ANNO XXXIX -N. 3 -4 -5 -6 MAGGIO -DICEMBRE 1987 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1988 



ABBONAMENTI ANNO 1988 

ANNO. � . � � � � � � . � � � � � � � � � . � . . � � � � . � � � � � � � � � � L. 40.000 
UN NUMERO SEPARATO.. � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � 7.500 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 
ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 


Stampato in ltalia -Printed in Italy 
Autorizzuione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


(9219311) Roma, 1987 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE fa cura del-
l'avv. Franco Favara} . . . . . . . . . . . . . pag. 195 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
ZIONALE fa cura 
COMUNITARIA 
del/'avv. Oscar 
E INTERNA-
Fiumara} . . � 263 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
fa cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio Cingolo} . . . . . . . . . . . . . > 322 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE fa cura de/l'avvocato 
Anna Cenerini} . . . . . . . . . . . . . . . . . � 343 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA fa cura 
gli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Po/izzl} 
de, 
348 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA fa cura de/l'avvocato 
Carlo Bafile} . . . . . . . . . . . . . . � 388 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA �I ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI fa cura degli avvocati Sergio 
Laporta e Piergiorgio Ferri} . . . . . . . . . . . 11 455 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a curfi degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni} . . � 474 

Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 


RASSEGNA DI DOTTRINA fa cura dell'avv Ignazio Caramazza} pag. 63 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . lii 65 


La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 


Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Carlo BAPILB, L'Aquila; Nicasio 
MANcuso, Palermo; Rocco BBRA1ml, Potenza; Maurizio DB FRANcms, 
Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANOO, Venezia. 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 


F. FAVARA: L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese 
in crisi e la liquidazione coatta amministrativa: tratti comuni 
e differenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 238 
O. FIUMARA: Della determinazione del luogo di adempimento dell'obbligazione 
ai sensi dell'art. 5, n. l, della Convenzione di 
Bruxelles sulla competenza giurisdizionale . . . . . . . . . . . " 275 


PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
ACQUE ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI 
PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
ACQUE ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI 
-Acque pubbliche -Competenza e 
giurisdizione -Tribunali delle acque 
e tribunali ordinari -Alveo 
fluviale colmato da colata lavica Controversia 
sulla demanialit� 
Competenza del tribunale delle acque 
pubbliche, 469 

-Acque pubbliche -Competenza e 
giurisdizione -Tribunali regionali 
delle acque e tribunali ordinari Danni 
da difetto di manutenzione 
di opera idraulica -Competenza 
del Tribunale regionale delle acque 
pubbliche, 457. 

-Acque pubbliche -Demanio idrico 
-Alveo fluviale colmato dalla lava 
-Passaggio al patrimonio disponibile, 
469. 

-Acque pubbliche -Laghi -Limiti 
dell'alveo -Individuazione, 468. 

-Opere idrauliche -Non classificate 
/ Trasferimento alle Regioni -Danni 
da vizio di manutenzione -Difetto 
di legittimazione passiva del Ministero 
dei Lavori Pubblici, 457. 

ASSICURAZIONE 

-lsvap -Trasferimento del personale 
-Inizio svolgimento funzioni, 

362. 
- 
Vigilanza -Liquidazione -Trasferimento 
dell'azienda senza corrispettivo 
-Eccezione incostituzionalit� Manifesta 
infondatezza, 362. 

-Vigilanza -Piano risanamento -Mancata 
realizzazione -Revoca autorizzazione 
ad esercizio attivit� assicurativa 
� Atto vincolato, 362. 

-Vigilanza -Revoca autorizzazione ad 
esercizio attivit� assicurativa -Commissariamento 
-Liquidazione coatta 
amministrativa -Misure alternative, 
362. 

-Associazioni sindacali -Rappresentativit� 
-Indici -Consistenza numerica 
-Specialit� interessi rappresentati, 
348. 

ATTO AMMINISTRATIVO 

-Atto paritetico -Carattere vincolante 
-Annullamento, 357. 

AVVOCATI E PROCURATORI 

-Patrocinio dinanzi alle Preture -Persone 
diverse dagli avvocati e procuratori 
-Ammissione al predetto 
patrocinio -Illegittimit� costituzionale, 
245. 

BENI 

-Beni culturali -Esportazione abusiva 
-Cose di propriet� di persona 
diversa dall'autore del reato -Illegittimit� 
costituzionale, 204. 

COMUNITA' EUROPEE 

-Agricoltura -Organizzazione comune 
dei mercati nel settore delle 
carni suine e nel settore delle carni 
bovine -Prezzi massimi di vendita 
all'ingrosso -Incompetenza degli 
Stati membri, 305. 

-Agricoltura -Organizzazione comune 
di mercato nel settore vitivinicolo 
-Vino -Arricchimento -Mosto 
di uve concentrato rettificato, 

268. 
- 
CECA -Industria siderurgica -Sistema 
di sorveglianza -Rispetto dei 
flussi tradizionali -Violazione -Poteri 
della Commissione, 287. 



INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 
vu 

-Convenzione di Bruxelles 27 settembre 
1968 sulla competenza giurisdizionale 
-Competenza -Luogo di 
adempimento dell'obbligazione, con 
nota di o. FIUMARA, 274. 

-Domanda di pronuncia pregiudizia: 
le -Momento della sua proposizione 
-Valutazione del giudice �a 
quo�, 295. 

-Domanda di pronuncia pregiudiziale 
-Organo giurisdizionale -Funzioni 
del Pretore, 295. 

-Libera circolazione dei lavoratori Violazione 
del principio di non di-� 
scriminazione in ragione della cittadinanza 
-Ricercatori del CNR Disparit� 
di trattamento in relazione 
alle condizioni di impiego e 
di lavoro, 301. 

-Ravvicinamento delle legislazioni 
Accesso all'attivit� degli enti creditizi 
-Interpretazione della direttiva 
-Nozione di pubblico ufficiale 
e di persona incaricata di un pubblico 
servizio, 283. 

-Ravvicinamento delle legislazioni Conservazione 
degli uccelli selvatici, 
309. 

-Ravvicinamento delle legislazioni Direttive 
-Recepimento -Obblighi 
degli Stati membri, 291. 

-Ravvicinamento delle legislazioni Dogane 
-Messa in libera pratica delle 
merci -Svincolo globale e svincolo 
a riprese, 281. 

-Ravvicinamento delle legislazioni Sostanze 
e prodotti indesiderabili 
negli alimenti per animali -Inadempimento 
dell'Italia -Insussistenza, 

291. 
-Ravvicinamento delle legislazioni Tutela 
dell'ambiente -Obblighi previsti 
in una direttiva -Conseguenze 
per i privati, 296. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Giudizio incidentale di legittimit� 
costituzionale -Principio di uguaglianza 
-Pronuncia estensiva di norma 
derogatoria -Condizioni, 199. 

-Norme di diritto internazionale pri. 
vato -Sottoponibilit� a sindacato di 
legittimit� costituzionale, 229. 

DEMANIO 

-Beni storici ed archeologici -Vincolo 
diretto -Tutela beni individuali, 
376. 

-Ben'i storici ed artistici -Prelazione 
-Negozio transattivo -Mancata 
determinazione prezzo -Illegittimit� 
prelazione, 371. 

-Beni storici ed artistici -Prelazione 
dello Stato -Atto ablatorio -Acquis1z1one 
coattiva beni privati Prelazione 
civilistica -Differenze, 

371. 
-Beni storici ed artistici -Prelazione 
dello Stato -Negozi soggetti -Transazione, 
371. 

-Beni storici ed artistici -Vincolo diretto 
-Motivazione -Indicazione bene 
e P11Tticelle catastali, 376. 

-Beni storici ed artistici -Vincolo 
indiretto -Motivazione -Finalit� e 
presupposti di fatto, 376. 

- 
Occupazione -Ricerce archeologiche, 

376. 
ENTI PUBBLICI 

-Ferrovie -Istituzione dell'Ente F.S. 
-Personale dipendente -Controversie 
di lavoro -Trasferimento della 
giurisdizione al Giudice ordinario, 

258. 
ESECUZIONE FORZATA 

-Pensioni erogate dalla Cassa nazionale 
del notariato -Pignorabilit�, 

232. 
- 
Retribuzioni dovute da enti pubblici 
diversi dallo Stato -Pignorabilit� 
per ogni credito fino ad un quinto, 

231. 
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILITA' 

-Interventi di sistemazione idraulicoforestale 
di terreni -Opere di rimboschimento 
di terreni a tal fine 
occupati temporaneamente -Successiva 
espropriazione -Indennit� -Valutazione 
del bosco, 462. 


vm 
RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

-Opposizione a stima -Legittimazione 
passiva -Concorso di enti nella 
realizzazione dell'opera -Affidamento 
in concessione -Legittimazione 
del concedente -Fattispecie, 459. 

-Retrocessione -Prezzo di retrocessione 
superiore all'indennit� di 
espropriazione -Legittimit� costituzionale, 
255. 

FALLIMENTO 

- 
Amministrazione straordinaria del


. le grandi imprese in crisi -Comunanza 
di disciplina con la I.e.a., con 
nota di F. FAVARA, 238. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Regolamento di giurisdizione -Regolamento 
preventivo -Improponibilit� 
della domanda tra privati Inammissibilit�, 
338. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Controinteressati Impugnativa 
provvedimento riparto aspettative 
sindacali -Associazioni sindacali, 

348. 
-Controinteressati -Individuazione, 
348. 
- 
Giurisdizione esdusiva in materia 
di pubblico impiego -Mezzi istruttori, 
236. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Procedura concorsuale per avanzamento 
-Impugnativa -Controinteressati, 
348. 

-Stipendi -Recupero emolumenti indebiti 
-Autoresponsabilit� ed affidamento 
-Irrilevanza, 357. 

-Stipendi -Recupero emolumenti indebiti 
-Misura non incidente su esigenze 
vitali -Motivazione -Non 
necessit�, 357. � 

IMPUGNAZIONI PENALI 

-Ricorso per cassazione -Deduzione 
di errata interpretazione di legge 
ai fini del proscioglimento con for


mula ampia ai sensi dell'art. 152 cod. 
proc. pen. pur in presenza di causa 
estintiva -Ammissibilit� -Annullamento 
senza rinvio della sentenza 
impugnata -Ammissibilit�, 

474. 
LAVORO 

-Controversie in materia di previdenza 
-Medici� convenzionati con enti 
mutualistici -Rapporto di collaborazione 
-Crediti per prestazioni professionali 
-Rivalutazione monetaria 
-Applicabilit�, 329. 

LEGGE 

-Legge interpretativa -Applicazione � 
compito del giudice, 235. 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI 

-Radiotelevisione -Radiodiffusione di 
opere registrate -C�nsenso dell'autore 
-Occorre anche per la RAI Questione 
infondata di costituzionalit�, 
200. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

-� Ius postulandi" degli Avvocati 
dello Stato -Difesa in giudizio degli 
enti pubblici e dei dipendenti 
pubblici -Mandato alle liti -Non 
occorre, 343. 

-Persona scomparsa -Interruzione 
del processo e nomina del curatore 
-Mancata previsione -Illegittimit� 
costituzionale, 202. 

PROVVEDIMENTI CONTINGIBILI E 
D'URGENZA 

-Sindaco -Presupposti necessit� Requisizione 
immobili -Legittimit�, 
359. 

REATO 

-Reato di deviazione di acque (articolo 
632 cod. pen.) e reato di furto 
di acque -Elementi distintivi, 474. 



INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

-Reato di deviazione di acque (artilo 
632 cod. pen.) -Oggetto della 
tutela penale, 474. 

-Reato di omissione di atti di ufficio 
-Interpretazione della norma 
di cui all'art. 328 cod. pen., 474. 

-Reato valutario -Art. 1 d.l. 4 marzo 
1976 n. 31 conv. in I. 30 aprile 
1976 n. 159 e succ. mod. Illegale 
esportazione di valuta -Danno risarcibile: 
quello alla economia nazionale, 
480. 

REGIONI 

-Impiego pubblico -Accordi collettivi 
-Rapporto con l'attribuzione 
in materia di ordinamento degli uffici, 
248. 

-Materia � organizzazione degli uffici 
� -Regime di tesoreria -Non 
vi attiene, 207. 

-Materie sanit� e assistenza sociale 
-Recupero e reinserimento dei tossicodipendenti 
-Contributi al volontariato 
-:e competenza dello Stato, 
252. 

-Regioni a statuto speciale -Riforma 
economico-sociale -Norme esecutive 
dei principi della riforma 
-Carattere integrativo e di coessenzialit�, 
234. 

RESPONSABILIT� CIVILE 

-Dovere di comportamento prescritto 
da una norma -Diligenza e disattenzione 
dei destinatari -Esclusione 
della responsabilit�, 343. 

-Modalit� del fatto generatore del 
danno -Giudizio di merito incensurabile 
in sede di legittimit�, 343. 

SANIT� 

-Disciolti enti mutualistici -Rapporti 
obbligatori pregressi -Successione 
-Legittimazione passiva Fattispecie, 
322. 

-Enti mutualistici -Medici convenzionati 
-Compensi -Modalit� di 
corresponsione -Fattispecie, 329. 

SARDEGNA 

-Quote di tributi erariali soppressi Somma 
sostitutiva -Riduzione -Parere 
della regione -Omessa acquisizione, 
208. 

SERVIT� 

-Occupazione illegittima -Danni Trasformazione 
di strada poderale 
con costruzione di altra assoggettata 
ad uso pubblico -Risarcimento 
� Non � dovuto, 455. 

SICILIA 

-Contributo di solidariet� nazionale 
-Intesa Stato-regione -Non � prevista, 
208. 

-Nuove entrate tributarie statali riscosse 
nella regione -Sottrazione alla 
devoluzione -Condizioni, 207. 

-Nuove entrate tributarie statali riscosse 
nella regione -Sottrazione 
alla devoluzione -Condizioni, 208. 

-Regime di tesoreria -Disponibilit� 
liquide della regione -Distinzione 
tra tributi propri della regione e 
tributi statali riscossi nella regione, 
207. 

TRENTINO ALTO ADIGE 

-Regime di tesoreria -Distinzione 
tra tributi propri della regione e 
tributi statali riscossi nella regione, 
207 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Dichiarazione congiunta di coniugi 
-Responsabilit� solidale, 260. 

-ILOR -Zone depresse del centro-
nord -Imprese produttrici di servizi 
-Esclusione dall'esenzione decennale, 
261. 

-Imposta sui redditi di ricchezza 
mobile -Plusvalenza -Svalutazione 
monetaria -Deve essere dedotta 
dall'ammontare del plusvalore, 417. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

X 

-Imposta sui redditi di ricchezza 
mobile -Redditi di capitale -Presunzione 
di fruttuosit� del danaro Prova 
dell'impiego del capitale -:B 
necessaria -Prova per presunzioni 
-Ammissibilit�, 443. 

-Imposta unica sul reddito delle persone 
fisiche -Redditi di lavoro dipendente 
-Indennit� cli buonuscita 
ENPAS -Imponibilit� -Condizioni 
e limiti, 396. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro -Atti giudiziari 
-Caratteri -Ordinanza di distribuzione 
delle somme ricavate dall'esecuzione 
-Non tassabilit�, 450. 

-Imposta di registro -Miniere -Distinte 
ipotesi di imposizione, 439. 

-Imposta di registro -Nuovo testo 
unico -Disposizioni pi� favorevoli 
al contribuente -Estensione nei rapporti 
per i quali pende controversia 
-Definitivit� dell'accertamento tardivamente 
impugnato -Esclusione, 

428. 
-Imposta di successione -Interessi 
-Imposta complementare -Imputabilit� 
del ritardo -Accertamento 
infondato poi corretto dall'ufficio 
-Non esonera dall'obbligazione di 
interessi, 388. 

- 
Imposte doganali -Deposito doganale 
-Magazzini di propriet� privata 
-Chiusura con doppia chiave Non 
trasforma il deposito privato 
in magazzino sotto diretta custodia 
della dogana, 406. 

-Imposte doganali -Deposito in magazzini 
di propriet� privata -Furto 
della merce -Realizzazione del 
presupposto dell'imposizione -Articolo 
37 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 
-Illegittimit� costituzionale -Manifesta 
infondatezza, 406. 

TRIBUTI (IN GENERE) 

-Contenzioso tributario -Appello Motivi 
-Richiamo alle difese del 
precedente grado -Insufficienza, 453. 

-Contenzioso tributario -Commissioni 
tributarie -Regolarit� della composizione 
-Verbale -Rilevanza, 420. 

-Contenzioso tributario -Condono Estinzione 
del giudizio -Controversia 
sulla condonabilit� -Decisione 
incidentale del giudice avanti al quale 
pende la controversia -Esclusione, 
409. 

-Contenzioso tributario -Decisione Correzione 
di errore materiale -Non 
utilizzabilit� della motivazione -Confronto 
con gli atti anteriori del 
processo -Legittimit�, 432. 

-Contenzioso tributario -Decisione 
-Motivazione -Valutazione -Ricorso 
alla comune esperienza -Ammissibilit� 
-Limiti, 433. 

-Contenzioso tributario -Decisioni di 
secondo grado sulla valutazione estimativa 
-Impugnazione di terzo grado 
di sola legittimit� -Ricorso per 
cassazione -Duplicazione del giudizio 
di legittimit� -Pronuncia della 
Cassazione riferita alla decisione di 
secondo grado, 432. 

-Contenzioso tributario -Estinzione 
del giudizio ex art. 44 d.P.R. 26 ottobre 
1972 n. 636 -Pronunzia di 
cessazione della materia del contendere 
-Impossibilit� -Definitivit� 
dell'atto impugnato -Sopravvivenza 
dell'azione -Esclusione, 409. 

-Contenzioso tributario -Giurisdizione 
amministrativa -Impugnazione 
di atti di indirizzo -Esclusione, 423. 

-Contenzioso tributario -Impugnazione 
-Ricorso cumulativo -Decisioni 
distinte concernenti lo stesso 
rapporto -Ammissibilit�, 430. 

-Contenzioso tributario -Impugnazione 
di terzo grado -Apprezzamento 
del fatto -Redditi di capitale Presunzione 
di fruttuosit� -Deducibilit� 
in terzo grado, 442. 

-Contenzioso tributario -Intervento 
nel processo -Cessato amministratore 
di societ� -Non � legittimato 
all'intervento, con nota di F. FAVARA, 

238. 
-Contenzioso tributario -Processi 
dinanzi alle Commissioni -Non pubblicit� 
delle udienze, 195. 

-Contenzioso tributario -Provvedimento 
impugnabile -Avviso di liquidazione 
-Definitivit� -Successiva 
domanda di rimborso -Inammissibilit�, 
428. 



INDICE DELLA GIURISPRUDENZA Xl 

-Contenzioso tributario -Ricorso alla 
Corte di appello -Termine per 
ricorrere alla Commissione Centrale 
non ancora decorso -Omessa eccezione 
innanzi alla Corte d'appello 
-Deduzione con ricorso per cassazione 
� Inammissibilit�, 391. 

-Contenzioso tributario -Ricorso alle 
Commissioni -Provvedimenti impugnabili 
-Atto che nega la spettanza 
di esenzioni pluriennali -Omessa 
impugnazione -Definitivit�, 394. 

-Dichiarazione -Effetti -Modifica. 
zioni, 399. 

-Sanzioni non penali -Nascita della 
obbligazione -Provvedimento di irrogazione 
-Natura, 403. 

TRIBUTI LOCALI 

-Imposta comunale sull'incremento 
di valore degli immobili -Rettifica 
del valore finale -Adeguamento necessario 
del valore iniziale dichiarato 
da parte dell'ufficio o del giudice 
-Esclusione -Impugnazione 
da parte del contribuente del valore 
dichiarato -Ammissibilit�, 399. 

-Imposta comunale sull'incremento 
di valore degli immobili -Societ� 
-Applicazione per decorso decennio 
-Estensione alle societ� di ogni tipo 
a norma dell'art. 1 legge 22 dicembre 
1975 n. 694 -Efficacia per il decennio 
1966-75, 392. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

24 luglio 1986, n. 212 . . 
24 luglio 1986, n. 215 
16 ottobre 1986, n. 220 
19 gennaio 1987, n. 2 

2, marzo 1987, n. 61 
2 marzo 1987, n. 62 
5 marzo 1987, n. 70 
5 marzo 1987, n. 71 
31 marzo 1987, n. 87 
31 marzo 1987, n. 89 

3 aprile 1987, n. 99 
10 aprile 1987, n. 123 
23 aprile 1987, n. 146 
13 maggio 1987, n. 155 
22 maggio 1987, n. 185 
28 maggio 1987, n. 202 

8 giugno 1987, n. 217 
6 luglio 1987, n. 243 
6 luglio 1987, n. 245 


16 luglio 1987, n. 268 
22 ottobre 1987, n. 316 (ord.) 
22 ottobre 1987, n. 319 (ord.). 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

Sed. plen., 18 settembre 1986, nella causa 48/85 
Sed. plen., 15 gennaio 1987, nella causa 266/85 
Sed. plen., 27 gennaio 1987, nella causa 275/85 
28 sez., 7 aprile 1987, nella causa 166/85 . . . . . 
Sed. plen., 9 aprile 1987, nelle cause riunite 167 e 212/85 
Sed. plen., 9 aprile 1987, nella causa 363/85 .. 
5a sez., 11 giugno 1987, nella causa 14/86 .... 
Sed. plen.; 16 giugno 1987, nella causa 225/85 
4B sez., 1� luglio 1987, nella causa 216/86 
Sed. plen., 8 luglio 1987, nella causa 262/85 .. 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. Un. 19 gennaio 1987, n. 410 
Sez. Un. 20 gennaio 1987, n. 460 

Pag. 195 
,. 199 
,. 202 
,. 204 
,. 207 
,. 207 
,. 208 
,. 229 

,. 208 

,. 231 
� 234 
" 235 
,. 236 

" 232 
� 238 
" 245 

)) 248 
� 252 
" 255 
,. 258 
" 260. 
.. 261 

Pag. 268 

.. 274 
" 281 
" 283 

� 287 
.. 291 

" 295 
� 301 
� 305 
� 309 

Pag. 388 
.. 391 



INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA XllI 
Sez. I, 21 gennaio 1987, n. 512 � 392 

Sez. I, 26 gennaio 1987, 
Sez. I, 3 febbraio 1987, 
Sez. I, 4 febbraio 1987, 
Sez. I, :9 febbraio 1987, 
Sez. I, 9 febbraio 1987, 
Sez. I, 10 febbraio 1987, 
Sez. I, 10 febbraio 1987, 


n. 722 394

" 

n. 947 � 396 

n. 997 399

" 

n. 1375 403

" 

,.

n. 1376 406 

,.

n. 1385 409 

I)

n. 1388 417 

Sez. Uni., 24 febbraio 1987, n. 1947 420

" 

Sez. Uni., 24 febbraio 1987, n. 1948 423

" 

Sez. I, 11 marzo 1987, n. 2527 ,. 428 
Sez. I, 13 marzo 1987, n. 2646 ,. 430 
Sez. I, 20 marzo 1987, n. 2765 ,. 432 
Sez. I, 11 aprile 1987, n. 3600 � 439 
Sez. I, 23 aprile 1987, n. 3929 ,. 442 
Sez. I, 13 maggio 1987, n. 4391 450

" 

Sez. I, 28 maggio 1987, n. 4772 ,. 453 
Sez. Un., 8 giugno 1987, n. 5012 ,. 322 
Sez. Un., 8 giugno 1987, n. 5017 � 329 
Sez. Un., 15 giugno 1987, n. 5256 � 338 
Sez. III, 6 agosto 1987, n. 6759 .. ,. 343 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE 

15 aprile 1987, n. 14 Pag. 455 
21 maggio 1987, n. 20 � 457 
21 maggio 1987, n. 21 

� 459 
16 giugno 1987, n. 28 462

" 

17 giugno 1987, n. 29 

468

" 

30 novembre 1987, n. 89 

469

" 

GIURISDIZIONI AM.MINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., 28 settembre 1987, n. 22 Pag. 348 
Sez. IV, 14 luglio 1987, n. 422 ,. 357 
Sez. IV, 20 ottobre 1987, n. 638 ,. 359 
Sez. VI, 10 giugno 1987, n. 379 362

" 

Sez. VI, 10 giugno 1987, n. 400 . 371

" 

Sez. VI, 2 luglio 1987, n. 463 348

" 

Sez. VI, 7 ottobre 1987, n. 860 ,. 376 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. II penale, 26 marzo 1987, n. 3705 Pag. 474 
Sez. III, 1� luglio 1987, n. 7987 .... 480

,. 


PARTE SECONDA 
Rassegna di dottrina . . 
Rassegna di legislazione 
I -Questioni dichiarate incostituzionali 
II -Questioni dichiarate non fondate 
III -Questioni proposte . . . . . . . . . 
Pag. 
Pag. 
" 
63 
65 
73 
82 



PARTE PRIMA 



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GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 24 luglio 1986, n. 212 -Pres. La Pergola -Reil. 
Saja -Molajoni Mario S.p.A. e Presidente Consiglio dei Ministri. 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Processi dinanzi alle Com


missioni � Non pubblicit� delle udienze. 

(Cost., art. 101; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39). 

La rega:la deUa pubblicit� delle udienze � implicitament.e prescritta 
dal sistema costituzionale qual1e conseguenza necessaria del fondamento 
democratico del pot.ere giurisdizional.e; � indJispensabile che il legislatore 
int1erveng:a prorntamente ad adeguare il processo tributario all'art. 101 Coisit. 
carrettament.e inte�r,pretato (1). 

(omissis) Con l'ordinanza in epigrafe viene proposta la questione di 
legittimit� costituzionale, in riferimento al~l'art. 101 Cost., dell'art. 39 d.P.R. 
26 ottobre 1972, n. 636, concernente la revisione del contenzioso tributario, 
nella parte in cui esclude la pubbHcit� delle udienze davanti alle COlill� 
miJSsioni tributarie. 

Rileva in proposito i,'l giudice a quo ohe il principio di pubblicit� 
delle udienze, bench� non esplicitamente dichiarato, deve ritenersi accdlto 
nella Costituzione e precisamente nel ricorxlato art. 101, laddove 
statuisce ohe la giustizia � amministrata in nome del popolo, sicch� la 
.ricordata esclusione risulterebbe inegittima. 

(1) La Corte costituzionale esprime n�lla sentenza in rassegna una indicazione 
precisa, che solo per lodevole senso di responsabilit� non traduce in 
pronuncia di illegittimit� costituzionale. La raffigurazione del processo tributario 
come vicenda � riservata� nella quale l'indiziato di evasione beneficia di 
un � � clima � omertoso � giust�mente accantonata in nome di una corretta e 
doverosa lettura � in positivo � di quell'art. 53 Cost. troppo spesso invocato 
solo come norma limitatrice dei carichi tributari. 
Deve osservarsi che la regola della pubblicit� delle udienze (da applicarsi 
nei primi due gradi del processo tributario) va tenuta distinta da una ipotizzabile 
diversa regola della necessit� dell'udienza (nel terzo grado dinanzi 
alla commissione tributaria centrale). La prima regola a ben vedere mira a 
consentire a � chiunque � la conoscenza di quanto viene detto a voce dal 
relatore e dalle parti (o loro difensori), ed implica che �chiunque� possa 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

196 

Non � superfluo, per la migliore intelligenza della questione, qualche 
cenno storico. Il principio della pubblicit� delle udienze giudiziarie si 
afferma nei tempi moderni con la caduta dell'assolutismo e viene proclamato, 
con una disposizione di portata generale, per la prima volta, nell'art. 
208 deHa Costituzione francese del 1795, anno III (non mancarono, 
prima, disposizioni particolari: art. 163� Cost. del 1791, in materia di istruzione 
criminale: artt. 94 e 96 Cost. del 1793, rispettivamente in materia 
di deliberazione de1le cause civili e di istruzione criminale), disposizione 
in cui viene anche costituzionalizzato, sempre con carattere di generalit�, 
l'obbligo di motivazione, ritenuto parimenti necessario al controllo sugli 
atti giudiziari. Il principio � successisvamente accolto altresl in carte 
costituzionali della Restaurazione e trova larga diffusione, assurgendo 
presto al ruolo di normale guarentigia d'una retta amministrazione della 
giustizia, anche in ordinamenti non ispirati ai principi di libert� e di 
eguaglianza. 

In Italia la regola fu recepita nell'art. 72 dello Statuto albertino ( � Le 
udienze dei Tribunali in materia civile e i dibattimenti in materia criminale 
saranno pubblici conformemente a11e leggi �) e in attuazione di 
questa disposizione statutaria le varie leggi processuali regolarono la pubblicit� 
delle udienze (art. 52 cod. pmc. civ.; art. 268 cod. proc. pen.; art. 443 
cod. pen. per l'esercito; art. 490 cod. pen. militare marittimo; art. 34 de11a 
legge sul Consiglio di Stato). 

Nell'it,er formativo della Costituzione repubblicana, il principio venne 
esplicitamente enunciato nell'art. 101 del progetto presentato all'Assemblea 
costituente il 31 gennaio 1947 (secondo comma: �le udienze sono 

avere conoscenza anche degli scritti, a cominciare dalle decisioni; a questo 
proposito va rilevato, per inciso, che il d.P.R. n. 636 del 1972 ha riservato alle 
parti la facolt� di ottenere copia delle decisioni (ed � una riserva che pare 
giovare soprattutto allo... insider editing). 

Quanto alla ipotizzabile regola della necessit� dell'udienza (ovviamente 
pubblica), non pare che essa sia stabilita dall'ordinamento costituzionale. Non 
pu� dubitarsi, in linea di principio, della legittimit� costituzionale dei numerosi 
procedimenti � in camera di consiglio � previsti dalle leggi processuali. Ci� 
detto deve per� aggiungersi che l'attuale disciplina del terzo grado del processo 
tributario �, anche sotto questo profilo, quanto meno non connotata da esprit 
de geometrie. Si considerino tra l'altro: a) la stranezza della previsione di due 
� giudici naturali � alternativi, inseriti in � ordini � giudiziari diversi, e ciascuno 
dei quali (giudici) operante secondo una disciplina processuale non 
omogenea a quella praticata dall'altro; b) l'ingente costo per il fisco (solitamente 
creditore di tributi) della scarsa produttivit�, anche in termini qualitativi, 
di un giudice costruito con � briciole di tempo � di persone notoriamente 
molto impegnate (persino come capi di gabinetto e capi di ufficio legislativo); 
e) la imbarazzante presenza nel Giudice di quarto grado delle stesse 
persone che hanno giudicato sulle stesse questioni (anche se non nelle stesse 
liti) in terzo grado; d) l'anomalia -e che sia tale lo si vede vistosamente in 
sede di rinvio dalla cassazione -di � sezioni unite� di un organo sott'ordinato 
(per di pi� con collegio imperfetto); e via elencando. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

pubbliche, salvo che la legge per ragioni di ordine pubblico o di moralit� 
�disponga altrimenti �); ma poi, come risulta dai lavori preparatori, una 
espressa enunciazione fu ritenuta superflua, in quanto si ritenne che la 
pubblicit� delle udienze fosse implicitamente prescritta dal sistema costituzionale 
quale conseguenza necessaria del fondamento democratico 
del potere giurisdizionaJ.e, esercitato appunto, come recita l'art. 101, in 

nome del popolo. \ 

Coerentemente, tutte le leggi processuali hanno mantenuto o intro


dotto la regola (art. 128 cod. proc. civ.; art. 423 cod. proc. pen.; art. 41 

del testo unico sul Consiglio di Stato approvato con r.d. 26 giugno 1924 

n .. 1054, ora applicabile anche ai Tribunali amministrativi regionaili; art. 72 

t.u. 12 luglio 1934 n. 1214, sull'ordinarmento della Corte dei conti; art. 364 
cod. pen. militare di pa!Ce; art. 15 1. 11 marzo 1953 n. 87 sul funzionamento 
deHa Corte costituzionale). Nellle varie norme ora indicate � possibile 
riscontrare qualche differenza, quanto alle eccezioni, peraltro molto limitate 
e largamente coincidenti; ma queste non scalfiscono affatto l'essenziale 
unit� del principio, da considerare indefettibile -ripetesi in 
un o:ridinarmento democratico fondato sullla sovranit� popolare, come 
il nostro, al quale non pu� non conformarsi l'amministrazione della giustizia, 
ohe in quella sovranit� trova la sua legittimazione. 
Ci� va ribadito in conformit� a quanto gi� ritenuto da questa Corte 

(cfr. sent. 23 gennaio 1971 n. 12), riconoscendosi peraltro il potere del 

legisllatore o:ridinario di introdurre per singole categorie di procedimenti 

deroghe determinate da ragioni obbiettieve e razionali. Il principio, in


vero, non pu� considerarsi assoluto e deve cedere in presenza di parti


colari circostanze giustificative, ma, ove queste non si verifichino, � imlu


bitab�le che la regola della pubblicit� delle udienze debba trovare piena 

attuazione. 

Vale aggiungere che detta pubblicit�, in quanto espressione di ci


villt� giuridica, viene presoritta non soltanto nell'ordinamento italiano, 

ma � prevista anche in convenzioni internazionali, quali '1a Convenzione 

europea per la �Salvagua1idia dei diritti dell'uomo e detle libert� fonda


mentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (art. 6) e ratificata con I. 

4 agosto 1955 n. 848, (e cos� anche il Nuovo ordin. proc. delila_ Corte 

europea dei diritti dell'uomo, art. 18), ii.I Patto internazionale di New 

York relativo ai diritti civili e politici, adottato il 16 dicembre 1966 e 

ratifficato con I. 25 ottobre 1977 n. 881 (art. 14), i Protocolli sullo Statuto 

dellla Corte di giustizia, annes1si ai trattati CECA, CEE ed EURATOM 

~rispettivamente artt. 28 e 29). 

La generale vaHdit� del principio � riconosci�ta dall'Avvocatura 
dello Stato, la qua:le per� deduce che la sua mancata estensione al processo 
tributario dovrebbe considerarsi una eccezione, giustificata dalla 
�riservatezza� dell'oggetto deil!Je controversie. 


....: 


� 198 """""' "'":"'"""''"" '""' �mo . .,1,:_ 
La Corte non ritiene di poter aderire a tale tesi. � evidente, anzitutto, 
che di riservatezza in senso tecnico non pu� certo parlarsi, in I:

,.. 

quanto la materia di cui trattasi non attiene alla intimit� deMa vita !: 
privata del soggetto e dunque non pu� ricevere la r~lativa tutela. 

L'art. 53 Cost., nel disporre che �tutti sono tenuti a 1concorrere 
a1llle spese pubbliche, in ragione della loro capacit� contributiva�, consiJdera 
il .contribuente non gt�.� quale titolare di una posizione giuridica 
attinente al rsuo patrimonio, da difendere dalle_ conoscenze e ingerenze 
altrui; al contrario, la norma crea un legaime di natura rsoHdaristica, 
in senso lato, tra i consociati, tutti chiamati ad assicurare il complesso 
deil:le entrate necessarie per il perseguimento delle finalit� collettive. 
L'imposizione tributaria soggiace cos�, da un lato, al canone della trasparenza, 
che, seppure riferito direttamente all'ente impositore, espande 
di necessit� i suoi effetti anche alla generalit� dei cittadini; e, dall'altro, 
� soggetta ai principi di universalit� e di uguaglianza, cos� da 
escludere d1e la posizione del contribuente possa considerarsi come 
esclusivamente personale e svincolata da nessi intersoggettivi. 


Ci� non importa. certo ohe ai singoli spettino vicendevoli poteri di 
controllo e di inte:riferenza, che potrebbero costituire motivi di turrbamento 
per l'o:rdinata convivenza sociale; ma non 5,ignifica, d'a;ltro canto, 
che la posizione soggettirva del contribuente ;possa essere considerata 
ailfa stregua di �un diritto della personalit�, addirittura protetto dal 
segreto. Infatti quest'ultimo, nell'aimbito del diritto pubblico, a cui 
indubbiamente appartiene quetlo tributario, pu� ammettersi solo quale 
eccezione, che deve trovare nella legge razionale e oggettivo fondamento. 

Del resto, 1le modailit� di accertamento prescritte nel d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 600 e il numero sempre crescente delle infrazioni penalmente 
sanzionate dimostrano chiaramente come l'ordinamento tenda 
a rendere di generale conoscenza la concreta applicazione della disciplina 
tributaria. 

N� p�� omettersi di rilevare che la tesi dell'Avvocatura dello Stato 
trova ulteriore smentita anche sul terreno strettamente processuale: 
invero l'esclusione della pubblicit� delle udienze vale 1sdltanto per le 
commissioni tributarie, ma non per le Corti d'appello e la Corte di 
cassazione, avanti le quali i.il medesimo processo pu� continuare a seguito 
.di impugnazione della decisione di secondo grado, ovvero di 
quella detla Commissione centrale. Relativamente ai procedimenti davanti 
alle Corti suddette vale la disposizione dell'art. 128 cod. proc. 
civi:le; il che non solo costituisce un ulteriore elemento per disattendere 
la tesi della � .riservatezza�, essendo l'oggetto del processo sempre 
il medesimo, ma altres� rivela, in aggiunta alla mancata attuazione del 
citato precetto costituzionaile, la scarsa coerenza del legis:latore. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Ricercando l'effettiva ragione dell'esclusione della pubblicit�, prevista 
soltanto rper i giudizi davanti alle commissioni tributarie, si rileva 
che all'epoca della legge delega n. 825 del 1971 e del decreto delegato 
sul contenzioso tributario n. 636 del 1972, si propendeva da pi� parti 
-e in tali sensi vi era qualche precedente pronuncia di questa Corte per 
la matura amministrativa delle dette commissioni. Di tale [propen1s10ne 
si tr()!Vano traoce in entrambi i provvedimenti legislativi ora 
detti e nel pare.re deilla Commissione parlamentare. 

E ci� ha verosi.iilmernte determinato, tra :l'altro, l'esclusione della 
1mbblicit� delle udienze in questione: udienze ohe, � bene notarlo, non 
hanno finalit� soltanto istruttorie, ma sono destinate aNa decisione 
della causa (art. 20 d.P.R. n. 636/1972 cit.), cos� come quelle di altri tipi 
di processo nei quali il principio di pubblicit� trova applicazione. 

Soltanto dopo I'entrata in vigore del d.P.R. ora ricordato J.a tendenza 
cominci� a cambiare {la sentenza di questa Corte ohe riconobbe 
il carattere giurisidizionale delle Commis�sioni �. posteriore di pi� di 
due anni, in quanto � del 19 dicembre 1974); sioch� anche la successiva 
inerzia del legislatore pu� ritenersi giustificata da:ll'opportunit� di attendere 
l'evoluzione ed il �consolidamento del nu()!Vo orientamento; ed

1

� significativo che in occasione del c.d. � decreto correttivo � n. 739 del 
1981 venne formulata una norma diretta ad adattare il processo tributario 
al �suddetto principio costituzionale, eliminando dalla previsione 
del cit. art. 39 l'esclusione dell'art. 128 cod. proc. civ.; e tuttavia, nonostante 
il parere favorevoie della Commissione parlamentare, in sede 
di formulazione definitiva il testo dell'art. 39 non venne modificato. 

Ma ormai, risultando definitivamente consolidati l'opinione dottrinale 
e l'orientamento della giurisprudenza sulla natura giurisdizionale 
delle predette commissioni, non potrnbbe ritenerisi consentita un'ulteriore 
protrazione della disciplina attuale: per contro, � assolutamente 
indispensabile, al fine di evitare gravi conseguenze, che il legislatore 
prontamente intervenga onde adeguare il processo tributa'l"io all'art. 101 
Cost., correttamente interpretato. Nei termini cos� precisati la proposta 
questione va dichiarata non fondata. 

CORTE COSTITUZIONALE, 24 luglio 1986, n. 215 -Pres. La Pergola -
Rel. Saja � Bernaroini ed altri, S.I.A.E. (avv. Pastore e di Amato) 
e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Corte Costituzionale � Giudizio incidentale di legittimit� costituzionale � 
Principio di uguaglianza � Pronuncia estensiva di norma deroga� 
toria � Condizioni. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

200 

Poste e Telecomunicazioni -Radiotelevisione -Radiodiffusione di opere 

registrate -Consenso dell'autore -Occorre anche per la RAI -Que


stione infondata di costituzionalit�. 

(Cost., art. 3; legge 22 aprile 1841, n. 633, articoli da 51 a 60; lei:ge 24 novembre 1981, 

n. 689, art. 32). 
La natura dierogatoria di una norma non ~mpedisoe alla Corte di 
emetterie una pronuncia ohe 1ne comporti l'estensione, qUOMdo ci� serva 
a ristabilire il principio di eguaglianza: semprech� l'estensione sia il 
rfJsultato &i un procedimento logico necessitato ,e 1riferibil'e al contesto 
norimativo in cui � ir1JSerita rla 111.0,rma impugnata, senza alcuna .~nvasione 
deJMa sfera dii discrezionalit� riservata al legislatore. 

La radiodiffusimte ad opera delila RAI dii opere registrate su disco 
o nastro � sottoposta, come per le emittenti privare, al consenso 
derl�l'autore. 

(omissis) Osserva poi la Corte che nei giudizi in cui sono state 
pronunciate le ordinanze di rimessione si procede contro alcuni gestori 
di radioemittenti private, imputati ex art. 171, primo comma, 
lett. b, 1. 22 aprile 1941 n. 633, per avere radiodiffuso dai locali delle 
proprie stazioni trasmittenti, sen:t:a il coil!senso dell'autore, opere dell'ingegno 
altrui e precisamente brani musicali incisi su disco o su 
nastro. Sull'affermato presUIJ?ipOsto che alla Rai spetta il potere di diffondere 
dette opere (dai propri locali) senza bisogno di al~un consenso, 
i giudici a quibus sostengono che r1sulta violato il principio di 
eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.) in conseguenza dell'asserita 
diversit� della disciiplina in materia. 

Va preliminarmente osservato ohe la questione risulta rilevante 

nei procedimenti penali da cui trae origine, pur essendo punito soltanto 

con la multa il reato di cui all'art. 171, primo comma, Jett. b, cit. 1. 

n. 633 del 1941, contestato agli imputati. Infatti :non pu� ritenersi che 
ta'1e illecito sia stato depenalizzato dalla 1. 24 novembre 1981 n. 689, 
poich� l'art. 32, secondo comma, di quest'ultima dispone che la sostituzione 
della �sanzione amministrativa alla multa o all'ammenda non 
si applica per i reati punibili nelle ipotesi aggravate con pena detentiva, 
anche alternativa a quella pecuniaria; il che si verifica nel caso 
in esame, in quanto il citato art. 171 prevede nel secondo comma un'aggravante, 
con la comminatoria della reclusione in alternativa alla multa. 
N� pu� avere rilievo, secondo il costante orientamento della Corte di 
cassazione, che nei casi di cui trattasi non risulti contestata la detta 
circostanza, giacch� la suindicata le~ge, si riferisce, ai fini della depenalizzazione, 
all'elemento certo e ipalese dell'astratta !fattispecie descritta 
lda:lla norma punitiva, in modo che in base ad essa, e indipendentemente 
dalla peculiarit� dei singoli processi e quindi dalla sussi

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

stenza o no di circostanze aggravanti, possa con immediatezza procedersi 
alla qualificazione (penale o amministrativa) dell'illecito ed atla 
conseguente distribuzione delle competenze. 

Secondo la Presidenza de'l Consiglio la proposta questione sarebbe 
inammissibile peroh� le oroinanze di rimessione -lamentando, come 
gi� si � aocennato, una diJspa:rit� di trattamento tra RAI ed emittenti 
private e tendendo a;d ottenere da questa Corte una pronuncia tale da 
escludere la penale responsabilit� degli imputati, gestori di tali emittenti 
-avrebbero dovuto rivo1gersi non gi� contro le norme impugnate, 
ossia contro le disposizioni (derogatorie) che escludono ii consenso 
dell'autore, bens� contro quetle {generali) che lo richiedono. 

Va per� osservato che con la loro impugnativa i giudici a quibus 
evidentemente vorrebbero che la esclrusione della necessit� del consenso 
(esclusione ohe esse ritengono sussistere nei confronti della RAI anche 
per le radiodiffusioni di registrazioni su disco o su nastro, effettuate 
nei locali dell'Ente) sia �stesa alle emittenti private, con il conseguente 
venir meno della fattispecie cli reato addebitata agli imputati e l'eliminazione 
della (ritenuta) irrazionale e ingiustificabile discriminazione. 
Precisata in tali termini, la questione risulta ammissibile, dato che 'la 
natura derogatoria di una norma non impedisce alla Corte di emettere 
una pronuncia che ne comporti l'estensione, quando ci� serva a ristabilire 
il principio d'eguaglianza, ossia a rispettare un. regola fondamentale 
del nostro sistema costituzionale: semprech�, beninteso, l'estensione 
sia i:1 risultato di un procedimento logico necessitato e riferibile 
ai contesto normativo in cui � inserita la norma impugnata, senza alcuna 
inrvasione della sfera di discrezionalit� riservata al legislatore. 

Nel merito la questione non � fondata. 

Al �riguardo � decisiva la considerazione che non sussiste il preSU[
prposto da cui muovono le oroinanze di rimessione. Invero, � pacifico 
nella copiosa giurisprudenza oroinaria e particolarmente in quella della 
Cassazione, con la quale concorda la dottrina, che anche la RAI, per 
le opere dell'ingegno radiodiffuse dai suoi locali, deve ottenere il consenso 
dell'autore, com'� espressamente previsto nell'art. 59 della cit. 

I. n. 633 del 1941 il quale -al contrario di quanto apoditticamente ritenuto 
dai giudici a quibus -si riferisce nella sua generale previsione 
anche afile opere indse su disco o altro strumento meccanico riiproduttivo 
di suoni o di voci. 
Le eccezioni alla regola del diritto esclusivo dell'autore alla .radiodiffusione, 
previste a favore dell'emittente pubblica, ,sono soltanto, come 
precisa la ricordata giurisprudenza, quelle pTeviste dagli artt. 52 {radiodiffusioni 
effettuate da teatri, sale da concerto e da ogni altro luogo 
pubblico), 55 (c.d. registrazioni �effimere�, ossia eseguite al fine di 
radiodif}fonderle in differita per necessit� orarie o tecniche, con l'ob



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

202 

bligo di distruggerle o renderle inservibili dopo l'uso), e 60 (trasmissioni 
speciali di propaganda culturale ed artistica destinate all'estero). 

Al di fuori di tali ipotesi non ne sussistono altre in cui sia consentita 
la libera utilizzazione radiofonica da p;:i.rte della RAI; es,sa, in 
pairticolare, deve ritenersi esclusa anche per le radiodiffusioni dai locali 
delll'Em.te di opere registrate. 

N� risultano persuasive le affermazioni, peraltro approssimative, 
di qualche o:ridinanza, come quella del Pretore di Brescia, che ritiene 
di poter porre a fondamento del suo assunto l'art. 61 I. cit. Invero il 
consenso dell'autore alla registrazione su disco fonografico, nastro metallico 
o altra analoga materia non comporta affatto anche il potere 
di ra:diodiffusiOIIle, trattandosi di due distinti modi di esercizio del diritto 
d'autore, sicch� l'autorizzazione concernente il primo non comprende 
necessariamente il 'secondo: in tali sensi la giurisprudenza ordinaria 
inte:ripreta pacificamente la disposizione dei! ricordato art. 61, 
riguardante aippUITito la facolt� di registrazione, disposizione che perci� 
risulta fuor di proposito invocata a sostegno della proposta impugnativa. 

Deve pertanto concludersi che la regola applicabile alla fattispecie 
va individuata esclusivamente neLI'art. 59 I. cit., secondo cui la radiodiffusione 
delle opere registrate S-:.1 disco o nastro dai locali dell'Ente 
esercente il pubblico 'Servizio di radiodil!fusione � sottoposta al consenso 
dell'autore. Non sussiste quiindi la denunciata posizione di favore 
del[a RAI rispetto alle emittenti private, onde, in difetto del presupposto 
della dedotta violazione del principio di eguaglianza, fa questione 
sollevata .dalle OI1dinanze in epigrafe risulta rpriva di giuridico fondamento. 


CORTE COSTITUZIONALE, 16 ottobre 1986, n. 220 � Pres. La Pergola � 
Rel. Andrioli -Pettenati ed altri e Presidente Consiglio dei Ministri. 

Procedimento civile -Persona scomparsa -Interruzione del processo e 

nomina del curatore -Mancata previsione -Illegittimit� costitu


zionale. 

(Cost., art. 24; cod. proc. civ., artt. 75, 300, 721). 

Contrastano con l'art. 24 Cos.f. gli artt. 75 e 300 del codio.e di procedura 
oiv~le neiUa parte in oui non prev.edono, ov.e emerga una situazione 
di scomparsa dd conV1enuto, la interruzione del p.roc.esso e la 
sersnatazlane, aJd opera del giudwe, deJ caso al Pubblico Ministero perch� 
promuova la nomina di un curatore, nei cui confronti debba l'attore 
riassumere iJ giud,izio. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

(omissis) Il Pretore di S. Margherita in Belice -accertato che il 
convenuto Ferrara Antonino, nato a Sambuca di Sicilia il 31 ottobre 
1836, non solo era di residenza, dimora e domicilio �sconosciuti (di 
talch� 11a citazione gli era stata notificata ai sensi dell'art. 143 c.p.c.) e 
ohe da oltre un cinquantennio, se non addirittura da,ll'inizio del secolo, 
era emigrato � in America � senza dare pi� notizie e che pertanto si 
configurava � una vera e propria situazione di scomparsa quale � pre� 
vista dall'art. 48 e.e.� -ha osservato che la procedura di nomina del 
curatore dello 1scomparso, di cui all'art. 48 e.e., che � indirizzata ailla 
conservazione della sfera giuridica dello scomparso, non potrebbe essere 
promossa da chi, come il contraddittore dello scomparso, � aggredisce 
tale sfera giuridica�; da queste considerazioni ha il Pretore desunto 
ila sussistenza di un vuoto legislativo, che pu� essere colmato sol 
conferendo al giudice ad�to, il quale venga nel corso del processo a 
conoscenza di una situazione di assenza del convenuto, il potere di 
dichiarare l'interruzione del giudizio per dare al Pubblico Ministero 
notizia del caso perch� promuova la nomina di un curatore nei cui 
confronti possa .l'attore riassumere il giudizio in non diveirsa guisa di 
queil che l'art. 300 c.p.c. dispone ove si venga a conoscenza della sopravvenuta 
morte del contumace. Nor. essendo siffatta disciplina dettata 
negli artt. 75 e 300 c.p.c., il Pretore ha dichiarato non manifestamente 
infondata, in riferimento all'art. 24 comma primo e secondo, la questione 
di legittimit� costituzionale degli artt. 75 e 300 c.p.c. nel.la parte 
in cui non prevedono, ove eme11ga una situazione di scomparsa del 
convenuto, la interruzione del processo, [a segnalazione, ad opera del 
giudice, del caso al Pubblico Ministero perch� promuova la nomina 
di un curatore nei cui confronti debba :l'attore riassumere il giudizio. 

Dal suo ca:nto l'A'VVocatura generale dello Stato, dopo aver riassunto 
le argomentazioni svolte nell'intervento spiegato nell'incidente 

n. 274/1979, e richiamato la sent. 24 giugno 1974, n. 1906, con la quale 
la Corte di Cassazione aveva deciso che �fa mancanza assoluta di notizie 
i!Il omine ad un soggetto allontanatosi dal luogo del suo ultimo 
domicilio {an et ubi sit) determina una rpairailisi di attivit� per chi v:anta 
diritti od a:bbia spettative nei confronti dello �scomparso privo di un 
raiprpresentante legale o di un procuratore�, alla quale �situazione � 
possibile ovviare soltanto attraverso l'emanazione del provvedimento 
di nomina del curatoce speciale, a nomna del combinato disposto d~i 
artt. 48, primo comma cod. civ. e 721 cod. proc. civ., nei confronti del 
quale � consentito instaurare un regolare rapporto processuale�, ha 
ravvisato due ostacoli all'accoglimento dell'incidente nel �fatto che 
l'art. 300 cip.e. postu[a un processo ritualmente incaroinato (come nOlll 
� nella specie e �giusta quanto riconosce lo stesso !Pretore denunciante 
quando, dopo aver posto in luce la importanza del principio del con

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

204 

traddittorio, accenna alla � SQIPraivvenuta morte del contumace�)�, e 
nel � fatto che il giudice non pu� di no:rima nel processo civile prendere 
iniziativa di sorta nell'interesse delle parti �. 

Poich� l'interipretazione estensiva dell'art. 182 c.p.c., in virt� della 
quale rientrerebbe nei poteri del giudice invitare l'attore a chiedere 
al tribunale competente la nomina di un curatore e a rinnovare ia 
citazione entro un dato termine nei confronti di quest'ultimo, non pu� 
essere assunta al livello di quel � diritto vivente � �che consentirebbe di 
dire la proposta questione risolubile con l'applicazione, condotta dai 
giudici a quibus, dei dettami espressi nell'art. 12 delle disposizioni 
sulla legge in generale preliminari al codice civile, questa Corte non 
pu� esimersi dall'esaminare la questione, che � da giudicare fondata 
perch� H processo nel quale lo � scomparso � 111on sia Tappresentato dal 
curatore � contrario all'ideale del � processo giusto � che i coilllIIli primo 
e secondo dell'art. 24 Cost. confluiscono a garantire. 

Il giusto processo civile vien celebrato non gi� per sfociaTe in 
pronunce procedurali che non coinvolgono i rapporti sostanziali delle 
parti che vi partecipano -siano esse attori o convenuti -ma per 
rendere pronuncia di meTito rescrivendo chi ha ragione e �hi ha torto: 

i.I processo civille deve avere per ogigetto la verifica della sussistenza 
dell'azione in senso sostanziale di ohiovendi:ana memoria, n� deve, nei 
limiti del possibile, esaurirsi nella discettazione sui presupposti processuali, 
e per evitare che ci� si verifichi si deve adoperare il giudice. 
(omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 gennaio 1987, n. 2 -Pres. La Pergola -Rel. 
Pescatore -Lucchetti (n.p.) e ~residente Consiglio dei Ministri (avv. 
Stato Bruno). 

Beni � Beni culturali � Esportazione abusiva � Cose di propriet� di persona 
diversa dall'autore del reato -Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 27; legge 1 giugno 1939, n. 1089, art. 66; legge 25 settembre 1940, n. 1424, 

art. 116). 

Se possono esservi cose il oui possesso pu� configurare un'illiceit� 
obbiettiva in senso assoff.uto, la qUfJJle prereinde dal rapporto col soggetto 
che ne dispone e legittimamente debbono essere cornfiscat<e presso 
chiunque le detenga (art. 240 cod. pen.); in ogni altro caso l'art. 27 
primo comma, Oost. non pu� consentir.e che si prooeda a con,fisca di 
cose pertinenf!i a rearo, ove chi ne sia proprietario al momento in cui 
la confisca debba essere disposta non sia l'autore del reato o non ne 
abbia t.riatto in alcun modo profitto. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

(omissis) Passando alll'esame del merito, va osservato che l'art. 66 
della l. 1� giugno 1939, n. 1089 .p["evede la confisca delle cose d'interesse 
artistico e storico esportate abusivamente. La norma dispone che � la 
confisca ha luogo in conformit� delle norme della legge doganale relative 
aille cose oggetto di contra:bbmdo �. L'art. 116, primo comma, della 

1. 25 settembre 1940, n. 1424 (ora trasfuso nell'art. 301, primo comma, 
del T. U ..delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato 
con d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43) statuisce che �nei casi di contrabbando 
� sempre ortlinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate 
a commettere il reato e delle cose ohe ne sono ['oggetto ovvero il 
prodotto o il profitto�. Tali norme costituiscono una deroga all'art. 240 
cod. pen., il quale, nel prevedere la confisca obbUgatoria � delle cose 
ohe costituiscono il prezzo del reato �, la escll.l!de quando esse appartengano 
a per.sone estranee al reato. Nel prevedere, poi, la confisca 
obbligatoria delle cose la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione e 
l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non � stata pronunciata 
condamla, stabilisce che tale disposizione non si applica � se la 
cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, 
il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante 
autorizzazione amministrativa �, 
Con sentenza 17 foglio 1974, n. 229, questa Corte ha gi� dichiarato 
l'illegittimit� costituzionale dell'art. 116, primo comma, della 1. 25 settembre 
1940, n. 1424 e dell'art. 301, primo comma, del d.P.R. 23 gennaio 
1973, n. 43 �nella parte in cui, quanto ahle cose che servirono o 
furono destinate a commettere il Teato � impongono la confisca anche 
nella ipotesi di � appartenenza di esse a persone estranee al reato alle 
quali non sia imputabile un difetto idi vigilanza �. Con sentenza 29 dicembre 
1976, n. 259, questa Corte ha poi dichiarato anche l'ihlegittimit� 
costituzionale dei su detti artt. 116, della 1. 1424 del 1940 e 301 del 

d.P.R. n. 43 del 1973 �nella parte in cui non prevedono la esclusione 
della confisca per ~e cose oggetto del reato di contrabbando che siano 
state illegittimamente sottratte a terzi, quando tale sottrazione risulti 
giudizialmente accertata�. 
I giudici a quibus hanno dedotto che le fattispecie al loro esame, 
pur riguardando la confisca di cose aippartenenti a terzi estranei al 
reato, non rientrano in nessl.l!Ila delle due ipotesi contemplate da dette 
sentenze, dovendo essi decidere sulla confisca di cose oggetto di contrabbando, 
che non Tisultano illecitamente sottratte al proprietario. 
Hanno chiesto pertanto, per le ragioni indicate, ulteriori declaratorie 
d'illegittimit� costituzionale degli artt. 116 della L 1424 del 1940 e del-
1'.art. 66 della 1. 1� giugno 1939, n. 1089 che lo richiama, in quanto ille



. . . l 

206 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

�~

gittimi anche � neilla parte in .cui prevedono la confisca di opere d'arte 

i

oggetto di esportazione abusiva, che siano di propriet� di terzi estranei i: 
al reato, i qu.ali vantino, secondo la legge civile, titolo idoneo a riotte{:
i: 

t

nerne il godimento�, nonch� declaratoria d'illegittimit� costituzionale ~ 

i'

dell'art. 66 della I. 1� giugno 1939, n. 1089 �nella parte in cui prevede 

f,

la 1confisca obbligatoria delle cose d'interesse artistico o storico espor


I ~ 

tate abusivamente, appartenenti a terzi estranei al reato, anche quando 
nei confronti di costoro non eme11ga un difetto di vigilanza �. 

~ 

In effetti le pronunce d'incostituzionalit� emesse con sentenze nu~
ero 229 del 1974 e n. 259 del 1976, rriguardavano specifici profili prospettati 
ailla Corte con le ordinanze di� rimessione, in relazione alle 
particolari fattispecie che si erano presentate nei giudizi nel corso dei 
quali le questioni erano state sollevate. Peraltro, ha portata generale 
il rrilievo, contenuto in quelle pronunce, che il proprietario della cosa 
sottoposta a confisca obbligatoria estraneo al reato, finisce col subire, 
in base alla disposizione dell'art. 116, primo comma, della I. n. 1424 
del 1940 (ora art. 301, primo -corrurna, d.P.R. n. 43 del 1973) a titolo meramente 
oggettivo, le conseguenze patrimoniali di un illecito penale 
commesso da altri (sent. n. 229 del 1974); cosicch� la normativa in 
questione, in .palese contrasto con l'art. 27 Cost., contiene al riguardo 
la previsione di una responsabilit� oggettiva, prescind�n!do dalla valutazione 
. dell'elemento psicologico nella condotta del soggetto, comminando 
ila confisca senza tener conto dell'appartenenza della cosa (sent. _ 

n. 259 del 1976). 
Traendo le necessarie conseguenze da tali considerazioni, deve affermarsi 
in via generale che, se possono esservi cose il cui . possesso 
pu� configurare un'illiceit� obbiettiva in senso assoluto, la quale pre


scinde dal rapporto col soggetto che ne dispone e legittimamente debbono 
essere confiscate presso chiunque le detenga (art. 240 cod. pen.), 
in ogni altro caso /l'art. 27, primo comma, Cost. non pu� consentire 
ohe si proceda a confisca di cose pertinenti a reato, ove chi ne sia 
proprietario al momento in cui la confisca debba essere disposta non 
sia l'autore del reato o non ne abbia tratto in alcun modo profitto. 
Pertanto, facendo applicazione di tale principio, va dichiarata l'illegittimit� 
costituzionale -in riferimento all'art. 27, primo comma, Cost. dell'art. 
66 della 1. 1� giugno 1939, n. 1089 e dell'art. 116, primo comma, 
della I. 25 settembre 1940, n. 1424 {ora art. 301, primo coinma, d.P.R. 

n. 43 del 1973), nella parte in cui prevedono la confisca di opere tutelate 
ai sensi della stessa I. n. 1089 del 1939 oggetto di esportazione abusiva, 
anche quando esse risultino di prrorprriet� di chi non sia autore del reato 
e non ne abbia tratto in alcun modo profitto. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 207 

I 

COR11E COSTITUZIONALE, 2 marzo 1987, n. 61 -Pres. La Pergola -
Rel. Pescatore -Regione Skilia (avv. Guarino e La Loggia) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Vittoria). 

Sicilia -Nuove entrate tributarie statali riscosse nella regione � Sottrazione 
alla devoluzione � Condizioni. 
(Statuto Sicilia, art. 16; I. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 3). 

Sicilia � Regime di tesoreria -Disponibilit� liquide della regione � Distinzione 
tra tributi propri della regione e tributi statali riscossi 
� nella regione. 
(Statuto Sicilia, artt. 20, 36, 37, 38 e 43; I. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 35). 

La mera p11ev.isione della devoluzione allo Stato di un tributo (tassa 
di ciricolaZJio.ne s.ugli autoveicoli �ed autoS1cafi) non � idonea ad identificare 
le particolari finalit� statali cui il gettito � destinato. 

La deroga per la regione Sicilia al generale regime di tesoreria riguarda 
soltanto le �entrate proprie� (tra le quali i �tributi propri�) 
di .detta r-egione e non anche i t.nibuti statali riscossi nell'amb.ito deil 
terriitorio regionale. Sono �tributi propri� della �regione Sioiilia soltanto 
quelZi .da essa deliberati, oon la final.it� di provvedere allie es.igenze della 
comunit� 11egionale (1). 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 2 marzo 1987, n. 62 -Pres. La Pergola -
Rel. Pescatore -Regione Trentino Alto Adige (avv. Pace) e Presidenza 
Consiglio dei Ministri i(avv. Stato Vittoria). 

Regioni -Materia �organizzazione degli uffici� � Regime di tesoreria Non 
vi attiene. 
(Statuto T.A.A., artt. 4 e 16; 1. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 35~. 

Trentino Alto Adige -Regime di tesoreria � Distinzione tra tributi propri 
della regione e tributi statali riscossi nella regione. 
(Statuto T.A.A., art. 104; I. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 35),_ 

Il regime .di tesoreria non inoide sulla mat.eria � organizzazione 
degli uffici � e non ~i inerisoe. 

(1-2) La distinzione tra �tributi propri� della regione Sicilia e tributi statali 
riscossi nel.� territorio regionale, chiaramente delineata nelle sentenze n. 61 
e n. 62, � di notevole importanza e rileva anche per ambiti diversi da quello 
del � regime di tesoreria �; 'tale distinzione dovrebbe costituire il fondamento 
per un pi� organico e �normale � assetto della finanza regionale. 



208 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 

I � tributi propri � deJ.,la negione Trentino Alto Adige vanno tenuti 
distinti dai tributi aippart.enenti al sistema tmbutario dello Stato. Sono 
" tributi propri � quelli istituiti daUa Regione, con la finatit� di provvedere 
a poculiar.i esigenze .looaJi; ad essi non pu� estenderSJi il genemie 
regime ai tesoreria (2). 

III 

CORTE COSTITUZIONALE, 5 marzo 1987, n. 70 -Pres. La Pergola -
Rel. Pescatore -Regione Sardegna (av:v. Guarino) e Presidente Consiglio 
dei Ministri {vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Sardegna -Quote di tributi erariali soppressi -Somma sostitutiva Riduzione 
-Parere della regione -Omessa acquisizione. 
(Statuto Sardegna, artt. 7, 8 e 54; d.J. 26 novembre 1981, n. 677, art. 3). 

Il legislatore naziJanaJ..e pu� ridur>re la somma attribuita alla ,regione 
Sar.aegna in ..sost.~tuzione deJUe quote di tribut.i erariati soppressi dopo 
la riforma del 1972, ma deve previamente �senti.re � la regione. La 
omessa acquisi'l!ione d!el formale parere di questa d�ef.ermina ill.egitt�imit� 
costituzionale dell'art. 3 del d.l. 26 novembre 1981, n. 677. 

IV 

CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1987, n. 87 -Pres. La Pergola -
Rel. Pescatore -Regione Sicilia (avv. Fazio) -e Pres~dente Consiglio 
dei Ministri {vice avv. gen. Azzariti). 

Sicilia -Contributo di solidariet� nazionale -Intesa Stato-regione -Non 
� prevista. 
(Statuto Sicilia, artt. 19, 36 e 38); I. 26 gennaio 1982, n. 11, art. 2). 

Sicilia -Nuove entrate tributarie statali riscosse nella regione -Sottrazione 
alla devoluzione � Condizioni. 
(Statuto Sicilia, art. 36; d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, art. 2; d.!. 26 novembre 1981, 

n. 677, art. 6). 
Il cont11ibuto di rolJidarkt� nazionale alla Sicilia �non � vmcolato, 
quanto al suo ammontare oo alle modalit� di �erogazione, ad alcuna 
gar'anzia costituzionale,� in particolare, non � necessaria una inf.esa tra 
Stato e regione. 

L'esclusione delJa &evoluzione alla regione Sicil1ia delle ,nuove entrate 
tributar>ie statali .riscosse neZl'ambrito del territorio regionale richiede 
l'inolusione nJ!iUa Zegge istiitutiva (o maggiorativa) di esse di una 

jjjjiiii,ji...



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 209 

specifica clausola di des.flinazicme a par.ticolari finalit� statali o di un 
equivalente specijioo rife~imento a tali finalit�; manwando un .:;.iffatto 
riferimento o alausola, l'art. 6 del d.Z. 26 novembre 1981, n. 677 � costituzionalmente 
f,U.egittiimo (3). 

I 

� fondata la censura de1l'art. 3, terzo comma, secondo capoverso, 
seconda parte della 1. 28 febbraio 1986, n. 41 {legge finanziaria per il 
1986), in Telazione all'art. 2, primo comma, d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, 
norme di attuazione dello Statuto defila Regione siciliana in materia 
finanziaria e in riferimento all'art. 36 di detto Statuto, aipprovato con 

d. legisl. 15 maggio 1946, n. 455. 
La norma impugnata -concernente la tassa di circolazione sugli 
autoveicoli e gli autoscaf.i -dispone che tale tas'Sa (dovuta a decorrere 
dal 1� gennaio 1983, in base alla sola iscrizione nei pubblici registri: 
art. 5, comma 31 d.l. 30 dicembre 1982, n. 953, conv. in l. 28 febbraio 1983, 

n. 53), � pari a quella stabi1ita per l'anno 1985 e che i proventi derivanti 
dagli aumenti disposti con l'art. 2 del d.l. 22 dicembre 1981, n. 787, 
convertito 1con modificazioni nella I. 26 febbraio 1982, n. 52, �continuano 
ad essere riservati aID'Brario dello Stato e l'ammontare di tali aumenti 
continua a non influire su quello della corrispondente tassa regionale�. 
ln precedenza, l'art. 4 d.L 28 febbraio 1981, n. 38 {conv. nella I. 
23 aprile 1981, n. 153) aiveva aumentato del 50 %, dal 1� gennaio 1981, 
gl'importi della tassa erariale di circolazione, destinando allo Stato i 
proventi di tale aumento al fine di coprire gli oneri derivanti dallo 
stesso decreto n. 38 del 1981 per il finanziamento dei 1comuni e delle 
province. Il sopra menzionato d..I. n. 787 del 1981 i(conv. nella 11. 26 febbraio 
1982, n. 52) aveva aumentato ulteriormente detta tassa, conservandone 
la destinazione all'erario dello Stato per la copertura degli 
oneri inerenti al finanziamento dei comuni e dehle pTOvince (art. 2 penultimo 
comma del d.1. lll. 787 del 1981, soppresso dalla legge di conversione, 
che ha per� inserito analoga disposizione nell'art. 9 del d.l.). 

Gli aumenti farono prorogati per hl 1983 dall'art. 1 d.l. 21 dicembre 
1982, n. 923 (conv. nella l. 9 febbraio 1983, n. 29), e il Telativo gettito 
continu� ad essere devo1uto allo Stato, senza -peraltro -specifica 
ed espressa destinazione; devoluzione reiterata dalla legge finanziaria 

(3) L'applicazione del cosiddetto principio devolutivo fatta nel caso esaminato 
nella sentenza n. 87 appare parecchio formalista. La finalit� statale 
di un provvedimento legislativo per il � contenimento della spesa " pubblica 
� � immanente � e quindi palese: una complessa manovra economica � oggettivamente 
rispondente a finalit� statale. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

210 

per il 1984 1Gl. 27 dicembre 1983, n. 730), la quale dispose che per il 1984 
e il 1985 la tassa di cui all'art. 5, trentunesimo comma, del d.l. 30 dicembre 
1982, n. 953 fosse pari a quella stabilita per il 1983, prescrivendo 
che il ll'.'elativo gettito spettasse allo Stato (senza indicazione della specifica 
destinazione di esso). In connessione con la proroga per il 1983 
degli aumenti su detti, l'art. 36, comma secondo, del D.L. 28 febbraio 
1983, n. 55 (conv. nella 1. 26 aprile 1983, n. 131, contenente .provvedimenti 
urgenti per il settOIJ'.'e defila finanza locale per l'anno 1983) dispose che 
agli oneri da esso derivanti si sarebbe provveduto runche con un'aliquota 
delle maggiori entrate previste dal d.l. n. 923 del 1982. 

L'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, norme di attuazione dello Statuto 
della Regione Sichlia in materia finanziaria, sancisce che, ai sensi 
del primo .comma dell'art. 36 dello Statuto, spettano alla Regione siciliana, 
oltre le entrate da essa direttamente deliberate, tutte le entrate 
tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette o indirette, 
comunque denominate, � ad eccezione delle nuove entrate tributarie, 
il .cui gettito sia destinato con aipposite leggi alla copertura degli 
oneri diretti a soddisfare particolari finalit� contingenti o continuative 
dello Stato specificate nelle leggi medesime >>. 

Questa norma ha carattere de:rogatorio, in quanto sottrae ailla � S1pettanza 
� della Regione siciliana le nuove entrate tributarie erariali riscosse 
nell'ambito del suo territorio, che abbiano destinazione legislativamente 
prevista e determinata, che ne giustifichi la sottrazione alla 
finanza regionale. Questa circostanza spiega l'ap:posizione delle � cautele>>, 
alle quali l'art. 2 delle norme attuative dello Statuto condiziona 
la destinazione � esterna � degli anzidetti tributi, cautele dirette anche 
a rendere possibile hl controllo politico sull'esatto e corretto esercizio 
della deroga. 

L'Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto che l'adempimento 
delle rigorose prescrizioni finalistiche si deve considerare soddisfatto 
dall'originaria destinazione degli aumenti in questione all'erario dello 
Stato, per far fronte agli oneri inerenti al finanziamento dei Comuni 
e delle Province, secondo la disposizione del d.l. n. 38 del 1981 e da 
ultimo del d.11. n. 55 del 1983, ai quali l'impugnato art. 3, terzo comma, 
si ricollega. 

Tale tesi non appare fondata. Infatti gi� nel d.l. n. 923 del 1982 

manca l'espressa indicazione della destinazione del provento al soddi


sfacimento di specifiche finalit�. N� a ci� pu� ritenersi che fosse 

sufficiente il disposto dell'art. 3 del d.l. n. 55 del 1983, nel quale fu 

statuito che agli oneri previsti da tale� d.l., relativi alla finanza locale, 

si sarebbe fatto fronte anche con un'aliquota delle maggiori entrate 

previste dal d.l. n. 923 del 1982. Trattasi, infatti, di una norma che 

funziona da clausola di copertura di spesa e fa indicazione delle di




!'ARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

sposiz1oni relative alle diverse fonti di, copertura della spesa difficilmente 
pu� considerarsi per se stessa idonea a rappresentare le � particolari 
finalit�� perseguite dai connessi proventi, alla stregua dell'art. 
2 delle norme di attuazione dello Statuto siciliano in materia finanziaria, 
ohe richiede una specifica clausola di destinazione�. 

Comunque, skuramente il collegamento� con l'originaria destinazione 
finalistica dei proventi fu intern-otto gi� dalla legge n. 730 del 1983 
(legge finanziaria per il 1984), ohe prorog� gli a�menti in discorso per 
il 1984 e per il 1985 senza alcuna indicazione della loco specifica destinazione 
cosi come ha fatto per il 1986, l'impugnato art. 3, terzo oomma, 
della I. 111. 41 del 1986. D'altronde, la mera previsione della devoluzione 
statale del tributo, contenuta nella Jegge finanziaria, non appare idonea 
ad identificare la specificit� dell'impiego; compito di quella legge � infatti 
il perseguimento di equilibri complessivi e delle strategie per realizzarli. 
Inoltre la precisa e diretta indicazione delle finalit�, alle quali 
� destinato il tributo, � particolarmente necessaria nella specie, in 
quanto si intende devolvere il relativo gettito al finanziamento degli 
enti locali, la cui cura lo Statuto della Regione Sichlia attribuisce in 
via esclusiv~ alla competenza normativa ed amministrativa della Regione. 


��Giova ricordare, infine, che la Corte (sent. 16 maggio 1968, n. 47), 
a proposito della �reiterazione dell'addizionale pro Calabria {legge, quindi, 
di contenuto diverso da quella finanziaria e con intenti dichiaratamente 
finalistici) ai�ferm� Cihe la peculiarit� dello scopo era immanente nella 
legge, dato che quell'addizionale costituiva � un tipo di tributo � a cui 
l'Erario era ricorso per � soddisfare particolari finalit� �. Particolari 
finalit�, la cui indicazione fu riscontrata (con riferimento specifico, anche 
se implicito: sent. 15 giugno 1967, n. 75) nelle norme di due decreti 
legge,_ relativi ad eventi calamitosi (terremoto), in connessione con fa 
loro origine e con il loro contenuto. Si trattava dell'aumento temporaneo 
dell'imposta sui prodotti petroliferi, deliberato in concomitanza 
con gli indicati eventi, alle conseguenze dei quali si doveva provvedere 
urgentemente. La comunanza di origine e di finalit� degli interventi era 
idonea a stabilirne la sincronica identit� di destinazione. 

Situazione, questa, del tutto diversa dalla fattispecie in esame, la 
quale non corrisponde a legge che istituisce imposta di scopo. La norma 
sospettata si 1imita a disporre il mantenimento alla riserva statale dei 
proventi dell'aumento del tributo: circostanza che, in �materia di aumento 
di addizionale riservata all'Erario e destinata ad istituire un'entrata 
sostitutiva di agevolazioni fiscali concesse a determinate categorie di 
lavoratori, indusse la Corte a risolvere il relativo confilitto promosso 
dalla Regione Sicilia, dichiarando spettare a questa regione il provento 
dell'addizionale stessa i(sent. 15 marzo 1972, n. 49). 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

212 

La seconda norma impugnata nel ricorso � l'art. 35 de1la 1. 28 febbraio 
1986, n. 41, che ha stabilito, a decorrere dalla sua entrata in vigore 
e sino al 31 dicembre 1987, la non applicabilit� delle disposizioni de!l 
secondo e terzo comma dell'art. 38 della 1. 7 agosto 1982, n. 526 e dell'art. 
2 della l. 29 ottobre 1984, n. 720. 

Tracciando l'evoluzione de1la normativa, � da rilevare che l'art. 31 
della legge n. 468 del 1978 previde l'obbligo de11e Regioni, anche a statuto 
speciale, di tenere in conti correnti non vincolati presso il Tesoro 
le disponibilit� liquide, � limitatamente alle assegnazioni, contributi 
e quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato �. A sua volta, 
l'art. 40 della legge n. 119 del 1981 (modificato successivamente dall'art. 
21 del d.l. n. 463 del 1983, dall'art. 35 della legge n. 730 del 1983 
e dall'art. 3 della 1. n. 720 del 1984) sanc�, da un lato, il divieto del deposito 
a qualsiasi titolo �presso le aziende di credito, per un importo superiore 
al 12 % ~ridotto al 4 % dalla 1. n. 720 del 1984) dell'ammontare 
delle entrate previste dal bilancio di competenza, con obbligo di versare 
'1.e somme in eccedenza nei conti correnti presso hl Tesoro: dall'altro 
lato, dispose che le somme dei trasferimenti statali affluissero nei conti 
presso il Tesoro, con esclusione per� del contributo di cui all'art. 38 
dello statuto della Regione Sicilia Ail riguardo, l'art. 38, secondo e terzo 
comma, della legge 7 agosto 1982, n. 526, statu� poi che, ag'li effetti delle 
disposizioni 1contenute nei predetti arti. 31 della legge n. 468 del 1978 
e 40 della legge n. 119 del 1981 (oltre che dall'art. 10 del1a legge n. 181 
de1 1982), non fossero �computabili le somme costituenti entrate della 
Regione Sicilia a norma de11'art. 36 del1o statuto della Regione stessa 
e del decreto del Presidente deUa Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074, 
e quelle alla medesima dovute o v.ersate a norma dell'art. 38 di detto 
statuto�. Alle somme anzidette non erano, cos�, dichiarate applicabili 
le disposizioni dei pi� volte dtati artt. 31 legge n. 468 del 1978 e 40 legge 

n. 119 del 1981. 
Tale particolare disciplina, che esonerava la Regione Sicilia dal 
�regime di tesoreria�, confermata dalla 1. 29 ottobre 1984, n. 720, � 
divenuta inoperante sino al 31 dicembre 1987, come �si � detto, in base 
all'art. 35 della 1. n. 41 del 1986. 

Le censure, contenute nel ricorso, di violazione degli artt. 20, 36, 
37, 38 e 43 dello Statuto siciliano e del d.P.R. n. 1074 del 1965 (in varie 
disposizioni e, segnatamente, in quella dell'art. 2), ohe contiene le norme 
di attuazione dello Statuto in materia finanziaria, sono collocate sullo 
sfondo della � specialit� � della normativa finanziaria della Regione siciliana. 


Questa normativa si fonda sul principio enunciato dall'art. 36 St., 
secondo il quale � al fabbisogno finanziario de11a Regione si provvede 
con i redditi patrimoniali della Regione a mezzo di tributi deliberati dal




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

la medesima"� A questa norma si collega l'art.2 delle gi� ricortlate norme 
di attuazione in materia finanziaria (d.P.R. n. 1074 del 1965), che afferma 
la � spettanza � alla Regione delle entrate tributarie �da essa direttamente 
deliberate, e di tutte le entrate tributarie riscosse nell'ambito del 
suo territorio, dirette ed indirette, comunque denominate�, con l'eccezione, 
che � stata considerata diffusamente nella prima parte della 
presente decisione e che qui� non interessa (cfr.' nn. 4-5-6-7). 

In sostanza, la Regione censura la di,sposizione dell'art. 35 della 

1. n. 41 del 1986, in quanto sottopone� al regime di tesoreria -gi� introdotto 
per tutte le Regioni a statuto speciale (eccettuate le Regioni 
Sicilia e Trentino-Alto Adige) -fo enttate ad essa spettanti ex artt. 36 
Statuto e 2 delle norme di attuazione, vale a dire il complesso de1le 
entrate tributarie di sua pertinenza. 
La Corte non pu� condividere l'ampiezza della contestazione regionale; 
innanzi tutto perch� ad essa si oppone (con la eccezione, che 
qui si intende formulare) la sua diffusa, univoca giurisprudenza. L'esigenza 
di istituire un sistema restrittivo � di giacenza � delle disponibilit� 
liquide delle Regioni � stata collegata dalla Corte all'inevitabile gradua~ 
lit� della spesa, ohe produce un J:"istagno delle somme non erogate; con 
conseguenze gravemente negative sulle pubbliche finanze. Sicch� � diventa... 
un'esigenza foIJJdamentale per lo Stato limitare l'onere derivante 
dalla provvista anticipata dei fondi risp�tto all'effettiva capacit� di 
spesa degli enti �. La normativa impugnata � non preclude ahle Regioni 
la facolt� di disporre delle proprie risorse, nel senso di valutarne 
discrezionalmente la congruit� rispetto alle necessit� concrete e di indirizzarle 
verso gli obiettivi rispondenti aille finalit� istituzonali, ma si 
limita a consentire il controllo del flusso delle disponibilit� di cassa, 
cooridinandolo con le esigenze generali deH'eoonomia .nazionale, nel 
quadro della regolamentazione de'l credito, che � dovere peculiare dello 
Stato �. Anche se questa separazione comporta �una minore redditivit� 
delle somme depositate nelle tesorerie dello Stato rispetto a quella 
che si avrebbe presso le aziende di credito �, si tratta di �una conseguenza 
,di fatto che non investe aspetti cbstituzionahnente tutelati, 
non incidendo sull'autonomia finanziaria delle Regioni � {sentenze 29 ottobre 
1985, n. 243; 22 ottobre 1982, n. 162). 

Una volta accertata �la validit� d'un limite delle complessive disponibilit� 
regionali suscettibili di rimanere depositate presso aziende 
di credito�, la determinazione della corrispondente percentuale si risdlve 
(sent. 5 novembre 1984, n. 245) in una puntuale e conseguenziale 
decisione di �politica economica � che non si presta ad essere sindacata 
dalla Corte (sen~. n. 243 del 1985 cit.). Quest'ultima decisione, richiamando 
ancora i princ�pi affermati nella sentenza n. 162 del 1982, ha 
escluso che il divieto posto alle Regioni di fuuire, al di l� del tetto le



214 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

gislativamente prefissato, delle disponibilit� . depositate a qualunque titolo 
presso aziende di� credito, determini � inyasione' o lesione dell'autonomia 
costituzionalmente tutelata�, sia delle Regioni a statuto speciale 

� che di quelle a statuto ordinairio. 

La Corte non ha motivo di allontanarsi da taile consolidato indirizzo, 
aI110he peroh� esso � stato costantemente aocompaignato dalla raccomandazione, 
tratta dalle finalit� e dal meccanismo di funzionamento del 
�sistema di tesoreria�, intesi ad evitare che tale sistema �si trasformi 

.in �un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale, 
che si presti a venire manovrato in modo da precludere o da ostacolate 
la disponibilit� delle somme occorrenti alle Regioni per l'adempimento 
dei loro compiti istituzionali. Se si verifica.Sse in tal senso una 
reale menomazione dell'autonomia finanziaria, alle Regioni �non mancherebbero 
i mezzi per invocarne ed ottenerne la tutela � (sentenze 22 dicembre 
1977, n. 155 e 8 .giugno 1981, n. 94). 

Questo premesso, la Corte ritiene che la possibilit� di deroga al sistema, 
descritto nella sua genesi e nelle sue finalit�, debba valutarsi alla 
stregua di �un motivo, ricorrente sotto viari profili nell'impugnativa, la 
quale ha dedotto l'illegittimit� della norma sospettata, in quanto comprensiva 
delle e.cl. �entrate proprie� (o �tributi propri�) della Regione 
Sicilia. 

In verit�, non � dato riscontrare nella �:ensura una chiara individuazione 
delle fatt.ispecie che si vorrebbero eccettuate, facendosi riferimento 
talora alle �entrate ohe la Regione direttamente riscuote � e 
�che non importang trasferimenti di fondi�, talaltra alla peculiarit� 
del modo e del tempo di adempimento dell'obb1igo di � solidariet�� e 
del versamento del relativo contributo; talaltra, infine, .anche se genericamente, 
alla <;particQlare specialit�� del regime della� Regione Sicilia, 
che ~ presuppone una totale autonomia della Regione stessa nella 
provvista dei mezzi finanziari �, fondata � sulla devoluzione totale e 
piena dei tributi �, ad essa attribuiti, che � pertanto assumono le caratteristiche 
di tributi propri �. 

Per collocare a fuoco la censura, la Corte ritiene preliminarmente 
di dover precisare, in base al sistema normativo, il concetto di � tributi 
propri� (o di �entrate proprie�) de11a Regione Sicilia i(i termini 
sono usati come equivalenti), in relazione all'oggetto, all'evoluzione e 
ai limiti di operativit� sul c.d. �sistema di tesoreria �. 

Si � rilevato gi� che l'art. 31 della legge n. 468 del 1978, nel primo 
comma, �sanc� l'obbligo delle Regioni a 1St�tuto ordinario e speciale di 
depositare � le disponibilit� liquide � in conti correnti non vincolati con 
il Tesoro � limitatamente alle assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente 
dal bilancio dello Stato �. Questo principio e il complesso della 
disciplina sono fondati sulla esigenza di non consentire la giacenza in 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 215 

sede regionale di proventi del bilancio dello Stato ohe non siano di 
tempestivo e sollecito impiego. 

Si � del pari descritta la evoluzione della disciplina della I. n. 468 
del 1978, n.ella quale si inseriva la eccezione al principio dell'affidamento 
alla Tesoreria statale, poslf:a �nei confronti della Regione Sicilia 
dall'art. 38, secondo comma, della I. 7 agosto 1982, n. 526 e dall'art. 2 
terzo comma, della I. 29 ottobre 1984, n. 720. Tali norme stabilivano per 
quello che interessa il presente giudizio -che, ai fini di determinare 
il limite delle somme da depositare presso la tesoreria statale, non 
fossero computabili le entrate della Regione Sicilia, ai sensi de1l'art. 36 
dello Statuto e delle relative disposizioni di attuazione in materia finanziaria 
~d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074) e quelle alla medesima dovute 

o versate secondo l'art. 38 di detto statuto. 
Nell'impugnazione si rileva ahe la ratio ispiratrice della 'no11ma restrittiva, 
volta a limitare l'onere derivante dalla provvista alla regione 
di fondi statali rispetto alla effettiva capacit� di spesa, mentre pu� ricorrere 
per le entrate provenienti dal bilancio dello Stato, non � riferibile 
alle �entrate proprie ahe la regione direttamente riscuote e per 
le quali lo Stato non effettua alcun versamento alla Regione�. 

La configurazione (cos� operata dalla difesa regionale) delle �entrate 
(o tributi) proprie� -desunta dall'elemento della riscossione diretta 
da parte della� regione e dalla mancanza di trasferimenti finanziari -si 
discosta dal criterio indicato dall'art. 119, �secondo comma, Cost. In base 
a quest'ultimo, infatti, i � tributi propri � regionali sembrano distinguersi 
da quelli erariali alla stregua dell'entit� dell'attribuzione dei proventi 
alle regioni: totale per i primi; parziale per gli altri. 

Entrambe le concezioni -quella prosipettata dalla ricorrente e l'altra, 
di largo impiego dottrinale, fondata sull'interpretazione letterale 
della norma dell'art. 119, secondo comma, Cost. -non coincidono con i 
crit�ri espressi in sede costituente (Attii Ass. cost. pag. 4416-17). Alla 
stregua dei lavori preparatori la categoria dei tributi (o entrate) propri 
appare, invero, ricondUJCibile alla speciale 1potest� normativa tributaria 
della Regione, che si concreta in tipi di tributi da essa configurati. 

Per penetrare l'essenza della categoria di tributi occorre far rife


rimento al primo oomma dell'art. 119 Cost. --ove � sancito �l rprincipio 

dell'autonomia finanziaria regionale -piuttosto ahe al secondo comma, 

che � normalmente proposto come norma specifica della materia. 

Il concetto di autonomia (in essa compresa la potest� normativa: 
cfr. sent. 19 dicembre 1986, n. 271) d� base unitaria ai tributi �propri�, 
riferiti sia alle. regioni a statuto ordinario che a quelle a regime speciale, 
pur nei diverisi limiti entro i quali l'autonomia stessa � capace 
di operare. Tali limiti sono segnati, per le regioni a statuto ordinario, 
dalle leggi della Repubblica (art. 119, primo comma; sent. 19 dicem



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

216 

bre 1986, n. 271 dt.); iper le regioni a regime differenziato, dagli statuti 
speciali (con le relative norme di attuazione), nel quadro della Carta costituzionale 
nonch� dei princ�pi e degli interessi generali, cui si informano 
le leggi dello Stato (cfr. art. 17 St. Reg. Sicilia). 

Nel disegno di questa categoria di tributi (o entrate) �propri� quale 
che ne possa essere la sua concreta consistenza -ricorrono i 
motivi che indussero all'adozione per la regione Sicilia di un sistema 
di autonomia particolarmente differenziato, anche in materia tributaria. 
E, pertanto, la configurazione della categoria va verificata alla stregua 
dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione in materia finanziaria. 


L'elemento deliberativo diretto da parte della regione, prescritto 

dall'art. 36. St. -nel quale si esprimono in modo pregnante l'afferma. 
zione dell'~utonomia e il miraggio dell'autosufficienza finanziaria -� 
ribadito nell'art. 2, primo comma, delle norme di attuazione in materia 
finanziaria. Questa disposizione amplia il novero -dei tributi spettanti 
alla regione, comprendendovi tutte le entrate tributarie riscosse nell'ambito 
del suo territorio,. ad eocezione delle nuove entrate tributarie, 


delle quali ci si � gi� oocupati. 

Accanto all'elemento della �deliberazione diretta� prescritto -in 

corrispondenza con l'art. 36 St. -dall'art. 2 cit., l'art. 6 delle norme 

di attuazione, dopo averla circoscritta nei � limiti dei princ�pi del si


stema tributario dello Stato�, finalizza la potest� normativa della Re


gione, prevedendo La facolt� di � istituzione � di �nuovi tributi in cor


rispondenza alle particolari esigenze della comunit� regionale �. 

Entrambi gli elementi concorrono a precisare l'oggetto e i fini della 

potest� della Regione Sicilia: questa consente alla Regione di delibe


rare � tipi � specifici di tributi, nell'ambito, certamente residuale, ma. 

non .meno quialifioante, ad essa assegnato dalla vigenza delle disposi


zioni delle leggi tributarie dello Stato, le quali �sono appHcabili nel ter


ritorio della Regione stessa (art. 6, primo comma, delle norme di at


tuazione cit.). 

La delimitazione della figura del tributo (o entrata) proprio, de


sunta dai lavori preparatori, dalla normativa della Carta costituzionale 

e dallo Sttuto speciale, nonah� dai prindpi delle leggi dello Stato, viene, 

dU1I1:que, a coincidere p�ntualmente con a) l'elemento della �delibera


zione diretta� del tributo da parte della Regione (artt. 36, primo comma, 

St., 2, primo comma, prima parte, delle norane di attuazione in ma� 

teria finanziaria: cfr. sent. 6 giugno 1973, n. 71 di questa Corte), delibe


razione che costituisce la pi� piena espressione dell'autonomia norma


tiva; con b) la finalit� di provvedere alle esigenze della comUJilit� re


gionale, alle quali l'autonomia� stessa deve corrispondere (art. 6, secon


do �comma, norme di attuazione cit.). Questo elemento caratterizza la 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

finalit� dell'autodeterminazione siocome intesa a provvedere a bisogni 

particolari della strutture comunitaria locale; esso si segnal� (Atti Ass. 

Cost., loc. cit.) come uno dei momenti qualificanti dello St,atuto speciale 

.e si � riproposto con particolare vigore in s�de parlamentare, fu. oc


casione della revisione del � sistema di tesoreria � per la Regione sici


�liana -operata dall'impugnato art. 35 1. 41 del 1986, -dando im� 

pulso ad appassionati interventi ed a ripetuti ternativi di soluzioni me


diatrici tra le opposte tendenZe statali e regionali. 

Non sfugge alla Corte l'attuale non rilevante, consistenza dei � tri


buti propri � (�direttamente deliberati �: artt. 36 St.; 2, primo comma, 

di$p. attuaz., cit.) della Regione Sicilia, categorfa alla quale si affida


rono molte S1Peranze dei fondatori dello Statuto speciale; ma alla ri


chiesta della Regione deve riconoscersi anohe valore di principio, intesa 

com'� ad individuare l'ambito del'l.'autonomia regionale in materia tri


butaria. 

L'autonomia anzidetta �e la connessa configurazione di � tributi pro


pri �, oltre ad esplicarsi nella fase costitutiva dei tributi, si riflette, in


fatti, sulle operazioni successive (ohe sono di specifica titolarit� regio


nale), quali l'impiego e il regime dei rellativi proventi. 

Non rientrano, invece, nella categoria dei tributi propri della Re. 
gione Sidlia �le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo 

territorio, dirette o indirette, comunque denominate � ~art. 2, primo 

comma, seconda parte, delle norme di attuazione) e ogni altro tributo 

previsto dall'art. 36 St. e dagli artt. 2 e 4 delle norme di attuazione cit. 

N� appartengono a tale categoria le entrate (previste dall'art. 4 delle 

norme di attuazione) spettanti alla Regione, � relative a fattispecie tri


butarie maturate nell'ambito regionale, che affluiscono ad uffici 'finan


ziari situati fuori del terrjtorio della RegiQIIle �. 

In entrambe le ipotesi non ricorre n� l'esercizio diretto di potest� 

normativa regionale, n� la destinazione peculiare alle esigenze della co


_munit� regionale, elementi costitutivi, entrambi -come si � visto 


del tipo di tributo (o entriata) proiyio regionale. 

, � infine da escludere dal novero delle � entrate proprie � il contri


buto statale devoluto alla Regione siciliana �a titolo di solidariet� na


1zionale � (art. 38 St.). Tale erogazione si cdlloca tra i �contributi� �pro


venienti dal bilancio dello Stato�, ai quali si riferisce la ratio e si ap


plica il precetto dell'art. 31 della 1. 5 agosto 1978, n. 468. 

Non .giova al rigua:rdo far leva sull'espressione � lo Stato verser� 

annualmente�, contenuta nell'art. 38 St. ora ricordato. La norma � ob


bliga � lo Stato al versamento che deve essere effettuato nell'arco cro


nologico definito (cf.r. art. 3 1. 27 aprile 1978, n. 182); l'assoggettabilit� 

del contributo a revisione {secondo e terzo comma delll.'art. 38 cit.) non 

tocca, poi, il modo e il tempo dell'adempimento. 


218 RASS�GNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
Non ricorre, quindi, nena figura del contributo di solidariet� alcuno 
degli elementi che, come si � visto, valgono a caratterizzare l'entrata 
� propria � della Regione Sicilia. 
N� giova ad estendere la delimitazione C'.OS� operata, della esenzione 
dal �sistema di tesoreria�, il richiamo agli artt. 17 e 20 dello Statuto 
che attribuiss:ono alla Regione funzioni normative � esecutive ed amministrative 
�, in materia di credito e di risparmio. 
Per quanto rigua:rida tale potest� � da riconoscerle carattere concorrente 
con quella stata~e, dato che essa trova limite nei princ�pi ed 
iJ;J.teressi generali, cui si informa la legis1azione dello Stato, pur essendo 
diretta a soddisfare condizioni particolari ed �interessi propri della Regione 
{art. 17 St. cit.). Non pu�, dunque, dubitarsi che la normativa 
impugnata, adeguando La situazione regionale siciLiana a quella nazionale 
in materia di <<giacenze�, abbia introdotto nell'ambito locale l'osservanza 
di princ�pi e il rispetto di interessi generali, che si� impongono 
alla Regione nel.la sua sfera normativa e amministrativa, fatta eccezione 
delle �entrate {o tribu�i.) proprie�, alla stregua della presente decisione. 
N� pu� considerarsi rilevante in materia la normativa della riscossione 
dei tributi, alla quale si � fatto ampio riferimento nel ricorso: 
essa trova .puntuali Limiti operativi nell'art. 8 e nell'art. 9 delle stesse 
norme di attuazione dello Statuto, le quali prevedono soluzioni aperte sia 
alla gestione diretta regionale che a quella statale ovvero alla concessione. 
Non appare opportuno approfondire tale tema, poich� esso, in conformit� 
della giurisprudenza di questa Corte, non si riflette sull'applicabililt� 
deHa no:rnnativa sul . � sistema di tesoreria �. 
Pertanto non rileva ~l riguardo il principio, esattamente affermato, 
alla stregua della legislazione alllora Vii.gente, dall'Alta Corte per la Regione 
siciliana (sent. 18 ottobre 1950, n. 7), secondo il qua'le la Regione 
� titolare della potest� di riscossione delle imposte dirette come 
:p.ecessario rifilesso della potest� deliberativa in materia di tribut~. 
(omissis). 
p.q.m. 
dichiara la illegittimit� costituzionale dell'art. 3, terzo comma, secondo 
capoverso, seconda parte, della 1. 28 febbraio 1986, n. 41 reoante 
� disposiziood. per la fomnazione del bilancio annuale e pluriennale dello 
Stato (legge finanziaria 1986) �, nella' parte in cui dispone che i proventi 
derivanti dagli aumenti disposti con l'art. 2 del d.l. 22 dicembre 
1981, n. 787 '~disposizioni fiscali urgenti), convertito con modificazioni 
nella legge 26 febbraio 1982, n. 52 (conversione in legge, con modificazioni,
� del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 787, concernente dispo(
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I 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

siziioni fiscali urgenti) continuano ad essere riservati all'Erario delfo 
Stato; 

dichiara la illegittimit� costituzionale dell'art. 35 della 1. 28 feb� 
braio 1986, n. 41 recante �disposizioni per la formazione del bilancio annuale 
e pluriennale dello Stato (aegge finanziaria 1986) � limitatamente 
alla parte in cu_i si riferisce anche ai � tributi deliberati � dalla Regione 
Sicilia {ex art. 36 r,d;legisl. 15 maggio 1946, n. 455). 

II 

La norma impugnata (art. 35 1. 28 febbraio 1986, n. 41) stabiliisce 
l'inapplicabilit� temporanea delle disposizioni contemplate nel secondo 
e terzo oomma dell'art. 38 1. n. 526 del 1982 e nel terzo comma dell'art. 
2 1. 29 ottob~ 1984, n. 720 e determina, tra l'altro, l'assoggetta� 
mento delle �entrate proP.rie della Regione Trentino-Alto Adige � e 
delle province autonome di Trento e Bolzano alla disciplina dell'art. 40 . 
della 1.. 30 marzo 1981, n. 119, cos� 6ome modifioato daill'art. 21 d.l. 12 set� 
tembre 1983, n. 46'3 (conv. nella 1. 11 novembre 1983, n. 638) e dall'art. 3 
della 1. 20 ottobre 1984, Il. no; Dispone, inoltre, che 1e aziende di credito 
interessate sono obbligate a versare nel conto aperto dailla Re


, , 

gione presso la tesoreria dello Stato le somme che superino il 4 % 
,(art. 3 I. n. 720 del 1984 cit.) de'll'ammontare delle entrate previste nel 
bilanoio di competenza. 

La disposizione impugnata, � riguardando la materia finanziaria �, 
violerebbe -secondo la censura priillcipale -l'art. 104 dello Statuto 
speciale per il Trentino-Alto Adige ~d.P,R. 31 agosto 1972, n. 670), che 
consente alla legge ordinru:tla dello Stato di modificare le norme del 
titolo VI (finanza della Regione e delle Province) soltanto su concorde 
riohiesta � del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della Regione 
e delle due Province, mentre nel oaso di specie tale accordo sa� 
rebbe mancat() non ostante che la norma impugnata incida sull'autonomia 
contabile, di bilancio e di spesa della Regione. � stato inoltre dedotto 
il contrasto dell'art. 35 su detto con gli artt. 4, n. l, 16 e 6 dello 
Statuto e con l'art. 64 del d,P.R. 30 giugno 1951, n. 574 (Norme di attuazione 
dello Statuto regionale), giaoch� la normativa da esso dettata 
violerebbe la competenza legislativa e amministrativa regionale in ma� 
teria di ordinamento degli uffici e di contabilit�, facendo affluire, in 
contrasto con la legis[azione regionale, la quasi totalit� delle entrate, 
ancorch� riguardanti i tributi propri regionali, presso la tesoreria dello 
Stato. SareQbe violato, infine, anche l'art. 3 Cost., avendo la norma im� 
pugnata modificato la precedente disciplina -che esentava le entrate 


220 RASSEGNA DFU.'AWOCATURA DEll.O STATO 

proprie della Regione Trentino-Alto Adige dal r,egime di 'cui all'art. 40 
della 1. n. 119 del 1981 -senza alcun ragionevole motivo. 

Va preliminarmente affermato ohe non appare fondata la censura 

di violazione, ad operia dell'art. 35 della 1. n. 41 del 1986, degli artt .4, n. 1 
e 16 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, che attribuiscono 
'alla Regione competenze legisfative e amministrative in materia di ordinamento 
degli uffici, nonch� dell'art. 64 dcl. d.P.R. n. 574 del 1951, che 
attribuisce alla Regione analoghe competenze in materia di bilancio. 
Infatti le norme sul � regime di tesoreria � non impediscono in alcun 
modo l'esercizio delle potest� legislative e amministrative regionaili in 
materia di organizzazione degli uffici, n� esplicano alcuna efficacia nel 
pmcedimento di formazione del bilancio. La puntuale elaborazione di 
questo documento contabile si pone unicamente tra i presupposti per 
conseguire l'adeguata tempestiva disponibilit� da parte dello Stato delle 
somme occorrenti a!lla Regione per provvedere alle esigenze effettive 
di spesa. E tale rilievo � sUJfficiente per dichiarare infondata andhe la 
censura di violazione dell'art. 64 d.P.R. n. 574 del 1951, che non pone 
propri precetti, ma dichiara aipp1icabili, in quanto compatibili, le leggi 
dello Stato in materia di bilancio e di rendiconto generale 'della Regione, 
fino a quando una legge regionale non disponga diversamente. 

(omissis). 

Fondata �, invece, nei limiti che si diranno, la dedotta violazione 
delil'art. 104 dello statuto speciale. Il ricortlato tiitolo VI dello Statuto per 
le modificazioni del quale l'art. 104 prescrive l'intervento di una legge 
�rinforzata � -contiene norme �relative alle entrate tributarie della 
Regione e delle Province, al controllo delle relative operazioni di accertameTJJto 
nonch� alla formazione dei bilanci regionale e iprovinciale. 

L'art. 35 della 1. n. 41, ad avviso della Regione, violerebbe l'autonomia 
finanziaria regionaJle, in quanto inciderebbe sul potere decisorio 
della Regione circa la destinazione e l'impiego dei proventi in questione 
(autonoma contabile) e circa la previisione delle entrate e dell'erogazione 
(autonomia di bilancio e di spesa). 

La norma contestata, come si � visto, determina l'assoggetitamento 
alla disciplina dell'art. 40 della 1. n. 119 del 1981 delle (( entrate proprie 
della Regione Trentino-Alto Adige �. Nel ricorso non si identificano tali 
entrate, ma � chiara l'enunciazione della pretesa della Regione, di sottrarre 
al sistema anzidetto tutte .le sue. entrate (sul presrupposto ohe 
esse appartengano alla categoria delle �entrate pr01Prie �). 

�La valutazione dell'oggetto e del fondamento di siffatta censura ri


chiede, quindi, una indagine ricostruttiva, preliminare, alla stregua 
della quale sia possibile definire la categoria delle � entrate proprie � 
della Regione Trentino-Alto Adige. 

J 




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

L'espressione � entrate proprie� non si. identifica con l'altra � tributi 
propri�, contenuta nell'art. 119, secondo com,ma Cost., anohe per 
la maggiore ampiezza del termine � entrate � rispetto a quello � tributi �, 
Il icontenuto del:la caitegoria va definito, invec�, alla stregua della normativa 
dello statuto speciale della Regione, che nel titolo VI individua 
le entrate della Regione e delle Province autonome. In particolare, 
l'art. 73 prevede la facolt� della Regione di istituire con legg(l �tributi 
propri in armonia con i princ�pi del sistema tributario dello Stato �, 
mentre l'art. 72 abilita la Regione stessa a � stabilire un'imposta di soggiorno, 
cura e turismo� (cfr. 1. reg. 29 agosto 1976, n. 10). 

� da porre in luce l'omogeneit� di contenuto delle due norme ora 
richiamate: mentre la prima (art. 73 St.) concerne, in linea generale, 
la potest� normativa tributaria � propria � della Regione, che si esprime 
nella � facolt� � di istituire � suoi � tributi, la seconda fa riferimento a 
tale facolt�, concernente un particolare tributo regionale: l'imposta 
di soggiorno, cura e turismo (art. 72 St. cit.). 

Entrambe le previsioni consentono di dist�n!�Uere la categoria dei 
� tributi propri � dalle altre� fattispecie impositive regionali, conferendo 
aJlla categQria stessa rilievo tipologico, chiaramente desumibile dal primo 
comma dell'art. 73 St. Quesrt:a norma individua nei � tributi propri � 
una figura distinta da quelle appartenenti al sistema tributario dello 
Stato (con i princ�pi del quale essa si deve �armonizzare�) e da quelle 
correlate alla sua potest� di sovrimposizione (il riferimento che la norma 
fa alla sovrimposta sui terreni e fabbricati � sintomatico. Altra entrata 
della Regione � indicata dall'art. 74 St. nei proventi dei prestiti interni 
� emessi � ed � esclusivamente garantiti � dalla Regione. 

La Corte ritiene che ai proventi derivanti dall'esercizio della potest�, 
prevista negli artt. 73, primo comma, 72 e 74, dello Statuto ora 
ricordati, debba riconoscersi carattere di entrate proprie, in quanto 
conseguenti ad atto deliberativo della Regione, fondato su proprie valutazioni 
politiche, economiche e finanziarie, nel rispetto dell'unit� del 
sistema tribUJtario dello Stato. 

L'autonoma facolt� di istituzione di tributi da parte della Regione 
� poi caratterizzaita dalla finalit� di provvedere a peculiari esigenze 
locali, attraverso il compimento di attivit� di promozione e di sviluppo 
(ad es., turismo: art. 72 St.) o con l'attuazione di �opere di carattere 
permanente� (art. 74 St.), capaci di contribuire al migliore as.setto del 
territorio e al ri:ns~ldamento della sua struttura.. 

L'autonomia normativa, che si esprime nella configurazione del tipo 

di entrata, si riflette nella peculiarit� del fine, contrassegnato dalla 

stretta inerenza dei proventi ad esigenze della comunit� regional�. S� 

che si assiste ad un costante riferimento all'ente e alla comunit� re



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

mente per ciasoun anno finanziario � d'intesa tra lo Stato e la Regione, 
in relazione alle spese necessarie ad adempiere le funzioni normali 
della regione stessa >), 

Dopo l'attuazione della riforma tributaria del 1972 (che soppresse 
gran parte delle imposte indicate dall'art. 8 dello Statuto sardo), 
l'art. 12 della 1. 9 ottobre 1971, n. 825 (in previsione del rinnovamento 
normativo della materia tributaria non statale) confer� al Governo 
apposita delega, diretta ad emanare, nel rispetto dei prindpi e delle: 
procedure stabiliti dagli StatUJti speciali -d'intesa can le regioni ad 
autonomia differenziata -norme ordinarie per assicurare a ciascuna 
regione e"Iltrate complessivamente non inferiori al gettito o alla com,
Partecipazione al gettito dei tributi sopp�ressi, con incrementi cronologicamente 
graduati. 

Ln esecuzione della delega cos� conferita fu emanato l'art. 8 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638, il quale dispose che, fino al 31 dic~mbre 
1977, venissero cordsposte alle regioni a i;tatuto speciale (e dunque, 
anche alla Sardegna) somme d'importo pari a quelle devolute 
per l'anno 1972, maggiorate del 10 per cento annuo relativamente alle 
$UOte fisse ed in miS1Ura, da . determinarsi anno per aillllO dai ministri 
per le finanze e per il tesoro, sentite le amministrazioni regionali, relativamente 
alle quote variabili. 
Scaduto il termine del 31 dicembre 1977, fa disdplina posta dall'art. 
8 d.P.R. n. 638 del 1972 fu riprodotta con leggi successive: in 
particolare con l'art. 35 del d.l. 28 febbraio 1981, n. 38 (provvedimelllti 
finanziari per gli enti locali per l'anno 1981) fu stabilito che per tale 
anno le somme da corrispondere alla Regione Sardegna, alle altre 
regioni a statuto speciale ed alle province arutonome, in sostituzione 
delle quote fisse di tributi erariali aboliti, fossero maggiorate del 15 % 
rispetto all'ammontare dell'anno prec~ente; che, invece, la somma da 
~orrispondere alla Regione Sardegna in sostituzione delle quote variapili 
fosse determinata annualmente, come gi� previsto dall'art. 8 d.P.R. 

n. 638 del 1972, con decreto del ministro per le finanze di concerto 
con qu�llo per il tesoro, s�ntite le amministrazioni regionali. 
L'art. 13 del d.l. 28 maggio 1981, n. 246 (in materia di contenimento 
della spesa del bilancio statale e di quelli regionali) dispose, fra l'altro, 
che la somma da corrispondere alla regione Sardegna per l'anno 1981, 
in _sostituzione delle quote fisse di tributi era.riali soppressi, fosse 
ridotta di 6,5 .miliardi rispetto all'ammontare determinato ai sensi dell'art. 
35 d.l. 28 febbraio 1981, n. 38 cit. Decaduto il d.1. n. 246 del 1981, 
venne emanato il d.l. 29 luglio 1981, n. 401 -ohe fu impugnato dalla 
Regione, attuale ricorrente -recante anch'esso norme per il contenimento 
della spesra del bilancio statale e di quelli regionali, il cui 
.art. 3 riduceva di 3,25 miliardi la somma spettante alla Regione Sar



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STA'fO

224 

degna, sempre ai sensi del predetto art. 35 d.I. n. 38 del 1981. Non 
essendo stato convertito nemmeno questo decreto, fu emanato il d.l. 
26 settembre 1981, n. 539 (del pari impugnato dalla Regione), il cui 
art. 3 riprodusse la Citata disposizione dell',art. 3 del d.I.' n. 401 del 
1981. Suocessivamente, a seguito della mancata conversione di es,so, si 
provvide con il d.l. 26 novembre 1981, n. 677 (conv. nella 1. 26 gennaio 
1982, n. 11), riprodocendo all'art. 3 il medesimo precetto dell'art. '3 
del decreto-legge convertito. La disposizione del d:l. n. 677 � oggetto 
della presente impugnazione. 

Dall'esposizione della complessa vicenda normativa si pu� indivi
�duare -nel suocedersi, nel decadere e nel riprodursi delle norme 
richi�mate nel paragrafo precedente -1'1affermazione costante del princiipio 
della partecipazione della Regione sarda al procedimento di determinazione 
delle somme ad essa attribuite, prima, sulla base di indicazione 
analitica delle fonti tributarie di alimento (art. 8 1. 26 febbraio 
1948, n. 3, statuto speciale della Sardel?Jlla cit.) e, poi, con la previsione 
dell'ammontare complessivo della somma da eroga11si dallo Stato. 

Il processo di decostituzionalizzazione della materia affid� ad interventi 
unilaterali del legislatore nazionale la configurazione tipologica 
dei tributi e la determinazione dei flus1si di risorse da devolvere alle 
regioni. Come si � visto, la variazione della tecnica normativa fu contrassegnata 
dalle modalit� di individuazione delle entrate fiscali; prima, 
attraverso l'indicazione di specifici tributi; poi, con la fissazione, a 
carico dello Stato, di una somma globale, da attribuire alla Regione 
Sardegna. 

Il mutamento del criterio di determinazione non ha, peraltro, inciso 
sulla natura dell'attribuzione e sul procedimento relativo, contrassegnati, 
l'lllila, da un elemento sostanziale (somma da corrispondere); 
l'altro, dalla prescrizione di una garanzia, consistente nella partecipazione 
della Regione al procedimento attraverso l'espressione di un 
parere. 

Si � osservato cos� il precetto dell'art. 54, quarto comma, dello 
Statuto della Regione, secondo il quale le disposizioni del titolo III 
dello statuto stesso, concernente la finanza regionale (in tale titolo si 
colloca l'art. 8 ohe indica la c�mposizione tributaria delle entrate) 
possono essere modificate con leggi ordinarie della Repubblica su 
proposta del Governo o della Regione, in ogni caso sentita la Regione. 

La !ndividuazione dei tributi, per determinarne la quota devoluta 
alla regione, viene concepita in sostanza come enocleaziione di una 
materia -qu�lla delle entrate regionali -rispetto alla quale lo statuto 
speciale ha previsto un meccanismo di modificazione normativa, 
assistito da una gara:nria del tutto peculiare a favore della Regione 
sarda. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Giova anche ricordare che l'anzidetta garanzia fu oggetto di particolare 
cura nella elaborazione della norma relativa, come si desume 
dai lavori preparatori dello Statuto �sardo, che convergono nell'obbiettivo 
di garantire, in tal modo, l'autonomia regionale. 

Muovendosi inizialmente dalla formulazione che prevedeva la proposta 
della Regione come sola iniziativa per la modificazione del titolo 
dello statuto relativo alla finanza regionale, si formularono, poi, diverse 
altre ipotesi (quelle dell'intesa con la Regione: Ambrosini; �su proposta 
del Governo o della Regione� in alternativa con l'altra �in ogni 
caso sentita la Regione�: Einaudi; �d'aacordo tra Stato e Regioni �: 
Laiconi, come misura capace di impedire la violazione di una parte essenziale 
dello statuto, concernente l'economia e la finanza, ad unico 
vantaggio dello Stato). Prevalse alla fine la proposta alternativa di 
Einaudi, contenuta nella formula � in ogni caso sentita la Regione �. 
Questa garanzia, pur nell'attenuata espressione finale, caratterizza lo 
Statuto sardo e costituisce un limite per la legislazione ordinaria. Essa 
esprime un sistema di collaborazione, ohe, attraverso la felice formula 
dell'� intesa� (cfr. art. 25 1. 10 agosto 1950, n. 646, modificato dall'art. 42 

1. n. 634 del 1957) ha contrassegnato i rapporti tra Stato e Regione nella 
programmazione e nell'attuazione idell'intervento straordinario e del 
piano di rinascita saroo (ofr. artt. 13 Statuto speciale della Regione Sardegna 
e 1. 11 giugno 1962, n. 588), individuando al tempo stesso un criterio 
regolatore, indicato anohe di recente da questa Corte ai fini dell'equilibrato 
svolgimento di i::raioni comuni dello Staito e delle Regioni. 
Dall'osservanza della norma (art. 54 St. sartdo) si discosta l'art. 3 d.L 

n. 677 del 1981 -impugnato nel presente giudizio -ohe riduce di lire 
3.250 milioni le somme da corrispondere per il 1981, non prevedendo la 
11iohiesta del parere della Regione Sardegna. (Omissis). 
N� � valida l'osservazione, secondo la quale il precetto impugnato 
non modificherebbe alcuna disposizione del titolo III dello Statuto 
sa:rd�, bens� la norma ordinaria posta dall'art. 35 d.l. n. 38 del 1981, 
s� che esso non rientrerebbe nella sfera di aipplicazione dell'art. 54, 
quarto comma, dello Statuto. Invero, l'art. 35 cit. del d.l. n. 38 del 1981 
afferma il pmndpio dell'acquisizione del parere regionale, dato che rinvia, 
per la determinazione delle quote variabili dei tributi, all'art. 8 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638, ohe demanda, a sua volta, la competenza 
a provvedere al Governo (minis,tro per le finanze di concerto con quello 
per il tesoro) � sentite le Regioni interessate�. Comunque, in 1inea pi� 
generale, non avrebbe mai potuto un provvedimento avente carattere 
di legge ordinaria .(come il d.l. n. 38 del 1981) derogare alla norma (art. 54 
St.) prescrittiva del parere regionale nella fase di determinazione della 
somma da corrispondere alla Regione, in sostituzione delle specifiche 
entrate tributarie, gi� indicate nello Statuto speciale. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATuRA DELLO STATO

226 

Il richiamo all'urgenza, a giustificaziooe dell'emanazione del decreto 
legge come ragione ostativa dell'acquisizione dei parere, .non � attendibile. 
A parte i delicati profili di rilevanza costituzionale di siffatta affermazione, 
le ragioni di urgenza avrebbero potuto in linea eccezionale. 
consigliare la partecipazione della Regione al procedimento co.ri mo� 
dalit� peculiari (quali la presenza nel Consiglio dei ministri del presidente 
delLa Regione stes'Sa) e, in ogni caso, alla acquisiziooe del parere 
si �sarebbe potuto provvedere nel procedimento di conversione del decreto 
legge. In tal modo si sarebbero attenuate le conseguenze dell'inadempimento 
� necessitato �. 

IV 

(omissis) Il contributo di solidariet� nazionale, che �lo Stato verser� 
annUJalmente alla Regione� (art. 38 St. cit.), � sottoposto a revisione 
quinquennale (terzo comma art. cit.) ed�ha lo scopo di � bila111Ciare 
il minore ammontare dei redditi di lavoro. nella Regiooe in confronto 
alla media nazionale� (secondo comma art. cit.). La disposizione dell'art. 
38 St. fu elaborata dalla Consulta regionale del 1945 con l'intento 
di realizzare -secondo l'affermazione di uno dei. suoi ispiratori una 
�forma di controllo costituzionale sulla perequazione delle spese 
pubbliche �. 

L'erogazione, alla quale lo Stato � tenuto, consegue ad una -valutazione 
discrezionale anche in relazione alla segnalata funzione perequativa 
del minore ammontare dei redditi di lavoro nel1a Regione.� in confronto 
alla media nazionale. Secondo la visione statutaria, il contributo 
� inteso a realizzare un impegno di solidariet� dello Stato att:riaverso 
il ve11samento alla Regione, a titolo del tutto peculiare, di mezzi a destinazione 
vincolata, per la realizzazione di un piano di lavori pubblici 
(art. 38, cit. primo comma). 

L'elemento che dirversifica questa attribuzione dai contributi spe


ciali, previsti dall'art. 119, terzo comma, Cost. (intesi a provvedere a scopi 

determinati e, in particolare, alla valorizzazione del Mezzogiorno e delle 

Isole), � la sua obbligatoriet� finalizzata; mentre l'assegnazione alle altre 

regioni � rimessa alla discrezionalit� del legislatore e persegue un obiet


tivo generico (la valorizzazione dei territori anzidetti), indip~dente da 

un piano di opere. Questo � contributo di valorizzazione, non meglio de


terminato o determinabile � (Alta Corte per la Regione siciliana 2 feb


braio-26 luglio 1950), alle Regiooi del Mezzogiorno e alle Isole, non � 

caratterizzato dalla finalit� di avviare 1'� azione sistematica in senso di 

livellatore� -attribuita al Fondo di solidariet� dai suoi fondatori -, 

diretta a combattere la depressione attraverso una pari accessibilit� al 

lavoro ed una tendenziale parit� regionale dei redditi relativi. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Al contributo di solidariet� da veI1Sare alla Regione siciliana e ai contributi 
(attribuibili alle regioni del Mezzogiorno ex art. 119, terzo comma, 
Cost.) era destinato ad affiancarsi, con carattere di aggitlJlltivit�, l'intervento 
straordinario, operante dal 1950, con finalit� �di sviluppo economico 
,e sociale. 

L'erogazione del contributo di solidariet� alla Sicilil;l, se costi~uisce 
l'adempimento di un obbligo costituzionale, non �, peraltro, vincolato, 
lquanto al suo ammontare ed alle modalit� di erogazione, ad alcuna garanzia 
costituzionale. Il terzo comma dell'�art. 38 dello statuto della Regione 
Sicilia prevede la revisione quinquennale dell'assegnazione con riferimento 
alla variazione dei dati assunti per il precedente computo 
.(gettito delle imposte di fabbricazione, riscosse nella Regione siciliana: 
art. 1 1. 27 giugno 1962, n. 886). 

� L'adozione del dato-base e il sUJCcessivo controllo sono rimessi ad un 
aipprezzamento dello Stato (come si desume dal termine � riferimento� 
ai predetti dati), consistente in una valutazione non meramente ricogni'
tiva e vincolante della modificazione degli elementi originari o di quelli 
relativi al precedent~ computo. 

E non � prevista la partecipazione della Regione al procedimento di 
revisione, n� alt:ria forma di garanzia, com'� confermato da:� succedersi' 
delle leggi, ohe hanno regolato il contributo di solidariet� (dalla prima 

1. 2 agosto 1952, n. 1091, alle successive 21 marzo 1957, n. 175, n. 886 del 
i962, gi� ricordata, nonch� 1� novembre 1973, n. 735 e 27 aprile 1978, 
P� 182, cit.). 
Non �, dunque, fondata l'affermazione della Regione, secondo la quale 
si sarebbe instaurato, per prassi, l'obbligo dell'� intesa� tra Stato e Re~
ione nella determinazione del contributo: di tale prassi non risulta 
traccia in occasione delle leggi ora indicate. 

Il carattere dell'erogazione, la sua totale incidenza a carico dello 
Stato e 1a chiara normativa circa la determinazione dell'ammontare concordano 
nell'escludere qua}siasi partecipazione regionale. 

Nemmeno � attendibile l'opinione espressa nella memoria della Regione, 
che ravvisa nella 1. n. 281 del 1978 una vera e propria normativa 
di attuazione dello Statuto (realizzandosi cos� un tipo di legislazione 
contrattata, ohe non si sarebbe potuto sottrarre al procedimento previsto 
dall'art. 43 St.). Tale opinione non � sorretta da alcun dato desumibile 
dalla legge, n� da altri elementi che affiorino dai lavori preparatori e 
dall'intenso dibattito, cui dettero luogo la proposta di istituzione e l'attuazione 
del Fondo di solidariet�, dal quale germin� l'idea dell'omonimo 
contributo prev�'sto dall'art. 38 St. 

La legge n. 182 del 1978, come le precedenti relative alla materia, appartiene 
alla normativa ordinaria (primaria in senso proprio) e non � 

.. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

228 

,Provvista di alcuna qualificazione particolare che comporti, nella deter


minazione del contributo, l'osservanza del procedimento previsto dal


l'art. 43 St. 

Non sussiste nemmeno la violazione dell'art. 19 St. Questa norma 
fissa la data di approvazione del bilam::io regionale e la decorrenza dell'eseocizio 
finanziario. La lewge impugnata non tocca tale materia. 

Sotto un aspetto pi� sostanziale, la doglianza � stata specificata dalla 
;Regione nel senso ohe la norma impugnata avrebbe diminuito il contributo 
quando il procedimento di formazione del bilancio regionale per 
il 1982 era stato gi� definito. Si sarebbero; cos�, turbati l'equilibrio raggiunto 
e la gestione avviata in base allo strumento contabile. 

Anohe sotto questo aspetto la censura � da respingere, dato ohe il 
i;:nomento in cui la norma diventava operante era determinato automaticamente 
dal suo meocani:smo e dalla sua funzione, indipendentemente 
dalla vicenda cronologica in cui la norma stessa si collocava ed era destinata 
a produrre effetti. (omissis) 

Fpndata �, invece, la cen1sura che investe la disrposizione dell'art. 6 
del d. legge n. 677 del 1981 (e la 1. di conversione n. 11/ del 1982), ~he ha devoluto 
allo Stato l'imrporto della tassa (elevata a lire trentamila) per 
il rilascio dei diplomi di maturit�. 

Non giova osservare, come fa l'Avvocatura generale dello Stato, ohe 

questa devoluzione non sarebbe in contrasto con la disjposizione dell'art. 2, 

primo comma, seconda parte pel d.P.R. n. 1074 del 1965 e con l'art. 36 

dello Statuto, entrambi invocati dalla Regione Sicilia, in quanto si trat


terebbe di nuove entrate, intese a soddisfare particolari e contingenti 

finalit� sorte in relazione ad esigenze eocezionali. 

Questa Corte ha avuto di recente occasione di precisare il contenuto 
della espressione � nuove entrate tributarie erariali, riscosse nell'ambito 
del territorio � regionale, non acquisibili dalla Regione. Ha rilevato 
la Corte ohe l'eccezione al principio devolutivo alla Regione Sicilia 
dei proventi dei predetti tributi richiede nella legge istitutiva (confermativa, 
o maggiorativa di essi) la inclusione di una apposita clausola 
di destinazione a:lle particolari finalit� statali da soddisfare o altro pertinente 
specifico riferimento. ad esse (sent. 2 marzo 1987, n. 61). Nella 
fattispecie, l'art. 6, terzo comma, del d.l. n. 677 del 1981 cit. devolve integralmente 
allo Stato l'importo della tassa per il rilascio dei diplomi, 
senza fissare un qualJ.siasi collegamento tra detta devoluzione e le spe.
cifiche �finalit� contingenti o continuative dello Stato�, che dovrebbero 
.essere con essa perseguite. 

g da dichiarare, pertanto, la illegittimit� costituzionale della norma, 
in riferimento agli artt. 36 dello Statuto della Regione Sicilia e 2, primo 
comma, seconda parte del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 229 

.CORTE COSTITUZIONALE, 5 marzo 1987, n. 71 -Pr.es. La Pergola -Rel. 
Corasaniti -Casini ed altri (n.p). 

Corte Costituzionale -Norme di diritto internazionale privato -Sottoponibilit� 
a sindacato di legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3 e 29; disp. prel. cod. civ., art. 18). 

L'art. 18 ,delle ;disposizioni preliminari al codice 'Civile contrasta 
con gli 1artt. !3 e 29 ;delJa Costituzione lJWlla (P.alntle in <cui, per il icaso di

1

n;ianoanza .di .legge nazionale comune ai �oniugi, :,stab.ilrisc.e che 1si iappli~a 
la �legge rnazionale del .marito al tempo del matrimonio 1(1). 

(omissis) Occorre ora chiedersi se analoghi risultati di adeguamento 
a Costituzione debbano ritenersi imposti per le norme risolutive dei 
conflitti (norme di diritto internazionale privato). 

Ci� fu dapprima negato in dottrina, con riferimento agli artt. 3 e 
29 Cost. In relazione a un dibattito sviluppatosi anche fuori del nostro 
Paese, sull'asserito presupposto del carattere �neutro� o �neutrale� 
c:Ielle norme di collisione, fu sostenuto che esse, non disciplinando di:
retta:mente il r�pporto controverso, non siano 1donee a incidere gli 
interessi in questo coiDIV'olti e quindi neppure la sfera di operativit� 
della Costituzione nella relativa materia (quasi a conferma, si argomentava 
che la legge nazionale del marito, eventualmente indicata come 
applicabile, avrebbe addirittura potuto essere in concreto pi� favorevole 
a:lla moglie: considerazione, alla quale si obbiettava che la prevalenza 
:riconosciuta alla legge nazionale di uno dei soggetti coinvolti costit�isce 
sempre per l'altro una discriminazione sfavorevole, per la minore probabilit� 
che egli ha di conoscere un diritto non proprio e quindi di 
avvalersene nel modo pi� conveniente). 

La giustificazione pi� profonda dell'orientamento . negativo continu� 
a ritrovarsi nell'esigenza di contemperare il princ�pio di nazionalit� 
con quello dell'unicit�� della normativa applicabile. � tuttavia un dato 
comparatistico di qualche rilevanza che. in alcuni Paesi europei sensibili 
a entrambi si prefer� ricorrere �a criteri diversi, quali quelli del 
domicilio o della residenza degli sposi, se comune in un dato momento, 
mentre, in altri Paesi, all'introduzione, peraltro pi� recente, del princ�pio 
costituzionale deHa eguaglianza morale e giuridica fra i coniugi, 

(1) La sentenza contiene una interessante puntualizzazione in ordine al 
sindacato di legittimit� costituzionale su disposizioni non aventi �la funzione 
di regolare direttamente rapporti�, 

230 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

segu� comunque, nel breve periodo, l'eliminazione legislativa di n~rme 
di collisione, che (in materia di divorzio) si inspiravano alla prevalenza ,; 
,della legge nazionale del marito. 


Ma la riluttanza ad ammettere la sindacabilit� costituzionale delle 
norme di diritto internazionale privato e la configurabilit� di un con


l trasto costituzionalmente rilevante fra una norma di rinvio inspirata alla 
1prevalenza derla legge nazionale del marito e i princ�pi costituzionali di 
,eguaglianza fra uomo e donna e fra coniugi � ormai largamente SUU?erata 
dalla dottrina, da ultimo anche in considerazione di recenti giuri


I 

wrudenze costituzionali di .altri Paesi europei ~cfr. le .decisioni del Tri,
bunale costituzionale della Repubblica federale tedesca 4 maggio 1971, 
.22 febbraio 1983 e 8 gennaio 1985: la prima affermativa della sindaca� 
bilit� costituzionale delle norme di collisione e le altre due dichiarative 
.della illegittimit� d! norme di rinvio che sancivano l'applicabilit� della 
legge del marito, indipendentemente dal contenuto della norma sostanziale 
applicabile). 

Tutto ci� posto, la questione appare fondata. Intanto non pu� non 
avere particolare peso l'orientamento pi� recente della nostra legislazione 
e di questa Corte nel senso dell'adeguamento agli imrperativi co,
stituzionali suindiicati sia della materia del diritto familiare, sia di altre 
materie che avevano recepito i princ�pi della prima. � 

Non pu�, comunque, essere condivisa. la tesi che, argomentando 
,dalla supposta � neutralit� � delle norme di diritto internazionale privato, 
perviene a negare la stessa configurabilit� di un contrasto di 
esse con gli imperativi costituzionali in argomento (e, in definitiva, con 
,qualsiasi altro), 

Nella formulazione dei criteri per l'individuazione della norma (interna 
o straniera) applicabile -formulazione ohe � l'oggetto suo proprio 
-la norma di comsione, anche se prescinde dal modo in cui gli 
interessi tipici coinvolti nel rapporto sono concretamente regolati dalla 
norma stessa, nondimeno pu� inspirarsi a princlpi (o valori) sottesi alla 
disciplina civilistica interna dell'istituto ovvero ad altri princ�pi (o valori). 
Orbene, in entrambi tali casi, la norma di collisione adotta una 
scelta di ordine normativo, che non pu� non confrontarsi con le scelte 
di fondo a livello costituzionale rispetto alle quali assuma rilievo il princ�ipio 
(o valore) cui essa si inspira. 

Del resto ne'lla giurisprudenza di questa Corte non si � mai dubitato 
della configurabilit� di questioni di legittimit� costituzionale 
anche in altri casi nei quali, al pari di quello delle norme di colli� 
sione, la norma denunciata non ha la funzione di regolare direttamente 
rapporti (ad esempio l� dove sia impugnata una legge-delega nei prin




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 231 

c�pi o nei criteri direttivi con essa enunciati; cfr. sentenze n. 158/85 
e n. 226j76): casi nei quiali il sindacato si attua proprio verificando la 
compatibilit� fra il princ�pio (o valore) implicito, o addirittura espresso, 
nella norma impugnata e un princ�ipio (o valore) costituzionale 

Orbene la scelta adottata dalla norma impugnata � senza alcun 
dubbio inspirata al princ�pio che si concreta nel riconoscimento al marito 
di una posizione preminente nella famiglia. E non pu� negarsi che 
il detto principio si pone in contrasto con le scelte di fondo operate 
dall'art. 3, comma primo, e dall'art. 29, comma secondo, della Costituzione. 
In relazione a tali parametri -i soli pertinenti -va pertanto 
didhiarata l'illegittimit� costituzionale della norma impugnata. Mentre 
non pu� questa Corte (in quanto ci� importerebbe sostituiJ.�si all'interprete 
o addirittura al legislatore nella scelta fra pi� soluzioni ipotizzabili) 
individuare o addirittura determinare 1a norma di collisione cui 
far riferimento, o la stessa norma applicabile, con il dichiarare mediante 
sentenza additiva, come propone il Tribunale di Torino, che la 
norma impugnatia sarebbe illegittima in quanto non prevedie un criterio 
fondato sul domicilio o sulla residenza comune dei coniugi, o in quanto 
non indica come normativa applicabile quella che prevede il divorzio 

o la separazione personale, considerati ques�ti (sempre secondo il Tribunale 
di Torino) quale oggetto di diritti inviolabili della persona (art. 2 
Cost.). 
I 

CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1987, n. 89 -Pres. La Pergola -Rel. 
Andrioli -s.p.a. Universo finanziaria ed altri (n.p.). 

Esecuzione forzata -Retribuzioni dovute da enti pubblici diversi dallo 

Stato -Pignorabilit� per ogni credito fino ad un quinto. 

(Cast., art. 3; d.P.R. 5 gennaio 1950, -n. 180, art. 2). 

� cosNtuzionalmente 1iU.egittimo 1l'art. 2 comma !Primo in. 3 d.P.R. 
5 gennaio 1950, 1n. 180 (t.�u. delle 1l.eggi conct~rneinti il Jseques.tro, \il pignoramento 
\e ila 1cessi0fl'le ,degli ,s1tipendi, OOJlarii 1e !JJ<einsioni Idei dipendenti 
dalle pubbJ.iche Amminiistrazioni) rY1Jcl!la pa;rte ;in icui, tn \contlrasto �con 
l'art. 545 comma .quarto c.p.c., 111Jon prevede ffa pignorabiN.t� (e ila 1S1equestrabilit� 
1degili i,stiip1emdi, isalari 'e iretribuzioni /corrisposti Ida -altri 
enti diversi .dallo Stato, da iaz1iende 1ed �impr.es1e idi 1cui lp;U'art. ,J .deillo 
stesso d.P.R., fino ,alla concorrenza di iun quinto iper 'pgni credito :Vantato 
,nei !Confronti del wersonaz.e. 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II I 


CORTE COSTITUZIONALE, 13 maggio 1987, n. 155 � Pres. La Pergola 
Rel. Pescatore � Moneta Caglio (n.p.). 

l

Esecuzione forzata � Pensioni erogate dalla Cassa nazionale del notariato 
� Pignorabilit�. 
(Cost., art. 3; r.d.l. 27 maggio 1923, n. 1324, art. 12). 

I 

� costituzionalmente illegittimo l'art. 12 del r.d.l. 27 maggio 1923, ~ 

n. 1324 (modificazioni al r.d.l. 9 novembre 1919, n. 2239, sulla Cassa 
nazionale 1del 1notariJato), laonv.ertito ,nella 1iegge 17 ;fllPY'~he 1925, rn. 473, 
nell.a iparte rm \CUi rnon (p11eVede rZa pigrtJOrobil:it� wer (orediti alimentari 
dellle pensioni 100rrrispostie ai 1notai �dalla Cassa nazion(IJZe. {cfal not.anato 
negli stessi ,limiti istabiJlitli dall'art. 2, in. 1 ldel id.P.R. 5 gennaio 1950, 
n. 180. 
I 

La disposizione normativa impugnata� dal Pretore di Catania � del 

d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (t.u. delle leggi concernenti il sequestro, 
il.pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti 
dalle pubbliche Amministraziol1i) l'art. 2 (eccezioni alla insequestrabilit� 
ed impignorabilit�) comma primo n. 3, a tenor del quale 
gli stipendi, i salari e le retribuzioni equivalenti nonoh� le pensioni, le 
indennit� che tengono luogo di pensione e gli altri assegni di quiescenza 
corrisposti dallo Stato e dagli altri enti, aziende ed imprese indicati 
nell'art. l, sono soggetti a sequestro ed a pignoramento fino al1a concorrenza 
di un quinto valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti 
allo Stato, alle province ed ai comuni, facenti carico, fin dalla loro 
origine, all'impiegato o salariato. (omissis) 
Questa Corte deve limitare l'esame della prospettata questione 
ai corrispettivi dovuti ai dipendenti in corso di rapporto (peI1Ch� oggetto 
del pignoramento praticato dalla s.p.a. Universo Finanziaria sono 
emolumenti, spettanti al dipendente in virt� del rapporto di lavoro in 
corso), e ai corrispettivi dei dipendenti di enti diversi dallo Stato (pi� 
puntualmente di imprese esercenti il credito bancario) perch� terzo 
debitore pignorato � (non lo Stato ma) un ente diverso dallo Stato (pit1 
puntualmente un istituto di credito: Banca Nazionale del Lavoro). 

Nei limiti ad un tempo oggettivi e soggettivi imposti dal rispetto 
della direttiva della correlazione tra chiesto e pronUlldato, la questione 
� fondata perch� -il Pretore di Catania ha a ragione posto tali 
constatazioni a base del terzo ovdine di motivi di sospetto di incostitu


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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 233 

zionalit� della normativa impugnata -nessuna distiI�zione ontologica 
residua, a seguito del progressivo costante dilatarsi del settore pubblico, 
per oggetto dell'attivit� degli �imprenditori e oggetto delle prestazioni 
dei dipendenti tra imprese private ed enti, aziende e imprese 
di cui al ripetuto art. 1. 

Ne seguono l'illegittimit� costituzionale dell'art. 2 comma primo 

n. 3 e quindi l'ampliatio dell'art. 545 comma quarto c.rp.c. per .essere 
venute meno le divergenze tra pubblico e privato che indussero la Corte 
ad optar~ con le sentenze nn. 209 del 1975 e 49 del 1976 per l'infondatezza 
della allora proposta questione. 
II 

Il Pretore di Roma ha sollevato questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 12 del r.d.l. 27 maggio 1923, n. 1324, conv. nella I. 
17 aprile 1925, n. 475 -nella parte �in cui esclude la pignorabilit� 
delle pensioni erogate ai notai dalla Cassa nazionale del notariato anche 
riguaPdo ai crediti alimentari -sotto il profilo ahe tale assoluta impiignorabilit� 
contrasterebbe .con l'art. 3 Cost., non essendovi alcun 
ragionevole motivo per attribuire ai notai un trattamento pi� vantaggioso 
di quello previsto per i pubblici dipendenti dall'art. 2, n. 1 
del d.P.R. � 5 gennaio 1950, n. 180. L'art. 12 del r.d.l. n. 1324 del 1923 
dispone ohe le quote ~d'integrazione, noncih� le pensioni e gli assegni 
sui fondi della Cassa nazionale del notariato non sono cedibili, n� soggetti 
a sequestro o pignoramento. Viceversa, in materia di alimenti, per 
i pubblici dipendenti ed altri soggetti a questi assimilati, l'art. 2, n. 1, 
del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 -al qu"!-le rinviano molte disposizioni 
di legge riguardanti pensioni ed assegni corrisposti dalle rispettive 
Casse a liberi professionisti (1. 8 gennaio 1952, n. 6; 1. 24 ottobre 1955, 

n. 990; 1. 9 febbraio 1963, n. 160; 1. 3 febbraio 1963, n. 100) -stabilisce 
la pignorabilit� delle retribuzioni� e pensioni nella misura di un 
terzo. 
Questa Corte, con sentenza 2 giugno 1977, n. 105, ha gi� dichiarato 
costituzionalmente illegittimo, perch� in contrasto con l'art. 3 Cost., 
l'art. 12 del r.d.l. n. 1324 del 1923, �nella parte in cui non prevede la. 
pignorabilit� per crediti alimentari degli assegni di integrazione corrisposti 
ai notai dalla Cassa nazionale del notariato negli stessi limiti 
stabiliti dall'art. 2, n. 1 d.P .R. 5 gennaio 1950, n. 180 �. Ci� in quanto 
non sono ravvisabili ragioni idonee a giustificare, in relazione a dettL 
emolumenti, un trattamento pi� favorevole, per i notai, di quello previsto 
per i dipendenti pubblici dal d.P.R. n. ~ 180 del 1950. 
Pertanto, non essendovi ugualmente ragioni che giustifichino, per 
le pensioni dei notai, un pi� favorevole trattamento rispetto a quello 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

234 

previsto in materia di pignorabilit� dal d.P.R. n. 180 del 1950 per le 
pensioni dei pubblici dipendenti, sussiste la dedotta violazione dell'art. 
3 Cost. e l'art. 12 del r.d.I. 27 maggio 1923, n. 1324, va dichiarato 
costituzionalmente illegittimo, nel1a parte in cui� non prevede la pignorabilit�, 
per crediti alimentari, delle pensioni corrisposte ai notai 
dalla Cassa nazionale del notariato, negli stessi limiti stabiliti dall'arti.
colo 2, n. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180. 

,CORTE COSTITUZIONALE, 3-aprile 1987, n. 99 -Pres. La Pergola -Rel. 
Ba1dassarre -Destro ed altri (n.p.) e Regione Friuli-Venezia Giulia 
(avv. Pacia). 

Regioni -Regioni a statuto speciale -Riforma economico-sociale -Norme 
esecutive dei principi della riforma -Carattere integrativo e di 
coessenzialit�. 
(Cost., artt. 3 e 97; Statuto F.V.G., artt. 4 e 68; 1. reg. F.V.G. 15 marzo 1976, n. 2, 


artt. 1 e 2). 

Non .pu� 1escludersi ,za qualit� di 1normativa ldii 1riforma �economicosociale 
iper ile inorime looecutfaole 1e/o idi \dettaglio ile 'quali !siano .te,gate <ai 
princ�pi fondamentali della riforma da un rapporto di coessenzialit� o 
di rneoessaria integrazione. 


(omissis) Come questa Corte ha pi� volte affermato (sent. nn. 219 

del 1984 e 151 del 1986), la natura di riforma economko-sociale di determinate 
norme va individuata attraverso una valutazione dell'oggetto 
.delle norme stesse, della loro motivazione politico-sociale, del loro 
~opo, del loro contenuto e delle modificazioni che esse intendono ap.>
ortare nei rapp�rti sociali. Poioh� tale valutazione deve riguardare le 
.specifiohe norme considerate, seppure nella loro connessione con altre 
n9rme, la qualificazione logica di alcune disposizioni di una certa 
legge come norme fondamentali di riforma economic();Sociale . non si 
� estende aut?maticamente a tutte le disposizioni comprese nella legge . 
medesima. Pertanto, ohe una precedente pronunzia di questa Corte 
abbia ritenuto come riforme economico-sociali altre disposizioni della 

J. n. 865 del 1971 (sent. n. 13 del 1980) non esime da una valutazione 
,ad hoc delle norme impugnate. 
In s� e per s� considerato l'art. 8, lett. f della I. n. 865 del 1971, in 
,collegamento con l'art. 19 del d.P.R. n. 1036 del 1972 che configura 
.l'esercizio del corrispondente potere delegato, non costituisce di certo 
.una norma fondamentale di riforma economico-sociale. Tuttavia � ormai 
acquisito alla giurisprudenza di questa Corte ohe, se le norme esecutive 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 235 

o di dettaglio non debbono considerarsi necessariamente attratte dalla 
natura di riforma economico-sociale delle norme principali da cui logicamente 
dipendono, non si pu� escludere l'estensione di tale qualifica 
a norme diverse da quelle contenenti i princ�pi fondamentali della riforma, 
pul'dh� legate con queste ultime da un rapporto di coessenzialit� 
o di necessaria integrazione (sent. nn. 219 del 1984 e 151 del 1986). Ebbene, 
da tale punto di vista, l'intero art. 8 della 1. 865 del 1971, nonch� 
l'art. 19 del d.P.R. n. 1036 del 1972 che, rappresentandone l'esercizio 
pella corrispondente delega, fa corpo con esso, � espressamente diretto 
a riorganizzare, su basi nuove il complesso delle amministrazioni e 
degli enti pubblici operanti nel settore dell'edilizia economica e popolare. 
Rispetto a questo compito -di cui la ristrutturazione e il riorldina:
mento degli I.A.C.P. operanti nel territorio di ogni singola Regione, 
insieme alla razionalizzazione e alla semplificazione della rete degli 
enti pubblici edilizi sia nazionali che locali, sono le parti pi� qualificanti 
-i princ�pi relativi al trasferimento del personale (oltrech� del 
1patrimonio) appartenente' agli enti pubblici soppressi rappresentano 
indubbiamente un elemento di necessaria integrazione delle norme fondamentali 
della riforma economico-sociale di cui trattasi. (omissis). 
CORTE COSTITUZIONALE, 10 aprile 1987, n. 123 -Pres. La Pergola -
Rel. Casavola -Benanti ed altri (a'V'V. Mazzoni), Bafile �ed altri 
(avv. Marzano), Zingales ed altri (avv. Biagini) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (avv. Stato Imponente). 

Legge � Legge interpretativa � Applicazione � � compito del giudice. 
(Cast., art. 24; I. 6 agosto 1984, n. 425, art. 10). 

Il ,diritto :di azion)e rimpl1ka il ,diritto tdeil l<Jitmdi.no 'ad >pttienerie '.Jna 
decisione di merito; contrasta con l'art. 24 Cast. una disposizione che 
preclude ,al .giudioe ila decisione ,di mer.ito ~mponieindo~Ti idi 1dichiara11e 
d'ufficio l'estinzione dei \giudizi pendenti. 

(omissis) � da prendersi in esame, perch� pregiudiziale, l'impugna.
tiva dell'art. 10, primo comma, della legge n. 425 del 1984 che cos� recita: 
�I gh.!idizi pendenti in qualsiasi stato e grado alla data di entrata 
in vigore della presente legge, originati o conseguenti a domanda fondata 
sull'applicazione delle disposizioni richiamate negli articoli 8 e 9 
della le.ige stessa, sono diahiarati estinti d'ufficio con compensazione 
delle spese fra le parti. I provvedimenti giudiziali non ancora passati in 
giudicato restano privi di effetti �. 


236 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Si ritiene dai giudici remittenti che tale disposto� sarebl;>e in contrasto 
con gli artt. 3, 24, 25, primo comma, 36, 97, 101, 102, 103, primo 
comma, 104, 113, 134, 136, 137 della Costituzione e con l'art. 1 della 
legge costituzionale n. 1 del 1948. In particolare si prospetta il vulnus 
dell'art. 24 della Costituzione per �un meccanismo che impedisce o co� 
munque rende particolarmente oneroso ogni ulteriore tentativo di difesa 
da parte degli interessati �. La questione sotto questa particolare 
.prospettazione � fondata. (omissis). 

La legge n. 425 del 1984 per la sua natura di legge intel'Pretativa 
fornisce al giudice il significato autentico_ delle norme interpretate. 
Ma poich� essa sopraggiunge quando si � gi� formata una serie di pronunce 
giudiziali conco!'di, una delle quali assurta alla intangibilit� 
della cosa git.~dicata, � evidente che il legislatore ha inteso interrompere 
questa giurisprudenza usando della s:ua prerogativa d'interprete 
d'autorit� del diritto. 

Il giudice, per Costituzione soggetto alla legge, per ci� stesso, 

� ma solo in questo senso, in auctoritate legislatoris, � tenuto ad interpretare 
il ius superveniens, applicandolo al caso singolo sottoposto alla 
sua cognizione, per deciderne il merito. , 

Il legislatore, invece, con l'impugnato art. 10, primo comma, della 
legge n. 425 del 1984 preclude al giudice la decisione di merito imponendogli 
di dichiarare d'ufficio l'estinzione dei giudizi pendenti, in 
qualsasi stato e grado si trovino alla data di entrata in vigore della 
legge sopravvenuta. 

Con ci� il legislatore ordinario viola il valore costituzionale del 
diritto di agire, in quanto implicante il diritto del cittadino ad ottenere 
una decisione di merito senza onerose reiterazioni. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 aprile -1987, n. 146 -Pres. La Pergola R.
el. Andrioli -Gasperini (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato D'Amico). 

Giustizia amministrativa -Giurisdizione esclusiva in materia di pubblico 
impiego -Mezzi istruttori. 
(Cost., artt. 3 e 24; r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 44; I. 6 dicembre 1971, n. 1034, 
art. 7). 

Contrasta11'0 -con ;gli :artt. 3 1e 24 Cost. gli ,artt. 44 romma primo 

r.d. 26 :giugno 1924, in. 1054 1e 26 .r.d. 17 agosto J907 in. 642, :e 7 1oomma 
primo J.egge .6 .dicemb11e 1971, rn. 1034 inei .Hmiti )in 1aui <li irichiama, nella 
parte in ,cui, m!ll'!e 1conti1"~eris~e di .Vmp.iJeg� di ,dipendent.i /del.Lo 'Stato ;e 
di enti ,ri:>ervat�e alla giuril>dizicme ,esclusiva ,amministrativa, in.on ican'.
�'.�"'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�~�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�Z�Z-:�~�:�'.�Z-:�:� .-.-.-.-.z�:�:-:�'.".�'.�Z-Z�Z�:-:-:.-:����� .-�.-.-�.�.�.-.-.-.-.-.z-:�:�:�:� �Z�Z�:�'.�:.-:�:-:�:�:�z�:�:�:-:�:.-:-:.-:�:�:�:��� .-.-.-.-r.-.-.��:".�Z�Z�Z-:�:-:.-:�Z�:�: :.-:�:�:�:�:�.�.�.'.�:�.�:-.�.�-�-�.�.�.�.�.�.�.�-�.�.-.-:'.'.".'.".".".".".�.�-�.�.�. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

:sentono l'esperimento idei mezzi istruttori ipnevisti 1negli \ar:tt. 421 1comma 

secondo 1a quarto, 422, 424 1e 425 c.p.c., ooviella'bi liin virt� della Zeg~e 

11 agosto 1973, ;n, 533. 

(omissis) Il rispetto del. canone della corrispondenza tra chiesto e 

pronunciato induce a limitare lo scrutinio della questione di costitu


zionalit�, sollevata dai giudici a quibus, a controversie d� impiego di 

dipendenti dello Stato e di .enti pubblici, riservate alla giurisdizione 

esdusiva dei T.A.R e, in secondo grado, del Consiglio di Stato, e alla 

individuazione dei mezzi istruttori che ai fini dell'accertamento dei fatti 

possono essere disposti. 

Cos� circoscritta, la questione d'incostituzionalit� degli artt. 44, com


ma primo, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (t.u. delle leggi sul Consiglio di 

Stato) e 26 r.d. 17 agosto 1907, n. 642 (regolamento per la procedura) e 7, 

comma primo, 1. 6 dicembre 1971, n. 1034 (istituzj,one dei tribunali ammi


nistrativi regionali) nei limiti in cui li richiama, violano gli artt. 3 e 24, 

comma primo e secondo, Cost. perch� � contrario vuoi alla direttiva 

di razionalit� vuoi, e soprattutto, alla tutela dell'azione in giudizio e 

alla garanzia del diritto di difesa la limitazione della ricerca della ve


rit� nelle controversie de quibus ai mezzi istruttori descritti nell'art. 44, 

comma primo, r.d. n. 1054 del 1924 e 26, comma primo, r.d. n. 642 del 1907. 

Le normative, che la legge istitutiva dei T.A.R. ha avuto il torto 

di non richiamare, sono non gi� le disposizioni del secondo libro del co. 
dice di procedura civile sulla istruzione probatoria (artt. 191 a 262), 
sibbene gli artt. 421, comma secondo e quarto, 422, 424 e 425 dello 


.stesso, novellati in virt� della 1. 11 agosto 1973, n. 533. 

Cos� decidendo, la Corte segue la via segnata con la sent. 28 giugno 
1985, n. 190, dichiarativa dell'incostituzionalit� dell'art. 21, u.c., 1. 
1034 del 1971 nella parte in cui, limitando l'intervento d'urgenza del 
giudice amministrativo alla sospensione �dell'esecutivit� dell'atto impugnato, 
non consente al giudice stesso di adottare, nelle controversie 
patrimoniali in materia di pubblico impiego sottoposte alla sua giurisdizione 
esclusiva, i provvedimenti urgenti che appaiono secondo le 
circostanze pi� idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della 
decisione sul merito le quante volte il ricorrente abbia fondato motivo 
di temere ohe durante il tempo necessario alla prolazione della pro-� 
nuncia di merito il suo diritto sia minaociato da un pregiudizio immin 
nente e irreparabile, e con la sent. 31 marzo 1987, n. 89, dichiarativa 
dell'incostituzionalit� dell'art. 2, comma primo n. 3, d.P.R. 5 gennaio 1950, 

n. 180, nella parte in cui, in contrasto con l'art. 545 comma quarto c.p.c., 
non prevede la pignorabilit� e la sequestrabilit� degli stipendi, salari 
e retribuzioni corrisposti da altri enti diversi dallo Stato, da aziende 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

238 

ed imprese di oui all'art. 1 dello stesso d.P.R., fino alla concorrenza di 
un quinto per ogni credito vantato nei confronti del personale. 
Via che non ha mancato di battere l'art. 31 d.P.R. 24 marzo 1981, 

n. 145 (ordinamento dell'Azienda autonoma di assistenza al volo per il 
traffico aereo generale), per il quale, pur essendo le controversie di 
lavoro relative al personale comunque in servizio presso l'Azienda at� 
tribuite alla~ esclusiva giurisdizione dei T.A.R., si applicano l'art. 28 1. 
20 maggio 1970, n. 300, e, in quanto applicabili, le disposizioni di cui 
alla 1. 11 agosto 1973, n. 533. 
De futuro: prevede l'art. 28, comma primo, della legge quadro sul 

,pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93 che � In sede di revisione del� 
l'ordinamento della giurisdizione amministrativa si proV'Veder� alla ema� 
nazione di norme che si ispirino, per la tutela giurisdizionale del pubblico 
impiego, ai princ�pi contenuti nelle leggi 20 maggio 1970, n. 300 e 
11 agosto 1973, n~ 533 �. 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 maggio 1987, n. 185 -Pres. La Pergola � 
Rel: Andrioli -Genghini (avv. Esposito e Latagliata) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Favara). 

Fallimento -Amministrazione straordinaria � delle grandi imprese in cri� 
si � Comunanza di disciplina con la I.e.a. 
(Cost., art. 3; d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, come convertito e poi modificato, art. 1). 

Tribufi (in generale) -Contenzioso tributario � Intervento nel processo � 
Cessato amministratore di societ� � Non � legittimato all'intervento. 


(Cost., art. 24; d.P.R. 26 ottobre 197Z, n. 636, artt. 15, 22 e 30). 

Liquidazione ooatta amministrativa 1ed amministrazione \Straordiinania 
perseguono :la ifinaUt� -comune di ,attuare ~a \liesponsabilit� pat,dmoniale 
delle impnese ad esse assogg.ettate, �anche ise !l'amministrazione 
straordinaria mira ad attingerla senza estinguere le imprese debitrici (1). 

Il cessato amministratore di una societ� non ha interesse (e legitti� 
mazione) ad .interv.enire ne~ ~ooesso tributanilo 'i[Jromosso ldalla societ� 
avverso accert,amento ,ad iessa '11elativo, ,posto iche ila r,pronuncia 1Y1esa 1dal 
giudice tributario in tale processo non vincola il giudice penale (2). 

(1) L'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e la 
liquidazione coatta amministrativa: tratti comuni e differenze. 
Nella prima parte della sentenza in rassegna � affrontato in modo pervero 
un po' sommario e comunque non esauriente un argomento -quello della 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

239 

(omissis) Delle norme elencate (art. l, comma quinto, d.l. 30 gennaio 
1979, n. 26, convertito nella legge 3 aprile 1979, n. 95, e successive 
modificazioni, con riferimento all'art. 203, comma primo, seconda parte, 
e agli artt. da 216 a 219 e da 223 a 225 r.d. 16 marzo 1942, n. 267) ha il 
giudice a quo sospettato l'incostituzionalit� per violazione dell'art. 3, 
comma primo, Cost. in quanto, estendendo le disposizioni previste per 
la liquidazione coatta amministrativa, e segnatamente quelle disciplinanti 
i delitti di bancarotta, alla amministrazione straordinaria (e cio� ad 

configurazione e disciplina dell'amministrazione straordinaria -che, per la 
lacunosit� e l'intima ambiguit� della normativa, richiede invece un cospicuo 
sforzo di ricostruzione e sistemazione. 

L'istituto dell'amministrazione straordinaria, introdotto dal d.l. 30 gennaio 
1979 n. 26 (c.d. decreto Prodi), come convertito e poi marginalmente 
modificato, esplicitamente deriva dal non nuovo istituto della liquidazione 
coatta amministrativa (per la storia di questa pu� rinviarsi al noto trattato 
di PROVINCIALI); giustamente � stato scritto che il citato decreto costituisce 
un � esempio di legislazione di adattamento�. 

I due istituti giuridici si differenziano per� nettamente anzitutto per la 
diversa finalit�: l'amministrazione straordinaria mira essenzialmente al �risanamento 
� delle imprese ad essa sottoposte (sotto questo aspetto presenta 
analogie con l'istituto dell'amministrazione controllata), ed a tal fine pone 
l'accento sulla � salvaguardia d1d patrimoni aziendali e dei livelli occupazionali 
�; laddove invece la Le.a. (ad esempio, di aziende di credito o di compagnie 
di assicurazione) � almeno di norma orientata verso l'eliminazione della 
unit� produttiva rivelatasi insolvente e, per solito, verso la sua incorporazione 
in imprese �sane � e capaci di riassorbire il dissesto. 

Cardine comune ad entrambi gli istituti � la sottrazione al fallimento 
(art. 2 l.f. e art. 1 commi primo ed ultimo del citato d.l. del 1979), e cio� 
alla relativa procedura concorsuale diretta dall'autorit� giurisdizionale. Quando 
prescrive o prevede la Le.a. o l'amministrazione straordinaria, il legislatore 
fa una scelta dal significato e dagli effetti univoci: valuta 'preminenti gli 
interessi generali rispettivamente alla non-traumatica soppressione o al � risanamento 
� di una impresa di rilievo sociale rispetto agli interessi particolari 
dei creditori di essa, e conseguentemente sottrae alla giurisdizione ed affida 
alla pubblica amministrazione il compito di dirigere la liquidazione dei cespiti 
e, quando possibile, il risanamento dell'impresa, lasciando alla giurisdizione 
(ordinaria) solo un sindacato sulla formazione dello �stato passivo � (art. 209 
l.f.). In argomento, cfr. Cass. S.U. 17 febbraio 1971 n. 391 (in Dir. fall., 1971, 
II, 720) e Corte Cost. 17 aprile 1969 n. 87 (ivi, 1969, II, 361). Nella I.e.a. e nella 
amministrazione straordinaria �il procedimento si svolge al di fuori degli 
schemi giudiziali in maniera difforme dalle regole del processo esecutivo, per 
il tran1ite di organi che giudiziali certamente non sono,. (BAVETTA, voce 
Liquidazione coatta amm., Enc. dir., XXIV, 757); �se il fallimento ~ amministrazione 
publica di interessi privati, la 1.c.a. � amministraz~one di un interesse 
pubblico� (cos� PROVINCIALI). 

Quali siano questi organi non-giudiziali � la legge a stabilirlo in modo 

univoco: essi sono la �autorit� di vigilanza�, il commissario (o i commissari), 

e il .� comitato di sorveglianza�. 

Delicato il rapporto tra � autorit� di vigilanza� e commissario. Malgrado 

la denominazione, che parrebbe alludere ad una funzione solo di controllo 

lato sensu, l'autorit� di vigilanza � in realt� l'organo esponenziale di un inte




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

istituto diverso dalla liquidazione coatta amministrativa per natura, 
scopi, funzioni, caratteristiche, e struttura normativa e potenzialmente i: 
idoneo ad attuare un risanamento dell'impresa con l'eliminazione dello 

stato d'insolvenza), si porrebbero in contrasto con il principio� di ragio


li

nevolezza desumibile dall'art. 3, com~a primo, Cost. (omissis) 

!i

La questione non � fondata perch� non si avverte tra la I.e.a. e la a.s. 
quella diversit� dalla quale il giudice istruttore presso il Tribunale penale 
di Roma ha preso le mosse per inferirne la illegittimit� d�lla estensione 

I 
alla a.s. di norme del r.d. n. 267 del 1942 che disciplinano la I.e.a. e, 
soprattutto, quelle disciplinatrici dei delitti di bancarotta. 

I 

Aocomuna le due procedu~e la finalit� di attuare la responsabilit� 
patrimoniale delle imprese soggette mediante la soddisfazione dei cre


I 

ditori, che non vale a cancellare la circostanza che la a.s: miri ad. attin-

I f 

resse pubblico spesso avvertito indipendentemente dall'andamento dell'impresa 
(sotto forma di � vigilanza �) e che, sopravvenuta l'insolvenza, giustifica la 
sottrazione al fallimento; n� rileva gran che la circostanza che si tratti di 
interesse pubblico �di settore� (come ad esempio per le aziende di credito 
sottoposte a I.e.a.) o invece di interesse pubblico al perseguimento degli 
� indirizzi di politica industriale � (come per le grandi imprese in crisi sottoposte 
ad amministrazione straordinaria). In quanto organo esponenziale del 
predetto interesse pubblico l'autorit� di vigilanza -oltre ad aprire la procedura 
non giudiziale, a nominare il commissario, ed a �vigilare � sull'operato 
di costui -ha un generale potere di dare � direttive � (art. 204 primo comma 
citato), ossia di �alta direzione�. Potere questo che sostituisce, come ovvio, 
quel.).i attribuiti al giudice delegato ed al tribunale dagli artt. 23 e segg. legge fall. 
(ed in particolare dagli artt. 23, 25 e 35 di tale legge); e che per� va anche un 
po' al di l� dei poteri attribuiti ai predetti organi giurisdizionali proprio in 
ragione della natura amministrativa e della maggore complessit� degli obiettivi 
perseguiti dalla procedura (non solo liquidazione e concorsuale riparto 
delle attivit�, ma supen.nento delle � difficolt� � e quando possibile � risanamento
�). 

Ci� peraltro non rende il commissario un semplice esecutore di ordini 
amministrativi. Al contrario; il commissari� (e quindi le imprese commissariate 
cui l'attivit� dello stesso � imputata) ha compiti, poteri e responsabilit� 
pi� ampi di quelli di un ordinario curatore fallimentare, e -salvo i limiti 
posti da � direttive � formalmente date e dall'onere di acquisire le � autorizzazioni 
� delle quali si dir� -gestisce in piena e responsabile autonomia la 

I.e.a. e l'amministrazione straordinaria, e quindi in piena e responsabile autonomia 
esercita le legittimazioni -processuali e non -facenti capo alle imprese 
commissariate, e pone in essere in regime privatistico gli atti di commercio, 
compresi quelli eventualmente occorrenti per la liquidazione dei cespiti (o 
addirittura per le operazioni a livello di titolarit� del capitale delle societ� 
commissariate). 
Non pu� dunque aderirsi ad una semplicistica ed erronea inclusione di 
tutta l'attivit� di competenza del commissario o comunque da esso posta in 
essere nell'ambito dell'attivit� giusamministrativistica dell'autorit� c.d. di vigilanza; 
ci� quand'anche tale autorit� abbia dato formali direttive. Il commissario 
non fa trattative o contratti per conto dello Stato, non �vende � beni 
appartenenti allo Stato. D'altro canto, per�, neppure pu� aderirsi ad una 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

241 

gerla senza estinguere l'impresa debitrice: il che non sempre accade 
nella concretezza delle vicende della continuazione dell'esercizio dell'im.
presa che -lo si noti bene -non �. componente essenzial~ della a.s., 
perch� -rescrive l'art. 2 comma primo I. 95 del 1979 di conversione del 

d.I. 26 del 1979 -pu� essere disposta pur sempre �tenendo an�he conto 
dell'interesse dei creditori �, 
Ulteriore conferma � offerta dall'art. 4 d.I. 9 dicembre 1986, n. 835, 
convertita, con modificazioni, con I. 6 febbraio 1987, n. 19, il quale non si 
limita a disporre ohe la chiusura della procedura di a.s. � dispos~a con 
decreto dell'autorit� di vigilanza su istanza del commissario straordinario 
o d'ufficio precisandone le modalit� di pubblicazione e di comunica-

altrettanto semplicistica ed erronea � privatizzazione � di tutta l'attivit� posta 
in essere per la I.e.a. o per l'amministrazione straordinaria, e quindi ad uno 
snaturamento di detti istituti mediante il reingresso della giurisdizione ordinaria 
in' ambiti univocamente e giustificatamente ad essa sottratti. Il commissario 
non � un ordinario � liquidatore� di societ�, operante per conto dei 
soci con il solo limite della salvaguardia dei terzi creditori. 

Occorre dunque individuare una posizione che ..;.. con parecchia grossolanit� 
-potrebbe dirsi intermedia tra le due test� considerate (e ritenute 
entrambe non rispondenti alla normativa). Nella liquidazione dei cespiti, il 
commissario si muove � con strumenti giuridici di diritto privato, e pone in 
essere comportamenti ed atti da imputarsi alle imprese commissariate e ad 
esse soltanto; in sostanza egli opera come organo straordinario di queste, 
e nort � come funzionario dell'amministrazione. Tuttavia l'attivit� del commissario 
deve perseguire obiettivi; deve assicurare il conseguimento di � risultati �, 
che non sono privatistici e che possono essere indicati dall'autorit� di vigilanza. 
Purtroppo, la legittimazione non solo giuridica ad indicare obiettivi e � risultati'
� discende anche dalla normale diretta o indiretta onerosit� (per le casse 
pubbliche) dell'intervento dell'autorit�: non � dirigismo � imposto dal � principe 
�, ma � salvataggio� sollecitato, anzi� invocato dall'impresa. 

Fin qui si � trattato congiuntamente di I.e.a. e di amministrazione straordinaria. 
Da qui in poi le strade dei due istituti giuridici divergono. L'amministrazione 
straordinaria � infatti connotata da una peculiare finalit� -il 
� risanamento � -che qualifica sia le attivit� amministrative dell'autorit� di 
vigHanza sia le attivit� di varia natura (trattative, oontratti, atti di gestione) 
poste in essere dal commissario. Non v'� da soltanto � liquidare� i cespiti attivi 
di una singola impresa nel miglior modo possibile, v'� invece da rilanciare 
l'impresa in modp da consentirne la sopravvivenza e lo �sviluppo, se del caso 
ricollocandola in una strutura produttiva di dimensione e � forza � adeguate. 

Comunque rispetto . alle attivit� per cosi dire �interne� (colloqui, lettere, 
relazioni, etc.) del commissario straordinario -attivit� certamente non-giurisdizionali 
e quindi non-processuali -non sono configurabili in capo ai soggetti 
offerenti n� un � credito �. di facere n� un qualche potere quasi-processuale; 
ovviamente neppure � configurabile una sorta di interesse legittimo, che � 
figura come noto correlata all'esercizio di potest� amministrative da parte 
di una pubblica �amministrazione (e comunque tutelata dinanzi al Giudice 
amministrativo). . 

Tra le norme che disciplinano l'amministrazione straordinaria appare fondamentale 
e qualificante l'art. 2 comma quinto del d.l. 30 gennaio 1979 n. 29 
ove � previsto un �programma� imperniato su un ��piano di risanamento 



242 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione, ma statuisce ohe la procedura di a.s. pu� essere chiusa anche nei 
casi previsti nei numeri 2 e 4 dell'art. 118 r.d. 16 marzo 1942~ n. 267. 

Il procedimeI?-to, nel quale la Commissione tributaria di II grado di 
Roma ha dichiarato non manifestamente infondata, per contrasto con 
l'art. 24 Cost., la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 15, 
22 comma quarto e 30 d.P.R. 636 <;lel 1972 ha per oggetto il reclamo avverso 
la iscrizione a ruolo dell'ILOR, per l'anno 1986, della S.p.a. Genghini, 
della quale era in allora legale rappresentante l'ing. Mario Genghini, 
�he ha spiegato intervento nel procedimento avanti la Commissio


,ne tributaria di II grado di Roma introdotto dal commissario della 

S.p.a. Genghini, collocato -dopo essere stata dichiarata fallita con sen� 
tenza 25 gennaio 1980 -in a.s. con d.m. 19 settembre 1980. 
coerente con gli indirizzi di politica industriale� (ovviamente indicati dal 

Governo); l'esecuzione di questi �programma� e �piano� � autorizzata dal


l'autorit� di vigilanza � sti conforme parere del C.I.P.I. �. In sostanza, dunque, 

� il Governo nella sua collegialit� (il C.I.P.I. � come noto un comitato intermi


nisteriale) a fissare gli obiettivi ed i risultati cui l'amministrazione straordi


naria deve tendere; obiettivi e risultati che certamente possono, anzi dovreb


bero, coinvolgere l'intero � settore � nel quale l'impresa da risanare operava 

e deve continuare ad operare. Sicch�, il piano di risanamento della grande 

impresa in crisi � in misura pi� o meno pronunciata anche un piano di 

settore. 


In questo quadro appare evidente che l'autorit� di vigilanza � un'entit� 

complessa per cos� dire � � a due livelli �, costituita dal C.I.P.I., espressione della 

collegialit� di Governo, e -in posizione attuativa e subalterna -dal Mini� 

stro dell'Industria (che sia attuativa e subalterna � confermato dal sesto 

comma dell'art. 2 citato, ove � prevista �autorizzazione � direttamente dal 

C.I.P.I. �sino a quando il programma non � esecutivo�); ed appare evidente 
anche che il Potere Esecutivo assume un determinante ruolo di guida dell'intera 
operazione di � risanamento �, anzitutto individuando gli �assetti imprenditoriali 
� da dare, in prospettiva, ad un settore industriale o ad un 
importante segmento di esso. In questo quadro, ad esempio, il Potere Esecutivo 
legittimamente potrebbe individuare una impresa (anche diversa da quelle 
sottoposte ad amministrazione straordinaria) attorno alla quale costruire iin 
� polo � industriale per il settore; e quindi persino escludere in radice procedure 
concorsuali per la ricerca dell'acquirente dei cespiti delle imprese commissariate. 
Giustamente � stato osservato, con riferimento alla I.e.a., che � la destinazione 
delle attrezzature aziendali rappresenta il punto fulcrale delle preoccupazioni 
che gravitano sull'istituto e che lo giustificano� (PAJARDI, Manuale 
di dir. fall., 1983, 815). Cionondimeno la differenza tra l'amministrazione straordinaria 
e le procedure preminentemente liquidatorie (quale la I.e.a.) risulta 
cospicua, sia sul piano delle finalit� (alias funzionale) sia sul piano delle isti� 
tuzioni attributarie di competenza (non solo l'amministrazione-apparato ma 
l'autorit� di Governo nella sua collegialit�). ' 

Quanto precede naturalmente qualifica in modo peculiare anche ,l'� autorizzazione 
� ministeriale. Sia l'amministrazione straordinaria che la I.e.a. conoscono 
l'� autorizzazione� dell'autorit� amministrativa vigilante (art. 210 comma 
secondo legge fall. e art. 6 bis comma primo aggiunto in sede di conversione 

r.�.�.�.�.�:.�:.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.-.�.�r.r.�.�.�.�.� 

�����rr���r�.r�r��-..��r�r���c��.r� 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 243 

Quale che fosse la posizione assunta dall'ing. Mario Genghini -se 
in proprio ovvero in qualit� di legale rappresentante della S.p.a. Genghini 
al tempo della iscrizione a ruolo (dubbio che il giudice a quo non 
si � curato di diradare) -, l'autorit� della decisione di merjto, che la 
Commissione tributaria di secondo grado fosse per emettere, non avrebbe 
vincolato l'ing. Mario Genghini (in proprio o quale in allora rappre


-sentante della S.p.a. Genghini) che pertanto difettava d'interesse a spiegare 
intervento. Questa Corte, con sent. n. 247 del 1983, ha, ribadendo 
l'indh'izzo espresso nelle sent~nze n. 30 del 1971 e n. 99 del 1973, dichiarato 
l'illegittimit� costituzionale dell'a.rt. 56 u.c. d.P.R. 29 settembre 1973, 

n. �600, nella parte in cui comporta che l'a�certamento dell'imposta divenuto 
definitivo in conseguenza della decisione di una commissione trial 
d.l. 30 gennaio 1979 n.. 26); va per� �detto che la stessa espressione -� autorizzazione 
dell'autorit� che Vigila� -� u�sata in contesti legislativi diversi. 
V'� di pi�: la parola � autorizza� � utilizzata dalla legge fallimentare (artt. 25 
e 35) anche per il rapporto tra Giudice e curatore; ed � noto che moltissimo 
� stato scritto in giurisprudenza ed in dottrina circa questa � autorizzazione � 
del Giudice e circa il rapporto tra i poteri direttivi del Giudice ed i compiti 
esecutivi (e connesse responsabilit�) del curatore. 

Il raffronto tra le � autorizzazioni� -quelle date dal Giudice e quelle 
date dall'autorit� amministrativa -conduce ad evidenziare uri connotato comune, 
l'essere espressione di un potere direttivo pi� ampio di quanto potrebbe 
desumersi dalla parola-usata, solitamente utilizzata per .descrivere un fenomeno 
diverso e minore quale la semplice � integrazione � della volont� del soggetto 

� 
autorizzato (MAzzoccA, Manuale dir. fall., 1980, 173), e per� anche ad evidenziare 
i connotati differenzianti. Questi ultimi non si esauriscono nella consta� 
tazione ov'Via che l'autorizzazione del Giudice � atto di giurisdizione mentre 
quelle ministeriali sono atti amministrativi discrezionali; � proprio la sostanza 
di questa discrezionalit�, le finalit� che ad essa sono assegnate, a differenziare 
maggiormente. Nella I.e.a. l'intervento autorizzatorio potrebbe, in ipotesi 
(non frequente peraltro), ispirarsi ad una finalit� non molto lontana da quella 
liquidatoria propria del fallimento, e cio� essere finalizzato soltanto alla (meno 
traumatica possibile) soppressione dell'entit� produttiva sottoposta a procedura. 
Nell'amministrazione straordinaria invece un siffatto obiettivo sarebbe troppo 
modesto; e l'intervento autorizzatorio deve realizzare un disegno pi� ampio, 
a livello di impresa ed a livello di settore, per il pi� conveniente riassetto 
program~to in coerenza con gli �indirizzi di politica industriale�, A tale 
disegno persino i diritti dei creditori risultal)o subordinati, come risulta espressamente 
dal citato art. 2 comma quinto ove si dice � tenendo conto degli 
interessi dei creditori �. 

Proprio questo nucleo di discrezionalit� politico-amministrativa qualifica 
l'amministrazione straordinaria e ne fa un istituto peculiare ed al tempo stesso 
unitario. Non � pensabile che lo Stato-amministrazione, dopo aver sopportato 
l'onere di un intervento finanziario per il �risanamento�, s' disinteressi della 
sorte dell'impresa (� a caro prezzo �) risanata, rinunci a valutare discrezionalmente 
la coerenza della sua gestione e del suo auspicato �sviluppo con gli 
� indirizzi di politica industriale �, e la lasci scivolar via secondo una logica 
di tipo liqJJidatorio-fallimentare . 

� _. �������������� ,., , , _ .����������������������������,.�,�,�.�.�.�,�.�.�,�,�.�.�.�.�.�,�,�,�,�.�:.�.�,�.�.�.�,�,�,�,�.�.�,�,�,�.�.�.� .�.�,�rr.-,.�r,�.�,�.�,�,�.�.�,�,�rr.;.�.� 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

244 

butaria vincoli il giudice penale nella cognizione dei reati previsti in materia 
di imposte sui redditi, contestati a chi sia rimasto estraneo al giudizio 
tributario perch� non posto in condizione di intervenirvi-o di par-
teciparvi. Legittimato a rappresentare la S.p.a. Genghini nel procedimento 
di arppello era il commissario della a.s., che lo aveva promosso, n� l'ing. 

Mario Genghini poteva intervenire in grado di appello perch� la decisione 
di secondo grado non avrebbe fatto stato nei confronti di lui. 

Per quel ohe attiene agli effetti civili � apipena il caso di richiamare 
il rispetto dei limiti oggettivi e soggettivi dell'autorit� della cosa giudicata. 


Pertanto la questione di costituzionailit� va dichiarata inammissibile 
sia per difetto di motivazione del giudice a quo sulla rilevanza sia, 

pi� radicalmente, per difetto di rilevanza. (omissis) 

Al Potere Esecutivo, e ad esso soltanto, �spetta� (non a caso si usa un 

I

linguaggio da cohflitto di attribuzione tra poteri) valutare discrezionalmente 
quale sia stata �l'offerta migliore� tra le pi� pervenute, quali offerte siano 
maggiormente idonee al conseguimento degli obiettivi di risanamento e di 

I

�assetto � del. settore. A tale valutazione discrezionale il Potere Esecutivo pu� 

I 
f.

procedere, a sua scelta, sia mediante � direttive � ex art. 204 citato, sia in 
esito al procedimento amministrativo di �autorizzazione� (procedimento il cui 
esito ben pu� essere il rifiuto di autorizzazione), sia anche in sede collegiale 
ossia a livello di C.l.P.I. 

Trattasi, come evidente, di una valutazione molto complessa, che deve 
apprezzare congiuntamente l'esigenza di � adeguata salvaguardia dei. patrimoni 
aziendali e qei livelli occupazionali�, gli � indirizzi (governativi) di politica � io: 

industriale �, la fattibilit� e preferibilit� di � nuovi assetti imprenditoriali �, 
la possibilit� di preservare �l'unit� dei complessi operativi�, le opportunit� 
offerte dai mercati delle merci prodotte dell'impresa in crisi, ed anche -tra 
l'altro -gli �interessi dei creditori � nel quadro della situazione generale 
degli operatori finanziari, etc. Trattasi di ,una valutazione inevitabilmente politica 
ed economica per la quale la giurisdizione ordinaria non � n� attrezzata 
n� legittimata. Proprio per consentire una valutazione siffatta -e non per 
privilegio soggettivo -si ha l'� esclusione dal fallimento � diretto dalla giurisdizione; 
e si ha anche esclusione dell'autorizzabilit� di sequestri conservativi 
(art. 6 comma secondo del d.l. 4 settembre 1987 n. 366, conv. con legge 3 novembre 
1987 n. 452), i quali sottrarrebbero i cespiti delle imprese sottoposte 
ad amministrazione straordinaria alla destinazione di pubblico int~esse per 

I 


essi riconosciuta dalla legge. 

(2) La seconda parte della sentenza in rassegna risolve correttamente un 
problema di notevole importanza, e reso delicato dalla insufficiente disciplina 
dell'intervento nel processo tributario. Il decreto correttivo del 1981 ha lasciato 
scivolare nel d.P.R. n. 636 del 1972 (nell'art. 30, primo comma) un accenno 
all'intervento, senza disporre esplicitamente -come invece nello schema di 
� d.P.R. 
predisposto in sede tecnica -che in detto processo ammissibile � solo 
l'intervento ad adiuvandum. 

FRANCO FAVARA 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

245 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 maggio 1987, n. 202 -Pres. La Pergola -
Rel. Corasaniti -Di Figlia (n.p.). 

Avvocati e procuratori -Patrocinio dinanzi alle Preture -Persone diverse 
dagli avvocati e procuratori -Ammissione al predetto patrocinio 
� Illegittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 33; legge 7 luglio 1901, n. 283, art. 6; r.d. 6 settembre 1922, n. 1316, 
art. 15; r.d. 6 settembre 1923, n. 1920, art. 2; r.d.l. 13 agosto 1926, n. 1459, art. 1; 
legge 28 giugno 1928, n. 1415, artt. 1 e 3). 

Contrastano .con .gli 1artt. 3 .e 33 Cast. fart. 6, 1~ett�re a e b della 
lepge n. 283 del 1901 e le successive disposizioni confermative di esso 
(articolo) nella parte in cui consente a notai, laureati in giurisprudenza 
e .studenti che abbiano superato -determinati :esami di tale corso di 
laurea, di 1es.ercitare ~l ,patrocinio 1davranti 1all1e jPret.urje ub.icatle �in comuni 
dotati di tribunale ovvero privi di tale ufficio (1). 

� denunciato a questa Corte, in riferimento agli artt. 3, comma primo, 
24, comma secondo, e 33, comma quinto, Cost., l'art. 6, lett. a), della 
legge 7 luglio 1901, n. 283 (Sugli onorari dei procuratori e sul patrocinio 
legale nelle preture). 

La suindicata disposizione consente il patrocinio legale dinanzi alle 
preture site nei comuni ohe sono sede di tribunale, oltre ohe agli avvocati 
e procuratori, anohe ai notai, ai laureati in legge ed a coloro che 
hanno sostenuto gli esami stabiliti dalle discipline universitarie per lo 
studio del diritto civile e penale, del diritto commerciale, della procedura 
civile e penale. Consente inoltre, combinandosi con il disposto della 
lett. b) dello stesso articolo ~che alla lett. a fa specifico riferimento), che 
i soggetti, diversi dagli avvocati e procuratori, in essa indicati\ esercitino 
il patrocinio anche nelle preture site in comuni che non sono sede di 
tribunale. 

Ci� � ritenuto, dal giudice a quo, lesivo di vari precetti costituzionali: 
dell'art. 33, comma quinto, per essere consentito l'esercizio della 
professione legale davanti alle preture a soggetti che non hanno superato 
l'esame di Stato; dell'art. 3, comma primo, per essere posti sullo stesso 
piano professionisti muniti di diversi titoli abilitanti; dell'art. 24, comma 
secondo, percl;l� il diritto di difesa deve essere inteso come potest� effettiva 
di valida assistenza tecnica. 

(1) Dopo questa sentenza potrebbe essere sollevata questione per il patrocinio 
dinanzi alle commissioni tributarie, a cominciare dalla commissione centrale, 
ingolfata da migliaia di ricorsi non di rado o dilatori (quando ricorrente 
� il contribuente) o meramente ripetitivi (quando ricorrente � l'ufficio). Peraltro, 
l'eventuale introduzione del patrocinio legale obbligatorio concretamente 
rilancerebbe la via alternativa deila impugnazione dinanzi alla Corte di appello. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

246 

.Come ha ricordato il giudice a quo, questa Corte si � gi� pronunciata 
sul patrocinio davanti alle preture, con la sentenza n. 127 del 1985. 
Con tale decisione, tuttavia, la Corte, in ragione dei limiti della questione 
sottop�stale, ha preso in esame soltanto uno specifico aspetto 
dell'istituto del patrocinio esercitato davanti alle preture da soggetti 
diversi dagli avvocati e procuratori. In particolare si � oooupata del patrocinio 
davanti alle sole � preture minori � (site i:n comuni non sede di 
tribunale), esplicato, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 6, lett. b), 
e 7 della legge n. 283 del 1901, su abilitazione concessa dal tribunale in 
camera� di consiglio, da persone fornite di dati r~quisiti (incensurata 
condotta; possesso di determinati titoli di studio o di precedenti esperienze 
professionali). 

La suindicata pronuncia non riguarda, invece, la diversa ipotesi 
del patrocinio consentito a p_ersone diverse dagli avvocati o procuratori, 
aventi i requisiti elencati nell'art. 6, lett. a), ed iscritti in apposito albo 
ad opera del Presidente del tribunale, previo il m~ro riscontro dei requisiti 
anzidetti, tanto nelle preture. site in comuni sede di tribunale 
(art. 6, lett. a), che nelle preture ubicate in comuni non dotati di tribunale 
(art. 6, lett. b, prima parte). 

Orbene, l'ordinanza del Tribunale di Lucca -pur rifere.dosi ad un . 
caso di iscrizione nell'albo chiesta al fine di esercitare il patrocinio nelle 
preture minori da persona avente i requisiti di cui alla lett. a) -finisce 
con l'investire l'intero sistema normativo quale � delineato dall'art. 6, 
lett. ~) e b), della legge n. 283 del 1901, nella parte non caducata dalla 
sentenza� n. 127 del 1985, poich� censura nella sua globalit� la disciplina 
del patrocinio davanti alle preture ad opera di soggetti diversi dagli 
avvocati e procuratori. 

La questione � fondata. Con la siiindicata sentenza n. � 127 del 1985 
si � negato che abbia una razionale gim~tificazione l'ammissione al patrocinio 
davanti alle preture, senza limiti di tempo e al di fuori di ogni 
esigenza apprezzabile, di persone, diverse dagli avvocati e procuratori, 
non preventivamente sottoposte al controllo di idoneit� tecnica costituito 
dall'esame di Stato (art. 33, comma quinto, Cost.) o da equipollente 
di esso. 

A1 riguardo si � infatti osservato che l'esenzione dei patrocinatori 
dall'esame di Stato non pu� trovare adeguata giustificazione nella facolt�, 
concessa alle parti nel giudizio pretorile, di � autodifesa�, poich� 
questa � subordinata all'autorizzazione del pretore, nelle cause civili, 
ed � ammessa solo per limitate ipotesi in materia penale (art. 125 c,p.p.), 
ed implica, comunque, una scelta tra l'autodifesa ed una difesa tecnica 
che dia garanzie di � tecnica � adeguatezza; che la pretesa minore 
importanza delle cause attribuite alla cognizione del pretore � contrastata 
dal graduale incremento, qualitativo e quantitativo, della compe




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

tenza del pretore, che � ovviamente identica in tutte le preture, quale 
che sia la loro ubicazione; ahe, infine, la non facile reperibilit� di difensori 
nei centri minori derivante dalla non agevole aocessibilit� di 
questi ultimi, ehe costitu� una delle ragioni dell'introduzione della figura 
del patrocinatore, appare ormaii inattuale in .ragione dell'elevato 
livello raggiunto dai mezzi di comunicazione. 

Tali considerazioni, espresse in riferimento ai patrocinatori abilitati 
.ex art. 7 della legge n. 283 del 1901, valgono altres� per i patrocinatori 
di cui all'art. 6, lett. a), stessa legge. Invero, n� la qualifica professionale 
(notaio) n� il titolo culturale (laurea in giurisprudenza o superamento 
di determinati esami di tale corso di laurea) ad essi riohdestd possono 
assicurare quell'indispensabile vaglio di specifica idoneit� tecnica all'eseroi:
z.�o della professione forense che solo l'esame di Stato o un adeguato 
equipollente (non ravvisabile nel superamento del concorso notarile, 
in quanto finalizzato all'abilitazione ad una attivit� professionale 
nettamente diversa) sono in grado di garantire. 

N� vale opporre che, ai sensi dell'art. 32 dell'ordinamento g;iuidiziario 

(r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), i notai ed � laureati in giurisprudenza possono 
essere nominati vice-pretori onorari. In proposito � sufficiente rilevare 
che quella del vice pretore � una funzione a �arattere onorario 
e non gi� una attivit� professionale come quella del patrocinatore; che 
il relativo incarico ha durata limitata ad un triennio (con possibilit� 
di conferma) mentre l'esercizio della professione del patrocinatore � 
senza limiti di tempo; che, infine, la nomina � subo11dinata a un ri~or 
roso vaglio di idoneit� da parte del Consiglio Superiore della Mag;istratura. 
Pertanto va dichiarato illegittimo per violazione degli artt. 33, comma 
quinto, e 3, comma primo, Cost., l'art. 6 lett. a) e b), della legge 
n. 283 del 1901, nella parte� in cui consente, a notai, laureati in giurisprudenza 
e �Studenti che abbi-ano SlllPerato determinati esami di tale corso 
di laurea, di esercitare iJ patrocinio davanti alle preture ubicate in comuni 
dotati di tribunale ovvero privi di tale ufficio. 
Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va inoltre dichiarata 
l'illegittimit� costituzionale conseguenziale delle disposizioni 
legislative che hanno successivamente tenuto ferme le norme suindicate, 
e precisamente: l'art. 15, ultima parte, del regicxlecreto 20 settembre 
1922, n. 1316 (Esecuzione dell'art. 5 della legge 15 settembre 1922, n. 1287, 
che modifica la competenza dei pretori e dei conciliatori); l'art. 2 del 
redio-Oecreto 6 settembre 1923, n. 1920 (Norme transiitorie per il patrocinio 
davanti alle preture); l'art. 1 del ~egio decreto-legge 13 agosto 
1926, n. 1459 (Norme riguaroanti i. patrocinatori legali); gli artt. 1 e 3 
della legge 28 giugno 1928, n. 1415 (Norme per il patrocinio innanzi alle 
preture). 


248 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

� appena il caso di rilevare che la presente decisione � riferita al 
patrocinio davanti aille preture, e non anohe a que1lo davanti agli uffici 

di conciliazione (art. 82, comma primo, c.p.c.). 

l 
t 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 giugno 1987, n. 217 -Pres. La Pergola . 
Rel. Baldassarre -Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv: gen. 
Stato Azzariti) e Regioni Liguria (avv. Panunzio) e Calabria (avv. 
Silvestri). " 

Regioni -Impiego pubblico -Accordi collettivi -Rapporto con l'attri� 
buzione in materia di ordinamento degli uffici. 

L'ind�efettibile rcarattierie � unilatiemle � 'lZella ,iiscip1'in;a \del 111apporto 
d'impiego pubblico, 1in rconformit� !delle 1ris1erv.e 1di .~eg[�e \P�11evis~e ,in \materia 
dalla Costituzione (artt. 97 e 117), pu� essere regolato e limitato, 
anche rnn la p11evisione di specifiche ip,rocedure iche \diano spazio a 
pnevie /inteS.e fra ile rparti pubb:liche .e. ,sociali, 1saltantio 'it'n base ,ad .una 
legge statale che armonizzi le varie esigenze costituzionali coinvolte 
nella materia ..Gli �accordi sindacali pnevisti dalZa Jlegge ;quadro r29 �marza 
1983 n. 93 comporvano 1un vincolo ldirlettwo idi ,massima wer ml 1Legislatore 
.regionale (1). 

(omissis) Resta da considerare l'ultimo profilo di costituzionalit� 
prospettato_dai ricorsi governativi: l'asserita violazione dell'art. 117 Cost. 
in relazione ahl'art. 3 (disciplina in base ad accordi) e all'art. 10 (accordi 
sindacali per i dipendenti delle regioni e degli enti pubblici non economici 
da esse d1pendenti) della legge 29 marzo 1983 n. 93 (legge quadro 
sul pubblico impiego). 

Pi� precisamente, sia la legge della Regione Liguria sia quella della 
Regione Calabria violerebbero i princ�pi posti dagli artt. 3 e 10 della 
legge quadro sul pubblico impiego. Mentre la prima si porrebbe in contrasto 
con l'accordo ~ollettivo nazionale per fil personale delle Regioni 
stipulato il 24 .febbraio 1979 e valido per il trienno 1976-1978, che limitava 
l'accesso ai livelli super�ori soltanto al personaile in servizio al 30 settembre 
1978, la seconda invece non sarebbe conforme all'accordo collettivo 
nazionale per il personale regionale stipulato il 29 aprile 1983 e valido 
per il triennio 1982-1984, che, per l'inquadramento di tutto�il personale 

� 

(1) La sentenza riconosce allo Stato la potest� di armonizzare, con proprie 
leggi, le attribuzioni regionali in materia di ordinamento degli uffici e di 
bilancio con il � principo della contrattazione collettiva �. La legge quadro n. 93 
del 1983 assume cos� il rango di normativa integrativa dell'ordinamento costi� 
tuzionale. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

regionale e quindi anche dli quello assunto a contratto, prevedeva un 
concorso pubblico con riserva di posti a favore dello stesso personale. 
Analogamente, la legge della Regione Veneto � sospettata di incostituzionalit�, 
sotto il profilo considerato, per l'asserita violazione �el solo 
art. 10 della legge quadro sul pubblico impiego, in quanto si porrebbe in 
contrasto con l'aocordo collettivo nazionale stipulato il 29 aprile 1983 
e valido per il triennio 1982-1984, che prevedeva il pubblico .c�ncorso con 
riserva di posti per l'aocesso al livello funzionale di dirigente. 

Le censure sono infondate. 

Tutti i profili di illegittimit� costituzionale appena riferiti presUlpp~
ngono, perch�.� siano ritenuti fondati, la piena equiparazione degli accordi 
collettivi ricordati al punto precedente con gli aocordi sindacali 
previsti nella legge quadro sul pubblico impiego come base normativa 
di massima per la disciplina, attraverso leggi regionali, del rapporto di 
impiego nelle Regioni a statuto ordinario. Ma propr1io questa premessa 
comune a tutte le prospettazioni d'incostituzionalit� di cui ora si tratta, 
peraltro respinta dalle Regioni resistenti, non pu� essere condivisa. 

Come � stato pi� volte riconosciuto da questa Corte (sentenze n. 219 
del 1984, 290 del 1984, 72 del 1985), la legge n. 93 del 1983 ha esteso al 
rapporto d'impiego :pubblico, compreso quello regionale e degli enti locali, 
il princip.io che la disciplina dell'intera dinamica delle retribuzioni 
e delle condizioni di lavoro dei dipendenti abbia un punto di riferimento 
essenziale nell'intesa fra le parti in causa (rprinaipio del'la contrattazione 
collettiva). Tuttavia, come � del resto esplicitamente riconosciuto dallo 
stesso art. 3 della legge quadro sul pubblico impiego, questo principio, 
che in quanto tale deriva direttamente dall'art. 39 u.c. Cost., va coordinato 
con l'altro principio, ohe a livello costituzionale trova riconoscimento 
negli artt. 97 e 117 Cost., secondo il quale l'organizzazione dei 
pubblici uffici spetta alle leggii.. dello Stato e � delle Regioni in base ai 
rispettivi ambiti di competenza. Ci� comporta, come ha sottolineato questa 
Corte nelle pronunzie gi� ricordate, che, ferma restando la competenza 
legislativa regionale in materia di ordinamento degli uffici ex 
art. 117 Cost., si deve riconoscere agli accordi sindacali previsti dalla. 
legge quadro sul pubblico impiego la natUJra di previe intese comportanti 
un vtlncolo direttivo di massima verso il legislatore regionale, nel 
senso che non si pu� negare a quest'ultimo il potere di modificare o di 
integrare il contenuto degli aocordi al fine di adeguarlo �alle peculiarit� 
dell'ordinamento degli uffici (propri) e alle disponibilit� del bilancio 
regionale� (sent. n. 219 del 1984, nonch� sentenze n. 290 del 1984 e 72 
del 1985). 

In altre parole, in relazione alle leggi regionali, l'accordo collettivo 
nazionale ha la rilevanza di un atto di cooperazione fra le parti sociali 
e le parti pubbliche (Governo e Regioni) direttamente interessate alla 


250 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

disciplina normativa del personale e degli uffici regionali, il quale � 
volto ad attuare un cooJ.idinamento preventivo di massima della legislazione 
regionale, al fine di garantiire un'uniformit� di trattamento giuridico 
e retributivo nei confronti dei dipendenti delle varie Regioni a 
statuto ordinario e una politic~ dii bilancio responsabile. Sotto questo 
profilo, dunque, la soluzione adottata dall'art. 3 della legge quadro sul 
pubblico impiego, ohe nei confronti delle R!egioni consiste nel principio 
della �disciplina legislati'Va in base ad accordi�, rappresenta uno dei 
possibili svolgimenti, operato dal legislatore nazionale secondo il suo 
discrezionale apprezzamento, di, una duplice direttiva 'costituzionale: 
'quella del � principio contratttiafo � in materia di disciplina delle condizioni 
di lavoro e delle retribuzioni (art. 39 Cost.) e quella dell'autonomia 
legislativa regionale in materia di organizzazione ,degli uffici e del 
personale delle Regioni stesse nell'ambito dei princ�pi fondamentali 
stabiliti dalle leggi dello. Stato (art. 117 Cost.). 

Nell'operare il delicato bilanciamento �fra questi vari interes~i la 
legge quadro sul puibblico impiego ha previsto una serie di garanzie attinentii 
alle condizioni, alle. modalit� procedurali ~ ai tempi degli accordi 
collettivi, nonch� a11a formazione delle delegazioni stipulanti -affinoh� 
quegli accordi siano in grado di assolvere alla complessa funzione 
politica, e costituzionale loro demandata. 

Innan:llitutto, l'.art. 10 della predetta legge stabilisce con precisione 
la composizione delle � delegazioni � stipulanti, prevedendo, per la parte 
regionale, la presenza di un rappresentante per ciascuna Regione e, per 
la parte governativa, la presenza del Presidente del Consiglio dei ministri 
(o del Ministro della Fun:llione Pubblica, in� sua vece), del Ministro 
del Tesoro, del Ministro del Bi~ancio e della Progl'.1ammazione Economica 
e del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, salve le integrazioni 
dei Min.istri competenti in relazione alle materie trattate (nel 
corso delle trattatiJve, la delegazione governativa � comunque tenuta a 
riferire costantemente al Consiglio dei ministri). Per la parte s-indacale, 
l'art. 11 stabilisce ohe i sindacati, per es�sere ammessi alla trattativa, devono 
aver adottato codici di autoregolamentazione del diritto di sciopero, 
dotati di alcune norme essenziali ivi precisate (preavviso non inferiore 
a 15 giorni, garanzia dello svolgimento dei servizi pubblici essenziali). 
Si tratta di una norma, quest'ultima, ohe tende a �riconoscere�' 
come parti sindacali le organizzazioni pi� rappresentative e pi� responsabili. 


Dopo che l'art. 5 prevede che la legge possa condizionare l'.inizio 
delle trattative alla determinazione dei comparti (settori omogenei e 
affini), ancora l'art. 10, richiamando l'art. 6, dispone le procedure di 
formazion~degli accordi, stabilendo ahe: a) le delegazioni inizino le trattative 
almeno otto mesi prima della scadenza del precedente accordo 

.-;.-;.:..;-:-:�z�z.-:.-:�z1z�z::::.-:.-:�z�z�z.-:�:�:�z.-:-:�:�:�:�: .�.�.�::::::.:-:�'.�:-�-�.�.�.�.'�'.�'.;'.�:���������������'.�'.����-�.�.�.�.�.�-:-�-:.�-�.��:�������:��<�'.�'.�'.�'."�"�'����.-.-.�.-<�'.�'.�'.�".-"-"-"-"-"�".-"�"�"�"-"�"-"�"�"::.�.-.�.�.:���:-�-:-�-��'.�:��.�:.z.-.�.�. :�:�:�:�:-:�'.�'.�'.�'.�'.-:�Z�'.-'.�:�'.�'.-'.�'.�'.�'.-'.�'.�'.�:-:-:�:�'.�'.�'.�'.-:�'.�'.'.-:�'.�'.�'.�:�'.�'.�'.�'.'>'.�'.�'.-'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�'.�:�'.��.-.:�'.�"���:�'.-'.�:���z.--:-:� 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

per giungere a un'ipotesi di accordo nel giro di quattro mesi; b) siano 
comunicati alle Commissioni Parlamentairi competenti i contenuti dell'ipotesi 
di accol'.'do; e) il Consiglio dei ministri verifiichi le compatibilit� 
finanziarie entro trenta giorni dalla formulazione dell'ipotesi di accordo 
e imponga, se del caso, un riesame dell'ipotesi stessa; d) le Regioni re.
cepiscano il contenuto degli accordi, apportandovi eventualmente le modifiche 
e le integrazioni dettate dalle proprie peculiarit� organizzative 

e dalle disponibilit� di bilancio stanziate allo scopo. 

Com'� evidente, la legge quadro sul pubblico impiego tenta di contemperare 
i diversi interessi costituzionali coinvolti -quali dl principio 
della contrattazione collettiva, il principio dell'autonomia legislativa re� 
gionale (e conseguenti riserve di legge, statale e regionale) e il principio 
del coordinamento nazionale delle legislazioni delle Regioni, se pur per 
via cooperativa -attraverso la' pref,igurazione delle parti stipulanti e 
la fissazione di procedure rigorose, al fine di conferire agli accordi collettivi 
contemplati dalla stessa lewge un particolare valore e una specifica 
efficacia direttiva. Valore ed efficacia che non sembra possano riconoscersi 
ad accordi collettivi stipulati da 'soggetti diversi da quelli prescritti 
e con procedure sfornite del tutto delle garanzie predisposte dalla 
predetta legge, come del resto traspare dallo stesso art. 3 della legge 

n. 93 del 1983 che riserva la disciplina delle materie ivi previste ai procedimenti 
e agli accordi � contemplati daila presente legge �. 
I c.d. accordi nazionali per il personale delle Regioni, invocati nei 
presenti giudizi come parametri di legittimit� delle leggi regi�nali riferite 
in narrativa, sono i�' realt� del tutto diversi da queHi contemplati 
dalla legge quadro. Questi accordi sono stati stipulati, da un lato, da 
rappresentanti di alcuni ministeri che non sono tutti quelli indicati 
nella legge quadro e, dall'altro, da rappresentanti di alcune Regioni (cinque 
per l'esattezz�), ohe non potevano ovviamente impegnare in alcun 
modo le altre Regioni lontane dal tavolo della trattativa. Inoltre, il conten1:
1to di questi aocordi non � ta!le da potersi identificare con gli oggetti 
che l'art. 3 della legge quadro sul pubblico impiego considera materie 
della �disciplina in base ad accordi �, ma tocca pii.lttosto oggetti come, 
ad esempio, la responsabilit� dei dirigenti, la dotazione massima 
della seconda qualifica dirigenzia:le e le competenze a ril~vanza esterna 
dei dirigenti -che sono riservate alla disciplina della legge regionale 
(anche a norma dell'art. 2 legge n. 93 del 1983). Infine, la decorrenza 
tanto dell'accordo nazionale del 1979 quanto quello del 1983 si riferisce, 
del tutto (nel primo caso) o in gran parte (nel secondo caso), a periodi 
anteriori alla vigenza stessa della legge quadro sul pubblico impiego. 

In breve, l'indefettibile carattere �unilaterale� della disciplina del 
rapporto d'impiego pubblico, in conformit� delle riserve di legge previste 
in materia dalla Costituzione (artt. 97 e 117), pu� essere regolato e 


252 RASSEG~A DELL'AVVOCATURA DELL� STATO 

limitato, anche con la previsione di specifiche procedure che diano spazio 
a previe intese fra le parti pubbliche e sociali, soltanto in base a una 
legge statale che armonizzi le varie esigenze costituzionali coinvolte nella 
materia (come ha affermato questa Corte nella sent. n. 161 del 1982). 
In mancanza di queste condizioni, com'� nel caso dei c.d. accordi col



lettivi nazionali invocati nei presenti giudizi, non si pu� riconoscere aille 
corrispondenti intese un significato diverso da quello di un mero fatto 
politico, ancorch� rilevante come tale, di fronte al quale il potere della 
Regione di disdplim.ire l'organizzazione dei propri uffici e l'ordinamento 

I

~

deVe carriere ex art. 117 Cost. resta del tutto integro, libero cio� di se


guire le proprie autonome valutazioni e di discostarsi pertanto dal contenuto 
dell'accordo stesso. 

CORTE COSTITUZIONALE, 6 luglio 1987,. n. 243 -Pres. Andrioli -Rel. 
Greco -Regione Friuli Venezia Giulia (avv. Pacia), regioni Lombardia 
ed Emilia (avv. Onida), regione Toscana (avv. Cheli} e Presidente 
Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Regioni�� Materie sanit� e assistenza sociale -Recupero e reinserimento 
dei tossicodipendenti � Contributi al volontariato -:�: competenza 
dello Sfato. 
(Statuto Friuli V. G., art.. 5; Cost., artt. 117, 118 e 119; d.!. 22 aprile 1985, n. 144, 

artt. 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater e 2). , 

Il recupero e reinserimento dei tossicodipendenti -finalit� nella specie 
perseguita mediante sovvenzioni ad enti ed associazioni di volontariato 
-� di competenza dello Stato piuttosto che delle Regioni. 

(omissis) Lo Stato, anche in adempimento degli obblighi internazionali 
assunti (Convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York 
il 30 marzo 1961 e protocollo di emendamenti adottato a Ginevra il 25 
mar2'o 1971, ratificata con legge 5 giugno 1974 n. 412), si � assunto il 
compito di debellare il fenomeno della tossicodipendenza in tutti i suoi 
complessi aspetti ed in tutte le sue implicanze ed effetti dannosi. � 

Si ricorda che l'art. 38 della detta convenzione, modificato�dall'art. 15 
del protocollo di emendamento, stabilisce che gli Stati adotteranno le 
misure pi� idonee per assicurare la pronta diagnosi, la cura, la postcura, 
la riabilitazione ed il reinserimento sociale delle persone interessate. 

Per una pi� completa e radicale disciplina della materia, a modifica 
della legislazione precedente, con la legige n. 685 del 1975, lo Stato ha 
trasferito alle Regioni le funzioni per la prevenzi�me e l'intervento contro 
l'uso non terapeutico del1e sostanze stupefacenti e psicotrope per i suddetti 
fini (diagnosi, cura, riabilitazione e reinserimento sociale degli \ 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA �oSTITUZIONALE 253. 

interessati) riservandosi funzioni di indirizzo e di coordinamento con 
poteri di autorizzazione, di controllo, di vigilanza e di sostituzione in 
caso di inerzia deHe Regioni, non solo perch� fosse assicurato l'adempimento 
degli obblighi internazionali assunti ma anche. perch� l'azione 
da svolgere risultasse pi� organica ed uniforme per la tutela degli interessi 
unitari niizionali e la garanzia dei valori riconosciuti dalla Costituzione 
(artt. 18 e 32 Cost.; sent. n. 31 del 1983). 

Tuttavia, il fenomeno della tossicodipendenza non risultava sconfitto 
anzi si diffondeva con gravi implicanze sul piano della criminalit� 
che, anche per effetto di essa, risultava in forte aumento. Si constatavano 
deficienze e carenze sul 'piano operativo, per la mancanza di servizi 
appositamente strutturati e finalizzati a realizzare gli aspetti sociali 
della prevenzione, della cura �, soprattutto, del recupero della 
personalit� dei tossicodipendenti per il loro reinserimento nella famiglia 
e nella societ�. 

Le� strutture sanitarie avevano svolto una funzione piuttosto di tipo 
medicalizzante, sostituendo, in molti casi, all'uso della droga interventi 
farmacologici e terapie di solo mantenimento sicch� il soggetto non raggiungeva 
il necessario equilibrio personale onde la sussistenza, in concreto, 
del pericolo di una ripresa dell'uso della droga. 

Non era di per s� sufficiente la sola disintossicazione dell'organismo, 
ma pi� utile e proficua era la imrpostazione di rapporti interpersonali 
ed un pi� o nieno lungo processo socio-ipedago~ico per vincere la dipendenza 
psichica, il cui superamento era importante quanto quello della 
dipendenza fisica. 

Era risultata pi� utile e produttiva degli effetti sperati la permanenza 
dei tossicodipendenti in comunit� terapeutiche organizzate da associazioni 
di volontariato o da privati con ben determinati programmi 
di recupero sociale nei quali, accanto alle terapie mediohe e psico-mediche, 
si ponevano attivit� di lavoro e di studio. Utile era la vita in 
comune, con lo svolgimento del lavoro liberamente scelto e gradito, o 
la continuazione degli studi sospesi o interrotti, senza costr:izioni o vincoli 
di sorta, per riacquistare il perduto equilibrio e le necessarie difese 
contro uh possibile ritorno all'uso della droga. 

Il volontariato aveva assunto anche un ruolo politico-sociale perch� 
realizzava la partecipazione popolare alla lotta contro il grave flagello 
della droga. Esso, quindi, era meritevole di cons1derazione, di affidamento 
e di sostegno, per gli sforzi compiuti e da compiere, implicanti la necessit� 
di adeguati mezzi economici. 

Del resto il ricorso al volontariato era gi� stato previsto nella legge 

n. 697 ,del 1975 e dalla legge n. 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario 
nazionale. 

254 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO 

La norma (art. 45) in quest'ultima contenuta, neHa sua g�neralit� era 
riferibile ad ogni tipo di associazioni: quelle animate da spirito caritativo 
e filantropico, con propositi e finalit� di tutela dell'interesse della 
collettivit� alla salute (associazioni di consumatori, sindacati, comitati 
di quartiere ecc.) e persino le occasionali aggregazioni che si formano 
allorch� il diritto alla salute � concretamente minaocia!o. Le -dette associazioni 
agiscono in collaborazione con le unit� sanitarie locali nell'ambito 
della programmazione e della legislazione sanitaria regionale . 

. In via generale si nota che il volontariato � diffuso ormai largamente 
nel campo del diritto pubblico e si pone come uno strumento utile per 
�sopperire a carenze delle strutture pubbliche, come nuovo modello di 
cura di i�lteressi pubblici e di esercente attivit� idonee a conseguire 
fini sociali senza avere scopi di lucro e, aneh.e per questa ragione, con 
ampia libert� di organizzazione. In definitiva svolge un ruolo che la stessa 
Costitvzione prevede (art. 18 Cost.) . .(omissis) 

Con il decreto legge n. 144 del 1985 e la legge di conversione n. 297 
del 1985, che ha sostituito alcuni articoli del d.l. e ne ha aggiunti altri, 
sono stati disciplinati tre asipetti del fenomeno della tossicodipendenza. 

Con gli artt. 1-bis, 1-ter e 1-quater � stata prevista l'erogazione� di con� 
tributi, tra gli altri, ad alcuni enti ed associazioni di volontariato che operano 
n_el campo del recupero e del reinserimento sociale dei tossicodipendenti 
con un apposito procedimento nonch� la sistemazione delle somme 
relative nel bilancio dello Stato {art. 2). E questa parte � oggetto 
dell'impugnazione delle Regioni ricorrenti. (omissis) 

Dal contesto dell'intera legge vanno desunte, anzitutto, le ragioni della 
nuova; disciplina. Del complesso fenomeno della tossicodipendenza si sono 
voluti disdplinare gli aspetti incidenti sulla criminalit�, sulla sicurezza 
pubblica e sull'ordine pubblico inteso in senso ampio, sia pure con1 un 
ricorso privilegiato alla intensificazione della fase d~ recupero e di reinse� 
rimento dei soggetti nella famiglia e nella societ�. Trova, quindi, giustificazione 
l'i.ntervento del Ministro dell'Interno piuttosto che del Ministro 
della Sanit�. 

Ma, ai fini dell'esame delle questioni sollevate, va� rilevato che la 
materia disciplinata � di competenza dello Stato piuttosto che delle 
Regioni. 

Per quanto pi� specificamente riguarda l'erogazione dei contributi 
si osserva che le norme relative hanno durata limitata e temporanea. 
�, infatti, testualmente statuito che l'erogazione dei contributi avviene 
secondo le modalit� previste fino a quando non sar� regolata, con una 
nuova normativa legi:slativa, la disciplina dei rapporti di enti e associazioni 
di volontariato ohe operano sul territorio nazionale nel campo del 
recU1pero e del reinserimento sociale dei tossicodipendenti (artt. 1 e 2 
della legge n. 297 del 1985). (omissis) 

I 
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II 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 255 

CORTE COSTITUZIONALE, 6 luglio 1987, n. 245 -Pres. Andrioli --Rel. 
Pescatore -Consorzio ASI di� Pescara (n.p.) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (avv. Stato D'Amato) 

Espropriazione per pubblica utilit� -Retrocessione -Prezzo di retrocessione 
superiore � all'indennit� di espropriazione -Legittimit� colitituzionale. 


(Cast., art. 42; I. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 63). 

La retrocessiorve attua un nuovo trasf�eri.mernfo del bene, del t.utto 
auton.omo rispetto al tnasf erimento coattwo ~liZUIJtlo dal.l'-atto di .espr'opriaziorne. 
J.l pnezzo di retrocessione pu� essete di impo.rito superilone al~ 
l'indJennit� di .espmpriazione, anconoh� per la det,erminazione d'i esso 
debbano s.eguirsi gli stessi orineri in preced(mza seguiti per la de~erminazione 
della ind,ennit� (1). 

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Alcuni proprietari, espropriati con decreto del prefetto di Chieti 
del 10 maggio 1971, chiesero al tribunale della stessa citt� la restituzione 
in propriet� dei beni, non utilizzati dal Consorzio per l'area di sviluppo 
della Val Pese.ara entro i termini previsti. Il tribunale adito disponeva 
con senter,iza, a 9orma dell'art. 63 della 1. 25 giugno 1865, n. 2359, 
la retrocessione degli immobili, stabilendo i corrispettivi da versare all'espropriante. 
Contro tale sentenza gli attori proponevano appello, lamentando 
che il tribunale avesse determinato detti corrispettivi in misura 
maggiore alle indennit� di espropriazione. La Corte d'Aippello dell'Aquila, 
con ordinanza 3 dicembre 1985, ha sollevato questione di legittim:it� costituzionale 
dell'art. 63 della 1. 25 giugno 1865, n. 2539, in quanto non 
prevede che il prezzo della retrocessione non possa eccedere l'arnmontatare 
dell'indennit� di espropriazione ricevuta dal proprietario, qualora 
l'espropriante non abbia eseguito sui beni espropriati opere che ne 
abbiano aumentato il valore. {omissis) 

Il giudice rimettente, occupandosi di una fattispecie relativa a retrocessione 
di beni espropriati per mancata utilizzazione nei termini 
stabiliti, ha dubitato della legittimit� costituzionale dell'art. 63 della 1. 
25 giugno 1865, n. 2359 in rieerimento all'art. 42, secondo e terzo comma, 
Cost. Secondo l'ordinanza di rimessione tale illegittimit� sarebbe da 
ascrivere alla circostanza che l'art. 63 cit. non prevede che il prezzo della 
retrocessione non debba eccedere l'ammontare dell'indennit� di espropriazione 
ricevuta dal proprietario,. salvo che dall'espropriante siano 
state eseguite nuove opere che abbiano aumentato il valore del fondo. 

(1) Sentenza di grande chiarezza, che conferma risultati cui � pervenuta 
l'elaborazione giurisprudenziale �in argomento. 
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r1=1i�1r11r111fri~fd:1rmrr:{1fllt1J1r111:=11==1:11r1r'=flll1r1r111=:1111r1111r{flilfjr11i=:1:11111i;,r11,r1rd111r1 



256 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Ai fini di valutare il fondamento della impugnazione, va preliminarmente 
osservato che le due fattispecie di retrocessione, previste dalla 1. 

n. 2359 del 1865, concernono, rispettivamente, il ca&o di parziale utilizzazione 
del fondo espropriato {art. 60) e la mancata esecuzione, nei termini 
previsti, dell'opera, in funzione della quale l'espropriazione era stata 
disposta (art. 63). 
Per quanto riguarda. la seconda fattispecie -in cui si colloca l'inci


dente di costituzionalit� -� da rilevare che la retrocessione diventa 

operativa per effetto della sola scadenza del termine di espropriazione, 

poich� non occorre alcuna valutazione dell'autorit� amministrativa. 

La posizione soggettiva del retrocessionario riceve diretta tutela 

dalla pronuncia giudiziaria di decadenza della dichiarazione di pubblica 

utilit� e dall'ordine di restituzione del bene espropriato, verso il paga


mento del prezzo da determinare con le stesse modalit� previste per la 

retrocessiorft! parziale (art. 63 1. cit.). 

� ancora da osservare, quanto al contenuto del corrispettivo dovuto 

dal retrocessionario, che � consolidato indirizzo della Corte di Cassazio


ne, attesa la correlazione esistente tra le vicende espropriate e 1't:ltro


cessorie, che il corrispettivo stesso debba essere determinato -con 

riferimento al valore del bene al momento della pronuncia di retroces


sione -in base agli identici criteri, alla streguatdei quali si provvide 

alla stima del bene, ai fini della determinazione dell'indennit� di espro


priazione (cfr. Cass. 30 novembre 1985, n. 5979; 9 novembre 1977, n. 4779; 

21 giugno 1968, n. 2062). 

� chiaro il fondamento di tale indirizzo; esso opera sul presupposto 

che la retrocessione attua un nuovo trasferimento del bene, del tutto 

autonomo rispetto al trasferimento coattivo realizzato dall'atto di espro


priazione; la retrocessione trova in quest'atto il suo antecedente me


ramente storico, ma ad esso non � collegata n� strutturalmente, n� fun


zionalmente. 

Dalla pronuncia di decadenza della dichiarazione di pubblica utilit� 

(ex art. 63 1. n. 2359 del 1865) deriva all'espropriato il diritto potestativo 
. di acquisto, con corrispondente obbligo dell'espropriante di trasferirgli 
l'immobile non utilizzato. Si tratt� di un potere dell'espropriato, rispet


to al quale non rileva precisare, in questa sede, se dia luogo ad un tra


sferimento volontario, �coattivo o potestativo. 

L'ordinanza di rimessione si sofferma a considerare la inadeguata 
tutela che il sistema vigente offrirebbe alla posizione dell'espropriato e 
la collega al � sacrificio � che questo sopporterebbe � per essere mancata 
la destinazione dell'immobile posta a base del, decreto di espropriazione � 
o, inoltre, � sotto un profilo pi� sostanzialmente economico�, per ,; una 
diminuzione patrimoniale, ancora pi� grave, atteso che il mancato go


)I 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 257 

\., 

dimento del bene dopo la pronuncia di espropriazione � rimarrebbe " in 
ogni caso senza indennizzo �. 

Entrambi i rilievi formulati dall'ordinanza sono infondati: la mancata 
destinazione del bene all'opera pubblica non si riflette sulla fase 
espropriativa, ormai esaurita; essa non pu� inddere, dunque, ancorch� 
limitata al riflesso economico, sulla sfera dell'espropriato. � appena il 
caso di accennare al rigual'do che la retrocessione non risolve il precedente 
trasferimento con effetti ex tunc. � � 

Inoltre la mancata destinazione del bene all'opera pubblica non 
agisce sulla struttura del bene, che resta immutato nella sua consistenza 
fiska e non si vede come questa circostanza possa toccare la posizione 
del soggetto espropriato, il quale, essendo stato privato della propriet� 
del bene -contrariamente a quanto afferma l'ordinanza di rimessione non 
pu� subire danni per il mancato godimento di esso. 

N� � infine esatto affermare -come fa l'ordinanza -che il diritto 
di propriet� deve �essere tutelato anche dopo Uespropriazione �, �essendo 
fuori della logica costituzionale la ingiusta locupletazione della P.A. 
espropriante con il correlativo depaup~amento del proprietario che aveva 
dovuto subire la espropriazione �. � agevole osservare che, intervenuta 
l'espropriazione del bene e corrisposto l'indennizzo, non sono configurabili 
posizioni, a rilooanza economica, riferibili all'espropriato: dal trasferimento 
coattivo del bene � l'ente espropriante che emerge come destinatario 
di quelle posizioni. 

L'autonomia dell'atto di retrocessione rispetto a quello espropriativo 
(cfr. n. 2) � resa ancora pi� chiara dall'abrogazione del terzo comma dell'art. 
60 della 1. n. 2359 del 1865, operata dall'art. 1 del d.l. 11 marzo 1923, 

n. 691. Tale comma disponeva che il prezzo di retrocessione �non potr� 
eccedere l'ammontare dell'indennit� ricevuta dal proprietario per l'espropriazione 
del suo fondo, salvo che vi si fossero dall'espropriante eseguite 
nuove opere che ne avessero aumentato il valore �. In proposito il Guardasigilli 
Pisanelli, nella relazione al progetto di legge sulle espropriazioni 
a causa di pubblica utilit� (1864) (Atti parlamentari, Camera dei deputati, 
sessione 1863-64, doc. n: 206), aveva giustificato il contenimento del 
prezzo di acquisto per retrocessione entro i limiti dell'indennit� di esproprio, 
osservando che � l'equit� non consentirebbe che l'espropriante, il 
quale spogli� un privato di uno stabile creduto necessario per l'eseguimento 
di un'opera pubblica, ma che in fatto non fu, riesca a fare un 
traffico nel rivenderlo al proprietario, da cui egli forzatamente lo ebbe �. 
In realt� l'abrogazione del terzo comma dell'art. 60 della 1. n. 2359 
del 1865 cit. ad opera del r.d.l. n. 691 ..del 1923 cit. non consentiva all'espropriante 
di realizzare alcun � traffico_� sul valore del bene. Essa 



258 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

era diretta, invece, ad evitare l'incidenza sul nuovo proprietario dei 
flussi inflattivi, Vf'.rificatisi in misura ragguardevole dopo la prima guerra 
mondiale. 

Non sarebbe stato, n� sarebbe equo consentire all'espropriato _'. al 
quale sia stato corrisposto l'indennizzo, con possibilit� di investirlo .e di 
sottrarlo alle conseguenze dell'inflazione -di avvantaggiarsi dell'inciclenza 
dei processi di svalutazione a scapito del soggetto che dovesse 
retrocedere il bene contro il prezzo consistente nell'indennizzo di espropriazione. 


Queste considerazioni chiariscono l'infondatezza del riferimento, nella 
fattispecie all'art. 42, secondo e terzo comma, Cast., operato dall'ordinanza 
di rimessione. Proprietario del bene, a seguito dell'espropriazione, 
� diventato il soggetto a cui favore � destinato il provvedimento ablatorio; 
� questo l'eventuale destinatario della tutela prevista dall'art. 42 Cost., 
con il proprietario �originario, non pi� titolare del bene stesso. 

La posizione di questo, comunque, resta non priva di equa valutazione, 
se si tiene presente il principio, gi� richiamato, secondo il quale 
alla determinazione del prezzo . diiJ.a retrocessione deve procedersi con 
gli stessi criteri in base ai quali � stata determinata l'indennit� di esproprio. 
Siffatto principio, aocomunando i trasferimenti del bene nell'omogeneit� 
dei criteri di determinazione del prezzo, attribuisce ai soggetti 
interessati la stessa posizione nel quadro economico delle relative operazioni. 


CORTE COSTITUZIONALE, 16 luglio 1987, n. 268 -Pres. Andrioli -. Rel. 
Borzellino -Ente Ferrovie dello Stato e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Enti Pubblici -Ferrovie -Istituzione dell'Ente F.S. �Personale dipendente Controversie 
di lavoro -Trasferimento della giurisdiZione al Giudice 
ordinario. 
(Cost., artt.� 3, 24, 103 e 113; legge 17 maggio 1985, n. 210, artt. 21 e 23). 

I rapporti di lavoro subordinato tra l'Ente F.S. ed i suoi dipendenti 
sono disciplinati su base paritetica; in relaziqne a detti rapporti non 
residua spazio per un intervento d~lla giurisdizione degli interessi le� 
gittimi (1). 

(1) La sentenza, seppur con breve motivazione, risolve -con valenza anche 
(ed anzitutto) sostanziale -un problema di notevole delicatezza: il rap

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 259 

La legge 17 maggio 1985 n.. 210 istituisce l'ente �Ferrovie dello Stato�; 
con il conferimento d�lla personalit� giuridica �ai sensi dell'art. 2093, 
secondo comma, del codke civile � e con onere -cos� succedendo alla 
preesistente Azienda autonoma ferroviaria -di provvedere ai propri 
compiti secondo � criteri di economicit� e di efficienza � {artt. 1 e 2). 
A mente degli artt. 21 e 23 il rap(porto di lavoro del personale dipendente 
� � regolato su base contrattuale collettiva ed individuale�; le contro� 
versie relative sono attribuite alla competenza pretorile. Tali ultime 
disposizioni venivano impugnate dal Tribunale amministrativo regionale 
della Lombardia {sede di Milano) poich� la competenza del giudice ordinatio 
(pretore) in luogo di quello amministrativo � ravvisata lesiva degli 
artico�i -questo l'ordine indicato -97 (comma primo), 103 (comma 
primo), 3, 24 (commi primo e secondo), 113 (commi primo e secondo), 
25 (comma primo) qella Costituzione. (omissis) 

L'esame resta incentrato negli ulteriori asserti circa carenza di tutela 
avanti al pretore, per i rapporti di lavoro di cui si discute, ove fosse 
rimasto offeso -per avventura -non diritto soggettivo bens� un interesse 
legittimo; tanto avrebbe comportato, secondo il remittente giudice 
amministrativo, violazione, s'� gi� detto, degli artt. 3 \:! 24, nonch� 103 
e 113 Cast. 

Ma anche sotto questi profili la questione non trova sostegno. Si 
contende concretamente in tema di diniego al trasferimento, pevdurante 
un lasso di tempo nel quale, per disposizione iniziate, era previsto l'obbligo 
per il lavoratore di sostare nella sede prima; in termini pi� gene� 
rali -a tratteggiare i contenuti di rispettiva doverosit� nei diritti e 
negli obblighi tra amministrazione e personale -va richiamato d'altronde, 
che lo stato giuridico gi� contemplava -al momento d'elle insorte 
richieste -la puntuale predisposizione di apposite graduatorie (legge 26 
marzo 1958, n. 425, art. 46). 

A ci� ora aggiungesi che il nuovo ente agisce a titolo imprenditoriale 

in virt� di quella sua configurazione positiva cui si � accennato e sulla 

base (paritetica), nel rapporto di lavoro, della contrattazione: all'area di 

cui trattasi rimane perci� estranea -come gi� del resto sembra ab 

origine -ogni connotazione autoritativamente discrezionale. 

Si � in presenza, adunque, di vicenda avvinta a comportamenti obbli


gatori per le parti e perci� 1ricadenti per la loro esaustiva tutela reale, 

priva di presunti coni d'ombra, nella competenza del giudice ordinario, 

abilitato a conoscerne integralmente. 

porto di lavoro tra il nuovo Ente ed il personale ferroviario risulta interamente 
� contrattuale � e � privatizzato �. 

6 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

260 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 ottobre 1987, n. 316 (ord.) -Pres. e rel. 
Saja. 

Tributi erariali diretti -Dichiarazione congiunta di coniugi -Responsabilit� 
solidale. 
(Cost., artt. 3 e 53; !. 13 aprile 19771 n. 114, art. 17). 

Il principio di adeguatezza del tributo alla capacit� contributiva non 
osta a che la legge preveda obbligazioni solidali a carico anche di sog,
getti diversi dal �debitore principale�. 

(omissis) Ritenuto che (talune commissioni tributarie) hanno sollevato 
questione di legittimit� costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., 
dell'art. 17, ultimo comma, della legge 13 aprile 1977 n. 114, che stabilisce, 
nel caso di coniugi non legalmente ed effettivamente separati, che si 
si;mo avvalsi della facolt� di presentare su unico modello la dichiarazione 
unica dei redditi di ciascuno di loro (c.d. dichiarazione congiunta), 
la responsabilit� in solido degli stessi per il pagamento dell'imposta, soprattasse, 
pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito; 

che ad avviso dei 'giudici rimettenti la disposizione censurata, sta


bilendo l'assunzione di responsabilit� solidale dei coniugi in dipendenza 

della mera presentazione congiunta della dichiarazione, viola: a) il prin


cipio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., per l'ingiustificato diverso trat


tamento, a parit� di posizione contributiva, tra coniugi che hanno presen


tato un'unica dichiarazione congiunta, essendo ciascuno di essi tenuto 

solidalmente verso l'erario anche per i debiti fiscali dell'altro, e i co


niugi che hanno presentato una distinta dichiarazione, nel qual caso cia


scuno risponde solo dei propri debiti; b) il principio di adeguatezza del 

tributo alla capacit� contributiva di cui all'art. 53 Cost. per il fatto che 

si pongono oneri contributivi a carico di uno dei coniugi prescindendo 

del tutto dalle sue effettive capacit� contributive, dovendo egli, in defi


nitiva, in virt� del vincolo della solidariet�; rispondere di beni e di red.
diti dell'altro e dei quali, perci�, non ha la disponibilit�; ... 
Considerato che la questione sollevata dalle commissioni tributarie ... 
in riferimeI),to agli artt. 3 e 53 Cost., per quanto concerne il primo profilo 
-ossia quello della disparit� di trattamento a parit� di posizione 

contributiva tra coniugi che si sono avvalsi della facolt� di presentare 
dichiarazione congiunta e coniugi che hanno presentato una distinta ,dichiarazione 
-� manifestamente infondatata giacch� ~ rimesso ai contribuenti, 
nelle due particolari situazioni sopra descritte, la delibera scelta di 
avvalersi dell'uno o l'altro sistema attraverso.la presentazione o meno della 
dichiarazione congiunta, con i conseguenti vantaggi o oneri ad essa con




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 261 

nessi: ne deriva che la disposizione in esame non pu� considerarsi irragionevole; 


che quanto al secondo profilo, va osservato come il c0llegamento con 
.la capacit� contributiva non escluda che la legge ipossa stabilire prestazioni 
tributarie solidali a carico oltrech� del debitore principale anche 
di altri soggetti, comunque non estranei alla posizione giuridica a cui 
inerisce il rapporto tributario; ... 

CORTE COS'.fITUZIONALE, 22 ottobre 1987, n: 319 (ord.) -� Pres. e 11el. 
Saja. 

Tributi erariali diretti -ILOR -Zone depresse del centro-nord -Imprese 
produttrici di servizi -Esclusione dall'esenzione decennale. 

� (Cost., artt. 3 e 53; 1. 22 luglio 1966, n. 614, art. 8). 

Non contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost. l'reisdusionie dellie .irnpr.ese 
produttrici di 5rerv1i?;i darll'resenzione decennale dall'IWR pt1evistta nel~e 
zane depresse del Cerntrio-Nord. 

Ritenuto che nel corso di un procedimento iniziato da Menapace 
Carlo ed avente per oggetto il diritto ad esenzione dall'imposta locale 
sui redditi per l'anno 1978 ai sensi della 1. n. 635 del 1957 e successive 
modificazioni, la Commissione tributaria di primo grado di Bolzano ... 
sollevava questione di legittimit� costituzionale, in riferimento agli artt. 3 
e 53 Cost., dell'art. 8 1. 22 luglio 1966 n. 614, nella parte in cui concede 
l'esenzione decennale da ogni tributo sul reddito alle nuove imprese artigiane 
ed alle nuove piccole e medie imprese industriali che si costituiscano 
nelle zone depresse dell'Italia settentrionale e centrale; 

che, ad avviso della Commissione, questa norma -in quanto non 
riferibiie alle imprese produttrici di servizi {nella specie: di autotrasporti), 
le quali, ai fini della propulsione del sistema economico esercitavano 
una funzion~ non dissimile e non inferiore a quella delle imprese 
artigiane ed industriali -contrastava coi principi di eguaglianza e 
di capacit� contributiva; ... 

Considerato che nel merito, dovendosi escludere l'eguaglianza delle 
situazioni comparate, � manifesta l'assenz'a di basi della censura di ingiustificata 
disparit� di trattamento: infatti, l'evidente finalit� !Perseguita 
dal legislatore � di svilupipare lo stabilimento di attivit� produttive, con 
impianti fissi di una certa consistenza, in alcune zone depresse del territorio 
nazionale. Ci� che il legislatore stesso -nella sua discrezionalit� 
qui non sindacabile in quanto non viziata da _irragionevolezza -ha 
ritenuto meglio attuabile mediante benefici tributari concessi alle sole 



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262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

imprese artigiane e industriali. Si legge, in particolare, nei lavori preparatori 
della legge impugnata {relazione della sa Commissione permanente 
del Senato -finanze e tesoro -del 2 maggio 1986), ch1.: si prefer� limitare 
l'agevolazione alle sole imprese dotate di impianti industriali o artigianali 
poich� le zone depresse del -Centro-Nord sono sempre circondate da 
zone non depresse, rendendosi cos� evidente l'esigenza di prevenire facili 
evasioni; 

che la richiesta estensione del beneficio rientra el�'identemente nella 
sfera di discrezionalit� riservata al legislatore e perci� la questione si 
rivela inammissibile; 

che l'esclusione della sindacabilit� del differente trattamento vale 
anohe a dimostrare la non ammissibilit� dell'impugnativa relativa all'articolo 
53 Cost .... 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 265 

dotti nazionali, ma che in realt�, si applichi quasi esclusivamente ai prodotti 
importati in quanto la produzione nazionale � estremamente ridotta, non costituisce 
una tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale all'importazi�ne 
ai sensi degli artt. 9 e 12 del Trattato CEE, qualora faccia parte di un sistema 
generale di tributi interni che colpiscono sistematicamente categorie di prodotti 
secondo criteri obiettivi applicati indipendentemente dalla origine dei 
prodotti. Essa. possiede pertanto il carattere di imposta interna ai sensi dell'art. 
95; l'art. 95, 2� comma, del Trattato �CEE, non consente d'istituire un'imposta 
di consumo che colpisca talune frntta importate, qualora essa sia suscettibile 
di proteggere la produzione nazionale di frutta; l'art. 95 del Trattato CEE 
riguarda tutti i prodotti provenienti dagli Stati membri, ivi compresi i prodotti 
originari di paesi terzi che si trovino in libera pratica negli Stati membri 
'l� Nella seconda sentenza la Corte ha statuito, parallelamente, che �la Repubblica 
italiana, avendo istituito e mantenendo in vigore un'imposta di consumo 
sulle banane fresche applicabile alle banane originarie di altri Stati 
membri, ed in particolare a quelle provenienti dai dipartimenti francesi d'oltremare, 
� venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall'art. 95 del Trattato 
CEE �; .la Corte ha invece respinto il ricorso per quanto riguarda le banane 

secche e la farina di banane. 

-4 giugno 1987, nella causa 375/85, Campana, secondo cui �il combinato 
dispos.to degli artt. 67, n. 1, e 4, n: l, lett. g), del regolamento del Consiglio 
14 giugno 1971, n. 1408/71, va interpretato nel senso che esso contempla le 
provvidenze per la formazione professionale attribuite ad un lavoratore in 
attivit�, che sia concretamente minacciato di disoccupazione �. 

-11 giugno 1987, nella causa 241/86, Bodin, nella quale la Corte ha statuito 
che � le. disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle 
merci, alla libera prestazione dei servizi e alla . politica comune in materia di 
trasporti devono essere interpretate nel senso che esse non ostano all'applicazione, 
ai veicoli immatricolati in un altro Stato membro, di una normativa nazionale 
che prescriva, conformemente alla direttiva n. 85/3, l'altezza massima 
di quattro metri per tutti i veicoli o i riniorchi ammessi a circolare nel territorio 
nazionale, anche qualora nello Stato membro dell'immatricolazione non 
viga lo stesso limite �. 

-16 giugno 1987, nella. causa Commissione c. Italia, con la quale la 
Corte, constatata la natura di �impresa pubblica� dell'Amministrazione italiana 
dei monopoli di Stato, ai sensi della direttiva della Commissione 25 giugno 
i980, n. 723, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati 
membri e le loro imprese pubbliche, ha dichiarato che l'Italia, avendo rifiutato 
di trasmettere alla Commissione le informazioni circa l'amministrazione medesima, 
� venuta meno agli obblighi che le incombono a norma dell'art. 5 n. 2 
della direttiva suddetta. 

-17 giugno 1987, nella causa 394/85, CommissiOne c. Italia, che ha pronunciato 
l'inadempimento dell'Italia alle prescrizioni contenute dai regolamenti 
del Consiglio 31 marzo 1984, nn. 856 e 857, e della Commissione 16 maggio 1984, 

n. 1371, per l'applicazione del sistema del prelievo supplementare nel settore 
del latte e dei .prodotti lattiero-caseari. 
-17 giugno 1987, nella causa 154/85, Commissione c. Italia, dove la Corte, 
in tema di 'importazioni parallele di �autoveicoli, ha ritenuto jncompatibili con 
l'art. 30 del Trattato CE� alcune circolari del Ministero dei trasporti, peraltro 
superate da altre circolari emesse in corso di causa. 


266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-7 luglio 1987, nella causa 420/85, Commissione c. Italia, con la quale 
la Corte ha rilevato la mancata attuazione della direttiva del Consiglio 28 luglio 
1982, n. 82/603, che modifica la direttiva relativa alla fissazione di norme 
comuni per trasporti di merci combinati stradafferrovia fra Stati membri, 
limitatamente alla riduzione o al rimborso delle tasse di circolazione imposte 
per le motrici impiegate nei trasporti combinati in cui non solo il rimorchio, 
ma anche la motrice � caricata sul treno, disattendendo il ricorso sugli altri�punti. 

-� 7 luglio 1987, nella causa 49/86, Commissione c. Italia, dove la Corte 
ha dichiarato che la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostile 
dal trattato CEE non avendo adottato nel termine prescritto le disposizioni 
necessarie �per conformarsi alla direttiva del Consiglio 26 gennaio 1982, n. 82/76/ 
CEE, relativa alla formazione a tempo pieno e a tempo ridotto dei medici specialisti. 


-9 luglio 1987, nella causa 256/86, Frascogna, dove la Corte, in tema di 
libera circolazione dei lavoratori � previdenza sociale, ha stabilito che � gli 
ascendenti a carico del lavoratore migrante possono far valere il divieto di discriminazione 
sancito dall'art. 7, n. 2, del regolamento del Consiglio n. 1612/68; 
e che l'assegno speciale di vecchiaia costituisce un vantaggio sociale ai sensi 
del regolamento del Consiglio n. �1612/68 �. � 

-9 luglio 1987, nelle cause riunite 82/86 e 103/86, Laborero e Sabato, 
con la quale, ancora in tema di libera circolazione dei lavoratori � previdenza 
sociale, � stato statuito che �l'iscritto ad un'assicurazione volontaria come 
quella contemplata dalla legge belga 17 luglio 1963, il quale, durante il periodo 
d'iscrizione, abbia svolto un'attivit� dipendente o autonoma, va considerato 
un �lavoratore � ed il superstite dello stesso come superstite di un lavoratore, 
ai fini dell'applicazione del regolamento n. 1408/71; e che una normativa nazionale 
del genere della legge 17 luglio 1963 rientra, in quanto legislazione di 
uno Stato membro, nel regolamento n. 1408/71, anche se le prestazioni da essa 
contemplate si possono basare unicamente su periodi di attivit� maturati in 
Stati terzi, e detto regolamento, in particolare l'art. 3, n. l, di esso si applica 
ai lavoratori che siano o siano stati sogge_tti a detta normativa. 

-9 luglio 1987, nelle cause riunite 27, 28 e 29/86, C.E.I. e Bellini, dove 
la Corte, in tema di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, 
ha dichiarato: � 1 -le referenze che consentano di deteiminare la capacit� 
finanziaria ed economica dell'imprenditore non sono indicate limitativamente 
dall'art. 25 della direttiva del Consiglio 26 luglio 1971, n. 71/305, che 
coordina i procedimenti per l'aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici; 
2 -l'indicazione dell'importo complessivo dei lavori attribuiti all'impresa pu� 
essere chiesta agli offerenti come referenza probante ai sensi dell'art. 25 della 
direttiva n. 71/305 e n� detto articolo n� alcun'altra disposizione della direttiva 
ostano a che lo Stato membro determini l'importo dei lavori che possono 
essere. effettuati contemporaneamente; 3 -gli artt. 25, 26, lett. d, e 28 della 
direttiva n. 71/305 vanno interpretati nel senso che essi non ostano a che l'appaltante 
esiga dall'imprenditore autorizzato in un altro Stato membro la prova 
che egli dispone del minimo di risorse proprie e del numero di operai e di dirigenti 
prescritti dalle norme nazionali nemmeno se l'imprenditore � ammesso, 
nello Stato membro di stabilimento ad una classe corrispondente a quella 
prescritta da dette norme nazionali, in relazione all'entit� dei lavori da appaltare
�. 

-6 ottobre 1987, nella causa 197/85, Stefanutti, con la quale, in tema di 
libera circolazione dei lavoratori � previdenza sociale, la Cort� ha dichiarato: 
� 1 -nel caso in cui la vedova di un lavoratore migrante abbia acquisito li 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 267 

diritto ad una pensione d'invalidit� personale in forza della sola normativa di 
uno Stato membro e faccia valere in un altro Stato membro il diritto ad una 
pensione ai superstiti acquisito in forza della sola normativa di questo Stato 
membro, il regolamento n. 1408/71 non osta all'applicazione delle norme di 
quest'ultimo Stato, contro il cumulo di prestazioni nazionali ed estere; 2 non 
rientra nel diritto comunitario la qualificazione, alla luce delle norme anticumulo 
di uno Stato membro erogatore di una pensione ai superstiti acquisita 
in forza della sola normativa di detto Stato, di una pensione d'invalidit� 
attribuita da un altro Stato membro; 3 -le disposizioni dell'art. 7, n. 1, lett. b), 
del regolamento n. 574/72 si applicano al cumulo di una pensione ai superstiti 
acquisita in forza della sola normativa di uno Stato membro, con una pensione 
d'invalidit� o di vecchiaia, di diversa natura, acquisita in forza della sola normativa 
di un altro Stato membro, qualora l'applicazione della sola legislazione 
nazionale si riveli in ultima analisi meno favorevole all'avente diritto �. 

-8 ottobre 1987, nella causa 80/96, Kolpinghuis, con la quale la Corte, 
relativamente agli �ffetti di una direttiva sul diritto interno di uno Stato membro 
che non abbia ancora adottato� le norme per darvi esecuzione, ha statuito 
(nello stesso senso della precedente sentenza 11 giugno 1987, nella causa 14/86, 
di seguito trascritta) che � 1 -un'autorit� nazionale non pu� far valere, a carico 
di un singolo, le disposizioni di una direttva la cui necessaria trasposizione 
nel diritto interno non abbia ancora avuto luogo; 2 -nell'applicare 
la propria normativa nazionale, il giudice di uno Stato membro � tenuto ad 
interpretarla alla luce del testo e della finalit� della direttiva, per raggiungere 
il risultato di cui all'art. 189, terzo comma, del Trattato, ma una direttiva 
non pu� avere l'effetto, di per s� ed indi,pendentemente da una legge adottata 
per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilit� penale di 
coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni; 3 -le soluzioni di 
cui sopra non sarebbero diverse nel caso in cui il �termine assegnato allo 
Stato membro per adeguare la normativa interna non fosse ancora scaduto 
alla data di cui trattasi�. 

-24 novembre 1987, nelle due cause 124 e 125/86, Comissione c. Italia, 
con le quali la Corte ha rilevato il mancato recepimento nel diritto interno 
delle direttive del Consiglio 23 marzo 1983, n. 83/183, relativa alle franchigie 
fiscali applicabili alle importazioni definitive di beni personali di privati provenienti 
da uno Stato membro, e n. 83/181, che determina il campo di applicazione 
dell'art. 14, n. 1, lett. d), della direttiva n. 77/338, per quanto concerne 

l'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto� di talune importazioni definitive 
di beni. 

-.25 novembre 1987, nelle due cause 342 e 343/85, Italia c. Commissione, 
con cui,� la Corte, in tema di liquidazione dei conti FEOGA per gli esercizi 
1980 e 1981, in parziale accoglimento delle tesi italiane, ha ritenuto imputabili 
al FEOGA le spese per alcuni aiuti per il latte magro in polvere di intervento, 
mentre ha confermato la non imputabilit� al Fondo medesimo delle spese per 
alcuni aiuti per il consumo dell'olio di oliva e per compensazioni finanziarie 
per il ritiro dal mercato di prodotti della pesca. 

-8 dicembre 1987, nella causa 144/86, Gubish, con la quale, in rel~ione 
alla convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione 
delle decisioni in materia civile e commerciale, � stato stabilito che � la nozione 
di litispendenza di cui all'art. 21 della Convenzione 27 settembre 1968 
contempla il caso in cui una parte presenti ad un giudice di uno Stato contraente 
una domanda volta all'annullamento o alla risoluzione di un contratto 
di vendita internazionale mentre una domanda dell'altra parte volta all'esecu



268 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione del medesimo contratto � pendente dinanzi ad un giudice di un altro 
Stato contraente�. 

-17 dicembre 1987, nella causa 323/86, Collini, dov~ in tema di libera 
circolazione dei lavoratori � previdenza sociale, � stato statuito che la regola 
anti-cumulo di cui all'art. 46, n. 3, del regolamento n. 1408/71 si applica in tutti 
i casi in cui il cumulo delle prestazioni calcolate ai sensi dei nn. 1 e 2 del medesimo 
articolo supera il limite pi� elevato degli importi delle pensioni teoriche, 
anche se il superamento di detto limite non risulta da una sovrapposizione 
di periodi di assicurazione; e che qualora un solo ente fornisca una sola 
prestazione autonoma ai sensi dell'art. 46, n. l, del regolamento n. 1408/71, soltanto 
detto ente deve ridurre la propria prestazione in forza del n. 3, 2� comma, 
dello stesso articolo, diminuendola dell'intero importo fino a concorrenza 
del quale la somma delle prestazioni calcolate conformemente a quanto disposto 
dai nn. 1 e 2 supera il massimale di cui al 1� comma del n. 3 �. 

-17 dicembre 1987, nella causa 422/85, Mattiazzo, di . contenuto simile 
a quello della sentenza 7 aprile 1987, nella causa 166/85, Bullo e Bonivento, di 
seguito trascritta.� 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE Ce>MUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 18 
settembre 1986, nella causa 48/85 -Pres. Mackenzie Stuart � Avv. gen. 
Mancini � -Commissione delle C.E. (ag. Booss e Karpenstein) sostenuta 
dal Governo italiano (avv. Stato Fiumara) c. Rep. fed. di Germania 
(ag. Seidel). 

Comunit� Europee . Agricoltura � Organi~azione comune di mercato 
nel settore vitivinicolo � Vino � Arricchimento � Mosto di uve concentrato 
rettificafo. 
(Reg, CEE del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 337, artt. 32 e 33, e n. 338). 

La Repubblica federale di Germania, non autorizzando l'aggiunta di 
mos.to di uve concentrato rettificato nell'elaborazione di vino tipico e di 
vino di qualit� prodotto in regioni determinate, � venuta meno agli obblighi 
che le derivano dall'organizzazione comune del mercato vitivinicolo 
ed in particolare dagli artt. 32 e 33 del regolamento del Consiglio 
5 febbraio 1979, n. 337, relativo all'organizzazione comune del mercato 
vitivinicolo e dall'art. 8 del regolamento del Consiglio .5 febbraio 1979, 

n. 338, che stabilisce disposizioni particolari per i vini di qualit� prodotti 
in regioni determinate. 
(omissis) 1. .,--Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 
18 febbraio 1985, la Commissione d17lle Comunit� Europee ha proposto 
un ricorso ex art. 169, 2� comma, del Trattato CEE, volto a far dichiarare 
che la Repubblica federale di Germania, non autorizzando l'aggiurita di 
mosto di uve concentrato rettificato (MRCR), nell'elaborazione di vino 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 269 

tipico e di vino di qualit� prodotto in regioni determinate (v4,p.r.d.), � 
venuta meno agli obblighi che le derivano dall'organizzazione comune 
del mercato vitivinicolo ed in particolare dagli artt. 32 e 33 del regolamento 
del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 337, relativo all'organizzazione 
comune del mercato�vitivinicolo (G. U. n. L. 54, pag. 1), e dall'art. 8 del 
regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 338, che stabilisce disposizioni 
particolari per i vini di qualit� prodotti in regioni determinate 

(G. U. n. L. 54, pag. 48). 
2. -In sede di replica la Commissione invoca anche l'art. 30 del 
Trattato CEE, per far valere che il divieto di usare MRCR regolarmente 
fabbricato in altro Stato membro si risolve in una misura di effetto equivalente 
ad una restrizione quantitativa all'importazione, ostacolando la 
libera circolazione dei MRCR che sarebbe garantita dall'art. 33 del regolamento 
n. 337/79. 
3. -Secondo il � 10, n. 8, della � Weingesetz � {legge sul vino) tedesca 
del 31 agosto 1982, la designazione di � Landwein � {vino tipico) non pu� 
essere concessa aid un vino ottenuto co,p aggiunta di mosto di uve concentrato 
{MRJC) e di MRCR. L'art. 11 della medesima legge non consente 
di denominare v.q.p.r.d. un vino ottenuto aggiungendo le stesse sost�nze. 
4. -La Commissione ritiene queste disposizioni incompatibili con la 
regolamentazione comunitaria sull'organizzazione comune del mercato 
vitivinicolo, relativa all'aumento del titolo alcolometrico volumico natu-� 
rale dei vini. 
5. -L'art. 32, n. 1, del regolamento n. 337/79, modificato dal regolamento 
del Consiglio 3 dicembre 1981, n. 3577, che modifica il regolamento 
n. 337/79, relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo 
(G. U. n. L. 359, pag. 1), d� facolt� agli Stati, quando le condizioni 
climatiche in talune zone viticole della Comunit� Io rendano necessario, 
di autorizzare l'aumento del titolo alcolometrico volumico naturale del 
vino, secondo le pratiche enologiche indicate nell'art. 33 dello stesso 
regolamento. 
6. -Detto art. 33, nel testo modificato dal regolamento del Consiglio 
18 febbraio 1980, n. 453, che modifica il regolamento n. 337/79 relativo 
all'organizzazione comune ael mercato vitivinicolo (G. U. n. L. 57, pag. 1), 
enumera come sole pratiche ammissibili: 
a) l'aggiunta di saccarosio; 
b) l'aggiunta di mosto di uve concentrato; 
e) l'aggiunta di mosto di uve concentrato rettificato; 




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

270 

d) soltanto per quanto rigqarda il vino atto a diventare vino da 
tavola e il vino da tavola, la concentrazione parziale a freddo; 

e) per quanto riguarda il mosto di uve, la conce;ntrazione parziale. 

7. -La Commissione adduce che questi diversi procedimenti non 
avrebbero ugual valore e che tra di essi vi sarebbe una gerarchia risultante 
da altri testi comunitari; Il divieto di usare il saccarosio ;per l'arricchimento 
costituirebbe ad esempio, secondo il punto 17 del program-. 
ma d'azione della Commiss'ione (suppl. 7 /78 del Boll. CE, pag. 10), un 
obiettivo del:la politica comune nel settore vitivinicolo. D'altro canto, 
l'art. 33, n. 3, del regolamento n. 337/79, dispone che tale procedimento 
possa essere usato unicamente nelle regioni viticole in cui esso sia tradizionalmente 
o eccezionalmente praticato, conformemente alla legislazione 
esistente aU'8 maggio 1970, mentre a partire dal 30 giugno 1979 � 
vietata l'aggiunta di saccarosio in soluzione acquosa. Per contro. il legislatore 
comunitario avrebbe mostrato di preferire un prodotto di vigna, 
istituendo nel regolamento del Consiglio 27 luglio 1982, n. 2144, che modifica 
il regolamento n. 337/79 relativo all'organizzazione comune del 
mercato vitivinicolo (G. U. n. L. 227, pag. 1), un regime di aiuto per il 
MRCR. Secondo la Commissione, da tale ordine preferenziale dei metodi 
di arricchimento conseguirebbe che gli Stati membri, quando concedono 
l'autorjzzazione all'arricchimento contemplata daH'art. 32 del regolamento 
n. 337/79, non possono esdudere le pratiche indicate nell'art. )3, le quali 
rappresenterebbero i metodi pi� conformi all'obi�ttivo perseguito, che 
consiste nel garantire che il vino sia un prodotto esclusivamente d'uva 
e che tende ad evitare la sovraiproduzione di vino non smerciabile. 
8. :_ La Repubblica italiana, interveniente, sostiene che se si autorizza 
l'aggiunta di saccarosio e si vieta quella di MRCR, il provvedimento 
nazionale diventa inaccettabile in quanto contrario alla lettera e 
allo spirito della norma comunitaria. Dal momento che nessuna delle 
due pratiche incide sul gusto o su altre caratteristiche tipiche del prodotto, 
l'autorizzare l'una escludendo l'altra non rappresenterebbe l'applicazione 
di un criterio pi� rigoroso, ma costituirebbe un provvedimento 
completamente privo di logica ed ingiustificato che va a detrimento di 
un metodo privilegiato dalla regolamentazione comunitaria e a vantaggio 
di un altro da questa tollerato solo in condizioni particolari. 
9. -La Repubblica federale di Germania contesta l'esistenza di una 
qualsiasi gerarchia tra i diversi procedimenti ammessi dall'art. 33 e assume 
che questa disposizione indica solo i metodi di arricchimento che 
possono essere 'lecitamente usati, non quelli che debbono essere usati. 
Spetterebbe poi agli Stati membri decidere, nell'ambito delle. possibilit� 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 

offerte dall'art. 33, quali, fra i metodi di arricchimento ammissibili, siano 
da autorizzare. 

10. -� opportuno esaminare se il regolamento n. 337/79 dia facolt� 
agli Stati membri <di scegliere tra i diversi metodi che 'l'art. 33 dichiara 
essere gli unici ammessi ovvero, come ha sostenuto la Commissione durante 
l'udienza, gli Stati membri possano solo scegliere in base all'art. 32 
di autorizzare o non autorizzare il ricorso all'arricchimento ma, una 
volta concessa detta autorizzazione, siano tenuti ad ammettere tutti i 
metodi indicati nell'art. 33 alle condizioni ivi contemplate. 
11. -Si ha motivo di constatare che il regolamento n. 337/79 stabilisce, 
secondo l'art. l, un'organizzazione comune dei mercati nel settore 
vitivinicolo, che �comporta un regime di prezzi e degli interventi, 
un regime degli scambi con i paesi terzi, norme relative alla produzione 
e al corRrollo dellp sviluppo degli impianti nonch� norme relative a 
talune pratiche enologiche e all'immissione al consumo. 
12. -Come la Corte ha pi� volte affermato, � coessenziale all'esistenza 
di un'organizzazione comune di me11cat� che, nei settori da essa 
disciplinati, gli Stati membri non possano pi� intervenire con norme 
interne adottate unilateralmente (v. in particolare la sentenza 29 giugno 
1978, Dechmamm, 154/77, Racc. pag. 1573). La loro competenza legislativa 
sarebbe solo di carattere res1duale e limitata. alle fattispecie non disciplinate 
dalla norma comunitaria nonch� ai casi in cui questa riconosca 
loro espressamente detta competenza. 
13. ~ Nel �aso di specie, questa organizzazione � caratterizzata, nei 
settori indicati all'art. l, del regolamento, da una disciplina dettagliata 
le cui modalit� di applicazione sono demandate alla Commissione secondo 
una procedura qmtemplata dall'art. 67, a termini del quale queste 
misure sono adottate dalla Commissione, sentito il parere del Comitato 
di gestione per i vini, con possibilit� d'intervento del Consiglio qualora 
le misure decise dalla Commissione non siano conformi al parere formulato 
dal Comitato. � solo in relazione a punti precisi che tale disciplina 
di diritto comune consente agli Stati membri di adottare misure 
specifiche divergenti o derogatorie, sia per un periodo transitorio sia 
a determinate condizioni. 
14. -L'art. 32 infatti muove dal principio che dal sistema� delle 
disposizioni contenute nel titolo IV del regolamento n. 337/79 si evince 
che, come affermato dalla Corte nella sentenza 27 febbraio 1986 {Roeser, 
238/84, non ancora pubblicata), l'aumento del titolo alcolometrico volumico 
naturale del vino e del mosto di uve � vietato, ma consente che 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

272 

gli Stati membri, alle condizioni e sulla base dei presupposti di cui agli 
artt. 32, 33 e 36, l'autorizzino in via eccezionale qualora le condizioni 
climatiche lo rendano necessario. In presenza di tutte le condizioni enunciate 
in detto articolo; gli Stati membri sono perci� liberi di autorizzare 

o no l'aumento. Nel caso in cui uno Stato membro prende tale decisione, 
il 3� comma del n. 1 dispone che � l'aumento del titolo alcolometrico volumico 
naturale ... ha luogo secondo le pratiche enologiche menzionate 
all'art. 33 ... �. 
15. -L'art. 33 elenca gli unici procedimenti consentiti, <:iistinguendo 
a seconda dei diversi stadi di elaborazione del vino. Il n. 2 precisa che 
ciascuna delle operazioni contemplate esclude il ricorso alle altre. I 
nn. da 4 a 7 precisano i-limiti che i metodi di arricchimento non possono 
superare. Il n. 8 disporle che le modalit� di applicazione dell'art. 33 saranno 
adottate secondo la procedura di cui all'art. 67. 
� 

16. -Da quanto precede si deduce che il regolamento n. 337/79 non 
lascia agli Stati membri, che abbiano m~ufruito della possibilit� offerta 
dall'art. 32 di autorizzare l'aumento del titolo alcolometrico, alcun margine 
di valutazione discrezionale in relazione ai metodi di arricchimento 
che possono essere adottati. Di conseguenza, una legislazione nazionale 
non pu� limitare su questo punto gli effetti del regolamento e restringere 
i diritti che possono sorgere in capo al singolo in virt� di una norma 
espressa che non ammette possibilit� di deroga. 
17. -Escluso che il regolamento n. 337/79 attribuisca una simile 
competenza alla legge nazionale, � opportuno verificare se altre disposizioni, 
come pretende la Repubblica federale di Germania, consentano 
di limitare la portata dell'art. 33 del regolamento n. 337/79. 
18. -Per _quanto riguarda i v.q.p.r.d., la Repubblica federale di 
Germania adduce che l'art. 19, 1� comma, del regolamento n. 338/79 le 
fornisce una base giuridica di diritto comunitario per escludere i MRCR, 
poich� permette di definire condizioni di produzione pi� rigorose di qqelle 
contemplate dalle disposizioni comunitarie. Questa possibilit� sarebbe . 
inoltre ammessa dall'art. 8, n. 1, dello stesso regolamento, secondo il 
quale i .particolari metodi di vinificazione e di elaborazione sono definiti 
per ciascuno dei v.q.p.r.d. da ciascuno degli Stati membri interessati, 
dato che le operazioni di arricchimento dovrebbero infatti essere considerate 
parte integrante del processo di fabbricazione del vino. 
19. -L'art. 19 consente agli Stati membri di integrare le disposizioni 
del regolamento n. 338/79 con norme volte a definire, tenendo conto degli 
usi leali e costanti, caratteristiche o condizioni di produzione e di cir

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

colazione complementari o pi� rigorose. Esso non si riferisce ai� metodi 
di-arricchimento che non possono essere ricompresi fra le condizioni di 
produzione. Queste, come risulta dall'art. 46 del regolamento n. 337/79, 
sono costituite dalle pratiche e dai trattamenti enologici contemplati 
nell'allegato III di detto regolamento nel quale non figurano i metodi 
di arricchimento. Del resto, l'art. 32 del regolamento n. 337/79 li esclude 
dalle normali condizioni di produzione, limitandosi ad ammettere che, in 
casi eccezionali e rispettando condizioni restrittive, gli Stati membri 
possono autorizzarli. 

20. -Quanto ail'art. 8, n..2. del regolamento n. 338/79, esso dispone 
espressamente che in via eccezionale si possa aumentare il titolo alcolometrico 
volumico naturale, ma rinvia ai metodi e alle condizioni indicati 
nell'art. 33 del regolamento n. 337/79, senza attribuire agli Stati mem� 
bri il diritto di apportarvi dei limiti. 
21. -Se ne deduce che la regolamentazione speciale in materia di 
v.q.J,J.r.d. non pu� fondare una competenza degli Stati membri ad introdurre 
nella loro legislazione restrizioni alla scelta lasciata agli operatori 
economici dall'art. 33 del regolamento n. 337/79. 
22. -Per quanto riguarda il � Landwein � (vino tipico). la Repubblica 
federale di Germ�nia ritiene che il fondamento di diritto _comunitario 
ohe le consente di escludere l'uso di MRCR sia costituito dall'art. 2, n. 3, 
lett. i), 2� comma, del regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 355, 
che stabilisce le norme generali per la designazione e la presentazione 
dei vini e dei mosti di uve (G. U. n. 1. 54, pag. 99), in quanto detto articolo 
permetterebbe agli Stati di fissare le condizioni di produzione del 
vino tipico all'interno di un determinato Stato membro. 
23. -Questa i).orma dispone che la menzione � vino tipico � sia 
riservata �ai vini da tavola che rispondono a talune condizioni di produzione, 
in particolare per quanto concerne le variet� di viti, il titolo alcolometrico 
naturale volumico minimo e le caratteristiche organolettiche
�. 
24. -Adottata in esecuzione dell'art. 54 del regolamento n. 337/79, che 
demanda al Consiglio di stabilire � le norme relative alla designazione ed 
alla presentazione dei prodotti enumerati all'articolo 1 �, questa disposizione, 
come indicato del resto nel secondo e nel terzo considerando 
della motivazione, mira solo a garantire un'appropriat� informazione sull'identificazione 
e sulle specifiche caratteristiche di tali vini da tavola 
particolari. Essa pu� consentire di �negare la denominazione� di � vino 
"' 



274 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tipico � ai vini da tavola che non rispondono a talune condizioni di produzione 
necessarie per giustificare una specifica designazione, ma non 
attribuisce agli Stati membri alcuna competenza a limitare il ricorso 
ai metodi di arricchimento ammessi dall'art. 33 del regolamento n. 337/79, 
allorch� detti Stati autorizzano l'aumento del titolo alcolometrico volumico 
naturale. D'altro canto, l'art. 46, n. 2, del regolamento n. 337/79, che 
si applica anche ai vini tipici, osterebbe al riconoscimento di tale competenza, 
poich� esso autorizza gli Stati membri ad adottare condizioni 
pi� rigorose solo per quanto attiene a � pratiche � trattamenti enologici 
previsti dall'allegato III �, tra i quali non figurano -i metodi di 
arricchimento. 

25. -Si deve quindi riconoscere che la Repubblica federale di Germania, 
non autorizzando l'aggiunta di mosto di uve concentrato rettificato 
nell'elaborazione di vino tipico e di vino di qualit� prodotto in regioni 
determinate, � venuta meno agli obblighi che le derivano dall'organizzazione 
comune del mercato vitivinicolo ed in particolare dagli artt. 32 
e 33 del regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 337, relativo all'organizzazione 
comune del mercato vitivinicolo e dall'art. 8 del regolamento 
del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 338, ohe stabilisce disposizioni particolari 
per i vini di qualit� prodotti in regioni determinate. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 15 gen� 
naio 1987, nella causa 266/85 -Pres. Mackenzie Stuart � Avv. gern. 
Mancini � Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Land� 
gericht di Kaiserslautern nella causa Shenavai c. Kreischer ,_ foterv.: 
�overni della Rep. fed. di Germania (ag. Bohmer), del Regno unito 
(ag. McHenry) e italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle 

C.E. (ag. Albrecht e Pieri). 
Comunit� Europee � Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla 
competenza giurisdizionale � Competenza -Luogo di adempimento 
dell'obbligazione. 

(Convenzione di Bruxelles 27 settembre i968, ratificata e resa esecutiva in Italia con 
legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 5, n. 1). 

Per la determinazione del luogo dell'adempimento, ai sensi dell'arti� 
colo 5, n. l, della convenzion� 27 settembre 1968, concernente la com� 
petenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e 
commerciale, l'obbligazione di cui si deve tener conto, nella lite vertente 

I? 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 275 

sul pagamento degli onorari dell'architetto incaricato di elaborare un 
progetto per la costruzione di edifici, � l'obbligazione contrattuale che 
costituisce concretamente il fondamento dell'azione giurisdizionale (1). 

(Omissis) 1. -Con ordinanza 5 marzo 1985, giunta alla Corte il 
30 agosto successivo, il Landgericht di Kaiserslautern ha sollevato, a 
norma del protocollo del 3 giugno 1971, relativo all'interpretazione, da 
parte della Corte di giustizia, della Convenzione 27 settembre 1968, concernente 
la competenza giurisdizionale e l'esecuzione depe decisioni in 
mat,eria civile e commerciale (in prosieguo: �la Convenzione�) una questibne 
pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 5, n. 1 della Convenzione. 


2. -Detta questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia 
tra il sig. Shenavai, architetto residente in Rockenhausen (Repubblica 
federale di Germania), e il sig. Kreischer, residente in Geleen 
(Paesi Bassi), vertente sulla corresponsione di onorari di architetto 
per l'elaborazione. di progetti relativi alla costruzione di tre residenze 
estive presso Rockenhausen. 
3. -L'Amtsgericht Rockenhausen, adito dell'attore, accoglieva l'eccezione 
di incompetenza sollevata dal Kreischer, il quale riteneva che 
il luogo di adempimento dell'obbltgazione di pagare gli onorari di architetto 
era la residenza del committente, che nella fattispecie si trova nei 
(1) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo italiano, le cui 
osservazioni nel corso della discussione orale qui di seguito si riportano. 
Della determinazione del luogo di adepimento dell'obbligazione ai sensi dell'art. 
5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale. 
Le due soluzioni prospettate dal giudice di rinvio tedesco hanno trovato 
eco entrambe nelle osservazioni scritte presentate alla Corte. 

Da un lato la competenza del giudice del luogo in cui deve essere eseguita 
l'obbligazione che caratterizza il contratto � stata sostenuta dal Governo del 
Regno Unito. All'opposto la competenza del giudice del luogo in cui deve essere 
eseguita l'obbligazione dedotta in giudizio, quella cio� che serve di base all'azione 
giudiziaria, � stata sostenuta dalla Commissione, ,dal Governo italiano e dalla 
parte convenuta nel giudizio principale, sig. Kreischer. Questa seconda soluzione 
� condivisa nelle conclusioni dal Governo della Rep. Fed. di Germania, il quale 
per� non ha mancato di sottolineare che essa in verit� discende pi� dalla lettera 
della convenzione e dalla intenzione dei suoi compilatori, che non dalla logica, 
che invece giustificherebbe la prima soluzione. 

Noi apprezziamo le argomentazioni e le conclusioni dall'una e dall'altra 
parte sostenute, e riteniamo di dover tener fermo quanto gi� esposto nelle 
osservazioni scritte. 

Certamente ha ragione il Governo tedesco allorch� osserva che l'interpretazione 
della norma della convenzione deve essere unica per tutti gli Stati quali 
che siano le eventuali differenze nelle versioni linguistiche di essa. E probabil


7 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

276 

Paesi Bassi, e perci� non sussistevano i presupposti necessari per convenire 
la controparte dinanzi ad un giudice tedesco. 

4. -Lo Shenavai si appellava dinanzi al Landgericht di Kaiserslautern, 
il quale decideva in primo luogo che, secondo il diritto tedesco,. 
il luogo di adempimento del contratto stipulato con un architetto � 
quello in cui si trova lo studio dell'architetto e in cui � ubicato l'edificio. 
Quindi, il luogo di adempimento di tutte le obbligazioni derivanti 
�dal 
c�ntratto �coindderebbe col �baricentro� del rapporto contrattuale 
nel suo complesso. 

5. -Il Landgericht a~giungeva ohe non era certo che la stessa 
interpretazione dovesse seguirsi per quanto riguarda l'art. 5, n. 1, della 
Convenzione, dato che talune sentenze della Corte farebbero dip�ndere 
la competenza internazionale dal luogo dell'adempimento dell'obbligazione 
contrattuale che costituisce il fondamento dell'azione giurisdizionale, 
nella fattispecie quindi quella di pagare l'onorario. Cos� stando 
le cose, il Landgerioht ha ritenuto necessario sottoporre alla Corte la 
seguente questione pregiudiziale: 
� Se, per la determinazione del luogo di esecuzione ai sensi del!'
art. 5, n. 1, della Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza 
giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile 
e commerciale, si debba aver riguardo, anche nel caso dell'azione per 
il pagamento dell'onorario esperita dall'architetto incaricato soltanto 

mente ha. ragione lo stesso Governo allorch� rileva che la sola versione lingui


stica italiana e forse quella olandese non lasciano adito a dubbi e indicano 

�hiaramente la competenza del giudice del luogo in cui deve essere eseguita la 

singola obbligazione dedotta in giudizio. 

Devesi peraltro osservare, a quest'ultimo proposito, che se la versione italiana 

� in un senso abbastanza chiaro, le altre versioni non favoriscono certo la solu


zione opposta, e tutt'al pi� sono meno chiare, ma non per questo contrarie. E 

allora, dovendosi assumere una sola soluzione, quale risultato unitario dell'in


terpretazione della norma nelle sue varie versioni linguistiche, tutte facenti 

ugualmente fede, assume decisivo rilievo quella versione che pi� delle altre, e 

senza alcun contrasto con esse, sia la pi� chiara e la meno discutibile. 

Questo risultato interpretativo, �invero, sembra essere stato gi� raggiunto 

dalla Corte nelle sue precedenti decisioni, ampiamente citate, nelle osservazioni 

scritte (dove erano state richiamate le sentenze 6 ottobre 1976, nella causa 12/76, 

TESSILI, in Racc., 1473; 6 ottobre 1976, nella causa 14/76, DE BLOos,. in Racc., 1497; 

26 maggio 1982, IVENEL, in Racc. 1891; e per un riferimento al luogo dell'adempi


mento, le sentenze 17 gennaio 1980, nella causa 56/79, ZELGER, in Racc.1 89; 

4 marzo 1982, nella causa 38/81, EFFER, in Racc. 825; e poi il punto 12 della 

sentenza 22 marzo 1983, nella causa 34/82, PETERS, in Racc., 987, nonch� in questa 

Rassegna, 1983, I, 641). 

La Corte ha precisato nella citata� sentenza DE BLOos del 1976, nella causa 
14/76, che per �obbligazione� deve intendersi �l'obbligazione contrattuale che 

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""" �.��� ................,, ........ , ........ , ........ e"................ ...... . .. .. . . .. ...., . .... ... .. ......... ............. . . ..... 


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PARTE I, ~EZ. II, GHJRIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE Z77 

del progetto, all'obbligazione contrattuale che costitusice' in concreto 
il fondamento dell'azione (nella fattispecie, la somma da pagarsi, al 
domicilio del convenuto), 'oppure alla prestazione tipica del contratto, 
che caratt<.;rizza l'intero rapporto contrattuale {cio� la sede dello studio 
dell'architetto oppure il luogo prescelto :per la costruzione dell'edificio) �. 

6. -Si deve ricordare che la Convenzione sancisce, all'art. 21 il 
principio generale secondo il quale la competenza del giudice � determinata 
dal luogo di residenza del convenuto, ma essa aggiunge, all'art. 
5, n. 1, che il .convenuto, in fatto di contratti, pu� essere altres� 
cif~to dinanzi al giudice del luogo nel quale l'obbligazione � stata o 
dev'essere adempiuta. Come la Corte ha rilevato nella sentenza 6 ottobre 
1976, (Tessili c/ Dunlop, 12/76, Racc. pag. 1473), questa libert� di 
scelta � stata introdotta in considerazione del fatto che, in determinati 
casi, esiste un nesso particolarmente stretto! ai fini dell'economia processuale, 
fra una controversia ed il giudice che !PU� doverla dirimere. 
7. -Nella stessa .sentenza, la �Corte ha. precisato che il � luogo dell'esecuzione
� dell'obibligaziol}e va definito in conformit� alla legge che 
disciplina l'obbligazione controversa secondo il diritto internazionale 
privato del giudice adito. 
8. -In un'altra sentenza del 6 ottobre 1976-(De Bloos c/ Bouyer, 
14/76, Racc. pag. 1497), la Corte, dopo aver ricordato che la Convenzione 
mira a determinare la competenza degli organi giurisdizionali degli 
serve di base all'azione giudiziaria�, quella cio� �corrispondente al diritto su 
cui si impernia l'azione dell'attore�. E questa soluzione, oltre che corrispondere 
alla lettera della norma e .alla volont� del legislatore quale risulta dai brani, 
pi� volte citati, della relazione Jenard (che a commento della norma in questione 
parla di scelta del forum solutionis, � cio� del giudice del luogo in cui 
l'obbligazione su cui si basa la domanda ha avuto o deve avere esecuzione'" 
anzich�. del forum contractus), appare, a nostro avviso, perfettamente logica. 
Se unica �, infatti, l'obbligazione dedotta in giudizio, se di essa soltanto si discute, 
se nessun altro punto di una pi� vasta contrattazione viene in discussione, non 
si vede perch� non debba essere essa stessa, quale oggetto unico o comunque 
principale della lite, a determinare la competenza del giudice, pur se questa 
possa essere' diversa in relazione ad altri punti e ad altre circostanze che non 
vengono per� dedotte in giudizio. 

Si � �sservato in contrario che una rigida applicazione di questo criterio, 
che identifica la competenza in base alla singola obbligazione dedotta in giudizio, 
potrebbe portare alla moltiplicazione delle competenze nel caso che siano 
dedotte in giudizio pi� obbligazioni, pur relative allo stesso contratto. Ma questo 
pericolo � stato gi� avvertito dalla Corte, che vi ha ovviato con la sua pronuncia 
lVENEL, del 1982, nella causa 133/81, pi� volte citata, con la quale, -a conclusione 
di un indirizzo giurisprudenziale uniforme nel senso suddetto (si vedano 
in proposito le sentenze pi� sopra citate) -, � stato precisato che in caso di 
� domande su varie obbligazioni � derivanti da un unico contratto, l'obbliga




278 
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Stati contraenti nell'ordinamento internazionale, a facilitare il riconoscimento 
delle rispettive decisioni giudiziarie e ad instaurare un procedimento 
rapido inteso a garantire l'esecuzione delle decisioni, ha affermato 
ohe detti obiettivi implicano la necessit� di evitar�, nei limiti 
del possibile, la molteplicit� dei criteri di competenza giurisdizionale 
rispetto al medesimo contratto e che non si pu� quindi interpretare 
l'art. 5, n. 1, della Convenzione nel senso ch'esso faccia riferimento a 
qualsivoglia obbHgazione derivante dal contratto. 

9. -La Corte ne ha desunto. che, per la determinazione del �luogo 
di esecuzione~> ai sensi dell'art. 5 summenzionato, l'obbligazione di cui 
� si 
deve tener conto � quella corrispondente al diritto del contratto sul 
quale si basa l'azione dell'attore. Essa ha precisato ohe, nell'ipotesi in 
cui l'attore rivendichi il diritto al risarcimento del danno o chieda la 
risoluzione del �contratto per inadempimento della controparte, dett� 
obbligazione � sempre quella derivante dal contratto ed il cui inadempimento 
� dedotto a sostegno di dette domande. 

10. -La norma generale ohe ne scaturisce ammette tuttavia alcune 
deroghe, in quanto la �materia contrattuale� comprende rapporti di 
natura molto diversa, tanto sotto il profilo della loro importanza sociale 
quanto sotto quello delle prestazioni stipulate. La Convenzion� tiene 
conto. di questa diversit� dettando talune norme speciali per determinati 
rapporti contrattuali. Per questo motivo, ad esempio, essa stabilisce, 
nell'art. 16, una competenza esdusiva in fatto di locazione di 
immobili. 
zione da prendere in considerazione per l'applicazione dell'art. 5 n. 1 della 
Convenzione � �quella che caratterizza il contratto �. 

Non ci sembra che sia il caso di dubitare della portata di questa pronuncia. 
Essa non rappresenta affatto un r�virement, ma � una conferma del precedente 
indirizzo. Essa, invero, presuppone e conferma quelle precedenti e si limita ad 
un adattamento logico che presuppone la scelta di un'obbligazione caratterizzante, 
la quale � pur sempre dedotta in giudizio e posta a base dell'azione giudiziaria: 
tale obbligazione trascina le altre per connessione ed �vita, allorch� fossero 
prospettate pi� competenze diverse, una illogica separazione dei procedimenti. 


Per queste ragioni noi riteniamo che la soluzione del quesito oggi posto 
discenda, direttamente e logicamente, dalle precedenti risposte fornite dalla 
Corte, le quali sono il frutto di una interpretazione della convenzione non solo 
letter�le ma anche perfettamente logica. 

Proponiamo quindi, a conferma di quanto gi� detto nelle osservazioni scritt�, 
che si risponda al quesito posto nel senso che � per la determinazione del luogo 
dell'esecuzione, ai sensi dell'articolo 5, n. 1 della Convenzione, si deve aver 
riguardo, nel caso dell'azione per il pagamento degli onorari esperita da un 
architetto incaricato soltanto della approvazione del progetto, all'obbligazione 
contrattuale che costituisce in concreto oggetto dell'azione �. 

OSCAR FIUMARA 



PARTE I, SEZ. J;I, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

11. -Informandosi a considerazioni analoghe, la Corte ha deciso, 
nella sentenza 26 maggio 1982 (lvenel c/ Sohwab, 133/81, Racc. pag. 1891), 
che nel caso della domanda basata su varie obbligazioni scaturenti da 
un unico contratto di rappresentanza, che era stato definito contratto 
di lavoro dal giudice nazionale, l'obbligazione di cui si deve tener conto, 
ai sensi dell'art. 5, n. l, della Convenzione, � quello che 1caratterizza il . 
contratto e che � normalmente quella di effettuare il lavoro. 
12. -Stando cos� le cose, la questione sollevata nella presente causa 
dal ,giudice nazionale va considerata diretta in particolare ad accertare 
se,� nell'ipotesi della lite per il pagamento degli onorari di architetto, 
la norma generale scaturente dalla sopra ricordata sentenza. De Bloos, 
secondo la quale l'obbHgazione di cui si deve tener conto � quella che 
costituisce il fondamento dell'azione dell'attore, vada osservata oppure, 
al contrario, questa ipotesi abbia particolarit� analoghe a quelle riscontrate 
nella sentenza Ivenel. 
13. -Dinanzi alla Corte si � discusso non solo,del problema se la 
natura del contratto vada presa in -considerazione per determinare l'obbligazione 
di -cui si deve tener conto, ma an'Che di quello costituito dalla 
presenza, nell'ambito della stessa controversia, di varie obbligazioni che 
costituiscano il fondamento dell'azione giurisdizionale. 
14. -Sul primo punto, il Governo britannico auspica la generalizzazione 
del criterio accolto dalla Corte nella SUllllmenzionata sentenza 
Ivenel, per l'ipotesi del lavoro subordinato, sostenendo che tale criterio 
offrirebbe determinati vantaggi se fosse applicato a tutti i contratti vertenti 
su prestazioni di carattere professionale. Un'interpretazione in 
questo senso dell'art. 5, n. 1, della Convenzione avrebbe in particolare 
l'effetto di evitare la coesistenza in pi� ?tati membri di fori competenti 
a -conoscere di pi� domande fondate sullo stesso -contratto e di 
fissare il foro nello Stato contraente la cui legge si applica normalmente 
al contratto. In un'ipotesi come la fattispecie, essa avrebbe inoltre 
il vantaggio di costituire una vera alternativa al foro della residenza 
del convenuto, foro ordinario secondo la Convenzione. 
15. -I Governi tedesco e italiano e la Commissione non condividono 
questo modo di vedere. Il Governo tedesco ammette che determinati 
arg?menti militano a favore del foro contrattuale unico, ma rileva 
che determinati contratti non hanno una prestazione caratteristica, ad 
esempio quando le prestazioni delle due parti si equivalgono, come nell'ipotesi 
del contratto per lo scambio di beni ed, inoltre, -che la volont� 
degli autori della Convenzione, quale si desume da talune versioni linguistiche 
della disposizione di cui trattasi, sarebbe stata quella di rif�rsi, 

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280 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II

per fissare il foro del luogo dell'adempimento, all'obbligazione con


f:
trattuale che costituisce il fondamento concreto dell'azione giurisdizionale. 


16. -A questo proposito si deve osservare anzitutto che i contratti 
di lavoro, come altri contratti in fatto di lavoro subordinato, hanno, 
I' 

rispetto agli altri contratti, anche quando questi riguardano prestazioni 
di servizi, determinate particolarit�, in quanto creano un nesso durevole 


I

ID

che inserisce il lavoratore nell'ambito di una determinata organizzazione 

dell'attivit� dell'impresa o del datore di lavoro e in quanto si ricollegano 

.al luogo dell'esercizio dell'attivit�, il quale determina l'applicazione di 
norme imperative e di contratti collettivi. A causa awunto di queste 
particolarit� il giudice del luogo dell'adempimento dell'obbligazione che 
caratterizza siffatti contratti si rivela il pi� idoneo a dirimere le liti 
ohe possono nascere da� una o pi� obbligazioni derivanti da detti contratti. 


17. -Quando queste particolarit� specifiche non sussistono, non � 
n� necessario n� opportuno identificare l'obbligazione che caratterizza il 
contratto n� accentrare nel suo luogo di adellljpimento la competenza 
giurisdizionale, in quanto luogo dell'adempimento, per le liti relative a 
qualsiasi obbligazione contrattuale. Infatti, la variet� e molteplicit� dei 
contratti, considerati in generale, sono tali che questo criterio, in detti 
altri casi, potrebbe creare incertezze circa la competenza giurisdizionale, 
incertezze ohe la Convenzione ha precisamente 10 scopo di ridurre. 
18. -Ques~a incertezza non esiste, invece, per la generalit� dei contratti, 
qualora si prenda unicamente in considerazione l'obbligazione 
pattuita .mediante il contratto e della quale si persegt�e in giudizio 
l'adempimento. Infatti il luogo in cui questa dev'essere� adempiuta costi.
tuisce normalmente il luogo di collegamento pi� immediato fra la lite 
e il giudice competente, collegamento ohe ha indotto a s<eegliere il foro 
del luogo dell'adempimento dell'obbligazione in materia contrattuale. 

19. -� vero che questa norma Iion fornisce soluzione nel caso particolare 
in cui la lite verte su pi� . obbligazioni derivanti dallo stesso 
contratto e che costituiscano il fondamento dell'azione esperita dall'attore. 
In quest'O caso, per�, il giudice �dito, per determinare la pro 
pria competenza, si orienter� sul principio secondo il quale l'a�cessorio 
segue il pricipale; in altre parole, sar� l'obbligazione principale, fra le 
varie� in questione, qu�ella che determiner� la competenza. Questa complicazione 
non sussiste tuttavia nell'ipotesi contemplata dal �giudice proponente. 

PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

20. -Si deve quindi risolvere la questione sollevata nel senso che, 
per la determinazione del luogo dell'adempimento, ai sensi dell'art. 5, 
n. 1, della Convenzione, l'obbligazione di cui si deve tener conto, nella 
lite vertente sul pagamento degli onorari. dell'architetto incaricato di 
elaborare un progetto per la costruzione di edifici, � l'obbligazione contrattuale 
che costituisce concretamente il fondamento dell'azione giurisdizionale 
(omissis). 
CQRTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, Sed. plen., 27 gennaio 
1987, nella causa 275/85 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. 
Darmon -Commissione delle C. E. (ag. Fabro) c. Repubblica italiana 
.(avv. Stato Braguglia). 

Comunit�� Europee � Ravvicinamento delle legislazioni � Dogane � Messa 
in libera pratica delle merci � Svincolo globale e svincolo a riprese. 

(Direttive del Consiglio 24 luglio 1979, n. 79/695/CEE e della Commissione .17 dicembre 
1981, .n. 82/57/CEE, art. 19; direttiva del Consiglio 22 maggio 1978, n. 78/453/CEE, 
artt. 3 e 4; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 55, 80 e 249). 

La Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostile dal 
Trattato CEE e dall'art. 19 della direttiva della Commissione 17 dicembre 
1981, n. 82/57, che stabilisce talune disposizioni d'attuazione della 
direttiva del Consiglio n. �79/695, relativa all'armonizzazione dei procedimenti 
di messa in libera pratica delle merci, autorizzando lo svincolo a 
riprese delle merci che formano oggetto di un'unica dichiarazione di 
messa in libera pratica nell'ambito dell'importazione definitiva. 

(Omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della 
Corte il 6 settembre 1985, la Commissione delle Comunit� Europee ha 
proposto, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso inteso a far 
diahiarare che, autorizzando lo svincolo a riprese delle merci che formano 
oggetto di un'unica dichiarazione di messa in libera pratica dell'importazione 
definiti.va, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi 
impostile dal Trattato e dall'art. 19 della direttiva della Commissione 
17 dicembre 1981, n. 82/57, che stabilisce talune disposizioni d'attuazione 
della direttiva del Consiglio n. 79/695/CEE, relativa all'armonizzazione dei 
procedimenti di messa in libera pratica delle merci (G. U. 1982, n. L. 28, 
pag. 38). 

2. -Per quanto attiene ~lle disposizioni della normativa italiana di 
cui trattasi e ai mezzi e agli argomenti delle parti, si rinvia alla relazione 
d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono menzionati in prosieguo solo 
se necessari alla motivazione della sentenza. 

282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

3. -� pacifico che, per l'importazione definitiva delle merci, l'articolo 
80, 2� comma, del Testo unico delle disposizioni legislative in materia 
doganale (TULD) (Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, .n. 80, del 
28 marw 1973, supplemento ordinario p. 3) consente la possibilit� dello 
svincolo a riprese, mentre l'art. 19 della suddetta direttiva n.. 82/57 dispone 
nel suo prim� comma ahe: � lo svincolo delle merci per la libera 
pratica � concesso globalmente per tutte le merci oggetto della diohiarazione 
�. 
4. -Orbene, secondo il Governo italiano~ la possibilit� dello svincolo 
a riprese � certamente conterruplata dall'art. 4 della direttiva del Consiglio 
22 maggio 1978, �n. 78/453, relativa all'armonizzazione delle disposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative riguardanti la dilazione del 
pagamento dei dazi d� importazione o di esportazione (G. U. n. L 146, 
pag. 19). Il n. l, primo comma, di detto articolo dispone: 
� Le somme dovute per i diritti all'importazione o i diritti all'esportazione 
su merci il cui rilascio � stato autorizzato durante un dato periodo, 
che non pu� essere superiore a trentun giorni, possono formare 
oggetto di un'unica contabilizzazione alla fine del periodo da parte delle 

f,

autorit� competenti�. f: 

t 

5. -Secondo il Governo italiano il senso letterale e logico di tale 
disposizione implica la possibilit� e la legittimit� d'uno svicolo a riprese 
delle merci che possono formare oggetto di un'unica contabilizzazione. 
I 
I I~ 

6. -Il Governo italiano rileva che da nessuna disposizione della 
direttiva del Consiglio n. 79/695 si pu� desll[Ilere l'intento di sopprimere 
la possibilit� dello svincolo a riprese. Si dovrebbe quindi escludere che 
I 

l'art. 19 della direttiva della Commissione n. 82/57 � che fissa talune di


I

sposizioni di applicazione della direttiva n. 79/695/CEE... � possa avere 

~ 

l'effetto di sopprimere una facolt� riconosciuta dalFart. 4 della direttiva i

' 

del Consiglio n. 78/453. I

! 

7. -In proposito si deve osservare che il testo del precitato art. 4 
I 

dimostra che questa norma non mira a disciplinare o ad armonizzare 
le modalit� dello svincolo, ma ohe riguarda la possibilit� e le condizioni ! 
di un'unica contabilizzazione delle somme dovute per i dazi d'importazione 
o di esportazione su merci il cui rilascio � stato autorizzato durante 
un dato periodo. 


I 

8. -L'interpretazione di tale disposizione in base al suo contesto I 
porta allo stesso risultato. Infatti, detto articolo fa parte della direttiva 
del Consiglio relativa all'armonizzazione delle disposizioni riguardanti la 
dilazione del pagamento, che ha un oggetto del tutto diverso da quello 
della direttiva della Commissione di cui trattasi nella presente causa. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

9. -In mancanza d'armonizzazione delle disposizioni nazionali che 
disciplinano le modalit� dello svincolo, il precitato art. 4 poteva essere 
applicato o in caso di uno svincolo a riprese di merci costituenti oggetto 
di un'unica dichiarazione di m~ssa in libera pratica, o in caso di. svincoli 
successisvi di mer:ci costituenti oggetto di dichiarazioni diverse. Esso non 
pregiudicava affatto le modalit� dello svincolo. 
10. -Orbene, dette modalit� rientrano nei procedimenti di messa in 
libera pratica, che sono state armonizzate con la direttiva del Consiglio 
n. 79/695 e con la direttiva della Commissione n. 82/57 adottata per la 
su.a attuazione. Siccome l'art. 19 di quest'ultima direttiva dispone ohe lo 
svincolo deve essere concesso globalmente per tutte le merci oggetto 
della dichiarazione, l'art. 4 della direttiva del Consiglio n. 78/453, riguardante 
la dilazione del pagamento, pu� ormai applicarsi solo alla contabilizzazione 
dei dazi afferenti merci che siano oggetto di dichiarazioni 
diverse e di svinco1i successivi durante un dato periodo. 
11. -Di conseguenza, il Governo italiano non pu� invocare l'art. 4 
della direttiva del Consiglio n. 78/453 per giustificare la difformit� fra 
la sua normativa e l'art. 19 della direttiva della Commissione n. 82/5i. 
12. -Si deve quindi dichiarare che, autorizzando lo svincolo a riprese 
delle merci che formano ogigetto di "un'unica d~chiarazione di messa in 
libera pratica nell'ambito dell'importazione definitiva, la Repubblica ita.
liana � venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato CEE e dall'articolo 
19 della direttiva della Commissione 17 dicembre 1981, n. 82/57, che 
stabilisce talune disposizioni d'attuazione della direttiva del Consiglio 

n. 79/695, relativa all'armonizzazione dei procedimenti di messa in libera 
pratica delle mere~ {omissis). 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 2a sez., 7 aprile 
1987, nella causa 166/85 -Pries. O' Higgins -Avv. Gen. Mancini Domanda 
di propuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di appello 
di Venezia nel procedimento penale c. I. Bullo e F. Bonivento -Interv.: 
Governo italiano (avv. Stato Ferri) e Commissione delle C. E. (ag. 
Berardis). 

Comunit� Europee -Ravvicinamento delle legislazioni -Accesso all'attivit� 
degli enti creditizi -Interprefazione della direttiva -Nozione 
di pubblico ufficiale e di persona incaricata di un pubblico servizio. 
(Direttiva CEE del Consiglio 12 dicembre 1977, n. 77/780; d.P.R. 27 giugno 1985, 

n. 350; artt. 357 e 358 cod. pen.). 
N� le disposizioni, n� l'obiettivo della direttiva n. 77/780 si oppongono 
a che sia conferita ai dipendenti degli enti creditizi la qualit� tli 


284 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

� pubblico ufficiale � o di � persona incaricata di un pulJblico servizio " 
ai fini dell'applicazione del diritto penale di uno Stato membro (1). 

(Omis~is) 1. -Con ordinanza 15 aprile 1985, pervenuta alla Corte il 

31. maggio 1985,. la Corte d'Appello di Venezia ha proposto, a norma dell'art. 
177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione 
della direttiva del� Consiglio 12 dicembre 1977, n. 77/780, 
�relativa 
al coordinamento .delle disposizioni legislative, regolamentari 
ed amministratirve riguardanti l'accesso all'attivit� degli enti creditizi 
ed il suo esercizio (G. U. n. L. 322, pag. 30) in prosieguo: la direttiva. 

2. -La questione � stata sollevata nell'ambito di un procedimento 
. penale .a carico di I. Bullo e F. Bonivento (per il seguito, gli imputati), 
due dipendenti di un istituto di credito organizzato sotto forma di sooiet� 
cooperativa a responsabilit� limitata, la� Banca Agricola Popolare 
di Cavarzere (Venezia). Gli imputati, qualificati come �persone incaricate 
di un pubblico servizio�, sono stati condannati dal giudice penale 
di primo grado per � malversamone a danno di privati �, reato contemplato 
dall'art. 315 del codice penale italiano. Se questo reato � commesso 
da un pubblico ufficiale o da una persona incaricata di un. pubblico 
servizio, la �pena pu� essere fggravata. 

3. -La Corte� d'Appello di Venezia, dinanzi alla quale � stato proposto 
appello dagli imputati, ritenendo che l'istituto di credito di cui 
trattasi rientrasse nel campo d'applicazione del1a direttiva e che fosse 
necessario verificare la compatibilit� con quest'ultima della qualificazione 
di persone incaricate di un pubblico servizio o di pubblico ufficiale, 
conferita ai dipendenti di tale istituto, ha sottoposto alla Corte 
la seguente questione: 
� Se, tenuto conto del complessivo contenuto proprio della direttiva 
emanata in data 12 dicembre 1977 (77/780/CEE) dal Consiglio delle 
Comunit� Europee, nel " risultato da raggiungere " che vincola de Rpubblica 
italiana in forza dell'art. 189, 3� comma, del Trattato CEE, nella 
disciplina della �.. struttura dell'organizzazione dell'ente creditizio" (articolo 
3, n. 4, della citata direttiva) da emanare .a cura dello Stato mem-� 
bro, possa essere legittimamente inclusa o, invece, debba essere esclusa, 
la qualificazione dei dipendenti degli "enti creditizi" (art. l, primo trattino, 
della citata direttirva), in virt� dell'espletamento da parte dei dipendenti 
medesimi delle attivit� loro attribuite, come " publici ufficiali " 

(1) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo italiano (e ribadita 
dalla Corte nella successiva sentenza su questioni analoghe, 17 settembre 1987, 
nella causa 422/85, MATTIAzzo). 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNlTARtA E .JNTERNAZIONALB 

o come "incaricati di un pubblico servizio", in conformit� alle �nozioni 
definite rispettivamente nell'art. 357 e nell'art. 358 del vigente codice penale 
italiano�. 
4. -Per quanto riguarda gli antefatti della causa, lo svolgimento 
del procedimento e le osservazioni presentate dagli imputati, dalla Commissione 
e dal Governo italiano, si rinvia alla relazione d'udienza. A tali 
elementi del fascicolo si fa riferimento per il seguito solo nella misura 
necessaria al ragionamento della Corte. 
5. -Con la sua questione il giudice nazionale intende conoscere, in 
sostanza, se le disposizioni e l'obiettivo della direttiva n. 77/780 si oppongano 
a che venga conferita ai dipendenti di _enti creditizi la qualit� di 
� pubblico ufficiale � o di � persona incaricata .di un pubblico servizio � 
ai fini dell'applicazione del diritto penale di uno Stato membro. 
6. -Per risolvere tale questione, si deve anzitutto constatare che 
la direttiva, come hanno giustamente sottolineato la Commissione ed 
il Governo italiano, non contiene alcuna norma che determini lo status 
che dev'essere attribuito agli istituti di credito dal diritto nazionale degli 
Stati membri o la portata di un'eventuale responsabilit� penale dei d1pendenti 
di questi istituti, come guella contemplata nella fattispecie dalla 
normativa italiana. Essa lascia quindi gli Stati membri del tutto competenti 
a disciplinare lo status giuridico degli �enti creditizi e, in particolare, 
non li obbliga ad imporre un carattere privato alle funzioni ed ai 
compiti affidati dall'isti.tuto di credito ai suoi dipendenti. 
' 

7. -Infatti; se, da un lato, la direttiva considera vietata, in virt� 
del Trattato, qualsiasi discriminazione in materia di stabilimento e di 
prestazione di servizi, basata sulla nazionalit� o, rispettivamente, sul 
fatto che l'impresa non � stabilita nello Stato membro in cui la prestazione 
viene eseguita, dall'altra essa mira unicamente a facilitare l'accesso 
all'attivit� degli enti creditizi ed il suo esercizio, eliminando le differenze 
pi� sensibili fra le legislazioni degli Stati membri per quanto riguarda 
il regime al quale detti enti sono sottoposti {primo e secondo considerando). 
A tal riguardo, la direttiva costituisce solo una prima tappa nella 
realizzazione di un mercato comune degli enti creditizi che ha, in particolare, 
come scopo finale di facilitare il controllo globale di un ente creditizio 
che opera in vari Stati membri. Essa non obbliga quindi, in via 
di principio, gli Stati membri a sottrarre detti enti, e di conseguenza i� 
loro dipendenti, all'applicazione del loro diritto nazionale ed in particolare 
del loro diritto penale, in quanto dette disposizioni non costituiscono 
una disdminazione a danno degli enti creditizi degli altri Stati membri 
o una restrizione imposta al libero accesso all'esercizio dell'attivit� creditizia. 

286 

RASSEGNA DELL'AVVOCATl:JRA DELLO STATO 


8. -A tal riguardo, bisogna constatare che la qualificazione di pubblici 
ufficiali o di persone incaricate di un pubblico servi.zio, conferita 
ai dipendenti degli enti creditizi al solo fine dell'applicazione del diritto 
penale, non costituisce n� una discriminazione basata sulla naiionalit� 

o sulla sede sociale dell'ente, n� una restrizione al libero accesso all'esercizio 
dell'attivit� creditizia. Infatti, il diritto di libero accesso all'attivit� 
creditizia e di libero esercizio di tale attivit� � garantito solo nelle stesse 
condizioni poste dalla normativa del paese di stabilimento per i suoi 
propri cittadini ed enti creditizi. 
9. -Per quanto riguarda il riferimento fatto dal giudice nazionale 
all'art. 3, n. 4, della direttiva, bisogna rilevare che l'obbligb contemplato 
da tale norma per gli enti creditizi di corredare la loro domanda di autorizzazione 
di un programma di attivit� in cui siano indicati il tipo delle 
operazioni previste e la struttura dell'organizzazione dell'ente � di natura 
formale ed ha come scopo di assicurare un controllo effettivo dell'attivit� 
di questi enti al fine della tutela della loro clientela. Detto obbligo non 
pu� essere inteso nel senso che si oppone a:d un determinato tipo di 
struttura degli enti icreditizi o ad una ,qualificazione specifka dei dipendenti 
degli istituti di credito ai fini dep-applkazione del diritto penale. 
10. -Per quanto riguarda l'argomento degli imputati relativo al fatto 
che le qualificazioni di cui trattasi comportano obblighi vincolanti ed 
un controllo giurisdizionale, bisogna subito replicare che la direttiva non 
si oppone ad un controllo degli enti creditizi. Un tale controllo, pol.ch� 
non limita il libero accesso all'attivit� creditizia fissando condizioni diverse 
da quelle previste per gli enti creditizi dello Stato membro interessato, 
non pu� essere considerato incompatibile con le disposizioni o 
con l'obiettivo della direttiva. 
11. -Per quanto riguarda Fargomento degli imputati secondo cui 
la direttiva attribuisce un c�rattere specifico agli istituti di credito, bisogna 
constatare che essa effettivamente esclude dal proprio campo di 
. aipplicazione 
taluni istituti ohe perseguono obiettivi specifici, in particolare 
d'interesse pubblico. Tuttavia, va constatato da un lato che tale 
esclusione non ha� come conseguenza che le banohe ed i loro dipendenti 
debbano necessariamente avere uno status di diritto privato e, dall'altro, 
che la direttiva non impedisc� agli Stati membri di attribuire uno status 
speciale, sul piano dell'applicazione del diritto penale, alle banche private 
ed ai loro dipendenti. 

12. -Da tutte le considerazioni che precedono deriva che bisogna 
risolvere la questione posta nel senso che n� le disposizioni, n� l'obiettivo 
della direttiva n. 77/780 si oppongono a che sia conferita ai dipen

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTER..'IAZIONALB 

287 

denti degli enti creditizi la qualit� di �pubblico ufficiale� o di �persona 
incaricata di un pubblico servizio � ai fini dell'applicazione del diritto 
penale di uno Stato membro (omissis). 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 1Sed. plen., 9 aprile 
1987, nelle cause riunite 167 e 212/85 -Pres. Mackenzie Stuart -
Avv. Gen. Mischo -Assider (avv. Grassetti e Grieco) e Repubblica 
italiana (avv. Stato Braguglia) c. Commissione del1e C. E. (ag. Wagenbauer 
e Carnpogrande). 

Comunit� Europee -CECA -Industria siderurgica -Sistema di sorveglianza 
-. Rispetto dei flussi tradizionali -Violazione -Poteri della 
Commissione. 

(Trattato CECA, art. 95; decisione della Commissione 31 gennaio 1984, n. 234/84/CECA, 
<trt. 15 b). 

La decisione implicita con cui la Commissione ha rifiutato di adottare 
le misure di cui all'art. 15-b, n. 4, della decisione n. 234/84/CECA � 
annullata, in quanto la Commissione stessa, avendo constatato che le 
consegne tradizionali erano state modificate in una proporzione rilevante 
ai sensi del n. 1 dell'articolo suddetto a danno dei produttori italiani, 
a causa della violazione da parte di taluni produttori di altri Stati 
membri della normativa comunitaria sui prezzi dei prod�tti siderurgici, 
doveva chiedere alle imprese responsabili di impegnarsi per iscritto a 
compensare lo squilibrio nelle loro consegne tradizionali (1). 

(Omissis) 1. -Con atti depositati in cancelleria il 31 maggio ed il 
12 luglio 1985, l'Assider ed il Governo della. Repubblica italiana hanno 
presentato, ai sensi dell'art. 35,_ 3� comma, del Trattato CECA, due ricorsi 
intesi all'annullamento della decisione cori cui la Commissione ha rifiutato 
implicitamente di applicare l'art. 15 b della sua decisione 31 gennaio 
1984, n. 234/84/CECA, ohe proroga il sistema di sorveglianza e la 

(1) La controversia si � dibattuta nell'ambito normativo determinato dalla 
particolare situazione di crisi della siderurgia europea. 
Persistendo tale situazione, la Commissione delle C.E. adottava alla fine 
del 1983 e agli inizi del 1984 una serie di decisioni miranti a rafforzare l'efficacia 
dei provvedimenti adottati precedentemente e costituiti essenzialmente dal Codice 
degli aiuti (decisione della Commissione 7 agosto 1981, n.. 2320/81/CECA 


G. U. n. L 228, pag. 14) e dal sistema delle quote di produzione (decisione della 
Commissione 28 luglio 1983, n. 2177/83/CECA -G. U. n. L 208, pag. 1), decisioni 
che sono state pi� volte modificate. 
La Commissione pertanto adottava in data 23 dicembre 1983 la decisione 

n. 3715/83/CECA che fissa dei prezzi minimi per taluni prodotti siderurgici e la 

288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

disciplina di quote di produzione di alcuni prodotti per le imprese dell'industria 
siderurgica (G. U. n. L 29, pag. 1). 

2. -L'Assider ha ohiesto, in subordine, l'nnullamento della decisione 
esplicita di rifiuto di applicare il citato ~rt. 15 b, che � contenuta in una 
lettera della Commissione in data 22 marzo 1985. 
3. -Con lettere indirizzate alla Commissione tra il 30 novembre l984 
ed il 25 febbraio 1985, il Governo italiano faceva presente che il volume 
delle consegne in Italia di prodotti siderurgici, di cui alla decisione numero 
234/84/CBCA sopra menzionata, aveva subito per l'intero anno 1984 
rilevanti modifiche rispetto ~lle consegne tradizionali e chiedeva alla 
Commissione di dare attuazione alle disposizioni correttive di cui all'articolo 
15 b della citata decisione n. 234/84/CECA. L'Assider formulava la 
stessa domanda con lettera 18 febbraio 1985. 
4. -Mediante lettera 22 marzo 1985, la Commissione comunicava al 
Governo italiano che, dQPO aver verificato la fondatezza delle denunce 
da esso presentate a decorrere dal 5 giugno 1984 e dopo aver organizzato 
riunioni bilaterali con le autorit� competenti degli Stati membri interessati, 
aveva avviato le procedure relative a talune infrazioni constatate 
in materia di prezzi e che avrebbe valutato caso per caso l'opportunit� 
di continuare la procedura prevista all'art. 1'5 b della decisione n. 234/84/ 
CECA sopra menzionata. 
5. -Con lettera 24 aprile 1985, la Commissione trasmetteva a:ll'Assider 
la Ieftera sopra menzionata, che aveva inviato al Governo italiano il 
22 marzo 1985, limitandosi ad aggiungere che avrebbe tenuto informata 
l'Assider nel caso in cui l'approfondimento delle indagini in corso avesse 
giustificato ulteriori azioni della Commissione nell'ambito della procedura 
di cui all'art. 15 b della decisione n. 234/84/CECA. 
decisione n. 3716/83/CECA che introduce un sistema di cauzioni ed un sistema 
di verifica dei prezzi minimi (G. U. n. L 373, pagg, 1 e, rispettivamente, 5). 
Inoltre in data 23 dicembre 1983 la Commissione adottava la decisione 

n. 3717/83/CECA che introduce un sistema di certificazioni ed un documento 
di accompagnamento per le consegne di alcuni prodotti siderurgici (G. U. 
n. L 373, pag. 9). Tale decisione veniva adottata ai sensi dell'art. 95 del Trattato 
CECA su parere conforme del Consiglio al fine di assicurare la sorveglianza 
dei flussi tradizionali degli scambi mediante un controllo ed un'identificazione 
completi e precisi del movimento dei prodotti siderurgici all'interno 
della Comunit�. 
Tale sistema di sorveglianza veniva completato dall'introduzione, nell'am� 

'bito della decisione della Commissione 31 gennaio 1984, n. 234/84/CECA, che 
proroga il sistema di sorveglianza e la disciplina di quote di produzione di 
alcuni prodotti per le imprese dell'industria siderurgica (G. U. n. L 29, pag. 1), 

di un nuovo principio concernente il rispetto dei flussi tradizionali di scambio, 

',',',',',',',',',',',','."�"�"�"�"'�"�"�"�"�"�"�"'�"�"�"�"�"������-�.�.�.�.�.�.�.�.�.�u.�,,�c,-c.�,�,.�m.� 


PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

289 

6. -Per quanto riguarda l'ambito normativo della controversia ed 
i mezzi e gli airgomenti delle parti, si fa riferimento alla . relazione 
d'udienza. Questi elementi del fascicolo vengono riportati qui di seguito 
solo nella misura necessaria al ragionamento della Cort� (omissis). 
10. -Bisogna rilevare che, se le domande presentate alla Commissione 
dalle ricorrenti miravano ad ottenere l'applicaiione, senza altre 
precisazioni, dell'art. 15 b della decisione CECA sopra menzionata, risulta 
tuttavia tant� dai. ricorsi stessi quant0 dalla discussione condotta dinanzi 
.alla Corte che l'Assider, cos� come il Governo italiano, si limitano a 
. ch~edere l'annullamento del rifiuto implicito della Commissione di applicare 
il n. 4 dell'art. 15 b di questa decisione. 

11. -Le ricorrenti deducono due mezzi a sostegno delle loro conclusioni. 
Il primo si fonda sulla violazione dell'art. 15 b, n. 4, della citata 
decisione CECA e di varie norme del Trattato CECA. Il secondo mezzo � 
basato sullo sviamento di potere derivante dal fatto che la Commissione 
avrebbe perseguito un obiettivo diverso da quello che ha P.Ortato all'adozione 
dell'art. 15 b. 
12. -Le ricorrenti sostengono innanzitutto che, in quanto, come 
nella fattispecie, la denuncia del Governo italiano fosse ritenuta fondata, 
la Commissione er� tenuta ad intervenire immediatamente ed a chiedere 
alle imprese di cui trattasi di impegnarsi per iscritto a compensare lo 
squilibrio osservato nelle loro consegne tradizionali. La violazione dell'art. 
15 b, n. 4, comporterebbe quella dell'art. 58 del Trattato CECA in 
base al quale � stata adottata, la decisione n. 234/84/CBCA sopra menzionata 
e dell'art. 5 di tale Trattato, che enuncia l'obbligo di garantire 
in particolare il mantenimento delle condizioni normali di concorrenza. 
relativamente ai prodotti delle categorie la (coils a caldo}, Ib (lamiere laminate}, 

e III (travi). 

Dal punto 9 del considerando premesso alla decisione n. 234/84 risulta che 

secondo il Consiglio � la stabilit� delle correnti tradizionali dei prodotti siderur


gici nella Comunit� � un elemento essenziale da preservare affinch� la ristrut


turazione del settore siderurgico avvenga in un contesto concorrenziale compa


tibile con la solidariet� imposta dalla disciplina delle quote di produzione �. 

In base all'art. 15 b della decisione suddetta qualsiasi Stato membro pu� 

presentare una denuncia presso la Commissione qualora constati che nel corso 

di un trimestre le consegne dei prodotti delle categorie sopra indicate siano 

modificate notevolmente rispetto alle consegne tradizionali e la Commissione, 

valutata la fondatezza della denuncia e consultati gli Stati membri interessati, 

deve chiedere alle imprese in causa di impegnarsi per iscritto a compensare lo 

squilibrio nel trimestre successivo, salvo, in difetto, il potere della Commissicine 

di ridurre le quote dell'impresa inadempiente. 

Nella sentenza sopra riportata la Corte ha rilevato che la Commissione, 

avendo constatato la fondatezza della denuncia italiana, avrebbe dovuto adottare 

le misure indicate nella norma. � 



13. -Bisogna rilevare che a norma dell'art. 15 b, 4, sopra menzionato, 
la Commissione interviene solo quando ritiene che la denuncia presentata 
da uno Stato membro sulla base del n. 1 di tale norma sia fondata. 
14. -Dalle disposizioni stesse del n. 3 dell'art. 15 b risulta che, per 
verificare la fond~tezza della denuncia di uno Stato membro, la Commissione 
non deve limitarsi a valutare i dati statistici ohe le sono tra~ 
smessi, ma deve anche tener conto � di tutte le circostanze del caso in 
esame �. Essa dispone pertanto di un margine discrezionale per valu.
tare se la denuncia di uno Stato membro debba ritenersi fondata. 

15. -Per contro, dal testo del n. 4 dell'art. 15 b si desume che la 
Commissione, nel caso in cui, in seguito all'esame da essa compiuto, ri1 


tenga fondata la denuncia che le � stata piresentata, � tenuta a�chiedere 
alle imprese di cui trattasi di assumersi l'impegno definito da queste 
disposizioni. Occorre notare che, al contrario, il n. 5 dell'art. 15 b lascia 
alla Commissjone un ampio potere discrezionale per decidere una riduzione 
di quote nei confronti di un'iIIllp!l'esa che abbia rifiutato di assumersi 
un tale impegno o che non l'abbia rispettato. 

16. -Nella fattispecie, come risulta dagli atti, la Commissione ha 
riconosciuto l'esattezza. delle statistiohe presentate dalle ,autorit� italiane 
ed il fatto ohe le consegne tradizionali fossero state modificate in una 
proporzione rilevante ai sensi dell'art. 15 b, n. 1; essa ha accertato che 
queste modifiche, operate a danno dei piroduttori italiani, non erano state 
compensate da altre modifiche a loro favorevoli; avendo ricercato l'origine 
di questi fenomeni, li ha attribuiti non a normali fluttuazioni del 
mercato ma alla violazione, da parte di taluni produttori, della normativa 
comunitaria sui prezzi dei prodotti siderurgici; infi_ne, nell'ottobre 
1984, la Commissione ha organizzato con gli Stati membri interessati 
le consultazioni richieste dall'art. 15 b, n. 4, nell'ipotesi in cui � ritenga 
giustificato il reclamo �. 
17. -Stando cos� le cose, si deve riconoscere che la denuncia del 
Governo italiano � stata ritenuta fondata dalla Commissione, fin dal 
quarto trimestre 1984, e c)le peirtanto quest'ultima doveva, in base all'art. 
15 b, n. 4, chiedere alle imprese responsabili di impegnarsi per 
iscritto a compensare lo squilibrio nelle loro consegne tradizionali. 
18. -Per giustificare la sua inazione, la Commissione sostiene che 
non era obbligata ad agire entro un termine stabilito e che ha ritenuto 
necess'!-rio, prima di applicare l'art. 15 B, n. 4, conoscere il risultato 
delle procedure per inl�razione alla normativa sui prezzi dei prodotti '� 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 291 

siderurgici, da essa avviate nei confronti di taluni produttori. Tale esame 
era ancora in corso nel dicembre 1986. � 

19. -Tale argomento non pu� �ssere accolto. Infatti, il provvedimento 
di cui all'art. 15 b, n. 4, non riveste il carattere di una sanzione 
e non � quindi subordinato alla constatazione di una qualsiasi infrazione 
da parte delle imprese di cui trattasi. Inoltre, dal testo dell'art. 15 b 
risulta che la procedura che esso istituisce deve essere condotta con diligenza, 
ed il n. 4 dello stesso articolo richiede in particolare che l'impegno 
chiesto alle imprese di cui trattasi sia onorato nel corso del trimestre 
su�cessivo a quello in cui la Commissione ha ritenuto fondata la denuncia. 
La Commissione era quindi tenuta, I).ella fattispecie, a richiedere 
alle imprese interessate l'impegno di compensare, fin 'dal primo trimestre 
1985, lo squilibrio osservato nel.le loro consegne tradizionali. 
20. -Da quanto sopra risulta, senza che sia necessario esaminare 
il secondo mezzo. dei ricorsi, che la decisione implicita con cui la Commissione 
ha rifiutato di adottareJe misure di cui all'art. 15 b, n. 4, della 
decisione n. 234/84/CECA, � incompatibile con queste disposizioni, e deve, 
pertanto, essere annullata (omissis). 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNitA EUROPEE, Sed. plen., 9 aprile 
1987, nella causa 363/85 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Darmon 
-Commissione delle C. E. (ag. Prozzillo) c. Repubblica italiana 
(avv. Stato Braguglia). 

Comunit� Europee -Ravvicinamento delle legislazioni -Direttive -Recepimento 
-Obblighi degli Stati membri. 

(Trattato CEE, art. 5). 

Comunit� Europee -Ravvicinamento delle legislazioni -Sostanze e pro, 
dotti indesiderabili negli alimenti per� animali -Inadempimento dell'Italia 
Insussistenza. 

(Direttiva del Consiglio 6 maggio 1980, n. 80/502/CEE; legge 15 febbraio 1963, n. 281, 
' e successive modif.). 

Il recepimento in diritto interno di una direttiva non esige necessariamente 
la riproduzione formale e testuale delle sue disposizioni in 
una norma giuridica espressa e specifica; a questo scopo pu� essere 
sufficiente, tenuto 'conto del contenuto della direttiva stessa, un contesto 
giuridico generale, a condizione che quest'ultimo garantisca effettivamente 
la piena applicazione della direttiva in modo sufficientemente 
chiaro e preciso, affinch�, qualora la direttiva miri ad attribuire dei 
diritti ai singoli, i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena 

8 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

292 

portata dei loro diritti ed eventualmente di avvalersene dinanzi ai giudici 
nazionali (1). 

Non � fondato l'addebito mosso alla Repubblica italiana di essere 
venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato CEE per non aver adottato, 
entro il termine prescritto, le disposizioni necessarie per conformarsi 
alla direttiva del Consiglio 6 maggio 1980, n. 80/502/CEE, che modifica 
la direttiva n. 74/63 relativa alla fissazione di quantit� massime 
per le sostanze e per i prodotti indesiderabili negli alimenti per animali, 
in quanto la normativa italiana sostanzialmente garantisce la piena applicazione 
della' direttiva (2). 

(omissis). 1. -Con ricorso depositato nella cancelleria della Corte 
il 25 novembre 1985, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, 
a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso inteso a far 
dichiarare che la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostigli 
dal Trattato CEE, na adottando, entro il termine prescritto, le 
disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 6 maggio 
1980, n. 80/502, ohe modifica la direttiva n. 74/63 relativa alla fissazione 
di quantit� massime per le sostanze e per i prodotti indesiderabili 
negli alimenti per animali (G. U. n. L 124, nag. 17). 

2. -La Commissione addebita, in partrcol&e, alla Repubblica italiana 
di non aver recepito in diritto interno le definizioni delle nozioni 
di �animali�, di �animali familiari� e di �alimenti composti per animali
� di cui all'art. 1, n. 3, della direttiva n. 80/502, �che completa l'art. 2 
della direttiva n. 74/63. 
3. -Il Governo della R~ubblica italiana, pur ammettendo che le 
predette definizioni non sono state rip['odotte alfa lettera nel diritto 
�interno, 
tuttavia sostiene che esse figurano implicitamente nella complessiva 
�normativa italiana sugli alimenti per animali la cui sfera di 
applicazione coinciderebbe, di fatto, con quella della direttiva. Del resto 

(1-2) Interessante affermazione di principio nella prima massima (gi� espressa 
dalla Corte in altre sentenze: cfr. la sentenza 23 ma~io 1985, nella causa 
29/84, COMMISSIONE c. REP. FED. DI GERMANIA; cfr., poi, la sentenza 8 luglio 1987, 
nella causa COMMISSIONE c. ITALIA, pi� avanti in questo numero, pag. 309), che 
pone un limite ad un eccesso di formalismo da parte della Commissione delle 

C.E. !Ii effetti, nel caso di specie, la difesa del Governo italiano aveva rilevato 
che se nella regolamentazione nazionale potevano non rinvenirsi definizioni formalmente 
corrispondenti a quelle contenute nella direttiva comunitaria, tuttavia 
dall'insieme della regolamentazion� medesima risultava chi fossero i destinatari 
dei mangimi (animali ed animali domestici) e quali fossero le caratteristiche 
dei mangimi, compresi quelli composti, ponendo in luce che comunque 
non era stata evidenziata alcuna incidenza sostanziale conseguente alla rilevata 
mancanza di un'esatta corrispondenza formale delle definizioni. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 293 

la Commissione non avrebbe fatto menzione di difficolt� relative all'attuazione 
di quest'ultima, a causa della mancata riproduzione testuale 
delle defini;z;ioni di cui trattasi. 

4. -Per una pi� ampia esposizione degli antefatti, del procedimento, 
dei mezzi e degli argomenti delle parti, si rinvia alla relazione d'udienza. 
Questi elementi del. fascicolo sono menzionati in prosieguo solo se 
necessario per spieg:are il ragionamento della Corte. 
5. -In limine, si deve pr.ecisare che il ricorso per inadempimento 
ex art. 169 del Trattato CEE ha la "funzione di far dichiarare che uno 
Stato membro non ha adempiuto, in diritto o in fatto, un obbligo impostogli 
dal d�ritto comunitario. 
6. -Nel caso delle direttive, l'art. 189, terzo comma, del Trattato 
CEE vincola lo Stato membro �destinatario quanto al risultato da raggiungere, 
salva restalndo la competenza degli organi nazionali in merito 
alla forma e ai mezzi. 
7. -Come la Corte ha gi� dichiarato nella sentenza 23 maggio 1985 
(causa 29/84, Commissione delle Comunit� Europee c/ Repubblica federale 
di Germania, non ancora pubblicata), il recepimento in diritto interno 
di una direttiva non esige necessariamente la riproduzione formale 
e testuale delle sue disposizioni in una norma giuridica espressa . e specifica; 
a questo scopo �pu� essere sufficiente, tenuto conto del contenuto 
della direttiva stessa, un contesto giuridico generale, a condizione 
che quest'ultimo garantisca effettivamente la piena api>licazione della' "' 
direttiva in modo stlJi�ficientemente chiaro e preciso, affinch�, qualora 
la direttiva miri ad attribuire dei diritti ai singoli, i destinatari siano 
posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti ed eventualmente 
di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali. ' 
8. -In base a tali premesse occorre esaminare se la normativa 
italiana garantisca la corretta attuazione della disciplina relativa agli 
alimenti per animali prescritta dalle direttive. nn. 74/63 e 80/502. 
9. -Le direttive di cui trattasi mirano a limitare la quantit� di sostanze 
e di prodotti indesiderabili negli alimenti per animali, ohe possono 
nuocere, come esposto nel terzo punto del preambolo della direttiva 
n. 74/63, �alla salute animale o, per la loro presenza nei prodotti 
an~mali, alla salute umana �. Per realizzare tale scopo la direttiva numero 
80/502 ha ritenuto opportuno p["ecisare la propria sfera di applicazione 
mediante le definizioni di cui si addebita alla Repubblica italiana 
la mancata riproduzione testuale nella sua normativa. 
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294 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

10. -Per stabilire se sia provato l'inadempimento da parte della 
Repubblica italiana, si deve valutare se il fatto che le definizioni contenute 
nella direttiva n. 80/502 non si ritrovino testualmente nella normativa 
italiana vigente possa pregiudicare la corretta attuazione della 
disciplina stabilita dalle direttive di � cui trattasi. 
11. -In proposito, innanzitutto va constatato che la Commissione 
non sostiene che la mancata riproduzione testuale d~lle definizioni abbia 
comportato la minima ripercussione sul~a realizzazione dello scopo perseguito 
e sulla disciplina che con le direttive si mirava ad introdurre 
. circa le .quantit� massime di sostanze e di prodotti indesiderabili negli 
alimenti per animali, poich� essa ha ammesso all'udienza che non vi 
sono state dlfficolt� d'ordine pratico. 

12. -Mancando un'incidenza pratica effettivamente constatata dalla 
Commfasione, occorre esaminare se, almeno dal� punto di vista teorico, 
sia possibile una ripercussione sfavorevole. 
13. -Per quanto attiene alla delimitazione della sfera di applicazione 
della normativa, la direttiva definisce la nozione di � animali � nel 
senso che essa comprende � gli animali appartenenti a specie normalmente 
detenute e nutrite o consumate dall'uomo�, mentre la legge italiana 
15 febbraio 1963 dichiara di applicarsi agli �animali .d'allevamento�. 
Secondo il senso comune delle parole, non vi � motivo di distinguere fra 
un animale allevato dall'uomo e un animale-nutrito e detenuto dal-
l'uomo, sia o no destinato alla consumazione. Dato che la nozione nella 
normativa italiana coincide quindi con quella della direttiva, non vi 
sono elementi di fatto atti a corroborare la censura formulata dalla 
Commission�. 
14. -Per quanto attiene alla mancata definizione della nozione di 
� animale familiare � nella normativa italiana, va anche constatato che, 
almeno nell'accezione corrente e non tecnica, il termine � animale familiare 
� � inteso nel senso che esso si applica ad un animale allevato dal-
l'uomo, di modo che si deve ritenere che rientra nella nozione di 
� animale di allevamento � ai sensi della legge italiana. Anche la direttiva 
lo classifica in una categoria a parte in quanto animale nutrito dall'uomo, 
ma non consumato da lui, tuttavia questa distinzione � priva di conse� 
guenze pratiche, visto che� la Commissione non :ha nemmeno sostenuto 
che questa sottocategoria sia soggetta ad una disciplina particolare. 
Certo, l'art. 2 della direttiva della Commissione 1� dicembre 1976, n. 76/934, 
che m�difica l'allegato della direttiva n. 74/63 (G.U. n. L. 364, pag. 20), 
nel fissare in 15 mg/kg la quantit� massima di nitrito di sodio che pu� 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 

essere contenuta negli alimenti completi, esenta da questo limite gli alimenti 
destinati agli �animali domestici ad eocezione di uccelli e pesci di 
aoquario. Tuttavia, trattandosi di m;ia deroga ohe comporta la possibilit� 
di tollerare nell'alimentazione di taluni animali quantit� diverse di sostanze 
nocive, non si pu� censurare uno Stato membro per non aver fatto uso 
di questa possibilit�! Dato che la mancanza di una definizione specifica 
per questa categoria di animali non pu� quindi impedire l'attuazione 
della direttiva, la Corte pu�-solo dichiarare l'infondatezza dell'addebito. 

15. -Quanto alla nozione di � alimenti composti per animali�, definiti 
dalla direttiva n. 80/502 come �le sostanze organiche o inorganiche 
in miscela, comprendenti o no additivi, �destinate� alla nutrizione 
animale per via orale sotto forma di alimenti completi o di alimenti complementari
�, si deve osservare che la legge italiana non intende espressamente 
con questa espressione i soli � preparati ottenuti associando in 
modo adeguato due o pi� alimenti per animali�, ma disciplina anche 
l'uso di alimenti di origine minerale, di alimenti contenenti additivi, integrativi 
sanitari o principi attivi. Poich� la Commissione non ha dimostrato 
in qual modo la sfera di applicazione cos� delimitata dal capitolo I 
della legge italiana 15 febbraio 1983 si distingua da quella della normativa 
comunitruria, come determinata dalla definizione contenuta nella direttiva 
n. 80/502, la Corte non pu� ammettere che l'inadempimento possa 
consistere in una semplice differenza terminologica che, a suo avviso, 
non pu� incidere sull'attuazione degli obblighi scaturenti dalla disciplina 
comunitaria. Di conseguenza, neanche la terza censura � foooata. 
16. -Il ricorso dev'essere respinto per intero. (omissis). 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 5a sez., 11 giugno 
1987, nella causa 14/86 -Domanda di 'pronuncia pregiudiziale 
proposta dal Pretore di Sal� in procedimento penale contro ignoti. 
Interv.: Governo italiano (avv. Stato Ferri) e Commissione della C.E. 
(ag. Traversa). 

Comunit� Europee -Domanda di pronuncia pregiudiziale -Organo giurisdizionale 
� Funzioni del Pretore. 

(Trattato CEE, art. 177). 

Comunit� Europee . Domanda di pronuncia pregiudiziale � Momento 
della sua proposizione � Valutazione del giudice � a quo �. 
(Trattato CEE, art. 177). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

296 

Comunit� Europee -Ravvicinamento delle legislazioni � Tutela dell'ambiente 
-Obblighi previsti in una direttiva -Conseguenze per i privati. 

(Direttiva CEE del Consiglio 18 luglio 1978, n. 78/659). 

La .Corte � competente a pronunciarsi sulla domanda pregiudiziale 
proposta da un organo giurisdizionale (nella spede il Pretore italiano in 
un procedimento penale contro ignoti) che ha agito nell'ambito generale 
del suo compito di dirimere, con indipendenza e conformemente al diritto, 
controversie� demandate dalla legge alla sua competenza, anche se 
, tal�ne delle funzioni che esso deve svolgere nel procedimento che ha 
dato luogo al rinvio pregiudiziale non rivestono carattere strettamente 

giurisdizionale (1). 

La scelta del momento in cui � opportuno proporre nel caso con


creto la domanda pregiudiziale a norma dell'art. 177 del Trattato CEE 

dipende da considerazioni di economia e di utilit� processuali, che spet


tano al solo giudice nazionale (2). 

La direttiva del Consiglio 18 luglio 1978, n. 78/659, non pu� avere 

l'effetto, di per s� ed indipendentemente da una legge interna di uno 

Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o di ag


gravare la responsabilit� penale di coloro che agiscono in violazione 

delle sue disposizioni (3). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 13 gennaio 1986, pervenuta in cancelleria 
il successivo 28 gennaio, il Pretore di Sal� ha sottoposto a questa 
Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali 
vertenti sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 18 luglio 
1978, n. 78/659, sulla qualit� delle acque dolci che richiedono protezione 

o miglioramento per essere idonea alla vita dei pesci (G. U. n. L 222, pagina 
1). � 
(1) Sulla legittimazione a proporre domanda di pronuncia pregiudiziale alla 
Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, cfr. la giurisprudenza annotata e 
citata in questa Rassegna, 1986, I, 435 (nota di CoNTII; 1983, I, 848 (nota di 
LAPORTA); 1982, I, 70 e 675 (nota di FERRI); 1976, I, 199; 1974, I, 354 (nota di 
MARZANO). 
(2)-Sulle facolt� e s~gli obblighi del giudice nazionale, ai sensi del citato 
art. 177, cfr., oltre le pronunzie citate in motivazione, la giurisprudenza della 
Corte annotata e indicata in questa Rassegna, 1983, I, 47 (nota di LAPORTA); 
1982, I, 61; 1980, I, 521 (nota di MARZANO). :M 

(3) Nello stesso senso la sentenza citata in motivazione 26 febbraio 1986, 
nella causa 15f/84, MARSHALL, e, successivamente; la sentenza 8 ottobre 1987, 
nella causa 80/96, KOLPINGHUIS. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 297 

2. -Dett� questioni sono state sollevate nell'ambito di un procedimento 
penale instaurato contro ignoti per taluni delitti e talune contravvenzioni 
contemplati da varie disposizioni di Legge in materia di 
tutela delle acque. 
3. -Detto procedimento penale trae origine da un esposto presentato 
da un'associazione di pescatori a seguito di morie di pesci nel 
fiume Chiese, ohe sarebbero dovute essenzialmente ai numerosi sbarramenti 
costruiti per usi idroelettrici ed a scopo d'irrigazione, ohe provo�herebbeto 
forti ed improvvise variazioni della portata del fiume. In 
precedenza, altre associazioni di pescatori avevano denunciato i medesimi 
fatti nonch� scarichi di sostanze nocive nello stesso fiume, ma i 
loro esposti erano stati arohiviati. 
4. -Il Pretore di Sal�, nell'ambito dell'istruttoria penale da lui 
aperta, ha ritenuto necessario sottoporre alla Corte le seguenti questioni 
pregiudiziali: 
� L Se l'attuale assetto normativo della Repubblica italiana in materia 
di tutela delle acque dall'inquinamento sia adeguato ai principi e 
agli obiettivi di qualit� stabiliti dalla direttiva 78/659/CEE del 18 luglio 
1978 sulla qualit� delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento 
per essere idonee alla vita dei pesci; 

2. Se gli obiettivi di qualit� cos� come stabiliti dalla direttiva non 
presuppongano la globalit� della gestione delle acque e cio� la garanzia 
del regime di deflusso e di quantit� e quindi la nec~ssit� di norme riferite 
�a bacini o corsi d'acqua, atte alla protezione della costanza del 
flusso in rapporto alla conservazione della quantit� minima di acqua 
indispensabile per lo sviluppo delle specie ittiche �. 
5. -Per quanto riguarda gli antefatti, lo svolgimento del procedimento 
e le osservazioni presentate dal Governo italiano e dalla ~ommissione, 
si fa rinvio alla relazione d'udienza. Detti elementi del fascicoio 
sono menzionati in prosieguo solo nella misura necessaria per spiegare 
il ragionamento della Corte. 
6. -. Il Governo italiano, senza eocepire ~spressamente l'incompetenza 
della Corte a risolvere le questioni sottopostde, attira l'attenzione 
della stessa sulla natura delle funzioni svolte nel caso di specie dal Pretore, 
che sono, al tempo stesso, funzioni di Pubblico Ministero e di giudice 
istruttore: il Pretore svolge le indagini preliminari in qualit� di 
) Pubblico Ministero, e, in caso di esito negativo, emette il decreto di ar



298 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA OElJ..O STATO 

chiviazione in sostituzione del giudice istruttore; detto decreto non costituisce 
un atto giurisdizionale perch� non pu� formare giudicato o 
stabilire una situazione processuale di irrevocabilit� e perch� non � 
sogigetto all'obbligo della motivazione, laddove detto obbligo � pres�ritto 
dall'art. 111 della Costituzione italiana nel caso degli atti aventi natura 
giurisdizionale. 

7. -Si, deve rilevare che i Pretori sono magistrati che, in un procedimento 
come quello che ha dato luogo alla domanda pregiudiziale 
.di cui trattasi, cumulano le funzioni di Pubblico Ministero e di giudice 
istruttore. La Corte � competente a pronunziarsi sulla domanda pregiudiziale 
poich� questa proviene da un organo giurisdizionale che ha agito 
nell'ambito generale del suo compito di dirimere, con indipendenza e 
conformemente al dir~tto, controversie demandate dalla legge alla sua 
cQmpetenza, anche se talune delle funzioni che egli deve svolgere nel 
procedimento che ha dato luogo al rinvio pregiudiziale non rivestono 
carattere strettamente giurisdizionale. 
8. -All'udienza, il Governo italiano ha inoltre sostenuto che il rinvio 
pregiudiziale � prema~uro poich� nella fase attuale del procedimento i 
fatti non sono stati chiariti a sufficienza e gli eventuali responsabili 
non sono ancora stati individuati. 
9. -La Commissione considera la domanda di pronuncia pregiudiziale 
irricevibile in quanto, trattandosi di un procedimento penale contro 
ignoti, � possibile che non venga mai emessa una decisione nel merito. 
Perch� ci� accada sarebbe sufficiente che il responsabile o i responsabili 
non fossero mai identificati. All'udienza, la Commissione ha svolto un 
altro argomento a sostegno della tesi dell'incompetenza della Corte: i 
responsabili, qualora venissero identificati dopo la pronunzia della Corte, 
non avrebbero pi� la possibilit� di difendere dinanzi alla stessa l'interpretazione 
del diritto comunitario pi� conforme ai loro interessi. In tal 
modo sarebbero violati i diritti della difesa. 
10. -Si deve innanzitutto rilevare che, come la Corte ha considerato 
nella sentenza 10 marzo 1981 (cause riunite 36 e 71/80, Irish Creamery, 
Racc. pag. 735), affinch� l'interpret!lzione del diritto comunitario sia 
utile per il giudice nazionale, � necessario che sia definito l'ambito 
giuridico nel quale l'interpretazione richiesta deve collocarsi. In questa 
prospettiva, pu� essere vantaggioso, a seconda delle circostanze, che i 
fatti della causa siano accertati e ohe i problemi di puro diritto nazio� 
nale siano risolti al momento del rinvio alla Corte, in modo da consen� 
.,.,.,.,.,.,......-,.,.,.,.,...,..-,-.-.--.-.�.�,-,..�. �-� ---, -. , , , J 



PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

tire a questa di conoscere tutti gli elementi di fatto e di diritto che 
possano avere rilievo ai fini dell'interpretazione che essa deve dare del 
diritto comunitario. 

11. -Tuttavia, come la Corte ha del pari affermato (si Yedano la 
citata sentenza e, da ultimo, la sentenza 20 luglio 1984, causa 72/83, 
Campus Oil, Racc. pag. 2727), dette considerazioni nop. limitano affatto 
il potere discrezionale del giudice nazionale, che � i'I solo ad avere conoscenza 
diretta dei fatti della causa e degli argomenti delle parti, il 
quale deve assumere la responsabilit� dell'emana~da sentenza e � quindi 
colui che meglio di ogni altro pu� giud'icare in quale fase del procedimento 
gli occorra la pronunzia pregiudiziale della Corte. La scelta del 
momento in cui � opportuno proporre nel caso concreto la domanda 
pregiudiziale a norma dell'art. 177 dipende pertanto da CO:tJ.siderazioni 
di economia e di utilit� processuali che spettano al solo giudice nazionale,
�non alla Corte. 
12. -Si deve altres� rilevare che, .secondo la costante giurisprudenza 
della Corte, l'efficacia vincolante che le sentenze pregiudiziali hanno 
nei confronti dei giudici nazionali non osta a ohe il giudice nazionale 
destinatario di una siffatta sentenza si rivolga nuovamente alla Corte 
qualora lo ritenga necessario per la decisione della causa principale. 
Il �nuovo rinvio pu� essere giusttficato qualora il giudice nazionale si 
trovi di fronte a difficolt� di comprensione o di applicazione della sentenza, 
qualora egli sottoponga alla Corte una nuova questione di diritto, 
oppure qualora egli le sottoponga nuovi elementi di valutazione che 
possano indurla a risolvere diversamente una questione gi� sollevata 
(vedasi, da ultimo, l'ordinanza 5 marzo 1986, causa 69/85, Wilnsche, non 
ancora pubblicata). 
13. -Ne consegue che, qualora degli iII11putati venissero identificati 
successivamente alla domanda pregiudiziale, e qualora si verificasse 
una delle condizioni suddette, il giudice nazionale potr� rivolgersi nuovamente 
alla Corte, garantendo in tal modo il rispetto dei diritti della 
difesa. 
14. -Si devono pertanto respingere le obiezioni formulate, nel caso 
di specie, dalla Commissione e dal Governo italiano a proposito della 
com~etenza della Corte. 
Sulla prima questione. 

15. -Secondo la costante giurisprudenza della Corte, questa, nell'ambito 
dell'applicazione dell'art. 177 del Trattato CEE, non � compe

300 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA -DELLO STATO 300 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA -DELLO STATO 
-~ 

:-:


tente a statuire sulla compatibilit� di una norma nazionale con il diritto 
comunitario (vedasi, da ultimo, la sentenza 9 ottobre 1984, cause 
riunite 91 e 127/83, Heineken, Racc. pag. 3435). 

16. -:B vero che la Corte pu�, tenendo conto dei dati forniti dal 
giudice nazionale, ricavare dal testo delle questioni da questo formulate 
gli elementi attinenti all'interpretazione del diritto comunitario onde 
consentire a detto giudice di risolvere il problema giuridico sottopostogli. 
Nel caso presente, per�, date la genericit� della questione e la mancanza 
di elementi concreti che consentano di determinare i dubbi del giu_
dice del rinvio, la Corte si trova nell'impossibilit� di risolvere la questione 
sottopostale. 

Sulla seconda questione. 

17. -Secondo l'ordinanza di rinvio del giudice� nazionale, la normativa 
comunitaria riguarda le questioni penali dinanzi ad esso sollevate 
� sia per il carattere di premessa essenziale per i criteri di indagine, sia 
per l'importanza determinante ai fini dei presupposti della normativa 
penale vigente, oltre che per le innegabili prospettive di a1largamento 
della sfera di tutela penale che dalla direttiva possono derivare �. 
18. -Il giudice nazionale, quindi, mira in sostanza a stabilire se la 
direttiva n. 78/659 possa avere, di per s� ed indipendentemente dalla 
legge interna di uno Stato, l'effetto di determinare o di -aggravare la 
responsabilit� penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni. 
19. -.A questo proposito la Corte ha gi� affermato, nella sentenza 
26 febbraio 1986 (causa 152/84, Marshall, non ancora pubblicata), che 
� la direttiva non pu� di per s� creare obblighi a carico di un singolo 
e_ che una disposizione di una direttiva non pu� quindi essere fatta valere, 
in quanto tale, nei confronti dello stesso�. Da una direttiva non 
trasposta nell'ordinamento giuridico interno di uno Stato membro non 
possono pertanto derivare obblighi per dei privati n� nei confron~i di 
altri privati n�, a maggior ragione, nei confronti dello Stato. 
20. -Di conseguenza, la seconda questione va risolta nel senso che 
la direttiva del Consiglio 18 luglio 1978, n. 78/659, non pu� avere l'ef-fetta, 
di per s� ed indipendentemente da una legge interna di uno Stato 
membro adottata per la sua attuazione, di determinare o di aggravare 
la responsabilit� penale di coloro che agiscono in violazione delle sue 
disposizioni. (omissis) 

� 


PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

301 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 16 giugno 
1987, nella causa 225/85 -Pres. f.f. Galmot -Avv. Gen. Lenz Commissione 
delle C.E. (ag. Traversa) c. Repubblica italiana (avv. 
Stato Fiumara). 

Comunif� Europee -Libera circolazione dei lavoratori -Violazione del 
principio di non discriminazione in ragione della cittadinanza -Ricercatori 
del CNR -Disparit� di trattamento in relazione alle condizioni 
di impiego e di lavoro. 
(Trattato CEE, art. 48; regolamento CEE del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, art. 7� 

legge 20 marzo 1975, n. 70, artt. 5 e 36). 

La Repubblica italiana, riservando ai ricercatori cittadini di altri 
Stati membri in servizio presso il Consiglio nazionale delle ricerche, per 
quanto riguarda le condizioni di impiego e di lavoro, un trattamento 
discriminatorio rispetto a quello dei ricercatori di cittadinanza italiana 
nello stesso Consiglio nazionale delle ricerche, �. venuta meno agli obblighi 
impostile dall'art. 48 del Trattato CEE e dall'art. 7, nn. 1 e 4, 
del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1978, n. 1612 (1). 

(omissis) i.� -Con atto depositato nella cancelleria della Corte �l 
23 luglio 1985, la Commissione della Comunit� Europea ha proposto, 
in base all'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso inteso a far dichiarare 
che la Repubblica italiana, riservando ai riceroatori cittadini di altri 
Stati membri in servizio presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (in 
prosieguo . CNR), per quanto riguarda le condizioni d'impiego e di lavoro, 
un trattamento discriminatorio rispetto a quello dei ricercatori 
di cittadinanza italiana del medesimo CNR, � venuta meno agli obblighi 
impostile dall'art. 48 del Trattato CEE e dall'art. 7, nn. 1 e 4, del regolamento 
del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione 
dei lavoratori all'interno della Comunit� (G. U. n. L. 257, pag. 2). 

(1) In corso di causa era intervenuta la legge 17 febbraio 1987, n. 87, che 
aveva consentito l'inquadramento nei ruoli del CNR del personale a contratto 
al tempo dell'entrata in vigore della legge 20 marzo 1975, n. 70, di cittadinanza 
straniera. La Commissione, invitata dal Governo italiano a recedere dal ricorso 
essendo venuta nella specie a cessare sostanzialmente la materia del contendere, 
aveva ritenuto l'intervento legislativo non del tutto soddisfacente, con riferimento 
alla decorrenza di determinati effetti, mostrando peraltro un ben pi� 
rilevante interesse ad una pronuncia sulla questione di principio. E la Corte, 
implicitamente confermando iI suo indirizzo secondo cui l'oggetto del ricorso 
proposto a norma dell'art. 169 del Trattato � determinato dal parere motivato 
della Commissione (per cui anche qualora l'inadempimento sia stato sanato dopo 
il termine stabilito a norma del 2� co. di detto articolo vi pu� essere un interesse 
alla prosecuzione del ricorso: cfr. la sentenza 7 febbraio 1973, nella causa 
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302 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

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2. -La legge italiana 20 marzo 1975, n. 70 (G.U.R.I. n. 87 del 2 aprile 
1975) disp�ne, nell'art. 36, terzo comma, che il personale a contratto 
f

in servizio presso il CNR alla data di entrata in vigore della stessa legge 

w,

(3 aprile 1975) dev'essere inquadrato nei ruoli organici purch� possieda 

t:: 

i titoli e i requisiti prescritti e, nell'art. 36, quarto comma, che, in caso 
di mancanza di posti nei ruoli organici, il suddetto personale a contratto 
dev'essere trattenutp in servizio a tempo indeterminato e con il trattamento 
contemplato per la corrispondente qualifica di ruolo. In entrambi 
i casi � il servizio precedente � valutato ai fini degli aumenti periodici 
di stipendio �. 

3. -Inoltre, nell'art. 5, terzo comma, la stessa legge rinvia alle 
�norme di legge vigenti nell'amministrazione dello Stato sui requisiti ~ 
di'assunzione �. Fra dette norme rientrano quelle del Testo Unico delle 
disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato 
. I ~ 

(d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; G.U.R.J., Supplemento ordinario al n. 22 
~ 

del 25 gennaiO 1957) il qui;tle, nell'art. 2, stabilisce che �possono accedere 

agli impieghi civili dello Stato coloro che posseggono i seguenti requi


Jr

siti� generali: 1) cittadinanza italiana... �. 

I 

l

4. -La Commissione, considerando ch�, per quanto riguarda i rif:
cercatori candidati all'immissione in ruolo (o, qualora questa sia mo


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mentaneamente impossibile, al trattenimento in servizio a tempo indel 


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terminato), il predetto requisito di cittadinanza � in contrasto con l'ar


ticolo 48 del Trattato CEE e col regolamento n. 1612/68, ha proposto il 

presente ricorso per inadempimento nei confronti della Repubblica 

l

italiana. ! 

5. -Per una pi� ampia esposizione dei fatti, del procedimento e dei 
l 

' 

mezzi e degli argomenti delle parti si rinvia alla relazione d'udie:�iza. 
Detti elementi del fascicolo sono riprodotti in prosieguo solo se necesI 
sario a spiegare il ragionamento della Corte. 

39/72, COMMISSIONE c. ITALIA, in Racc., 111, e, poi, la sentenza 17 giugno 1987, 

nella causa 154/85, COMMISSIONE c. ITALIA), non ha tenuto conto della legge 

sopravvenuta, pronunciando la sentenza di condanna. 

Quanto al merito della questione, � da sottolineare che la Corte, confer


mando il tono di precedenti pronunzie (citate in motivazione, cui adde la 

sentenza 3 giugno 1986, nella causa 307/84, COMMISSIONE c. FRANCIA), ha anche 

ricordato �la possibilit� (da parte di uno Stato membro) di escludere i citta


dini di altri Stati membri da determinate promozioni o da determinati tratta


menti�, -al fine di consentire la loro esclusione da posizioni direttive che impli


chino esercizio di pubblici poteri senza estendere al di l� dello stretto necessario 

il senso e la portata dell'art. 48 n. 4 del Trattato CEE. 



PARTE ,I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 303 

6. �-L'oggetto della prima questione sollevata dal ricorso � se i 
posti di ricercatore presso il CNR debbano essere cons1der_ati impieghi 
nella pubblica amministrazione, ai quali, in forza dell'art. 48, n. 4, del 
Trattato, non si applica il divieto di discriminazione sancito dallo stesso 
articolo nel n. 2. 
7. -A questo proposito si deve ricordare che l'art. 48, n. 4, in quanto 
prescrive _una-deroga al principio fondamentale della libera circolazione 
e della parit� di trattamento dei lavoratori comunitari, deve ricevere una 
interpretazione che ne limiti la portata a quanto � strettamente necessa:
do per salvaguardare gli interessi che esso consente �agli Stati membri 
di tutelare. 
8. -Come la Corte ha ricordato, da ultimo nella sentenza 3 luglio 
1986 (causa 66/85, Lawrie-Blum, non ancora pubblicata), l'accesso a taluni 
posti non pu� essere limitato per il fatto che in un determinato 
Stato membro le persone nominate a detti posti hanno lo� status di 
pubblici dipendenti. Infatti, se l'applicazione dell'art. 48, n. 4, fosse 
subordinata alla natura giuridica del rapporto esistente tra il lavoratore 
e l'amministrazione, gli Stati membri avrebbero la possibilit� _di determinare, 
a loro piacimento, i posti ohe rientrano nella suddetta disposiziCllile 
derogatoria. 
9. -Si deve rilevare cihe nella fattispecie non ricorrono i presupposti, 
precisati dalla giurisprudenza della Corte e segnatamente nella sentenza 
17 dicembre 1980 (causa 149/79, Commissione c/ Belgio, Racc. 
pag. 3881), in base ai quali un determinato posto dev'essere considerato 
impiego nella pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 48, n. 4, del 
Trattato. Infatti, il semplice rinvio ai compiti generali del CNR e l'enumerazione 
delle mansioni svolte da tutti i ricercatori OCCU!pati presso 
l'ente suddetto non possono dimostrare ohe i ricercatori s'ono incaricati 
dell'esercizio di pubblici poteri o sono responsabili della tutela degli 
interessi generali dello Stato. Soltanto dei posti comportanti funzioni 
dir.ettive o di con~;ulenza dello Stato su questioni scientifiche e tecniche 
potrebbero essere qualificati impieghi nell'amministrazione pubblica ai 
sensi dell'art. 48, n. 4; del Trattato, ma non � stato dimostrato che dette 
funzioni siano esercitate dai ricercatori del CNR. 
10. -Per quanto riguarda l'argomento del Governo italiano secondo 
cui, qualora i ricercatori stranieri fossero inquadrati nei� ruoli orgamc1 
del CNR, non sarebbe possibile impedire loro di accedere, per prnmozione, 
ai posti della carriera direttiva di detto ente, � sufficiente rile

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

vare che il diritto comunitario non vieta agli Stati membri di riservare 
ai propri cittadin�, nell'ambito di una determinata carriera, i posti che 
implichino la partecipazione all'esercizio dei pubblici poteri o alla tutela 
degli interessi generali dello Stato. Tuttavia, come la Corte ha gi� 
considerato nella precitata sentenza 17 dicembre 1980, la possibilit� 
di escludere i cittadini di altri Stati membri da determinate promozioni 

o da determinati trattamenti non pu� avere l'effetto di escluderli, in 
generale, da posti che non rientrano nella nozione di pubblica amministrazione
� ai sensi dell'art. 48, n. 4, del Trattato. 
11. -Inoltre, come la Corte ha affermato nella sentenza 12 febbraio 
1974 (causa 152/73, Sotgiu, Racc. pag. 153), anche qualora si tratti di impieghi 
nella pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 48, n. 4, del 
Trattato, questa disposizione non pu� giustificare discriminazioni in 
materia di retribuzione o di altre condizioni di lavoro nei confronti dei 
lavoratori, cittadini di altri Stati membri, gi� entrati al servizio dell'amministrazione. 
12. -Occorre pertanto stabilire se la disapprovazione delle succitate 
disposizioni della legge n. 70 determini una discriminazione vietata dall'art. 
48, n. 2, del Trattato e dall'art. 7, nn. 1 e 4, del regolamento n. 1612/68 
13. -A questo proposito si deve osservare che i ricercatori cittadini 
di altri Stati membri sono discriminati, rispetto� ai ricercatori italiani, 
segnatamente sotto il profilo della stabilit� del rapporto di lavoro, 
giacch� essi sono trattenuti in servizio presso il CNR in base a contratti 
a termine e non vi � alcuna garanzia che detti contratti vengano 
rinnovati. Si deve inoltre rilevare che la mancanza di carriera per i ricercatori 
~ittadini di altri Stati membri comporta l'impossibillt� di avanzamento 
nel grado nonch� conseguenze per quanto riguarda la retribuzione 
e la pensione. Pertanto, i suddetti ricercatori non fruiscono di 
un regime comportante vantaggi e garanzie equivalenti a quelli inerenti 
allo status riservato ai cittadini nazionali. 
14. -Di conseguenza, si deve concludere che la Repubblica italiana, 
riservando ai ricercatori C!ittadini di altri Stati membri in servizio presso 
il Consiglio Nazionale delle Ricerche, per quanto riguarda le condizioni 
d'impiego e di lavoro, un trattamento discriminatorio rispetto a quello 
dei ricercatori di cittadinanza italiana dello stesso Consiglio Nazionale 
delle Ricerche, � venuta meno agli obbliighi impostile dall'art. 48 del 
Trattato CEE e dall'art. 7, nn. 1 e 4, del regolamento del Consiglio 
15 ottobre 1978, n. 1612. (omiss.4) 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 305 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 4a sez., 1� luglio 
�1987, nella causa 216/86 -Pres. Kakouris -Avv. Gen. Dermon Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione 
italiana nella causa Antonini c. Prefetto di Milano -Interv.: 
Governo italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. 
(ag. Prozzillo). 

Comunit� Europee -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati 
nef settore delle carni suine e nel settore delle carni bovine � Prezzi 
massimi di vendita all'ingrosso -Incompetenza degli Stati membri. 

'(Regolamenti CEE del Consiglio 13 giugno 1967, n. 121, e 27 giugno 1968, n. 805; 
decreto legge 24 luglio 1973, n. 427, conv. in legge 4 agosto 1973, n. 496, art. 2). 

I regolamenti del Consiglio nn. 121/67 e 805/68, relativi all'organizzazione 
comune di mercati nel settore delle carni suine e, rispettivamente,
� nel settore delle carni bovine, devono essere interpretati nel 
senso che essi vietano agli St.ati membri di istituire, e di continuare ad 
applicare, un regime nazionale di blocco dei prezzi che si applichi nella 
fase della vendita all'ingrosso dei prodotti rientranti nell'organizzazione 
comune dei mercati istituita dai due precedenti regolamenti. Ci� vale 
anche qualora l'applicazione del regime nazionale sia limitata nel tempo 
ed esso contenga una clausola di revisione intesa ad adeguare i prezzi 
bloccati a quelli stabiliti in forza dei regolamenti comunitari (1). 

(1) In precedenza la Corte di cassazione aveva ritenuto che le disposizioni 
del d.l. 24 luglio 1973, n. 427 (convertito, con� modificazioni, in legge 4 agosto 
1973, n. 496), sul cosiddetto blocco temporaneo dei prezzi dei beni di largo 
consumo, non si pongono in contrasto, nemmeno per la parte riguardante il 
commercio all'ingrosso, con le norme del Trattato di Roma del� 25 marzo 1957 
e dei regolameti CEE, n�, in particolare, con quelle dei regolamenti n. 121 del 
1967 e n. 805 del 1968 in materia di carni suine � bovine, considerando che 
queste norme escludon� il potere di intervento dei singoli Stati membri sulla 
determinazione dei prezzi interni non in via assoluta, ma solo in rapporto ad una 
potenziale incidenza negativa sugli obiettivi e sul funzionamento della organizzazione 
comune dei mercati e del regime comune dei prezzi, e che tale incidenza 
negativa non � ravvisabile con riferimento alle citate disposizioni, data 
la brevit� del blocco, la sua correlazione a prezzi originariamente formatisi 
secondo le libere leggi di mercato, la possibilit� di correttivi a partire dalla 
scadenza di un trimestre, l'espressa salvezza dei prezzi comunitari per gli scambi 
fra paesi membri o con paesi terzi (artt. 1, 2 e 5 del predetto decreto)�: cos� 
Cass. 20 aprile 1985, n. 2609, e, prima, Cass. 9 novembre 1982, n. 6704 e 6705, in 
questa Rassegna, 1983, I, 55, e Cass. 15 novembre 1979, n. 5946, ibidem, 1980, I, 43. 
Successivamente, a fronte di persistenti perplessit� in relazione al potere degli 
Stati membri di legiferare in tema di prezzi all'ingrosso in settori oggetto di 
organizzazione comune di mercato, la Corte di cassazione ha ritenuto opportuno 
adire la Corte di giustizia ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE. E la Corte 
comunitaria, chiarendo ulteriormente il senso delle sue precedenti pronunzie 
� ��-.-.�.�.�.-.-,..-.-.-.�.�.-.-.-.-.�.�-�:.�.�.-�::.�:.�.�!:.�.�.-...-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�� .�.�.�.�.� ��.�.�.�.�.�.��.�.�.�.�.�.�:.�.�::.�:.�.�.�...�...�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�:-:-:�'.�'.�:�:�;.:� 


306 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

(0711issis) 1. -Con ordinanza 14 febbraio 1986, pervenuta in cancel!
eria il 7 agosto successivo, la Corte Suprema .di Cassazione ha sottoposto 
a questa Corte, a norma dell'art. 177 de.I Trattato CEE, una questione 
pregiudiziale vertehte su11'.interpretazione del regolamento del 
Consiglio 13 giugno 1967, n. 121, relativo all'organizzazione comune dei mercati 
nel settore'delle carni suine� (G.U. 1967, pag, 2283), e del regolamento 
del Consiglio 27 giugno 1968, n. 805, .relativo al�l'organizzazione comune 
dei mercati nd settore delle carni bovine (G.U. n. L. 148, pag. 24). 

2. -Detta questione � stata sollevata a seguito dell'opposizione 
proposta dal sig. Francesco Antonini, commerciante all'ingrosso di carni 
�avverso l'ordinanza con cui H Prefetto di Milano gli ha inflitto un'ammenda 
per infrazione della normativa italiana sul blocco dei prezzi, 
contenuta, all'�epoca dei fatti di causa, nel decreto legge 24 luglio 1973, 

n. 427 (G.U. della Repubblica itaHana del 24 luglio 1973, n. 189), convertito 
in legge 4 agosto 1973, n. 496 (G.U. della Repubblica italiana del 22 
agosto 1973, n. 216). 
3. -Il Pretore di Milano,~adito con l'opposizione, la respingeva considerando 
provata l'infrazione deHa normativa sul blocco dei prezzi e ritenendo 
detta normativa compatibile coi regolamenti comunitari in 
materia di organizzazione comune dei mercati. Nel ricorso p�er cassazione 
sU10Cessivamente proposto, l'Antonini sosteneva che a torto il Pretore 
aveva omesso di esaminare se, con riguardo alle vendite di carni all'in(
sullo sviluppo della giurisprudenza della Corte in materia, cfi. la nota fn 

questa Rassegna, 1980, I, 41; adde la sentenza 5 giugno 1985, nella causa 116/84, 

ROF.LSTRAETE), ha praticamente chiuso la questione: le norme sul blocco dei 

prezzi di cui al dl. 427/73 tperaltro di efficacia limitata ad un tempo ormai 

lontano) contrastano con la normativa comunitaria per quanto riguarda il com� 

mercio all'ingrosso e non possono essere applicate. 

Resta fermo invece il potere degli Stati membri di fissare prezzi al minuto, 

nei limiti indicati dalla precedente giurisprudenza della Corte sopra richiamata. 

A tal proposito si segnala la pi� recente sentenza della Corte in materia, 2 luglio 

1987, nella causa 188/86, LEFEVRE, con la quale � stato dichiarato che � la nor


mativa nazionale (nella specie francese) di controllo dei prezzi al minuto della 

carne bovina che imponga ai dettaglianti di non vendere la merce ai consuma� 

tori ad un prezzo superiore a quello d'acquisto pi� un margine di utile fisso 

nonch� le spese di trasporto calcolate a forfait, costituisce una misura di effetto 

equivalente ad una restrizione quantitativa in contrasto con l'art. 30 del Trattato 

CEE nonch� con l'art. 22 del reg. del Consiglio 805/68, recante organizzazione 

comune nel settore della carne bovina, qualora il margine fisso e l'importo delle 

spese di trasporto a forfait non tengano adeguatamente conto delle spese d'im


portazione effettivamente sostenute dai dettaglianti; ed � incompatibile con 

detto regolamento qualora le spese di trasporto siano fissate a forfait in un 

modo che � insufficiente per coprire le spese di rifornimento sul mercato nazio


nale effettivamente sostenute dai dettaglianti e che danneggia quindi la rete di 

distribuzione delle carni bovine in determinate regioni �. 



PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INmRNAZIONALE 

307 

grosso, sussistesse il potere normativo del legislatore nazionale, dato 
che i prezzi delle carni bovine e suine costituiscono oggetto di regolamenti 
comtmitari. 

4. -Nell'oroinanza di rinvio la Corte di Cassazione osserva che, secondo 
la giurisprUldenza della Corte, qualsiasi intervento degli Stati membri 
nel processo di formaiione dei prezzi di vendita all'ingrosso � escluso 
nei settori disciplinati da un'organizzazione comune dei mercati basata 
su un regime comune dei prezzi. Per contro, gli Stati membri sarebbero 
liberi di disdiplinare i prezzi di vendita nella fase del commercio al minuto, 
purch� i loro provvedimenti non siano idonei a mettere in pericolo 
gli obiettivi ed i'l funzionamento dell'orgainizzazione comune dei mercati. 
Tuttarvia, la Corte di Cassazione ritiene che talune sentenze della Corte, 
in particolare le sentenze 26 febbraio 1976 (causa 65/75, Tasca, Racc. 1976, 
pag. 291, e cause riunite 88-90/75, Sadam, Racc. 1976, pag. 323) sembrano 
piuttosto inidliicare che il problema dei ra.pporti fra le norme nazionali 
in materia di prezzi e i regolamenti agricoli comunitari debba .in ogni caso 
esser risolto in termini di compatibilit� tra le due normative. Infatti, 
sembrerebbe ohe con dette sentenze la Corte di giustizia abbia voluto 
superare la distinzione tra vendita all'ingrosso e vendita al minuto, sottolineando 
che vi era un problema di � compatibilit� � fra norme comunitarie 
e norme nazionali sui prezzi � indipendentemente dalla fase commerciale 
considerata �. 
5. -Per poter risolvere tale difficolt� d'interpretazione della giu-_ 
rispruderiz� della Corte di giustizia, H giudice nazionale ha sospeso il 
procedimento per sottoporre alla stessa Corte la seguente questione pregiudiziale: 
� Se la disciiplina risultante dai regolamenti comunitari 13 giugno 
1967, n. 121, e 27 giugno 1%8, n. 805, relativi rispettivamente all'organizzazione 
comune dei mercati nei settori delle carni_ suine e bovine, 
impedisca allo Stato membro di emanare -per la vendita all'ingrosso 
delle carni suddette -una normativa la quale non soltanto si limiti 
a vietare per un periodo determinato. gli aumenti dei prezzi liberamente 
formatisi ad una certa data, ma contenga anche una clausola che prevede, 
con apposito procedimento amministrativo, l'adeguamento medio 
t.empor:e dei prezzii bloccati a quelli formatisi secondo la normativa e 

prezzi comunitari�. 

6. -Si deve rico:r:dare che, secondo �la costante giurisprudenza della 
_Corte, come riassunta nella sentenza 17 gennaio 1980 (caus� riunite 95 
e 96/79, Kefer e Delmelle, Raoc. 1980, pag. 103), i regolamenti nn. 121/67 
e 805/68 istituiscono organizzazioni comuni dei mercati in cui ha prima9 




ria importanza il regime unico da applicarsi nelle fasi della produzione e 
del commercio all'iingrosso e che, pertanto, gli Stati membri non poss<>-' 
no pi� intervenire con disposizioni nazionali, adottate unilateralmente, 
nel congegno di formazione dei prezzi, qual � determinato dal regime 
comune. Secondo la stessa giurisprudenza, le disposizioni di un regolamento 
agricolo comunitario comportanti un regime di prezzi che si 
applichi nelle fasi della produzione e del commercio all'ingrosso lasciano 
intatto il potere degli Stati mem:bri -salve restando altre disposizdoni 
del Trattato -di adottare gli opportuni provvedimenti in 
fatto di formazione dlei prezzi nelle fasi del co'mmerc�o al minuto e del 
consumo,. purch� detti provvedimenti non mettano ilil pericolo gH scopi 
o il funzionamento dell'organizzazione comune dei mercati, in particolare 
del suo regime dei prezzi. 

7. -Di conseguenza, la normativa nazionale intesa a promuovere o a 
favorire il blocco dei prezzi nella fase della produzione o del commercio 
all'ingrosso, vietando l'aumento dei prezzi per un periodo determinato, 
si situa, di per se stessa, al di fuori dell'ambito delle competenze 
riservate agli Stati membri qualora i prodotti ai quali essa si applica 
�rientrino nell'organizzazione comune dei mercati nei settori delle carni 
suine e delle carni bovine. 
8. -Come il giudice nazionale osserva giustamente, � vero che le 
sentenze della Corte 26 febbraio 1976 (Tassa e Sadam sopra citate) dichiarano 
che la fissazione unilaterale, da parte di uno 'Stato membro, di 
prezzi massimi per un prodotto rientrante in UIIl'organizzazione comune 
dei mercati � incompatibile col regolamento base � indipendentemente 
dalla fase commerciale considerata�, qual�ra metta in pericolo gli 
scopi o il funzionamento dell'organizzazione comune, ilil particolare del 
suo regime dei prezzi. Tuttavia, si deve rilevare che nelle suddette cause 
n� le questioni pregiudiziali formulate dal giudice nazionale n� il testo 
delle disposizioni nazionali di cui si trattava consentivano di fare 
distinzioni a seconda delle varie fasi commerciali. Pertanto il fatto 
che nelle citate sentenze non si faccia, nel giudizio sulla compatibilit� 
col diritto comunitario di norme nazionali sulla 'formazione dei prezzi, 
una distinzione fra le varie fasi commerciali, non pu� essere interpretato 
come modifica di una giurisprudenza che, peraltro, appare C'Ostante. 
9. -Dalle considerazioni precedenti emerge che per effetto dei regolamenti 
nn. 121/67 e 805/68 gli Stati membri non erano pi� competenti 
ad adottare, o a continuare ad ai;>plicare, una normativa che vietasse 
l'aumento dei prezzi di vendita all'ingrosso di carni suine e bovine. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

10. -Dato che per i prezzi di vendita all'ingrosso di carni suine e 
bovine la Comunit� gode di una competenza normativa esclusiva che 
osta a qualsiasi intervento di uno Stato membro, non � necessario 
esaminare se una normativa nazionale in materia metta o no in pericolo 
gli scopi o il funzionamento dell'organizzazione comune nei settori 
.considerati; tuttavia tale esame � necessario qualora i provvedimenti 
nazionali. riguardino i prezzi al minutO' o al consumo, e . si collochino 
cos� in un settore che non rientra nella competenza esclusiva della 
Comunit�. 
11. -H giudice nazionale chiede anche se debba essere diverso il 
giudizio sulla compatibilit�, col diritto comunitario, di una normativa 
nazionale. sul .blooco dei prezzi per la vendita all'ingrosso delle carni 
suine e bovine qualora detta normativa contenga u.na clausola di revisione 
che miri per l'appunto ad adeguare i prezzi, bloccati a quelli 
stabiliti in forza dei regolamenti comunitari. Da �quanto sopra esposto 
consegue che tale questione dev'essere risolta negativamente, poich� 
la clausola cui si riferisce il giudice nazionale non pu� giustificare 
l'intervento di uno Stato membro in un settore di competenza esclusiva 
della Comunit�. 
12. -La questione pregiudiziale deve, pertanto, essere risolta come 
segue: i regolamenti nn. 121/67 e � 805/68 devono essere interpretati 
nel senso che essi vietano agli Stati membri di istituire, e d' continuare 
ad applicare, un regime nazionale di blocco dei prezzi nella fase della 
vendita all'ingrosso dei prodotti rientranti nell'organizzazione comune 
dei mercati istituita dai due predetti regolamenti. Ci� vale anche quruora 
l'applicazione del regime nazionale sia limitata nel tempo o esso 
contenga una clausola di revisione intesa ad adeguarci i prezzi bloccati 
a quelli stabiliti in forza dei regolamenti comunitari. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 8 luglio 
1987, nella causa 262/85 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. g,en. 
Da Cruz�Vilaca -C.ommissione delle C. E. (ag. Berardis) c. Repubblica 
italiana (avv. Stato Braguglia). 

Comunif� Europee -Ravvicinamento delle legislazioni � Conservazione 
degli uccelli selvatici. 
(Direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, n. 79/409; legge 27 dicembre 1977, n. 968). 

La Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti 
in forza del Trattato CEE non adottando entro il termine prescritto 
le disposizioni di legge, di regolamento ed amministrative ne



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, n 79/ 
409, concernente la conservazione degli uccelli selvatici relativamente 
all'elenco degli uccelli che possono essere cacciati, alla commercializzazione 
degli uccelli, alle autorizzazioni regionali alla cattura e vendita 
degli uccelli migratori, all'uso degli uccelli migratori come richiami vivi 
per la caccia. Non sono fondati gli addebiti di mancata attuazione della 
direttiva per quanto riguarda la delimitazione dei periodi di caccia e 
l'uso di fucili a ripetizione e semiautomatici (1). 

(omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 
20 agosto 1985, la Commissione del1e Comunit� Europee ha proposto, a 
norma dell'art. 169 del Trattato OEE, un ricorso mirante a far dichiarare 
che la Repubblioa italiana, non avendo trasposto completament.e 
e correttamente nell'ordinamento giuddico interno ed entro il termine 
prescritto la direttiva del Consiglio 2 aiprile 1979, n. 79/409, concernente 
la conservazione degli uccelli selvatici (G. U. n. L 103, pag. 1) -in prosieguo: 
la direttiva -, � venuta meno agli obbligl. ad essa incombenti 
in forza del Trattato CEE. 

2. -Ai sensi dell'art. 18 della direttiva, gli Stati membri mettono 
in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative 
necessarie per conformarsi a detta direttiva entro due anni dalla sua 
notifica. Poich� la direttiva � stata notificata il 6 aprile 1979, il suddetto 
termine � scaduto il 6 aprile 1981. 
3. -Dopo arver esaminato la normativa italiana in materia e ritenendo 
che non fosse completamente conforme alla direttiva, la Com(
1) Come altri Stati membri, anche l'Italia � stata � condannata� dalla 
Corte di giustizia p�r l'incompleta attuazione della direttiva � uccelli selvatici �. 
Relativamente agli addebiti contestati (terzo, quarto, quinto e sesto), la 
Corte ha accolto in parte le difese, sostanziali e processuali, addotte per il 
Governo italiano; riaffermando, a proposito del terzo addebito, ma non a proposito 
del sesto, la necessit� della perfetta corrispondenza tra la c�ntestazione 
che la Commissione ha mosso nena� fase pre-contenziosa e quella 'fatta poi 
oggetto del ricorso ex art. 169, 2� comma, trattato CEE. 

Va anche segnalato il punto 9 della motivazione, alla fine della premessa 
sugli obblighi generali, nel quale la Corte ribadisce il principio secondo il quale, 
in genere, non � richiesto che le disposizioni di una direttiva siano � ��� riprese 
in modo formale e testuale ... � (cfr., prima, la sentenza 9 aprile 1987, nella 
cuasa 363/85, COMMISSIONE c. ITALIA, retro, pag. 291); pur sottolineando, tuttavia, la 
necessit� che la direttiva riceva effettivamente piena applicazione (art. 189 trattato 
CEE), specialmente nel caso della direttiva � uccelli selvatici � nel quale 
� ��� la gestione del patrimonio comune � affidata, per il loro �territorio, ai 
rispettivi Stati membri"� 

I.M.B. 
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!f. 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 311 

missione dava avvio alla procedura ex art. 169 del Trattato. Dopo avere 
invitato la Repubblica italiana a presentare le proprie osservazioni, il 
16 ottobre 1984 essa emetteva un parere motivato. Poich� detto parere 
restava senza esito, essa proponeva il presente ricorso per inadempimento 
sollevando sei addebiti contro la normativa italiana in vigore. 

4. -Il ricorso verte su tre disposizioni della legge 27 dicembre 1977, 
n. 968 (G.U:R.I. n. 3 del 4 gennaio 1978), cos� come modificata due volte 
con decreti del presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1979 
(G.U.R.I. n. 1 del 2 gennaio 1980) e 4 giugno 1982 (G.U,R.I. n. 155 dell'8 giugno 
1982) ~ in prosieguo: la legige. Va sottolineato in proposito che, a 
norma del diritto interno italiano, spetta alle regioni, nei limiti dei principi 
stabiliti dalle leggi dello Stato, adottare le norme di legge ed i 
provvedimenti amministrativi inerenti alla caccia. 
5. -Per quel che riguarda gli antefatti della controversia, le d,isposizioni 
della normativa italiana di cui � causa, le fasi del procedimento 
ed i mezzi �e argomenti delle parti, si fa rinvio alla relazione d'udienza. 
Questi elementi del fascicolo sono ricordati in prosieguo solo nei limiti 
necessari per illustrare il ragionamento della Corte. 
SUGLI OBBLIGHI GENERALI DERIVANTI AGLI STATI MEMBRI DALLA .DIRETTIVA 

6. -Prima di esaminare i diversi addebiti mossi dalla Commissione, 
� opportuno ricordare le disposizioni e gli obblighi contenuti nella direttiva 
per quel che rilevano nel caso di specie. In proposito va innenzitutto 
constatato che, conformemente �ll'art. l, la direttiva concerne 
la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalm�nte allo 
stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri e si prefigge 
la protezione, la gestione e la regolazione di tali specie, e ne disciplina 
lo sfruttamento. La direttiva rifo,ne inf~tti che l'efficace .protezione degli 
uccelli, ed in particolare delle specie migratrici, � un problema ambientale 
tipicamente transnazionale, che implica responsabilit� comuni degli 
Stati membri (terzo considerando). 
7. -Ai fini di un regime e:ffica�e di protezione, la direttiva istituisce 
tre tipi di disposizioni. In primo luogo, la direttiva contiene divieti generali 
di uccidere, catturare, disturbare, detenere e commercializzare le 
specie di. uccelli nonch� di distruggere; danneggiare o raccogliere i nidi 
e le uova (artt. 5 e 6, n. 1). Inoltre, l'art. 8 vieta il ricorso a qualsiasi 
mezzo, impianto o metodo di cattura o di uccisione, in massa o non 
selettiva, ed in particolare a quelli elencati nell'allegato IV, lett. a), della 
direttiva. In secondo luogo, essa contempla deroghe ai suddetti divieti 
generali per quel che riguarda le specie di uccelli elencate negli allegati 
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312 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

alla direttiva. Pertanto, purch� vengano stabilite e ri~ettate talune condizioni 
e limitazioni, il commercio pu� essere autorizzato per le specie 
di cui �all'allegato III e la caiocia per le specie di cui all'allegato II della 
direttiva (artt. 6, nn. 2-4, e 7). Ne consegue che per le si}ecie di ucce1li 
non elencate nei detti allegati, o se le condizioni e limitazfoni contemplate 
dagli articoli non sono rispettate, i divieti generali continuano ad 
essere applicati; Infine, in terzo luogo, l'art. 9 della direttiva autorizza 
gli Stati membri a derogare ai suddetti divieti. generali e disposizioni, 
,relative, in particolare, al commercio ed alla caccia. Tuttavia, questa 
possibilit� di deroga � soggetta a tre condizioni: in primo luogo, lo 
Stato membro deve limitare la deroga al caso in cui non vi sia un'altra 
soluzione soddisfacente. In secondo luogo, la deroga deve . basarsi su 
�almeno uno dei motivi elencati in modo limitativo all'art. 9, n. l, lett. a), 
b) e c). In terzo luogo, la deroga del\Te rispondere a precisi criteri di 
forma elencati al n. 2 di detto articolo, che hanno la finalit� di limitare 
'1e deroghe allo stretto necessario e di permetterne il controllo da parte 
della Commissione. Pur autorizzando un'ampia deroga al regime gene,
J:�ale di protezione, il suddeto articolo dispone quindi un'applicazione concreta 
e puntuale per rispondere a precise esigenze e situazioni specifiche. 

, 8. -In quest'ambito va sottolineato che gi� dall'art. 2 della direttiva, 
che impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per 
mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli ad un 
olivello che corrisponda in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche 
e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative, 
si ricava che la protezione degli uccelli deve tener conto di altre 
esigenze. Pertanto, l'art.' 2, pur non costituendo una deroga autonoma al 
regime generale di protezione, dimostra che la �direttiva prende in considerazione 
sia la necessit� di una protezione efficace degli uccelli sia 

~ 
le esigenze della salute e della sicurezza pubblica, dell'economia, del-
l'ecologia, della scienza, della c'ultura e della ricreazione. 

9. -Per quel che riguarda la trasposizione in diritto interno della 
direttiva, va osservato che quest'ultima non richiede necessariamente 
che le sue disposizioni vengano r.iprese in modo formale e testuale in 
una norma di legge espressa� e specifica, e ohe pu� quindi essere suffi: 
dente un contesto 'giuridico generale, purch� esso garantisca effettivamente 
la piena applicazione della direttiva in modo sufficientemente 
chiaro e preciso (cfr. sentenza 23 maggio 1985, causa 29/84, Commissione 
e/ Repubblica federale di Germania, ancora inedita). Tuttavia, l'accuratezza 
della trasposizione � particolarmente importante in un caso come 
quello di specie in cui la gestione del patrimonio comune � affidata, per 
il loro territorio, ai rispettivi Stati membri. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Primo addebito: L'elenco degli uccelli che possono essere cacciati 

10. -La Commissione osserva che l'art. 11 della legge menziona� 
undici spl:!Cie di uccelli, non elencate nell'allegato II della direttiva, che 
possono essere coccia te. Tuttavia, a norma .dell'art. 7 �della direttiva, potrebbero 
essere cacciate solo le specie elencate nell'allegato II. 
ll. -Il governo italiano non contesta la fondatezza di questo addebito. 
Osserva tuttavia che due delle undici specie (cio� la ghiandaia e 
la gazza) sono state incluse nell'elenco delle specie cacciabili in ragione 
della loro potenziale capacit� nociva. La deroga sarebbe pertanto giustificata 
a norma deJI'art. 9, n. 1, lett. a), terzo trattino, della direttiva. 

12. -A questo proposito va constatato che l'art. 7 della direttiva 
autorizza gli Stati membri a disporre, a talune condizioni ed entro taluni 
limiti, che le specie elencate nell'allegato II della direttiva possono 
essere cacciate. Dal regime generale di tutela predisposto dalla direttiva 
si ricava che la normativa nazionale non pu� estendere l'elenco delle 
specie cacciabili di cui all'allegato II. 
13. -Per quel che riguarda l'argamento del Governo italiano basato 
sull'art. 9, n. l, lett. a), terzo trattino, della direttiva, va constatato che 
detta disposizione permette effettivamente agli Stati membri di derogare 
al regime generale di protezione al di l� di quanto contemplato all'art. 7. 
Tuttavia, com'� stato sopra constatato, tale deroga deve soddisfare le 
tre precitate condizioni dell'art. 9. 
14. -In proposito, il Governo italiano non ha addotto alcun elemento 
che provi che la menzione della ghiandaia e della gazza nell'elenco 
italiano degli uccelli cacciabili fosse necessaria per evitare notevoli danni 
alle culture, al bestiame, alle foreste, al patrimonio ittico ed ,idrico e 
che non esistesse nessun'altra soluzione soddisfecente. Esso non� ha neppure 
chiarito i motivi per� cui la menzione delle suddette specie era a 
suo parere !;unica soluzione soddisfacente per prevenire gravi danni. 
�Infine, la disposizione di cui � causa non indica le condizioni di rischio 
e le circostanze di tempo e di luogo in cui la deroga pu� essere adottata 
n� i controlli che saranno effettuati. Pertanto, l'inclusione della ghian: 
daia e della gazza fra gli uccelli che possono essere cacciati non pu� 
essere giustificata in forza dell'art. 9, n. l, lett. a), terzo trattino, della 
direttiva. 
1;_ -Si deve quindi constatare la fondatezza del primo addebito. 


314 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Secondo addebito: la commercializzazione degli uccelli 


16. -La Commissione sostiene che l'art. 11 della legge permette 
la comL1ercializzazione di tutte le specie di uccelli che possono essere 
cacciati. Tuttavia, l'art. 6 della direttiva vieterebbe il commercio di tutti 
gli uccelli virvi o morti, di esemplari interi o di loro parti, ad eccezione 
delle specie elencate nell'allegato III della direttiva. Infine, la disciplina 
contenuta nell'art. 6, nn. 2-4, della direttiva non sarebbe stata riportata 
nella' normativa italiana. 
17. -Il Governo italiano non contesta che la normativa italiana 
non �, da questo punto di vista, completamente conforme alla direttiva. 
Esso osserva tuttavia che l'art. 20, lett. t), della legge, vieta la vendita 
delle beccacce nonch� di uccelli morti di dimensioni inferiori al tor4o, 
fatta eccezione per gli storni, i passeri e le allodole nel periodo in cui 
ne � consentita la caccia. 
18. -Si deve ricordare in proposito che l'art. 6, n. 1 della direttiva, 
impone agli Stati membri di vietare in modo generale la commercializzazione 
di tutti gli uccelli cui si riferisce la direttiva, vivi o morti, nonch� 
di qualsiasi parte o prodotto ottenuto dall'uccello, facilmente � riconoscibili. 
Ai sensi, del n. 2 di detto articolo, per le sette specie elencate 
nell'allegato III/l, la commerdalizzazione non � vietata purch� gli uccelli 
siano stati in modo lecito uccisi o catt�rati o altrimenti legittimamente 
acquistati. Dato che l'elenco dell'allegato III/1 riguarda soltanto sette 
specie di. uccelli, mentre l'elenco delle specie cacciabili nell'ambito della 
normativa nazionale coIIllJ?rende 72 specie di uccelli, � evidente che la 
disposizione di cui trattasi non � conforme a quanto richiesto dalla 
direttiva. Inoltre, la finalit� protettrice della direttiva implica che essa 
� intesa ad evit�re che di tutte le specie cacciabili sia poi anche possibile 
la commercializzazione, a causa delle pressioni che gli interessi 
commerciali possono esercitare sulla caccia e, di conseguenza, sul livello 
della popolazione delle specie interessate. Quanto alle dieci specie 
menzionate nell'allegato III/2, non � contestato che la normativa italiana 
non rispetta gli obblighi derivanti dall'art. 6, n. 3, della direttiva. 
19. -Per quel che riguarda il rinvio del Governo italiano all'art. 20, 
lett. t), della legge, la Commissione osserva giustamente che l'art. 6, n. 1, 
della direttiva vieta la commercializzazione di tutte le specie di uccelli, 
senza eccezione per quel che riguarda le loro dimensioni. Sebbene la 
normativa italiana non permetta pertanto la commercializzazione di tutte 
le specie di uccelli cacciabili, si deve constatare che l'art. 11 non costi-
j 



P�RTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

tuisce una trasposizione completa della direttiva nemmeno in connessione 
con l'art. 20, lett. t), della legge. 

20. -Il secondo addebito va pertanto accolto. 
Terz� addebito: I periodi di caccia 

21. -La Commissione addebita al Governo italiano di aver stabilito, 
all'art. 11 della legge, le date di apertura della caccia senza 
tener conto, cos� come richiesto dall'art. 7, n. 4, della direttiva, del 
periodo della nidificazione, delle varie fasi della , riproduzione e della 
dipendenza e, per le specie migratrici, del ritorno al luogo di nidificazione. 
In ri!?posta al controricorso, la Commissione ha osservato che 
la normativa italiana non vieterebbe la caccia in modo esplicito durante 
i summenzionati periodi. La stagione venatoria inizierebbe. il 18 agosto, 
in un periodo, cio�, in cui sono ancora presenti in Italia o passano per 
la penisola italiana diverse specie di uccelli nidificanti; a questo proposito, 
il mondo scientifico avrebbe proposto l'apertura unica della 
caccia in data non anteriore alla terza domenica di settembre. La caccia 
terminerebbe il 10 marzo, mentre i migratori sarebbero ancora in viaggio 
verso i luoghi di nidificazione gi� dai primi di febbraio. Sarebbe 
stato chiesto che la chiusura della caccia venga fissata ad una data non 
successiva al 31 gennaio. 
22. -Il Governo italiano ribatte che l'art. 7, n. 4, della direttiva,� 
non prescrive date determinate di apertura o di chiusura della stagione 
venatoria. Orbene, l'art. 11 della legge stabilirebbe una diversificazione 
delle date di apertura e di chiusura della caccia alle diverse specie proprio 
in considerazione dei differenti periodi di nidificazione, riproduzione 
e dipendenza. Quanto alla considerazione del ritorno al luogo di 
nidificazione, il precitato decreto 20 dicembre 1979 consentirebbe in 
realt� solo fino al 28 febbraio la caccia a talune specie di migratori e 
solo fino al 10 -marzo per altre specie. L'addebito sarebbe privo di fondamento 
perch� nulla osserva quanto al merito delle scelte operate 
circa le date di apertura e chiusura della caccia. 
23. -Per quel che riguarda la fondatezza dell'addebito mosso nel 
corso della procedura amministrativa precontenziosa e nel ricorso, va 
constatato innanzitutto che, contrariamente a quanto sostenuto dalla 
Commissione, la normativa italiana tiene conto, nelle disposizioni dell'art. 
11 della legge e del decreto 20 dicembre 1979, dei diversi periodi 
di protezione degli uccelli di cui all'art. 7, n. 4, della direttiva. La suddetta 
normativa italiana contempla infatti diverse date di apertura e 

316 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di chiusura della caccia per le diverse specie di uccelli tenuto conto 
dei loro diversi periodi di nidificazione e delle loro diverse fasi di 
riprOduzione e di dipendenza e, per le specie migratrici, del loro ritorno 
al luogo di nidificazione. Su questq punto la censura della Commissione 
non pu� essere accolta. 

24. -Per quel che riguarda l'addebito relativo alla scelta delle 
date contenuta nella normativa italiana per l'apertura e la chiusura 
della caccia a talune specie di uccelli, va constatato che la Commissione 
lo ha mosso per la prima volta al momento della replica. Dato 
� che detfo addebito estende 
la portata delle censure oggetto della procedura 
amministrativa precontenziosa e del ricorso, la questione relativa 
all'opportunit� delle date dei diversi periodi di caccia deve essere 
esclusa dalla trattazione. 

25. -Stando cos� le cose, il terzo addebito della Commissione deve 
essere respinto. 
Quarto addebito: L'uso di fucili a ripetizione e semiautomatici 

26. -La Commissione constata �che l'art. 9 della legge autorizza 
l'uso di fucili a ripetizione e semiautomatici a tre colpi. Questa disposizione 
della normativa italiana non costituirebbe un'applicazione corretta 
dell'art. 8, n. l, e dell'allegato IV della direttiva. 
27. -Il Governo italiano sostiene invece che la disposizione censurata 
contiene un accorgimento tecnico per operare la riduzione del 
numero dei colpi di fucile. Questo meccanismo sarebbe volto ad impedire 
che nel serbatoio del fucile possano trovare collocazione pi� di 
due cartucce, la terza essendo direttamente inserita nella camera di 
scoppio della canna. La normativa italiana non sarebbe pertanto contraria 
alla disposizione della direttiva. 
28. -Dinanzi a questa divergenza di opinioni, � opoportuno ricordare 
innanzitutto il contenuto testuale della disposizione italiana e della 
direttiva. A norma dell'art. 9 della legge � la caccia � consentita con 
l'uso di fucile... a ripetizione e semiautomatico, limitato con apposito 
accorgimento tecnico all'uso .di non pi� di tre colpi... �. Ai sensi del 
combinato disposto dell'art. 8, n. 1 e dell'allegato IV, sub a), della direttiva, 
gli Stati membri sono invece tenuti a vietare,. in particolare, 
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le armi semiautomatiche o automatiche con �aricatore contenente pi� 
di due cartucce. 

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PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZ'.lONALB 317 

29. -Il raffronto di questi testi permette di constatare che l'art. 9 
della legge contiene effettivamente il divieto delle armi che possono 
sparare pi� di tre colpi. � d'altronde assodato che la d.irettiva non 
vieta l'inserimento di una terza cartuccia nella camera di scoppio della 
canna. Pertanto, la direttiva non osta ad una normativa che autorizzi 
ar�ni che possono esplodere tre . colpi consecutivi qualora sussista la 
garanzia che i caricatori di dette �armi possono contenere solo due cartucce. 
� opportuno constatare in proposito che la disposizione italiana 
limita esattamente l'uso delle armi a quelle che possono sparare solo 
tre colpi consecutivi. Dato che una cartuccia pu� trovarsi nella camera 
di scoppio della canna, il _riferimento della disposizione italiana di cui 
� causa all'accorgimento tecnico volto a limitare l'uso di non pi� di 
tre cartucce � sufficiente per garantire che il caricatore non pu� contenere 
pi� di due cartucce. Stando cosl le cose, si deve ritenere che 
�rart. 9 della legge garantisce correttamente la piena applicazione dell'art. 
8, n. l, della direttiva. 

30. -Il quarto addebito .della Commissione � quindi infondato. 
Quinto addebito: Autorizzazioni regionali alla cattura e vendita degli 
�uccelli migratori 

31: -Secondo la Commissione-, l'art. 18, 2� comma, della legge � 
contrario agli artt. 7 e 8 della direttiva in quanto conferisce alle regioni 
italiane un ampio potere di autorizzare la cattura con qualunque 
metodo e la vendita degli uccelli migratori, anche oltre il periodo di 
apertura della caccia. 
32. -Il Governo italiano contesta che la disposizione censurata 
attribuisca un ampio potere discrezionale alle regioni, le quali non 
potrebbero eludere la legge e la direttiva.. Esse dovreb.bero infatti 
regolamentare con precisione gli impianti per la cattura degli uccelli 
migratori. L'utilizzazione degli uccelli per fini amatoriali nelle tradizionali 
fiere e mercati sarebbe consentita dall'art. 2 della direttiva. 
Infine, le specie di. uccelli migratori potrebbero essere catturate solo 
in un numero di esemplari limitato e preventivamente stabilito per 
ciascuna di esse. La disposizione costituirebbe pertanto una deroga 
contemplata dall'art. 9, n. l, della direttiva. 
33. -Questa divergenza rende necessaria una messa a fuoco preliminare 
del contenuto dell'addebito. Quest'ultimo va inteso nel senso 
che non contesta la competenza delle regioni in materia venatoria n� 
le regolamentazioni a carattere legislativo o amministrativo da esse 

318 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO� 

adottate. In realt�, l'addebito verte soltanto sul fatto che l'art. 18, 2� 
comma, non traspone di per s� o non obbliga le regioni a prendere in 
considerazione gli obblighi e le condizioni poste dalla direttiva i'u relazione 
ai metodi di caccia, di vendita nonch� ai periodi di apertura della 
caccia per le specie migratrici. 

34. -Per quel che riguarda l'art. 18 della legge, va ricordato che 
il 2� comma dispone che le regioni, sentito un determinato istituto 
scientifico, possono gestire in proprio o autorizzare, con precisa regolamentazione, 
impianti adibiti alla cattura ed alla cessione per la de. 
tenzione degli uccelli 
migratori. A tale scopo esse possono permettere 
l'uso di mezzi e impianti di cattura, stabilire i loro propri periodi di 
cattura e redigere l'elenco degli uccelli cacciabili anche al di l� dei 
periodi di apertura della caccia di cui all'art. 11 della legge. Tuttavia, 
l'art. 18 precisa che le specie migratrici possono essere catturate solo 
per essere detenute ed utilizzate come richiami vivi nell'esercizio venatorio 
degli �ppostamenti o per fini amatoriali nelle tradizionali fiere 
e mercati. Tali specie potranno essere catturate� in un numero di esemplari 
limitato e preventivamente stabilito per ciascuna di esse. 

35. -Va constatato in proposito che l'art. 18, 2� comma, conferisce 
alle regioni la competenza per disc~plinare i periodi di caccia alle specie 
migratrici ed i mezzi, impianti o metodi di cattura senza tener 
conto di quanto prescritto agli artt. 7 e 8 della direttiva. 
36. -Il Governo italiano eccepisce in proposito tre argomenti, in 
primo luogo che la� competenza regolamentare pu� essere esercitata 
solo su parere di un istituto scientifico, in secondo luogo che la disposizione 
dell'art. 18 della legge sarebbe legittimata dall'art. 2 della direttiva 
e, in terzo luogo, che detta disposizione potrebbe fruire dell'art. 
9, n. l, lett. c), della direttiva. 
37. -Per quel che riguarda il primo argomento, si deve constatare 
che anche se le regioni sono tenute, prima di far entrare in vigore la 
loro regolamentazione, a consultare un istituto scientifico, il parere 
emesso da quest'ultimo non � vincolante, per cui quest'obbligo non 
garantisce che le prescrizioni della direttiva siano rispettate. Quanto 
al secondo argomento, va sottolineato che l'art. 2, come gi� osservato 
in precedenza, non costituisce una deroga autonoma agli obblighi ed 
alle condizioni posti dalla direttiva. 
38. -Per quel che riguarda il terzo argomento basato sull'art. 9, 
n. 1, lett. c), della direttiva, questa disposizione autorizza in effetti 
gli Stati membri a derogare, fra l'altro, agli artt. 7 e 8 per consentire, 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 319 

in� condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo, la cattura, 
la detenzione o �altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole 
quantit�. � evidente che la cattura e la cessione di uccelli anche 
al di fuori dei periodi di apertura della caccia allo scopo della loro 
detenzione per essere utilizzati come richiami vivi o per fini amatoriali 
nelle tradizionali fiere e mercati pu� corrispondere ad un impiego 
misurato autorizzato dall'art. 9, n. 1, lett, c). 

�-39. -Tuttavia, si deve constatare in primo luogo che la disposizione 
di cui � causa non fa alcun riferimento all'art. 9, n. l, a norma 
del quale una deroga agli artt. 7 e 8 della direttiva pu� essere con� 
cessa soltanto qualora non esista altra soluzione soddisfacente. la 
secondo luogo, l'art. 18 della legge, pur autorizzando le regioni a permettere 
l'uso dei mezzi e impianti di cattura, a stabilire i periodi di 
cattura ed a determinare l'elenco degli uccelli cacciabili, non fa menzione, 
contrariamente a quanto impone l'art. 9, n. 2, della direttiva, 
n� dei mezzi, impianti e metodi di cattura o di uccisione autorizzati, 
n� delle circostanze di tempo e di luogo in cui le deroghe possono essere 
fatte, n� delle specie oggetto delle deroghe. Orbene, tali criteri e 
condizioni sono necessari per garantire che la deroga sia applicata in 
modo rigidamente controllato e selettivo. Infatti, la circostanza che 
l'art. 18, 2� comma, della legge non introduca esso stesso i criteri e 
le condizioni di cui all'art. 9, n. 2, della direttiva, n� imponga alle 
regioni di tener conto di detti criteri e condizioni, fornisce un elemento 
di insicurezza giuridica relativamente agli obblighi che le regioni devono 
rispettare nelle loro regolamentazioni. Pertanto non vi � una garanzia 
che la cattura di talune specie di uccelli sia limitata al minimo indispensabile, 
che il periodo di cattura non coincida inutilmente con i 
periodi in cui la direttiva intende stabilire una protezione particolare 
e che i mezzi, impianti o metodi di cattura non siano massicci e non 
selettivi o atti a comportare localmente la scomparsa di una specie. 
Ne risulta che gli elementi essenzi~i di cui all'art. 9 della direttiva 
non sono trasposti in modo completo, chiaro ed inequivoco nella normativa 
italiana. 

40. Pertanto, il quinto addebito della Commissione dev'essere 
accolto. 
Sesto addebiro: L'uso di uccelli migratori come richiami vivi 

41. -La Commissione addebita al Governo italiano, nella lettera 
di messa in mora, nel parere motivato e nel ricorso, che l'art. 18 della 
legge autorizza anche l'uso degli uccelli migratori come richiami vivi 
___________ ,_ .................... 



320 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

per la caccia, in violazione dell'art. 8 della direttiva. Nella replica, 
essa ha precisato la portata dell'addebito nel senso che quest'ultimo 
non verte sul fatto che l'art. 18 della legge autorizza l'uso di richiami 
vivi, ma che detta disposizione non vieta l'accecamento e la mutilazione 
degli uccelli usati come richiami. 

42. -Il Governo italiano replica che l'art. 18, 2� comma, della 
legge, autorizzerebbe soltanto l'uso di uccelli migratori come richiami 
vivi, ma non l'accecamento o la mutilazione dei medesimi. L'art. 20, 
lett. o), della legge, vieterebbe in modo esplicito l'uso di richiami vivi 
accecati. L.a precisazione contenuta nella replica costituirebbe un �ampliamento 
non ammissibile dell'originaria cop.testazione. 
43. -Per quel che riguarda l'argomento del Governo italiano relativo 
ad un ampliamento non ammissibile dell'addebito, � opportuno 
constatare che la Commissione ha ripetuto letteralmente nel ricorso 
l'~ddebito da essa gi� formulato nel corso della procedura precontenziosa; 
e cio� la mancata trasformazione dell'art. 8 della direttiva nella 
disciplina \�.faliana. Nella replica, essa ha ricordato c~e l'art. 8 della 
direttiva, riniviando all'allegato IV della direttiva, vieta l'uso di richiami 
vivi, non soltanto accecati, ma altres� mutilati. Non~stante che l'addebito 
mosso dalla Commissione nella fase precontenziosa e nel ricorso 
sia formulato in modo malauguratamente molto succinto, cionondimeno 
contiene gli elementi necessari perch� il Governo italiano comprenda 
il contenuto della censura mossagli ed abbia la possibilit� di difendersi. 
Ricorrono infatti tutti gli elementi che permettono di valutare 
la portata della censura: la disposiziohe contravvenuta, cio� l'art. 8 
della direttiva, la norma di diritto nazionale ritenuta illegittima, e cio� 
l'art. 18 della legge, e il fondamento dell'addebito, e cio� l'autorizzazione 
in contraddizione. con le disposizioni dell'art. 8. Stando cos� le 
cose, l'eccezione d'inammissibilit� l�Ollevata dal Governo italiano non 
pu� essere accolta.. 
44. -Per quel che riguarda il merito dell'addebito, � opportuno 
constatare che l'art. 18, 2� comma, della legge permette alle regioni di 
autorizzare l'uso degli uccelli migratori come richiami vivi nell'esercizio 
venatorio degli appostamenti e l'art. 20, lett. o), vieta solo l'uso 
di richiami vivi accecati. Ne consegue che il combinato disposto dell'art. 
18, 2� comma, e dell'art. 20, lett. o), della legge non vieta in modo 
esplicito alle regioni di permettere la detenzione e, a fortiori, l'uso 
delle specie migratrici come richiami vivi n;mtilati nell'esercizio venatorio 
degli appostamenti. Ora, tale uso � vietato dalla direttiva. 
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PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 321 

45. L'addebito della Commissione deve .pertanto essere accolto. 
46. Di conseguenza, si deve riconoscere che la Repubblica. italiana, 
non adottando entro il termine prescritto tutte le disposizioni 
di legge, di regolamento ed amministrative necessarie per conformarsi 
alla direttiva del Consiglio 2 � aprile 1979, n. 79/409, concernente la 
conservazione degli uccelli selvatici, � venuta meno agli obblighi ad essa 
incombenti in forza del Trattato CEE (omissis). 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI 
DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 8 giugno 1987, n. 5012 -Pres. Bran� 
caccio -Rel. Nocella -P. M. Virgilio (conf.) -Min. Tesoro (avv. 
Stato Fiengo) c. Cimatti (avv. Barcellona), regione Lazio; Cimatti 

c. Min. Tesoro, regione Lazio. 
Sanit� -Disciolti enti mutualistici -Rapporti obbligatori pregressi 
Successione -Legittimazione passiva -Fattispecie. 
(legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 10, 51, 65, 66, 67, 68, 77; legge 29 giugno 1977, 

n. 349, artt. 2, 3; legge 8 agosto 1980, n. 441, art. 11; legge reg. Lazio 28 gennaio 1980, 
n. 10, art. 3). 
La legittimazione passiva spetta all'ufficio liquidazioni del Ministero 
del tesoro nelle controversie concernenti il pagamento dei debiti dei soppressi 
enti mutualistici per l'attivit� di assistenza sanitaria, maturati nel 
periodo compreso tra il 1� gennaio 1979 e il 1� luglio 1980 (1). 

Svolgimento deil priocesso. -Con ricorso al Pretore di Roma, depositato 
il 26 giugno 1981, il dott. Felice Cimatti conveniva in giudizio 
l'E.n.p.a.s., ed altri enti mutualistici, dei quali era stato medico sp�ecialista 
convenzionato, e la regione Lazio, per ottenere la corresponsione 
di quanto dQIVUto a titolo di maggiorazione dei compensi a norma 
dell'art. 13 dell'accordo collettivo nazionale del 27 febbraio 1980, per 

(1) Nel senso indicato dalle Sezioni Unite, successivamente alla richiamata 
Cass. 19 novembre 1986, n. 6819, Foro it., 1987, I, 373, si � indirizzata Cass. 1� dic. 
1986, n. 7090, id., Mass., 1222. 
Con sentenza 8 gennaio 1987, n. 19, id., 373, la Cassazione ha dichiarato di 
ribadire, con riferimento al soppresso ente ospedaliero della regione Lazio, la 
linea di tendenza, enunciata dalla precedente Cass. 23 marzo 1985, n. 2087, id., 
1985, I, 2183, con nota di M. GROSSI, riconoscendo la legittimazione passiva, in 
ordine ai rapporti e alle obbligazioni assunte dall'ente anteriormente al 1� gennaio 
1980, al comune territorialmente competente sul rilievo che � il coordinamento 
dell'art. 66 legge n. 833 del 1978 con l'art. 3, 2� comma, legge reg. Lazio 

n. 10 del 1980 evidenzia che la � contabilit� stralcio � � assunta dal comune nella 
qualit� di soggetto cui sono per legge trasferiti tutti i rapporti attinenti al pregresso 
esercizio dell'assistenza sanitaria da parte degli enti ospedalieri, venendo 
cos� a configurare non un'eccezione al trasferimento stesso, ma lo strumento 
mediante il quale sono gestite le attivit� e passivit� scaturenti da detti rapporti. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 323 

prestazioni professionali eseguite nel 1979 e nei primi due mesi del 1980, 

oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali. 

Con sentenza del 9 dicembre 1981, resa anche nei confronti del 

ministero del tesoro � ufficio liquidazioni, subentrato ai disciolti enti 

mutualistici, l'adito pretore dichiarava il difetto di legittimazione pas


siva della region~ Lazio, mentre accoglieva la domanda nei confronti 

del ministero del tesoro. 

A seguito di appello principale del ministero del tesoro e inciden


tale dell'attore, resistiti entrambi dalla regione Lazio, il Tribunale di 

Roma con sentenza del 24 novembre 1984 confermava la pronunda di 
�primo grado. 

Per quanto ne interessa il giudice d'appello osservava: in ordine 

ai crediti azionati, che riguardano il 1979 ed i primi due mesi del 

1980, passivamente legittimato � il ministero del tesoro -ufficio liquida


zioni, in quanto subentrato per la legge (art. 77, 3� comma, 1. n. 833 

del 1978), istitutiva del servizio sanitario nazionale, nelle gestioni di 

liquidazione dei disciolti enti mutualistici. Questi, infatti, hanno conti


nuato a prestare l'assistenza sanitaria, attraverso l'opera dei ci:unmis


sari liquidatori,. fino � alla data (3 luglio 1980) di entrata in vigore del 

d.l. 1� luglio 1980 n. 285, convertito in 1. 8 agosto 1980 n. 441, che testualmente 
sancisce all'art. 1: �l'esercizio delle funzioni di assistenza sanitario 
svolte dai commissari liquidatori di cui alla 1. 29 giugno 1977 
n. 349, cessa dalla entrata in vigore del presente decreto�. Dopo tale 
aata l'assistenza sanitaria � stata assunta dalle U.s.l. 
Esula invece la legittimazione passiva della regione Lazio in quanto 

questa a norma dell'art. 52 1. n. 833 del 1978 ha assunto soltant� l'onere 

del finanziamento del servizio sanitario nazionale fin dal 1� gennaio 

1979, mentre le funzioni del� servizio stesso sono state esercitate dagli 

enti mutualistici, poi disciolti, fino al trasferimento delle funzioni stesse 

alle U.s.1. (4� comma dell'art. 52 citato). 

Esula del pari la legittimazione passiva delle unjt� sanitarie lo


cali, in quanto i crediti azionati riguardano i periodi di tempo nei quali 

le medesime non erano ancora subentrate agli enti mutualistici nella 

gestione dell'assistenza sanitaria. 

In ordine alla condanna al risarcimento dei danni da svalutazione 

monetaria non v'� motivo di discostarsi dalla giurisprudenza della 

Corte suprema, che ha ritenuto applicabile l'art. 429, 3� comma, c.p.c., 

ai rapporti di lavoro parasubordinato, tra i quali va compreso quello 

dei medici convenzionati esterni. 

Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione il 
m~nistero del tesoro -ufficio liquidazioni, formulando due motivi di annullamento. 
L'intimato Cimatti resiste con controricorso e, contestual-

IO 


324 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mente, propone ricorso incidentale condizionato, affidato ad un solo 
motivo. Entrambe le parti hanno presentato memoria. La regione 'Lazio 
non si � costituita. 

Motivi della decisione. -Deve essere preliminarmente disposta la 

riunione dei ricorsi, principale e incidentale condizionati, proposti 

contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.). 

Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando violazione 
. e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1 e 5 1. 29 giugno 1977 

n. 349, 5, 2� comma, 1. n. 29 febbraio 1980 n. 33, 10, 51, 52, 61, 77 1. 23 
dicembre 1978 n. 833, 8 1. 8 agosto 1980 n. 441, 1 1. 27 giugno 1981 n. 331) 
in relazione all'art. 360, n. 3, c.rp.c. il ministero ricorrente censura la 
sentenza impugnata .per aver affermato la propria legittimazione passiva 
ad agire, sebbene dal 1� gennaio 1979, la competenza in materia di 
assistenza sanitaria fosse stata trasferita dagli enti mutualistici alla 
regione e alle U.s.l. (art. 51 1. n. 833 del 1978), anche se, limitatamente 
al 1979, le regioni fossero transitoriamente autorizzate (art. 52 della 
stessa legge), in attesa della costituzione delle U.s.l., ad erogare le prestazioni 
avvalendosi delle strutture degli enti mutualistici in liquidazione, 
che agivano, tuttavia, in nome, e per conto del servizio sanitario 
nazionale: pertanto soltanto le partite creditorie e debitorie, maturate 
dagli enti mutualistici entro il 31 dicembre 1978, sono state assunte 
dallo speciale ufficio liquidazione del tesoro, restando, invece, a carico 
delle strutture del servizio sanitario nazionale le partite .relative a periodi 
successivi. Conforta tale tesi la ratio ~egiis, dalla quale si evince 
che dal 1� giugno 1979 la gestione di liquidazione sia incompatibile 
con qualsiasi attivit� del servizio sanitario nazionale �e l'utilizzazione 
delle strutture dei soppressi enti mutualistici non possa che avvenire 
non solo a spese ma anche in nome e per conto dei soggetti chiamati 
a gestire il servizio, sia la ricostruzione storico-sistematica della produzione 
legislativa in materia, senza che abbia contraria rilevanza la 
prosecuzione dell'attivit� di liquidazione degli enti mutualistici fino 
al 31 dicembre 1980 (1. 8 agosto 1980 n. 441) e poi fino a:l 30 giugno 1981 
(1. 27 giugno 1981 n. 331), in quanto, dal 1� gennaio 1979 tale attivit� 
� riferibile a finalit� del tutto estranee ai compiti dello speciale ufficio 
liqu1dazioni del ministero del tesoro, e,. peraltro, dette gestioni 
sono state obbligate, per gli esercizi finanziari 1979 e 1980, a dare conto 
separato in base alla 1. n. 833 del 1978. 
Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione 
della circolare 26 giugno 1980, n. 31 della regione Lazio o, in alternativa, 
vizio di motivazione, il ministero ricorrente censura la sentenza 
impugnata per aver. affermato la legittimazione passiva del ministero 
stesso, sebbene, nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore della 


PARTE !, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

riforma sanitaria (1� gennaio 1979) e quella Cl� luglio 1980) di trasferimento 
delle funzioni alle U.s.l. (di �cui alla circolare menzionata), la 
regione avesse provveduto al finanziamento delle spese sanitarie degli 
enti mutualistici, attraverso la quota, ad essa spettante, del fondo sa~ 
nitario nazionale: in detto periodo gli enti mutualistici. hanno continuato 
a -svolgere attivit� di assistenza sanitaria, ma la regione, alla 
quale erano gi� state trasferite le relative funzioni amministrative: 

(1. 349 del 1977), ha provveduto, tuttavia, a pagare i compensi per le 
prestazioni sanitarie e ad impartire le disposizioni del caso. 
I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per le 
loro correlazioni logiche, sono infondati. 
La questione della legittimazione passiva nelle controversie aventi 
per oggetto il pagamento dei debiti dei soppressi enti mutualistici 
inerenti all'attivit� di assistenza sanitaria e maturati nel periodo compreso 
tra la data di entrata in vigore della riforma sanitaria e quella 
del trasferimento dei relativi rapporti giuridici alle U.s.l. -periodo in 
cui l'attivit� anzidetta � stata svolta in via transitoria dai commissari 
liquidatori degli stessi enti, restando alle regioni affidati compiti d'indirizzo, 
coordinamento e finanziamento -ha dato luogo a discordi 
decisioni della sezione lavoro ed alla conseguente assegnazione di questo 
ricorso alle sezioni unite. 

Gi� la sentenza n. 787/86 (Foro it., Mass., 151), dopo aver affermato 
che nel predetto periodo l'attivit� di assistenza sanitaria e le relative 
posizioni debitorie sono imputabili agli enti mutualistici in liquidazione, 
agenti attraverso i loro commissari, e che nell'azione di questi ultimi 
si deve distinguere un'attivit� inerente alla vera e propria liquidazione 
(avente per oggetto beni e rapporti estranei all'assistenza sanitaria) 
da un'attivit� transitoria a tale assistenza relativa, aveva 
per completezza anticipato che soltanto alla prima di queste attivit� e 
cio� alle �gestioni di liquidazione�, non chiuse nel prescritto termine, 
si riferisce l'art. 77 1. n. 833/78, che prevede l'assunzione della liquidazione 
stessa da parte dell'ufficio liquidazioni presso il ministero del 
tesoro, di cui alla 1. 4 dicembre 1956 n. 1404. Successive pronunce (v. 
sent. n. 6057/86, ibiid., 1045; n. 5041/86, ibid., 896) riprendendo la distinzione 
tra attivit� di liquidazione e gestione transitoria dell'assistenza 
sanitaria ad opera dei commissari, sono quindi giunte alla conclusione 
che la legittimazione passiva nelle controversie aventi per oggetto debiti 
assunti dall'ente mutualistico in relazione alla gestione tran_sitol'ia 
anzidetta spetta alle U.s.l., quali aventi cause dell'ente soppresso, non 
gi� al ministero del tesoro -ufficio liquidazioni. 

A quest'ultimo ufficio si dovrebbero, infatti, intendere trasferite 
soltanto le attivit� e le situazioni giuridiche attinenti all'individualit� 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ed alle attivit� patrimoniali dell'ente soppresso, nonch� le situazioni residuali 
della gestione amministrativa-contabile e finanziaria espletata 
dai commissari liquidatori; mentre la questione del se il concreto rapporto 
debba essere trasferito alla U.s.1., dovrebbe essere risolta sulla 
base dell'inerenza del rapporto stesso all'attivit� di assistenza sanitaria, 
inerenza indubbiamente sussistente quanto ai rapporti di parasubordinazione 
con i medici convenzionati, tanto che questi rapporti, ai 
sensi del 3� comma dell'art. 65 1. n. 833/78, passano alla U.s.l., cui, 
quanto meno per i rapporti ad essa trasferiti e per gli altri che le 
sono espressamente imputati (ad es. artt. 28, 41, 44, 50 1. cit.), non pu� 
essere disconosciuta la soggettivit� giuridica e la capacit� anche processuale 
(v. Corte cost. n. 245/84, iJtl., 1985, I, 14; e, per tutte, sez. un. 

n. 3103/86, id., Mass., 364, 280). 
. Un antitetico indirizzo, pur muovendo dalla comune premessa dell'originaria 
imputazione dell'obbligazione controversa all~nte mutualistico, 
perviene alla conclusione che, ai sensi dell'art. 77, 3� comma, 

1. n. 833/78, la relativa passivit� forma oggetto della gestione di liquidazione 
dell'ente, assunta, nei congrui casi, dalil'ufficio liquidazioni 
del ministero del tesoro, cui spetta, dunque, la legittimazione .passiva 
alle relative controversie (v. sent. n. 2855/86 e n. 4516/86, id., Mass., 498, 
799; n. 6819/86, id., 1987, I, 373; n. 4614/86, id., Mass., 817). 
Dopo aver individuato i tratti salienti della disciplina concernente 
il passaggio dail vecchio al nuovo regime, l'orientamento in esame esclude 
che essi con.sentano di configurare un'esclusiva ed. immediata. successione 
delle regioni o degli altri organi preposti al servizio sanitario 
nazionale, in tutti i rapporti originariamente formatisi con gli enti e 
le gestioni soppresse. Rilevato che tra la soppressione delle preesistenti 
strutture e la costituzione delle U.s.l. si inserisce la fase affidata ai 
commissari liquidatori e caratterizzata da11:a coesistenza q.i compiti di 
liquidazione e di compiti di amministrazione temporanea anche del 
servizio di assistenza sanitaria (artt. 2 e 3 I. n. 349/77), le anzidette decisioni 
considerano che di un siffatto c�ngegno non vi sarebbe stato 
bisogno se il legislatore avesse voluto una pura e semplice successione 
fra enti o, al contrario, una netta censura fra vecchio e nuovo 
regime; soluzioni, queste, entrambe inaccettabilli, perch� la prima, oltre 
ad' addossare agli organi del nascente servizio sanitario il peso dei 
debiti delle pregresse gestioni mutualistiche, avrebbe vulnerato l'autonomia 
legislativa, amministrativa e finanziaria delle regioni, garantita 
dall'art. 117 Cost., mentre la s�conda avrebbe, per un verso, interrotto 
l'erogazione dell'assistenza sanitaria e, per altro verso, avrebbe pregiudicato 
i diritti acquisiti dall'ingente massa del personale degli enti disciolti. 
Fu scelta perci� una soluzione intermedia ed i rapporti giu



327

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

ridici relativi aill'attivit� di assistenza sanitaria vennero attribuiti tutti 
alle U.s.1., cui furono perci� imputati sia i rapporti esterni con gli utenti 
del servizio, sia quelli interni, relativi al personale ed ai beni; ma dei 
crediti e dei debiti derivati da tali rapporti fu disposta la liquidazione, 
se sorti prima defila gestione commissariale', e la riscqssione o il pagamento, 
ad opera dei commissari, se sorti durante la loro gestione. 
Terminata la fase di transizione, o per la costituzione delle U.s.l., 

o per la scadenza del termine finale, e venute cos� meno le gestioni 
commissariali, si deve ritenere -sempre se�ondo l'orientamento in 
esame -che, pur in mancanza di un'esplicita disposizione ail riguardo, 
i debiti maturati prima o nel corso delle gestioni commissariali dovessero 
�essere comunque assunti dall'ufficio liquidazioni del ministero 
del tesoro; e ci� in coerenza con i principi informatori della~disciplina 
transitoria, sia perch� la regola dettata dai! 4� comma dell'art. 77 1. 
n. 833/78 (obbligo per i commissari di consegnare al predetto ufficio 
�tutte le attivit� esistenti; i libri contabili, gli inventari e il rendiconto 
della loro gestione �) ha carattere generale e riguarda anche la cessazione 
dehla gestione transitoria dell'assistenza sanitaria, sia, infine perch� 
l'art. 11 d.l. n. 285 del� 1980 ha disposto, senza fare distinzioni di 
sorta, per � la prosecuzione delle operazioni di liquidazione � da parte 
dell'ufficio. 
Ritiene il collegio che questo secondo orientamento debba essere 

condiviso. 

La pur corretta distinzione tra attivit� di liquidazione e attivit� di 

gestione transitoria delll'assistenza san~taria, affidata dalla legge ai 

commissari liquidatori, di per s� non risolve, infatti, _il punto essen


ziale della questione in esame, che � quello di verificare se il trasferi


mento alle U.s.l. dei rapporti giuridici inerenti all'attivit� di assistenza 

sanitaria necessariamente implichi -giusta quanto il primo indirizzo 

giurisprudenziale gratuitamente ritiene -il passaggio all'avente causa 

delle passivit� pregresse, cui gli anzidetti rapporti trasferiti hanno dato 

origine. . 

Ora se � vero che, in tema di successione (anche parziale) tra enti 
pubblici, esiste, secondo la, pi:� a.torevole dottrina, una regola generale 
secondo cui l'ente subentrante succede in universum ius� e ,quindi 
in tutte le situazioni giuridiche facenti capo aill'altro ente (eventualmente 
nei soli limiti del settore parzialmente trasferito), parimenti 
certo � che tale regola � applicabile solo in mancanza di disp�sizioni 
specifiche che diversamente dispongano e che, in .particolare, si limitino 
a porre in essere una � successione a titolo particolare � in specifici 
rapporti, i quali -per hl principio di irr~troattivit� d,ei fatti giuridici 
-passano all'avente causa nello stato in cui attualmente si tro


r �� � ��� ��� � ,.., ..... .,.... � � ������r.�.�.-.-.�rr.�.�.�.�.-�����������������������������r.-.�.��r,-r.�rcccrr,,.,�.�rr.�r.�rr.�,�,�,�, 


328 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

vano e, quindi, senza quei diritti ed obblighi che, pur originati dal 
rapporto, si sono ormai da esso separati, entrando a far parte del restante 
patrimonio del dante causa; patrimonio unitariamente soggetto 
alla procedura di liquidazione che sia stata eventualmente disposta. 
Nehla specie, la disciplina transitoria adottata rende sicuramente inconfigurabile 
una, sia pure parziale, successione a titolo universale: 
l'art. 65, 3� comma, 1. n. 833/78 si limita infatti a prevedere il trasferimento 
ai comuni, competenti per territorio, con vincolo di destinazione 
alle U.s.l., di beni e attrezzature degli enti mutualistici soppressi, 
destinati prevailentem"ente ai servizi sanitari, nonch� il � trasferimento 
di tutti i rapporti giuridici relativi alle attivit� di assistenza sanitaria 
attribuite alle unit� sanitarie locali �. Le ragioni di questa speciale 
disciplina sono state, come si � visto, gi� poste in luce dalle decisioni 
cui si presta adesione, ed � indubbio che, nonostante i tempera)
J1enti adottati per evitare una brusca cesura tra vecchio e nuovo 
sistema, lo strumento prescelto � stato queHo della soppressione degli 
enti mutualistici mediante liquidazione (di per s� escludente una successione 
in uniV1e11sum ius; v. in argomento, sent. n. 5971/83, id., Rep. 
1983, voce Amministrazione di.e.Uo Stato, n. 140) anche in-considerazione 
del fatto che tra enti mutualistici e nuovi organi del servizio sanitario 
non sussisteva nemmeno identit� di scopi, posto che l'art. 10 della ripetuta 
1. n. 833/78 attribuisce ail servizio sanitario nazionale � la gestione 
unitaria della tutela della salute � e quindi una finalit� ben pi� 
lata rispetto a quella propria dell'assicurazi.one sociale contro il rischio 
di malattia, garantito dal sistema mutualistico. 

Una volta esclusa la configurabilit� di una successione universale, 
� perci� del tutto conforme .ai principi, oltre che agli elementi della 
specifica disciplina legale posti in rilievo dalle citate sentenze n. 4516 
e n. 6819 del 1986, la negazione e il trasferimento alle U.s.l. dei rapporti 
giuridici inerenti all'assistenza sanitaria abbia comportato anche il passaggio 
alle stesse U.s.il. delle relative passivit� (ed attivit�) pregresse, 
gi� separate dagli anzidetti rapporti ed entrate a far parte del restante 
patrimonio dell'ente mutualistico, e come tali rientranti nella unitaria 
e globale attivit� di liquidazione dello stesso patrimonio, affidata dalla 
legge, senza distinzioni di sorta, prima ai commissari liquidatori, e 
poi eventualmente, a far tempo dal 1� luglio 1981, al ministero del tesoro 
. ufficio liquidazioni. 

Si deve infine rilevare che tale soluzione � coerente con quella 
in cui queSta suprema corte � pervenuta con riferimento alle attivit� 
e passivit� dei soppressi enti ospedalieri della regione Lazio, relativamente 
alle quali la legittimazione � stata riconosciuta al comune territorialmente 
competente, ma in quanto affidatario di quella � gestione 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 329 

stralcio � che la stessa I. reg. 28 gennaio 1980 n. 10, all'art. 3 considera 
alternativa rispetto alle equipollenti �gestioni di liquidazione del ministero 
del tesoro� (v. sent. n. 2087/85, id., 1985, I, 2183). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 8 giugno 1987, n. 5017 -Pr.es. Brancaccio 
-Rel. Nocella -P. M. Virgilio (concl. parz. diff.) Ministero del 
tesoro (avv. Stato Fiengo) c. Aletta ed altri. 

Sanit� -Enti mutualistici -Medici convenzionati -CompeJ,tsi -Modalit� 
di corresponsione -Fattispecie. 
(legge 29 giugno 1977, n. 349, art. 1). 

Lavoro -Controversie in materia di previdenza � Medici convenzionati 
con enti mutualistici � Rapporto di collaborazione � Crediti per prestazioni 
professionali � Rivalutazione monetaria � Applicabilit�. 
(artt. 409, 429 c.p.c.). 

E nullo per contrasto con la norma inderogabile delfart. 8, 4� comma, 
legge 29 giugno 1977, n. 349, l'art. 49 della convenzione unica dell'INAM, 
laddove comporta l'applicazione retroattiva del sistema di pagamento 
c.d. �a quota capitaria � (introdotto dall'accordo nazionale 
tipo recepito il 7 luglio 1978 dall'istituto); con la conseguenza �che le 
prestazioni sanitarie rese a favo re di detto istituto vanno compensate 
secondo il previgente sistema �a notula� (1): 

Sono suscettibili di rivalutazione monetaria ai sensi dell'art. 429, 
3� comma, c.p.c. i crediti dei medici convenzionati verso gli enti mutualistici 
per le prestazioni professionali disimpegnate a favore dei 
medesimi, in quanto derivanti da rapporti di collaborazione riconducibili 
al disposto normativo di cui all'art. 409, n.� 3, c.p.c. (2). 

(1) Conf. Cass. 28 ottobre 1986, n. 6357, Foro it., Mass., 1088. Sulle implicazioni 
giurisprudenziali della legge 103 del 1985 vedi Cass. 19 novembre 1986, n. 6819 
e 15 novembre 1986, n. 6748, id., 1987, I, 373, con nota di richiami; quindi fra 
le innumerevoli sentenze posteriori relative al blocco delle tariffe per la liquidazione 
dei compensi dovuti dagli enti mutualistici ai medici convenzionati 
esterni, v. Cass. 22 dicembre 1986, n. 7856, id., Mass., 1359. 
(2) L'affermazione di cui nella massima riassume un orientamento delle 
sezioni unite opposto a quello precedentemente rinvenuto in precedenti decisioni, 
anche recenti (15 novembre 1986, n. 6748 cit.), della sezione lavoro; nella 
sentenza in parola i crediti per prestazioni professionali dei medici convenzionati 
verso gli enti mutualistici sono assoggettati alla rivalutazione monetaria 
ex art. 429 c.p.c., gi� a giudizio della Corte ritenut� applicabile per i compensi 
dovuti dai medesimi enti ai legali esterni (Sez. Un. 28 giugno 1984, n.. 3815, 
id., 1984, I, 1813, con nota di richiami; cui � adde �, dipoi, C. M. BARoliE, �Le 
controversie in materia di lavoro � Zanichelli -Foro italiano, Bologna-Roma, 
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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

330 

Svolgimento del processo. -Con separati ricorsi al Pretore di Lentini, 
depositati il 24 giugno 1981, Aletta Gesualdo, Alicata Salvatore, 
Amenta Sebastiano, Buda Giuseppe, Piccolo Andrea e Rossello .Silvestro, 
medici generici �gi� convenzionati con il disciolto 1.n.a.m. esponevano 
che il loro rapporto era stato disciplinato prima dalla convenzione 
del 27 giugno 1973, stipulata tra l'l.n.a.m. e fa Federazione nazionale 
dell'ordine dei medici, che prevedeva il pagamento delle prestazioni 
con il sistema �a notula�, e poi dall'accordo unico, previsto dall'art. 
8 l. 29 giugno 1977 n. 349, ohe prevedeva detto pagamento con il 
sistema a �quota capitarla�, recepito dall'l.n.a.m., con deliberazione 
del suo commissario liquidatore in data 7 luglio 1978; il suddetto istituto, 
il quale fino a tutto il luglio 1978 aveva�. ricevuto le notule presentate 
dai medici, aveva cominciato dal 1� giugno 1978 a pagare le 
prestazioni professionali con il sistema a � quota capitarla � ed aveva 
anche trattenuto conguagli tra quanto pagato cl�l 1� gennaio 1978 al 
31 maggio 1978 e quanto avrebbe dovuto corrispondere, applicando cos� 
retroattivamente l'accordo nazionale unico. Assumendo .che la disposta 
applicazione retroattiva dell'accordo era in contrasto con la disposizione 
del 4� comma dell'art. 8 1. n. 349 del 1.977, che prevedeva la cessazione 
del precedente sistema (a notula) solo dalia data del recepimento, 
da parte degli enti mutualistici, delle convenzioni nazionali uniche 
�(che nella specie era il 7 luglio 1978), i ricorrenti chiedevano la 
condanna dell'l.n.a.m. in liquidazione, in pei:-sona del suo legale rappresentante 
p.ro t.emporie, al�rimborso delle somme trattenute dal 1� gennaio 
1978 al 31 maggi_o 1978 e al pagamento delle differenze derivanti 
dal sistema �a notula� per le prestazioni effettuate dal 1� giugno 1978 
al 7 luglio 1978 oltre la rivalutazione monetaria e interessi legali. 

1987, 107 ss.; e le indicazioni in nota a Cass. 21 febbraio 1986 n. 1061, Foro it., 
1987, I, 1558). 

La differenza ~Ila decisione � de q.o � con le pronuncie delle Sezioni 
Unite del 1984 � comunque in ci�: la Corte precisa che � mentre l'art. 429, 
3� comma, c.p.c. riguarda il� credito di �lavoro maturato e non tempestivamente 
adempiuto, l'indicizzazione convenzionale e l'adeguamento legale� delle 
tariffe professionali ineriscono alla quantificazione del giusto compenso, originariamente 
dovuto ai fini del successivo adempimento esatto e tempestivo. In 
altri termini, mentre l'indicizzazione e l'aumento del compenso si riferiscono 
ad uv.a obbligazione di pagamento al momento della scadenza, la rivalutazione 
monetaria si riferisce invece ad una obbligazione di pagamento gi� scaduta 
e non soddisfatta�. .. � 

Quindi se le precedenti sentenze delle Sezioni Unite del 1984 giustificavano 
la soluzione. di cui � visione in relazione all'estensione del disposto normativo 
e alla funzione degli artt. 409 e 429 c.p.c., la sentenza� in evidenza ;:tggiunge alle 
precedenti en�nciazioni giurisprudenziali l'importanza della relazione dello� stesso 
art. 429 c.p.c. con la normativa relativi ai meccanismi convenzionali di indicizzazione 
delle tariffe professionali (sul pulito, per alcuni richiami in motivazione, 
Corte Cost., 31 dicembre 1986 n. 300, id. 1987, I, 320, con nota di richiami).

' 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 331 

Costituitosi il contraddittorio, il ministero del tesoro -ufficio liquidazioni, 
subentrato al disciolto I.n.a.m., contestava il fondamento 
della pretesa. . 

Con sentenza del 12 marzo 1982 l'ad�to pretore, disposta la riunfone 
dei giudizi, accoglieva la domanda. 

A seguito di gravame del ministero soccombente il Tribunale di 
Catania con sentenza del 29 novembre 1983 confermava la deeisione 
di primo grado. 

Per quanto interessa il presente giudizio di cassazione il giudice 
d'appello osservava: a) solo con il recepimento in data 7 luglio 1978, 
da parte dell'I.n.a.m., dell'accordo nazionale tipo, a cui �avrebbero dovuto 
conformarsi le convenzioni uniche, a. norma dell'art. 8 l. n. 349 
del 1977 cessavano di avere efficacia gli accordi precedenti ed in par-. 
ticolare il precedente sistema di pagamento � a notula � per far posto 
al nuovo sistema �a quota capitaria �. La norma dell'art. 49 della convenzione 
unica, il cui contenuto era predisposto dal suddetto accordo, 
che stabiliva la decorrenza della stessa�dal 1� gennaio 1978,. era in contrasto 
con iJ citato art. 8, norma inderogabile, intesa a stabilire il limite 
temporale degli accordi vigenti non soltanto nell'interesse dei medici 
ma anche allo. scorpo di programmare l'attuazione del servizio sanitario. 
Conseguentemente la norma della convenzione era affetta da nullit�, 
che si . e$tendeva alla clausola conforme dei contratti individuali, 
stipulati dai singoli medici; b) la condanna al risarcimento del danno da 
svalutazione monetaria ed al pagamento degl'interessi legali trova fondamento 
nella disposizione dell'art. 429 c.p.c., che presuppone soltanto 
che si pronunci condanna per crediti di lavoro o assimilati, prescindendo 
dal soggetto che viene condaru:iato al pagamento. 

Avverso la suddetta sentenza il ministero del tesoro -ufficio liquidazione 
propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi di annullam!'!
nto. Gli intimati non si sono costituiti. 

� Motivi della decisione. -Con il primo motivo, denunziando viola-. 
zione e falsa arpplicazione dell'art. 8, 4� comma, l. 29 giugno 1977 n. 349 
e degli artt. 1418, 1419 e 1322 e.e., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., il 
ministero ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto 
illegittima la delibera istitutiva della convenzione nazionale per preteso 
contrasto con il citato art. 8 nella parte in cui retrodata la disciplina 
adottata ad un momento anteriore alla. delibera stessa con conseguente 
nullit� anche dei contratti individuali. Ad avviso del ricorrente 
la disposizione, che si assume violata, nel regolare la successione 
nel tempo della disciplina di settore, pone un termine finale (e formale) 
all'efficacia della normativa allora vigente senza nulla dire in ordine 
ad una eventuale efficacia retroattiva delle nuove convenzioni, che deve, 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATpRA DELLO STATO 

invece, presumersi perfettamente lecita come ogni sistemazione di assetti 
patrimoniali inter volentes. Comunque -sempre ad avviso del 
ministero ricorrente -la nullit� non dovrebbe colpire il contnitto individuale, 
stipulato dai singoli medici, in quanto l'art. 8 suddetto pone 
una norma di azione, volta a regolare l'operato delle strutture pubbliche 
nella specifica materia, caratterizzata dalla recezione in atti 
amministrativi di � accordi � intercorsi fra Stato e parti sociali e dalla 
successiva stipula di contratti individuali <�conformati � con quegli, atti 
amministrativi, secondo il modulo � normativo � o per � adesione � 
della predisposizione d� contenuti negoziali, talch� non ha senso porsi 
il problema della natura autoritaria o dispositiva della norma intertemporale, 
risolvendosi pi�ttosto i termini della questiop.e nella alternativa 
della corrispondenza o meno della delibera con efficacia retroattiva, 
ad una norma di legge; anche nella ipotesi di contratto privato, 
conformato ad atto amministrativo illegittimo, non potrebbe determinarsi 
nullit� � alcuna, richiedendosi che il vizio pubblicistico di 
violazione di legge si traduca in un vizio privatistico di illiceit� della 
causa del contratto ex art. 1343 e.e.: il che potrebbe verificarsi probabilmente 
ove venisse violato il limite sostanziale di cui all'art. 9 1. 349 
del 1977 sul contenimento degli oneri a carico delle strutture pubbliche, 
ma sicuramente� non si verifica in presenza del superamento di 
un limite di efficacia che, se sussistente, ha un valore meramente 
formale. 

Il motivo � infondato. La_ I. 29 giugno 1977 n. 349, recante �norme 
transitorie per il trasferimento alle regioni delle funzioni gi� esercitate 
dagli enti mutualistici e per la stipulazione delle convenzioni uniahe 
per il personale sanitario in relazione alla riforma sanitaria�, nel prevedere 
la formazione, entro determinati limiti di tempo, di un accordo 
nazionale tipo con le organizzazioni sindacali a carattere nazionale pi� 
rappresentativo delle categorie elencate nel precedente art. 7, fra cui 
quella dei medici generici, ha stabilito che le norme e gli accordi 
vigenti presso ciascun ente o cassa mutua alla data di entrata in 
vigore della �legge stessa �cessano di avere efficacia dalla .data delle 
deliberazioni che recepiscono le corrispondenti convenzioni nazionali 
uniche � (art. 8, 4� comma). 

La lettera della legge, che a norma dell'art. 12 disp. prel. e.e. costituisce 
il criterio interpretativo, logicamente anteriore e preminente 
rispetto agli altri, non consente di attribuire alla norma dell'art. 8 
citato un significato diverso da quello fatto palese dall'espressione usata, 
di indubbio e chiaro significato. 

La mancanza di espressa previsione circa l'ultrattivit� qella normativa 
precedente non pu� interp:retarsi come indifferenza del legislatore 
di fronte alla successione dei due diversi sistemi di pagamento ! 

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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

delle prestazioni professionali dei medici convenzionati (� � notula � il 

precedente sistema e �pro quota capitaria � il nuovo), al punto da con


sentire la retrodatazione della nuova normativa in relazione alla pre


tesa natura del termine, soltanto finale e meramente formale, espres


samente previsto. 

La norma suddetta, inserita in un complesso normativo, diretto se


condo la stessa � rubrica z.egis � a regolare il trasferimento alle regioni 

delle funzioni sanitarie e alla stipulazione delle convenzioni uniche per 

il personale sanitario, concorre a determinare il programma di attua


zione del servizio sanitario nazionale e quindi assume una efficacia 

operativa per quanto riguarda le fasi di attuazione del programma 

stesso, dettando criteri certi per il passaggio dal precedente al nuovo 

sistema: criteri di certezza, richiesti non soltanto da motivi di ordine 

programmatico, inerenti alla tutela della salute pubblica, ma anche da 

motivi di ordine finanziario, che esigono la determinftZione preventiva 

dc;lle spese e dei relativi oneri a carico della comunit� secondo para


metri stabili e fissi. 

Non � perci� accettabile la tesi secondo cui la norma in questione 
contiene, in via meramente formale, soltanto la previsione del limite 
massismo di vigenza della precedente normativa, consentendo la parteci. 
pazione degli effetti della nuova normativa, perch� sussistono, � invece, 
ragioni di ordine sostanziai~, identificabili nella lettera e nella ratio 
della legge, che impediscono la sovrapposizione del nuovo sistema al 

vecchio sistema ancora vigente. 

La natura sostanziale, e quindi inderogabile, del termine, previsto 

dalla legge, si desume da ulteriori argomentazioni. Ove la data del re


cepimento delle convenzioni unich� si considerasse come termine for


male e derogabile si avrebbero conseguenze logicamente incongruenti. 

Se infatti l'accordo nazional.-. tipo ha efficacia cogente e immediata 

nei rapporti tra medici ed enti e solo con la delibera di recepimento, 

conforme all'accordo-tipo, il rapporto riceve una nuova e totale rego


lamentazione, un rapporto di collaborazione professionale, svolto nella 

vigenza della precedente norm�tiva contrattuale, ohe prevedeva il si


stema � a notula�, verrebbe a!d essere parzialmente regolato sulla base 

di una successiva normativa che prevede il pi� sfavorevole sistema 

� pro quota capitaria �, solo per quanto riguarda il compenso delle pre


stazioni, nonostante che queste siano rese nella vigenza della precedente 

regolamentazione con sostanziale frazionamento della disciplina unita


ria del rapporto, voluta dall'art. 9 della legge. 

D'altra parte, escludendosi il carattere sostanziale, e quindi asso


luto, della previsione che collega l'operativit� della nuova convenzione 

alla data della delibe~a di recezione da parte degli enti mutualistici, in 

nessun caso queste avrebbero potuto operare dalla data prevista, aven



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

do quella diversa decorrenza retrpattiva che la libera iniziativa di 
ognuno dei commissari liquidatori, all'epoca ancora in funzione per 
ogni ente mutualistico (art. 2 della legge), avrebbero voluto. ad esse 
attribuire, in contrasto con l'esplicita previsione legislativa. 

Poich� la clausola dell'accordo-tipo, cui si conformava l'art. 49 della 
convenzione w'i.ica, � contr�ria alla noi:u:na imperativa dell'art. 8, 4� 
comma, I. n. 349 del 1977 per quanto riguarda la fissazione anticipata 
del termine di decorrenza del sistema a quota capitaria, deve ritenersi 
nulla a norma dell'art. 1419 e.e., con sostituzione di diritto della clausola 
nulla con la disposizione della norma inderogabile. Gli accordi suddetti, 
regolanti ��reciproci rapporti di ~bbligazione tra medici conv~ionati 
ed enti mutualistici, conservano infatti la natura di 'contratti di diritto 
privato, disciplinando i rapporti stessi -anzich� con una regolamentazione 
u.Ililaterale e autoritaria con atto normativo -con una regolamentazione 
bilaterale e paritetica, che viene successivamente recepita 
con atto amministrativo, secondario ed esteriore, semplicemente 
sanzionatorio, dalla precedente fase contrattuale. La nullit� investe 
ovviamente la clausola dell'accordo-tipo e della convenzione che ad 
esso si � conformata. 

Anche se, poi, si volesse attribuire agli accordi-tipo natura regolamentare 
.coIL prevalenza del momento pubbUcistico rispetto a quello 
contrattuale, secondo il modulo �normativo � o � per adesione �, della 
predisposizione dei contenuti negoziali -come sostenuto in ipotesi 
alternativa dal ministero ricorrente -, non conseguirebbero risultati 
molto diversi per quanto riguarda la posizione dei contratti individuali. 
In tale ipotesi, non potendosi porre un problema di nullit�, si 
porrebbe per� un problema di disapplicazione dall'atto illegittimo in 
quanto contrario ad una norma inderogabile. 

Nello stesso senso la sezione lavorl'f di questa corte ha ritenuto 
l'inderogabilit� dell'art. 8. citato e la nullit� della convenzione unica, 
che attribuiva efficacia retroattiva al nuovo sistema � a quota capitaria 
� �(Cass., sez. lav., n. 6357 del 1986, Foro it., Mass., 1088). 

Con il secondo motivo, denunciandosi violazione e falsa applicazione 
degli artt. 429 e 409 c.p.c., in relazi9ne all'art. 360, n. 3, c.p.c., si 
sostiene che la domanda di rivalutazione monetaria avrebbe dovuto 
essere rigettata in quanto delle �tre ragioni, ohe la giustificano e cio� 
l'esigenza di mantenere inalterato il potere di acquisto dei crediti di 
lavoro, quella di porre una remora al ritardo nel pagamento a.Ila scadenza 
delle obbligazioni relative alle prestazioni retributive e infine 
quella di riequilibrare le posizioni economiche del lavoratore dell'arricchimento 
conseguito dal datore di lavorp mediante l'utilizzazione della 
forza lavorativa, pu� nei confronti degli enti pubblici non economici 
ricorrere la prima, ma non le altre due, e, quindi, pu� conseguentemente 


PARTE. I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 335 

ritenersi che la citata norma dell'art. 429 sia applicabile ai rapporti 
di parasubordinazione� in quanto il soggetto sovraordinato non sia un 
ente pubblico non economico. 

Il motivo � infondato. La questione della applicabilit� della rivalutazione 
monetaria di cui all'art. 429, 3� cQilllI1a, c.p.c. ai crediti per 
prestazioni professionali rese da medici conv~nzionati con enti mutualistici 
ha dato luogo a difformi decisioni della sezione lavoro; il che 
ha determinato l'assegnazione del presente ricorso alle sezioni unite. 

Mentre un orientamento assolutamente maggioritario della giurisprudenza 
di questa Suprema corte (v. se�lt. n. 1969/82, id., Rep. 1982, 
voce Lavoro e prtev�wnza (controversie), n. 283; n. 1425/81, id., Rep. 
1981, voce cit., n. 268; n. 6149/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 227) aveva 
ritenuto che la rivalutazione monetaria del cit. 3� comma dell'art. 429 
� applicabile a tutti i rapporti di lavoro elencati dall'art. 409 c.p.c., 
compresi quelli �di collaborazione che si concretino in una� prestazione 
di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche 
se non a carattere subordinato�, di cui al n. 3, le sentenze n. 3559/82, 
(id., Rep. 1982, voce cit., n. 99) e n. 2073/83 (id., Rep. 1983, voce cit., n. 90), 
hanno rispettivamente negato la rivalutabilit� dei crediti di medici convenzionati 
con enti mutualistici e dei legali esterni degli stessi enti, 
pur riconoscendo la natura parasubordinata dei relativi rapporti. 

L~ prima di tali decisioni (ribadita dalla successiva sentenza numero 
3839/86, id., Mass. 671) riteneva infatti che l'opera del professionista, 
ancorch� possa essere considerata talvolta, come nena�-specie, 
parasubordinata (e quindi. soggetta alla competenza del giudice di lavoro) 
�resta tuttavia assoggettata, quanto alla disciplina economica, 
soltanto alle norme specifiche, che regolano la singola professione e 
la tipicit� delle relative attivit� di non esclusiva dipendenza �, e che, 
in particolare, l'art. 429, 3� comma, c.p.c. riguarda solo i �crediti maturati 
e dovuti, ma non corrisposti dal datore di lavoro debitore al 
momento del loro sorgere effettivo, e per ricostituire in tal modo l'entit� 
reale economica che il lavoratore aveva in quel momento la possibilit� 
di conseguire�, sicch� nulla ha a che vedere con i meccanismi 
di indicizzazione delle tariffe dei medici esterni, previsti dalle convenzioni 
del 1973 e peraltro bloccati dalla 1. n. 386 del 1974. 

Analogamente, la seconda decisione, relativa,_ come gi� detto, ai legali 
esterni degli enti mutualistici, riteneva che il 3� comma dell'art. 429 
non potesse trovare applicazione ad � un tipo di attivit�, che -seppure 
venga intesa parasubc;>rdinata... -tuttavia inerisce ad -un'opera che 
trova la propria disciplina economica in specifiohe norme di carattere 
legale e obbligatorie, concernenti la professione legale �, in quanto tali 
norme gi� assicurano periodicamente l'elevazione e l'adeguamento dei 
compensi. 


336 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO &,TATO 

Il contrasto di giurisprudenza non risiede tanto nella definizione 
del rapporto tra medici convenzionati ed enti mutualistici, concordemente 
qualificato come rapporto di lavoro rientrante nella disciplina 
dell'art. 409, n. 3, c.p.c., quanto nel coordinamento tra l'art. 429, 3� 
comma, c.rp.c., ed i meccanismi contrattuali di adeguamento automatico 
delle tariffe professionali alle �variazioni � del potere di acquisto della 
moneta. 

Ma gi� la soggezione del rapporto alla disciplina dell'art. 409 c.p.c. 
implica rilevanti conseguenze sul piano dell'applicabilit� della normlf" dell'art. 
429 c.p.c. a tale tipo di rapporto. 

Queste sezioni unite con le sentenze n. 3815/84 (id., 1984, I, 1813) e 

n. 3822/84 (id., Rep. 1984, voce cit., n. 83), relative a crediti di legali 
esterni degli enti mutualistici, hanno gi� meditatamente ribadito l'indirizzo 
giurisprudenziale maggioritario secondo cui la norma dell'articolo 
429, 3� comma, c.p.c., si applica quando venga pronunciata sen-. 
tenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di 
lavoro a tutti i rapporti elencati nell'art. 409 dello stesso codice e quindi 
anche a quelli di collaborazione continuativa e coordinata di cui al 
n. 3. 
La rportata generale del principio resta confermata dalla lettera e 
dalla rat.io della norma. Secondo una corretta lettura del testo la locuzione 
�crediti di lavoro�, che vi � contenuta, non delimita il campo 
di applicazione della norma ai soli rapporti di lavoro subovdinato, 
perch� il citato art. 409 dichiara espressamente applicabili a tutti i 
rapporti di collaborazione con le caratteristiohe di cui al n. 3, le disposizioni 
del presente capo, tra le quali .quella dell'art. 429 e ci� in armonia 
con l'ampio significato dell'espressione � lavoro�, che comprende 
anche il lavoro autonomo, e del riferimento �ai rapporti di cui all'art. 
409 �; che viene usato per delimitare l'efficacia operativa anche 
di altre disposizioni della stessa I. n. 533 del 1973 {quali gli artt. 6 e 11 
rispettivamente in tema di rinunce e transazioni e d,i patrocinio a spese 
dello Stato). La lettera della legge pone quindi una stretta correlazione 
tra gli artt.' 409 e 429, indirettamente ribadita dal riferimento. che alla 
prima norma fanno altre norme della stessa legge. 

La ratio della norma dell'art. 429, 3� comma, c.p.c., posta in precedenza 
dalla Corte costituzionale (ord. n. 65 del 1978, ,id., /8, I, 
1344, e sent. n. 76 del 1981, id., 1981, I, 1779), consiste nell'esigenza di 
tutelare qualsiasi rapporto di lavoro, sia subovdinato oppure autonomo, 
che abbia i requisiti indicati, al fine di riequilibrare la posizione di 
sfavore, nella quale il lavoratore viene a trovarsi nei confronti del 
proprio datore di lavoro. 

L'equazione, ai fini applicativi, desumibile dalla lettera e dalla 
ratio delle due norme citate non pu� essere esclusa a causa di una 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 337 

pretesa incompatibilit� tra l'art. 429, 3� comma, e la normativa, relativa 
ai meccanismi convenzionali di indicizzazione delle tariffe professionali, 
perch�, in realt�, si tratta di disposizioni, completamente autonome 
e indipendenti tra loro, che operano su di un piano nettamente 
differenziato: mentre l'art. 429, 3� comma, c.p.c., riguarda il credito di 
lavoro maturato e non tempestivamente adempiuto, l'indicizzazione 
convenzionale e l'adeguamento legale delle tariffe professjonali ineriscono 
alla quantificazione del giusto compenso, originariamente dovuto 
ai fini del successivo adempimento esatto e tempestivo. In altri termini 
mentre l'indicizzazione e l'aumento del compenso si riferiscono ad una 
obbligazione di pagamento al momento della sua scadenza, la rivalutazione 
monet:iria si riferisce invece� ad una obbligazione di pagamentogi� 
scaduta e non soddisfatta. Trattandosi di norme, ontologicamente 
diverse, che obbediscono a diverse finalit�, non possono essere confuse 
per la sola ragione, -desunta dalle sentenze nn. 13 e.43 del 1977 (id., 
1977, I, 259 �e 257) dalla Corte costituzionale, peraltro genericamente 
riguardanti la disparit� di trattamento tra crediti di lavoro ed altri 
crediti pecuniari -per cui i crediti per prestazioni professionali non 
difettano di quella funzione di bisogni primari e di sostentamento, propri 
della retri"Q.zione. La valutazione della posizione� creditoria in questione 
� stata infatti preventivamente eseguita dal legislatore mediante 
l'estensione ai crediti profession�li della rivalutazione monetaria, sempre 
che ricorrano le condizioni previste dall'art. 409, n. 3, c.p.c. 

Nella disposizione di �tale ultima norma trovano si;nentita le ulteriori 
argomentazioni, poste a sostegno dell'inapplicabilit� dell'art. 429 
c;p.c. 

Dal punto di vista dalla posizione del creditore l'applicabilit~ della 
norma non pu� essere negata sull'assunto di una pretesa mancanza di 
debolezza del creditore stesso in relazione alla tipicit� della .professione 
medica, che implica a volte costi notevoli e spese di produzione 
sostenute nell'ambito di una vera e propria organizzazione imprenditizia. 
L'art. 409 pi� volte citato specifica i limiti della tutela, subordinandola 
alla presenza di determinate caratteristiche dell'attivit� di collaborazione 
professionale (prestazione di opera continuata e coordinata, 

'prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato): paratteristiche 
ohe segnano an�he il momento di rilevanza degli eventuali 
notevoli costi e spese di produzione e dell'eventuale organizzazione 
imprenditizia degli studi professionali ai fini della disciplina, a cui � 
correlata la rivalutazione monetaria. 

Dal punto di vista della posizione del debitore la natura di ente 
pubblico non economico non ha alcuna rilevanza, atteso che l'art. 429, 
3� comma, c.p.c., data la stretta correlazione esistente con l'art. 409, 
trova applicazione oltre che neHe controversie relative ai primi quattro 


338 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

numeri di tale ultima norma, pure in quelle relative � ai rapporti di 
lavoro con enti pubblici anche non economici ed altri rapporti di lavoro 
pubblico � di cui al numero cinque, � semprech� non siano dalla legge 
devoluti ad altro giudi�e �, L'applicabilit� della rivalutazione monetaria, 
fondata su di un'automatica funzione reintegratrice del credito origi


I

nario ha una forza espansiva talmente ampia che � stata estesa dalla 
giurisprudenza amministrativa anche ai cr�diti dei pubblici dipendenti 

I

(Cons. Stato nn. 27 del 1983, id., 1984, III; 1; 1 e 13 del 1985, id., 1985, III, 
142 e 237, dell'adunanza plenaria oltre che n. 7 del 1981, iid., 1981, III, 
427), utilizzando lo schema tradizionale agli artt.� 1218 e 1224 e.e., che � 

I

sostanzialmente assimilabile a quello dell'art. 429 c.p.c., .di cui costituisce 
una falsariga (Cass., sez. un., nn. 5750 del 1982, .id., 1982, I, 2755; 3076 

I

del 
1983, ,id., 1983, I, ,1587; 1148 e 3316 del 1984, id., 1984, I, 383, e 1491). 
Il ricorso dev'essere dunque rigettato. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 giugno 1987, n. 5256 -Pres. Zuc


coni Galli Fonseca -Rel. Maresca -P. M. Sgroi (concl. conf.) Palum


bo 
(avv. Trapani) c. Bellini. 

� 
Giurisdizione civile -Regolamento di giurisdizione � Regolamento pre


ventivo -Improponibilit� della domanda tra privati � Inammissibilit� 

(artt. 37, 41, 382 c.p.c.). 

� inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione nell'ipotesi 
in cui sia dedotta lq. questione di merito at(inente alla improponibilit� 
assoluta della domanda tra privati per mancanza di una norma che 
tuteli la situazione dedotta in giudizio (1). .. 

Svolgimento del processo. -Con i-icorso ex art. 1168 e.e. e 703 c.p.c. 
del 13 novembre 1984, diretto al Pretore di Pozzuoli, Ciro Dellini, qualificandosi 
proprietario di un fondo 1in Quarto, confinante per un tratto, 
del lato Est, con una casa adibita ad abitazione, di propriet� del germane 

(1) Non sussistono precedenti in conformit� alla pronuncia in questione, 
la quale si pone in antit�si con il precedente consolidato orientamento della 
Cassazione, convergendo invece con quello . della dottrina. 
Il contrario orientamento risale gi� a Cass. 29 maggio 1951 n. 1330, in 
Foro it., 1952, 7, 701 con osservazioni di A. Scialoja, e in Giur. Cass. civ., 1951, 
III, 427, con nota adesiva di Berri, �Sulla rilevabilit� della carenza di azione 
nel regolamento di giurisdizione�, che approv� la decisione facendo leva anche 
sull'art. 382, ultimo comma, c.p.c., oggi p�sto fuori giuoco dalla sentenza in 
epigrafe. 

Tra 
le critiche a tale orientamento, oggi superato, da ultimo si rinviene 

c. M. BARONE, F. CIPRIANI, A. PROTO PISANI, A. PIZZORUSSO � Regolam�nto di giu__ 
j 

'"'c.�,�,�,wcuca,�.�,�,�,�c,�,�,�c,..,.,.,,.,.".'''�,...c,,,�,,,,,�,,,,,,, �., 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

Giusepp� ma occupata da Ferdinando Pallumbd, e lamentando che questi, 
nell'estate di quell'anno, avesse invaso parte di detto fondo depositandovi, 
in corrispondenza dell'abitazione, � legna e pedane �, e -cos� -molestato 
il pacifico possesso dello stesso istante, indispensabile per iil completa� 
mento della strada di accesso a un fabbricato dallo stesso costruito su 
una porzione del fondo medesimo, chiedeva al pretore adito d'essere reintegrato 
nella detenzione e nel possesso di quella parte del fondo� anzidetto, 
disponendosi la rimozione della legna e di tutti gli altri materiali deposi� 
tati dal Palumbo. 

Il quale, con rituale ricorso a questa Corte suprema di cassazione a 
sezioni unite, notificato il 22 novembre 1984, presentava istanza per regolamento 
preventivo ai sensi dell'art. 4f c.p.c. deducendo il difetto assoluto 
di giurisdizione, sull'assunto: non esistere alcuna posizione di dirit� 
to soggettivo o comunque tutelata della legge, che potesse sorreggere 
l'azione dell Dellini, tesa evidentemente a ottenere il godimento di una 
parte importante della confinante masseria (con annesso terreno), di 
propriet� di un fratello. del medesimo Dellini, che lo stesso Palumbo con� 
duceva in affitto in forza di regolare �ontratto e in relazione alla quale 
pendevano alltri giudizi. 

Il Dellini, cui il ricorso risulta regolarmente notificato, non iha presentato 
controricorso. 

Motivi df!Jlla decisione. -Il ricorso � inammissibile, prospettando 
una questione dell tutto estranea alla giurisdizione. 

Esso pone ancora una volta all'attenzione di queste sezioni unite 
il problema se, nelle controversie fra privati, il difetto, nell'attore, di 
una qualsiasi situazione soggettiva giuridicarnente rilevante integri una 
questione di giurisdizione e, come tale, sia denunciabile in sede di regolamento 
preventivo ex art. 41 c.p.-c. 

A rispondervi affermativamente per !la prima volta � stata la� sentenza 
29 maggio 1951, n. 1330 (Foro it., 1952, I, 701) di questa corte, che 

nell'ipotesi in cui l� stessa pretesa giudiziale � per i fatti indisputati 
risdizione, deontologia forense e credibilit� delle sezioni unite�, in Foro it., 
1987, 7, 62 e SS. I 

Favorevoli a questo cambiamento di. rotta anche A. Proto Pisani, � A proposito 
di stile delle sentenze, effettivit� del diritto di .azione e credibilit� della 
giustizia dello Stato >>, id., 1977, I, 2422; � Problemi e prospettive in tema (di 
regolamenti) di giurisdizione4 di competenza, id. 1984, V, 19 ss., spec. 94; 

V. ANDRIOLI, �Improcedibilit� assoluta della domanda tra privati�, in Giur. 
Cass. Civ., 1952, I, 13; E. T. LIEBMAN, �Domanda infondata e regolamento di 
giurisdizione�, in Riv. dir. proc., 1953, Il, 35. 
:E; implicita innegabile conseguenza della decisione in parola il dovere 
(ancora prima che il potere) dei giudici di merito di pmseguire regolarmente 
il processo, senza sospendere il giudizio ex art. 367 c.p.c. . 

11 



340 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 340 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
e iper la norma altrettanto indisputata, riveli la propria radicale inconsistenza
�, ha ritenuto di scorgere una situazione �analoga, se non identica, 
a quella per cui, di fronte alla discrezionalit� dellla p.a., si contrappone 
un interesse, tutelabile se mai nella sede amministrativa di legittimit�, 
e non un diritto tutelabile con l'ordinaria garanzia giurisdizionale�. 

Tale giurisprudenza -nonostante i~ fermo dissenso, mai sopito, di 
autorevole dottrina, decisamente contraria a che l'ambito di applicazione 
dell'istituto del regolamento preventivo di giurisdizione fosse allargato 
a questioni estranee a quelle indicate nell'art. 37 c.p.c. come questioni di 

giurisdizione e allJ.e quali, soltanto, la lettera del successivo art. 41 riserva 
l'applicabilit� del rimedio straordinario del regolamento medesimo -� 
stata ribadita per oltre un trentennio (ma sGlo in teoria, perch� in pratica, 
in relazione a tali casi, il difetto assoluto di giurisdizione risulta essere 
stato dichiarato solo poche v~te), in una lunga serie di pronunzie (v., fra 
le pi� recenti, sent. 22 ottobre 1984, n. 5365, id., Rep. 1984, voce LocazionJe, 

n. 564, e n. 5363, id. 1985, I, 171; 28 luglio 1984, n. 4489, id., Rep. 1984, voce 
Giurisdizio.n.e civile, n. 71), nelle quali si � rilevata l'esigenza di tener 
distinta l'ipotesi in cui l'indagine riguardi la sussistenza in concreto di 
tutte le condizioni per [a tutela .di una situazione soggettiva, in ordine 
alla quale sia sorto un contrasto (relativo, peraltro, non all'esistenza della 
norma, ma alla sua interpretazione), indagine questa, che attiene squisitamente 
al merito, dalfa diversa ipotesi in cui manchi del tutto una 
qualsivoglia norma che tuteli la situazione dedotta in giudizio, la quale 
per d� stesso viene a collocarsi al di fuori di ogni tutela giuridica 
in quanto priva della consistenza di diritto soggettivo o di interesse 
legittimo. � stato rilevato, inoltre, che con la proposizione di istanza 
per regolamento si sollecita dalle sezioni unite la designazione del giudice 
cui spetta la competenza giurisdizionale a decidere una determinata controversia 
e. che � un simile potere pu� logicamente estendersi fino all'estremo 
limite delll'arffermazione che una designazione � impossibile, in 
quanto, posto che l'ordinamento si realizza nella giurisdizione, l'assoluta 
, certezza della mancanza di una volont� astratta di legge comporta che la 
controversia non possa essere portata dinanzi ad alcun giudice � {sent. 
9 maggio 1973, n. 1247, id., 1973, I, 2784). 

Ritiene, tuttavia, questo .. coHegio l'opportunit� di riconsiderare il 
problema procedendo, logicamente, dal rilievo che il regolamento preventivo 
� previsto dall'art. 41 c.p.c. con limitato riferimento alle � question� 
di giurisdizione di cui all'art. 37 �, id est alle questioni attinenti alla giurisdizione 
del giudice ordinario nei confrowella p.a. o del giudice speciale, 
e alla giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero; 
e tale previsione, at~esa la natura straordinaria ed eccezionale 
dell'istituto -da tutti riconosciuta -, � tassativa e non pu� pertanto 
esser estesa a ipotesi non contemplate dalla no�rma �dell'art. 37 c.p.c. in 

: 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

particolare, all'ipotesi di c.d. improponibilit� assoluta della domanda neNe 
controversie fra privati. 

Che in questa ipotesi la situazione dedotta in giudizio sia in un 
certo senso analoga -ma non identica -a quella in cui, di fronte, 
alla discrezionalit� del.la p.a., si profili un mero interesse del privato e 
non un diritto tutelabile con l'ordinaria garanzia giurisdizionale (come 
ritenuto da queste sezioni unite nella giurisprudenza sopra richiamata) 
pu� anche consentirsi. Ma non se ne pu� inferire l'utilizzabilit� del 
regolamento di giurisdizione/ anche per detta ipotesi, ostandovi. il cennato 
carattere tassativo della norma. 

La circostanza, invero, che entrambe le dette ipotesi siano car�tterizzate 
dalla mancanza �di una norma che tuteli in astratto la situazione 
dedotta a fondamento della pretesa non � sufficiente a far estendere al 
privato convenuto il trattamento legge riservato alla p.a. siccome del 
tutto particolare alla massa dei rapporti tra it singolo e l'amministrazione 
attiva. 

Tanto pi� che, come rilevato autorevolmente in dottrina, gi� nei 
rapporti tra giudice ordinario e p.a. questioni di � giurisdizione� (o di 
�competenza�, come previsto, prima del codice di procedura civile del 
1942, dalla I. 31 marzo 1877 n. 3761, sui �conflitti di attribuzione�) sarebbero 
ravvisabili :(per forza di legge) solo in senso improprio giacch� il cosidetto 
difetto di giurisdizione civhl.e riguardo alla medesima amministrazione 
si 1dentificherebbe, in ogni caso, con l'inesistenza� del diritto soggettivo 
fatto valere in giudizio. Onde, la pronuncia di improponibilit� 
assoluta della domanda nei confronti dell'amministrazione meqesima 
sarebbe sostanzialmente di merito, e sarebbe devoluta alla Corte di cassazione, 
in sede di regolamento, in via del tutto straordinaria, anzi abnorme 
riguardo al sistema, senza alcun rispetto delle regole sui vari gradi di giurisdizione 
e nonostante la natura di giudice di mera legittimit�, propria 
della Corte di cassazione. Che se, poi, vi si dovesse scorgere una pronuncia 
non di merito, a fo11oori l'esperibilit� del regolamento preventivo di 
giurisdizione non potrebbe esser estesa alfa cosiddetta improponibilit� 
assoluta della domanda tra privati perch�, come pure � stato rilevato, 
alla diversit� dei soggetti si aggiungerebbe la diversit� di contenuto delle 
due pronunce, quella sull'inesistenza di tutela giuridica fra privati attinendo 
certamente al merito, giammai alla giurisdizione, in quanto 
si risolve in una pronuncia (negativa) sulla fondatezza della domanda. 
E un giudice capace di giudicare al riguardo v'� sempre, sia pure al solo 
effetto, eventualmente, di dichiarare infondata la pretesa. 

Ci� indipendentemente dalla circostanza che siavi o non siavi contestazione 
sull'esistenza di una norma che tuteli [a situazione dedotta in 
giudizio. Ch�, com~ � stato osservato~ un eventuale difetto di contestazione 
al riguardo n�n vincola in alcun modo il giudice n� lo esime dall'ob



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

bligo di esaminare d'ufficio la questione. D'altro canto, l'dnfondatezza di 
una domanda non � suscettibile di graduazioni diverse che consentano di 
distinguere una pronuncia di improponibi~it� da una pronuncia finale di 
rigetto della domanda. 

N� vale invocare -come pure � stato fatto -l'ultimo comma 
dell'art. 382 c.p.c., relativo alla cassazione senza rinvio, oltre che nehl'iipotesi 
di difetto assoluto di giurisdizione, � in ogni altro caso in cui (la 
corte) ritiene che la causa non poteva essere proposta o il processo 
proseguito�: non v'� identit� di oggetto fra regolamento preventivo e 
cassazione senza rinvio, come fatto palese dal raffronto testuale delle 
due norme che rispettivamente li riguardano, l'art. 41, a differenza dell'articolo 
382, riferendosi soltanto al difetto assoluto di giurisdizione, ragione 
per cui anche se si volesse ammettere che l'art. 382, nel suo ultimo 
comma, sia riferibile all'ipotesi di cosiddetta improponibi1it� assoluta 
della domandfl fra privati per inesistenza di una norma di legge che tuteli 
la situazione dedotta ti.n giudizio, rimarrebbe per ci~ stesso esclusa 
la possibilit� di valutare tale inesistenza in sede di regolamento pTeventivo. 


Nel caso. in esame, la controversia essendo fra privati, l'asserita 
improponibi1it� assoluta della domanda, comunque valutabile, non pu� 
essere in alcun modo denundata con istanza di regolamento pTeventivo di 
giurisdizione, ai sensi dell'art~ 41 c.p.c. onde il relativo ricorso va _dichiarato 
dnammissibfile. r(omisS!is) 

..,.......,,.! 



SEZIQNE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, III Sez. Civile, 6 agosto 1987, n. 6759 � Pres. 
Scribano � Rel. Laudato � P. M. Simeone -Gollini (avv. Tosatti e Gueresi) 
contro F.S. (Avv. Stato Stipo). 

, Procedimento civile -� lus postulandi � degli Avvocati dello Stato -Difesa 
in giudizio degli enti pubblici e dei dipendenti pubblici -Mandato 
alle liti -Non occorre �. 

Re'SpoiisabTut� ciVile"':'" Modalit�-del~fatto generatore del -danno=~GiU: 
dizio di merito incensurabile in sede di legittimit�. 

Responsabilit� civile -Dovere di comportamento prescritt'o da una norma 
� Diligenza e disattenzione dei destinatari � Esclusfone della 
responsabilit�. 

Lo � ius postulandi � degli Avvocati dello Stato deriva direttamente 
dalla leggJe; e quindi non richiede il conferi mento di un mandato alla 
lite, non solo nel caso di rappresentanza delle Amministrazioni dello � 
Stato, delle Amministrazioni pubbliche non statali e degli enti pubblici 
soggetti a vigilanza o tutela dello Stato, ma anche nel caso di rappres.entanza 
e difesa degli impiegati e agenti delle Amministrazioni dello Stato 
( artt. 44, 45 e 1 T. U. � delle leggi e norme giuridiche sulla rappresentanza 
e difesa dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato, 
approvato con r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611) (1). 

La ricostruzione delle modalit� del fatto generatore del danno, la 
valutazione della condotta dei soggetti che vi sono coinvolti e l'accertamento 
della esistenza o meno del rapporto di causalit� tra i comportamenti 
accertati e l'evento si risolvono in altrettanti giudizi di merito, 
sottratti, se adeguamente motivati, al sindacato di legittimit�. 

Il dovere di osservare una norma che prescrive un determinato 
comportamento deve ritenersi rispettato quando . il soggetto obbligato 
abbia tenuto la condotta indicata dalla norma stessa,� n� la specificazione 
che l'azione prescritta deve essere compiuta �con cura� aggiunge pi� 
di tanto alla prescrizione normativa, in quanto questa deve pur sempre 

(1) Massime esatte; sulla terza massima v. anche Cass. 29 giugno 1981 
n. 4216, in questa Rassegna 1982, I, ~29 nel senso che il principio del neminem 
laedere non pu� estendersi fino al punto di ravvisare il dovere di prevenire 
le imprudenze altrui. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO

344 

ritenersi diretta ad imporre un dovere di condotta particolarmente 
diligente e non mai un obbligo di suR_plire alla� imprudenza o disattenzione 
dei destinatari fino al punto di assicurarsi che questi ultimi se ne 
siano effettivamente resi conto, a prescindere dalla loro maggiore o 
minore attenzione, diligenza e responsabilit�. 

(omissis) Con il primo mezzo di annullamento, il ricorrente eccepisce 
la nu1lit� della sentenza e del procedimento ex art. 360 n. 4 .c.p.c. 
e deduce che le FF.SS. ed il Ruggenini, nel proporre appello non hanno 
convenuto nel giudizio il Rossini, ch:e pure era stato convenuto nel giudizio 
di primo grado, e, ancora che agli atti non risultava la procura 
11ilasciata all'Avvocatura dello Stato dal Ruggenini. 

La censura va rigettata in entrambi i suoi rilievi. 

Sotto il primo, infatti, risulta agli atti che l'appello avverso la sentenza 
di ;primo grado proposto dall'Azienda FF.SS. e dal Ruggenini venne 
ritualmente notificato, il 29 gennaio 1981, al Rossini, rimasto contumace 
nel predetto grado del giudizio, nel suo domicilio in Mantova, alla via 
Sacchi n. 10 a mezzo del servizio postale. 

In relazione, poi, al secondo rilievo, va osservato che lo jus postulandi 
degli avvocati dello Stato deriva direttamente dalla legge e, quindi, non 
richiede il conferimento di un mandato alla lite, non soltanto nel caso 
di rappresentanza delle Amministrazioni dello Stato, delle Amministrazioni 
pubbliche non ~tataH e de~i enti pubblici soggetti a �v~gilanza 

o tutela dello Stato, ma anche nel caso di rappresentanza e difesa degli 
impiegati e agenti delle Amministrazioni dello Stato (artt. 44, 45 e 1 
T.U. �delle leggi e norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa dello 
Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato�, approvato con 
r.d. n. 1611/1933). E non � dubbio,' ora, che il Ruggenini fosse un dipendente 
di una Amministrazione Statale, qual'� certamente l'Azienda FF.SS., 
e che fosse stato convenuto in giudizio per fatti e causa dipendenti dal 
suo servizio. 
Con i:l secondo mezzo di annullamento, poi, il ricorrente, denunziata 
violazione dell'art. 13 delle istruzioni per il servizio dei manovratori, nonch� 
insufficiente e contraddittoria motivazfone, deduce .che inesattamente 
la Corte territoriale ha ritenuto che egli avesse ammesso che era stato 
dato il segnale di manovra, non avendo invece mai fatto tale ammissione. 
Inconferenternente, poi, la Corte, dal fatto �he i facchini avevano 
sentito il segnale, ha dedotto che dovesse .sentirlo anche esso Gollini, 
e ci� senza spiegare perch� quest'ultimo, se davvero l'avesse sentito, 
sarebbe rimasto vicino al vagone a farsi schiacciare, cos� come non ha 
spiegato in base a quali elementi ha ritenuto che il Gollini si fosse portato 
presso il vagone dopo la segnalazione dehla �manovra (comportamento 
questo che peraltro non poteva non essere notato dai manovra




PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 345 

tori). La sentenza, inoltre, � contraddittoria laddove afferma che il 
Gollini al momento del segnale era lontano, mentre ai_ fini dehl.'asserita 
percezione del segnale avrebbe dovuto essere vicino al treno, come del 
resto dichiarato dallo stesso Ruggenini alla Poldzia. Il comportamento 
del Gollini, poi, non � stato affatto imprevedibile, mentre il Ruggenini 
non solo non ha vigilato sino all'ultimo, e anohe durante la manovra, 
ohe non si verificassero siituazioni di pericolo, ma nemmeno ha rispettato 
l'art. 13 co. 2 bis delle citate istruzioni per il servizio, il quale dispone 
che prima di iniziare la manovra i manovratori debbono ve:riificare 
che i portelli dei vagoni siano chiusi. 

Lamenta, altres�, il ricorrente che la Corte ha omesso di motivare 
sul significato della prescrizione di cui all'art. 13, comma 3, delle dette 
istruzioni, secondo cui i manovratori prima della manovra debbono � avvisare 
con cura � le persone che stessero lavorando al carico della merce, 
espressione questa che deve essere interpretata nel senso che ai manovratori 
� fatto obbligo di dar l'avviso con modalit� obiettivamente Jiclonee, 
e �di assicurarsi che lo stesso sia stato realmente udito, il che, invece, 
il Ruggenini non fece, avendo egli stesso ammesso di non essere 
sicuro che n segnale di manovra fu udito anche dal Gollini. 

La censura � infondata, e va, pertanto, rigettata. 

Va subito osservato, come da-costante indirizzo di questa Corte, che 
la ricostruzione delle modalit� del fatto generatore del danno, la valutazione 
della condotta dei soggetti ohe vi sono coinvolti e l'accertamento 
della esistenza o meno del rapporto di causalit� tra i comportamenti 
accertati e l'evento si risolvono in altrettanti giudizi di merito, sottratti, 
se adeguatamente motivati, al sindacato di legittimit� (sent. n. 1962/1984, 

n. 1504/1983, n. 1526/1982 e n. 3246/1981). 
�, poi, insegnamento consolidato della Corte stessa, che l'apprezzamento 
di una prova testimoniale sfugge al sindacato di legittimit�, 
quando dalla motivazione della sentenza risulti ohe il giudice ha desunto 
il prop:riio convincimento dall'esame di tutte le risultanze dell'indagine 
espletata, ed ha ottemperato al dovere di spiegare, in maniera 
adeguata e corretta, le ragioni che lo hanno indotto a preferire una 
versione difforme da quella sostenuta da una delle partii.. � 

� Premesso quanto innanzi, inutilmente la ricorrente censura la sentenza 
impugnata per avere malamente interpretato le risultanze istruttorie, 
ai fini dehla ricostruzione delle modalit� del fatto generatore 
del danno. I giudici di secondo gradq, invece, attraverso una attenta 
e corretta valutazione di tutto il materiale probatorio raccolto, e in 
sede penale nel giudizio a carico' del Ruggenini, conclusosi con l'� assoluzione 
dello stesso con formula piena, e in sede civhle; sono pervenuti. 
al convincimento della insussistenza del rarpporto di causalit� tra fatto 
addebitato al Ruggenini ed evento lamentato dal Gollini, osservando: a) 


346 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

che quest'ultimo diede il dovuto ;preavviso dell'dnizio della manovra di 
agganciamento tra di loro dei vari carri ferroviari; b) che i facchini addetti 
alle operazioni di scarico dai predetti carri avvertirono il predetto 
segnale; e) ch� il Gollini, al momento del segnale dato dal Ruggenini �si 
trovava alcuni metri distante dail treno e, cio�, in una posizione di. assoluta 
siicurezza � e si . port� vicino al carro ferroviario in un successivo 
~omento, quando, cio�, il Ruggenini si rec� ad avvertire i colleghi che 
poteva esser dato .inizio alla manovra; d) che il Gollini, infine, al momento 
del fatto dannoso, tentava di salire sul stio autocarro, accostato 
con fa sponda posteriore chiusa al carro ferroviiario alla distanza di 
poche decine di centimetri, attraverso l'esiguo spazio esistente tra i due 
mezzi. E, 1sulla scorta dei predetti accertamenti, correttamente i giudici 
di secondo grado hanno escluso che il danno lamentato dal Golldni potesse 
addebitarsi al Ruggenini, per non . avere questi osservato la prescrizione 
contenuta nel 3� comma dell'art. 13 delde Istruzioni 1del regolamento 
ferroviario, del seguente tenore: �i manovratori, prima di iniziare 
le manovre [nteressanti binari di magazzino, di rpiano cari�atore, 
di carico e di scarico diretto, debbono avvisare con cura le persone 
che 1stessero lavorando al carico o allo scarico ed assicurarsi, inoltre, 
che siano stati tolti i-ponticeldi caricatori�. Non � dubbdo, ora, in relazione 
ai rilievi mossi dal ricorrente al convincimento del Tribunale, che 
il dovere di osservare una norma che presc:riive un determinato comportamento 
deve ritenersi :i;:,ispettato quando n soggetto ob?ligato abbia 
tenuto la condotta indicata dalla norma. N� la �specificazione che l'azione 
pres�ritta deve essere compiuta .� con cura � aggiunge pi� di tanto ailla 
prescrizfone normativa, in quanto l'espressione �cura � � sinonimo di 
quella diligenza, alla quale tutti 1i soggetti sono tenuti ad uniformare il 
proprio comportamento, sia in generale. {con riferimento al principio 
del neminem laedere) sia in particolare nell'adempimento dei doveri specificamente 
inerenti alle singole situazioni. Si pu� al pi� ritenere che 
l'attivit� prescritta debba essere compiuta con particolare diligenza, ma 
la prescrizione deve pur sempre ritenersi diretta a imporre un dovere 
di coi:tdotta particolarmente diligente e non mai un obbligo di supplire 


" 
alla dmprudenza o disattelJZione dei destinatari, fino al punto di assicurar~
i che questi ultimi se ne siano effettivamente resi conto, a prescindere 
dalla loro maggiore o minore attenzione, diligenza e responsabilit�. 

Si vuol dire, cio�, che deve escludersi� che una certa previsfone normativa 
di comportamento possa ritenersi osservata solo se l'agente operi 
in modo tale da prevenire indiscriminatamente ogni ipotesi di pericolo, 
anche se determinato dall'altrui comportamento abnorme, imprudente 
e negligente. E certamente, nella specie, hl Ruggenini, il quale aveva dato 
il segnale di manovra, che era stato avvertito eia tutti gli addetti alle 
operazioni di scarico dei vagoni interessati dalla manovra stessa, non ! 

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PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

poteva, in alcun modo, prevenire il comportamento certamente abnorme 
ed imprudente del Gollini, il quale, nella fase di avviso di essa manovra, 
ad operazioni di scarko sospese, tentava di salire sul suo autocarro, al 
quale si era portato dopo il segnale dato, attraverso l'esiguo spazio 
esistente tra esso mezzo ed il vagone ferrO'V'iario in movimento, subendo, 
cos�, lo schiacciamento della gamba destra. 

�Inutilmente, poi, fil ricorrente, in questa sede di legittimit�, denunzia 
la violazione da parte del Ruggenini del comma 2bis del citato art. 13, 
che impone ai manovratoti di chiudere, nel corso della manovra di spostamento 
di vagoni, la porta degl� stessi, trattandosi di questione �che 
involge accertamenti di fatto, che non risulta essere stat� proposta in 
sede di merito. (omissis) 

) 


SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

I 

. CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 28 settembre 1987, n. 22 -Pres. Crisci Est. 
Reggio D'Aci -Caste1H (avv. Trinaglia) c. Ministero dei Trasporti 
.(avv. --Stato Stipo). 

Impiego pubblico -Procedura concorsuale per avanzamento -Impugnativa 
� Controinteressati. 

Giustizia amministrativa -Controinteressati -Individuazione. 

Quando venga impugnata da parte del soggetto escluso l'intera procedura 
concorsuale di avanzamento, comprese le promozioni conferite, 
sussiste l'onere di chiamare in causa quali controinteressati i promossi. 

Sono controinteressati tutti i soggetti che in relazione ad un provvedimento 
abbiano un interesse giuridicamente qualificato alla sua conservazione. 


II 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 2 luglio 1987, n. 463 -Pnes. Ancora -Est. 
Luce -Sindacato nazionale autonomo ilavoratori della scuola (avv.� 
Rienzi) c. Federazione nazionale scuola (avv. Dallari) e Pres�idente 
Consiglio dei Ministri. 

Giustizia amministrativa -Controinteressati -Impugnativa provvedimento 
riparto aspettative ~indacali -Associazioni sindacali. 

Associazioni e fondazioni -Associazioni sindacali -Rappresentativit� Indici 
-Consistenza numerica -Specialit� interessi rappresentati. 

Controinteressati rispetto all'impugnativa di un provvedimento di 
riparto delle aspettative sindacali sono le organizzazioni sindacali e non 
i dipendenti che conseguenzialmente beneficiano . del collocamento in 
aspettativa. 

Per determinare le associazioni sindacali maggiormente rappresentative, 
l'Amm.ne deve tenere conto non solo della consistenza numerica 
dei soggetti rappresentati, ma anche della specialit�, qualit� e rilevanza 
degli interessi professionali rappresentati. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 349 

I 

DIRITTO -Rileva, l'Adunanza che la nozione di controinteressato, 
cosi come delineata dalla giurisprudenza consolidata di questo Cl>nsiglio, 
� diretta a comprendere tutti coloro che sono coinvolti da un provvedimento 
amministrativo ed abbiano acquisito, in relazione a detto 
provvedimento una posizione giuridicamente qualificata alla� sua conservazione. 


Nella specie deve essere posto in evidenza che l'attuale appellante 
e ricorrente in primo grado ha impugnato in tale sede un provvedimento 
del Direttore compartimentale delle FF.SS. di Palermo �che aveva conferito 
il passaggio a capo gestione nei isoli confronti dei Sigg. Morana 
Giuseppe, Fichera Antonio e Raffa Letizia, mentre nel provvedimento � 
non era stato compreso esso ricorrente. Con il primo motivo di censura 
si denunciava tra l'altro la violazione dell'art. 4 del D.M. 30 ottobre 
1980 n. 2514 che imponeva all'Amministrazione di determinare 
i quantitativi dei posti da destinare all'avanzamento affermandosi la 
illegittimit� di siffatta omissione e concludendosi per l'annullamento 
� dei provvedimenti impugnati �. 

In siffatta situazione, ritiene l'Adunanza che il ricorso originario 
vada interpretato nel senso che con esso si chiedeva l'annullamento 
di tutta la procedura concorsuale di avanzamento al posto di capo gestione, 
ivi comprese, quindi, le promozioni conferite con il provvedimento 
impugnato. 

E invero, il ricorso risulta, espressamente, proposto contro la deliberazione 
n. 9 del 10 luglio 1982 del Capo dell'Ufficio personale compartimentale 
{la quale concerne il passaggio a Capo gestione dei Signori Morana, 
Fichera e Raffa) e contro tutti gli atti del procedimento che con 
detta delibera si � concluso (quindi anche contro i procedimenti relativi 
alla promozione dei Signori Morana, 'fichera e Raffa). 

La portata generale dell'impugnazione � confermata del resto dal 
contenuto del primo motivo di ricorso, nel quale si censura, con riferimento 
all'intero procedimento, la mancata preventiva determinazione 
dei posti disponibili. 

Infine, nella parte conclusiva del ricorso, si ribadisce la richiesta 
di annullamento dei �provvedimenti impugnati� senza alcuna limitazione, 
anche se, come � ovvio, l'interesse al ricorso del Castelli sorge 
dal fatto che tali provvedimenti mentre hanno disposto la promozione 
dei Signori Morana, Fichera e Raffa; nulla hanno stabilito circa la promozione 
del Castelli medesimo. 

Non vi � dubbio, pertanto, che i dipendenti promossi con il provvedimento 
impugnato' avevano diritto di interloquire in ordine alla 
Jegittimit� della determinazione che li riguardava e che il Castelli, con la 


350 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sua impugnazione, tendeva a fare annullare come illegittima; essi do


vevano, conseguentemente, essere evocati in giudizio. 

A ci� si aggiunga che nel secondo motivo di ricorso il Castelli 
sostiene che l'indisponibilit� dei posti presso l'impianto di Palermo 
centrale dipenderebbe dall'i.llegittimo distacco di numerosi dipendenti 

. I 

con qualifica di Capo gestione non appartenenti a detto impianto, m� 
a serviz,i funzionanti presso il Palazzo delle Ferrovie di via Roma 19. 
Il ricorrente lamenta del pari che posti in pianta organica di capo 
gestione siano illegittimamente occupati da assistenti capo, che non 
ne hanno. titolo. 

Anche questa censura, se accolta, verrebbe ad incidere sfavorevol� 
mente su situazioni �giuridiche di taluni dipendenti agevolmente individuabili, 
anche se non indicati nominativamente, i quali possono avere 
un interesse qualificato alla reiezione del ric�rso del Castelli. 

Da tutto quanto sopra emerge che � innegabile l'esistenza di controinteressati 
ad almeno uno dei quali il ricorso doveva essere notificato. 


Non avendo il ricorrente provveduto a tale adempimento, bene hanno 
statuito i primi giudici nel dichiarare. inammissibile il ricorso. 
L'appello va pertanto respinto con conferma della sentenza impugnata. 


II 

DIRITTO -1) Preliminarmente, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilit� 
deglf originari ricorsi, siccome riproposte dal.lo SNALS nei 
primi tre motivi del dedotto appello. 

Assume, in particolare, il sindacato ricorrente, {1� motivo) che la 
sentenza impugnata importi violazione dell'art. 45 legge n. 249 del 1968, 
del.l'art. 21 legge n. 1034 del 1971 e dei principi generali {della materia), 
ovvero che sia carente di elementi rilevanti per la decisione. 

La dichiarazione di impnx:edibilit� del primo ricorso (n. 2760 del 
1984), adottata dal T.A.R., dovrebbe considerarsi erronea, in quanto il 
ricorso stesso avrebbe dovuto, .invece, essere dichiarato inammissibile, 
p�rch� notificato ad un'autorit� �diversa da quella che_ aveva emanato 
il provvedimento impugnato. 

Inoltre, lo SNALS Jamenta (2� motivo) la violazione dell'art. 21 
legge n. 1034 del 1971, dell'art. 97 della Costituzione e dei principi gene-� 
rali (della materia) e denuncia l'omesso esame di elementi rilevanti 
per la decisione di accog.limento del secondo ricorso (n. 520 del 1985). 

Osserva il ricorrente che, nel corso dello svolgimento del giudizio relativo 
al primo ricorso della Fis (n. 2760 del 1984), avanti al T.A.R. ~el 
Lazio, aveva depositato delle copie di alcuni provvedimenti di eso


! 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 351 

nero, adottati dal Ministero dell~ pubblica istruzione, nel cui testo veniva 
dato atto dell'esistenza di un precedente provvedimento della Presidenza 
del Consiglio dei ministri, Dipartimento della funzione pubblica, 
con hl quale erano stati ripartiti gli esoneri sindacali. 

Provvedimenti, peraltro~ non impugnati, dopo la loro produzione 
in giudizio, n� con un nuovo ricorso, n� con. motivi aggiunti, sicch�, 
dovendosi considerare inammissibile il primo ricorso (n. 2760 del 1984) 
per omessa notifica all'Autorit� emanante, detti provvedimenti avrebbero 
dovuto considerarsi, ormai, inoppugnabili, stante la tardivit� dell'impugnazione 
del secondo ricorso (n. 520 del 1985) che, per tale� motivo, 
si palesava, a sua volta, inammissibile. 

Infine, lo SNALS lamenta {3� motivo) l'ulteriore violazione dell'articolo 
21 � legge n. 1034 del 1971, nonch� l'erroneit� della decisione, per 
omesso esame di elementi rilevanti relativi alla inammissibilit� del 
ricorso, in quanto non era stata considerata, da parte del T.A.R., la man� 
cata notifica del ricorso stesso ad almeno uno dei controinteressati, 
tali non potendo considerarsi, n� esso sindacato, n� altra organizzazione 
sindacale, riguardando la previsione di cui all'art. 45 legge n. 249 del 
1968, direttamente ed immediatamente, i dipendenti da col.locarsi in 
aspettativa. 

Le riassunte doglianze sono infondate e vanno respinte. 

Quanto alla notifica del primo ricorso (n. 2760 del 1984), va considerato 
che veniva chiesto l'annullamento di un provvedimento, di 
cui si ignoravano gli estremi, di disapplicazione o di revoca di precedenti 
determinazioni della Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento 
della funzione pubblica, relative al riparto del contingente di 
aspettative sindacali per il triennio 1984-87. 

Nella supposizione dei ricorrenti, quale desunta dal testo del ric~
rso, il provvedimento impugnato doveva ricondursi al Ministero della 
pubblica istruzione, sicch� era sufficiente, ai fini dell'ammissibilit� 
del gravame, che a tale organo venisse effettuata la� notificazione ed 
essendo, quindi, irrilevante che il ricorso stesso fosse stato. anche notificato, 
peraltro irritualmente, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, 
Dipartimento della funzione pubblica. 

Avvenuta, poi, la specificazione dellrautorit.� che aveva emanato 
l'atto impugnato {Ministro per Ja funzione pubblica), i ricorrenti proponevano 
.lteriore impugnativa (n. 520 del 1985), ritualmente, questa 
volta, notificata; per cui, correttamente, il T.A.R., nella motivazione della 
impugnata sentenza, ha affermato l'improcedibilit� del primo ricorso 

(n. 2760 del 1984), risultando l'azione ivi proposta integralmente assorbita 
nel secondo gravame (n. 520 del 1985). 
Ribadita, pertanto, l'improcedibilit� del menzionato primo ricorso 
ed in tali sensi corretta la relativa parte dispositiva dell'impugnata 



352 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sentenza, consegue, altres�, Ja palese insussistenza dell'inammissibilit� 
della seconda impugnativa, per tardivit� nella proposizione dell'impugnazione, 
in quanto condizionata, come esplicitamente riconosciuto nella 
prospettazione dell'appellante sindacato, al riconoscimento dell'inammissibilit� 
del primo gravame (n. 2760 del 1984). 

In ordine, infine, all'asserita inammissibilit� dei ricorsi per mancata 
notifica ad almeno uno dei controinteressati va considerato che, c;ome 
esattamente affermato dal T.A.R., destinatari e quindi interessati al 
provvedimento di riparto delJe aspettatiye sindacali, previsto dall'ultimo 
comma dell'art. 45 legge n. �249 del 1968, erano le organizzazioni sindacali, 
e non gi� i singoli dipendenti che, �successivamente, beneficiavano 
del collocamento in aspettativa. 

Va anohe respinta l'ulteriore eccezione di improcedibilit� dei ricorsi, 
dedotta dalJo SNALS nel giudizio avanti al T.A.R. e riproposta nel 
quinto motivo di appello, per inosservanza della legge sul bollo, essendo 
i ricorsi stessi proposti in carta semplice, pur non vertendosi in materia 
di pubblico impiego. 

Ed invero, in base al disposto di cui al terzo comma dell'art. 19 
del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642 il'inosservanza alle norme 1sul bollo relativa 
agli atti giudiziali non importa irricevibilit� del ricorso, sussistendo 
il solo obblig;o per la segreteria � dell'inoltro al competente uf. 
ficio del registro per Ja regolarizzazione. 

2) Passando, quindi, all'esame dei profili di merito delle impugnative, 
va considerato che l'art. 45 legge n. 249 del 1968 prevede il collocamento 
in aspettativa, per motivi sindacali, dei dipendenti civili dello 
Stato che ricoprano cariche elettive in seno alle organizzazioni sindacali 
a carattere nazionale maggiormente rappresentative. 

In virt� del disposto di cui all'ultimo comma della norma indicata, 
alla ripartizione tra le varie organizzazioni sindacali, in relazione atta 
rappresentativit� delle medesime, provvede, entro il primo trimestre 
di ogni anno, la Presidenza del Consiglio dei ministri (e per essa il 
Ministro per .la funzione pubblica, appositamente delegato), sentite le 
organizzazioni interessate. 

Si evince, quindi, da quanto precede che, sia la valutazione relativa 
al grado di rappresentativit� d~lle organizzazioni sindacali, sia 
il riparto del contingente assegnato alle organizzazioni stesse spettano 
alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della funzione 
pubblica. 

Peraltro, alla individuazione delle organizzazioni sindacali a carattere 
nazionale aventi il requisito della mag;giore rappresentativit�, in 
mancanza di specifici criteri normativi di determinazione, deve provvedere 
l'amministrazione, con una valutazione che si configura come 
caratterizzata da discrezionalit� di ordine tecnico . 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

J.l dato, infatti, della maggiore rappresentativit� dell'organizzazione 
sindacale, come si evince dal testo della norma, deve essere solo rilevato 
da parte dell'amministrazione sulla base di criteri che sono rimessi, 
s�, al suo esclusivo apprezzamento, ma che sono, anche, suscettibili, 
proprio perch� attengono ad una mera operazione di acclaramento, 
di controllo, in sede di verifica di legitt�mit�, sotto il profilo dell'adeguatezza, 
della logicit� e della pertinenza. 
In linea generale, peraltro, al riguardo, si deve, altres�, tener presente 
che, in relazione al principio costituzionale del pluralismo partecipativo, 
il criterio adottato dall'amministrazione, per la d!esignazion� 
delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresent~tive, va, correttamente, 
interpretato nel senso ohe il grado di rappresentativit� non 
� da assumere in relazione al dato, esclusivamente quantitativo, della 
consistenza numerica dei soggetti rappresentati 1(C.d.S., VI Sez., n. 635 
del 9 agosto 1986); dovendosi tener conto anche della specialit�, qualit� 
e rilevanza degli interessi professionali da ciascuna organizzazione rappresentati 
(C.d.S., VI Sez., n. 681 del 4 dicembre 1984). 

In definitiva, cio�, oltre alla consistenza numerica degJi iscritti, 
l'amministrazione deve aver riferimento a tutti gli eventuali altri elementi 
che possono avere uno specifico sign1ficato al riguardo, quali 
ad es. la partecipazione alla formazione ed alla stipulazione dei contratti 
collettivi di lavoro, la partecipazione alla risoluzione delle vertenze 
individuali, plurime o collettive di lavoro, l'estensione della presenza 
dell'organizzazione sindacale e la peculiarit� de@i interni da 
essa rappresentati. 

In ogni caso, sussiste l'obbligo per l'amministrazione stessa di 
provvedere ad una accurata indagine istruttoria, nonch� il dovere dell'indicazione 
delle ragioni che possano avere indotto a preferire una 
organizzazione ad un'altra in relazione ai criteri parametrici in concreto 
prescelti (C.d.S., VI Sez., 30 ottobre 1979 n. 773). 

Il controllo di legittimit� sulla scelta effettuata consente, infine, 
di valutare, altres�, la coerenza dell'azione amministrativa al riguardo 
svolta, la sufficienza della motivazione, nonch� il rispetto delle competenze 
e dell'ordine procedimentale previsti per legge 

Facendo ora applicazione dei principi indicati al caso di specie, 
sembra �l Collegio che l'illegittimit� dell'operato dell'amministrazione 
appaia di chiara evidenza, sol se si cons1deri l'incoerenza e la contraddittoriet� 
dell'operato del Dipartimento della funzione pubblica che, 
dopo avere adottato (nell'atto del 20 marzo 1984), quale dato di riferimento, 
il numero dei voti riportati dalle varie organizzazioni sindacali 
in occasione delle elezioni del Consiglio nazionale della pubblica 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

istruzione, ha poi travolto {nel decret? del 24 dicembre 1984), relativamente 
al grado di rappresentativit� della Fis, i risultati in tal modo 
ottenuti, rimettendosi ad una, diversa, determinazione del Ministero 
delJa pubblica istruzione, che aveva, invece, considerato anche i � risulti 
conseguiti nei Consigli scolastici provinciali e nei Consigli provinciali 
di amministrazione. 

N� rileva la considerazione svolta dalle amministrazioni appellanti 
(primo motivo) secondo cui l'atto del 20 marzo 1984 non identificava 
il definitivo provvedimento previsto dall'art. 45 legge n. 249 del 1968, 
avendo, invece, natura di atto istruttorio con il quale si richiede\ra 
alle parti interessate di esprimere le ;proprie valutazioni in merito 
al criterio prescelto. � 

Ci�, infatti, non esclude ohe nella previsione della norma, di cui 
al richiamato art. 45 legge n. 249 del 1968, la competenza alla ripartizi?
ne delle aspettative tra le varie organizzazioni sindacali, in relazione 
alla loro rappresentativit�, spettava al Dipartimento della funzione 
pubblica e non, invece, al Ministero della pubblica istruzione; 
peraltro nemmeno indicato quale organo di cui era necessario acquisire 
l'avviso, dal momento che, per tale aspetto, si faceva riferimento 
alle sole organizzazioni sindacali interessate. 

Illegittimamente, quindi, l'amministrazione della pubblica istruzione, 
cui lo schema di riparto adottato dal Dipartimento delJa funzione 
pubblica con l'atto del 20 marzo 1984 veniva inviato, per mera conoscenza, 
si attribuiva il potere di provvedere ad una diversa ripartizione, 
dandovi, altres�, concreta attuazione con l'assegnazione dei contingenti 
alle singole organizzazioni sindacali. 

N� a sanare l'anzidetta ilJegittimit� pu� valere il riferimento, nella 
successiva nota di trasmissione delle proprie osservazioni al Dipartimento 
della funzione pubblica del 6 settembre 1984, ad, asserite, intese 
raggiunte con lo stesso Dipartimento, dal momento che, comunque, si 
era realizzata un'interferenza nell'ordine delJe competenze procedimentali, 
avendo il Ministero della pubblica istruzione assegnato le aspettative 
prima dell'adozione formale dell'atto di riparto. 

Contrariamente, poi, a quanto dedotto dalle amministrazioni appellanti 
(secondo motivo), il diverso criterio indicato dall'amministrazione 
della pubbli�a istruzione si poneva .in palese contrasto con quanto 
suggerito da questo Consiglio di Stato in sede consultiva e recepitb 
dal Dipartimento della funzione pubblica alJ'atto dell'adozione del primo 
provvedimento, dal momento che si condizionava il riconoscimento 
del maggior grado di rappresentativit� alla presenza dell'organizzazione 
sindacale,� oltre che in seno al consi~io nazionale della pubblica istru� 
zione, nei Consigli provinciali di amministrazione e nei Consigli scolastici. 
provinciali. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 355 

Illegittimamente, inoltre, e per tale considerazione deve ritenersi 
infondata la relativa doglianza (terzo motivo) delle amministrazioni 
appellanti, veniva esclusa l'audizione della F.I.S., la quale era, incontestabiJmente, 
interessata alla adozione del provvedimento definitivo 
di assegnazione delle aspettative, in quanto ricompresa nell'iniziale prospetto 
di riparto ed in quanto specificamente, anche, indicata, nel 
testo dell'atto del 20 marzo 1984, tra le destinatarie dell'atto stesso, cui 
venivano sollecitate le, eventuali, osservazioni entro il previsto termine 
di giorni trenta. 

Insussistente, altres�, � l'asserita violazione da parte del T.A.R. della 
legge n. 249 �del 1968 e dei principi generali in materia in relazione a 
quanto dedotto dallo SNALS nel� quarto motivo della propria impugnazione. 


Al rilievo, ivi ind�cato, secondo cui il Ministero della pubblica 
istruzione aveva dichiarato nei decreti di esonero che �gli stessi venivano 
attribuiti sulla base di un provvedimento di riparto del Dipartimento 
della funzione pubblica, divenuto incontestabile in quanto non 
impugnato, va obiettato che l'indicazione era erronea, dal momento � 
che alla data dell'adozione di tali decreti (ottobre 1984), l'atto richiamato 
(D.P.C.M. del 24 dicembre 1984) non era stato ancora emanato. 

L'asserzione, poi, secondo cui il riparto degli esoneri, operato dal 
Ministero della pubblica istruzione, pur essendo atto conclusivo del 
procedimento di determinazione delle aspettative, era, in ogni caso, 
revocabile, in. relazione a diverse, eventuali, determinazioni del Dipartimento 
della funzione pubblica, non esclude l'illegittimit� del riparto 
stesso, in quanto emanato ne1la mancanza dell'atto del Dipartimento 
anzidetto e per giunta in palese contrasto con quanto stabilito nell'iniziale 
prospetto di distribuzione cos� come fissato dallo stesso Dipartimento. 


L'osservazione, quindi, secondo cui, con il decreto del 24 dicembre 
1984, il Dipartimento della funzione pubblica aveva finito col determinare 
le modalit� di distribuzione dei contingenti di esonero in termini 
perfettamente corrispondenti al riparto degli stessi come effettuato 
dal Ministero della pubblica istruzione, non vale a sanare l'illegittimit� 
dei provvedimenti adottati dall'autorit� per ultimo indicata. 
Ed invero, come sottolineato nel controricorso della F.LS., stabilita 
per legge una determinata competenza per l'adozione di un dato provvedimento, 
non pu�, poi, ritenersi valida la determinazione adottata 
da un ufficio incompetente, in relazione alla successiva conformazione 
alla� determinazione medesima da parte dell'ufficio competente. 

Nemmeno, poi, � censurabile la sentemia del T A.R. laddove la stessa 

afferma che il D.P.C.M. del 24 dicembre 1984 non era a:deguatamente 

12 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

motivato, in relazione alla indicazione delle ragioni che inducevano 
l'amministrazione a modificare il precedente 'Orientamento fondato, 
come gi� precedentemente sottolineato, sulla base di uno specifico 
parere� di questo Consiglio di Stato. 

Il semplice richiamo alla comunicazione del Ministero della pubblica 
istruzione del 6 settembre 1984 n. 30375 non implicava sufficiente 
esplicitazione, anche in relazione ai criteri generali in precedenza richiamati, 
delle ragioni che giustificavano il ripudio del criterio di determinazione. 
della maggiore rappresentativit� delle organizzazioni sindacali 
precedentemente adottato nell'atto dEll 20 marzo 1984 su cui, 
peraltro, erano state chiamate ad interloquire i.e s�le organizzazioni 
sindacali. 

E d'altra part:e, contrariamente a quanto sostenuto dallo SNALS, 
e come gi� in precedenza considerato, neppure non pu� non ravvisarsi 
la sostanziale diversit� dei criteri adottati nei due provvedimenti del 
Dipartimento della funzione pubblica, attesa, se non altro, la diversit� 
di risultato che ne � conseguito per la F.I.S. che, indicata nel primo 
provv.edimento come ciestinataria di ben sette aspettative, si � vista, 
poi, addirittura esclusa, nel secondo atto del Dipartimento indicato, 
dal novero delle organizzazioni ritenute maggiorment~ rappresentative. 

Ininfluenti, infine devono .considerarsi i rilievi relativi all'asserita 
necessit� di un ampliamento dei dati di riferimento per l'accert.amento 
della reale rappresentativit� delle organizzazioni sindacali, con la considerazione 
anche dei risultati conseguiti a livello provinciale e con 
riferimento, pi� che al numero dei votanti, a quello degli eletti, dal 
momento che tali indicazioni, che, oltretutto erano in linea con i principi 
generali precedentemente indicati, ottenevano, pi� propriamente, a scelte 
discrezionali dell'amministrazione, attinenti al merito dell'azione amministrativa, 
non oggetto di confutazione da parte del collegio che ha 
solo riscontrato, sul piano formale del provvedimento impugnato nell'operato 
dell'amministrazione, una contraddittoriet� di (:omportamento, 
pe:raltro non adeguatamente giustificata, oltre ad un'inversione temporale 
de1lo svolgimento del procedimento. 

In siffatta indicazione restano anche assorbite le ulteriori doglianze 
di cui all'ultimo motivo di appello proposto dallo SNALS e dell'appello 
incidentale della F.I.S., che pertanto vanno respinti, relativamente all'effettivo 
grado di rappresentativit� delle organizzazioni indicate, il 
cui accertamento, come gi� rilevato, deve essere riservato all'amministrazione 
competente, con possibilit� di sindacato soltanto in relazione 
all'esigenza dell'immunit� della determinazione da vizi di illegittimit� 
e senza, quindi, la possibilit� di sostituire il metodo prescelto -insin



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

357 

dacabile, se logico, coerente ed in linea con le precedenti indicazioni e 

correttamente applicato -con altro criterio, eventualmente, ritenuto 

pi� idoneo. 

Nei termini indicati va pertanto confermata la sentenza impugnata. 

CONSIGLIO DI STATO � Sez. IV, 14 luglio 1987 n. 422 � Pneis. Santaniello 
-Est. Barbagallo -Mazza (avv. Monti) c. Prefetto di Alessandria 
(Avv. St. D'Amico). 

Atto amministrativo � Atto paritetico � Carattere vincolante � Annullamento. 


� Impiego pubblico � Stipendi � Recupero emolumenti indebiti � Autoresponsabillt� 
ed affidamento -Irrilevanza. 

Impiego pubblico -St'ipendi � Recupero emolumenti indebiti � Misura non 
incidente su esigenze vitali � Motivazidne � Non necessf.t�. 

L'atto con cui una P. A. dispone un pagamento non dovuto ad un 

proprio dipendente pur aV!endo carattere paritetico � vincolante per 

l'Amministrazione, che deve annullarlo per poter disporre il recupero 

dell'indebito. 

I principi dell'autoresponsabilit� e dello affidamento non impedi


scono il recupero di un pagamento indebito effettuato dalla P. A. nei 

confronti di un proprio dipendente, in quanto essi operano solo nel


l'ambito dell'autonomia privata. 

L'atto con cui viene disposto il recupero di un pagamento indebito 

da parte della P. A. nei confronti di un proprio dipendente non deve 

essere motivato, quando la misura della ritenuta (nella specie il 5 % 

della retribuzione) denota che l'Amministrazione ha tenuto conto della 

necessit� di non incidere sulle esigenze primarie dell'esistenza. 

) 

DIRITTO. -L'appello concerne esclusivamente il capo della sentenza, 

con il quale sono state ritenute infondate le doglianze di eccesso di 

potere avverso il provvedimento di annullamento di ufficio del prece


dente provvedimento determinativo della retribuiione ed avverso il 

conseguente recupero secondo le modalit� fissate nel provvedimento 

sindacale. 

Le doglianze di eccesso di potere per manifesta ingiustizia del 

recupere e per difetto,di motivazione in relazione all'interesse pubblico 

all'annullamento e per mancata considerazione della buona fede del 

percipiente non sono fondate. 



358 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

L'appello va quindi respinto e l'impugnata decisione di re1ez1one 
del ricorso di primo grado va confermata con una motivazione diversa. 

Alla luce dei principi affermati con la decisione n. 1 del 30 marzo 
1976 della Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, si � for� 
mato un orientamento giurisprudenziale ,~C.d.S. IV, 23 settembre 1985 

n. 356, 9 novembre 1985 n. 538, 4 agosto 1986 n. 549, 1986, I, 1077), secondo 
il quale, nel caso di provvedimento di annullamento di ufficio di un atto 
(e di conseguente recupero delle maggiori somme pagate), che abbia erroneamente 
determinato la retribuzione del dipendente in misura maggiore 
del dovuto, elemento che assume rilevanza e che l'Amministrazione 
non pu� non prendere in considserazione nell'esercizio del potere di 
annullamento, � l'interesse del privato dipendente, sicuramente apprezzabile 
dal punto di vista pubblico, acch� il disagio, che questi dovr� 
sopportare a seguito della ripetizione, non sia cos� grave da incidere 
sulle esigenze primarie dell'esistenza. 
L'interesse in questione � infatti strettamente connesso all'esigenza 
di garantire il buon andamento degli uffici e la continuit� dei servizi 
della Pubblica amministrazione {in questo senso le sentenze della Corte 
costituzionale n. 88 del 1963, 49 del 1986, 105 del 1977 e 37 del 1985, 
1976, II, 249; 1977, II, 553, 1985, II, 181). Tale interesse, oltre a perdere 
oggettivamente il rilievo in caso di consapevolezza dell'accipiens di ri� 
cevere somme non dovute (resta comunque fermo anche in questo caso 
il limite di cui all'art. 3 R.DL 19 gennaio 1939 n. 295), � adeguatamente 
valutato se il recupero venga disposto ratealmente in proposizione tale 
da incidere minimamente sulla retribuzione (la citata giurisprudenza ha 
ritenuto che un recupero nella misura del 5 % della retribuzione rispondesse 
all'indicato requisito). 

L'orientamento descritto va mantenuto ed � sulla base di esso che 

deve essere confermata la decisione di reiezione di ricorso proposto in 

primo grado. 

Nel caso in esame, infatti, il recupero della somma di lire 1.503.273, 
indebitamente percepita dall'appellante, � stato disposto con il provvedimento 
sindacale integrativo dell'atto prefettizio, nella misura di lire 

50.000 mensili. L'incidenza minima del recupero mensile sulla retribuzione 
� tale da far ritenere che la Pubblica amministrazione abbia preso 
nella dovuta considerazione, nell'esercizio del potere di annullamento 
di ufficio, tutti gli elementi per una corretta valutazione dell'interesse 
pubblico ed in particolare l'interesse del dipendente alla soddisfazione 
delle esigenze primarie della esistenza. 
Va inoltre rilevato che il riferimento effettuato dall'appellante all'autoresponsabilit� 
dell'Amministrazione ed all'affidamento del pri� 
vato, quali principi, i quali avrebbero dovuto impedire l'atto di annul� 

-I 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

lamento d'ufficio ed il conseguente recupero, appare improprio, in 
quanto tali principi si esplicano nell'ambito della autonomia privata. 

Per quanto concerne infine la tesi posta a fondamento della reiezione 
del ricorso con la pronuncia di primo grado, il Collegio non la 
condivide. 

Secondo l'orientamento del giudice di primo grado, infatti, il diritto 
della Pubblica amministrazione alla ripetizione dell'indebito dovrebbe 
prescindere dall'annullamento dell'erroneo atto determinativo 
della somma da pagare, essendo quest'ultimo. atto paritetico e derivando 
quindi il diritto alla ripetizione di quanto indebitamente pagato, 
immediatamente dal fatto che il pagamento nqn � giustificato dalla 
norma. 

Ora ritiene, invece, in proposito questo Collegio che l'atteggiarsi di 
un atto amministrativo quale atto paritetico nei confronti del privato 
non importa che tale atto, che risponde al tipo previsto dalle norme 
di contabilit� non sia, come tutti gli atti amministrativi, vincolante 
per l'Amministrazione, che lo ha emesso. Quindi, finch� l'atto, che ha 
erroneamente determinato la somma da pagare, anche nel caso che 
non si configuri come atto autoritativo, non sia annullato, le somme 
pagate dalla Pubblica amministrazione non possono considerarsi pagate 
indebitamente. A conferma di quanto esposto pu� essere ricordato 
che l'annullamento di ufficio dell'atto paritetico �, per quanto concerne 
i provvedimenti definitivi sul trattamento di quiescenza (il riconoscimento 
del carattere paritetico di tali atti � alla base della sentenza della 
C�rte costituzionale n. 8 del 15 gennaio 1976), previsto e disciplinato 
dalla legge (art. 203 ss. d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092), la quale presuppone, 
quindi, la vincolativit� per l'Amministrazione dell'atto di erronea 
determinazione del trattamento di quiescenza (art. 204 a), b) d.P.R. 

n. 1092 cit.). 
La sentenza impugnata va quindi confermata nel dispositivo, ma 
la sua motivazione va sostituita dalle considerazioni che precedono. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 20 ottobre 1987 n. 638 -Pres. Pezzana Est. 
Catrical� -Comune di Ercolano (avv. Del Vecchio) c, S.r.l. CO.RE. 
(avv. Esposito e Correale) e Cicogna S.r.l. (avv. Esposito e Correale). 

Provvedimenti contingibill e d'urgenza � Sindaco -Presupposti necessit� Requisizione 
immobili -Legittimit�. 

Sussistono gli eccezionali motivi di urgenza e necessit� che giustificano 
un provvedimento sindacale di requisizione di immobili quando 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO

360 

sia necessario provvedere all'alloggiamento di quaranta famiglie rimaste 
senza abitazione per il crollo di un edificio in una domenica e nel 
rigido mese di febbraio. 

Con distinti atti d'appello il Comune di Ercolano impugna le due 
sentenze in epigrafe con le quali il TA:R per la Campania ha annullato 
il provvedimento sindacale di requisizione di immobili di propriet� delle 
appellate societ�, ricorrenti in primo grado. 

Il TAR ha ritenuto fondato il motivo di incompetenza del Sindaco 
e, quindi di violazione dell'art. 7 legge 20 marzo 1865, n. 248, all. E ed ha 
dichiarato l'assorbimento degli altri motivi degli originari ricorsi, con 
i quali si denunziavano l'eccesso di potere, perch� non sarebbero state 
esaminate altre possibilit� di dare alloggio agli sfollati, e l'eccesso di 
potere per travisamento e ingiustizia manifesta, perah� non sarebbero 
stati requisiti numerosi apPartamenti offerti in locazione e perch� l'impugnato 
provvedimento era rivolto solo contro costruttori non locali. 

Il Comune appellante sostiene: 

1) -2) i ricorsi introduttivi sono stati notificati al Comune e 
non al Sindaco, e a quest'ultimo, in quanto ufficiale di Governo, dovevano 
essere notific�ti presso l'Avvocatura dello Stato; 

3) i ricorsi non sono stati notificati a controinteressati; 
4) -5) -6) -7) il Sindaco ha ben operato, nel rispetto. della legge, 
data l'urg�nza, sia attuando propri poteri, sia in virt� dei poteri conferiti 
dalla normativa vigente nei territori colpiti da eventi sismici. L'evento 
disastroso si � verificato di domenica, e lo stesso giorno si � dovuto 
reperire ad horas 1a disponibilit� di alloggi, e ci� � documentato in un 
verbale redatto alla presenza del Pretore e di altre autorit�. 

Resistono con articolata memoria le due societ� ripropoiiendo i motivi 
disattesi. 
Sono state prodotte dalle parti memorie illustrative. 

Dir:itto 

Per motivi di connessione oggettiva pu� disporsi la riunione degli 

appelli, che sono rivolti avverso sentenze che pronunziano l'annulla


mento dello stesso atto. 

Dall'esame delle preliminari questioni sollevate dall'appellante Amministrazione 
si pu� prescindere, perch� il Collegio ritiene infondati 
nel merito gli originari ricorsi, con i quali le societ� in epigrafe indicate 
avevano impugnato il provvedimento sindacale di requisizione denunziandone 
i vizi di incompetenza, di eccesso di potere per difetto d'istruttoria, 
per disparit� e travisamento. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Orbene, deve ritenersi che tutti gli enunciati vizi (dei quali il Tribunale 
ha accolto il primo, con assorbimento degli altri) postulano, nella 
loro prospettazione l'inesistenza di una pressante situazione d'urgenza 
a provvedere. 

Ci sarebbe stato, nella sostanza, tutto il tempo per avvisare il Prefetto 
ed attenderne determinazioni; per approntare una completa istruttoria 
sulla situazione delle case sfitte ed offerte in locazione; per esaminare 
la possibilit� di requisire altri edifici appena costruiti o di alloggiare 
diversamente gli sfollati, senza sacrificio per la propriet� privata. 

Dagli atti di causa risulta, invece, incontrov�rtibilmente l'esistenza 
di eccezionali motivi di assoluta necessit� ed urgeru;a tali ~a far ritenere 
sussistenti i presupposti che legittimano ai sensi dell'art. 7 della 

1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, l'intervento del Sindaco e l'esercizio 
della potest� sussidiaria di requisizione. 
1 Si trattava, infatti, di provvedere all'alloggiamento immediato di 
oltre quaranta famiglie rimaste prive di abitazione a causa del crollo 
di un edificio (che provoc� la morte di una persona ed il ferimento di 
altre) in una domenica e nel rigido mese di febbraio. 
Il problema doveva, di necessit�, trovare soluzione ad ho.ras, come 
documentato nel verbale redatto quel giorno alla presenza di tecnici 
ed autorit� locali. 

1n quella situazione il Sindaco aveva s� il dovere di avvisare il 
Prefetto, come � pacifico in causa che sia avvenuto, ina aveva anche 
il dovere prioritario di alloggiare con urgenza gli sfollati; e di ci� sono 
dati �ampi ragguagli nella motivazione dell'ordinanza sindacale impugnata 
n. 93/1984, che, nella drammatica situazione determinatasi assume tutti 
i caratteri dell'atto necessitato anche rispetto alla precedente oroinanza 
di sgombero n. 92/1984, alla quale, stante il grave pericolo per la pubblica 
e privata incolumit� si dovette dare esecuzione manu militari. 

Rispetto all'urgenza di dare ricovero ai nuclei familiari raggruppati 
per la strada l'istruttoria compiuta nella stessa giornata si � dimostrata 
adeguata, ed il fine di pubblico interesse specifico � stato congruamente 
soddisfatto con il reperimento dei d�e complessi immobiliari 
requisiti. Cadono pertanto anche i modvi denunzianti l'eccesso di potere 
per difetto d'istruttoria sotto vari profili. Non sussiste il lamentato 
travisamento dei fatti, che anzi risultano agli atti accertati proprio 
come riportati nella motivazione del provvedimento sindacale. Non c'�, 
infine, prova alcuna sulla fondatezza in fatto della censura di disparit� 
di trattamento, ed in difetto di prova contraria deve presumersi la perfetta 
buona fede dell'autorit� procedente in una situazione di tale pressante 
e imprevedibile urgenza da non consentire alcuna manovra spe



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

362 

culativa a fini elettorali o, comunque diversi, dalla pi� immediata tutela 
del pubblico interesse. 
In definitiva gli appelli devono essere accolti, con riforma integrale 
delle sentenze impugnate. 

CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 10 giugno 1987 n. 379 � Pres. Buscema Est. 
Varrone -Battista {avv. Guarino) c. Ministero industria, commercio 
ed artigianato (avv. St. Mataloni) ed altri. 

Assicurazione -Isvap -Trasferimento del personale� -Inizio svolgimento 
funzioni. 

Assicurazione -Vigilanza -Revoca autorizzazione ad esercizio attivit� 
assicurativa -Commissariamento -Liquidazione coatta amministrativa 
-Misure alternative. 

Assicurazione -Vigilanza -Piano risanamento -Mancata realizzazione Revoca 
autorizzazione ad esercizio attivit� assicurativa -Atto vincolato. 


�,, 

Assicurazione -Vigilanza -Liquidazione -Trasferimento dell'azienda senza 
corrispettivo -eccezione incostituzionalit� -Manifesta infondatezza. 

Fino a quando non si provvide al trasferimento del personale del Mi


nistero dell'Industria al neo costituito ISVAP, non era necessario acqui


sire il parere del Consiglio di amministrazione (gi� operante) di tale 

Istituto, in ordine al piano di risanamento presentato da societ� 'assicu


ratrice per evitare la revoca dell'autorizzazione all'esercizio della propria 
�attivit�. 

L'istituto della revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attivit� assi


curativa previsto dall'art. 57 l. 10 giugno 1978 n. 295 non � stato sostituito 

da quelli del commissariamento e della liquidazione coatta amministrativa 

introdotti con l. 12 agosto 1982 n. 576, trattandosi invece di rimedi coesi


stenti ancorati a presupposti diversi. 

In caso �di mancata realizzazione del piano di risanamento, la revoca 

dell'autorizzazione all'esercizio dell'attivit� assicurativa costituisce un atto 

vincolato, non censurabile quindi per difetto di motivazione. 

� manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalit� della nor


ma che dispone la cessione dell'azienda della societ� messa in liquidazione 

ad altra impresa senza corrispettivo, dal momento che la cessionaria � 

tenuta ad accollarsi senza alcun corrispettivo tutti gli obblighi derivanti 

dai contratti gi� conclusi e ad assumere gli impiegati, mentre tutte le 

attivit� e passivit� rientrano nella liquidazione. 

DIRITTO -Con il primo motivo gli appellanti deducono l'erronea interpretazione 
da parte del T.A.R. dell'art. 7 D.P.R. 4 marzo 1983 n. 315. 



PARIB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Al riguardo va premesso, in fatto, che all'epoca dell'approvazione 
del piano di risanamento della societ� Globo e della successiva adozione 
del provvedimento impugnato in primo grado, avente ad oggetto la 
revoca alla anzidetta societ� dell'autorizzazione all'esercizio dell'att1vit� 
assicurativa, il Consiglio di amministrazione dell'ISVAP gi� era �costituito, 
anche se non si era ancora provveduto al trasferimento al predetto 
Istituto del personale della Direzione generale delle assicurazioni 
private e d'interesse collettivo, cos� come previsto dall'art. 7 D.P.R. 

n. 315 del 1983. 
Pertanto, sostengono gli appellanti, in base alla normativa relativa 
all'istituzione del nuovo organismo di vigilanza sulle assicurazioni private, 
prima dell'adozione dei provvedimenti dianzi richiamati era necessaro 
acquisire il parere del Consiglio di amministrazione dell'ISVAP, 
che doveva iniziare ad esercitare le sue funzioni sin dal momento dell'insediamento 
del Consiglio di amministrazione e non in coincidenza con 
il trasferimento del personale della Direzione generale. 

L'art. 7 D.P .R. n. 315 del 1983, �, in altri termini, secondo l'assunto 
degli appellanti, una norma di organizzazione che non potrebbe in alcun 
modo influire sulle competenze, legislativamente prefissate, dell'organo 
di nuova istituzione del quale, quindi, era necessario acquisire il 
parere, stante la sua avvenuta costituzione al momento in cui furono 
adottati atti giuridicamente rilevanti per la societ� di assicurazione 
Globo. 

Ad avviso del Collegio la doglianza � infondata, in quanto l'interpretazione 
dei ricorrenti non trova riscontro nella disciplina dettata dal 
citato art. 7 D.P.R. n. 315 del 1983. 

La norma, infatti, esplicitamente subordina l'esercizio delle � fun. 
zioni � dell'Istituto al trasferimento del personale della Direzione generale. 
Il termine usato nel decreto chiaramente dimostra che si � inteso 
far riferimento non gi� a meri compiti di organizzazione interna, bens� 
alle specifiche potest� che la normativa di recente emanazione aveva 
inteso ass�gnare all'organismo di vigilanza da essa istituito. 

Ci� del resto trova significativo riscontro nel parere reso in sede 
consultiva cl.a questo Consiglio (Sez. II, 20 ottobre 1982 n. 1121) prima 
della emanazione del richiamato decreto presidenziale. In tale occasione 
si osserv� che, in mancanza di una disposizione espressa della 
legge 576 del 1982, il funzionamento dell'ISVAP doveva coincidere con 
il momento in cui gli organi di amministrazione, regolarmente nominati, 
potessero disporre di un � supporto strutturale minimo�, che il successivo 
decreto presidenziale identific� nel personale della Direzione generale 
da trasferire all'Istituto. 

Con il secondo motivo di gravame, gli appellanti deducono che la 
sentenza di primo grado avrebbe del tutto travisato il significato della 


364 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

doglianza da essi formulata nel ricorso introduttivo e nei successivi 
motivi aggiunti. 

Sostengono gli appellanti che, nel secondo motivo di ricorso e nel 
successivo motivo aggiunto, si era fatto notare che l'ordine del giorno 
della Commissione consultiva recava la seguente dizione: � pareri ai 
sensi dell'art. 57, punto 2 T.U. 449 del 1959 e dell'art. 7 della L. 12 agoto 
1982 n. 576 �. In altri termini, l'ordine del giorno richiamava sia la 
normativa precedente che quella di nuova emanazione. In base a quest'ultima, 
in caso di gravi irregolarit� nell'amministrazione, � possibile tanto 
procedere alla nomina di un commissario straordinario per il compimento 
di singoli atti, quanto disporre lo scioglimento degli organi 
di amministrazione e la messa in liquidazione della societ�. 

La scelta tra l'una e l'altra soluzione, contrariamente a quanto s9stenuto 
dal TAR, a dire degli appellanti, doveva essere adeguatamente ,motivata, 
tenuto conto che in base al citato ordine del giorno le alternative 
possibili tra le quali doveva essere effettuata la scelta consistevano 
nel commissariamento, oppure nella messa in liquidazione della 
societ� assicuratrice. 

Che fosse questa per la Commissione consultiva l'unica via per 
esercitare correttamente le proprie funzioni sarebbe dimostrato dal fatto 
che il caso della societ� � Unica �, discusso nella medesima seduta 
e recante il medesimo ordine del giorno {irregolarit� di funzionamento), 
fu risolto mediante la nomina di un commissario e non gi� con la 
messa in liquidazione della stessa societ�, come invece fu deciso per la 
societ� Globo. 

La complessa censura non ha fondam�nto. 

Va, anzitutto, evidenziato come la pretesa violazione formale nella 
quale sarebbe incorsa la Commissione consultiva, e che non sarebbe 
stata minimamente percepita dai giudici di primo grado, � in realt� 
priva di giuridica rilevanza. 

Quali che fossero le disposizioni di legge richiamate nell'ordine del 
giorno della Commissione, ai fini della corretta trattazione del caso 
sottoposto all'esame di tale organo, ci� aveva in ogni caso una trascurabile 
importanza, non essendo prevista, dalla legislazione positiva, 
alcuna imprescindibile correlazione tra tale dato formale e le determinazioni 
da assumere da parte dell'organo collegiale. 

L'indicazione di pi� disposizioni �normative, in altri termini, non 
aveva valore vincolante per i componenti dell'organo collegiale; l'indicazione 
contenuta nell'ordine del giorno non aveva, cio�, il valore di 
una formale contestazione, bens� aveva la pi� modesta funzione di portare 
a conoscenza dei componenti della Commissione gli argomenti che 
sarebbero stati trattati nel corso della seduta. Le successive determi� 


PARTE I, SEz, V, GIURISPRUDENZ_A AMMINISTRATIVA 

nazioni sarebbero state adottate esclusivamente sulla base dei dati accertati 
come peculiari alla fattispecie sottoposta al loro esame. 

Considerazioni di altra natura debbono invece essere svolte con riferimento 
alla diversa censura contenuta nel citato secondo motivo, 
secondo cui l'obbligo della motivazione, contrariamente a quanto ritenuto 
dal TAR, derivava dal fatto che l'art. 57 lett. b) L. 10 giugno 1978 

n. 295 -che dispone la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attivit� 
assicurativa nel caso di mancata realizzazione nei termini del 
piano di risanamento della societ� -sarebbe stato integralment~ sostituito 
dall'art. 7 legge n. 576 del 1982, il quale, nel caso di gravi irregolarit� 
e di gravi violazioni, ha alternativamente previsto-il commissariamento 
della societ�, ovvero la revoca dell'autorizzazione con conseguente 
scioglimento della societ� stessa. 
Anche tale doglianza � priva di fondamento, in quanto le disposizioni 
ora richiamate disciplinano fattispecie del tutto diverse tra di 
loro. 

L'art. 57 disciplina, infatti, le cause che conducono alla revoca dell'autorizzazione 
e, di �onseguenza, alla liquidazione coatta amministraitva. 
Trattasi di cause che ineriscono alla possibilit� stessa per l'impresa 
assicuratrice di continuare ad esercitare la sua attivit�, non essendo 
essa pi� in grado di costituire valida garanzia per gli assicurati e 
per i terzi. 

Tra tali cause la disposizione indica la mancata realizzazione del 
piano di risanamento e di finanziamento, dal momento che la constatata 
esistenza di uno stato di gra,ve sofferenza dell'impresa non pu� 
non portare alla immediata cessazione dell'attivit�, nel caso in cui 
non si provveda al tempestivo suo risanamento nei termini e con le 
modalit� indicate dall'autorit� di vigilanza. 

L'art. 7 legge n. 576 del 1982 contiene invece una clausola generale 
cori la quale ha inteso disciplinare tutte le ipotesi di � gravi irregolarit� 
nell'amministrazione, di gravi violazioni di norme legali, regolamentari 
e statutarie �. In tali casi, essendo previsto sia il commissariamento che 
la messa in liquidazione, si ha che l'applicazione della sanzione � ri� 
messa all'apprezzamento discrezionale dell'amminis.trazione, la quale � 

i 

tenuta a valutare se le riscontrate disfunzioni possono essere eliminate 
m�diainte lo scioglimento degli organi di amministrazione e la nomina 
di un commissario, oppure risultino di tale gravit� da comportare la 
messa in liquidazione della stessa impresa assicuratrice. 

Tra le fattispecie disciplinate dalle due diverse disposizioni di legge 
non si riscontrano sul piano ontologico differenze di ordine qualitativo. 
Le differenze, sul piano formale, derivano dal diverso giudizio di valore 
espresso in ordine ad esse dal legislatore che, nel primo caso, ha 


366 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ritenuto l'irregolarit� di tale gravit� da sottrarre la scelta della sanzione 
all'apprezzamento del.l'amministrazione, ammesso invece nelle ipotesi 
disciplinate dal citato art. 7. 

La riscontrata differenza ha poi anche una sua giustificazione di 
ordine sostanziale, rappresentata dal fatto che, nel caso di mancata realizzazione 
del piap.o di risanamento, l'attivit� di valutazione e di ponderazione 
del pubblico e del privato interesse da parte dell'amministrazione 
vigilante ha gi� avuto modo di esplicarsi mediante l'approvazione 
del suddetto piano. 

La sua mancata realizzazione comporta dunque il persistere delle 
cause di irregolare funzionamento dell'impresa, alle -quali l'autorit� di 
vigilanza � necessariamente tenuta a porre riparo, impedendo la prosecuzione 
della stessa attivit� assicurativa. 

Trattasi, quindi, di una soluzione obbligata alla quale � necessario 
pervenire una volta accertata l'esistenza delle condizioni giuridiche e 
di fatto che condizionano l'applicabilit� della richiamata sanzione. 

Alla stregua di tali puntualizzazioni � agevole rilevare la infondatezza 
del gravame anche sotto l'indicato profilo, non essendo contestato 
in fatto che la soc. Globo, alla data del provvedimento impugnato, 
non aveva provveduto a completare il piano di risanamento approvato 
dal Ministero dell'industria e commercio. 

Dopo aver effettuato un aumento di capitale di 2,5 miliardi, non 
si era infatti proceduto al successivo versamento di altri 4,5 miliardi, 
stimati nel piano come indispensabili per ricostituire le riserve per 
sinistri ed eliminare lo squilibrio patrimoniale all'epoca esistente. 

Correttamente il TAR ha, quindi, individuato nella mancata realizzazione, 
nei termini e con le modalit� prescritte, la causa giustificativa 
del provvedimento, ritenuto lesivo, di revoca delle autorizzazioni 
allo svolgimento dell'attivit� assicurativa. 

Del pari immune da censure risulta, pertanto, l'ulteriore affermazione 
dei giudici di primo grado secondo cui la sussistenza delle condizioni 
previste dal richiamato art. 57 lett. b) legge n. 295 del 1978 comportava 
da parte dell'amministrazione l'immediata applicazione dell'unica sanzione 
all'uopo prevista. 

L'obbligo della motivazione sussisteva, quindi, non con riferimento 
alla scelta della sanzione da applicare, bens� con riferimento alla sola 
sussistenza dei presupposti di fatto che ne condizionavano in concreto 
l'applicabilit�. 

Sotto tale diverso profilo, l'esistenza in fatto dei presupposti per 
l'applicazione della sanzione non solo sono approfonditamente riportati 
nella parte motiva del provvedimento impugnato, ma risultano pacificamente 
ammessi dagli stessi appellanti. 


367

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Anche, quindi, la censura di disparit� di trattamento, che sarebbe 
stata perpetrata a da1I1no della societ� Globo, prima che infondata in 
fatt�, secondo quanto ritenuto dal T.A.R., � inammissibile sotto il profilo 
formale, tenuto conto che l'operato dell'Amministrazione nell'applicazione 
della sanzione non comporta alcun apprezzamento discrezionale, 
atteggiandosi� alla stregua di una vera e propria attivit� vincolata. 

Ci�, quindi, esclude in radice qualsiasi possibilit� di raffronto con 
le diverse determinazioni adottate nei confronti della societ� Unica, 
per la quale fu disposta la nomina di un commissario. 

Con il terzo motivo gli appellanti lamentano, inoltre, l'erronea 
valutazione da parte del T.A.R., del terzo motivo del ricorso introduttivo 
e del quarto motivo aggiunto. 

Con i suddetti mezzi di gravame, a loro avviso, si era inteso denunziare 
l'illegittimit� dell'operato dell'Amministrazione sotto molteplici 
profili: anzitutto con riferimento al fatto che il Ministro non poteva 
dare rilievo alla circostanza che non si era proceduto al versamento 
della seconda tmnche di quattro miliardi e mezzo entro la data (30 
aprile) prevista dal piano di. risanall\~nto approvato, ma doveva essere 
presa in considerazione la domanda formale di proroga, con tutte le 
garanzie ad essa annesse, presentata dalla societ�; inoltre, le suddette 
censure, secondo gli appellanti, avevano anche un carattere formale, in 
quanto concernevano specificamente il difetto di motivazione per quanto 
riguarda la proposta di differimento nell'esecuzione del piano e la permanenza 
delle ragioni di urgenza per il v�rsamento della seconda tranche 
di quattro miliardi e mezzo. 

Con il quarto motivo di appello, gli interessati deducono altres� che, 

contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., peraltro in modo del tutto 

immotivato, le eviden:date circostanze di fatto non furono portate a 

conoscenza della Commissione consultiva anteriormente alla data della 

riunione tenutasi il 15 giugno 1983, nel corso della quale fu proposta 

la revoca dell'autorizzazione alla societ� Globo. 

In ordine alle esposte censure va in primo luogo eviden:dato che 

la motivazione del T.A.R. deve essere sul punto integrata e corretta 

sulla base delle risultanze documentali non sempre adeguatamente va


lutate. ��� ... 

Va in primo luogo posto in rilievo che gli appellanti tendono a 

concentrare nella sola seduta del 15 giugno 1983 la considerazione di 

una � serie di circostanze di fatto che, invece, si sono svolte e sono 

state prese in esame dall'Amministrazione in un arco temporale pi� 

esteso. 

Per quanto riguarda, infatti, l'offerta sostitutiva avanzata dalla 

societ� di conferire immobile di valore corrispondente alle somme pre



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

368 

viste nel piano di risanamento, va anzitutto rilevato ohe essa gi� era 
stata avanzata con lettera del 19 aprile 1983, nella quale si faceva 
altres� notare che il suddetto aumento di capitale, deliberato dai soci 
nell'Assemblea straordinaria del 114 febbraio 1983, doveva considerarsi 
oggettivamente ultroneo e non appropriatamente motivato. 

Quale fosse, invece, la valutazione dell'Amministrazione sul punto 
risulta chiaramente dalla nota ministeriale del 2 giugno 1983, indirizzata 
alla societ� Globo, con la quale, nel ribadire la necessit� che la stessa 
societ� acquisisse � con urgenza la liquidit� necessaria per eliminare 
l'attuale squilibrio patrimoniale�, si precisava altres� che �l'eventuale 
conferimento di beni immobili ipotizzato da questa-societ� solo dopo 
l'adozione del citato DM. 15 aprile 1983, non solo si pone al di fuori 
del piano presentato ad approvato, ma non consente di soddisfare il fabbisogno 
di liquidit� dell'impresa �. 

Gi�, quindi, alla data della indicata nota ministeriale veniva espresso 
un giudizio negativo sulla ipotesi di modifica delle modalit� di attua:
lJione del piano di risanamento; ipotesi che, invece, pervicacemente la 
societ� Globo ritenne di potere perfezionare e successivamente sottoporre 
all'esame. della stessa Autorit� ministeriale che su di �esso gi� si era 
espressa. 

Risulta, altres�, dal verbale della seduta del 15 giugno 1983 non solo 
che tali circostanze erano note alla Commissione consultiva, ma che la 
stessa provvide egualmente ad esprimere il proprio apprezzamento sulla 
proposta avanzata dagli azionisti di maggioranza. Proposta giudicata negativamente 
anche in considerazione del fatto che essa non avrebbe sod� 
disfatto il � fabbisogno di liquidit� dell'impresa � ed in ogni caso perch� 
l'immobile non era � destinabile a coperture delle riserve tecniche nel 
rispetto della normativa vigente �. 

Quanto, poi, all'ulteriore censura dedotta dagli appellanti, circa la 
mancata considerazione del. progetto di bilancio della societ� relativo 
all'anno 1983, il Collegio osserva che le risultanze documentali non confermano 
la fondatezza delle affermazioni di parte. 

Risulta, infatti, espressamente precisato nel suddetto verbale del 
15 giugno 1983 che anche tale ulteriore elemento di valutazione fu preso 
in esame dalla Commissione e valutato negativamente. 

Neppure pu� essere condivisa la censura relativa alla pretesa inesistenza 
dei motivi di urgenza per procedere alla revoca dell'autorizzazione, 
stante l'avvenuto cambiamento della situazione finanziaria della societ� 
come evidenziato nel progetto di bilancio. 

In primo luogo sembra opportuno sottolinare che la societ� si era 
limitata ad offrire dati. meramente presuntivi, tenuto conto che si -tratta




PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 369 

va di un semplice � iprogetto � di bilancio ancora da approvare e, come 

tale, privo di giuridica rilevanza. 

Inoltre, contrariamente all'assunto dei ricorrenti, le condizioni pa


trimoniali della societ� n�n risultavano affatto diverse e soprattutto 

pi� favorevoli di quelle evidenziate nel piano di risanamento. 

Come indizio di decisivo migliorament? gli appellanti segnalavano 

il fatto che le riserve sinistri, nel bilancio 1982, figuravano per somme 

molto superiori a quelle del bilancio 1981. 

Al riguardo, � sufficiente tuttavia osservare che l'aumento delle 

riserve non era stato realizzato con mezzi della societ�, bens� portando 

in perdita il� bilancio di lire 3.169.169.22. il.a deficienza di riserva rimane


va, pertanto, inalterata, con l'aggravante che si evidenziava una perdita 

di bilancio in conseguenza della quale la societ� rimaneva senza capi


tale, e, quindi, risultava priva di solvibilit�. 

Ci�, induce, ad escludere che l'Amministrazione fosse tenuta a for


nire adeguata motivazione .sulle ra:gioni iper le quali non ritenne di ac


cordare la proroga dei termini di realizzazione del piano richiesta dalla 

Societ�. 

A meri fini di completezza va, infine, osservato che non pu� nep


pure parlarsi, nella specie, di una vera e propria domanda di proroga, 

dal momento che gli organi della societ� proposero una sost8111Ziale mo


difica del piano di risanam�nto, piuttosto ohe un semplice differimento 

di quello aipprovato dall'autorit� di vigilanza. 

Con il quinto motivo gli appellanti si dolgono del fatto che, nonostan


te le irregolarit� fossero state accertate per il solo ramo �responsabili


t�.civile auto>>, si sia poi disposta la revoca per tutti i rami assicurativi. 

Anche tale censura � priva di fondamento. 

Al riguardo, � necessario tener presente che l'autorit� di vigilanza 

aveva �riscontrato una situazione deficitaria che interessava l'intera so


ciet� e non un solo ramo di essa. Il piano di� risanamento, infatti, era 

stato predisposto in conformit� all'art. 57, lett. b) l~gge n. 295 del 1978 

per ricostituire un margine di solvibilit� idoneo a garantire tutti gli as


sicurati e tutti i terzi danneggiati le cui vertenze risultavano al momen


to ancora pendenti. 

Una volta che tale risultato, per esclusiva volont� degli stessi azionisti 
della societ� interessata, si era dimostrato irrealizzabile nei tempi 
e con le modalit� stabiliti, non restava all'Amministrazione che ipren. 
derne atto e trarne le dovute conseguenre sul piano formale, stante la 
tassativa disciplina prevista dal citato art. 57 lett. b). La possibilit� 
di operare differenziazioni tra i singoli rami dell'impresa assicuratrice 
risultava pertanto preclusa in radice, a causa della particolare situazione 
patrimoniale alla quale l'Amministrazione era tenuta a porre ri


paro. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ci� spiega perch� nel provvedimento impugnato manchi qualsiasi, 
riferimento ai motivi che impedivano di considerare ipotesi diverse dalla 
revoca totale alla societ� Globo dell'autorizzazione in precedenza accordatale. 


Inammissibile � il sesto motivo col quale viene censurato il provvedimento 
impugnato nella parte in cui dispone la cessione alla societ� 
CIDAS del complesso dei rapporti contrattuali facenti capo alla 
societ� posta in liquidazione. 

Ed infatti, non � dato riscontrare in proposito un interesse giuridicamente 
rilevante degli azionisti della societ� posta in liquidazione posto 
ohe la societ� cessionari.a subentra nei contratti 'di assicurazione 
che alla prima d'anno capo, ma rimane estranea alla fase della liquidazione 
vera e propria che � affidata e viene portata a termine da soggetti 
diversi e con procedura distinta. 

� solo con riferimento a tale diversa procedura che � possibile individuare 
un interesse qualificato degli azionisti a ohe la gestione 
della societ� posta in liquidazione sia ad�fidata a persone capaci. 

Con il settimo motivo di gravame gli appellanti ripropongono 
l'eccezione di incostituzionalit� del D.L. 26 settembre 1978 n. 576, con~ 
vertito con L. 24 novembre 1978 n. 738, nella parte in cui prevede 
la cessione dell'intera azienda della societ� posta in liquidazione ad altra 
impresa in assenza di qualsiasi corrispettivo. 

L'eccezione � manifestamente infondata. 

La normativa richiamata non attribuisce, infatti, alla cessionaria 
l'intera azienda della societ� posta in liquidazione, bens�, come si � 
gi� precisato, si limita a prevedere che l'affidataria continui a gestire 
i contratti di assicurazione in corso. Tutte le altre attivit� e passivit�, 
i beni materiali e quelli immateriali che concorrono a formare il complesso 
aziendale rimangono in testa alla liquidazione, la quale � tenuta 
a procedere alla soddisfazione dei creditori in via concorsuale. 

Lo stralcio dei contratti assicurativi, che risponde alle esigenze 
pubblicistiche dianzi evidenziate, non costituisce un tipo di cessione 
in danno della societ� posta in liquidazione, se � vero che il premio 
gi� riscosso, per le riscontrate difficolt� finanziarie di quest'ultima, non 
� attribuito alla cessionaria, la quale, pertanto, � tenuta ad accollarsi, 
senza alcun corrispettivo immediato, gli obblighi derivanti dai contratti 
gi� conclusi e ad assumere gli impiegati, nonch� ad accollarsi i rapporti 
di agenzia dell'impresa liquidata. 

Il meccanismo legislativo test� descritto non lascia, dunque, margine 

per l'individuazione di un interesse patrimoniale della societ� liquida


ta di cui la stessa possa dirsi indebitamente privata. 

L'infondatezza dei motivi comporta il rigetto dell'appello. 


PARm I, SEZ'. V, GIURISPRUDENZA AMMIN;ISTRATIVA 371 

CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 10 giugno 1987 n. 400 -Pres. Buscema 


Est. Pajno -Calabresi (avv. Zanchini) c. Ministero beni culturali ed 

ambientali (avv. St. Onufrio). 

Demanio -Beni Storici ed artistici -Prelazione deilo Stato -Negozi soggetti 
-Transazione. 

Demanio -Beni Storici ed artistici -Prelazione dello Stato -Atto ablatorio 
� Acqnisizione coattiva beni' privati � Prelazione civilistica Differenze. 
� 

Demanio -Beni storici ed artistici -Prelazione � Negozio transattivo Mancata 
determinazione prezzo � Illegittimit� prelazione. 

L'istituto della prelazione ex art. 31 della l. 1089/1939 non � applicabile 
solo nei confronti dei contratti di compravendita, ma di ogni 
negozio ad effetti traslativi che comporti l'assunzione di obbligazioni 
per entrambe le parti, come nel caso di specie la transazione. 

La prelazione ex art. 31 della l. 1089/1939 costituisce una forma di 
atto ablatorio che determina l'acquisizione coattiva di cose di interesse 
storico ed artistico di propriet� dei privati, con conseguente effetto caducatorio 
dell'alienazione da questi effettuata e non comporta quindi, 
alla stregua dell'omonimo istituto civilistico, il subingresso dell'Amministrazione 
nella posizione contrattuale della parte acquirente. 

Nel caso di esercizio della prelazione in relazione ad un negozio 
transattivo ad effetti traslativi l'Amm.ne non pu� riferirsi al prezzo indicato 
nel contratto, ma deve determinarlo ai sensi del secondo comma 
dell'art. 31 l. 1089/1939 a pena di illegittimit� dell'intero provvedimento. 

DIRITTO -1. -Deducono gli appellanti, con la prima censura, che 
illegittimamente sarebbe stato esercitato nella fattispecie il diritto di 
prelazione, e ci� per la naturl,l. atipica del negozio di cui al rogito Masell�, 
laddove l'art. 31 della L. 1� giugno 1939 n. 1089 consentirebbe l'esercizio 
della prelazione nei soli casi di � alienazione a titolo oneroso �. 

Il negozio in questione avrebbe, infatti, avuto ad oggetto n�n gi� 
una mera successione a titolo particolare nella propriet� dei beni, bens� 
� il componimento e� l'assetto contrattuale di contrapposti diritti ed interessi
�. 

La doglianza � infondata e� deve, pertanto, essere respinta. 

Secondo, l'art. 31 della legge n. 1089 del 1939, l'Amministrazione pu� 
esercitare il diritto di prelazione � nel caso di alienazione a titolo oneroso 
� al medesimo prezzo determinato nell'atto di alienazione. II successivo 
secondo comma precisa altres� che � qualora la cosa sia alienata 
insieme con altre per un unico corrispfativo, il prezzo � determinato 
d'ufficio dal Ministro �. L'art. 33 della legge, infine, estende la possibilit� 
per l'Amministrazione di esercitare la prelazione ai casi in cui 
� la cosa sia a qualunque titolo dato in pagamento �. 

13 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Dal sopra delineato complesso normativo risulta evidente che il legislatore 
non ha inteso collegare la possibilit� dell'esercizio della prelazione 
all'esistenza di un contratto tipico, o ad una specifica causa negoziale, 
ma ha, . invece, ancorato il legittimo esercizio della prelazione 
all'esistenza di una regolamentazione negoziale che comporti, comunque, 
un effetto traslativo della cosa soggetta al vincolo, e che sia altres� caratteriizata 
dall'esistenza di un reciproco sacrificio patrimoniale delle parti, 
allo scopo di conseguire un'attribuzione patrimoniale. 

La previsione della legge n. 1089 del 1939 non appare, pertanto, limitata 
a quei negozi la cui funzione economico-sociale sia costituita dallo 
scambio di cosa contro prezzo (anche se quelle relative a tali negozi 
rimarranno, ovviamente, le ipotesi pi� frequenti), ma si estende a tutte 
le regolamentazioni convenzionali che vedano comunque, oltre che la realizzazione 
di un effetto traslativo, l'assunzione di obbligazioni a carico 
di entrambe le parti del negozio. Il limite alla operativit� della prelazione 
di cui all� legge n. 1089 del 1939 risulta, cos�, costituito dall'esistenza 
di un negozio che comporti un'attribuzione patrimoni.aie a titolo 
gratuito. 

Ad un esito siffatto sembra, d'altra parte, necessario pervenire alla 
stregua delle disposizioni degli artt. 31 e 33 della legge n. 1089 del 1939. 
L'ampiezza della formula contenuta nel primo comma dell'art. 31 -che 
riconnette l'esercizio della prelazione a tutti i casi di �alienazione a titolo 
oneroso � -impedisce di limitare la previsione normativa ai soli 
contratti di scambio. La circostanza, poi, che nel contesto dell'art. 31 
la locuzione � prezzo � sia adoperata non nel significato tipico di corrispettivo 
per l'alienazione della cosa vincolata, ma secondo quello pi� 
generale di � valore � della cosa medesima (in forma del secondo comma 
dell'art. 31 il �prezzo� � determinato dal Ministro in via autoritativa nell'ipotesi 
di alienazione della cosa insieme con altre per un unico corrispettivo) 
evidenzia che la previsione normativa concernente la prelazione 
non pu� essere collegata esclusivamente alle ipotesi di scambio 
di cosa contro prezzo. 

La disciplina contenuta nell'art. 33 -che estende la possibilit� di 

esercitare la prelazione a tutte le ipotesi in cui la cosa di particolare 

interesse sia �a qualunque titolo data in pagamento� esclude, infine, 

la possibilit� di limitare� il relativo esercizio a contratti la cui causa 

consista nello scambio. � noto, infatti, che la datio in solutum costi


tuisce in via generale un modo di estinzione dell'obbligazione diverso 

deij'adempimento, ed in particolare un negozio oneroso la cui causa � 

costituita dalla funzione solutoria dell'obbligazione medesima. 

In realt�, la legge, non ha inteso configurare la prelazione come 

uno strumento che consenta all'Amministrazione di subentrare nella re-

l 

I I 


PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

golamentazione negoziale posta in essere dai privati, attraverso la sostituzione 
di se medesima alla parte acquirente (nel qual caso la limitazione 
ai contratti di scambio avrebbe avuto giustificazione), ma si � 

. limitata ad indicare i presupposti legittimati dell'esercizio del potere di 
prelazione, in forza del quale l'Amministrazione acquista la propriet� 
della cosa di particolare interesse storico a artistico. 

La situazione descritta nella legge n. 1089 del 1939 ai fini del legittimo 
esercizio del potere di prelazione si realizza pienamente nella fattispecie 
in esame, avuto riguardo al reale contenuto del rogito Maselli 
dal 13 marzo 1978. Con tale atto, infatti -come ricordano gli odierni 
appellanti -� le parti ponevano termine ad una annosa controversia, 

, per l'effetto consegnando, da un lato, i coltivatori la propriet� piena di 
una parte dei fondi condotti a mezzadria ed assicurandosi, dall'altro 
lato, i proprietari la pi�na disponibilit� della restante parte dell'azienda, 
contestualmente riconsegnata ai mezzadri�. 

Si tratta, pertanto, per esplicito riconoscimento degli interessati, di 
una .complessa ed unitaria regolamentazione transattiva, in cui, a fronte 
dell'attribuzione patrimoniale effettuata dai proprietari, stava la liberazione 
dei fondi dai diritti di mezzadria. Con tale regolamentazione 
veniva, pertanto, effettuato il trasferimento dell'immobile vincolato, mentre 
la chiara natura transattiva della stessa ne implicava la naturale onerosit� 
per le parti contraenti. 

N�, a fondare un diverso avviso possono valere le osservazioni formulate 
dagli appellanti in memoria, circa la � gratuit� � dell'attribuzione 
patrimoniale effettuata da Calabresi Massimo ed in parte da Calabresi 
Ugo. La circostanza che l'atto in questione costituisca un negozio 
transattivo esclude, infatti, la possibilit� di considerare le attribuzioni 
patrimoniali con esso effettuate come a titolo gratuito; e, del resto,� avuto 
riguardo al contenuto dell'atto, appare evid�nte che, allorquando 
si parla di �cessione a titolo gratuito�, si intende escludere, per la 
parte a tale titolo ceduta, l'obbligo dei coltivatori' diretti di corrispondere 
uno specifico prezzo, ma non quello dei medesimi di effettuare 
quella specifica attribuzione patrimoniale -che sta a base della onerosit� 
della regolamentazione -costituita dalla rinuncia ai propri diritti 
di mezzadria. 

La circostanza, infine, che quella effettuata con il rogito Maselli 
sia una unitaria regolamentazione degli interessi delle parti, in cui le 
attribuzioni patrimoniali effettuate da ciascuno dei proprietari appaiono 
necessarie e determinanti per conseguire l'unitario effetto transattivo, 
escludono la possibilit� di considerare disgiuntamente -come, 
nella sostanza, vorrebbero gli interessati le prestazioni effettuate da 
ciascuno dei proprietari. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

374 

2. -I rilievi sopra esposti evidenziano, altres�, l'infondatezza del secondo 
motivo di gravame, con cui gli interessati deducono che con la 
dichiarazione di prelazione di cui all� legge n. 1089 del 1939 avverrebbe 
la sostituzione ex officio della parte acquirente nella situazione giuridico-
patrimoniale facente capo ai ricorrenti, e che il T.A.R. avrebbe disatteso 
il principio che impone fill'Amministrazione di non arrecare danno, 
con l'es�rcizio del diritto,' alla sfera giuridica del venditore. Un tal modo 
di pensare appare, infatti, collegato ad un inesatto modo di descrivere 
la prelazione di cui alla legge n. 1089 del 1939. 
Quest'ultima non opera alla stregua dell'omonimo istituto civilisticoesito, 
questo, d'altra parte, impossibile sol che si consideri che la prelazione 
si esercita sempre con riferimento ad una proposta di alienazione� 
(art. 732 Cod. civ.; art. 8 L. 26 maggio 1965 n. 590; art. 38 L. 7 luglio 1978 

n. 392) e non, come avviene ai sensi della legge n. 1_089 del. 1939, con ri-. 
ferimento ad un contratto gi� conduso -ma costituisce espressione di 
un potere di acquisizione coattiva delle cose di interesse storico e artistico 
di propriet� di privati da esercitarsi, in occasione di negozi di 
trasferimento della propriet� delle medesinie (Cass., 8 febbraio 1982 n. 720; 
VI, 17 gennaio 1984 n. 6, 1984, I, 62), sicch� il provvedimento con cui si 
esercita in concreto la�prelazione deve essere ricondotto alla pi� generale 
categoria degli atti ablatori. � questa, d'altra parte, una necessaria consegtienza 
della configurazione data alla prelazione dalla legge, che fa 
appunto discendere l'acquisto in capo all'Amministrazione dal provvedimento 
con cui il potere � stato esercitato, con la specificazione che tale 
acquisto opera -come avviene per tutti gli atti ablatori -dalla data 
di adozione del provvedimento e non dall'epoca della notificazione (art. 32, 
terzo comma, legge n. 1081 del 1939). 
Nessuna sostituzione dell'Amministrazione al soggetto alienante nel 
negozio posto in essere dai privati avviene, pertanto, con il provvedimento 
con cui viene esercitata la prelazione di cui alla legge n. 1089 del 
1939, dal quale anzi, oltre che un effetto propriamente costitutivp, discende 
anzi un effetto caducatorio del negozio di alienazione (Cass. 8 febbraio 
1982 n. 720, cit.). 

Tale essendo la configurazione della prelazione di cui alla legge 

n. 1089 del 1939, nessun danno giuridicamente rilevante pu� configurarsi 
per gli odierni appellanti in relazione alla caducazione dell'assetto contrattuale 
posto in essere con l'atto {transattivo) del 13 marzo 1978, discendente 
dall'esercizio della prelazione. 
Tale atto, infatti, in quanto comportante_ l'alienazione di un fondo 
sottoposto al vincolo di particolare interesse storico-artistico, _nasceva, 
per espressa configurazione normativa, come sospensivamente condizio




PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 375 

nato all'esercizio del diritto di prelazione da parte dell'Amministrazione 
dei Beni culturali. Di ci�, peraltro, le parti contraenti erano ben consapevoli, 
dal momento che nelle premesse del rogito si legge che qualora 
venisse a mancare quella che viene definita � autorizzazione relativa al 
vincolo archeologico esistente sul terreno oggetto della compravendita�, 
�il presente atto si intender� risolto di diritto ad ogni effetto e conseguenza 
di legge senza alcun gravame per 1e parti �. 

"' 3. -Fondata, � invece, l'ultima censura, con cui gli appellanti deducono 
che erroneamente il primo giudice avrebbe limitato l'accoglimento � 
del ricorso di primo grado alla parte del decreto relativa al � prezzo � 
della prelazione. L'atto con cui si era esercitata la prelazione costituisce, 
infatti, un provvedimento unitario, di cui. la corretta identificazione 
delle modalit� di determinazione del prezzo costit.isce un presupposto 
essenziale. 
Nel caso in esame il T.A.R. ha accertato che l'Amministrazione �non 
poteva . riferirsi semplicemente al prezzo indicata nel \ predetto contratto 
>>, ma che, invece, in considerazione della complessa natura del negozio 
ed in applicazione del secondo comma dell'art. 31 delJa legge n. 1089 
del 1939, � avrebbe dovuto stabilirlo sulla base di un'autonoma determinazione, 
enunciando e precisando i criteri valutativi seguiti �, 
Val quanto dire che, nel caso in esame, la facolt� di acquisto da 
parte .dell'Amministrazione andava esercitata mediante modalit� che implicavano 
l'autonoma determinazione del prezzo da parte del Ministro. 
Si � pertanto dinanzi ad un non corretto modo di esercizio del potere 
di prelazione che, secondo i principi generali, si riverbera sulla legittimit� 
del provvedimento adottato e ne impone l'integrale caducazione. 
N� argomento in contrario potrebbe essere tratto dalla disciplina 
del terzo comma dell'art. 31, che prevede la fissazione del prezzo da 
parte di un'apposita Commissione all'uopo costituita, � ove l'alienante 
non ritenga di �accettare il prezzo determinato dal Ministro �, Si tratta, 
infatti, di una procedura che presuppone il corretto uso del potere di 
prelazione, e cio� l'esercizio della facolt� di acquisto mediante autonoma 
determinazione del prezzo da pa_rte dell'Amministrazione. La Sezione 
ha gi�, del resto, altre volte dichiarato illegittimo il provvedimento con 
cui la facolt� di acquisto da parte dell'Amministrazione � stata esercitata 
con modalit� diverse da quelle previste dalla legge (VI, 17 gennaio 
1984 n. 6, con riferimento alla facolt� di acquisto prevista dall'art. 39 
dalla legge n. 1089 del 1939). 
L'appello deve, pertanto, essere accolto sotto il profilo cennato, ed, in 
riforma della decisione di primo grado, deve essere pronunciato l'integrale 
annullamento del decreto ministeriale impugnato in primo grado. 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI sentenza 7 ottobre 1987 n. 806 -Pres. 
Ancora, Est. Pajno -Soc. Colli Fioriti (avv. Lubrano) c. Ministero 
beni culturali ed ambientali (avv. St. Nucaro). 

Demanio -Beni storici ed archeologici -Vincolo diretto -Tutela beni 
individuati -Occupazione -Ricerche archeologiche. 

Demanio -Beni storici ed artistici -Vincolo diretto -Motivazione -Indicazione 
bene e particelle catastali. 

Demanio� -Beni storici ed artistici -Vincolo indiretto -Motivazione Finalit� 
e presupposti di fatto. 

� legittima l'imposizione di un vincolo diretto ex lege 1089/1939 quando 
siano dichiarate di particolare interesse cose obiettivamente esistenti 
ed espressamente indicate mentre. nella fase delle semplici ricerche 
archeologiche l'Amm.ne � tenuta a ,fare uso dell'occupazione prevista 
dall.'art. 43. 

� sufficientemente motivato il .provvedimento �di imposizione di vincolo 
diretto che contenga la conJemporanea indicazione del complesso 
archeologico da tutelare e delle particelle catastali su cui esso insiste. 

� legittimo il provvedimento d'imposizione di un vincolo indiretto 
ed in particolare quello che decida la creazione di una fascia di rispetto 
intorno al bene tutelato con conseguente divieto assoluto di edificabilit� 
quando vi siano specificate sia le finalit� che esso intende perseguire, 
sia le circostanze che hanno determinato tale scelta in relazione alla 
natura, alle caratteristiche del bene ed alla sua ubic~zione. 

DIRITTO. -1. -Sia il ricorso proposto dalla Societ� Colli Fioriti (n. 
358/84 R.G.) che quelli proposti dal Ministero dei beni culturali ed ambientali 
(n. 1167/84 e n. 1168/84 R.G.), riguardano provvedimenti fra loro connessi, 
concernendo il primo la legittimit� dell'atto con cui � stato imposto 
il vincolo diretto su area in cui insistono i resti di una citt� fortificata 
di f'.POCa romana repubblicana {probabilmente l'antica Tellene), 
ed i secondi la legittimit� dei provvedimenti con i quali, allo scopo di 
garantire la visibilit� e la godibilit� di tale citt� fortificata, e la comprensione 
dell'assetto originario della medesima, � stata istituita intorno 
ad essa una zona di rispetto, ai sensi dell'art. 21 della legge n. 1089 del 
1939, nella quale � stata vietata .la realizzazione di nuove costruzioni 

o l'alterazione di quelle gi� esistenti, ed ammessa una utilizzazione di 
cultura orticola purch� non con piante ad alto fusto, diverse da quelle 
tradizionali. Il Collegio ritiene, pertanto, opportuno disporre la riunione 
dei tre procedimenti. f 
!: 


PARm I,.SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 377 

2. -Nell'ordine logico deve, preliminarmente essere esaminato l'appello 
proposto dalla Societ� Colli Fioriti avverso la decisione della II 
Sezione del TAR del Lazio n. 1089 del 1983, concernente ff decreto n. 
31812 del 23 settembre 1980, con il quale sono stati dichiarati di particolare 
interesse archeologico, ai sensi della legge n. 1089 del 1939, alcuni 
terrerti della medesima societ�, insistendo su di essi � importanti strutture 
di una costruzione di epoca repubblicana, i cui limiti sono ben 
definiti da una cinta muraria visibile, e di una villa romana anch'essa 
visibile�. 
Si tratta infatti, del provvedimento di imposizione del vincolo diretto 
ai sensi della legge n. 1089 del 1939, la cui legittimit� costituisce, pertanto, 
il presupposto della legittimit� dei successivi decretf di imposizione del 
vincolo indiretto, oggetto dei ricorsi n. 1967/84 e 1968/84. 

Il cennato decreto del 23 settembre 1980 � stato .ritenuto legittimo 
dal primo giudice, sulla scorta della considerazione che il terreno sottoposto 
al vincolo diretto appare interamente interessato, come risulta 
dalla documentazione in atti �dallo sviluppo .di una cittadella fortificata 
di epoca repubblicana i cui resti, in gran parte bene visibili e gi� largamente 
individuati, sono costituiti dalla cinta muraria, da una villa 
romana e da edifici e strade che, nel loro insieme, costituiscono un 
tessuto urbanistico unitario �. 

Il primo giudice ha osservato che il provvedimento impugnato d� 'atto 
dell'esistenza di tali reperti e della relativa localiz2lazione, Sicch� risulterebb~ 
evidente l'esistenza dei presupposti per l'imposizione del vincolo 
diretto. 

Di tale pronuncia si duole peraltro la Societ� Colli Fioriti, la quale 
deduce che l'Amministrazione dei beni culturali non si sarebbt: attenuta 
ai consolidati principi che richiedono, per l'imposizione del vincolo diretto 
di notevole interesse archeologico, la gi� acquisita certezza sull'esi� 
stenza delle cose da tutelare e sulla consistenza ed estensione del deposito. 
Dal riscontro testuale del decreto impugnato non risulterebbero esattamente 
quali siano i beni che si � inteso tutelare, non rispondendo 
alle esigenze di una specifica individuazione l'indicazione generica di un 
complesso, del quale non sarebbero sufficientemente individuati gli elementi 
costitutivi. 

L'imposizione del vincolo sarebbe stata, peraltro, posta in essere 

soltanto sulla base di alcuni saggi conoscitivi che avrebbero fornito una 

rappresentazione soltanto preventiva dei beni da tutelare, mentre il de


creto impugnato precluderebbe immotivatamente qualunque utilizzazio


ne agricola sul presupposto implicito dell'esistenza di una zona di fra


gilit� dell'assetto geomorfologico. 

I diversi profili di doglianza prospettati con il gravame della Societ� 
interessata (profili che, peraltro, nqn sembrano riprodurre gli originari 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

378 

motivi di ricorso spiegati con l'atto introduttivo del giudizio di primo 
grado ma i rilievi introdotti per la prima volta con semplice memoria 
dinanzi al TAR) appafono tutti privi di consistenza, e devono essere per-� 
tanto disattesi. 

Va, in proposito, in primo luogo ricordato che con il decreto del 23 
settembre 1980 sono state sottoposte al vincolo diretto �Strutture di una 
costruzione di epoca repubblicana, i cui limiti sono ben definiti da una 
cinta muraria visibile � e, strutture � di una villa romana, anch'essa visibile
�, Nel medesimo provvedimento vfene altres� precisato che i resti 
archeologici sussistenti nelle particelle di terreno analiticamente indicate 
sono costituiti � da una cinta muraria in opera quadrata, strade e resti di 
edifici�. 

Risulta cos� evidente che con l'impugnato decreto del 23 settembre� 
1980 no:ri sono state dichiarate di particolare interesse cose la cui esistenza 
era stata soltanto supposta e non ancora accertata; bens� cose 
obiettivamente esistenti ~d in quanto tali, espressamente indicate. Pi� 
precisamente, i terreni di propriet� della Societ� Colle Fioriti non sono 
stati sottoposti a vincolo diretto -come, nella sostanza sostiene l'appellante 
-nella supposizione che in essi insista un deposito archeologico 
la cui esistenza e consistenza � ancora da accertare, ma, al contrario, 
sono stati dichiarati di notevole interesse ai sensi della legge n. 1089 
del 1939, proprio perch� su di essi obiettivamente insistono i resti del 
complesso archeologico nel medesimo provvedimento indicato. Fuor di 
luogo appare, pertanto, il riferimento; operato dalla Societ� ricorrente, 
alFindirizzo giurisprudenziale secondo cui ai fini dell'imposizione del 
vincolo diretto sulle cose di notevole interesse �rcheologico sarebbe necessaria 
la gi� acquisita certezza sul~a � esistenza delle cose da tutelare 
e sulla consistenza del deposito, dovendo, in mancanza di ci�, l'Amministrazione 
ricorrere agli strumenti provvisori previsti dall'art. 43 della medesima 
legge n. 1089 del 1939 (VI, 30 settembre 1980 n. 778), dal momento 
che esso concerne l'ipotesi, non ricorrente nella fattispecie in 
esame, della imposiszione del vincolo su di un terreno sul .quale non 
sussista la certezza dell'esistenza di reperti archeologici. La ratio sottesa 
da tale indirizzo giurisprudenziale � che in linea di massima, allorquando 
si sia nella fase delle semplici ricerche archeologiche, l'Amministrazione 
deve far uso (non della imposizione del vincolo ma) dello 
strumento dell'occupazione previsto dall'art. 43 della legge n. 1089 del 1939, 
e che � finalizzato, appunto, alla effettuazione di lavori di ricerca archeologica 
o alla realizzazione di opere di ritrovamento di cose di 
interesse archeologico. Nel caso, in esame, invece, come risulta dalle 
relazioni depositate in atti da parte dell'Amministrazione appellante 

(e che vengono in rilievo non ai fini dell'integrazione della motivazio


ne, ma quali atti istruttori) e dalla documentazione prodotta in causa 



PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

dalla stessa societ� Colli Fioriti (si veda, in particolare, l'articolo di 
Mette Moltensen �La Giostra -Tellenze? � pubblicato. nell'anno 1978 

� sui Quaderni del Centro di studio per l'archeologia etrusco-italica e. dep�sitato 
in. fotocopia da parte della Societ� appellante nel giudizio di pri-. 
mo grado concernente la legittimit� del vincolo indiretto) l'insediamento 
esistente nella localit� � la Giostra � era conosciuto da lunghissimo 
tempo, tant'� che il medesimo era stato identificato, sin dal secolo scorso 
(probabilmente a torto) da parte del Nibby, con l'antica citt� di Tellenze; 
mentre lo stesso � stato successivamente oggetto, negli anni che 
vanno dal 1976 al 1978 (prima quindi, della imposizionoe del vincolo) di 
tre campagne di scavi, che hanno, tra l'altro, consentito di scoprire all'interno 
delle mura, resti di un edificio di grandi dimensioni, costruito 
sopra fondamenta di grossi blocchi' di tufo conservati per una altezza 
di -cm. 20 e munito di canali di scolo, nonch� di una cisterna scavata 
nella roccia del diametro di m. 7,11. Risulta .cos� evidente cli.e l'imposizione 
del vincolo diretto (anche) sull'area di propriet� della Societ� 
Colli Fioriti � avvenuta non allo scopo di realizzare attivit� di ricerca 
archeologica ma a conclusione di tale attivit� di ricerca (articolatasi 
in tre campagne di scavo) che ha consentito di appurare che l'insediamen~
o in q�estione costituisce un oppidum fortificato, strategicamente 
ubicato, e considerato, secondo l'apprezzamento tecnico-discrezionale del� 
l'Amministrazione, di notevole interesse archeologico. 
Esattamente, pertanto, il primo giudice ha rilevato -risultando 
tale circostanza dalla attivit� istruttoria svolta dall'Amministrazione e 
dalla documentazione prodotta in atti dalle parti -che il terreno sottoposto 
a vincolo diretto � interamente interessato, dallo sviluppo di una 
cittadella fortificata di epoca romana repubblicana, i cui resti sono 
costituiti da una cinta muraria, da una villa romana e da edifici e strade 
che nel loro insieme �ostituiscono un tessuto urbanistico unitario. 

3. -Ugualmente privo di consistenza � il rilievo, pure formulato dalla 
societ� appellante, secondo cui dal decreto impugnato non risulterebbe 
quali siano esattamente i beni che si � inteso Wtelare, non rispondendo 
alle esigenze di specifica individuazione l'indicazione effettuata in termini 
del tutto generici, diretti unicamente alla descrizione sommaria di un 
complesso. 
Il decreto del 23 settembre 1980 indica, infatti, espressamente ed 
analiticamente, le singole particelle catastali, del terreno di propriet� 
della societ� ricorrente, in cui risultano localizzati i reperti archeologici, 
mentre questi ultimi sono indicati come � importanti strutture di una 
costruzione di epoca repubblicana i cui limiti sono ben definiti da una 
cinta muraria visibile e da una villa romana anch'essa visibile>>, con. 
l'ulteriore specificazione che essi sono costituiti � da una cinta muraria 


~ 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

380 

in opera quadrata, strade e resti di edifici �. Risulta pertanto evidente 

che con il decreto impugnato si � inteso espressamente tutelare l'insediamento 
originario delimitato dalla cinta muraria ed i resti della vicina 
villa romana, mentre l'indicazione delle singole particelle di terreno, di 
propriet� della ricorrente, su cui insistono i reperti archeologici esclude 
che il vincolo diretto sia stato illegittimamente imposto su una estensione 
di terreno eccessiva o sproporzionata rispetto alle esigenze di tutela. 


L'obbligo di una puntuale motivazione dei decreti di imposizione del 
vincolo diretto, nonch� di una puntuale indicazione dei reperti archeologici 
obbedisce allo scopo di limitare entro il necessario il sacrificio imposto 
ai privati proprietari: consegue da ci� che, allorquando, come nel 
caso in esame, le strutture che costituiscono l'insediamento siano state 
indicate, e siano state, altres�, espressamente indicate le singole particelle 
di terreno in cui risultano ubicati i beni da tutelare, il vincolo risulta 
legittimamente imposto, in quanto la contemporanea indicazione del complesso 
archeologico e delle particelle su cui esso insiste consente di 
cogliere .la correlazione tra e.stensione del bene archeologico tutelato 
ed estensione dell'immobile di propriet� privata sottoposto a vincolo. 
Un provvedjmento del genere potrebbe essere, eventualmente, ritenuto 
illegittimo, (non per difetto di motivazione ma) per carenza od errore 
sui presupposti, ove si dimostrasse che su una superficie sottoposta al 
vincolo diretto, non insiste, in realt�, il bene archeologico che si assume 
esistente e che si intende tutelare. Nessuna censura del genere � 
stata, peraltro, mai prospettata dalla societ� appellante. 

4. � Gli argomenti sopra esposti evidenziano, altres�, l'inconsistenza 
del rilievo secondo cui l'imposizione del vincolo sarebbe avvenuta soltanto 
sulla base di alcuni saggi conoscitivi che avrebbero fornito una 
rappresentazione soltanto presuntiva dei beni da tutelare. Alla dichiarazione 
di particolare interesse archeologico si � infatti pervenuto a .conclusione 
di tre campagne di scavi. 
5. -Priva di fondamento �, poi, l'ulteriore considerazione secondo 
cui l'impugnato provvedimento, impositivo del vincolo diretto, precluderebbe 
qualsiasi utilizzazione agricola del terreno sul presupposto 
implicito dell'esistenza di una situazione di fragilit� dello assetto geomorfologico 
della zona. 
Con il decreto del 23 settembre 1980, l'Amministrazione dei beni 
culturali ha fatto divieto, oltre che di edificare manufatti, anche di 
� alterare le attuali quote del suolo e di eseguire arature e scavi agricoli 
a profondit� superiore a trenta centimetri: misure queste che 
agevolmente si spiegano non con la presunta fragilit� sotto il profilo 



PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

geomorfologico della zona, ma con l'ovvia considerazione che una attivit� 
di scavo agricolo condotta a profondit� superiore rispetto a quella 
consentita avrebbe sicuramente compromesso sia i reperti archeologici 
tutelati, sconvolgendo lo strato di terreno su cui i medesimi insi-
stono, che pregiudicano la possibilit� di reperire altre testimonianze 
frutto di un lavoro di ulteriore approfondimf:!nto dell'attivit� gi� por


tata a compimento. 

Quanto, infine, al rilievb secondo cui il Tribunale avrebbe dovuto 

tenere in considerazione traendone le necessari.e conseguenze ai fini 

dell'accoglimento del ricorso, il comportamento processuale dell'Ammi� 

nistrazione, che aveva omesso di ottemperare ad un provvedimento istrut 

torio con cui era stato richiesto il deposito della documentazione con 

cernente l'istruttoria posta in essere prima dell'imposizione del vin


colo, pare sufficiente ricordare che secondo un consolidato indirizzo 

giurisprud!!nziale, l'inottemperanza dell'Amministrazione alle richieste 

istruttorie del giudice autorizza quest'ultimo, a trarre da tale omis


sione conseguenze sfavorevoli, ed utili a corroborare quanto eventual


mente gia emerga dai dati probatori forniti dal ricorrente (fr;a le tante, 

VI, 9 maggio 1983 n. 345). 

L'omesso deposito, da parte dell'Amministrazione dei documenti ri


chiesti dal giudice, costituisce pertanto comportamento processuale da 

valutare nel contesto degli elementi probatori gi� forniti dalla parte 

ricorrente ed alla stregua dei motivi di censura da questa prospettati, 

ma non costit�isce una circostanza che debba necessariamente condur


re all'accoglimento del ricorso. 

Esattamente, pertanto, il primo giudice non ha, in concreto, rite


nuto rilevante il comportamento omissivo dell'Amministrazione, risul


tando comunque infondato, avuto riguardo alle censure dedotte, il ri


corso di primo grado proposto contro il provvedimento di vincolo 

diretto. 

L'appello proposto dalla Societ� Colli Fioriti avverso la decisione 

del TAR del Lazio, Sez. II n. 1089 del 22 novembre 1983 dev�, pertanto, 

essere respinto. 

6. -Devono poi essere esaminati gli appelli proposti dal Ministero 
dei beni culturali avverso le decisioni n. 661 del 22 luglio 1983 e n. 484 
del 23 marzo 1984 (quest'ultima impugnata, ovviamente, nella parte in 
cui si � verificata la soccombenza dell'Amministrazione),-che hanno 
annullato rispettivamente i decreti n. 109696 e 109697 con cui era stato 
imposto, a tutela della zona dichiarata di particolare interesse archeo. 
logico, 
il vincolo indiretto di inedificabilit� assoluta su alcuni terreni 
di propriet� della medesima Societ� Colli Fioriti e della Societ� R.E.L.A. 
Siffatti provvedimenti sono stati ritenuti dal TAR illegittimi in quanto 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la relativa motivazione non darebbe conto delle ragioni che avrebbero 
indotto l'Amministrazione alla imposizione delle misure in concreto adottate, 
contenendo il provvedimento espressioni generiche, ripetitive di formule 
legislative, inidonee a dar conto delle esigenze specifiche di tutela 
dei reperti archeologici. 

Di tali statuizioni si duole il Ministero dei beni culturali che, con 
distinti atti di impugnazione (di contenuto, peraltro, sostanzialmente identico), 
deduce che entrambi i provvedimenti di imposizione del vincolo 
indiretto apparirebbero congruamente motivati, in relazione alle situazioni 
e condizioni in concreto esistenti in loco, che sarebbero state compiutamente 
rappresentate nel provvedimento �impugnato. 

Gli appelli proposti dal Ministero dei beni culturali ep ambien~ali 
sono fondati e devono, pertanto1 essere accolti. 

Va, in proposito, preliminarmente ricordato che, entrambi i provvedimenti 
di imposizione del vincolo indiretto, dopo aver ricordato i reperti 
gi� sottoposti al vincolo diretto, espressamente rilevano che � per 
garantire la visibilit� e la godibilit� del complesso fortificato e della 
villa romana siti su una altura, nonch� la comprensione del loro assetto 
originario, tenuto conto dell'andamento altimetrico del terreno, � necessario 
creare un'area di rispetto intorno alla zona gi� sottoposta a vincolo 
diretto, limitata a nord-est dal Fosso di Fioranello, a sud-ovest 
dal Fosso del Divino amore, e a nord-ovest e sud-est per un raggio. di 
trecento metri dai resti archeologici �. 

Tale essendo la motivazione addotta a sostegilo dei provvedimenti 
del 19 marzo 1982, il Collegio Titien� che la stessa possa, in concreto, 
esser considerata sufficiente. 

La motivazione dei provvedimenti di imposizione del vincolo indiretto, 
di cui all'art. 21 �della L. 1� agosto 1939 n. 1089, ed in particolare 
di quelli che, come nel caso in esame, ~mpongono la creazione di una 
fascia di rispetto ll:�torno al bene oggetto del1� tutela diretta ed il 
conseguente vincolo di inedificabilit� assoluta, obbedisce allo scopo di 
palesare l'iter logieo seguito dall'Amministrazione per determinare le 
misure. adottate, al fine di valutare l'adeguatezza e la logicit� del sacrificio 
imposto ai privati proprietari ai sensi dell'art. 21 della legge n. 1089 
del 1939, e di verificare ch� attraverso di esse si provveda al perseguimento 
delle finalit� dalla norma indicate, e non, invece, di_ altre ad 
esse estranee. Sotto questo profilo, il provvedimento deve contenere 
sia l'indicazione delle finalit� che si � inteso perseguire 11ttraverso l'imposizione 
del vincolo indiretto, sia l'indicazione delle circostanze che in 
concreto, avuto riguaTdo alla natura e alle caratteristiche del bene ed 
alla sua ubicazione, hanno condotto in concreto, alla scelta del tipo 
di tutela adottata. 


PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 383 

A tali esigenze rispondono i provvedimenti di imposizione del vincolo 
indiretto sugli inimobili di propriet� della Societ� R.E.L.A. e della 
Societ� Colli Fioriti, dal momento che i medesimi, dopo aver ricordato 
che essi obbediscono allo scopo di garantire la godibilit� e la visibilit� 
del complesso fortificato e della villa romana, evidenziano che la necessit� 
di �creare una fascia di rispetto � direttamente collegata c�m la 
ubicazione dei beni sottoposti alla tutela diretta (che sono �siti su 
un'altura�) ed all'andamento altimetrico del terreno. 

I provvedimenti impugnati chiariscono, pertanto, che la creazione della 
fascia di rispetto intorno all'oppidum fortificato ed alla villa romana 
obbedisce allo scopo di realizzare due distinte finalit�, ~ntrambe inquadrabili 
fra quelle prese in considerazione dall'art. 21 (visibilit� e godibilit� 
dei reperti tutelati da una parte, e comprensione del relativo assetto 
originario, dall'altro), ~ che la scelta della misura imposta deriva, in 
concreto, dalla ubicazione dei reperti medesimi e dall'andamento altimetrico 
del terreno. I provvedimenti impugnati in primo grado appaiono, 
pertanto, motivati in concreto, con riferimento alla ubicazione spaziale 
dei medesimi, sicch� non pu� ritenersi che la motivazione in essi contenuta 
sia di stile, o, comunque, meramente ripetitiva di formule legislative. 


Nessuna specifica motivazione il provvedimento doveva invece contenere 
in ordine alla natura ed al valore dei reperti archeologici, e ci� 
per l'ovvia considerazione che la rilevanza di tali reperti sotto il profilo 
archeologico era gi� stata accertata con l'autonomo provvedimento -peraltro 
menzionato in quelli adottati ai sensi dell'art. 21 -con cui ne 
� stato dichiarato il particolare interesse sotto il profilo archeologico. 

In tale contesto, non acquista rilievo pratico la circostanza che le 
relazioni redatte dalla Soprintendenza archeologica di Roma (in numero 
di tre, di cui due a firma del Direttore archeologico Alessandro Badini, 
ed una del funzionario di zona architetto Mario Petrecca) non siano 
state richiamate nei decreti di vincolo indiretto, e ci� per la considerazione 
che la sufficienza della motivazione dei� medesimi appare affidata 
ai rilievi contenuti direttamente nei decreti adottati ai sensi dell'art. 21 
della legge n. 1089 del 1939, senza la necessit� di integrazione con le considerazioni 
formulate nelle predette relazioni. 

Va, altres�, osservato che la mancanzfi. di un espresso richiamo di 

tali relazioni nei provvedimenti di vincolo indiretto non appare sinto


matico di una carenza di istruttoria (il richiamo alle relazioni sarebbe 

stato rilevante invece, per l'eventualit� che fosse stato necessario inte


grare la motivazione dei provvedimenti); n� a tal fine, appare decisivo 

il fatto che le tre ~relazioni siano prive di data dal momento che tale 

circostanza non consente n� di affermare che Ie stesse siano state pre� 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO

384 

disposte prima della emanazione dei provvedimenti, n� di escludere che 
le stesse siano redatte in ~poca successiva. 

La doglianza appare, sotto diversi profili, priva di consistenza. 

Il T.A.R., del resto ha correttamente rilevato .che almeno una di essa 
� stata certamente predisposta prima dell'emanazione dei decreti di vincolo, 
risultando allegata ad una nota della Soprintendenza del 1� agosto 
1980, il che vale, comunqu�, ad escludere, che nel caso di specie sia mancata 
una istruttoria. 

Per ci� che concerne le altre due relazioni, va osservato che se quella 
a firma dell'architetto Petrecca sembra essere stata redatta, avuto riguardo 
al suo contenuto, dopo l'imposizione del vincolo indiretto (preoccupandosi 
essa di illustrarne le singole disposizioni) la seconda relazione 
a firma dell'architetto Badini pare contenere un approfondimento delle 
ragioni che hanno portato alla proposizione del vincolo indiretto di inedificabilit� 
assoluta: non a caso, del resfo, la medesima relazione � stata 
criticata dalla societ� appellante, la quale considera il suo contenuto idoneo 
ad evidenziare ulteriori profili di illegittimit� dei decreti di imposizione 
del vincolo, gi� formulati in primo grado con i motivi aggiunti e riproposti 
in questa sede con apposita memoria. 

7. -La rilevata fondatezza delle impugnazioni proposte dal Ministero 
dei beni cultura1i avverso le decisioni di primo grado che avevano pronunciato 
l'annullamento dei decreti di imposizione del vincolo indiretto 
sui terreni di propriet� della Societ� R.E.L.A. e della Societ� Colli Fioriti 
comporta la necessit� di procedere all'esame degli ulteriori profili di illegittimit�, 
esclusivamente da quest'ultima gi� dedotti in prime cure, dichiarati 
assorbiti dal Tribunale e riproposti in sede di appello. 
Deduce, in partico1are, la Societ� Colli Fioriti che nella fattispecie 
non si sarebbe tenuto conto della' circostanza che i beni archeologici 
da tutelare sarebbero costituiti da strutture appena affioranti sul terreno, 
cosicch� le stesse costituirebbero una realt� che potrebbe essere 
vista e � goduta � solo sul posto, e non da lontano, anche perch� i reperti 
si troverebbero su un'area che, pur essendo sopraelevata, sarebbe coperta 
daj.la v~getazione. Il provvedimento concernente la Societ� Colli 
Fioriti sarebbe, pertanto inficiato da un evidente errore nei presupposti, _ 
essendosi attraverso di esso inteso garantire la conservazione di prospettive 
inesistenti. 

Va, in proposito, preliminarmente osservato che il decreto di imposizione 
del vincolo indiretto � stato adottato allo scopo di realizzare diverse 
esigenze tutte riferibili �a quelle prese in considerazione dall'art. 21 
della legge n. 1089 del 1939, ciascuna delle quali, isolatamente considerata, 
appare idonea a fondare la legittimit� del provvedimento. Mentre, infatti, 
la � visibilit� � del complesso archeologico appare legata alla necessit� 

I 1: 
i 

~~ 



PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 385 

di garantire la possibilit� complessiva di percepire i reperti anche da 
diversi punti di vista, la (( godibilit�.)) ha invece riferimento alla oggettiva 
inserzione del complesso nell'ambiente circostante, ed esige di conseguenza 
che,_ non si realizzino, nell'area posta attorno ad esso e costituita come 
fascia di rispetto, opere contrastanti, anche nel loro aspetto formale, con 
il significato storico del bene tutelato; la necessit� di assicurare la � comprensione 
� dell'assetto originario del complesso in questione appare, infine, 
legata alla sua particolare natura di -(cittadella fortificata), ed alla relazione 
che la lega, in qualit� di insediamento destinato ad e~igenze prevalentemente 
militari e di difesa, con i luoghi in cui esso � ubicato. 

Il complesso archeologico in questione costituisce, infatti un oppidum 
fortificato che risulta ubicato su di una altura per esigenze strategiche 
e di difesa militare, sicch� il venir meno dell'assetto originario del luogo 
(ed in particolare, la possibilit� di edificare lungo i dorsali dell'altura) 
comporterebbe la perdita della possibilit� di apprezzare� la posizione strategica 
del complesso e, di conseguenza, il suo significato originario. 

Deriva da ci� che anche se dovesse non apparire l'esigenza di man!enere 
la � visibilit� � dei reperti in questione, non per questo potrebbe ritenersi 
illegittimo il� provvedimento impugnato, apparendo esso, comunque, 
legato ad altre finalit�, ricomprese fra quelle indicate nell'art. 21 
della legge n. 1089 del 1939, ed idonee.�a fondarne la legittimit�. 

Per altro verso, va notato che la circostanza eh~ i reperti si trovino 
in una zona coperta da vegetazione non esolude la legittimit� del vincolo, 
ben potendo tale vegetazione essere rimos'sa proprio allo scopo di consentire 
tale visibilit�, laddove la realizzazione di costruzioni sul pendio della 
collina {peraltro gi� prospettate) pregiudicherebbe definitivamente -come 
evidenzia la documentazione planimetrica prodotta dall'Amministrazione 
-la possibilit� di percezione dei manufatti antichi. 

Allo stesso modo, la circostanza che le mura perimetrali della citta


della fortificata siano parzialmente interrate non ne esclude la visibilit�, 

unitamente a quella delle altre strutture esistenti nella zo?a sottoposta a 

vincolo diretto. Tale visibilit� potr�, peraltro, essere significativamente 

migliorata con l'effettuazione di opere di restauro, laddove la realizzazio


ne di costruzioni della fascia di rispetto pregiudicherebbe definitivamen


te le condizioni di visibilit� del complesso..Al fine di valutare la legittimit� 

della imposizione del vincolo indiretto ed in particolare, della prescn


zione di assoluta inedificabilit�, deve infatti essere tenuto presente il 

tipo, di bene culturale cui esse ineriscono e che intendono salvagilardare, 

e che � costituito non da un monumento la cui percepibilit� risulta defi


nitivamente stabilita, ma da un complesso archeologico le cui condizio


ni di visibilit� sono ulteriormente migliorabili con l'effettuazione, nel 

tempo, di successivi interventi di r.estauro. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA .DELLO STATO

386 

Si tratta comunque, di osseryazioni che non acquistano rilievo decisivo 
ai fini dell� legittimit� del provvedimento impugnato, dal momento 
che esso mira soprattutto, a garantire la comprensione e godibilit� del 
complesso archeologico, mantenendo intatta la possibilit� di percepire il 
significato storico. E poich� tale complesso archeologico � costituito dai 
resti di una cit~� fortificata, collocata sopra una altura per esigenze di 
carattere strategico-militare, l'esigenza di assicurare la comprensibilit� 
e la godibilit�, implica la necessit� di conservare l'ambiente circostante, 
che viene in rHievo non per un autonomo valore paesaggistico (nel qual 
caso ci si troverebbe di fronte ad un provvedimento illegittimo) ma per la 
imprescindibile correlazione che lo lega direttamente all'insediamento, a 

1 

causa della sua natura di centro fortificato. 

8. -I rilievi sopra esposti evidenziano, alttes� che il contenuto delle rela?
ioni predisposte dall'Amministrazione, lungi dal porre sintomaticamente 
in luce profili di illegittimit� del provvedimento di vincolo indiretto, 
appare idoneo a giusti~fcare le misure adottate. Del contenuto di tali relazic;
mi la Societ� appellante sembra, innanzi' tutto, fare una lettura parziale, 
che ricorda al�uni soltanto dei resti arch�ologici, omettendo di COJ,l� 
siderare altri reperti di notevole interesse (quali i resti monumentali 
della villa romana di et� imperiale, ed in particolare della grossa cisterna 
della medesima), e ct>munque di fornire la necessaria visione unitaria 
del complesso. 
Le affermazioni, pure contenute nella seconda relazione a firma dell'architetto 
Badini, secondo cui l'intera oollina su cui sorgono i reperti 
archeologici dovrebbe costituire � monumento � da tutelare, non comporta, 
come sembra suggerire la societ� appellante, che l'ambiente stesso in cui 
si inseriscono i medesimi reperti sia stato considerato bene archeologico, 
ma obbedisce allo scopo di� porre in luce la particolare correl~ione esistente 
nella fattispecie tra la cittadella fortificata e la sua ubicazione, 
dovuta a scelte di natura strategico-miUtare, con la conseguente necessit� 
di mantenere l'assetto dei luoghi per apprezzare il significato proprio dell'insediamento. 
Sulla. collina, del resto, non grava alcun vincolo diretto che 
�, quello che riguarda i beni di particolare interesse archeologico ma 
� stato, invece, imposto il vincolo indiretto ai sensi dell'art. 21 della 
legge n. 1089 del 1939; il che evidenzia che la stessa � stata considerata 
dall'Amministrazione fra le �condizioni di ambiente� del bene archeologico, 
che devono essere salvaguardate per la fruibilit� in senso ampio del 
medesismo, e quindi come un oggetto non immediato ma strumentale di 
tutela. 

9. -Le superiori notazioni rendono, infine, evidente. che con il decreto 
ex art. 21 della legge n. 1089 del 1939 H Ministero dei beni culturali 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 387 

non ha inteso conservare o tutelare le beHezze panoramiche e paesaggistiche 
che si godono dal complesso archeologico, ma conservare l'ambiente 
naturale in cui esso insiste, in quanto ritenuto, con un giudizio che 
costituisce espressione di discrezionalH� tecnica, condizione indispensabile 
per la stessa comprensione del significato del bene archeologico. 

Nel provvedimento di imposizione d~l vincolo indiretto, risultano poi, 
espressamente indicate, contrariamente a quanto affermato dall'appellante, 
le cose che presentano interesse archeologico, che sono quelle gi� 
sottoposte al vincolo diretto. A tal fine, viene infatti richiamato espressamente, 
;nel decreto del 19 marzo 1982, il precedente atto con cui i reperti 
in questione sono stati dic}liarati di particolare interesse archeologico. 

10. -L'accertata infondatezza dell'appello proposto dalla Societ� Colli 
Fioriti avverso la decisione del TAR del Lazio n. 1089 del 1983, e la con� 
seguente piena legittimit� del provvedimento n. 318012 del 23 settembre 
1980, con cui � stato imposto il vincolo diretto sui reperti archeologici 
in questione, evidenzia infine l'infondatezza della censura (pure riproposta 
in grado di appello con la memoria) con cui era stata dedotta l'illegit� 
timit� derivata del decreto impositivo del vincolo indiretto sui terreni 
della medesima societ� Colli Fioriti. 
11. � In conclusione, l'appello proposto dalla Societ� Colli Fioriti avverso 
la decisione n. 1089 del 1983 della II Sezione del TAR del Lazio 
deve essere respinto, risultando di conseguenza confermata la legittimit� 
del provvedimento di imposizione del vincolo diretto del 23 settembre 
1980. 
Devono, invece, essere accolti appelli proposti dal Ministero dei 
beni culturali ed ambientali avverso le decisioni della II Sezione del 
TAR del Lazio n. 661 del 1983 e n. 484 del 1984, sicch�, in riforma delle 
impugnate sentenze, deve essere pronunciato il rigetto dei ricorsi di 
primo grado a suo tempo proposti dalla Societ� Colli Fioriti e dalla 
Societ� R.E.L.A. rispettivamente avverso i decreti n. 109696 e 109697 del 
19 marzo 1982, con cui � stato imposto il vincolo indiretto su alcuni 
immobili delle medesime societ�. 

14 



SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 19 gennaio 1987 n. 410. Pres. Zucconi Est. 
Sgroi � P. M. Caristo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Baccari). c. Pestalozza (avv. Vacca). 

Tributi erariali indiretti � Imposta di successione � Interessi . � Imposta 

complementare -Imputabilit� del ritardo � Accertamento infondato 

~oi corretto dall'ufficio -Non esonera dall'obbligazione di interessi. 

(I. 26 gennaio 1961, n. 29, art. 1; I. 20 marzo 1961, n. 147). 
Se pure l'obbligazione per gli interessi sull'imposta complementare 
non consegue al pur� e semplice ritardo ma richiede un fatto imputabile 
ai-debitore, non vale a giustificare l'inadempimento la notificazione di 
un atto di accertamento gravemente infondato, e successivamente corretto 
dall'ufficio, perch� ci� rientra in una seria causale autonoma e non influente 
sull'obbligo di corrispondere gli interessi sulla imposta complementare 
definitivamente determinata (1). 

(omissis) Si deve, pertanto, esaminare il ricorso dell'Amministrazione 
Finanziaria che �deduce la violazione ed erronea appli�azione della legge 
26 g�nnaio 1961 n. 29 e della legge 26 marzo 1962 n. 147, nonch� alla. legge 
12 giugno 1930 n. 742 e della legge tributaria sulle successioni approvata 
con r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; nonch� 
omessa, insufficiente e contrad~ittoria motivazione circa punti decisivi 
della controversia (art. 360 n. S c.p.c.), 'osservando che l'imputabilit� 
della mancanza degli elementi occorrenti per la liquidazione dei tributi 
sulla successione � conseguenza della violazione di un obbligo di fedele 
dichiarazione del valore, a carico dei soggetti a tanto tenuti, e che la 
divergenza fra il valore dichiarato e quello accertato � da sola sufficiente 
a far sorgere l'obbligo degli interessi a carico dei contribuenti, giacch� 

(1) La sentenza � sicuramente corretta. �Desta tuttavia meraviglia l'impegno 
profuso dalle Sez. Unite per la risoluzione di un caso lineare. Se l'obbligazione 
per gli interessi discende dalla mora, l'imputabilit� della mora non solo 
� presunta ma � pressoch� indefettibile; meno che mai il fatto causativo dell'adempimento 
non completo (ossia la non fedele dichiarazione) pu� essere 
influ�nzato da fatti successivi dell'ufficio (accertamento). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

tali interessi moratori sono dovuti per: il solo fatto del ritardo nell'adempimento 
del pagamento delle imposte. 

L'Amministrazione rileva. che le Pestalozz� non hanno presentato 
alcuna dichiarazione integrativ.a di valore (ex art. 12 legge n. 742 del 1930), 
neppure nel ricorso alla Commissione, e sono tenute a pagare gli .interessi 
sulle imposte liquidate con riferimento ai maggiori valori definitivamente 
accertati, fino all'effettivo pagamento. 

Nella specie, secondo l'Amministrazione, non poteva essere determinante 
(come erroneamente aveva affermato la Commissione Centrale) la 
circostanza che l'Ufficio aveva annullato per un grosso cespite il valore 
accertato in via cautelativa perch�, mentre il notevole divario risulta 
dall'entit� stessa degli interessi (ammontanti ad oltre due milioni annui), 
la distinta valutazione per i diversi cespiti avrebbe facilitato la presentazione 
di una dichiarazione integrativa. Pertanto, conclude l'Amministrazione, 
gli interessi sono dovuti fino alla data dell'effettivo pag�mento, a 
far tempo d�lla data di esigibilit� dei tributi principali. 

Il ricorso � fondato. L'errore della decisione impugnata consiste nell'aver 
limitato, nel tempo, la decorrenza degli interessi moratori, pur 
avendo riconosciuto, in linea df principio, l'esistenza di un divario fra 
il valore dichiarato dalla parte e quello definito in sede di determinazione 
di imposta complementare, e cio� il fatto costitutivo dell'obbligo d�gli interessi 
moratori, secondo la giuriprudenza di questa Corte (cfr. fra le 
altre conformi, Cass. 9 novembre 1977 n. 4789; Cass. 6 gennaio 1979 n. 60; 
26 aprile 1979 n. 2414; 14 gennaio 1982 n. 223; 5 marzo 19~4 n. 1546; 4 settembre 
1984 n. 4755; sez. un. 10 dicembre 1984 n. 6478). 

L'implicita ratio della decisione impugnata consiste nell'affermazione 
che a decorrere dal 5 dicembre 1963 � sorta una causa del tutto indipendente 
del ritardo, da sola sufficiente a giustificare il ritardato adempimento 
dei contribuenti, e cio� un avviso di accertamento di� valori illegittimo 
per quanto atteneva ad alcuni cespiti non solo non suscettibili 
di giudizio di congruit�, ma rettificati per un ammontare rilevantissimo; 
avviso pernltro riconosciuto illegittimo dalla stessa Amministrazione, che 
lo ha sostituito con un altro notificato il 30 settembre 1970. L'errore della 
Commissione Centrale dipende, in prim~. luogo, dalla omessa motivazione 
su un punto decisivo della controversia, costituito dalla circostanza che 
anche nell'avviso del 1970 i valori dei cespiti immobiliari erano stati valutati 
nella stessa misura indicata nel precedente avviso del 1963 e che 
il concordato � stato stipulato tenendo presenti detti maggiori valori, 
assai lontani da quelli originariamente dichiarati dai contribuenti (il divario 
era di circa 167 milioni). L'omissione della considerazione di detta 
circostanza decisiva, da cui risultava che il valore attrjbuito in sede di 


390 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO. STATO 

denuncia di successione, dai contribuenti agli immobili non aveva alcuna 
giustificazione, ha portato all'errore di diritto giustamente denunciato 
� dall'Amministrazione, in quanto la differenza tra l'imposta pagata in via 
principale e quella dovuta e determinata in sede di imposta complementare 
non era stata influenzata dall'illegittimo accertamento dell'Ufficio relativamente 
ad altri valori (mobili e crediti), ma dipendeva esclusivamente 
dal divario dei valori immobiliari. Risultava pertanto l'elemento costitutivo 
dell'obbligo. del pagamento degli interessi e cio� la � insufficienza degli 
elementi occorrenti alla liquidazione� (legge n. 147 del 1962). Come 
risulta dal secondo comma dell'art. unico della suddetta legge interprefativa, 
l'es�nero dal pagamento degli interessi �a decorrere dallo stesso 
giorno in cui, per essere sorto il rapporto tributario, � dovuto il tributo 
principale � � accordato soltanto se non � dipesa da fatto imputabile 
al contribuente la suddetta insufficienza degli elementi occorrenti 
alla liquidazione del tributo; ed � evid~nte che l'illegittima pretesa del1'
Amministrazione di elevare i valori di altri beni, su cui non era dovuto 
il tributo comple.rnentare, non esclude il fatto imputabile al contribuente, 
che deve valutarsi in relazione al tributo complementare effettivamente 
dovuto. Gli interessi dipendono, invero, . non soltanto dal tempo, e cio� 
dal ritardo nel pagamento, ma anche dalla base di commisurazione di 
tale somma accessoria, e cio� dall'importo del tributo complementare, liquidato 
in ritardo per effetto della insufficienza degli elementi contenuti 
nella dichiarazione originariamente (nonch� in altre eventuali dicliiarazioni 
successive, che non risultano considerate dalla Commissione Centrale). 
Che anche la �durata� di tale ritardo (e cio� l'altro elemento che 
concorre a determinare la misura degli interessi) non fosse estraneo al 
fatto imputabile al contribuente risulta dal :rilievo che i contribuenti, nell'ambito. 
del loro dovere di collaborazione strumentale rispetto all'adempimento 
degli obblighi tributari, avrebbero ben potuto neutralizzare gli 
effetti del ritardo con cui lAmministrazione ha riconosciuto la parziale 
illegittimit� dell'avviso di accertamento del 1963 con una dichiarazione integrativa 
relativa ai cespiti immobiliari, in ordine ai quali quella illegittimit� 
non sussisteva, mettendo l'Ufficio in condizione di liquidare l'imposta 
complementare limitatamente agli immobili. In tal caso, infatti, se 
l'Ufficio ma avesse acceduto ad una richiesta di liquidare separata.
mente .(anche nelle forme del concordato) il tributo complementare sui" � 
maggiori valori immobiliari, i contribuenti avrebbero interrotto l'efficacia 
causale della primitiva inesattezza contenuta nella denuncia di successione 
(cfr. Cass. 20 luglio 1977 n. 3247, in ipotesi di ritardo dell'azione 
amministrativa, non esoneratrice della responsabilit� del contribuente). 
Invero, deve sottolinearsi che nel sistema della legge speciale il ritardo 
nell'adempimento -oggettivamente produttivo di vantaggio per il solvens 

I 


� 


PARIB l, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 391 

e di danno per l'accipiens -non � sufficiente da solo, con riguardo all'imposta 
complementare, ma si fonda su una negligente dichiarazione di 
valore, presuntivamente imputabile al contribuente, salva prova contraria. 
Questa prova non pu� �riguardare l'illegittimo operato dell'Amministrazione 
riguardante altri cespiti e non influente sulla determinazione dell'imposta 
complementare in definitiva dovuta, proprio per l'estraneit� 
di detto comportamento sia sull'ammontare de1Fiinposta, sia sul divario 
fra i valori immobiliari dichiarati e que11i definitivamente accertati. .Si 
tratta di due serie causali del tutto indipendenti ed autonome, una delle 
quali (quella posta in essere dall'Ammi~istrazione) non ha rilievo nell'ambito 
della legge n. 147 del 1962 perch� non ha influito sugli elementi 
occorrenti alla liquidazione del tr�buto complementare, come � previsto 
nella legge interpretativa citata, che contiene elementi di specialit� rispetto 
alle corrispondenti norme del codice civile, in relazione alle necessit� di 
'acquisire tutti gli elementi p.er la liquidazione dell'imposta complementare 
sui trasferimenti. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 20 gennaio 1987 n. 460 -Pres. Brancaccio 
-Est. Maltese -P. M. Paolucci (conf.). Soc. SIR c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Linguiti). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso alla Corte di appello Termine 
per ricorrere alla Commissione Centrale non ancora decorso 
-Omessa eccezione innanzi alla Corte d'appello -Deduzione 
con ricorso per cassazione -Inammissibilit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 40). 
... 

La proposizione del ricorso alla Corte d'appello prima che sia decorso 
il termine per ricorrere alla Commissione Centrale comporta una improcedibilit� 
temporanea superata per acquiescenza d~ll'altra parte che non 
abbia proposto la relativa eccezione; l'improcedibilit� non pu� di conseguenza 
dedursi con ricorso per Cassazione (1). 

(1) Decisione da condividere. L'improcedibilit� del ricorso stabilita nell'art. 
40 � posta al fine di impedire la duplice impugnazione nelle due sedi; 
essa non pu� di conseguenza essere dichiarata n� quando il termine matura 
prima della decisione della corte, n� quando l'altra parte (anzi tutte le altre 
parti) consentono, non sollevando eccezioni, alla scelta della corte di appello 
come giudice della impugnazione. Si dovrebbe ancora aggiungere che la parte 
resistente non possa sollevare l'eccezione quando, per essere totalmente vittoriosa 
o per altra causa preclusiva, non possa validamente ricorrere alla 
Commissione centrale. 

392 RASSEGNA l>EU.'AVVOCATURA l>ELLO ..STATO 

(omissis) Premesso che, ai sensi dell'art. 40, �decorso inutilmente 
per tutte le parti il termine per ricorrere alla Commissione centrale, 
la decisione della Commissione di secondo grado pu� essere impugnata 
entro novanta giorni davanti alla Corte di appello �, afferma che, essendo 
stato il termine prorogato da leggi successive fino al 30 giugno 
1978, l'Amministrazione finanziaria non avrebbe potuto, prima di tale 
data proporre appello, essendo la Corte priva di giurisdizione nella 
controversia. 

Il motivo � infondato e deve essere disatteso perch� non dedotto dalla 
societ� Sarda Resine davanti alla .Corte d'appello. 

L'eccezione, invero, riflette non, come afferma la ricorrente, il difetto 
(temporaneo) di giurisdizione dell'autorit� adita, bens� l'improcedibilit� 
(temporanea) della domanda d'appello, fino al maturarsi del �dies ad 
quem � previsto dal citato art. 40 d.P.R. n. 636 del 1972: momentanea 
assenza della condizione di procedibilit�, superabile e superata, per acquiescenza, 
dalla stessa �societ� interessata, la quale non sollev� la corrispondente 
eccezione nella comparsa di risposta d'appello. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 gennaio 1987 n. 512 -Pres Sandulli Est. 
Rocchi -P. M: VisalJi (conf.) -Minist�ro delle Finanze (avv. 
Stato Palatiello) c. Soc. Dragaggio Pescara. 

Tributi locali -Imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili 
-Societ� -Applicazione per decorso decennio -Estensione 
alle Societ� di ogni tipo a norma dell'art. 1 legge 22 dicembre 1975 

n. 694 -Efficacia per il decennio 1966-75. 
(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 3; legge 22 dicembre 1975, n. 694, artt. 1 e 7). 
La norma dell'art. 1 della legge 22 li.icembre 197!5 n. 694, che ha modificato 
l'art. 3 del d~P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 nel senso' di estendere 
l'applicazione dell'INVIM per decorso decennio alle societ� di ogni tipo 
e oggetto, pur essendo in vigore dall'l gennaio 1976, produce effetto 
anche per il decmnio 1966-1975 (1). 

(omissis)� Con l'unico motivo di ricorso, denunziando violazione e 
falsa applicazione degli artt. 1 e 7 cpv. della legge 22 dicembre 1975, 

n. 694 in relazione all'airt. 360, n. 3 c.p.c., l'Amministrazione finanziaria 
(1) Dedsione di evidente esattezza . 
.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.-.�.�.-.�.�.�.�..-.-.-.�rr.�.-.-.-,.-�.r.r.�.r.�.-.-.-.-r.�.-.�.�.-.-..-.-.�.-.-,-,-,�. � � .-.-, � � � � � � � .-. � � �.� � � �.� � � ��� �.�.� ��� �.� �.-..�-.'.� �--�.� �.�. .-.�.z�:�:�:�:�zz:�:�:�:�z�:�:�:".�'.':�'.�?Z<:�:�:�:�:�:<:�Z�:'Z'.':�:~�.>:-:�.�:�.�.�.�.�.�.�.'.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.'.�.�.�1�.�.�.�.� 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 393 

deduce che le modifiche apportate dall'art. 3 d.P.R. n. 643/1972, in base 
alle quali l'Invirm decennale � dovuta da tutte le societ� senza distinzione 
di tipo e di oggetto, si applicano retroattivamente agli incrementi maturati 
nel decennio scaduto alla data del 1� gennaio 1976. Conseguentemente, 
l'Amministrazione deduce che, nella specie, va assoggettato a 
tassazione l'intero incremento di valore maturato nel decennio intercorrente 
dal 1� gennaio 1966 al 31 dicembre 1975. 

La"" censura � fondata. 
Premesso che la nuova normativa dettata nella materia in oggetto 
dalla legge n. 694/75 estende l'applicazione dell'invim decennale alle societ� 
di ogni tipo ed oggetto, cancellando la previgente limitazione della 
obbligazione .tributaria de qua alle sole societ� che svolgevano in modo 
~sclusivo o prevalente attivit� di gestione di immobili, va avvertito che, 

se il primo comma dell'art. 3 della legge citata prevede che � le disposizioni 
degli articoli precedenti (recanti la innovazione ricordata) hanno 
effetto dal 1� gennaio 1976, peraltro il sec01;1do comma dello stesso 
articolo recita�� testualmente: � Le societ� e gli enti ai quali l'imposta 
viene estesa per effetto dell'art. 1 devono presentare la dichiarazione, 
relativamente agli immobili per i quali il primo decennio � gi� scaduto 
alla data del 1� gennaio 1976, entro il 31 luglio 1976, e, successiv~mente 
entro il 31 luglio dell'arino di compimento' dr ogni ulteriore decennio �. 

Orbene, quest'ultima disposizione, imponendo l'obbligo della dichiarazione 
di valore relativamente al decennio scaduto al 1� gennaio 1976, 
dichiarazione che costituisce la base per !'accertamenti:> e la riscossione 
della imposta della quale trattasi (art. 19 del decreto n. 643/72), � sufficient�mente 
indicativa del fatto che le modifiche apportate all'art. 3 del 
citato decreto (nel senso sopraricordato ~i estendere l'imposta a tutte 
le societ� senza distinzione di tipo o di oggetto) si applicano retroattivamente 
agli incrementi di valore maturati nel decennio anteriore al 
l� gennaio 1976 e, quindi, �l decennio di cui si discute nella specie, 
scadut�, appunto, al 31 dicembre 1975. 

D'altronde, tale interpretazione si pone in perfetta armonia con 

lo scopo della J. n. 694 del 1975, che, volendo ovviare alle difficolt� di 

precisazione del concetto di � attivit� di gestione di immobili � e alla 

possibilit� che nell'ambito del decennio potessero distinguersi, in rela


zione alla attivit� svolta saltuariamente dall� societ�, incrementi tassa


bili e incrementi non tassabili, non poteva poi consentire che la nuo".a 

norma si applicasse solo agli incrementi maturati nei decenni decorrenti 

dal 1� gennaio 1976, e cio�: in definitiva, dieci anni dopo la sua entrata 

in vigore. (omissis) 



394 RASSEGNA DELL'A.VVOCATURA DELLo STATO 394 RASSEGNA DELL'A.VVOCATURA DELLo STATO 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 gennaio 1987, n. 722 -Pres. Scanzano 
-Est. Rossi -P. M. Amirante (conf.). -Rainoni c. Ministero :: 

( 

delle Finanze (Avv. Stato Palatiello). {:: 

I

Tr~buti in genere -Contenzioso tributario � Ricorso alle Commisisoni Provvedimenti 
impugnabili � Atto che nega la spettanza di esenzioni 

I

pluriennali -Omessa� impugnazione � Defini!ivit�. 

(r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, art. 23; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). 
I 

Il provvedimento dell'ufficio che nega la spettanza di una agevolazione 
pluriennale che non opera automaticamente � un atto idoneo a 
risolvere in via potenzialmente definitiva un conflitto di interessi rientrante 
nella previsione dell'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, 
analogamente a quanto anteriormente disponeva l'art. 23 del r.d. 8 luglio 
1937 n. 1516 (1). 

(omissis) Il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 16 del d.P.R. 
26 febbraio 1972 n. 636 e 23 del R.D. 8 luglio 1937 n. 1516 nonch� dell'art. 
15 delle disp. sulla legge in generale (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), lamenta 
sia con il primo sia con il second� motivo, sostanzialmente ripetitivo 
dell'altro (tranne che per la invocazione di una �inammissibile � prassi � 
a lui favorevole), che la Commissione Centrale abbia ritenuto che avverso 
il provvedimento di rigetto della sua domanda di esenzione dovesse 
essere presentato ricorso nei consueti termini e che la mancata impugnazione 
di quel prnvvedimento avesse comportato la preclusione, ex 
art. 23 del R.D. n. 1516/1937, di ogni �possibilit� di contestazione sul 
punto. Secondo il ricorrente la Commissione Centrale avrebbe dovuto 
invece considerare che il citato art. 23 del R.D. n. 1516/1937 � stato sostituito 
con modifiche dall'art. 16 del d.P.R. n. 636/1972, e pervenire ad 
opposta. decisione in base a tale ultima norma, applicabile al momento 
della comunicazione del rigetto, della sua domanda di esenzione, rilevando 
che la stessa non contempla, tra . gli atti da impugnare nei ter� 
mini di decadenza stabiliti, il provvedimento di cui si. discute. 

Tale assunto va respinto. 

(1) In senso specifico v. Cass. 3 novembre 1986 n. 6647 in questa Rassegna, 
1987, I, 170. Pi� in generale sui provvedimenti di diniego delle agevolazioni 
pluriennali e sulla nozione di accertamento in senso ampio da assegnare all'art. 
16 cfr. la giurisprudenza riportata in nota alla sentenza citata. 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

L'esenzione dell'imposta di ricchezza mobile per dieci anni, dalla data 
di inizio dell'attivit� produttiva, prevista dall'art. 8 della legge 29 luglio 
1957 n. 635 in favore delle nuove imprese artigiane o delle nuove 
piccole industrie nelJe localit� economicamente depresse dell'Italia settentrionale 
e centrale, non opera automaticamente per il solo verificarsi 
dei suoi presupposti di fatto, ma postula l'iniziativa del contribuente 
con apposita domanda di ammissione al beneficio (cfr. Cass. sent. 5506/81). 

E l'atto con cui l'Amministi:_azione Finanziaria riconosce spettare al 
contribuente tale esenzione, concessa� dalla legge nel concorso di determinati 
requisiti, concretizza pur sempre -anche quando tali requisiti 
siano rigidamente predeterminati dalla norma in guisa che non sussista 
rispetto ad essi alcun margine di apprezzai.ento discrezionale -un 
operato dell'Ufficio ai sensi dell'art. 23 del R.D. 8 luglio 1937 n. 1516: e 
cio� un atto avente consistenza e natura di provvedimento amministrati


'vo, . giaccli� � idoneo a risolvere in via potenzialmente definitiva un 

conflitto d'interessi circa la ricorrenza degli elementi costitutivi della 

fattispecie legale di esenzione. 

Ne consegue che la mancata impugnazione del provvedimento con 
cui a suo tempo l'Amministrazione abbia disatteso la istanza di ammissione 
al beneficio della esenzione impedisce ogni successiva contestazione 
sul punto, ostandovi la preclusione nascente dal citato art. 23 come 
la Commissione Centrale ha esattamente rilevato (ex Cass: sent. 
3343/1978). 

N� si pu� pervenire a diversa conclusione per l'art. 16 del citato d.P.R. 

n. 636/72 e �per il fatto che esso non contempli, tra gli atti da impugnare 
nel termine di decadenza ivi stabilito, il provvedimento di cui si discute. 
Quella norma richiama una serie di atti tipici, ma al limitato fine 
di far decorrere dalla loro notificazione il termine di decadenza della 
impugnazione. Ne fa cio� una elencazione non tassativa; ed infatti nulla 
consente di ritenere che con la stessa sia stata determinata una eccezione 
nei confronti di ogni altro atto od �operato� dell'Amministrazione 
Finanziaria nel senso di consentirne la ricorribi:lit� senza decadenza 
possibile. 

Nella disciplina del contenzioso tributario introdotta con il ripetuto 

d.P.R. 636/72 la tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente mediante 
ricorso alle commissioni tributarie riguarda infatti tutte le controversie 
riconducibili ~ come quella in esame -nell'ambito della competenza 
fissato con l'art. 1� ed ancorch� inerenti a tributi soppressi. 
Uniformata a tali regole, la decisione qui impugnata si sottrae ad 
ogni censura. (omissis). 


396 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 febbraio 1987 n. 947 � Pres. Granata Est. 
Sgroi -P. M. Martinelli (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Laporta) c. Tigano (avv. Pascasio). 

Tributi erariali diretti � Imposta unica sul reddito delle persone fisiche Redditi 
di lavoro dipendente � Indem.t� di buonuscita ENPAS Imponibilit� 
� Condizioni e limiti. 

In forza della legge 26 settembre 1985 n. 482 e della sentenza della 
Corte Costituzionale 7 luglio 1986 n. 178, l'indennit� di buonuscita corrisposta 
dall'ENPAS � imponibile con esclusione della parte corrispondente 
al rapporto tra il contributo del 2,50% a carico del dipendente e 
l'aliquota complessiva det contributo (1). 

(omissis) Col secondo motivo TAmministrazione deduce la violazione 
e falsa applicazione degli artt. 1, 12 lett. e), 46 e 48 d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 597, dell'art. 2 n. 19 lett. b) della 1. 9 ottobre 1971 n. 825 
e dell'art. 37 d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032, osservando: 

-che l'indennit� di buonuscita non � paragonabile ai sussidi assistenziali 
e neppure al c~pitale erogato nei contratti di assicurazione; 
-che le differenze strutturali e funzionali deH'indennit� di buonu


scita rispetto all'indenn.it� di anzianit� sono irrilevanti; 

-che infatti, la buonuscita non � a carico dell'ENPAS, ma di un 
Fondo Amministrativo del predetto Ente,. alimentato in maniera prevalente 
dai versamenti delle Amministrazioni datrici di lavoro, mentre gli 
iscritti sono chiamati -secondo criteri di mutualit� -a corrispondere 
contributi che refluiscono in una massa patrimoniale indistinta; 

-cl;J.e dal 1� gennaio 1976 il diriitto a pensione non � pi� condizione 
per l'erogazione della buonuscita; 

-che l'attribuzione dell'indennit� ai pi� stretti congiunti superstiti 
risponde agli stessi criteri a cui era ispirato l'art. 2122 e.e. 

-che l'esenzione da imposta dei contributi a carico del dipendente 
si spiega con la loro finalit�; 

-che l'indennit� si ricollega ad un rapporto di impiego e rappresenta 
retribuzione (differita), cos� da costituire reddito e da integrare 
il presupposto impositivo dell'IRPEF. 

(1) La sentenza ha chiuso la porta alle velleit� di ritenere l'indennit� di 
buonuscita totalmente esente dall'imposta. La disciplina dell'incidenza dell'im�


posta � ora riprodotta nell'art. 17 del T.U. delle imposte dirette. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA tRIBUTARIA 397 

Il motivo � fonc!-ato, nei limiti che risulteranno dall'esposizione che 
segue. 

Il Collegio non pu� che riconfermare -non emergendo nuovi argomenti 
-quanto gi� affermato con l'ordinanza 31 gennaio 1986 n. 48 
di rimessione alla Corte Costituzionale e con la successiva sentenza 22 
aprile 1986 n. 2827 e cio�: 

a) che il rapporto de quo � regolato dalla legge 26 settembre 1985 

n. 482, in base al primo comma dell'art. 4; 
/ 

b) che, in base alla lettera e) dell'art. 12 del d.P.R. n. 797 del 1973 
come sostituito dall'art. 1) della legge n. 482 non � seriamente discutibile 
la ricomprensione in detta normativa dell'indennit� erogata dall'ENPAS 
ai dipendenti stf!.tali, atteso che ~che la disciplina preesistente 
disegnava una nozione di �reddito� in termini normativi e non in dipen� 
denza di astratte considerazioni sulla natura e le finalit� della predetta 
indennit�. 

Tuttavia, a seguito della sentenza n. 178/86 della Corte Cost. la legge 

n. 482 deve essere applicata setondo i criteri desunti dalla dichiarazione 
di illf'.!gittimit� costituzionale degli artt. 2 e 4 commi primo e quarto, 
della legge stessa, nella parte in cui non prevedono che dall'imponibile 
da assoggettare ad imposta vada detratta anche una somma pari alla 
percentuale dell'indennit�. di buonuscita corrispondente al rapporto esistente 
alla data del collocamento a riposo fra il contributo del 2,50% . 
posto a carico del pubblico dipendente �e l'aliquota complessiva del contributo 
previdenziale obbligatorio versato al Fondo di previdenza dell'ENPAS. 
I suddetti criteri sono quelli risultanti dalle circolari ministeriali 
n. 2 del 5 febbraio 1966 e n. 31 dell'8 agosto 1986, pubblicate nella G.U. 
e si sostanziano nella ricerca di tre elementi: la base imponibile; le 
detrazioni, il reddito di riferimento per la fissazione dell'aliquota da 
applicare alla base imponibile. 
Base imponibile. Ai sensi degli a~tt. 2 e 4 della legge 482, la buonuscita 
� imponibile per un importo che si determina riducendo il suo importo 
di una somma fi8'sa per ogni anno di anzianit� (sulla base dei quali 
la suddetta indennit� � �stata a suo tempo calcolata dall'ENPAS); somma 
che per i rapporti cessati negli anni 1980..1982� � di L. 370.000 per ogni 
anno. 

Detrazioni. La sentenza della Corte Cost. ha stabilito che il raffronto 
fra l'importo dei contributi a carico del dipendente e quello complessivo 
corrisposto va fatto con riferimento alla situazione esistente alla data 
del collocamento a riposo e tenendo presenti le due quote contributive (a 


398 

RASSEG:NA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

carico del dipendente ed a carico dell'Amministrazione statale) in ter� 
mini di indennit� nel senso che il contributo complessivo sta a fronte del-
l'intero importo dell'indennit�, mentre l'incidenza percentuale della quota 
contributiva a carico del dipendente serve ad individuare la somma 
da detrarre dal predetto importo. Per gli anni 1980-1981 la percentuale 
di riduzione della indennit� per stabilire la base effettivamente imponibile, 
� del 29,06% a norma del d.P.R. 5 giugno 1965 n. 759, art. l, del 

d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032, art. 37, e della 1. 20 marzo 1980 n. 75, 
art. 18. 
Aliquota da applicare. Secondo la legge n. 482, l'aliquota da applicare si 
determina con riguardo al � reddito di riferimento � che si ottiene dividendo 
l'ammontare dell'indennit� (prima della riduzione fissa -nella specie 
di lire 370.000 -per ogni anno di anzianit�) per il numero degli 
anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando 
il risultato per dodici. L'aliquota coincide con quella media corrispondente 
al suddetto reddito di riferimento, con riguardo alle norme vigenti 
nel momento in cui � sorto il diritto a percepire l'indennit� (d.P.R. 

n. 597 del 1973, tabella all., e succ. modificazioni). 
Per effetto della sentenza della Corte Cost. si deve applicare una 
aliquota che tenga conto della riconosciuta natura non reddituale della 
quota di indennit� corrispondente (secondo il criterio proporzionale gi� 
enunciato sopra) al contributo a carico del dipendente, e cio� -sempre 
prima di procedere alla riduzione fissa annuale -l'indennit� di 
buonuscita va diminuita del sucidetto 29,06%. Detta quota -invero ha 
una duplice funzione riduttiva, tanto in sede di determinazione dell'imponibile 
che in sede di determinazione dell'aliquota. 

Pertanto, soltanto il 7�,94% dell'indennit� deve essere diviso per il 
numero di anni e frazione di anno preso a base di commisurazione 
dell'indennit� stessa e deve poi essere moltiplicato :i;>er dodici; la somma 
risultante costituisce il reddito di riferimento, per l'applicazione dell'aliquota 
media (a tassazione separata) con riguardo alle tabelle vigenti 
nell'anno in cui � sorto il diritto. L'aliquota si applica all'imponibile 
costituito dal suddetto 70,94% dell'indennit�, diminuito della somma fissa 
annuale pi� volte ripetuta. 

Il calcolo dell'aliquota media si opera una volta stabilita l'imposta 
dovuta sul reddito di riferimento in base alle aliquote IRPEF vigenti 
al momento del pensionamento, dividendo l'ammontare di tale imposta 
per l'ammontare del reddito di riferimento e moltiplicando il risultato 
per cento; il prodotto costituisce l'aliquota percentuale da applicare alla 
base imponibile come innanzi determinata, ottenendo cos� l'ammontare 
dell'imposta dovuta. Se tale imposta � minore di quella a suo tempo 
trattenuta dall'ENPAS, ne consegue il diritto al rimborso a favore del 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 399 

contribuente; che invece nulla deve se il calcolo d� per risultato una somma 
maggiore di quella gi� pagata (art. 4 legge n. 482). 

Dalle considerazioni esposte risulta che non pu� accogliersi la richiesta 
del privato di � rigetto � del ricorso, perch� la decisione impugnata 
� basata sull'assoluta intassabilit�, che invece deve essere negata. D'altra 
p�rte, l'applicazione in concreto dei criteri enunciati non pu� essere 
operata dal giudice di l�gittimit�, ma soltanto da quello di merito (la 
�ommissione Centrale ha piena cognizione anche in fatto, non facendosi 
questione di valutazione estimativa), al quale la controversia deve essere 
rinviata per la sua decisione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 febbraio 1987, n. 997 -Pres. Sandulli � 
Est. Di Salvo -P. M.. Martinelli (conf.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Palatiello) c. Giandonati. 

Tributi locali -Imposta comunale sull'incremento di valore degli im� 
mobili -Rettifica del valo,r,e finale � Adeguamento necessario del 
valore iniziale dichiarato da parte dell'ufficio o del giudice � Esclusione 
-Impugnazione da parte del contribuente del valore dichla� 
rato � Ammissibilit�. 

Tributi in genere -Dichiarazione -Effetti -Modificazioni. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 2, 6 e 18). 
Per la determinazione dell'imponibile INVIM quando sia accertato 
un maggior valore finale, l'ufficio non deve necessariamente rivedere 
il valore iniziale dichiarato n� pu� la Commissione aumentare detto 
valore in assenza di una domanda del contribuente; questi tuttavia pu� 
domandare alla Commissione che sia rettificato il valore iniziale dichiarato. 
(1) 

Pur non esistendo una norma specifica che faccia obbligo all'ufficio 
di rettificare la dichiarazione in favare del contribuente, il princi


, pio della imparzialit� della pubblica amministrazione ed il principio della 
adeguatezza dell'imposizione tributaria alla capacit� contributiva im� 
pongono i.l dovere di adeguare di ufficio il valore iniziale reale ove l'ufficio 
sia in possesso di significativi elementi. Il dichiarante a maggior 
ragione �potr� chiedere alla Commissione di rettificare il valore erronea


1/1 
mente dichiarato, posto che la dichiarazione tributaria � una dichiarazione 
di seienza, costituente atto di collaborazione con l'ufficio tributario, 
che pu� essere modificata ed integrata. (2) 

(1-2) Ricollegandosi alla precedente pronunzia 6 luglio 1983 n. 4531 (in 
questa Rassegna, 1983, I, 935, con nota di C. BAFILE), la sentenza ora intervenuta 
d� al problema una impostazione in parte diversa. 



400 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO !>TATO 

(omissis) L'amministrazione ricorrente -denunziando violazione e 
falsa applicazione degli artt. 2�. 6, 18, 19, 20 e 22 del d.P.R. 26 ottobre 1972 


n. 643, in relazione all'art. 360 n. 3 cpc. -contesta che la modifica di 
uno dei valori da cui risulta l'accertamento dei valori degli immobili 
comporti necessariamente la rettifica deHa dichiarazione relativa all'altro 
valore dichiarato. 
La censura � foI).data, in quanto -:---come questa Corte ha gi� rilevato 
con la sentenza n. 4531 dal 1983 -l'affermazione secondo cui sus-. 
siste un collegamento necessario tra l'aumento apportato all'accertamento 
nel valore finale e� quello aportato al volare jniziale non, pu� esserse 
condiviso nella sua assolutezza. 


:t!. certamente da condividere l'affermazione che .i due valori, iniziale e 
finale, dell'immobile trasferito che delimitano la base imponibile dell'INVIM 
sono indipendenti e possono essere variati autonomamente; � stato anzi affermato 
che i due valori possono essere accertati con distinti avvisi e con 
autonomi procedimenti (Cass. 7 luglio 1987 n. 5890 in Boll. trib., 1988, 308). Ma 
mentre�con la precedente sentenza era stato affermato che il dichiarante, ove 
sia accertato un maggior valore finale, possa domandare alla Commissione di 
rettificare il valore iniziale solo quando dimostri un giustificabile errore e 
semprech� non risulti diminuita fa base imponibile costituita dalla differenza 


_ 
dei valori (e ci� solo in vista della difficolt� della determinazione di un valore 
riferito a data di oltre un decennio anteriore), la� pronunzia attuale, in termini 
assai pi� generali afferma da un lato che � dovere dell'ufficio modificare 
la dichiarazione in favore del contribuente in forza dei principi della imparzialit� 
della pubblica amministrazione e dell'adeguatezza della imposizione tributaria 
alla capacit� contributiva, dall'altro che il contribuente' pu� modificare 
o integrare la dichiarazione, semplicemente di scienza, per correggere 

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errori di valutazione senza particolari limiti. 

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Questa proposizione non pu�� essere condivisa n� sul punto dell'iniziativa .. ' ! 
dell'ufficio per una rettifica in diminuzione della base imponibile n� sul punto 
della natura e degli effetti della dichiarazione, cfr. oltr� alla gi� citata nota, 

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C. BAFILE, Osservazioni sulla natura giuridica della dichiarazione tributaria, in 
questa Rassegna, 1980, I, 361, ID Sugli effetti della dichiar�zione tributaria, 
in Rass. trib., 1985, I, 407). 
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Bisogna tuttavia rilevare che da una lettura completa della sentenza le 

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affermazioni di principio sopra riassunte, e che non possono essere generalizzate, 
appaiono ridimensionate. Il dovere dell'Ufficio di modificai-e il valore 
ini:male dichiarato in presenza di � significativi elementi � � in realt� riferito all'ipotesi 
del raffronto entro il decennio con un dato gi� certo, risultante da 


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precedenti accertamenti, in possesso dell'ufficio; in tale situazione la rettifica t 
si riduce ad una correzione di errore � materiale. I I 

�La possibilit� per il dichiarante di modificare il valore dichiarato � giui 
stificata dalla difficolt� di determinare un valore riferito ad una data ultradecennale 
ed � contenuta nei limiti della base imponibile risultante dalla differenza 
dei due valori. In sostanza la. pronunzia ora intervenuta non si discosta 
dalla precedente n. 4531/1983. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Infatti, una volta riconosciuto il principio per il quale l'incremento 
imponibile risulta dal raffronto tra i valori iniziale e finale del bene 
trasferito con l'adozione di un criterio di semplice calcolo automatico 
attraverso una sottrazione, l'affermazione che sia necessario variare l'altro 
termine di raffronto, quando sia stato variato il primo,. mediante una 
forma di obbligatorio trascinamento, non � co�rente con la prem~ssa, in 
quanto esclude proprio il raffronto suddetto e l'operazio.ne di sottrazione 
indicata, cambiandone il termine minore anche quando non vi sia 
una specifica ragione. 

Il sistema dell'automatico trascinamento -ha gi� rilevato questa 
Corte -�viola le norme degli artt. 2 e 6 del citato d.P.R.� n. 643 del 
1972 perch� per il primo di tali articoli �l'incremento di valore degli 
immobili �:� � soggetto all'imposta�� e, per il secondo,� esso � � costituito 
dalla differenza tra il valore dell'immobile alla data nella quale si verificano 
i presupposti ... ed il valore, aumentato dalle spese indicate 
nel successivo art. 11 che l'immobile aveva alla 'data dell'acquisto ovvero 
della precedente tassazione�. Ci� dimostra che il procedimento logicogiuridico 
per la determinazione dell'incremento di valore dell'immobile 
deve muovere da due determinazioni di valore autonomo, pur se riferentisi 
allo stesso bene, relativo alle due date terminali con successivo 
calcolo della differenza. Pertanto, nulla esclude che una sola delle due 
valutazioni possa formare oggetto di rettifica e di contestazione senza 
che l'altra, pienamente autonoma, ne sia coinvolta. � tra i due valori, 
cos� considerati, che deve effettuarsi il raffronto dal quale dedurre la 
differenza imponibile, mentre non si pu� inversamente .sottrarre al . va� 
lore maggiore quell'imponibile diversamente calcolato per modificare 
necessariamente il valt>re posto come iniziale -Cambiano, in quel modo, 
i termini del raffronto e dell'operazione aritmetica.. 

Peraltro, nell'ipotesi in cui nella denunzia, prevista dall'art. 18 del citato 
d.P.R., il valore iniziale sia stato erroneamente indicato in misura 
minore con danno del contribuente, senza che vi sia stata rettifica da 
parte dell'ufficio finanziario che si sia limitato a rettificare il valore 
maggiore in corrispondenza ai prezzi del mercato edilizio, occorre tener 
presente che, pur non esistendo una norma specifica che faceva obbligo 
all'ufficio di rettificare tale errore del contribuente, il principio dell'imparzialit� 
della pubblica amministrazione, costituzionalizzato dall'art. 
97 Cost., ed il principio � della adeguatezza della imposizione tributaria 
alla capacit� contributiva del soggetto obbligato, previsto dall'art. 
53 della stessa Costituzione, impongono particolari doveri, per cui, 
ove l'ufficio sia in possesso di significativi elementi deve adeguare anche 
di ufficio il valore iniziale a quello reale. Nessun dubbio poi sull'obbligo 
incombente anche sui giudici tributari di effettuare tale adeguamento 
su richiesta del contribuente il quale rilevi l'errore della sua 


RASS�GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

402 

precedente dichiarazione. Le dichiarazioni dei redditi, come � pacifico, 
non hanno natura confessoria (contra se pronunciatio) poich� esse sono 
dichiarazioni di scienza che costituiscono un atto di collaborazione riecessaria 
.con gli uffici finanziari ai fini dell'imposizione tributaria. Esse 
possono, dunque, essere integrate o modificate dal contribuente me� 
desimo. � 

. 

. 

In particolare, nel caso che il termine iniziale del raffornto sia com� 
preso nel decennio precedente all'imposizione, caso diverso da quello in 
esame, il termine iniziale del raffronto � un dato certo e documentale 
perch� � costituito dal valore dichiarato dallo stesso contribuente per il 
precedente trasferimento e da quello definitivamente accertato. 

.Si tratta, quindi di dati certi, che risultano dalla documentazione 
in possesso dell'amministrazione finanziaria che ha, quindi, la possibilit� 
di effettuare una 1immediata verifica. In questi casi~ come questa Corte 
ha gi� rilevato nella sentenza prima citata, �un successivo errore del con� 
tribuente sulla entit� della precedente dichiarazione o dell'accertamento, 
riguardando -quei documenti in possesso dell'ufficio tributario, p�� rite� 
nersi non pregiudizievole perch� l'elemento posto a base della nuova 
imposizione � costituito dalla effettiva misura di quella iniziale dichiarazione 
e del relativo accertamento in conformit� a dati conosciuti ed accettati 
dall'ufficio finanziario �. In questi casi l'amministrazione finanziaria 
pu� agevolmente rilevare l'errore del contribuente, cos� coxne non 
� dubbio che esso possa esser fatto valere dal contribuente medesimo. 

Nel caso, invece, di trasferimento di un bene acquistato da' oltre un 
decennio (art. 6 comma 3), -che � quello in esame -poich� vi � nella 
dichiarazione del contribuente una valutazione soggettiva attuale con 
riferimento ai valori� anteriori ai dieci ani, sussiste, da una parte. una 
obbiettiva difficolt� di identificazione di tale valore che importa la possi� . 
bilit�. di errori, nonch� una implicita scelta del contribuente stesso entro 
i margini di possibile variazione di tale valore. In questo caso, non si 
pu�, anche perch� sarebbe palese la violi;izione di principi costituzionali, 
precludere al contribuente medesimo il diritto di difesa, impedendogli, 
innanzi all'accertamento del maggior valore per il valore finale, di far 
valere l'esatta misura del valore iniziale del citato raffronto, onde determinare 
l'incremento di valore imponibile, correggendo l'errore di valutazione 
precedentemente commesso. 

Di conseguenza, il potere del contribuente di rettificare l'errQre com� 
messo nella denunzia del valore iniziale, deve essere riconosciuto, quan� 
do vi sia stato un maggior accertamento dell'ufficio in rettifica del valore 
finale. Tale rettifica pu� essere effettuata sia nell'ipotesi di trasferimento 
di un bene di propriet� ultradecennale, sia nell'ipotesi di trasferimento 
di un bene di propriet� infradecennale. Anche in questa materia 

~IM 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 403 

vige il princ1p10 processuale per cui il giudice deve pronunciare entro 
i limiti delle domande e delle eccezioni delle parti. 

Cos� determinato il sistema operativo della determinazione dell'incremento 
di valore imponibile, la decisione impugnata, nella quale si � 
affermato un assoluto ed obbligatorio potere di rettifica; ad iniziativa 
delle commissioni tributarie, del valore iniziale dichiarato dal contribuente 
nel caso di aumento da parte dell'ufficio del valore finale, deve 
essere cassata con rinvio alla commissione centrale per un nuovo esame 
da compiere secondo gli indicati principi. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 febbraio 1987, n. 1375 -Pres. Sandulli 
-Est. Rocchi -P. M. Visalli {conf.). Ministero delle Finanze .(Avv. 
Stato Laporta) c. Fallimento Maglificio Luppi. 

Tributi in genere -Sanzioni non penali � Nascita della obbligazione � Prov� 
vedimento di irrogazione � Natura. 

L'obbligazione per la sanzione nasce al momento della commissione 
della infrazione (e da questo momento comincia a decorrere la relativa 
pre~crizione), mentre il provvedimento sanzionatorio ha natura soltanto 
dichiarativa (1). 

(omissis) Con l'unico motivo di :ricorso, l'Amministrazione finanzia� 
ria, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 3 legge 7 gennaio 
1929, n. 4 nonch� degli artt. 21 e segg., in relazione agli art. 41 e 
segg. del .P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (art. 360, n. 3, c.p.c.), censura l'im� 
pugnata sentenza per aver negato che il credito per pena pecuniaria 
da infrazioni I.V.A. potesse essere collocato al passivo fallimentare, 
all'uopo identificando il momento di nascita della relativa obbligazione 
con quello di irrogazione della sanzione, successivo, nel caso di specie, 
alla dichiarazione di fallimento della societ�. 

La censura � fondata. 

La Corte del merito ha addotto, a sostegno della ratio deoidendi, che 

l'atto di accertamento della infr~ione tributaria e di irrogazione della 

sanzione rivestirebbe natura costitutiva, con conseguente inconfigura� 

bilit� di un debito del trasgressore prima della concreta applicazione del


la pena pecuniaria. 

(1) Giurisprudenza ormai costante (Cass., 13 settembre 1983, n. 5552; 19 mar� 
zo 1984, n. 1867; 29 maggio 1984, n. 3273, in questa Rassegna, 1983, I, 949; 1984, I, 
382 e 792). Va segnalata la completezza della motivazione, anche in riferimento al 
parallelo problema che concerne l'imposta. 
15 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEllO STATO 

La conclusione � errata. 

Va ricordato, in linea di principio, che l'inadempimento del contribuente 
al dovere di comportamento c.d. formale, strumentalmente preordinato 
ad assicurare il -positivo esereizio del potere d'imposizione tributaria, 
� sanzionato dalla legge con l'assoggettamento del trasgressore 
al pagamento di una somma a titolo di pena pecuniaria (espressione 
definita obbligazione di carattere civile), il cui ammontare, indicato dal� 
legislatore nel minimo e nel massimo, viene lasciato all'apprezzamento 
concreto della gravit� dell'infrazione e della personalit� del trasgressore. 


In relazione a ci�, si pone il quesito del se, non diversamente dall'obbligazione 
principale d'imposta, anche l'obbligazione formale del contribuente, 
a quella collegata in rapporto di mezzo a fine, venga ad 
esistenza con il� verificarsi della situazione sostanziale alla quale sono 
per legge connessi, insieme al dovere di pagare il tributo, gli altri dover~ 
strumentali di comportamento sopraindicati. 

Si pone, in altri termini, il quesito del se, nel caso di inosservanza 
dell'obbligazione formale tributaria, la comm1ss1one dell'infrazione 
-cio� l'inadempimento del contribuente ai doveri strumentali di comportamento 
-determini, per il contribuente medesimo, l'obbligo di 
corrispondere la pena pecuniaria, ancorch� la misura della stessa risulti 
al momento indeterminata.. La risposta al quesito deve essere affermativa 
nel senso, Cio�, del carattere costitutivo della violazione formale 
tributaria ai fini dell'esistenza della relativa obbligazione civile sanzionatoria, 
con il conseguente carattere meramente dichi�rativo del successivo 
�accertamento�, vale a dire della successiva... � determinazione�. 
Appare risolutiva in .tal senso la disciplina legislativa contenuta nelle 
d~sposizioni di cui agli artt. 3 e 17 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, disciplina 
non derogata in parte qua dalle disposizioni del d.P.R. n. 633/1972. 

Dispone testualmente l'art. 3 cit. che � le leggi finanziarie � stabiliscono 
quando dalla violazione delle norme in esse contenute e che non 
costituisca reato sorga, per il trasgressore, l'obbligazione al �pagamento 
di una somma, . a titolo di pena pecuniaria, a favore dello Stato �. 

Recita a sua volta, l'art. 17 che �il � diritto dello Stato alla riscossione 
della pena pecuniaria si prescrive col decorso di. cinque anni dal 
giorno della commessa violazione �. 

Orbene, dai contenuti e dalle finalit� congiunti di dette norme 
emerge incontestabilmente il principio secondo cui l'obbligazione di pagare 
allo Stato una somma ~di denaro a titolo di pena pecuniaria, sorge, 
a carico del trasgressore, per effetto dell'infrazione e nel momento in 
cui questa � commessa; . e, conseguentemente, nell'identica logica, l'ul


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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

teriore principio secondo cui la prescrizione del diritto dello Stato alla 
riscossione della pena pecuniaria comincia a decorrere dal giorno della 
commessa violazione. 

Ne consegue il duplice corollario che il procedimento sanzionatorio, 
preordinato all'atto di irrogazione della pena pecuniaria, ha natura dichiarativa 
e non costitutiva, avendo esclusivamente la funzione di accertare 
l'infrazione (valutaria o finanziaria), di individuare il soggetto 
che l'ha commessa e di determinare in concreto la misura della sanzione 
da infliggere; .e che la decorrenza della prescrizione, in coerenza con 
la dichiarata natura civile della obbligazione di pagare la pena pecuniaria, 
non postula l'accertamento del diritto, ma presuppone soltanto 
che esso sia sorto (Cass. 1502/1978 in motivazione e Cass. 3431/1980). 

D'altronde, appare sintomatico al riguard oil duplice insegnamento 
d'ordine generale secondo cui: 

a) il rapporto giuridico tributario � assoggettato, in via assoluta, 
al principio di legalit�, con correlativa indisponibilit� della pretesa fiscale 
da parte dell'Amministrazione finanziaria {Cass. 3595/80 e 2397/81); 

b) l'obbligazione tributaria sorge nel momento in cui si determina 
la situazione di fatto considerata dalla legge come generatrice del 
debito di imposta, mentre � la liquidazione dell'importo dovuto dal contribuente 
e la richiesta del pagamento attengono, non alla esistenza dell'obbligo 
tributario, bens� alla esigibilit� del debito dell'obbligato (Cass. 

n. 148/1981). 
ti infine, appena � il caso di avvertire che con le conclusioni raggiunte 
!!On contrasta il potere dell'Amministrazione ,finanziaria di provvedere 
alla quantificazione concreta della pena pecuniaria nei limiti stabiliti 
dal legislatore, in quanto affinch� l'atto di irrogazione della sanzione 
assumesse effetto �ostitutivo della nascita della relativa obblig~zione, 
occorrerebbe che all'Amministrazione finanziaria fosse, altres�, 
attribuita la facolt� di non applicare la sanzione medesima, in presenza 
della fattispecie integrante la violazione ,finaniiaria {estendendo, cio�, 
l'ambito della scelta amministrativa all'an della sanzione); mentr~ di 
una siffatta latitudine del potere discrezfonale della P.A., non vi � traccia 
nel sistema positivo vigente (artt. 3 e 4 1. 7 gennaio 1929, n. 4 e art. 49 

d.P.R. 633/72); il quale, anzi, nel riservare alla legge la determinazione 
dei casi in cui la violazione di disposizioni ,finanziarie importi il sorgere 
dell'obbligazione di pagamento di una somma a titolo di pena pecunaria, 
esclude la stessa configurabilit� di un potere amministrativo al 
riguardo, in perfetta coerenza col principio di ~disponibilit� del rapporto 
tributario. (omissis) 
. . 


406 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 febbraio 1987 n. 1376 -Pres. Sandulli 
-Est. Vercell6ne -P. M. La Valva (conf.) Soc. Mellina (avv. 
De Geronimo) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Braguglia). 

Tributi erariali indiretti -Imposte doganali � Deposito doganale � Ma� 
gazzini di propriet� privata� � Chiusura con doppia chiave � Non tra� 
sforma il deposito privafo in magazzino sotto diretta custodia della 
dogana. 

(d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 156 e 159). 
Tributi erariali indiretti � Imposte doganali � Deposito in magazzini di 
propriet� privata � Furto della merce ~ Realizzazione del presupposto 
dell'imposizione � Art. 37 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 � Illegittimit� 
costituzlonale ~ Manifesta infondatezza. 

(d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 36 e 37). 
I magazzini di propriet� privata autorizzati per il deposito doganale 
non si trasformano in depositi sotto diretta custodia doganale per il 
fatto che a norma dell'art. 159 del d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 sia stata 
imposta la �hiusura con doppia chiave una delle quali tenuta dalla 

~ogana (1). . 

Poich� il presupposto dell'imposizione doganale � la destinazione 
al consumo comunque avvenuta, il furto delle merci depositate in magazzini 
di propriet� privata non esclude l'imponibilit�; � di conseguenza 
manifestamente infondata la questione di illegittimit� costituzionale dell'a'rt. 
37 del d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 in quanto non esclude l'imposizione 
doganale sulle merci rubate e non parifica il furto alla distruzion� 
(2). 

(omissis) La ricorrente lamenta violazione dell'art. 246.1. 13 febbraio 
1896 e 18, 19, 21 r.d. 16 gennaio 1927 n. 126. Essa sostiene che la situazione 
obbiettiva si concretava nel fatto essenziale che il deposito doganale 
poteva essere aperto solo con due chiavi di cui una sempre in possesso 
dell'autorit� doganale s� che non � possibile accedere ai locali se non 
in presenza di un funzionario della dogana. 

Afferma che tale situazione va equiparata a quella dei locali a chiusura. 
ufficiale o sotto diretta custodia della dogana, con la conseguenza 
che comunque il diritto di confine va pagato solo sulla merce la cui 

(1-2) Decisione di evidente esattezza da condividere pienamente. Di particolare 
interesse la motivazione sulla questione di illegittimit� costituzionale dell'art. 
37 del d.P.R. n. 43/1973, peraltro rafforzato da interpretazione autentica 
(art. 22 ter, Legge 22 dicembre 1980 n. 891); sull'argomento � intervenuta anche 
la sent. 12 marzo 1987, n. 2554, di cui si omette la pubblicazione. 

�.�.�r.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�r.�.�.�.�.�n.�.�.�.�r.�.�.�.�.�.-.�.-.�.-rr.�.�r.�r.�.�.r.�rr.�.-.�.r.-rr.�.�.�.�r.� �rrr.-����.-��r,��.r�.-:�.-rr��rr�.-��rr��.�rr��.r�r� ��.����,�,�.��.�.--�.�����.��.��,����,�,�.����.����.���,��ᥥ����.�.�.��.�.�� ��� 

PARm. I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

presenza � accertata al momento dell'uscita del magazzino; irrilevante 
essendo la mancata autorizzazione e la mancanza dell'apparecchio per

� il bollo �a piombo. 
Il motivo � infondato. 
Come gi� disponeva l'art. 21 c. 2 del reg. del 1927 .e dispone ora 
l'art. 159 t.u. doganale d�l 1973, � previsto che da parte dell'Amministrazione 
possa stabilirsi che i magazzini doganali di propriet� privata 
debbano essere chiusi con due differenti chiavi, una delle quali � 
tenuta dalla dogana, s� che l'entrata nel magazzino pu� avvenire solo 
in presenza di un funzionario. Ma si tratta di una cautela che, se disposta, 
non muta la natura giilridica dei magazzini che restano depositi 
in magazzini doganali di propriet� ,pdvata, gestiti da concessionari, 
a norma della sezione III del t.u. della dogana {art. 159 a 162). B da 
escludere che la apposizione di tale cautela trasformi il magazzino s� 
che possa parlarsi di locali sotto diretta custodia della dogana o a 
chiusura ufficiale. 
I locali a chiusura ufficiale sono altra cosa. Si tratta di magazzini 
sottoposti a disciplina speciale che non prevede soltanto le due chiavi 
(come ex art. 159 t.u. del 1973) nia la protezione con speciale apparecchio 
da fermare con piombo; e soprattutto la relativa disciplina si applica 
non quando un magazzino privato si munisce di tali cautele ma 
quando � il Ministero che autorizza l'istituzione di quel mag�zzino a 
chiusura ufficiale. 
Ora, la Corte d'appello ha escluso in fatto che sussistessero le condizioni 
richieste ed essenzialmente l'autorizzazione ministeriale, s� che 
la regola applicabile � quella normale, ex art. 37 t.u. 1973. 
La societ� ricorrente, per� torna a mettere in forse la costituzio-. 
nalit� della disciplina vigente�, sia ex art. 53 che ex art. 3 Cost. 
Mette specialemente in evidenza la ricorrente la disuguaglianza di trattamento 
che sta nella imposizione del tributo sia a chi ha importato 
e poi messo regolarmente in commercio la merce sia a chi, invece, 
la destinazione al consumo non ha potuto realizzare a causa di un 
furto; ci� in particolare quando nessuna colpa pu� addebitarsi all'importatore 
che aveva lasciato la sua merce in un magazzino controllato 
dalla dogana che ne aveva una chiave, indispensabile per entrare e 
che ne sorvegliava gli ingressi. 
Ritiene questa Corte, in conformit� ad altre precedenti decisioni, 
che la relativa eccezione sia manifestamente infondata. 

Va premesso che, in questa s~de, non rileva il fatto che il furto 
sia avvenuto senza che nessuna omissione di cautela possa addebitarsi 
all'importatore o al depositario. La norma � chiara: l'imposta si deve 
pagare anche se il proprietario ha perso la disponibilit� del prodotto 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

per sottrazione e non importa il fatto che tale perdita sia dovuta a 
forza maggiore o a fatto imputabile al pr�prietario o al destinatario. ., 
Va, inoltre, aggiunto che non r�leva qui l'eventuale responsabilit� del 
depositario .nei confronti del depositante come della pubblica amministrazione 
che non avrebbe vigilato nella zona sl da impedire furti. 

La questione � se la regola per cui il tributo doganale deve essere 
pagato dall'importatore anche s� la merce � stata rubata dal magazzino 
ove era depositata contrasta o no con gli artt. 53 e 3 della Costituzione. 
Ma tale contrasto manifestamente non sussiste. 

L'art. 53 Cost. lascia al legislatore la piena discrezionalit� di stabilire 
imposizioni tributarie o di introdurre esenzioni, sconti, abbuoni, in 
funzione di determinate situazion[ obbiettive, purch� si tratti di disposizioni 
per categorie di situazioni. 

Ora, nel caso che rileva in questa sede, l'imposizione tributaria riguarda 
il fatto in s� della destinazione al consumo, non la circostanza 
che in realt� la merce estera sia poi stata immessa sul mercato mediante 
operazioni di scambio tra importatore della merce e terzi acquirenti. 
Sussiste dunque, ed � pienamente giustificata ex art. 53 Cost., 
la ratio della imposizione tributaria quando la merce � stata introdotta 
nel territorio dello Stato per de.stinarla ~ consumo an~he se questa 
gli viene sottratta prima della vendita a. terzi. 

In tema di imposizione indiretta gli indici rivelatori di ricchezza 
non vanno necessariamente identificati con vicende suscettibili di tradursi 
in apporto di reddito per i soggetti che vi siano interessati. La 
capacit� contributiva si evidenzia nello stesso momento e per il fatto 
solo della introd�tzione della merce nel territorio dello Stato in funzione 
di successiva immissione nel mercato senza che rilevi il sopravvenire 
di fatti che abbiano frustrato la legittima aspettativa dell'importatore 
di ricavare denaro dalla vendita del prodotto importato. Tale 
constatazione porta ad escludere che vi sia pure conflitto tra la norma 
in esame e l'art. 3 della Costituzione. Non sussiste questo conflitto sotto 
l'aspetto cui fa riferimento la societ� ricorrente. 

� infatti perfettamente razionale che l'imposta doganale sia pagata 
sia da chi poi, �importato il prodotto,, lo vende, sia da chi, importato 
il prodotto, non riesce a venderlo perch� glielo rub~o, con o senza 
sua colpa. 

L'imposta, infatti, si paga per il solo fatto della importazione a 

fini di immissione al consumo nel territorio dello Stato. Chi, poi, porta 

a buon fine tutta l'operazione e vende il prodotto importato, ne trarr� 

un reddito d'impresa che a sua volta sar� colpito, appunto con imposta 

sul reddito. 


PARTE I, SBZ. VI, GIURISP.RUDBNZA TRIBUTARIA 

Ma nemmeno vi � violazione del principio di uguaglianza sotto altro 
verso, cio� per il fatto che paga l'imposta doganale colui cui la merce 
� stata rubata e non la paga colui cui la merce � stata distrutta. 

Si tratta infatti di due situazioni obbiettivamente distinte. 

La disciplina differenziale si giustifica in quanto la merce distrutta 
proprio non � entrata n�l mercato n� potr� mai entrarvi; la merce rubata 
invece � stata immessa nel territorio nazionale seppure in modo 
anomalo e cio� attraverso il furto da parte di. ter:z:i. 

Certo, l'importatore subisce un danno, appunto per la perdita di disponibilit� 
d�lla merce, danno. che, soggettivamente, per lui, � identico 
a quello che subisce se la merce viene distrutta: distruzione o furto 
poco importa, per l'importatore il danno sta nel fatto che non potr� 
pi� �guadagnare dalla vendita di quel prodotto: mentre solo se c'� stato 
furto egli deve ugualmente pagare l'imposta. Ma, come si � visto, la situazione 
� diversa dal punto di vista oggettivo; infatti, solo nel caso 
di distruzione si ha la certezza oggettiva che la merce non � stata introdotta 
nel mercato, �nemmeno in modo anomalo, che cio� la destinazione 
al consumo � definitivamente e per chiunque irrealizzabile. Ed � questa 
diversit� obbiettiva che basta per ritenere ragionevole la� differenza di 
trattamento introdotta dal legislatore . nella sua discrezionalit�: ragionevolezza 
che appare confermata dal fatto che analoghe disposizioni esistono 
negli Ol'dinamenti delle altre nazioni europee e che tutte queste 
disposizioni, come si � visto, sono state ritenute conformi all'ordinamento 
comunitario. (omissis) 

CORTE DI CASSEZIONE, Sez. I, 10 febbraio 1987, n. 1385 -Pres. Granata 
-Est. Sgroi -P. M. Di Renzo (conf.). Graziani (avv. Formiggini) 

c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Salimei). 
Tributi in genere -� Contenzioso tributario -Condono -Estinzione del 
giudizio -Controversia sulla condonabilit� -Decisione incidentale 
del giudice avanti al quale pende la controversia -Esclusione. 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Estinzione. del giudizio ex 
art. 44 d.P..R. 26 ottobre 1972 n. 636 -Pronunzia di cessazione della 
materia del contendere -Impossibilit� -Definitivit� dell'atto impugnato 
-Sopravvivenza dell'azione � Esclusione. 

(d.P.R. ~6 ottobre 1972, n. 636, art. 44). 
Il giudice innanzi al quale pende il processo non pu� decidere in 
via incidentale le questioni sull� co1J.donabilit� del tributo (che possono 
essere risolte in separato giudizio promosso contro l'atto che abbia ne



410 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

gato la spettanza del condono) e pu� dichiarare l'estinzione del processo 
solo quando la definizione per condono sia avvenuta de plano i(l). 

L'estinzione del processo a norma dell'art. 44 del d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 636, anche se riferita a procedimenti incardinati prima della 
riforma del contenzioso, comporta la definitivit� dell'atto impugnato e 
non consente alcuna altra pronunzia, che sarebbe di merito e come tale 
incompatibile con la dichiarazione di estinzione, sulla intervenuta cessazione 
della materia del contendere. Dopo la dichiarazione di estinzione 
del giudizio nessuna domanda pu� pi� essere r.iproposta, s� che legittimamente 
viene iscritta a ruolo l'imposta risultante dall'accertamento 
divenuto definitivo (2). 

(omissis) Si deve premettere che nella discussione orale la difesa 
dell'Amministrazione Finanziaria ha chiesto che la Corte Suprema dichiari 
inapplicabile alla controyersia il condono di cui al d.l. 10 luglio 
1982, n. 429, conv. in I. 7 agosto 1982, n. 516 e succ. modifiche. Tale 
richiesta � estranea rispetto alla materia della presente controversia, 
nella quale non si pu� decidere se l'istanza di definizione ai sensi dell'art. 
24 del citato d.l. n. 429 (alla quale accenna, come puro fatto storico, 
la memoria del contribuente) sia o non sia ammissibile; invero il giudizio 
in ordine alla negazione del � condono � deve essere dato nella 
competente sede, se ed in quanto il contribuente abbia impugnato detta 
negazione. Ed anche nel caso che il diniego del � condono � non sia 
stato impugnato, questa Corte non potrebbe emettere alcun giudizio 
sulla legittimit� di esso. Soltanto nel caso in cui la definizione avvenga 
de plano e senza contrasti si pu�. -infatti -dichiarare l'estinzione 

(1) Identiche sono le sentenze in pari data n. 1386 e 1387. Sulla prima massima 
la giurisprudenza era stata oscillante in relazione al precedente condono 
di cui al d.l. 7 novembre 1973 n. 660: in un primo tempo si affermava che 
spettasse al giudice accertare i presupposti dell'estinzione del processo innanzj 
ad esso pendente e quindi la condonabilit� del debito tributario (Cass. 10 
marzo 1976 n. 824 e 12 aprile 1976 n. 1271, in questa Rassegna, 1976, I, 415). Da 
questa linea si era discostata la sentenza 21 febbraio 1979 n. 1112 (ivi, 1979, I, 
498), ma infine le Sez. Unite con la sent. 5 luglio 1982 n. 4001 (ivi, 1983, I, 157) 
erano tornate al primo orientamento. Ora con riferimento al condono dd 1982 
si torna sulla linea della esclusione della decidibilit� della problematica del 
condono da parte del giudice della controversia principale. 
La seconda massima � A:li evidente esattezza. L'estinzione del processo � 
evidentemente incompatibile con qualunque decisione di merito e quindi anche 
con il riconoscimento della cessazione della materia del contendere. Alla estinzione 
consegue la definitivit� del provvedimento impugnato e l'impossibilit� di 
riproporre in qualunque mod� e sede la domanda (Cass. 19 aprile 1982 n. 2407; 
30 luglio 1982 n. 4357; 2 maggio 1983 n. 3020, in questa Rassegna 1982, I, 836; 
1983, I, 166 e 760). 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

del procedimento ai sensi del s~condo comma dell'art. 24 e dell'art. 32 
del d.l. numero 429 del 1982. 
Il ricorso del Grazjani deve essere, pertanto, esaminato prescindendo 
del tutto da ogni questione circa l'applicabilit� delle norme citate. 

Col primo motivo, Nommanno Graziani deduce la violazione dell'art. 
44 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636; degli artt. 306 e ss c.p.c., dell'art. 
28 c.p.c e dell'art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c., osservando che la decisione 
impugnata ha dichiarato estinto (nel 1981) un procedimento abbandonato 
fin dal 1966 per accertata inesistenza del tributo preteso, senza considerare 
che l'estinzione del procedimento avanti alle Commissioni tri;. 
butarie � un fatto puramente processuale, che non pu� far sorgere diritti 
dichiarati inesistenti. Nel presente caso, al di sotto dell'estinzione del 
processo stava l'avvenuta declaratoria dell'inesistenza dei tributi pretesi, 
sancita da una sentenza penale passata in giudicato, i cui accertamenti 
sono vincolanti ai sensi dell'art. 28 c.p.p. Il procedimento tributario era 
rimasto abbandonato, per effetto di tale sentenza, con l'~spressa dichiarazione 
di rinuncia alle pretese tributarie, per cui l'estinzione del processo 
tributario non poteva far rivivere un tributo escluso dalla .sentenza 
passata in giudicato dieci anni prima. L'art. 44 citato mira a 
liberare le nuove Commissioni tributarie da quel notevole numero di 
ricorsi che, o per mancanza di serio interesse del ricorrente, o -come 
nel presente caso , -per essere nel frattempo cessata la materia del 
contendere, non vi era pi� ragione di coltivare; ma qusta eliminazione 
del contenzioso non comportava la reviviscenza dei tributi dichiarati non 
dovuti e la risorgenza delle pretese tributarie gi� dichiarate infondate. 
Come l'estinzione del processo civile non estingue l'azione, ma rende 
soltanto inefficaci gli atti compiuti (art. 310 c.p.c.), cos� l'estinzione del 
processo tributario non fa risorgere una pretesa tributaria estinta nella 
sostanza, perch� (�sclusa l'esistenza di un reddito a carico. della societ�) 
era caduto di per s� il tributo personale preteso per quel titolo a carico 
del socio; ed estinta altres� nella forma, per l'espresso riconoscimento 
dell'Amministrazione con scritti ed atti inequiv?cabili da essa compiuti, 
che avevano posto in essere una rinuncia alla pretesa tributaria. 

Il ricorrente rileva, altres�, che la decisione impugnata ha annullato 
la pronuncia di secondo grado che �veva dichiarato ill~gittima l'iscrizione 
a ruolo del tributo, accogliendo cos� la domanda dell'Ufficio diretta 
a vedere riconosciuta legittima l'iscrizione a ruolo dei redditi per imposta 
complementare per il secondo semestre del 1959 e per il 196!); ed 
afferma che la decisione avrebbe dovuto, invece, limitarsi a dichiarare 
estinto il processo ma che -per ritenere legittima l'iscrizione a ruolo avrebbe 
dovuto accertare se sussisteva la pretesa tributaria, punto sul 
quale la Commissione Centrale ha omesso qualsiasi indagine. 


412 RASSEGNA DELL'AVVOCA'l'URA DELLO STATO 

In proposito, il ricorrente espone che il giudicato penale aveva assolto 
i Graziani, per avere accertato l'inesistenza del maggior prodotto 
ritenuto dalla Polizia Tributaria e, quindi, l'inesi!?tenza del reddito della 
societ� e dei soci che si era preteso di tassare, con accertamento irretrattabile 
dell'inesistenza del fatto che produce le sue conseguenze in 
qualsiasi sede, civile, penale o amministrativa o tributaria, ai sensi dell'art. 
28 c.p.c. Nel giudizio di convalida del sequestro conservativo dei 
beni della societ�, avanti al Tribunale di Bologna, l'Avvocatura dello 
Stato aveva dichiarato. �� incontestato che la materia del contendere 

~ cessata, e di ci� l'Amministrazione Finanziaria ha dato atto diretta


mente alla� controparte�, con ci� riconoscendo l'inesistenza dell'obbli


gazione tributaria. � 

Il motivo � infondato. 

Si deve sottolinare che la presente contrpversia riguarda il ricorso 
contro l'iscrizione a ruolo (nel 1976) dell'imposta complementare sul 
reddito degli anni 195_9/60 dovuta dal dante causa dell'attuale ricorrente, 
in base ad un accertamento contestato nel 1963 dinanzi alla Commissione 
distrettuale delle imposte di Rovigo, che non ha mai deciso sul merito 
di tale contestazione, avendo sospeso la controversia in attesa della definizione 
di un procedimento penale per frode alle leggi in materia di 
imposta di fabbricazione sul metano a carico dei soci della Societ� 
Ricerche metano F.lli Graziani. E, nella logica della decisione impugnata 

n. 3052/81 della Commissione tributaria centrale, quale risulta dalla 
correla~ione fra motivazione e dispositivo, la conferma dell'estinzione 
del procedimento dinanzi alle Commissioni tributarie iniziato nel 1963 
(pronunciata con ordinanza 24 marzo 1976 del Presidente della Commissione 
tributaria di 1� grado, ai sensi dell'art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972 
n. 636) � puramente strumentale allo scopo di dichiarare la legittimit� 
dell'iscrizione a ruolo dell'imposta, in accoglimento della tesi dell'Amministrazione 
e rigettando il ricorso del contribuente contro l'iscrizione a 
ruolo. 
Secondo il ricorrente, la pura e semplice conferma dell'estinzione 
del procedimento iniziato nel 1963 � illegittima, perch� avrebbe dovuto 
essere accompagnata dalla dichiarazione di cessazione della materia 
del contendere, a sua volta basata sulla inesistenza del tributo (riconosciuta 
dalla Amministrazione) con conseguente illegittimit� dell'iscrizione 
a ruolo. 

La tesi del ricorrente non si pu� accogliere, per la sua evidente 
infondatezza. Fra la declaratoria di estinzione del procedimento ex articolo 
44 cit. e la declaratoria di cessazione della materia del contendere 
esiste una totale incompatibilit�, per cui -pronunciata l'estinzione non 
� possibile dare atto della cessazione della materia del contendere, 
la quale pu� essere pronunciata se � sopravvenuta una situazione che 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

abbia eliminato ogni posizione di contrasto fra le parti ed abbia fatto 
venir meno la necessit� di una pronuncia del giudice sull'oggetto della 
controversia e, conseguentemente, l'interesse ad agire ed a contraddire 
delle parti medesime (Cass. 21 aprile 1982 n. 2463; Cass. 16 giugno 1982 

n. 3664; Cass. 21 novembre 1983 n. 6953). 
In altri termini, per poter dichiarare cessata la materia del contendere, 
il giudice deve esaminare se i fatti sopravvenuti in corso del 
giudizio abbiano eliminato il suddetto contrasto e quindi deve poter porre 

a confronto detti fatti, rispetto all'oggetto del giudizio, per valutarne 
gli effetti '(tipica � l'ipotesi di una transazione, ovvero della rinuncia di 
una delle parti alla pretesa fatta valere). 

La dec;laratoria di estinzione del processo, per mancata presentazione 
dell'istanza di trattazione del ricorso ex rt. 44 pi�. volte citato, preclude 
anche la possibilit� di compiere tale confronto fra fatti sopravvenuti al 
ricorso ed oggetto del igudizio, senza che si possa distinguere in ragione 
della natura di tali fatti (nella specie, sentenza penale che avrebbe dichiarata 
insussistente la frode fiscale ai fini dell'imposta di fabbricazione, 
influente sulla determinazione del reddito della societ� e quindi dei singoli 
soci), perch� una distinzione di tal genere si pone nettamente contro 
la ratio dell'art. 44, che � quella di comminare una estinzione preclusiva 
dell'esame del merito {anche ai fini di una dichiarazione di cessazione 
della materia del contendere, che si pu� pronunciare soltanto dopo aver 
esaminato -sia pure in via delibativa -il merito). Giova aggiungere 
che la motivazione della Commissione centrale circa l'irrilevanza della 
.::ircostanza !(dedotta nel giudizio in quella sede e ripetuta nella narrativa 
del presente ricorso per cassazione) sescondo cui i Graziani, dopo l'ordinanza 
di estinzione, avevano � riassunto � il giudizio dinanzi alla Commissione 
chiedendo che fossero dichiarati non dovuti i tributi, � esatta e conforme 
al costante orientamento di questa Corte. Contrariamente a quanto 
si sostiene nel ricorso, nell'estinzione ex art. 44 del d.P.R. n. 636, non si 
applicjl il principio della sopravvivenza dell'azione all'estinzione del processo, 
con conseguente definitivit� dell'atto imp�isitivo impugnato ed improponibilit� 
di un ulteriore ricorso, contro lo stesso atto (Cass. 19 aprile 1982 

n. 2407; Cass. 30 luglio 1982 n. 4357; Cass. 2 maggio 1983 n. 3020; Cass. 
14 febbraio 1984 n. 1119; Cass. 26 giugno 1984 n. 3714; Cass. 5 febbraio 1985 
n. 774, fra le altre conformi). 
Per quanto riguarda, poi, la pronuncia principale della decisione 
della Commissione Centrale (conferma della legittimit� dell'iscrizione a 
ruolo del 1976), non esiste affatto il difetto di motivazione allegato dal 
ricorrente, in ordine ad una questione del tutto irrilevante in questo 
giudizio, e cio� alla. questione degli effetti della sentenza penale citata 
e della dichiarazione della Avyocatura dello Stato nel giudizio di convalida 
del sequestro conservativo contro la societ� f.lli Graziani, coordinato 


414 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

con la frode all'imposta di fabbricazione) in ordine alla �cessazione 
della materia del contendere � �ed al preteso riconoscimento della insussistenza 
del reddito dei singoli soci oggetto dell'accertamento (salvo 
quello concordato successivamente con la societ�). Invero, tanto gli 
effetti della sentenza penale, quanto quelli della dichiarazione dell'Avvocatura 
dello Stato, quanto, infine, quelli del concordato con la Societ�, 
nei� suoi riflessi sul reddito dei singoli soci, soggetto ad imposta complementare, 
avrebbero potuto essere presi in esame soltanto se ed in 
quanto fosse stata presentata l'istanza di trattazione, ex art. 44 citato, 
del ricorso del �1963. Tale effetti non potevano, �invece, essere presi in 
esame nel ricorso contro il ruolo, proposto nel vigore dell'originario testo 
dell'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972, il cui secondo comma recita: �il 
ricorso contro l'ingiunzione o il ruolo � ammesso soltanto se tali atti 
non sono stati preceduti dalla notificazione dell'avviso di accertamento... 
ovvero per vizi loro propri �. L'inesistenza dell'obbligazione tributaria per 
imposta complementare sul reddito, pertanto, avrebbe dovuto essere 
fatta valere soltanto col ricorso contro l'accertamento del 1963 (che, 
invece, si � estinto); e l'estinzione di tale procedimento ha comportato, 
ovviamente, la possibilit� di iscrivere a ruolo l'imposta accertata ,(nonch� 
gli accessori), ai sensi delle norme del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, richiamato 
dall'art. 100 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602. 

Col secondo mezzo il ricorrente denuncia la violazione degli articoli 
citati in epigrafe al primo mezzo e dell'art. 22 del r.d.l. 7 agosto 1936 

n. 1639, sulla riforma degli ordinamenti tributari, osservando che la decisione 
impugnata � abnorme e manchevole nella� motivazione, con riguardo 
al tempo in cui si verific� il fatto estintivo della pretesa tributaria, 
e cio� al 1966, quando le Commissioni delle imposte avevano natura di 
semplici organi amministrativi, per cui allora non poteva parlarsi tecnicamente 
di estinzione del processo e l'abbandono del ricorso non esigeva 
alcuna forma solenne, ma derivava da un comportamento anche di fatto 
dell'una o dell'altra parte, come per esempio il riconoscimento -per 
facta concludentia -dell'inesistenza di una pretesa fatta� valer~ dalla 
Pubblica Amministrazione. 
Secondo il rieorrente, i fascicoli del procedimento non avrebbero 
dovuto trovarsi fra i ricorsi pendenti dinanzi alla Commissione distrettuale, 
ma avrebbero dovuto essere archiviati fin da quando la stessa 
Amministrazione aveva dichiarato cessata la materia del contendere. 
L'Amministrazione Finanziaria, concluso un concordato o rinunciata una 
ptetesa tributaria, ne informava la segreteria della Commissione, che 
archiviava il ricorso. 

Il provvedimento presidenziale di estinzione -continua il� ricorrente 
-era stato emanato soltanto per la materiale esistenza negli uffici 
di procedimenti che non dovevano trovarvisi, con la conseguenz_a che 

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PARTE I, SEZ. ~, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA . 415 

l'art. 44 non avrebbe dovuto neppure applicarsi, avendo l'estinzione ragion 
d'essere per i procedimenti in corso� nei quali non fosse cessata la 
materia del contendere e non per quelli definiti gi� sotto una legge che 
non esigeva alcuna formalit� per l'abbandono dei procedimenti amministrativi. 


Il ricorrente richiama la motivazione della decisione di primo grado 
(confermata in appello), secondo cui non poteva essere ignorata la sentenza 
della Corte d'appello di Bologna che -dichiarando non provata 
una maggiore estrazione di metano -aveva travolto il presupposto 
dell'accertamento; sentenza conosciuta dall'Amministrazione Finanziaria, 
di modo che il Graziani aveva motivo di ritenere che in tal senso si 
fosse, sia pure tacitamente, pronunciata l'Amministrazione, dal momento 
che la stessa aveva rinunciato al sequestro conservativo ottenuto con 
decreto 7 agosto 1959 del Presidente del Tribunale di Rovigo, ed aveva 
provveduto alla cancellazione dell'ipoteca iscritta a garanzia del preteso 
credito finanziario, provvedendo al pagamento delle spese di lite e dichiarando 
che la materia del contendere era cessata, risl.iltando insussistente 
una qualunque obbligazione verso il fisco. Pertanto -conclude 
il ricorrente, trascrivendo la decisione di primo grado -� da ritenere 
che, in ordine al reddito accertato per 111 partecipazione alla soc. a r.l. 
Fratelli Graziani, l'Amministrazione avesse rinunciato a qualsiasi pretesa, 
come era convalidato dal lungo silenzio del fisco nell'esazione dell'imposta. 


Il motivo � infondato. In primo luogo, � inesatto il presupposto delle 
argomentazioni esposte, circa la natura amministrativa delle , Commissioni 
Tributarie, prima della riforma del contenzioso del 1972. La giurisprudenza 
costante di questa Corte ne ha sempre affermato il carattere 
giurisdizionale (cfr., fra le altre, Sez .. un. 20 giugno 1969 n. 2175; 
Sez. un., 19 gennaio 1970 n. 105; Sez. un. 21 settembre 1970 n. 1652; Sez�. 
un., 20 novembre 1971 n. 3352); e tale carattere -come � noto -� 
stato confermato proprio dalla riforma in base alla legge di delegazione 
9 ottobre 1971 n. 825, che ha operato la semplice � revisisone)) degli 
organi giurisdizionali gi� esistenti, a tenore dei punti i4 e 15 dell'art. 10. 

Il problema se il procedimento tributario anteriore alla riforma del 

1972 fosse soggetto ad estinzione per inattivit� delle parti (nella specie, 

omessa riassunzione dopo il provvedimento di sospensione in attesa del-

1'7sito del procedimento penale contro i soci) va risolto in senso ne


gativo (cfr. Cass. 3 febbraio 1972 n. 259), in quanto nel procedimento 

tributario �ante 1972 � avevano campo i poteri di iniziativa di impulso 

delle Commissioni. �, pertanto, all'entrata in vigore della riforma, era 

pendente un procedimento dinanzi alla Commissione di primo grado, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

con conseguente applicabilit� dell'art. 44 del decreto delegato n. 636/1972, 

il cui carattere innovativo {nel senso di imporre una attivit� al contribu~
nte che voglia proseguire il processo) � evidente. 

La tesi secondo cui all'applicabilit� dell'art. 44 cit. ostava la cessazione 
della materia del contendere (av\lenuta fin dal 1966, e cio� in data 
anteriore alla riforma) non pu� seguirsi, per quanto si � gi� detto esaminando 
il primo motivo. Un'indagine rivolta � a stabilire se si fosse 
verificata la cessazione della materia del contendere sarebbe stata strumentale 
rispetto alla pronuncia da parte della Commissione ad�ta -di 
un provvedimento dichiarativo di tale cessazione, senza il quale il procedimento 
era ancora pendente. Sopravvenut~ la riforma, la parte pri-. 
vata avrebbe dovuto chiedere la trahazione del ricorso, allo scopo di 
far dichiarare la cessazione della materia del contendere, perch� solo esaminando 
il merito del ricorso e le vicende sopravvenute si sarebbe potuto 
emettere tale provvedimento. L'estinzione formale del procedimento 
h� precluso la possibilit� di detta pronuncia. 

Quanto alla c.d. estinzione �sostanziale"� su cui insiste la difesa 
del ricorrente, essa si converte proprio nella presa d'atto della cessazione 
della materia del contendere, per cui il problema torna di nuovo 
al nodo �formale� dell'effetto preclusivo dell'estinzione del procedimento 
di impugnazione dell'accertamento fiscale, con le conseguenze gi� indicate 
esaminando il primo motivo. 

D'altra part~ (anche se si volesse superare -e non si vede come tale 
ostacolo formale), la tesi della ricorrente non giova al suo assunto. 
� stato affermato, con riguardo al vecchio processo tributario, che la 
rinuncia del contribuente ricorrente non ha. bisogno di accettazione da 
parte dell'Amministrazione, giacch� questa non ha interesse a proseguire 
un giudizio diretto ad impugnare un atto impositivo, dato che la 
rinuncia all'impugnazione dell'atto predetto lo rende inoppugnabile (Cass. 
22 marzo 1969 n. 924). �, pertanto, evidente che soltanto il contribuente 
avrebbe potuto �rinunciare al proprio ricorso, con effetti conservativi 
dell'accertamento, mentre l'Amministrazione avrebbe -se mai -potuto 
rinunciare a quest'ultimo e non al procedimento in corso. Ma, per 
poter stabilire nel processo se questa rinuncia sostanziale vi fosse stata, 
sarebbe stato necessario emanare una pronuncia di merito. Se un ostacolo 
pregiudiziale di carattere processuale ha impedito l'emanazione di detta 
pronuncia, la � pronuncia � alla pretesa fiscal� � rimasta un fatto di cui 
non ha potuto conoscere il giudice tributario, attenendo al merito dell'atto 
di accertamento e non alle forme del procedimento tributario. La 
pronuncia giudiziale si esaurisce nella p�resa d'atto di tale ostacolo. 

(Omissis) 

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I 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ' 417 

CORTE ni CASSAZIONE, Sez. I, 10 febbraio 1987, n. 1388 -Pres. Granata Est. 
Sgroi -P. M. Di Renzo (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. 
Stato Salimei) c. Veronese. 

Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi <U ricchezza mobile � Plusvalenza 
-Svalutazione monetaria � Deve essere dedotta da�'ammontare 
del plusvalore. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81 e 100). 
L'espressione �prezzo superiore" contenuta nell'art. 100 del t.u. delle 
imposte dirette del 1958 va inteso come � valore superiore" tale da � 
determinare un incremento .patrimoniale reale e .non nominale; di c~nseguenza 
nel raffronto fra i due termini che esprime la plusvalenza deve 
dedursi l'incidenza della svalutazione monetaria (1). � 

(omissis) Con l'unico motivo l'Amministrazione delle Finanze deduce 
la violazione degli artt. 81 e �100 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 (art. 360 

n. 3 c.p.c.) ed insuffidente motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) lamentando 
che la decisione impugnata, dopo aver correttamente ricordato che fra 
i presupposti dell'imposta di ricchezza mobile vanno annoverate le plusvalenze 
acquisite dai beni dell'impresa al momento in cui sono ceduti 
e dopo aver correttamente puntualizzato che per stabilire l'entit� dell'incremento 
imponibile la scelta del metodo e dei dati da considerare 
rientra nelle finalit� di politica tributaria perseguite dal legislatore, sicch� 
� legittimo, anche dal punto di vista costituzionale, lo stabilire se debbasi 
o meno tener conto dell'incidenza della svalutazione monetaria, abbia 
poi fi?ito per affermare il contrario di quanto aveva premesso, perch� 
ha stabilito che � demandato all'interprete di introdurre o meno l'elemento 
della svalutazione monetaria fra i dati da considerare. 
Secondo l'Amministrazione, il legislatore ha indicato gli elementi 
che debbono essere considerati che � sono, quanto al �valore finale, il 
prezzo di vendita e quanto al valore iniziale, il costo di acquisizione non 
ancora ammortizzato o, s� diverso, l'ultimo valore riconosciuto agli effetti 
della determinazione del reddito di esercizio, per cui non pu� essere 
introdotto l'altro elemento del mutamento del valore d'acquisto della 
moneta in un ordinamento -quale � quello tributario -ancorato al 
principio nominalistico. 

Continua l'Amministrazione rilevando che il valore iniziale pu� essere 
diverso dal costo non ammortizzato, com� avviene nei casi in cui il 

(1) Si conferma l'orientamento gi� avviato con la �sentenza 23 gennaio 1984, 
n. 547 (in questa Rassegna, 1984, I, 343). La pronuncia � riferita alla normativa 
del t.u. del 1958 e non affronta il problema nell'ambito della nuova disciplina. 

418 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

cespite sia stato rivalutato, mentre il valore finale non pu� che coincidere 
con il prezzo di realizzo, senza sconti per l'incidenza de�a svalutazione 
monetaria. 

Infine, secondo la ricorrente, la decisione impugnata � incorsa in 
difetto di motivazione su un punto decisivo, non avendo speso una parola 
per giustificare l'indice di svalutazione applicato e che ha portato 
a considerare ridotto di oltre tre quarti l'imponibile accertato dall'Ufficio 
per la plusvalenza (da 55 a 12 milioni). 

Il motivo � infondato. 

Secondo la prevalente e pi� autorevole dottrina e la giurisprudenza 

(v. Cass. 2 febbraio 1978 n. 462) l'espressione �prezzo superiore� contenuta 
nell'art. 100 del d.P.R. n. 645 del 1958 va interpretata come equi� 
valente al termine � valore superiore � contenuto nell'art. 20 1. 5 gennaio 
1956 n. �1, trasfuso nel testo unico del 1958. Pertanto, sono imponibili 
le plusvalenze derivanti dall'alienazione dei beni relativi all'impresa ad 
un valore di mercato superiore all'ultimo valore fiscalmente riconosciuto. 
Nella legge del 1958 manca�un dato letteral� decisivo al fine di sostenere 
la imponibilit� ai fini della ricchezza mobile -secondo il sistema abrogato 
con la riforma -delle plusvalenze puramente monetflrie. Occorre 
risalire ai principi generali dell'imposta mobiliare, la quale colpisce il 
reddito netto, nonch� le plusvalenze aventi natura reddituale e cio� in 
quanto non siano un incremento puramente nominale di patrimonio. 
L'incremento de~ivante dall'acquisizione -mediante alienazione del 
cespite aziendale -di una quantit� superiore di moneta che rappresenta 
per� un medesimo valore economico, perch� � rapportata al mutato 
potere di acquisto della moneta rispettivamente al momento della determinazione 
del valore iniziale ed al momento della vendita, non costituisce 
�ricchezza nuova�, da sottoporre all'imposta df ricchezza mobile. 
Il principio � stato affer111ato dalla giurisprudenza di questa Corte 
(oltre che nella lontana sentenza 18 marzo 1929, a cui fecero seguito 
circolari e prassi dell'Amministrazione Finanziaria nel medesimo senso) 
pi� recentemente da Cass. 16 ottobre 1974 n. 2874 e da Cass. 23 gennaio 
1984 n. 547, che in particolare ha stabilito che � necessario fare 
riferimento ad entit� omogenee, ossia a valori che vanno riportati ad 
omogeneit� tenendosi conto della svalutazione monetaria intercorsa fra 
i due momenti. 
Nel ricorso non solo non si porta alcun argomento contro tale indirizzo 
giurisprudenziale; �ma si riferisce in modo .non pertinente la decisione 
impugnata, la quale -confermando quella di secondo grado, 
a sua volta confermativa di quella di primo grado -non ha affatto 
operato uno � sconto � per l'incidenza della svalutazione monetaria sul 
prezzo di vendita del bene, ma ha -invece -rivalutato il costo del 

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~ARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 419 

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bene del 1970 di una somma che esprimesse il prezzo di acquisto di 

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allora rapportato ai parametri monetari del momento della vendita 
(Lire 244.878.000 pi� Lire 43.100.000 = Lire 287.978.000), per cui la plusvalenza 
realizzata era pari alla differenza fra tale valore di acquisizione ed � 
il valore del bene al momento dell'alienazione (Lire 300.000.000 -287.978.000 
= Lire 12.022.000, arrotondate a Lire 12.000.000). 

Tale procedimento � corretto, in quanto il bene non s�scettibile di 

svalutazione monetaria perch� avente un valore intrinseco {immobile al


berghiero), nei periodi nei quali si verifica una svalutazione monetaria 

(come � accaduto nel periodo, preso in esame in questa controversia, 

fra il 1970 ed il 1973) aumenta il proprio valore nominale (e cio� quello 

espresso nella moneta con corso legale), :;:na non aumenta il valore reale 

nella medesima misura. II mero aumento di valore nominale non costi


tuisce reddito e non pu� essere assoggettato a tassazione, se tale aumen


to rappresenta la diversa configurazione numerica� di un'invariata entit� 

economica. Una volta corretto il valore iniziale con l'indice di svaluta


zione idoneo ad esprimere il valore monetario rapportato al momento 

dell'alienazione, l'arricchimento effettivo � dato dalla differenza fra tale 

valore e quello realizzato con l'alienazione medesima. Se il parametro 

monetario utilizzato � identico, con riguardo ad entrambi i valori, la 

differenza non � meramente nominale, ma reale e pertanto rappresenta 

una ricchezza novella, indice di� capacit� contributiva, che va tassata. 

� stato obiettato, in dottrina, che il principio secondo cui ogni red-. 

dito da tassare. deve essere depurato dell'incremento nominale -dipendente 
dalla svalutazione monetaria -non pu� sostenersi con riguardo 
al sistema fiscale attuale, che-ne verrebbe sconvolto. L'obiezione prova 
troppo, appunto perch� dai principi affermati da questa Corte non 
pu� affatto ricavarsi un orientamento generale di interpretazione dell'intero 
sistema tributario, ma soltanto la soluzione del problema inter. 
pretativo relativo all'art. 100 del t.u. n. 645 del 1958, che � oggetto di 

questa causa. 

Con pi� puntuale riferimento alla norma citata, � stato obiettato 

che il fenomeno dell'inflazione e della svalutazione monetaria non pu� 

rapportarsi ai beni del patrimonio d'impresa singolarmente considerati, 

ma all'intero patrimonio che l'imprenditore. ha investito nell'impresa. 

In tale contesto, per esempio, occorrerebbe accertare se il bene � stato 

acquistato con capitale preso a prestito, la cui restituzione con moneta 

di valore intrinseco minore {deprezzata) comporta un arricchimento reale 

per l'imprenditore, che nel contempo subisce un impoverimento nell'in


cassare i crediti falcidiati dall'inflazione. Si tratta di obiezioni che vanno 

valutate sul piano teorico, ma del tutto estranee alla presente causa, 

16 


420 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nella quale si discute soltanto dell'incremento derivante dal realizzo di 
un bene dell'azienda, mediante alienazione, e della tassabilit� della plusvalenza 
realizzata con tale singola operazione, a prescindere da ogni rapporto 
con un pi� ampio bilancio aziendale. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 24 febbraio 1987 n. 1947 -Pres. Zucconi 
-Est. Cantillo -P.M. Caristo (conf.) Soc. Cattolica di Assicu~ 
razione (avv. Resdgno) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Laporta). 


Tributi in genere � Contenzioso tributario -Commissioni tributarie � Regolarit� 
della composizione � Verbale � Rilevanza. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 20 e 37). 
Per stabilire la regolarit� della composizione della commissione � determinante 
il processo verbale della udienza di discussione redatto a 
norma dell'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (e non gi� il verbale 
complessivo della adunanza che non � un atto previsto dalla normativa) 
che prevale sulla indicazione contenuta nella decisione poich� la decisione 
ha valore di originale solo quanto alla motivazione, che non � 
formata dal collegio (1). 

(Omissis) 1. -La Societ� Cattolica di assicurazione, con il ricorso 
per regolamento di giurisdizione, critica la sentenza del Tribunale di 
Bologna per avere declinato la propria giurisdizione nell'erroneo convincimento 
che l'actio nullitatis esperita per l'accertamento dell'inesistenza 
di una decisione tributaria concerna, al pari di questa, un rapporto 
giuridico d'imposta e debba annoverarsi, quindi, fra le contro


(1) Gi� altra volta la S.C. aveva affermato (22 novembre 1977 n. 5086 in 
questa Rassegna, 1977, I, 874) che la motivazione della decisione non � opera del 
Collegio, che ha esaurito la sua funzione con il deposito del dispositivo, e che 
il controllo della fedelt� e completezza della rappresentazione del decisum � 
affidato al presidente che sottoscrive il documento con il relatore; di conse. 
guenza nella decisione la indicazione della comparizione del Collegio (che pure � 
prescritta dall'art. 37 del d.P.R. n. 636/1972) � riproduttiva, sicch� in caso di 
discordanza prevale l'indicazione risultante dal verbale di udienza che documenta, 
con rilevanza esterna, non solo la fase della discussione ma anche 
qeulla della deliberazione. a poi evidente che nessun rilievo ha invece il non 
prescritto verbale dell'intera ordinanza della commissione che non � nemmeno 
un verbale ma un elenco preventivo. 
Con questa precisazione la sentenza ha risolto a monte il problema della 
giurisdizione su una singolare actio nullitatis proposta innanzi al giudice ordinario 
per far valere la nullit� insanabile della decisione della commissione per 
irregolare composizione del Collegio. a evidente per� che anche una tale domanda 
andrebbe sempre proposta con i mezzi di impugnazione propri del processo 
tributario che � un sistema completo ed autonomo. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

versie devolute alla cognizione del giudice speciale tributario. Sostiene 
che n� oggettivamente n� soggettivamente una tale azione possa ritenersi 
attratta nella giurisdizione speciale; sotto il profilo oggettivo, perch� 
questa postula un atto o un comportamento qualificato dell' Amministrazione 
finanziaria contro cui il contribuente insorga a tutela di una 
situazione giuridica sostanziale inerente al rapporto d'imposta, laddove 
oggetto dell'actio nullitatis � soltanto il provvedimento giurisdizionale 
impugnato, esaurendosi la controversia nell'accertamento dell'inesistenza 
della pronuncia, senza che venga in alcun modo in rilievo il rapporto 
giuridico di cui si dibatteva innanzi al giudice tributario; sotto il profilo 
soggettivo, perch� colui che esercita l'azione non agisce nella veste 
di contribuente, ma nella veste di parte del procedimento giudiziale in 
cui � stata emessa l'apparente statuizione, e non fa valere un interesse 
radicato nel rapporto d'imposta, bens�, appunto, il diverso ed autonomo 
della parte di un rapporto processuale a veder definita la controversia 
con una pronuncia costituente valida ed efficace manifestazione dell'esercizio 
di funzione giurisdizione. Pertanto la domanda di accertamento 
in parola esula, ad avviso della ricorrente, dalle attribuzioni delle 
commissioni tributarie, per ricadere nella residuale giurisdizione della 
autorit� giudiziaria ordinaria, non tipicizzata e destinata ad espandersi 
fin dove l'ordinamento non abbia devoluto ad altri giudici la risoluzione 
di un conflitto di interessi. 

Il ricorso non merita accoglimento, giacch� la statuizione di difetto 
di giurisdizione del giudice ordinario deve essere� tenuta ferma per un 
motivo preliminare ed assorbente rispetto alle ragioni svolte nella sentenza 
del Tribunale di Bologna. 

Dalla stessa pronuncia e dagli atti del processo, che le sezioni unite 
possono direttamente esaminare al fine di risolvere la questione di giurisdizione, 
risulta che il vizio di irregolare composizione del collegio, giudicante 
-perch� ne avrebbero fatto parte, oltre al presidente, tre componenti, 
in violazione dell'art. 7, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 
1972, n. 636 '{per cui la commissione tributaria di secondo grado decide 
con l'intervento del presidente e di due membri) -� stato dedotto 
dalla Soc. Cattolica con esclusivo riferimento al c.d. � verbale di adunanza
� del 1� febbraio 1977 della Sezione prima della Co~missione tributaria 
di secondo grado di Modena. 

Senonch� questo atto, che non � previsto dalla disciplina del contenzioso 
tributario, viene redatto nella prassi delle commissioni tributarie 
in analogia al ruolo dell'udienza di discussione delle cause innanzi 
al giudice collegiale nel processo civile ordinario (art. 30, n. 8, delle 
disp. att. del cod. proc. civ.) e in esso vengono riportati i nominativi 
del presidente e dei componenti chiamati a comporre il collegio in quell'udienza; 
sono elencati -secondo l'ordine in cui debbono essere trat



422 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tati ricorsi portati in discussione, con l'indicazione del relatore 
designato per ciascuno di essi (ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. cit.), e. 
sono annotati in estrema sintesi i provvedimenti adottati. 

Il verbale non documenta affatto, quindi, la-composizione del collegio. 
in ognuna delle controversie trattate, la quale varia da ricorso 
a ricorso quandl3, come spesso accade, all'udienza intervengono membri 
in numero superiore al legale, con la conseguenza che il collegio 
giudicante. deve essere formato dal presidente, del relatore e dal componente 
pi��anziano (in conformit� a quanto dispone l'art. 114, secondo 
comma disp. att. 'cod. proc. civ.). 

Invece, l'atto destinato ad attestare il numero e l'identit� dei componenti 
del collegio in relazione a ciascun ricorso, perci� idoneo a dimostrare, 
fino a querela di falso, l'eventuale vizio di costituzione del 
giudice, � il processo :verbale dell'udienza di discussione, che deve essere 
necessariamente redatto a cura del segretario (art. 20, secondo 
comma, d.P.R. n. 636 del 1972), e che adempie, sotto il profilo in esame, 
ad una funzione pi� ampia di quella dell'omologo verbale dell'udienza 
di discussione della causa nel processo civile. 

Infatti, mentre in quest'ultimo il procedimento di formazione della 
decisione -che va dalla chiusura della discussione al deposito in cancelleria 
dell'originale della sentenza -non assume rilievo giuridico autonomo 
(in quap.to il dispositivo redatto in camera di consiglio e_ la 
minuta della sentenza sono atti meramente interni, sempre suscettibili 
di modificazione prima della pubblicazione della sentenza), nel processo 
tributario la fase della deliberazione ha rilevanza esterna rispett~ alla 
sentenza, cio� al documento completo della pronuncia, giacch� la deci


� sione deve essere adottata dal collegio, di norma, subito dopo la discussione 
e deve essere immediatamente depositato in segreteria il dispositivo 
sottoscritto dal presidente (artt., 20 e 28 d.P :R. cit.), cos� che l'atto 
giurisdizionale viene ad esistenza gi� da quel momento. In questo 
modulo procedurale il verbale di udienza documenta in modo diretto 
la composizione del collegio tanto nella fase della , discussione quanto 
in quella della deliberazione in camera di consiglio, che si conclude 
appunto con il ,(leposito del dispositivo, ili cui .� dato atto in verbale; e 
si comprende, quindi, come le risultanze del medesimo debbano prevalere 
anche sull'intestazione della sentenza, in cui pure viene indicata 
la composizione del collegio (art. 37 n. 1), ove si consideri altres� 
che tale atto � sostanzialmente originale solo quanto all'esposizione dei 
motivi che sorreggono il giudizio e non � formato dal collegio, ma dal 
relatore e dal presidente, i quali soltanto lo sottoscrivono, ex art. 37 
cit. (v. in tal caso, la sent. n. 5086 del 1977, a torto invocata dalla ricorrente, 
equivocando fra il c.d. verbale dell'adunanza e il verbale di udienza). 

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423

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Tanto premesso, risulta prima facie che l'unica circostanza desumibile, 
circa la struttura del collegio, dal verbale dell'adunanza del 1� 
febbraio 1977 -cio� la partecipazione all'udienza di un numero di componenti 
superiori a quello prescritto -non implica affatto l'irregolare 
composizione del collegio, per eccesso di componenti, nella decisione 
dei ,singoli ricorsi discussi in quell'udienza e, dunque, del ricorso proposto 
dalla Societ� Catt<:!lica. La quale, per converso, non fa alcun riferimento 
al verbale di discussione, quindi all'atto specificamente destinato 
a documentare quella circostanza, e neppure all'intestazione della decisione 
(da cui risulta ch� il collegio era regolarmente composto dal 
presidente e due componenti). 

Pertanto, in base alla sostanza dei fatti dedotti a fondamento della 
domanda, non si configura un vizio di irregolare costituzione del giudice 
che possa essere fatto valere, in ipotesi, fuori dal processo tribu
�tario, tale .da� suscitare, quindi, il problema di giurisdizione affrontato 
dalla sentenza del tribunale di Bologna, concernente la possibilit� di 
proporre innanzi al giudice ordinario, nel vigente ordinamento del contenzioso 
tributario, l'actio nullitatis di. una ,pronuncia delle commissi�>ni 
tributarie. 

Conseguentemente, chiamate a regolare la giurisdizione, queste Sezioni 
unite debbono affermare che la cognizione della c�ntroversia appartiene 
alla giurisdizione speciale tributaria, trattandosi di do~anda diretta 
a far valere vizi di una decisione resa da una commissione tributaria 
in materia riservat~ alla giurisdizione esclusiva di tali organi; e dunque, 
con la diversa motivazione innanzi esposta, deve ess�re confeJ:11Ilata la 
statuizione del Tribunale di Bologna. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 febbraio 1987, n. 1948 -Pres. Zucconi 
-Est. Cantillo -P. M. Caristo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Tallarida) c.� Soc. Tattilo Editrice (avv. Mercuri). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -GiuriS"dizione amministrativa � 
Impugnazione di atti di indirizzo � Esclusione. 

Poich� la giurisdizione delle commissioni tributarie � piena ed escltf.siva, 
� sottratta alla giurisdizione del giudice amministrativo l'impugnazione 
di atti di indirizzo (circolari, risoluzioni, note, pareri ecc.) rivolti 
agli uffici tribtJ.tari ai fin della definizione dell'an e del quantum del tributo 
(1). 

(1) La decisione � da condividere, mentre deve essere contrastata la tendenza, 
che il giudice amministrativo a volte ancora dim�stra (T.A.R. Lazio, 
Sez. Il, 29 genn�io 1987 n. 147 in Boll. Trib. 1987, 645), a deviare verso la giuri

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) La Soc. Tattilo Editrice S.p.A., editrice dal 1969 del periodico 

� Playmen �, con istanza del 19 novembre 1976, chiese all'Amministrazione 

finanziaria di conoscere se gli atti economici relativi a tale pubblicazione 

potessero beneficiare, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, dell'aliquo


ta ridotta prevista dall'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, e successi


ve modificazioni, per i beni e servizi elencati nella Tabella A, parte Il, 

voce 70, allegata al decreto .stesso, fra i quali erano compresi i � peri~dici 

aventi carattere prevalentemente politico o sindacale o culturale o reli


gioso o sportivo� (la discip1ina � poi stata modificata). Il Ministero 

delle Finanze, con determinazione del 3 giugno 1977, portata a conoscen


za dell'interessata il 3 febbraio 1978, si espresse negativamente, conferman


do la risoluzione ministeriale n. 500287 .:lei 10 marzo 1973 con la quale era 

stata respinta un'analoga istanza della Dattilo. Il Miniistero motiv� il prov


vedimento osservando che, anche sulla base del parere espresso dall'ap


posito Comitato consultirvo interministeriale operante presso la presidenza 

del C01;1siglio dei Ministri, al periodico Playmen non poteva assere attri


buita -conformemente a quanto ritenuto con la precedente risoluzione 

Ministeriale -alcuna delle classifiche previste dalle norme in vigore al 

fine della riduzione dell'aliquota I.V.A., per modo che i relativi atti eco


nomici dovevano scontare l'imposta con l'aliquota normale. 

La soc. Tattilo, con ricorso del 1� aprile 1978, impugn� tale provvedimento 
e gli atti anteriori e connessi, in particolare il parere espresso 
dal Comitato consultivo interministeriale, innanzi al Tribunale aroministrativo 
regionale del Lazio. Dedusse sotto vari profili il vizio di eccesso 
di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, nonch� la violazione 
dell'art. 16 e della tab. A, voce 79, del d.P.R. n. 633 del 1972, e sostenne 
che erroneamente il Ministero aveva negato il carattere culturale della 
pubblicazione, in base ad una valutazione meramente soggettiva dei funzionari 
che avevano reso il provvedimento, con evidente disparit� di trat
� tamento rispetto ad altre pubblicazioni ritenute culturalmente rilevanti 
e, infine, sulla sorta di un parere affetto dagli stessi vizi ed espresso 
da un comitato illegittimamente costitmto, perch� composto, fra l'altro, 
da soggetti non qualificati a valutare l'aspetto culturale delle pubbli


cazioni. 

Nel giudizio si costituiscono l'Amministrazione delle Finanze e la Pre


sidenza del Consiglio, le quali_, con ricorso a queste Sezioni unite del 

sdizione aJilministrativa controversie di imposta occasionate dalla impugna


zione di atti di indirizzo. 

Qualche passo della motivazione lascia perplessi; in .particolare l'affer


mazione che la giurisdizione delle commissioni � anche di annullamento, che 

si ricollega a qualche pronunzia (23 marzo 1985 n. 2085 in questa Rassegna 1985, 

I, 659 con nota di C. BAFILE) peraltro smentita dalla giurisprudenza successiva. 

Ma nella statuizione principale la sentenza merita piena adesione. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

425 

6 febbraio 1978, proposero il regolamento di giurisdizione in esame, de


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ducendo sotto due profili il difetto di giurisdizione del T .A.R. 
Resiste la soc. Tattilo con controricorso. 


MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. -L'Amministrazione finanziaria dello Stato e la Presidenza del 
Consiglio dei ministri argomentano la richiesta di regolamento della 
giurisdizione in base alla considerazione che la risoluzione ministeriale 
del 3 giugno 1977 e il preventivo parere espresso dall'apposito Comitato 
consultivo interministeriale ineriscono alla qualifica del periodico Playmen 
agli effetti della spettanza, o meno, del trattamento agevolato previsto 
dall'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n.. 633, sull'IVA, e sono perci� 
atti interni al rapporto d'imposta relativo all'attivit� di pubblicazione 
e diffusione della rivista da parte della Tattilo Editrice S.p.A. 
Pertanto sostengono che la cognizione della controversia, proposta 
innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, appartenga, invece, 
alla giurisdizione delle commissioni tributarie e, ancora -prima, che 
sussista difetto assoluto (temporaneo) di giurisdizione, siocome i detti 
atti, proprio perch� inseriti nel procedimento di accertamento della 
obbligazione tributaria, non sarebbero suscettibili di essere impugnati in 
modo autonomo, non essendo compresi fra quelli elencati nell'art. 16 
del d.P.R. 29 settembre 1972, n. 636, sul contenzioso tributario. 


La richiesta � fondata in relazione al primo dei due profili ora delineati. 


2. -Posto che nel nuovo ordinamento della giustizia tributaria la 
giurisdizione delle commissioni tributarie � piena ed esclusiva -nel senso 
'lthe le controversie relative ai tributi elencati nell'art. 1 del D.P.R. n. 636 
del 1972, tra cui l'imposta sul valore aggiunto, sono riservate alla cognizione 
di detti organi, con esclusione di ogni altro giudice (cio� tanto 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria, quanto dei giudici amministrativi) l'unico 
problema che suscita il presente regolamento � se l'anzidetta 
risoluzfone ministeriale, impugnata innanzi al T.A.R. anche per (asseriti) 
vizi del parere del Comitato, sia o non sia un atto proprio del rapporto 
relativo alla tassazione con l'IVA dell'attivit� di pubblicazione del periodico 
Playmen e se, dunque, la controversia abbia o non abbia ad oggetto 
la concreta disciplina di tale rapporto. 

La risposta positiva � agevole, risultando chiara la stretta interenza 
dell'atto al rapporto tributario. � 
Invero, la normativa IVA vigente all'epoca assoggettava all'imposta 
con l'aliquota del 2%, ai sensi del combinato disposto dell'art. 16 deJ 


d.P.R. n. 633 del 1972 e della voce n. 79 della parte II della tabella A 

426 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

allegata �l decreto, le operazioni economiche imponibili relative ai soli 

� 

periodici �aventi carattere politico, sindacale, culturale, religioso o sportivo 
� (la disciplina � ora diversa, in quanto il d.l. 19 dicembre 1984, 


n. 833, convertito nella legge 17 febbraio 1985, n. 17, ha esteso il trattamento 
di favore a tutti i periodici, tuttavia non con efficacia retroattiva, 
prevista dal d.l. ed esclusa dalla legge di conversione); e poich�, con riferimento 
a tale normativa, il competente ufficio IVA aveva sempre 
negato -valendosi di una pregressa determinazione ministeriale -il 
carattere prevalentemente culturale del periodico Playmen, perci� pretendendo 
il pagamento dell'imposta con l'aliquota ordinaria, la Soc. Tattil� 
ritenne di sottoporre la questione di nuovo all'esame della Amministrazione 
centrale, la quale, ottenuto il parere del Comitato consultivo, con 
la risoluzione di cui si discute conferm� l'opinione negativa gi� espressa. 
Si � in presenza, dunque, di un atto emesso dal Ministero delle finanze 
nell'esercizio del suo potere di indirizzo dell'attivit� degli uffici 
fiscali, il quale si esplica, com'� noto, anche attraverso determinaz_ioni 
e manifestazioni di giudizio, rese a richiesta degli stessi uffici o direttamente 
dei contribuenti, in ordine a specifici problemi tecnico-giuridici 
relativi al regolamento di singoli rapporti d'imposta; e questi atti (variam.
ente denominati: risc;>luzioni, note, pareri, etc.)', pure ammettendo che 
in taluni casi possano rivestire di per s� carattere provvedimentale, _ 
senza, cio�, la mediazione di un ulteriore provvedimento dell'ufficio fiscale 
competente, sono inerenti, manifestamente, al rapporto tributario 
e alla concreta applicazione dell'imposta, risolvendosi in direttive vincolanti 
impartite al medesimo ufficio ai fin� della definizione dell'an e del 
quantum del tributo. 


La risoluzione in esame riflette appunto l'accertamento di una peculiare 
qualificazione del presupposto dell'obbligazione tributaria richiesta 
per l'applicabilit� di un regime differenziato, esaurendosi il suo contenuto 
nel giudizio circa la natura del periodico, funzionale alla possibilit� 
di inqu"adrare l'attivit� nella previsione della norma agevolativa e valiido 
solo a questo scopo; e a tale giudizio qualificativo, comportante il diniego 
dell'aliquota ridotta, doveva attenersi l'ufficio nella concreta applicazione 
del tributo, perci� provvedendo a notificare avviso di rettifica 
per le liquidazioni eventualmente effettuate dalla contribuente in base 
all'aliquota ridotta ovvero respingere le eventuali istanze di rimborso 
moti;vate allo stesso modo. 


L'oggetto del giudizio originato dall'impugnazione dell'atto suddetto, 
per motivi attinenti alla sua legittimit� formale e sostanziale, investe, 
quindi, direttamente H rapporto di imposta, per essere la domanda di annullamento 
sostanzialmente finalizzata alla qualificazione del presupposto 
del tributo nel senso sostenuto dalla ricorrente, attraverso il ricono


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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

scimento del carattere culturale del periodico; e sono funzionali all'ot


tenimento, della medesima pronuncia, relativa al regolamento dell'obbli


gazi�ne tributaria, i motivi di invalidit� (derivata) concernenti vizi pro


pri del parere espresso dall'organo consultivo. 

La posizione . soggettiva di cui si invoca la tutela giurisdizionale �, 

infine, ugualmente correlata alla qualit� della Soc. Tattilo di sog


getto passivo del rapporto d'imposta; ed � inutile�� discutere, ai fini 

del riparto della giurisdizione, della consistenza di tale posizione rispet


to all'atto in questione -se, cio�, si configuri un interesse legittimo 

(come. sostiene la societ�) o uii diritto soggettivo -gia:och�, una volta 

stabilita la natura tributaria dell'atto medesimo e, di conseguenza, della 

controversia cui d� luogo la sua impugnazione, deve esser~ tout court 

affermata la giurisdizione esclusiva del giudice tributario, che -come 

questa Corte ha di recente precisato -� anche giurisdizione di annul


lamento� dei provvedimenti dell'amministrazione finanziaria (v. sent. n. 
'2085 del 1985). 

3. -Non costituisce materia di regolamento della giurisdizione l'ulteriore 
problema concernente la possibilit� di impugnare l'anzidetta risoluzione 
ministeriale, negata dall'Amministrazione sotto il duplice profilo 
che l'atto non avrebbe diretta efficacia provvedimentale, siccome meramente 
strumentale rispetto ad un successivo prov\r�dimento dell'ufficio 
fiscale 1(di accertamento del maggior tributo o di rigetto delnstanza di 
rimborso), e che, comunque, .esso non sarebbe impugnabile in modo 
autonomo, perch� non compreso nell'elenco dei provvedimenti contro cui 
� dato ricorrere alle commissioni tributarie, ai sensi dell'art. 16 del d.P.R. 
n. 636 del 1972. 
Entra~bi i profili non suscitano una questione relativa alla giurisdizione, 
in quanto spetta al giudice tributario, munito di potere giurisdizionale 
nella materia, verificare l'ammissibilit� del ricorso con riferimento 
sia all'esistenza di un provvedimento impugnabile � sia all'osservanza 
di norme che stabiliscono peculiari modalit� nello svolgimento 
della tutela. Tale deve considerarsi, infatti, la disposizione di cui al primo 
comm~ dell'art. 16 cit., la quale, nell'individuare provvedimenti che, 
scandendo altrettante fasi . del rapporto tributario, sono suscettibili di 
immediata impugnazione, non esclude la possibilit� di impugnare gli atti 
presupposti che si inseriscono nella sequenza procedimentale conclusa 
da detti provvedimenti, bens� prescrive che essi debbano essere impugnati 
unitamente a questi ultimi: ed � evidente che siffatta modalit� di 
esercizio dell'azione attiene ai limiti interni della giurisdizione, non all'esistenza 
e tanto meno al riparto della sfessa. 

Al qual proposito giova segnalare che il sistema delineato dall'art. 16 
(nel testo novellato dall'art. 7 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739) � stato 


428 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di recente ritenuto costituzionalmente legittimo della Corte Costituzionale, 
la quale ha osservato che la disposizione, essendo suscettibile di 
interpretazione estensiva quanto all'elenco degli atti impugnabili, � idonea 
ad assicurare in ogni caso la tutela giurisdizionale del contribuente 
innanzi alle commissioni tributarie (sent.. 3 dicembre 1985, n. 313). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 marzo 1987, n. 2527 � Pres. Scanzano � 
Est. Caturani � P. M. Visalli (conf.). Soc. Alfa Romeo Sud (avv. Roma-. 
no) c. Ministero delle finanze (avv. Stato D'Amico). 

Tributi in genere � Contenzioso tributario � Provvedimento impugnabile Avviso 
di liquidazione � Definitivit� � Successiva domanda di rim� 
borso � Inammissibilit�. 

'(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). 

Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Nuovo testo unico � Di� 
sposizioni pi� favorevoli al contribuente � Estensione nei rapporti 
per i quali pende controversia � Definitivit� dell'accertamento tardivamente 
impugnato� Esclusiope. 

(d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 79). 
L'avviso di liquidazione, ancor prima della modifica introdotta all'art. 
16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 con il d.P.R. 3 novembre 1981 

n. 739, era un provvedimento (accertamento in senso ampio) capace di 
diventare irretrattabile se non impugnato �nel termine e la cui definitivit� 
preclude il rimborso della somma pagata in conformit� ad esso (1). 
L'estensione delle disposizioni del nuovo testo unico dell'imposta di 
registro pi� favorevoli ai contribuenti agli atti per i quali sia pendente 
controversia, a norma dell'art. 79 del d.P.R. 26 aprile 1976 n. 131, presuppone 
la pendenza di un giudizio in cui sia possibile una decisione di 
merito, ma � esclusa quando si sia verificata una decadenza per decorso 
del termine per l'impugnazione (2). 

(omissis) Nell'ordine logico � pregiudiziale l'esame del ricorso incidentale 
con cui l'Amministrazione delle finanze, denunziando violazione degli 
artt. 16, 26, 53 e 54 d.P.;R. 26 ottobre 1972 n. 634 e .dell'art. 16 d.P.R. 
:26 ottobre 1972 n. 636 (in relazione all'art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.:), sostiene 

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(1-2) Sulla prima massima, ormai pacifica, Cass. 4 aprile 1986, 2336 in questa 
Rassegna, 1986, I, 288; 3 febbraio 1986, n. 661, Foro lt., 1986, I, 1898. Di molto 
interesse la seconda massima su cui non constano precedenti. 



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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 429 

che la domanda di restituzione della somma pagata dal contribuente a 
titolo di imposta di registro � improponibile per ~on avere la soeiet� 
impugnato l'avviso di liquidazione entro il termine perentorio di sessanta 
giorni, ai sensi dell'art. 16 d.P.R. n. 636 del 1972. � 

Il ricorso incildentale � fondato. 

Come questa Corte ha gi� avuto occasione di decidere, in presenza 
dell'atto di imposizione il dies a quo del termine di sessanta giorni per 
proporre ricorso alle Commissioni tributarie si identifica con la data 
di notificazione dell'atto che lo presuppone e cio� con il giorno della 
notificazione dell'avviso di liquidazione, dovendosi ritenere che il legislatore 
del 1972, con l'espressione �notificazione dell'avviso dell'accertamento
� abbia inteso riferirsi anche all'accertamento contenuto nell'atto 
di liquidazione, come poi il legislatore del 1981 ha voluto specificare 
.(sent. n. 2336 del 1986). Le ragioni che sorreggono il decisum di cui sopra 
sono contenute nel precedente citato ed esse non sono scalfite in alcun 
mod� dalle deduzioni svolte all'udienza dalla difesa della ricorrente principale. 


Non � fondata, invero, la obiezione secondo cui la domanda proposta 
innanzi alla Commissione tributaria d:i primo grado era di rimborso 
dell'imposta gi� pagata, onde la restituzione poteva essere richiesta entro 
tre anni dal giorno del pagamento, ai sensi dell'art. 75 del d.P.R. numero 
634/72. La tesi non considera che il ricorso alie commissioni tributarie, 
che ha il carattere di una impugnativa di atto secondo la nuova 
disciplina, sia pure in funzione di una pronunzia anche del merito del 
rapporto, non pu� essere proposto che contro gli atti menzionati nell'art. 
16 del d.P.R. n. 636/72, tra i quali -secondo la interpretazione 
gi� accolta da questa Corte -rientra anche l'avviso di liquidazione. 
La norma contenuta nell'art. 75 cit. si riferisce quindi a fattispecie diverse 
da quella che � oggetto del presente giudizio, in cui la domanda di 
restituzione �.presentata direttamente all'ufficio che ha eseguito la registrazione; 
per tale richiesta la disposizione riconosce al contribuente il 
termine di tre anni dal giorno del pagamento. 

. Tale disciplina, tuttavia, non ha inciso n� lo poteva, sulla disciplina 
dell'art. 16 il cui terzo comma ammette la impugnativa del rifiuto di 
restituzione della somma pagata soltanto quando il contribuente afferma 
essere sopravvenuto il diritto al rimborso, mentre nel caso di specie 
� contestata in radice l'originaria esistenza dell'obbligazione. 

D'altronde, la nuova formulazione dell'art. 16,� prevista dal d.P.R.' 

n. 739/81, riconosce l'azionabilit� in giudizio del diritto al rimborso solo 
nel icaso di versamento diretto o qualora manchino o non siano stati 
notificati gli atti indicati nel primo comma, tra i quali rientra l'avviso 
di liquidazione. In altri termini, dovendosi collegare l'art. 75, invocato 

430 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

dalla ricorrente con la generale cQSciplina dell'art. 16 d.P.R. n. 636/72, 
deve affermarsi che, quando il diritto al rimborso si fonda sulla illegittimit� 
della pretesa tributaria espressa in uno degli atti menzionati 
dal ripetuto art. 16, il contribuente deve impugnare tale atto nel termine 
previsto da quest'ultima disposizione, per far salvo quel diritto._ 
N� ha pregio l'assunto secondo cui, ai sensi dell'art. 79 del d.P.R. 

n. 131/86, le ,disposizioni pi� favorevoli ai contribuenti hanno effetto 
anche per gli atti anteriori relativamente ai quali alla data di entrata 
in vigore del suddetto testo unico sia pendente contro'[ersia. 
La t�si riflette il merito della controversia che non pu� essere esa� 
mi:r~ato per la preclusione dipendente dalla riscontrata decadenz� della 
azione innanzi alle Commissioni tributarie. Ed � evidente che quando 
la norma estende la nuova disciplina pi� favorevole al contribuente 
alle ipotesi in cui sia � pendente controversia � intende riferirsi alle fattispecie 
in cui in giudizio � possibile procedere alla applicazione della 
nuova disciplina con effetto retroattivo, il che deve �scludevsi nel caso 
che si considera per la illustrata verificazione dell'effetto preclusivo in 
ordine alla proposizione della domanda ex art. 16 comma 1 del d.P.R. 

n. 636/72. 
Quanto precede dimostra altres� la irrilevanza della questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 79 cit., in riferimento all'art. 3 della Costituzione, 
non essendo possibile applicare in giudizio la norma suddetta, 
onde la sua eventuale caducazione dall'ordinamento non potrebbe in nessun 
caso incidere sulla decisione della controversia. 

In definitiva, poich� � pacifi�o in causa che nella specie il ricorso 
alla Commissione Tributaria di primo grado fu proposto quando era gi� 
decorso il termine di sessanta giorni dalla �notificazione, dell'avviso di 
liquidazione, ne discende che il ricorso incidentale dell'amministrazione 
deve essere accolto. {omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 marzo 1987, n. 2646 -Pres. Gran,ata � 
Est. Tilocca -P. M. Amirante (conf.). Pinto c. Ministero� delle finanze 
(avv. Stato Fiorilli). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Impugnazione -Ricorso cumulativo 
-Decisioni distinte concernenti Io stesso rapporto -Ammissibilit�. 
' 

E ammissibile l'impugnazione con unico ricorso di decisioni distinte 
intervei;iute fr'a le stesse parti, purch� siano individuate le decisioni che 
si impugnano, sia inequivocabilmente espressa la volont� di impugnarle 

_.......~ 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 431 

tutte e sia rispettato per ognuna il termine, quando concernano. lo stesso 
rapporto di imposta (nella specie erano impugnate distint� decisioni inerenti 
a due supplementi della stessa imposta di successione) (1). 

(omissis) C�m il primo mezzo Pinto Teresa denuneia la violazione 
dell'art. 40 d.P.R. 20 ottobre 1972, n. 636, in relazione all'art. 360, n. 3, 
c.p.c., censurando la sentenza gravata per aver ritenuto ammissibile l'impugnazione, 
con un unico atto, contro le due distinte decisioni della 
comm1ss1one tributaria di secondo grado di Potenza, nonostante � la 
mancanza di preventiva riunione da parte del giudice dei relativi processi, 
aventi, sia pure in identit� di soggetti, diversi il poetitus e la 
causa poetendi �. 

Il motivo � infondato. 

Prevedendo il codice di rito in modo esplicito (artt. 340 e �361) soltanto 
la possibilit� di impugnare congiuntamente la sentenza non definitiva 
e quella definitiva, le quali vengono pronunciate nello stesso giudizio, 
si registra, nella giurisprudenza di questa Corte, contrasto circa 
l'ammissibilit� dell'impugnazione, con un unico atto, di due o pi� decisioni 
emesse fra le stesse parti in giudizi diversi (nel senso positivo, 
fra le altre, sent. n. 892 del 1979, n. 267 e 2704 del 1981, n. 5125 del 1984;' 
nel senso dell'inammissibilit�, fra le tante, sent. n. 1616 del 1975, n, 6533 
e 2716 del 1981, n. 915 del 1984), quando, ovviamente, siano ben individuate 
le sentenze impugnate, sia inequivocamente espressa la volont� 
di impugnarle tutte e sia rispettato, per ognuna di esse, il termine di 
impugnazione. Nell'ambito dell'indirizzo che risolve negativ~mente la questione 
si ritiene, in via eccezionale, che possono essere impugnate congiuntamente 
la sentenza emessa nel giudizio ordinario di merito (di 
solito in grado di appello) e quelle pronunciate nel giudizio di revocazione 
(Cass. sent. n. 376-del 1982 e n. 280 del 1984) e comunque le sentenze 
'(rese in giudizi diversi, fra le stesse parti) che concorrono a dare 
contenuto alla decisione di un'unica controversia in genere (Cass. sent. 

n. 6533 del 1981) e di imposta in ispecie {Cass. n. 3756 del 1981, n. 1061 
_del 1980, entrambe �a contrario�) nonch� le decisioni emesse dalle Commissioni 
tributarie in distinti. procedimenti (vertenti fra le medesime parti 
e) riguardanti identiche questioni {Cass. sent. nn. 6296 e 6297 del 1985). 
Si deve ritenere altres� ammissibile {qualunque dei due. indirizzi sopra 
indicati si reputi rispondente .all'attuale disciplina del processo civile) 
l'impugnazione, con un unico atto, di due o pi� decisioni, ma in giudizi 
diversi fra le stesse parti, quando esse, seppure in controversie 
(1) La decisione, �sicuramente corretta, non esclude che il cumulo possa 
essere riconosciuto in termini pi� ampi di quelli, in vero strettissimi, del caso 
di specie; ma la giurisprudenza sulla questione resta oscillante. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

che non s'integrano in una sola per un qualche elemento differente, 
concernono lo stesso rapporto giuridico ed in particolare lo stesso rapporto 
di imposta, poich� da tale comunanza del titolo potranno emergere 
fra le decisioni connessioni che soltanto in un loro esame congiunto da 
parte del giudice ad quem possono essere considerate e valutate in 
modo completo e coerente. 

Nella specie, le due decisioni della Commissione tributaria di secondo 
grado impugnate congiuntamente davanti la Corte di Appello riguardano 
lo stesso rapporto di imposta e ciascuna una parte del relativo 
debito fiscale. Va, all'uopo, chiarito -::-sulla base delle idicazioni risultanti 
dalla sentenza impugnata in questa sede -che, dopo i pagamenti 
parziali di cui sopra si � fatto cenno, l'Ufficio, con avviso del 12 dicembre 
1974, liquid� il residuo del debito fiscale in L. 4.525.815 e successivamente 
rettific� tale liquidazione ritenendo dovuta l'ulteriore somma di 

L. 932.620. 
Da qui i due dis.tinti giudizi promossi in date diverse dalla Pinto 
davanti la Commissione tributaria di primo grado di Potenza deducendo 
in entrambi_ identiche questioni. La detta Commissione, e poi, la 
Commissione di secondo grado, davanti la quale si appell� l'Amministrazione, 
pronunciarono nelle stesse date decisioni (formalmente) separate 
per i due giudizi, ma fondate su identica motivazione. Le due decisioni 
della Commissione di secondo grado vennero impugnate dall'Amministrazione 
con �ln unico atto davanti la Corte di Appello cli Potenza, 
la quale esattamente ritenne ammissibile siffatta impugnazione con� 
giunta giacch� nella specie le decisioni, distinte in relazione al petitum, 
concernevano lo stesso rapporto di imposta ed inoltre avevano affrontato 
e risolto, con identica motivazione, le stesse questioni. ,(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 marzo 1987, n. 2765 -Pres. Virgilio Est. 
Sgroi -P. M. Paolucci {conf.). Bellomo -(avv. Barone) c. Ministero 
delle finanze (avv. Stato lJaccari). 

Tributi in genere � Contenzioso tributario � Decisione � Correzione cli 
errore materiale -Non utilizzabilit� della motivazione � Confronto 
con gli atti anteriori del processo -Legittimit�. 

Tributi in genere � Contenzioso tributario � Decisioni cli secondo grado 
sulla valutazione estimativa ~ Impugnazione di terzo grado di sola 
legittimit� -Ricorso per � cassazione � Duplicazione del giudizio di 
legittimit� � Pronuncia della Cassazione riferita alla decisione di 
secondo grado. 

~ 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 433 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Decisione � Motivazione Valutazione 
-Ricorso alla comune esperienza � Ammissibilit� -Limiti. 

Poich� il dispositivo delle decisioni delle commissisoni tributarie � 
autonomo rispetto alla motivazione ed immodificabile per l'organo che 
lo ha emesso fin dal momento del deposito, la motivazione della decisione, 
successivamente formata, non � utilizzabile per riscontrare l'errore 
materiale del dispositivo; tuttavia l'errore materiale pu� essere accertato 
facendo riferimento agli atti del processo anteriori o contestuali alla 
decisione (nella specie facendo ricorso agli atti difensivi delle parti si � 
stabilito che la cifra indicata nel dispositivo come imposta doveva intendersi 
riferita alla base imponibile) (1). 

Poich� l'impugnazione in terza grado di una decisione di secondo 
grado pronunciata esclusivamente sulla valutazione estimativa � una impugnazione 
di sola legittimit� per vizi del procedimento che da luogo 
ad una pronunzia puramente rescindente, e poich� la decisione di terza 
grado � a sua volta soggetta ad una impugnazione della stessa natura 
innanzi q.lla Corte di Cassazione, il giudizio della Cassazione, bench� nella 
forma direttamente rivolto contro la decisione di terza grado si riferisce 
indirettament� alla decisione di secondo grado e si risolve in una 
ripetizione della stessa indagine rivolta a verificare la legittimit� della 
decisione di secondo grado a confronto con i motivi di impugnazione 
dedotti (2). 

Le commissioni nelle valutazioni estimative possono avvalersi di 
� comune esperienza � intesa come esperienza tecnica risultante sia da 
cognizioni empirico estimative sia da medie statistiche su dati rilevati 
in altre decisioni (3). 

(omissis) Col primo motivo il Bellomo deduce la violazione e falsa 
applicazione degli artt. 20, 37, 38 e 39 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, in 
collegamento con gli artt. 12, 24 e 25 d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, 429, 
430, 437 c.p.c. e degli artt. 132, 133, 161, 276, 287 c.p.c., in telazione all'art. 

(1-3) La prima massima � da condividere pienamente; la questione, pi� 
frequentemente affrontata riguardo alle sentenze nel processo del lavoro, pone 
vari problemi, ma sicuramente l'errore � correggibile quando risulta dal confronto 
con atti del processo anteriori alla decisione. 

La seconda massima, certamente� esatta nelle premesse, merita maggior 
riflessione nelle conclusioni. Sicuramente il giudizio su un vizio del processo 
inteso in senso stretto (violazione di legge) si presenta all'identico modo nel 
giudizio di terzo grado e in quello di cassazione, s� che la Cassazione pur giudicando 
sulla decisione di terzo grado verifica la legittimit� di quella di secondo 
grado. Meno sicura � per� la proposizione rispetto al difetto di motivazione; 
in questo caso la Cassazione non pu� .direttamente giudicare, omisso medio, la 
sufficienza della motivazione della decisione di secondo grado; a ci� pu� giun




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434 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO. 8 
~I 
360. n. 3, 4 e 5 .c.dp.c..; .n?ndch 
11 
� omessa o ~uanto mendo inhsuf 
1 
ficicente md~tivaz1one 
su punti ec1s1v1 e a controversia, osservan o c e a orte ap~--.~.~='=
ff 
pello ha errato, nel fondare la statuizione con la quale ha respinto il prir~,;.
� 
mo motivo dell'impugn�zione {riassunta, supra, in narrativa) sui principi 
enunciati dalla giurisprudenza a proposito del rapport� fra motivazione 
e dispositivo nelle sentenze rese dai giudici collegiali nelle cause civili a 
rito ordinario, perch� essi suppongono quel meccanismo in forza del quale 
il dispositivo sottoscritto dal Presidente ha carattere provvisorio, in quanto 
le sentenze vengono a giuridica esistenza solo dopo il deposito in cancelleria 
dell'atto completo di motivazione. Tali principi non possono essere 
invocati per le decisioni delle Commissioni tributarie di secondo 
grado, il cui dispositivo -analogamente a quello delle sentenze emanate 
nelle controversie di lavoro -� auton6mo rispetto alla motivazione e 
diviene definitivo ed immodificabile per l'organo che lo ha pronunciato 
nel momento del suo deposito in segreteria, immediatamente successivo 
alla discussione. In tale situazione, i contrasti fra il dispositivo e la motivazione 
non sono mai risolubili alla stregua dei princ�pi richiamati dalla 
sentenza impugnata, ma devono essere riguardati da una prospettiva diversa. 
Nel caso in cui detti contrasti investano sentenze non passate in 
giudicato, non potendosi modificare e/o integrare le statuizioni del dispositivo 
con i diversi rilievi svolti in motivazione, non resta altra alternativa 
che la dichiarazione di nullit� della decisione da parte del giudice dell'impugnazione. 
Il ricorrente, inoltre, deduce che -dopo aver erroneamente ricondotto 
nell'area dell'errore materiale il contrasto fra dispositivo e motivazione 
della decisione della Commissione di secondo grado -la Corte 
di Bari non si � accorta che, nel momento stesso in cui si impegnava 
~lla ricerca� della volont� di quella Commissione, forniva un'indicazione 
precisa dell'impossibilit� di ravvisare nella situazione considerata una 
mera svista e/o dimenticanza ovvero distrazione. Invero (cfr. Cass. 6 nogere 
solo attraverso un vizio della motivazione della decisione di terzo grado 
ch�' potrebbe anche non sussistere. 
Di molto interesse la terzo massima. Le commissioni sono giudici specializzati 
che nelle determinazioni estimative possono avvalersi di esperienza 
tecnica. Come bene mette in luce la sentenza, questa non si identifica con la 
comune esperienza dell'art. 115 c.p.c. ma concerne non tanto la prova quanto 
il tipo di processo, che sul punto � diverso da quello ordinario, perch� consente 
una diretta pronunzia di natura tecnica senza la presenza necessaria del 
consulente (Cass, 17 maggio 1984 n. 3047 in questa Rassegna, 1984, I, 583). 
Ma ancora 1nteressante � la precisazione che l'esperienza tecnica � costituita 
non solo dal possesso di cognizioni ma anche dalla elaborazione statistica 
di elementi tratti dalla ripetizione di giudizi analoghi ..Ovviamente quanto la 
sentenza afferma con riguardo a parametri di redditivit� pu� valere anche per 
indici di valori degli immobili nelle imposte indirette. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

vembre 1980 n. 5964) � impossibile il confronto fra motivazione e dispositivo 
perch� la relativa pronuncia rimane avulsa da qualsiasi documentazione 
formale delle ragioni che l'abbiano determinata, n� tale confronto 
potrebbe essere utilmente compiuto con la motivazione successivamente 
depositata, sia per il difetto di documentazione della conformit� fra 
questa e quella assunta al momento della pronuncia del dispositivo, sia 
perch� l'eventuale correzione di questo, in senso conforme alla motivazione 
successiva, farebbe venir meno l'elemento essenziale costituito dalla 
necessaria pronuncia della decisione in udienza o subito dopo la discussione. 
Resta perci� -conclude il ricorrente -l'assoluta ed irriducibile 
contraddittoriet� della decisione con la conseguente nullit� della stessa. 

Il motivo � infondato. 

I principi richiamati sono indubbiamente esatti e sono stati pi� 
volte affermati da questa Corte {sent. 6 novembre 1980 n. 5964; 4 mar� 
zo 1983 n. 1600; 24 febbraio 1984 n. 1338; 5 novembre 1985 n. 5365), ma non 
sono pertinenti rispetto al� caso di specie. 

Deve premettersi che, deducendosi un error in procedendo, questa 
Corte non solo pu� esaminare direttamente gli atti processuali, ma pu� 
anche v:alutarli in modo diverso da come li ha valutati la sentenza 
impugnata, la cui statuizione finale pu� restare ferma, se la sua esat� 
tezza dipende dall'applicazione di diversi principi giuridici che si sostitu�� 
scono a quelli erroneamente utilizzati. Esclusa l'utilizzabilit� della moti� 
vazione, per riscontrare l'esistenza di un errore materiale nel dispositivo, 
non vi � dubbio -invece -che possa farsi capo agli atti processuali 
precedenti o contestuali, come il verbale di udienza (cfr., per tale ipotesi, 
in un caso di � mero errore � nella sottoscrizione della sentenza, Cass. 
25 ottobre 1984 n. 5451) ovvero il ricorso iniziale o l'atto d'appello (si 
pensi ad uno scambio di persone o alla erronea indicazione del nome di 
esse; cfr. Cass. 24 febbraio 1984 n. 1338). 

Nella specie, l'errore materiale emerge in maniera palese dal semplice 
confronto fra il dispositivo {che ha determinato apparentemente l'imposta 
di R.M.) e gli atti precedenti alla sua pronuncia (che riguardavano esclu� 
sivamente la determinazione dell'imponibile soggetto alla suddetta im� 
posta); confronto che si deve istituire con tutto il dispositivo e quindi 
anche con la parte di esso che dice � accoglie per quanto di ragione � 
l'appello dell'Ufficio. 

La suddetta espressione, nella sua letteralit�, ha l'indubbio significato 

di un accoglimento �parziale� e non integrale, nei limiti cio� di quanto 

ritenuto giusto o � di ragione �, rispetto alle pi� ampie pretese della parte. 

Orbene, se tale accoglimento delle ragioni della Finanza si fosse concre


tato nella determinazione delle imposte di R.M. apparentemente indicate 

nel dispositivo (Lire 13.350.000 per il 1970; Lire 10.200.000 per il 1971; 

Lire 27.525.000 per il 1972 e Lire 8.175.000 per il 1973), detto dispositivo 


RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DEILO STATO

436 

sarebbe stato travagliato non soltanto da un vizio di extrapetizione 
(perch� -come rilevava il Bellomo dinanzi alla Corte d'appello -nessuna 
delle parti aveva chiesto la determinazione dell'imposta, la quale 
� demandata all'Ufficio, in una fase successiva alla decisione sull'imponibile), 
ma anche da un vizio di ultrapetizione rispetto alle richieste dell'Ufficio, 
che contestualmente quel dispositivo dichiarava per� di accogliere 
� solo in parte �. Invero, � facile riscontrare che la richiesta dell'appellante 
Amministrazione era quella di conferma degli imponibili di Lire 22.000.000, 
Lire 13.600.000, Lire 36.700.000 e Lire 10.900.000 a cui -in applicazione 
dell'art. 90 del t.u. del 1958, mod. dalle leggi 3 novembre 1964 n. 1190 e 
28 ottobre 1970 n. 801, e tenuto conto della quota esente di Lire 240.000, 
ex art. 1 legge da ultimo citata -corrispondevano imposte di R.M. cat. 
B di Lire 4.4%.000, Lire 2.604.000, Lire 7.686.000, Lire 2.010.000, e cio� 
somme notevolmente pi� basse di quelle apparentemente indicate nel 
dispositivo della decisione di secondo grado, che pure dichiarava di voler 
accogliere solo in parte l'appello dell'Ufficio. Rispetto all'ipotesi di 
un macroscopico ed irragionevole vizio di extra e ultrapetizione, appare 
assai pi� plausibile n riscontro di un semplice errore materiale o � lapsus 
calamani �, il quale si concreta nella rilevabilit� a prima vista del


l'involontariet� dell'errore contenuto nel provvedimento da correggere. � 

Un altro evidente indice della sussistenza di un errore (e non di un 
vizio logico-giuridico del dispositivo, rispetto all'oggetto delle domande 
delle parti) consiste nell'esistenza in esso della frase �Complementare 
in conseguenza �. Orbene, mentre nessun rapporto di consequenzialit� 
esiste fra imposta di R.M. ed imposta complementare sul reddito, perch� 
i tassi relativi sono fissati del tutto indipendentemente gli uni dagli 
altri (dalle disposizioni ricordate, per la R.M., e dalle tabelle di cui all'articolo 
139 del t.u. del 1958, da ultimo stabilite con d.P.R. 25 maggio 1962 

n. 667 per l'imposta complementare progressiva), invece esiste quel rapporto 
di conseguenziarit� fra imponibili di R.M. e imponibili ai fini dell'altra 
imposta, indicato dal dispositivo della Commissione, in forza 
degli artt. 133-135 del t.u. n. 645 del 1958. 
Concludendo, l'analisi appena attenta del dispositivo, letto nella sua 
integrit� {e non soltanto isolando la parola �imposta� dal contesto) ed 
inoltre raffrontato con gli atti processuali che lo hanno preceduto, convince 
che la volont� dei giudicanti era diretta a determinare l'imponibile e 
non l'imposta e che tale volon'!A si � manifestata in modo erroneo per un 
semplice � lapsus � materiale suscettibile di correzione, senza necessit� 
di far ricorso alla motivazione. (omissis) 

{omissis) I motivi -che per la loro connessione si devono esaminare 
congiuntamente -sono infondati. 
Come � esattamente ricordato dal ricorrente, dato il tipo di errore 
dedotto in questa sede, la Corte Suprema pu� esaminare direttamente 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA .f37 

gli atti di causa (e sostituire -pertanto -la motivazione mancante od 
insufficiente della sentenza impugnata) per cui e inammissibilie la censura 
di omessa od insufficiente motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., dato 
che tale motivazione pu� essere svolta da questa Corte, a seguito del riesame 
degli atti (giurisprudenza costante in tema di vizi �in procedendo�). 

Invero, non vi � dubbio che il vizio di motivazione delle decisioni delle 
Commissioni tributarie di secondo grado .si concreta in una violazione di 
legge (art. 37 n. 2 del d.P.R. n. 636 del 1972 ed art, 24 n. 2 del d.P.R. n. 739 
del 1981) ed � deducibile dinanzi alla Corte d'appello, come � error in 
procedendo � (Cass. 18 aprile 1983 n. 2643) che sostanzia un'impugnazione 
puramente rescindente, in quanto il riconoscimento di un vizio della motivazione 
relativa alle questioni di fatto attinenti alla valutazione estimativa 
comporta l'annullamento con rinvio ad altra sezione di quella Commissione 
(Cass. 2 maggio 1983 n. 3022). 

Si applicano, pertanto, gli incontroversi principi sui poteri della Corte 
di Cassazione in tema di esame dei vizi in procedendo, con la particolarit� 
derivante dalla civcostanza che l'esame che questa Corte deve compiere 
ha per oggetto diretto la sentenza della Corte d'appello (o la decisione 
della Commissione centrale), ma poich� � rivolto a stabilire se esse 
abbiano compiuto esattamente un controllo dello stesso tipo sulla decisione 
della Commissione di secondo grado, non pu� non riferirsi indirettamente 
a quest'ultima. Sarebbe, infatti, impossibile esercitare il controllo 
di legittimit� del giudizio dato dalla decisione impugnata in Cassazione, 
se non si potessero prendere contestualmente in esame sia la 
decisione della Commissione tributaria di secondo grado, sia le censure 
mosse contro di essa dalla parte. Tale ripetizione del medesimo tipo di 
indagine, per cos� dire �a ritroso� e cio� prendendo in considerazione 
non solo la sentenza direttamente impugnata in Cassazione, ma anche 
quella impugnata dinanzi alla Corte d'appello, deriva dalla caratteristica 
propria del giudizio previsto dall'art. 40 del d.P.R. del 1972 n. 636: 
giudizio di impugnazione 1(e non di� appello�) almeno per quanto riguarda 
le violazioni della legge processuale, in quanto avente carattere meramente 
rescindente, tanto � vero che la dottrina prevalente ha parlato di 
� duplicazione � del giudizio di cassazione. Se la Corte d'appello pu� annullare 
per vizi del procedimento (fra i quali � compreso il vizio della motivazione) 
la decisione della Commissione di secondo grado, ne viene di conseguenza 
che la Corte di Cassazione, investita del controllo sull'esercizio 
dei suddetti poteri rescindenti, deve porre a confronto la decisione 
della Commissione di secondo grado con i motivi dell'impugnazione ex 
art. 40, rifacendo quel giudizio che � stato dato dalla Corte d'appello, ovvero 
sostituendolo, nel caso di manchevolezza di esso. Non solo: poich� 
non � possibile esaminare la rilevanza dei motivi d'impugnazione ex art. 
40 se non esaminando la decisione' di secondo grado alla luce delle dedu




438 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

zioni delle parti dinanzi ad essa (si pensi, per esempio, al caso del for� 
marsi di una preclusione, per giudicato, ovvero al caso di inesistenza di 
una domanda, etc.), � giocoforza concludere che la Corte di Cassazione 
deve riesaminare tutto il procedimento, naturalmente nei limiti del ricorso 
ex art. 360 c.p.c. 

Ci� risponde, del resto, ad un evidente principio di economia processuale. 
Se la legge ha voluto attribuire alla Corte d'appello, almeno in 
parte, poteri di giudice �di legittimit��, gli errori commessi nell'esercizio 
di tali poteri possono essere corretti nella successiva� fase della cassazione, 
che esercita il medesimo tipo di controllo (cfr. Cass. 13 gennaio 
1982 n. 174, in motivazione). {omissis) 

{omissis) Il secondo profilo atteneva ad un preteso vizio della motivazione, 
in quanto si sosteneva che la � comune esperienza � non poteva 
essere posta a base della determinazione dell'utile d'impresa, individua� 
bile soltanto alla stregua di puntuali cognizioni tecniche. 

La Corte rileva che la censura non riguardava un effettivo vizio della 
motivazione e si tramutava nell'inammissibile richiesta di sostituire una 
valutazione estimativa ad un'altra. 

La prova migliore di tale assunto sta in ci�: che il Bellomo sosteneva 
che la prassi del settore dell'industria edilizia era che l'utile venisse 
commisurato al 10% dei ricavi. Orbene, la prassi non � altro che la ripetizione 
costante di un certo tipo di valutazione e cio� il risultato delle 
rilevazioni di mercato, quali risultano anche dalle dichiarazioni e dalle 
definizioni dei redditi degli esercenti attivit� similari, a cui si era riferita 
la Commissione. 

Invero, l'espressione �sulla base della comune esperienza e delle 
precedenti decisioni adottate �, usata dalla Commissione di secondo grado, 
si riferiva, da un lato, all'esperienza tecnica e cio� alle cognizioni empirico-
estimative della Commissione e, dall'altro lato, a,lla media statistica 
dei redditi accertati in altre decisioni nei confronti degli imprenditori 
edili, in quel particolare contesto temporale. Si tratta di un dato a cui 
pu� farsi ricorso nella determinazione sintetica del reddito, necessariamente 
basata su presunzioni (Cass. 10 aprile 1979 n. 2046) e cio� anche su 
parametri fissi di redditivit� di generale applicazione. Peraltro, la deter� 
minazione operata col metodo sintetico riguarda esclusivamente l'apprez



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zamento di fatti inerenti alla quantit� imponibile (Cass., sez. un., 9 gennaio 
1978 n. 48) e sfugge al sindacato del'ta Corte d'appello ex art. 40 

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d.P.R. numero 636. f 
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La motivazione richiamata era, pertanto, immune da vizi e sufficien


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te, perch� il sistema del contenzioso dinanzi alle Commissioni di merito 

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ha creato una giurisdizione formata da giudici che, accanto alle cognizioni 
giuridiche, devono possedere le cognizioni tecniche necessarie per I 
la valutazione estimativa a loro attribuita e, pertanto, capaci di attin-I 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 439 

gere dalle suddette cognizioni non solo i criteri empirici di stima, ma 
anche i concreti valori delle stime (cfr., in motivazione, Cass., Sez. Un., 
24 aprile 1970, n. 1181; Cass., Sez. Un., 18 febbraio 1974, n. 451). 

� stato notato dalla dottrina che la secolare resistenza del legislatore 
ad affidare al giudice ordinario tale compito non � coerente con 
il fatto che in altri campi (per esempio, nella opp<;>sizione alla stima 
dell'indennit� di espropriazione per p.u.) la cognizione di quel giudice si 
estende al merito della determinazione del valore. Ma l'obiezione non tiene 
conto del fatto che, nel contenzioso ordinario, al difetto di cognizioni 
tecniche da parte del giudice si supplisce con il ricorso al consulente, 
il quale potr� emettere i suoi giudizi anche sulla base di criteri statistici 
o sintetici, e cio� traendo una certa conclusione dall'elaborazione della 
conoscenza di un gran numero di casi simili. Non esiste alcun ostacolo 
ad utilizzare il medesimo metodo nel giudizio delle Commissioni di merito; 
e la scelta del concreto criterio estimativo (una volta superata la 
diversa questione dell'applicabilit� del metodo o sistema di accertamento 
sintetico od induttivo, anzich� analitico, che tocca la legittimit� dell'accertamento 
tributario) attiene alla valutazione estimativa ed � quindi 
incensurabile dinanzi alla Corte d'appello. {omissis) 

CORtE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 aprile 1987, n. 3600 -Pres. Granata Est. 
Carbone -P. M. Lo Cascio (diff.). Soc. Grassetto (avv. Liuzzi) 

c. Ministero delle finanze (avv. Stato Corti). 
Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Miniere -Distint'e ipotesi 
di imposizione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, tariffa A, artt. 1 e2). 
Il regime dell'imposta di registro in materia di miniere regolato dal 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 non � diverso da quello della legge abrogata; 
va cio� distinto l'atto traslativo o costitutivo del diritto reale del giacimento 
minerario (soggetto all'aliquota dell'art. 1 della tariffa) dalla vendita 
del prodotto estratto e dal godimento temporaneo della cosa (soggetti 
all'aliquota dell'art. 2) (1). 
(omissis) Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art 
360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 1 tariffa all. A 
al d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634. La ricorrente afferma che la convenzione 
sottoposta ad imposizione non ha ad oggetto un diritto immobiliare di 

(1) Occorre prendere atto della pronuncia, non del tutto convincente. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

godimento che richiederebbe, tra l'altro, forma pubblica con relativa 
trascrizione, bens� la vendita di materiale o subordinatamente, una locazione 
con effetti meramente obbligatori. A conferma dell'esposta .tesi 
deduce che il conferimento del diritto di scavo non � assoggettabile 
ad INVIM e che la stessa amministrazione ha riconosciuto che nelle 
concessioni temporanee e precarie si applica l'imposta propria delle locazioni. 
Si riporta, infine, alla distinzione tra diritto di scavo e concessione 
mineraria, posta dall'art. 2 del r.d. 29 luglio 1927 n. 1443, con la conseguenza 
che la convenzione in esame, � riconducibile agli atti div�rsi di 
cui all'art. 2 della ricordata tariffa ali. A al d.P.R. 634 del 1972 e non si 
trova tra le concessioni minerarie. 

Con il secondo motivo di ricorso, la societ� ricorrente denunzia, ai 
sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., insufficienza e contraddittoria motivazione in 
ordine all'affermazione che il contratto � de quo � rientra tra quelli costitutivi 
o translativi di diritti immobiliari di godimento. 

La censura che � opportuno esaminare nella sua complessa globalit� 
� fondata e, pertanto, meritevole di accoglimento. , 
Per una corretta interpretazione della disposizione del 1� co. del1'
art. 1 della tariffa all. A dell'attuale legge di registro 26 ottobre 1972 

n. 634 occorre risalire all'analoga, precedente disposizione ddl'abrogata 
legge del registro del 30 novembre 1923 n. 3269, la quale comprendeva accanto 
ai diritti di trasferimento a titolo oneroso della propriet�, dell'usufrutto, 
dell'uso o godimento di beni immobili o di altro diritto reale su cli 
essi, anche il � diritto di scavare e di prendere materiale da terreni o da 
miniere�. L'art. 2 della tariffa ali. A del 1923 considerava inclusi nella 
propria categoria tutti gli atti dell'art. 1 che riguardassero oltre i beni 
specificamente indicati., anche i beni mobili. 
Nell'ambito di questa normativa, dopo l'entrata in vigore del r.d. 
29 luglio 1927 n. 1443, diretto a disciplinare la ricerca e la coltivazione 
delle miniere, la giurisprudenza distinse tre tipi di concessione, in 
materia di miniere, cave e torbiere. 

Il primo comprendeva le concessioni o i negozi che si riferiscono 
al giacimento minerario nella sua complessa stratificazione intesa come 
unit� di superficie e di volume. Il secondo comprendeva convenzioni 
aventi ad oggetto il prodotto dell'estrazione commisurato a peso o a 
misura. Il terzo concerneva gli atti relativi al godimento temporaneo 
della cosa, mobile o immobile in conformit� della sua destinazione. 

L'accertamento di una delle tre qualificazioni giuridiche consentiva 
al giudice cli stabilire nel caso concreto l'applicazione dell'una o dell'altra 
aliquota di imposta riferibile rispettivamente all'art 1 o all'art. 2 
della tariffa all. A al precedente r.d. n. 3269 del 1923. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Hl 

N� va sottaciuto che l'interpretazione giurisprudenziale non sub� modifiche 
con l'entrata in vigore del rico!'dato r.d. 29 luglio 1927 n. 1443 
diretto a disciplinare la ricerca e la coltivazione di sostanze minerali e 
delle energie del sottosuolo industrialmente utilizzabili sotto qualsiasi 
forma o condizione fisica, bench� l'art. 2 del predetto decreto avesse 
provveduto a distinguere miniere e cave, assegnando le prime al patrimonio 
indisponibile dello Stato, tanto da rendere necessario, per coltivarle, 
un'apposita concessione governativa, mentre le cave venivano 
lasciate nella disponibilit� del proprietario del suolo purch� da lui coltivate 
e condotte ad un sufficiente sviluppo. 

Con l'entrata in vigore della legge di registro del 26 ottobre 1972 

n. 634, l'art. 1 della tariffa all. A accanto agli atti traslativi a titolo 
oneroso della propriet� di beni immobili, agli atti traslativi o costitutivi 
di diritti reali immobiliari di godimento compresa la rinuncia pura e 
semplice degli stessi, ha previsto le concessioni minerarie senz'altra 
aggiunta, modificando le espressioni del precedente e corrispondente 
articolo della non pi� vigente legge del registro del 1923. Di fronte a 
siffatta diversa enunciazione l'attuale ricorrente ritiene che la novella 
legislativa avesse inteso immutare radicalmente l'ambito di applicazione 
del tasso di imposta di cui all'art. 1, riservandolo unicamente alle concessioni 
di miniere, intese in senso proprio, quali concessioni governative, 
ben distinte dalle cave ai sensi dell'art. 2 del r.d. 1443 del 1927, 
mentre le convenzioni relative alle cave non potrebbero che rientrare 
nella disciplina tariffaria dell'art. 2 dell'attuale d.P.R. 634 del 1972. 
La tesi, che � stata gi� respinta da questo Collegio (cfr. Cass. 21/11/1986 

n. 6550), non pu� essere condivisa in quanto gli atti sottoposti a registrazione 
devono essere interpretati ai fini dell'applicazione delle imposte 
secondo la loro natura intrinseca e per gli effetti giuridici che producono. 
La giurisprudenza pi� recente ha cos� riaffermato l'attuale validit� della 
precedente distinzione nell'ambito delle coltivazioni minerarie: trasferimento 
o costituzione di un diritto reale immobiliare; vendita di cose future 
ricavate da miniere, cave o torbiere; locazione di beni mobili o immobili. 
Attuale validit� anche di fronte alla disposizione dell'intero primo 
comma dell'art. 1 tariffa all. A, considerando che l'enunciato al plurale 
ha una sua funzione chiarificatrice quanto alle coltivazioni minerarie, 
ma non certo riduttiva rispetto ai negozi giuridici aventi ad oggetto il 
trasferimento o la costituzione di un diritto reale immobiliare sulle cave 
o sulle torbiere. Se cos� J.10n fosse si darebbe luogo ad un'evidente disparit� 
di trattamento nell'ipotesi di concessione da parte dello Stato per i beni 
che gli appartengono in propriet� ovvero di cui ha la disponibilit� dopo 
averle sottratte al proprietario che ne ha trascurato la coltivazione. Del 
resto, la parola � miniera � nella sua accezione pi� comune sta ad indicare 
un giacimento di minerali o di sostanze costituenti ricchezza per l'umanit� 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

442 

e contenuta nelle viscere della terra, riferibile quindi anche alle cave e 
alle torbiere. 

Dalle esposte considerazioni consegue che il diritto di sfruttamento 
di una cava oggetto di convenzione tra privati pu� costituire sia per 
l'oggetto della prestazione e sia per la comune intenzione delle parti 
contraenti un atto traslativo o costitutivo di un diritto reale, ovvero una 
vendita del prodotto dell'estrazione, ovvero il godimento della cosa in 
conformit� della sua destinazione. Ove si tratti di un atto traslativo o 
costitutivo di un diritto reale immobiliare di godimento rientra nell'ambito 
della disciplina dell'art. 1 della tariffa all. A e la convenzione � 
soggetta all'imposta che allora era del 5 %. Negli altri casi nei quali la 
negoziazione riguarda il trasferimento del prodotto dello scavo, cio� il 
trasferimento di beni mobili o la costituzione di diritti reali su di essi, 
ovvero di diritti obbligatori di godimento, anche se su immobili, la disciplina 
applicabile � quella dell'art. 2 della stessa tariffa. L'interpretazione 
giurisprudenziale proposta trova ulteriore, pieno e rassicurante riscontro 
nella nuova formulazione dell'art. 1 della tariffa allegata alla legge 
sull'imposta di registro entrata in vigore il 1� luglio 1986. Raffrontando il 

d.P.R. 26 aprile 1986 con H precedente d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 si 
evince che il nuovo testo dell'art. 1 della tariffa allegata, pi� asciutto e 
con meno sbavature ha, tra l'altro, soppresso l'espressione �concessioni di 
miniere � cos� che, sia che si tratti di cave che di miniere o di torbiere, 
si applicher� l'imposta relativa all'intrinseca natura dell'atto ed agli effetti 
giuridici effettivamente prodotti al di l� del titolo e della forma adoperati. 
g in tal modo venuto meno definitivamente anche l'appiglio testuale che 
ha fatto scorrere fiumi d'inchiostro con dispendio di tempo e di energie 
negli uffici finanziari. Si tratter� in conclusione di interpretare gli atti 
sottoposti a registro secondo i princ�pi generali sanciti nell'attuale art. 20 
(d.P.R. 13L del 1986 che ripete al singolare la stessa formulazione del 
precedente art. 19 d.P.R. 634/1972), cio� secondo la loro natura intrinseca e 
secondo gli effetti giuridici che gli atti sottoposti a registrazione realmente 
producono, anche se non vi corrisponde il titolo o la forma apparente. 
(omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 aprile 1987, n. 3929 -Pres. Zucconi � 
Est. Sensale � P. M. Sgroi i(conf.). Ministero delle Finanze (Avv. St~to 
Corti) c. Pinzari. 

Tributi in genere � Contenzioso tributario � Impugnazione di terzo grado 
� Apprezzamento del fatto � Redditi di capitale � Presunzione di 
fruttuosit� � Deducibilit� in terzo grado. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 26; t.u. 29 genn�io 1958, n. 645, art. 86). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA H3 

Tributi erariali diret9' � Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Red� 
diti di capitale � Presunzione di fruttuosit� del danaro � Prova del� 
l'impiego del capitale � ti: necessaria -Prova per presunzioni -Ammissibilit�. 


(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 86). 
L'accertamento del fatto presupposto dell'esistenza di un reddito di 
capitale (nella specie impiego fruttifero del danaro) non attiene alla valutazione 
estimativa e rientra nei poteri del giudice di terzo grado (1). 

La presunzione posta dall'art. 86 del t.u. delle imposte dirette concerne 
soltanto la fruttuosit� del danaro dato a mutuo e presuppone la prova 
dell'impiego del capitale che pu� anche essere data con altre idonee 
presunzioni i(2). 

(omissis) 1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione 
e falsa applicazione dell'art. 133, in relazione all'art. 86 del t.u. 29 gen� 
naio 1958 n. 645, e degli artt. 2727 e 2729 e.e., nonch� il vizio di mancanza, 
insufficienza e contraddittoriet� di motivazione su un punto decisivo della 
controversia; denuncia, inoltre, la violazione dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 
1972 n. 636. 

L'Amministrazione sostiene che il riconoscimento della presunzione di 
fruttuosit� postula, quanto meno, la possibilit� che il reimpiego sia, a sua 
volta, ricostruibile induttivamente e che, alla stregua degli artt. 2727 e 

(1-2) La prima massima non ha esattamente centrato il problema. Era 
stato dedotto che, indipendentemente dalle problematiche in diritto che formavano 
oggetto di altra censura, lo stabilire in punto di fatto se vi sia stato 

o meno impiego di capitale (ritenuto sussistente dalla commissione di secondo 
grado) rientra nella determinazione dell'esistenza del reddito e quindi nell'esti , 
mazione semplice. Tutta la giurisprudenza, compreso il precedente specifico in� 
vooato (9 maggio 1985, n. 2871, in questa Rassegna, 1985, I, 858) riafferma che 
la valutazione estimativa non abbraccia soltanto la determinazione quantita� 
tiva della base imponibile ma anche le questioni relative all'esistenza del red� 
dito o del cespite e del presupposto materiale e oggettivo del tributo; dunque 
la determinazione del fatto presupposto, lo stabilire cio� se vi sia stato o 
non una operazione di impiego del capitale, non deve ritenersi materia di 
conoscenza diretta del giudice di terzo grado. E sembrerebbe che la sentenza 
si contraddica quando, nel precisare quale debba essere la concretezza della 
prova dell'impiego del capitale, afferma che la presunzione non pu� essere generalizzata, 
ma va apprezzata in relazione alla fattispecie concreta e specifica; 
ed � proprio questo apprezzamento sul punto probatorio che il giudice di terzo 
grado non pu� fare quando il fatto concerne la realizzazione del presupposto. 
La seconda massima tenta di conciliare due tendenze affermatesi sul punto 
della fruttuosit� dei capitali. Certamente la presunzione posta dall'art. 86 si riferisce 
alla fruttuosit� di capitali di cui sia (altrimenti) dimostrato l'impiego; se 
questo non c'�, non pu� esservi fruttuosit�. Ma era stato correttamente affermato 
(Cass. 17 febbraio 1986, n. 934 in Dir. prat. trib., 1986, Il, 795) che si pu� 
accertare presuntivamente che un capitale di cui si abbia la disponibilit� sia 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

2729 e.e., sia a tale scopo utilizzabile la considerazione che, essendo il 
denaro fruttifero per sua natura, debba ritenersi il reimpiego da parte 
di chi ne abbia la disponibilit�, specialmente se si tratti, come nel caso 
concreto, di un operatore commerciale professionale. 

La decisione impugnata sarebbe, per ci�, censurabile per violazione di 
legge, se avesse inteso affermare che dalle disposizioni tributarie derivi 
la impossibilit� di accertare presuntivamente il reimpiego; sarebbe, invece, 
incorsa in un eccesso dai limiti della propria competenza, per avere preteso 
di rinnovare un accertamento di mero fatto attinente a valutazione 
estimativa, e nel vizio di difetto o contraddittoriet� di motivazione, se se 
ne dovesse ricostruire il significato come accertamento in fatto della 
insufficienza di elementi a dar corpo ad una presunzione di reimpiego di 
capitali. 

Con il secondo motivo la ricorrente denunzia la mancanza, insufficienza 
e contraddittoriet� della motivazione su un punto decisivo e la 
violazione dell'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, censurando la 
decisione impugnata per avere ritenuto esistenti concreti elementi tali 
da giustificare il convincimento che il contribuente, con il capitale ricavato, 
avesse acquistato immobili. 

La Commissione tributaria centrale non avrebbe considerato l'esistente 
�scoordinamento temporale� tra l'acquisizione delle disponibi!it� finanziarie 
e gli acquisti immobiliari; n� avrebbe tenuto conto della contraria 
affermazione, da parte del contribuente, di avere estinto, con il denaro 
ricavato dalle vendite, precedenti passivit�, n� infine avrebbe avuto pre


impiegato almeno a livello mm1mo del deposito bancario; ci� non d� luogo ad 
una praesumptio de praesumpto. 

Ora si vuol precisare che l'art. 86 del t.u. non pu� essere utilizzato per presumere 
il titolo dell'impiego che deve essere invece provato, ma che tuttavia 
tale prova pu� ancora essere data con presunzioni che secondo le regole comuni, 
abbiano i reqqisiti per dimostrare nella situazione concreta l'avvenuto 
impiego del capitale; ma questa prova, eventualmente presuntiva, � diversa ed 
autonoma e non � invece un momento della stessa presunzione. 

In questo modo la sentenza ora intervenuta vorrebbe, ricollegandosi a precedenti 
pi� remoti, smentire la sentenza n. 937/1986; ma il tentativo non sem� 
bra ben riuscito. Proprio perch� la prova presuntiva dell'impiego del capitale 
� separata e indipendente da quella sulla fruttuosit� del danaro ed opera in 
un momento anteriore, s� che non � a parlarsi di praesumptio de praesumpto, 
essa pu� bene essere ammessa; ed allora il problema si risolve nello stabilire, 
sulla valutazione probatoria, se sia o non fondatamente presumibile (e ci� su 
una base di verisimiglianza e non di assoluta certezza, come pure la sentenza 
ammette) che i capitali disponibili siano depositati in banca. Cadono allora 
tutte le dissertazioni e resta una sola valutazione di merito che dovrebbe essere 
sottratta al giudice di terzo grado. In sostanza non si giustifica come, sulla 
base delle premesse, la S. C. abbia rigettato il ricorso piuttosto che rinviare 
per accertare in punto di fatto se vi era stato o meno impiego del capitale a 
disposizione. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

senti la irregolarit� della documentazione prodotta e la non corrispondenza 
tra l'importo dei pretesi reimpieghi e quello delle disponibilit� 
finanziarie. 

Le suesposte censure, che, per connessione devono essere esaminate 

congiuntamente, sono infondate, pur se la motivazione della decisione 

impugnata richiede la precisazione di taluni princ�pi che vi sono presup


posti, pi� che esplicitamente enunciati, o che non vi sono correttamente 

affermati. 

2. Tale decisione -si fonda sulla considerazione che dal possesso di 
capitali liquidi non pu� trarsi, con carattere di necessariet�, la presunzione 
dell'impiego di tali capitali (i quali potrebbe~o ricevere una diversa destinazione) 
e che, anche ammessa questa presunzione, su di essa non 
pu� innestarsi l'altra, avente ad oggetto la fruttuosit� degli investimenti 
effettuati. 
Occorre, innanzi tutto, rilevare che la decisione impugnata risolve la 

controversia tributaria con un'affermazione di principio non implicante 

accertamenti di fatto relativi a valutazione estimativa. 

Non possono, quindi, trovare ingresso le censure, in tal senso for


mulate dall'Amministrazione ricorrente nel primo (in parte) e nel se


condo motivo e peraltro gi� disattese, in analoga formulazione, dalle 

sentenze delle Sezioni Unite 9 maggio 1985, n. 2871 e 24 ottobre 198S, n. 5250. 
Queste, in applicazione dei princ�pi enunciati in via generale nella 
sentenza delle stesse Sezioni Unite 13 ottobre 1983; n. 5%0, hanno escluso 
che dia luogo a questione di fatto relativa a valutazione estimativa lo 
stabilire se, nella ipotesi di riscossione del prezzo di una compravendita 
immobiliare, sia possibile invocare la presunzione che un capitale effettivamente 
impiegato sia fruttifero (art. 86 T.U. 29 gennaio 1958 n. 645);, 
ed hanno rilevato che trattasi di questione avente ad oggetto non la mera 
. individuazione della base imponibile nei suoi elementi costitutivi, bens� il 

presupposto di applicabilit� della norma citata e, quindi, il modo di ope


rare della presunzione da essa posta: e, in definitiva, la tassabilit�, o 

meno, di un reddito, a seconda che esso possa presumersi, oppure no, 

in base alla disciplina contenuta nell'art. 86 del T.U. 645/58. 

In altri termini -si � detto -lo stabilire se, accertata la vendita; 

di un immobile, debba senz'altro presumersi un reddito d'interessi tassa


bile ovvero se sia necessario, perch� operi tale presunzione, che risulti 

anche il reinvestimento della somma incassata � questione che tende alla 

individuazione della esatta portata della norma da applicare; e gli accer


tamenti di fatto, eventualmente necessari, non possono, per ci�, dare 

luogo a questioni di fatto relative a valutazione estimativa nel senso pre


cisato dalla sentenza n. 5960/83. 

Le censure formulate dall'Amministrazione, in relazione al reale contenuto 
della decisione impugnata non possono, quindi, essere esaminate 


446 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

che nella contraria affermazione di principio in esse contenuta nel senso 
che sullo stesso ed unico fatto noto (la naturale fecondit� del denaro) 
sarebbe possibile fondare, col medesimo e contestuale procedimento 
induttivo, una duplice presunzione, quella del reimpiego del capitale e 
quella del reddito che da tale reimpiego deriva. 

Cosi prospettate, le censure proposte dall'Amministrazione sono 
infondate. 

3. Occupadosi della questione con le citate sentenze nn. 2871 e 5250 
del 1985, le Sezioni Unite, che peraltro erano state investite di una questione 
di giurisdizione sollevata sotto un diverso profilo, ritennero che 
l'art. 86 del t.u. 645/58 pone una presunzione che non ha ad oggetto la 
esistenza del titolo dell'impiego di capitale, ma il reddito che non risulti 
(o risulti in misura inferiore a quella effettiva) dal titolo stesso, di cui 
deve, invece, dimostrarsi l'effettiva esistenza. 
In tale modo, risult� confermato l'indirizzo gi� affermato da questa 
Sezione (sent. 2412/79 e 2294/83) e costantemente applicato dalla Commissione 
tributaria centrale, secondo cui l'ipotesi di un reddito derivante da 
capitale, tassabile ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, si verifica, a 
norma degli artt. 81 e 86 del citato t.u., solo quando risulti, come presupposto 
del reddito, l'impiego di un capitale ovvero quando sia s~ata accertata 
l'esistenza di crediti liquidi e esigibili, considerati produttivi d'interessi, 
poich� in tali casi sorge una presunzione-iuris tantum di produttivit� 
del denaro, mentre nel caso di riscossione del prezzo di una compravendita 
immobiliare non � possibile invocare la presunzione che un 
capitale effettivamente impiegato sia fruttifero, poich� si tratterebbe di 
rendere operante una duplice presunzione, come tale non consentita, e 
cio� che ogni somma di denaro, anche se introitata a titolo di corrispettivo 
nei contratti di scambio, debba presumersi impiegata in qualche modo 
e che da tale impiego debba, inoltre, presumersi la percezione di un 
reddito. 

Le Sezioni Unite osservarono, inoltre, che tale indirizzo non � in contrasto 
con la precedente sentenza delle stesse Sezioni Unite n. 5827/78 
erroneamente invocata dall'Amministrazione a sostegno della propria 
tesi), poich� detta sentenza -nell'affermare che, ai sensi dell'art. 86, il 
ricorso dell'Amministrazione finanziaria a criteri presuntivi disancorati 
dalle risultanze del titolo � consentito non soltanto per la quantificazione, 
ma anche per l'accertamento dei redditi stessi e quindi dei cespiti che 
li producono -non ha inteso stabilire la possibilit� di ricorrere ad una 
doppia presunzione avente ad oggetto sia il titolo (cio� l'atto da cui 
risulta l'impiego di capitali) che il cespite (la somma reimpiegata) e il 
reddito (gli interessi ricavati dall'impiego), ma ba ritenuto che pu� presumersi 
non gi� il titolo (di cui, anzi, presuppone accertata l'esistenza), 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

sibbene l'esistenza di una somma impiegata, correlata a quel titolo, e del 
reddito da essa prodotto; ed ha quindi interpretato ed applicato l'art. 86 
.::onformemente a quanto risulta dalle successive decisioni della prima 
sezione nell'indirizzo confermato dalle Sezioni Unite. Queste conclusero, 
.:iuindi, che non � sufficiente la riscossione di una somma di denaro 
dalla vendita d'immobili per dov~me trarre la conseguenza dell'impiego 
di essa, senza svuotare di contenuto l'art. 86, che distingue la provata 
.:!sistenza di un titolo dalla presunzione di un reddito, e senza incorrere 
nella violazione dell'art. 2729 e.e., a norma del quale le presunzioni semplici 
non possono ammettersi se non siano gravi, precise e concordanti. 

4. Pi� recentemente questa Sezione, con la sentenza n. 934 del 17 febbraio 
1986, senza tuttavia dare atto, del precedente indirizzo confermato 
dalle Sezioni Unite, ha espresso il diverso principio, se�ondo cui deve 
considerarsi consentito, in difetto di verosimile ipotesi contraria, presumere 
l'impiego di capitali, almeno al livello minimo del deposito bancario, 
e quindi il percepimento dei relativi interessi, fondandolo sulle 
seguenti argomentazioni: 
a) in tema di prova per presunzioni, non occorre che i fatti, su cui 
la presunzione si fonda, siano tali da far apparire l'esistenza del fatto 
ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio 
secondo un legame di necessariet� assoluta ed esclusiva, bastando che 
l'operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di probabilit�; 

b) la fruttuosit� dell'impiego del denaro non rappresenta, rispetto 
alla presunzione dell'impiego stesso, un'ulteriore ad autonoma inferenza 
presuntiva, costituendo, alla luce del principio della naturale fecondit� 
del denaro, di cui all'art. 1282 e.e., un momento dell'unica presunzione di 
reimpiego. 

Tale decisione offre lo spunto per talune precisazioni dell'indirizzo 
precedente, che deve, tuttavia, confermarsi con riguardo alla tesi qui 
sostenuta dall'Amministrazione finanziaria, secondo la quale sarebbe sufficiente, 
in base all'art. 86 del t.u. 645/58, il possesso di capitali da parte 
del contribuente per esonerarla dall'accertamento del titolo del reimpiego 
(1� comma della norma citata) e di avvalersi della presunzione di reddito, 
secondo il titolo accertato (art. 86 c.p.v.). 

� proprio dal contenuto della norma tributaria (sulla quale la decisione 
n. 934/86 non sembra essersi sufficientemente soffermata) che 
occorre prendere le mosse per dedurne quali siano i poteri dell' Ammini� 
strazione nell'accertamento dei redditti derivanti dal possesso di capitali, 
nonch� gli oneri di prova a suo carico e quelli a carico del contribuente. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEll.O STATO 

Tale norma cos� dispone: I redditi di capitali dati a mutuo o altrimenti 
impiegati in modo che ne derivi un reddito in somma definita e 
le rendite perpetue sono valutati nella misura risultante dai relativi titoli 
e senza alcuna detrazione (1� comma). Si pu� accertare l'esistenza del 
reddito e valutarlo anche se dal titolo non appare stipulato alcun interesse 
ovvero appare indica,to un interesse in misura inferiore a quella 
effettiva (2� comma). 

Il riferimento alla (effettiva) dazione a mutuo o ad altro (effettivo) 

�impiego di capitali, in una alla menzione della rendita perpetua (cio� ad 
una ipotesi contrattuale tipica e definita) e la previsione della valutazione 
dei conseguenti redditi nella misura risultante dai relativi titoli, 
lasciano chiaramente intendere che la norma abbia attribuito all'Amministrazione 
il potere -e imposto il dovere -di accertare, quando 
non sia indicato dal contribuente, lo specifico titolo del reimpiego. 

Ci�, tradotto sul piano probatorio, vuol dire avere consentito all'Am


ministrazione medesima di-fornire la prova, ad essa incombente, con i 

normali mezzi previsti dall'ordinamento e, quindi, anche in base a pre


sunzioni, nella disciplina e nel modo di operare di questo mezzo di prova 

secondo le norme di divieto comune contenute nel codice civile. Peraltro, 

il risultato della utilizzazione dei mezzi di prova consentiti deve consi


stere nella individuazione, in relazione alla fattispecie concreta, di un 

titolo non gi� ipotetico o meramente possibile, ma accertato nella sua 

specificit�; e, solo quando dall'Amministrazione sia stato dimostrato il 

fatto costitutivo della pretesa tributaria, .il contribuente pu� e deve, a sua 

volta, contestarlo oppure opporre e dimostrare i fatti modificativi o 

estintivi della pretesa medesima. 

� vero che, secondo la disciplina comune nella interpretazione che 

questa Corte ne ha dato (v. sent. 21 maggio 1984 n. 3100), ai fini della 

prova per presunzioni, utilizzandole anche neWambito del 1� comma del


l'art. 86 del t.u. 645/86, � sufficiente che l'inferenza dal fatto noto al 

fatto ignoto sia effettuata alla stregua .di un canone di probabilit� e che 

il convincimento del giudice pu� fondarsi anche su una sola presunzione. 

Occorre, per�, che questa sia grave e precisa e che il grado di proba


bilit� del fatto ignoto indotto dal fatto noto si ponga con carattere di 

prevalenza rispetto agli altri fatti ignoti che sulla base di esso pos


sono ritenersi in astratto esistenti, poich�, se cos� non fosse, si attri


buirebbe al giudice il potere di scegliere una qualsiasi tra le varie ipotesi 

possibili e si valorizzerebbe una sorta di libero convincimento estraneo 

al processo civile. Inoltre, la gravit� e precisione dell'unica possibile pre


sunzione deve essere valutata in relazione alla fattispecie concreta, 

poich� lo stesso fatto in un caso pu� essere sufficiente al fine di fondarvi 

una presunzione e in un altro caso pu� non esserlo e, conseguentemente, 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 449 
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mal si presta ad una valutazione uniforme per tutte le diverse ipotesi 
concrete nelle quali viene in rilievo e deve essere apprezzato. 
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Solo se sia identificato il titolo del reimpiego con i relativi connotati 
di specificit�, secondo la previsione del primo comma dell'art. 86, torna 
dunque applicabile la norma contenuta nel secondo comma, che postula 
la esistenza di un �titolo� e consente all'Amministrazione finanziaria di 
presumere {in tal senso � pacificamente tradotta l'espressione �si pu� 
accertare� contenuta nel secondo comma)� l'esistenza del reddito non 
risultante dal titolo e la misura eventualmente diversa da quella risultante 
dal titolo stesso. Si tratta di una presunzione, consentita dalla 
norma tributaria per il solo fatto dell'accertata esistenza del titolo e che 
si fonda, appunto, esclusivamente su tale esistenza e non (anche o invece) 
sul diverso fatto noto che pu� fornire presuntivamente la prova del titolo 
stesso. 
Non sembra, quindi, potersi ritenere che la presunzione posta dal 
secondo comma costituisca un momento di un'unica presunzione, sia 
perch� il titolo � oggetto della presunzione utilizzabile come qualsiasi 
altro mezzo di prova da parte dell'Amministrazione per acquisire la certezza 
della sua esistenza, il reddito � invece l'oggetto della presunzione 
posta dalla norma tributaria; sia perch� la seconda opera in un momento 
logicamente e cronologicamente successivo, postulando il positivo 1 
esaurimento dell'a~certamento del titolo; sia, infine, perch�, a differenza, 
della prima presunzione; .che pu� fondarsi su qualsiasi fatto noto 
(compreso il possesso del denaro, quando, secondo le circostanze del 
caso concreto, consenta, come nella particolare ipotesi esaminata dalla 
sentenza n. 934/86, l'inferenza del fatto ignoto -reimpiego con un~ 
grado di maggiore probabilit� rispetto ad altra, parimenti possibile in 
astratto, utilizzazione del denaro), la seconda si fonda su un unico ed 
esclusivo fatto noto, perch� accertato in concreto, che � il titolo del 
reimpiego. 
La naturale fruttuosit� del denaro consente, cio�, di presumere che 
il denaro dato a mutuo o altrimenti impiegato e il capitale ceduto in 
rendita perpetua siano produttivi di reddito, ma postula la esistenza 
di un titolo di reimpiego, che l'Amministrazione finanziaria deve innanzi 
tutto accertare e che costituisce -si ripete -l'unico fatto noto possibile 
su cui pu� fondarsi la presunzione di reddito. Tale conclusione �, 
del resto, conforme alla previsione dell'art. 1282, 1� comma, e.e., �il quale, 
salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente, collega la produzione 
d'interessi ai crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro, 
presupponendo, quindi la esistenza di un titolo costitutivo del diritto 
di credito, coerentemente con l'epigrafe dell'articolo che ne enuncia il 
contenuto (�interessi nelle obbligazioni pecunarie �). 


RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO 

5. Questa Corte ritiene, dunque, di doversi uniformare all'indirizzo 
gi� affermato nella precedente giurisprudenza della prima sezione e 
confermato dalle Sezioni Unite, con le precisazioni che precedono e 
ohe possono ritenersi gi� implicitamente contenute in quella giurisprudenza, 
cui ci� che si � in quest� sede osservato costituisce l'ulteriore 
sviluppo; e, in particolare, con il rilievo che l'accertamento del titolo 
del reimpiego da parte dell'Amministrazione finanziaria pu� essere compiuto 
attraverso qualsiasi mezzo di prova e quindi anche mediante presunzioni, 
nel senso sopra precisato. Ritiene, inoltre, che nel senso me� 
desimo va corretta la motivazione della decisione impugnata, giudicandosene 
tuttavia conforme al diritto il dispositivo in relazione alle censure 
in questa sede formulate dall'Amministrazione per sostenere che il possesso 
di somme di denaro giustifica, in via di principio, la presunzione 
della percezione di un reddito, anche quando non sia accertato lo specifico 
titolo del reimpiego. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 maggio 1987 n. 4391 -Pres. Granata Est. 
Grieco -P.M. Martinelli {conf.) Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Linguiti) c. Istituto S. Paolo di Torino {avv. Bonaiuto). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Afti giudiziari -Caratteri 
� Ordinanza di distribuzione delle somme ricavate dall'esecuzio.
ne � Non tassabilit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, tariffa A, art. 8). 
Gli atti dell'autorit� giudiziaria soggetti all'imposta di registro sono 
quellf che definiscono il giudizio relativamente ad uno f}.egli oggetti dell'art. 
8 della tariffa A del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634; non � tale l'ordi� 
nanza di distribuzione della somma ricavata dalla esecuzione quando, 
non risolvendo contestazioni fra le parti~ � un mero atto di esecuzione (1). 

(omissis) Si ripropongono alla Corte Suprema le questioni concer� 
nenti la tassabilit� di alcuni atti giudiziari e la individuazione dei criteri 
applicabili alla stregua della normativa contenuta nel d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 634. 

Nella sentenza n. 4277 del 26 giugno 1983 -Sez. prima -in cui la 
problematica � stata globalmente considerata, la Corte ha formulato la 
generale osservazione che la tassabilit� dell'atto presentato alla registrazione 
non discende dalle conseguenze economiche dell'atto stesso 

(1) Viene applicato all'ordinanza di distribuzione della somma ricavata il 
principio gi� affermato per il decreto di ripartizione dell'attivo fallimentare. 
! 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA -451 

bens� dai suoi effetti giuridici e sempre che essi siano riconducibili nell'ambito 
dell� specifiche ipotesi previste nella tariffa all. A � le cui disposizioni 
-diversamente da quanto stabiliva l'art. 8 dell'abrogato r.d. 
30 dicembre 1923 n. 3269 -non sono suscettibili di applicazione analogica 
�. Quindi, la Corte � pervenuta ad affermazioni decisive, strettamente 
legate alla natura giuridica degli atti e delle fattispecie cui si rife� 
riscono stabilendo che, nel caso concernente la registrazione del decreto 
di esecutoriet� del piano di riparto dell'attivo fallimentare, la natura di 
� mero atto di esecuzione � induce ad escludere, in ogni caso, la tassabilit�. 


Il provvedimento, invero, non conclude un giudizio contenzioso e si 

pone al di fuori delle previsioni dell'art. 8 della tariffa allegata A. 

Le stesse considerazioni devono essere formulate con riferimento al


l'ordinanza di distribuzione della somma ricavata dalla vendita di beni 

in una esecuzione immobiliare allorch� -come nella fattispecie -il 

giudice della esecuzione non ha risolto contestazioni tra i creditori ma 

si � limitato a compiere una mera verifica del consenso dei creditori al 

piano di riparto proposto dal giudice della esecuzione. 

Il provvedimento, in definitiva, si risolve in un � mero atto esecu


tivo � non riconducibile tra quelli conclusivi di un giudizio e non � di


sciplinato in alcuna delle ipotesi dell'art. 8 della tariffa. 

La Corte sottolinea il totale parallelismo, ai fini della individuazione 

della disciplina per la registrazione del provvedimento, tra il decreto 

di riparto nell'attivit� fallimentare pronunziato dal Giudice delegato per 

il pagamento dei crediti definitivamente accertati e quantificati in sede 

di ammissione al passivo e l'ordinanza pronunziata dal Giudice dell'esecu


zione in occasione della ripartizione fra i creditori della somma ricavata 

dalla esecuzione immobiliare a carico di un debitore. 

Avuto riguardo alle finalit� degli atti ed ai loro effetti giuridici, con


cretamente assimilabili, la pur asserita diversa natura delle due proce


dure non determina alcuna conseguenza e -soprattutto -non un di


verso regime fiscale. 

Entrambi i provvedimenti, proprio perch� non risolvono contesta


zioni di alcun genere, hanno natura di � meri atti di esecuzione �, total


mente sottratti alle previsioni dell'art. 8 della tariffa allegata A della 

nuova legge di registro. 

Ed invero, gli atti dell'A.G., ordinaria e speciale, in materia di controversie 
civili, che trovano nell'art. 8 la disciplina loro applicabile per 
la registrazione -sempre che definiscano, anche parzialmente, il giu. 
dizio -devono avere ad oggetto: trasferimento e costituzione di diritti 
reali su beni immobili {lett. a); trasferimento o costituzione di diritti 
reali su terreni agricoli o su pertinenze (lett. a bis); autoveicoli (lett. b); 
beni e diritti diversi dalle precedenti lettere o portanti � condanna � al 

li 


'452 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

pagamento di somme, valori ed altre prestazioni o � condanna �) alla 
consegna di beni di qualsiasi natura; 
(atti di) mero �accertamento� dei diritti di cui alle lettere a, b, e, 

o di altri diritti a contenuto patrimoniale; (atti) non portanti condanna 
n� accertamento di diritti a contenuto patrimoniale; atti di omologazione. 
E dunque, per l'applicazione del citato art. 8 � necessario che l'atto: 

1) � definisca � il giudizio; 
2) che sia riconducibile tra quelli indicati nelle lettere a/g. 


L'ordinanza di distribuzione della somma ricavata dalla vendita di 
beni nella esecuzione immobiliare, in quanto estranea alla previsione della 
norma, non � soggetta all'imposta di registro. 

Giova rilevare che in dottrina si � espresso dissenso sulle motivazioni 
della sentenza n. 4277 del 22 giugno 1983 -alle cui conclusioni questa 
Corte aderisce -poich� essa discriminerebbe � le ipotesi in cui una 
domanda di parte � �resistita� da quelle in c�i non v'� �resistenza�; 
ci� in contrasto con il fondamento secondo cui l'atteggiamento tenuto 
nel processo da una delle parti non pu� mai essere tale da condizionare 
l'attivit� del giudicante e la qualificazione giuridica del provvedimento 
decisorio, no~ essendo possibile va1utare diversamente una decisione secondo 
che la domanda proposta venga o meno contrastata da altri. 

Deve rilevarsi, tuttavia, che la resistenza di una parte in giudizio non 
condiziona l'attivit� del giudicante n� determina una diversa qualificazione 
giuridica del provvedimento che -incontestabilmente -va stabilita 
prescindendo dal concreto comportamento delle parti. 

Per altro, quando nella sentenza citata si sono indicati � casi di sog


gezione all'imposta di registro del piano di riparto � additandoli nelle 

statuizioni in cui si risolvono le controversie ed escludendoli laddove non 

vi sono contestazioni si � inteso, essenzialmente, affermare il criterio di 

� definizione � di controversia ravvisandola in caso di contestazioni, esclu


dendola nel caso contrario. 

Va rilevato, infine, che secondo gran parte della dottrina nella fase 

esecutiva non si ha � giudizio � n� decisione sui diritti delle parti dal 

momento che la procedura esecutiva, prescindendo dalla esistenza del 

diritto, si realizza nel presupposto del � titolo legale �. 

Questa fase processuale -cui � estranea, quindi, la � cognizione � dei 

diritti -si concreta unicamente nell'attuazione della � sanzione esecu


tiva�. 

Anche per questo profilo, va affermato il principio -al quale il giu-� 

dice di rinvio dovr� uniformarsi -secondo cui l'ordinanza di distribu


zione de qua non deve essere annoverata tra gli atti soggetti a regi


strazione. (omissis) 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 maggio 1987 n. 4772 -Pres. Scanzano Est. 
Pannella -P. M. Grossi (conf.) -Piazzo c. Ministero delle Finanze 
(vice Avv. Gen. Stato Gargiulo). 

Tributi in genere -Contenzioso tributarlo -Appello -Motivi -Richiamo 
alle difese del precedente grado -Insufficienza. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 22; c.p.p., art. 342). 
Nel processo tributario l'atto di appello, allo stesso modo del processo 
ordinario, deve indicare le doglianze in modo che il giudice del 
gravame si� posto in grado di identificare i punti e i capi impugnati ed 
anche le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali viene richiesta la 
riform.a; ci� non � realizzato con il richiamo degli scritti difensivi del 
precedente grado i(l). 

(Omissis) Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e 
falsa applicazione degli artt. 112, 342 e 346 c.p.c.; 37, 117, 118 e 135 lett. e) 

T.U. 29 gennaio 1958 n. 645, si duole che la Corte del merito erroneamente 
abbia sostenuto coperta da giudicato interno la domanda di dichiarazione 
di nullit� dell'avviso di accertamento per mancante, insufficiente e inadeguata 
motivazione, in quanto non riproposta davanti alla Commissione 
Tributaria di 2� grado. 
Tale assunto -precisa il ricorrente -non risponde al vero, perch� 
nel ricorso in appello fu chiesta la riforma della decisione impugnata 

�per tutte le ragioni esposte in prime cure da intendersi qui integralmente 
riprodotte e trascritte � e perch� nelle conclusioni fu domandato, tra 
l'altro, che � fosse dichiarato invalido e nullo o, quanto meno annullato 
l'accertamento dell'Ufficio ... ed in ogni caso dichiarato erroneo�. 

La censura non � condivisibile. 

� da premettere che la disposizione del 3� comma dell'art. 22 d.P.R. 
26 ottobre 1972 n. 636, l� dove sancisce che l'atto di appello deve contenere 
-tra l'altro -i motivi dell'impugnazione, deve ritenersi informata 
alla stessa � ratio � della regola prevista dall'art. 342 c.p.c., secondo cui 
l'appello, essendo un mezzo giuridico volto ad ottenere la riforma totale 

o parziale della decisione impugnata nonch� una nuova pronuncia sui 
ipunti la cui/decisione non si reputi accettabile, deve indicare le doglianze 
in modo tale che il giudice del gravame sia posto in grado di identificare 
i punti ed i capi impugnati ma anche le ragioni di fatto e di diritto in 
base alle quali viene richiesta la rifomna della pronuncia di 1� grado. 
Da ci� consegue che il rinvio dell'atto di appello agli scritti difensivi 
del precedente grado non costituisce uno strumento idoneo per operare 

(1) Decisione di evidente esattezza. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la devoluzione di un punto della causa al giudice di 2� grado ove tale! 
punto non sia chiaramente indicato e non siano rese manifeste le ragioni 
a sostegno del gravame su di esso. {sent. 2 luglio 1982 n. 3967 -sent. 22 
novembre 1984 n. 6018 .:_ sent. 4 agosto 1982 n. 4380 -sent. 26 giugno 1984 

n. 3739 -sent. 30 marzo 1981 n. 1824 -sent. 1� dicembre 1983 n. 7189 sent. 
15 novembre 1982 n. 6101). 
Alla stregua dell'indirizzo giurisprudenziale suesposto, che questo Collegio 
condivide e fa proprio, rileva evidente come la Corte del merito correttamente 
abbia ritenuto non proposta la doglianza n� riproposta, davanti 
alla C.T. di 2� grado, la questione sulla pretesa nullit� dell'avviso di accertamento 
per difetto o, comunque, vizio di motivaZione, attraverso la 
lettura e l'esame delle �espressioni� dell'atto di appello, qui, innanzi trascritto: 
e ci�, tanto pi� -per quanto riguarda le conclusioni formulate 
dinanzi alla Commissione di secondo grado -che varie possono essere, 
in astratto, le ragioni per le quali un accertamento possa essere dichiarato 
nullo o invalido, o essere annullato. (Omissis) 



SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE, 15 aprile 1987, n. 14 -
Pres. Sandulli -Rel. Cantillo -Ente Acquedotti siciliani (avv. Stato 
Bruni) c. Petyx (avv. Della Rocca). 

Servit� -Occupazione illegittima -Danni -Trasformazione di strada 
poderale con costruzione di altra assoggettata ad uso pubblico Risarcimento 
� Non � dovuto. 
(art. 2043 cod. civ.). 

Non � ravvisabile un danno allorch�, occupata ed irreversibilmente 
trasformata una strada poderale con la costruzione, a servizio di opera 
pubblica, di una pi� ampia strada, questa risulti assoggettata ad uso 
pubblico (1). 

(omissis) Con il secondo motivo l'E.A.S. critica la sentenza nella parte 
in cui ha riconosciuto ai Petix un distinto risarcimento per la perdita 
della disponibilit� della preesistente stradella e per la realizzazione di 
un'analoga strada in altra parte del fondo. Sostiene che non aveva mai 
negato �il diritto permanente del .couso della strada rotabile� da parte 
dei Petix, ai quali soltanto era imputabile il mancato perfezionamento 
di un atto ricognitivo di tale diritto; e che, comunque, la costruzione di 
una nuova strada non era n� necessaria n� possibile, in quanto avrebbe 
comportato l'abbattimento di uno dei fabbricati realizzati, sicch� anche 
per questa ragione il danno liquidato era eccessivo. 

La censura � fondata, ma per ragioni in gran parte diverse da quelle 
ora riassunte. 

� vero che, in seguito alla produzione in giudizio da parte dell'E.A.S. 
di una deliberazione con la quale si consentiva ai Petix e ai loro aventi 
causa il � couso � della strada sul tracciato della precedente stradina, la 

(1) Lineare applicazione dei principi in tema di responsabilit� da fatto illecito. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA llELLO STATO

456 

causa venne rimessa sul ruolo allo scopo di pervenire alla stipulazione 

di un idoneo atto costitutivo di un diritto di compropriet� o di servit�, 
transigendo la lite. 

Ma il tentativo di definizione bonaria della lite, nei termini suddetti 

o .in altro modo, � poi naufragato, e non certo per fatto ascrivibile ai 
Pet.ix, bens� �per inerzia dell'E.A.S., che non ha dato riscontro ad una 
precisa richiesta degli stessi. 
Nondimeno con il supplemento di consulenza � stato accertato che: 
a) la strada realizzata dall'E.A.S., in fatto assoggettata ad uso pubblico 
gi� dall'epoca della sua costruzione e lungo la quale sono ubicati i cancelli 
di accesso dei villini costruiti su lotti dei Petix, � stata destinata 
ad uso pubblico, come � strada di interesse locale da potenziare >>, con il 
programma di fabbricazione adottato nel 1975 e approvato il 19 febbraio 
1976; b) che la precedente stradina doveva in ogni caso essere allargata 
e rifatta per consentire il transito degli autoveicoli diretti ai fabbricati 
costruiti sul terreno latistante lottizzato. 

Ci� posto, in relazione alla circostanza sub a) risulta evidente che 
non deve essere costruita la strada prevista dalla sentenza del Tribunale 
regionale per l'accesso ai terreni lottizzati, i quali sono direttamente serviti 
dalla strada suddetta, la cui destinazione ad uso pubblico � ormai 
irreversibile. 

:�. a dire, anzi, che la costruzione di un'altra strada -progettata 
come parallela all'altra -� addirittura impossibile da parte dei Petix, 
posto che il suolo su cui dovrebbe essere realizzata fa parte dei lotti edificati 
e su esso insistono i cancelli di accesso ai villini; inoltre, la nuova 
strada progettata in ogni caso non potrebbe servire i terreni a valle, ai 
quali si pu� accedere solo dalla strada esistente, come ha accertato il 
consulente con riguardo ad un edificio in costruzione su altro lotto dei 
Petix situato in tale zona. 

Pertanto la voce di danno relativa alla costruzione di una nuova 
strada deve essere esclusa. 

La circostanza sub b), poi, evidenzia che ai Petix non pu� essere 
attribuito neppure un distinto risarcimento per le opere eseguite per la 
costruzione della precedente stradella, sia perch� il valore del suolo � 
stato determinato in relazione ad una diretta destinazione edificatoria 
e sia perch� in ogni caso quelle opere andavano rimosse per dar posto 
ad una nuova e pi� larga strada a servizio dei lotti venduti {e non sembra 
lontana dal vero, al riguardo, l'opinione secondo cui l'utilizzazione 
edilizia dei terreni venne favorita dalla realizzazione della nuova strada). 

(omissis) 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI '457 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE, 21 maggio 1987, n. 20 -
Pres. Cusani -Rel. Cantillo -Regione Basilicata (avv. Cavaliere) c. Malvasi 
(avv. Massa) e Amm.ne LL.PP. (avv. Stato G.O. Russo). 

Acque -Acque pubbliche -Competenza e giurisdizione � Tribunali regionali 
delle acque e tribunali ordinari -Danni da difetto di manutenzione 
di opera idraulica � Competenza del Tribunale regionale delle 
acque pubbliche. 

{r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140; cod. civ., art. 2043). 
Acque -Opere idrauliche � Non classificate -Trasferimento alle Regioni Danni 
da vizio di manutenzione � Difetto di legittimazione passiva 
del Ministero dei Lavori Pubblici. 

{d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, art. 2). 
E competente il Tribunale regionale delle acque pubbliche a conoscere 
della domanda di risarcimento per danni che si assumano derivati 
dal modo di conservazione di un'opera idraulica{!). 

Legittimata passivamente .nel giudizio di danni da difetto di manute.
nzione di opera idraulica non classificata � la Regione, alla quale le 
competenze in materia sono state trasferite con d.P.R. 15 gennaio 1972, 

n. 8, a nulla rilevando che all'epoca dell'evento l'opera potesse essere 
classificata come di seconda categoria {2). 
1. -Con il primo motivo la Regione Basilicata ripropone sotto due 
profili l'eccezione di incompetenza per materia del giudice specializzato, 
sostenendo che la competenza a conoscere della controversia appartiene 
al giudice ordinario sia perch� non si ~avvisa un coinvolgimento 
di interessi pubblici quando il danno sia conseguenza della mera 
carenza di manutenzione dell'opera idraulica e sia perch� nella specie 
la domanda � stata formulata anche in base all'art. 46 della legge n. 2359 
del 1865. 
Entrambi gli argomenti sono infondati. 
Quanto al primo, va ricordato che, alla stregua dei princ�pi affermati 
in materia dalla Corte di Cassazione, la domanda con la quale 

(1) In materia, � consolidato il principio secondo cui la competenza dei Tri� 
bunali regionali delle acque pubbliche si radica ogni volta che nella controversia 
siano coinvolti gli interessi generali relativi al regime delle acque pubbliche. 
(2) Corretta applicazione degli articoli 2, secondo comma, lett. e) e 8, lett. f) 
del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8. g da ricordare che a decorrere dal 1� gennaio 1978 
sono state trasferite alle regioni a statuto ordinario anche le competenze relative 
alle opere idrauliche di terza categoria (art. 89 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616). 

458 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

il proprietario di un fondo chieda la condanna dell'Amministrazione al 
risarcimento dei danni, provocati dallo straripamento di un fiume o 
dal cedimento di un'opera idraulica con allagamento del fondo medesimo, 
� devoluta alla competenza per materia dei tribunali per le acque 
pubbliche, ai sensi dell'art. 140, lett. e), r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, 
qualora, mediante Ja denuncia di difetti tecnici, omissioni di vigilanza o 
carenze di manutenzione ponga in discussione provvedimenti od opere 
inerenti al regime delle acque pubbliche, con coinvolgimento degli interessi 
pubblici relativi al buon governo delle stesse. 

In particolare, ai fini dell'attribuzione di competenza prevista da 
detta norma -la quale comprende, manifestamente, anche le domande 
di risarcimento dei danni ex art. 2043 cod. civ. -sono necessarie quattro 
condizioni: 

a) che venga in discussione, come causa del danno, un'opera 
idraulica costruita dall� Pubblica Amministrazione o un provvedimento 
della medesima; 

b) ch:e il danno sia dipendente dall'opera idraulica, cio� dal suo 
modo di essere, in quanto costruita in un certo modo ovvero gestita o 
conservata in modo insufficiente; 

e) che il medesimo danno sia soggettivamente riferibile a fatto 
e colpa della Pubblica Amministrazione cui � affidata la gestione o cura 
dell'opera; 

d) che l'accertamento del danno implichi, in relazione al petitum 
e alla causa petendi dedotta, un'interferenza con il regime giuridico delle 
acque, con coinvolgimento degli interessi pubblici relativi al buon 
governo delle acque e alla buona esecuzione e manutenzione delle opere 
idrauliche, sicch� esulano dalla previsione normativa solo quelle domande 
che si ricolleghino in via meramente indiretta, e occasionale con le 
vicende relative al regime delle acque, nei sensi suddetti (v. Cass. n. 3049 
del 1983; n. 2864 e 4201 del 1981). 

Alla stregua di tali criteri, correttamente la sentenza impugnata ha 
affermato la competenza del giudice specializzato, posto che la domanda 
risarcitoria, individuando la causa del danno nel cedimento dell'argine 
realizzato per regimentare le acque fluviali, implica un accertamento in 
ordine all'inidoneit� tecnica dell'opera e allo stato di conservazione della 
medesima, cio� appunto un giudizio attinente al buon governo delle 
acque pubbliche e delle opere idrauliche relative. 

Manifestamente privo di consistenza �, poi, il secondo argomento, 

posto che la domanda ai sensi dell'art. 46 della legge n. 2359 del 1865 

I 

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l 


1'ARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 4S9 

� stata formulata in via subordinata e, comunque, rientra fra quelle 
devolute alla competenza dei tribunali delle acque pubbliche, ai sensi 
dello stesso art. 140, lett. d); e stabilire se ricorrano, o meno, i presupposti 
della domanda medesima attiene al merito della controversia, 
che nella specie dovrebbe essere esaminato solo se venisse respinta la 
domanda principale. 

2. -Con il secondo motivo la Regione critica la sentenza impugnata 
nella parte in cui ha negato la legittimazione passiva e, pi� precisamente, 
ha escluso la responsabilit� del Ministero dei lavori pubblici; 
sostiene che l'opera idraulica, ancorch� non classificata, era di seconda 
categoria. 
Ma � tesi, codesta, priva di qualsiasi fondamento, in quanto la mera 
possibilit� di classificazione nella seconda categoria � assolutamente 
irrilevante, essendo decisivo il fatto che, alla data di entrata in vigore 
del d.P.R. n. 8 del 1972, l'opera non era stata ancora classificata (e, in 
verit�, la classificazione non era intervenuta neppure nel 1980, quando il 
Tribunale regionale effettu� l'accertamento in questione), con la conseguenza 
che essa rientrava fra quelle attribuite alla competenza delle regioni. 
Infatti, ai sensi dell'art. 2, lett. e), di detta legge, vennero trasferite 
alle regioni, a partire dall'aprile 1972, le opere idrauliche � di 4a e sa 
categoria e non classificate�; tra le quali ultime rientrava, quindi, 
quella in esame. 

Ci� senza dire che la sentenza ha escluso la responsabilit� dell'Amministrazione 
statale e affermato quella della Regione anche in base 
ad altri elementi, neppure censurati da quest'ultima, tra cui la circostanza 
che lo stesso Genio civile, quale organo regionale, aveva comunicato 
di non avere eseguito gli interventi manutentivi in quanto la Regione 
non aveva posto a disposizione i fondi relativi. (omissis) 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE, 21 maggio 1987, n. 21 -
Pres. San�lulli -Rel. Cantillo -Ministero agricoltura e foreste (avv. 
Stato Fiumara) c. Cammareri Giuseppe {avv. Maggi e Verga). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Opposizione a stima -Legittimazione 
passiva -Concorso di enti nella realizzazione dell'opera -Affidamento 
in concessione -Legittimazione del concedente -Fattispecie. 
(legge 25 giugno 1865, n. 2359, art. 51).. 

Ai fini dell'individuazione del soggetto passivamente legittimato alla 
opposizione alla stima di immobili espropriati, occorre scrutinare di 


i60 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

volta in volta se la cooperazione tra enti si sia realizzata con la sostituzione 
di una P.A. ad altra nell'intero procedimento espropriativo, solo 
in tal caso potendosi affermare la legittimazione dell'ente sostituente (1). 

Con il primo motivo del ricorso principale, il Ministero dell'agricoltura 
e foreste ripropone l'eccezione di difetto di legittimazione passiva, 
sostenendo che l'espropriazione, sebbene pronunziata a suo favore, venne 
curata dall'Ente di Sviluppo agricolo e dall'Ispettorato ripartimentale 
delle foreste di Trapani, cio� da organi della Regione Siciliana, nei 
cui confronti, quindi, andava proposta l'opposizione alla stima dell'indennit�. 


La censura � infondata. 

� noto che la cooperazione fra enti pubblici per l'attuazione di 
opere pubbliche non configura un particolare tipo di rapporto di organizzazione, 
avente una propria fisionomia giuridica, ma si svolge in 
forme diverse che, avuto riguardo alla ripartizione dei poteri fra l'ente 
cui appartiene l'interesse al quale l'opera � finalizzata e l'ente che con 
esso collabora, nell'attuale stato della legislazione, sono riconducibili 
-secondo una classificazione sistematica elaborata dalla Corte Suprema 
{a partire dalla sent. n. 311 del 31 gennaio 1%8) -agli schemi del 
finanziamento e dell'affidamento in senso proprio, da un canto, della 
delegazione (intersoggettiva) e della sostituzione, dall'altro. 

Le prime due figure non hanno rilevanza esterna agli enti, nel senso 
che, non comportando attribuzione o trasferimento di funzioni all'ente 
cooperatore, non incidono sui rapporti tra l'Amministrazione e i terzi 
{nel finanziamento l'attivit� dell'ente che si assume l'onere delle spese 
non influenza la competenza di quello che realizza l'opera; l'affidamento 
proprio consiste nel conferimento di incarichi tecnici ed esecutivi 
e perci� si risolve nell'utilizzazione, da parte dell'espropriante, di 
uffici altrui). 

Non sorge, quindi, un problema di imputazione giuridica degli atti 
posti in essere dal finanziatore e dall'affidatario, rimanendo pienamente 
valido il principio normale per cui la titolarit� attiva del rapporto di 
espropriazione -e perci� la legittimazione rispetto all'espropriato e ai 
terzi -compete al soggetto a vantaggio del quale l'espropriazione � 
pronunziata e che sia come tale indicato nel provvedimento ablatorio, 
nei cui confronti sorgono i diritti e gli obblighi nascenti �dal rapporto 
medesimo (Cass. 18 maggio 1976, n. 1755). 

(1) In argomento, con specifico riguardo alla giurisprudenza del Tribunale 
Superiore, cfr. le osservazioni di P. Vittoria in nota alle sentenze n. 23/1984 e 
n. 32/1985, in questa Rassegna, 1985, I, 496. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI i61 

Il principio pu� risultare inapplicabile, invece, nelle figure della 
delegazione e della sostituzione, che implicano il conferimento di funzioni 
all'ente sostituente in materia affidata in via primaria ad altro ente; 
quando al delegato o sostituto vengono attribuiti i poteri e gli oneri del 
procedimento di espropriazione, che cosi � svolto e portato a compimento 
da tale soggetto, a questo deve essere riconosciuta la qualit� di parte 
del rapporto espropriativo, essendo irrilevante, nei confronti dei terzi, 
la posizione del sostituito, beneficiario dell'opera pubblica. 

In tali ipotesi il problema dell'individuazione del soggetto titolare 
del rapporto espropriativo deve essere risolto, come pure ha pi� volte 
avvertito la Corte Suprema (sent. n. 311 del 1%8), in base alla quantit� 
e alla qualit� dei poteri conferiti all'ente sostituente, occorrendo accertare 
in relazione alle singole fattispecie l'esistenza �o meno di una sostituzione 
riguardante l'intero procedimento espropriativo. Il quale accertamento 
deve essere compiuto dal giudice con riferimento sia alle norme 
che prevedono e regolano la legittimazione sostitutiva e sia agli atti amministrativi 
con cui sia stata conferita o assunta la potest� di provvedere 
in relazione all'opera di pertinenza dell'altro ente. 

Nella specie, risulta che: l'opera pubblica, di interesse statale (sistemazione 
idraulico-forestale di circa ha 160), venne finanziata dalla Cassa 
per il Mezzogiorno in base a progetto esecutivo redatto dall'Ispettorato 
ripartimentale delle foreste {deliberazione della Cassa dell'8 gennaio 
1971); i lavori furono affidati in concessione all'ente di sviluppo agricolo 
(decreto del Ministero dell'agricoltura e foreste del 24 ottobre 
1970), nonch� all'Ispettorato ripartimentale delle foreste di Trapani, 
quale organo tecnico preposto agli stessi, che venne autorizzato all'occupazione 
provvisoria dei terreni, ma con la precisazione che le indennit� 
sarebbero state corrisposte dall'ente espropriante; l'E.S.A. provvide 
all'attivit� relativa all'espropriazione, ma nell'espressa qualit� di concessionaria 
dei lavori di cui al decreto ministeriale suddetto; l'espropriazione 
fu pronunciata a favore del Demanio dello Stato -Ministero dell'agricoltura 
e foreste �(D. Prefettizio del 18 giugno 1974). 

Da vari elementi risulta, quindi, che gli organi regionali agirono per 

delegazione del Ministero dell'agricoltura, ente espropriante, e, oltre a 

curare la progettazione e l'esecuzione dei lavori, provvidero soltanto a 

taluni atti ed operazioni del procedimento ablatorjo connessi con la 

materiale esecuzione dell'opera (domanda di occupazione, stato di con


sistenza, ed occupazione dei suoli), comunque compiuti in nome e per 

conto del Ministero medesimo, il quale esegu� i restanti atti del proce


dimento (quale ad es., il deposito dell'indennit�), adempiendo diretta


mente agli obblighi verso l'espropriato scaturenti dal rapporto espro


priativo. 



462 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In questa situazione, va affermato che l'attivit� di cooperazione 
degli organi regionali non incise sulla posizione del Ministero di ricavare 
del rapporto espropriativo e pertanto, con la diversa motivazione ora 
esposta, la statuizione dei primi giudici deve essere confermata. 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE, 16 giugno 1987, n. 28 -
Pres. Cusani -Rel. Taddeucci -Assessorato agric. e foreste regione 
siciliana {avv. Stato Laporta) c. Randazzo (avv. Macaluso). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Interventi di sistemazione idrauIico-
forest3;1e di terreni -Opere di rimboschimento di terreni a tal 
fine occupati temporaneamente -Successiva espropriazione -Indennit� 
� Valutazione del bosco. 

(r.d.l. 30 dicembre 1923, n. 3267, artt. 50, 53 e 54; legge 25 giugno 1865, n. 235?, art. 43). 
L'indennit� dovuta al proprietario di un terreno, in precedenza occupato 
temporaneamente e rimboschito dalla P.A. a fini di sistemazione 
idraulico-forestale, deve comprendere il valore del soprassuolo arboreo 
acquisito alla propriet� del privato (1). 

1. -L'Amministrazione appellante sostiene che il valore di mercato 
del bene al momento dell'espropriazione doveva essere stabilito con 
riferimento alla consistenza ed alle caratteristiche che esso aveva in 
detto momento: e pertanto come � bosco � e non secondo l'artificiosa 
addizione, operata dal primo giudice, del valor del suolo (secondo la 
sua origniaria ~estinazione agricola) al valore del soprassuolo (identificato 
con il legnatico). 
Soggiunge che il divieto di cui all'art. 42 della legge n. 2359 del 
1865 -mentre non ostava acch� i valori della strada di servizio e 
della recinzione fossero tenuti in linea di conto (quali manufatti aggiunti 
all'originaria consistenza dell'immobile ed ormai entrati a far parte 
del patrimonio dei Randazzo) -impediva invece che il valore del suolo 
fosse aumentato del valore degli alberi messi a dimora in quanto essi 
costituivano con quello una entit� nuova, suscettibile di propria valutazione. 


Ravvisa, infine, nell'operata estimazione dei terreni come superfici 
capaci di coltura agraria, la violazione delle norme preclusive di ogni 
possibilit� di sfruttamento agricolo sui terreni assoggettati a vincolo 

(1) Con la soluzione offerta alla terza delle questioni prospettate (v. il n. 4 
della motivazione) il Tribunale superiore conferma il principio altre volte affermato: 
cfr. in questa Rassegna, 1986, I, 568, con nota. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

idrogeologico, ed esclusive dell'indennizzabilit� dei valori potenziali e 
latenti del fondo <(art. 53, 54 e 113 del r.d. n, 3267 del 1923). 

Tali censure -che sostanzialmente investono i tre punti: a) del metodo 
di estimazione prescelto; b) della valutazione del suolo secondo la 
sua destinazione; e) dell'addizione a quel valore di quello dei soprassuoli 
arborei -non possono essere accolte. 

2. -In ordine al punto sub a), consta a questo Tribunale superiore 
essere affermazione costantemente ripetuta nelle cause insorte per la 
espropriazione di terreni boscati in Sicilia, quel.la della inesistenza nell'isola 
e nel presente momento storico di un mercato immobiliare avente 
ad oggetto immobili di tal genere, sia per l'onerosit� della loro manutenzione 
ben superiore alla loro reddivit�, sia per le pressocch� nulle possibilit� 
di utilizzaziorte, su scala commerciale, dei prodotti del bosco, 
con conseguente assenza di appetibilit� e di concreta domanda/offerta 
di scambio tra soggetti privati. 
Anche nel caso in esame siffatta constatazione -che riveste valore 
di dato di notoriet� locale -risulta essere stata presupposta dal Consulente 
tecnico nominato dal Tribunale regionale {il quale ha posto in 
evidenza che i servigi di utilit� indiretta resi dalla forestazione, per la 
protezione del territorio e della natura e per la valorizzazione turistica, 
sfuggono alla stima mercantile) e risulta essere stata pacificamente recepita 
dal Consulente tecnico nominato dall'Amministrazione espropriante 
(il quale ha ammesso che il rimboschimento del lotto di terreno dei Randazzo, 
a parte il suo pregio paesaggistico, oltre a non produrre alcun 
reddito, � soltanto foriero di oneri manutentivi a carico del privato proprietario). 


Tanto basta, ad avviso di questo Tribunale, a conferire una (prima) 
base di giustificazione razionale alla scelta operata dal C.T.U. circa i dati 
di partenza sui quali impostare i conteggi richiestigli: allorch� egli 
-in luogo di ricercare gli irreperibili prezzi spuntati in un inesistente 
mercato delle aree boscate in Sicilia -ha ben pi� realisticamente articolato 
l'estimazione secondo il metodo cosidetto �francese o di Broillard 
� ovvero del bosco �a liquidazione�, che consiste nel valutare il 
terreno come nudo, in relazione alla sua originaria naturale vocazione 
agricola, con l'aggiunta del valore economico del soprassuolo boschivo. 

3. -Rettamente, del resto, cos� operando si � pervenuti ad escludere, 
ai fini della determinazione dell'indennit�, il disvalore fondiario 
apportato dalla forestazione; e cio� da quell'opera di trasformazione 
fondiaria che per ragioni di pubblico interesse aveva privato di appetibilit�, 
sul mercato immobiliare, le aree in espropriazione in diretta conseguenza 
della irreversibile destinazione loro impressa... 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Passando, quindi, all'esame della seconda questione controversa 
(cfr. sopra sub b) occorre ricordare che secondo l'ormai consolidata 
giurisprudenza della Suprema Corte regolatrice (cfr. tra le altre, sent. 

n. 5993, n. 3823 e n. 2260 del 1984; n. 3825 del 1983, n. 3346 del 1982) i 
vincoli imposti dall'Amministrazione per ragioni di pubblico interesse 
alla libera utilizzabilit� dell'immobile, e che incidano in modo specifico 
e differenziato su di un singolo bene, implicano per il proprietario un 
sacrificio che pu� restare privo di indennizzo solo in via temporanea 
ma non anche quando il bene venga definitivamente acquisito dal!'
Amministrazione. 
Sebbene detto canone sia stato dalla citata giurisprudenza applicato 
in relazione ai vincoli di inedificabilit� previsti in strumenti urbanistici, 
il suo valore di principio generale lo rende estensibile anche al diverso 
settore dei limiti arrecati alla libera utilizzabilit� {a scopi produttivi) 
del suolo dall'imposizione di vincoli forestali per scopi idrogeologici, 
(cfr. nello stesso senso sent. n. 59 del 28 agosto 1985 di questo Tribunale 
Superiore). 

In detto settore, del resto, il rispetto del principio suindicato risulta 
reso ancor pi� cogente dal rilievo che persino le limitazioni temporanee 
di godimento occasionate dai lavori di sistemazione idraulicoforestale 
dei bacini montani, danno luogo all'assegnazione di una indennit� 
annua commisurata al reddito netto prodotto dal terreno secondo 
la sua precedente utilizzazione (cfr. art. 50, 1� comma e 51 del r.d. 30 dicembre 
1923 n. 3267), e decorrente pur dopo l'ultimazione delle opere 
sino a quando, divenuto �redditizio� (e cio� produttivo di un reddito 
non inferiore a quello anteriormente goduto) il terreno rinsaldato o rimboschito, 
ne sia consentita la riconsegna al proprietario (cfr. art. 50, 
terzo comma del r.d. citato ed art. 63 del Regolamento di esecuzione 

n. 1126 del 1926). 
Soltanto tale risultato di maggiore redditivit�, infatti, renderebbe 
legittima l'imposizione al proprietario del terreno rimboschito dei div:ieti 
di coltura agraria, di limitazione del pascolo e degli oneri di governo 
boschivo previsti dall'art. 54 del citato r.d.; cosicch� ove tale risultato 
non possa essere attinto o stabilmente mantenuto, l'espropriazione con 
acquisizione al demanio forestale del terreno gi� rimboschito e sistemato, 
pure se in regime di temporanea occupazione -come nella legislazione 
regionale siciliana espressamente previsto alla lettera e) dell'art. 
1 della legge n. 88 del 1975 -si impone quale misura indispensabile 
per l'effettiva conservazione della sistemazione forestale e tutela 
degli equilibri ambientali. 

Ma come rispetto alla temporanea limitazione del diritto di godimento 
l'indennizzo viene commisurato in ragione del reddito perso, cos� 
rispetto alla definitiva ablazione del diritto di propriet� l'indennit� non 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBUCI 465 PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBUCI 465 
pu� non essere correlata alla perdita del valore del bene quale capitale, 
data dal divieto di una sua pi� fruttuosa utilizzazione, ancorch� 
corrispondente a quella in precedenza praticata. 

Altrimenti ragionando, invero, l'imposizione dei vincoli occorrendi 
per la sistemazione idraulico-forestale, con conseguenziale diminuzione 
del valore fondiario del terreno, si trasformerebbe essa stessa in una 
forma di larvata espropriazione della quale l'ente espropriante verrebbe 
a beneficiare nel successivo momento dell'adozione del formale provvedimento 
ablatorio. 

A tale momento -invece -come nella sentenza impugnata si � 
rettamente inteso -la� valutazione del suolo da acquisire al demanio 
deve essere effettuata previa depurazione del disvalore arrecato dalla 
trasformazione boschiva anteriormente imposta e cio� stimando il bene 
sulla base di .quella sua destinazione colturale produttiva che l'opera di 
rimboschimento non ha consentito di (pi�) vantaggiosamente proseguire. 

Nello stesso senso si esprime, del resto l'art. 113 del citato r.d. 

n. 3267 del 1923 .(in materia di boschi e di bacini montani): che disciplina 
unitariamente e le espropriazioni di terreni ancora non interessati 
da opera di sistemazione ed a quel fine ancora non temporaneamente 
occupati, e le espropriazioni di terreni attraverso quell'opera gi� 
boscati, e che viene richiamato anche in tema di acquisto a trattative 
amichevoli dei terreni rimboschiti la cui riconsegna sia rifiutata dal pro� 
prietario i(art. 53 ult. comma). 
Nella seconda e nella terza delle tre ipotesi sopra indicate rimarrebbe 
privo di significato il divieto di tener conto �dei valori potenziali o 
latenti del fondo (quali l'esistenza di cave, miniere e torbiere non esercitate 
o la possibile trasformazione di colture o di destinazione dell'intero 
fondo o di parte di esso) se vigesse -sempre e necessariamente la 
pi� esaustiva prescrizione di procedere alla valutazione unitaria del 
"' bosco � come complesso totalizzante dotato di una sua�specifica appetibilit� 
di acquisto sul mercato immobiliare. La norma in esame riceve 
invece ben pi� adeguata lettura ove si ritenga con essa interdetta -in 
caso di espropriazione di terreni gi� rimboschiti -la valutabilit� di 
possibili trasformazioni di colture e destinazioni rispetto a quelle in 
atto quando fu intrapresa l'opera di forestazione. 

4. -Una volta escluso, per le considerazioni sin qui svolte, chell 
fondo in questione potesse o dovesse essere valutato, unitariamente, 
come � bosco � (con una perdita secca di circa i tre quarti del suo 
valore fondiario, a quanto risulta da un confronto tra i conteggi rispettivamente 
indicati dal C.T.U. e dal perito dell'Amministrazione espropriante) 
si palesa priva di fondamento la censura i(sopra, sub e) volta 
a contestare che alla stima del suolo -secondo la sua originaria desti

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

466 

nazione agricola, in quanto calcolata al netto del decremento arrecato dal 
vincolo della forestazione -fosse da aggiungere la stima dei soprassuoli 
arborei. 

Costituisce, invero, principio pacifico che nella determinazione della 
indennit� di espr?priazione debbono essere calcolati, separatamente, 
rispetto al valore venale del fondo inteso nella sua consistenza economico-
funzionale di �suolo�, i valori per le costruzioni, piantagioni e 
migliorie, sempre che non siano state eseguite proprio allo scopo di 
conseguire una maggiore indennit� (cfr. Cass. n. 7585 del 1983): ed in 
questa ottica non pu� assumere rilevanza la considerazione che, nella 
specie, l'impianto del bosco fu eseguito a cura e spese dell'Amministrazione 
pubblica. 

Come questo Tribunale Superiore ha avuto gi� altre volte occasione 
di osservare, l'intervento della �Pubblica Amministrazione consentito 
ai sensi dell'art. 50 del r.d. n. 3267 del 1923 -allorch� per l'esecuzione 
dei lavori di rinsaldamento e di rimboschimento risulti indispen~abile 
una parziale o totale sospensione del godimento dei terreni da sistemare, 
e l'apprensione del possesso materiale di essi da parte dell'Araministrazione 
medesima, in funzione dell'opera programmata e con 
obbligo di restituzione ad opera perfezionata -� da inquadrare come 
fattispecie di �occupazione temporanea strumentale�, le cui peculiari 
caratteristiche sono: 

a) per un verso quella che alla privazione, contingente e risarci


bile, del diritto del privato al godimento ed all'uso del fondo non si 

accompagna altresl la perdita della propriet�; 

b) per altro verso quella che le opere realizzate sul fondo -seb


bene volte a finalit� di pubblico interesse perch� ritenute necessarie 

per l'assetto idrogeologico del territorio -sono destinate ad essere 

acquisite in propriet� dallo stesso proprietario del terreno (e ci� in 

coerenza, del resto, con il divieto generale, ex art. 956 cod. civ., di costi


tuire la propriet� delle piantagioni separatamente da quelle del suolo). 

� ben vero che l'acquisto gratuito, degli impianti boschivi, da 
parte del privato � correlato all'imposizione sul fondo di un particolare 
regime vincolato, ed all'assunzione in proprio di specifici oneri di 
.governo del bosco; ma il problema da risolvere � appunto questo, se 
l'acquisto in propriet� dei soprassuoli arborati e la gratuit� dell'acquisizione 
possano essere revocati e travolti (con eventuale richiamo all'art. 
43 della legge n. 2359 del 1865) una volta che la Pubblica Amministrazione 
non ritenga pi� rispondente, o sufficiente, al perseguimento 
delle finalit� di pubblico interesse idrogeologico, il regime vincolato in 
precedenza imposto ed addivenga all'espropriazione del fondo, per il 
suo conglobamento nel demanio forestale. 

-I 

i 

~~ 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Un primo quesito che il proposto problema legittima � se il successivo 
e pi� radicale intervento ablatorio tragga origine da un mutamento 
di indirizzo e di valutazione nel .settore della forestazione, da 
parte della Pubblica Amministrazione, oppure dall'inadeguatezza o ritrosia 
del proprietario dei terreni rimboschiti rispetto ai compiti ed ai 
doveri assegnatigli. 

Ma la risposta al quesito � agevole, ove si consideri che lo stesso 

r.d. 30 dicembre 1923 n. 3267 (art. 54) a fronte di sia pur ripetute contravvenzioni 
del proprietario agli obblighi derivanti dai vincoli idrogeologici 
altro rimedio non prevede oltre quello della perdita del possesso 
del terreno per un tempo determinato e senza indennizzo e della 
sopportazione delle spese per i lavori ripristinatori occorrenti. 
Non risulta, dunque, dal sistema, la previsione di una sorta di 
espropriazione � penitenziale �, in base alla quale la Pubblica Amministrazione 
possa, secondo i casi, ritenersi autorizzata all'ablazione della 
propriet� privata del suolo e dei soprassuoli arborati, senza indennizzo 
alcuno per qudsti ultimi, in ragione dell'inosservanz�, da parte del soggetto 
ablato, degli obblighi di governo boschivo e di altre inottemperanze 
ai vincoli di forestazione. 

Nel caso in esame, del resto, nessun richiamo a siffatte circostanze 
�, esplicitamente od implicitam~nte, contenuto nel provvedimento di 
espropriazione: misura alla quale l'Amministrazione regionale � addivenuta, 
per sua insindacabile scelta discrezionale a circa un ventennio di 
distanza dall'occupazione temporanea strumentale del fondo, quando 
gi� si era consoliciato, in favore dei Randazzo, l'assetto acquisitivo gratuito 
della propriet� dei soprassuoli arborati. 

Ed allora, la stessa logica che consiglia l'Assessorato appellante 
a non contrastare l'indennizzabilit� dei manufatti {stradella di servizio 
e recinzione) dei quali il fondo si presentava dotato al tempo della 
espropriazione, impone di ritenere patimenti indennizzabile la perdita 
della massa boschiva. 

Ogni perplessit� che su di un piano meramente equitativo potrebbe 
suscitare l'imposizione di un obbligo di pagamento per quanto si � a 
proprie spese conferito da altri, gratuitamente sl, ma per finalit� trascendenti 
il suo .interesse e con vincolo di destinazione, scompare ove si 
consideri, sul piano del diritto, che tale costo � connaturale al mutamento 
nel tempo del tipo di intervento ablatorio via via adottato dalla 
Amministrazione; costo che avrebbe potuto essere evitato in altro modo 
procedendo, ma ohe comunque data la successione degli eventi non pu� 
essere eluso in pregiudizio del soggetto ablato. 

N�, infine, pu� farsi questione di irrisardbilit� dell'arricchimento 
ex art. 42 legge n. 2359 del 1865, dal momento che l'attribuzione del 
valore del legnatico ha la sua fonte genetica non gi� nel provvedimento 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

468 

di espropriazione ma bensl nella precedente, separata ed autonoma opera 
di forestazione su suolo privato, di per s� atta, una volta conclusa, 
ad attribuire al proprietario il diritto a far propri i prodotti del bosco, 
mediante taglio periodico. (omissis) 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE, 17 giugno 1987, n. 29 -
Pres. Cusani -Rel. Maresca -Peverada (avv. Romanelli) c. Amministrazione 
finanze (avv. Stato Fiumara). 

Acque � Acque pubbliche � Laghi � Limiti dell'alveo � Individuazione. 
(cod. civ., art. 943). 

I limiti dell'alveo di un lago appartenente al demanio idrico sono 
identificati dal livello che le acque raggiungono nelle piiene �ordinarie, 
con la conseguenza che i terreni posti al di sotto di tale quota costituiscono 
alveo del lago e ne seguono il regime giuridico (1). 

Per quanto concerne la distinzione tra alveo e spiaggia del lago, 
che l'impugnata sentenza avrebbe omesso di fare (terzo motivo), e la 
idoneit� della spiaggia a soddisfare esigenze di pubblico interesse, esclusa 
dal consulente tecnico d'ufficio e ritenuta, invece, (lai Tribunale Regionale, 
che l'avrebbe riferita all'originaria posizione e conformazione 
dei luoghi (primo motivo, sub � b �), giova premettere, in linea di principio, 
che il demanio lacuale, analogamente al demanio marittimo, comprende 
l'alveo, cio� l'estensione che viene coperta dal bacino idrico con 
le piene ordinarie, e la spiaggia, vale a dire quei terreni contigui lasciati 
scoperti dalle acque nel loro volume ordinario che risultino necessari 
e strumentali al soddisfacimento delle esigenze di accesso, sosta e 
transito, proprie della collettivit�, per diporto, trasporto, esercizio della 
pesca et coetera (Cass. Sez. Un., sent. 14 dicembre 1981, n. 6591). In 
sintesi, l'alveo si identifica con il bacino di contenimento dell'acqua del 
lago in regime di piena ordinaria, mentre la spiaggia, strutturalmente, 
ha inizio l� dove ha termine l'alveo. 

Nel caso concreto, il consulente tecnico d'ufficio ha determinato 
il livello di piena ordinaria del lago d'Iseo a quota 185,86 o, al minimo, 
185,65 sul livello del mare. Per contro, ha accertato essere l'area in 
contestazione a quote (185,50 e 185,60 sul livello del mare) inferiori anche 
alla quota pi� bassa (185,65), e ha necessariamente concluso essere 

(1) In termini, cfr. Trib. Sup. AA.PP., 6 maggio 1980, n. 13, in questa Rassegna, 
1980, I, 862 ed ivi ulteriori richiami. Cass., S. U., 14 dicembre 1981, n. 6591, 
citata in motivazione, � pubblicata in questa Rassegna, 1981, I, 884. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 469 

detta area, nelle condizioni in cui si trovava prima delle concessioni, di 
natura demaniale essendo posta a :quota inferiore al livello delle piene 
ordinarie e facendo, pertanto, parte integrante dell'alveo del lago d'Iseo. 

In tale contesto, l'accenno, fatto 'dal consulente tecnico d'ufficio, 
alla passata esistenza di una spiaggia -riferita per altro, e inspiegabilmente, 
al livello � normale � dell'acqua inteso come livello � non di 
piena ordinaria� (sic: v. relazione, a pag. 23), spiaggia avente comunque, 
all'atto del rilascio delle due concessioni, idoneit� a soddisfare esigenze 
di pubblico interesse :(siccome normalmente usata dai pescatori, che 
se ne servivano per tirare le barche all'asciutto, e dal pubblico, in genere, 
per scopo balneario), ma attualmente scomparsa in buona parte, per 
fenomeno di erosione, e priva, per mutamento della sua originaria morfologia, 
di alcuna specifica idoneit� a soddisfare esigenze di pubblico 
interesse nei tratti di rpossibile affioramento dalle acque -non ha 
sicuramente rilevanza per il problema della natura demaniale dell'area 
in questione, risolto semplicemente in base all'accertamento della sua 
appartenenza all'alveo del lago. Parimenti, e per la medesima ragione, 
non hanno rilevanza, al suddetto fine, le affermazioni dell'impugnata 
sentenza formanti oggetto delle doglianze in esame. 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE PUBBLICHE, 30 novembre 1987, n. 89 -
Pres. Cusani -Rei. Taddeucci -Soc. Sicildietetici (avv. Cevolotto) c. 
Amministrazione finanze (avv. Stato Carbone). 

Acque � Acque pubbliche � Competenza e giurisdizione � Tribunali delle 
acque e tribunali ordinari � Alveo fluviale colmato da colata lavica Controversia 
sulla demanialit� -Competenza del tribunale delle 
acque pubbliche. 

(r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140). 
Acque � Acque pubbliche � Demanio idrico � Alveo fluviale colmato dalla 
lava � Passaggio al patrimonio disponibile. 
(cod. civ., artt. 822, 829, 946). 

Spetta alla competenza del Tribunale delle acque pubbliche la controversia 
sulla natura e l'appartenenza d'un alveo fluviale riempito da 
una colata lavica (1). 

(1-2) Questione nuova, a quanto consta, anche per i riflessi processuali. Di 
particolare interesse l'analisi svolta sulla diversa ratio sottesa alle singole regole 
in tema di c.d. accessioni fluviali, in base alla quale il Tribunale ha escluso 
la ravvisabilit� di un unico criterio, fondato sulla origine naturale o artificiale 
dell'incremento di terra, per la risoluzione della controversia di propriet�. 




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

470 

N<:m sono applicabili le regole in tema di accessioni fluviali nel caso 
d'un alveo torrentizio invaso da colata lavica senza formazione d'un nuovo 
letto delle acque, dovendo invece risolversi la controversia sull'appartenenza 
dell'alveo per tal modo essiccato col riconoscimento del passaggio 
di questo alla categoria dei beni patrimoniali secondo il principio generale 
di cui all'art. 829 cod. civ. (2). 

1. � Con una prima censura la societ� appellante -deducendo la 
violazione dell'art. 140 comma 1� lett. b) del T.U. 11 dicembre 1933, 
n. 1775 ed il difetto di competenza nel Tribunale regionale -sostiene 
ohe questo ultimo, una volta accertato che i terreni oggetto di concessione 
amministrativa non facevano pi� parte del demanio idrico, 
avrebbe dovuto limitare la propria pronunzia a siffatta negativa declaratoria 
e rimettere al Tribunale civile di Catania ogni successiva decisione 
circa l'appartenenza del bene, se cio� fosse passato al patrimonio 
dello Stato, oppure fosse stato acquisito in propriet� dai privati proprietari 
dei fondi latistanti il non pi� esistente corso d'acqua. 
La censura non pu� essere condivisa ed invano a suo fondamento 
si invoca l'insegnamento della Suprema Corte regolatrice, secondo cui 
la controversia rientra nella competenza del giudice ordinario quando 
sia incontestato che il terreno conteso abbia cessato definitivamente 
di fare parte dell'alveo di un fiume e si disputi, quindi, esclusivamente 
circa l'appartenenza della zona riemersa (cfr. Cass. n. 2640 del 1969; 

n. 1894 del 1966; n. 108 del 11965). 
Al contrario, il proprium della questione, insorta incidentalmente e 
ritualmente devoluta alla cognizione del Tribunale regionale delle acque 
ai sensi dell'art. 140, comma 1�, lett. b) del T.U. n. 1775 del 1933, in 
ragione dell'indagine tecnica che essa implicava, era appunto quello di 
stabilire a quale regime giuridico fosse soggetta una determinata zona 
di terreno, sostenendo l'Amministrazione convenuta che essa continuava 
a fare parte del demanio idrico, quale alveo fluviale essiccato e la 
societ� ricorrente� che essa spettava ai proprietari confinanti. 

Cos� delineati i termini della controversia portata all'esame del 

giudice specializzato, non � sostenibile che i poteri cognitivi di questo 

incontrassero limiti diversi a seconda che la questione fosse risolta nel 

senso propugnato dalla societ� concessionaria oppure in senso a lei 

sfavorevole; cos� come che i suoi poteri decisori fossero vincolati ad 

una scelta non eccedente l'alternativa fissata dalle contrapposte tesi 

prospettate dai contendenti. 

Nessuna esorbitanza dall'ambito delle proprie attribuzioni� pu� essere 
dunque rimproverata al Tribunale regionale allorch� ha affermato 



PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBm.ICI .f71 

che il suolo in questione -a seguito degli eventi naturali che lo avevano 
interessato -aveva perduto il carattere di bene del demanio 
idrico ed era passato, per sdemanializzazione, al patrimonio dello Stato. 

2. -Con una seconda censura -impostata sulla violazione e falsa 
applicazione dell'art. 946 cod. civ. -la societ� appellante si duole che 
il giudice di primo grado abbia escluso, nella fattispecie, l'applicabilit� 
analogica o per via di interpretazione estensiva della norma sopracitata; 
sostiene che l'ipotesi legislativamente prevista, del fiume o torrente che 
si formi un nuovo letto abbandonando l'antico, � sul piano logico equiparabile 
a quella (non prevista) dell'eliminazione di un corso d'acqua, 
per essere stato il suo alveo colmato da una colata lavica, senza corrispondente 
creazione di un nuovo letto; afferma che, in definitiva, la 
devoluzione o meno di parti dell'alveo ai proprietari conrfinanti con le 
due rive deriva dalla natura della � derelictio � del letto fluviale, dall'essere 
cio� essa conseguente ad eventi naturali oppure all'intervento 
dell'opera dell'uomo. Anche queste censure non possono essere condivise. 
Considerazione basilare, che non va pretermessa, � che secondo la 
concezione accolta dal legislatore (art. 427 del cod. Civ. del 1865 ed 
art. 822 del codice civile vigente) appartengono al demanio non solo 
le acque pubbliche ma anche i loro alvei, di modo che una volta divenuto 
asciutto il letto fluviale od in esso formatesi unione di terre, la 
perdita dell'attitudine del bene, cos� trasformato a soddisfare usi di 
pubblico interesse, non comporta la perdita della propriet� �su esso da 
parte dell'ente titolare, ma soltanto il suo passaggio nel patrimonio disponibile 
dello stesso ente, secondo il generale principio posto dall'articolo 
829 del cod. civ. vigente (come' dall'art. 429 di quello del 1865). 

Rispetto a detto generale principio (riaffermato da Cass. n. 5454 
del 1980, nella motivazione) sarebbe vano sostenere che la materia delle 
cos� dette �accessioni fluviali� {di cui agli articoli da 941 a 947 del 
codice civile) abbia ricevuto una disciplina speciale ed autonoma rispetto 
a quella dei beni pubblici, tale da impedirne l'applicabilit� anche 
per i casi non espressamente previsti; ed ancor pi� vano sarebbe ricercare 
il cardine di una tale, supposta, disciplina speciale ed autonoma 
nel disposto di cui all'art. 947 cod. civ. attribuendogli un'efficacia idonea 
e'd erigere a sistema la frammentaria regolamentazione delle ipotesi pre:
viste dai precedenti art. 941, 942, 943, 944, 945 e 946. 

Non risulta, infatti sostenibile, ohe tutti i fenomeni di incrementi 
fluviali siano stati assoggettati ad una sorta di summa divisio, nel senso 
che essi diano luogo ad un accrescimento della propriet� dei privati se 
di origine naturale, e ad una estesione della mano pubblica se di origine 
artificiale. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

472 

Ne costituisce conferma -anche sul piano dell'individuazione delle 
linee di tendenza dell'evoluzione legislativa -il primo comma dell'art. 
945 cod. civ., che attribuisce al demanio pubblico, anche se di 
genesi spontanea e non provocata, le isole e le unioni di terre t:he si 
.formano nel letto dei fiumi e dei torrenti; 'Senza nemmeno distinguere 
se questi corsi d'acqua 'siano o meno navigabili od atti al trasporto 
(contrariamente a quanto previsto n~gli artt. 457 e 458 del codice civile 
del 1865). 

Il disposto di cui all'art. 947 cod. civ. assolve, invero, alla pi� limitata 
funzione di contribuire a circoscrivere l'ambito di ap.Qlicabilit� 
di regole varie dettate per le ipotesi in cui la modifica morfologica delle 
rive e degli alvei fluviali sia stata determinata natura fluminis o vi 
fluminis, ossia quando il mutamento della direzione o l'energia propria 
della massa idrica fluente, nel suo impatto con il territor'io, ne 
abbia provocato un nuovo assetto in senso naturistico, tale da giustificare 
di riflesso, sul piano giuridico, un riordinamento dei titoli di 
appartep.enza dominicale sulle terre emerse, avulse, distaccate od aggregate. 


L'individuazione delle regole che, secondo le diverse ipotesi naturi


stiche previste, presiedono a tale riordinamento (regole in larga misura 

influenzate da tradizioni storiche) non si presenta agevole, ma tra di 

esse sembra consentito ravvisare e distinguere: 

a) quella dell'acquisto per accessione, in caso di accrescimenti 
successivi ed impercettibili dei fondi rivieraschi (art. 941 cod. civ.); 
b) quella de1 riconoscimento del preesistente titolo di propriet� 

o per la sua conservazione (art. 945, II e III cod. civ.) o quanto meno 
per l'attribuzione di una indennit� (art. 944 cod. civ.); 
e) quella Idi un tendenziale equilibrio tra la quantit� dei terreni 
che la vis fluminis sottrae alla propriet� dei privati e la quantit� dei 
terreni che ad essi pu� essere restituita (art. 942 e 946 cdd. civ.), pur 
nell'assenza di una identit� tra i soggetti menomati ed i soggetti avvantaggiati 
da questa sorta di ridistribuzione compensatrice. Della quale 
sembra essere scopo ultimo quello di evitare un unilaterale, progressivo, 
illimitato accrescimento attraverso i tempi, della mano pubblica sulle 
terre interessate da mutevoli scorrimenti fluviali, con corrispondente, 
unilaterale progressivo ed illimitato depauperamento delle propriet� private 
nel medesimo territorio. 

La suindicata funzione riequilibratrice risulta del resto chiaramente 
avvertita dal legislatore, laddove il meccanismo acquisitivo della propriet� 
da parte dei confinanti rivieraschi ex art. 946 cod. civ. risulta 
espressamente condizionato non soltanto all'evento che il corso flu




l"ARTB I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

viale abbia abbandonato il suo antico letto, ma prima ancora che esso 
se ne sia formato uno nuovo (cos� in altro luogo incrementando il 
demanio fluviale): ed in assenza di quest'ultima cogente condizione 
viene meno la ragione in forza della quale la norma, per via di eccezione 
dett�ta, �possa derogare al principio generale previsto dall'art. 829 
cod. civ. 

Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, non sembra lecito 
dubitare dell'esattezza delle conclusioni indicate dal Tribunale regionale, 
allorch� ha escluso che la societ� ricorrente potesse invocare 
�e regole disciplinanti le accessioni fluviali per contendere alla pubblica 
Amministrazione l'appartenenza del dominio sull'alveo torrentizio 
invaso dalla colata lavica. 

Ed invero, l'allegata modificazione morfologica dei luoghi, anzitutto 
non trova origine da eventi connessi con la vis fluminis, ma da 
cataclisma di tutt'altra natura atto ad incidere non solo sull'aspetto di 
beni compresi nel demanio fluviale, ma altres� su beni appartenenti ad 
altra categoria demaniale o patrimoniale dello Stato. 

In secondo luogo veniva in evidenza il principio, indiscutibile, del 
carattere demaniale dell'alveo (cfr. Relazione al codice civile, n. 440) 
nonch� la regola -che come si � visto (cfr. supra, sub b) non � estranea 
alla disciplina degli incrementi fluviali -del rispetto, ove possibile, 
dell'appartenenza dominicale anteriore all'immutazione dell'assetto 
idraulico-territoriale. 

In terzo luogo (e la tonsiderazione assume valore assorbente) la 
fattispecie esaminata non presentava quei presupposti 'di tendenziale 
riequilibrio tra acquisizione al demanio di nuove zone di terreno ed 
abbandono di altre (cfr. supra sub b) in mancanza dei quali il disposto 
di cui all'art. 946 cod. civ. si palesava inapplicabile!. 

L'impugnazione, in definitiva, deve essere rigettata. La peculiarit�, 
per alcuni aspetti nuova, della vicenda induce a dichiarare la totale 
.compensazione delle spese attinenti al presente grado di giudizio. � 


SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sez. II penale, 26 ml;lrzo 1987 
.. 3705 -Pres. Salvatori -Rel. Saulino -Regione Siciliana parte 
civile 1(avv. Stato Bruni). 

Reato -Reato di deviazione di acque (art. 632 cod. pen.) -Oggetto della 
tutela penale. 

Reato -Reato di deviazione di acque (art. 632 cod. pen.) e reato di furto 
di acque � Elementi distintivi. 

Impugnazioni penali � Ricorso per cassazione � Deduzione di errata interpretazione 
di legge ai fini del prosciogllmento con formula ampia 
ai sensi dell'art. 152 cod. proc. pen. pur in presenza di causa estintiva 
� Ammissibilit� � Annullamento senza rinvio della sentenza impugnata 
� Ammissibilit�. 

Reafo -Reato di omissione di atti di ufficio � Interpretazione della norma 
di cui all'art. 328 cod. pen. 

Le acque tutelate dalla norma di cui all'art. 632 cod. pen. sono le 
sorgenti ed i corsi idrici, siano essi pubblici o privati, che l'art. 812 
cod. civ. annovera tra le cose immobili, di guisa che l~ acque separate 
dalla massa che perennemente o stagionalmente si rinnova, non possono 
pi� considerarsi immobili ed ,essere pi� garantite dal disposto di cui al 
surrichiamato articolo, perch� l'azione del deviare si realizza attraverso 
la modifiaa o lo spostamento del deflusso normale. 

La linea di demarcazione tra il reato di deviazione di acque ed il 
reato di furto di acque � data dal fatto che mentre la prima necessariamente 
implica la totale sottrazio~ delle acque alla loro naturale destinazione, 
in modo permanente od anche soltanto saltuario, ma sempre 
con l'immut,azione dello stato di possesso riguardo a coloro che ne 
siano comunque gli utenti legittimi, il reato di furto si realizza allorquando 
solo una porzione della massa d'acqua sia sottratta all'avente 

diritto. 

Qualora~ in sede di ricorso per cass.azion~, venga dedotta errata interpretazione 
di legge ai fini d.el pros�ioglimento con formula ampia ai s~nsi 
dell'art. 152 cod. proc. pen. pur in presenza di causa estintiva del 
reato, il S.C. pu�, qualora ritenga fondata la censura, annullare senza 
rinvio la sentenza impugnata, div.ersamente da quanto invece si verifica, 

! 


PARTB I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENAIJI 

dovendosi applicare una qualsiasi causa estintiva, allorquando si verte 
in materia di difetto di motivazione o travisamento di fatto che importerebbero, 
necessariamente, il rinvio degli atti al giudice di merito, 
rinvio non attuabile per effetto della obbligatoriet� della immediata 
declaratoria della causa estintiva. 

Ai fini della sussistenza del delitto di cui all'art. 328 cod. pen., il 
giudice deve precisare il contenuto del dovere imposto al p.v. e degli obblighi 
conseguenti, e deve :anche tenere conto dei limiti di discrezionalit� 
amministrativa e tecnica circa le modalit� di intervento, con una valutazione 
che� non pu� sottrarsi all'individuazione di altri dov.eri, alla 
ricerca dei mezzi legislativi disponibili per l'attuazione ed all'accertamento 
di disponibilit� di pers.one e mezzi per la dOncreta realizzazione. 

(omissis) Cucinella Anna, Ruffino Salvatore, Cusumano Giuseppe, 
Musso Giuseppe, La Fata Vincenzo, Sciarrino Matteo, venivano tratti 
al giudizio del Pretore cli Carini per rispondere, nella loro qualit� di 
responsabili della societ� di ricerche idriche � S.O.R.I. � operante in 
loco, di deviazione dal sottosuolo, senza titolo alcuno, di acque pubbliche, 
della contravvenzione di omessa installazione di strumenti idonei 
alla misurazione della portata delle acque prelevate e cli mancata denunzia 
alle autorit� competenti, nonch� del furto di acque, ininterrottamente, 
dall'anno 1970; gli altri, invece, per avere, ciascuno nella rispettiva 
qualit� di sindaco pro tempore del comune di Carini, indebitamente 
omesso di adottare, a far data dal 1980, le iniziative e le procedure 
idonee ad integrare le dotazioni idriche del comune, cos� incorrendo 
nella violazione dell'art. 328 c.p. e con sentenza in data 16 luglio 
1982, mentre la Cucinella ed il Ruffino venivano riconosciuti colpevoli 
dei reati loro ascritti, unificati nel vincolo della continuazione, 
lo Sciarrino veniva assolto per insufficienza di prove e gli altri usufruivano 
dell'amnistia di cui al d.P.R. 744/1981. Il Tribunale di Palermo, 
giudicando in sede di appello, annullava la sentenza nei confronti dei 
primi due limitatamente al delitto di furto stante l'incompetenza del 
Pretore a giudicare per un delitto di furto aggravato, con rimessione 
degli atti al locale Procuratore della Repubblica, confermando nel resto. 
Proponevano tutti gli imputati ricorso per cassazione deducendo Cucinella 
e Ru:Efino la nullit� della sentenza per omessa applicazione dei 
principi giuridici regolatori della complessa materia, atteso che la 
prosecuzione dell'attivit� era stata coattivamente imposta dall'autorit� 
perch� fosse mantenuta operante la fornitura dell'acqua ai vari utenti; 
per non aver dato alcuna risposta, giuridica e di fatto, ai vari quesiti 
e soprattutto a quello che, data la eccezionalit� del diritto di privativa, 
possono essere assunti da parte dei Comuni, in regime di monopolio, 

solo alcuni servizi, dai quali sono esclusi quelli relativi agli acquedotti, 


476 

che possono di conseguenza essere gestiti anche privatamente; che la 
ricerca delle falde idriche era stata eseguita in base a regolare autorizzazione 
del Genio Civile in data 16 ottobre 1974 cos� come identica 
autorizzazione era stata rilasciata per la immissione dell'acqua nell'acquedotto 
privato cosicch� l'acqua in questione era stata considerata, a 
far data dal marzo 1978, sempre acqua privata; che non esiste reato 
allorch� si usufruisca di acqua gi� legittimamente goduta per concessioni 
amministrative scadute e non rinnovate; che � cen~urabile la ritenuta 
aggravante dell'art. 61 n. 2 c.p. per la inconciliabilit� tra il reato di cui 
all'art. 632 e quello di furto di acque essendo queste considerate bene 
immobile ex art. 812 c.p.; che non vi � motivazione alcuna in ordine alla 
mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. 

Gli altri imputati deducendo, invece, la mancata assoluzione per 
insussistenza del fatto perch� l'elemento materiale del reato ascritto si 
concretizza nell'omissione, rifiuto o ritardo di adottare i provvedimenti 
che il P. U. sia obbligato a compiere per legge o per ordine dell'autorit� 
ma � sempre necessario dovere accertare quali provvedimenti doverosi 
si sia omesso di applicare, di talch� la mancata assunzione di iniziative 

o proposte la cui attuazione � rimessa all~ volont� di altri organi, � cosa 
ben diversa dalla omissione degli atti di ufficio di cui all'art. 328 c.p.; 
che comunque l'ipotesi assolutoria era individuabile anche sotto il profilo 
del fatto non costituente reato perch� il mancato avvio della procedura 
diretta alla municipalizzazione della S.O.R.I. non concretizza l'ipotesi 
criminosa contestata, nessuna disposizione di legge imponendo alla 
P. A. il ricorso alla procedura espropriativa; in particolare lo Scarrino 
denunziando la diversa valutazione della posizione ed il brevissimo lasso 
di tempo nel quale la sua attivit� di Sindaco si era svolta. 
Va preliminarmente-rilevata la prescrizione della contravvenzione contestata 
alla Cucinella ed al Ruffino per la decorrenza del termine di 
tre anni -� prevista la sola pena dell'ammenda -dal 16 luglio 1982, 
data della pronunzia della sentenza di primo grado che fissava la cessazione 
della permanenza. La sentenza va pertanto annullata sul punto, 
senza rinvio, per effetto della cennata causa estintiva. Vi � precisa violazione 
di legge con riferimento alla riconosciuta responsabilit� degli 
imputati del delitto di cui all'art. 632 c.p., perch� il fatto contestato non 
sussiste. E ci� lo si ricava dalla impostazione del problema data con la 
sentenza impugnata e con le valutazioni in essa svolte in ordine alla 
norma ascritta. Essa presiede alla tutela della inviolabilit� del patrimonio 
immobiliare e si riferisce, per il caso di specie, alla ipotesi della 
deviazione di acque attraverso una condotta che si concretizza in una 
azione illecita sul patrimonio altrui. Le acque tutelate dalla norma sono 
le sorgenti ed i corsi idrici, siano essi pubblici o privati, che l'art. 812 e.e. 
annovera tra le cose immobili, di guisa che le acque separate dalla 
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PARTE I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PBNALB 

massa che perennemente o stagionalmente si rinnova, non possono pm 
considerarsi immobili ed essere pi� garantite dal disposto di cui al 
surrichiamato articolo, perch� l'azione del deviare si realizza attraverso 
la modifica o lo spostamento del deflusso normale, mentre per il caso 
che interessa non pu� trovarsi adeguata soluzione nell'ipotesi legislativa 
richiamata atteso che l'estrazione con pompe od altri mezzi meccanici 
pu�, semmai, integrare gli estremi del furto quando non sia consentita 
da leggi o da regolamenti o non sussistano particolari scriminanti. 

In concreto occorre fare distinzione tra l'atto di deviazione di una 
intera massa liquida in continuo rinnovamento, come, ad esempio, la 
alterazione del letto di un fiume e quello di prelievo di parte di tale 
massa che; conseguentemente, perde il requisito del carattere immobiliare, 
dal momento che manca il totale mutamento dello stato di possesso delle 
acque, attaverso l'immissione in un corso, diverso da quello proprio, 
legato a ragioni naturali e giuridiche. In sostanza bisogna addivenire 
ad up.a precisa distinzione nel senso che l'ipotesi del reato contestato � 
ravvisabile� solo quando l'intero complesso delle acque oggetto della tutela 
penale sia sottoposto alla deviazione, mentre pu� individuarsi il delitto 
di furto allorquando il prelievo concerna una sola porzione o quantit� 
dell'acqua mobilizzata mediante il parziale distacco dalla massa complessiva, 
senza una sostanziale variazione dello stato dell'intero corpo 
idrico da quello preesistente. 

In tal senso � la costante giurisprudenza di questa Corte nella 
uniforme interpretazione della richiamata norma allorquando ha chiarito 
che essa si applica in presenza della modifica, comunque ottenuta, 
dell'equilibrio idrico di un corso di acqua, incluse le acque stagnanti, 
mediante la costruzione di argini. 

!n concreto la linea di demarcazione tra le due ipotesi delittuose � 
data dal fatto che mentre la deviazione di acque necessariamente implica 
la loro totale sottrazione alla naturale destinazione, in modo permanente 
od anche soltanto saltuario, ma sempre con l'immutazione 
dello stato di possesso riguardo a coloro che ne siano comunque gli 
utenti legittimi, il reato di furto si realizza allorquando solo una porzione 
della massa d'acqua sia sottratta all'avente diritto. 

Questo secondo caso � quello pi� aderente alla situazione in esame, 

giusta le argomentazioni sviluppate dai giudici di merito, di guisa che, 

alla luce delle rilevate osservazioni, devesi pervenire all'annullamento 

senza rinvio della sentenza impugnata per violazione di legge in ordine 

alla contestazione di cui all'art. 632 c.p. perch� il fatto non sussiste. 

N� pu� questa Corte assorbire nel presente caso anche la tratta


zione della parte concernente il delitto di furto giudicato dal pretore 

ed in ordine al quale il giudice di appello ha annullato, con rimessione 

degli atti al P. M., ravvisando l'incompetenza per materia del primo giu



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dice essendo, secondo la legge dell'epoca, il delitto aggravato e quindi 
sottratto al giudizio del pretore. L'argomento non pu� essere sottoposto 
al giudizio di questa Corte proprio per questioni procedurali di incompetenza 
per effetto delle quali la trattazione relativ~ � stata sottratta al 
giudice di seconde cure ed � pertanto mancata l'intera indagine in 
relazione al fatto ed alle eventuali scriminanti. 

Tutti gli altri motivi di gravame, tranne quelli relativi alla violazione 
dell'art. 328 c.p., sono conseguentemente assorbiti nella svolta valutazione. 

L'annullamento senza rinvio si impone anche per quel che concerne 
l'addebito di omissione e rifiuto di atti di ufficio contestato agli altri 
imputati nella loro qualit� di sindaci pro tempore del comune di Carini. 
La Corte, sempre alla luce delle argomentazioni svolte dai giudici di 
merito, rileva che anche in questo caso ricorre l'ipotesi di cui all'art. 152 

c.c.p. e che, di conseguenza, anche per questa specifica situazione si 
debba giungere all'annullamento perch� il fatto non costituisce reato 
comprendendo, nel novero degli imputati, anche lo Sciarrino per il quale 
vi � analogia di condizioni con quella degli altri, pur se la decisione del 
primo giudice � stata diversa per ovvi motivi temporali che avevano 
precluso la possibilit� dell'applicazione dell'amnistia. 
La norma di cui all'art. 328 c.p. ha per presupposto l'obbligo giuridico 
di compiere un atto per garantire il normale funzionamento della P. A. 
contro la inattivit� o la mancanza di solerzia di pubblici dipendenti nell'adempimento 
delle relative attribuzioni, con la cosciente volont� di 
sottrarsi indebitamente e cio� nonostante la inesistenza di un motivo 
legittimo, al compimento di un determinato atto. Il riferimento attiene 
all'omessa esecuzione di un atto di ufficio o servizio imposto dal superiore 
gerarchico o dalla legge o richiesto dal privato e l'omissione si 
realizza con un contegno negativo, nel non fare, cio�, quanto si � obbligati 
a fare. L'atto deve rientrare nella competenza funzionale del P. U. 

o dell'incaricato, deve cio� essere obbligatorio e l'obbligo deve risultare 
dalla legge, dalla natura dell'ufficio e dall'ordine dell'autorit�. In concreto 
l'atto deve essere doveroso e quindi vincolato, altrimenti si cade 
nella discrezionalit�, tecnica od amministrativa, di guisa viene meno la 
natura specifica e di per s� obbligatoria dell'atto. 
Con tale premessa, svolta ai fini dell'inquadramento del problema 
per una corretta applicazione della norma in esame, si pu� agevolmente 
individuare l'oggetto della presunta violazione che non � di per s� un 
atto specificamente delineato ed individuato, ma, secondo la contestazione, 
si identifica nella trascurata iniziativa di promuovere idonea procedura 
diretta ad integrare la dotazone idrica del comune di Carini onde renderla 
sufficiente per l'approvvigionamento di tutto il comprensorio del 
comune stesso. Non pu� non rilevarsi a questo proposito che la mancata 

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PARTE I, SBZ. VXU, GIURISPRUDBNZA PENALB 419 

assunzione di iniziative non ha nulla a che fare con la omissione degli 
atti di ufficio nel senso richiesto dall'art. 328 c.p. 

Il giudice di merito ha esaminato le circostanze che avevano reso 
irrealizzabile una rapida procedura protesa a consentire la gestione diretta 
del servizio idrico comunale in attuazione della norma -peraltro 
generica -dell'art. 6 legge 319/1976 (cosiddetta Merli) e le asserzioni 
della motivazione sono del tutto inconferenti ai fini specifici. 

Non pu� il giudice di merito, dopo avere genericamente richiamato 
l'atto omesso, trascurare di indicarlo nelle sue reali dimensioni anche 
ai fini di una esatta individuazione n�, a maggior ragione, pu� scrivere 
che l'omissione sarebbe consistita nella mancata istituzione di una 
azienda municipalizzata, senza porsi seriamente il problema del funzionamento 
e della gestione, consapevole del fatto che la soluzione suggerita, 
quella di reperire i fondi necessari con le sanzioni pecuniarie provenienti 
dalle violazioni edilizie� era del tutto inattuabile dal momento che quei 
proventi hanno una precisa destinazione gi� predisposta per legge e 
cio� la realizzazione di opere di urbanizzazione, non potendo essere 
utilizzate per altri fini. 

N� poteva essere censurato il mancato avvio della procedura protesa 
alla municipalizzazione della � Sori � in quanto tale inadempimento 
non realizza l'ipotesi criminosa contestata atteso ohe, secondo la legge 
2359/1865, l'espropriazione degli immobili e dei relativi diritti pu� essere 
disposta solo con la emissione di una apposita disposizione legislativa. E 
tanto meno pu� ravvisarsi la violazione di �legge nella mancata attuazione 
di un provvedimento di requisizione degli impianti in questione, 
perch� era carente il presupposto della grave necessit� e perch� il Sindaco, 
secondo la costante decis_ione del Consiglio di Stato, non pu� emanare 
atti di requisizione, fatti salvi i casi in cui l'emergenza sia tale da 
non consentire l'intervento del Prefetto. 

:a vero che � sopravvenuta la legge Merli nel cui articolo 6 � sancito 
che � i servizi pubblici di acquedotto... sono gestiti dai Comuni �, ma la 
legge non fissa altri criteri direttivi per l'attuazione di tale principio e 
soprattutto nei casi di gestione da parte di privati, per cui diviene problematico 
stabilire in qual modo possa operare il passaggio da una 
gestione privata a quella pubblica in assenza di uno specifico strumento 
legislativo, tanto pi�, poi, che tale passaggio � stato sempre realizzato 
con il ricorso a provvedimenti legislativi speciali (vedi Enel). 

Ove si aggiunga a tutto questo che i giudici di merito, partendo da 
una considerazione altrettanto generica, non hanno saputo indicare gli 
atti specifici che gli imputati avrebbero dovuto adottare, si potr� agevolmente 
concludere che vi �, nel caso di specie, una evidente, errata 
interpretazione di legge che consente alla Corte di Cassazione di esami


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RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nare il punto controverso, al pari di quanto gi� avvenuto in relazione 
all'art. 632 c.p., alla luce della norma di. cui all'art. 152 c.p.p. e procedere 
ad un annullamento senza rinvio, diversamente da quanto invece si 
verifica, dovendosi applicare una qualsiasi causa estintiva, allorquando 
si verte in materia di difetto di motivazione o travisamento di fatto 
che importerebbero, necessariamente, il rinvio degli atti al giudice di 
merito per omesso esame, rinvio non attuabile per effetto della obbligatoriet� 
della pronuncia immediata in presenza delle cennate cause 
estintive. 

Per lo Sciarrino, la cui posizione, come premesso, � analoga a 
quella degli altri imputati, soccorre l'ulteriore considerazione che, tenuto 
conto del brevissimo lasso di tempo entro il quale l'omissione sarebbe 
stata realizzata, l'imputato comunque, ove anche vi fosse stato 
tenuto in presenza di un precis� obbligo di comportamento, non avrebbe 
potuto, a norma degli ordinamenti regionali per gli enti locali, compiere 
atti costituenti spese che nell'esercizio finanziario non erano comprese 
per mancanza di adeguata previsione da parte della precedente amministrazione 
nel relativo bilancio. 

In concreto, ai fini della sussistenza del delitto di cui all'art. 328 c.p., 
il giudice deve precisare il contenuto del dovere imposto al P. U. e degli 
obblighi conseguenti e deve anche tenere conto dei limiti di discrezionalit� 
amministrativa e tecnica circa le modalit� di intervento, con una 
valutazione che non pu� sottrarsi alla individuazione di altri doveri, 
alla ricerca dei mezzi legislativi disponibili p~r l'attuazione ed all'accertamento 
di disponibilit� di persone e mezzi per la concreta realizzazione. 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, sez. Ili, 1� luglio 1987, n. 7987 -
Pres. Garella -Est. Ceci -Rie. Della Volpe ed altri -Parte civile 
Ministero del tesoro {avv. Stato Bruni). 

Reato -Reato valutarlo -Art. 1 dJ. 4 marzo 1976 n. 31 conv. in I. 30 
aprile 1976 n. 159 e succ. mod. Illegale esportazione di valuta Danno 
risarcibile: quello alla economia nazionale. 

La norma penale che reprime l'illecita esportazione di valuta non 
tutela il bene giuridico della entrata fiscale, bens� il danno che all'economia 
nazionale pu� derivaPe dalla mancata possibilit�, per la Pubblica 
Amministrazione, di gestire adeguatamente la bilancia dei pagamenti 
e di esercitare l'intervento sul corso dei cambi. 

(omissis) Va, preliminarmente, considerato che la no~a dell'art. 2 

1. 26 settembre 1986, n. 599 sulla revisione della legislazione valutaria ha 
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PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALB 481 

sostituito l'art. 1 d.l. 4 marzo 1976 n. 31 conv. in legge 30 aprile 1976 

n. 159 e succ. modif., ridefinendo i reati di illegale esportazione e di illegale 
costituzione all'estero di valuta, avendo riguardo all'entit� del fatto 
che, perch� costituisca reato deve eccedere, nel caso di un triennio, con 
una o pi� azioni, la somma complessiva di L. 100 milioni. 
Tale favorevole e quindi, immediatamente applicabile disposizione 
va fatta valere, con esclusione dei ricorrenti Salis e Fratini, nei confronti 
di tutti gli altri ricorrenti, compresa la Montgomery a motivo dell'effetto 
estensivo dei motivi dell'impugnazione ai sensi dell'art. 203 c.p.p., posto 
che per nessuno di essi la riconosciuta esportazione illegale di valuta 
eccede l'importo stabilito come soglia minimale del reato dalla nuova 
disciplina. 

Per essi, pertanto, la sentenza gravata deve essere annullata senza 
rinvio perch� il fatto non � pervenuto dalla legge come reato, disponendosi 
dosi per effetto della nuova legge che copia della presente sentenza sia 
trasmessa all'Uffico Italiano Cambi ed il sequestro degli assegni sia 
mantenuto a garanzia del pagamento delle senzioni amministrative. 

Rimane da esaminare la posizione dei due suindicati imputati responsabili 
della esportazione illegale di valuta, rispettivamente, per 

L. 200 milioni e L. 187.000.000. Devesi, anzitutto rilevare che in base 
all'art. 8 l. 26 settembre 1986 n. 599, modificativo del disposto dell'art. 8 
l. 159/76, le sanzioni di carattere amministrativo non siano pi� applicabili 
dal giudice penale come pene accessorie; sicch� per il Salis e il 
Fratini la sentenza va annullata senza rinvio limitatamente alla sanzione 
amministrativa che deve essere eliminata. 
Ci� premesso vanno considerate prive di fondamento le censure 
sollevate dai predetti ricorrenti circa l'affermata responsabilit� del reato; 
a giudizio della Corte essa � stata ritenuta sul presupposto che tutte 
le somme affluite sui conti bancari intestati al sig. Alberto Ortelli siano 
state trasferite all'estero a beneficio di coloro, tra cui gli odierni imputati, 
che risultavano avere emesso assegni bancari a favore dell'Ortelli, la cui 
deposizione non ha offerto altro riscontro giustificativo della riscossione 
delle somme portate dai vari titoli. Trattasi di valutazione della prova 
logicamente ineccepibile, contro la quale si infrange l'assunto difensivo 
del Salis, del tutto indimostrato, della consegna di assegni a persone 
sconosciute, incontrate in una � notte brava � con le quali aveva contratto 
debiti di giuoco per L. 200.000.000; cos� come, secondo l'apprezzamento 
incensurabile della Corte, non provata deve ritenersi la dedotta estromissione 
dalla impresa familiare ed irrilevante la conseguenza che se ne 
voleva desumere, avendo il Salis mantenuto il potere di firmare gli 
assegni e la iscrizione nei libri contabili della Societ�. N� maggiore credito 
riveste l'accusa del Fratini di scarsa attendibilit� della deposizione 
dell'Ortelli; 'non esiste alcuna pregiudizialit� tecnico-giuridica del giudizio, 

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482 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nel quale fu resa la suddetta deposizione, rispetto a quello in esame e 
non appare necessario il formarsi del giudicato del primo per consentire 
al giudice di merito di utilizzare tale prova per la formazione del proprio 
convincimento; n� pu� accogliersi la doglianza per non avere il Fratini 
potuto avvalersi della definizione amministrativa; trattasi, anzitutto, 
di questione improponibile in questa sede non avendo formato oggetto 
dei motivi di appello e manifestamente infondata, del resto, solo a considerare 
che l'oblazione � condizionata a modi e termini assolutamente 
non invocabili dal ricorrente. 

Entrambi gli imputati censurano, infine, la sentenza sul punto concernente 
la pronunciata liquidazione equitativa dal danno erariale; questo 
� stato dalla Corte milanese identificato nella sottrazione di reddito imponibile 
al prelievo fiscale sul presupposto che ogni capitale produce un 
reddito e non potendosi questo determinare per i diversi anni in relazione 
alle somme esportate all'estero, veniva equitativamente liquidato 
nella misura pari all'ammontare di ciascuna infrazione contestata, vale 
a dire nell'importo di L. 200 milioni per il Salis e di L. 187 milioni per 
il Fratini. Si sostiene dalla parte civile che, a motivo della difficolt� 
di provare il danno, in re ipsa nell'illecito valutario, doveva ritenersi 
legittimo il ricorso alla liquidazione equitativa che non risulta vincolata 
ad alcun metodo e non censurabile in cassazione. Ci�, tuttavia, non 
esime la Corte dal sindacare la correttezza, logica e giuridica, della 
motivazione adottata sul criterio prescelto a parametro del danno risarcibile; 
appare, in proposito, esatta l'affermazione dei ricorrenti che la 
norma che reprime l'illecita esportazione di valuta non tutela il bene 
giuridico dell'entrata fiscale, per imposizione sul reddito imponibile del 
cittadino, bens� il danno che all'economia nazionale pu� derivare dalla 
mancata possibilit�, per la Pubblica Amministrazione, di gestire adeguatamente 
la bilancia dei pagamenti e di esercitare l'intervento sul corso 
dei cambi. Il diverso e contestabile criterio di valutazione del danno 
� apoditticamente affermato dalla Corte con semplicistica identificazione 
del danno, certamente risarcibile, con il mancato reddito imponibile sui 
capitali esportati, nel periodo contestato tra il 1976 ed il 1978, e con la 
immotivata determinazione di tale imponderabile fattore reddituale nella 
stessa e rilevante misura della somma illecitamente esportata. 

Tale pronuncia del giudice di appello va censurata sotto il profilo del 
difetto di motivazione, risultando del tutto insufficiente l'esame degli 
elementi di apprezzamento offerti dagli imputati appellanti e, pertanto, 
acritica l'adesione immotivatamente prestata alla decisione, sul punto, 
emessa dal primo giudice. In relazione a tale capo, la sentenza va annullata 
con rinvio, per nuovo esame sul � quantum,. del danno, ad altra 
Sezione della Corte di Appello di Milano. 



PARTB I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

Il rigetto dei ricorsi proposti da Salis e Fratini, nel resto, comporta 
la loro condanna, in solido, alla rifusione delle spese a favore della 
costituita parte civile, da essa sostenute, e di quelle prenotate e prenotande 
a debito, essendosi opposta, vittoriosamente, ai mezzi di annullamento 
della pronuncia di responsabilit� di entrambi i ricorrenti. 


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PARTE SECONDA 



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RASSEGNA DI DOTTRINA 


Tra i provvedimenti normativi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale 
nei mesi maggio-giugno 1987, si segnalano: 

MAGGIO 

D. L. 2 maggio 1987 n. 167 -Provvedimenti urgenti per la finanza 
locale; 

D. 9 marza 1987 n. 173 -Approvazione del capitolato tipo per la for� 
nitura di prodotti cartari; 

D. L. 8 maggio 1987 n. 177 -Interventi urgenti in materia di operadi difesa del suolo; 
D. L. 8 maggio 1987 n. 187 -Modifiche alla legge 28 febbraio 1985 
n. 47, concernente norme in materia di controllo dell'attivit� urbanistica-
edilizia sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive; 
D. L. 8 maggio 1987 n. 179 -Norme in materia di produzione e commercializzazione 
dei prodotti vitinicoli, nonch� sanzioni per l'inosservanza 
di regolamenti comunitari in materia agricola; 
Legge 16 aprile 1987 n. 183 -Coordinamento delle politiche riguardanti 
l'appartenenza dell'Italia alla comunit� Europea ed adeguamentodell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari; 

D. L. 18 maggio 1987 -Misure urgenti per la disciplina e la decongestione 
del traffico urbano e per la sicurezza stradale; 
D. L. 25 maggio 1987 n. 206 -Norme in materia di locazione di immobili 
ad uso non abitativo, di alloggi di edilizia agevolata e di prestitiemessi dalle F.S. nonch� interventi per il settore distributivo. 
GIUGNO 

D.P.C.M. 18 aprile 1987 -Delega al Ministro per gli Interventi straordinari 
nel Mezzogiorno ad esercitare le attivit� di cui al primo comma 
dell'art. 9 del decreto legge 27 febbraio 1982 n. 57, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 29 aprile 1982 n. 187, ivi compresi i poteri sostitutivi 
previsti dalla legge 14 maggio 1981 n. 219; 
D. L. 1 giugno 1987 n. 210 \,.. Applicazione dell'art. 10 della legge15 aprile 1985 n. 140 ai fondi di previdenza gestiti dall'I.N.P.S.; 
D. L. 1 giugno 1987 n. 211 -Norme in materia di tutela dei lavoratori 
italiani operanti all'estero nei Paesi extracomunitari; 
D. L. 1 giugno 1987 n. 212 -Norme urgenti in materia di agevolazioni 
della produzione industriale delle piccole e medie imprese e di 
rifinanziamento degli interventi di politica mineraria; 
D. L. 2 giugno 1987 n. 214 -Interventi in materia di riforma del 
processo penale; 
' D. L. 3 giugno 1987 n. 215 -Misure urgenti per il personale delle 

scuole; 

D.P.R. 10 aprile 1987 n. 209 -Norme risultanti dalla disciplina prevista 
dall'acco:rdo del 9 febbraio 1987 relativo al personale del comparto 
scuola; 

64 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLLO STATO 

D.P.R. 24 dicembre 1986 n. 110 -Decentramento ai provveditori agli 
studi delle competenze in materia di nomine dei presidenti de~li esami 
di licenza media nelle scuole medie annesse ai conservatori di musica 
e agli istituti statali d'arte; 
D. L. 8 giugno 1987 n. 220 -Disciplina temporanea dei corsi perl'accesso ai ruoli della Polizia di Stato e provvedimenti urgenti a favore 
del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco; 
D. L. 8 giugno 1987 n. 221 -Disposizioni urgenti per la revisione delle 
aliquote dell'imposta sugli spettacoli per i settori sportivo e cinematografico, 
per assicurare la continuit� della riscossione delle impostedirette e dell'attivit� di alcuni uffici finanziari, per il rilascio dello scontrino 
fiscale, nonch� norme per il differimento di termini in materia 
� tributaria; 

D. L. 8 giugno 1987 n. 222 -Intervento a sostegno dei concorsi peril commercio estero costituiti tra '.J?iccole e medie imprese industriali, 
commerciali e artigiane, nonch� dei concorsi e delle societ� consortili 
di garanzia collettiva fidi; 
Ministero del Tesoro -Conto riassuntivo del Tesoro al 30 aprile1987 -Situazione del bilancio dello Stato e situazione della Banca d'Italia; 

D. L. 27 giugno 1987 n. 242 -Proroga dei termini per la regolarizzazione 
dei lavoratori stranieri clandestini extracomunitari; 
D. L. 27 giugno 187 n. 244 -Fiscalizzazione degli oneri sociali, proroga 
degli sgravi contributivi nel Mezzogiorno ed interventi per settori 
in crisi. 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

disposizioni preUminarl al codice civile, art. 20, primo comma, nella parte 
in cui, con riferimento all'ipotesi che siano noti entrambi i genitori e 
manchi una legge nazionale ad essi comune, sancisce la prevalenza della legge 
nazionale del padre. 

Sentenza 10 dicembre 1987, n. 477, G. U. 16 dicembre 1987, n. 53. 

codice di procedura penale, art. 579, primo comma, nella parte in cui, 
riferendosi al ricorso del pubblico ministero, dispone: � Tale ricorso non 
� notificato all'interessato �. 

Sentenza 17 dicembre 1987, n. 519, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

legge 7 luglio 1901, n. 283, art. 6, lett. a), nonch� lett. b), in riferimento 
alla precedente lett. a). 

Sentenza 28 maggio 1987, n. 202, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

r.d 20 settembre 1922, n. 1316, art. 15, ultima parte. 
Sentenza 28 maggio 1987, n. 202, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

r.dJ. 27 maggio 1923, n. 1324, art. 12' (convertito nella legge 17 aprile 1925, 

n. 473), nella parte in cui non prevede la pignorabilit� per crediti alimentari 
delle pensioni corrisposte ai notai dalla Cassa nazionale del notariato negli 
stessi limiti stabiliti dall'art. 2, n. 1, del d.P .R. 5 gennaio 1950, n. 180. 
Sentenza 13 maggio 1987, n. 155, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 

r.d 6 settembre 1923, n. 1920, art. 2. 
Sentenza 28 maggio 1987, n. 202, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

r.dJ. 23 luglio 1925, n. 1605, art. 3, secondo comma; in quanto prescrive 
che non si fa luogo alla concessione dell'assegno previsto dal primo comma 
dello stesso articolo, in caso di provvedimenti di dispensa dovuti a colpa 
dell'interessato. 

Sentenza 15 maggio 1987, n. 169, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 

r.dJ. 13 agosto 1926, n 1459, art. 1. 

Sentenza 28 maggio 1987, n. 202, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

legge 28 giugno 1928, n. 1415, artt. 1 e 3. 

Sentenza 28 maggio 1987, n. 202, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 



66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 24 giugno 1929, n. 1085, art. 1, nella parte in cui fa divieto d'esposizione 
in pubblico di bandiere estere, consentendo l'esposizione delle medesime 
soltanto quando sia stata preventivamente autorizzata dalle autorit� 
politiche locali. 

Sentenza 25 maggio 1987, n. 189, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

legge 24 giugno 1929, n. 1085, art. 3, nella parte in cui prevede la sanzione 
penale per la trasgressione al divieto d'esposizione in pubblico, senza 
autorizzazione delle autorit� politiche locali, di bandiere estere. 

Sentenza 25 maggio 1987, n. 189, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

legge 22 giugno 1933, n. 851, art. 16, primo comma. 

Sentenza 17 giugno 1987, n. 226, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 

r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 329, primo comma. 
Sentenza 17 giugno 1987, n. 226, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 

r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, art. 2, secondo comma, parte seconda. 
Sentenza 17 giugno 1987, n. 226, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 

'r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 209, secondo comma, applicato all'ammi� 
nistrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi in virt� dell'art. 1, 
quinto comma, legge 3 aprile 1979, n. 95 di conversione del dl. 30 gennaio 
1979, n. 26, nella parte in cui non prevede che l'imprenditore individuale 

o gli amministratori della societ� o della persona giuridica soggetti ad amministrazione 
straordinaria siano sentiti dal commissario con riferimento 
alla formazione dell'elenco indicato nello stesso art. 209 legge fallimentare. 
Sentenza 22 maggio 1987, n. 181, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 

dJ.l. 18 gennaio 1945, n. 39, art. 1, nel testo sostituito dall'art. 7 della 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, e riprodotto nell'art. 24 della legge 30 aprile 
1969, n. 153, nella parte in �ui esclude dalla erogazione della pensione di riversibilit� 
il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato. 

Sentenza 28 luglio 1987, n. 286, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

dJ.C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207, art. 18, !nella parte in cui nega agli insegnanti 
supplenti delle scuole statali con nomina annuale il diritto a percepire 
l'indennit� di fine rapporto prevista dall'art. 9 dello stesso d.l.C.P..S 

n. 207 del 1947. 
Sentenza 17 dicembre 1987, n. 518, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

legge 10 agosto 1950, n. 648, artt. 10, primo comma, e 22, nella parte in 
cui non prevedono un trattamento pensionistico di guerra che indennizzi i 
danni anche non patrimoniali patiti dalle vittime di violenze carnali consumate 
in occasione di fatti bellici. 

Sentenza 18 dicembre 1987, n. 561, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

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PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89, ultimo comma e 140, ultimo comma, 
nella parte in cui non prevedono che dall'imponibile da assoggettare ad 
imposta vada detratta anche una somma pari alla percentuale dell'indennit� 
di buonuscita corrispondente al rapporto esistente alla data del collocamento 
a riposo tra il contributo del 2,50% posto a carico del pubblico dipendente 
e l'aliquota complessiva del contributo previdenziale obbligatorio versato al 
Fondo di previdenza dell'E.N.P.A.S. 
Sentenza 19 novembre 1987, n. 400, G. U. 25 novembr� 1987, n. 49. 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 106, primo comma, nella parte in cui 
prevede l'assoggettamento ad imposta di ricchezza mobile delle plusvalenze 
e sopravvenienze attive di , societ� tassabili in base a bilancio non esercenti 
attivit� commerciali. 
Sentenza 28 maggio 1987, n. 200, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

T.U. approvato con d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 198, secondo comma, 
nella parte in cui non comprende nello sgravio ivi previsto la maggiorazione 
d'imposta per prolungata rateazione. 
Sentenza 28 maggio 1987, n. 205, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

legge 28 febbraio 1958, n. 55, art. 9, primo comma, ;'nella parte in cui non 
prevede che, agli effetti del precedente art. 7, siano considerati periodi di 
servizio militare anche quelli prestati come militarizzati da dipendenti di 
aziende private. 

Sentenza 23 dicembre 1987, n. 575, G. U. 30 dicembre 1987, n. 55. 

legge 2 aprile 1958, n. 377, art. 27, terzo comma, nella parte in cui � equiparato 
ad interruzione il passaggio dalla contribuzione volontaria a quella 
obbligatoria. 

Sentenza 23 dicembre 1987, n. 574, G. U. 30 dicembre 1987, n. 55. 

decreto presidente regione siciliana 20 agosto 1960, n. 3, art. 5, n. 7, nella 
parte in cui prevede come causa di ineleggibilit� . alla carica di Consigliere 
comunale, anzich� di incompatibilit�, la situazione di coloro che hanno parte 
in servizi nell'interesse del (:omune. 

Sentenza 3 dicembre 1987, n. 432, G. U. 9 dicembre 1987, n. 52. 

legge 26 luglio 1961, n. 709, art. 58, nella parte in cui non prevedeva che 
anche gli agenti di P. S. potessero conseguire la pensione al compimento di 
quindici anni di servizio se dispensati dal servizio di autorit�, o rimossi dal 
grado o cessati comunque dal servizio per effetto di condanna penale. 

Sentenza 13 maggio 1987, n. 154, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 

legge 18 agosto 1962, n. 1357, art. 23, quarto comma, nella parte in cui 
esclude dalla erogazione della pensione di riversibilit� il coniuge separato 
per colpa con sentenza passata in giudicato. 

Sentenza 28 luglio 1987, n. 286, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 


68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2, nella parte in cui non comprende 
tra i casi di infortunio sul lavoro l'evento dannoso derivante da infezione 
malarica, regolato da disposizioni speciali. 
Sentenza 17 giugno 1987, n. 226, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 4, primo comma, n. 6, nella parte in 
cui non ricomprende tra le persone assicurate i familiari partecipanti all'impresa 
familiare indicati nell'art. 230-bis cod. civ. che prestano opera 
manuale od opera a questa assimilata ai sensi del precedente n. 2. 
Sentenza 10 dicembre 1987, n. 476, G. U. 16 dicembre 1987, n. 53. 

legge 18 marzo 1968, n. 313, artt. 9, primo comma, e 11, nella parte in 
cui non prevedono un trattamento pensionistico di guerra che indennizzi i 
danni anche non patrimoniali patiti dalle vittime di violenze carnali consumate 
in occasione di fatti bellici. 

Sentenza 18 dicembre 1987, n. 561, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

legge 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, nella parte in cui non dispone che la 
sospensione ivi prevista si applichi anche al termine cli cui all'art. 19, comma 
primo, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, nel testo sostituito dall'art. 14 
della legge 28 gennaio 1977, n. 10. 

Sentenza 13 luglio 1987, n. 255, G. U. 15 luglio .1987, n. 29. 

legge 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, nella parte in cui non prevede la s<>spensione 
dei termini processuali, nel periodo feriale, relativamente ai processi 
militari in tempo di pace. 

Sentenza 23 1uglio 1987, n. 278, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 21, primo comma, modificato dalla 

legge 26 febbraio 1977, n. 39, per la parte in cui non prevede l'adeguamento 
dei valori monetari ivi indicati. 

Sentenza 18 dicembre 1987, n. 560, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

legge 30 marzo 1971, n. 118, art. 28, terzo comma, nella parte in cui, m 
riferimento ai soggetti portatori di handicaps, prevede che � Sar� facilitata,., 
anzich� disporre che � :E> assicurata " la frequenza alle scuole medie superiori. 

Sentenza 8 giugno 1987, n. 215, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 55, terzo comma, limitatamente alle 
parole � Se la violazione � stata constatata in occasione di accessi, ispezioni 
e verifiche eseguiti ai sensi dell'art. 33 '"� � 
Sentenza 4 novembre 1987, n. 364, G. U. 11 novembre 1987, n. 47. 

legge 27 ottobre 1973, n. 629, art. 1, primo comma, riprodotto nell'art. 93, 
sesto comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui limita 
il trattamento di pensione privilegiata, ivi previsto, ai soli dipendenti deceduti 
in attivit� di servizio. 

Sentenza 16 luglio 1987, n. 266, G. U. 22 luglio 1987, n. 30. i=1 

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PAR'l'B U, 1IASSBGNA DI LllGISLAZIONB 

legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 2, primo comma, nella parte in cui non 
prevede che le trasmissioni di programmi destinati alla diffusione circolare 
verso l'estero possano essere effettuate anche in regime di autorizzazione 
quale previsto dal secondo comma dell'art. 1 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156. 
come novellato dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103, 

Sentenza 13 maggio 1987, n. 153, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 

legge reg. siciliana 6 giugno 1975, n. 42, artt. 6, primo comma, e 9, nella 
parte in ,cui non contemplano anche i dingenti in eccedenza, per i quali 
si sia proceduto alla risoluzione del rapporto di lavoro ex art. 5 u.c. stessa 
legge, ai fini delle provvidenze di cui ai commi successivi dell'art. 6 e allo 
stesso art. 9 della legge. 

Sentenza 22 maggio 1987, n. 180, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47, decimo comma, nella parte in cui 
in caso di revoca del provvedimento di ammissione all'affidamento in prova 
per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova -non 
consente al Tribunale di sorveglianza di determinare la residua pena detentiva 
da espiare, tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal condannato 
e del suo comportamento durante il trascorso periodo di affidamento 
in prova. 

Sentenza 29 ottobre 1987, n. 343, G. U. 4 novembre 1987, n. 46. 

legge provinciale di Trento 3 dicembre 1976, n. 41, art. 27, terzo comma. 

Sentenza 28 maggio 1987, n. 203, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

legge 24 dicembre 1976, n. 898, art. 3, settimo comma, nella parte in cui 
non dispone che i rappresentanti delle province autonome di Bolzano e di 
Trento in seno al comitato misto paritetico di cui al primo comma dello 
stesso articolo, sono designati dalla Giunta provinciale rispettiva. 

Sentenza 15 maggio 1987, n. 167, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 

legge prov. di Bolzano 23 maggio 1977, n. 13, art. 20, nella parte in cui 
prevede che il diritto dell'assegnatario alla cessione in propriet� degli alloggi 
gi� appartenenti al patrimonio dell'INCIS e trasferiti all'IPEAA di Bolzano, 
resti salvo solo qualora la domanda di cessione in propriet� sia stata presentata 
entro e non oltre il 6 settembre 1972. 

Sentenza 22 maggio 1987, n. 178, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 13, quinto comma, lett. b), nella parte in 
cui, mediante l'applicazione dei coefficienti maggiorativi, consente che il canone 
relativo ad immobili di dimensioni inferiori ai 70,01 mq. possa essere 
maggiore di quello previsto per immobili compresi nella fascia superiore, 
anzich� equiparato a quello previsto per immobili di mq. 70. 

Sentenza 23 giugno 1987, n. 236, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 13, quinto comma, lett. c), nella parte in 
cui, mediante l'applicazione dei coefficienti maggiorativi, consente che il ca



70 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

none relativo ad immobili di dimensioni inferiori ai 46 mq. possa essere 
maggiore di quello previsto per immobili compresi nella fascia superiore 
anzich� equiparato a quello previsto per immobili di mq. 46. 

Sentenza 23 giugno 1987, n. 236, G. U. 24' giugno 1987, n. 26. 

legge Z1. luglio 1978 n. 392, art. 73, nel testo previgente alla modifica 
introdotta con la legge 31 marzo 1979, n. 93, nella parte in cui non richiama 
espressamente l'obbligo di corrispondere l'indennit� per la perdita dell'avviamento 
commerciale di cui all'art. 69, settimo, ottavo e nono comma, della 
legge stessa nel testo originario. 

Sentenza 18 dicembre 1987, n. 562, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, artt. 1, 8, primo comma, 11 e 83, nella 
parte in cui non prevedono un trattamento pensionistico di guerra che indennizzi 
i danni anche non patrimoniali patiti dalle vittime di violenze 
carnali consumate in occasione di fatti bellici. 
Sentenza 18 dicembre 1987, n. 561, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

legge reg. Emilia-Romagna 23 agosto 1979, n. 26, art. 1 e n. 16 del titolo II 
dell'allegata tabella, nella parte in cui determina in lire 10.000 per ettaro 
la tassa per il rilascio ed il rinnovo di concessioni riguardanti le aziende 
faunistico-venatorie. 

Sentenza 8 giugno 1987, n. 214, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

legge regionale Piemonte 17 ottobre 1979, n. 60, art. 57, secondo comma, 
nella parte in cui determina in lire ottomila per ettaro la tassa di concessione 
per le aziende di caccia. 

Sentenza 28 maggio 1987, n. 204, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 7, ottavo comma, lett. g); �e d.P.R. 
11 luglio 1980, n. 382, art. 58, primo comma, lett. h), nella parte in cui richiedono 
ai lettori ivi indicati un'anzianit� di servizio di due anni maturata alla 
data dell'll marzo 1980. 

Sentenza 23 luglio 1987, n. 284, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 7, nono comma, prima parte e d.P.R. 
11 luglio 190, n. 382, art. 58, secondo comma, prima parte, per quanto stabiliscono 
intorno al computo dell'anzianit� biennale ivi prevista. 

Sentenza 23 luglio 1987, n. 284, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 58, primo comma, lett. b). e legge 21 febbraio 
1980, n. 28, art. 7, ottavo comma, lett. g), nella parte in cui richiedono 
ai lettori ivi indicati un'anzianit� di servizio di due anni maturata alla data 
dell'll marzo 1980. 
Sentenza 23 luglio 1987, n. 284, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 58, secondo comma, prima parte, e legge 
21 febbraio 1980, n. 28, art. 7, nono comma, prima parte, per quanto stabiliscono 
intorno al c�mputo dell'anzianit� biennale ivi prevista. 
Sentenza 23 luglio 1987, n. 284, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

legge reg. Emilia-Romagna �9 dicembre 1980, n. 60, tariffa allegata, ti� 
tolo II, n. 17, nella parte in cui determina in lire 10.000 per ettaro la tassa 
per il rilascio ed il rinnovo di concessioni riguardanti le aziende faunisticovenatorie. 


Sentenza 8 giugno 1987, n. 214, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

legge prov. Bolzano 16 febbraio 1981, n. 3, artt. 5, primo comma, 7, terzo 
comma, lett. b) e 30, primo comma (modif. e integrata con la legge provin� 
ciale di Bolzano 16 dicembre 1983, n. 51), nella parte in cui precludono l'iscrizione 
nell'albo degli artigiaru e nel registro delle imprese artigiane della 
Provincia medesima a coloro che, pur essendo sprovvisti dei requisiti stabiliti 
da detta legge provinciale, siano in possesso di quelli previsti ai medesimi 
fini dalle leggi statali in materia. 

Sentenza 15 maggio 1987, n. 168, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 

legge provincia autonoma di Bolzano, riapprovata dal Consiglio provin� 
ciale addi 28 ottobre 1981, recante � Disciplina delle esercitazioni militari 
nei parchi naturali ,., 

Sentenza 15 maggio 1987, n. 167, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 80, nella parte in cui esclude la reiterabilit� 
del provvedimento previsto dall'art. 77 della stessa legge quando 
l'imputato debba rispondere di reati che si legano con il vincolo della continuazione 
a quelli per i quali egli ha gi� beneficiato del provvedimento. 

Sentenza 16 luglio 1987, n. 267, G. U. 22 luglio 1987, n. 30. 

dJ. 25 gennaio 1982, n. 16, art. 1, primo comma, lett. a), ultimo alinea 
(nel testo sostitnito con l'articolo unico della legge 25 marzo 1982, n. 98). 

Sentenza 18 dicembre 1987, n. 559, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

delibera legislativa riapprovata, in seguito a rinvio governativo, dal con� 
siglio provinciale di Bolzano in data 13 luglio 1983 recante � modifiche alla 
legge prov. 26 marzo 1982, n. 10 �, nella parte in cui non fa precedere, nella 
rubrica e nel testo, alla locuzione tedesca � Erbhof �, usata per identificare il 
riconoscimento attribuito ad alcuni masi chiusi rimasti da almeno duecento 
anni nell'ambito della stessa famiglia, in linea diretta o collaterale fino al 
secondo grado, e coltivati ed abitati dagli stessi proprietari, la corrispondente 
espressione italiana � maso avito >>, ugualmente atta ad identificare, appunto 
in lingua italiana, il predetto riconoscimento. 

Sentenza 25 maggio 1987, n. 188, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 


72 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

delibera legislativa riapprovata In data 13 luglio 1983 dal consiglio provinciale 
di Bolzano, articolo unico, nella parte in cui dispone che e gli attestati 
di riconoscimento >, ivi previsti, siano rilasciati in lingua italiana oppure 
in lingua tedesca anzich� in redazione bilingue. 

Sentenza 25 maggio 19887, n. 188, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

d.I. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 3, ottavo comma (conv. In legge 19 dicembre 
1984, n. 863), nella parte in cui non prevede che le competenti strutture 
regionali possano accertare il livello di formazione acquisito dai lavoratori. 
Sentenza 25 maggio 1987, n. 190, G.U. 3 giugno 1987, n. 23. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, n. 10, nella parte in cui, per il 
contributo dovuto dai soggetti di cui al precedente comma 8, fissato comunque 
in somma annua non inferiore a L. 648.000, non consente prova contraria, 
ai fini del contributo, del minor reddito effettivo, determinato ai sensi 
del precedente comma 8. 

Sentenza 3 dicembre 1987, n. 431, G. U. 9 dicembre 1987, n. 52. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, n. 10, nella parte in cui, per il contributo 
dovuto dai soggetti di cui al precedente comma 9, fissato comunque 
in somma annua non inferiore a L. 324.000, non consente prova contraria, 
ai fini del contributo, del minor reddito effettivo, determinato ai sensi del 
precedente comma 8. 

Sentenza 3 dicembre 1987, n. 431, G. U. 9 dicembre 1987, n. 52. 

legge 6 marzo 1987, n. 65, art. 1, quarto e quinto comma, nella parte in 
cui si riferisce alle province autonome di Trento e di Bolzano. 

Sentenza 17 dicembre 1987, n. 517, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

legge 6 marzo 1987, n. 65, art. 1, quarto e quinto comma, nella parte in 
cui si riferisce agli interventi previsti dall'art. 1, primo comma, lett. c), della 
stessa legge. 

Sentenza 17 dicembre 1987, n. 517, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

legge 6 marzo 1987, n. 65, artt. 2, primo comma, lett. b), � e 2, primo 
comma-ter, nella parte in cui si riferiscono agli interventi previsti dall'art. 1, 
primo comma, lett. e) della stessa legge. 

Sentenza 17 dicembre 1987, n. 517, G. U. 23 dicembre 1987,. n. 54. 

legge 6 marzo 1987, n. 65, artt. 2, primo comma, lett. b), e 2, comma 1-ter, 
nella parte in cui si riferiscono alle province autonome di Trento e di 
Bolzano. 

Sentenza 17 dicembre 1987, n. 517, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

legge 6 marzo 1987, n. 65, art. 2, secondo comma. 

Sentenza 17 dicembre 1987, n. 517, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 


PARm II, RASSEGNA DI LF.GISLAZIONB 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

codice civile, art. 252, ultimo comma (artt. 2, 3 e 30 della.. Costituzione). 
Sentenza 17 giugno 1987, n. 229, G. U. 22 luglio 1987, n. 30. 

codice di procedura civile, artt. 415 e 416 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 29 ottobre 1987, n. 347, G. U. 11 novembre 1987, n. 47. 

codice penale, art. 523, secondo comma (artt. 2, 3, 27 e 29 della Costituzione). 
Sentenza 17 dicembre 1987, n. 523, G. U. 30 dicembre 1987, n. 55. 

codice penale, art. 530 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 26 novembre 1987, n. 422, G. U. 2 dicembre 1987, n. 51. 

codice di procedura penale, art. 74 (artt. 2, 3, 10, 102 e 107 della Costituzione). 
Sentenza 15 maggio 1987, n. 172, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 

codice di procedura penale, art. 226-quater, settimo comma (artt. 3, 15 
e 24 della Costituzione). 
Sentenza 11 giugno 1987, n. 223, G. U. 15 luglio 1987 n. 29. 

codice di procedura penale, art. 323, ultimo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
Sentenza 29 ottobre 1987, n. 345, G. U. 11 novembre 1987, n. 47. 

Codice penale militare di pace, art. 42 (artt. 2 e 3 della Costituzione). 

Sentenza 11 giugno 1987, n. 225, G. U. 15 luglio 1987, n. 29. 

codice penale militare di pace, art. 264 [nel testo sostitutivo ad opera 
dell'art, 8 della legge 23 marzo 1956, n. 167] (artt. 3, 25 e 103 della Costituzione). 


Sentenza 28 maggio 1987, n. 206, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 

codice della navigazione, art. 423, primo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Sentenza 19 novembre 1987, n. 401, G. U. 2 dicembre 1987, n. 51. 

legge 25 giugno 1865, n. 2359, art. 63 (art. 42 della Costituzione). 

Sentenza 6 luglio 1987, n. 245, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

r.d.I. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 68 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 16 luglio 1987, n. 272, G. U. 26 agosto 1987, n. 35. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

r.d.l. 27 luglio 1934, n. 1340, art. 14, lett. c) [conv. in legge 16 maggio 1935, 
n. 
834] (art 3 della Costituzione) 
Sentenza 10 dicembre 1987, n. 481, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 
r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 72 (artt. 2, 3, 10, 102 e 107 della Costituzione). 
Sentenza 15 maggio 1987, n. 172, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 
legge 6 febbraio 1941, n. 176, art. 34, primo comma, lett. a) (art. 3 della 
Costituzione). � 
Sentenza 16 luglio 1987, n. 269, G. U. 12 agosto 1987, n. 33. 

r.d. 
16 marzo 1942, n. 267, art. 18, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 16 luglio 1987, n. 273, G. U. 26 agosto 1987, n. 35. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 191 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 22 maggio i987, n. 185, G. U. 10 giugno 1987, n. 24. 
r.d. 
30 marzo 1942, n. 318, art. 38, primo comma (artt. 3 e 102 della Costituzione). 
Sentenza 25 maggio 1987, n. 193, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 3, lett. a), e 4 (artt. 3 e Z1 della Costituzione). 
Sentenza 10 dicembre 1987, n. 479, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 


d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 7, 41, 115, 389 lett. a) e c) (artt. 3 e Z1 
della Costituzione). 
Sentenza 16 luglio 1987, n. 271, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 


legge 12 novembre 1955, n. 1137, art. 61 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 11 giugno 1987, n. 224, G. U. 15 luglio 1987, n. 29. 

d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 3, secondo comma (artt. 3 e 41 della 
Costituzione). 
Sentenza 10 dicembre 1987, n. 479, G. U. 23 dicembre 1987, 11.. 54. 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 87, primo comma (artt. 3, 38 e 53 della 
Costituzione). 
Sentenza 19 novembre 1987, n. 400, G. U. 25 novembre 1987, n. 49. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 83 e 137 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 17 giugno 1987, n. 228, G. U. 22 luglio 1987, n. 30. 
! 

: 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB 7J 

d.P;.R. 30 dicembre 1965, n. 1704, art. 4 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 
Sentenza 8 giugno 1987, n. i18, G. U. 8 luglio 1987, n. 28. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 69, secondo comma (artt. 3 e 38, secondo 
comma, della Costituzione). 

Sentenza 15 maggio 1987, n. 170, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 

legge 24 dicembre 1969, n. 990, artt. 6 e 18 (art. 11 della Costituzione). 
Sentenza 19 novembre 1987, n. 403, G. U. 2 dicembre 1987, n. 51. 

legge 25 maggio 1970, n. 364, artt. 19, secondo comma, n. 2 e 23 (artt. 81, 
114, 118, 119 e 130, VIII disp. trans. della Costituzione). 

Sentenza 10 dicembre 1987; n. 478, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 7 (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 13 maggio 1987, n. 156, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 


d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 4 tariffa ali. A (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 13 maggio 1987, n. 156, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n 634, art. 47 (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 13 maggio 1987, n. 156, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 3, 6, 14 e 15 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 30 settembre 1987, n. 301, G. U. 7 ottobre 1987, n. 42. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 (artt. 3, 21, 41 e 10 della Costituzione). 
Sentenza 13 maggio 1987, n. 153, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 
d.I. 12 settembre 1973, n. 463, artt. 5, 7 e 8 [conv. in legge 11 novembre 1983, 
n. 638] (artt. 3 e 25 della Costituzione). 
Sentenza 17 dicembre 1987, n. 522, G. U. 30 dicembre 1987, n. 55. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 47, primo comma, lett. d) e 48, 
quarto comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 28 luglio 1987, n. 292, G. U. 16 settembre 1987, n. 38. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 3 (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). 
Sentenza 28 maggio 1987, n. 211, G. U. 1� luglio 1987, n. 27. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 24 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 28 luglio 1987, n. 292, G. U. 16 settembre 1987, n. 38. 

76 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, quarto comma (artt. 2, 3, 24 e 53 
della Costituzione). 
Sentenza 23 luglio 1987, n. 283, G. U. 26 agosto 1987, n. 35. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 6, lett. d) (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 17 dicembre 1987, n. 526, G. U. 30 dicembre 1987, n. 55. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 13 maggio 1987, n. 156, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 98, quinto comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
Sentenza 29 ottobre 1987, n. 348, G. U. 11 novembre 1987, n. 47. 

I 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 67, secondo e quinto comma (art. 3 
I

della Costituzione). 
Sentenza 10 dicembre 1987, n. 481, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

I 

dP.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 147, secondo comma (artt. 3, 36 e 38 
della Costituzione). 

I

Sentenza 25 maggio 1987, n. 197, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 

I

f: 
legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 2, primo comma (art. 10, primo comma, 

m

della Costituzione). 
Sentenza 13 maggio 1987, n. 153, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. ~ 

legge 18 aprile 1975, n. 110, artt. 23, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 12 novembre 1987, n. 382, G. U. 27 novembre 1987, n. SO. 


I 

iI 
f. 

legge 22 luglio 1975, n. 382, art. 1, lett. e) (artt. 76, 110, 117 e 118 della 
Costituzione). 

Sentenza 22 luglio 1987, n. 287, G. U. 16 settembre 1987, n. 38. 

legge 6 agosto 1975, n. 427, art. 11, secondo e terzo comma (artt. 3 e 4 
della Costituzione). � 

Sentenza 10 dicembre 1987, n. 480, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

I 

legge 24 dicembre 1976, n. 898, art. 3 (artt. 8 (nn. 3, 5, 6, 17, 22), 16 e 107 

I

dello statuto spec. per il Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 15 maggio 1987, n. 167, G. U. 20 maggiO' 1987, n. 21. 

II 

I 

(

'di. 10 febbraio 1977, n. 19, art. 8, ultimo comma [conv. in legge ~ aprile 

I 

1977, n. 106] (art. 42 della Costituzione). I 
Sentenza 28 luglio 1987, n. 290, G. U. 16 settembre 1987, n. 38. 


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PARIB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 22, 23 e 25 (artt. 76, 110, 117 e 118 della 
Costituzione). 
Sentenza 22 luglio 1987, n. 287, G. U. 16 settembre 1987, n. 38. 

legge 8 agosto 1977, n. 573, art. 2 ,1 (artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). 

Sentenza 16 luglio 1987, n. 270, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 

,d.l. 28 ottobre 1977, n. 778, art. 1, secondo comma [conv. in legge 23 dicembre 
1977, n. 928] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Sentenza 8 ottobre 1987, n. 309, G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 

legge 9 dicembre 1977, n. 903, artt. 5, primo comma, e 16, secondo comma 
(art. 37 della Costituzione). 

Sentenza 6 luglio 1987, n. 246, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

d.l. 30 gennaio 1978, n. 15, art. 1 [conv. in legge 22 marzo 1978, n. 75] 
(artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). 
Sentenza 16 luglio 1987, n. 270, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 

d.l. 30 marzo 1978, n. 78 [conv. con legge 26 . maggio 1978, n. 221] (artt. 3, 
18, 36 e 39 della Costituzione). 
Sentenza 16 luglio 1987, n. 270, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 

legge 22 maggio 1978, n. 194, artt. 9 e 12 (artt. 2, 3, 19, 21 della Costituzione). 


Sentenza 25 maggio 1987, n. 196, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

dJ. 6 luglio 1978, n. 351, artt. 8, 13 e 14 [conv. in legge 4 agosto 1978, n. 479] 
nella parte in cui rispettivamente introducono un nuovo terzo comma dell'art. 
8 nonch� gli artt. 16-ter e quater della legge 1� giugno 1977, n. 285 
(artt. 117 e 118 della Costituzione). 

Sentenza 25 maggio 1987, n. 190, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

!d.l. 6 luglio 1978, n. 353, art. 2 [conv. con legge 5 agosto 1978, n. 502] 
(artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). 

Sentenza 16 luglio 1987, n. 270, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 26, secondo comma, 58, prima parte, 59, 

n. 1, 64, primo comma (artt. 3, 16, 24, 42 della Costituzione). 
Sentenza 28 luglio 1987, n. 291, G. U. 16 settembre 1987, n. 38. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 65, secondo comma, e 71, terzo comma 
(art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 8 ottobre 1987, n. 308, G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 


78 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65, quarto comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 8 ottobre 1987, n. 310, G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 


legge 20 ottobre 1978, n. 674, art. 2, (art. 8, n. 21, dello statuto della regione 
Trentino-Alto Adige e art. 3, lett. d), statuto reg. Sardegna). 

Sentenza 3 dicembre 1987, n. 433, G. U. 9 dicembre 1987, n. 52. 

legge 20 ottobre 1978, n. 674, artt. 3, 4, S, 11, primo, secondo e terzo comma, 
e 13 (art. 8, n. 21, dello statuto della reg. Trentino-Alto Adige}. 

Sentenza 3 dicembre 1987, n. 433, G. U. 9 dicembre 1987, n. 52. 

legge 20 ottobre 1978 n. 674, artt. 9 capoverso e 10, alinea (art. 78 dello 
statuto reg. Trentino-Alto Adige). 


Sentenza 3 dicembre 1987, n. 433, G. U. 9 dicembre 1987, n. 52. 

d.l. 30 gennaio 1979, n. 20, art. 1 [conv. con legge 31 marzo 1979, n. 92] 
(artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). 
Sentenza 16 luglio 1987, n. 270, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 

dJ. 30 gennaio 1979, n. 26, artt. l e 2 [conv. con legge 3 aprile 1979, n. 95] 
(art. 3 della Costituzione). 


Sentenza 22 maggio 1987, n. 185, G. U. 10 giugno 1987, n. 24. 

dJ. 30 gennaio 1979, n. 26, art. 1, quinto comma [conv. con legge 3 aprile 
1979, n. 95] (art. 3 della Costituzione). 


Sentenza 22 maggio 1987, n. 185, G. U. 10 giugno 1987, n. 24. 

legge 7 febbraio 1979, n. 29, artt. 1 e 2 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 22 maggio 1987, n. 184, G. U. 10 giugno 1987, n. 24. 


legge 13 agosto 1979, n. 375 (artt. 3, 18, 36 e 39 della Costituzione). 
Sentenza 16 luglio 1987, n. 270, G. U. 19 agosto 1987, n. 34, 


legge reg. Trentino-Alto Adige 4 dicembre 1979, art. 6 (artt. 61 e 89 dello 
statuto reg. Trentino-Alto Adige e 3, 4, 41 e 51 della Costituzione). 


Sentenza 28 luglio 1987, n. 289, G.-U. 16 settembre 1987, n. 38. 

legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 162 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 17 dicembre 1987, n. 521, G. U. 30 dicembre 1987, n. 55. 


legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 26, primo e secondo comma (art. 3 
della Costituzione). 


Sentenza 15 maggio 1987, n. 171, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 

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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge provinciale Bolzano 16 febbraio 1981, n. 3, artt. 8, secondo . comma, 
lett. b), 12, primo comma, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, secondo, terzo e 
quarto comma, 31 e 44 (artt. 120 della Costituzione e 8 dello statuto TrentinoAlto 
Adige). 

Sentenza 15 maggio 1987, n. 168, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 

legge 28 febbraio 1981, n. 34, art. 3, terzo comma [introdotto dall'art. 7 
legge 22 dicembre 1984, n. 892] (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 13 maggio 1987, .n. 159, G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 

legge 1� aprile 1981, n. 121, art. 36, punto X (artt. 3, 35, 36, primo comma, 
e 97, primo comma, della Costituzione). 

Sentenza 17 dicembre 1987, n. 524, G. U. 30 dicembre 1987, n. 55. 

legge 1� aprile 1981, n. 121, art. 104, primo comma (artt. 3, 25 e 103 della 
Costituzione). 

Sentenza 28 maggio 1987, n. 207, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 62, primo comma (art. 25 della Costituzione). 


Sentenza 28 maggio 1987, n. 208, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 

dJ. 26 novembre 1981, n. 678, art. 3 [conv. in legge 26 gennaio 1982, n. 12] 
(artt. 3, primo comma, 4, primo comma, e 77 della Costituzione). 

Sentenza 15 maggio 1987, n. 173, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 

legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 38, secondo comma (artt. 3, 33 e 97 
della Costituzione). 

Sentenza 23 luglio 1987, n. 282, G. U. 26 agosto 1987, n. 35. 

d.P.R. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, primo comma [conv. in legge 7 agosto 
19~, n. 516] (artt. 2, 3, 24, 25 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 29 ottobre 1987, n. 349, G. U. 11 nov�mbre 1987, n. 47. 

legge 7 agosto 1982, n. 529 (art. 13 dello statuto speciale per TrentinoAlto 
Adige). 

Sentenza 22 maggio 1987, n. 182, G. U. 10 giugno 1987, n. 24. 

d.P.R. 23 agosto 1982, n. 691, artt. 4, 5, 6, 7 e 8 (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 22 maggio 1987, n. 183, G. U. 10 giugno 1987, n. 24. 

d.P.R. 23 agosto 1982, n. 691, artt. 4, 5, 6, 7 e 8, nonch� 2, 3, 9 e 10, 
secondo comma (artt. 117, 118, 119 e 76 della Costituzione). 
Sentenza 22 maggio 1987, n. 183, G. U, 10 giugno 1987, n. 24. 


80 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, artt. 3, 4, 6, 8, 101 11, 14, 15, 16, 17, 
18, 19, 24, 28, 31, 32 e 33 (artt. 76, 117 e 118 della Costituzione). 
Sentenza 25 maggio 1987, n. 192, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, artt. 4, lett. a), b), c), d), e), f); 6, lett. 
f); 32, primo comma, 33 e 34 (artt. 76 e 117 della Costituzione). 
Sentenza 25 maggio 1987, n. 192, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 5 (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 25 maggio 1987, n. 192, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 
d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 6, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 25 maggio 1987, n. 192, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

legge 13 settembre 1982, n. 646, art. 21, primo comma (artt. 3 e 41 della 
Costituzione). 

Sentenza 23 luglio 1987, n. 281, G. U. 26 agosto 1987, n. 35. 

legge 2 maggio 1983, n. 178 (artt. 2, 3, 32 e 41 della Costituzione). 
Sentenza 16 luglio 1987, n. 271, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 

d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 13, terzo comma [convertito in legge 
11 novembre 1983, n. 638] (artt. 3, 32, 36 e 38 dellaa Costituzione). 
Sentenza 18 dicembre 1987, n. 559, G. U. ,23 dicembre 1987, n. 54. 

legge reg. Calabria approvata il 10 luglio 1984 e riapprovata il 3 ottobre 
1984 (artt. 51, 97 e 117 .della Costituzione). 

Sentenza 8 giugno 1987, n. 217, G. U. 8 luglio 1987, n. 28. 

legge 16 luglio 1984, n. 326, art. 3 (artt. 3, 33 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 23 luglio 1987, n. 282, G. U. 26 agosto 1987, n. 35. 

legge reg. Uguria approvata il 25 luglio 1984 e riapprovata il 26 settem� 
bre 1984 (art. 117 della Costituzione). 

Sentenza 8 giugno 1987, n. 217, G. U. 8 luglio 1987, n. 28. 

dJ. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 3 [conv. in legge 19 dicembre 1984, n. 863] 
(artt. 2 e 4 dello statuto spec. reg. Valle d'Aosta). 

Sentenza 25 maggio 1987, n. 190, G.U. 3 giugno 1987, n. 23. 

d.l. 
30 ottobre 1984, n. 726, artt. 3 e 4 [conv. in legge 19 \dicembre 1984 
n. 
863] (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 
Sentenza 25 maggio 1987, n. 190, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

dJ. 30 ottobre 1984 n. 726, art. 3, secondo, terzo, quarto, quinto, decimo 
e undicesi,mo comma [conv. in legge 19 dicembre 1984, n. 863] (artt. 117 e 
118 della Costituzione). 1 

Sentenza 25 maggio 1987, n. 190, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

legge 2~ febbraio 1985,. n. 47, art. 20, lett. b) �(art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 13. luglio 1987, n. 256, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 

legge reg. Emilia-Romagna approvata il 28 febbraio 1985 e riapprovata 
1'11 giugno 1986, art. 8, ultimo comma (art. 117 della Costituzione). 

Sentenza 17 dicembre 1987, n. 525, G. U. 30 dicembre 1987, n. 55. 

dl. 22 aprile 1985, n. 144, artt. I, I-bis, 1-ter, 1-quater, 2, nel testo risul� 
tante dalla legge di conversione 21 giugno 1985, n. 297 (artt. 77, 117, 118 e 119 
della Costituzione). � 

Sentenza 6 luglio 1987, n. 243, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

legge 17 maggio 1985, n. 210, artt. 21 e 23 (artt. 97, 103, 3, 24, 113 e 25 
della Costituzjone). 

Sentenza 16 luglio 1987, n. 268, G. U. 12 agosto 1987, n. 33. 

legge reg. Veneto approvata il 24 ottobre 1985 e riapprov. il 28 febbraio 
1986 (artt. 97 e 117 della Costituzione). 

Sentenza 8 giugno 1987, n. 217, G. U. 8 luglio 1987, n. 28. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31 (art. 81 della Costituzione). 

Sentenza 3 dicembre 1987, n. 431, G. U. 9 dicembre 1987, n. 52. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, nn. 8, 9, 11, 12, 13, 14 e 15 (artt. 3 e 
53 della Costituzione). 

Sentenza 3 dicembre 1987, n. 431, G. U. 9 dicembre 1987, n. 52. 

legge 8 luglio 1986 n. 349 in toto e in particolare artt. 5, 6, 7, 12, primo 
comma, lett. c), 13 e 18, quarto e quinto comma (artt. 2, 3, 8, nn. 3, 4, 5, 
6, 7, 13, 14, 15, 16, 21 e 24; 9, nn. 9 e 10; 16, primo comma dello statuto 
speciale Trentino-Alto Adige e art. 10 della Costituzione). 

Sentenza 28 maggio 1987, n. 210, G. U. 1� luglio 1987, n. 27. 

legge 8 luglio 1986 n. 349, artt. 5 e 6 (artt. 8, nn. 5, 6, 11, 13, 14, 16, 17, 
18, 21, 24; 9, nn. 9, 10, 11; 16 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 28 maggio 1987, n. 210, G. U. 1 luglio 1987, n. 27. 

leggle 6 marzo 1987 n. 65, artt. 1, terzo e sesto comma; 2, primo comma, 
lett. a); 2, comma 2-bis; 2-bis, secondo e quarto comma (artt. 117, 118 e 119 
della Costituzione). 

Sentenza 17 dicembre 1987, n. 517, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 


82 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 6 marzo 1987, n. 65, art. 2-bis, secondo comma (artt. 117 e 118 della 

I

Costituzione). 
Sentenza 17 dicembre 1987, n. 517, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

l I~j 

legge 6 marzo 1987, n. 65, art. 2-bis, terzo comma (artt. 8, nn. 17 e 20; 
9, n. 11; 16, 78 e 80 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 17 dicembre 1987, n. 517, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

codice civile, artt. 6, 143-bis, 236, 237, secondo comma, e 262, secondo 

I

comma (artt. 2, 3 e 29 della Costituzione). 

Tribunale di Lucca, ordinanze (due) 9 ottobre 1987, nn. 780-781, G. U. 
16 dicembre 1987, n. 53. 

I 

1

codice civile, artt. 156, quinto comma, e 158 (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'appello di Venezia, ordinanze (due) 28 aprile 1987, nn. 529-530, 

G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 
I

/'. 

Codice civile, art. 184, primo comma (artt. 3, 24, 29 e 42 della Costi~
l 
tuzione). t: 

Tribunale di Bari, ordinanza 14 gennaio 1987, n. 271, G. U. 22 luglio 1987, 

n. 30. 
I 

codice civile, art. 184, secondo comma (art. 24 della Costituzione). 

Tribunale di Bari, ordinanza 14 gennaio 1987, n. 271, G. U. 22 luglio 1987, 

I 

n. 30. 
I 

I' 

codice civile, art. 191 (art. 3 della Costituzione). 

~ 

Tribunale di Roma, ordinanza 28 maggio 1987, n. 782, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 

codice civile, art. 274 (artt. 2 e 30 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 7 aprile 1987, n. 789, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 


codice civile, artt, 892 e 894 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 21 maggio 1987, n. 362, G. U. 2 settembre 
1987, n. 36. 

codice civile, art. 2120, terzo comma (art. 52 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 29 maggio 1987, n. 413, G. U. 23 settembre 
1987, n. 39. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB 

combinato disposto artt. 2909 codice civile, e 324 e 113, secondo comma, 
del codice di procedura civile (artt. 3, 24, 102 e 106 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 31 dicembre 1986, n. 190/87, G. U. 27 maggio 
1987, n. 22. 

codice civile, art. 2947, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Corte d'appello di Roma, ordinanza 3 maggio 1985, n. 783/87, G. U. 
16 dicembre 1987, n. 53. 

codice di procedura civile, artt. 108 (recte 188) e 84 disposizioni di attuazione 
(artt. 24 e 101 della Costituzione). 

Tribunale di Firenze, ordinanza 3 luglio 1987, n. 557, G. U. 21 ottobre 
1987, n. 44. 

codice di procedura civile, art. 140 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale di Brescia, ordinanza 19 marzo 1987, n. 296, G. U. 5 agosto 
1987, n. 32. 

codice di procedura. civile, art. 246 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Lecco, ordinanza 11 dicembre 1986, n. 146/87, G. U. 6 maggio 
1987, n. 19. 

combinato disposto artt. 324 e 113, secondo comma, del codice di pro; 
cedura civile, e 2909 codice civile (artt. 3, 24, 102 e 106 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 31 dicembre 1986, n. 190/87, G. U. 27 maggio 
1987, n. 22. 

codice di procedura civile, artt. 415, terzo, quarto e quinto comma, 645, 
secondo comma, e 649 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Gravina in Puglia, ordinanza 25 luglio 1987, n. 641, G. U. 
11 novembre 1987, n. 47. 

codice di procedura civile, art. 444, primo comma (artt. 3, 24 e 25 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 25 settembre 1986, n. 360/87, G. U. 2 settembre 
1987, n. 36. 

codice di procedura civile, art. 545 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Monza, ordinanza 17 dicembre 1986, n. 206/87, G. U. 3 giugno 
1987, n. 23. 

codice di procedura civile, art. 608 (artt. l, 2, 3, secondo comma, 29, 31, 
36 e 47 della Costituzione). 

Pretore di Finale Ligure, ordinanza 2 ottobre 1987, n. 788, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 


84 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

codice di procedura civile, art. 633 (artt. 24 e 101 della Costituzione). 

Tribunale di Firenze, ordinanza 3 luglio 1987, n. 557, G. U. 21 ottobre 
1987, n. 44. 

codice di procedura civile, art. 650, primo e ultimo comma (art. 24 della 
Costituzione). 

Tribunale di Genova, ordinanza 10 novembre 1986, n. 209/87, G. U. 10 giugno 
1987, n. 24. 

codice di procedura C�vile, art. 700 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 

Pretore di Viareggio, ordinanza 24 gennaio 1987, n. 303, G. U. 5 agosto 
1987, n. 32. 

codice di procedura civile, artt. 713, primo comma, e 714 (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 24 ottobre 1986, n. 299/87, G. U. 5 agosto 
1987, n. 32. 

codice penale, art. 62, n. 6 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Caltagirone, ordinanza 21 aprile 1987, n. 295, G. U. 5 agosto 
1987, n. 32. 

codice penale, art. 81, secondo comma (artt. 3 e 25 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza f febbraio 1987, n. 297, G. U. 5 agosto 1987, 

n. 32. 
codice penale, art. 164, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Padova, ordinanza 12 aprile 1973, n. 696/87, G. U. 25 novem� 
bre 1987, n. 49. 

codice penale, art. 175, quarto comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Palma di Montechiaro, ordinanza 12 maggio 1987, n. 312, G. U. 
5 agosto 1987, n. 32. 

Pretore di Palma di Montechiaro, ordinanze (due) 7 e 14 luglio 1987, 
nn. 574 e 575, G. U. 28 ottobre 1987, n. 45. 

codice penale, art. 324 (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'appello di Torino, ordinanza 6 marzo 1987, n. 308, G. U. S agosto 
1987, n. 32. 

codice penale, art. 523, primo comma (art. 3 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso tribunale di Roma, ordinanza 9 ottobre 1987, n. 802, 

G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 8f 

codice penale, art. 573 (artt. 2, 3, 29 e 30 della Costituzione}. 

Prtore di Civitanova Marche, ordinanza 8 giugno 1987, n. 573, G. U. 28 ottobre 
1987, n. 45. 

codice penale, art. 598 (artt. 3 e 24 della Costituzione}. 

Pretore di Milano, ordinanza 12 febbraio 1987, n. 148, G. U. 6 maggio 1987, 

n. 19. 
codice penale, art. 649, n. 1 (artt. 2 e 3 della Costituzione}. 

Pretore di Pinerolo, ordinanza 2 maggio 1987, n. 319, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 

codice penale, art. 724 (artt. 3, 7 e 8 della Costituzione}. 

Pretore di Monfalcone, ordinanza 25 maggio 1987, n. 698, G. U. 25 novembre 
1987, n. 49. 

codice di procedura penale, artt. 18, �45 n. 4, e 46 (artt. 25, 101 e 107 della 
Costituzione}. 

Pretore di Pietrasanta, ordinanza 26 febbraio 1987, n. 157, G. U. 13 maggio 
1987, n. 20. 

codice di procedura penale, art. 27-bis (artt. 3, 13, 24 e 111 della Costituzione}. 


Corte di cassazione, ordinanza 29 luglio 1987, n. 776, G. U. 16 dicembre 1987, 

n. 53. 
codice di procedura penale, artt. 33 e 74 (art. 25 della Costituzione}. 

Giudice istruttore presso il tribunale di Messina, ordinanza 2 marzo 1987, 

n. 307, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 
Codice di procedura penale, artt. 195, 512 e 513 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Tribunale di Padova, �rdinanza 9 luglio 1973, n. 697/87, G. U. 25 novembre 
1987, n. 49. 

codice di procedura penale, art. 343-bis (artt. 3 e 24 della Costituzione}. 

Tribunale di Firenze, ordinanza 28 aprile 1987, n. 276, G. U. 29 luglio 1987, 

n. 31. 
codice di procedura penale, art. 408 (artt. 2, 30 e 32 della Costituzione}. 

Pretore di Codogno, ordinanza 4 novembre 1986, n. 723/87, G. U. 9 dicembre 
1987, n. 52. 

codice di procedura penale, art. 529, primo comma (artt. 3 e 24 della 
Costitll2iione}. 

Corte di cassazione, ordinanza 9 dicembre 1986, n. 356/87, G. U. 19 agosto 
1987, n. 34. 


86 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

codice di procedura penale, art. 589, quinto comma (artt. 13 e 24 della 
Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 30 ottobre 1986, n. 524/87, G. U. 14 ottobre 
1987, n. 43. 

codice penale militare di pace, art. 39 (artt. 2, 3, 27 e 52 della Costituzione). 

Tribunale militare di Padova, ordinanza 27 maggio 1987, n. 382, G. U. 9 settembre 
1987, n. 37. 

codice penale militare di pace, art. 122 (artt. 3 e 27, secondo comma, della 
Costituzione). 

Corte militare di appello di Roma, ordinanza 15 luglio 1987, n. 778, G. U. 
16 dicembre 1987, n. 53. 

codice penale militare di pace, artt. 169 e 170 ~artt. 2, 3, 13 e 52 della 
Costituzione). 

Tribunale militare di. Padova, ordinanza 14 luglio 1987, n. 533, G. U. 14 ottobre 
1987, n. 43. 

codice penale militare di pace, art. 223 (artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 8 maggio 1987, n. 605, G. U. 
4 novembre 1987, n. 46. 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 8 maggio 1987, n. 814, G. U. 
23 dicembre 1987, n. 54. 

codice penale militare di pace, art. 412 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 29 aprile 1987, n. 398, G. U. 23 settembre 1987, 

n. 39. 
legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 10, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 15 gennaio 1987, 

n. 374, G. U. 2 settembre 1987, n. 36. 
legge 16 febbraio 1913, n. 89, art. 139, n. 1 (art. 27, secondo comma, della 
Costituzione). 

Giudice istruttore presso tribunale di Roma, ordinanza 3 luglio 1987! n. 717, 

G. U. 2 dicembre 1987, n. 51. 
r.d.I. 15 marzo 1923, n. 692, art. 1, terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 18 maggio 1987, n. 372, G. U. 2 settembre 1987, 

n. 36. 
legge 5 luglio 1928, n. 1760, art. 10 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Codogno, ordinanza 7 luglio 1987, n. 518, G. U. 14 ottobre 1987, 

n. 43. 

PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB 

legge 27 maggio 1929, n. 810, art. 11 (artt. 1, secondo comma, 7, primo comma, 
102, 112, 3, primo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione). 

Giudice istruttore presso tribunale di Milano, ordinanza 26 novembre 1987, 

n. 855, G. U. 30 dicembre 1987, n. 55. 
legge 27 maggio 1929, n. 810, art. 11 (artt. 3, 7, 24 e 25 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso tribunale di Milano, ordinanza 2 dicembre 1987, 

n. 860, G. U. 30 dicembre 1987, n. 55. 
r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 18 reg. allegato a) (artt. 3 e 35 della Costituzione). 
Pretore di Pisa, ordinanza 16 febbraio 1987, n. 192, G. U. 27 maggio 1987, 

n. 22. 
Pretor� di Pisa, ordinanza 16 febbraio 1987, n. 216, G. U. 10 giugno 1987, 
n. 24. 
r.d 18 giugno 1931, n. 773, art. 11, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 28 agosto 1986, 

n. 643/87, G. U. 11 novembre 1987, n. 47. 
r.d.I. 27 dicembre 1933, n. 1578, art. 68 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 9 dicembre 1986, n. 332/87, G. U. 19 agosto 
1987, n. 34. 

r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 8, prhno comma, n. 7 (artt. 3 e 97 della 
Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 24 luglio 
1986, n. 220/87, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

t.uJ.c.p. approvato con r.d. 3 marzo 1934, art. 261 (artt. 3, 24, 97 e 103 della 
Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 11 marzo 1986, n. 350/87, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 

r.dJ. 3 marzo 1938, n. 680, art. 5, Iett. p) (art. 117 della Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 13 maggio 1987, n. 822, G. U. 23 dicembre 1987, 

n. 54. 
r.dJ. 14 aprile 1939, n. 636, art. 13, terzo comma [conv. in legge 6 luglio 1939, 
:n. 1272] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 27 marzo 1987, n. 280, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

r.dJ. 14 aprile 1939, n. 636, tabella A e B allegate (art. 36 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 26 maggio 1986, n. 176/87, G. U. 27 maggio 1987, 
:n. 22. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

88 

r.d. 9 luglio 1939, n. 1238, artt. 71, 72, ultimo comma, e 73 (artt. 2, 3, 29 e 30 
della Costituzione). 
Tribunale di Trento, ordinanza 7 maggio 1987, n. 311, G. U. 5 agosto 1987, 

n. 32. 
r.d. 9 luglio 1939, n. 1238, art. 73 (artt. 2, 3 e 29 della Costituzione). 
Tribunale di Lucca, ordinanze (due) 9 ottobre 1987, nn. 780-781, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 

r.d. 19 luglio 1941, n. 1198, art. 89 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 
Giudice istruttore presso tribunale di Roma, ordinanza 23 marzo 1987, 

n. 315, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 24, 52, 98 e 207 (artt. 3 e 25 della Costituzione). 
Pretore di Vicenza, ordinanza 23 settembre 1987, n. 812, G. U. 23 dicembre 
1987, n. 54. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 43 (artt. 24 e 27 della Costituzione). 
Corte d'appello di Firenze, ordinanza 16 marzo 1987, n. 254, G. U. 8 luglio 
1987, n. 28. 
Corte d'appello di Firenze, ordinanza 9 luglio 1987, n. 539, G. U. 14 ottobre 
1987, n. 43. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 147, primo e secondo comma (art. 3 della 
Costituzione). 
Tribunale di Bergamo, ordinanza 28 settembre 1987, n. 830, G. U. 23 dicembre 
1987, n. 54. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 190, secondo comma (art. 24 della Costi� 
tuzione). 
Tribunale di Catania, ordinanza 18 luglio 1987, n. 716, G. U. 2 dicembre 1987, 

n. 51. 
r.d. 30 marzo 1942, n. 318, art. 38, terzo comma (artt. 3, 24 e 102 della 
Costituzione). 
Corte d'appello di Bologna, ordinanza 20 maggio 1987, n. 363, G. U. 2 settembre 
1987, n. 36. 

legge 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6, ultimo comma (artt. 3 e 38 della 
Costituzione). 
Tribunale di La Spezia, ordinanza 4 maggio 1987, n. 411, G. U. 23 settembre 
1987, n. 39. 

dl. 6 maggio 1948, n. 655, art. 3, n. 3 (artt. 3, 5, 25, 97 e 116 della Costi� 
tuzione e 23 dello statuto speciale per la Sicilia). 

Corte dei conti, ordinanza 13 gennaio 1987, n. 798, G. U. 23 dicembre 1987, 

n. 54. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 2, primo comma, n. 3 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Verona, ordinanza 30 luglio 1987, n. 736, G. U. 9 dicembre 1987, 

n. 52. 
d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 62 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 27 febbraio 1987, n. 149, G. U. 6 maggio 1987, 

n. 19. 
legge 10 agosto 1950, n. 648, art. 64, secondo comma (art. 3 della Costi� 
tuzione). 

Corte dei conti, ordinanza 4 febbraio 1987, n. 807, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

legge prov. Bolzano 12 agosto 1951, n. 1 (artt. 3, 39 e 97 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, ordinanza 27 febbraio 1987, n. 569, G. U. 28 ottobre 1987, 

n. 45. 
dJ. presidente reg. siciliana 29 ottobre 1955, n. 6, art. 122, primo con:ima 
[convalidato con legge reg. sic. 15 marzo 1963, n. 16] (artt. 3, 103 e 108 della 
Costituzione). 

Corte dei conti, sez. giur. per la reg. sic., ordinanza 19 marzo 1987, n. 519, 

G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 
dJ. presid. reg. siciliana 29 ottobre 1955, n. 6, art. 175 [recepito in legge 
reg. sic. 15 marzo 1963, n. 16] (artt. 3 e 51 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 9 giugno 1986, n. 359/87, G. U. 19 agosto 1987, 

n. 34. 
legge 12 novembre 1955, n. 1137, art. 26 (artt. 3, 97 e 113 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 7 maggio 1987, 

n. 570, G. U. 28 ottobre 1987, n. 45. 
legge 31 luglio 1956, n. 1002, art. 2 (artt. 3, 41 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 24 febbraio 1987, 

n. 639, G. U. 11 novembre 1987, n. 47. 
legge 8 dicembre 1956, n. 1378, art. 5 (artt. 3, 33 e 36 della CostitU?lone). 

Pretore di Napoli, ordinanza 27 giugno 1987, n. 544, G. U. 21 ottobre 1987, n. 44. 

d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (artt. 3, 24, 25 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 13 gennaio 1986, 

n. 179/87, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 
d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 11 marzo 1987, n. 232, G. U. 24 giugno 1987, 

n. 26. 

90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dJ. 5 maggio 1957, n. 271, art. 12 [conv. fn legge 2 luglio 1957, n. 474] 
(art. 53 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 16 dicembre 1986, n. 269/87, G. U. 15 luglio 
1987, n. 29. 

t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87, 89, 90, 135 e 140 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Gorizia, ordinanza 9 dicembre 
1986, n. 309/87, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87, primo comma e 140, ultimo comma 
(artt. 38 e 53 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 21 .novembre 1986, n. 318/87, G. U. 5 agosto 
1987, n. 32. 

legge 27 maggio 1959, n. �324, art. 1, terzo comma, lett. b) (artt. 3, 36, 38 e 97 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 17 dicembre 1986, 

n. 354/87, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80, tredicesimo comma (art. 3, primo 
comma, della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 24 febbraio 1987, n. 177, G. U. 27 maggio 1987, 

n. 22. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13, quarto e quinto comma (artt. 3, 24, 36 
e 38 della Costituzione). 

Tribunale di Brescia, ordinanza 16 settembre 1982, n. 185/87, G. U. 27 maggio 
1987, n. 22. 

legge 29 novembre 1962, n. 1655, art. 9, secondo comma (art. 3 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Perugia, ordinanze (due) 6 maggio 1987, nn. 714-715, G. U. 2 dicembre 
1987, n. 51. 

legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Larino, ordinanza 27 gennaio 1987, n. 202, G. U. 3 giugno 1987, 

n. 23. 
legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 10 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 

Tribunale di Trapani, ~rdinanza 20 febbraio 1987, n. 378, G. U. 9 settembre 
1987, n. 37. " 

legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 10, primo e terzo comma (artt. 3 e 27 
della Costituzione). 

Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia, ordinanze (due) 
28 gennaio 1987, nn. 204 e 205, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 

: 


PARTB II, RASSEGNA DI Ll!GISLAZIONB 

legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 10, terzo comma (artt. 3, 4, 41 e 97 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ord.ir.anza 18 marzo 1987, 

n. 721, G. U. 2 dicembre 1987, n. 51. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 1 e 4 (artt. 35 e 38 della Costituzione). 
Tribunale di Pistoia, ordinanza 3 giugno 1987, n. 379, G. U. 9 settembre 1987, 

n. 37. 
legge 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanze (due) 9 e 27 giugno 1987, nn. 558 � e 559 G. U. 
21 ottobre 1987, n. 44. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 4, primo comma, n. 6 (artt. 3 e 38 della 
Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 12 giugno 1986, n. 262/87, G. U. 8 luglio 1987, 

n. 28. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, secondo e terzo comma (artt. 3 e 24 
della Costituzione). 
Pretore di Modena, ordinanza 4 maggio 1987, n. 383, G. U. 9 settembre 1987, 

n. 37. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, quinto comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 20 maggio 1987, n. 386, G. U. 9 settembre 
1987, n. 37. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 83 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Lecce, ordinanza 10 marzo 1987, n. 306, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 

legge 4 febbraio 1966, n. 51, artt. 1 e 3 (art. 32 della Costituzione). 

�Pretore di Torino, ordinanza 19 maggio 1987, n. 361, G. U. 2 settembre 1987, 

n. 36. 
legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 24 /luglio 1987, n. 817, G. U. 23 dicembre 1987, 

n. 54. 
legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 10, primo comma, e 16, quarto comma 
(artt. 2, 3, secondo comma, e 4 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 15 settembre 1987, n. 792, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 


92 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 11 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 marzo 1986, 

n. 136/87, G. U. 6 maggio 1987, n. 19. 
d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 5, quarto comma (art. 36 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 26 maggio 1986, n. 176/87, G. U. 27 maggio 
1987, n. 22. 

legge 5 novembre 1968, n. 1115, art. 2 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 19 marzo 1987, n. 314, G. U. 5 agosto 1987, 
n, 32. 

Pretore di Pontedera, ordinanza 2 giugno 1987, n. 561, G. U. 21 ottobre 1987, 

n. 44. 
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 14, sesto comma [nel testo sostituito dall'art. 
27, terzo comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160] (art. 36 della Costi� 
tuzione). 

I

Pretore di Milano, ordinanza 26 maggio 1986, n. 176/87, G. U. 27 maggio 1987, 

n. 22. 
I 

fil 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 49 (art. 3 della Costituzione). i: 

Tribunale di Savona, ordinanza 20 gennaio 1987, n. 267, G. U. 15 luglio 1987, 

n. 29. 
I

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 69, primo comma (art. 3 della Costituzione). f: 

Pretore di Ivrea, ordinanza 15 ottobre 1987, n. 803, G. U. 23 dicembre 1987, 

n. 54. 
I 

legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, primo, secondo e terzo comma (art. 3 
della Costituzione). 

Pretore di Vicenza, ordinanza 21 luglio 1987, n. 568, G. U. 21 ottobre 1987, 

I

n. 44. 
I ~ 

legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 28 (artt. 3, 24 e 102 della Costituzione). 

Pretore di Genzano, ordinanza 16 maggio 1987, n. 328, G. U. 19 agosto 1987, 

n. 34. 
legge 20 maggio 1!'70, n. 300, artt. 28 e 37 (artt. 3, 24 e 39 della Costituzione). 

I 

Pretore di Roma, ordinanza 11 febbraio 1987, n. 401, G. U. 23 settembre I 
1987, n. 39. 

I 

legge 24 maggio 1970, n. 336, art. 4 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 30 ottobre 1986, n. 158/87, G. U. 13 maggio 
1987, n. 20. 




PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 91 

Corte di ~ssazione, ordinanze (tredici) 30 ottobre 1986, nn. 159-171/87, G. U. 
20 maggio 1987, n. 21. 
Corte di cassazione, ordinanza 30 ottobre 1986, n. 256/87, G. U. 8 luglio 
1987, n. 28. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 20 marzo 1987, n. 263, G. U. 8 luglio 1987, n. 28. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 6 maggio 1987, n. 364, G. U. 2 settembre 
1987, n. 36. 
Pretore di Bari, ordinanza 1 settembre 1987, n. 779, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 

legge 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale di Firenze, ordinanza 8 luglio 1987, n. 732, G. U. 9 dicembre 
1987, n. 52. 

dl. 5 luglio 1971, n. 429, art. 1 [conv. in legge 4 agosto 1971, n. 589] 
(art. 81 della Costituzione). 

Tribunale di Catania, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 637, G. U. 11 novembre 
1987, n. 47. 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 30 ottobre 1986, n. 256/87, G. U. 8 luglio 
1987, n. 28. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 20 marzo 1987, n. 263, G. U. 8 luglio 1987, n. 28. 

legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 2, punto 9 (artt. 3 e 53 della Costituzione) 

Commissione tributaria di primo grado di Bologna, ordinanza 12 novembre 
1985, n. 245/87, G. U. 1 luglio 1987, n. 27. 

legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 11 (artt. 25, 76 e 77 della Costituzione). 


Corte d'appello di Firenze, ordinanza 4 giugno 1987, n. 373, G. U. 2 settembre 
1987, n. 36. 
Corte d'appello di Firenze, ordinanza 21 maggio 1987, n. 393, G. U. 23 settembre 
1987, n. 39. 
Corte d'appello di Firenze, ordinanze (due) 16 luglio 1987, nn. 535 e 537, 

G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 
Corte d'appello di Firenze, ordinanze (due) 9 luglio 1987, nn. 536 e 538, 
G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 
Corte d'appello di Firenze, ordinanze (due) 24 settembre e 1 ottobre 1987, 
nn. 831, 832, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 11 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 

Corte d'appello di Torino, ordinanza 29 aprile 1987, n. 310, G. U. 5 agosto 
1987, n. 32. 
Tribunale di Firenze, ordinanza 26 maggio 1987, n. 317, G. U. 5 agosto 
1987, n. 32. 

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94 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 8 agosto 1972, n. 464, art. 1 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 19 marzo 1987, n. 314, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 
Pretore di Pontedera, ordinanza 2 giugno 1987, n. 561, G. U. 21 ottobre 
1987, n. 44. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55 (art. 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 23 febbraio 
1987, n. 419, G. U. 30 settembre 1987, n. 40. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 4, lett. e), tariffa allegato A (art. 11 e 
76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di 2� grado di Udine, ordinanza 3 luglio 1987, 

n. 828, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 4, Iett. e), tariffa allegato A (art. 76 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Brescia, ordinanza 10 aprile 
1986, n. 521/87, G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, artt. 35, 36 e 41, ultimo comma (artt. 3 e 
53 della Costituzione). � 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 14 maggio 
1985, n. 218/87, G. U. 10 giugno 1987, n. 24. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 55 (artt. 53 e 97 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Macerata, ordinanza 27 maggio 
1987, n. 531, G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 

ct.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (art. 113 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 11 maggio 
1987, n. 399, G. U. 23 settembre 1987, n. 39. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. da 15 a 21 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzizone). 
Pretore di Viareggio, ordinanza 24 gennaio 1987, n. 303, G. U. 5 agosto 
1987, n. 32. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 16 e 19 (artt. 24 e 27 della Costituzione). 
Corte d'appello di Firenze, ordinanza 16 marzo 1987, n. 254, G. U. 8 luglio 
1987, n. 28. 
Corte d'appello di Firenze, ordinanza 9 luglio 1987, n. 539, G. U. 14 ottobre 
1987, n. 43. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 8, secondo comma (artt. 3, 24, 53 e 76 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 9 ottobre 
1986, n. 186/87, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 



PARIB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 9f 

d.PJt. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 8, secondo comma (artt. 53 e 76 della 
Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, ordinanza 
6 maggio 1987, n. 348, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 9, terzo comma, lett. c) (artt. 3 e 53 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Macerata, ordinanza 15 aprile 
1987, n. 352, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 39, primo comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 4 luglio 1984, 
1984, n. 217/87, G. U. 10 giugno 1987, n. 24. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 3, primo comma, e 25, secondo comma, 
lett. a) (artt. 3 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanze (tre) 22 giugno 
1987, nn. 416, 418, G. U. 30 settembre 1987, n. 40. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23 (art. 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 26 aprile 1986, 

n. 259/87, G. U. 8 luglio 1987, n. 28. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23,. primo comma (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano, ordinanza 18 dicem'
bre 1986, n. 135/87, G. U. 6 maggio 1987, n. 19. 

d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1036, art. 14 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 27 febbraio 1987, n. 149, G. U. 6 maggio 
1987, n. 19. 

d.Pi'R-23 gennaio 1973, n. 43, art. 2, quarto comma (art..3 della Costituzione). 


Pretore di Tirano, ordinanze (trentacinque) 13 aprile 1987, nn. 438-472, 

G. U. 2 ottobre 1987, n. 41. 
Pretore di Tirano, ordinanze (quarantacinque) 11 aprile 1987, nn. 473-517, 
G. U. 2 ottobre 1987, n. 41. � 
Pretore di Tirano, ordinanze (ventisei) 11 aprile 1987, nn. 576-601, G. U. 28 ottobre 
1987, n. 45. 
Pretore di Tirano, ordinanze (quindici) 13 aprile 1987, nn. 611-625, G. U. 
4 novembre 1987, n. 46. 
Pretore di Tirano, ordinanze (undici) 13 aprile 1987, nn. 626-636, G. U. 11 novembre 
1987, n. 47. 


96 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

Pretore di Tirano, ordinanze (ventidue) 11 e 13 aprile 1987, nn. 644665, G. U. 

I

11 
novembre 1987, n. 47. 

Pretore di Tirano, ordinanze (trenta) 13 aprile 1987, nn. 666-695, G. U. 
18 novembre 1987, n. 48. li. 
Pretore di Tirano, ordinanze (due) 11 aprile 1987, nn. 737-738, G. U. 9 dicembre 
1987, n. 52. !! 
Pretore di Tirano, ordinanze (ventiquattro) 13 aprile 1987, nn. 739-762, G. U. 
9 dicembre 1987, n. 52. 

legge 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 36, 38 e 82 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 


i

Tribunale di Milano, ordinanza 20 marzo 1987, n. 324, G. U. 5 agosto 
1987, n. 32. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1, 183 e 195 (art. 21 della Costituzione). 
Pretore di Guglionesi, ordinanza 26 giugno 1987, n. 414, G. U. 23 settembJ;"
e 1987, n. 39. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 6 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 
Giudice istruttore presso tribunale di Roma, ordinanza 23 marzo 1987, n. 315, 

G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 6, 28, 48 e 93 (artt. 3, 28 e 113 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 26 ottobre 1983, n. 4-05/87, G. U. 23 settembre 
1987, 
n. 39. 
Tribunale di Roma, ordinanze (quattro) 14 giugno 1985, nn. 406-409/87, 

G. U. 23 settembre 1987, n. 39. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 20, 91 e 96, lett. f) (artt. 3, 24 e 113). 
Tribunale di Roma, ordinanze (due) 14 giugno 1985, nn. 4-08-409/87, G. U. 
23 settembre 1987, n. 39. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, primo comma, 195, primo comma, 
e 
334 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Tirano, ordinanze (quattordici) 17 luglio 1986, nn. 420433/87, 

G. U. 30 settembre 1987, n. 4-0. 
Pretore di Tirano, ordinanze (quattro) 19 e 22 luglio 1986, nn. 434437/87, 
G. U. 30 settembre 1987, n. 4-0. 
Pretore di Tirano, ordinanza 17 luglio 1986, n. 763/87, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 
Pretore di Tirano, ordinanza 22 settembre 1986, n. 764/87, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 


d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 213, 322, 190 (artt. 41 e 42 della 
Costituzione). 
Pretore S. Angelo in Brolo, ordinanza 24 marzo 1987, n. 287, G. U. 29 luglio 
1987, n. 31. 



PARm II, RASSEGNA DI LF.GISLAZIONB 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Pistoia, ordinanza 10 novembre 1986, n. 233/87, G. U. 24 giugno 
1987, n. 26. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 (art. 21 della Costituzione). 
Pretore di Guglionesi, ordinanza 23 gennaio 1987, n. 180, G. U.. 27 maggio 
1987, n. 22. 

Pretore di Guglionesi, ordinanza 20 febbraio 1987, n. 188, G. U. 27 maggio 
1987, n. 22. 

Pretore di Guglionesi, ordinanza 10 luglio 1987, n. 610, G. U. 4 novembre 
1987, n. 46. 

legge 10 maggio 1973, n. 346, artt. 1, 3 e 6 (artt. 3, 24 e 42 della Costituzione). 


Pretore di Castiglione del Lago, ordinanza 27 giugno 1987, n. 410, G. U. 
23 settembre 1987, n. 39. 

legge 12 giugno 1973, n. 349, art. 7, ultimo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale delle Marche, ordinanza 11 novembre 
1986, n. 187/87, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10 (artt. 3, 32 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Alessandria, Ol'dinanza 30 settembre 
1983, n. 154/87, G. U. 13 maggio 1987, n. 20. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. e) (artt. 3, 47 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Brescia, ordinanza 5 dicembre 
1985, n. 281/87, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. f) (artt. 3, 33, 34 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 5 giugno 1986, 

n. 291/87, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. g) (artt. 3, 29, 30 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 16 aprile 
1987, n. 387, G. U. 9 settembre 1987, n. 37. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 10, 16 e 48 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bologna, ordinanza 12 novembre 
1985, n. 245/87, G. U. 1 luglio 1987, n. 27. 


98 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 12, lett. e) (artt. 3, 38, 53, 76 e 77 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Napoli, ordinanza 6 maggio 
1985, n. 178/87, G. V. 27 maggio 1987, n. 22. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 76 (artt. 3, 53, 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, ordinanza 
25 marzo 1986, n. 349/87, G. V. 19 agosto 1987, n. 34. 

d.P.R�.29 settembre 1973, n. 599, art. 4 (a:rtt. 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 22 giugno 
1985, n. 183/87, G. V. 27 maggio 1987, n. 22. 
Corte d'appello di Milano, ordinanza 7 aprile 1987, n. 305, G. V. 5 agosto 
1987, n. 32. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Milano, ordinanze (cinque) 
9 maggio 1986, nn. 562-566/87, G. V. 21 ottobre 1987, n. 44. 
Commissione tributaria di secondo grado di Milano, ordinanza 9 maggio 
1986, n. 640/87, G. V. 11 novembre 1987,n. 47. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 46, 56, primo comma, 57, secondo 
comma (artt. 24 e 27 della Costituzione). 
Corte d'appello di Firenze, ordinanza 16 marzo 1987, n. 254, G. V. 8 luglio 
1987, n. 28. 
Corte d'appello di Firenze, ordinanza 9 luglio 1987, n. 539, G. V. 14 ottobre 
1987, n. 43. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
Tribunale di Pistoia, ordinanza 20 ottobre 1987, n. 815, G. V. 23 dicembre 
1987, n. 54. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47 (artt. 3 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ivrea ordinanze (due) 5 marzo 1985 
e 2 dicembre 1986 nn. 199 e 200/87, G. V. 3 giugno 1987, n. 23. 
Commissione tributaria di primo grado di Salerno, ordinanza 22 dicembre 
1986, n. 268/87, G. V. 15 luglio 1987, n. 29. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Udine, ordinanza 20 maggio 
1986, n. 195/87, G. V. 27 maggio 1987, n. 22. 
Commissione tributaria di secondo grado di Udine, ordinanza 20 maggio � 
1986, n. 196/87, G. V. 3 giugno 1987, n. 23. 



PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 47 e 57 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Imperia, ordinanza 15 gennaio 
1987, n. 246, G. U. 1 luglio 1987, n. 27. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 54, ultimo comma (artt. 2, 3 e 24 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 23 febbraio 
1987, n. 222, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 55 (artt. 3, 24 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Napoli, ordinanza 2 dicembre 
1986, n. 234/87, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Milano, ordinanza 6 febbraio 
1985, n. 567/887, G. U. 21 ottobre 1987, n. 44. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 40, quarto comma (artt. 3, 41 e 53 dela 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Agrigento, ordiiianza 4 no� 
vembre 1986, n. 215/8?, G. U. 10 giugno 1987, n. 24. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (art. 10 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 18 settembre 
1986, n. 226/87, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, 39, 53 e 54 (artt. 24 e 113 della 
Costituzione). 
Pretore di San Benedetto del Tronto, ordinanza 2 marzo 1987, n. 532, G. U. 
14 ottobre 1987, n. 43. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 17, primo comma (art. 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Foggia, ordinanza 24 febbraio 
1987, n. 288, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 54 (artt. 24, 102 e 113 della Costituzione). 
Pretore di Venasca, ordinanza 12 gennaio 1987, n. 290, G. U. 29 luglio 
1987, n. 31. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Rovereto, ordinanza 19 gennaio 
1987, n. 235, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 


100 
RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 98 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Pordenone, ordinanza 6 marzo 
1987, n. 396, G. U. 23 settembre 1987, n. 39. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 98, sesto comma (artt. 3, 24 e 76 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Napoli, ordinanza 2 dicembre 
1986, n. 234/87, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 

d.P.,R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 98, sesto comma (art. 24 della Costituzione). 


Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanza 18 marzo 1987, 

n. 292, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, artt. 3 e 38 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 21 maggio 1986, 

n. 
253/87, G. U. 8 luglio 1987, n. 28. 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio,. ordinanza 15 luglio 1987, 
n. 833, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 38 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 29 ottobre 1986, 

n. 800/87, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 
legge 20 marzo 1975, li. 70, art. 8 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, ordinanza 12 marzo 1987, 

n. 327, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 
legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bra, ordinanza 29 giugno 1987, n. 818, G. U. 23 dicembre 1987, 

n. 
54. 
legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Sondrio, ordinanza 9 aprile 1987, n. 353, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 
Pretore di Vittorio Veneto, ordinanza 24 marzo 1987, n. 400, G. U. 23 set� 
tembre 1987, n. 39. 
Pretore di Lucca, ordinanza 28 maggio 1986, n. 542/87, G. U. 14 ottobre 
1987, n. 43. 
Pretore di Lucca, ordinanza 26 marzo 1986, n. 543/87, G. U. 21 ottobre 
1987, n. 44. 
Pretore di Verona, ordinanza 28 settembre 1987, n. 823, G. U. 23 dicembre 
1987, n. 54. 
Pretore di Lucca, ordinanze (due) 18 dicembre 1985 e 29 gennaio 1986 
nn. 810 e 811/87, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

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PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 20 maggio 1975, n. 164, art. 1 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 19 marzo 1987, n. 314, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 

Pretore di Pontedera, ordinanza 2 giugno 1987, n. 561, G. U. 21 ottobre 
1987, n. 44. 

legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 19 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 

Tribunale di Trapani, ordinanza 20 febbraio 1987, n. 378, G. U. 9 settembre 
1987, n. 37. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 69, quarto comma, ultima parte (art. 3 della 
Costituzione). 
Magistrato di sorveglianza di Roma, ordinanze (quattro) 30 aprile, 7 maggio, 
21 maggio e 19 marzo 1987, nn. 344-347, G.U. 19 agosto 1987, n. 34. 
Magistrato di sorveglianza di Roma, ordinanze (due) 11 giugno e 2 aprile 
1987, nn. 607-608, G. U. 4 novembre 1987, n. 46. 
Magistrato di sorveglianza di Brescia, ordinanze (due) 27 maggio 1987, 
nn. 703-704, G. U. 25 novembre 1987, n. 49. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 69, quarto comma, ultima parte (artt. 3 
e 24 della Costituzione). 

Magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Perugia, ordinanza 1 luglio 
1987, n. 734, G. U. 9 dicembre 1987, n. 52. 

legge 2 dicembre 1975, n. 576, art. 17, ultimo comma (art. 3 dela Costi� 
tuzione). 

Tribunale di Bari, ordinanza 21 ottobre 1986, n. 231/87, G. U. 24 giugno 
1987, n. 26. 

legge 2 maggio 1976, n. 183, art. 22, ultimo comma : ((art. 81 della Costi� 
tuzione). 

Tribunale di Catania, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 637, G. U. 11 novem� 
bre 1987, n. 47. 

d.-1. 3 maggio 1976, n. 161, �art. 2, lett. c) [conv. in legge 14 maggio 1976, 

n. 240] (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 30 settembre 1985, 

n. 274/87, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 
legge io maggio 1976, n 249, art. 7 (artt. 23, 25, 76 e 77 della Costituzione). 

Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 8 giugno 1987, n. 351, G. U. 19 agosto 
1987, n. 34. 

legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 17, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Avigliano, ordinanza 22 novembre 1986, n. 765/87, G. U. 16 di� 
cembre 1987, n. 53. 


102 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 

legge 8 agosto 1977, n. 513, art. 22 e 23 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 27 febbraio 1987, n. 149, G. U. 6 maggio 
1987, n. 19. 

legge 4 agosto 1977, n. 517, art. 1 (artt. 2, 3, secondo comma, 24, primo 
comma, 29, primo comma, 30, primo comma, e 34, primo comma, della Costituzione). 


Pretore di Sampierdarena, ordinanza 15 settembre 1987, n. 808, G. U. 
23 dicembre 1987, .n. 54. 

legge 12 agosto 1977, n. 675, art. 2 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 19 marzo 19117, n. 314, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 
Pretore di Pontedera, ordinanza 2 giugno 1987, n. 561, G. U. 21 ottobre 
1987, n. 44. 

d.P.R. 16 settembre 1977, n. 1188, art. 4 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Pretore di Napoli, ordinanza 19 marzo 1987, n. 329, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 

legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 4 i(artt. 3 e 37 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, or.dinanza 4 febbraio 1987, n. 194, G. U. 27 maggio 
1987, n. 22. 

legge 16 dicembre 1977, n. 104, art. 2, secondo comma, (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 23 febbraio 
1987, n. 222, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

legge 27 dicembre 1977, n. 968, artt. 1, 2 e )1 (artt. 8, nn. 15 e 16, dello 
statuto speciale del Trentino-Alto Adige, e 116 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 18 giugno 1987, n. 720, G. U. 
2 dicembre 1987, n. 51. 

legge 2 febbraio 1978, n. 30, art. 9 (artt. 3 e 35 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanza 16 febbraio 1987, n. 192, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 
Pretore di Pisa, ordinanza 16 febbraio 1987, n. 216, G. U. 10 giugno 1987, n. 24. 

d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 59 (art. 81 della Costituzione). 
Tribunale di Catania, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 637, G. U. 11 novembre 
1987, n. 47. 

legge 13 maggio 1978, n. 180, artt. 2 e 3 (artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Pretore di Bracciano, ordinanza 19 febbraio 1987, n. 260, G. U. 8 luglio 1987, 

n. 28. 

PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
1.0'J 

legge 5 agosto 1978, n. 468, art. 11 (artt. 3, 53 e 81, terzo comma, della Costituzione). 


Pretore di Messina, ordinanze (tre) 17 marzo 1987, nn. 784-786, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 

d.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627, art. 7, ultimo comma (artt. 23, 25, 76 e 77 della 
Costituzione). 
Tribunale di Ascoli Piceno, ordinanza 8 giugno 1987, n. 351, G. U. 19 agosto 
1987, n. 34. 

d.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627, art. 7, ultimo comma (artt. 25 e 76 della Costi� 
tuzione). 
Tribunale di Venezia, ordinanza 24 giugno 1987, n. 390, G. U. 9 settembre 1987, 

n. 37. 
Tribunale di Venezia, ordinanza 13 luglio 1987, n. 571, G. U. 28 ottobre 1987, 
n. 45. 
d.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627, art. 7, ultimo comma (artt. 25, 76 e 77 della 
Costituzione). 
Tribunale di Savona, ordinanza 6 maggio 1987, n. 293, G. U. 29 luglio 1987, 

n. 
31. 
Corte d'appello di Firenze, ordinanza 4 giugno 1987, n. 373, G. U. 2 settem� 
bre 1987, n. 36. 
Corte d'appello di Firenze, ordinanza 21 maggio 1987, n. 393, G. U. 23 settembre 
1987, n. 39. 
Corte d'appello di Firenze, ordinanze (due) 16 luglio 1987, nn. 535 e 537, 

G. U. 
14 ottobre 1987, n. 43. 
Corte d'appello di Firenze, ordinanze (due) 9 luglio 1987, nn. 536 e 538, G. U. 
14 
ottobre 1987, n. 43. 
Tribunale di Fermo, ordinanze (due) 23 aprile e 14 maggio 1987, nn. 540-541, 

G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 
Tribunale �di Firenze, ordinanza 17 giugno 1987, n. 549, G. U. 21 ottobre 1987, 
n. 
44. 
Corte d'appello di Firenze, ordinanze (due) 24 settembre e 1� ottobre 1987, 
nn. 831-832, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 
Tribunale di Napoli, ordinanza 22 settembre 1987, n. 733, G. U. 9 dicembre 
1987, n. 52. 
Tribunale di Firenze, ordinanza 16 giugno 1987, n. 790, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 

d.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627, art. 7, Ultimo comma (artt. 76 e 77 della Costituzione). 
Corte d'appello di Torino, ordinanza 29 aprile 1987, n. 310, G. U. 5 agosto 1987, 

n. 32. 
Tribunale di Firenze, ordinanza 26 maggio 1987, n. 317, G. U. 5 agosto 1987, 
n. 32. 

1.04 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
d.P.R. 6 ottobre 1978, n. 873 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 
Giudice conciliatore cli Bari, ordinanza 9 marzo 1987, n. 189, G. U. Z1 maggio 
1987, n. 22. 

legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 53, quarto comma, 57, secondo comma 
e 76, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 18 luglio 1987, n. 7fJ7, G. U. 25 novembre 1987, 

n. 49. 
legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 57 (artt. 3, 53 e 101 della Costituzione). 

Tribunale cli Massa, ordinanza 4 giugno 1985, n. 278/87, G. U. 29 luglio 1987, 

n. 31. 
d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, art. 116 (artt. 3 e 52 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 13 marzo 1987, n. Z13, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

legge 8 gennaio 1979, n. 3, art. 1 [di convers. dell'art. 5, quindicesimo e 
diciottesimo comma, del dJ. 10 novembre 1978, n. 702] (art. 3 della Costituzione). 


Pretore cli Brescia, ordinanza 8 luglio 1987, n. 719, G. U. 2 dicembre 1987, n. 51. 

legge 6 febbraio 1979, n. 42, art. 17 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Pretore cli Napoli, ordinanza 19 marzo 1987, n. 329, G. U. 19 agosto 1987, n. 34. 

legge 30 aprile 1979, n. 101, artt. 17 e 41 (artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanze (due) 17 novembre 
1986 e 19 gennaio 1987, nn. 300 e 301/87, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 26 gennaio 1987, 

n. 545, .G. U. 21 ottobre 1987, n. 44. 
legge reg. Sardegna 5 luglio 1979, n. 59, art. 4 (art. 27 statuto speciale per 
la Sardegna). 

Pretore cli La Maddalena, ordinanze (due) 16 luglio 1987, nn. 699 e 700, 

G. U, 25 novembre 1987, n. 49. 
d.P.R. 27 settembre 1979, n. 506, art. 2 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 
Corte d'apoello cli Milano, ordinanza 7 aprile 1987, n. 305, G. U. 5 agosto 
1987, n. 32. 

d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 2 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, orclinanz� 23 aprile 1987, 

n. 602, G. U. 4 novembre 1987, n. 46. 
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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE tOJ 

d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 29, primo e secondo comma (artt. 3, 
36 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 27 gennaio 
1987, n. 604, G. U. 4 novembre 1987, n. 46. 

d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 57 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 
6 luglio 1983, n. 824/87, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

dJ. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3, primo comma, lett. b) [conve. in legge 
29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3, 53 e 101 della Costituzione). 

Tribunale di Massa, ordinanza 4 giugno 1985, n. 278/87, G. U. 29 luglio 
1987, n. 31. 

d.-1. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14-quater [conv. in legge 29 febbraio 
1980, n. 33] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanza 29 maggio 1987, n. 370, G. U. 2 settembre 
1987, n. 36. 

legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 5 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ol'dinanza 30 ottobre 1986, 

n. 258/87, G. U. 8 luglio 1987, n. 28. 
legge reg. Lombardia 7 giugno 1980, n. 93, art. 3, primo comma, lett. b) 
(artt. 3, 44 e 117 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 3 luglio 
1987, n. 709, G. U. 25 novembre 1987, n. 49. 

d.P.R. 8 luglio 1980, n. 533, artt. 1 e 2 (artt. 3, 23 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Bari, ordinanza 29 settembre 1986, n. 153/87, G. U. 13 maggio 
1987, n. 20. 

d.P.R, 8 luglio 1980, n. 533, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Parma, ordinanza 29 ottobre 1986, n. 365/87, G. U. 2 settembre 
1987, n. 36. 

legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 46, primo e terzo comma (artt. 3 e 36 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 24 luglio 
1987, n. 713, G. U. 2 dicembre 1987, n. 51. 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 15 ottobre 
1986, n. 225/87, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 


106 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, artt. 36 e 119 (artt. 36, 76 e 77 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale della Calabria, ordinanza 24 giugno 
1986, n. 394/87, G. U. 23 settembre 1987, n. 39. 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, artt. 50, 51, 52 e-53 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanza 30 ottobre 1986, 

n. 258/87, G.U. 8 luglio 1987, n. 28. 
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 51, secondo comma (artt. 76, 3 e 97 della 
Costituzione. 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanze (due) 26 febbraio 
1986, nn. 137 e 138/87, G. U. 6 maggio 1987, n. 19. 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 novembre 1986, 

n. 201/87, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 59, secondo comma (aTtt. 76 e 77 della 
Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 13 novembre 
1986, n. 193/87, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 

legge reg. Veneto 31 ottobre 1980, n. 88, art. 39, primo comma, lett. b) 
(artt. 5, 97, 118, 123 e 128 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 12 febbraio 
1987, n. 275, G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 

legge 23 dicembre 1980, n. 930, art. 6, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale della Calabria, ordinanza 14 gennaio 
1987, n. 313, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 

d.l. 28 febbraio 1981, n. 36, art. 1, terzo comma [conv~ in legge 29 aprile 
1981, n. 163] (art. 81 della Costituzione). 
Tribunale di Catania, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 637, G. U. 11 novembre 
1987, n. 47. 

legge prov. di Trento 27 luglio 1981, n. 11, articolo unico (artt. 3 e 42 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale di Trento, ordinanza 26 ottobre 1987, 

n. 813, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 
dJ. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Benevento, ordinanza 8 aprile 1987, n. 249, G. U. 1 luglio 
1987, n. 27. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 1.07 

Id.I. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12, terzo e settimo comma [conv. In legge 
26 �settembre 1981, n. 537] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 18 luglio 1987, n. 707, G. U. 25 novembre 
1987, n. 49. 

legge 6 agosto 1981, n. 432, art. 11 (artt. 3 e 23 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 22 gennaio 
1986, n. 182/87, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 

d.m. 9 settembre 1981, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 18 luglio 1987, n. 707, G. U. 25 novembre 
1987, n. 49. 

d.l. 23 settembre 1981, n. 537, art. 12 (artt. 3, 23 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Bari, ordinanza 29 settembre 1986, n. 153/87, G. U. 13 maggio 
1987, n. 20. 

legge 9 ottobre 1981, n. 824, art. 6 (artt. 3, 41 e 53 dela Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 30 ottobre 1986, n. 158/87, G. U. 13 maggio 
1987, n. 20. 
Corte di cassazione, ordinanze (tredici) 30 ottobre 1986, nn. 159-171/87, 

G. U. 20 maggio 1987, n. 21. 
Pretore di Cagliari, ordinanza 6 maggio 1987, n. 364 G. U. 2 settembre 
1987, n. 36. 
Pretore di Bari, ordinanza 1 settembre 1987, n. 779, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 

legge reg._ Umbria 21 ottobre 1981, n. 69, artt. 7, 8, 9 e 11 (artt. 33 e 117 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, ordinanza 15 ottobre 1986, 

n. 214/87, G. U. 10 giugno 1987, n.. 24. 
d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, art. 8, primo comma, lett. a) (artt. 3, 76 
e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 10 dicembre 1986, 

n. 282/87, G.U. 29 luglio 1987, n. 31. 
d.m. 28 ottobre 1981, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 18 luglio 1987, n. 707, G. U. 25 novembre 
1987, n. 49. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 8 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Castelfiorentino, ordinanza 16 dicembre 1986, n. 140/87, G. U. 
6 maggio 1987, n. 19. 
Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 12 dicembre 1986, n. 147/87, G.U. 
6 maggio 1987, n. 19. 


108 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 54 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Tribunale militare di Padova, ordinanza 24 settembre 1986, n. 142/87, G. U. 
6 maggio 1987, n. 19. 
Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 10 dicembre e 13 novembre 
1986, nn. 143 e 144/87, G. U. 6 maggio 1987, n. 19. 
Tribunale militare di Padova, ordinanza 6 febbraio 1987, n. 381, G. U. 9 settembre 
1987, n. 37. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, 54 e 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 


Tribunale militare di Padova, ordinanze (tre) 18, 12 marzo e 6 febbraio 
1987, nn. 367-369, G. U. 2 settembre 1987, n. 36. 
Tribunale militare di Padova, ordinanza 18 giugno 1987, n. 534, G. U. 14 ottobre 
1987, n. 43. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 54, 77 e 79 (art. 3 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 29 ottobre 1986, n. 355/87, -G. U. 19 agosto 
1987, n. 34. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 60, ultimo comma, e 77, secondo 
comma (art. 27 della Costituzione). 

Pretore di Brunico, ordinanza 26 agosto 1987, n. 826, G. U. 23 dicembre 
1987, n. 54. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzionne). 

Pretore di Cairo Montenotte, ordinanza 17 febbraio 1987, n. 156, G. U. 
13 maggio 1987, n. 20. 
Pretore di Cairo Montenotte, ordinanza 31 marzo 1987, n. 264, G. U. 15 luglio 
1987, n. 29. 
Corte d'appello di Palermo, ordinanza 12 dicembre 1986, n. 777/87, G. U. 
16 dicembre 1987, n. 53. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 107 (artt. 3, 25 e 112 della Costituzione). 

Magistrato di sorveglianza presso tribunale di Foggia, ordinanza 16 settembre 
1986, n. 526/87, G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 

dJ. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 2, secondo comma [conv. in legge 26 febbraio 
1982, n. 54] (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Parma, ordinanza 29 ottobre 1986, n. 365/87, G. U. 2 settembre 
1987, n. 36. 

d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6, quinto comma [conv. in legge 26 feb� 
braio 1982, n. 54] (artt. 3 e 38 della Costituzione). � 
Pretore di Firenze, ordinanza 27 novembre 1986, n. 197/87, G. U. 3 giugno 
1987, n. 23. 



PARTII II, RASSl!GNA DI LEGISLAZIONE 

d.L 23 gennaio 1982, n. 9, artt. 13, 14 e 15 [conv. In leii� 23 marzo 1982, 
n. 94] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 22 luglio 1987, n. 550, G. U. 21 Gttobre 
1987, n. 44. 

d.I. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 14, quinto comma, Iett. b) [conv. In leuo 
25 marzo 1982, n. 94] (artt. 3, 24, 31 e 36 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 3 gennaio 1987, n. 207, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 
Pretore di Milano, ordinanza 17 marzo 1987, n. 302, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 
Pretore di Milano, ordinanza 14 maggio 1987, n. 606, G. U. 4 novembre 

1987, n. 46. 
Pretore di Milano, ordinanze (tre) 26 giugno, 7 e 21 luglio 1987, nn. 804-806, 

G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 
legge 25 gennaio 1982, n. 17, art. 4, undicesimo comma (art. 3 della Costi� 
tuzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 14 marzo 1985, 

n. 797/87, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 
<LI~ 27 febbraio 1982, n. 57, art. 4 [conv. in le11e 29 aprile 1952, n. 117] 
(artt. 3, 24, 28, 42 e 113 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 22 ottobre 
1986, n. 255/87, G. U. 8 luglio 1987, n. 28. 

legge reg. Puglia 19 marzo 1982, n. 12, art. 77 (art. 117 della Costitumone). 

Pretore di Bari, ordinanza 13 maggio 1987, n. 822, G. U. 23 dicembre 
1987, n. 54. 

legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 7, lett. a) (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). 


Pretore di Andria, ordinanza 23 febbraio 1987, n. 152, G. U. 13 maglio 
1987, n. 20. 

legge 22 aprile 1982, n. 168, art. 3 (artt. 3 e 97 della Costituzione}. 

Commissione tributaria di Termini Imerese, ordinanza 11 maggio 1987, 

n. 603, G. U. 4 novembre 1987, n. 46. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, secondo e quarto comma (artt. 3 e 53 
della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 18 luglio 1987, n. 707, G. U. 25 novembre 
1987, n. 49. 

legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14, quarto comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 

Pretore di Benevento, ordinanza 8 aprile 1987, n. 249, G. U. 1 luglio 
1987, n. 27. 


tiO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 20 maggia 1!�82, n. 270, art. 31 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, ordinanza 9 gennaio 1987, n. 376, G. U. 9 settembre 
1987, n. 37. 
Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 10 aprile 1987, n. 730, G. U. 
� 9 dicembre 1987, n. 52. 

legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 43 (artt. 3, 33, 51 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 maggio 1983, 

n. 702/87, G. U. 25 novembre 1987, n. 49. 
legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 46, primo comma (art. 3 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 16 gennaio 1987, n. 722, G. U. 
2 dicembre 1987, n. 51. 

d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 3, secondo comma [conv. in legge 7 agosto 
1982, n. 516] (art. 25 della Costituzione). 
Giudice istruttore presso tribunale di Foggia, ordinanza 27 maggio 1987, 

n. 316, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 
d.l. 10 lugUo 1982, n. 429, art. 12 [conv. in 11egge 7 agosto 1982, n. 516] 
artt. 2, 3, 24 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 18 giugno 
1986, n. 184/87, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 
Commissione tributaria di primo grado di Piacenza, ordinanza 17 giugno 
1987, n. 415, G. U. 23 settembre 1987, n. 39. 

d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, primo comma [conv. in legge 7 agosto 
1982, n. 516] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Voghera, ordinanza 23 maggio 
1987, n. 397, G. U. 23 settembre 1987, n. 39. 

d.I. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, primo comma [conv. in legge 7 agosto 
1982, n. 516] (artt. 24 e 25 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Parma, ordinanza 17 luglio 
1987, n. 701, G. U. 25 novembre 1987, n. 49. 

d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 26 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] 
(artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Alessandria, ordinanza 4 febbraio 
1987, n. 520, G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 

d.I. 10 luglio 1982, n. 429, art. 26 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 3 
e 97 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 11 febbraio 
1987, n. 261, G. U. 8 luglio 1987, n. 28. 
Commissione tributaria di secondo grado di Bologna, ordinanza 21 ottobre 
1986, n. 801/87, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. I 
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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 2, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'appello di Catania, ordinanza 17 giugno 1987, n. 705, G. U. 25 novembre 
1987, n. 49. 

d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [conv. in 
legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). 
Corte d'appello di Torino, ordinanza 10 aprile "1987, n. 277, G. U. 29 luglio 
,1987, n. 31. 
Corte d'appello di Torino, ordinanza 26 giugno 1987, n. 799, G. U. 23 dicembre 
1987, n. 54. 

d.I. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 20, quinto comma [conv. in legge 26 aprile 
191f3, n. 131] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Cremona, ordinanza 22 aprile 
1987, n. 816, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

d.I. 28 febbraio 1983, 11. 55, art. 30-bis [introdotto dalla legge di conversione 
26 aprile ~983, n. 131] (art. 81 della Costituzione). 
Pretore di Venezia, ordinanza 4 febbraio 1987, n. 330, G. U. 19 agosto 1987, 

n. 34. 
legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-ter (artt. 24, 25, 101, 102, 103 e 113 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Veneto, ordinanza 29 gennaio 1987, 

n. 809, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 
legge 29 marzo 1983, n. 93, art. 23, primo comma (artt. 3, 24 e 39 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 11 febbraio 1987, n. 401, G. U. 23 settembre 1987, 

n. 39, 
legge 21 aprile 1983, n. 123, art. 7 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 15 gennaio 19.87, 

n. 374, G. U. 2 settembre 1987, n. 36. 
legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-bis (art. 81 della Costituzione). 

Pretore di Arezzo, ordinanza 2 dicembre 1986, n. 270/87, G. U. 22 luglio 1987, 

n. 30. 
Pretore di Roma, ordinanza 3 giugno 1987, n. 371, G. U. 2 settembre 1987, n. 36. 
legge 26 aprile 1983, n. 131, art. 30-bis e 30-ter (artt. 24, 81 e 113 della Costi� 
tuzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 13 febbraio 1987, n. 289, G. U. 29 luglio 1987, 

n. 31. 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge prov. Trento 2 maggio 1983, n. 14, art. 28, primo, secondo e sesto 
comma (artt. 24, 101, 113 e 42 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 20 febbraio 1987, n. 766, G. U. 16 .dicembre 
1987, n. 53. 

legge 4 maggio 1983, n. 184, �art. 68 (artt. 3, 24 e 102 della Costituzione). 

Corte d'appello di Bologna, ordinanza 20 maggio 1987, n. 363, G. U. 2 settembre 
1987, n. 36. 

legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 68 (artt. 3 e 102 della Costituzione). 

Tribunale per i minorenni di Torino, ordinanza 2 febbraio 1987, n. 247, 

G: U. 1� luglio 1987, n. 27. 
Tribunale per i minorenni di Torino, .ordinanza 28 gennaio 1987, n. 272, 
G. U. 29 luglio 1987, n. 31. 
Tribunllle per i minorenni. di Trento, ordinanza 26 maggio 1987, n. 323, 
G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 
legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 79, primo comma (artt. 2, 3 e 30 della 
Costituzione). 
Corte d'appello di Venezia, ordinanza 28 novembre 1986, n. 228/87, G. U. 
24 giugno 1987, n. 26. 

4.m. 25 maggio. 1983, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 18 luglio 1987, n. 707, G. U. 25 novembre 1987, 

n. 49. 
dJ. 12 settembre 1983, n. 463, art. 5, quattordicesimo comma [conv. in legge 
11 nov~mbre 1983, n. 638] (artt. 3, 27, 32 e 38 della Costituzione). 


Pretore di Bologna, ordinanza 7 settembre 1987, n. 793, G. U. 16 dice111bre 
1987, n. 53. 


d.I. 12 settembre 1983, n~ 463, art. 5, quattordicesimo comma [conv. in legge 
11 novembre 1983, n. 638] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 16 dicembre 1986, n. 203/87, G. U. 3 giugno 1987, 

n. 23. 
dJ. 
12 settembre 1983, n. 468, art. 13 [conv. nella legge 11 novembre 1983, 

n. 638] (artt. 3, 32 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Brescia, ordinanza 3 febbraio 1987, n. 139, G. U. 6 maggio 1987, 

n. 19. 
legge 11 novembre 1983, n 638, art. 9, terzo comma (artt. 3, 4 e 41 della 
Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 marzo 1986, 


n. 
136/87, G. U. 6 maggio 1987, n. 19. 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 9 aprile 1986, 
n. 175/87, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 
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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE iH 

legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 [conv. del d.I. 12. settembre 1983, n. 463] 
(artt. 3, 23 e 53 del.la Costituzione). 

Pretore di Bari, �ordinanza 29 settembre 1986, n. 153/87, G, U. 13 maggio 
1987, n. 20. 

legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 3, 53 e 101 della Costituzione). 

Tribunale di Massa, ordinanza 4 giugno 1985, n. 278/87, G. U. 29 -luglio 1987; 

n. 31. 
legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 32, quarto conima (artt. 3 e 32 della Costituzione). 


Pretore di Bologna, ordinanza 26 agosto 1987, n. 795, G. U. 16 dicembre 1987, 

n. 53. 
legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3, 23 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 29 settembre 1986, n. 153/87, G. U. 13 maggio 1987, 

n. 20. 
legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Benevento, ordinanza 8 aprile 1987, n. 249, G. U. 1� luglio 1987, 
Il. 27. 

Pretore di Torino, ordinanza 18 luglio 1987, n. 707, G. U. 25 novembre 1987, 

n. 49. 
legge reg. Puglia 27 febbraio 1984, n. 10, art. 32 (artt. 3 e 117 della Costituzione). 


Tribunale �mministrativo regionale per la Puglia, ordinanza 27 febbraio 
1986, n. 173/87, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 

legge reg. Puglia 27 febbra�o 1984, .n. 10, art. 33 (artt. 3, e 117 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, ordinanza 27 febbraio 
1986, n. 1.72/87, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 

fogge reg. Marche 6 marzo 1984, n. 6 (artt. 117 e 118 della Costituzi�ne). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 novembre 1985, 

n. 145/87, G. U. 6 maggio 1987, n. 19. 
legge 9 maggio 1984, n. 118, articolo unico (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 30 ottobre 1986, n. 158/87, G. U. 13 maggio 1987, 
Il. 20. 
Corte di cassazione, ordinanze (tredici) 30 ottobre 1986, nn. 159-171/87, G. U. 
20 maggio 1987, n. 21. 
Corte di cassazione, ordinanza 30 ottobre 1986, n. 256/87, G. U. 8 lqglio 1987, 
Il. 28. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

114 

Pretore di Cagliari, ordinanza 20 marzo 1987, n. 263, G. U. 8 luglio 1987, n. 28. 

Pretore di Cagliari, ordinanza 6 maggio 1987, n. 364, G. U. 2 settembre 1987, 
n~ 36. � 

Pretore di Bari, ordinanza 1� settembre 1987, n. 779, G. U. 16 dicembre 1987, 

n. 53. 
legge reg. Abruzzo 6 giugno 1984, n. 39, punto 28 (artt. 3, 41, 42 e 97 della 
Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 26 novembre 
1986, n. 385/87, G. U. 9 settembre 1987, n. 37. 

legge reg. Abruzzo 6 giugno 1984, n. 39, punto 42 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per l'~bruzzo, ordinanza 26 novembre 
1986, n. 384/87, G. U. 9 settembre 1987, n. 37. 

legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 3 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 12 maggio 1987, n. 326, G. U. 5 agosto 1987, 

n. 32. 
legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 3 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Brindisi, ordinanza 4 febbraio 1987, n. 155, G. U. 13 maggio 1987, 

n. 
20. 
Tribunale di Pistoia, ordinanza 7 gennaio 1987, n. 238, G. U. 24 giugno 1987, 
n. 26. 
Tribunale di Pistoia, or~inanza 4 febbraio 1987, n. 239, G. U. 24 giugno 1987, 
n. 
26. 
Pretore d� Genova, ordinanza 10 marzo 1987, n. 248, G. U. 1� luglio 1987, n. 27. 
Pretore di Torino, ordinanze (due) 13 marzo e 6 aprile 1987, nn. 265 e 266, 
G. U. 15 luglio 1987, n. 29. 
Pretore di Parma, ordinanza 25 luglio 1986, n. 366/87, G. U. 2 settembre 
1987, n. 36. 
Tribunale di Pistoia, ordinanza 6 maggio 1987, n. 380, G. U. 9 settembre 
1987, n. 37. 
Pretore di Parma, ordinanza 5 dicembre 1986, n. 553/87, G. U. 21 ottobre 
1987, 
n. 44. 
Pretore di Arezzo, ordinanza 12 maggio 1987, n. 548, G. U�. 21 ottobre 1987, 

n. 44. 
Tribunale di Forl�, ordinanza 4 giugno 1987, n. 731, G. U. 9 dicembre 1987, 
n. 52. 
legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 3 (art. 38 della Costituzione). 

Pretore di Frosinone, ordinanza 20 settembre 1986, n. 181/87, G."U. 27 maggio 
1987, n. 22. 
Pretore di Pavia, ordinanza 13 marzo 1987, n. 230, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 
Pretore di Roma, ordinanze (due) 8 giugno e 15 luglio 1987, nn. 522 e 523 

G. U. 14 ottobre 1987, n. 43. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 11f 

Pretore di Pavia, ordihanza 25 luglio 1987, n. 546, G. U. 21 ottobre 1987, 
Il. 44. 

Pretore di Pavia, ordinanza 5 settembre 1987, n. 642, G. U. 11 novembre 1987, 

n. 47. 
Pretore di Torino, ordinanza 13 giugno 1987, n. 706, G. U. 25 novembre 1987, 
n. 49. � 
legge 12 giugno 1984, n, 222, art. 4 (artt. 3, 29, 30, 31 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanza 9 luglio 1987, n. 560, G. U. 21 ottobre 1987, n. 44 

legge 16 luglio 1984, n. 326, art. 3 (artt. 3, 4 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 26 febbraio 1986, 

n. 191/87, G. U. 27 maggio 1987, n. 22. 
legge 27 luglio 1984, n. 397, art.� 3 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Gravina in Puglia, ordinanza 12 agosto 1987, n. 711, G. U. 25 novembre 
1987, n. 49. 

legge 31 luglio 1984, n. 400, art. 1 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Gravina in Puglia, ordinanza 12 agosto 1987, n. 711, G. U. 25 novembre 
1987, n. 49. 

legge 31 luglio 1984, n. 400, art. 11 (artt. 3 e ~4 della Costituzione). 

Sezione istruttoria presso corte d'appello di Bologna, ordinanza 13 ottobre 
1987, n. 820, G. U. 23 dicembre 1987, n. 54. 

legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 1, secondo comma (artt. 3 e 36 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 12 giugno 1986, 

n. 208/87, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 
legge 6 agosto 1984, n. 425, artt. 1, secondo comma, e 10, secondo comma 
(artt. 3, 24, 25, 36, 70, 97, 102, 103, 107 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanze (dodici) 
7 ottobre 1986, nn. 333-343 e 357/87, G. U. 12 agosto 1987, n. 33; 

legge 6 agosto 1984 n. 425, artt. 1, secondo comma, e 10, secondo comma 
(artt. 3, 24, 25, 36, 70, 97, 102, 103, 107 e 113 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 7 ottobre 
1986, n. 377/87, G. U. 9 settembre 1987, n. 37. 

legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 10, secondo comma (artt. 101, 102 e 103 della 
Costittraione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanze (quattro) 
12 novembre 1986, nn. 210-213/87, G. U. 10 giugno 1987, n. 24. 
Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, ordinanza 12 novembre 
1986, n. 304/87, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 


116 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge reg. Sicilia 10 agosto 1984, n. 46, art. 7 (art. 3 della Costituzione) . 
.Pretore di Caltanissetta, ordinanza 13 gennaio 1987, n. 294, G. U. 5 agosto 1987, 

n. 32. 
legge reg. siciliana 21 agosto 1984, n. 67, art. 1 (artt. 2, 3, 32, primo comma, 
e 25, secondo comma, della Costituzione, e 17 dello statuto speciale. reg. Sicilia). 

Pretore di Avola, ordina�lza 26 giugno 1987, n. 791, G. U. 16 dicembre 1987, 

n. 53. 
legge 24 novembre 1984, n. 798, art. 19 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 23 ottobre 1985, 

n. 298/87, G. U. 5 agosto 1987, n. 32. 
d.l. 6 dicembre 1984; n. 807, artt. 1, quinto comma, e 3, primo comma [conv. in 
legge 4 febbraio 1985, n. 10] (artt. 3 e 21 dellfl Costituzione). 
Tribunale amministrativo region�le del Lazio, ordinanza 18 giugno 1985, 

n. 250/87, G. U. 1� luglio 1987, n. 27. 
legge 22 dicembre 1984, n. 887, art. 10 (artt. 3, 23, e 53 della Costituzione) . 
.Pretore di Bari, ordinanza 29 settembre 1986, n. 153/87, �G. U. 13 maggio 1987, 

n. 20. 
legge 22 dicembre 1984, n. 887, art. 15 ,(artt. 3 e 32 della Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanza 26 agosto 1987, n. 795, G. U. 16 dicembx:_e 1987, 

n. 53. 
legge 28 febbraio 1985, n. 47 (art. 101 della Costituzione). 

Pretore di Bracciano, ordinanza 26 febbraio 1987, n. 227, G. U. 17 giugno 
1987, n. 25. 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 13 e 22 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Castelfiorentino, ordinanza 25 febbraio 1987, n. 251, G. U. 1� luglio 
1987, n. 27. 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. b) (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Teano, ordinanza 31 ottobre 1986, n. 134/87, G. U. 6 maggio 1987, 

n. 
19,. 
Pretore di Teano, ordinanza 14 novembre 1986, n. 141/87, G. U. 6. maggio 
1987, 
n. 19. 
Pretore di Teano, ordinanza 5 marzo 1987, n. 229, G. U. 24 giugno 1987, n. 26. 
Pretore di Teano, ordinanza 24 aprile 1987, n. 572, G. U. 28 ottobre 1987, n. 45. 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 22 (artt. 101 e 112 della Costituzione). 

Pretore di Castelfiorentino, ordinanza 27 maggio 1987, n. 528, G. U. 14 ottobre 
1987, n. 43. 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

.legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 22 (art. 112 della Costituzione). 

Pretore di Avola; ordinanza 6 febbraio 1987, n. 198, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 
Pretore di Avola, ordinanze (due) 13 e 2 febbraio 1987, nn. 285-286, G. U. 
29 luglio 1987, n. 31. 

legge 28 .febbraio 1985, n. 47, art. 22, primo e secondo comma (art. 112 
della Costituzione). 

Pretore di Catania, ordinanza 9 fobbraio 1987, n. 150, G. U. 6 maggio 1987, 

n. 19. , 
Pretore di Avola, ordinanza 19 dicembre 1986, n. 151/87, G. U. 6 maggio 1987, 

n. 19. 
legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. da 31 a 44 (artt. 3 e 128 della Costituzione). 

Pretore di Pietrasanta, ordinanza 29 giugno 1987, n. 412, G. U. 23 settembre 
1987, n. 39. � 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. da 31 a 44 (artt. 3, 77 e 128 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Pietrasanta, ordinanza 29 giugno 1987, n. 551, G. U. 21 ottobre 
1987, n. 44. 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40 (artt. 3 e 25 della Costituzione). 

Pretore di Corleone, ordinanza 8 luglio 1987, n. 735, G. U. 9 dicembre 1987, 

n. 52. 
legge 25 marzo 1985, n. 121, art. 9 (artt. 3, 19, 33 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 11 giugno 1987, n. 638, G. U. 11 novembre 1987, 

n. 47. 
legge reg. Veneto 16 aprile 1985, n. 33, art. 6, punto 3, lett. c) (artt. 25 e 117 
della Costituzione). 

Pretore di Caprino Veronese, ordinanza 12 maggio 1987, n. 395, G. U. 23 settembre 
1987, n. 39. 

dJ. 23 aprile 1985, n. 146, art. 8-quater [conv. in legge 21 giugno 1985, n. 298] 
(art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Sortino, ordinanza 12 ottobre 1987, n. 819, G. U. 23 dicembre 1987, 

n. 54. 
d.I. 23 aprile� 1985, n. 146, art. 8-quater [conv. in legge 21 giugno 1985, n. 298] 
(art. 36 ddla Costituzione). 
Pretore di. Castelfiorentino, ordinanza 25 febbraio 1987, n. 251, G. U. 1� luglio 
1987, n. 27. 


118 
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 17 maggio 1985, n. 210, artt. 21 e 23 (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 10 febbraio 1987, n. 236, G. U. 24 giugno 1987, 

n. 26. 
legge 8 agosto 1985, n. 431, art. 1-sexies (artt. 3, 24, 25 e 112 d�lla Costituzione). 

Pretore di Sal�, ordinanza 9 settembre 1986, n. 257/87, G. U. 8 luglio 1987, 

n. 28. 
legge 9 dicembre 1985, n. 705, art. 10 (artt. 3, 24, 97, 134, 136 e 137 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanze (due) 26 febbraio 
1986, nn. 137 e 138/87, G. U. 6 maggio 1987, n. 19. 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 novembre 1986, 

I

n. 201/87, G. U. 3 giugno 1987, n. 23. 
I 
I
f, 

d.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751 (artt. 3, 19 e 33 della Costituzione). 
I

Tribunale di Milano, ordinanza 11 giugno 1987, n. 638, G. U. 11 novembre 1987, 

n. 
47. 
I

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31 (artt. 2, 3, 35 e 53 della Costituzione). ~ 

!

Pretore di Palmi, ordinanza 2 dicembre 1986, n. 321/87, G. U. 5 agosto 1987, 

f 

n. 32. 
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legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31 (artt. 2, 3, e 53 della Costituzione). f 

i

Pretore di Palmi, ordinanza 16 dicembre 1986, n. 322/87, G. U. 5 agosto 1987, 

I

n. 
32. 
I 

legge 28 febbraio 1986, n. 41; art. 31 (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Palermo, ordinanza 28 marzo 1987, n. 279, G. U. 29 luglio 1987, 

I 

n. 
31. 
Pretore di Palmi, ordinanza 22 dicembre 1986, n. 320/87, G. U. 5 agosto 1987, 
n. 
32. 
legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Vigevano, ordinanze (due) 2 aprile 1987, nn. 283 e 284, G. U. 
29 luglio 1987, n. 31. 

Pretore di Taranto, ordinanza 11 maggio 1987, n. 325, G. U. 5 agosto 1987, 

n. 
32. 
Pretore di Venezia, ordinanza 21 gennaio 1987, n. 331, G. U. 19 agosto 1987, 
n. 
34. 
Pretore di Vigevano, ordinanza 29 maggio 1987, n. 358, G. U. 19 agosto 1987, 
n. 
34. 
Pretore di Brescia, ordinanza 18 maggio 1987, n. 402, G. U. 23 settembre 1987, 
n. 
39. 

PARIB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

Pretore di Bologna, ordinanza 15 settembre 1987, n. 794, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 

Pretore di Bologna, ordinanza 5 ottobre 1987, n. 821, G. U. 23 dicembre 1987, 

n. 54. 
legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31 (artt. 3, 53 e 81, terzo comma, della 
Costituzione). 

Pretore di Messina, ordinanze (tre) 17 marzo 1987, nn. 784-786, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31 (art. 53 della Costituzione). 

Pretore di Taranto, ordinanza 2 marzo 1987, n. 252, G. U. 1� luglio 1987, n. 27. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41,, art. 31 (art. 81 della Costituzione). 

!0

Pretore di Benevento, ordinanza 8 aprile 1987, n. 249, G. U. luglio 1987, 

n. 27. 
legge 28 febbraio 1986, n. 41, artt. 31 e da 8 a 14 (artt. 3, 23 e 53 della 
Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 29 settembre 1986, n. 153/87, G. U. 13 ,maggio 1987, 

n. 20. 
legge 28 febbraio 1986, n. 41, artt. 31, primo, ottavo, nono, tredicesimo, quattordicesimo 
e quindicesimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 18 luglio 1987, n. 707, G. U. 25 novembre 1987, 

n. 49. 
legge 28 febbraio 1986 n. 41, art. 31, primo, ottavo e decimo comma (artt. 3, 
35 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Salerno, ordinanze (due) 31 marzo 1987, nn. 388 e 389, G. U. 
9 settembre 1987, n. 37. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo comma (artt. 3, primo comma, 
e 53 della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanze (quattro) 13 aprile 1987, nn. 724-727, G.. U. 
9 dicembre 1987, n. 52. 
Pretore di Modena, ordinanza 13 aprile 1987, n. 729, G. U. 9 dicemb:re 1987, 

n. 52. 
Pretore di Modena, ordinanze (sette) 13 aprile 1987, nn. 768-774, G. U. 16 dicembre 
1987, n. 53. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo, nono, dech:iJ.o, tredicesimo, quattordicesimo 
e quindicesimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Benevento, ordinanza 8 aprile 1987, n. 249, G. U. 1� l�glio 1987, 

n. 27. 

120 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 28 febbraio 1986 n. 41, art. 31, ottavo, nono e quattordicesimo comma 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di� Venezia, ordinanza 16 gennaio 1987, n. 133, G. U. 6 maggio 1987, 

n. 
19. 
legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo e decimo comma (artt. 3, 35 e 53 
della Costituzione). 

' . 

Pretore di Vicenza, ordinanza 9 maggio 1987, n. 375, G. U. 2 settembre 1987, 

n. 
36. 
legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo e decimo comma (artt. 3, primo 
comma, e 53, primo. comma, della Costituzione): 

Pretore di Modena, ordirianza 21 aprile 1987, n. 728, G. U. 9 dicembre 1987, 

n. 52. 
legge 28 febbraio 1986 n. 41, art. 31, ottavo, decimo, tredicesimo e quattordicesimo 
comma (artt. 3, 31, 36 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Parma, ordinanze (tre) 11 e 13 febbraio 1987, nn. 554-556, G. U. 
21 ottobre 1987, n. 44. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo, decimo, tredicesimo e quattordicesimo 
comma (artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Trapani, ordinanza 13 marzo 1987, n. 174, G. U. 21 maggio 1987, 

n. 
22; 
Pretore di Foggia, ordinanza 7 maggio 1987, n. 391, G. U. 23 settembre 1987, 
n. 
39. 
Pretore di Parma, ordinanza 11 dicembre 1986, n. 392/87, G. U. 23 settembre 
1987,. n. 39. 
Pretore di Pinerolo, ordinanze (due) 5 marzo e 2 aprile 1987, nn. 525 e 527,� 

G. U. 14 ottobre 1987J n. 43. 
legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo, tredicesimo e quattordicesimo 
comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Sondrio, ordinanza 4 febbraio 1987, n. 237, G. U. 24 giugno 1987, 
Il. 26. 
Pretore di Imperia, ordinanze (due) 4 dicembre 1986, nn. 240-241/87, G. U. 
1� luglio 1987, n. 27. 
Pretore di Imperia, ordinanze (due) 8 gennaio 1987, nn. 243-244/87, G. U. 
1� luglio 1987, n. 27. 
Pretore di Imperia, ordinanza 24 marzo 1967, n. 242, G. U. 1� luglio 1987, 

n. 
27. 
Pretore di Sondrio, ordinanza 27 febbraio 1987, n. 609, G. U. 4 novembre 1987, 
n. 
46. 
legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, decimo, tredicesimo e quattordicesimo 
comma (artt. 2, 3, 36 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Verona, ordinanza 4 luglio 1987, n. 767, G. U. 16 dicembre 1987, 
I.1� 53. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, undicesimo comma (�rtt. 3, primo 
comma, e 53, primo comma, della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 13 luglio 1987, n. 775, .G. U. 16 dicembre 1987, 

n. 53. 
d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, artt. 52, quarto comma, e 79, primo comma 
(artt. 3, 25, 53, 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Viterbo, ordinanza 12 febbraio 
1987, n. 219, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 

legge 8 luglio 1986, n. 349, art. 18, secondo comma (artt. 3, 24, 25, 97 e 103 
della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 30 giugno 1987, n. 708, G. il. 25 novembre 1987, 

n. 49. 
legge 8 luglio 1986, n. 349, art. 18, secondo comma (artt. 5 e 103 della 
Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 9 gennaio 1987, n. 221, G. U. 17 giugno.1987, n. 25. 

legge 10 ottobre 1986, n. 663, art. 31 (art. 32 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso tribunale di Asti, ordinanza 6 maggio 1987, n. 522, 

G. U. 21 ottobre 1987, n. 44. 
legge 10 ottobre �1986, n. 663, art. 47, terzo e quarto comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Tribunale di sorveglianza presso la Corte d'appello di Torino, ordinanze 
(due) 27 aprile 1987, nn. 403404, G. U. 23 settembre 1987, n. 39. 
Tribunale di sorveglianza di Torino, ordinanza 18 maggio 1987, n. 796, G. U. 
16 dicembre 1987, n. 53. 

d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, art: 1, ultimo comma [conv. in legge 6 febbraio 
1987, n. 15] . (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 26 giugno 1987, n. 712, G. U. 25 novembre 1987, 

n. 
49. 
Pretore di Rimini, ordinanza 2 luglio 1987, n. 718, G. U. 2 dicembre 1987, n. 51. 
Pretore di Milano, ordinanza 23 ottobre 1987, n. 825, G. U. 23 dicembre 1987, 
n. 54. 
d.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865, art. 3 (art. 3 della Costituzione).�� 
Tribunale di Caltagirone, ordinanza 21 aprile 1987, n. 295, G. U. 5 agosto 1987, 
Il. 32. 

legge 17 dicembre 1986, n. 880, art. U (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Vasto, ordinanze (due) 23 gennaio 
e 19 febbraio 1987, nn:. 223 e 224, G. U. 17 giugno 1987, n. 25. 


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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.I. 3 gennaio 1987, n. 2, artt. 1, quarto e quinto comma, e 2, primo comma, 
lett. b), comma 1-ter, secondo comma, e sesto comma [convertito in legge 
6 marzo 1987, n. 65] (artt. 8, nn. 17 e 20; 9, n. 11; 16, 78 e 80 dello statuto spec. 
per il Trentino-Alto Adige). 
Provincia aut. di Trento, ricorso 9 aprile 1987, n. 10, G. V. 6 maggio 1987, 

n. 19. 
legge reg. Lombardia approvata il 29 gennaio 1987 e riapprovata il 5 marzo 
1987 (art. 97 della Costituzione). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 10 aprile 1987, n. 12, G. U. 6 maggio 
1987, n. 19. 

legge 6 febbraio 1987, n. 15, art. 1 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Albano Laziale, ordinanza 22 agosto 1987, n. 710, G. V. 25 novembre 
1987, n. 49. 

legge 3 marzo 1987, n. 59 in toto, e in particolare, artt. 7, primo, quarto e 
ottavo comma (artt. 2, 3, terzo comma, 8 (nn. 3, 4, 5, 6, 7, 13, 14, 15, 16, 21, 24), 
16, primo comma dello statuto reg. Trentino-Alto Adige). 

Provincia aut. di Bolzano, ricorso 9 aprile 1987, n. 11, G. U. 6 maggio 1987, 

n. 19. 
legge 3 marzo 1987, n. 59, arti. 7, primo e quarto comma, e 8 (artt. 8, nn. 3, 
5, 6, 13, 16 e 21, 9, n. 10, 16 e 52 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige). 

Provincia aut. di Trento, ricorso 13 aprile 1987, n. 13, G. U. 6 maggio 1987, n. 19. 

legge 3 marzo 1987, n. 61, art. 1, tredicesimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Pavia, ordinanza 16 ottobre 1987, n. 787, G. U. 16 dicembre 1987, 

n. 53. 
d.P.R. 21 marzo 1987, n. 97, art. 5, teEzo e quarto comma (artt. 117, 118 e 119 
della Costituzione). 
Regione Liguria, ricorso 27 aprile 1987, n. 16, G. U. 10 giugno 1987, n. 24. 

legge approv. dall'assemblea regionale siciliana il 9 aprile 1987, artt. 2, 3, 5, 
sub 5, �e 7, sub 2 (art. 97 della Costituzione e 17, lett. b), dello statuto reg. 
Sicilia). 

Commissario dello Stato per la reg. Sicilia, ricorso 24 aprile 1987, n. 15, G. U. 
13 maggio 1987, n. 20. 

d.P.R. 13 aprile 1987, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Salerno, ordinanza 30 settembre 1987, n. 827, G. U. 23 dicembre 
1987, n. 54. 

d.l. 25 maggio 1987, n. 206, art. 2 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Pretore di Fiorenzuola d'Arda, ordinanza 24 luglio 1987, n. 829, G. V. 23 dicembre 
1987, n. 54. 

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PARTE II, RASSEGNA DI U!GISLAZIONJ! 

d.l. 20 luglio 1987, n. 285, art.� 6 (artt. 4, nn. 12 e 9; 5, n. 4, e 60 dello statuto 
reg. Friuli-Venezia Giulia) 
Regione Friuli-Venezia Giulia, ricorso 18 agosto 1987, n.. 17, G. U. 9 settembre 
1987, n. 37. 

dJ. 4 agosto 1987, n. 326, artt. 2, quarto comma, e 3, primo comma [conv. in 
legge 3 ottobre 1987, n. 403] (artt. 14, lett. q); 17, lett. i); 19 e 36 dello statuto 
siciliano). 

Presidente regione siciliana, ricorso 10 novembre 1987, n. 22, G. U. 2 dicembre 
1987, n. 51. 

d.l. 4 settembre 1987, n. 367, art. 12 (artt. 97, 117 e 118 della Costituzione). 
~egione Campania, ricorso 12 ottobre 1987, n. 18, G. U. 28 ottobre 1987, n. 45. 

d.I. 4 settembre 1987, n. 367, art. 12 (artt. 117, 119, 9 e 77 della Costituzione). 
Regione Umbria, ricorso 14 ottobre 1987, n. 19, G. U. 28 ottobre 1987, n. 45. 
Regione Toscana, ricorso 14 ottobre 1977, n. 20, G. U. 28 ottobre 1987, n. 45. 

legge approvata � dal'assemblea regionale siciliana il 22 ottobre 1987, artt. 2, 
lett. a), 3, primo comma, 4, primo comma, 6, secondo comma, e 7, secondo 
comma (art. 17, lett. e) dello statuto speciale). 

Regione siciliana, ricorso 7 novembre 1987, n. 21, G. U. 2 dicembre'1987, n. 51. 

dJ. 7 novembre 1987 n. 458, art. 12 (artt. 117, 119, 9 e 77 della Costituzione). 

Regione Toscana, ricorso 11 dicembre 1987, n. 23, G. U. 30 dicembre 1987, 

n. 55.