) La questione appare essere stata per la prima volta affrontata dalla Cassazione che, come avverte la decisione, l'ha risolta in senso non condiviso dalla prevalente dottrina. Sul punto, in dottrina, cfr. RuBINO, L'appalto (con note di E. MOSCATI), in Trattato di diritto civile, Torino, UTET, 1980, n. 300, pag. 727 e 729; CAGNASSO, Appalto e sopravvenienza contrattuale, Milano, Giuffr�, pag. 98 ss. e 106; e, nel senso accolto dalla sentenza CIANFLONE, L'appalto di opere pubbliche, Milano, Giuffr�, 1976, n. 339, pag. 486 e 488. io !: � f: PARTE.I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 413 il valore di norma di diritto positivo, in quanto, com'� noto, il capitolato della GESCAL, utilizzato dal I.A.C.P. quale ente incaricato dalla stessa, ha natura contrattuale -pervenendo alla conclusione che essa, nell'ipotesi di ritardata consegna dei lavori per fatto della stazione appaltante, pone l'appaltatore nell'alternativa di scegliere� fra la richiesta di recesso dal contratto e l'esecuzione del rapporto: nel primo caso, gli attribuisce il diritto al rimborso delle spese sostenute per il contratto oppure, nel caso che la committente non aderisca al recesso, quello di ottenere un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo; nel secondo caso, invece, non attribuisce alcun diritto all'appaltatore, il quale, quindi, a parere della Corte, non pu� successivamente avanzare pretese risarcitorie comunque relazionate al ritardato inizio dei lavori. In base a questa premessa ha affermato che: a) la consegna dei lavori da parte dell'Istituto (che aveva incontrato difficolt� nell'acquisizione delle aree edificande) avvenne il 15 maggio 1968, cio� sette mesi dopo il termine convenuto, ma la societ� appaltatrice non si avvalse della facolt� di chiedere il recesso ed accett� espressamente, anzi, di mantenere in vita il rapporto, sottoscrivendo senza riserve il verbale di consegna, con il quale i termini del programma di esecuzione dei lavori e di completamento delle opere furono ragguagliati alla nuova data di inizio; b) era pertanto irrilevante la circostanza che alcune minori porzioni del suolo fossero state consegnate in tempo successivo, non essendosi di ci� doluta l'appaltatrice neppure in occasione della consegna di tali aree residue; e) avendo scelto di dare esecuzione al rapporto nel nuovo termine, la IM.CO. si era assunta il rischio degli eventuali maggiori oneri costruttivi verificatisi nel termine medesimo, ancorch� dipendenti da fatti ignoti al tempo della consegna, salvo, ovviamente, il diritto alla revisione dei prezzi nel concorso degli altri elementi che la legittimano; d) sok> con la comparsa conclusionale di quel grado la societ� aveva riferito alcune pretese (rientranti fra quelle formulate con le prime sette riserve) ad un asserito comportamento colposo dell'Istituto successivo alla data di consegna, sicch� per questo verso la domanda non poteva essere esaminata, in quanto del tutto nuova. La prima delle critiche della ricorrente investe i punti sub a) e b). Essa si duole che la sentenza impugnata abbia omesso di valuta11e, sotto il profilo dell'individuazione del momento della consegna, la circostanza che alcune aree furono consegnate in tempo successivo ed abbia conseguenzialmente violato l'art. 10, ultimo comma, del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, secondo il quale, nel caso di consegne frazionate, �la data legale della consegna, per tutti gli effetti di legge�, � 414 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quella dell'ultima di esse; sostiene che in base a questa disposizione la Corte di merito avrebbe dovuto escludere che la consegna fosse avvenuta il 15 maggio 1968 e ritenere, quindi, inapplicabile l'art. 32 del capitolato. La censura � infondata. L'art. 10 cit. consente che il capitolato speciale di un appailto pubblico preveda il frazionamento in singole quote della consegna dei lavori quando questa, per la natura e l'importanza dell'opera appaltata, richieda �molto tempo �; e con riferimento a siffatta previsione qualifica come �data legale� della consegna quell.a dell'ultimo verbale di consegna parziale (o �provvisoria�, secondo il Hnguaggio della norma), tranne che diversamente risulti dal capitolato medesimo. La disposizione, cio�, riflette l'ipotesi in oui lo stesso contratto preveda l'eventuale frazionamento della consegna in tempi successivi, come modalit� di attuazione del rapporto, la cui adozione non � idonea, quindi, a configurare un ritardo� imputabile all'amministrazione committente e non d� .luogo a responsabilit� della medesima, unica conseguenza essendo lo spostamento del termine di completamento dell'opera, che prende a decorrere, se non sia diversamente convenuto, dal perfezionamento della consegna medesima (e prima di questo momento non � possibile, di regola, neppure dare inizio ai lavori per la parte oggetto delle consegne parziali). La norma � estranea, invece, alle fattispecie -come quella in esame -in cui il contratto non consenta la consegna frazionata dei lavori, per essere l'inizio di questi e,� quel che pi� conta, il termine di completamento dell'intera opera, stabiliti con riferimento all'unico verbale di consegna. In tal caso, la mancata consegna completa dei lavori nel termine fissato si qualifica, se imputabile alla stazione appal tante, come inadempimento e legittima il ricorso dell'appaltatore ai normali rimedi� risolutori e/o risarcitori. In particolare, per gli appalti nei quali sia operante, per legge o per convenzione, il regolamento delineato dall'art. 10 del capitolato generale dello Stato, sono configurabili due ipotesi, a seconda dell'importanza che le parti non consegnate assumano sul regolare inizio dei lavori e sullo svolgimento del programma contrattuale: se la consegna parziale, per le conseguenze che produce, � tale da doversi equiparare alla man canza della consegna, torna applicabile la disciplina dell'art. 10 del capi tolato, sicch� l'appaltatore pu� � rifiutare la consegna incompleta ed avvalersi, quando sar� completata, della facolt� di scegliere tra la richie sta di recesso e la prosecuzione del rapporto nonostante il ritardo; se, per contro, il frazionamento � scarsamente rilevante sull'economia del rapporto, l'appaltatore potr�, al limite, pretendere il prolungamento dei termini e, se del caso, il ristoro dei maggiori oneri riflettenti la parte� consegnata in ritardo, formulando le opportune riserve. PARTE.I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI La Corte fiorentina ha correttamente valutato nei termini suesposti, cio� sotto il profilo dell'inadempimento e in relazione all'alternativa suddetta, ,ili fatto de11a consegna ritardata (rispetto a quella effettuata con verbale del maggio 1968) alla IM.CO. delle due piccole porzioni in oggetto e lo ha ritenuto irrilevante ai fini della decisione in quanto ha accertato che la ditta appaltatrice, eia un lato, aveva accettato la consegna incompleta ed il nuovo termine di ultimazione dell'intera opera appaltata senza formulare akuna riserva in ordine alle superfici mancanti, cos� dimostrando di considerarle di nulla o scarsa importanza per l'organizzazione generale del lavoro e lo sviluppo del programma costruttivo; da!l.l'altro, non aveva provveduto ad iscrivere alcuna .riserva neppure al momento della tardiva consegna delle stesse e, coerentemente, non aveva formulato nel successivo giudizio alcuna pretesa risarcitoria specificamente riflettente tale ritardo. E questi apprezzamenti di merito, congruamente e logicamente motivati, non sono qui censurabili. 3. -Le altre due censure investono i punti sub e) e d) sopra riassunti ed attengono entrambe all'ambito di efficacia dell'art. 32 cit. del capitdlato, rimproverandosi alla sentenza impugnata (in relazione ai numeri 3 e 5 dell'art. 360 cod. proc. civ.) di avere ricollegato al mancato esercizio, da parte della IM.CO., de11a facolt� di recesso, l'esonero del committente da ogni responsabilit� per la sua colpa, non solo quanto ai maggiori oneri direttamente cagionati dalla tardiva consegna, ma pure quanto alle conseguenze di eventi produttivi di danno successivi alla consegna ed imprevedibili alla data di questa: in tal modo, la Corte di appello avrebbe violato le regole fondamentali dell'illecito contrattuale, omettendo di valutare tali eventi successivi con riguardo al comportamento colpevole dell'Istituto, anche posteriore alla consegna (secondo motivo di ricorso); avrebbe violato i princ�pi fondamentali dell'appalto, giacch�, assoggettando l'appaltatore al.!le conseguenze di fatti imprevedibili, avrebbe attribuito al contratto carattere aleatorio, tale da comprendere, oltre al rischio in senso economico, quello in senso tecnico-giuridico (terzo motivo). Anche queste critiche sono prive di fondamento. Va anzitutto precisato, con riferimento alla prima censura, che la Corte di appello non ha interpretato la disposizione dell'art. 32 del ca pitolato nel senso che il mancato recesso potesse influenzare la respon sabilit� del committente per fatti colposi successivi all'inizio dei lavori. All'opposto, ha espressamente distinto il ritardo nella consegna, e gli effetti del medesimo manifestatisi successivamente, dagli eventuali inadempimenti posteriori; e non � affatto entrata nel merito di quest'ultimo profilo della domanda, astenendosi dal prenderlo in considerazione perch� tale causa petendi era stata prospettata per la prima volta con la comparsa conclusionale, in violazione dell'art. 345 cod. proc. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO civ., essendosi in precedenza la IM.CO. doluta sempre e soltanto del ritardo iniziaile. E poich� questa statuizione non � stata impugnata, non avendo la ricorrente denunziato, in proposito, un errar in procedendo della sentenza, la censura deve essere esaminata solo nella parte che attiene alle conseguenze della ritardata consegna dei lavori, riguardante, cio�, i maggiori oneri che sarebbero derivati all'appaltatrice per l'operare di fatti oggettivi, vedficatisi dopo la consegna medesima e non riferibili alla committente, dei quali questa dovrebbe tuttavia rispondere in conseguen:m della colpa iniziale (siccome non avrebbero inciso sul rapporto se questo si fosse svolto nel termine contrattuale). Le ragioni di questo assunto non sono univocamente esposte negli scritti difensivi della ricorrente: mentre in ricorso si sostiene che l'art. 32 cit. fosse destinato ad operare solo quando il ritardo dipendesse da colpa della committente, nella memoria, introducendosi una apodittica distinzione fra il periodo precedente e quello successivo alla tairdiva consegna, si sostiene che, in forza della disposizione, la scelta dell'appaltatore di dare esecuzione al contratto nonostante il ritardo valesse ad escludere la responsabilit� della committente solo per i maggiori oneri sopportati nel primo periodo, continuando ad essere rilevante, per quello successivo, l'inadempimento iniziale. Entrambe le proposte esegetiche sono state, per�, esaminate e disattese dailla Corte di appello, il cui apprezzamento in ordine al contenuto ed all'ambito della disposizione -che, giova ricordarlo, nel contratto in questione ha valore negoziale -� incensurabile in questa sede, in quanto sorretto da congrua e logica motivazione. La sentenza impugnata, in base alla testuale formulazione della clausola ed alla sua ratio, ha osservato, da un lato, che essa riguairdava ogni ipotesi di tardiva consegna dei lavori da parte della committente, senza distinguere fra ritardo dovuto a colpa della medesima o ritardo dipendente da caso fortuito o forza maggiore, e, anzi, avendo di mira proprio la prima ipotesi, solo in relazione alla quale si poteva configurare nei confronti della committente, ove non avesse aderito alla eventuale richiesta di recesso dell'appaltatore, l'obbligo di corrispondergli �i maggiori oneri dipendenti dal ritardo�; dall'altro, che la scelta dell'appaltatore di mantenere in vita il rapporto rendeva completamente irrilevante, sotto il profilo della responsabilit� della committente, il fatto della ritardata consegna dei lavori, precludendo, quindi, quals~asi successiva pretesa dell'appaltatore medesimo per maggiori oneri dipendenti da sopravvenienze oggettive verificatesi nel nuovo termine contrattuale. La ricorrente, pur insistendo in questa sede nelle ipotesi interpretative anzidette, non ha denunziato vizi attinenti al procedimento ermeneutico seguito dalla sentenza impugnata, essendosi limitata a dedurre, PARTI! I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 417 come si � riferito, oltre a non precisate carenze della motivazione, la violazione dei princ�pi sulla responsabilit� contrattuale. Il quale vizio, a parte la genericit� della denunzia, chiaramente non sussiste, appena si consideri che il significato come sopra attribuito alla clausola coin� cide con l'interpretazione data all'identica disposizione dell'art. 10 del capitolato generale del 1962 da questa Corte Suprema, la quale ha chiarito che la intempestiva consegna dei lavori conferisce all'appaltatore ill diritto al ristoro dei danni solo nel caso che abbia manifes,tato la volont� di recedere dal contratto (dichiarazione che ha valore di proposta di risoluzione del rapporto), mentre, in caso contrario, nulla pu� successivamente pretendere, posto che la norma � diretta ad assicurare all'amministrazione la possibilit� di conoscere immediatamente le conseguenze cui potrebbe andare incontro in conseguenza del ritardo, e, quindi, di stabilire se sia opportuno mantenere in vita il rapporto ovvero adottare una diversa determinazione in vista dell'eventuale superamento degli originari limiti di spesa; e tale finalit� sarebbe eviden� temente elusa ove fosse dato all'appaltatore di richiedere il rimborso di maggiori oneri, a qualsiasi titolo, durante o dopo l'esecuzione del� l'opera, pur avendo accettato senza riserve la consegna tardiva e ii nuovo termine contrattua~e (cfr. Cass., sent. n. 1083 del 1978). Del pari infondata � la seconda censura. L'alea connaturale al contratto di appalto non !incide sulle prestazioni dovute in modo da renderle quantitativamente o qualitativamente incerte e perci� non si riscontra la nota caratteristica essenziale dei contratti aleatori per legge o per volont� de1le parti, nei quali il sinallagma de1le prestazioni si pone .necessariamente come scambio fra una prestazione certa ed una incerta; essa, invece, rimane estranea al contenuto giuridico del rapporto, in quanto investe soltanto la sfera economica dei contraenti (rendendo pi� onerosa l'attuazione della pre� stazione o vanificando il risultato sperato), e in nulla differisce, quindi, se non per la maggiore intensit� e latitudine, dall'alea c.d. economica presente in ogni contratto a prestazioni corrispettive, in particolare in quelJi ad esecuzione differita, periodica e continuativa, nei quali le vicende economiche sopravvenute possono a~terare la situazione di equilibrio fra le prestazioni considerate dalle parti al momento della sti� pulazione. Questo rilievo � valido, manifestamente, anche per le sopravvenienze imprevedibili, che ugualmente rientrano nell'alea del contratto e rispetto aLle quali i peculiari rimedi previsti da!ll'art. 1664 cod. civ. sono finalizzati esclusivamente al contenimento del rischio economico, siccome consentono di ripristinare l'equilibrio del l'inailagma quand; la sproporzione superi i limiti emergenti daUa medesima disposizione (che corrispondentemente operano come elementi di definizione legale dell'alea normale dell'appalto); e ci� si conferma 'considerando che la ri RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nunzia a tali rimedi, sicuramente ammissibile stante il carattere dispositivo di detta norma, non trovia ostacolo nella natura commutativa del contratto ed � perci� consentita anche quando il limite legale venga del tutto eliminato (cfr., da wltimo, Cass. sent. n. 529 del 1974). Nella specie, la Corte di appello ha osservato che, avendo accettato la tardiva consegna dei lavori, la ricorrente si era assunta, in forza della clausola de qua, ogni rischio inerente al nuovo termine contrattuale, compTeso queMo delle sopravvenienze imprevedibili; ed ha correttamente escluso -per quanto ora detto -che ci� fosse in contrasto con la causa commutativa del rapporto, tanto pi� che restavano operanti i rimedi di cui a11'art. 1664 cit. 4. -Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 1664 secondo comma cod. civ. e rimprovera alla sentenza impugnata di avere respinto la sua domanda subordinata, volta ad ottenere la liquidazione di un equo compenso per i maggiori oneri sopportati, eNoneamente affermando che la disposizione si applica solo per la sopravvenienza di cause naturaili; sostiene che, tenuto conto della ratio legis, e del carattere esemplificativo delle cause espressamente indicate dalla norma, questa debba essere interpretata nel senso che comprenda tutti gli eventi imprevedibili, non imputabili alle parti, diversi dall'aumento del costo deHa manodopera e dei materiali, menzionati nel primo comma. La censura non merita accoglimento, ritenendo questa Corte Suprema che non abbia fondamento positivo la tesi, pur autorevolmente sostenuta in dottrina (talvolta seguita dalla giurisprudenza di merito ordinaria ed onoraria), che amplia la portata del secondo comma dell'art. 1664 al di l� delle sopravvenienze naturali, alle quaili essa testualmente si riferisce, disponendo che l'appaltatore ha diritto ad un equo compenso �se nel corso dell'opera si manifestano difficolt� di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano notevolmente pi� onerosa la prestazione dell'appaltatore � medesimo. n superamento del dato testmrle, finalizzato a concrete esigenze equitative, viene proposto in base all'interpretazione analogica e, pi� spesso, estensiva della disposizione, essenzialmente suJ rilievo che le cause perturbatrici non naturali operano, e vengono considerate daLla coscienza sociale, allo stesso modo delle difficolt� di esecuzione dipendenti da cause naturali, presentando le medesime caratteristiche di imprevedibilit� ed inevitabilit�. La via dell'interpretazione analogica �, per�, chiaramente preclusa dail carattere eccezionaile della norma, posto che nel vigente ordinamento le sopravvenienze, le quali rendano pi� onerosa la prestazione dell'obbligato, non attribuiscono, di regola il diritto ad ottenere la reductio ad aequitatem. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Nei contratti con prestazioni coI'rispettive, l'unico rimedio dato alla parte che sarebbe tenuta alla prestazione diventata pi� onerosa � la risoluzione del contratto, ex art. 1467 cod. civ., legata al presupposto che entrambe le obbligazioni nascenti dal contratto, al momento in cui se ne chieda la risoluzione, siano in tutto o in parte ineseguite. L'istituto dell'offurta di riduzione ad equit� � previsto, invece, dal medesimo art. 1467, terzo comma, come mera facolt� rimessa all'iniziativa del creditore, il quale intenda evitare la risoluzione domandata dal contraente onerato. E questa disciplina � coerente con il sistema, giacch�, come l'onerato pu� scegliere fra la risoluzione o la continuazione del rapporto, analoga scelta deve essere assicurata dal creditore, il quale va posto nella condizione di stabN.ire se accedere alla risoluzione ovvero mantenere in vita il rapporto sobbarcandosi alla modificazione delle condizioni contrattuali imposite dalile sopravvenienze. Se si ammettesse, infatti, contro il disposto normativo, un'azione dell'obbligato dirntta ad ottenere coattivamente la riduzione ad equit�, si verrebbe a fiar ricadere le conseguenze delle sopravvenienze sulla cont,roparte, la quale -non potendo chiedere la risoluzione del contratto -dowebbe in ogni caso sottostare ad esso, ancorch� divenuto per lui molto oneroso. In questo sistema, gli ist1tuti disciplinati dai1l'art. 1664 per il con tratto di appalto, che correggono i rigori dell'alea contrattuale river sando (anche) sui! committente le conseguenze di determinate soprav venienze, rivestono carattere eccezionale e sono insuscettibili di appi!i cazione analogica ad eventi sopravvenuti diversi da que11i indicati nella norma. Quanto all'interpretazione estensiva -che non trova ostacolo, ma nifestamente, neJJ.'eccezionalit� della norma ed � imposta, anzi, dal l'espressa previsione di cause innominate �simili� a quelle geologi che o idriche, la cui individuazione � perci� rimessa all'interprete -il nodo ermeneutico da sciogliere concerne appunto il significato dell'ag gettivo �simili�, il quale, secondo l'opinione che qui si contrasta, fa rebbe riferimento non solo e non tanto alla qualit� delle cause nomi nate, bens� al loro modo di operare ed agli effetti che producono, con la conseguenza che dovrebbero considerarsi simili tutte le cause che, abbiano o non abbiano origine naturale, non sono imputabili alle parti (consistendo, cio�, nel fatto del terzo o nel factum principis) e pro vocano l'identica conseguenza di rendere pi� onerosa la prestazione dell'appaltatore. A respingere questa esegesi � agevole obiettare, anzitutto, che in tal modo si attribuisce, in sostanza, carattere residuale aJ disposto in esame, tale da comprendere, cio�, ogni sopravvenienza oggettiva di versa dall'aumento dei costi della manodopera e dei materiali, di cui RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO al primo comma, purch� produttiva deM'effetto di rendere pi� gravosa la prestazione dell'appa1tatore. E ci� � chiaramente in contrasto, gi� ' !I sul piano sistematico, con la portata dell'art. 1664, che non � volto a far partecipare il committente al rischio di tutte le sopravvenienze oggettive, bens� soltanto di taluni eventi tipicamente individuati: la Il stessa �distinzione -e la diversit� di disciplina -fra le fattispecie previste dai due commi riposa sui criteri qualitativi attinenti a:Ua natura delle cause, a seconda che riguardino direttamente il costo di determinati fattori produWvi, cio� consistano nella variazione dei prezzi di mercato degli stessi (primo comma) ovvero incidano sul programma costruttivo, rendendo pi� difficoltosa, e conseguenzialmente pi� onerosa, l'esecuzione dell'opera (secondo comma). SuJ. piano testuale, poi, la specificit� della fattispecie, indiscutibile per quelle del primo tipo (posto che la revisione � ammessa, come si � detto, soltanto per taluni fattori produttivi, con esclusione degli altri), risulta altrettanto chiara per quelle del secondo comma, giacch� nel contesto dell'espressione �cause geologiche, idriche e simili�, quest'�ultimo aggettivo vale ad individuare soltanto le ailtre cause che presentino le stesse qualit� e caratteristiche intrinseche delle precedenti (cause) esplicitamente menzionate. L'enunciato normativo, cio�, non lascia spazio a dubbi ermeneutici, anche perch� esso fa riferimento al tipo dell'evento, non agli effetti che possano derivarne: il diritto all'equo compenso � stabilito per il prodursi di cause geologiche, idriche e simili, non per altre cause che provochino effetti identici e anailoghi. Pertanto, l'interpretazione estensiva consente di comprendere nella previsione tutte le difficolt� di esecuzione dipendenti da cause naturali, non quelle provocate da sopravvenienze oggettive di tipo diverso, quali il fatto del terzo o il factum principis. Giova aggiungere, poi, che l'interpretazione lata non si giustifica neppure con esigenze di completezza del regolamento delle sopravvenienze, giacch�, accanto alla disciplina speciale dell'art. 1664, rimane valida quella generale dell'art. 1467, alla quale possono ricondursi le ipotesi non previste dalla prima norma. N� si pu� dubitare, con il ricorrente, della legittimit� costituzionale della disposizione, secondo l'interpretazione qui adottata, essendo evidente che la diversit� di disciplina delle cause naturali rispetto alle altre non comporta affatto una disparit� di trattamento tra gli imprenditori- appaltatori, riJevainte agli effetti degli artt. 3 e 41 Cost. Pertanto, una volta accertato, con incensurabile apprezzamento di fatto, che nessuna delle cause sopravvenute era riconducibile fra quelle naturali, correttamente la Corte di appello ha escluso che fosse applicabile l'art. 1664, secondo comma, cit. (omissis) PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 421 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 maggio 1981, n. 3167 -Pres. D'Orsi - Rel. Scanzano -P. M. Grossi (diff.) -Ministero della Difesa (avv. Stato Carafa) c. Impr. Costr. Vincenzo Bologna (avv. Carusi). Arbitrato -Arbitrato obbligatorio -Norma regolamentare che lo prevede Illegittimit� -Effetti -Vizio di nullit� del lodo per nullit� del compromesso. (r.d. 17 marzo 1932, n. 366, art. 51; legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 5; cod. proc. civ., art. 829 n. 1). Arbitrato -Condizioni generali per l'appalto dei lavori del Genio Militare Inappellabilit� del lodo -Norma che fo prevede -Illegittimit� -Disapplicazione -Effetti. (r.d. 17 marzo 1932, n. 366, art. 59; cod. proc. civ., art. 829; Cost., art. 24; legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 5). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Sospensione -Protrazione -Pretesa di danni -Riserva -Iscrizione nel verbale di ripresa dei lavori -E' tempestiva. L'illegittimit� della disposizione di capitolato generale contenente la previsione di un arbitrato obbligatorio, risolvendosi nella invalidit� del titolo di investitura degli arbitri, d� luogo ad un'ipotesi riconducibile al vizio di nullit� del dolo per nullit� del compromesso, che deve essere fatta valere come motivo dell'impugnazione per nullit� (1). L'art. 59 del capitolato generale per le opere di competenza del Genio militare approvato con r.d. 17 marzo 1932, n. 366, in quanto esclude la appellabilit� del lodo, configura un caso. di lodo non impugnabile, cio� non soggetto ad impugnazione per inosservanza di regole di diritto, ed � pertanto illegittima per contrasto con gli artt. 8?9 ult. parte cod. proc. civ. e 24 Cost., in quanto la non oppugnabilit� non trova il suo fondamento nell'accordo delle parti, ma nella normativit� della disposizione, destinata a regolare il contratto di appalto indipendentemente dal richiamo che le parti di questo ne facciano, con clausola che per s� non ha che un valore ricognitivo. La disposizione va pertanto disapplicata dal giudice dell'im (1) Cass., 28 gennaio 1980, n. 658, richiamata nella prima parte della sentenza, pu� leggersi in questa Rassegna, 1980, I, 209 con annotazione e richiami a Corte Cost., 14 luglio 1977, n. 127. Mentre Cass., 28 gennaio ,1980, n. 658, aveva esaminato un caso di giudizio promosso davanti al giudice ordinario nel corso del quale era emersa una questione di competenza (dello stesso giudice o degli arbitri), la sentenza in rassegna ha esaminato un caso di giudizio promosso davanti agli arbitri. Riallacciandosi a quanto si osservava in sede commento alla prima decisione, va rilevato che l'equiparazione della norma regolamentare illegittima al compromesso nullo � conseguenziale all'utilizzazione dello strumento della disapplicazione. 422 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pugnazione del lodo con conseguente obbligo di esame dei motivi che prospettino errores in iudicando (2). Se l'appaltatore ricolleghi la pretesa di danno non alla sospensione in s�, ma alla sua eccessiva protrazione, la riserva � tempestiva ove sia formulata nel verbale di ripresa dei lavori (3). (omissis) Col primo motivo l'amministrazione ricorrente, premesso che il capitolato generale per le opere di competen:z;a del Genio militare approvato con r.d. 17 marzo 1932, n. 366, ha valore normativo e non contrattuale, sostiene che l'art. 59 del detto testo � illegittimo -per contrasto con l'art. 829 cod. proc. civ. e con gli artt. 24, 102 e 111 Cost. -e va quindi disapplicato, sia pe:rich� impone alle parti di rimettere agili arbitri la decisione delle controversie relative all'appalto, sia perch�, escludendo l'appellabilit� del lodo, impone la rinuncia alla impugnazione fondata sulla violazione di norme di diritto. Soggiunge, con riferimento alil.'a.rt. 111 Cost., che tale norma � posta anche a tutela della funzione regolatrice della Corte Suprema e, se non consente di impugnare direttamente per cassazione la sentenza arbitrale, importa l'impugnabilit� di questa secondo l'ultimo comma dell'art. 829 cod. proc. civ.; deduce 1nfine che, se si escludesse tale impugnabilit�, la detta sentenza si risolverebbe in una pronunzia secondo equit�, in contrasto con il principio secondo cui 1a p.a. pu� agire solo nell'ambito deLle norme di diritto e sottoporsi solo al controllo di giudici preposti all'applicazione deMe norme stesse. La censura � fondata solo in parte. Con sentenza del 14 luglio 1977, n. 127, la Corte costituzionale, dichiarando l'illegittimit� costituzionale dell'art. 25 r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, che prevedeva un arbitrato necessario e precludeva quindi autoritativamente la facolt� di adire il giudice per la tutela di un diritto, ha espresso il principio che il fondamento costituzionale dell'arbitrato � da rinvenirsi nella libera scelta delle parti. In applicazione di tale principio questo Supremo Collegio, con sentenza n. 658 del 1980, e con riferimento proprio all'arbitrato previsto dagli artt. 51 segg. r.d. n. 366 del 1932 recante approvazione delle condi( 2) Sulla natura regolamentare dei capitolati generali per gli appalti delle opere di competenza del ministero dei lavori pubblici, cfr. l'annotazione a Cass., 28 gennaio 1980, n. 658, in questa Rassegna, 1980, I, 209 ed i precedenti richiamati sub (1-6). (3) In tema di sospensione e riserve correlate al fatto che la sospensione sia ordinata od a quello che si protragga senza giustificazione, cfr., da ultimo, Cass., 16 ottobre 1980, n. 5564 e 1� aprile 1980, n. 2097, in questa Rassegna, 1980, I, 967. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 423 zioni generali per l'appalto dei lavori del Genio militare, ritenuto che le relative disposizioni hanno valore normativo (e non negoziale), ha affermato che esse vanno disapplicate in quanto contrastanti con gli avtt. 24 e 102 Cost. e 806 cod. proc. civ. L'odierna censura, nella parte in cui -attraverso la affermazione dell'inapplicabilit� di tali disposizioni, e del potere del giudice di disapplicarle ex art. 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, trattandosi di disposizioni regolamentari non soggette al giudizio della Corte costituzionale -� diretta a provocare 1a caducazione dell'intero procedimento arbitrale e del lodo, � inammissibile perch� la relativa questione � preclusa. La dedotta illegittimit� della noI1ma del capitolato che predispone l'arbitrato, risolvendosi nell'inva[idit� del titolo di investitura degili arbitri, d� luogo ad un'ipotesi riconducibile alla previsione dell'art. 829 n. 1 cod. proc. civ.: cio� ad un motivo di nUJl.lit� della sentenza arbitrale, che avrebbe dovuto essere dedotto avanti alla Corte d'appello come motivo d'impugnazione della sentenza stessa. Ci� per� non � avvenuto, essendosi in quella sede l'amministrazione limitata a contestare la configurabilit� di una valida rinuncia all'impugnazione per violazione delle regole di diritto, ail fine di dare ingresso a motivi di censura per errores in iudicando. Il problema prospettato conserva per� la sua rilevanza ai fini della seconda parte della censura, che si ricollega ad un motivo ritualmente dedotto -nel senso di cui test� si � detto -al giudice dell'impugnazione. Non v'� dubbio che l'inappe1labilit� del lodo, disposta daill'art. 59 del citato r.d. n. 366 del 1932 fa s� che quello emesso nella specie dagli arbitri dovrebbe qualificarsi, ai sensi dell'art. 829, ult. parte, cod. proc. civ., come � lodo non impugnabile �, con l'effetto, ivi previsto, della improponibilit� dell'impugnazione basata suM� violazione delle regole di diritto. Un tale effetto pu� derivare solo da una inequivoca conforme volont� delle parti, ci� essendo espressamente richiesto dal citato art. 829, e coerente con il principio enunciato dalla Corte costituzionaile con la sentenza n. 127/77, con riferimento all'art. 24 Cost., che garantisce a tutti la possibilit� di invocare la tutela giurisdizionale in conformit� alle norme delll'ordinamento. Consentire che gli arbitri possano -senza un accordo delle parti -insindacabilmente sottrarsi, nel giudicare, all'osservanza delle regole dti diritto, significa, infatti, lasciare le posi zioni soggettive che nel diritto trovano 11 loro fondamento, prive di tutela avanti ai giudici presso i quali la Costituzione ha inteso concen trare la funzione giu11isdiziona1le. Si tratta dunque di vedere se la previsione dell'inappel1abilit� del lodo, contenuto nell'art. 59 del capitolato generale su indicato, sia ricon RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 424 ducibile ailla volont� delle parti, o se invece operi in via '1Utoritaria ed eteronoma. La tesi che in quest'ultimo senso sostiene l'Amministrazione ricorrente trova conforto, oltre che nella citata sentenza n. 658/80 (specificamente reliativa al detto capitolato), nella consolidata giu:riisprudenza di questa Corte, relativa alla natura delle disposizioni del capitolato generale per le opere pubbliche approvate con d.m. 28 maggio 1895: disposizioni che, -come quelJle del successivo capitolato del 1962 -per le opere di competenza deHo Staito, hrunno natura normativa e non negoziale (Cass., sentt. nn. 1478/62, 1589/64, 2928/67, 2571/73, 2856/73, 3018/75, 3675/77), e che non diventano clausole �negoziali� sol perch� siano richiamate dal contratto. Tanto ci� � vero, che la previsione della competenza arbitrale contenuta, nei contratti per opere appaltate dallo Stato, in conformit� al disposto dell'art. 42 del capitolato del 1895, non ha bisogno -a differenza deHa clausofa compromissoria contenuta nelle condizioni generali dei comunj. contratti per adesione -della specifica approvazione scritta richiesta daill'art. 1341 cod. civ. (Cass., 23 lugilio 1964, n. 1989). Deve qruindi ritenersi che l'innegabile esistenza di un atto di autonomia negoziale, quaile la determinazione a stipulare il contratto di appalto, non consente di ricollegare a tale autonomia anche queMe clausole che sono destinate ad operare comunque in forza di disposizioni normative: il cui richiamo, perci�, non pu� avere che valore puramente ricognitivo. N� sono decisivi in contrario i riJlievi svolti daUa difesa del Bologna, secondo cui: a) la fonte della pretesa eterointegrazione contrattuale sarebbe -ex art. 99 e 88 r.d. 23 maggio 1924, n. 827 -non una norma di legge, ma una disposizione di un regolamento (di esecmiione della legge sulla contabilit� dello Stato, costituita questa, a sua volta, da un decreto governativo) che si limita a prevedere -art. 45 -l'approvazione ministeriale dei capitolati d'oneri; b) l'obbligo, posto da taile regolamento ai contraenti, di fare riferimento ai capitolati generali, importerebbe che l'integrazione contrattuale sia frutto della volont� delle parti; e) comunque, non avrebbe senso parlare di eteronomia, nei con� fronti della p.a., rispetto a regolamenti predisposti da essa medesima; d) inoltre la facolt� riconosciuta alla p.a. (artt. 7 legge di contabilit�, 108, 109 del relativo regolamento) di stipulare contratti non conformi ai capitolati generali, sia pure previo parere del Consiglio di Stato, �implicherebbe che anche le clausole conformi ai detti capitolati siano ricollegabili all'autonomia negoziaJ:e; e) sarebbe particolarmente vero per la clausola compromissoriia, in quanto -secondo l'art. 349 legge 20 marzo 1865, n. 2248, a11. F, sui lavori pubblici -llinserimento di essa nei capitolati, generali o speciali che siano, � facoltativo; f) in tale quadro normativo, affermare che l'obbligo e la disciplina dell'arbitrato, di cui PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI a11'art. 51 r.d. n. 366 del 1932, derivino dalla legge anzich� da11a volont� delle parti, significherebbe obliterare l'art. 1372 cod. civ. e trascurare la prospettiva del contratto per adesione; g) che se pu� operare la disciplina della decadenza -per mancanza di tempestiva riserva -prevista dal capitolato, e se � 'pacifico che questo non � una legge, deve ad esso necessariamente attribuirsi valore di contratto, affinch� risu:lti rispettato il disposto dell'art. 2966 cod. civ .. Tali rilievi non giustificano iii mutamento dell'indirizzo espresso da1la sentenza n. 658/80 e, in generale, daHa giurisprudenza dianzi citata. L'art. 59 del regolamento di esecuzione della legge sulla contabiilit� dello Stato (regolamento approvato con r.d. 23 maggio 1924, n. 827, che ha lo stesso valore di una fonte primaria, in quanto emanato in forza dell'art. 88 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, avente, a sua volta, vigore di legge in base alla delega contenuta nelila legge 3 dicembre 1922, n. 1601), disponendo che nei capitolati (part<icolari) debbano essere richiamate le condizioni generali stabilite dalle disposizioni legislative e regolamentari in mate:riia di opere pubbliche (e tra quelle regolamentari rientrano le condizioni contenute nei capitolati generali), attribuisce a tali disposizioni il ruolo di fonte obbligatoria della disciplina del rapporto (Cass., sent. 15 luglio 1980, n. 4542) disciplina, dunque, imposta ed autoritativa, che tale rimane, ma:lgrado il richiamo fattone nel contratto, in quanto tale richiamo essendo a sua vo1ta imposto, non pu� in s� modificare il ruolo anzidetto e condizionare l'operativit� delle disposizioni medesime. In relazione alla norma ora esaminata, l'art. 45 dello stesso regolamento n. 827, allorch� stabilisce che i capitolati generali contengono le condizioni che � possono applicarsi indistintamente ad un determinato genere di lavoro, appalto o contratto �, non ha il significato supposto dal Bologna (che vorrebbe ricollegare l'operativit� di quelle disposizioni al richiamo che le parti ne facciano), ma esprime solo, nell'ambito della classificazione -fatta nel comma precedente -dei capitolati in generali e speciali, l'attitudine dei primi ad operare per la generalit� dei contratti. Che poi in taluni casi e con le opportune cautele possa pattuirsi qualche clausola in difformit� dai capitolati generali, come afferma il Bologna (supra, punto d), e che le clausole particolari cos� pattuite abbiano natura tipicamente contrattuale, significa che nel capitolato generale possono esistere norme di natura dispositiva e non inderogabili, ma non implica anche che il titolo di efficacia di quelle concretamente non derogate cessi di risiedere nell'atto normativo che le contiene. Va aggiunto, in proposito, che non appare affatto contraddittorio parlare di eteronomia, nei confronti de11a p.a., rispetto a condizioni da essa predisposte, sol che si distingua -come devesi -tra la posizione dell'amministrazione nell'esercizio dei poteri normativi e quella che essa assume quando nella cura concreta dell'interesse pubblico RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO connesso ad una specifica situa:mone, si determina alla stipulazione di un particolare contratto: ci� che, inoltre, con riferimento alle condizioni contenute nei cap1tolati generali, non consente neppure (come gi� dianzi accennato) di assimilare sic et simpliciter l'amministrazione appaltante alla parte che predispone il contratto per adesione, essendo appunto la emanazione del capitolato generale espressione di un potere diverso, rispetto a que1lo di autonomia negoziale cui si ricollega il singolo appalto. Non giova infine al controricorrente il richiamo all'art. 349 della legge sui lavori pubblici del 1865: il fatto che, secondo tale disposizione, nei capitolati di appalto � potr� � prestabilirsi che la soluzione delle controversie sia rimessa agli arbitri, non toglie che, quando la p.a. abbia predisposto il capitolato generale inserendovi la previsione dell'arbitrato necessario, questo venga a risultare uno strumento imposto autoritati� vamente, ed imposta venga ad essere altres� la relativa disciplina procedimentale. N� ha prngio il riferimento finaile all'art. 2966 cod. civ. in tema di decadenze (v. supra, punto g), in quanto in tale disposizione il termine � legge � non vuole indicare la legge in senso formale ma in generale l'atto normativo. Alla s1Jregua di tali considerazioni, deve conclusivamente affermarsi che la inappellabilit� del lodo (implicante l'improponibilit� dell'impugnazione per nullit� fondata sull'inosservanza delle regole di diritto, ex art. 829, ultimo comma, cod. proc. civ.) prevista da!11'airt. 59 r.d. n. 366 del 1932 che approva Je condizioni generali per l'appalto di lavori del Genio Militare, non � ricollegabile alfa volont� delle parti, ma � il contenuto di una disposizione normativa: la quale, oltre a: contmstare con l'art. 829, ult. parte, cod. proc. civ., si pone in contrasto con l'art. 24 Cost., e va disapplicata dal giudice ordinario ai sensi dell'art. 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. L'impugnata sentenza deve essere pertanto cassata nella parte in cui ha negato ingresso ai motivi di nullit� fondati su violazione delle regole di diritto, con rinvio ad altro giudice, che si uniformer� ai principi dianzi enunciati e proceder� all'esame dei detti motivi, se ed in quanto ritualmente dedotti con l'atto d'impugnazione. Col secondo motivo si denuncia insufficienza e contraddittoriet� di motivazione nonch� violazione del principio della domanda, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ. L'amministrazione ricorrente sostiene che la riserva di risarcimento dei danni, assertamente derivati dalla sospensione dei lavori disposta dalla stazione appal11Jante, avrebbe dovuto essere formulata dal Bologna al momento stesso della sospensione, in quanto, essendo stata essa motivata con la necessit� di progettare lavori aggiuntivi che superavano il sesto quinto, era chiaro fin da quel momento che il relativo ordine non rientrava nei casi consentiti ed era illegittimo. La riserva formu PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI lata nel verbale di ripresa dei lavori sarebbe quindi tardiva, tanto pm che il Bologna aveva accettato incondizionatamente l'esecuzione delle opere aggiuntive, legittimando cos� in via negoziale la sospensione (che era stata appunto disposta in relazione a tali opere, neanche oggettivamente preliminari a quelle principali). La censura non � fondata. In proposito � sufficiente osservare: a) che nella specie il danno lamentato dal Bologna � stato ricollegato dagli arbitri (con motivazione giudicata coerente ed adeguata) non alla sospensione in s�, ma alla sua eccessiva protrazione, non giustificata dal�e esig~nz~ della progettazione dei lavoti aggiuntivi e del perfezionamento del relativo' atto, di guisa che -secondo gli stessi arbitri -il danno stesso assunse consistenza e divenne obiettivamente apprezzabile solo quando la durata defila sospensione venne ad assumere una dimensione inragionevole, mentre nessuna rilevanza causale poteva avere la illegittimit� della sospensione stessa in s� considerata; b) che, in tale situazione, trova applicazione il principio costantemente espresso da questa Suprema Corte, secondo cui � tempestiva la riserva formulata nel verbale di ripresa dei lavori cio� quando � accertabile la rilevanza causale del fatto illegittimo dell'appaltante rispetto ai maggiori oneri derivati all'appaltatore (Cass., sentt. nn. 2486/73, 2841/75, 3958/75, 8/76, 1137/76, 2097/80); e) che esattamente il giudice dell'impugnazione ha ritenuto atti nenti al merito della decisione arbitrale (esprimendo poi un giudizio insindacabide in ordine alla congruit� della re1ativa motivazione) le questioni relative agli effetti ed alle implicazioni dell'iniziale accordo sulle finalit� deUa sospensione ed alla sottoscrizione, da parte del Bologna, dell'atto aggiuntivo. Il giudice di rinvio provveder� anche sulle spese di questa fase. {omissis) SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, C.C. 22 marzo 1977 -rie. Delia Alongi Donato, parte civile (avv. Stato Paolo Di Tarsia). Procedimento penale -Parte civile, ricorso .per cassazione . Sentenza di non doversi procedere � Amnistia � Esclusione di aggravanti � Difetto di interesse della parte civile all'impugnazione. (cod. proc. pen., art. 195; cod. civ., art. 2059). E inammissibile per difetto d'interesse, il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile contro la sentenza che ha dichiarato non doversi procedere contro l'imputato per essersi estinto il reato per amnistia, quando ci� sia avvenuto in seguito all'esclusione di aggravanti che non sono suscettibili di ridurre la misura della liquidazione (1). In tema di aggravanti. (1) La sentenza della Suprema Corte, che ha accolto la richiesta del procuratore generale, appare correttamente motivata, secondo il principio prevalentemente accolto, secondo il quale per pregiudizio della parte lesa non pu� intendersi la necessit� di provare in giudizio civile fatti che, altrimenti, con la sentenza di condanna sarebbero gi� coperti dal giudicato. Tale affermazione anche se ha purtroppo valore pi� teorico che pratico, deve essere .condivisa, con il conseguente corollario dell'inammissibilit� del ricorso nel caso di specie in cui, con sagge precisazioni, La Cassazione ha negato alcun pregiudizio alla pretesa risarcitoria azionabile in sede civile. Per quanto concerne il merito, la Suprema Corte non ha esaminato -n� del resto lo avrebbe potuto -le argomentazioni sulle quali era basata la sentenza del tribunale, erronea in diritto. Infatti il tribunale aveva erroneamente escluso la aggravante di cui all'art. 61 n. �10 del codice penale (l'aver cio� commesso il fatto contro un pubblico ufficiale) perch� la qualit� di pubblico ufficiale della persona offesa dal reato di lesioni � gi� elemento costitutivo del reato di oltraggio addebitato allo imputato e sarebbe iniquo farlo gravare due volte. L'esclusione dell'aggravante, argomenta il tribunale, � gi� prevista per l'ipotesi in cui la circostanza sia altres� elemento costitutivo dello stesso reato cui dovrebbe essere applicata (art. 61 cod. pen.), ed il principio � stato in motivazione applicato anche al caso di specie in cui ricorre un'ipotesi di concorso formale di reati. L'affermazione del tribunale era peraltro erronea: � proprio infatti la norma contenuta nel primo comma dell'art. 61 con la sua tassativa disposizione ad escludere che l'ipotesi di esclusione di applicabilit� dell'aggravante ivi prevista possa applicarsi anche alla diversa ipotesi di concorso formale di reati. � Aggravano iJ reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali...� � frase che deve intendersi nel senso che l'esclusione non opera per le ipotesi che i reati siano diversi. La preposizione � ne � PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 429 (omissis) Il 29 ottobre 1968 Giuseppe Sabatini, recatosi presso la scuola media statale �Ludovico Ariosto � in Roma per protestare contro il trattamento ingiusto che riteneva inflitto al nipote, allievo della scuola, colp� con uno schiaffo la professoressa Delia Mongi Donato, in presenza del segretario e dei bidelli, pronunciando le parole � Io l'ammazzo! �. Lo schiaffo produsse lesioni personali guarite in quaranta giorni. In seguito a ci� il Sabatini fu tratto a giudizio davanti al tribunale di Roma per rispondere di oltraggio (con le aggravanti della presenza di pi� persone e dell'uso di violenza e minaccia) e di lesioni personali volontarie (con le aggravanti di cui ai numeri 10 e 2 dell'art. 61 cod. pen., per avere commesso il fatto in danno di pubblico ufficiale al fine di eseguire il delitto di oltraggio). Con sentenza deH'8 maggio 1976 il tribunale dichiar� non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato di oltraggio perch� estinto per prescrizione, e in ordine a quello di ~esioni volontarie, escluse le aggravanti contestate, perch� estinto in virt� dell'amnistia concessa col d.P.R. 22 maggio 1970, n. 283. Il tribunale motiv� l'esclusione osservando: a) quanto all'art. 61 n. 10, che la qualit� di pubblico ufficiale della persona offesa era gi� elemento costitutivo del delitto di oltraggio, onde non si poteva valutarla una seconda volta a carico dell'imputato come aggravante del delitto di lesioni, commesso in concorso formale col primo; b) quanto al nesso teleologico, che, pur dovendosene in linea di principio ammettere la configurabilit� anche nel caso di concorso formale, non era concretamente provato che il Sabatini indica chiaramente che la norma ha possibilit� di applicazione soltanto in riferi� mento allo stesso reato. D'altronde la giurisprudenza ha esaminato altre volte la fattispecie cos� singolarmente decisa dal tribunale ed ha sempre affermato che ricorre l'aggravante nel delitto di lesioni commesse contro il pubblico ufficiale, a nulla rilevando che si versi in ipotesi di concorso di reati. Il tribunale aveva escluso altres� che nel caso di specie ricorresse l'aggravante prevista dall'art. 61 cod. pen., perch� aveva affermato che sarebbe stato troppo pretendere di aver raggiunto la certezza che il Sabatini volesse nello stesso tempo percuotere, ferire, oltraggiare e contemporaneamente rendersi conto che le lesioni erano in funzione dell'oltraggio. Secondo il tribunale cio�, d~re che H Sabartrlm aviesse consapevolezza del rapporto eSi�IStente fra rea1to� mezzo e reato-fine nell'attimo in cui colpiva, signmcava sostenere preventivamente un fatto di cui non si aveva certezza. Il tribunale, cos� decidendo, si era richiamato a quella giurisprudenza della Cassa2lione ~a quale ha affermato che d!l rearto di iliesione personale � aggravato dalla circostanza inerente alla connessione teleologica allorquando, .secondo l'apprezzamento in fatto, la lesione � stata voluta dal reo in aggiunta alla violenza necessaria e 'sufficiente ad integrare l'ipotesi prevista dall'ultimo comma dell'art. 341 cod. pen., sicch� la motivazione della sentenza del tribu� nale sembrava, con il richiamo a considerazioni di mero fatto, sfuggire a censure di legittimit�. Viceversa l'attenta !ettura della motivazione della sentenza persuadeva che questa � erroneamente imposta in diritto: innanzitutto il tri 430 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO avesse avuto consapevolezza del rapporto esistente tra il reato-mezzo e il reato-fine: non era provato, cio�, che il Sabatini, nell'attimo in cui colpiva, avesse voluto contemporaneamente percuotere, ferire e oltrag� giare, rendendosi conto, insieme, che le lesioni erano in funzione dell'oltraggio. La Alongi Donato, che si era costituita parte civile, ha proposto ricorso contro il capo relativo alle lesioni personali, deducendo: a) la violazione dell'art. 61 n. 10 cod. pen. per avere il tribunale escluso l'aggravante sebbene la qualit� di pubblico ufficiale fosse elemento costitutivo non del medesimo reato, come tassativamente previsto dalla prima parte dell'articolo, ma di un reato diverso, sia pure commesso in concorso formale col primo; b) la violazione dell'art. 61 n. 2 cod. pen., per avere il tribunale escluso il nesso teleologico in base ad una asserita impos� sibilit� di stabilire con certezza le reali intenzioni del colpevole, e ci� in contrasto col principio desumibile dall'art. 43 cod. pen., per cui si pu�. e si deve raggiungere tale certezza attraverso elementi induttivi ricavati dall'azione o dall'omissione. (omissis) Il ricorso � inammissibile per difetto d'interesse. In generale, a seguito delle sentenze n. 1/1970 e 29/1971 della Corte costituzionale, la parte civile pu� ricorrere per cassazione contro la disposizioni della sentenza penale che, pur non essendo di per s� preclu bunale non indicava i fatti a sostegno della sua convinzione e pertanto sotto questo profilo la sentenza poteva essere censurata per il vizio di omessa motivazione. Non si pu� infatti ritenere valida motivazione quella basata soltanto su argomentazioni astratte, non riferite a precisi fatti di causa, mentre erano decisamente astratte le considerazioni che il tribunale aveva fatto in ordine all'intenzione dell'agente. In secondo luogo vi era sicuramente un censurabile errore di diritto laddove il primo giudice, che aveva pur premesso la possibilit� di giungere all'accertamento della sussistenza del nesso teleologico attraverso elementi induttivi, aveva Oltllesso di considerare i fatti fenomenici nehla Joro obiettiva realt� come conseguenza dell'azione del reo (art. 43 cod. pen.). Non v'� dubbio che nessun giudice � in grado di stabilire con certezza le reali intenzioni dell'uomo che delinque con una penetrante indagine psicologica ed � proprio per questo che il corretto modo di giudicare voluto dal principio desumibile dall'art. 43 cod. pen., � quello di giungere all'accertamento attraverso elementi induttivi desumibili dall'azione od omissione. Il procedimento non pu� essere, cos� come il giudice di merito aveva fatto, invertito se non sotto pena di escludere la possibilit�, pur imposta dall'ordinamento positivo, di giungere a certezze giuridiche. Sull'impugnazione della parte civile e sui rapporti fra giudicato penale e giudizio civile dopo le decisioni della Corte costituzionale v. I giudizi di costituzionalit� e il contenzioso dello Stato negli anni 1971-1975, Ili, p. 908 nonch� Cass., 2 aprile 1979, n. 521, m. 1142.652 in Mass. dee. pen., 1979, p. 811; 28 gennaio 1976, n. 196, m. 132.945, ivi 1976, p. 537; �15 maggio 1975 n. 1331, m. 131.803, ivi, 1976, p. 46. PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE sive dell'azione civile, arrechino comunque pregiudizio ai suoi interessi, ad esempio escludendo o limitando il risarcimento dei danni morali. Di solito il proscioglimento per amnistia, in quanto prescinde dall'accertamento dei fatti, non pregiudica in alcun modo _gli interessi civili del danneggiato. Estinto il reato per amnistia, il giudice civile, adito per le restituzioni e il risarcimento del danno, conserva piena ed autonoma facolt� non solo di ricostruire il fatto, ma anche di accertare, agli effetti dell'art. 2059 cod. civ., se in esso ricorrano gli elementi costitutivi del reato. B vero che tale principio incontra un limite allorch� l'accertamento di merito del giudice penale sia stato necessario per l'applicazione dell'amnistia, e cos� per escludere un'aggravante (Cass. civ., Sez. III, 10 novembre 1970, n. 237, in Giust. civ., 1971, I, 48); ed � altrettanto vero che il giudizio sulle circostanze del reato pu� pregiudicare gli interessi della parte civile, talvolta limitando il risarcimento del danno patrimoniale (come quando venga a cadere l'aggravante di cui all'art. 61 n. 7, o viceversa sia concessa l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen.), e pi� spesso incidendo sfavorevolmente sulla liquidazione del danno non patrimoniale. Questa liquidazione � bens� affidata al criterio discrezionale del giudice di merito, ma deve essere proporzionata all'intensit� delle sofferenze morali dell'offeso, la quale a sua volta dipende (salvo quanto subito si dir�) dalla complessiva gravit� del reato, valutata in rapporto a tutte le particolarit� del caso singolo. Perci� l'esclusione di una aggravante pu� (o pi� esattamente, nei congrui casi, deve) influire sul detto potere discrezionale e, di conseguenza, ridurre la misura della liquidazione. Ma per altro verso occorre considerare: a) in primo Juogo, che alcune aggravanti, in quanto determinano un aumento della pena esclusivamente per ragioni di difesa sociale, come indice di pi� spiccata pericolosit� del reo, sono per loro natura inidonee non solo ad aggravare il danno economico, ma anche ad accrescere le sofferenze morali dell'offeso, onde la loro affermazione o esclusione non pu� influire sulla misura del risarcimento; b) in secondo luogo, che, anche fuori della suddetta ~potesi, gli interessi civili del danneggiato possono �risentire pregiudizio non gia per la qualificazione giuridica data al fatto dal giudice penale, ma soltanto per l'esclusione degli elementi di fatto su cui l'aggravante � fondata. Sotto il primo profilo, la parte civile non ha alcun interesse a dolersi dell'esclusione dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 cod. pen. La connessione tra reato-mezzo e reato-fine non pu� arrecare all'offeso, neppure in forma di afflizione morale, un pregiudizio ulteriore e distinto rispetto a quello che gi� risulta dall'oggettiva combinazione delle due lesioni giuridiche. Qualora il reato-<fine non sia commesso, ovvero i due reati incidano su soggetti diversi, il nesso teleologico, in quanto attiene esclu 432 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sivamente alla particolare perversit� e pericolosit� del colpevole, � del pari inidoneo a cagionare alla vittima del reato-mezzo un ulteriore pregiudizio materiale o morale. Sotto il secondo profilo, si deve escludere, nel caso specifico, che l'eliminazione dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 10 cod. pen. pregiudichi gli interessi civili della Alongi Donato. In generale, il fatto che un reato sia commesso contro un pubblico ufficiale nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni non � privo di rilevanza ai fini del risarcimento del danno, quanto meno morale: il soggetto passivo, per l'offesa arrecata al proprio prestigio di pubblico ufficiale, risente un'afflizione maggiore di quella che deriverebbe dal reato semplice. Nella specie, per�, la sentenza impugnata non ha escluso la situazione di fatto su cui si fonda l'aggravante (qualit� di pubblico ufficiale del soggetto passivo e connessione fra tale qualit� e la condotta dell'imputato): al contrario, ha riconosciuto esistente questa situazione, e si � limitata ad ,escludere, a fini puramente penalistici, che essa potesse valutarsi due volte a carico del Sabatini, come elemento costitutivo dell'oltraggio e come aggravante delle lesioni contestualmente commesse. Trattandosi di concorso ,formale di reati (ossia di unica azione) a danno della stessa persona, il fatto illecito, agli effetti civilistici, � unico: e il giudice civile pu� valutare con pienezza di poteri, sotto il duplice aspetto patrimoniale e morale, la portata lesiva del fatto, cos� accertato nella sua materialit�. In tale situazione, il riconoscimento delle aggravanti controverse non amplierebbe la sfera del danno risarcibile e non apporterebbe alcun vantaggio, concreto e giuridicamente rilevante, alla Alongi Donato: la quale, perci�, non ha interesse a ricorrere contro la sentenza che tali aggravanti ha escluso. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. IV, 14 aprile 1981, n. 878 -Pres. Ridola - Rel. Di Noi -P. M. Antonucci (conf.) -Rie. Ministero Difesa (avv. Stato Paolo Di Tarsia). Responsabilit� civile � Responsabilit� diretta della pubblica amministra zione per fatto del dipendente -Occasionalit� necessaria � Rapporto organico -1Sussiste anche in ipotesi di fatto commesso da sentinella che abbia abbandonato il posto di guardia. (cost., art. 28; cod. civ., art. 2049)~ L'Amministrazione della Difesa risponde a titolo di responsabilit� organica diretta dell'omicidio colposo commesso da una sentinella nel periodo di tempo durante il quale ha abbandonato momentaneamente PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 433 il posto, trovando il fatto anche in tale ipotesi la sua necessaria occasione nel servizio al quale l'imputato era stato preposto (1). (omissis) Verso le ore 2,30 della notte dal 16 e 17 febbmio 1974, a bordo della motocannoniera � Lampo � della Marina militare, ormeggiata nel porto di BrindiSli, due militari in servizio di guardia, i sergenti Alvaro Checchi e Francesco De Palo, dopo essersi aHontanati dal posto ad essi assegnato rispettivamente a poppa ed a prua del natante, si davano convegno in un locale antistante la � centrale di propulsione � allo scopo di sorbire un �caff�. Senonch�, in quel momento, dal mitra in possesso del De Palo partiva un colpo che raggiungeva il Checchi, uccidendolo. Tratto a giudizio del tribunale di Brindisi per rispondere del reato di omicidio colposo, il De Palo, con sentenza in data 12 aprile 1979, veniva riconosduto colpevole e condannato, in concorso di circostanze attenuanti generiche, aHa pena di mesi otto di reclusione, condizionaimente sospesa, nonch�, in solido con il Ministero della difesa, respon- Esistono ancora dei limiti alla responsabilit� diretta dell'Amministrazione per fatto del dipendente? Il meno che si possa dire della sentenza che si annota � che si tratta di una decisione pietatis causa, mentre con un pi� appropriato linguaggio giuridico potrebbe affermarsi che la soluzione adottata offre un ulteriore esempio della tendenza a travolgere i principi su cui si basa la responsabilit� organica della p.a. Come � ben noto, la p.a. risponde a titolo di responsabilit� diretta per il fatto del suo dipendente perch�, non avendo n� mano, n� testa, n� voce, l'amministrazione si avvale necessariamente della mano, della testa e della voce del suo dipendente: �denrt.rit� quindi e non diversit� di soggetti. e impossibilit�, perci�, per definizione, di ogni riferimento all'art. 2049 cod. civ. La responsabilit� diretta perci�, presupponendo unica soggettivit� giuridica, richiede un ulteriore, indispensabile requisito: che il dipendente abbia agito per i fini istituzionali della p,a. Che cosa significa? Ci� � abbastanza chiaro alfa giunispmdenza meno recente: se il dipendente � lo strumento attraverso il quale l'amministrazione si muove, quel dipendente si deve muovere secondo gli scopi, che l'amministrazione si propone. � un'affermazione di carattere generico: certo non pu� risalire all'amministrazione soltanto l'azione del carabiniere che arresta, del carabiniere che previene, del carabiniere che accompagna; risale all'amministrazione anche l'attivit� del carabiniere che spara per errore, se l'intento non esula dai fini istituzionali dell'ente, risale all'amministrazione l'attivit� del dipendente del Ministero delle finanze che, in un accertamento tributario, erra e aggrava l'imposizione. In questi casi, pur nell'errore, il riferimento all'amministrazione non si interrompe, perch� ogni attivit�, sia correttamente, sia scorrettamente posta in essere, purch� abbia riferimento astratto agli scopi dell'ente, � all'ente stesso riferibile. Ma c'� un limite a tutto ci�, limite che � stato abbondantemente studiato in dottrina e in giurisprudenza. Si � detto che il dolo del dipendente interrompe il rapporto organico e su questa affermazione � dolo� vi sono state in 434 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sabile civile, al risarcimento dei danni in favore di Checchi Antoni�, padre della vittima, costituitosi parte civile. A seguito di rituale impugnazione, proposta sia dall'imputato �che dal responsabile civile, la Corte d'appello di Lecce, con sentenza del 29 febbraio 1980, concedeva al De Palo il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale rilasciato a richiesta da privati, confermando nel resto la decisione appellata. Ricorrono per cassazione l'imputato ed il Ministero della difesa. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. -La Corte osserva preliminarmente che il De Palo ha omesso di presentare, a norma dell'art. 201 cod. proc. pen., i motivi a sostegno del ricorso. Quest'ultimo va pertanto dichiarato inammissibile. 2. -Il Ministero della difesa deduce due motivi di censura. I Con il primo di essi lamenta la violazione e falsa applicazione degli I ~ artt. 28 della Costituzione e 2049 cod. civ., in relazione agli artt. 185 cod. pen.. e 524, n. 1 cod. proc. pen., nonch� l'erronea e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. I ~ La Corte d'appello, nell'affermare la responsabilit� civile del Ministero della Difesa, avrebbe erroneamente .fatto riferimento alla teoria realt� delle incertezze giurisprudenziali. In un primo tempo si era detto che il dolo inteso in senso penalistico come intenzione e volont� di un evento i I{: cui elementi si rappresentavano compiutamente al reo, interrompeva di per s� solo il rapporto organico, perch� non era concepibile atteggiamento doloso riferito all'amministrazione dello Stato. La giurisprudenza ha poi per� esteso la responsabilit� dell'amministrazione, stabilendo che non bastava l'intenzione I e la volont�, cio� il dolo inteso in senso penalistico, per interrompere il rap r: porto organico, perch� se era vero che il dipendente � strumento dell'amminisfrazione quando agisce per i suoi scopi istituzionali, poteva non essere vero che la realizzazione di un evento con dolo non rientrasse negli scopi istituzionali dell'ente. Oos�, nell'esempio dell'accertamento fiscale, si pu� intenzionalmente voler realizzare un evento di accertamento pi� oneroso, ma pur sempre riferibile all'attivit� dell'amministrazione, diretta alla percezione dei tributi. Ll criterio clisorirnmatore allom � stato rinvenuto nel .definire il dolo in un ambito pi� ristretto rispetto all'accezione penalistica del termine e lo si � inteso come dolo di parte, cio� come fine egoistico, esclusivo, proprio della persona fisica del dipendente, il quale, sia pure in occasione dell'inserimento nella p.a., ma trascurando per� completamente i compiti istituzionali o addirittura in contrasto con essi, realizza un evento per un dolo cos�, come la giurisprudenza la definisce, di parte, un evento che quindi non corrisponde in astratto ai fini istituzionali dell'Ente. A questo punto l'evoluzione giurisprudenziale avrebbe potuto fermarsi, avendo assicurato, entro corretti limiti e in coerenza con le surrichiamate caratteristiche deilr'iistituto, 1a rLferibilllH� aiLl'ammini:strazione deilie azioni commesse dal suo dipendente. Coerenti applicazioni ne sono state fatte quando, PARTE l, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 435 della cosiddetta occasionalit� necessaria, peraltro non ravvisabile nella fattispecie, anzitutto perch� i due militari avevano illegittimamente � sospeso � il servizio ed in secondo luogo perch� l'incidente era scaturito dall'uso dell'arma effettuato al di fuori dell'esercizio delle attribuzioni d'istituto. In altri termini -secondo il ricorrente -la semplice detenzione di un'arma per ragioni di servizio non consentirebbe di ritenere che tutte le conseguenze derivanti dall'uso di essa debbano necessariamente ricollegarsi al servizio medesimo, dovendosi per conto accertare, di volta in volta, i moventi dell'azione. Con il secondo motivo, poi, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1227 cod. civ., in relazione dell'art. 524, n. 1 cod. proc. pen., per vizio di motivazione in punto di diniego di ogni concorso di co1pa della vittima. Ci� premesso si osserva che il ricorso del Ministero della difesa non � fondato. Quanto al primo motivo � invero principio giurisprudenziale ormai consolidato (Cass., Sez. IV pen., 18 novembre 1975, rie. Lauria) che, ai fini della sussistenza della responsabilit� della pubblica amministrazione per fatti illeciti dei suoi dipendenti, devono concorrere due condizioni: anzitutto, il nesso di causalit� oggettiva tra il� comportamento del dipendente e l'evento dannoso; e, in secondo luogo, la riferibilit� all'amministrazione del fatto posto in essere dall'autore. Va peraltro ad esempio, fu ritenuta fa <responsab~Lit� del1'Ammirnst1razione per hl: darn1.o cagionato in seguito ad un incidente automobilistico commesso da un militare che, pur avendo abbandonato il suo posto, aveva accompagnato con una campagnola due sentinelle ai rispettivi posti di guardia (Cass., 18 novembre 1975, n. 2681, in Mass. dee. pen., 1976, p. 621, m. 100.13'8) o quando si rifer� alla p.a. la responsabilit� di altro incidente stradale commesso da un brigadiere di p.s. che, incaricato di accompagnare, con mezzi pubblici, due profughi al centro di raccolta, si era invece servito della propria auto privata (Cass., 24 gennaio 1976, n. 223, in Foro it. mass., 1976, 69, n. 227). Queste decisioni, anche se estendono l'ambito delLa responsabilit� organica in un modo che non � andato esente da critiche (v. I giudizi di costituzionalit� e il Contenzioso dello Stato negli anni ([966-1970, II, p. 237 e ss.) avevano peraltro il pregio di presupporre, come indispensabili, due elementi: il nesso di causalit� e la riferibilit� all'amministrazione del liatto commesso, in quanto in collegamento di necessaria :xcasionalit� con i fini istituzionali. Per spiegare questo concetto una valida occasione era stata offer1la alla Suprema Corte quando, di fronte ad una domanda di risarcimento danni da incidente stradale, la cui responsabilit�, accer�ata definitivamente in giudizio penale, risaliva ad un carabiniere che, incaricato di recapitare un plico, si era servito come mezzo di trasporto, di una bicicletta non appartenente all'amministrazione e il cui uso non era previsto da disposizione di servizio, afferm� che il rapporto organico, in forza del quale la pubblica amministrazione � chiamata a rispondere direttamente dei danni arrecati ai terzi, con dolo o con colpa, dai propri dipendenti, deve ritenersi interrotto quando l'attivit� di questi ultimi 436 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO soggiunto, quanto alla seconda delle due condizioni succitate, che se pure � vero che il rapporto organico in forza del quale la pubblica ammin. istrazione � chiamata a rispondere dei danni arrecati ai terzi, con dolo e con colpa dei propri dipendenti, deve ritenersi interrotto allorquando l'attivit� di questi ultimi sia stata rivolta a:l conseguimento di proprie :finalit� e non gi� alla realizzazione degli scopi istituzionali propri dell'amministrazione medesima, tuttavia non sempre e necessariamente le eventuali deviazioni dai comportamenti dovuti e persino l'abuso di potere posti in essere dai dipendenti comportano tale interruzione (Cass., Sez. IV pen., 18 novembre 1975, gi� citata; Cass., Sez. III civ., 436 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO soggiunto, quanto alla seconda delle due condizioni succitate, che se pure � vero che il rapporto organico in forza del quale la pubblica ammin. istrazione � chiamata a rispondere dei danni arrecati ai terzi, con dolo e con colpa dei propri dipendenti, deve ritenersi interrotto allorquando l'attivit� di questi ultimi sia stata rivolta a:l conseguimento di proprie :finalit� e non gi� alla realizzazione degli scopi istituzionali propri dell'amministrazione medesima, tuttavia non sempre e necessariamente le eventuali deviazioni dai comportamenti dovuti e persino l'abuso di potere posti in essere dai dipendenti comportano tale interruzione (Cass., Sez. IV pen., 18 novembre 1975, gi� citata; Cass., Sez. III civ., 24 marzo 1979, n. 1708, rie. Pratese; Cass., Sez. III civ., 24 gennaio 1976, n. 227, rie. Ministero interno). Invero, al fine di stabilire se la deviazione di comportamento da parte dell'agente abbia avuto l'effetto di determinare l'interouzione del rapporto organico con l'amministrazione e quindi del nesso causale, oltre ad aver riguardo alla :finalit� terminale cui l'attivit� risulti nel suo complesso preordinata (Cass., Sez. III civ., 21 febbraio 1966, n. 551, rie. Amministrazione difesa-esercito), necessita compiere una duplice valutazione: la prima di natura soggettiva, rivolta cio� ad accertare l'effettivo intendimento del dipendente e la consapevolezza dello stesso circa le conseguenze del suo operato; la seconda, invece, diretta a determinare, sotto il profilo obbiettivo, se il comportamento deviante abbia inciso sull'attivit� dell'amministrazione in maniera cos� penetrnnte da sia stata rivolta ai fini propri e non gi� alla realizzazione dei fini istituzionali dell'ente, e che per apprezzare la esatta portata di questo principio, oc> corre considerare che ogni attivit� diretta al conseguimento di un determinato scopo si articola normalmente in una serie di operazioni, concettualmente isolabili in vista delle rispettive finalit� di carattere intermedio ma tuttavia riconducibili, per la loro funzione strumentale, alla finalit� terminale cui tende l'attivit� nel suo complesso. � appunto a questa ultima finalit� che occorre richiamarsi quando si tratti di stabilire il nesso di occasionalit� necessario tra l'attivit� del dipendente e le incombenze ad esso affidate, e la conseguente riferibilit� dell'evento dannoso alla pubblica amministrazione; n� tale nesso rimane escluso per il fatto che, nel corso delle operazioni intermedie, il dipendente commetta abuso di poteri, allorch� tale abuso (ancorch� determinato, in ipotesi, da esigenze puramente egoistiche) appaia strumentalmente connesso, anche in materia anomala, con i fini istituzionali dell'ente (v. Cass., 21 febbraio 1966, n. 551, in Foro it. Mass., 1966, 187). In queM'occasione la Cassaz;ione, fornendo una implioi1Ja definizione del1' �occasionalit� necessaria�, aveva precisato che non valeva distinguere tra la consegna del plico, come attivit� svolta nell'interesse della pubblica amministrazione, e l'uso della bicicletta, come attivit� diretta al soddisfacimento di una comodit� personale dell'incaricato e che, anche ad ammettere che l'impiego della bicicletta costituisse un abuso, come diretto alla soddisfazione di una esigenza puramente egoistica, ci� non escludeva che quella attivit� fosse diretta, in via strumentale, e sia pure come modalit� anomala, alla consegna del plico, all'adem PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 437 trasformarne la connotazione fino a renderla comunque non riferibile ai compiti istituzionali propri della stessa. Ora, nell'aipplicare tali principi alla fattispecie in esame, la Corte rileva: a) che, pur essendosi il De Palo ed il Checchi allontanati, per spontanea detemninazione, dai rispettivi posti di guardia loro assegnati, i predetti non ebbero comunque a manifestare, n� esplicitamente, n� implicitamente, l'intento di abbandonare, in vfa definitiva, il servizio al quale erano preposti, tant'� che, nel portarsi all'interno del focale ove poi l'incide:nte si verific�, i due continuarono a mantenere le armi in loro dotazione, confermando con ci� la non equivoca volont� di considerarsi attivamente impegnati in quel servizio; b) che la situazione ambientale (tenuto conto, infatti, che, a causa delle ridotte dimensioni della nave, sussisteva una certa contiguit� dei posti di guardia all'esterno, rispetto al locale in cui i due si dettero convegno) non appariva tale da contraddire quell'intendimento o, in ogni caso, da vanificarlo nella sostanza: il momentaneo allontanamento dai posti di guardia ebbe cio� di incidere non tanto sulla continuit� del servizio di vigilanza, da ritenere ancora sicuramente in atto, quanto piuttosto sulla sua orga� nizzazione e sulla conseguente efficacia operativa, specie ove le circostanze avessero, in ipotesi, richiesto immediatezza e rapidit� di interventi; e) che l'interruzione del rapporto organico e del nesso causale non � neppure ravvisabile con riferimento al comportamento assunto dall'imputato e dalla vittima, una volta aH'im.terno deil focale. Con sta- pimento, cio�, di quella incombenza, finalit� terminale, che al militare era stata affidata nell'ambito del servizio. � evidente, negli esempi fin' qui fatti, la logica coerenza delle affermaziorui: giurisprudenziailii con Ja. voluta eSltensione del principio. Nel caso in esame per� non � stata fatta applicazione estensiva del principio stesso, essendo stato questo totalmente travolto e la necessaria occasionalit�, vista come inserimento di un atto personale del dipendente che purtuttavia non � antitetico con la realizzazione dei fini istituzionali della p.a., diventa mera occasionalit� naturale! Poich� le armi di cui erano dotate le sentinelle -erano state date loro dall'amministrazione, questa risponde automaticamente all'omicidio, anche se il gravissimo reato da quelle commesso (abbandono del posto di guardia punito dal codice penale militare di pace) era di per s� solo idoneo ad escludere l'inserimento della loro azione nella scia dei fini istituzionali. Il travolgimento del principio sarebbe stato ancor pi� grave tuttavia se la Suprema Corte non avesse dato credito alla ricostruzione della Corte d'appello che ha ritenuto che fra i due imputati non si era dato avvio ad una giara di velocit� nel brandeggio delle armi: cos�, negato il fatto pi� allarmante, minimizzato l'abbandono di posto per recarsi a sorbire il caff�, affermata la possibilit� della guardia di una nave... anche da un locale sottocoperta, � stato possiibiie alla Sup:rema Corte dii Cassazione non stroncare ila riichiesta di risarcimento rivolta alla p.a. PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE 438 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tuizione di fatto insindacabile nel corso del presente giudizio di legittimit�, perch� correttamente motivata sulla base delle risuJ.tanze processuali, la Corte d'appello ha invero escluso che il colpo mortale sia partito dal mitra dell'imputato durante una finta gara di velocit� nel brandeggio delle armi; sicch� non pu� essere revocata in dubbio la sussistenza di una diretta correlazione tra i seguenti elementi: la continuit� del servizio di guardia, sostanzialmente ancora in atto per le ragioni anzidette; il possesso delle armi da parte dei due protagonisti, in funzione esclusiva di quel servizio; l'insussistenza di alcuna iniziativa arbitraria nell'uso e nel maneggio delle armi medesime. Da tale stretta correlazione discende dunque che l'incidente di cui trattasi, pur essendo ascrivibile, penalmente, alla colpevole condotta del De Palo, nei termini accertati dai giudici di merito, trov� tuttavia la propria � necessaria oocasione � nel servizio al quale l'imputato era stato preposto (unitamente alla vittima) da parte dell'amministrazione militare alla quale egli in quel momento era legato da un rapporto organico di dipendenza; onde la responsabilit� civile dell'accaduto deve I direttamente essere riferita all'amministrazione medesima. I ~ In ordine, poi, al secondo motivo di censura, la Corte rileva che il preteso concorso di colpa viene ad essere configurato, in questa sede, sotto un profilo sostanzialmente nuovo rispetto a quello delineato in appello. In quell'occasione, invero, il responsabile civile ebbe a rile I vare la sussistenza del concorso in parola sul presupposto che l'incidente si fosse verificato nel corso di una gara ingaggiata, per giuoco, I tra i due protagonisti (gara consistente nel misurare la velocit� nell'impugnare le armi e nell'aprire il fuoco); ma tale ipotesi non ha tro I vato credito da parte del giudice d'appello che l'ha infatti disattesa, come dinanzi precisato. Il motivo di ricorso in esame prospetta invece la sussistenza del preteso concorso di colpa sotto il diverso profilo del I l'illecito comportamento del Checchi, per avere quest'ultimo abbandoij nato, in violazione della consegna ricevuta, il posto di guardia. L'inammissibilit� della censura appare tuttavia trasparente, per la radicale immutazione 9-el suo contenuto rispetto all'originaria, prospettazione sottoposta all'esame della Corte di merito. (omissis) PARTE SECONDA QUESTIONI IL CONGRESSO DI MESSINA DEL 3-8 NOVEMBRE 1981 (*) 1. -Intitolato a cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia ed organizzato dalla Facolt� di giurisprudenza dell'universit� di Messina con la collaborazione della casa editrice Giuffr�, inaugurato con J',intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e concluso dal Ministro di grazia e giustizia, si � svolto a Messina ed a Taormina un congresso a cui hanno dato lustro moltissimi fra i pi� prestigiosi esponenti del Gotha giuridico italiano, che hanno analizzato, come relatori, l'esperienza legislativa, scientifica, giurisprudenziale e professionale dell'ultimo mezzo secolo. Chi vi ha partecipato come uditore ha potuto cos� godere del singolare privilegio di ascoltare la narrazione di un periodo di storia �per bocca dei suoi protagonisti� (1) e liberarsi, se mai ne fosse stato affetto, dal cinico pregiudizio che l'esperienza sia soltanto il nome che ciascuno d� ai propri errori. Non si vuole certo qui riferire del Congresso per anticipare in modo parziale ed impreciso quella che sar� la pubblicazione integrale dei lavori. Sembra, invece, non ozioso tentare di cogliere alcune costanti che, :per aver caratterizzato molti interventi (o anche solo alouni di essi, ma fra i pi� significativi) si propongono come interessante momento di riflessione. 2. -Un primo dato che emerge, forse indotto anche dall'approssimarsi delle soglie del millennio, nonostante le revisioni operate dalla storiografia pi� recente sulla tradizionale immagine dell' � Anno Mille � (2) -ma, ahim�, quanto consono con le realt� contemporanee -� il taglio � millenaristico � di molte relazioni. I termini ricorrenti con sintomatica frequenza sono stati quelli di �crisi� (dello Stato, del diritto, della societ�, dei valori di civilt�) e di �catastrofe�: il tutto rapportato, naturalmente, alla scala della (*) T'ra ille relazioni presentaite a1 congresso vi era que1Jla dell'avvocato generale dello Stato, avv. Giuseppe MANzARI, il cui testo integrale sar� pubblicato per i tipi di Giuffr� con tutti i lavori del convegno. Su questa Ras� segna pubblicheremo, contemporaneamente, il pi� breve testo della trascrizione dell'intervento orale. (1) F. SANTORO PASSARELLI, Considerazioni conclusive. (2) G. DABY, L'An Mil, Julliard, 1967. $. ., . . $. ., . . - 28 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dimensione planetaria (3). Con riferimento specifico aJ nostro Paese, si �, poi, parlato delle � acque melmose di un procedimento di involuzione � (4) dal cui stagnare sembra difficile trarre incoraggianti auspici. Il dato appare particolarmente allavmante, considerato anche che chi, in chiusura di lavori, aveva cercato di reagire con una parola di ottimismo e dl negazione della crisi, ha dovuto, poi, concludere la sua relazione definendo quello italiano come �un orilinamento che ha perduto punti e centri di riferimento ed �, si direbbe, al limite dell'anomia � e diagnosticando, in sede mondiale, il declino irreversibile dello Stato nazioniale, giunto all'esaurimento del suo ciclo storico e l'avvento �prossimo venturo � -attraverso un lungo travaglio di guerre e rivoluzioni -di una �Repubblica Universale� (5). La crisi attuale, analizzata in uno spaccato orizzontale, � stata individuata, con singolari consonanze interdisciplinari fra sociologia, filosofia e diritto, in quella di un tempo � interepocale � (6), caratterizzato da una d]varicazione fra l'evolversi de1la realt� sociale e la risposta defila norma giuridica (7), in cui la confusione dei linguaggi porta all'incomunicabilit� (non a caso alcuni orientamenti di filosofia del diritto puntano alla critica non del contenuto delle norme, ma della loro forma espressiva) (8) ed il rifiuto totale del formalismo giuridico all'irrazionalit� (9). La societ� �, dunque, minacciata nella sua stessa identit� dai mostri generati dal sonno della ragione, in una situazione inquietantemente simile, nelle prospettive, a quehla degli anni '30 (10), anche se profondamente diversa nei contenuti, individuabili in una degradazione della convivenza a mera coesistenza, in una degenerazione del pluralismo in particolarismo ed in un difetto di tutela apprestata dall'ordinamento ai gruppi intermedi sprovvisti di capacit� aggregante (11). 3..-Al di l� del momento .contenutistico cos� delineato con pessimismo purtroppo quanto mai realistico, la consonanza sopra individuata (3) Per tutti, cfr. A. FALZEA, Relazione introduttiva e, con diverse sfumature ed angolazioni; A. BRANCACCIO, Esperienza giurisprudenziale -Diritto penale,� G. FLORE, Esperienza giurisprudenziale -Diritto privato; F. GRANDE STEVENS, Esperienza professionale -Diritto privato; G. MANZARI, Esperienza professionale -Avvocatura dello Stato; R. NICOL�, Esperienza scientifica -Diritto civile; F. PIGA, Esperienza giurisprudenziale -Diritto pubblico,� A. SORRENTINO, Esperienza professionale -Diritto pubblico. (4) V. CRISAFULLI, Esperienza legislativa. (5) M. S. GIANNINI, Esperienza scientifica -Diritto amministrativo. (6) A. FALZEA, cit. (7) R. TREVES, Esperienza scientifica -Sociologia del diritto. (8) S. COTTA, Esperienza scientifica -Filosofia del diritto. (9) A. FALZEA, cit. (10) V. CRISAFULLI, cit. (11) A. FALZEA, cit. I ~ I PARTE II, QUESTIONI 29 fra tante delle relazioni mette in luce anche una comunanza di metodo storico-critico usato dai relatori e volto a cogliere, nel fluire degli eventi nel tempo, i nessi fra momento socio-politico, momento culturale e momento giuridico. Come per il termine finale, cos� anche per il termine iniziale del periodo in considerazione � stato, quindi, naturalmente colto lo svolgersi parallelo di una crisi del diritto correlata ad una crisi sociopolitica e culturale. Ovvio, poi, che tale metodo abbia portato ad un ampliamento dell'orizzonte oltre gli angusti confini nazionali, coinvolgendo nell'esame la civilt� europea nel suo insieme (12) o, addirittura (e forse pi� esattamente), tutto l'occidente industrializzato (13). 4. -Altro caratteristico dato di consonanza -relativo, questa volta, pi� specificamente all'Italia -si rinviene nella datazione del momento che separa, effettivamente, in questo dopoguerra, l'esperienza autoritaria da quella democratica, segnando anche l'inizio di una nuova �crisi epocale �. Con una coincidenza troppo precisa per essere casuale, tale momento viene collocato da molti relatori, non gi� nel 1948, ma nel cuore degli anni '60, dovendosi ravvisare nel primo periodo repubblicano � una sostanziale continuit� dell'ordinamento�, soprattutto nella sua prassi (14) e dovendosi attendere addirittura gli anni '70 per vedere realizzate �le riforme� (15) volute dal Costituente. In altri termini cos� il legislatore ordinario (16) come il giurista e l'operatore del diritto, conservatori per tradizione (17), come le pubbliche istituzioni e la coscienza sociale (18), furono �inizialmente indifferenti� nei confronti della Costituzione repubblicana (19), ed il �ceto politico impieg� venti anni per acquisirne coscienza � (20). Inutile sottolineare l'importanza di questa constatazione al confine fra l'esame collettivo di coscienza e la scoperta di un fenomeno di discrasia fra ordinamento e societ�, d'altronde non infrequente (21). Nel respiro lungo defila storia appaiono, quindi, nettamente fuori bersaglio le critiche, spesso assai dure, rivolte all'Avvocatura dello Stato per aver difeso, nei primi giudizi di costituzionalit� � tesi antidemocrati (12) V. CRISAFULLI, cit., (13) A. FALZEA, cit.; G. FERRI, Esperienza scientifica -Diritto commerciale; F. GRANDE STEVENS, cit.; G. MANZARI, cit. (14) F. PIGA, cit. In senso sostanzialmente conforme A. BRANCACCIO, cit.; G. MANZARI, cit. (15) V. CRISAFULLI, cit. (16) A. FALzEA, cit. (17) R. NICOL�, cit. (18) G. MANZARI, cit.; F. PIGA, cit. (19) R. NICOL�, cit. (20) M. S. GIANNINI, cit. (21) G. MANZARI, cit. ;o RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che�, prima fra tutte quella della inassoggettabilit� delle norme precostituzionali al giudizio di legittimit�. A parte il rilievo, infatti, che fu taciuto -o non fu tenuto in debita considerazione -il fatto che l'Avvocatura, lungi dal sostenere la sopravvivenza globale dell'ordinamento previgente alla Costituzione, propugn� la tesi della forza abrogatrice della norma fondamentale, lex superveniens alla stregua dell'art. 15 delle preleggi (si mosse, cio�, sul piano della dogmatica giuridica, sostenendo una tesi tanto poco eterodossa da essere stata fatta propria dalla Corte costituzionale della Repubblica federale tedesca), giova osservare che la �sensibilit� costituzionale� dell'istituto si � dimostrata essere stata quella comune all'epoca a molti altri soggetti ed istituzioni ed in definitiva adeguata ai tempi. 5. -Altra linea di tendenza emersa con molta chiarezza � quella del superamento deUe anguste barriere nazionali: l'area delle � economie di scala � abbl:'accia ormai gran parte del pianeta, travalicando le frontiere nazionali con o senza la mediazione di ordinamenti sovrannazionaili e, poich� il diritto segue l'economia (anche per chi non condivide il pensiero filosofico del Crooe), tutti i giuristi, senza eccezione, devono oggi far fronte a problemi di comparazione di diritto straniero, di applicazione di diritto internazionale, di applicazione di diritto sovrannazionale (22), Je cui fonti di produzione spesso interferiscono con quelle interne, 'creando situazioni di equilibrio o di attrito di singolare delicatezza (23). 6. -Queste brevi note si sono aperte all'insegna di un pessimismo distruttivo. Sia consentito chiuderle, costruttivamente, con un -pur cauto -cenno di ottimismo. � proprio del giurista -� stato detto - non cedere alle tentazioni di un cupio dissolvi universale ed interrogarsi, invece, su cosa ha fatto, cosa sta facendo e cosa potr� fare per salvare la civilt� cui appartiene (24). Limitando la domanda ai problemi specifici dell'istituto resta da chiedersi cosa pu� fare ogni avvocato dello Stato e cosa pu� fare l'Avvocatum per fornire il proprio contributo al superamento di una crisi indubbiamente gravissima. La risposta non pu� che venire dai due canali privilegiati attraverso i quali l'istituto capta i fermenti del divenire sociale e quindi intende i bisogni della societ� in cui opera: l'attivit� professionale, da un lato; l'appartenenza all'organismo statuale, dall'altro (25). (22) F. GRANDE STEVENS, cit.; G. GoRLA, Esperienza scientifica -Diritto comparato; G. FERRI, cit.; M. GIULIANO, Esperienza scientifica -Diritto internazionale e comunitario; G. MANzARI, cit. (23) G. MANZARI, cit. (24) A. FALzEA, cit.; G. MANZARI, cit.; G. VASSALLI, Esperienza scientifica -Diritto penale. (25) G. MANZARI, cit. PARTE II, QUESTIONI J1 Orbene, l'indicazione che proviene dall'uno come dall'altro canale � univoca. Dall'esperienza professionale privata viene, infatti, l'indicazione di una emergente importanza dell'attivit� consrultiva. �La parte "patologica �, quella della lite -ha detto Grande Stevens (26) -ha ceduto sempre pi� il passo al lavoro � fisiologico �, quello cio�, di consulenza stragiudiziale talvolta diretta proprio a prevenire ed evitare una lite. Non solo, ma una porziione del lavoro giudiziaile � anch'essa di natura �fisiologica�: si tratta delle c.d. liti-pilota che si svolgono con dovizia di forza giuridiche perch� dal loro esito dipendono, o sono orientati, migliaia di altri casi simili �. � La grande organizzazione economica come la grande impresa, o l'associazione di entit� o soggetti economici, vuole conoscere i rischi di antigiurididt� di un proprio comportamento con le relative conseguenze per evitarli o, raramente, per decidere di affrontarli consapevolmente considerandone e valutandone la portata nel proprio programma di attivit��. Non solo: ma il responso rkhiesto all'avvocato deve essere anche sollecito. Ogni suo ritardo si risolve in un intralcio allo svolgimento dell'attivit� economica e quindi in una �perdita di competitivit��. Soltanto in una societ� agricola o preindustriale poteva trovar luogo il cras respondebo dell'antico giureconsulto, dovendosi, invece, oggi adeguare tempi e modelli di risposta a tanto mutate esigenze. Non diverso segnale giunge, poi, dal canale del1a appartenenza istituzionale. Da sempre partecipe -sia pure in forma e modi diversi nei tempi -da un lato dell'amministrazione della giustizia e, dall'altro, della realizzazione della giustizia nell'amministrazione, l'Avvocatura ha costantemente annoverato fra i suoi compiti queUo di contribuire ad assicurare la legalit� � interna � dell'azione amministrativa. Orbene, si d� il caso che, mentre nello Stato accentrato, quale era quello italiano fino agli anni '60, tipico esempio di un paese �a diritto amministrativo � classico, il potere esecutivo era il � primo garante della legalit� e giudice... delle stesse controversie che al suo interno sorgessero per la migliore realizzazione del pubblico inte.resse � (27) (naturalmente la legalit� garantita era quella -alquanto �formale� -del tempo, che privilegiava largamente il principio di autorit� rispetto a quello di libert�) -s� che la funzione dell'Avvocatura si poneva in posizione omogenea fra i due poli (altrettanto omogenei) dell'amministrazione e della giurisdizione -nell'attuale organizzazione de1la societ�, in cui pluralismo ed autonomismo danno vita ad uno stato � comunitario� e � poliarchico�, la situazione muta profondamente. Infatti � La societ� po'Harchica si orga (26) Relazione, cit. (27) F. PIGA, cit. J2 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO nizza in modo da esercitare il potere senza altro �controllo che non sia quello dei veti reciproci ed incrociati. Inoltre la moltiplicazione dei cenvri di potere, il prepotere dei gruppi e dei centri rappresentativi di interessi organizzati... accentua il momento prevaricatore del potere e spinge l'azione amministrativa verso J'arbitrio � (28). Ne consegue inevitabilmente il progressivo appannamento della funzione di garanzia interna della 1egalit�, anche se quest'ultima acquista, per converso, pi� pregnanti e sostanziali contenuti. Se cos� �, l'ultima spiaggia per la difesa della legalit� dell'azione amministrativa, prima del di1agare del conflitto di interessi in quella sede contenziosa in cui amministrazione e giurisdizione si troverebbero ormai in posizione disomogenea, perch� non pi� accomunate dal fine unico del rispetto della legalit�, appare proprio l'Avvocatura dello Stato che, trasponendo nel campo pubblico quelle esigenze dei tempi sopra segnalate come emergenti nel privato, pu� svolgere adeguata azione di prevenzione della litigiosit�, offrendo una prima garanzia di compimento di giustizia nei rapporti tra amministrati ed amministrazione. Rapporti che, come ancora di recente � stato ricordato al congresso di Madrid del 9-14 novembre 1981 sulla funzione consultiva (29), sono sempre qualcosa di profondamente diverso dai rapporti degli amministrati fra loro. Un potenziamento della funzione consultiva nei tempi, nei contenuti e nella flessibilit� dei moduli sembm, dunque, il pi� valido contributo che l'Avvocatura e gli avvocati dello Stato possano dare per il superamento della attuale emergenza. IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA (28) F. PIGA, cit. (29) Relazione della Delegazione dell'Avvocatura dello Stato italiana. LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice penale, art. 603. Sentenza 8 giugno ,1981, n. 96, G.U. 10 giugno 1981, n. 158. legge 11 gennaio 1943, n. 138, art. 4 nella parte in cui limita alle categorie di lavoratori ivi indicate l'iscrizione obbligatoria all'ente. Sentenza 29 aprile 1981, n. 103, G.U. 24 giugno 1981, n. 172. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, "quinto comma, nella parte in cui non consente che, ai fini dell'esercizio di regresso dell'INAIL, l'accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nei casi in cui il procedimento penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente si sia ooncluso con proscioglimento in sede istruttoria o vi sia provvedimento di archiviazione. Sentenza 29 aprile 1981, n. 102, G.U. 24 giugno 1981, n. 172. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, quinto comma, nella parte in cui non consente che, ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'INAIL, l'accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nel caso in cui la sentenza di condanna penale non faccia stato nel giudizio civile instaurato dall'INAIL. Sentenza 29 aprile 1981, n. 102, G.U. 24 giugno 1981, n. 172. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e 11 nella parte in cui preclude in sede civile l'esercizio di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro qualora il processo penale promosso contro di lui o di un suo dipendente per il fatto dal quale l'infortunio � derivato si sia concluso con sentenza di assoluzione, malgrado che l'Istituto non sia stato posto in grado di partecipare al detto procedimento penale. Sentenza 29 aprile 1981, n. 102, G.U. 24 giugno 1981, n. 172. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 11 e 10, nella parte in cui dispone che, nel giudizio civile di danno a carico del datore di lavoro per un infortunio di cui sia civilmente responsabile per fatto di un proprio dipendente, l'accertamento dei fatti materiali che furono oggetto di un giudizio penale sia vincolante anche nei confronti del datore di lavoro rimasto ad esso estraneo perch� non posto in condizione di intervenire. Sentenza 29 aprile 1981, n. 102, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 1, nella parte in cui prevedendo per le pensioni supplementari l'aumento nella misura di lire 2.400 mensili, lo limita a quelle aventi decorrenza anteriore al 1� maggio 1968 e non lo estende a quelle ugualmente liquidate con il sistema contributivo, aventi decorrenza posteriore al 30 aprile 1968. Sentenza 29 aprile 1981, n. 101, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. J4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 9, nella parte in cui, prevedendo per le pensioni supplementari l'aumento in misura pari al 10 per cento del loro ammontare, lo limita a quelle aventi decorrenza anteriore al 1� gennaio 1969, e non lo estende a quelle, �egualmente liquidate con il sistema contributivo, aventi decorrenza posteriore al 31 dicembre 1968. Sentenza 29 aprile 1981, n. 101, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6, nella parte in cui non indica con quali mezzi i comuni, le aziende municipalizzate e relativi consorzi, faranno fronte agli oneri finanziari posti a loro carico. Sentenza 8 giugno 1981, n. 92, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. legge 5 agosto 1978, n. 468, art. 31, per quanto concerne la regione Sardegna. Sentenza 8 giugno 1981, n. 95, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. legge 5 agosto 1978, n. 468, art. 31, per quanto concerne la regione Valle d'Aosta. Sentenza 8 giugno 11981, n. 95, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. II � QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 314/4, primo e terzo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Sentenza 1� giugno 1981, n. 80, G. U. 10 giugno 1981, n. 1158. codice civile art. 1224 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1981, n. 76, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. codice di procedura civile art. 282 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1981, n. 76, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. codice di procedura civile art. 423 (artt. 3, 24 e 102 della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1981, n. 76, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 3, 35, primo comma, e 36 della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1981, n. 71, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. codice di procedura civile, artt. 429 e 409 (artt. 3, 11, 4 e 35 della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1981, n. 76, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. :-: ' PARTE II, LEGISLAZIONE JJ r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 (artt. 21, primo comma, 25, secondo corrima, 101, secondo comma e 108, primo comma, della Costituzione).. Sentenza 8 giugno 1981, n. 100, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. 19 [modificato dalla legge 28 aprile 1967, n. 264 e dal d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 271] (artt. 3, 29, 36 e 38 della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1981, n. 75, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. legge reg. Sicilia 23 febbraio 1962, n. 2, art. 1, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 19 giugno 1981, n. 105, G.U. 24 giugno 1981, n. 172. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10, primo comma e 131 (artt. 3, 4, 24, 32 e 41 della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1981, n. 74, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 75, 79 e 80 (artt. 3, 35, 38 e 76 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1981, n. 93, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 79 e 80 (artt. 3 e 38, secondo comma della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1981, n. 93, G. U. :17 giugno 1981, n. 165. legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 1, 8 e 9 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 19 giugno 1981, n. 104, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 2, 3, 4, 36, 38, 52, 53, 97, 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1981, n. 92, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. legge 9 ottobre 1971 n. 824, art. 6 (artt. 81, quarto comma, 114 e 128 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1981, n. 92, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. legge 5 agosto 1978, n. 468, artt. 30, 31 e 36 (artt. 130, secondo comma, della Costituzione e 1, 4, n. 1, 29, secondo comma, 58 e 60 dello statuto della regione Friuli -Venezia Giulia). Sentenza 8 giugno 1981, n. 95, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. legge 5 agosto 1978, n. 468, artt. 31 e 36 (artt. 115, 119 e 123 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1981, n. 94, G. U; 17 giugno 1981, n. 165. 14 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 5 agosto 1978, n. 468, artt. 34, 35 e 36 (art. 127 della Costituzione e 1, 19, 20, 25, 36 e 38 dello statuto della regione siciliana). Sentenza 8 giugno 1981, n. 95, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. legge reg. Piemonte riapp. il 10 ottobre 1979 (art. 117, primo comma, della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1981, n. 70, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. legge reg. Umbria riapp. il 4 febbraio 1980 (art. 117, primo comma, della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1981, n. 70, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. III -QUESTIONI PROPOSTE Codice di procedura civile, art. 246 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 10 dicembre 1980, n. 150/1981, G.U. 10 giugno 1981, n. 158. codice di procedura civile, art. 636, secondo comma (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). Pretore di Pinerolo, ordinanza 17 novembre 1980, n. 110/1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. codice penale, artt. 519, 539 (artt. 2, 3, 27, primo comma, della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale di Milano, ordinanza 16 settembre 1980;� n. 126/1981, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. codice penale, art. 584 (art. 3 della Costituzione). Corte d'assise di Cagliari, ordinanza 24 ottobre 1980, n. 139/1981, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanza 19 gennaio 1981, n. 152, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. Pretore di Lecce, ordinanza 20 ottobre 1980, n. 180/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. codice penale, art. 707 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Pavia, ordinanza 7 gennaio 1981, n. 203, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. Pretore di Pavia, ordinanza 14 gennaio 1981, n. 144, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. ! - PARTE II, LEGISLAZIONE codice penale militare di pace, art. 189, primo comma, prima ipotesi (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanza 111 dicembre 1980, n. 140/1981, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. codice penale militare di pace, artt. da 277 a 282 e da 415 a 431 (artt. 101, secondo comma, 102, secondo comma, 104, 108, secondo comma, 52, terzo comma, della Costituzione). Giudice istn1ttore del Tribunale militare territoriale di Roma, sezione autonoma di Cagliari, ordinanza 10 dicembre 1980, n. 142/1981, G. U. 3 giugno 1981, Il. 151. legge 17 luglio 1890, n. 6972, art. 1 (art. 38, ultimo comma, della Costituzione). Tribunale di Forl�, ordinanze (due) 12 gennaio 1981, n.. 124 e 125, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. r.d.I. 3 marzo 1938, n. 680, art. 40, quinto comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei Conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 12 gennaio 1979, n. 104/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. r.d. 9 settembre 1941, n. 1024, artt. 28 e 35 (artt. 101, secondo comma, 102, secondo comma, 104, 108, secondo comma e 52, terzo comma, della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale militare territoriale di Roma, sezione autonoma di Cagliari, ordinanza 10 dicembre 1980, n. 142/1981, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 98, secondo e terzo comma (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanza 20 marzo 1980, n. 103/1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. r.d.I. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 (artt. 21, primo comma, 54, secondo comma e 98, primo comma, della Costituzione). Consiglio superiore della magistratura, sezione disciplinare, ordinanza 21 novembre 1980, n. 129/1981, G.U. 3 giugno 1981, n. 151. legge 10 agosto 1950, n. 648, art. 71 (artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione). Corte dei Conti, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 4 giugno 1980, n. 145/1981, G.U. 17 giugno 1981, n. 165. legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, secondo comma (artt. 134 e 24, primo comma, della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza il1 settembre 1980, n. 102/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. JB RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO legge 17 luglio 1954, n. 823, artt. 2, allegato 2, e 3 (artt. 3 e 35 della Costituzione). Pretore di Avellino, ordinanza 20 gennaio 1980, n. 162/1981, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. legge 11 aprile 1955, n. 379, art. 8, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei Conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 12 gennaio 1979, n. 104/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 398 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 15 gennaio 1981, n. a.28, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 36, art. 119 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Verbania, ordinanze (due) 24 novembre 1980, nn. 242 e 243/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 136 (artt. 3, 30, 31, 37 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Sassari, ordinanza 20 marzo .1979, n. 154/1981, G. U. !10 giugno 1981, n. 158. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, artt. 94, 80, tredicesimo, quindicesimo e sedicesimo comma, 83, quinto comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Cairo Montenotte, ordinanza 28 ottobre 1980, n. 99/1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Ancona, ordinanza 12 dicembre 1980, n. 179/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. d.P.R. 15 giugrio 1959, n. 393, art. 121 [modificato dalla legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5] (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Riesi, ordinanze (due) 3 dicembre 1980 e 14 gennaio 1981, nn. 220 e 221, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Albenga, ordinanza 19 novembre 1980, n. 166/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. d.JP'.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma, quarta ipotesi (art. 3 della Costituzione). Pretore di Cosenza, ordinanza 17 dicembre 1980, n. 241/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 1, quarto e quinto comma (artt. 3 e 24, cpv., della Costituzione). Pretore di Perugia, ordinanza 17 gennaio 1981, n. 156, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lettera a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanza 13 gennaio 1981, n. 158, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. Pretore di Avellino, ordinanza 11 gennaio 1980, n. 165/1981, G. U. 3 giugno 1981, n. �151. legge 12 agosto 1962, n. 1339, art. 1, secondo comma (art. 3 del)a Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 2 gennaio 1981, n. 112, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. legge 31 dicembre 1962, n. 1860, art. 29, secondo comma (artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 22 dicembre '1980, n. 113/1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. d.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525, art. unico, n. 51 (artt. 3 e 33 della Costituzione). Tribunale di Avellino, ordinanza 30 dicembre 1980, n. 120/1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Lecce, ordinanza 6 novembre 1980, n. l&l/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 11, 41 e 3 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 15 dicembre 1980, n. 115/1981, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 6 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Trapani, ordinanza 21 maggio :1980, n. 84/1981, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, primo e quarto comma (artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Bologna, ordinanza 28 maggio 1980, n. 94/1981, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. Tribunale di Bologna, ordinanza 5 novembre 1980, n. 95/1981, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. 40 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 63 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Voltri, ordinanza 2 gennaio 1981, n. 101, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 85 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Salerno, ordinanza 27 gennaio 1981, n. 146, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, lettera a) [modif. da legge 27 dicembre 1975, n. 780] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Tribunale di Pescara, ordinanze (due) 6 novembre e 4 dicembre 1980, nn. 86 e 87/1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, primo comma, lettera a) (artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 26 febbraio 1981, n. 335, G. U. 27 maggio 1981,. n. 144. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 209 (artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Ascoli Piceno, ordinanza 19 dicembre 1980, n. 157;.1981, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. legge 4 febbraio 1968, n. 482, art. 6, secondo comma (artt. 3, primo comma, 4, primo comma, 35, primo comma, 38, quarto comma, della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 11 settembre 1980, n. 102/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. legge 8 marzo 1968, n. 152, artt. 2 e seguenti (art. 3 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 21 luglio 1980, n. 92/1981, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 64 (artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione). Corte dei conti, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 4 giugno 1980, n. 145/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanza 13 gennaio 1981, n. 158, G.U. 20 maggio .1981, n. 137. Pretore di Avellino, ordinanza 11 gennaio 1980, n. 165/1981, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. d.p. giunta prov. Bolzano 23 giugno 1970, n. 20, art. 16, sesto e settimo comma [modif. da legge prov. Bolzano 20 settembre 1973, n. 38, art. 7] (artt. 5 della Costituzione e 4, 8 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Consiglio di Stato, adunanza plenaria, ordinanza 25 febbraio 1980, n. 97I 1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 23 dicembre 1970, n. 1054, art. 1 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanze (due) 10 luglio e 30 ottobre 1980, nn. 148 e 149/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 7 (artt. 76 e 10 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 30 giugno 1980, n. 159/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 12 (artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 23 dicembre 1980, n. 122/1981, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, quarto comma [modif. da d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, artt. 1 e 3, quarto comma] (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Rovigo, ordinanza 19 dicembre 1980, n. 239/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 47 e ali. A, art. 4 (artt. 76 e 10 della Costitqzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 30 giugno 1980, n. 159/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 (artt. 2, 24 e 76 della Costituzione). Commissione Tributaria di primo grado di Lodi, ordinanza 27 marzo 1980, n. 123/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). Pretore di Pistoia, ordinanza 26 novembre 1980, n. 130/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. Pretore di Roma, ordinanze (due) 17 dicembre 1980, nn. 135 e '136/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. Pretore di Pescia, ordinanza 24 novembre 1980, n. 191/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. Pretore di Varallo, ordinanza 18 dicembre ,1980, n. 182/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. Corte di Cassazione, ordinanza 1<> ottobre 1980, n. 237/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. ,144. Corte di Cassazione, ordinanza 26 novembre 1981, n. 238, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. Pretore di Chiavenna, ordinanza 11 novembre 1980, n. 312/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. Pretore di Castiglione del Lago, ordinanze (due) 10 ottobre 1980, nn. 192 e 193/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Cremona, ordinanza 18 dicembre 1980, n. 147, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. 42 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 30 luglio 1973, n. 477, art. 17 (artt. 97 e 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 22 gennaio 1979, n. 137/1981, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (artt. 76 e 10 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 30 giugno 1980, n .. 159/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. legge 14 febbraio 1974, n. 62, art. 2, quindicesimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 10 novembre 1980, n. 88/1981, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. d.l. 6 luglio 1974, n. 159, art. 4 [convertito in legge 17 agosto 1974, n. 384] (artt. 3, 29, 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanza 15 maggio 1979, n. 133/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. legge 20 marzo 1975, n. 70, art. 13 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 21 luglio 1980, n. 92/1981, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 47, secondo comma (artt. 3, primo comma, e 42, terzo comma, della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 3 dicembre 1980, n. 219/19&1, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Livorno, ordinanza 17 dicembre 1980, n. 85/1981, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Tirano, ordinanza 29 settembre 1980, n. rlll/1981, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. Tribunale di Ravenna, ordinanze (due) 12 dicembre 1980, nn. 116 e 117/1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 25 (ar. 27 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanza 3 ottobre 1980, n. 161/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. legge 8 ottobre 1976, n. 689, art. 3 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Livorno, ordinanza 17 dicembre 1980, n. 85/1981, G. U. 6 mag.. ! gio .1981, n. 123. PARTE II, LEGISLAZIONE 4J legge 8 ottobre 1976, n. 690, art. 1 quater (artt. 3 e 32 della Costituzione). Tribunale di Mantova, ordinanza 26 novembre 1980, n. 121/1981, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3, 29, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Gorizia, ordinanza 2 maggio 1980, n. 127/1981, G. U. 20 maggio 19811, n. 137. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Torino, ordinanza 13 novembre 1979, n. 317/1981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanze (due) 24 maggio 1978, n. 131 e 132/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 4 e 5 (artt. 3, 29 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Sassari, ordinanza 20 marzo 1979, n. 154/1981, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. legge 23 dicembre 1976, n. 863, art. 2, decimo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bolzano, ordinanza lo dicembre 1980, n. 98/1981, G. U. 13 maggio ~1981, n. 130. legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 17, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 13 maggio 1980, n. 160/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 25, quinto comma (artt. 76 e 77, primo comma, 117, 118 e 38, ultimo comma, della Costituzione). Tribunale di Forl�, ordinanze (due) 12 gennaio :1981, nn. 124 e 125, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. legge 3 gennaio 1978, n. 1, art. 5, ultimo comma (artt. 3, 24, 100, primo comma, 103, primo comma, 113 e 125, secondo comma, della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale, ordinanza 30 luglio 1980, n. 210/1981, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. d.P.R. 6 marzo 1978, n. 21 (artt. 76 e 10 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 30 giugno 1980, n. 159/1981, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Brindisi, ordinanza 3 dicembre 1980, n. 100/1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 3, 24, primo comma, e 113, primo comma, della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 24 novembre 11980, n. 141/1981, G. U. 10 giugno 1981, n. 158. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 16 (artt. 24, primo comma, e 3 della Costituzione). Pretore di Busto Arsizio, ordinanza 12 gennaio 1981, n. 119, G. U. 17 giugno 1981, n. 165. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 21, quinto comma (art. 3 della Costituzione). Giudice conciliatore di Torino, ordinanza 3 novembre 1980, n. 45/1981, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 26, secondo comma, 58, prima parte, 59, n. 1, 64, primo comma (artt. 3, 16, primo comma, 24, primo comma, 29, primo comma, 31, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione). Giudice conciliatore di Forano, ordinanza 31 maggio 1980, n. 138/1981, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Voltri, ordinanza 15 gennaio 1981, n. 143, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Parma, ordinanza 18 dicembre 1980, n. 105/1981, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. legge reg. Lombardia 31 luglio 1978, n. 47, art. 44, n. 1, tab. A, lettera e) (artt. 117 e 119 della Costituzione). Pretore di Mantova, ordinanza 23 ottobre 1980, n. 114/1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. legge reg. Abruzzo 28 dicembre 1978, n. 87, art. 15 (artt. 36, 97 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 7 dicembre 1979, n. 151/11981, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. PARTE II, LEGISLAZIONE 4f legge 23 novembre 1979, n. 595, art. 1 (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Brindisi, ordinanza 3 dicembre 1980, n. 100/1981, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. legge reg. Abruzzo appr. il 23 aprile 1980 e riappr. il 15 aprile 1981 (artt. 117 e 118 della Costituzione). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 16 maggio 1981, n. 21, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. legge 29 luglio 1980, n. 385, art. 1 (artt. 42, terzo comma, e 24, primo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Genova, ordinanza 3 novembre 1980, n. 200/1981, G. U. 24 giugno 1981, n. 172. legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3, primo comma, 42, terzo comma, 43, primo comma, 84, quarto comma, e ,136, primo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 12 dieembre 1980, n. 134/1981, G. V. 20 maggio 1981, n. 137. legge reg. Valle d'Aosta appr. il 26 febbraio 1981, riappr. il 26 aprile 1981 (artt. 41, terzo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione). Presidenza del Consiglio dei Ministri, ricorso 28 maggio 1981, n. 25, G. U. 3 giugno 1981, n. 151. legge 30 marzo 1981, n. 113 (artt. 5 e 106 della Costituzione e 14, lettere a) g) m) o) e p) dello statuto speciale della regione siciliana). Presidente della giunta regionale della regione siciliana, ricorso 4 maggio 1981, n. 9, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. legge 30 marzo 1981, n. 113 (artt. 8, n. 1, 17, 21 e 25 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige). Presidente della giunta provinciale di Bolzano, ricorso 13 maggio 1981, n. 14, G. U. 25 maggio 1981, n. 137. legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 35 (artt. 3, 97 e 117 della Costituzione). Presidente della giunta regionale Liguria, ricorso 12 maggio 1981, n. 13, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. legge 30 marzo 1981, n. 119, artt. 35, quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo e nono comma, e 40, primo, secondo, quinto e decimo comma (artt. 8, n. 1, 9, n. 110, 16 e da 70 a 86 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige). Presidente della giunta provinciale di Bolzano, ricorso 15 maggio 1981, n. 15, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. Presidente della giunta provinciale di Trento, ricorso 15 maggio 1981, n. 16, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 46 legge 30 marzo 1981, n. 119, artt. 35 e 40 (artt. 5, 117 e 119 della Costituzione). Presidente della giunta regionale della regione Toscana, ricorso 21 mag-� gio 1981, n. 22, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. Presidente della giunta regionale dell'Emilia Romagna, ricorso 21 maggio 1981, n. 23, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. Presidente della giunta della regione Piemonte, ricorso 21 maggio 1981, n. 24, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. Jegge 30 marzo 1981, n. 119, artt. 35 e 40 (art. 4 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige). Presidente della giunta regionale del Trentino-Alto Adige, ricorso 16 maggio 1981, n. 20, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. legge 30 marzo 1981, n. 119, artt. 35 e 40 (artt. 5, 115, 117, 118, 119 e 123 della Costituzione). Presidente della giunta regionale del Veneto, ricorso 16 maggio 1981, n. 19, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 40 (artt. 1, 19, 20 e 36 dello statuto speci�le per la regione siciliana). Presidente della giunta regionale della regione siciliana, ricorso 115 maggio 1981, n. 18, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 40, primo, quarto, quinto e ottavo comma (artt. 1, 3, 4, 6, 7 e seguenti dello statuto speciale per la Sardegna). Presidente della giunta regionale della Sardegna, ricorso 15 maggio 1981, n. 17, G. U. 27 maggio 1981, n. 144. legge reg. siciliana appr. il lo aprile 1981 (artt. 97 della Costituzione e 43 e 2, secondo comma, dello statuto speciale della regione siciliana). Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 116 aprile 1981, n. 6, G. U. 6 maggio 1981, n. 123. legge reg. siciliana 15 aprile 1981, art. 2, ultimo comma (artt. 14 e 17 dello statuto speciale della regione siciliana). Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 30 aprile 1981, n. 7, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. legge reg. siciliana 15 aprile 1981, artt. 20, ultimo comma, e 21 (art. 81 della Costituzione). Commissario dello Stato per la regione siciliana, ordinanza 30 aprile 1981, n. 8, G. U. 13 maggio 1981, n. 130. legge reg. siciliana appr. il 22 aprile 1981, artt. 1, ultimo comma, e 2 (artt. 3, 81 e 97 della Costituzione e 14 e 17 dello statuto speciale della regione siciliana). Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 8 maggio 1981, n. 11, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. PARTE II, LEGISLAZIONE 47 legge reg. siciliana 22 aprile 1981, artt. 1, 2, 3 e 5 (artt. 14 e 17 dello statuto speciale della regione siciliana). Commissario dello Stato per la regione siciliana, ricorso 8 maggio 1981, n. 10, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. legge reg. siciliana appr. il 22 aprile 1981, artt. 1, 2, 3, 4 e 5 (artt. 14 e 17 dello statuto speciale per la regione siciliana). Commissario dello Stato per la regione siciliana, rieorso 8 maggio ([981, n. 12, G. U. 20 maggio 1981, n. 137. legge 23 aprile 1981, n. 154 (artt. 17, ultimo comma, e 55, secondo comma, dello statuto sardo). Presidente della giunta regionale della regione autonoma Sardegna, ricorso 5 giugno 1981, n. 26, G. U. 10 giugno 1981, n. 158.