ANNO XXXVII -N. 4-5 LUGLIO -OTTOBRE 1985 

RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO . 

ROMA 1985 



ABBONAMENTI ANNO 1985 

ANNO. � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � L. 33.350 
UN NUMERO SEPARATO ������ , ��������� � � �� � � � � � 6.100 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 
ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza O. Verdi, 1 O -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 


Stampato in Italia -Printe� in Ital, 
Autorlnaslone Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 lualio 1966 


(7219072) Roma, 1985 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura de//'
avv. Franco Favara) pag. 521 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNA� 
ZIONALE (a cura de/l'avv. Oscar Fiumara) � 548 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDI� 
ZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio Cingolo) li 576 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati 
Paolo Cosentino e Anna Cenerini) , 596 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura de� 
gli avvocati Raffaele Tamiozzo e G. P. Polizzi) � 618 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato 
Carlo Bafile) , 649 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) > 669 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) > 678 
Parte seconda: QUESTIONI � RASSEGNA DI DOTTRINA 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE � INDICE BIBLIOGRAFICO 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , 137 
La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 


CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 

Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Carlo BAFILE, L'Aquila; Raffaele 
CANANZI, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; 
Francesco ARGAN, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, 

Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

C. BAFILE, Nuovi orizzonti per il processo tributario? ..... . I, 660 
A. 
CENERINI, Art. 22 legge 11/1971 Applicabilit� alle concessioni dei 
beni demaniali . . . . . . . I, 601 
G. 
D'ELIA, L'obiezione di coscienza ed i poteri della commissione di 
cui alla legge 7721972: un problema irrisolto . . . . . . . . . I, 618 
M. 
STEIN, Note sulla 1�evocabilit� dei provvedimenti pretorili di urgenza 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 612 

PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Mancata 
correzione di acconti alla scadenza 
-Sospensione dei lavori da 
parte dell'impresa -Legittimit�, 671. 

ASSICURAZIONE 

-Assicurazione r.c.a. -Azione diretta 
del danneggiato -Pregiudizio prodotto 
dal ritardo nell'adempimento 
della prestazione da parte dell'assicuratore 
-Risarcibilit� -Limiti del 
massimale -Irrilevanza, 606. 

COMMERCIO 

-Disciplina di esso -Vendita in farmacia 
di zoccoli anatomici -Condizioni, 
con nota di V. NUNZIATA, 596. 

COMPETENZA. E GIURISDIZIONE 

-Cinematografia -Ammissione alla 
programmazione obbligatoria -Diritti 
ai contributi -Annullamento Degradazione 
a interessi legittimi Lesione 
-Giurisdizione amministrativa, 
576. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Agricoltura -Associazioni di produttori 
agricoli -Normativa regionale 
di attuazione -Contrasti con il 
diritto comunitario -Insussistenza, 

548. 
-Agricoltura -Associazioni di produttori 
agricoli -Normativa regionale e 
provinciale di attuazione -Mancanza 
in una parte del territorio nazionale, 
548. 
-Agricoltura -Associazioni di produttori 
agricoli -Requisiti per il riconoscimento 
e per la revoca di 
esso -Legislazione nazionale e regionale 
di attuazione -Limiti, 548. 

-Agricoltura -Mercato dei cereali Importazioni 
via mare in Italia Agevolazioni 
temporanee -Requisiti, 
566. 

-Libera circolazione delle merci Transito 
comunitario -Regime di 
libera pratica, 566. 

-Ravvicinamento delle legislazioni Appalti 
di lavori pubblici -Procedure 
di applicazione, 557. 

-Unione doganale -Regime fiscale discriminatorio 
-IVA -Vini spuman' 
ti,. 571. 

CONTABILITA. PUBBLICA 

-Contratti della pubblica ammm1strazione 
-Forniture -Revisione dei 
prezzi -Previsione in contratto Diritto 
soggettivo alla revisione, 669. 

CORTE COSTITUZIONALE. 

-Regolamenti parlamentari -Insilldacabilit�, 
524. 

COSA GIURIDICA PENALE 

--Effetti -Inammissibilit� di un secondo 
giudizio ( � ne bis in idem �) Fatto 
compatibile con quello giudicato 
in precedenza -Concorso materiale 
-Sussistenza, 678. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Relazione di stima -Notifica dell'avvenuto 
deposito -Non � prevista Legittimit� 
costituzionale, 533. 

FORZE ARMATE 

-Servizio militare -Obiezione di coscienza 
-Natura giuridica -Ammissione 
ad un beneficio e non automatico 
riconoscimento di un diritto, 
con nota di G. D'ELIA, 618. 

. . 

1

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INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

-Servizio militare -Obiezione di coscienza 
-Procedimento per l'ammissione 
al beneficio -Domanda -Onere 
di illustrazione dei motivi a carico 
dell'obiettore -Non sussiste, 
con nota di G. D'ELIA, 618. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Concessione per i servizi di assistenza 
a terra del traffico aereo 
(handling) negli aeroporti di Linate 
e della Malpensa -Tariffe della societ� 
concessionaria -Previa approvazione 
del Ministero dei Trasporti Portata 
-Atti di rifiuto o di ritardo 
in relazione a richiesta di adeguamenti 
tariffari -Annullamento per 
illegittimit� da parte del giudice 
amministrativo -Risarcimento del 
danno -Giudice ordinario, con nota 
di G. PALMIERI, 585. 

-Impiego pubblico -Associazioni sindacali 
-Diritti sindacali -Tutela Repressione 
della condotta antisindacale 
-Distinzione -Diritti sindacali 
esclusivi del sindacato -Giurisdizione 
ordinaria -Diritti sindacali 
connessi a posizioni di pubblico 
impiego -Giurisdizione am� 
ministrativa esclusiva, 592. 

-Provvedimenti di urgenza � Controversie 
di competenza dell'a.g.o. -Revoca 
-Giudizio di merito -Ammissibilit�, 
con nota di M. STEIN, 612. 

-Provvedimenti di urgenza -Revoca Ammissibilit� 
da parte del giudice 
di merito, con nota di M. STEIN, 

612. 
GIUSTIZIA AMIINISTRA TIVA 

-Appello incidentale -Termine -Riproposizione 
dei motivi del ricorso 
-Ammissibilit�, 633. 

-Giudicato -Ricorso per l'esecuzione 
-Credito del dipendente pubblico 
-Domanda di rivalutazione Ammissibilit� 
-Rimessione all'Adunanza 
plenaria, 631. 

-Giurisdizione esclusiva -Controversie 
in materia di pubblico impiego 
� Provvedimenti cautelari provvisori 
e d'urgenza, 531. 

IMPUGNAZIONI PENALI 

-Sentenza che dichiara causa estintiva 
del reato -Improponibilit� in 

cassazione di difetto di motivazione 
anche ai fini ' dell'applicazione dell'art. 
152, cod. proc. pen., 678. 

LAVORO 

-Appello -Documenti non prodotti 
in primo grado � Ammissibilit�, 6fY7. 

-Sciopero -Diritto costituzionalmente 
protetto � Mancanza di leggi ordinarie 
regolatrici � Suo esercizio Limiti 
inerenti alla categoria � Ordinanza 
di urgente necessit� -Am� 
missibilit�, con nota di E. SERNICOLA, 

640. 
PATRIMONIO DELLO STATO E DEGLI 
ENTI PUBBLICI 

-Beni indisponibili -Fondi rustici Concessione 
amministrativa -Proroga 
del contratto ex lege 11 febbraio 
1971, n. 11 -Non si applica, con nota 
di A. CENERINI, 601. 

-Beni indisponibili � Utilizzazione da 
parte di privati -Atto di concessione 
-Necessit�, con nota di A. 
CENERINI, 600. 

PENA 

-Gioco d'azzardo -Case da gioco Principio 
di eguaglianza -Non � leso, 
521. 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI 

-Televisone -Ripetitori di emittenti 
estere -Obbligo di eliminare i messaggi 
pubblicitari -Illegittimit� costituzionale, 
539. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

-Cassazione civile -Notifica del ricorso 
-Rinnovazione per iniziativa 
di parte -Sanatoria con effetto � ex 
tunc �, con nota di C. BAFILE, 659. 

PROCEDIMENTO PENALE 

-Dibattimento -Pubblico Ministero � 
Omissione di conclusioni nei confronti 
dell'imputato -Nullit� sanabile 
ex art. 471 cod. proc. pen., 

678. 

VllI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

REATO 

-Delitto di cui all'art. 476 cod. pen. Certificati 
di provenienza emessi da 
privato esercente deposito libero di 
olio minerale per uso commerciale Sono 
atti pubblici, 678. 
-Delitto di concussione -"Metus publicae 
potestatis � -Contenuto, 682. 

-Delitto di corruzione per atio contrario 
ai doveri di ufficio -Individuazione 
dell'atto, 682. 

-Delitto di corn1zione per atto contrario 
ai doveri di ufficio -Premessa 
o ricezione dell'utilit� non seguita 
dall'atto che il p. u. si � impegnato a 
compiere -Sussistenza del reato, 682. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Accertamento -Motivazione -Requisiti 
-Spettanza di agevolazioni Art. 
15 legge 6 agosto 1967, n. 765 Motivazione 
�per relationem � -Legittimit�, 
con nota di C. BAFILE, 

659. 
-Ilor -Rilevanza delle risultanze catastali 
-Voltura richiesta e non eseguita 
per disfunzione del catasto Non 
determinano illegittimit� costituzionale, 
535. 
-Imposta sul reddito delle persone 
giuridiche -Enti commerciali e non Consorzio 
di garanzia fidi senza fine 
di lucro -Non � ente commerciale, 

650. 
-Riscossione -Cartella dei pagamenti 
-Requisiti -Omessa indicazione 
dell'imponibile 'e dell'aliquota -Nullit�, 
657. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro -Consolidazione 
di usufrutto -Costituzione in epoca 
anteriore alla riforma e riunione 
in epoca successiva -E' dovuta la 
imposta di consolidazione secondo 
le norme abrogate, 653. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Contenzioso tributario -Appello Presentazione 
del ricorso -Irregolare 
notifica -Effetti, 649. 

-Contenzioso tributario -Oggetto del 
processo -Accertamento -Difetto di 
motivazione -Dichiarazione di nullit�, 
con nota di C. BAFILE, 659. 

URBANISTICA 

-Edilizia -Enel -Costruzione di oleodotto 
-Difetto di concessione -Sospensione 
dei lavori -Illegittimit�, 

633. 
-Localizzazione -Assenza di previo 
contraddittorio con i soggetti interessati 
-Legittimit� costituzionale, 

545. 

INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

23 maggio 1985, n. 152 . . 
23 maggio 1985, n. 154 . . 

28 giugno 1985, n. 
17 ottobre 1985, n. 
17 ottobre 1985, n. 
17 ottobre 1985, n. 
25 ottobre 1985, n. 

190. 


226. 
229 (in cam. cons.) . 


231 . 
234 .......... 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 


Sed. plen., 28 marzo 1985, �nella causa 272/83 . 
Sed. plen., 28 marzo 1985, nella causa 274/83 . 
Sez. I, 20 giugno 1985, nella causa 69/84 . 
Sed. plen., 11 luglio 1985, nella causa 278/83 .. 


GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. Un., 18 ottobre 1984, n. 5247 . 

Sez. III, 1� febbraio 1985, 
Sez. I, 5 febbraio 1985, n. 
Sez. I, 5 febbraio 1985, n. 
Sez. I, 5 febbraio 1985, n. 

Sez. I, 27 febbraio 1985, 
Sez. I, 23 marzo 1985, n. 
Sez. III, 5 luglio 1985, n. 
Sez. Un., 16 luglio 1985, 
Sez. Un., 16 luglio 1985, 

n. 

n. 660. 

774 . 
778 .. 

786 . . 
1703 . 

2085 . . 
4064 .. 

n. 4151 . 

n. 4154 . 

Sez. Lavoro, 20 luglio 1985, n. 4306 . 
Sez. Un., 26 luglio 1985, n. 4350 . 
Sez. I, 24 ottobre 1985, n. 5232 . . . 

TRIBUNALE DI TORINO 

Sez. VI, 1� agosto 1985, ordinanza del G.I. 
Sez. VI, 1� agosto 1985, ordinanza del G.I. 

Pag. 521 
� 524 
� 531 
)) 533 
� 535 
� 539 
)) 545 

Pag. 548 
� 557 
)) 566 
� 571 

Pag. 576 
� 600 
� 649 
� 650 
)) 653 
� 657 
� 659 
� 606 
)) 585 
� 592 
� 607 
� 669 
� 671 

Pag. 612 
� 612 


X RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 
CONSIGLIO DI STATO 
Ad. Plen., 25 maggio 1985, n. 16 ...... . Pag. 618 
"
X RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 
CONSIGLIO DI STATO 
Ad. Plen., 25 maggio 1985, n. 16 ...... . Pag. 618 
"
Sez. IV, 27 maggio 1985, n. 212 (ordinanza) . 631 
Sez. VI, 13 maggio 1985, n. 197 . . � 633 
Sez. VI, 21 ottobre 1985, n. 520 . . . . . . � 640 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

Sez. III penale, 24 maggio 1985, n. 5103 . Pag. 678 
Sez. VI, 29 ottobre 1985, n. 9998 . . . . . � 682 



PARTE SECONDA 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
Questioni di legittimit� costituzionale 
I -Norme dichiarate incostituzionali 
II -Questioni dichiarate non fondate 
III -Questioni proposte . . . . . . . 
Pag. 
� 
� 
137 
138 
140 


PARTE PRIMA 



I 
~: 
I 




GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 maggio 1985, n. 152 -Pres. e Rel. Elia 
Comune di Sanremo e Vento Osvaldo (avv. Gallo, Ukmar e Guidi), 
Comune di Anzio (avv. D'Amelio), S.I.T.A.V. (avv. Lubrano) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (vice avv. ~en. Stato Azzariti). 

Pena � Gioco d'azzardo -Case da gioco � Principio di eguaglianza � Non � 
leso. 

(Cost., art. 3; l. 3 novembre 1954, n. 1042; l. 20 novembre 1955, n. 1179; l. 18 fehh~;>in 
1963, n. 67; l. 6 dicembre 1971, n. 1065 e l. 26 novembre 1981, n. 690). 

La circostanza che condizioni analoghe a quelle in passato considerate 
per autorizzare l'apertura, in deroga a norme penali, di una casa 
da giuoco siano presenti anche in altri comuni o regioni, di per s� non 
concreta lesione dell'art. 3 Cast. n� pu� giustificare estensioni della deroga. 
Peraltro, appare necessario pervenire, in tempi ragionevoli, ad una 
legislazione organica che razionalizzi l'intero settqre. 

(omissis) Le ordinanze del Giudice conciliatore di Sorrento, del Pretore 
di Sanremo e del Pretore di Aosta, pur nella differenza dei parametri 
di legittimit� costituzionale evocati, sollevano questioni analoghe 
in ordine alle normative di deroga nei confronti degli artt. 718-722 cod. 
pen. ed hanno altres� in comune il riferimento all'art. 3 Cost. come disposizione 
che si asserisce violata dalle normative stesse. (omissis) 

Non si pu� negare che l'ordinanza del Pretore di Aosta risulti nel suo. 
complesso alquanto disarmonica: perch� da un lato il giudice a quo 
contesta nella motivazione, in dissenso dalle Sezioni unite penali della 
Cassazione, la efficacia derogatoria -rispetto agli �artt. 718 e segg. cod. 
pen. -di precedenti leggi statali; dall'altro conclude per una censura 
di costituzionalit� riferita soltanto all'art. 3 Cost. (per il carattere arbitrai;
iamente privilegiato della deroga). Ma � evidente che i termini in 
cui la questione di legittimit� costituzionale � sollevata presuppongono 
che l'effetto derogatorio rispetto agli artt. 718 e segg. cod. pen. si sia 
pur prodotto, .lamentandosi anzi che i suoi benefici, a parit� di condizioni, 
non siano stati equamente distribuiti su tutto il territorio nazionale. 
Tuttavia tale squilibrio non produce l'inammissibilit� della questione, 
perch� preminente �� 1a considerazione del dispositivo dell'ordinanza e 
del suo collegamento con la parte motiva cui corrisponde, potendosi 
il resto considerare un mero obiter dictum. 



522 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 522 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Del resto, il presupposto implicito da cui muove la questione sollevata 
(e cio� l'essersi prodotto l'effetto derogatorio della normativa penale 
a favore dell'esercizio del gioco d'azzardo nel casin� valdostano) 
sembra difficilmente contestabile alla luce della giurisprudenza ormai 
dominante ed in particolare di quella della Cassazione. Chiarissime e 
ripetute sono le prese di posizione in questo senso, anche da parte delle 
Sezioni unite civili, in ordine all'esercizio del gioco d'azzardo nelle 
case da gioco di Sanremo, di Campione e di Venezia. Si � invero ritenuto 
ab initio che la deroga era stata prodotta dalle norme di legge, sia pur 
generiche, le quali, come quella del r.d.l. 22 dicembre 1927, n. 2448, avevano 
dato facolt� al Ministro dell'interno di �autorizzare, anche in deroga 
alle leggi vigenti, purch� senza aggravio per il bilancio dello Stato, il 
Comune di Sanremo ad adottare tutti i provvedimenti necessari per poter 
addivenire all'assestamento del proprio bilancio e all'esecuzione 
delle opere pubbliche indilazionabili >>. I lavori preparatori, specie quelli 
del Senato del Regno e la circostanza che la conversione in legge del 
decreto (legge 27 dicembre 1928, n. 3125) era avvenuta quando la casa 
da gioco di Sanremo era gi� stata aperta, attribuiscono alla facolt� conferita 
al Ministro dell'interno un significato univoco, mentre l'autorizzazione 
ministeriale doveva considerarsi la condizione alla quale la legge 
subordinava l'operativit� della deroga da essa prodotta. L'effetto derogatorio, 
rendendo non applicabili i divieti contenuti negli artt. 718-722 cod. 
pen., esclude che i proventi del gioco possano considerarsi prodotto o 
profitto del reato. 

La ricostruzione accolta nella giurisprudenza comporta pure che le 
disposizioni legislative facoltizzanti l'apertura delle case da gioco non possano 
ricomprendersi nello schema della legge di delegazione (evitandosi 
cos� il contrasto con l'art. 76 Cast.) e che esse non violino la riserva 
di legge penale (di cui all'art. 25, secondo comma, Cast.). 

Alle stesse conclusioni le Sezioni unite penali sono giunte anche per 
il Casin� di Saint Vincent, malgrado la sua apertura sia stata disposta 
in base ad un decreto del Presidente della Giunta regionale sicuramente 
illegittimo. Ora, anche se non si accettasse, in relazione ai dubbi espresi 
dalle Sezioni unite civili, la ricostruzione secondo la quale fin dal 
1949 i provvedimenti legislativi statali recanti contributi alla Valle d'Aosta 
comportavano il riconoscimento della non punibilit� della tenuta 
della_ casa da gioco (i cui proventi figuravano inclusi nei bilanci regionali), 
si deve ammettere che ad analogo risultato conduce l'art. 2, lett. a) 
della legge 6 dicembre 1971, n. 1065 (Revisione dell'ordinamento finanziario 
della Regione Valle d'Aosta), allorch� dispone che la Regione stessa provvede 
al suo fabbisogno finanziario con le entrate tributarie costituite altres� 
� da altre consimili entrate d� diritto pubblico, comunque denominate, 
derivanti da concessioni ed appalti �. Infatti i lavori preparatori 
chiariscono come con quest'ultima espressione si intendesse fare riferimento 
proprio alle entrate derivanti dagli utili della casa da gioco. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

� evidente che tali proventi non possono nello stesso tempo costituire 
prodotto o profitto di reato e insieme entrate di diritto pubblico: 
e ci� in base al carattere di unit� e di coerenza del nostro ordinamento 
giuridico. Si potrebbe contestare l'operativit� in senso derogatorio 
della disposizione predetta: ma anche per essa deve ritenersi valida 
l'affermazione della Cassazione civile, secondo cui, se solo una legge 
dello Stato pu� derogare al diritto penale vigente, tale effetto pu� essere 
conseguito anche da una legge � non emessa espressamente ad hoc, purch� 
contenga disposizioni incompatibili con il divieto penalmente sanzionato 
�. Si pu� inoltre rammentare che per le disposizioni penali in generale 
o per quelle specifiche in tema di gioco d'azzardo (artt. 718-722 cod. 
pen.) fa difetto un divieto di abrogazione o modifica tacita, quale quello 
gi� contenuto nel comma secondo dell'art. 1 legge 7 gennaio 1929, n. 4 
(Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie). 


In realt�, sia i provvedimenti legislativi che dettero luogo all'apertura 
delle case da gioco di Sanremo, di Campione e di Venezia sia le 
leggi 6 dicembre 1971, n. 1065 e 26 novembre 1981, n. 690 (in tema di ordinamento 
finanziario della Valle d'Aosta) offrono il fianco alla critica 
per le formule a dir poco reticenti cui tutte fanno ricorso: ma tali 
censure, se pongono in evidenza Ie non corrette formulazioni adottate 
dal legislatore, non valgono a escludere la natura e la efficacia derogatoria 
delle disposizioni richiamate. 

Talune di queste ultime, d'altra parte, sono impugnate del tutto 
fuori luogo perch� esse nulla dispongono, nemmeno indirettamente, a 
proposito del Casin� di Saint Vincent (legge 3 novembre 1954, n. 1042; 
legge 18 febbraio 1963, n. 67 e legge 6 dicembre 1971, n. 1065). A sua 
volta la prima legge sull'ordinamento finanziario della Valle d'Aosta (legge 
25 novembre 1955, n. 1179) contiene proposizioni meno significative di 
quelle formulate nell'art. 2 a) e nell'art. 1 a) rispettivamente delle leggi 
6 dicembre 1971, n. 1065 e 26 novembre 1981, n. 690. 

Quanto alla questione di legittimit� costituzionale sollevata dal Pretore 
di Aosta (in relazione all'art. 3 Cast.), a proposito di una serie di 
leggi statali che conterrebbero legittimazione � implicita� della casa da 
gioco di Saint Vincent, essa deve ritenersi non fondata. 

In realt� non mancano per ciascuna deroga disposta dal legislatore 
ragioni giustificative della sottrazione di ipotesi di specie alla disciplina 
della ipotesi di genere: accanto a quella pi� generale di disincentivare 
l'afflusso di cittadini italiani a case da gioco aperte in Stati confinanti 
nelle zone prossime alla frontiera, si pone quella pi� particolare 
di sovvenire alle finanze di comuni o regioni ritenute dal legislatore 
particolarmente qualificate dal punto di vista turistico, e dalla situazione 
di dissesto finanziario. La circostanza che altri .comuni o regioni 
si trovino o potrebbero trovarsi in condizioni analoghe a quelle dei 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

524 

comuni o della regione a statuto speciale finora considerati dal legislatore 
non concreta di per s� sola e hic et nunc lesione dell'art. 3 Cost. 
E ci� tanto pi� in quanto dalla lamentata circostanza (cio� dalla censurata 
omissione del legislatore) non possono trarsi conseguenze di automatica 
estensione. 

Peraltro questa Corte, mentre � messa in grado di esaminare per 
la prima volta profili di legittimit� costituzionale che riguardano le 
case da gioco aperte nel nostro Paese, non pu� e$imersi dal rilevare che 
la situazione normativa formatasi a partire dal 1927 � contrassegnata 
da un massimo di disorganicit�: sia del tipo di interventi cui � condizionata 
la apertura delle case (legge o legge seguita da autorizzazione 
del Ministero dell'interno), sia per la diversit� dei criteri seguiti (situazione 
di frontiere per Sanremo e Campione, situazione non di frontiera 
per Venezia), sia infine per i modi disparati con i quali vengono utilizzati 
i proventi acquisiti nell!esercizio del gioco nei casin�. La disorganicit� 
risulta accentuata dalla recentissima legge 11 dicembre 1984, n. 848, il 
cui art. 25 � cos� formulato: �Le disposizioni di cui agli artt. da 718 
a 722 del codice penale e dell'art. 110 del testo unico di Pubblica Sicurezza 
approvato con r.d. 13 giugno 1931, n. 773, non si applicano ai fatti 
commessi a bordo. delle navi adibite a crociera durante il periodo 
di navigazione oltre lo Stretto di Gibilterra e il Canale di Suez �. 

Si impone dunque la necessit� di una legislazione organica che razionalizzi 
l'intero settore, precisando tra. l'altro i possibili modi di intervento 
delle regioni e degli altri enti locali nonch� i tipi e criteri di 
gestione delle case da gioco autorizzate, realizzando altres�, in tema 
di distribuzione dei proventi, quella perequazione di cui la legge 31 ottobre 
1973, n. 637, sulla destinazione degli utili della casa da gioco di 
Campione, pu� essere considerata solo un primo passo. 

Queste esigenze di organica previsione normativa su scala nazionale 

(le quali si fanno valere soltanto nell'ipotesi che il legislatore voglia 

mantenere le deroghe agli artt. 718-722 cod. pen.), vanno soddisfatte in 

tempi ragionevoli, per superare le insufficienze e disarmonie delle quali 

si � detto. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 maggio 1985, n. 154 � Pres. Elia � Rel. 
Ferrari � Russi (avv. Sorrentino), Muscariello (avv. Scoca), nonch� 
Senato della Repubblica, Camera dei Deputati e Presidente Consiglio 
dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Corte costituzionale � Regolamenti parlamentari � Insindacabilit�. 

(Cast. artt. 24, 101, 108 e 113; regolamento del Senato della Repubblica, artt. 12 e 13; 
regolamento della Camera dei Deputati, artt. 12 e 13). 

La riserva costituzionale di competenza regolamentare delle Camere 
del Parlamento rientra tra le guarentig�e disposte dalla Costituzione per 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 525 

assicurare l'indipendenza dell'organo sovrano da ogni potere; i regolamenti 
parlamentari non sono pertanto sindacabili dal Giudice costituzionale, 
.persino laddove -attribuendo alle Camere l'autodichia -escludono 

la tutela giurisdizionale (1). 

(omissis) La questione sottoposta al vaglio di questa Corte nasce 

da tre ordinanze, emesse dalle Sezioni unite civili della Corte di Cas


sazione nel corso di giudizi per regolamento preventivo di giurisdizione, 

che erano stati promossi, il primo davanti a1 Tribunale di Roma, sezione 

lavoro, il secondo davanti al Pretore di Roma quale giudice del lavoro, 

il terzo davanti al Tribunale amministrativo regionale del. Lazio. Con 

tali ordinanze, le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno denun


ciato l'illegittimit� costituzionale dell'art. 12.1 del regolamento del Se


nato della Repubblica, dell'art. 12.3 del regolamento della Camera dei 

Deputati � e comunque della norma attributiva dell'autodichia � ad en


trambi i predetti organi parlamentari, per contrasto con gli artt. 24, 

113, 101, secondo comma, e 108, primo e secondo comma, Cost. (omissis) 

Le ordinanze esordiscono con le affermazioni: che �la norma invo


cata � dalla difesa delle Camere -quella, cio�, attributiva dell'autodichia 

a queste -� in realt�, esiste �; che essa � desumibile, gi� dai regola


menti parlamentari in vigore (art. 12), ma anche dalle disposizioni rego 

lamentari previgenti; che � � comunque desunta, per costante tradizione 

interpretativa... dal sistema delle disposizioni di legge in tema di tutela 

giurisdizionale come limitazione posta alla portata generale di tali dispo


sizioni -nel senso dell'esclusione di qualsiasi giudice o dell'introduzione 

di un giudice speciale -a garanzia delle Camere in riferimento alla posi


zione di queste "� Premesso, poi, che � dall'applicazione della norma non 

pu� prescindersi ai fini del regolamento di giurisdizione... il cui oggetto 

� stabilire se vi sia un giudice e quale esso sia � e che dei due orienta


menti interpretativi Ǐ da preferire� quello che �accorda un giudice, 

anche se questo non sembra avere i requisiti voluti dalla Costituzione�, 

si legge nelle ordinanze che � la nonna fa nascere dubbi c:i'rca la sua 

compatibilit� con fondamentali precetti della Costituzione relativi alla 

tutela giurisdizionale �. Viene successivamente affrontato il problema � se 

una norma quale quella suindicata... sia riconducibile agli atti aventi forza 

di legge, cui si riferisce l'art. 134 Cost. �; ed il problema � risolto afferma


tivamente per una triplice considerazione: in tal senso sarebbe la dottrina 

prevalente; l'assimilabilit� sarebbe ancor pi� evidente per la parte in cui 

�i regolamenti parlamentari... regolino rapporti fra Camere e terzi�; 

nessun dubbio sussisterebbe sulla loro sindacabilit�, � se la norma pi� 

(1) Logicamente antecedente al problema esaminato nella motivazione della 
sentenza era forse il problema dei limiti della riserva di regolamento parlamentare. 
In uno Stato democratico e � di diritto � le procedure sono essenziali. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

correttamente, ed in conformit� con la costante tradizione interpretativa 
richiamata all'inizio sia tratta dal sistema delle disposizioni di legge in 
tema di tutela giurisdizionale nel senso ... della attribuzione di una giurisdizione 
speciale dell'organo costituzionale �. Ed al riguardo si precisa che 
l'insistito �richiamo alla costante tradizione interpretativa non importa 
ritenere che la norma trovi la sua fonte in una consuetudine costituzionale
� di cui difetterebbero i requisiti. 

Alla luce poi degli artt. 24 e 113 Cost. -argomentano ulteriormente 
le ordinanze -non sarebbe sostenibile che �non di limitatezza delle 
cennate norme si tratti, bens� di una mera lacuna della normazione 
attuativa di esse, con la conseguenza che la tutela giurisdizionale non 
sarebbe positivamente esclusa, ma solo, allo stato, in concreto non realizzabile 
per mancanza di adeguata strumentazione�. �Va altres� ribadito 
� -prosegue iI giudice a quo -� che delle due interpretazioni dianzi 
indicate come sostenibili, � preferibile la seconda� (quella che accorda 
un giudice) alla prima (che nega ogni giudice), giacch� questa �sembra 
suscettiva di offendere anche pi� gravemente gli artt. 24 e 113 Cost. �, 
mentre quella �sembra suscettiva di offendere (soltanto) le garanzie di 
seriet� ed effettivit� di tutela� sotto i profili dell'indipendenza-terziet�, 
dell'indipendenza-imparzialit� e della difesa e del contraddittorio, soggiungendosi 
che il �modo in cui l'autodichia viene attualmente in concreto 
strumentata ed esercitata� -cio�, mediante il Consiglio di Presidenza, 
che esercita anche la potest� regolamentare ed amministrativa -non 
vale ad � attenuare � le sospette lesioni. E non potendosi l'indagine esaurire 
-cos� ancora il giudice a quo -nelle ovvie considerazioni: � che 
l'esclusione della tutela giurisdizionale... � proprio quanto gli artt. 24 
e 113 sono diretti ad evitare�; che �non � soggetto soltanto alla legge 
il giudice che decide in causa propria�; �che il Senato decide in causa 
propria '" allora � il punto essenziale � se la norma in argomento non 
trovi una giustificazione... nell'indipendenza degli organi costituzionali �, 
cio� nel � principio cos� detto della divisione dei poteri >>, ovvero se 
gli atti di autodichia siano �riconducibili all'esercizio di un potere di 
autoorganizzazione incidente, in definitiva, sul modo intrinseco di essere 
dell'organo costituzionale �. Ad entrambi i quesiti viene data risposta negativa. 
Ammesso pure -si dice nelle ordinanze ~ che il principio della 
divisione dei poteri sia accolto nella nostra Costituzione, � rappresenta 
una forzatura postulare l'assolu.ta indipendenza di ciascun organo anche 
per gli atti non rientranti concettualmente e sostanzialmente nella sua 
funzione primaria �. � Nell'attuale ordinamento costituzionale � si sarebbe 
imposta l'esigenza �di reciproco controllo proprio per quel che concerne 
le funzioni primarie � -come appunto nella funzione di indirizzo politico 
-, sicch� � non vi � ragione di ritenere che l'assetto medesimo importi 
l'esclusione del sindacato giurisdizionale sull'esercizio delle funzioni 
accessorie�, tanto pi� che, maggiormente che per il passato, �la tutela giu



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

risdizionale (�) considerata ormai quale principio cardine�, le cui eccezioni 
�vanno puntualmente giustificate�. E deve da ultimo �negarsi 
che qui venga in considerazione un potere di autoorgamzzaz1one �, essendo 
certo che un'istituzione �non esercita tale potere quando dispone 
delle situazioni dei propri dipendenti, cio� di soggetti il cui destino non 
pu� toccare direttamente il modo di essere intrinseco dell'istituzione medesima
�. 

Ne consegue -concludono le ordinanze -cne, p01cne � rautod1chia 
in argomento non costituisce un attributo compreso i1ella posizione 
propria dell'organo costituzionale o da tale posizlone lmmecliatamente 
e necessariamente implicata, ma solo un privilegio soggettivo �, non � 
manifestamente infondata la questione della sua leJZ1tt1m1t� costituzionale. 
(omissis) 

Per espresso dettato d_ell'art. 12.1 del vigente reg;olamento del Senato 
della Repubblica, � il consiglio di presidenza, presieduto dal Presidente 
del Senato... adotta i provvedimenti relat�vi al personale... nei casi... previsti 
� dai regolamenti interni: analogamente, per espresso dettato dell'art. 
12.3 del vigente regolamento della Camera dei Deputati, �l'ufficio 
di presidenza.... decide in via definitiva i ricorsi che attengono allo stato 
e alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti della Camera �. 

Le sopra trascritte disposizioni hanno dato motivo a contrasti interpretativi, 
peraltro non del tutto privi di fondamento -specie con 
riguardo alla formulazione del regolamento del Senato, troppo scarna, e 
perci� scarsamente significante nella sua genericit� -, opinandosi addirittura 
-con riguardo, questa volta, al regolamento della Camera -che 
la formulazione di questo sul punto, in quanto mutata rispetto al regolamento 
anteriore, avrebbe comportato la caducazione del principio 
dell'autodichia, nel senso conseguentemente che ormai i ricorsi dei dipendenti 
dovrebbero ritenersi definiti con decisione amministrativa impugnabile 
in sede giurisdizionale. Senonch�, con le ordinanze in esame, 
le Sezioni unite della Cassazione, dopo avere dichiarato esplicitamente, 
come gi� detto, che, � ai fini del regolamento di giurisdizione... oggetto 
� stabilire se vi sia un giudice e quale esso sia �, ed implicitamente che 
la formulazione del regolamento del Senato vale quella del regolamento 
della Camera, osservano che la norma attributiva dell'autodichia -e 
perci� le due disposizioni regolamentari in parola -pu� ritenersi che 
� esclude la giurisdizione del giudice comune �, sia � in quanto nega qualsiasi 
giudice nell'ordinamento generale ed affida la risoluzione delle 
controversie ad una decisione adottata dall'organo costituzionale... e 
destinato ad operare unicamente all'interno dell'ordinamento particolare
�, sia � in quanto istituisce nell'ordinamento generale un giudice 
speciale -l'organo costituzionale appunto, in una sua articolazione con 
competenza in causa propria >>. E poich� nelle ordinanze si afferma 
apertamente che � � da preferire � l'orientamento interpretativo, secon



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

do cui le controversie in tema di rapporto d'impiego dei dipendenti delle 
Camere sono decise da queste, sembra non dubitabile che, cos� esprimendosi, 
il giudice a quo ha inteso riconoscere in sostanza nei due menzionati 
articoli i portatori del principio dell'autodichia e, quindi, l'esistenza 
nel nostro ordinamento dell'autodichia, sia della Camera dei Deputati, 
sia del Senato della Repubblica. 

In tutte le tre ordinanze vengono impugnati, specificamente gli a:�tt. 12, 
in parte de qua, dei regolamenti parlamentari in vigore, e genericamente 
� la norma attributiva dell'autodichia � ad entrambe le Camere. Stante 
la duplict� della denuncia, si rende necessario comprendere in quale rap� 
porto l'una impugnativa si pone nei confronti dell'altra. 

Sembra doversi escludere che il giudice a quo abbia inteso riferirsi 
ad un unico dato normativo, giacch� allora gli articoli dei regolamenti 
sarebbero meramente ricognitivi ed esplicativi di quella norma inespressa, 
da cui in effetti avrebbe tratto origine in passato e su cui troverebbe 
ancor oggi fondamento la giurisdizione domestica delle Camere; ci� equivarrebbe 
a ravvisare l'unica e vera fonte e l'unico e vero sostegno dell'autodichia 
nella norma inespressa, che le disposizioni dei due articoli si 
sarebbero limitate a recepire. L'ipotesi � inaccoglibile: basterebbe in proposito 
considerare anche solo che nelle ordinanze il quesito assoluta� 
mente pregiudiziale � quello relativo alla sindacabilit�, da parte di questa 
Corte, dei regolamenti parlamentari, e che tale quesito risulterebbe proposto 
inutiliter -anzi, non avrebbe addirittura senso -, ove le Sezioni 
unite ritenessero che il rapporto fra le norme espresse e la norma inespressa 
sia quello test� ipotizzato. Ma se, viceversa, si pone mente che in 
ognuna delle tre ordinanze risultano impugnati principaliter i pi� volte 
menzionati artt. 12 dei regolamenti parlamentari, e solo successivamente 
�la norma attributiva dell'autodichia �, appare verosimile la congettura che 
l'impugnativa della norma inespressa sia stata proposta in via meramente 
subordinata e prudenziale. 

Se la ricostruzione del pensiero del giudice a quo sul punto � esatta, 
ne deriva che, a parte la questione della proponibilit� della denuncia di 
una norma inespressa, sarebbe ultroneo ogni discorso intorno a quest'ultima, 
in quanto ai fini del decidere � necessario e sufficiente fare oggetto 
del presente giudizio solo gli artt. 12.1 del regolamento del Senato e 12.3 
del regolamento della Camera. (omissis) 

Il giudice a quo si chiede: a) � se la norma in argomento non trovi 
una giustificazione... nell'indipendenza degli organi costituzionali�, cio� nel 
principio cos� detto della divisione dei poteri, ovvero nel principio che 
riconosce ad ogni Camera il potere di autoorganizzazione; b) se l'istituzione 
dell'� organo costituzionale quale giudice in causa propria� non 
offenda � le garanzie di seriet� ed effettivit� di tutela che, in relazione 
agli artt. 24 e 113 Cost., sono sancite dagli artt. 101, secondo comma, e 
108, secondo comma, della Costituzione sotto il profilo dell'indipendenza-~ 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

terziet� e indipendenza-imparzialit� del giudizio, e di nuovo e pi� direttamente, 
dell'art. 24 della Costituzione sotto il profilo della difesa e del 
contraddittorio �. Sollevando il primo interrogativo, egli sospetta che la 
giurisdizione domestica delle Camere -e la correlativa esclusione di un 
qualsivoglia giudice -non possa ritenersi ancor oggi costituzionalmente 
legittima, ove non si rinvenga una giustificazione nel sistema instaurato 
dalla Costituzione repubblicana. Sollevando il secondo interrogativo, che 
concerne pi� propriamente � il modo in cui l'autodichia viene attualmente 
in concreto strumentata ed esercitata�, egli sospetta che non ricorrano e 
concorrano le garanzie che rendano costituzionalmente legittimo l'esercizio 
della funzione giurisdizionale. 

I due punti appaiono di per s� meritevoli della pi� attenta considerazione. 
Le Sezioni unite della Cassazione, pur riconoscendo all'autodichia 
radici storiche e, a quanto pare, anche logiche, pensano tuttavia che il 
nuovo sistema costituzionale ne abbia operato la delegittimazione. Ed in 
quanto al dubbio sulla compatibilit� dell'autodichia delle Camere con 
i princ�pi costituzionali in tema di giurisdizione, non pu� non convenirsi 
col giudice a quo, anche sulla base di princ�pi contenuti in convenzioni 
internazionali, che indipendenza ed imparzialit� dell'organo che decide, 
garanzia di difesa, tempo ragionevole, in quanto coessenziali al concetto 
stesso di una effettiva tutela, sono indefettibili nella definizione di qualsiasi 
controversia. Senonch�, il dubbio sulla sindacabilit�, da parte di 
questa Corte, ai sensi ed ai fini dell'art. 134, primo alinea, Cost., dei regolamenti 
parlamentari contenenti gli impugnati artt. 12.1 e 12.3 � in ordine 
logico pregiudiziale rispetto ai due interrogativi di cui sopra, e perci� 
va esaminato per primo. 

Il problema dell'assoggettabilit� al guidizio di questa Corte dei regolamenti 
parlamentari adottati a sensi dell'art. 64, primo comma, Cost., � 
il problema dell'ammissibilit� della questione. Secondo il giudice a quo, 
tali regolamenti sono fonti del diritto oggettivo assimilabili alle leggi ordinarie. 
Ed invero, la riserva del potere di organizzazione delle Camere 
e di integrazione della disciplina del procedimento legislativo, in quanto 
istituisce fra gli uni e le altre un rapporto di distribuzione di competenza 
normativa, se non comporta la costituzionalizzazione dei regolamenti in 
parola e la loro parametricit�, comporterebbe certamente la loro collocazione 
allo stesso livello delle leggi ordinarie, specie per la parte in cui 
vengono regolati i rapporti con terzi e, pi� ancora, se si ritiene che la 

"norma inespressa si lascia desumere dal sistema delle disposizioni di 
legge in tema di tutela giurisdizionale. N� varrebbe in contrario invocare 
il dogma dell'insindacabilit� degli interna corporis degli organi costituzionali, 
che questa Corte ha gi� ripudiato con l'ormai remota sentenza del 
1959, n. 9. 

Di opposto avviso �, viceversa, l'Avvocatura dello Stato, la quale con


testa l'assimilabilit� di cui sopra: i regolamenti parlamentari non sarebbero 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

530 

atti dello Stato, bens� di organo, cio� di un singolo ramo del Parlamento, 
e si sottraggono, sia alla promulgazione del Presidente della Repubblica, 
sia all'abrogazione per referendum, sicch� non possono farsi rientrare 
fra gli atti di cui all'art. 134 Cost., essi sarebbero privi, tanto della potenzialit� 
attiva (abrogatrice) nei confronti delle leggi anteriori, quanto della 
potenzialit� passiva~ (di resistenza) nei confronti delle leggi posteriori, 
sicch� non avrebbero forza di legge: l'interpretazione della sentenza n. 9 
del 1959 sarebbe tutt'altro che univoca ed, anzi, sarebbero reperibili altre 
sentenze (55/1964, 14/1965, 183/1973, 232/1975), dalle quali �possono desumersi 
e sono stati desunti indirettamente altri argomenti per escludere 
quella sindacabilit��. 

� opinione di questa Corte che i richiami alla giurisprudenza costituzionale 
non danno un apporto risolutivo allo scioglimento del nodo in 
parola. 

(omissis) Sembra che la soluzione possa e debba ricercarsi nell'art. 134 
Cost., prima ipotesi, indagato alla stregua del sistema costituzionale. Formulando 
tale articolo, il costituente ha segnato rigorosamente i precisi ed 
invalicabili confini della competenza del giudice delle leggi nel nostro ordinamento, 
e poich� la formulazione ignora i regolamenti parlamentari, solo 
in via d'interpretazione potrebbe ritenersi che questi vi siano egualmente 
compresi. Ma una simile interpretazione, oltre a non trovare appiglio nel 
dato testuale, urterebbe contro il sistema. La Costituzione repubblicana 
ha instaurato una democrazia parlamentare, intendendosi dire che, come 
dimostra anche la precedenza attribuita dal testo costituzionale al Parlamento 
nell'ordine espositivo dell'apparato statuale, ha collocato il Parlamento 
al centro del sistema, facendone l'istituto caratterizzante l'ordinamento. 
� nella logica di tale sistema che alle Camere spetti -e vada 
perci� riconosciuta -una indipedenza guarentigiata nei confronti �di qualsiasi 
altro potere, cui pertanto deve ritenersi precluso ogni sindacato 
degli atti di autonomia normativa ex art. 64, primo comma, Cost. Le 
guarentigie non vanno considerate singolarmente, bens� nel loro insieme 
Ed infatti, attengano esse all'immunit� dei membri delle Camere ovvero 
all'immunit� delle rispettive sedi, � evidente la loro univocit�, mirando pur 
sempre ad assicurare la piena indipendenza degli organi. Ne � conferma il 
divieto alla forza pubblica ed a qualsiasi persona estranea -sia pure il 
Presidente della Repubblica o il membro di una Camera diversa da quella di 
appartenenza -di entrare nell'aula, che discende dall'art. 64, ultimo 
comma, Cost., prima ancora che dagli artt. 62.2 e 64.1 del regolamento 

della Camera e 69.2 e 70.1 del regolamento del Senato. Il Parlamento, 

insomma, in quanto espressione immediata della sovranit� popolare, � 

diretto partecipe di tale sovranit�, ed i regolamenti, in quanto svolgi


mento diretto della Costituzione, hanno una �peculiarit� e dimensione� 

(sentenza n. 78 del 1984), che ne impedisce la sindacabilit�, se non si 

vuole negare che la riserva costituzionale di competenza regolamentare 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 531 

rientra fra le guarentigie disposte dalla Costituzione per .assicurare 
l'indipendenza dell'organo sovrano da ogni potere. Le suesposte dichiarazioni 
non consentono che nell'art. 134; primo alinea Cost. possano 
ritenersi compresi i regolamenti parlamentari in oggetto, dei quali pertanto 
va riconosciuta l'insindacabilit�, con la conseguente dichiarazione 
d'inammissibilit� deJla proposta questione, cui corrisponde la preclusione 
dell'esame del merito. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 giugno 19ES, n. 190 -Pres. Roehrssen -Rei. 
Andrioli -Cartelli ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Fanelli). 

Giustizia amministrativa -Giurisdizione esclusiva -Controversie in materia 
di pubblico impiego -Provvedimenti cautelari provvisori e d'urgenza. 
(Cost., artt. 3 e 113; legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21; cod. proc. civ., art. 700). 

Deve essere dichiarata, per contrasto con gli artt. 3 e 113 Cast., l'illegittimit� 
costituzionale dell'art. 21 ultimo comma della legge 6 dicembre 
1971, n. 1034, istitutiva dei T.A.R. nella parte in cui, limitando l'intervento 
d'urgenza del giudice amministrativo alla sospensione dell'esecutivit� 
dell'atto impugnato, non consente al giudice stesso di adottare nelle 
controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego, sottoposte alla 
sua giurisdizione esclusiva, i provvedimenti d'urgenza che appaiono secondo 
le circostanze pi� idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti 
della decisione sul merito, le quante volte il ricorrente abbia fondato 
motivo di temere che durante il tempo necessario alla prolazione della 
pronuncia di merito il suo diritto sia minacciato da un pregiudizio imminente 
e irreparabile. � invece inammissibile la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 700 cod. proc. civ., nella parte in cui non consente 
al giudice ordinario di tutelare in via d'urgenza diritti soggettivi derivanti 
da comportamenti omissivi della pubblica amministrazione e devoluti in 
via di merito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (1). 

(1) La sentenza � additiva � resa dalla Corte rende -nelle controversie 
patrimoniali in materia di pubblico impiego -notevolmente pi� oneroso il 
lavoro dell'avvocato dello Stato, e in genere del difensore della amministrazione 
resistente: per la camera di consiglio sulla cosiddetta � sospensiva � (s'intende, 
quando richiesta) dovrebbero essere offerti al T.A.R. gli atti e documenti . 
rilevanti per la pronuncia ��provvisoria e di urgenza � ed una seppur sommaria 
esposizione delle ragioni di fatto e di diritto del provvedimento emesso (o del 
comportamento tenuto) dall'amministrazione. 
La nozione di � provvedimenti d'urgenza che appaiono secondo le circostanze 
pi� idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito
� (cos� testualmente il dispositivo della sentenza in rassegna sembra andare 
al di l� della � sospensione dell'esecutivit� dell'atto impugnato� ma dovrebbe pur 
sempre presentare i connotati ed essere aderente alle finalit� delle pronunce pro




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

532 

(omissis) Nei limiti in cui il T.A.R. lo ha sottoposto al giudizio della 
Corte per assicurare che in tal campo non si perpetui l'inammissibile 
diseguaglianza di trattamento tra dipendenti pubblici e privati, il sospetto 
d'incostituzionalit� dell'art. 21 ultimo comma .legge n. 1034 del 1971 � fondato 
perch� esige r:ispetto 'il principio, per il quale la durata del processo 
non deve andare a danno dell'attore che ha ragione, di cui la dottrina non 
solo italiana fin dagli inizi del corrente secolo ha dimostrato la validit� 
desumendola e al contempo confortandola con richiami di disposizioni 
normative e provo�ando l'inserzione nel codice di rito civile del 1942 dell'art. 
700, che si esibisce quale espressione di direttiva di razionalit� tutelata 
dall'art. 3 comma primo e, in subiecta materia, dall'art. 113 Cost. 

Scrittori e giudici di merito (non escluso il Consiglio di Stato) non 
hanno esitato ad estendere la direttiva desumibile dall'art. 700 alla giurisdizione 
esclusiva dei T.A.R., ma, se il tentativo non ha riscosso l'assenso 
del giudice della nomofilachia quel che � precluso dal diritto vivente ben 
pu� e deve essere realizzato dalla Corte. N�, cos� rescrivendo, si pone la 
Corte in contrasto con l'orientamento seguito nel campo tributario (sent.. 
63/1982), nel quale il potere di sospendere la riscossione � attribuito 
all'intendente di finanza e pu� darsi parziale iscrivibilit� a ruolo dei 
tributi contestati. 

Per contro, la normativa di fresca data esibisce per chiari segni la 
direttiva, espressa dall'art. 700 e, sol in limitata area, dall'art. 21 ultimo 
comma, vuoi nell'art. 28 (Tutela giurisdizionale) legge 29 marzo 1983, n. 93 
(Legge quadro sul pubblico impiego) il quale, al comma primo, ammonisce 
che �In sede di revisione dell'ordinamento della giurisdizione amministrativa 
si provveder� all'emanazione di norme che si ispirino, per la 
tutela. giurisdizionale del pubblico impiego, ai princ�pi contenuti nelle 
leggi 20 maggio 1970, n. 300 e 11 agosto 1973, n. 533 �,vuoi nell'art. 31 (Tutela 
giurisdizionale) d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145 (Ordinamento dell'Azienda 

priamente cautelari. D'altro canto, �gli effetti della decisione sul merito� 
possono anche non verificarsi affatto, come accade ogni qualvolta la controversia 
si conclude con la reiezione o, pi� in generale, con il non accoglimento, 
del ricorso: in questi casi v'� la esigenza (per vero non considerata) di � assicurare 
provvisoriamente � il recupero effettivo di quanto corrisposto in ottemperanza 
alla pronuncia � provvisoria e d'urgenza '" 

In realt�, il bisogno di giustizia sollecita non pu� essere soddisfatto 
-salvo casi eccezionali -� a colpi di provvisionale �, strumento questo che 
pu� condurre ad ulteriori rallentamenti dei processi (il ricorrente che ottenga 
quanto dubita possa ritenere � indotto a pratiche dilatorie) e che priva la 
parte resistente della garanzia di un giudice del tutto sereno ed imparziale 
(respingere un ricorso dopo che si � concessa una provvisionale �, in fondo, 
riconoscere di aver errato nel concederla). � bene acquisire consapevolezza 
del pericolo che le misure � provvisorie e d'urgenza� siano poste al servizio, 
non tanto di bisogni eccezionalmente impellenti di qualche ricorrente, quanto 
del generico interesse degli apparati giudiziari ad una benevola tolleranza della 
collettivit� per ritardi talvolta privi di oggettiva giustificazione. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 533 

autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale), il quale, 
dopo aver assegnato le controversie di lavoro relative al personale comunque 
in servizio alla esclusiva giurisdizione dei tribunali amministrativi 
regionali, dispone che �In detti giudizi trova applicazione l'art. 28 
della legge 24 maggio 1970, n. 300, ed, in quanto applicabili, le disposizioni 
di cui alla legge 11 agosto 1973, n. 533 �, ed � appena il caso di sottolineare 
che il richiamo della legge n. 533 del 1973 vuol dire inserzione nel tessuto 
della giurisdizione esclusiva dei primi tre commi del novellato art. 423 
cod. proc..civ., sol per la concreta inapplicabilit� dei quali entra in gioco, 
come norma di chiusura, l'art. 700: elasticit� la quale, in difetto dell'art. 
423 comma primo e terzo, in linea generale inapplicabile al settore 
pubblico, opera senza limiti a favore dei dipendenti pubblici. 

Dall'art. 700 � l�cito enucleare la direttiva che, le quante volte il 
diritto assistito da fumus boni iur�s � minacciato da pregiudizio imminente 
e irreparabile provocato dalla cadenza dei tempi necessari per farlo 
valere in via ordinaria, spetta al giudice il potere di emanare i provvedimenti 
d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze, pi� idonei ad assicurare 
provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. 

In tali termini e nell'area delle controversie patrimoniali in materia 
di pubblico impiego l'art. 21 ultimo comma della legge istitutiva dei T.A.R. 
� da dichiarare costituzionalmente illegittimo. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 17 ottobre 1985, n. 226 -Pres. e Rel. Reale -
Coop. r. I. Parco degli aranci e Presidente Consiglio dei Ministri (cam. 
cons.). 

Espropriazione per pubblica utilit� � Relazione di stima � Notifica dell'avvenuto 
deposito -Non � prevista � Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 24 e 113; legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19). 

Pretendere che tutti gli (e ciascuno degli) atti di una procedura della 
quale si � partecipi siano personalmente notificati significherebbe andare 
oltre i limiti di una ragionevole tutela del diritto di difesa; non contrasta 
pertanto con gli artt. 3, 24 e 113 Cast., l'art. 19 della legge n. 865 del 1971 
nella parte in cui non prevede che dell'avvenuto deposito della relazione 
di stima da parte dell'Ufficio tecnico erariale venga data notifica o comunicazione 
ai proprietari ed agli altri interessati al pagamento, ai fini 
della decorrenza del termine per la proposizione dell'opposizione alla 
stima (1). 

(omissis) La Corte d'appello di Catanzaro con l'ordinanza di cm m 
epigrafe chiama la Corte a decidere se non sia costituzionalmente illegit


(1) La pronuncia � di notevole importanza; ed il principio in essa enunciato 
(e riportato nella prima parte della massima) pu� trovare applicazioni 
anche in procedure diverse da quella di espropriazione per p.u. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

534 

timo l'art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 �nella parte in cui non 
prevede che dell'avvenuto deposito della relazione di stima da parte dcll'U.
T.E. venga data notifica o comunicazione ai proprietari ed agli altri 
interessati al pagamento ai fini della decorrenza del termine per la proposizione 
dell'opposizione alla stima �. 

La norma violerebbe l'art. 3 della Costituzione nonch� il diritto di difesa 
(e quello alla tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione) 
perch� porrebbe l'Amministrazione �in una situazione di 
supremazia o almeno di privilegio�, conoscendo essa, senza bisogno della 
� particolare vigilanza � necessaria al cittadino per conoscerla, la pubblica� 
zione dell'avviso di deposito della relazione di stima; e perch� non prescrive 
anche per questo atto del procedimento di stima la notificazione 
prevista per altri atti che la precedono, con conseguente violazione anche 
del principio di eguaglianza. 

La questione non � fondata. Come osserva l'Avvocatura dello Stato, 
non si pu� isolare la disposizione dell,'art. 19 della legge n. 865, ma, per 
valutarne la congruit�, ai fini della possibilit� di difesa dell'espropriando, 
bisogna considerare l'intero corso del procedimento, quale � determinato 
dagli artt. 10, 11 e 15 della legge. 

Ora la procedura regolata dalle citate disposizioni prevede: a) la notifica 
agli espropriandi, oltre che l'affissione nell'albo del comune e la 
pubblicazione nel F.A.L. della Provincia, dell'avvenuto deposito presso il 
comune di una �relazione esplicativa dell'opera o dell'intervento da realizzare, 
corredata dalle mappe catastali nelle quali siano individuate le 
aree da espropriare, dell'elenco dei proprietari iscritti negli atti catastali 
nonch� della planimetria dei piani urbanistici vigenti�; b) decorso il 
termine assegnato agli interessati per la presentazione di deduzioni, la 
notifica (ove l'esproprio sia disposto) dell'ammontare dell'indennit� prov� 
visoria determinata nel decreto del Presidente della Giunta regionale che 
dichiara, ove occorra, la pubblica utilit� nonch� l'indifferibilit� e l'urgenza 
dell'opera; e) se l'indennit� non � accettata, e non � stata convenuta 
cessione volontaria degli immobili, la richiesta alla Commissione competente 
di determinare l'indennit� e successivamente -come prevede l'art. 15 
della legge n. 865 del 1971 -�l'espropriante comunica le indennit� ai proprietari 
degli immobili ai quali le stime si riferiscono mediante avvisi 
notificati nelle forme degli atti processuali civili; deposita la relazione 
della Commissione nella segreteria del Comune e rende noto al pubblico 
l'eseguito deposito � mediante affissione nell'albo del Comune e inserzione 
nel F.A.L. della Provincia. 

Pertanto, anche a voler considerare l'ipotesi (esclusa dall'Avvocatura 
dello Stato e che sembrerebbe non consentita dal testo della legge) che la 
notifica dell'indennit� venga eseguita in tempo posteriore alla pubblicazione 
della relazione, appare decisiva la considerazione che, se e quando 
i proprietari espropriati intendono proporre opposizione alla stima davanti 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

alla Corte d'Appello, essi sono stati partecipi di un procedimento del 
quale hanno potuto seguire tutte le fasi. 

Se poi l'interessato all'opposizione non la propone entro trenta giorni 
dalla pubblicazione dell'avvenuto deposito della relazione, come l'impugnato 
art. 19 della legge n. 865 dispone, egli deve attribuirne la responsabilit� 
alla sua propria negligenza. Pretendere che tutti e ciascuno gli atti 
di una procedura della quale si � partecipi siano personalmente notificati 
significherebbe andare oltre i limiti di una ragionevole tutela del diritto 
di difesa, non richiedere, come si afferma nell'ordinanza di rimessione, 
�una particolare (perch� al di fuori del normale) vigilanza�. 

La Corte in altre occasioni (mancata notifica alla parte contumace 
dell'avvenuto cambiamento di rito a seguito della riforma del processo 
del lavoro con la conseguente necessit� di integrazione -sentenza n. 14 
del 1977; macata previsione dell'obbligo di ordinare la comparizione dell'imprenditore 
in camera di consiglio prima della sua dichiarazione di 
fallimento -sentenza n. 141 del 1970, o prima di pronunciarsi sulla domanda 
di ammissione del debitore alla procedura di concordato preventivo 
-sentenza n. 110 del 1972; deco'rrenza del termine per l'opposizione 
da parte del debitore alla sentenza dichiarativa di fallimento -sentenza 

n. 151 del 1980) � stata sensibile nel colpire previsioni legislative che 
finivano col rendere estremamente difficile, o addirittura impossibile, 
l'esercizio tempestivo del diritto di difesa; ma non ha vanificato il richiamo 
al principio vigilantibus iura succurrunt fino al punto da accordare 
tutela al dormiens, come certamente, nella specie ora in esame, dovrebbe 
essere considerata la parte di un procedimento di espropriazione 
che, conosciuti per notifica tutti gli atti essenziali del procedimento, omette 
di proporre opposizione davanti alla Corte d'appello entro trenta giorni 
dalla pubblicazione dell'avvenuto deposito della relazione che motiva la 
determinazione dell'indennit�. 
Le suesposte considerazioni valgono ad escludere la fondatezza della 
questione sollevata non solo con riferimento all'art. 24, ma anche in riferimento 
agli artt. 3 e 113 della Costituzione. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 17 ottobre 1985, n. 229 (cam. cons.) -Pres. 
Roehrssen -Rel. Corasaniti -Cabella Lattuada c. Presidente del Consiglio 
dei Ministri (avv. Tallarida). 

Tributi erariali diretti -ILOR -Rilevanza delle risultanze catastali � Voltura 
richiesta e non eseguita � Disfunzioni del catasto � Non determf. 
nano illegittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 24 e 53; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 6). 

La retrattabilit�, in sede amministrativa e di gestione del ruolo, dell'accertamento 
basato sulle risultanze catastali, e, comunque, la disponi



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

bilit� del rimedio della rivalsa, escludono la illegittimit� costituzionale 
delle disposizioni che attribuiscono rilevanza a dette risultanze anche nei 
casi di voltura� richiesta e non eseguita. 

(omissis) La Commissione tributaria di primo grado di Lecco se.spetta 
di illegittimit� costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 
Cost., l'art: 6, comma primo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, concernente 
l'istituzione e la disciplina dell'ILOR. La disposizione stabilisce 
che per i redditi dominicali dei terreni e per i redditi agrari soggetti a 
tale imposta -la quale, secondo il successivo art. 8, � accertata a cura 
degli uffici delle imposte ed � riscossa mediante iscrizione a ruolo ai 
sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (concernente la riscossione delle 
imposte dirette) -valgono esclusivamente le risultanze del catasto al 
31 agosto di ciascun periodo annuale d'imposta (anno precedente quello 
dell'accertamento). 

Con riferimento all'ipotesi (dedotta in un giudizio di impugnazione 
del ruolo) di intervenuta cessione del fondo e di voltura chiesta, ma non 
eseguita, anteriormente a tale data, il giudice a quo, nel duplice presupposto 
che gli aggiornamenti del catasto avvengano con diffuso e grave 
ritardo e che la norma vada interpretata nel senso che sancisce l'inammissibilit� 
in ogni sede e ad ogni effetto della prova diretta a dimostrare 
la non rispondenza al vero delle dette risultanze (cos� considerate come 
fonte di presun.zione assoluta), sostiene che la norma stessa si pone in 
contrasto con gli indicati precetti costitutivi in quanto: 

a) consente l'imposizione e la riscossione di un tributo senza la 
corrispondente capacit� contributiva (art. 53 Cost.); 

b) determina una sperequazione sia rispetto ai titolari di redditi di 
altra natura pur soggetti all'ILOR, ma colpiti soltanto se effettivamente 
prodotti nel periodo considerato, che rispetto ai titolari di redditi della 
st.essa natura relativi a beni censiti in catasti aggiornati (art. 3 Cast.); 

c) determina una violazione del diritto di difesa, tenuto conto degli 
ostacoli frapposti all'utile esperimento dell'azione di regresso dallo stesso 
art. 6, comma primo, parte seconda, che sancisce l'inefficacia, nei confronti 
dell'effettivo titolare, della notificazione di atti di imposizione al 
precedente possessore, nonch� dallo stesso art. 6 comma secondo, che 
pone a quest'ultimo l'onere di chiedere lo sgravio anche per esenzione 

o deduzione (relative all'effettivo titolare) da esso precedente possessore 
difficilmente conoscibili, e cos� lo assoggetta al rischio di non poter 
recuperare, in tal caso, l'imposta da lui pagata. 
In primo luogo le censure, come ammette espressamente il giudice 
a quo, presuppongono il cattivo funzionamento del servizio di tenuta ~ 
1 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

del catasto fondiario e in particolare, il diffuso e sistematico ritardo negli 
aggiornamenti dell'indicazione dei possessori. 

Sotto questo profilo esse non si riferiscono a un vizio della norma 
impugnata in quanto adotta per l'ILOR sui redditi in argomento il 
metodo dell'accertamento catastale -tradizionalmente accolto per le 
imposte sui redditi (v. da ultimo l'art. 51 t.u. delle leggi sulle imposte 
dirette 29 gennaio 1958, n. 645), successivamente abbandonato per la 
stessa ILOR col decreto-legge 23 dicembre 1977, n. 936 (convertito con. 
modificazioni non rilevanti ai fini del presente giudizio dalla legge 23 febbraio 
1978, n. 38), peraltro ratione temporis non applicabile al caso concreto 
-ma a meri aspetti applicativi della (diversa) normativa che 
prevede e regola il meccanismo (catasto fondiario) assunto quale referente 
materiale del metodo adottato (egualmente deve ritenersi per i 
riflessi applicativi di norme concernenti il ruolo del catasto a fini diversi 
da quelli tributari: v., ad esempio, la recentissima legge 27 febbraio 
1985, n. 52, entrata in vigore il 1� settembre 1985). 

Ma anche ad ammettere che le censure investano il metodo di accertamento 
catastale ed il sistema normativo in cui esso si colloca in 
tutte le implicazioni di questo -in particolare, per quel che riguarda 
l'ipotesi considerata, quelle recate dall'art. 32, comma primo, d.P.R. 

n. 602 del 1973 sopra richiamato, il quale prevede la responsabilit� solidale 
del precedente possessore (iscritto in catasto) e del nuovo possessore 
per l'imposta e gli accessori relativi al tempo successivo alla data 
del titolo che serve di base alla voltura (cfr. l'art. 196, comma primo, 
del richiamato t.u. delle leggi sulle imposte dirette del 1958) -� innegabile 
che per la configurabilit� di una violazione degli indicati precetti costituzionali 
dovrebbe in ogni caso ricorrere l'altro presupposto affermato 
in concreto dal giudice a quo. Dovrebbe, cio�, essere vero che il precedente 
possessore non possa in alcun modo, in alcuna sede, ad alcun 
effetto liberarsi dalle situazioni sfavorevoli poste a suo carico dalla legge 
in connessione col metodo di accertamento catastale o porvi comunque 
rimedio. 
Senonch� tale presupposto -la cui affermazione nell'ordinanza di 
rimessione si pone per un verso quale parte integrante delle censure 
espresse in riferimento agli artt. 53 e 3 Cost., e per altro verso quale 
nucleo della autonoma censura formulata in riferimento all'art. 24 Cost. in 
realt� non ricorre. 

Anzitutto all'art. 32, comma secondo, del d.P.R. n. 602 del 1973, in 
relazione alla solidariet� prevista dal primo comma dello stesso articolo, 
stabilisce che, nel caso in cui la domanda di voltura catastale non abbia 
avuto effetto nei ruoli, l'intendente di finanza �dispone�, su richiesta 
dell'interessato, che vengano escussi soltanto i nuovi possessori, con 
espresso divieto all'esattore di compiere qualsiasi procedura sui beni dei 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

possessori precedenti (l'intervento dell'intendente era gi� previsto dal� 
l'art. 196, comma secondo, del richiamato t.u. delle leggi sulle imposte 
dirette del 1958, dal cui precetto -� l'intendente... pu� disporre � -quelo 
dell'art. 32 d.P.R. n. 602 del 1973 diverge in quanto sancisce la doverosit� 
dell'intervento). In tal modo � prevista la retrattabilit�, in sede 
amministrativa e di gestione del ruolo, dell'accertamento catastale, con 
la esclusione della riscossione coattiva anticipata del credito d'imposta, 
riscossione connessa all'esecutoriet� del ruolo secondo gli artt. 45 e 23 
dello stesso d.P.R. n. 602 del 1973 (v. sul punto la conforme circolare 
del Ministero delle finanze 5 novembre 1977, n. 98/15/5218). 

Indipendentemente dall'esperimento della descritta iniziativa presso 
l'intendente, non vi � motivo di escludere (ed implicitamente lo ammette 
la circolare ministeriale suindicata) che, almeno nel caso di intervenuta 
presentazione della domanda di voltura, la liberazione del precedente 
possessore dalle situazioni sfavorevoli poste a suo carico dalla legge 
in connessione col metodo di accertamento catastale possa esser fatta 
valere dall'interessato davanti al giudice in sede cognitoria (restando 
ovviamente riservata all'intendente di finanza l'esclusione o la sospensione 
medio tempore dell'esecuzione). 

Soccorre, poi, contrariamente a quanto avvisato dal giudice a quo, 
il rimedio della rivalsa, certamente dato al precedente possessore, il 
quale, non avendo potuto avvalersi del mezzo di cui all'art. 32, comma 
secondo, del d.P.R. n. 602 del 1973 per mancata presentazione della domanda 
di voltura, abbia pagato l'imposta al fine di evitare l'escussione 

o 
sia stato escusso. 
Non vi osta la previsione dell'art. 6, comma primo, seconda parte, 
d.P.R. n. 599 del 1975 (ma vedi gi� l'art. 51, comma secondo, t.u. numero 
645/1958 sulle imposte dirette), previsione la quale si riferisce ai 
soli rapporti tra fisco e vero possessore stabilendo, in deroga al principio 
della onnivalidit� delle risultanze catastali (anche per quel che concerne 
gli elementi obiettivi) che gli atti di accertamento nei confronti 
di chi risulta possessore in catastq (eventualmente mai stato vero possessore) 
non pregiudicano la difesa delle ragioni del vero possessore salvo 
il caso di imputabilit� a lui della inesattezza delle, risultanze catastali 
-se egli sia richiesto dal fisco del pagamento dell'imposta. 
N� l'azione di rivalsa � vanificata, come sostiene il giudice a quo, 
dalle condizioni limitative dello sgravio, perch� esse attengono alla fase 
di accertamento dell'imposta, cio� di iscrizione nel ruolo e di gestione 
amministrativa di questo, e non si riflettono sull'azione di regresso se 
non nei limiti di imputabilit� del mancato ottenimento dello sgravio ai 
rispettivi comportamenti dei soggetti suindicati. 

Le questioni. sollevate con l'ordinanza in esame sono dunque interamente 
non fondate gi� nelle loro premesse. (omissis) 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 539 

CORTE COSTITUZIONALE, 17 ottobre 1985, n. 231 � Pres. Roehrssen � 
Rel. Malagugini -S.p.A. Diffusione Pubblicit�, s.r.l. Incremento Audience 
Televisivo, s.r.l. Ripetizione Programmi Televisivi (avv. Ubertazzi 
e Guarino) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. 
Stato Azzariti). 

Poste e telecomunicazioni . Televisione � Ripetitori di emittenti estere � Oh� 
bligo di eliminare i messaggi pubblicitari � Illegittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 21 e 41; I. 14 aprile 1975, n. 103, art. 40). 

La pubblicit� commerciale � attivit� di impresa e non forma di manifestazione 
del pensiero; in quanto tale essa non � garantita dall'art. 21 
Cost. ma � assistita dalle garanzie di cui all'art. 41 Cost. e pu� essere 
sottoposta alle limitazioni ivi previste al secondo e terzo comma. Rispet.
to al fine, di interesse generale, del non inaridire una fonte di finan~ 

'ziamento della stampa, appare mezzo incongruo e sproporzionato il 
divieto assoluto di trasmissione, tramite ripetitori via etere, di messaggi 
pubblicitari irradiati da emittenti estere (1). 

(omissis) Le cinque ordinanze di rimessione sollevano tutte, in riferimento 
ad una pluralit� di parametri, questioni di legittimit� costituzionale 
dei medesimi disposti degli artt. 40 e 44 della legge 14 aprile 1975, 

n. 103, che fanno obbligo ai titolari di impianti ripetitori, via etere, nel 
territorio nazionale, di programmi sonori e televisivi irradiati da emittenti 
estere, di eliminare dai programmi medesimi i messaggi pubblicitari 
commerciali. I cinque giudizi possono, perci�, venire riuniti. 
La legge n. 103 del 1975 � stata approvata a seguito ed in conseguenza 
delle sentenze nn. 225 e 226 del 1974 di questa Corte, che hanno sottratto 
alla esclusiva statale gli impianti ripetitori dei programmi emessi 
da stazioni televisive estere nonch� le emittenti private via cavo su 
scala locale, oltre ad enunciare i criteri cui avrebbe dovuto attenersi 
la nuova disciplina del monopolio statale del mezzo radiotelevisivo, nell'ambito 
in cui ne veniva riaffermata la legittimit�. 

In particolare, con la sentenza n. 225 del 1974, la Corte ha negato 
che detto monopolio potesse � abbracciare anche attivit�, come quelle ine


(1) La pur ampia sentenza motiva con due soli aggettivi ...,. � incongruo � 
e � sproporzionato � -una pronuncia demolitoria, che appare preoccupante 
non tanto per l'importanza attuale della pubblicit� commerciale irradiata da 
emittenti televisive estere (ma gi� ora una grande quantit� di messaggi di 
emittenti estere anche lontane pu� essere captata con appropriata antenna, e 
tra breve ci� sar� ancor pi� agevole), quanto per la latitudine della possibilit� 
di intervento a � garanzia � della iniziativa economica privata che la Corte 
sembra riconoscersi. Ma forse in questa vicenda ha influito la contiguit� alla 
materia radiotelevisiva. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

renti ai c.d. ripetitori di stazioni trasmittenti estere � perch� � in questo 
particolare settore, senza apprezzabili ragioni, l'esclusiva statale sbarra 
la via alla libera circolazione delle ideee, compromette un bene essenziale 
della vita democratica, finisce per realizzare una specie di autarchia 
nazionale delle fonti di informazione�. 

Aggiungeva la Corte potersi ammettere � che l'impianto e l'esercizio 
di siffatti ripetitori debbono essere sottoposti ad una disciplina legislativa, 
in considerazione della salvaguardia di pubblici interessi �, adeguatamente 
tutelabili, peraltro, � con un regime di autorizzazione �. 

In adesione alla pronuncia qui sopra citata, agli � impianti ripetitori 
via etere privati di programmi sonori e televisivi esteri e nazionali�, � 
stato dedicato il titolo III della legge n. 103 del 1975 (artt. 38-44). 

Specificatamente, per quanto concerne gli � impianti ripetitori destinati 
esclusivamente alla ricezione ed alla contemporanea ed integrale 
diffusione via etere nel territorio nazionale dei normali programmi sonori 
e televisivi irradiati dagli organismi esteri esercenti i servizi pubblici 
di radiodiffusione nei rispettivi Paesi, nonch� degli altri organismi 
regolarmente autorizzati in base alle leggi vigenti nei rispettivi Paesi, 
che non risultino costituiti allo scopo di diffondere i programmi nel 
territorio italiano�, l'impianto e l'esercizio ne � subordinato alla preventiva 
autorizzazione del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni 
(art. 38, primo comma). 

Scopo preminente dell'autorizzazione (da rilasciare soltanto previo 
parere favorevole dei Ministri degli affari esteri, dell'interno e della difesa) 
� quello di assegnare la frequenza di funzionamento degli impianti, 
che � comunque non debbono interferire con le reti del servizio pubblico 
nazionale di radiodiffusione circolare, n� con gli altri servizi di telecomunicazione
� (ibidem, secondo comma). 

L'autorizzazione in parola � obbliga il titolare ad eliminare dai programmi 
esteri tutte le parti aventi, sotto qualsiasi forma, carattere 
pubblicitario� (art. 40, primo comma). 

Con disposizione di carattere transitorio (art. 44), i titolari di impianti 
ripetitori (per quanto qui interessa) di programmi sonori e televisivi 
irradiati da stazioni estere. (gi�) installati nel territorio nazionale, 
sono autorizzati a gestirli in via provvisoria fino al rilascio dell'autorizzazione, 
semprech� ne abbiano presentato domanda nel termine ivi fissato 
ed � a condizione... che non vengano diffusi messaggi pubblicitari 
esteri o nazionali �. 

Va, infine, ricordato, per completezza, che, con la sentenza n. 202 
del 1976, questa Corte ha dichiarato la illegittimit� costituzionale della 
normativa (artt. 1, 2 e 45 della legge n. 103 del 1975) che non consentiva, 
�previa autorizzazione statale e nei sensi di cui in motivazione, l'installazione 
e l'esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva, via 
etere, di portata non eccedente l'ambito locale �. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Con la sentenza in esame, veniva affermata la � necessit� dell'intervento 
del legislatore nazionale� perch� l'esercizio del riconosciuto diritto 
di iniziativa privata si armonizzi e non contrasti con il preminente 
interesse generale (di cui sopra) -della diffusione via etere su scala 
nazionale di programmi radiofonici e televisivi affidata al monopolio statale 
-e venivano dettati alcuni criteri cui il legislatore medesimo era 
invitato ad attenersi. 

Le sollecitazioni di questa Corte non sono state, per�, raccolte per 
oltre otto anni e soltanto con il d.l. 6 dicembre 1984, n. 807, convertito 
con modificazioni, nella legge 10 febbraio 1985, n. 10 venivano emanate 
�disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive�, nessuna 
delle quali, peraltro, concerne specificatamente gli impianti ripetitori 
di programmi esteri. La normativa ora considerata contiene il preannuncio 
di una �legge generale sul sistema radiotelevisivo �, ma il termine 
di sei mesi dall'entrata in vigore del d.l. 807 del 1984, previsto per tale 
adempimento, � gi� stato prorogato, una prima volta, al 31 dicembre 1985, 
con il d.l. 1� giugno 1985, n. 223, convertito nella legge 2 agosto 1985, 

n. 397. 
In questo quadro legislativo, frammentario e dichiaratamente transitorio, 
condizionato dai mutamenti di fatto intervenuti e consolidati nel 
settore radiotelevisivo nazionale, sopratutto privato (che trovano disciplina 
temporanea nel succitato d.l. 807 del 1984 e nella relativa legge di 
conversione); a fronte delle straordinarie innovazioni gi� assicurate o 
promesse dallo sviluppo scientifico e tecnologico; la questione decidenda, 
concernente il divieto assoluto, posto alle imprese di ripetizione, di diffondere 
via etere i messaggi pubblicitari commerciali irradiati, con i loro programmi, 
dalle emittenti estere, appare di scarso spessore pratico e tale 
da interessare un'area imprenditoriale quantitativamente e territorialmente 
modesta. 

Il divieto, infatti, riguarda la parte pubblicitaria soltanto di quei programmi 
sonori e televisivi emessi da stazioni estere -in pratica installate 
in Paesi confinanti con il nostro _,.. che o per la debolezza del segnale o 
per l'esistenza di ostacoli naturali non sono ricevibili direttamente in 
talune zone del territorio nazionale, come, invece, possono esserlo in altre. 

Da ci� la peculiarit� della situazione in esame, posto che l'attivit� 
della quale si censura la disciplina legislativa, per ci� che riguarda i messaggi 
pubblicitari commerciali, � esclusivamente quella delle imprese di 
ripetizione (e non gi� delle emittenti). 

Tanto precisato, giova tuttavia ricordare che sulla natura e sul ruolo 
della pubblicit� commerciale nel sistema radiotelevisivo e pi� in generale 
dell'informazione questa Corte si � ripetutamente pronunziata. 

Con la sopracitata sentenza n. 225 del 1974, trattando della emananda 
normativa sul monopolio statale del mezzo radiotelevisivo, venne affermato 
(punto 8, lettera e della motivazione) doversi prevedere �che at



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

542 

traverso una adeguata limitazione della pubblicit�, si eviti il pericolo che 
la radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento 
della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libert� che la Costi� 
tuzione fa oggetto di energica tutela�. 

Con la coeva sentenza n. 226 del medesimo anno 1974, il concetto veniva, 
quanto meno implicitamente, ribadito affermandosi che la disciplina legislativa 
concernente l'installazione e l'esercizio delle reti private di televisione 
via cavo su scala locale avrebbe dovuto �assicurare che, nel rispetto 
della libert� di manifestazione del pensiero e d'iniziativa economica, 
siano salvaguardati gli interessi pubblici che, in varia guisa, possono 
entrare in gioco�. 

Infine, con la sentenza n. 202 del 1976, (di cui supra), il legislatore 
veniva invitato a stabilire (n. 8, lettera e) � limiti temporali per le trasmissioni 
pubblicitarie� (delle emittenti radiotelevisive private, via etere, in 
ambito locale) �in connessione con gli analoghi limiti imposti al servizio 
pubblico affidato al monopolio statale�. 

A tali orientamenti si � informata, sostanzialmente, la normativa statale. 
La legge n. 103 del 1975, infatti -a parte il divieto del quale qui si 
discute -si occupa della pubblicit� commerciale in riferimento tanto al 
servizio pubblico, che deve contenerla nella durata complessiva del 5 per 
cento della durata delle trasmissioni sia televisive sia radiofoniche (art. 21, 
secondo comma; cfr. anche art. 21, primo comma; art. 4, primo comma, 
sesto alinea), quanto agli impianti privati di diffusione sonora e televisiva 
via cavo, per i quali viene fissato un limite temporale sostanzialmente 
analogo (art. 30, quarto comma, lettera a). 

Il d.l. n. 807 del 1984, nel testo risultante per effetto della legge di conversione 
(n. 10 del 1985), all'art. 3 bis, n. 1, ridetermina, in termini quanti� 
tativi ragguagliati alle ore settimanali di trasmissione di programma e ad 
ogni ora di effettiva trasmissione, i limiti entro i quali � consentita la 
trasmissione di messaggi pubblicitari ad opera di emittenti private, e demanda 
tale compito (ibidem n. 2), quanto al servizio pubblico, alla Commissione 
parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, 
fermo il limite di cui al sopracitato art. 21, secondo comma, della 
legge n. 103 del 1975. 

Da quanto sin qui ricordato si ricava che, nel sistema di settore, il 
tempo di trasmissione dei messaggi pubblicitari commerciali con il mezzo 
radioteleviso, sia pubblico che privato, � limitato dalla legge, che aderisce 
per questo aspetto, ai richiamati orientamenti della Corte. 

Tali orientamenti, espressi nella motivazione di sentenze con le quali 
sono state decise questioni di legittimit� costituzionale non concernenti la 
disciplina della pubblicit� con il mezzo radiotelevisivo, non consentono, 
come invece sostengono le difese delle parti private, di riferirli al dettato 
dell'art. 21 Cost. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 543 

Al contrario, la netta distinzione tra le manifestazioni del pensiero 
delle quali, nei limiti ivi previsti, viene affermata la libert� da un lato, 
e la pubblicit� commerciale, della quale viene sottolineata la natura di 
� fonte di finanziamento � degli organi di informazione, dall'altro, sta ad 
indicare in modo inequivoco che quest'ultima � considerata una componente 
dell'attivit� delle imprese, come tale assistita dalle garanzie di cui 
all'art. 41 Cost., e assoggettabile, in ipotesi, alle limitazioni ivi previste 
al secondo e terzo comma. 

E le limitazioni quantitative ai tempi delle trasmissioni pubblicitarie 
commerciali con il mezzo radiotelevisivo suggerite dalla Corte ed adottate 
dal legislatore rientrano appunto nella indicata previsione costituzionale, 
avendo lo scopo di garantire una condizione ritenuta essenziale perch� 
possa aversi pluralismo nell'informazione, dal momento che l'apporto rap� 
presentato dagli introiti pubblicitari � considerato indispensabile per la 
sopravvivenza dei mezzi di comunicazione di massa, si tratti di organi di 
stampa ovvero delle emittenti radiotelevisive, pubbliche e private. 

Accanto a questa esigenza di carattere generale, altra se ne viene 
prospettando di uguale segno per la tutela dell'utente-consumatore, e a 
tal fine si auspica una disciplina non solo dei tempi, ma anche delle modalit� 
di presentazione dei messaggi pubblicitari (l'importanza di tale 
aspetto della disciplina delle trasmissioni pubblicitarie � sottolineata, tra 
l'altro, dalla raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio 
d'Europa n. R (84) 3 del 23 febbraio 1984, che sollecita in particolare, a 
questo proposito, la chiara identificazione del messaggio pubblicitario 
come tale, la separazione della pubblicit� dai programmi, l'accorpamento 
dei messaggi, la limitazione dei tempi dedicati alla pubblicit�, il divieto 
della pubblicit� subliminale: v. punti da 6 a 10 dei �Principi�). Ma tale 
questione � estranea al presente giudizio e resta rimessa alla iniziativa 
del legislatore. 

Vero � che la fattispecie decidenda non riguarda, come gi� si � avvertito, 
le imprese di trasmissione radiotelevisiva, ma quelle di ripeti� 
zione, il che, di per s�, rafforza l'argomentazione in ordine al parametro 
costituzionale di riferimento. 

Invero, la libert� di iniziativa economica privata, in questo campo, � 
stata riconosciuta, in regime di autorizzazione, con la sent. n. 225 del 
1974, in quanto ritenuta strumentale rispetto alla �libera circolazione 
delle idee� diffuse dalle emittenti estere, cos� da evitare che finisca per 
realizzarsi �una specie di autarchia nazionale delle fonti di informazione�, 

Ora le disposizioni di legge censurate non riguardano, e perci� non 
limitano, la �libera circolazione delle idee�, vale a dire dei programmi 
emessi dalle stazioni estere, ch�, anzi, l'impresa di ripetizione deve diffonderle 
via etere nel territorio nazionale (contemporaneamente ed) integrai� 
mente. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

544 

Il divieto legislativo riguard<~ esclusivamente i messaggi pubblicitari 
commerciali esteri e nazionali ed il giudizio si esaurisce perci� nella valutazione 
della legittimit� del divieto medesimo rispetto alla affermata 
libert� di iniziativa economica privata per quanto attiene all'impianto ed 
alla gestione di apparecchi ripetitori, nel territorio nazionale, di emissioni 
radiotelevisive provenienti da stazioni estere. 

�, dunque, soltanto l'impresa di ripetizione a dover essere considerata 
per questo unico aspetto della sua attivit�, essendo estranei al presente 
giudizio, e diversamente disciplinati dalla legge in modo specifico sia 
l'assegnazi9ne delle frequenze di funzionamento che i divieti di pubblicit� 
di determinati prodotti. 

Una volta ritenuto che la pubblicit� commerciale costituisce attivit� 
di impresa, resta da verificare se essa sia tale anche per la impresa di 
ripetizione. 

La risposta non pu� che essere affermativa. 

In proposito le difese delle parti private assumono che l'attivit� di 
ripetizione di emissioni radiotelevisive estere, inariditisi ormai i possibili 
finanziamenti ad opera dell'industria elettronica italiana, pu� reggersi, coprendo 
i costi di installazione, manutenzione e gestione dei propri impianti, 
solo se finanziata dalla emittente estera e/o dalla sua concessionaria 
pubblicitaria. 

Diretto o indiretto che sia, il finanziamento pubblicitario si rivelerebbe 
perci� indispensabile per l'impresa di ripetizione, di talch� il divieto 
assoluto, di cui alle disposizioni di legge denunziate, si porrebbe come 
ostativo, almeno tendenzialmente, alla loro stessa sopravvivenza. 

Non �, per�, necessario accertare se gli, eventuali, introiti pubblicitari 

siano o meno assolutamente necessari alle imprese di ripetizione. Invero 

� sufficiente constatare -come � del tutto pacifico -che la (ri)trasmis


sione dei messa'.Sgi pubblicitari commerciali rientra tra le attivit� delle 

imprese in questione. Se cos� �, spetta alla Corte individuare lo scopo 

della normativa denunziata -che una tale attivit� proibisce -; vale a 

dire il fine di l!tilit� sociale, cui � vincolata la discrezionalit� legislativa 

in materia. Spetta ancora alla Corte verificare �il rapporto di congruit� 

tra mezzi e fini, per salvaguardare la libert� garantita contro interventi 

arbitrariamente restrittivi o contro interventi che praticamente annul


lano il diritto primario inerente alla libert� stessa� (sent. n. 78 del 1970). 

Senza dubbio il fine di utilit� generale perseguito dal legislatore nella 

fattispecie normativa in esame consiste nella esigenza di non � inaridire 

una tradizionale fonte di finanziamento della stampa � e degli altri mezzi 

di informazione, cos� da garantire, attraverso una ripartizione tra essi di 

questa medesima fonte, il massimo di pluralismo nel settore. 

Altri scopi, che pure sono stati evocati nel dibattito parlamentare e 

dottrinale -quali quello di evitare l'inquinamento delle frequenze, la 

pubblicizzazione vietata di determinati prodotti od attivit�, ovvero la com� 

llllllll9111141llllllll1llllB,lllfllilll.:-M���sa 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

m1ss10ne di illeciti valutari o l'elusione di obblighi tributari -sono 
estranei alla normativa in esame e trovano specifica tutela in altri disposti 
della medesima legge denunziata o di leggi diverse, che l'esercizio 
dell'attivit� di ripetizione non autorizza certamente a violare. 

Rispetto al fine che il legislatore del 1975 ha inteso perseguire (il medesimo, 
cio�, per cui sono state dettate semplici limitazioni quantitative 
dei messaggi pubblicitari per il monopolio statale e le emittenti private) 
il divieto assoluto del quale si discute appare mezzo incongruo e sproporzionato 
per eccesso e perci� illegittimo per contrasto con l'art. 41, secondo 
comma, Cost. 

L'esigenza di garantire una delle condizioni ritenute necessarie perch� 
si abbia pluralismo nell'informazione, viene, certamente, in considerazione 
anche per quanto concerne la (ri)trasmissione via etere nel territorio nazionale, 
per mezzo di ripetitori, dei messaggi pubblicitari commerciali 
irradiati da emittenti estere, nel senso che occorre impedire un incontrollato 
assorbimento, attraverso questo canale, delle risorse finanziarie derivanti 
dalla pubblicit� stessa. 

Peraltro anche a tacer del fatto che, secondo dati di comune conoscenza, 
la pubblicit� delle televisioni estere occupa una quota modesta (e 
decrescente negli ultimi anni) del mercato pubblicitario, la peculiarit� 
dell'impresa di ripetizione, per i suoi costi di impianto, manutenzione e 
gestione certamente diversi e inferiori a quelli di una impresa di trasmissione, 
da un lato, e per la identificabilit�, anche in termini quantitativi, 
dei bacini di utenza da essa serviti, dall'altro, non consente di operare 
sulla base del raffronto con diverse situazioni di settore. Resta perci� in 
capo al legislatore e non a questa Corte la competenza ad imporre, determinandone 
la misura, limiti quantitativi alla ripetizione sul territorio 
nazionale a mezzo di appositi impianti dei messaggi pubblicitari commerciali 
nazionali ed esteri. 

p. q. m. 
dichiara la illegittimit� costituzionale dell'art. 40, primo comma e 44, 
secondo comma, ultima parte, della legge 14 aprile 1975, n. 103. 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 ottobre 1985, n. 234 -Pres. Roehrssen 
Rel. Borzellino -Morandi Mazzucchelli (avv. Salvucci) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Caramazza). 

Urbanistica -J~ocalizzazione -Assenza di previo contraddittorio con i soggetti 
interessati -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 42 e 97; legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 51). 

Non irrazionale � la disposizione che, per interventi sul territorio dt 
minore rilevanza, non prescrive una previa pubblicazione ~al fine di con



546 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sentire la presentazione di opposizioni -delle deliberazioni di localizzazione; 
n� pu� ritenersi costituzionalizzata l'estensione nell'ambito amministrativo 
del cosiddetto principio del � giusto procedimento '" 

(omissis) La questione, sulla quale la Corte � chiamata a pronunciarsi, 
s'incentra sul precitato art. 51 legge 22 ottobre 1971, n. 865 nella parte in 
cui non prevede la pubblicazione degli atti di adozione della delibera 
comunale di localizzazione di aree destinate a programmi costruttivi, al 
fine di consentire la presentazione di opposizioni da parte dei soggetti 
interessati. 

Secondo i giudici a quibus, la norma sarebbe in contrasto con gli 
artt. 3 e 42, secondo comma Cost. in quanto creerebbe una situazione di 
ingiustificata diseguaglianza tra soggetti titolari di beni incisi dalle deliberazioni 
di localizzazione ex art. 51, rispetto a quelli titolari di beni 
oggetto dei piani di zona ex art. 1 e segg. della legge 18 aprile 1962, n. 167 
ovvero da altri strumenti urbanistici, disciplinati dell'ordinamento, per 
l'adozione dei quali sarebbe invece previsto il suddetto obbligo della pubblicazione 
dei detti provvedimenti e la positiva facolt�, da parte degli 
interessati, di presentare opposizione od osservazioni. 

Altres�, la mancata possibilit� per i soggetti privati di partecipare, in 
tal modo, alla formazione dei menzionati atti di strumentalizzazione urbanistica 
implicherebbe la violazione del principio del buon andamento 
espresso dall'art. 97 Cost. (omissis) 

Del pari, � da disattendersi il rilievo dell'Avvocah.lra dello Stato, secondo 
cui, in assenza di esplicito positivo divieto, i giudici a quibus 
avrebbero dovuto, nella sfera delle proprie attribuzioni, direttamente 
interpretare e favorevolmente risolvere il contrasto, nel senso di una 
intrinseca identit� del procedimento ex art. 51 con le normazioni che per 
altre strum~ntazioni edilizie (piani di zona), prevedono appunto, ex 
professo, opposizioni da parte dei privati in corso di formazione delle 
relative deliberazioni. 

In assenza, infatti, di almeno un inizio di giurisprudenza in tali sensi, 
espressione di un diritto vivente gi� formato, o in formazione, lo stesso 
Consiglio di Stato ha puntualizzato (ord. 14/78) -precludendo cos� altre 
e differenti soluzioni -come lo stesso disposto della norma (art. 51 legge 

n. 865 al suo ultimo comma) ammetta s� l'applicabilit� alla materia della 
compiuta normativa sui piani di zona, ma soltanto a deliberazione di localizzazione 
gi� adottata, positivamente inferendosene l'esclusione nei riguardi 
d'ogni antecedente fase o modulo del procedimento. 
Nel merito la questione � infondata. Le ordinanze di rimessione 
hanno univocamente denunciato la norma sia sotto il profilo di una lesione 
del principio di uguaglianza, sia sotto quello della violazione delle garanzie 
a tutela della propriet� privata. A tenor d'esse, un contrasto con gli artt. 3 
e 42, comma secondo, della Costituzione sarebbe individuabile per la di




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

versa disciplina offerta ai titolari di beni incisi dai piani di zona (legge 
18 aprile 1962, n. 167), nei cui confronti si consente Ja presentazione di 
opposizioni e si rende cos� operante la difesa � previa � degli interessi 
privati, confrontata con il concomitante procedere della pubblica amministrazione. 


Tuttavia, nelle semplificazioni o accelerazioni delle procedure di adozione 
delle delibere di � localizzazi.one � ex art. 51, destinate ad attuare 
programmi costruttivi minori, e per� di contingente pi� rapida fattivit�, 
non appare ravvisabile un irrazionale e comunque rilevante sacrificio dei 
ridetti interessi privati in gioco, a fronte della esigenza pubblica e tale 
-sul piano dei principi -da far ritenere vulnerati, senz'altro, gli enunciati 
degli artt. 3 e 42 Cost. 

A ci� concorre la giurisprudenza stessa di questa Corte, l� dove � 
stata gi� conclamata una sostanziale ed essenziale diversit�, con evidente 
impossibilit� di confronto sulla identit�, tra i contenuti e gli scopi delle 
strumentazioni edilizie di pi� vaste dimensioni e -per contro -la realizzazione 
-ed � questo il caso in esame -di quelle microincidenze sul 
territorio, risultanti di componenti valutative, d'ordine sociale ed economico, 
di pi� lieve intensit� e minor rilevanza (sentenza n. 23 del 
20 marzo 1978). 

D'altronde, anche l'asserita violazione dell'art. 97 Cost. si prospetta 
priva di pregio. Il disposto dell'art. 97 si prefigge -nella direttiva costituzionale 
per la regolamentazione delle pubbliche attivit�, obiettivate a 
conseguire buon andamento ed imparzialit� -la predisposizione di strutture 
e di moduli d'organizzazione, volti ad assicurare, appunto, ed attraverso 
questa, un'ottimale funzionalit�. 

Il che non esclude che il legislatore ordinario possa indirizzarsi anche 
verso altri (e in aggiunta) canoni di garanzia, oltre quello della organizzazione 
la pi� corretta: fra questi, la cosidd�tta procedimentalizzazione 
dell'amministrazione, giusta modelli contenziosi o paracontenziosi cui, 
in effetti, sembrano tendere concretamente le richieste in causa. 

Orbene, con norme di condotta troppo eccessivamente minuziose, 
imposte alla amministrazione pubblica, lungi dall'ottenersi sempre fattiva 
garanzia, potrebbero, invece, sussistere inconvenienti, anche gravi, di ristagno. 


Ma a tacer di ci�, � certo -in ogni caso -che il dovere di adesione 
obbligatoria a modelli di procedimento amministrativo del genere, con la 
attiva partecipazione concomitante perenne, cio�, dei soggetti privati, non 
� desumibile dalla disposizione dedotta (art. 97), non potendosi ravvisare 
costituzionalizzato, per le considerazioni pi� sopra esposte circa la portata 
dell'invocato parametro, il cosiddetto principio del � giusto procedimento
� (e in tali sensi, ancora la sentenza n. 23/1978). (omissis) 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 28 marzo 
1985, nella causa 272/83 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Lenz Commissione 
delle C. E. (agente Campogrande) c. Repubblica italiana 
(avv. Stato Fiumara). 

Comunit� europee � Agricoltura � Associazioni di produttori agricoli � Requi� 
siti per il riconoscimento e per la revoca di esso � Legislazione nazio� 
nale e regionale di attuazione � Limiti. 

(Regolamento CEE del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360/78; legge 20 ottobre 1978, n. 674). 

Comunit� europee -Agricoltura � Associazioni di produttori agricoli � Normativa 
regionale di attuazione � Contrasti con il diritto comunitario � 
Insussistenza. 

(Regolamento CEE del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360/78; !. 20 ottobre 197ll, n. 674� 
!. .reg. Piemonte 22 aprile 1980, n. 27, art. 12). 

Comunit� europee � Agricoltura � Associazioni di produttori agricoli � Nor� 
mativa regionale e provinciale di attuazione � Mancanza in una parte 
del territorio nazionale. 

(Regolamento CEE del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360/78; legge 20 ottobre 1978, n. 674). 

Includendo fra i requisiti per la concessione e la revoca del riconoscimento 
delle associazioni di produttori, di cui al regolamento CEE del 
Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360/78, concernente le associazioni di produttori 
e le relative unioni, l'obbligo per queste associazioni, ai sensi dell'art. 
2 della legge 20 ottobre 1978, n. 674, di esercitare la loro attivit� 
commerciale in rappres�ntanza dei loro associati, la Repubblica italiana 
� venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CEE. 
Viceversa non � venuta meno a tali obblighi per aver incluso fra i requisiti 
.stessi la previsione negli statuti � che venga promossa la costituzione 
di imprese cooperative o di altre forme associative per la realizzazirme 
e la gestione cli impianti collettivi di stoccaggio, di lavorazione 
e di trasformazione e commercializzazione dei prodotti� (1). 

(l) La Corte di giustizia ha ritenuto che l'art. 2, secondo comma, della 
legge 19 giugno 1978, n. 1360 (cos� come, nella sua scia, numerose leggi regionali 
di attuazione), nel disporre che le associazioni di produttori, per il loro 
funzionamento e per il rispetto della normativa comunitaria, devono stabilire, 
fra l'altro, nei loro statuti, �che l'associazione ... stipuli convenzioni e contratti, 
anche interprofessionali, in rappresentanza dei propri associati�, abbia inteso 
imporre alle associazioni di esercitare la loro attivit� commerciale in rappre

-


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARI.\ E INTERNAZIONALE 549 

Non � possibile contestare alle autorit� regionali italiane il fatto di 
aver adottato la normativa regionale di attuazione del regolamento CEE 
del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360/78, prima che la Commissione 
avesse assolto il proprio compito di emanare disposizioni complementari, 
e in tali condizioni, mancando la possibilit� di far riferimento ai regolamenti 
della Commissione, di aver autorizzato il Consiglio regionale a fare 
quanto necessario nel rispetto delle eventuali decisioni della Commissione. 
N� pu� considerarsi trasgressione al diritto comunitario il fatto che la 
legislazione regionale, -in un regime disciplinato da un insieme di disposizioni 
comunitarie (del Consiglio e della Commissione), nazionali e 
regionali -, riporti, ai fini della coerenza delle sue disposiz~oni e della 

sentanza degli associati, mentre la nonna comunitaria prevede che le associazioni 
devono essere lasciate libere di agire per conto e in nome proprio 
ovvero in rappresentanza degli associati. 

L'interpretazione della normativa nazionale data dalla Corte diverge da 

,quella indicata dal Governo italiano nelle proprie difese. Qualora lo statuto di 
un'associazione -si era con esse rilevato -contempli fra i suoi scopi la 
concentrazione dell'offerta (come nel caso delle associazioni di produttori) � 
conseguenziale e automatico l'esercizio da parte della associazione di un'attivit� 
operativa e normativa diretta, cio� in nome proprio. Poich� il regolamento 
comunitario prevede anche la possibilit� di un'attivit� operativa indiretta, cio� 
a nome e per conto dei propri associati, il legislatore italiano, nel dettare le 
norme di applicazione (in conformit� al disposto dell'art. 19 del regolamento 
stesso), aveva ritenuto opportuno che negli sta.tuti fossero predisposti gli 
strumenti con i quali l'organizzazione avrebbe potuto operare allorch�, con 
propria autonoma decisione, avesse ritenuto di agire per via indiretta, fermo 
che l'associazione avrebbe sempre potuto agire solo in via diretta, cio� in 
tutta la gamma di ipotesi previste dalla normativa comunitaria. In sostanza, 
considerato che, senza esplicita previsione statutaria, le associazioni non avrebbero 
potuto, presentandosene l'opportunit�, agire in forma indiretta, si era 
ritenuto opportuno, in piena aderenza allo spirito comunitario e alla sua lettera 
(la norma italiana parla in effetti di statuti che �devono prevedere, fra l'altro, 
per il loro funzionamento, per l'adempimento degli obblighi e per l'ottemperanza 
delle disposizioni di cui al citato regolamento ... �), fare in modo che le 
associazioni riconosciute fossero state in grado di operare in qualunque momento 
nell'uno o nell'altro dei modi previsti dalla normativa comunitaria. �La norma 
italiana -si era concluso -non impone affatto alle associazioni di operare 
solo stipulando convenzioni e contratti in rappresentanza dei propri associati. 
Essa si limita a imporre la previsione che l'associazione possa realizzare i 
propri scopi istituzionali anche in forma indiretta�. Naturalmente la stessa 
interpretazione doveva essere data alla legislazione regionale che ripeteva le 
prescrizioni della legge nazionale. 

Sotto altra angolazione -forse pi� accettabile -l'Avvocato Generale LENZ, 
nelle sue conclusioni, aveva recepito l'interpretazione data dal Governo italiano, 
ma aveva cionondimeno ritenuto fondata la contestazione mossa dalla Commissione. 
� Ci troviamo qui -aveva rilevato l'Avvocato Generale -di fronte a due 
diverse interpretazioni della legge nazionale. Se ora il Governo nazionale interessato 
fornisce una interpretazione del tutto plausibile del proprio diritto 
nazionale, la Corte dovrebbe considerare esatta tale interpretazione. Non � 



550 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
buona comprensione di queste ultime da parte dei loro destinatari, taluni 
elementi dei regolamenti comunitari (2). 
In mancanza di una legislazione di attuazione nelle regioni Valle 
d'Aosta e Friuli e nelle due province. autonome di Trento e Bolzano, va 
constatato che la Repubblica italiana non ha adottato nell'intero territorio 
nazionale i provvedimenti necessari per l'attuazione integrale del regolamento 
CEE 19 giugno 1978, n. 1360/78 (3). 
(omissis) 1. Con 
atto registrato nella cancelleria della Corte il 14 dicembre 
1983, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, a norma 
dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far constatare che 
la Repubblica italiana, non avendo applicato in modo corretto il regolamento 
del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360, concernente le associazioni 
di produttori e le relative unioni (G. U. n. L 166, pa. 1), � venuta meno 
agli obblighi ad essa incombenti a nonna del Trattato CEE. 
2. -Il regolamento n. 1360/78 istituisce, in talune regioni della Comunit� 
fra cui l'intero territorio italiano, un regime di incentivazione 
alla costituzione di associazioni di produttori agricoli, con lo scopo di stimolare 
sia una concentrazione dell'offerta di taluni prodotti agricoli sia 
un adeguamento della loro produzione alle esigenze del mercato. Ai sensi 
degli artt. 4, 7 e 10 del regolamento, spetta agli Stati membri interessati 
riconoscere le associazioni di produttori che rispondono alle condizioni 
elencate nel regolamento stesso, controllare che queste condizioni continuino 
a ricorrere, e, infine, concedere alle associazioni riconosciute aiuti 
sufficiente che la ricorrente (cio� la Commissione) si limiti a contrapporle 
un'altra interpretazione contraria. La ricorrente dovrebbe piuttosto presentare 
solidi argomenti, come per esempio riferimenti alla prassi nazionale, 
decisioni giurisprudenziali o simili. Essa ha per� ammesso di non disporre di 
tali argomenti�. Peraltro, l'Avvocato generale aveva concluso anch'egli per 
l'accoglimento sul punto del ricorso della Commissione, avendo rilevato che, 
.comunque, la normativa nazionale imponeva un obbligo supplementare rispetto 
agli adempimenti richiesti dal regolamento comunitario: i soci sarebbero stati 
costretti a concedere all'associazione un potere di rappresentanza che essi 
avrebbero potuto non essere disposti a concedere e che soprattutto non era 
richiesto dal diritto comunitario, e irrilevante appariva il fatto che le associazioni 
non fossero obbligate a farne uso, mentre certamente rilevante era che 
il riconoscimento fosse subordinato alla previsione di esso nello statuto e che 
il suo venir meno avrebbe potuto legittimare, secondo la norma nazionale, la 
revoca del riconoscimento. 
(2) Soluzione conforme alle tesi svolte dal Governo italiano. 
(3) Le altre regioni hanno emesso le disposizioni di attuazione con le 
seguenti leggi regionali: Piemonte n. 27/80, Toscana n. 77/80, Lombardia 
550 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
buona comprensione di queste ultime da parte dei loro destinatari, taluni 
elementi dei regolamenti comunitari (2). 
In mancanza di una legislazione di attuazione nelle regioni Valle 
d'Aosta e Friuli e nelle due province. autonome di Trento e Bolzano, va 
constatato che la Repubblica italiana non ha adottato nell'intero territorio 
nazionale i provvedimenti necessari per l'attuazione integrale del regolamento 
CEE 19 giugno 1978, n. 1360/78 (3). 
(omissis) 1. Con 
atto registrato nella cancelleria della Corte il 14 dicembre 
1983, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, a norma 
dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far constatare che 
la Repubblica italiana, non avendo applicato in modo corretto il regolamento 
del Consiglio 19 giugno 1978, n. 1360, concernente le associazioni 
di produttori e le relative unioni (G. U. n. L 166, pa. 1), � venuta meno 
agli obblighi ad essa incombenti a nonna del Trattato CEE. 
2. -Il regolamento n. 1360/78 istituisce, in talune regioni della Comunit� 
fra cui l'intero territorio italiano, un regime di incentivazione 
alla costituzione di associazioni di produttori agricoli, con lo scopo di stimolare 
sia una concentrazione dell'offerta di taluni prodotti agricoli sia 
un adeguamento della loro produzione alle esigenze del mercato. Ai sensi 
degli artt. 4, 7 e 10 del regolamento, spetta agli Stati membri interessati 
riconoscere le associazioni di produttori che rispondono alle condizioni 
elencate nel regolamento stesso, controllare che queste condizioni continuino 
a ricorrere, e, infine, concedere alle associazioni riconosciute aiuti 
sufficiente che la ricorrente (cio� la Commissione) si limiti a contrapporle 
un'altra interpretazione contraria. La ricorrente dovrebbe piuttosto presentare 
solidi argomenti, come per esempio riferimenti alla prassi nazionale, 
decisioni giurisprudenziali o simili. Essa ha per� ammesso di non disporre di 
tali argomenti�. Peraltro, l'Avvocato generale aveva concluso anch'egli per 
l'accoglimento sul punto del ricorso della Commissione, avendo rilevato che, 
.comunque, la normativa nazionale imponeva un obbligo supplementare rispetto 
agli adempimenti richiesti dal regolamento comunitario: i soci sarebbero stati 
costretti a concedere all'associazione un potere di rappresentanza che essi 
avrebbero potuto non essere disposti a concedere e che soprattutto non era 
richiesto dal diritto comunitario, e irrilevante appariva il fatto che le associazioni 
non fossero obbligate a farne uso, mentre certamente rilevante era che 
il riconoscimento fosse subordinato alla previsione di esso nello statuto e che 
il suo venir meno avrebbe potuto legittimare, secondo la norma nazionale, la 
revoca del riconoscimento. 
(2) Soluzione conforme alle tesi svolte dal Governo italiano. 
(3) Le altre regioni hanno emesso le disposizioni di attuazione con le 
seguenti leggi regionali: Piemonte n. 27/80, Toscana n. 77/80, Lombardia 
n. 97/80, Sicilia n. 81/81, Umbria n. 42/81; Emilia n~ 28/81, Veneto n. 57/81, 
Marche n. 42/81, Puglia n. 7/82, Campania n. 29/82, Abruzzo n. 30/82, Calabria 
n. 13/82, Basilicata n. 24/82, Sardegna n. 15/83, Liguria n. 23/83, Molise n. 23/84, 
Lazio n. 60/84. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

per incoraggiarne la costituzione e agevolarne il funzionamento amm1mstrativo. 
Questi aiuti sono imputabili al Fondo europeo agricolo di orientamento 
e garanzia (FEAOG), sezione � orientamento>>. 

3. -La legge italiana 20 ottobre 1978, n. 674, contenente disposizioni 
in materia di associazioni di produttori agricoli (G. U. R. l. n. 311, pag 8011) 
ha come oggetto l'adeguamento della normativa italiana alla precitata 
normativa comunitaria. Tuttavia, in relazione all'assetto costituzionale 
della Repubblica italiana, che assegna a diciannove regioni ed alle due 
provincie autonome di Trento e Bolzano ampi poteri in materia di agricoltura, 
spetta a queste regioni ed alle due province autonome, a norma 
dell'art. 2, primo comma, della legge n. 674, adottare i provvedimenti necessari, 
in particolare per quel che riguarda le modalit� di riconoscimento 
delle associazioni di produttori; questi provvedimenti devono tener conto 
delle norme del regolamento n. 1360/78 e di quelle della legge n. 674. 
L'art. 2, secondo comma, della legge n. 674 prescrive che gli statuti delle 
associazioni devono fra l'altro stabilire, per il loro funzionamento e per il 
rispetto delle norme del regolamento comunitario, talune disposizioni, 
pi� o meno dettagliate, contenute nei nn. 1-10 del detto art. 2, secondo 
comma. 
4. -La Commissione contesta alla Repubblica italiana di aver mancato 
agli obblighi che le incombono: 
-prevedendo, nella legge n. 674 e nella legislazione regionale di applicazione, 
condizioni per la concessione e la revoca del riconoscimento 
delle associazioni di produttori e delle relative unioni diverse da quelle 
previste dal regolamento n. 1360/78; 

-mantenendo nella legislazione regionale disposizioni in materia di 
esclusiva competenza comunitaria, nonch� disposizioni ripetitive di norme 
comunitarie; 

-non adottando in parte del suo territorio, la legislazione integrativa 
necessaria per l'applicazione del regolamento n. 1360/78. 

S. -� opportuno. esaminare successivamente queste tre diverse 
censure. 
a) Le condizioni per la concessione e la revoca del riconoscimento delle 
associazioni di produttori. 

6. -Per quel che riguarda la concessione del riconoscimento delle 
associazioni di produttori, Ja Commissione sostiene che la normativa italiana 
impone condizioni diverse da quelle disposte dalla normativa comunitaria 
relativamente a due punti. Innanzitutto, la legge n. 674, all'art. 2, 
secondo comma, n. 4, imporrebbe alle associazioni riconosciute di esercitare 
attivit� commerciali in rappresentanza dei loro associati, mentre il 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

552 

regolamento n. 1360/78 lascerebbe le associazioni libere di intervenire esse 
stesse sul mercato o di farlo a nome e per conto dei loro associati. In secondo 
duogo, la medesima legge, all'art. 2, secondo comma, n. 8, imporrebbe 
alle associazioni di promuovere la costituzione di cooperative per la 
gestione degli impianti collettivi di stoccaggio, di lavorazione e di trasformazione 
dei prodotti, condizione non contemplata dal regolamento numero 
1360/78. 

7. -La Commissione ricorda, sul primo punto, che ai sensi dell'art. 2, 
secondo comma, della legge italiana, gli statuti delle associazioni dei produttori 
�devono prevedere�, fra l'altro: 
" 4� -che l'associazione adotti regolamenti per il proprio funziona� 
mento; definisce programmi di produzione e di commercializzazione; stipuli 
convenzioni e contratti, anche interprofessionali, in rappresentanza 
dei propri associati per la cessione, il ritiro, lo stoccaggio e l'immissione 
sul mercato dei prodotti>>. 

8. -La Commissione deduce da questa disposizione che le associazioni 
di produttori, in forza della legge italiana, non possono organizzarsi 
in modo da agire, per l'immissione sul mercato dei prodotti, a nome dei 
propri associati ma per conto dell'associazione o addirittura a nome e 
per conto dell'associazione. L'art. 6 del regolamento n. 1360/78 avrebbe 
tuttavia provveduto a disporre che gli stati.tti delle associazioni devono 
prevedere l'obbligo per gli associati: 
�-di effettuare l'immissione sul mercato di tutta la produzione destinata 
alla commercializzazione ... secondo le norme di conferimento e 
d'immissione sul mercato stabilite e controllate ... dall'associazione ... ; 

-ovvero di far effettuare ... dall'associazione ... l'immissione sul mercato 
di tutta la produzione destinata alla commercializzazione ..., a loro 
nome e per loro conto, oppure a loro nome e per conto dell'associazione ..., 
oppure a nome e per conto dell'associazione ... >>. 

Il diritto comunitario lascerebbe quindi le associazioni dei produttori 
libere di esercitare attivit� normative o commerciali, e offrirebbe alle associazioni, 
per quel. che riguarda le attivit� commerciali, una scelta che 
la legge italiana non consentirebbe loro. 

9. -Il governo italiano attira l'attenzione sul fatto che la legge 
n. 674 � una legge-quadro, che non � diretta di per s� alle associazioni 
di produttori bens� obbliga le regioni, competenti in materia, a definire 
norme per il riconoscimento che lascino alle associazioni di produttori 
la scelta di esercitare attivit� normative (adottare regolamenti e programmi) 
o commerciali (stipulare contratti). Per quel che riguarda le attivit� 
commerciali, non sarebbe stato necessario stabilire che l'associazione 
possa agire in forma diretta sul mercato, in quanto tale potere 
discende dalla finalit� perseguita dall'associazione, che � la concentra

PARTE I, SEZ. II, �IURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 553 

zione dell'offerta. Poich� il regolamento n. 1360/78 contempla altres� la 
possibilit� per le associazioni di agire a nome e per conto dei propri associati, 
il legislatore italiano auebbe ritenuto opportuno che negli statuti 
fossero determinati gli strumenti con cui l'associazione potrebbe agire, 
qualora lo desideri, in forma indiretta, cio� �n rappresentanza dei propri 
associati. 

10. -Va osservato innanzitutto che, in base alla formulazione dell'art. 
2, 2� comma, n. 4, della legge n. 674, il riconoscimento di un'associazione 
pu� essere rifiutato se quest'ultima non abbia inserito nel proprio 
statuto la forma di attivit� contemplata da tale disposizione ma adotti 
una delle altre forme di attivit� di cui all'art. 6 del regolamento n. 1360/78. 
In tale ipotesi, l'associazione avrebbe tuttavia il diritto di essere riconosciuta 
a norma della regolamentazione comunitaria. 
11. -L'argomento del Governo italiano secondo cui la legge n. 674 
non obbliga le associazioni di produttori ad esercitare un'attivit� commerciale 
in rappresentanza dei propri membri, bens� si limita ad invitare 
le autorit� regionali a non trascurare questa forma di azione, non pu� 
essere accolto. Risulta infatti, da un certo numero di leggi regionali, che 
queste ultime obbligano le associazioni ad inserire nei loro statuti la 
rappresentanza dei loro associati per la cessione, il ritiro, l'immissione 
sul mercato e lo stoccaggio dei prodotti, senza menzionare la possibilit�, 
tuttavia concessa dal regolamento n. 1360/78, che le associazioni agiscano, 
a questo proposito, a nome proprio e per proprio conto. Cos�, la legge 
regionale della regione Lombardia (Bollettino Ufficiale della Regione del 
20 novembre 1980, n. 47) ripete all'art. 3, i requisiti di cui alla legge n. 674 
e la legge regionale della regione Sicilia (Bollettino Ufficiale della Regione 
del 9 maggio 1981, n. 23) si limita, agli artt. 2 e 3, a farvi riferimento. 
Tale rinvio figura altres� nelle leggi regionali dell'Emilia-Romagna (Bol� 
lettino Ufficiale della Regione del 5 settembre 1981, n. 15), all'art. 3, 
e della Campania (Bollettino Ufficiale della Regione del 2 giugno 1982, 
n. 36), all'art. 4. 
12. -Di conseguenza, l'effetto congiunto della legge nazionale e delle 
leggi regionali toglie alle associazioni di produttori, su una parte rilevante 
del territorio italiano, la libert� di scegliere una forma di attivit� loro. 
permessa .dalla normativa comunitaria. 
13. -Il secondo punto trattato, a questo proposito, dalla Commissione 
riguarda l'art. 2, n. 8, della legge n. 674. A norma di tale disposizione, 
gli statuti delle associazioni di produttori devono stabilire " che venga 
promossa la costituzione di imprese cooperative o di altre forme associative 
per la realizzazione e la gestione di impianti collettivi di stoccaggio, 
di lavorazione e di trasformazione e commercializzazione dei prodotti �. 
La Commissione sostiene che una disposizione del genere non figura 

554 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nel regolamento n. 1360/78 e che la normativa italiana costringe quindi 

le associazioni ad adottare forme di attivit� sconosciute al diritto comu


nitario. 

14. -Il governo italiano ricorda che lo scopo dell'istituzione delle 
associazioni di produttori consiste nell'adattare la produzione e l'offerta 
alle esigenze del mercato tramite forme di attivit� comuni. Nell'agricoltura 
italiana, la cooperazione rappresenterebbe il primo �stadio associativo 
atto a favorire l'accorciamento dei circuiti commerciali tramite la concentrazione 
dell'offerta e l'utilizzazione comune degli impianti di trasformazione. 
Lungi dal turbare il funzionamento delle associazioni, la formazione 
di cooperative agirebbe nel medesimo senso e sarebbe quindi 
idonea ad ovviare alle deficienze strutturali cui il regolamento comunitario 
si propone di rimediare progressivamente. 
15. -La Corte ritiene che questo argomento del Governo italiano 
debba essere accolto. La disposizione contestata non comporta, come asserito 
dalla Commissione, un obbligo di promuovere la sola costituzione di 
imprese cooperative; essa lascia alle associazioni la scelta di incoraggiare la 
costituzione sia di tali imprese sia di altre �forme associative� che poi


trebbero gestire impianti collettivi di lavorazione e di commercializzaziof 


f:
ne. � difficile immaginare che la promozione, in una forma o in un'altra, 
di tali attivit� cooperative o collettive possa essere contraria al regola1= 
mento n. 1360/78, quando quest'ultimo mira precisamente, ai sensi del 
suo sesto considerando, ad incoraggiare �l'associazione degli agricoltori 


I 
al fine di intervenire nel processo economico mediante forme di azione 
comune�. 

I

f

16. -Su questo punto, il ricorso va pertanto respinto. f 
I 
~ 

17. -Per quel che riguarda la revoca del riconoscimento concesso > 
alle associazioni, la Commissione sostiene che gli artt. 4 e 5 della legge 
n. 674 obbligano le regioni a disporre tale revoca qualora l'associazione 
abbia compiuto ripetute e gravi infrazioni alle norme comunitarie e naI


zionali. 

I! 

18. -Nel ricorso la Commissione ha ammesso che uno Stato membro 
ha la facolt� di imporre la revoca del riconoscimento allorch� l'associazione 
violi norme nazionali generali, vigenti per l'insieme delle persone 
i 

giuridiche e non attinenti ai requisiti ed agli obblighi specifici delle associazioni 
di produttori agricoli. Sarebbe invece inammissibile che il riconoscimento 
potesse essere revocato allorch� l'associazione risponde a tutte 

I 
le condizioni stabilite dalle norme comunitarie ma non si conforma 
agli obblighi aggiuntivi imposti dalla legge n. 674. 

I 

l 

19. -Stando cos� le cose, questa parte della domanda si fonde con 
quella relativa alla concessione del riconoscimento delle associazioni. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

20. -Si deve quindi concludere che la Repubblica italiana non ha 
eseguito il regolamento n. 1360/78 in modo corretto in quanto, fra i requisiti 
per la concessione e la revoca del riconoscimento delle associazioni 
di produttori, ha inserito l'obbligo, per tali associazioni, di esercitare 
le loro attivit� commerciali in rappresentanza dei propri associati. 
b) Il contenuto delle norme delle leggi regionali. 

21. -La Commisione fa valere che le leggi regionali di applicazione 
contengono disposizioni che si limitano a ripetere le norme comunitarie 
nonch� norme relative a materie che sono ormai di esclusiva competenza 
delle istituzioni comunitarie. 
22. -La Commissione si riferisce per esempio all'art. 12 della legge 
regionale del Piemonte (Bollettino Ufficiale della Regione del 30 aprile 1980, 
n. 18) che attribuisce al consiglio regionale il potere di adottare, fra 
l'altro, norme comuni di produzione e di immissione sul mercato nonch� 
norme in materia di dimensioni minime delle associazioni, di determinazione 
dei settori interessati, di definizione di spese eligibili per gli aiuti. 
Ora, gli artt. 6, n. 3, e 11, n. 3, del regolamento n. 1360/78 riserverebbero 
alla Commissione il potere di adottare norme del genere. Le dimensioni 
minime delle associazioni e le i;pese eligibili per gli aiuti sarebbero gi� 
state definite dal regolamento della Commissione 31 luglio 1980, n. 2084/80, 
recante modalit� di applicazione relative all'attivit� economica delle associazioni 
di produttori e delle relative unioni (G.U. n. L. 203, pag. 5). 
23. -Il Governo italiano sostiene che la legge regionale del Piemonte 
� anteriore al regolamento della Commissione n. 2084/80 di cui non poteva 
dunque essere tenuto conto e che l'art. 12 di questa legge regionale precisa 
esplicitamente che il Consiglio regionale stabilisce le modalit� di 
applicazione relative a talune materie �nel rispetto delle determinazioni 
assunte dai competenti organi ai sensi del regolamento del Consiglio 
delle Comunit� Europee 19 luglio 1978, n. 1360 �. Sarebbe d'altronde 
estremamente difficile evitare tali sovrapposizioni, cos� come talune ripetizioni, 
in una situazione in cui la produzione normativa � ripartita su 
quattro diversi livelli, quello del Consiglio delle Comunit� Europee, quello 
della Commissione, il livello nazionale ed il livello regionale. Le leggi regionali 
costituirebbero per il destinatario la fonte di informazioni pi� accessibile; 
esse dovrebbero dunque necessariamente ripetere, per maggior 
chiarezza, il contenuto di talune disposizioni che si trovano a monte. 
24. -Va osservato in primo luogo che il regolamento n. 1360/78 non 
fissa, per la propria esecuzione da parte degli Stati membri, una scader. 
za precisa. Talune delle sue disposizioni impongono obblighi agli Stati 
membri (artt. 4, 7 e 10, n. 1), altre obbligano la Commissione a sta 
bilire, secondo il procedimento cosiddetto del comitato di gestione, talune 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

556 

modalit� di applicazione (artt. 6, n. 3, e 11, n. 3). Solamente l'art. 11, n. 3, 
che concerne le precisazioni necessarie a delimitare la nozione di spese 
reali di costituzione e di funzionamento amministrativo delle associazioni, 
contiene una scadenza, disponendo che tali precisazioni saranno adottate 
�entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente regolamento�. Il 
regolamento di applicazione della Commissione, cio� il precitato regolamento 
n. 2084/80, � stato adottato pi� di due anni dopo l'entrata in vigore, 
avvenuta il 26 giugno 1978, del regolamento n. 1360/78 (art. 20 del regolamento 
n. 1360/78). 

25. -La Commissione ha riconosciuto che in Italia, per ragioni costituzionali, 
le modalit� pratiche per la concessione e la revoca del riconoscimento 
del.le associazioni vanno definite dalle autorit� regionali. Non 
� possibile contestare a tali autorit� il fatto di aver adottato la normativa 
regionale necessaria prima che la Commissione avesse assolto il proprio 
compito e, in tali condizioni, mancando la possibilit� di far riferimento 
ai regolamenti della Commissione, di aver autorizzato il Consiglio regionale 
a fare quanto necessario nel rispetto delle eventuali decisioni della 
Commissione. 
26. -Quanto alla censura relativa alla ripetizione, da parte delle 
leggi regionali, o di talune di queste, del contenuto della normativa comunitaria, 
� vero che la Corte, co~e rilevato dalla Commissione, ha sottolineato 
nella sua sentenza 7 febbraio 1973 (causa 39/72, ITALIA, Racc., 
pag. 101) che i regolamenti della Comunit� sono di per s� direttamente 
efficaci in tutti gli Stati membri ed entrano in vigore per il semplice� fatto 
della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit�. Di conseguenza, 
uno Stato membro non � libero di creare una situazione in cui 
l'efficacia diretta dei regolamenti comunitari verrebbe compromessa. 
27. -Questo non � tuttavia il caso di specie. L'attuazione del regime 
delle associazioni di produttori in Italia non pu� essere garantita dai soli 
regolamenti comunitari; essa dipende, come la Commissione stessa ha 
riconosciuto, dalla convergenza di un insieme di disposizioni, comunitarie, 
nazionali e regionali. In una tale situazione particolare, il fatto cbe 
talune leggi regionali riportino, ai fini della coerenza delle loro disposizioni 
e della buona comprensione di queste ultime da parte dei loro 
destinatari, taluni elementi dei regolamenti comunitari non pu� essere 
considerato come una trasgressione del diritto comunitario. 
28. -Da quanto precede risulta che questa parte del ricorso della 
Commissione va respinta. 
c) La mancata adozione di leggi regionali. 

29. -La Commissione sostiene nel ricorso che, in violazione delle 
norme comunitarie, il regolamento n. 1360/78 sarebbe applicato solamente 
\ 

I

I 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

557 

in undici regioni italiane, non essendo stati ancora adottati provvedi� 
menti regionali di applicazione nelle regioni Valle d'Aosta, Liguria, Friuli, 
Lazio, Molise, Basilicata, Calabria e Sardegna n� nelle due province autonome 
di Trento e Bolzano. 

30. -Il Governo italiano ha ammesso il ritardo. 
31. -Poich� talune regioni hanno nel frattempo adottato i provvedi� 
menti necessari, risulta che al termine della fase orale, due regioni, e cio� 
la Valle d'Aosta e il Friuli, e le due province autonome di Trento e 
Bolzano non avevano ancora provveduto al riguardo. 
32. -Va dunque constatato, su questo punto, che la Repubblica 
italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato 
non avendo adottato, per una parte del suo territorio, i provvedimenti 
necessari all'attuazione integrale del regolamento n. 1360/78. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 28 
marzo 1985, nella causa 274/83 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. 
Lenz -Commissione delle C. E. (ag. Prozzillo) c. Repubblica italiana 
(avv. Stato Braguglia). 

Comunit� europee -Ravvicinamento delle legislazioni -Appalti di lavori 

pubblici -Procedure di applicazione. 

(Direttiva CEE del Consiglio 15 luglio 1975, n. 71/305, artt. 12 e segg., 23 e segg., 29 e 33; 
legge 8 aimsto 1977. n. 584; legge 10 dicembre 1981, n. 741, artt. 9, 10, 11, 13, 15; legge 
8 ottobre 1984, n. 687). . , . ..J 

La Repubblica italiana, adottando l'art. 10, comma primo (che prevede 
come criterio di aggiudicazione l'offerta segreta che eguaglia o pi� 
si avvicina alla media delle offerte), commi 3 e 5 (che prevedono una 
sospensione temporale dell'obbligo di pubblicazione dei bandi nella Gaz� 
zetta Ufficiale delle C. E. e dell'obbligo di richiedere alcune particolari 
referenze) e l'art. 13 (che autorizza l'aggiudicazione a trattativa privata 
in casi di urgenza diversi da quelli previsti nella direttiva comunitaria) 
della legge 10 dicembre 1981, n.. 741, contenente �ulteriori no1-me per 
l'accelerazione delle procedute per l'esecuzione di opere pubbliche�, e 
non comunicando ufficialmente alla Commissione il testo della legge 
stessa, � venuta meno agli obblighi ad essa imposti dalla direttiva 71/ 
305/CEE del Consiglio del 15 luglio 1975 (1). 

(1) Molte delle ongmarie contestazioni della Commissione sono cadute in 
corso di causa, vuoi per rinuncia della stessa dopo i chiarimenti forniti nelle 
difese del Governo italiano sull'esatta portata delle norme nazionali, vuoi 
perch� superate dalle nuove norme della legge 8 ottobre 1984, n. 687. L'unico 
residuo motivo di contrasto tra le parti era se il criterio di aggiudicazione 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) 1. -Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 
16 dicembre 1983, la Commissione delle Comunit� Europee ha proposto, 
a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso volto a far constatare 
che la Repubblica italiana, adottando talune disposizioni in materia �d1 
aggiudicazione di appalti di lavori pubblici e omettendo di comunicare 
alla Commissione talune disposizioni essenziali di diritto interno da essa 
adottate nel settore dsciplinato dalla direttiva del Consiglio 15 luglio 
1975, n. 71/305, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti 
di lavori pubblici (G. V. n. L 185, pag. 5), � venuta meno agli obblighi 
ad essa imposti dal Trattato CEE. 

2. -Il 26 luglio 1971, il Consiglio delle Comunit� Europee adottava 
due direttive intese a realizzare la libert� di stabilimento e la libera 
prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici. La prima, 
la n. 71/304 (G. U. n. L 185, pag. 1), attua, per quanto riguarda gli appalti 
di lavori pubblici, il principio del divieto di discriminazioni fondate sulla 
nazionalit� in materia di libera prestazione dei servizi. La seconda, la 
n. 71/305 (G.U. n. L 185, pag. 5), stabilisce il coordinamento delle procedure 
nazionali per l'aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici dettando 
in particolare: 
-norme comuni di pubblicit� (artt. 12 e segg.); 
-norme comuni di partecipazione (titolo IV) contenenti l'enunciazione 
di criteri obiettivi sia per la selezione qualitativa delle imprese 
(artt. 23 e segg.), sia per l'aggiudicazione degli appalti (art. 29). 

3. -Con sentenza 22 settembre 1976 (COMMISSIONE c. ITALIA, causa 
10/76, Racc., pag. 1359), la Corte dichiarava e statuiva che, non avendo 
adottato entro il termine stabilito le disposizioni necessarie per conformarsi 
alla direttiva del Consiglio n. 71/305, la Repubblica italiana era 
venuta meno ad un obbligo impostale dal Trattato. Conformandosi a 
questa sentenza, la Repubblica italiana adottava 1'8 agosto 1977, la legge 
dell'offerta segreta che eguaglia o pi� si avvicina alla media (art. 10, primo 
comma, legge n. 741 del 1981, confermato nella legge n. 687/1984) potesse consi� 
derarsi o meno uno dei criteri per determinare l'offerta economicamente pi� 
vantaggiosa. 

La soluzione negativa accolta dalla Corte si basa sul presupposto che la 
determinazione dell'offerta pi� vantaggiosa consegue ad una decisione discre


zionale dell'amministrazione aggiudicatrice, mentre il criterio in questione 
impone un meccanismo automatico, che esclude qualsiasi discrezionalit�. 

Le sentenze della Corte citate in motivazione 22 settembre 1976, nella 
causa 10/76, COMMISSIONE c. REP. ITALIANA, relativa alla mancata attuazione della 
direttiva 71/305, e 11 luglio 1984, nella causa 51/83, COMMISSIONE c. REP. ITALIANA, 
relativa alla corrispondenza fra lettera di diffida, parere motivato e ricorso di 
cui all'art. 169 del Trattato CEE, sono pubblicate in questa Rassegna 1976, 
I, 929, e 1984, I, 924. 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

n. 584 (G.U.R.I. 26 agosto 1977, n. 232, pag. 6272) la quale, a parere della 
Commissione, garantiva una corretta attuazione della direttiva. 
4. -Il 10 dicembre 1981, il legislatore italiano adottava la legge 
n. 741 recante �ulteriori norme per l'accelerazione delle procedure per 
l'esecuzione di opere pubbliche � (G.U.R.I. 16 dicembre 1981, n. 344, 
pag. 8271). La Commissione, ritenendo, in primo luogo, che numerose 
norme di questa legge, e pi� precisamente gli artt. 9, 10, 11, 13 e 15, 
fossero contrarie in particolare alle disposizioni della direttiva n. 71/305, 
relative alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit� Europee 
dei bandi di gara, alla dimostrazione della capacit� finanziaria, economica 
e tecnica dell'impresa e ai criteri di aggiudicazione dell'appalto 
e, in secondo luogo, che non avendole comunicato il testo di tale legge, 
l'Italia fosse venuta meno agli � obblighi ad essa incombenti� in forza 
dell'art. 33 di questa direttiva, con lettera 17 dicembre 1.982, invitava il 
Governo italiano, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, a presentare, 
entro un termine di due mesi a partire dal ricevimento della lettera, 
le proprie osservazioni sugli otto addebiti ivi formulati. 
5. -Con lettera 24 febbraio 1983 della sua Rappresentanza permanente, 
il Governo italiano ammetteva la fondatezza degli addebiti formulati 
relativamente all'art. 10, terzo e quarto comma, all'art. 10, quinto 
comma, e all'art. 13 della legge n. 741 contestando tuttavia la fondatezza 
di quelli relativi all'art. 9, all'art. 10, primo comma, all'art. 11 e all'art. 15, 
secondo comma, prima frase, di detta legge. Il Governo italiano trasmetteva 
alla Commissione, in allegato a questa lettera, il testo di uno schema 
di disegno di legge predisposto dal Ministero dei lavori pubblici nell'intento 
di venire incontro alle richieste formulate dalla Commissione. 
6. -Ritenendo di non poter tener conto di questo disegno preliminare 
di legge in quanto rappresentava solo � un'intenzione vaga ed incompleta 
delle autorit� competenti di conformarsi alle disposizioni della 
direttiva�, il 2 agosto 1983 la Commissione emanava un parere motivato 
che riproduceva l'insieme degli addebiti gi� formulati nella sua lettera di 
diffida. Ai sensi di tale parere, la Repubblica italiana veniva invitata ad 
adottare le misure necessarie nel termine di un mese. 
7. -In risposta al parere motivato, con telex 27 settembre 1983, 
il Governo italiano rendeva nota alla Commissione l'intenzione del Ministro 
dei lavori pubblici di reiterare la presentazione al Parlamento italiano 
del disegno di legge succitato, che era decaduto a causa della fine 
della legislatura. Non essendo in seguito intervenuto alcun fatto nuovo, 
la Commissione decideva di adire la Corte. 
8. -La legge n. 687, recante modifiche alla legge n. 741 e alle disposizioni 
relative alla cauzione provvisoria ed alla pubblicit�, veniva adottata 
solamente 1'8 ottobre 1984. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

560 

9. -Con il presente ricorso la Commissione lamenta innanzitutto 
l'adozione, avvenuta il 10 dicembre 1981, da parte dell'Italia della legge 
n. 741 recante norme integrative allo scopo di accelerare le procedure 
di esecuzione dei lavori pubblici (G.U.R.I. 16 dicembre 1981, n. 344, 
pag. 8271), i cui artt. 9, 10, 11, 13 e 15 sarebbero contrari a talune disposizioni 
della direttiva n. 71/305 e, in .secondo luogo, la mancata comunicazione 
nei suoi confronti, da parte della stessa, del testo di tale legge, 
in violazione dell'art. 33 di detta direttiva. 

I

I. 
Per quel che riguarda l'adozione di talune disposizioni contenute 
nella legge n. 741. 
I 

a) Ammissibilit� delle offe1�te in aumento. 

10. -La Commissione sostiene che l'art. 29, n. 1, della direttiva 
contempla solamente due criteri di aggiudicazione dell'appalto, cio� il 
prezzo pi� basso o l'offerta economicamente pi� vantaggiosa, mentre 
l'art. 9 della legge italiana ammetterebbe, in caso di licitazione privata, 

le offerte in aumento che non corrispondono n� all'uno, n� all'altro, 
�di questi due criteri. 

11. -Il Governo italiano risponde a questa censura sostenendo che 
la possibilit� di presentare offerte in aumento rispetto al prezzo di base 
fissato dall'amministrazione per l'aggiudicazione � conforme al criterio 
del �prezzo pi� basso� di cui all'art. 29, n. 1, della direttiva. Infatti, 
l'art. 9 disporrebbe che l'appalto viene aggiudicato al concorrente che 
offre l'aumento minore relativamente al prezzo fissato, in modo che 
l'aggiudicazione avverrebbe sempre a favore di chi ha offerto � il prezzo 
pi� basso�. 
12. -Tenuto conto delle osservazioni presentate dal Governo italiano, 
la Commissione ha dichiarato di ritirare questa censura. 
b) Modalit� per le offerte in aumento. 

13. -Secondo la Commissione, dal combinato disposto dell'art. 9 
della legge italiana 10 dicembre 1981, n. 741, e dell'art. 1, n. 3, della 
legge 3 luglio 1970, n. 504 (G.U.R.I. 17 luglio 1970, n. 179) risulterebbe 
che i prezzi sono calcolati nell'ambito delle procedure di aggiudicazione 
con possibilit� di otferte in aumento, secondo la procedura della scheda 
segreta, mentre l'art. 29, n. 3, della direttiva vieta, una volta scaduto 
il termine da essa fissato, di determinare i prezzi tramite questa procedura. 
14. -Il Governo italiano ha replicato a questo addebito che il 
ricorso alla procedura della scheda segreta non deriva dall'art. 9 della 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

legge del 1981, e che in pratica tale procedura non � preparata o utilizzata 
nell'ambito delle aggiudicazioni disciplinate dal detto art. 9. 
L'art. 1 del disegno di legge approvato il 22 dicembre 1983 vieterebb-. 
la procedura della scheda segreta di cui all'art. 1 della legge n. 504/70 
per quel che riguarda gli appalti rientranti nell'ambito di applicazione 
della direttiva al solo scopo di chiarire la situazione e dissipare i dubbi 
della Commissione. 

15. -Poich� il disegno di legge � stato adottato 1'8 ottobre 1984, in 
occasione della fase orale la Commissione ha rinunciato a far valere 
questa censura. 
c) Offerta segreta che eguaglia o che pi� si avvicina alla media. 

16. -Secondo la Commissione, il criterio di aggiudicazione dell'appalto, 
per cui l'art. 10, primo comma, della legge italiana rinvia all'art. 4 della 
legge 2 febbraio 1973, n. 14, e, tramite questo, all'art. l, lett. d), di tale 
legge, che dispone che l'appalto sar� aggiudicato al concorrente che ha 
presentato l'offerta che eguaglia o, in mancanza, che pi� si avvicina per 
difetto alla media, non corrisponde n� all'uno, n� all'altro, dei due criteri 
contemplati nell'art. 29, n. 1, della direttiva, ossia il prezzo pi� basso o 
l'offerta economicamente pi� vantaggiosa determinata in relazione a diversi 
parametri variabili a seconda del mercato. 
17. -Il Governo italiano ritiene invece che il criterio della media 
permetta, grazie alle sue speci~iche modalit� di applicazione, come definite 
nell'art. 4 della legge n. 14/73, di determinare l'offerta economicamente 
pi� vantaggiosa. Il Governo italiano, nel corso della fase orale, ha 
inoltre sollevato un'eccezione di irricevibilit� fondata sul fatto che l'art. 10, 
primo comma, della legge n. 741, nella lettera di diffida sarebbe stato 
incompatibile solo con l'art. 29, n. 3, della direttiva. Nel suo parere motivato, 
la Commissione avrebbe invece sostenuto che il criterio di aggiu-' 
dicazione di cui trattasi non corrisponde a nessuno dei criteri di cui all'art. 
29, n. l, della direttiva. 
18. -Va ricordato che, in forza dell'art. 169 del Trattato, la Commissione 
pu� proporre alla Corte un ricorso per la constatazione di un inadempimento 
solo se lo Stato in causa non si conforma al parere motivato 
entro il termine ivi da essa fissato. Essa emette il parere motivato solamente 
dopo aver posto lo Stato membro interessato in condizioni di presentare 
le sue osservazioni. 
19. -Dalla funzione assegnata a tale fase precontenziosa dcl procedimento 
per inadempimento, si desume che la lettera di diffida ha lo scopo 
di circoscrivere la materia del contendere e di fornire allo Stato membro 
invitato a presentare le proprie osservazioni gli elementi necessari per pre 
disporre la propria difesa. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

20. -Come la Corte ha dichiarato nella sentenza 11 luglio 1984 (causa 
51/83, COMMISSIONE c. ITALIA, non ancora pubblicata), poich� fa facolt� 
concessa allo Stato membro interessato di presentare le sue osservazioni 
costituisce -anche se esso preferisce non servirsene -una garanzia 
fondamentale voluta dal Trattato, l'osservanza di tale garanzia � un presupposto 
della ritualit� del procedimento per la dichiarazione della trasgressione 
di uno Stato. 
21. -Anche se ne consegue che il parere motivato di cui all'art. 169 
del Trattato CEE deve contenere un'esposizione coerente e particolareggiata 
dei motivi che hanno condotto la Commissione alla convinzione che 
lo Stato interessato � venuto meno a uno degli obblighi che gl'incombono 
in forza del Trattato, la Corte non pu� per� imporre requisiti di precisione 
cos� rigidi per quel che riguarda fa diffida, la quale pu� necessariamente 
consistere solo in un primo e breve riassunto degli addebiti. 
Come la Corte ha dichiarato nella sentenza 31 gennaio 1984 (causa 74/82, 
COMMISSIONE c. IRLANDA, non ancora pubblicata), nulla impedisce dunque 
alla Commissione di precisare, nel parere motivato, gli addebiti da essa 
gi� esposti in maniera pi� globale nella lettera di diffida. 
22. -A questo proposito risulta dagli atti di causa che, nella lettera 
di diffida in data 17 dicembre 1982, la Commissione censurava l'art. 10, 
primo comma, della legge italiana per violazione dell'art. 29, n. 3, della 
direttiva n. 71/305, che vieta la procedura della scheda segreta. Essa precisava 
tuttavia, dopo aver citato il testo della legge, che tale disposizione 
era contraria alla direttiva �analogamente a quanto osservato nel 
paragrafo precedente�. In quest'ultimo paragrafo, essa censurava l'art. 9 
della legge italiana in quanto stabiliva, fra l'altro, un criterio di aggiudicazione 
degli appalti non compatibile n� con l'uno, n� conl'altro, dei due 
criteri di cui all'art. 29, n. l, della direttiva. 
23. -Ne consegue che la diffida, anche se la sua redazione non era 
molto esplicita, permetteva tuttavia al Governo italiano di prendere conoscenza 
dell'addebito formulato nei propri confronti. La censura della 
Commissione � pertanto ricevibile. 
24. -Quanto al merito, risulta che l'art. 10, primo comma, della legge 
italiana contiene, oltre ai criteri di aggiudicazione del prezzo pi� basso, 
e dell'offerta economicamente pi� vantaggiosa, di cui alla direttiva, il 
criterio del prezzo medio calcolato in base alla met� deHe offerte che presenta 
i prezzi pi� bassi. 
25. -L'affermazione del Governo italiano, secondo cui il criterio di 
aggiudicazione all'� offerta che eguaglia o che pi� si avvicina alla media � 
permetterebbe di determinare l'offerta �economicamente pi� vantaggiosa
� ai sensi dell'art. 29 della direttiva, � inesatta. Per determinare l'offerta 
pi� vantaggiosa, l'amministrazione aggiudicatrice deve in �effetti poter 
I 


I 

~ 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 563 

prendere una decisione discrezionale in base a criteri qualitativi e quantitativi 
variabili secondo il mercato e non potrebbe di conseguenza basarsi 
sul solo criterio quantitativo della media dei prezzi. 

26. -Va dunque constatato che l'art. 10, primo comma, della legge 
n. 741, non � compatibile con la direttiva n. 71/305, in quanto contiene un 
criterio di aggiudicazione degli appalti non previsto dall'art. 29, n. l, di 
detta direttiva. 
d) Pubblicazione dei bandi di gara. 

27. -La Commissione sostiene inoltre che il terzo comma dell'art. 10, 
della legge n. 741, in quanto dispone la sospensione fino al 31 dicembre 
1983 dell'applicazione dell'art. 7 della legge 2 febbraio 1973, n. 14, 
e delle norme della legge 8 agosto 1977, n. 584, relative alla pubblicazione 
dei bandi di gara, � incompatibile con l'art. 12 della direttiva che impone 
l'obbligo di pubblicare nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit� Europee 
i bandi di gara rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva. Il 
quarto comma, relativo alla pubblicit� delle aggiudicazioni, sarebbe altres� 
incompatibile con l'art. 12 della direttiva, che dispone che la pubblicazione 
dei bandi di gara su quotidiani non pu� aver luogo prima della 
data del loro invio alla Gazzetta Ufficiale. 
28. -Il Governo italiano non contesta la fondatezza di questi addebiti. 
Occorre quindi constatare l'inadempimento contestato. 
e) Capacit� finanziaria, economica e tecnica dell'imprenditore. 

29. -L'art. 10, quinto comma, della legge n. 741, in quanto dispone 
la sospensione sino al 31 dicembre 1983 degli artt. 17 e 18 della legge 
8 agosto 1977, n. 584, che provvedevano alla trasposizione degli artt. 25 
e 26 della direttiva, sarebbe, secondo la Commissione, incompatibile non 
solo con queste norme in cui vengono elencate le referenze che le amministrazioni 
aggiudicatrici possono richiedere per valutare la capacit� finanziaria, 
economica e tecnica dell'imprenditore, ma anche con gli ar~t. 17, 
lett. d), 20, 22 e 27 della direttiva, a norma dei quali la verifica dell'idoneit� 
degli imprenditori va effettuata conformemente ai criteri di capacit� economica, 
finanziaria e tecinca di cui agli artt. 25-27 della direttiva. 
30. -La fondatezza di questi addebiti non � stata contestata dal 
Governo italiano. Pertanto occorre parimenti constatare l'esistenza di un 
inadempimento. 
f) Lavori aggiuntivi o variati. 

31. -La Commissione sostiene d'altronde che l'art. 11 della legge 
n. 741, autorizzando l'amministrazione ad effettuare �La consegna dei 
lavori aggiuntivi o variati a seguito di parere favorevole del competente 

RASSEGN.\ DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

564 

organo consultivo oppure deliberante in merito all'approvazione della re� 
lativa perizia�, � incompatibile con l'art. 9, lett. f), della direttiva, in quanto 
non tiene in alcun conto le restrizioni di cui a tale articolo per quel che 
riguarda l'aggiudicazione dei lavori complementari all'aggiudicatario dell'opera 
principale. 

32. -Il Governo italiano rileva invece che l'art. 11 riguarda unicamente 
� .... la consegna dei lavori aggiuntivi o variati � e non i presupposti 
per l'aggiudicazione dei lavori complementari all'imprenditore risultato 
aggiudicatario dell'appalto principale, contemplati dall'art. 9, lett. f), ddla 
direttiva. Questi ultimi continuerebbero ad essere disciplinati dall'art. 5, 
lett. f), della legge n. 584/77, che sarebbe conforme al precitato art. 9, 
lett. f). Una volta rispettato l'art. 5, lett. f), l'art. 11 permetterebbe tutt'al 
pi� la consegna dei lavori all'aggiudicatario prima dell'approvazione del 
contratto relativo ai lavori complementari al fine di accelerare le procedure 
di esecuzione degli appalti pubblici. L'ipotesi su cui si basa l'addebito 
della Commissione, e cio� che l'art. 11 introdurrebbe una deroga alle 
disposizioni dell'art. 9, lett. f), della direttiva, sarebbe quindi priva di 
fondamento. 
33. -Tenuto conto di questi chiarimenti forniti dal Governo italiano, 
la Commissione ha dichiarato di non mantenere questa censura nel suo 
ricorso. 
g) Urgenza. 

34. -La Commissione ha sostenuto che l'art. 13 della legge italiana, 
in quanto, rinviando all'art. 41, n. 5, del regolamento approvato con regio 
decreto 23 maggio 1924, n. 827, autorizza l'aggiudicazione di un appalto 
a trattativa privata � quando l'urgenza dei lavori, acquisti, trasporti e 
forniture sia tale da non consentire indugi� � incompatibile con l'art. 9, 
lett. d), della direttiva, in particolare nella misura in cui consente di invocare 
l'urgenza in casi che non corrispondono alle condizioni espressamente 
disposte dall'art. 9, lett. d). 
35. -Il Governo italiano non ha contestato questa censura. Di conseguenza, 
deve constatarsi l'inadempimento contestato. 
h) Cauzione. 

36. -La Com.missione ha infine ritenuto che l'art. 15, secondo comma, 
prima frase, della legge italiana, a norma del quale � se � previsto 
che l'impresa invitata non possa restare aggiudicataria che di un solo 
lavoro, l'impresa stessa � autorizzata a depositare una sola cauzione provvisoria 
ragguagliata all'importo del lavoro di maggior valore�, sarebbe 
incompatibile con gli artt. 25 e 26 della direttiva, in quanto la cauzione 
non fa parte delle referenze tassativamente ammesse dagli artt. 25 e 26, 
al momento della presentazione delle offerte, a dimostrazione della capa� 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

cit� economica, finanziaria e tecnica dell'mprenditore. Poich� lo scopo della 
cauzione sarebbe di garantire all'amministrazione aggiudicatrice la 
corretta esecuzione dei lavori, essa potrebbe essere richiesta soltanto 
all'imprenditore che risulti aggiudicatario dell'appalto. 

37. -Secondo il Governo italiano, questa censura sarebbe irricevibile 
per mancanza d'interesse in quanto fondata unicamente sull'art. 15, secondo 
comma, prima frase, della legge italiana n. 741, mentre l'obbligo di 
depositare una cauzione provvisoria per parteciparte alla gara sarebbe 
imposto non da questa, bens� da altre norme non contestate. L'art. 15, 
secondo comma, prima frase, si .limiterebbe ad introdurre un'agevolazione 
permettendo a chi partecipa a pi� gare di depositare una sola cauzione 
provvisoria. 
38. -Inoltre, il Governo italiano sostiene che l'art. 16 lett. i), della direttiva, 
si riferisce, genericamente, �alle cauzioni e ad ogni altra garanzia 
eventualmente richiesta dalle amministrazioni aggiudicatrici sotto 
qualunque forma � e non riguarda dunque soltanto la cauzione definitiva 
imposta all'aggiudicatario dell'appalto, bens� anche la cauzione provvisoria 
la cui funzione specifica � di garantire il carattere serio dell'offerta 
e di risarcire anticipatamente il danno dell'amministrazione. La 
cauzione provvisoria rafforzerebbe unicamente l'obbligo stabilito all'art. 16, 
lett. m), della direttiva, secondo cui l'aggiudicatario � tenuto a mantenere 
la propria offerta durante un certo lasso di tempo. 
39. -Poich� 1'8 ottobre 1984 � stata adottata la legge italiana n. 687, 
che modifica la legge 741 ed in particolare la disposizioni relative alla 
cauzione provvisoria, la Commissione, durante la fase orale, ha rinunciato 
a far valere ques.ta censura. 
II. Sulla mancata comunicazione del testo della legge n. 741. 
40. -La Commissione ritiene che l'Italia sia venuta meno agli obblighi 
ad essa derivanti dall'art. 33 della direttiva n. 71/305, in quanto ha 
omesso di comunicarle il testo della legge 10 dicembre 1981, n. 741. 
41. -Il Governo italiano ritiene invece infondata tale censura in quanto, 
alla data del parere motivato, la Commissione conosceva perfettamente 
il testo della legge. 
42. -A questo proposito va constatato che, anche se la Commissione 
era a conoscenza della legge n. 741 alla data del parere motivato, non � 
meno vero che il Governo italiano non le ha comunicato ufficialmente il 
testo di questa legge, come era tenuto a fare in forza dell'art. 33. Va 
sottolineato a questo proposito che gli Stati membri sono tenuti, ai 
sensi dell'art. 5 del Trattato CEE, a facilitare alla Commissione l'assolvi

566 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mento dei suoi compiti, che consistono soprattutto, a norma dell'art. 155 
del Trattato CEE, nel vigilare sull'applicazione delle disposizioni del Trattato 
nonch� delle disposizioni adottate dalle istituzioni in forza di questo 
ultimo. A tale scopo la direttiva in questione, alla stessa stregua delle 
altre direttive, impone agli Stati membri, all'art. 33, un obbligo di informazione. 
In mancanza di tale informazione, la Commissione non � in grado di 
verificare se lo Stato membro ha effettivamente e integralmente applicato 
la direttiva. 

43. -Occorre dunque dichiarare che la Repubblica italiana, non comunicando 
ufficialmente il testo della legge n. 741 alla Commissione, � 
venuta meno agli obblighi ad essa imposti dall'art. 33 della direttiva 
n. 71/305. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sez. I, 20 giugno 
1985, nella causa 69/84 -Pres. Bosco -Avv. Gen. Slynn -Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte .di cassazione italiana 
nella causa Padovani c. Amministrazione delle finanze -Interv.: Governo 
italiano (avv. Stato Braguglia) e �commissione delle C.E. (ag. 
Prozzillo). 

Comunit� europee -Agricoltura -Mercato dei cereali -Importazioni via 
mare in Italia -Agevolazioni temporanee -Requisiti. 
(Regolamento CEE del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120, e succ. mod., art. 23 n. l; d.!. 

11 ottobre 1967, n. 901, conv. con mod. in legge 9 dicembre 1967, n. 1156, art. 1). 

Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Transito comunitario 
-Regime di libera pratica. 
(Trattato CEE, artt. 9 e 10; regolamento CEE del Consiglio 18 marzo 1969, n. 542, 

art. l, n. 3). 

L'espressione �importati... via mare�, contenuta nell'art. 23, n. 1, 
del regolamento CEE del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120, relativo all'organizzazione 
comune dei mercati agricoli nel settore dei cereali, non comprende 
lo sdoganamento di prodotti che si trovino a bordo di una nave 
qualora tali prodotti siano rispediti, senza essere sbarcati, ad un porto 
situato in un altro Stato membro (1). 

Un prodotto agricolo importato via mare in Italia, e che abbia fruito 
di una riduzione del prelievo si trova in libera pratica nella Comunit� ai 

(1) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo italiano e dalla 
Commissione. L'abbattimento del prelievo all'importazione di cereali via mare 
in Italia era infatti logicamente condizionato al fatto che l'importatore dovesse 
subire quei maggiori oneri portuali ecc. in vista dei quali l'abbattimento stesso 
era stato autorizzato dalla Comunit�. 
111111�11�111111111111111111111111114�1�11111111�111118 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 567 

sensi dell'art. l, n. 3, del regolamento del Consiglio 18 marzo 1969, n. 542, 
relativo al transito comunitario (2). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 13 dicembre 1983, pervenuta il 13 mar� 
zo 1984, la Corte Suprema di Cassazione ha proposto a questa Corte, a 
norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali in ordine 
all'interpretazione dell'art. 23, n. 1, del regolamento del Consiglio 13 giugno 
1967, n. 120, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore 
dei cereali (G. V. pag. 2269) e dell'art. 1, n. 3, del regolamento del Consiglio 
18 marzo 1969, n. 542, relativo al transito comunitario (G. V. n. L 77, pag. 1). 

2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia 
sorta fra gli aventi causa del defunto sig. Mantovani, titolare dell'omonima 
ditta, e l'amministrazione delle finanze dello Stato e vertente sul tasso 
del prelievo da applicare ad un quantitativo di 27.040.525 Kg. di granoturco 
importato nella Comunit� in provenienza da Baton Rouge (USA). L'articolo 
23, n. 1 del regolamento n. 120/67 dispone un prelievo ridotto qualora 
l'importazione nella Repubblica italiana di taluni cereali foraggeri, fra 
cui il granoturco, sia effet1uata via mare. 
3. -Nella fattispecie, la merce era stata sdoganata dalla Dogana del 
porto di La Spezia, sulla costa ligure, mentre si trovava a bordo di una 
nave; lo stesso giorno, l'importatore, sig. Mantovani, otteneva il rilascio 
di due documenti di transito comunitario interno. Indi, le partite di granottll'CO 
di cui trattasi proseguivano il viaggio -senza essere sbarcate 
in Italia -verso Rotterdam, dove venivano scaricate. Il Mantovani e 
i suoi aventi causa hanno sostenuto che, in un caso del genere, ricorrono 
le condizioni per l'applicazione del prelievo ridotto. 
4. -Nell'ordinanza di rinvio viene considerato che l'applicazione del 
tasso ridotto dipenda dal fatto di stabilire se la ratio della riduzione, 
quale disposta dal regolamento n. 120/67, consista nei maggiori costi delle 
operazioni di scarico nei porti italiani ovvero nella semplice presenza 
di una nave nei porti stessi al fine di esservi sottoposta a operazioni 
doganali compiute a bordo anche senza scarico delle merci. Una volta 
risolta tale questione, sarebbe ancora necessario stabilire se si siano realizzate 
le condizioni del transito comunitario interno, ai sensi dell'art. l, 
n. 3, lett. a, del regolamento n. 542/69, qualora le merci di cui trattasi non 
siano state immesse al consumo nel territorio dello Stato membro in cui 
sono state effettuate le operazioni doganali. 
(2) Risposta ovvia, una volta considerato che il prelievo ridotto, ricorrendone 
i presupposti, era previsto dal diritto comunitario; sicch�, pagato tale 
prelievo ridotto, il prodotto proveniente da paesi terzi si trova in libera 
pratica nella Comunit� e circola in regime di transito comunitario interno. 

568 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

5. -Al fine di risolvere tali problemi, il giudice nazionale ha propo� 
sto le due questioni pregiudiziali, attraverso le quali �sso chiede l'inter� 
pretazione: 
a) dell'art. 23, n. l, del regolamento (CEE) 19 giugno 1967, n. 120 perch� 
occorre accertare se la riduzione dei diritti di prelievo nella misura 
di 7,5 unit� di conto prevista dall'accennata disposizione comunitaria per 
i prodotti cerealicoli importati da paesi terzi nello Stato italiano via 
mare si applichi anche nel caso che i prodotti stessi vengano nazionaliz� 
zati a bordo della nave in un porto italiano, ma rispediti senza essere sbar� 
cati con Jo stesso mezzo ad altro porto di altro Stato della CEE; 

b) dell'art. l, n. 3 lett. a) del regolamento CEE del Consiglio 18 mar� 
zo 1969, n. 542, per stabilire se il regime di transito comunitario interno 
previsto e regolato� dal suddetto regolamento possa applicarsi ai prodotti 

I 
agricoli di provenienza via mare <la paesi terzi, che siano stati sdoganati 
a bordo della nave a norma della legislazione interna italiana e vengano 

I 

trasportati, senza essere sbarcati in Italia, in un altro porto di altro Stato 
della Comunit�, quando le norme comunitarie prevedono una riduzione 
del prelievo per i prodotti agricoli importati via mare nella Repubblica 
italiana�. 

Sulla prima questione (prelievo ridotto). 

6. -L'art. 23, n. l, del regolamento n. 120/67, come modificato dal 
regolamento del Consiglio n. 1601168 (G. V. n. L 253, pag. 2), recita: 
� Qualora l'orzo, l'avena, il granoturco, il sorgo e la durra ed il mi� 
glio vengano importati nella Reppubblica italiana via mare, detto Stato 
membro, fino al termine della campagna di commercializzazione 1971/1972, 
pu� ridurre il prelievo di 7,5 unit� di conto per tonnellata, purch� sia 
concessa una uguale sovvenzione per le consegne degli stessi cereali ef� 
fettuate per la stessa via in provenienza dagli Stati membri, a meno che 
detta sovvenzione sia stata, su richiesta dello speditore dei cereali, versata 
a quest'ultimo dallo Stato membro di provenienza,� che ne informa la 
Repubblica italiana senza indugio. Quest'ultima tiene continuamente in� 
formati tutti gli Stati membri dell'importo della sovvenzione in vigore �. 

7. -La prima questione mira a stabilire se l'espressione �importati ... 
via mare�, impiegata nella succitata disposizione, comprenda lo sdoganamento 
di prodotti presenti a bordo di una nave che si trovi in un porto 
italiano qualora tali prodotti siano rispedhi, senza essere sbarcati, ad un 
porto situato in un altro Stato membro. � 
8. -Dalle informazioni fornite dal Governo italiano e dalla Commis� 
sione risulta che la precitata disposizione di cui all'art. 23, n. l, la cui 
validit� � stata ripetutamente prorogata, trova la sua origine nella preoc� 
cupazione di tener conto degli elevati oneri portuali che si incontrano 
I 

I 

I

I 

1 

I 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

in Italia e di lasciare un certo margine di tempo a questo Stato membro 
per adeguare le sue strutture portuali alle esigenze dell'organizzazione comune 
dei mercati cerealicoli. Nell'unico considerando del regolamento del 
Consiglio 17 maggio 1977, n. 1157 (G. U. n. L 136, pag. 12), relativo alla proroga 
del regime temporaneo di riduzione del prelievo, si constata che, malgrado 
gli sforzi compiuti, �il miglioramento delle strutture portuali in 
Italia non ha potuto essere effettuato nei termini previsti � e che, per tale 
motivo, la misura che avrebbe dovuto essere soppressa al termine della 
campagna 1976177 sar� mantenuta per un'ulteriore campagna. 

9. -Il Governo italiano e la Commissione ritengono che, stando cos� 
le cose, l'espressione �importati ... via mare� in Italia possa riferirsi 
solo ad uno sbarco effettivo dei cereali foraggeri in un porto italiano. 
Solo in questo caso l'importatore deve far fronte ad un aumento delle proprie 
spese originato dalla situazione portuale in Italia ed atto a giustificare 
la riduzione del prelievo. 
10. -La Commissione s.:!gnala, d'altro canto, che la nozione di � importazione
� non ha sempre la stessa portata nel diritto comunitario. Infatti, 
tale nozione potrebbe riferirsi sia all'immissione in libera pratica, 
sia all'immissione al consumo, sia ancora, in taluni casi, all'introduzione 
materiale della merce nel territorio doganale. Per determinare l'interpretazione 
da �dare al termine �importati� ci si dovrebbe quindi ispirare 
alle finalit� della disposizione di cui trattasi e del sistema generale di 
cui essa fa parte. 
11. -Gli aventi causa del Sig. Mantovani riconoscono che la riduzione 
del prelievo stabilita dal regolamento n. 120167 � stata instaurata per 
tener conto degli elevati oneri portuali che si incontrano in Italia e per 
consentire alla Repubblica italiana di migliorare le sue strutture portuali. 
Essi ritengono per� che anche le navi che facciano scalo in porti 
italiani per sdoganarvi le merci a bordo senza scaricarle potrebbero essere 
soggette agli oneri elevati che sono abituali in tali porti. Non vi sarebbe 
quindi motivo di distinguere fra un'importazione effettuata attraverso 
l'espletamento delle formalit� doganali e un'importazione effettuata 
attraverso lo sbarco delle merci. 
12. -Si deve condividere l'opinione espressa dal Governo italiano e 
dalla Commissione. � infatti pacifico che la riduzione del prelievo stabilita 
dall'art. 23, n. l, del regolamento n. 120167 costituisce un regime 
temporaneo istituito al solo scopo di prendere in considerazione gli elevati 
oneri portuali che si incontrano in Italia in attesa di un miglioramento 
delle strutture portuali. Se tale regime si applica soltanto ai prodotti 
importati via mare in Italia, quest'ultima espressione pu� a sua 
volta riferirsi solo all'introduzione della merce nel territorio italiano previa 
utilizzazione dei servizi e delle installazioni portuali. Sotto tale profilo, non 
basta il mero espletamento delle formalit� doganali. 

570 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
13. -Tale interpretazione � confermata dalla formulazione stessa del 
570 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
13. -Tale interpretazione � confermata dalla formulazione stessa del 
precitato art. 23, n. l, secondo la quale per le �consegne� degli stessi 
cereali in provenienza da altri Stati membri effettuate via mare viene 
concessa una sovvenzione uguale all'importo della riduzione del prelievo; 
ora un carico non pu� considerarsi � consegnato � se non � stato sbarcato. 

14. -Di conseguenza, la prima questione deve essere risolta dichiarando 
che l'art. 23, n. 1, del regolamento n. 120167 va interpretato nel senso 
che l'espressione � importati ... via mare � non comprende lo sdoganamento 
di prodotti che si trovino a bordo di una nave qualora tali prodotti 
siano rispediti, senza essere sbarcati, ad un porto situato in un 
altro Stato membro. 
Sulla seconda questione (transito comunitario interno). 

15. -L'art. l, n. 3, del regolamento n. 542169 recita: 
�Circolano, vincolate alla procedura del transito comunitario interno, 
quando sono .soggette a misure doganali, fiscali, economiche o statistiche, 

o a qualsiasi altra misura relativa agli scambi: 
%i

a) Le merci che soddisfano alle condizioni stabilite agli artt. 9 e 10 
del Trattato che istituisce la Comunit� economica europea (...); I 

i,.

b) le merci contemplate dal Trattato che istituisce la Comunit� ; 
~ 
europea del carbone e dell'acciaio, che sono in libera pratica nella Comuf 
nit� conformemente a detto trattato�. 

16. -La seconda questione � diretta a stabilire se, ai sensi della 
I

succitata disposizione, un prodotto agricolo importato via mare in Italia 
e fruente di una riduzione del prelievo rientri fra le merci che soddisfano I 
alle condizioni stabilite dagli artt. 9 e 10 del Trattato CEE, che siano i 
cio� in libera pratica nella Comunit�. I 

17. -Gli aventi causa del sig. Mantovani, il Governo italiano e la 
Commissione sono concordi nel sostenere che le merci possono essere in 
I

libera pratica ai sensi degli artt. 9 e 10 del Trattato anche qualora siano 
state assoggettate ad un prelievo ridotto in conformit� all'art. 23, n. l, I 
del regolamento n. 120167. I 

I 

18. -La questione sollevata trova la sua soluzione nel disposto delI 
l'art. 10, n. 1, del Trattato a norma del quale �sono considerati in libera II 
pratica in uno Stato membro i prodotti provenienti da paesi terzi per i 
quali siano state adempiute in tale Stato le formalit� d'importazione e 
riscossi i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente esigibili �. Tale disposizione 
non distingue a seconda che un preliveo sia stato riscosso a 
tasso pieno o ridotto ovvero a seconda che le merci siano state effettivamente 
scaricate in occasione dello sdoganamento o meno. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 571 

19. -Pertanto, occorre risolvere la seconda questione dichiarando che 
l'art. l, n. 3, del regolamento n. 542169 va interpretato nel senso che un 
prodotto agricolo importato via mare in Italia e che abbia fruito di una 
riduzione del prelievo si trova in libera pratica nella Comunit� ai sensi 
di tale disposizione. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. Plen., 11 lu� 
glio 1985, nella causa 278183 -Pres. f. f. Bosco -Avv. Gen. Slynn Commissione 
delle C.E. (ag. Berardis) c. Repubblica italiana (avv. 
Stato Ferri), con intervento della Repubblica francese (MM. Renouard 
e Pouzoulet). 

Comunit� europee � Unione doganale -Regime fiscale discriminatorio IVA 
� Vini spumanti. 
(Trattato CEE, art. 95; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e succ. mod., art. 16, tab. A e 

Tab. B). 

La Repubblica italiana, applicando sui vini spumanti a denominazione 
d'origine, la cui regolamentazione nazionale obbliga alla preparazione 
mediante fermentazione naturale in bottiglia, un'aliquota d'imposta sul 
valore aggiunto pi� elevata di quelle applicate ai vini spumanti comparabili 
di produzione nazionale, � venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 
95 del Trattato (1). 

(1) L� pronuncia si pone nella scia delle precedenti sentenze della Corte 
sul regime fiscale degli alcolici: 12 luglio 1983, nella causa COMMISSIONE c. REGNO 
UNITO, in questa Rassegna, 1983, I, 658, sul trattamento fiscale del vino e della 
birra; 15 marzo 1983, nella causa 319/81, COMMISSIONE c. ITALIA, citata in moti� 
vazione, ibidem, 1983, I, 285, in materia di IVA sulle acquaviti; 15 luglio 1982, 
nella causa 216/81, COGIS, ibidem, 1982, I, 913, relativa alla sovrimposta di 
confine e al diritto erariale sull'whisky importato; 27 maggio 1981, nelle cause 
142 e 143/80, ESSEVI e SALENGO, ibidem, 1981, I, 303, sul cognac; 27 febbraio 1980, 
nella causa 169/78, COMMISSIONE c. ITALIA, citata in motivazione, ibidem, 1980, I 
273, relativa ai contrassegni di Stato sui recipienti contenenti acquavite destinata 
alla vendita al minuto; e quelle in pari data 168/78, COMMISSIONE c. FRANCIA, e 
179/78, interlocutoria, COMMISSIONE c. REGNO UNITO; cfr. anche le sentenze 14 gennaio 
1981, nella causa 140/79, CHEMIAL FARMACEUTICI, e 46/80, VINAL, in questa 
Rassegna, 1981, I, 47, sull'alcool denaturato sintetico e di fermentazione. 
La sentenza ribadisce con particolare vigore il fermo attestarsi �della Corte 
di Giustizia sul principio per cui la riconosciuta facolt� dello Stato di 
manovrare la leva fiscale tassando pi�1 pesantemente i prodotti aventi carattere 
di generi di lusso incontra un limite rigido ed invalicabile nella necessit� che 
tale differenziazione, nell'ambito di una stessa categoria di prodotti, non sia 
stabilita in modo tale che sotto il regime fiscale pi� gravato possano ricadere 
soltanto prodotti di origine � non nazionale; in tal caso opererebbe una sorta 
di presunzione assoluta del carattere discriminatorio e protezionistico delfo 
norma fiscale, in contrasto con l'art. 95 del Trattato. 

5 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

572 

1. -Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 19 dicembre 
1983, la Commissione delle Comunit� Europe,e ha proposto, a norma 
dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso mirante a far dichiarare che la 
Repubblica italiana, applicando sui vini spumanti importati da altri Stati 
membri un'aliquota d'imposta sul valore aggiunto (IVA) superiore 
a quelle applicate sui vini spumante di produzione nazionale, � venuta 
meno agli obblighi impostile dall'art. 95 del Trattato CEE. 
2. -Emerge dal fascicolo che il decreto del Presidente della Repubblica 
26 ottobre 1972, n. 663 (G.U.R.I., supplemento ordinario n. 1 al n. 292 
dell'll novembre 1972, pag. 2), istitutivo dell'IVA, prevede in via generale, 
a tenore dell'art. 16, il calcolo dell'imposta secondo tre diverse aliquote, 
e precisamente. 
a) un'aliquota ordinaria; 

b) un'aliquota ridotta, da applicare alle operazioni che riguardano 
beni e servizi rispondenti ad esigenze di primaria necessit�; 

c) un'aliquota maggiorata, da applicare alle operazioni riguardanti 
beni e servizi che hanno carattere di consumi di lusso. 

I beni e i servizi che fruiscono dell'aliquota ridotta e quelli colpiti 
dall'aliquota maggiorata sono elencati nelle tabelle A e, rispettivamente 
B, allegate al decreto di cui trattasi. All'epoca della controversia, le 
aliquote menzionate erano rispettivamente del 18 %, del 10 % e del 
38 % (decreto legge 4 agosto 1982, n. 495, G.U.R.I. n. 212 dcl 4 agosto 1982, 
pag. 5481). 

3. -Secondo l'atto introduttivo, l'aliquota ordinaria del 18 % si 
applica ai vini spumanti la cui fermentazione sia effettuata naturalmente 
in bottiglia, ma per i quali tale processo non sia obbligatorio ai sensi 
di una normativa nazionale; l'aliquota del 10 % ai vini spumanti non 
fermentati in bottiglia; l'aliquota del 38 % ai vini spumanti che la 
tabella B allegata al decreto istitutivo dell'IVA definisce vini spumanti 
a denominazione di origine la cui regolamentazione obbliga a1la preparazione 
mediante fermentazione naturale in bottiglia (testo modificato 
dal decreto legge 18 marzo 1976, n. 46, G.U.R.I. n. 73 del 18 marzo 1976, 
pag. 2067, convertito nella legge 10 maggio 1976, n. 249, G.U.R.I. n. 129 
del 17 maggio 1976, pag. 3744). Occorre notare che, dopo la presentazione 
del ricorso, detta IJ.Ormativa ha subito diverse modifiche, che per� 
hanno lasciata sostanzialmente immutata la definizione dei vini spumanti 
soggetti all'aliquota di imposta pi� alta, che resta fissata nel 38 % 
(decreto legge 19 dicembre 1984, n. 853, G.U.R.I. n. 347 del 19 dicembre 
1984, pag. 10582, convertito nella legge 17 febbraio 1985, n. 17, G.U.R.I. 
n. 41-bis del 17 febbraio 1985, pag. 1181). 
I


i 


PARTE I, SIJZ. Il, GIU!US. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

4. -La Commissione considera che tutti i vini spumanti, tanto se 
fermentati in bottiglia (metodo denominato � champenois �) quanto se 
fermentati in autoclave, costituiscono prodotti similari o concorrenti 
ai sensi dell'art. 95 in quanto hanno � agli occhi del consumatore, pro� 
priet� analoghe e rispondono alle medesime esigenze�, come la Corte 
ha sottolineato nella sentenza 27 febbraio 1980 (causa 169/78, COMMISSIONE 
c/ REPUBBLICA ITALIANA, Racc. pag. 385; si vedano il punto 5 e i rife� 
rimenti ivi indicati). La Commissione rileva a questo proposito che 
tutti i � vini spumanti � costituiscono una categoria omogenea in base 
al regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 337, relativo all'organizzazone 
comune del mercato vitivinicolo, all�gato II, punto 13 (G. U. 
n. L 54, pag. 1) ed in base al regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, 
n. 358, relativo ai vini spumanti definiti nel punto 13 dell'allegato II del 
regolamento n. 337/79 (G. U. n. L 54, pag. 130). 
5. -Secondo la Commissione, il sistema fiscale di cui trattasi ha l'effetto 
di sfavorire i vini spumanti importati privilegiando i vini spumanti 
di produzione nazionale. Infatti, tutti i vini spumanti italiani rientrerebbero 
nelle due categorie meno tassate, cio� la categoria degli spumanti 
fermentati in autoclave (aliquota del 10 %) o quella degli stumanti ottenuti 
mediante fermentazione naturale in bottiglia (aliquota del 18 %), senza 
tuttavia che questo procedimento sia imposto da una normativa vincolante, 
poich� in Italia la fermentazione in bottiglia non sarebbe obbligatoria 
per nessuna categoria di spumanti. Per contro, una parte notevole 
dei vini spumanti importati rientrerebbe nella categoria pi� tassata (aliquota 
38 %), poich� soltanto le legislazioni straniere subordinerebbero 
l'uso di una determinata denominazione d'origine alla preparazione mediante 
fermentazione in bottiglia: lo champagne francese ne costituirebbe 
l'esempio pi� tipico. La Commissione ritiene pertanto che si tratti di un 
caso flagrante di discriminazione contrastante con l'art. 95, primo comma, 
del Trattato. 
6. -Le conclusioni della Commissione sono state sostenute dalla 
Repubblica francese, intervenuta nella causa. Il Governo francese non con� 
testa, di per s�, la libert� degli Stati membri d'istituire sistemi d'imposizione 
differenziata per determinati prodotti, in base a criteri obiettivi. 
Esso considera anche che il Governo italiano ha il potere di adottare 
provvedimenti fiscali intesi a colpire in misura maggiore, per ragioni di 
giustizia distributiva, prodotti che esso considera di lusso, ma solo a 
condizione che tali provvedimenti siano conformi a quanto stabilisce 
l'art. 95 del Trattato CEE. Orbene, nella fattispecie il regime fiscale italiano 
sarebbe discriminatorio nei confronti dei vini spumanti importati per i 
quali la normativa del paese di produzione impone la fermentazione in 
bottiglia, principalmente per gli champagnes francesi, in quanto avrebbe 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

574 

un effetto dissuasivo sull'acquisto di questi vini, il cui costo di produzione 
sarebbe relativamente elevato. 

7. -Il Governo italiano sostiene a propria difesa che, con la sentenza 
15 marzo 1983 (causa 319/81, COMMISSIONE C. REPUBBLICA ITALIANA, imposizione 
fiscale delle acqueviti, Racc., pag. 601), la Corte ha riconosciuto, 
quale elemento della sua costante giurisprudenza, la libert� degli Stati 
membri di istituire sistemi impositivi differenziati per taluni prodotti, in 
funzione di criteri obiettivi. Nella stessa sentenza la Corte avrebbe riconosciuto 
la facolt� degli Stati membri di stabilire aliquote di imposta pi� 
alte per i prodotti di luss9. Nella fattispecie, la normativa fiscale italiana 
avrebbe definito un prodotto -al fine di assoggettarlo all'aliquota d'imposta 
contemplata per i prodotti di lusso -che sarebbe tipicamente conosciuto 
e consumato come prodotto di prestigio e come simbolo di classe 
per una clientela privilegiata, a causa segnatamente del suo prezzo elevato. 
Trattandosi di un criterio obiettivo, non si potrebbe far carico al legislatore 
italiano d'aver creato in tai modo una discriminazione fiscale. 
8. -La Commissione contesta il punto di vista del Governo della 
Repubblica italiana per quanto concerne la determinazione dei prodotti 
di lusso. Essa sottolinea che nella sentenza 15 marzo 1983, invocata dal 
Governo italiano, la Corte si � per l'appunto rifiutata di considerare la 
denominazione d'origine o di provenienza come criterio valido per la qualificazione 
di una merce come prodotto di lusso. Essa richiama parimenti 
l'attenzione sul pericolo inerente alla scelta del prezzo delle merci quale 
criterio atto a classificarle come prodotti di lusso: infatti, differenze di 
prezzo possono derivare da molteplici ragioni, quali le materie prime 
utilizzate, il procedimento di fabbricazione seguito ed il trasporto, il che 
si verificherebbe, per l'appunto, nel caso dello champagne importato in 
Italia. In nessun caso la qualifica di prodotto di lusso potrebbe considerarsi 
come parametro obiettivo di progressivit� fiscale a detrimento 
della parit� di trattamento tributario .imposta dall'art. 95 del Trattato 
per quanto riguarda i prodotti importati. 
9. -I termini in cui � redatto l'atto introduttivo richiedono un'osservazione 
preliminare. Le conclusioni ivi formulate mirano a far dichiarare 
che la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 
95 del Trattato �applicando sui vini spumanti importati un'aliquota 
di imposta sul valore aggiunto superiore a quelle applicate sui vini spumanti 
di produzione nazionale '" Emerge dal fascicolo che gli argomenti 
della Commissione riguardano, in pratica, solo la differenza di tassazione 
tra, da una parte, i vini spumanti ottenuti mediante fermentazione in bottiglia 
senza che questo metodo sia prescritto nel paese d'origine (aliquota 
del 18 %) ed i vini spumanti fermentati in autoclave (aliquota del 10 %) 
e, dall'altra i vini spumanti muniti di denominazione d'origine la cui regolamentazione 
obbliga alla preparazione mediante fermentazione naturale 
I


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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

in bottiglia (aliquota del 38 %). Per contro, la Commissione non ha messo in 
discussione il rapporto di tassazione tra i vini spumanti soggetti all'aliquota 
del 18 % e, rispettivamente, del 10 %. 

10. -Delimitata la controversia in questi termini, diventa chiaro che 
la definizione della categoria di vini spumanti soggetti all'aliquota d'imposta 
pi� elevata data dalla normativa italiana � concepita in modo da 
colpire esclusivamente merci importate e tende a proteggere i prodotti 
nazionali corrispondenti, riservando loro aliquote d'imposta sensibilmente 
meno elevate. Pertanto, essa comporta una manifesta trasgressione del 
divieto di discriminazione fiscale di cui all'art. 95. 
11. -Stando cos� le cose, � privo d'interesse stabilire se un particolare 
tipo di vini spumanti costituisca un �prodotto di lusso�, tenuto conto del 
fatto che la normativa ialiana non considera tali gli analoghi prodotti 
delle parti relativi ai criteri idonei per la definizione dei � prodotti di 
nazionali. Non risulta quindi necessario prendere in esame gli argomenti 
lusso �, n� la questione, sollevata dalla Commissione, dell'incidenza di 
questa nozione sugli scambi intracomunitari. 
12. -Si deve pertanto concludere che la Repubblica italiana, applicando 
sui vini spumanti a denominazione d'origine, la cui regolamentazione 
nazionale obbliga alla preparazione mediante fermentazione naturale 
in bottiglia, un'aliquota d'imposta sul valore aggiunto (IVA) pi� elevata 
di quelle applicate ai vini spumanti comparabili di produzione nazionale, 
� venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 95 del Trattato. (omissis) 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 ottobre 1984 n. 5247 -Pres. Greco Est. 
Cherubini -Bertolucci (avv. Fazzalari) c. Ministero del Turismo 

(v. avv. gen. Stato Gargiulo). 
Competenza e giurisdizione � Cinematografia -Ammissione alla program


mazione obbligatoria � Diritti ai contributi � Annullamento . Degra


dazione a interessi legittimi � Lesione � Giurisdizione amministrativa. 

I diritti del produttore e del regista di un'opera cinematografica 
ai contributi previsti dall'art. 7 legge 4 novembre 1965, n. 1213 (mod. 
dalla legge 21 giugno 1975, n. 287), sorti per effetto del provvedimento 
di ammissione alla program'mazione obbligatoria, sono degradati a interessi 
legittimi a seguito dell'annullamento di tale ammissione che il 
Ministro per il turismo emani nell'esercizio del suo potere di autotutela 
qualora accerti, in base al giudicato penale sulla oscenit� del film, il 
difetto dei requisiti di artisticit� dell'opera, con .la conseguenza che il 
sindacato sul legittimo esercizio di quel potere rientra nella giurisdizione 
amministrativa. (1) 

(1) In conformit� alla propria giurisprudenza (Sez. un., 23 novembre 1974, 
n. 3801), le Sezioni Unite hanno affermato che il potere di annullamento ex 
officio deriva dal principio di autotutela che consente alla p.a. di eliminare 
gli atti che ritenga di aver emanato in violazione di norme o principi dell'ordinamento 
giuridico con la conseguenza che l'annullamento, essendo rivolto 
a restaurare una situazione di legalit� in luogo di quella illegittima prodotta 
dall'atto, opera ex tunc e non incontra ostacoli nei diritti sorti dall'atto stesso. 
In verit� llon � facile comprendere come possa affermarsi la esistenza del 
diritto soggettivo al c.d. contributo, di cui si trov� munita la Pea solo in base 
al rilievo che si sarebbe espletata la procedura di cui agli artt. 5 e segg. della 
legge 4 novembre 1965, n. 1213, avendo il Comitato degli esperti stabilito, nella 
sua discrezionalit�, che il film presentava oltre che adeguati requisiti di idoneit� 
tecnica, anche suffkienti qualit� artistiche. 

Tale ragionamento, espresso in modo semplicistico nel ricorso del Bertolucci, 
ha omesso di considerare che il decreto ministeriale conclude, per la 
concessione del contributo, un procedimento nel quale intervengono vari atti 
componenti, che lo caratterizzano, e cio� anzitutto il riconoscimento della nazionalit�, 
previsto dall'art. 4, che contiene un accertamento tecnico-discrezionale 
e poi il giudizio sulla ammissione alla programmazione espressa dal Comitato 
degli esperti che ritiene il film tecnicamente idoneo, e con qualit� artistiche, o 
culturali o spettacolari. Se il decreto ministeriale rende propri tali accertamenti 
discrezionali, ha anch'esso, dei presupposti discrezionali. E l'uno e l'altro 
accertamento, pur essendo tra cli loro autonomi, si inseriscono, ai fini della 



PARTE I, SEZ. UI, GIURIS. SU, QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 577 

Con unico motivo di ricorso, il Bertolucci, denunciando la violazione 
delle norme riguardanti la giurisdizione, svolge le seguenti argomentazioni. 


A) Premesso che per discriminare la giurisdizione del giudice ordinario 
da quella del giudice amministrativo � necessario indagare quale 
sia, alla stregua delle norme che regolano la materia interessata dal 
giudizio, la posizione giuridica del privato (diritto soggettivo ovvero 
interesse legittimo); che sussiste diritto soggettivo quando manca il potere 
della pubblica amministrazione di incidere sulla posizione giuridica 
del cittadino; che la presenza di un atto amministrativo non elimina 
la giurisdizione del giudice ordinario, giacch�, ove si tratti di diritti 
soggettivi che si assumano violati, il giudice ordinario ha il potere di 
disapplicare l'atto amministrativo che ritenga illegittimo e di giudicare 
la controversia come se l'atto stesso non esistesse. 

Ci� premesso, il ricorrente osserva che, nel caso di specie, la controversia 
riguarda diritti soggettivi sorti a favore dei ricorrenti sulla base 
della legge n. 1273 del 1965 la quale riconosce ai films ammessi alla 
� programmazione obbligatoria � determinati benefici; che, conseguente-

concessione del contributo, in una fattispecie pi� complessa, nella quale l'atto 
conclusivo � il decreto ministeriale. Ed � noto che nei confronti di un atto 
discrezionale non possono sorgere diritti soggettivi, ma solo interessi legittimi. 

A conferma di tali osservazioni, � da rilevarsi che il complesso delle 
disposizioni concernenti l'intervento dello Stato a favore dell'industria cinematografica 
ha la sua ratio nella tutela dell'interesse pubblico inerente alla programmazione 
e alla produzione dei film che abbiano un elevato livello artistico 
e culturale. E l'intervento si concreta sia attraverso la programmazione obbligatoria 
(artt. 5 e 6) con la concessione sui diritti erariali, di un abbuono che 
� definito nella legge incentivo alla programmazione (art. 6), sia attraverso la 
concessione al ,produttore di contributi, denominati dalla legge incentivi alla 
produzione (art. 7). 

Mai la pretesa al contributo cos� inteso � stata definita un diritto, rappresentando 
esso, come si evince chiaramente dalle richiamate norme, una sovvenzione 
dello Stato. E ci� vale sia nel settore in esame, sia in qualsiasi altro 
settore pubblicistico, nel quale sia prevista una sovvenzione, che non � data 
mai nell'interesse esclusivo e personale dcl produttore, bens� direttamente 
nell'interesse generale dell'attivit� la cui tutela viene perseguita, attraverso il 
beneficio concesso al produttore. 

Il contributo persegue, infatti, lo scopo di incoraggiare e favorire la produzione 
dei film nazionali (o equiparati), come l'abbuono, inteso come premio 
governativo, persegue lo scopo di proteggere del pari i films nazionali, che, per 
consolidata esperienza, non assicurano all'esercente un adeguato introito (Cass., 
5 settembre 1957, n. 3448, in Rass. cinem., 1957, I, 118). E l'uno e l'altro si 
inquadrano nelle provvidenze previste (da norme di azione e non di relazione) 
a favore dell'industria cinematografica dalla legge n. 1213, che integra, e modifica 
le precedenti previsioni legislative per adeguarle agli impegni comunitari, al 
punto che, da taluni, gli atti ministeriali sono stati definiti concessioni costi




RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

mente, ha errato il Consiglio di Stato nel ritenere possibile che, iniziato 
il giudizio per il riconoscimento di tali diritti davanti al Tribunale di 
Roma e, quindi, alla Corte di Appello, la controversia avrebbe mutato 
il proprio oggetto trasformandosi da controversia su diritti soggettivi 
in controversia avente per oggetto l'esercizio di poteri da parte della 
pubblica amministrazione e ci� in conseguenza del provvedimento, emanato 
in corso di causa dal Ministero per il Turismo e lo Spettacolo, 
diretto ad � annullare � il provvedimento di concessione dei benefici; 
invero le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno statuito che, 
dovendo la giurisdizione determinarsi riguardo allo stato di fatto esistente 
al momento della proposizione della domanda, � irrilevante che la 
pubblica amministrazione tenti di spogliare della sua giurisdizione il giudice 
adito dalla controparte esercitando il proprio potere di autotutela. 

B) Ha errato il Consiglio di Stato nel definire il provvedimento impugnato 
come � atto tipico di annullamento�. 
Invero, anche ammesso che si tratti di un atto da annoverare tra 
quelli definiti di � autoannullamento discrezionale�, la giurisdizione del 

tutive (cfr. CRISCI, La disciplina pubblicistica della cinematografia, in Enc. dir., 
voi. VI, 1027). 

Ma se ci� non bastasse, e si volesse trovare un raffronto con altre ipotesi, 
occorre considerare i contributi per la ricostruzione edilizia, sui quali ripetutamente 
si � soffermata la giurisprudenza (cfr. per tutti, Cass., 22 febbraio 1954, 

n. 491, in Foro it., 1955, I, 554). Si tratta, anche in tali casi, di un contributo 
che non si fonda sui presupposti di responsabilit� contrattuale o extracontrattuale, 
ma trova origine esclusivamente in considerazioni di politica sociale e nei 
fini pubblicistici. 
E anche nelb legislazione dei danni di guerra, in contrasto con le affermazioni 
avversarie, la dizione letterale della norma conforta la ratio sopra 
esposta, essendo essa conforme a quella contenuta nel citato art. 5: infatti 
nell'art. 1 della legge 26 ottobre 1940, n. 1543 � statuito: � E concesso un 
risarcimento�, come nell'art. 5 � detto: �a favore del produttore � concesso 
un contributo �, 

A conferma delle esposte considerazioni � decisivo rilevare che se la 
presenza di elementi discrezionali nell'attivit� amministrativa vale senz'altro a 
negare la sussistenza di un diritto soggettivo del privato tutelabile davanti 
al g.o., il carattere vincolato dell'attivit� medesima non basta per affermare 
la sussistenza del diritto soggettivo, ogni qual volta la norma che disciplina 
tale attivit� risulti essere, non una norma di relazione, ma una norma di 
azione (in tal senso SANDULLI, Manuale, ed. 1980, pag. 86; ed 1982, pag. 100), 
che costituisce a carico della p.a. doveri giuridici ai quali non corrisponde 
alcun diritto a favore dei terzi (cfr. Sez. un., 14 aprile 1964, n. 894, in Giust. civ., 
1964, I, 1825, e, in particolare, Sez. un., 25 maggio 1979, n. 3018, in questa Rass., 
1979, I, 658). 

Se interesse legittimo � la posizione giuridica dei destinatari dell'atto di 
ammissione prima del decreto di annullamento la stessa natura conserva quella 
situazione successivamente all'annullamento. 


PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

giudice ordinario non ne sarebbe influenzata perch� rientra nella cogni� 
zione di quest'ultimo ogni controversia che abbia per oggetto diritti soggettivi 
ancorch� � incisi � da atti amministrativi ove non siano previsti, 
per dettato di legge, precisi poteri che abbiano la forza di sacrificare i 
predetti diritti. 

Nella specie nessuna norma di legge prevedeva siffatti poteri e 
sussistevano a carico della amministrazione ed a favore del privato 
rispettivamente una obbligazione pubblica ed un diritto soggettivo di 
credito, derivanti dalla legge n. 1273 del 1965, mentre la funzione della 
pubblica amministrazione, al riguardo, era meramente accertativa. 

N� va dimenticato che l'annullamento discrezionale in quanto tale 
ha efficacia ex nunc e non ex tunc. 

C) In ogni caso, il provvedimento sul quale si � pronunciato il 
Consiglio di Stato � un � atto atipico � perch� con esso la pubblica amministrazione 
ha � preso atto � che determinati diritti, legittimamente sorti, 
sono venuti meno a seguito di un giudicato penale che ne avrebbe tra� 
volto il presupposto di fatto e cio� la qualit� del � merito artistico del 
film �. Un provvedimento di tale portata non pu� trasformare la natura 
della controversia che, avendo originariamente per oggetto l'accertamento 
della nullit�, per mancanza dei presupposti di base, di un atto 
da cui nascono diritti soggettivi, � e rimane di competenza del giudice 
ordinario, a differenza del caso in cui di fronte ad un atto semplicemente 
annullabile il soggetto, privato o pubblico, � dotato di un potere 
discrezionale di farne eliminare gli effetti, rispettivamente ope iudicis 
ovvero per mezzo del potere di autotutela. 

D) Peraltro va puntualizzato che, come � pacifico, il Ministero del 
Turismo e dello Spettacolo aveva riconosciuto alla societ� produttrice 
ed al regista il diritto ai contributi di legge; l'intervenuto giudicato penale 
avrebbe avuto, secondo la tesi della pubblica amministrazione, l'effetto 
di privare i predetti di un diritto a suo tempo legittimamente acquisito: 
ma questa conseguenza deve essere statuita, se mai, dal giudice dei 
diritti, cio� dal giudice ordinario, in quanto solo questi ha il potere di 
stabilire se il giudicato penale influisca sui diritti acquisiti. 

Dal canto suo, la P.E.A. svolge questo ordine di considerazioni. 

1) Il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo deriva dalla 
constatazione che il sedicente decreto del 4 aprile 1979, n. 4687, � stato 
emesso dal Ministero del Turismo e dello Spettacolo in assoluta carenza 
di potere perch�, a seguito del provvedimento di ammissione del film 
alla programmazione obbligatoria, la P.E.A. aveva acquistato un diritto 
soggettivo perfetto al contributo. 

N� va trascurato che il cos� detto � decreto � si fonda tmicamente 
sul giudicato penale, che viene assunto a presupposto e motivo, sicch� 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

580 

quell'atto, lungi dal costituire una nuova ponderazione e realizzazione 
dell'interesse pubblico, si limita a dichiarare un inesistente effetto della 
sentenza penale (di pretesa cancellazione dei pregressi provvedimenti 
amministrativi) e non pu� pertanto neppure considerarsi provvedimento 
amministrativo, rispetto al quale sia possibile chiedersi se ricorra o 
meno � carenza di potere �. 

2) In subordine, anche a voler qualificare come provvedimento il 
decreto n. 4687 del 4 aprile 1979, manca una norma che autorizzi la P.A. 
a incidere sul diritto soggettivo ai contributi; questo diritto nasce a 
seguito di. un accertamento tecnico che la legge demanda ad un apposito 
comitato e la P. A., come non pu� scavalcare il parere tecnico di 
tale comitato e negare i benefici, non pu� neppure revocarli, obliterando 
del tutto i limiti della legge. 

N�, per giungere a conclusioni diverse, pu� farsi riferime1i.to ad �un 
generico potere di annullamento discrezionale perch�, a parte quanto 
gi� detto circa i limiti dell'intervento della P. A., tale preteso potere 
andrebbe correlato alla ponderazione di specifici interessi pubblici nel 
loro merito e non, come � stato fatto dal Ministero del Turismo e dello 
Spettacolo, alla contemplazione di una sentenza intervenuta su altro e 
inter alias; e, comunque, si tratterebbe di un potere a provvedere con 
efficacia ex nunc. 

3) Sempre nell'ipotesi, non accettabile, che il � decreto � in discorso 
possa essere considerato come un vero e proprio provvedimento amministrativo, 
va osservato che il giudicato penale non fa sorgere un obbligo 
della P. A. ad adeguarvisi, deliberando su propri pregressi provvedimenti, 
ma influisce sugli effetti di quei provvedimenti impedendo l'ulteriore 
circolazione del film e il maturare di ulteriori benefici: 

Peraltro va evidenziato che la illegittimit� di un atto amministrativo 

pu� derivare solamente dalla mancanza (o difettosit�) dei requisiti propri 

dell'atto, e non anche da quella di fatti ed elementi estranei all'essenza 

dell'atto. Pertanto difetta il potere dell'Amministrazione di annullare per 

illegittimit� un atto in considerazfone di fatti estranei ad esso, anche se 

collaterali e in qualche modo collegati: e, se l'atto abbia prodotto la 

nascita di diritti soggettivi, l'intervento annullatorio -esplicato in simili 

casi di carenza di potere -ricade necessariamente nell'ambito della 

giurisdizione del giudice dei diritti. 

4) Queste conclusioni non possono mutare in forza del principio 
dell'unit� dell'ordinamento giuridico, al quale si richiama la sentenza 
impugnata, perch�, da un canto, il giudizio penale che ha affermato la 
oscenit� del film e ne ha escluso la qualit� di �opera d'arte�; dall'altro, 
il parere dello speciale Comitato Tecnico, che ha riconosciuto il film 
dotato di tutti i requisiti rilevanti per beneficiare del contributo statale 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 581 

(sufficienti qualit� artistiche o culturali o spettacolari e tale da � non sfruttare 
volgarmente temi sessuali a fini di speculazione commerciale�), 
sono giudizi rimessi ad organi consultivi e deliberativi diversi, hanno 
un oggetto diverso e assolvono a funzioni diverse; n� alcun precetto 
di legge dispone che il giudizio penale condiziona quello sul riconoscimento 
dei contributi. 

Sicch�, contrariamente a quanto affermato dal Consiglio di Stato, 
ben possono coesistere nell'ordinamento un giudizio penale di oscenit� 
del film e un provvedimento amministrativo che ammetta il film alla 
programmazic;me obbligatoria e attribuisca a produttore e regista i benefici 
conseguenti. 

Quanto, poi, alla pretesa che il diritto soggettivo di credito non 
resisterebbe alla autotutela della P.A. non si riesce a comprendere come 
e perch� si possa distinguere il diritto di credito dagli altri declassandolo 
a diritto pi� debole o, se si preferisce, di � serie B �. 

Osservano queste Sez. un. che, come pu� constatarsi dall'esposizione 
che precede, le argomentazioni del Bertolucci, da un canto, e della P.E.A., 
dall'altro, sostanzialmente coincidono e quindi il loro esame pu� svolgersi 
unitariamente. 

I ricorrenti sostengono, in via principale, che il produttore e il 
regista acquistano, a seguito del provvedimento emanato dal Ministero 
per il Turismo e lo Spettacolo ai sensi dell'art. 7 della legge 4 nov~mbre 
1965, n. 1213, un diritto perfetto ai contributi nella misura prevista 
rispettivamente dal primo e dal secondo comma del detto articolo. 

Trattandosi di un diritto perfetto (di credito) verso la P. A., qualunque 
atto amministrativo che incida sulla sua consistenza o � manifestazione 
di un potere espressamente previsto dalla legge �e allora determina 
l'affievolimento della posizione soggettiva del privato in interesse 
legittimo; ovvero costituisce violazione del diritto e, in questo caso, il 
privato pu� e deve rivolgersi, per ottenere il ristoro, al giudice ordinario. 

Pertanto -non esistendo una particolare norma che consenta al 
Ministero per il Turismo e lo Spettacolo di escludere il diritto al contributo, 
una volta concesso -non vi � dubbio che ha errato il Consiglio 
di Stato nel ritenere la propria giurisdizione. 

La tesi non pu� essere condivisa.� 

Invero i ricorrenti trascurano, nello svolgere le loro considerazioni, 
che nella specie il diritto di cui si tratta ha la sua fonte nel provvedimento 
amministrativo emanato dal Ministero del Turismo e dello Spettacolo, 
ai sensi dell'art. 7 della legge 1213/65; e conseguentemente la successiva 
deliberazione, con la quale lo stesso Ministero ha dichiarato di 
annullare la precedente ammissione alla programmazione obbligatoria e 
il contestuale riconoscimento del diritto al contributo, non � un provvedimento 
che, per cos� dire, ab extrinseco incida sul diritto soggettivo 


-'82 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

e 

ma costituisce atto che, realizzando il potere di autotutela certamente 
attribuito in via generale alla pubblica amministrazione, determina la 
caducazione del provvedimento di ammissione alla programmazione obbligatoria 
e di concessione dei contributi e fa venir meno i relativi diritti. 

In altri termini, il diritto in discorso non � stato qui menomato 
nella sua consistenza da un provvedimento amministrativo ma � stato 
travolto dal venir meno dell'atto amministrativo che costituiva supporto 
della sua esistenza. 

Queste Sez. un., del resto, hanno gi� precisato (sentenza n. 3801 del 
23 novembre 1974) che �in via generale, il potere di annullamento ex 
officio deriva dal principio di autotutela che consente all'amministrazione 
di eliminare, al di fuori di precostituiti limiti temporali e senza bisogno 
di ricorrere agli organi giurisdizionali, gli atti che ritenga di aver emanato 
in violazione di norme o principi dell'ordinamento giuridico�, aggiungendo: 
� .�.in conseguenza della ben nota portata dell'annullamento il 
quale, tendendo a restaurare una situazione di legalit� in luogo di quella 
illegittimamente prodotta dall'atto annullato, opera ex tunc e non incontra 
ostacoli nei diritti alleg�ti, sulla base di tale atto, da chicchessia�. 

Queste ultime considerazioni, peraltro, dimostrano l'inaccettabilit� 
della proposizione, contenuta nel ricorso Bertolucci, secondo cui l'annullamento 
di ufficio opererebbe, comunque, ex nunc, ed escludono che i 
diritti di credito verso l'Amministrazione vengano degradati, nel caso di 
rigetto della opinione sostenuta dai ricorrenti, al rango di diritti di 
�serie B �, per usare l'espressione utilizzata dalla ricorrente P.E.A. 

Inoltre va ricordato che, nella citata sentenza delle Sez. un., si 
precisa che, una volta iniziato il giudizio davanti al giudice ordinario (il 
quale sia competente su di un rapporto di pubblico impiego perch� non 
� controverso n� il rapporto n� il diritto dell'impiegato), la P.A. ben 
pu� annullare, esercitando il poter� di autotutela, il provvedimento su 
cui si basa il diritto dell'impiegato e quest'ultimo, se non vuol vedere 
rigettata la sua domanda, deve far valere il suo interesse al corretto 
esercizio dell'autotutela innanzi al giudice amministrativo, chiedendo la 
eliminazione del provvedimento caducatorio; solamente una pronuncia 
del genere, infatti, potrebbe far risorgere i diritti nati dall'atto poi 
annullato. 

I principi affermati nella menzionata sentenza, possono trovare 
applicazione alla fattispecie in esame. Infatti, la Corte di Appello di 
Roma, intervenuto il provvedimento di annullamento del Ministero del 
Turismo e dello Spettacolo, ha sospeso il giudizio civile e le parti (Bertolucci 
e P.E.A.) hanno ritenuto corretto adire il giudice amministrativo per 
ottenere l'annullamento del provvedimento che faceva venir meno il loro 
diritto al contributo. 

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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 583 

Peraltro se di perpetuatio iurisditionis si vuol parlare, si deve tener 
conto della separazione tra giudizio civile e giudizio amministrativo dato 
che il detto principio opera nell'ambito delle singole giurisdizioni; sicch� 
il principio stesso non pu� essere invocato, come fa il Bertolucci, per 
pretendere di escludere in assoluto la giurisdizione del giudice amministrativo 
qualora l'azione sia proposta davanti al giudice ordinario e si 
verifichi la necessit� di un giudizio incidentale e pregiudiziale spettante 
al giudice amministrativo. 

Ma -e questa costituisce ulteriore argomentazione difensiva dei 
ricorrenti -nella specie l'atto impugnato davanti al giudice amministrativo 
non pu� considerarsi provvedimento di annullamento perch� il 
Ministero del Turismo e dello Spettacolo, anzich� constatare che il 
decreto con il quale aveva concesso i contributi era affetto da un qualche 
vizio di illegittimit�, si � preoccupato esclusivamente della discordanza 
tra la concessione dei contributi e la sentenza penale che aveva qualificato 
e ritenuto osceno il film �Ultimo tango�: sicch� il provvedimento 
stesso doveva considerarsi come � atipico � in quanto diretto ad adeguare 
il trattamento (id est: la concessione del contributo -) fatto alla societ� 
produttrice e al regista con la situazione giuridica nata dalla sentenza 
penale. Senonch� un tale potere di adeguamento non � tra quelli che 
la legge attribuisce alla pubblica amministrazione e, quindi, deve concludersi 
che il Ministero del Turismo e dello Spettacolo non aveva il 
potere in concreto esercitato, con l'ulteriore conseguenza che il Consiglio 
di Stato non avrebbe potuto pronunciarsi sulla conformit� a legge del 
provvedimento medesimo ma avrebbe dovuto constatare che difettava 
il potere della pubblica amministrazione e dichiararsi privo di giurisdizione. 


Osservano le Sez. un. che per saggiare la fondatezza di queste deduzioni 
� necessario esaminare il contenuto del decreto del Ministero del 
Turismo e dello Spettacolo in data 4 aprile 1979 avente ad oggetto i 
precedenti decreti con i quali erano stati concessi alla P.E.A. e al Bertolucci 
i contributi previsti dalla legge n. 1213 del 1965. 

Premesso che l'indagine � consentita in quanto questa Corte, in 
materia di giurisdizione, � giudice anche del fatto, va ricordato preliminarmente 
che nella disciplina della legge n. 1213 del 1965 il contributo, 
previsto dall'art. 7, viene concesso dal Ministero del Turismo e dello 
Spettacolo a seguito della ammissione del lungometraggio nazionale alla 
programmazione obbligatoria. 

L'art. 4 della stessa legge chiarisce a quali lungometraggi vada riconosciuta 
la � nazionalit� � e il successivc> art. 5 stabilisce che sono 
ammessi alla �programmazione obbligatoria� i lungometraggi nazionali 
che presentino adeguati requisiti di idoneit� tecnica e su:fficlenti qualit� 
artistiche, o culturali, o spettacolari. 


.584 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Se il Comitato di esperti -al quale � demandato (art. 5) l'accertamento 
dei detti requisiti -si esprime favorevolmente il Ministero -che, 
ai sensi dell'art. 2, lett. F, � attua i provvedimenti stabiliti dalla presente 
legge � -emana un decreto che ammette il film alla programmazione 
obbligatoria.e, eventualmente con atto contestuale come � avvenuto nella 
specie, �concede� i contributi. 

Tutto ci� puntualizzato, le Sez. un. osservano che il provvedimento in 
discorso -dopo una serie di premesse in cui vengono esposte le vicende 
successive alla emanazione dei decreti del 1974 a favore della P.E.A. e 
del Bertolucci, tra le quali fanno spicco il giudicato penale che condannava 
tra gli altri, produttore e regista per il delitto di spettacolo osceno; 
nonch� il parere del Consiglio di Stato circa la nullit� ed inefficacia del 

I

provvedimento di ammissione alla programmazione obbligatoria, a seguito ~ 
della citata sentenza penale -conclude nel senso che �ravvisata, peri 
tanto, la esigenza di uniformare gli atti amministrativi relativi al film in 
oggetto al giudicato penale e di dichiarare privi di effetto, e comunque 

I

annullare, i sopra indicati provvedimenti in data 1� aprile 1974 e 16 otto


bre 1975... decreta: sono annullati i provvedimenti... con i quali il film 

j

�Ultimo tango a Parigi>>, prodotto dalla P.E.A., era stato ammesso alla programmazione 
obbligatoria ed ai conseguenti benefici �. 
� ben difficile negare che questo decreto sia un atto di annullamento 

l 
perch� emerge dal suo contenuto, globalmente considerato, che esso ! 
tende ad eliminare il provvedimento di ammissione alla programmazione i

f 

obbligatoria (e alla conseguente concessione. del contributo), inficiato da f' 

~

illegittimit� perch� basato su di un parere di congruit� (circa la sufficienza 
dei requisiti di artisticit�, di cultura e di spettacolarit�) del ! 
Comitato degli esperti che, secondo l'opinione del Ministero del Turismo e I 
dello Spettacolo, � errato in quanto il film � stato dichiarato osceno. 


Ora, potrebbe sostenersi in astratto che il Ministero non � competente 
a giudicare sui requisiti per l'ammissione alla programmazione obbligatoria, 
in quanto il relativo accertamento spetta in via esclusiva al 

I 

Comitato degli esperti; ovvero, anche, che l'opinione di quest'ultimo � 
basata su criteri i quali nulla hanno a che fare con il concetto di �osceno 

I

penale �, sicch� la rimozione del parere degli esperti � stata impropriamente 
e illogicamente collegata al giudizio penale sulla oscenit� del 
lungometraggio; ma, in entrambe Ie ipotesi, si individuano vizi del provvedimento 
e non elementi che ne modifichino la natura. 

In definitiva potrebbe trattarsi, a tutto voler concedere, di cattivo 
esercizio del potere di autotutela ma non di carenza di tale potere. Ma 
certamente il Consiglio di Stato ha correttamente ritenuto la propria 
giurisdizione. 

Per queste ragioni i ricorsi del Bertolucci e della P.E.A. vanno 
rigettati. 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

585 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 16 luglio 1985, n. 4151 -Pres. Cusani -
Rel. Tridico -P. M. Sgroi (concl. difI.) -Soc. S.E.A. (avv. Sandulli e 
Fazzalari) c. Ministero dei Trasporti (avv. Stato Laporta). 

Giurisdizione civile -Concessione per i servizi di assistenza a terra del 
traffico aereo (handling) negli aeroporti di Linate e della Malpensa Tariffe 
della societ� concessionaria -Previa approvazione del Ministero 
dei Trasporti -Portata -Atti di rifiuto o di ritardo in relazione a 
richiesta di adeguamenti tariffari � Annullamento per illegittimit� 
da parte del giudice amministrativo -Risarcimento del danno -Giudice 
ordinario. 
(Art. 41 Cast.; art. 2043 e.e.; art. 37 e.p.e.; art. 704 eod. nav.; legge 18 aprile 1962 n. 194; 

artt. 8 e 9 legge 5 maggio 1976, n. 324). 

Con riguardo agli aeroporti milanesi di Linate e della Malpensa, che 
hanno la qualit� di aeroporti privati gestiti in regime di concessione, le 
tariffe praticate dalla ~-ociet� concessionaria, per i servizi di assistenza 
a terra del traffico aereo (handling), sono soggetti al disposto dell'art. 704 
cod. nav. (non derogato dall'art. 9 legge 5 maggio 1976, n. 324) e, pertanto, 
devono essere preventivamente approvate dal Ministro dei Trasporti. 

Tale approvazione, che s'inserisce su un atto di autonomia privata 
(formazione delle tariffe) quale atto di controllo correlato alla tutela di 
interessi generali, configura espressione di una discrezionalit� tecnica 
limitata al riscontro della congruit� dei prezzi delle tariffe medesime 
rispetto ai costi effettivi ed al giusto profitto di detta impresa concessionaria, 
con esclusione di ogni potere di comprimere o degradare il 
diritto dell'impresa stessa alla propria esistenza ed alla prosecuzione 
della propria attivit� secondo criteri di economicit�. 

Ne consegue che, a fronte di atti dell'Amministrazione che rifiutino 

o ritardino i richiesti adeguamenti tariffari, e che vengano annullati per 
illegittimit� dal giudice amministrativo, la predetta societ� concessionaria 
pu� adire il giudice ordinario con azione risarcitoria, ove tali atti, oltre 
che illegittimi, siano anche illeciti, in quanto indebitamente ledano le 
sopra indicate posizioni di diritto soggettivo (1). 
(1) Sulle tariffe � handling � cfr. Tribunale Genova, 24 novembre 1975, in 
Foro it., 1976, I, 1377, il quale ha stabilito che la determinazione del Ministero 
dei Trasporti � modificatrice in meno della tariffa handling... in quanto adottata 
da autorit� assolutamente incompetente ed in ogni caso priva di potere, � 
inidonea ad affievolire il diritto corrispettivo dei servizi, ... nella misura fissata,, 
dal consorzio. 
Sulla natura dei servizi di � handling � cfr. Cass., 6 dicembre 1966, n. 2861, 
ivi, 1967, I, 30. 

La Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1975, n. 415, ivi, 1975, I, 1386, ha affermato, 
in tema di rapporto di lavoro di un dipendente del consorzio per l'aerostazione 
civile dell'aeroporto San Giusto di Pisa (qualificato ente pubblico economico) 
che le tariffe sono approvate dalla P. A. � ... secondo lo schema sovente utiliz




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

586 

Col ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione la S.E.A. 

S.p.A. (Societ� Esercizi Aeroportuali) chiede che venga dichiarata la 
giurisdizione del giudice ordinario, essendo la pretesa fondata sul risarcimento 
del danno cagionato alla societ� dal Ministero dei trasporti e 
dell'aviazione civile che ha inciso, con atti amministrativi illegitH~ni, 
sulla attivit� di handling che la stessa societ� svolge da molti anni negli 
aeroporti di Linate e della Malpensa. 
Tale attivit� comprende il servizio di assistenza agli aeromobili, 
inteso nel senso di pulizia interna ed esterna e di manutenzione tecnica; 
l'assistenza �rampa� per i passeggeri; il carico, lo scarico e la custodia 
dei bagagli e delle merci e cos� via: attivit� tipicamente accessorie rispetto 
a quella propria ed essenziale di un aeroporto, costituita dalla possibilit� 
di atterrare, sostare e decollare in una determinata zona. 

L'Amministrazione resistente assume che nessuna pretesa risarcitoria 
� ipotizzabile nella specie, in quanto il potere di � approvazione � delle 

zato dal legislatore, dell'intervento dei pubblici poteri nella determinazione dei 
prezzi di beni o servizi in materia di interesse pubblico�. Sugli interventi 
della p. a. nell'economia cfr. A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 
XIV ed., Napoli, Jovene, 1984, pp. 1049 e ss.; QUADRI, Diritto pubblico dell'economia, 
Napoli, Jovene, 1977. 

Il TA.R. Lombardia 9 dicembre 1982, n. 1178, in Trib. Amm. Reg., 1983, I, 514, 
su ricorso proposto sempre dalla Soc. Sea contro provvedimenti del Ministero 
dei Trasporti determinativi delle tariffe dei servizi aeroportuali per gli anni 
1979-80, ha ritenuto manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., 
la questione di costituzionalit� degli artt. 704 cod. nav. e 9, ultimo comma, 
legge 5 maggio 1976, n. 324, nella parte in cui � disciplinandQ il procedimento 
di revisione delle tariffe applicabili dalle imprese concessionarie di servizi 
aeroportuali, non pongono alla Amministrazione competente precisi termini per 
la pronuncia, in quanto le norme in considerazione sono preordinate proprio 
ad attuare un sollecito adeguamento delle tariffe (essendo l'inerzia dell'Amministrazione 
fatto anomalo, cui pu� ovviarsi con l'ordinaria procedura del silenzio-
rifiuto), e non essendo d'altra parte la posizione del concessionario assimilabile 
a quella di un qualsiasi privato imprenditore, mentre il richiamo all'art. 41 
Cost. non pu� prescindere dal particolare tipo di attivit� svolta dall'impresa, 
chiamata a gestire impianti aeroportuali in regime di monopolio e nell'esercizio 
di un pubblico servizio, e tenuto conto che le norme in questione assicurano 
comunque un congruo margine di profitto �. Sul punto cfr., inoltre, Cass., 
6 dicembre 1966, n. 2861, cit., che riconosce alle imprese che gestiscono impianti 
aeroportuali il compimento di pubblici servizi in regime di monopolio, configurando 
una ipotesi di gestione di pubblico servizio conforme alla previsione 
dell'art. 43 Cost. 

Poich� nel caso di specie la p.a. ha il potere � non gi� di formare, ma solo 
quello di controllare la congruit� del prezzo, �determinato dal concessionario, 
restano fermi i principi giurisprudenziali (Sez un., sent, 1� ottobre 1982, n. 5030), 
affermati in relazione ai poteri del C.I.P. � (postilla p. 20 sentenza annotata). 

La sentenza citata n. 5030/82, in Foro it., 1982, I, 2423, con nota critica di 

C. M. BARONE e in Giur. it., 1983, I, 1, 1915, ha affermato, tra l'altro, che �di 
fronte ai poteri autoritativi, concessi al C.I.P. di fissare i prezzi di beni e 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 587 

tariffe di handling non altro rappresenta se non manifestazione delle pi� 
late attribuzioni conferite dall'ordinamento alla P. A., al fine di contemperare 
la naturale tendenza al profitto di una attivit� imprenditoriale 
(avente ad oggetto un pubblico servizio) con l'esigenza di assicurare in 
ogni momento, e nelle pi� varie contingenze economiche e sociali, la 
disponibilit� del servizio alla generalit� degli utenti, all'uopo considerando 
il pi� ampio contesto di tutti i settori economici coinvolti e la gamma di 
interventi collateralmente predis.o.;ti in un organico programma d'interesse 
collettivo. 

L'istanza di regolamento prevt\ntivo � fondata. 

� anzitutto, opportuno premettere che la S.E.A. S;p.A. -attuale 
ricorrente -, gestisce autonomamenle gli aeroporti milanesi in base ad 
una convenzione stipulata il 7 maggio 1962 con l'amministrazione statale. 
La legge 18 aprile 1962, n. 196 dispone che il Ministero della difesa � 
autorizzato a riconoscere, ai sensi degli artt. 704 e 713 Codice della 
navigazione, le qualifiche private di tale sistema aeroportuale. 

servizi, gli operatori economici interessati dai conseguenzali provvedimenti non 
assumono posizioni di diritto soggettivo, ma di interesse legittimo al corretto 
uso del potere discrezionale �; essendo i provvedimenti-prezzi ispirati a � discrezionalit� 
politico-amministrativa�. 

Nel caso di tariffe di � handling � i provvedimenti della p.a. sono espressione 
di vera e propria discrezionalit� tecnica, �agevolmente controllabile alla 
stregua di discip�ine tecniche �. 

La compatibilit� fra i principi posti dalle due sentenze viene posta in serio 
dubbio da C. M. BARONE nella nota alla sentenza n. 4151/85, in Foro it., 1985, 
I, 2206. 

Per le critiche alla sentenza n. 5030/82, cfr. SANDUU.L, op. cit., p. 68, nota 117. 

Sul riparto di giurisdizione in tema di provvedimenti-prezzi cfr. Consiglio 
di Stato, A.P., 25 febbraio 1980, n. 5, in Cons. Stato, 1980, I, 133, che ha affermato 
che le impugnazioni �dirette a far valere alla illegittimit� dei provvedimenti 
medesimi, sono devolute al giudice amministrativo; invece, qualora mirino alla 
contestazione delle modalit� di applicazione dei provvedimenti stessi, rientrano 
nella giurisdizione del giudice ordinario �. Non risultano precedenti editi in 
termini. 

Ancora in tema di approvazione tariffe, telefoniche nel caso, e di giurisdizione 
cfr., infine, le coeve sentenze Cass., 20 luglio 1983, nn. 4990-91-92-93-94-95, 
in Foro it., 1983, I, 2115. 

La sentenza che si annota ribadisce il principio che l'azione risarcitoria 
spetta in relazione ad atti amministrativi i quali, oltre che illegittimi, siano 
anche illeciti e ledano posizioni di diritto soggettivo. 

Cfr. Cass., 25 maggio 1976, n. 1876, ivi, 1977, I, 2553; id. 5 ottobre 1979, 

n. 5145 e 5146, in Giur. it., 1979, I, 1, 1215; Cass. 1� ottobre 1982, n. 5027 e coeve, 
ivi, 1982, I, 1, 1663. 
La dottrina � fortemente critica riguardo a quest'orientamento giurisprudenziale; 
cfr. per tutti, SANDULLI, op. cit., pp. 1124 e ss., in particolare, per la 
sentenza n. 5030/82 cit., nota 33; nonch� M. NIGRO, Giust. amm., 2� ed., Bologna, 
Il Mulino, 1976, 113 e ss., 242 e ss. 

GABRIELLA PALMIERI 

6 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

588 

La stessa legge stabilisce, inoltre, che, allo scadere della concessione, 
le infrastrutture costruite dalla S.E.A. sarebbero divenute di propriet� 
statale; l'art. 23 della convenzione, inoltre, riconosce alla S.E.A. il diritto 
di riscuotere o di far propri i diritti per l'uso degli aeroporti della 
Malpensa e di Linate, nelle misure previste dalla legge 9 gennaio 1956, 

n. 24, non�h� tutti i diritti relativi a prestazioni da essa eseguite (servizi 
merci, assistenza rampa, assistenza a terra, ecc.), e derivanti da attivit� 
secondarie a carattere commerciale esplicate negli aeroporti. La legge 
5 maggio 1976, n. 324 (che ha sostituito la n. 24 del 1956) prevede che la 
misura dei diritti di approdo e .di partenza e di sosta o ricovero per gli 
aeromobili e d'imbarco per i passeggeri, fissate in essa legge, venga 
revisionata ogni due anni con decreti presidenziali, su proposte del 
ministro per i trasporti, di concerto con i ministri per il tesoro e le 
finanze, sentita una apposita commissione, e tenuto conto delle esigenze 
di politica tariffaria del settore e dell'andamento dei costi e servizi 
aeroportuali. L'art. 704 cod. nav. stabilisce che le tariffe relative all'esercizio 
degli aerodromi privati devono essere approvate dal Ministro per 
i trasporti e l'aviazione civile. 
Il sistema aeroportuale milanese -Linate-Malpensa -� adunque, 
gestito dalla S.E.A., ossia da un'impresa privata che cura il relativo 
esercizio in forza di un atto di concessione. 

Ci� premesso, si discute, anzitutto, se il carattere pubblico del 
servizio aeroportuale, nel senso di servizio reso al pubblico, sia tale da 
incidere sulla natura stessa del prezzo e soprattutto se per i servizi di 
assistenza a terra (handling) il potere della P. A. sia quello di approvare 
le tariffe, o di stabilirne direttamente l'ammontare. 

Sul piano della disciplina normativa, mentre l'art. 704 del cod. della 
navigazione dispone che le tariffe devono essere approvate da1l'Amministrazione 
statale, l'art. 9 -ultimo comma -della legge n. 327/76 -sia 
pure al fine di individuare le attribuzioni consultive dell'apposita commissione 
istituita presso il Ministero dei trasporti -dispone che il Ministro 
ne stabilisce l'ammontare; nel primo caso, il concessionario forma la 
tariffa, che � assoggettata al controllo ministeriale; nel secondo caso, ha 
un autonomo potere di iniziativa e di determinazione della tariffa. 

Dall'esame della normativa prevista dal citato art. 9 della legge 

n. 324 risulta evidente che questa non ha affatto modificato, relativamente 
ai servizi di assistenza a terra, il regime fissato dall'art. 704 e segg. del 
cod. della navigazione, in base al quale l'amministrazione si limita ad 
approvare le tariffe predisposte dal concessionario; e ci� per un triplice 
ordine di ragioni: 1) perch� l'art. 704 � quello che regola pi� compiutamente 
e pi� specificamente la materia, mentre l'art. 9 si propone soltanto 
::.� 


di determinare, in via generale, i compiti della precennata Commissione 
consultiva; 2) perch� il verbo �stabilire�, usato da tale norma ben pu� 
comprendere le ipotesi pi� disparate (es.: aerodromi statali), diverse da 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

quella che qui interessa; 3) perch� l'intento non innovativo traspare 
chiaramente dall'inciso � in base alle disposizioni vigenti � (le quali, pertanto, 
vengono espressamente confermate e richiamate); inciso che chiude 
l'ultima proposizione normativa dell'art. 9. 

In ordine ai servizi di assistenza a terra -dei quali qui si tratta la 
P. A. non dispone di un potere di determinazione della tariffa ma 
soltanto di un potere di approvazione della tariffa gi� formata. 

La formazione deIJa tariffa, �, adunque, espressione, della autonomia 
privata e, in definitiva, esercizio del diritto d'impresa del soggetto privato 
S.E.A., che ovviamente non dismette la qualit� di soggetto di diritto 
privato per il fatto di aver acquisito anche quella di concessionario di un 
servizio, che viene reso al pubblico e che ovviamente resta tale anche se 
taluni atti -come appunto quelli concernenti la formazione delle 
tariffe -pur essendo sempre atti di autonomia privata -sono sottoposti 
al controllo del pubblico potere. 

Senza che sia necessario allargare il discorso ad un piano pi� generale 
dei rapporti che, in questa ed in altre analoghe materie, vengono 
ad instaurarsi tra privato e pubblica amministrazione, sembra sufficiente 
osservare che la confluenza od interferenza di interessi pubblici e privati 
non altera, nelle sue grandi linee, la natura dell'attivit� che il soggetto 
privato esercita -che resta sempre disciplinata dal codice civile e dai 
principi fondamentali che regolano ogni attivit� . economica, imprenditoriale 
e non imprenditoriale. 

Se il soggetto privato � un imprenditore, il controllo -preventivo 

o successivo -della P. A. deve porsi in un armonico contemperamento 
del pubblico e del privato interesse, come strumento non gi� di indebolimento 
dell'impresa, ma di potenziamento della stessa, nel senso cio� che 
l'atto di controllo -Jungi dal costituire un intralcio alla normale 
attivit� d'impresa -debba al contrario agevolarne e facilitarne l'azione. 
Solo in tale prospettiva e con siffatto meccanismo, l'inserzione di un 
momento pubblicistico nell'attivit� d'impresa pu� trovare la sua giu


stificazione. 

Ora, se l'art. 41 della Costituzione riconosce e garantisce la libert� 

dell'attivit� economico-privata, ossia il diritto d'impresa, tanto nel momen


to dell'iniziativa che in quello del suo svolgimento, non v'� dubbio che, 

per quanto� riguarda il contenuto di tale diritto, a questo inerisca con


naturalmente la copertura dei costi e la giusta remunerazione dell'atti


vit� e del rischio d'impresa, ossia il profitto. 

La fondamentale regola economica della remunerativit� del prezzo 
di un qualsiasi prodotto corrisponde ad un principio di portata generale, 
che inerisce indissociabilmente al fenomeno dell'impresa in ogni caso ed 
ovviamente anche quando -come nel caso di specie -l'attivit� impren~ 
ditoriale venga esercitata in forza di una concessione amministrativa. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

590 

Ora -in base al principio costituzionale di cui all'art. 41 Cost. la 
legge ben pu� imporre, per ragioni di utilit� sociale (primo comma) 
e nel quadro della programmazione economica (secondo comma), opportuni 
controlli sui prezzi dei prodotti e sulle tariffe dei servizi offerti al 
pubblico; controlli che ovviamente vengono ad incidere sul diritto dell'imprenditore 
alla remunerazione. 

Il problema che si pone -ove tali controlli vengano istituiti -� 
quello di stabilire l'ampiezza del relativo potere ed i limiti che l'esercizio 
di tale potere incontra. 

Poich� il sistema normativo vigente sarebbe incompleto sia per 
quanto si riferisce al quando di esercizio del potere amministrativo e 
sia soprattutto perch� non conterrebbe alcuni limiti relativamente ai criteri 
di controllo della congruit� della misura nella formazione e nell'adeguamento 
delle tariffe e, in definitiva, non sarebbe idoneo a garantire, nei 
modi ragionevoli, il diritto d'impresa del concessionario, � stato avanzato 
il dubbio di costituzionalit� della citata normativa, in quanto questa 
non si accorderebbe col principio costituzionale di cui all'art. 41 Cost. 

In tali sensi sono state, infatti, formulate le conclusioni del Procuratore 
Generale. 
Ritiene questa Corte Suprema a Sez. un., che tale richiesta non possa 
essere attesa. 

Ed invero, non si pone una questione di pregiudizialit� costituzionale, 
quando il sistema normativo vigente contenga gi� gli strumenti che 
consentono di escludere l'apparente contrasto tra la normativa vigente 
e i principi costituzionali: strumenti che l'interprete ha solo l'obbligo 
di ricercare e di individuare. 

Ora, un approfondimento del tema consente di cogliere i limiti che 
il potere di approvazione della tariffa incontra. 

Un primo limite si rinviene nell'esistenza stessa dell'impresa. 

Il diritto dell'impresa alla propria esistenza costituisce, in altre 
parole, un limite di ordine generale, invalicabile da parte di chiunque, 
pubblica amministrazione compresa. 

Non occorre al riguardo un lungo discorso per convincersi che il 
diritto dell'impresa alla propria esistenza e conservazione -diritto che, 
come si � detto, l'ordinamento tutela a livello costituzionale (art. 41 
Cost.) -non pu� essere messo in forse o addirittura inciso e neutralizzato 
dalla P. A. Questa -ove la legge le attribuisca il relativo potere pu�, 
per il conseguimento di fini di �utilit� generale�, procedere ad 
espropriazione e salvo indennizzo di determinate imprese o di categorie 
di imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali, cos� come pu�, 
per finalit� di interesse generale, espropriare, sempre salvo indennizzo, 
la propriet�. privata. 

Vi � perci� una perfetta simmetria tra la norma costituzionale di cui 
all'art. 43 che contempla l'espropriazione di imprese, e quella di cui 

! 

............................................... : 



PARTE I, SEZ. 111, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

all'art. 42, terzo comma della Costituzione che contempla l'espropriazione 
della propriet� privata. 
Siffatto parallelismo evidenzia subito quelli che sono i limiti che 
incontra il pubblico potere, in siffatte ipotesi. 

Quando la P. A. sia legittimata a penetrare nella sfera giuridica 
dell'autonomia privata e non sia dotata di un potere ablatorio dell'impresa 
o della propriet� privata, non pu� avvalersi dello specifico potere 
che la legge le attribuisce -quale che sia il contenuto ed il nomen di 
detto potere -per realizzare. un effetto sostanzialmente espropriativo. 

L'effetto espropriativo deve essere la conseguenza soltanto ed esclusivamente 
dell'esercizio di un potere �he sia definibile -tanto sul piano 
formale quanto su quello sostanziale -come espropriativo. 

Le sintetiche osservazioni che precedono consentono di ritenere che 
la P. A. faccia uso di un potere che solo formalmente pu� qualificarsi 
� approvazione �, quando eserciti in concreto un potere che � incidendo, 
in senso decisamente negativo, sul diritto della impresa alla propria 
sopravvivenza, finisca per determinarne in definitiva l'estinzione, ossia 
eserciti, in senso effettivo e sostanziale, un potere di espropriazione. 

Secondo Ja giurisprudenza costituzionale (sent. Corte cost. n. 129/1975), 
� principio generale quello secondo cui i poteri pubblici destinati ad 
incidere su diritti debbono essere strutturati ed esercitati in modo tale 
da sacrificare il meno possibile i diritti stessi e comunque non oltre i 
limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire il soddisfacimento 
delle esigenze di pubblico interesse cui quei poteri sorto 
appunto preordinati. 

Ora -escluso che attraverso l'esercizio del �potere di approvazione
�, il Ministero dei trasporti possa realizzare un effetto sostanzialmente 
espropriativo dell'impresa (e tale si verifica quando dal concetto 
di impresa venga eliminato quello della economicit�) -occorre puntualizzare 
che l'approvazione in questione si esaurisce in un mero riscontro 
della congruit� del prezzo e della tariffa. La P.A. pu� e deve soltanto verificare 
che il prezzo e la tariffa non risultino incongrui rispetto alla 
somma costituita dagli elementi del costo effettivo e del giusto profitto. 
Trattasi di vera e propria discrezionalit� tecnica, essendo questa legata 
a criteri d'ordine tecnico ed il _relativo apprezzamento -di tipo scientifico 
-� agevolmente controllabile alla stregua di discipline tecniche. 

L'incidenza del potere pubblico sul diritto d'impresa -in base ad 
un principio di pi� generale portata o valevole anche al di fuori dello 
specifico tema di cui qui si discuteva contenuto nei limiti della pi� 
corretta attivit�; se l'approvazione venga negata in tutto o in parte o 
venga data con ritardo (con evidenti riflessi negativi, anche per il fenomeno 
inflazionistico) ed il giudice amministrativo abbia -come nella 
specie -annullato l'atto illegittimo, non pu� esservi dubbio che l'illegittima 
compressione del dir:tto soggetivo da pare della P.A. � tale 


592 
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEILO STATO 

da assumere la qualifica di atto illecito, ossia di atto lesivo di un diritto 
soggettivo, conoscibile, come tale, dal giudice ordinario. 

Poich�, nel caso di specie, la P.A. ha il potere, non gi� di formare 
ma solo quello di controllare la congruit� del prezzo, determinato dal 
concessionario, restano fermi i principi giurisprudenziali (s.u. sent. 1-10-82 

n. 
5030), affermati in relazione ai poteri del C.I.P. 
La pretesa risarcitoria dedotta rientra perci� nella competenza giurisdizionale 
del giudice ordinario. 
Il ricorso va, pertanto, accolto, con declaratoria della giurisdizione 
del giudice ordinario. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 16 luglio 1985, n. 4154 -Pres. Brancaccio 
-Rel. Menichino -P.M. Sgroi (parz. diff.) -Ministero della Pubblica 
Istruzione (avv. Stato Conti) c. Sindacato Scuola CGIL Milano 
(avv. 1Santulli). 

Giurisdizione civile � Impiego pubblico � Associazioni sindacali -Diritti 

sindacali � Tutela � Repressione della condotta antisindacale � Dii;tfn. 

zione � Diritti sindacali esclusivi del sindacato � Giurisdizione ordi


naria � Diritti sindacali connessi a posizioni di pubblico impiego � 

Giurisdizione amministrativa esclusiva. 

(Artt. 39 e 40 Cost.; art. 29 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054; artt. 28 e 30 legge 20 maggio

1970 n. 300; art. 7 legge 6 dicembre 1971 n. 1034; artt. 1, 23 e 26 legge 29 marzo 1973 n. 93). 

Nell'ambito del pubblico impiego, ed al fine della individuazione dei 
rimedi giurisdizionali esperibili dalle organizzazioni sindacali contro comportamenti 
antisindacali del datore di lavoro, occorre distinguere a seconda 
che detti comportamenti ledano soltanto diritti sindacali in senso 
stretto, cio� propri ed esclusivi di quelle organizzazioni, ovvero presentino 
un carattere plurioff ensivo, in quanto, incidendo direttamente sulle posizioni 
soggettive del singolo dipendente, vengano anche a pregiudicare 
diritti sindacali connessi o correlati a tali posizioni individuali. Nella prima 
ipotesi, la tutela � esperibile davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria, 
nella normale sede contenziosa, ove si tratti di dipendenti delle Amministrazioni 
dello Stato, cui non si applica lo statuto dei lavoratori 
(anche dopo la legge-quadro sul pubblico impiego), oppure nella sede e nei 
modi previsti dall'art. 28 del predetto statuto ove si tratti di dipendenti 
di enti pubblici non economici, soggetti alla disciplina della medesima norma 
in base. al successivo art. 37. 

Nella seconda ipotesi, si tratti di dipendenti statali, di dipendenti di 
altri enti pubblici non economici, la tutela spetta al giudice amministrativ<;> 
in sede di giurisdizione esclusiva, dato che investe diritti attinenti al 
rapporto di pubblico impiego (anche se diversi da quelli dell'impiegato) 

l 

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I 


593

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

e pu� essere invocata dalle organizzazioni sindacali in via autonoma, a 
presoindere dall'iniziativa del singolo dipendente (1). 

(Omissis). Con l'unico motivo del ricorso per regolamento di giurisdizione 
l'Amministrazione sostiene che lo Statuto dei lavoratori non si 
applica ai dipendenti statali. In particolare, al personale scolastico, si 
applicano il D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 modificato dalla L 18 marzo 1968 

n. 249, nonch� la 1. 30 luglio 1973 n. 477 e i relativi decreti delegati, tale 
disciplina garantisce ampiamente la operativit� dei sindacati nella P.A. 
e, in particblare, nell'ambito della Pubblica Istruzione e le relative controversie 
appartengono alla giurisdizione dei Tribunali amministrativi 
regionali e al Consiglio di Stato. 
Con le proprie conclusioni scritte (nel ricorso n. 2262/76) il P.G. ha rilevato 
che la questione di giurisdizione � pregiudiziale e pu� rilevarsi di 
ufficio, ed anche in sede di regolamento di competenza (come in tale ricorso), 
purch� sul punto non si sia formata la cosa giudicata formale; 
e ci� non poteva essersi verificato nella specie perch� in sede di opposizione 
il Ministero aveva insistito nell'eccezione di difetto di giurisdizione 
senza che il Tribunale si pronunziasse al riguardo, onde la questione 
non risultava ancora definita irrevocabilmente. 

La questione di determinazione della giurisdizione sulla controversia 
ha carattere peraltro pregiudiziale ed assorbente essendo suscettibile da 
sola, di definire il giudizio. 

Invero, tale questione della determinazione della giurisdizione in 
ordine alla tutela contro l'attivit� antisindacale nell'ambito del pubblico 
impiego � stata risolta da queste Sezioni Unite con le varie sentenze del 
26 luglio 1984, dal n. 4386 al n. 4411, secondo i seguenti principi distintivi: 

� In tema di rapporto di pubblico impiego; ed a fronte di un comportamento 
antisindacale del datore di lavoro, che impedisca o limiti l'esercizio 
della libert� e dell'attivit� delle organizzazioni sindacali, l'individuazione 
dei rimedi giurisdizionali di cui tali organizzazioni possono avvalersi, 
a tutela delle loro posizioni (aventi natura e consistenza di diritti 
soggettivi), va effettuata distinguendo il caso, nel quale detto comportamento 
leda interessi propri ed esclusivi del sindacato (cosiddetti diritti 
sindacali in senso stretto), dal caso nel quale esso presenti carattere 
plurioffensivo, in quanto, direttamente incidendo sulle posizioni del sin


(1) Questa, e le due coeve sentenze 4155 e 4162, costituiscono puntuale applicazione 
dei principi enunciati dalla Cassazione nelle ventisei sentenze pubblicate 
sotto la stessa data del 26 luglio 1984, con le quali la Corte sembra aver 
trovato la definitiva soluzione al problema dell'applicabilit� dell'art. 28 statuto 
lavoratori e della tutela dei diritti sindacali nel settore del pubblico impiego 
Sia, perci�, consentito di rimandare, per i precedenti giurisprudenziali e la dottrina 
in materia, alla nota di G. PALMIERI a Cassazione 26 luglio 1984,' n. 4386, 
in questa Rassegna 1985, I, 59. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

594 

golo dipendente, venga ad interferire anche nella sfera giuridica del sindacato, 
con lesione di suoi interessi strettamente collegati a quelli del 
dipendente (cosiddetti diritti sindacali connessi o correlati). Nella prima 
ipotesi, la tutela � esperibile davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria, 
nella normale sede contenziosa, quando si tratti di dipendenti delle Amministrazioni 
dello Stato, cui non si applica lo statuto dei lavoratori (anche 
dopo fa legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983 n. 93), ovvero 
nella sede e nei modi previsti dall'art. 28 dello statuto dei lavoratori, 
quando si tratti di dipendenti di enti pubblici non economici, ai quali 
si applichi il citato art. 28 dello statuto, a norma del successivo art. 37 
ed in mancanza di apposita normativa speciale (e continua ad applicarsi 
anche dopo la menzionata legge-quadro). Nella seconda ipotesi, si tratti 
di dipendenti statali ovvero di dipendenti di altri enti pubblici non economici, 
detta tutela del sindacato spetta al giudice amministrativo in 
sede di giurisdizione esclusiva, tenendo conto che riguarda diritti che 
attengono oggettivamente al rapporto di pubblico impiego (anche se diversi 
da quelli dell'impiegato), e la tutela medesima deve ritenersi esperibile 
non in via eventuale ed indiretta tramite intervento adesivo nel 
giudizio che promuova il dipendente, in quanto ci� implicherebbe la possibilit� 
di carenza di difesa giurisdizionale per i diritti del sindacato, ma 
bens� in via autonoma ed indipendente, mediante l'instaurazione di apposito 
giudizio (spettando poi al giudice amministrativo l'eventuale integrazione 
del contraddittorio riei confronti degli altri interessati). In relazione 
all'indi�ato principio, manifestamente non � ravvisabile una violazione 
degli artt. 3 e 24 della Costituzione, sotto il profilo della diversa 
intensit� ed incisivit� degli strumenti a difesa dei diritti sindacali, rispettivamente 
nel processo davanti al giudice ordinario ed in quello davanti 
al giudice amministrativo, atteso che; nell'uno e nell'altro processo, 
sono assicurate le fondamentali garanzie delle parti e che le indicate 
differenze si ricollegano all'obiettiva di~ersit� delle situazioni�. 

Nella specie, la pretesa fatta valere dal sindacato per ottenere la rettifica 
della posizione degli insegnanti, che non avevano partecipato agli 
scrutini del 20 settembre 1974, da �assenti ingiustificati� in �astenuti�, 
in attuazione cio� dell'esercizio del loro diritto di �sciopero�, inerisce 
alla tutela di una posizione di diritto del sindacato soltanto correlato a 
quella prevalente del diritto soggettivo dei singoli insegnanti interessati; 
e pertanto rientra nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo. 
Tale pronuncia non � perci� in contrasto con la precedente sentenza 

n. 4389/84, avendo questa -invece -ad oggetto la generica pretesa del 
sindacato di tutela dell'esercizio del diritto di sciopero in generale per il 
personale di un istituto di istruzione. 
Ugualmente, l'altra richiesta del sindacato di revoca del provvedimento 
del distacco della impiegata di segreteria Bottanelli Flavia, e di 
rilascio di un certificato di lodevole servizio alla stessa, attiene ad un 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

diritto soggettivo della impiegata in ordine alla propria posizione di 
servizio ed � pert:;mto pure correlato alla relativa diretta tutela; anche 
per detta pretesa va perci� dichiarata la giurisdizione esclusiva del Giudice 
Amministrativo. 

Per effetto di tale declaratoria, il separato regolamento di competenza 
� perci� assorbito e la sentenza del Tribunale di Milano, con questo impugnata, 
deve essere cassata senza rinvio. (Omissis). 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE (sez. I) -19 gennaio 1985 n. 138, Pres. Santosuosso 
-Rel. Borruso -P. M. Dettori (concl. conf.) -Ministero Industria 
e Commercio (Avv. Stato De Figueiredo) e/ Virginia Agosta e 
Dr. Scholl's S.p.A. (avv. Stella Ricl,lter). 

Commercio (disciplina del) -Vendita in farmacia di zoccoli anatomici � 
Condizioni. 

Il possesso dell'autorizzazione commerciale rilasciata per la vendita 
di �articoli di ogni genere per l'allevamento del bambino�, di cui alla 
tabella merceologica XIV, non legittima il farmacista alla vendita di qualsiasi 
articolo_ per l'infanzia, ma solo di quelli menzionati nella circolare 

I ~ 

del Ministero dell'Industria n. 2268/c del 24 marzo 1972 (1). 

(1) La S.C. con la sentenza in esame (che si legge anche in Foro It., 1985, 
I, 420 ss.) torna sulla vexata quaestio della vendita in farmacia degli zoccoli 
anatomici Dr. Scholl's, accogliendo integralmente le tesi dell'Avvocatura dello 
I

f: 
Stato sul punto, ma non giungendo alla cassazione della decisione impugnata 

f: 
per la ritenuta buona fede dell'opponente. 

Come � noto, sussiste tuttora un ampio dibattito giurisprudenziale sul 
punto, atteso che varie pronunce dei giudici di merito (tra le quali si possono Il 
indicare Pret. Vicenza 15-2-80, in Foro It., Rep. 1981, v. Farmacie, n. 72; Pret. 
Firenze 16-12-81, sulla cui impugnativa decide la sopra riportata sentenza, in 
Foro It., Rep. 1982, v. Commercio, n. 534 ed in extenso in Rass. dir. Farm. 1982, 

� 22 con nota di NicoLOso) hanno ritenuto la vendita dei sandali anatomici non 
soggetta ad autorizzazione commerciale comunale, in quanto tratterebbesi di 

I 

prodotti che si discostano dalle calzature normali e sono predisposti al conseguimento 
di finalit� terapeutiche; ovvero che gli stessi rientrerebbero in 
quella categoria di articoli sanitari normalmente posti in vendita nelle farmacie 
secondo gli usi di cui all'art. 57 del d.m. 14 gennaio 1972, per i quali 
l'art. 45 n. 2 della I. 11 giugno 1971 n. 426 esclude la necessit� dell'apposita 

I

autorizzazione. , 

Argomentazioni queste del tutto disattese dalla sentenza che si annota, la 
quale richiama in gran parte la precedente Cass. 7 marzo 1984 n. 1574, in 
Foro It. 1984, I, 1864 ss. 

Va infine considerato che gi� dopo la pubblicazione di tale ultima sentenza, 
l'orientamento di alcuni giudici di merito era cambiato; in particolare, Pretura 
Pisa 30 giugno 1984, in Foro It. 1985, I, 617 ss., ritenuta la non vendibilit� in 
farmacia dei predetti sandali in mancanza di autorizzazione commerciale, aveva 
ritenuto illegittimo e conseguentemente disapplicato il 2� comma dell'art. 57 

d.m. 14 gennaio 1972 per contrasto con la norma primaria contenuta nell'art. 45, 
1�comma, n. 2 della I. 426/71, appunto nella parte in cui consentiva (rectius: 
poteva essere interpretato nel senso di consentire) la libera commerciabilit� 
dei prodotti de quibus. 
VINCENZO NUNZIATA 

I 

I 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Col primo motivo del suo ricorso il Ministero per l'Industria, il Commercio 
e l'Artigianato lamenta che, per quanto ampio possa essere il 
significato attribuibile alla espressione � Articoli per l'allevamento dei 
bambini �, nella stessa non avrebbero potuto farsi rientrare giocattoli, 
bilance, capi di abbigliamento etc., cio� articoli che, tra l'altro, sono espressamente 
contemplati in tabelle diverse da quella cui fa riferimento l'autorizzazione 
comunale rilasciata alla Agosta. 

Il motivo risulta fondato dal punto di vista oggettivo. 

Invero, anche 'se l'attuale ordinamento consente la vendita in farmacia, 
previa autorizzazione comunale, di tutta una serie di prodotti, la 
motivazione addotta nella specie dal giudice di merito per ritenere sic 
et simpliciter che l'espressione �articoli di ogni genere per l'allevamento 
dei bambini�, contenuta nell'autorizzazione comunale concessa alla opponente 
potesse essere interpretata alla lettera in senso omnicomprensivo, 
prescindendo completamente dal contesto della normativa sulle farmacie, 
fino a comprendere qualsiasi oggetto destinato al bambino anche se niente 
affatto connesso in modo particolare e diretto con la sua salute, si rivela 
non soltanto insufficiente e illogica, ma anche viziata da errore di diritto, 
perch� chiaramente poggiante sul falso presupposto che, in base alle 
leggi vigenti sulle farmacie, e sia pure solo per effetto di autorizzazione 
comunale, si possa trasformare, in sostanza, la farmacia in un emporio 
destinato allo smercio dei prodotti pi� svariati e generici, che non hanno 
avuto mai, n� per logica n� per consuetudine prima ancora che per legge, 
alcuna connessione con l'istituto delle farmacie. Al contrario, da tutto il 
complesso delle norme, che regolano in Italia le farmacie, emerge chiaramente 
che tutti i prodotti in essa vendibili devono riguardare in qualche 
modo specifico la salute delle persone. Solo l'importanza di tale bene 
primario pu� giustificare, infatti, la speciale disciplina che, appunto a 
tutela della salute, regola l'impianto e l'esercizio delle farmacie. 

Siffatto convincimento non sembra esigere una particolare dimostrazione, 
trovando conferma nella semplice lettura del D.M. 14 gennaio 1972 
(regolamento di esecuzione della 1. 11 giugno 1971 n. 426 sulla disciplina 
del commercio) e della circolare del 24 marzo 72 n. 2268/c del Ministero 
dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato da cui risulta che, a 
seguito di trattative promosse dalla P.A., � stato raggiunto un accordo tra 
la Confederazione Generale Italiana del Commercio, la Federazione Ordine 
Farmacisti Italiani e la Federazione Unitaria dei titolari di farmacia, 
in base al quale i farmacisti si sono impegnati a richiedere l'autorizzazione 
comunale necessaria per la vendita al pubblico di prodotti non 
medicamentosi limitatamente ai prodotti dietetici per l'infanzia, per gli 
anziani, per gli ammalati, e i prodotti destinati all'igiene delle persone 
nonch� quelli di cui ad un elenco che ricalca, in buona sostanza, quello 
di cui alla tabella XIV del citato D.M. 14 gennaio 1972. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

598 

Tutti questi prodotti hanno in comune la caratteristica di essere concepiti 
e realizzati con particolar.e cura, volta a giovare o, comunque, a 
non pregiudicare la salute delle persone in considerazione della delicatezza, 
dal punto di vista igienico, o dell'uso in s� o dei soggetti ai quali sono 
destinati. Per quanto, riguarda, infatti, gli articoli destinati ai bambini 
(i soli che qui interessino), tale elenco comprende soltanto: 

-apparecchi propedeutici allo sviluppo dell'attivit� sensoriale e 
visiva del bambino parzialmente ritardato, quali attrezzature montessoriane; 


-articoli igienico-sanitari per la prima infanzia, quali pannolini e 
tutine assorbenti, vasini ortopedici etc.; 

-articoli per la sicurezza e la custodia del bambino nella deambulazione 
e nel riposo, quali bretelle sostenitrici e prime attrezzature per 
la sua custodia tipo � infantseat �; 

-articoli di puericultura, quali biberon, scaJ.dabiberon, bagnetti, 
spargitalco, ciambelle lavatesta, accessori per bagno, spugne, termometri, 
accappatoi per neonati, bilance per neonati; ' 

-indumenti per neonati e prima infanzia di speciale tessuto filtrante 
e anallergico; 
-lenzuolini di gomma o filtranti per neonati; 
-mutandine igieniche porta assorbenti per neonato. 

Poich� questi sono gli articoli concernenti i bambini che, in base 
alla normativa vigente, possono essere venduti in farmacia previa autorizzazione 
comunale e poich�, d'altra parte, gli atti amministrativi si devono 
presumere, almeno sino a prova contraria, conformi alla legge, 
l'espressione �articoli di ogni genere per l'allevamento dei bambini�, contenuta 
nell'autorizzazione comunale concessa alla farmacista Agosta, doveva 
essere necessariamente interpretata con criterio restrittivo, tenendo, 
cio�, �loverosamente conto delle limitazioni chiaramente imposte con il 
sopracitato elenco e della conseguente possibilit� che esse fossero sottintese 
pur non essendo espressamente richiamate. 

Col secondo motivo del suo ricorso il Ministero censura l'impugnata 
sentenza per essersi in essa tenuto conto del fatto che i sandali del 
dr. Scholl's vengono venduti esclusivamente nelle farmacie non in base 
ad uso comune commerciale (cio� in base ad un comportamento libero, 
spontaneo, consolidato, tenuto dalla maggioranza degli operatori commerciali), 
ma in virt� di un abuso della sola Societ� produttrice, la quale 
vuole escludere dalla vendita altri possibili distributori, evitando, cos�, 
la concorrenza e garantendosi il rispetto del prezzo imposto. 

Anche questo secondo motivo di ricorso � oggettivamente fondato, 
almeno per quanto riguarda l'interpretazione dell'espressione � normal




PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

mente posti in vendita nelle farmacie secondo gli usi�, riferita nell'art. 57 
del D.M. 14 gennaio 72 agli articoli sanitari come condizione necessaria 
e sufficiente perch� possano essere venduti in farmacia senza che occorra 
autorizzazione comunale, cos� come non occorre per i prodotti farmaceutici-
o per le specialit� medicinali e per i presidi medico-chirurgici. 

Al riguardo, giova precisare che l'art. 45 della 1. 11 giugno 1971 n. 426 
(concernente la disciplina del commercio e che impone l'autorizzazione 
comunale per l'apertura degli esercizi di vendita al minuto) stabilisce 
(al n. 2) che le disposizioni di detta legge non si applicano ai farmacisti 
per la vendita di prodotti farmaceutici e specialit� medicinali. 

A sua volta l'art. 57 del D.M. 14 gennaio 1972 (regolamento di esecuzione 
della citata legge n. 426 del 71) confermato, per quanto qui interessa 
dall'art. 41 del D.M. 28 aprile 1976, cos� recita: 

�Ai fini dell'art. 45 n. 2 della legge, per prodotti farmaceutici o specialit� 
medicinali si intendono anche gli altri prodotti affini, i presidi 
medico chirurgici e gli articoli sanitari, normalmente posti in vendita nelle 
farmacie secondo gli usi �.. 

Orbene, come questa Corte regolatrice ha gi� avuto modo di affermare 
con la sentenza n. 1574 dell'84, perch� si possa ritenere che, di fatto, 
un prodotto sanitario � venduto in farmacia secondo una consolidata 
prassi commerciale e, quindi, riconnettere a detta constatazione le conseguenze 
scaturenti dal_ combinato disposto dell'art. 45 n. 2 della legge 
e dell'art. 57 del regolamento soprariportati, occorre aver riguardo al 
mercato nella sua globalit� e, conseguentemente, tanto agli esercizi farmaceutici, 
quanto a quelli non farmaceutici e non soltanto ad una singola 
e specifica marca di un determinato prodotto, ma all'intero tipo 
merceologico cui esso appartiene. 

Ha errato, quindi, il Pretore nel ritenere vendibili in farmacia i sandali 
anatomici � Pescura � della ditta Scholl's sol per aver accertato che tale 
articolo sanitario (--qualificazione questa sulla quale qui non pu� discutersi, 
non essendo stata investita dalle censure mosse nel ricorso in esame-) 
si trova, da lungo tempo, in vendita pressoch� in tutte le farmacie, 
in quanto sarebbe stato, invece, necessario accertare Sf'! calzature con 
plantare diverso da quello usuale per una pi� scientifica corrispondenza 
alle esigenze anatomiche del piede normale (e, quindi, del tipo di quello 
che notoriamente costituisce il vanto dei sandali � Pescura �), da chiunque 
prodotte e commerciate, siano da lungo tempo in vendita, in tutto il 
territorio nazionale, normalmente, soltanto nelle farmacie. 

Tale rigore nell'interpretazione del citato art. 57 si giustifica sol che 
si consideri che i prodotti sanitari, nel cui ambito rientrerebbero i sandali 
dei quali trattasi, sono vendibili in farmacia senza essere sottoposti 
-contrariamente alla norma -ad alcuna approvazione o autorizzazione 
specifica: non del Ministero della Sanit� (come quella necessaria per i 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

prodotti farmaceutici o le specialit� medicinali o i presidi medico-chirurgici, 
per i quali � richiesta la preventiva registrazione) e neppure del 
Comune (proprio in virt� della � loro qualifica di prodotti sanitari che li 
differenzia da ogni altra merce). Si tratta, cio�, per cosi dire, di un 
� genus residuale � di cui la libera vendita, eccezionalmente sottratta a 
qualsiasi forma di esame preventivo da parte della P .A., si giustifica solo 
quando: 

a) innanzitutto la qualifica di � articolo sanitario � corrisponda effettivamente 
a determinati requisiti intrinseci � differenziali � del prodotto, 
che ne rendano plausibile la vendita in farmacia (Requisi!i sui quali qui 
non � il caso di soffermarsi, in quanto, come gi� si � rilevato, il ricorrente 
non contesta la qualifica di �articolo sanitario� attribuita nella impugnata 
sentenza ai sandali Scholl's); 

b) tale qualifica sia convalidata nella coscienza sociale da una prassi 
non solo consolidata nel tempo, ma generale ed univoca, .e. quindi, assolutamente 
prevalente, qual'� appunto la vendita, in tutto il territorio 
nazionale, di un determinato tipo di articolo (da chiunque fabbricato e/o 
posto in commercio), di norma, esclusivamente presso le farmacie e non 
anche negli esercizi specializzati nella vendita di calzature o in altri 
negozi. 

Solo il concorso delle suddette due condizioni evita, invero, l'incongruenza 
logico-giuridica, gi� stigmatizzata nella citata sentenza di questa 
Corte n. 1574 dell'84, che la qualifica di prodotto sanitario -con le conseguenze 
che ne scaturiscono agli effetti della libert� di vendita senza autorizzazione 
comunale, -possa essere attribuita ad nutum del singolo 
produttore interessato ad imporne la vendita solo in farmacia per accreditare 
nel pubblico il convincimento che esso possegga speciali. virt� terapeutiche 
o, comunque, sanitarie e per rendere, cosi, accettabile un 
prezzo maggiorato, ovvero che il ceto dei farmacisti sia arbitro di determinare, 
sia pure nell'ambito degli articoli sanitari, quali oggetti poter vendere 
senza licenza di commercio per effetto di una sorta di autoregolamentazione 
corporativa. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 1 febbraio 1985, n. 660 -Pres. Gabrieli Est. 
Tropea � P.M. (conf.) � .Floris Antonio (avv. !setta) c. ETFAS-Ente 
di sviluppo in Sardegna (avv. Stato Mataloni). 

Patrimonio dello Stato e degli enti pubblici -Beni indisponibili � Utilizza� 
zione da parte di privati � Atto di concessione � Necessit�. 
(Legge 11 febbraio 1971, n. 11, art. 22). 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 601 

Patrimonio dello Stato e degli enti pubblici � Beni indisponibili � Fondi 

rustici � Concessione amministrativa � Proroga del contratto ex lege 

11 febbraio 1971 n. 11 � Non si applica. 

L'utilizzazione provvisoria ed eccezionale in favo re di terzi di beni del 
patrimonio indisponibile dell'ente pubblico (nella specie terreni di propriet� 
dell'ETFAS) non pu� avvenire se non in forza dello strumento 
pubblicistico dell'atto di concessione (1). 

L'art. 22 legge 11-2-1971 n. 11 non riguarda la concessione di terreni 
rientranti nel patrimonio indisponibile di un ente pubblico ceduti in godimento 
per uso agricolo (2). 

(1-2) Art. 22 legge 11/1971. Applicabilit� alle concessioni dei beni demaniali. 
La sentenza, pur nella sua succinta motivazione, � interessante perch� conferma 
un indirizzo ormai cons�lidato della Suprema Corte sull'interpretazione 
dell'art. 22 legge 11 febbraio 1971 n. 11 � nuova disciplina dell'affitto dei fondi 
rustici'" pur a fronte di diverse interpretazioni occasionate dall'entrata in 
vigore della legge. 

Come � noto, l'art. 22 legge 11 febbraio 1971 n. 11 � Nuova disciplina dell'affitto 
dei fondi rustici � recita: � le norme della legge 12 giugno 1962 n. 567 
e della presente legge si applicano anche ai terreni che comunque vengono 
concessi per l'utilizzazione agricola o silvio pastorale dello Stato, delle provincie 
e comuni o gli altri enti �. Con tale disposizione pertanto si ritenevano automaticamente 
applicabili ai terreni dati in concessione dagli enti indicati i vari 
istituti previsti dalla normativa della medesima legge 11/1971 e della precedente 
567/1962 ed in particolare l'istituto della predeterminazione dell'equo 
canone per l'affitto dei fondi rustici, nonch� il regime di proroga dei contratti 
medesimi. 

La Cassazione, con la sentenza n. 8 del 9 gennaio 1973 (Foro it. 1973, 1098) 
interpret� subito l'art. 22 nel senso che tra i terreni in esso indicati non potevano 
ritenersi compresi quelli demaniali o quelli del patrimonio indisponibile 
degli enti dello Stato o degli altri enti pubblici. 

Partendo dalla distinzione tra contratto di affitto del fondo appartenente 
al patrimonio disponibile dello Stato (o dell'ente pubblico) e concessione-contratto 
appartenente a patrimonio indisponibile dell'Ente pubblico, territoriale 

o non, e individuando una incompatibilit� genetico strutturale tra rapporto 
pubblicistico derivante dalla concessione-contratto e istituti previsti dalla normativa 
speciale agraria, la Cassazione ha escluso l'applicabilit� dell'istituto della 
perequazione del canone alla concessione-contratto ed in margine anche di 
eventuali altri istituti previsti dalla medesima normativa quali quelli relativi 
alla regolamentazione delle migliorie (art. 21 stessa legge), o alla trasformazione 
coattiva, a richiesta del coltivatore, della natura giuridica del contratto 
quale voluto e stipulato dalle parti. 
Nel senso della sentenza n. 8 sono andate le successive sentenze delle 
Sezioni Unite n. 2642 del 19 ott�bre 1973 e n. 1225 dell'8 aprile 1976, le quali hanno 
affermato la non applicabilit� alle concessioni contratto della legge 11/1971 
ed in conseguenza hanno stabilito per le controversie relative la giurisdizione 
del TAR. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

602 

Col primo motivo denunziando violazione e falsa applicazione degli 
artt. 1362 e segg. e.e. 830 in relazione all'art. 828 comma secondo e.e.; 

22 1. n. 11/1971, nonch� omessa motivazione sui punti decisivi de11a controversia 
(art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.) il ricorrente censura la sentenza impugnata 
per avere la Corte d'Appello di Cagliari erroneamente affermato che 
l'utilizzazione dei beni indisponibili di un ente pubblico non pu� essere 
effettuata in forme diverse dalla concessione amministrativa, facendo 
discendere da tale erronea affermazione Ja conseguenza che il rapporto 
intercorso tra le parti doveva configurarsi come mero rapporto di natura 
pubblicistica, senza tener conto n� delle risultanze processuali dalle 
Il legislatore dal canto suo con la legge 10 dicembre 1973 n. 814 modificava 
la legge 1971 n. 11 e put lasciando inalterato l'art. 22 stabiliva una norma modificativa 
dell'art. 24 che, se pur indirettamente, poteva far dubitare della corretta 
interpretazione dell'art. 22. L'art. 24 infatti nel testo precedente la 814/1973 
disponeva: � sono trasformati in contratti d'affitto a richiesta del coltivatore i 
contratti in corso nei quali vi sono elementi di contratto di affitto ancorch� non 
prevalenti, i contratti di affitto per la utilizzazione delle erbe, i contratti di 
soccida con conferimento di pascolo ed i contratti di pascolo, anche di durata 
inferiore ad un anno con corrispettivo rapportato al numero dei capi di 
bestiame introdotti nel fondo ... Sono esclusi dal presente articolo i contratti di 
affitto o le' vendite di erbe di durata inferiore ad un anno riguardante l'utilizzazione 
stagionale a pascolo dei terreni coltivati con rotazione tra colture e periodo 
di riposo o comunque destinati precariamente al pascolo. 

Nella determinazione dei canoni per i contratti di cui al comma precedente 
si applicano i criteri stabiliti dall'art. 3 della presente legge (norme per la 
determinazione dei canoni di equo aggetto) con riferimento ai terreni a pascolo, 
proporzionando l'ammontare del canone al periodo pascolativo previsto dal contratto
�. 

A questo articolo l'art. 5 della legge 814/1973 aggiunge un ulteriore comma 
� per i terreni appartenenti al demanio pubblico o per quelli delle regioni, pro� 
vincie e comuni soggetti al regime dei beni demaniali, dati in concessione per 
lo sfalcio delle erbe o per il pascolo, i canoni da corrispondere saranno determinati 
dalle commissioni tecniche provinciali in base ai canoni medi provinciali 
stabiliti in applicazione dei criteri della presente legge ridotti del 70 % �. 

Ove per la prima volta se pur con riferimento ad una fattispecie limitata, 
i contratti per lo sfalcio delle erbe e per il pascolo, si detta un� norma speciale 
non gi� per i terreni degli enti pubblici ma proprio per i terreni demaniali 
generalmente esclusi dall'applicazione della legge 11/1971. 

Ulteriori perplessit� sull'interpretazione dell'art. 22 conseguono all'entrata 
in vigore del decreto legge 2 ottobre 1981 n. 546 convertito con modificazioni 
nella legge 1� dicembre 19881 n. 692. Come � noto, tale testo legislativo reca disposizioni 
in materia di imposte di bollo, di regime fiscale delle cambiali e di 
adeguamento della misura dei canoni demaniali. � pertanto una norma di natura 
prettamente finanziaria tesa ad incrementare alcune entrate dello Stato. 

Nel determinare l'adeguamento della misura dei canoni di concessione 
demaniale (art. 2), all'ultimo comma la legge prevede �restano fermi i canoni 
ed i proventi che sono dovuti in misura superiore a quella risultante in base 


PARTE l, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA ClVlLE 603 

quali emergeva in modo pacifico che si trattava di un vero e proprio 
contratto di affitto di natura privatistica assoggettato al regime vincolistico 
ex art. 22 1. 11/71, n� delle deduzioni delle prove che avrebbero confermato 
tale circostanza. 

Aggiunge che in ogni caso anche a voler ritenere che i beni del patrimonio 
indisponibile degli enti pubblici non possono costituire oggetto di 
rapporti di natura privatistica si sarebbe dovuto giungere ad eguale risultato 
non potendosi negare efficacia al contratto di diritto privato intercorso 
tra le parti fino a quando esso non fosse stato annullato. 

Il motivo � infondato. 

agli aumenti stabiliti nei precedenti commi nonch� quelli derivanti dall'applicazione 
dell'art. 5 della legge 10 dicembre 1973 n. 814 �. In sede di conversione 
fu aggiunto un ulteriore comma �resta altres� ferma l'applicabilit� delle norme 
sull'affitto dei fondi rustici .anche ai terreni demaniali o soggetti al regime 
dei beni demaniali di qualsivoglia natura, appartenenti ad enti pubblici territoriali 
o non territoriali, fino a che persista la utilizzazione agricola o silvio 
pastorale dei terreni medesimi, in conformit� con quanto disposto dall'art. 22 
legge 11 febbraio 1971 n. 11 �, 

La formulazione dell'articolo appare quanto mai infelice, perch� il riferimento 
ai terreni demaniali o soggetti al regime dei beni demaniali... in conformit� 
con quanto disposto dall'art. 22 legge 11 febbraio 1971 n. 11, non sembra 
tener conto che proprio l'art. 22, secondo quantomeno l'interpretazione datane 
dalla giurisprudenza, era stato inteso non comprendere i contratti su terreni 
di siffatto regime,. e che proprio la Cassazione aveva posto in luce un'incompatibilit� 
strutturale tra regime speciale dei contratti agrari e concessioni-contratto 
di beni demaniali. � bens� vero che il contenuto dell'art. 9 � limitato 
all'adeguamento del canone per l'utilizzazione del terreno agricolo, sicch� rimarrebbe 
impregiudicata la questione dell'applicabilit� del regime vincolistico alle 
concessioni contratto di terreni demaniali; ma deve rilevarsi che l'ampia dizione 
dell'art. 22 (le norme della legge 12 giugno 1962 n. 567 e della presente legge) 
impone per logica che o l'intera normativa sia applicabile ai terreni demaniali 
e pertanto gli istituti pi� qualificanti della stessa quali quelli della perequazione 
del canone e del regime vincolistico, nonch� tutte le altre norme sopra 
indicate relative ai poteri dell'affittuario e all'esecuzione dei miglioramenti, o 
nessuno degli stessi, salvo la norma speciale di cui all'art. 5 legge 814. 

La Cassazione, con la sentenza n. 2069/83, ha mantenuto ferma la propria 
giurisprudenza, ribadendo in generale l'inapplicabilit� ai beni del demanio e 
del patrimonio indisponibile dello Stato e degli enti pubblici degli istituti previsti 
dalla legge n.11/71 (di pari avviso � andata la successiva sentenza n. 5562/83) 
ed in particolare del regime vincolistico. Ha infatti affermato che � il carattere, 
se non pubblicistico, quanto meno atipico del negozio -a causa della natura 
del bene che ne costituisce oggetto �-osta infatti alla sua incondizionata assimilazione 
ai contratti di affitto di diritto comune ed in particolare ne impedisce 
l'assoggettamento a quelle norme speciali che, prolungando in forma cogente 
la durata del rapporto, precluderebbe il condizionamento ed il controllo 
della sua protrazione entro i limiti di una perdurante ed attuale compatibilit� 
con il conseguimento delle finalit� informatrici della disciplina propria dei 
terreni di uso civico �. 

1 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

604 

Il ricorrente non specifica n� dimostra che la Corte di merito abbia 
omesso di valutare un qualsiasi preciso elemento dal quale possa dedursi 
con certezza che l'Ente resistente avesse posto in essere nella fattispecie 
un'attivit� contrattuale di diritto privato e pretenderebbe inammissibilmente 
di giungere a una conclusione di tal genere con un nuovo esame 
e una diretta e diversa valutazione in questa sede delle risultanze processuali. 


Prescindendo dalle affermazioni generali di principio della sentenza 
impugnata alle quali il ricorrente tenta di appigliarsi per prospettare l'ipotizzabilit� 
di un indimostrato rapporto di diritto privato rimangono peraltro 
a conforto della conformit� a diritto della pronuncia della Corte 

Ha ritenuto pertanto la Suprema Corte la non pertinenza dell'art. 5 della 
legge 814/73 che regola la sola materia della determinazione del canone di alcuni 
tipi di contratti agrari e l'irrilevanza nella materia de quo della legge 2 ottobre 
1981 n. 546 la quale si limita a stabilire le percentuali degli adeguamenti 
dei c~noni gi� stabiliti i~ base ad altra normativa e solo incidentalmente fa salvi 
i canoni conseguenti l'applicazione della legge 814/73 (art. 5) e della legg� 11/71, 
art. 22. 

� da segnalare per� che proprio la legge del 1981 n. 692 ha costituito il 
presupposto per una diversa interpretazione dell'art. 22 I. 11/71 da parte del 
Consiglio di Stato. 

Infatti con il parere del 10 aprile 1984, sez. III, n. 511/83, trasfuso nella 
circolare ministeriale 10 febbraio 1982 n. 403 pressoch� integralmente riportata 
nella rivista �Il coltivatore� del 2 dicembre 1984, il Consiglio di Stato, gi� 
dubbioso dell'interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione sull'art. 22 della 
legge 71, pur ritenendola compatibile con l'incerto dettato legislativo, ha ritenuto 
tale interpretazione non pi� giustificabile alla luce delle disposizioni dell'art. 
5 legge 814/1973, art. 4 e 5 legge 4 agosto 1978 n. 440 e sopratutto della 
legge 692/81. 

Secondo il Consiglio di Stato, la legge 814 introduce un esplicito riferimento 

ai beni demaniali, la 440 equipara l'assoggettamento dei terreni demaniali ai 

fondi rustici e soprattutto la legge 1� dicembre 1981, con la quale il legislatore 

aveva ben presenti i problemi interpretativi posti dall'art. 22, avrebbe risolto 

l'incerto dettato normativo nel senso di confermare la estensione del regime 

dei fondi rustici previsto dalla legge del 71 anche ai beni demaniali. Il Consiglio 

di Stato ba per� avvertito l'e&igenza di delineare un limite di operativit� di 

quel regime in modo da conciliarlo con la natura pubblica del bene e con la 

prevalenza del pubblico interesse, e l'ha individuato nella persistenza della 

utilizzazione agricola o silvio pastorale dei terreni e nell'assenza di una. volont� 

della P.A. di destinare il bene ad altri fini. 

In linea generale per�, secondo il Consiglio di Stato, l'art. 9 ba il valore 

di una vera e propria interpretazione autentica della precedente disciplina con 

la conseguenza �che in base alla normativa sopra citata la concessione-contratto 

o il contratto atipico di beni demaniali o del patrimonio indisponibile sarebbe 
soggetta a tutte le prescrizioni della normativa speciale agraria. 
Tali argomentazioni per� lasciano qualche perplessit� sopratutto se poste 
a confronto con le pi� articolate motivazioni della S.C. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 605 

sul punto due elementi p;recisi. E cio� da un lato la circostanza accertata 
in sentenza sulla scorta delle acquisizioni processuali che il rapporto 
cle quo era stato originato da una concessione che era stata poi revo�cata 
dall'Ente concedente senza alcuna .contestazione e dall'altro �lato che i 
terreni dell'ente resistente, come pure correttamente affermato nella 
decisione impugnata, sono assoggettati per legge a vincolo di destinazione 
che li qualifica come facenti parte del patrimonio indisponibile dell'ente 
medesimo (in termini Cass. SS.UU. 25-5-1971 n. 1538). Di modo che 
la loro utilizzazione provvisoria ed eccezionale in favore di terzi, nel periodo 
anteriore al loro impiego per la realizzazione dei fini istituzionali del-

A parte la validit� delle osservazioni di pdnc1p10 enunciate sopratutto 
nella sentenza n. 8 del 73. ed in quella 2069 del 1983 su una strutturale incompatibilit� 
tra atto di concessione a carattere pubblicistico e regime vincolato 
del contratto di affitto, teso a dirimere un conflitto di interessi tra privati, 
mentre la concessione � atto in cui strutturalmente si tutela un interesse pubblico 
e solo in via indiretta un interesse privato (tanto che lo stesso Consiglio 
di Stato ha dovuto ammettere l'essenziale revocabilit� della concessione di beni 
per uso agricolo, ogni qualvolta debba venire meno la utilizzazione agricola o 
silvio pastorale dei terreni), sono proprio le argomentazioni del Consiglio di 
Stato a non apparire sufficientemente convincenti da porre nel nulla il consolidato 
orientamento della S.C. 

Certo il testo legislativo � equivoco, ma argomentare dall'art. 5 1. 814/73 
e soprattutto dall'art. 9 legge n. 692/81 una interpretazione autentica della legge 
del 71, appare andare al di l� del volere del legislatore, in quanto l'art. 5 legge 
814 ha integrato l'art. 24 1. 11/71 prevedendo solo una predeterminazione della 
misura del canone per le concessioni di beni demaniali per lo sfalcio delle 
erbe o per il pascolo diversa dagli altri contratti d'affitto. Sicch� il disposto di 
tale norma non pu� estendersi a dare un diverso contenuto a quanto stabilito 
dall'art. 22 che non menziona affatto i terreni demaniali. E d'altra parte appare 
forzare il senso della legge dell'81 nel volerle attribuire un contenuto di interpretazione 
autentica della legge del '71. 

In difetto di una espressa menzione interpretativa appare assai improbabile 
infatti che con un decreto legge di carattere finanziario tendente a modificare 
le aliquote di varie imposte, il legislatore abbia voluto dare una interpretazione 
autentica ad una norma precedente, mentre sembra molto pi� plausibile 
ritenere che l'imperfetta dizione legislativa la quale ricalca pedissequamente 
la dizione dell'art. 5 legge 814/73 abbia voluto mantenere fermo ed escludere 
dalle prescrizioni dell'art. 9, e quindi dagli aumenti del canone ivi previsti, 
quanto gi� (e se gi�) regolamentato con altre leggi. 

Ed in ogni caso, trattandosi di una norma che tende a mantenere uno 

statu-quo per certe situazioni giuridiche, la stessa non vuole n� pu� avere alcuna 

efficacia modificativa di precedente disciplina. 

Tanto pi� che la legge n. 203 del 6 maggio 1982 sui contratti agrari sede 

pi� idonea per eventuali modifiche o interpretazioni autentiche sembra aver 

voluto mantenere l'art. 22 nella sua originaria portata, a dettare disposizioni, 

con l'art. 51, relative al procedimento per la concessione del terreno in caso di 

pluralit� di richiedenti. 

ANNA CENERINI 



606 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'Ente, non poteva avvenire se non, appunto, con lo strumento pubblicistico 
dell'atto di concessione. 

Le censure in esame vanno quindi disattese. 

Del pari infondato � il secondo motivo col quale si sostiene che anche 
i rapporti derivanti da concessione amministrativa rientrano tra quelli 
indicati dall'art. 22 1. 11-2-1971 n. 11, tenuto conto della chiara formulazione 
della norma la quale nel primo comma fa riferimento ai terreni 
che � comunque vengono concessi � e nello ultimo comma definisce � concessione
� l'atto che pu� dar luogo al rapporto di utilizzazione di terreni 
dello Stato o di enti pubblici; con la conseguenza dell'estensione a tali 
rapporti della disciplina vincolistica. 

In proposito deve invero osservarsi, in conformit� del costante orientamento 
giurisprudenziale di questa Corte del quale lo stesso ricorrente 
d� atto e dal quale non vi sono motivi per discostarsi, che l'art. 22 

1. 11-2-1971, n. 11 non riguarda la concessione di terreni rientranti nel patrimonio 
indisponibile, ceduti in godimento per uso agricolo, dovendo 
l'espressione di tale norma essere riferita ai contratti atipici di diritto 
privato, aventi contenuto e struttura affini all'affitto ma non riconducibili 
nello schema negoziale di esso (S.S. U.U. 9-1-1973 n. 8 e 8-4-1976 n. 1225). 
CORTE DI CASSAZIONE, sez III, 5 luglio 1985 n. 4064 -Pres. Bile -Est. 
Quaglione -P.M. Martinelli -Soc. Sai (avv. De Santis) c. Righi (avvocato 
!annotta). 

Assicurazione -Assicurazione r.c.a. -Azione diretta del danneggiato Pregiudizio 
prodotto dal ritardo nell'adempimento della prestazione 
da parte dell'assicuratore -Risarcibilit� -Limiti del massimale -Irrilevanza. 


Ove l'assicuratore, in violazione dei doveri di correttezza, buona fede 
e diligenza, ritardi o rifiuti, senza giustificato motivo, l'adempimento della 
sua obbligazione legale, e da tale comportamento colposo derivi all'avente 
diritto un ulteriore pregiudizio, il limite del massimale pu� operare solo 
per l'originario importo dell'indennizza, non anche per gli ulteriori 
danni (1). 

(1) La massima conferma il precedente orientamento della giurisprudenza, 
anche se criticato dalla dottrina, M. FRANZONI, L'azione diretta nei confronti 
l 

dell'assicur:atore, in Riv. dir. privato, 1984, 773. Per la giurisprudenza, cfr. Cass. 

f 

21 m= 1985, n. 2064, "''� Un. 29 luglio 19'.1 n. 5218. 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 607 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 20 luglio 1985 n. 4306 -Pres. Franceschelli 
-Est. Nocella -P. M. Ferraiuolo -De Angeli c. Soc. editrice 
Il Messaggero. 

Lavoro -Appello -Documenti non prodotti in primo grado -Ammissibilit�. 


Nel giudizio di appello, che si svolge secondo il rito del lavoro, � 
ammissibile la produzione di documenti, deducibi.li, ma non dedotti, nel 
giudizio di primo grado (1). 

Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 
432, 2� comma, c.p.c. nonch� vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, 
c.p.c.) e si deduce che dal combinato disposto degli art. 345, 2� comma, e 
437, 3� comma, c.p.c. pu� desumersi che mentre il legislatore del 1973 ha 
richiamato il divieto di nuovi mezzi di prova, non ha invece richiamato 
il divieto di produrre nuovi documenti, che concretando una prova precostituita 
(e non una prova costituenda) possono essere acquisiti senza 
preventiva attivit� processuale finp all'inizio della discussione orale. Il tn 
bunale ha pertanto erroneamente dichiarato l'inammissibilit� dei documenti 
prodotti con il ricorso d'appello, che erano peraltro indispensabili 
ai fini dell'attribuzione della richiesta qualifica superiore. 

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli 
art. 2095, 2099, 2108, 2109 e.e., delle norme di ermeneutica contrattuale 
in relazione agli art. 2, 18, 19 nonch� degli art. 12, 13, 4, 7, 8 e 11 del c.c.n.I. 
per i dipendenti di aziende editrici e stampatrici di giornali del 10 luglio 
170, dell'art. 116 c.p.c. ed omessa motivazione (art. 360, nn. 5 e 5, 
c.p.c.) e si deduce che il tribunale ha effettuato sulle prove ammesse 
una valutazione del tutto parziale, fermandosi a ritenere essenziali, ai 
fini della esclusione della qualifica richiesta, elementi del tutto ininfluenti, 
quali il numero dei dipendenti e degli addetti al traffico telescriventi oppure 
la complessit� dell'organizzazione, che, invece, avrebbe potuto far 
capo ad un solo responsabile, purch� dotato di competenza e capacit� 
tecnica adeguata, secondo la descrizione della qualifica, contenuta nelle 
norme collettive, e nel minimizzare le mansioni del ricorrente ha operato 
un esame parziale ed incompleto sul materiale probatorio di primo grado. 

Con il terzo motivo si denuncia violazione degli art. 345 e 437 c.p.r 
con riferimento agli istituti contrattuali economici e normativi dal con


(1) Con questa sentenza la Cassazione ha di nuovo esaminato la questione 
circa la ammissibilit� della produzione di documenti nel giudizio di appello, 
risolvendola affermativamente: cfr. Cass. 18 agosto 1982 n. 4660. 

608 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

tratto collettivo predeto ed omessa motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) e 
si sosiene che il tribunale: a) ha erroneamente considerato come nuove le 
richieste di differenze retributive, che trovano il loro fondamento negli 
istituti economici della contrattazione collettiva del settore (compenso 
per lavoro domenicale, per lavoro notturno, straordinario, tredicesima, 
ecc.); b) non ha considerato che non si trattava di domande nuove, ma di 
specificazione contabile di somme e indennit� accessorie, come stabilite 
dalla suddetta contrattazione ed applicate nella busta-paga; e) ha completamente 
omesso ogni decisione sulla dedotta novit� delle richieste e non 
ha dato il giudizio di indispensabilit�, o meno, delle prove testimoniali, 
richieste in grado di appello e specificamente articolate. 

I tre riassunti motivi possono essere congiuntamente esaminati. 
Mentre il primo motivo dev'essere accolto, con assorbimento conseguen� 
ziale del secondo, il terzo dev'essere accolto per quanto di ragione nei 
limiti seguenti. 

U divieto di nuove domande ed eccezioni in grado di appello attua 
in modo puntuale e rigoroso il principio del doppio grado di giurisdizione, 
che impedisce ogni estensione della cognizione e della decisione del giu� 
dice d'appello oltre i limiti obiettivi, fissati nel giudizio di primo grado. 
Domanda nuova, data la ratio del divieto, dev'essere intesa come quella 
che, confrontata con quella proposta in primo grado, si differenzia da essa 
per alcuno degli elementi di identificazione dell'azione (soggetti, petitum 
e causa petendi) e pertanto1 implica una dilatazione dei limiti, cos� prede� 
terminati, della cognizione e della decisione del giudice d'appello, mentre, 
ovviamente, non pu� essere intesa come nuova quella che, vertendo sui 
fatti gi� dedotti in primo grado, riguarda soltanto la qualificazione giuridica 
di essi. 

Nella specie con il ricorso introduttivo del giudizio � stata proposta 
domanda di inquadramento in una categoria impiegatizia superiore, con 
la conseguente condanna della societ� convenuta al ricalcolo delle retri� 
buzioni, ivi compresi gli scatti biennali, ed al versamento delle differenze 
retributive nonch� di adeguamento della posizione assicurativa e previ� 
denziale in relazione a tale inquadramento. Le ulteriori domande, proposte 
per la prima volta in grado di appello, non erano in connessione 
conseguenziale del richiesto riconoscimento della superiore categoria, ma 
erano autonome rispetto a questo, ponendosi rispetto alle conseguenti 
differenze retributive non gi� come una specificazione contabile di esse e 
quindi come uno sviluppo dello stesso titolo, ma come petita autonome 
al di fuori del titolo giuridico dedotto. Le domande inerenti al compenso 
per lavoro straordinario, notturno e domenicale si fondano invero su 
specifici presupposti di fatto e di diritto, come pure la domanda inerente 
alla tredicesima mensilit� (tranne che nella parte in cui sia dchiesta 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

come differenza retributiva). Si trattava quindi di domande nuove in 
quanto implicavano una pi� ampia cognizione del giudice di appello rispetto 
al thema decidendum, introdotto in primo grado, con eventuale 
esigenza di nuovi mezzi istruttori a prova dei fatti costitutivi, posti a 
loro fondamento. 

Pertanto il tribunale ha rettamente dichiarato inammissibili tali nuove 
domanpe, data l'assolutezza del divieto posto dall'art. 437, 2� comma, c.p.c. 
e correlativamente il terzo motivo dev'essere rigettato per quanto riguarda 
le censure sub a) e b). 

Il divieto d,i nova riguarda non soltanto le nuove domande ma anche 
l'assunzione di nuovi mezzi di prova, tranne il giuramento estimatorio, 
salvo che il collegio, anche d'ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della 
decisione della nuova (art. 437, 2� comma, c.p.c.). Nella specie il tribunale 
non ha motivato sulla richiesta di prova testimoniale, formulata dall'appellante, 
mancando di definirne sia la rilevanza nell'ipotesi che si trattasse 
di prove disattese in primo e riproposte in secondo grado sia l'indispensabilit� 
e cio� la loro decisivit� ai fini della risoluzione della controversia 
nell'ipotesi che si trattasse di prove veramente nuove, non proposte in 
primo grado. In tali limiti dev'essere accolta la censura sub e) del terzo 
motivo. 

Questa Corte suprema con sentenza n. 2835 del 29 giugno 1977 (Foro 
it. Rep. 1977, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 291), seguita da 
numerose conformi (tra le altre: Cass. 3 aprile 1979, n. 1932, id., Rep. 1979, 
voce cit., n. 469; 10 gennaio 180, n. 198, id., Rep. 1980, voce cit., n. 407; 
13 novembre 1981, n. 6023, id., Rep. 1981, voce cit., n. 479; 21 gennaio 1982, 

n. 1691, id., Rep. 1982, voce cit., n. 501, e da ultimo 16 aprile 1984, n. 2461 
id., Rep. 1984, voce cit., n. 456) ha ritenuto che il divieto suddetto sia limitato 
alle prove costituende e ~on si estenda quindi a quelle costituite, e 
cio� all'acquisizione di nuovi documenti. 
Non si ritiene di discostarsi da tale orientamento giurisprudenziale 
quasi costante (conti-a: Cass. 18 agosto 1982, n. 4660, id., 1983, I, 393). 

La distinzione concettuale tra mezzi di prova e documenti trova riscontro 
nella lettera della legge e nel sistema normativo. L'art. 437, 2� comma, 
c.p.c. menziona, infatti, soltanto i nuovi mezzi di prova, non i documenti, 
subordinando la loro ammissione al giudizio di ammissibilit� ai 
fini della successiva assunzione. Gli art. 184 e 345 c.p.c. sia nel testo originario 
che in quello novellato menzionano separatamente i mezzi di prova 
e i documenti. La stessa separazione � rinvenibile negli art. 414, n. 5, e 
416, 3� comma c.p.c. (nuovo testo), che accanto ai mezzi di prova, dei quali 
le parti intendono avvalersi, danno particolare risalto ai documenti, che 
l'attore deve offrire in comunicazione con il ricorso ed il convenuto depositare 
con la memoria di costituzione .. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

610 

Alla separata considerazione testuale dei documenti rispetto ai mezzi 
di prova corrisponde sotto l'aspetto della ratio una differente disciplina 
giuridica. Il silenzio mantenuto dal legislatore nell'art. 437 citato per quanto 
riguarda i documenti, che sono invece espressan1ente menzionati per 
il rito ordinario negli art. 184 e 345 c.p,c., non pu� essere interpretato come 
una casuale omissione, ma, inquadrato nel sistema e nelle caratteristiche 
del rito del lavoro, dev'essere inteso come una voluta diversit� di 
regolamentazione: se infatti per i mezzi di prova si richiede un procedimento 
di assunzione, conseguente al giudizio di indispensabilit�, per i 
documenti, in relazione alla loro natura di prova gi� formata e precostituita, 
non sarebbe razionalmente giustificato un analogo procedimento di 
assunzione diretta al compimento di atti istruttori, essendo per essi sufficiente 
la semplice acquisizione al processo. 

Devesi coerentemente ritenere che il legislatore non abbia voluto 
estendere il divieto di nova in appello fino ad impedire l'acquisizione di 
documenti, che per la loro natura di voces mortuae e l'esaurimento della 
loro produzione in unico atto, non richiede alcun prolungamento della 
attivit� processuale, contrario alla esigenza di celerit� e concentrazione, 
che il legislatore stesso ha voluto soddisfare con il nuovo rito, con particolare 
riferimento al giudizio d'appello. 

N� pu� ritenersi che la possibilit� accordata alle parti di produrre 
documenti in grado d'appello � incoerente con il sistema di preclusione, 
introdotto in primo grado, in quanto la decadenza gi� verificatasi per 
effetto degli art. 414 e 416 c.p.c. ne impedirebbe l'ammissione in grado 
d'appello. L'incoerenza � soltanto apparente. Se il divieto del novum in 
quanto inteso ad assicurare il principio del doppio grado di giurisdizione, 
gioca un ruolo decisivo e rigoroso nell'impedire l'estensione del giudizio 
di secondo grado a domande ed eccezioni nuove, che, ampliandone il 
contenuto, creerebbe una diversit� del thema decidendum, non assume, 
invece, una rilevanza altrettanto rigorosa sul piano delle prove, quando 
queste, rimanendo nell'ambito del decisum, non siano poste a sostegno 
di domande ed eccezioni nuove. Occorre infatti considerare che nel sistema 
normativo, introdotto dalla 1. n. 533 del 1973, non rientrano soltanto 
le preclusioni di cui agli art. 414 e 416 c.p.c., che impongono all'attore e, 
pariteticamente, al convenuto d'indicare i mezzi di prova e i documenti, 
offerti in comunicazione e depositati, rispettivamente con il ricorso introduttivo 
e la memoria di costituzione, ma anche i poteri istruttori del giudice, 
che in primo grado implicano le disponibilit� d'ufficio di ogni mezzo 
di prova in qualsiasi momento ed in secondo grado l'ammissibilit� d'ufficio 
di nuovi mezzi di prova, anche se subordinatamente alla loro indispensabilit�: 
il che rende evidente che il sistema normativo, seppur non attua 
un sistema .inquisitorio puro, tende a contemperare in considerazione 
dalla particolare natura del rapporto di lavoro e degli interessi in discus




PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

sione, alcuni dei quali riguardanti diritti di rilevanza costituzionale, il 
principio dispositivo, che obbedisce alla regola formale di giudizio fondato 
sull'onere della prova (art. 2697 e.e.), con il principio inquisitorio, 
che tende alla ricerca della verit� reale mediante una rilevante partecipazione 
ed un'efficace azione del giudice nel processo. Pu� essere pertanto 
accettato l'orientamento dottrinale, secondo cui, in relazione alla tipicit� 
delle controversie del lavoro, la rigidit� del sistema di preclusioni risulta 
in definitiva superata daJ tendenziale principio della ricerca della verit� 
reale, per modo che come in primo grado l'attivit� istruttoria pu� essere 
disposta anche superando le preclusioni formatesi a danno delle parti, cos� 
in grado d'appello l'acquisizione dei mezzi di prova pu� essere disposta 
ove siano ritenuti indispensabili per risolvere la causa sulla base dell'accertamento 
pieno dei fatti controversi e non sulla base di regole formali 
di giudizio. 

Non � pertanto accettabile la tesi, sostenuta nella sentenza n. 4660 
del 18 agosto 1982 di questa Corte suprema, secondo cui non possono 
pi� ritenersi ammissibili in grado d'appello i documenti, che la parte, 
ove fosse stata pi� diligente, avrebbe potuto e dovuto portare all'esame 
del giudice di primo grado a norma dei richiamati art. 414, n. 5, e 416, 
3�comma, c.p.c., e che, colpiti da decadenza, diventano per ci� stesso 
inidonei alla dimostrazione del fatto costitutivo della domanda, secondo 
la regola generale prevista dall'art. 2697 e.e. Tale tesi, che sostanzialmente 
crea un onere insussistente, non si pone in linea col ritenuto criterio di 
prevalenza della verit� reale, fondamentale nelle finalit� del rito del 
favoro, rispetto al criterio formale della regola legale di giudizio, ed 
attribuisce al requisito dell'indispensabilit� dei mezzi di prova un valore 
di direttiva generale, mentre esso, quando � funzionalmente possibile in 
relazione alla natura non documentale della prova, si esaurisce in una 
valutazione del caso concreto, riservata al giudice d'appello, e soggetto 
al controllo di legittimit� soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione. 


Ala stregua dei principi esposti la motivazione del tribunale si rivela 
apodittica ed insufficiente, essendosi esso limitato a dichiarare inammissibile 
la copiosa documentazione sol perch� prodotta dall'appellante soltanto 
in secondo grado � senza giustificato motivo �, mentre avrebbe 
dovuto dare ingresso alle prove � precostituite � per procedere alla valutazione 
della loro rilevanza ai fini della decisione. 

Con l'accoglimento del primo motivo deve ritenersi assorbito il secondo 
punto perch� attinente ai pretesi difetti logici e giuridici della 
valutazione di merito, che dovr� essere compiuta dal giudice d'appello, 
in assoluta libert� di giudizio, anche in relazione all'eventuale rilevanza 
dei nuovi documenti prodotti. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

612 

I 

TRIBUNALE DI TORINO, Sez. VI, 1 agosto 1985, ordinanza del G.I. � 
Ministero delle Finanze c. Soc. Alessandrina Petroli. 

Giurisdizione civile � Provvedimenti di urgenza � Revoca -Ammissibilit� 
da parte del giudice di merito. 

Il giudice investito della causa di merito � competente alla revoca 
del provvedimento di urgenza emesso dal Pretore ex art. 700 c.p.c. in 
materia (esecuzione esattoriale di tributi diretti) sottratta alla cognizione 
dell'A.G.O. (1). 

II 

TRIBUNALE DI TORINO, Sez. VI, 1 agosto 1985, ordinanza del G.I. � 
Ministero delle Finanze c. Soc. DE.P.S. 

Giurisdizione civile -Provvedimenti di urgenza � Controversie di competenza 
dell'a.g.o. . Revoca � Giudizio di merito � Ammissibilit�. 

Il giudice investito della causa di merito � competente a revocare 
il provvedimento emesso dal Pretore ex art. 700 c.p.c., essendo il potere 
di provvedere di urgenza immanente nel giudizio di merito e presupponendo 
in ogni caso la giurisdizione dell'A.G.O. (2). 

(1-2) Note sulla revocabilit� dei provvedimenti pretorili di urgenza. 
Le due ordinanze coeve in rassegna meritano segnalazione per l'esatto governo 
fatto non soltanto della regola -da tempo consolidata nella giurispmdenza 
di legittimit� -secondo cui il potere di emettere provvedimenti di urgenza, 
ai sensi dell'art. 700 c.p.c., � attribuito al giudice ordinario limitatamente alle 
materie rientranti nella sua giurisdizione (Cass. SS.UU. 4402/79, 5575/79, 5334/80, 
1484/81, 6328/81, 4204/82, 5165/82, 5348/82, 5653-5654/82, 7319/83, 7369/83, 1232/84, 
5277/84, 2364/65; per una applicazione in tema di contenzioso tributario v. Cass. 
SS. UU. 4507/78, in Giust. civ. 1979, I, 74), ma, prima ancora, dell'importante principio, 
soltanto recentemente affermato con chiarezza dalla Corte di cassazione 
(sez. lav., 1� marzo 1985 n. 1782, in Foro it. 1985, I, 1684), secondo cui i provvedimenti 
di urgenza emanati ante causam dal pretore possono essere revocati dal 
giudice istruttore prima della decisione di merito. Si � ottenuta in tal modo, 
nello spazio di un mese, la revoca di due ordinanze pretorili con le quali -senza 
darsi minimamente carico del 1.:ontrario orientamento della Cassazione -era 
stata sospesa l'esecuzione esattoriale per crediti ingenti, arrecando grave danno 
all'Amministrazione finanziaria. 
Allorch� la Corte regolatrice fu chiamata a pronunciarsi esplicitamente sulla 
questione (agitata soprattutto in relazione alla nota vicenda dei precari universitari, 
e variamente risolta dai giudici di merito) concernente la possibilit�, 
sostenuta da una cer~a dottrina, di richiedere al giudice ordinario provvedi� 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 613 

I 

Il Giudice Istruttore sciogliendo la riserva; rilevato che il non avere 
il Pretore fissato, nel provvedimento di urgenza concesso ex artt. 702, 
700 c.p.c., il termine perentorio per l'inizio del giudizio di merito da 
parte dell'istante non esclude che la controparte interessata possa in 
ogni momento iniziare la causa di merito, anche al fine di ottenere 
la caducazione del provvedimento di urgenza contro di essa pronunciato; 

che pertanto questo Tribunale e questo Giudice Istruttore appaiono 
ritualmente investiti della causa di accertamento proposta dall'Amministrazione 
attore, e volta a fare dichiarare il difetto di giurisdizione della 
A.G.O.; 

che a ci� non osta Ja statuizione del Pretore di sospensione del 
procedimento ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87 (sospensione 
riferibile evidentemente al solo procedimento ex art. 700 c.p.c.), essendo 

menti di urgenza nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo (questione destinata, ora a perdere una parte della sua 
importanza in seguito alla sentenza n. 190/85 della Corte costituzionale), si era 
auspicato (cfr. nota a Cass. 5575/79, in Rass. Avv. Stato 1979, I, 671) che la sua 
decisione avrebbe messo fine alle iniziative di taluni pretori, i quali avevano 
preteso di concedere i provvedimenti richiesti sulla base di un'asserita (ed 
inesistente) generalit� della tutela cautelare prevista dall'art. 700 c.p.c. Questo 
auspicio, per la verit�, non si � avverato interamente, continuandosi da giudici 
di merito ad ignorare l'insegnamento della Cassazione, a non tenere conto, 
cio�, del principio secondo cui un orientamento giurisprudenziale consolidato 
concorre a formare il diritto Yigente, al quale i giudici devono attenersi, a 
meno che non siano in grado di apportare argomenti tali da poter fare -in 
ipotesi -mutare di avviso il giudice superiore. 

Le ordinanze del Tribunale di Torino, qui annotate, rappresentano la dimostrazione 
concreta che, volendo, � possibile una efficace difesa avverso� i provvedimenti 
�anomali di cui si � parlato. Scartato lo strumento del ricorso per 
regolamento preventivo di giurisdizione, il quale, a causa dei tempi occorrenti 
per farlo decidere, si risolverebbe -come � stato giustamente osservato -in 
una sterile riaffermazione di principi gi� noti, sembra che l'immediato inizio 
della causa di merito (nella fattispecie in esame si � anche ottenuta, in considerazione 
del valore delle controversie, l'abbreviazione del termine di comparizione), 
con domanda principale volta alla declaratoria del difetto di giurisdizione 
dell'A.G.O. e con la contestuale domanda di revoca del provvedimento 
d'urgenza rivolta al giudice istruttore, possa di regola condurre in tempi brevi 
a correggere l'errore in cui sia incorso H giudice del procedimento cautelare. 

Si � accennato in apertura all'interesse che presentano le ordinanze in rassegna 
per avere esattamente affermato il potere del Giudice Istruttore della 
causa di merito di revocare il provvedimento d'urgenza emesso ante causam 
dal pretore. La questione, come si ricorder�, � stata a lungo controversa. L'esistenza 
di un simile potere era stata da tempo autorevolmente sostenuta, con 
la consueta chiarezza argomentativa, da ANDRIOLI (Commentario al codice di 
procedura civile, Napoli 1964, IV, 274 ss.), il quale richiamava, in senso con




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

614 

essa priva di oggetto, in quanto concernente una causa non pm pendente 
davanti al Pretore poich� gi� definita con la concessione del 
richiesto provvedimento di urgenza; 

ritenuto inoltre che il Giudice Istruttore investito della causa di 
merito sia competente alla revoca del provvedimento di urgenza ex artt. 
700 segg. c.p.c., verificandosi altrimenti una ingiustificata e incomprensibile 
disparit� di trattamento rispetto al caso in cui il provvedimento 
di urgenza sia concesso in corso di causa; 

considerato che, nel caso in esame, il provvedimento di urgenza 
emanato dal Pretore ai sensi degli artt. 700 segg. c.p.c. verteva in tema 
di illegittimit� di paventata esecuzione esattoriale per tributi diretti, materia 
quest'ultima la cui cognizione � sottratta alla A.G.O., e ci� anche 
agli effetti della pronuncia dei provvedimenti d'urgenza (Cass. Sez. Un. 
11 ottobre 1978 n. 4507); che la mancanza di tutela giurisdizionale, a 

trario, una remota ordinanza della Corte di cassazione (28 aprile 1948, in Foro 
civ., 1948, 122) ed una pi� recente sentenza (1� luglio 1958 n. 2343, in Foro pad. 
1958, I, 1134) che, per vero, non prende realmente posizione sul punto. Il problema 
� venuto in speciale rilievo, negli ultimi tempi, in relazione alla nota 
vicenda della cooperativa editoriale �Il Manifesto�, riguardante il pagamento 
dei contributi erogati dall'Ente nazionale per la cellulosa e per la carta; ed in 
quel caso il Giudice Istruttore del Tribunale di Roma aveva ritenuto, con motivazione 
senz'altro da condividere (ord. 1� aprile 1983, in Foro it. 1983, I, 1098), 
che il provvedimento d'urgenza concesso dal pretore ben potesse essere revocato 
dal giudice istruttore della causa di merito, ancorch� (ed anche quest'assunto, 
mutuato del resto da Cass. SS.UU. 5 maggio 1981 n. 27"14, in Foro it. 1981, I, 1252 
appare esattissimo) sia stato nel frattempo interposto ricorso per regolamento 
di giurisdizione. 

In consapevole contrasto con questa pronuncia si era, invece, posto il 
Giudice Istruttore di una diversa sezione del Tribunale di Torino (ord. 14 giugno 
1983, in Foro it. 1983, I, 2558), le cui ragioni, peraltro, non convincono: n� 
nel richiamo fatto ad un orientamento della Corte di cassazione che, come si � 
accennato, all'epoca si riduceva ad una sola e lontana ordinanza e, per il resto, 
ad una o due affermazioni equivoche; n� nell'asserita necessit� di evitare una 
duplicazione del provvedimento anticipatorio della decisione di merito (di cui, 
in realt�, non si vede quali sarebbero gli inconvenienti); n�, infine, nel preteso 
argomento logico-letterale ricavabile dall'art. 177 c.p.c., dato che questa norma, 
avente una portata endoprocessuale, non pu� essere estesa sic et simpliciter 
a regolare i rapporti fra due procedimenti -cautelare e di merito -che sono 
tra di loro interamente autonomi (v. per tutte Cass. 27 luglio 1983 n. 5157). 
Ancor meno accettabili sono i brevi argomenti svolti, nello stesso senso, dal 
Giudice Istruttore del Tribunale di Camerino (ord. 22 dicembre 1983, in Foro it. 
1984, I, 277), il quale ammette soltanto, e dubitativamente, la revocabilit� per 
il tramite di un nuovo provvedimento di urgenza, emanato dall'istruttore ex 
art. 701 ultima parte, qualora siano prospettati fatti nuovi e diversi rispetto a 
quelli gi� delibati dal pretore. 

All'orientamento del Tribumle di Roma ha aderito, invece, il Giudice Istruttore 
del Tribunale di Grosseto con ordinanza del 17 gennaio 1984 (in Foro it. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 615 

tale ultimo riguardo, del contribuente (addotta talora a sostegno della 
opposta tesi, caldeggiante una interpretazione evolutiva ispirata all'art. 113 
Cost.) non appare costituzionalmente illegittima, gi� essendo stato chiarito 
che la tutela accordata contro gli atti della P.A. dall'art. 113 Cost. 
non comprende la giurisdizione a contenuto cautelare (Corte Cost. 1� apri� 
le 1983 n. 63), s� che, tra l'altro, appare manifestamente infondata l'eccezione 
di illegittimit� costituzionale sollevata da parte convenuta; 

considerata la situazione di pregiudizio per l'Amministrazione finanziaria, 
stante l'elevatezza della somma, derivante dal perdurare del provvedimento 
pretorile, il quale, per quanto argomentato, appare viziato 
da difetto di giurisdizione, e valutata la conseguente opportunit� di provvedere 
fin d'ora alla revoca del medesimo; 

P.Q.M. 
in accoglimento della domanda attorea, revoca l'ordinanza del Pretore 
di Alessandria in data 28 maggio 1985 confermativa di decreto 21 maggio 
1985, per cui � causa. 

1985, I, 1685), nella quale si trova l'esatta osservazione (loc. cit., 1693) che l'in� 
ciso nella motivazione di Cass. SS.UU. 2774/81, a cui, come si � ricordato, aveva 
fatto richiamo il Tribunale di Roma (�i provvedimenti cautelari o di urgenza 
sono indefettibilmente sottoposti al controllo del giudice del merito... che pu� 
revocarli ancor prima di definire il merito della causa, e perfino, deve ritenersi, 
durante la sospensione del giudizio di merito a seguito di proposizione di regolamento 
di giurisdizione, sia in considerazione dell'autonomia del procedimento 
cautelare rispetto a quello di merito, sia perch�, essendo il potere di revoca 
ugual� e contrario a quello di emanazione, se, durante la quiescenza del giudizio 
di merito, � consentito l'esercizio positivo del potere cautelare, non pu� 
non ritenersi consentito anche l'esercizio dello stesso potere in forma negativa
�), e da cui gi� si ricavava con certezza l'avviso affermativo della Corte in 
ordine alla revocabilit� dei provvedimenti pretorili da parte del Giudice Istruttore 
e non solo del Collegio, non pu� considerarsi un mero obiter dictum, 
essendo tale rilievo essenziale all'economia della decisione nella misura in cui 
precisamente dalla mancanza di definitivit� del provvedimento cautelare (sostanziantesi 
nella sua concreta revocabilit� in qualsiasi momento della causa di merito, 
e non soltanto nel suo assorbimento o caducazione con la sentenza che 
la conclude) si � fatta discendere -in linea con la costante giurisprudenza 
della Corte -l'inammissibilit� della sua impugnazione ex art. 111 Cost. 

La questione, si spera, dovrebbe essere definitivamente risolta a seguito 
della sentenza 1782/85 della sezione lavoro, citata all'inizio di questa nota. 
Anche qui si trattava di giustificare la dichiarazione di inammissibilit� del ricorso 
ex art. 111 Cost. proposto, nel caso, avverso l'ordinanza con cui il pretore 
aveva revocato, nel corso del procedimento di merito, il provvedimento di 
urgenza concesso ante causam; ed in questa decisione la Corte, dopo aver puntualmente 
richiamato i contrastanti orientamenti emersi nella propria giurisprudenza, 
ha esaurientemente motivato circa le ragioni che rendono preferibile 
aderire alla tesi della revocabilit� dei provvedimenti di urgenza in ogni 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

616 

II 

Il Giudice Istruttore sciogliendo la riserva; ritenuta preliminarmente 
la propria competenza a revocare, nel corso del giudizio di merito, 
il provvedimento d'urgenza emesso dal Pretore ai sensi degli artt. 700 
segg. c.p.c., essendo il potere di provvedere d'urgenza immanente nel 
giudizio di merito (art. 701 c.p.c.) e perci� anche il suo esercizio in 
forma negativa o di revoca di precedente provvedimento, e considerata 
altres� l'ingiustificata disparit� di trattamento che si avrebbe, in caso 
contrario, rispetto all'ipotesi di provvedimento d'urgenza concesso in 
corso di causa di merito (revocabile in tale caso senza dubbio ai sensi 
dell'art. 177 c.p.c.) (cfr. Cass. Sez. II, 15 dicembre 1984, n. 6579); 

considerato che nel caso in esame il provvedimento pretorile verte 
in tema di illegittimit� di paventata esecuzione esattoriale per tributi 
diretti, materia questa la cui cognizione � palesamente sottratta alla 

A.G.O. in quanto di competenza delle Comm. tributarie; ritenuto che lo 
stesso principio vale anche per la pronuncia dei provvedimenti d'urgenza, 
che parimenti presuppongono la giurisdizione della autorit� giudiziaria 
investita (v. tra altre Cass. Sez. Un. 11 ottobre 1978 n. 4507), 
mentre gli scrupoli di illegittimit� costituzionale posti a base del diverso 
orientamento non paiono giustificati, posto che (Corte Cost. 1� aprile 
1982 n. 63) Ja tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A. costituzionalmente 
garantita non comprende anche l'emanazione di provvedimenti 
giurisdizionali cautelari; 
stato della causa di merito, e quindi anche da parte del giudice istruttore, in 
quanto pi� coerente con �l'intrinseco carattere strumentale e ordinatorio� dei 
provvedimenti in parola. Siffatti chiarimenti, pi� che mai opportuni visto il 
contrasto delineatosi negli ultimi anni fra i giudici di merito (favorito, peraltro, 
dall'occasionalit� delle precedenti sporadiche asserzioni della stessa S.C.), 
sono da un lato pienamente congrui con la rammentata giurisprudenza, ormai 
consolidata, circa la non ricorribilit� per cassazione dei provvedimenti emessi 
ex art. 700 c.p.c., e d'altro lato riconoscono finalmente alle parti il diritto di 
ottenere il riesame dei medesimi in qualsiasi momento della causa di merito, 
la cui durata potrebbe, altrimenti, recare grave pregiudizio al soggetto passivo 
di un provvedimento cautelare erroneamente concesso o, addirittura, a contenuto 
anomalo. 

Le ordinanze in rassegna, sebbene (appunto per avere tenuto conto dell'at


tuale orientamento della Cassazione, segnalato dall'Avvocatura nell'istanza di 

revoca) non hanno diffusamente motivato sul punto, limitandosi a cogliere in 

poche righe il nucleo dell'inconveniente -assai grave -cui conduceva l'op


posta tesi, rappresentano comunque umi significativa applicazione del principio 

ormai chiaramente enunciato dalla Corte; �e segnano, come si � detto sopra, 

una via attraverso la quale dovrebbe porsi rimedio, in tempi ragionevolmente 

brevi, agli errori di diritto che commettono alcuni giudici concedendo � prov� 

vedimenti di. urgenza non previsti dall'ordinamento. 

MASSIMILIANO STEIN 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

considerata la situazione di pregiudizio derivante alla Amministrazione 
delle finanze, per la cospicuit� della somma, dal perdurare del 
provvedimento pretorile ex art. 700 c.p.c., il quale, per quanto argomentato, 
appare viziato da difetto di giurisdizione, e valutata la conseguente 
opportunit� di provvedere, in accoglimento dell'istanza attorea, alla 
revoca di esso; 

P.Q.M. 
revoca l'ordinanza del Pretore di Alessandria 28 maggio 1985 confermativa 
di decreto 17 maggio 1985 pronunciati nei confronti della Esat. 
Com. di Alessandria su ricorso della s.p.a. D.E.P.S. 


SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 25 maggio 1985, n. 16 -Pres. Pescatore, 
Est. Trotta -Roncat ed altro (avv. Ramadori e Lanzinger) c. Ministero 
della Difesa (Avv. Gen. Stato). 

Forze Armate -Servizio militare -Obiezione cli coscienza � Natura giuri


dica . Ammissione ad un beneficio e non automatico riconoscimento 

di un diritto. 

Servizio militare . Obiezione di coscienza � Procedime11fo per I'ammissionP. 
al beneficio -Domanda -Onere di �llustrazione dei motivi a carico 
dell'obiettore � Non sussiste. 

Tra le due opposte concezioni del riconoscimento dell'obiezione di 
coscienza (come ammissione ad un beneficio ovvero come automatico riconoscimento 
di un diritto individuale) il legislatore ha scelto la prima 
alternativa, adottando, per scoraggiare i falsi obiettori, un sistema doppiamente 
selettivo basato da un lato sulla maggior durata del servizio militare 
non armato o del servizio civile sostitutivo, e dall'altro su di una 
autonoma commissione incaricata di formulare, previa un'istruttoria, un 
parere sulla consistenza della domanda (1). 

L'aspirante al beneficio del riconoscimento dell'obiezione di coscienza 
ha soltanto l'onere di compilare l'atto introduttivo del procedimento recante, 
tra l'altro, l'indicazione dei motivi che sono alla base della domanda, 
senza necessit� di fornire la prova della profondit� dei propri convincimenti, 
spettando all'apposita commissione il compito di raccogliere e 
valutare tutti gli elementi atti a verificare l'attendibilit� dei motivi addotti. 
Pertanto � illegittimo il provvedimento di diniego adottato dalla 

P.A. basato sulla mancata allegazione di elementi probatori da parte' del 
richiedente (2). 
(1-2) L'obiezione di coscienza ed i poteri della commissione di cui alla legge 
772/72: un problema irrisolto. 

Con la legge 15 dicembre 1972, n. 772 l'obiezione di coscienza ha trovato 
cittadinanza nell'ordinamento giuridico italiano, con il risultato di sanare 
tutte le potenziali situazioni di contrasto fra singoli individui ed obblighi di 
natura pubblica, che avevano la loro fonte in convincimenti ideologici in s� 
rispettabilissimi e che portavano inevitabilmente a conseguenze di carattere 
penale. La disciplina che � stata dettata risente tuttavia della difficolt� di 
regolare il rapporto fra l'esigenza del �sacro dovere� di difesa della Patria 
imposto dalla Costituzione, da un lato, e dall'altro il rispetto della libert� 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 619 

(Omissis). Il signor Renzo Roncat, con istanza 22 dicembre 1980, chiedeva 
al Ministero della Difesa il riconoscimento dell'obiezione di coscienza. 
Il predetto Dicastero, sentito il parere della Commissione di cui agli 
artt. 3 e 4 della legge 15 dicembre 1972, n. 772, respingeva la domanda con 
decreto 1� marzo 1983 n. 915 recante la seguente motivazione: �Il giovane 
che si � genericamente richiamato ad imprescindibili motivi di coscienza, 
non ha fornito alcun elemento che consenta di ascrivere la sua obiezione 
a profondi motivi di ordine etico, o filosofico o religioso. D'altra parte il 
comportamento del Roncat � manifestamente in contrasto con i principi 
morali che il legislatore ha inteso considerare come fondamento dell'obiezione 
di coscienza �. 

Con una motivazione sostanzialmente analoga lo stesso Ministero respingeva 
con decreto 22 aprile 1983, n. 1015, la domanda del sig. Luciano 
Daini, nei confronti del quale la seconda proposizione della motivazione 
veniva formulata nei seguenti termini: �D'altra parte, il comportamento 
del Daini, che ha un precedente penale per danneggiamento, � manifestamente 
.in contrasto con i principi morali che il legislatore ha inteso 
considerare come fondamento dell'obiezione di coscienza �. 

di coscienza individuale, del pari sancito dalla Costituzione. Si trattava c10e 
di stabilire entro quali limiti sia consentito ad un cittadino sottrarsi al servizio 
militare obbligatorio e, una volta stabiliti questi limiti, di creare gli strumenti 
mediante i quali la Pubblica Amministrazione possa regolarsi di fronte a coloro 
che chiedano di sottrarvisi. 

La legge n. 772 ha individuato quei limiti nena necessit� che la volont� 
di non prestare servizio di leva sia dettata da imprescindibili motivi di coscienza, 
attinenti ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti 
religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto. La ratio della 
legge si caratterizza dunque nella preoccupazione che le intime convinzioni 
dell'individuo non vengano compresse dall'imposizione di obblighi di natura 
pubblica, come appunto la prestazione di servizio militare armato. D'altra parte 
era necessario assicurare che l'interesse dello Stato all'organizzazione della 
propria difesa armata venisse, in linea generale, soddisfatto. La dialettica fra 
questi due interessi, �entrambi costituzionalmente garantiti, ha fatto s� che 
l'intera legge venisse investita da dubbi di costituzionalit�; dubbi che la Corte 
Costituzionale ha dissipato (sent. n. 164 del 24 maggio 1985) affermando che la 
prest�azione di servizio civile o di servizio militare non armato in luogo di 
quello armato non si traduce in una deroga al dovere di difesa della patria, 
ma rappresenta semplicemente un modo di adempiere a quel dovere sotto 
diversa forma. 

Il discorso si complica quando si passa a delimitare i mezzi che l'Ammi


nistrazione ha per riconoscere i casi in cui ricorrano i presupposti per conce


dere l'esenzione dal servizio militare armato, e, pi� specificamente, le funzioni 

ed i poteri della commissione istituita dalla legge n. 772. � intorno a questo 

problema che si dibattono la maggior parte delle controversie giurisdizionali 

aventi ad oggetto l'impugnazione di provvedimenti di diniego del riconosci


mento dell'obiezione di coscienza; ed � in merito al medesimo problema che 

il Consiglio di Stato, prima a sezione semplice e poi in Adunanza Plenaria, � 

stato chiamato a pronunciarsi. 

8 



620 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Avverso i predetti decreti del Ministero della Difesa, i signori Roncat 
e Daini proponevano distinti ricorsi al Consiglio di Stato con i quali gli 
interessati deducevano tre ordini di censure sostanzialmente identici: 

1) assoluta carenza di motivazione e contraddittoriet� del provvedimento. 
Contrariamente a quanto affermato nella prima parte della motivazione 
dei decreti ministeriali, le richieste dei ricorrenti contenevano 
una dettagliata argomentazione delle ragioni della loro obiezi<tne. La seconda 
parte della motivazione di entrambi i decreti, poi, sarebbe meramente 
apparente in quanto mancherebbe qualsiasi indizio per ricostruire 
l'iter logico seguito dalla Commissione per ritenere i comportamenti del 
Roncat e del Daini in contrasto con i principi morali posti dal legislatore 
a fondamento della obiezione di coscienza. Inoltre, il Daini contestava 
la rilevanza dell'episodio processuale richiamato nel provvedimento 
di diniego sostenendo che, non essendo seguita alcuna condanna penale, 
il Ministero non avrebbe potuto prenderlo in considerazione ai fini della 
sua esclusione dal beneficio. 

2) eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento sul rilievo che 
il Ministero non si sarebbe attenuto al criterio previsto dalla legge n. 772 
in ordine sia agli argomenti valutabili ai fini della fondatezza dell'obiezione 
di coscienza, sia all'obbligo di provvedere solo in ragione di elementi 
di valutazione certi ed obbiettivi; 

3) violazione e falsa applicazione della legge n. 772 del 1972 perch� 
mentre sarebbero state ritenute generiche ed indefinite le ragioni morali 
religiose e filosofiche addotte dai richiedenti, per converso sarebbe stato 
considerato argomento decisivo per la reiezione delle domande un non 
meglio precisato comportamento dei richiedenti. 

Con la prima decisione (18 aprile 1983, n. 233) la IV Sezione afferm� che 
la commissione ha il potere di pretendere -anche mediante la convocazione 
ad un colloquio -che il richiedente � renda conto... della genuinit� dei sentimenti 
che professa sui problemi della vita e sui valori dello spirito � ed esclude 
apertamente che l'obiettore possa pretendere che per ottenere l'esonero dal 
servizio militare armato e la sua sostituzione con quello civile � sia sufficiente 
una semplice domanda pi� o meno concludente, sia pure accompagnata dai 
due elementi obiettivi richiesti dalla legge (non avere ottenuto licenze od 
autorizzazioni per l'uso di armi e non aver riportato condanne per porto 
d'armi abusivo) �. 

La decisione dell'Adunanza Plenaria che qui si annota affronta il problema 
in tutta la sua ampiezza, e giunge a conclusioni alquanto diverse da quelle 
della quarta Sezione. 

Come evidenziato nella prima delle due massime l'Adunanza Plenaria ha 
posto un punto fermo nella individuazione della natura giuridica dell'istituto 
dell'obiezione di coscienza, affermando, in conformit� con la decisione su 
ricordata -ma dopo analisi pi� approfondita e con enunciazione pi� esplicita 
-che il riconoscimento dell'obiezione di coscienza non � configurabile 
come diritto individuale cui corrisponda nella p.a. il dovere di emanare l'atto 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 621 

Il ricorrente Roncat, 'Con motivi aggiunti notificati il 12 dicembre 1983, 
deduceva le seguenti ulteriori censure: a) manifesta contraddittoriet� 
del provvedimento ed errore di fatto in quanto non si sarebbe tenuto conto 
che il precedente penale di cui alla sentenza del Tribunale di Bolzano del 
1980 era stato travolto dalla successiva sentenza della Corte d'appello di 
Trento recante l'assoluzione perch� il fatto non costituisce reato; b) eccesso 
di potere per manifesto contrasto con altro atto emesso dall'autorit� 
giudiziaria e violazione di legge in relazione all'art. 1 della legge n. 772 
del 1972, per la erronea rilevanza attribuita all'informativa dei carabinieri 
da cui comunque risultava che la sentenza del Tribunale di Bolzano era 
stata impugnata e che pertanto H Roncat doveva presumersi innocente fino 
alla conclusione processuale della vicenda. 

In entrambi i giudizi si costituiva il Ministero della Difesa con il 
patrocinio dell'Avvocatura Generale dello Stato la quale ha contestato 
la fondatezza dei motivi di gravame prospettati dai .ricorrenti chiedendo 
il rigetto dei ricorsi. 

a semplice richiesta del privato, ma bens� come amm1ss1one ad un beneficio, 
il che significa che l'atto col quale la Amministrazione accoglie o rigetta la 
domanda di esonero per obiezione � espressione di un potere discrezionale. 

Il riconoscimento dell'obiezione non � dunque conseguenza obbligatoria 
della mera constatazione della sussistenza di determinati requisiti (rectius 
della mancanza di certi elementi ostativi quali la titolarit� di licenza per porto 
d'armi o l'aver subito condanne penali per porto abusivo d'armi), ma provvedimento 
da emanare in seguito ad una valutazione complessa per la quale � 
istituito un apposito organo consultivo composto da membri di alta qualificazione 
e preparazione professionale. 

Circa il principio enunciato nella seconda massima, va detto che l'ordinanza 
di rimessione all'A.P. (IV Sez., 28 agosto 1984, n. 666) esprimeva un 
orientamento sostanzialmente conforme a quello della decisione n. 233 del 1983, 
in quanto si riteneva che la domanda diretta ad ottenere il beneficio dovesse 
essere adeguatamente motivata mediante l'esplicita indicazione dei motivi posti 
a base di essa. In quella sede si osservava altres� che � opportuno che la commissione 
appositamente istituita proceda ad una indagine diretta sulla personalit� 
e le idee del richiedente, ma nulla si aggiungeva per indicare quali dovessero 
essere in concreto gli strumenti di questa indagine. 

Cos� portata all'esame dell'Adunanza Plenaria, la questione ha trovato una 
soluzione che suscita perplessit� sia in se stessa sia in quanto non sembra 
coerente con la enunciazione di partenza, di cui sopra s'� discusso. 

L'analisi svolta dall'A.P. parte dai lavori preparatori della legge e, nel 
ricercare il reale intento del legislatore, sottolinea le considerazioni svolte dal 
relatore di maggioranza sulla inopportunit� che fosse sancita l'obbligatoriet� 
del colloquio con la commissione, data la possibilit� che ci� determinasse una 
sperequazione a sfavore dei giovani forniti di minore cultura, i quali avrebbero 
avuto maggiori difficolt� ad esprimere le proprie idee ed a � convincere ,, la 
commissione della genuinit� dei propri sentimenti. Tale preoccupazione fu 
estesa -continua l'A.P. -anche alla domanda ed alla relativa �motivazione�, 
sicch� anche per tale atto dovrebbe ritenersi soppresso l'onere del richiedente 
di fornire elementi utili al fine di individuare i motivi. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

622 

Con ordinanze nn. 202 del 5 luglio 1983 e 252 del 30 agosto 1983, la 
IV Sezione accoglieva le domande incidentali di sospensione dei provvedimenti 
rispettivamente impugnati dal Roncat e dal Daini. 

Con altre due ordinanze nn. 666 e 687/84 sostanzialmente dello stesso 
tenore, rispettivamente emesse la prima sul ricorso Roncat e la seconda 
sul ricorso Daini, la IV Sezione, dopo avere rilevato che la legge 

n. 772 del 1972 sembra suscettibile, in ordine ad aspetti fondamentali della 
sua applicazione, di differenti interpretazioni ciascuna delle quali non 
appare del tutto sprovvista di plausibilit�, ha rimesso la decisione delle 
cause all'Adunanza Plenaria delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di 
Stato per scongiurare preventivamente in una materia particolarmente 
delicata l'eventualit� di contrasti giurisprudenziali. 
Dopo la pubblicazione delle ordinanze da ultimo menzionate, i difensori 
del Roncat e del Daini hanno ulteriormente approfondito i motivi di 
gravame prospettati negli atti introduttivi dei rispettivi giudizi con la 
produzione di memorie scritte. 

All'udienza del 3 dicembre 1984, in cui entrambi i ricorsi sono stati 
congiuntamente discussi, le cause, su richiesta dei difensori delle parti, 
sono state trattenute per la decisione. 

Dall'esame dei lavori prepamtori risulta che in seno alla comm1ss10ne 
parlamentare si enuclearono due contrapposte posizioni, le quali oltre che per 
le loro tipiche connotazioni politiche si distinguevano nettamente anche per la 
configurazione giuridica che intendevano fosse attribuita all'istituto da disciplinare: 
l'una, propria del relatore di maggioranza, che concepiva l'obiezione di 
coscienza come un interesse legittimo del soggetto privato, ed il suo riconoscimento 
come ammissione ad un beneficio da concedere a seguito di una valutazione 
discrezionale della p.A., operata mediante l'ausilio di una commissione 
con compiti consultivi; l'altra, quella di alcuni gruppi di opposizione, che intendeva 
l'obiezione di coscienza come. diritto soggettivo perfetto, e riteneva che 
essa dovesse essere riconosciuta a semplice domanda dell'interessato, senza 
che vi fosse alcuna commissione delegata a svolgere attivit� istruttoria e 
consultiva. 

La discussione in seno alla Commissione parlamentare fu lunga ed animata, 
e gli argomenti principali dei sostenitori della seconda posizione furono 
l'inammissibilit� dell'istituzione di un � Tribunale delle coscienze ,, ed il timore 
che nel momento in cui le domande venissero sottoposte al vaglio di questa 
si producesse una disparit� di trattamento per gli obiettori meno dotati di 
cultura rispetto a quelli pi� dotati. Tale preoccupazione investiva sia il colloquio 
orale, che figurava nella primitiva stesura del progetto di legge, sia 
l'illustrazione scritta dei motivi nella domanda. Si vedano gli emendamenti 
proposti dall'on. Bandiera di soppressione del secondo comma dell'art. 1, 
(pag. 74 della seduta del 14 dicembre, respinto), e di sostituzione del primo 
comma dell'art. 2 con un testo in cui non figurava la parola � motivata ,, 

(pag. 83 medesima seduta, ritenuto precluso), e di soppressione degli interi 
articoli 3 e 4 (pagg. 85 e 87, ent!'ambi respinti). 
Pi� in generale risulta dai lavori preparatori che nella posizione minoritaria, 
si collegava la natura di diritto soggettivo dell'obiezione di coscienza con 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 623 

DIRITTO 

1. -I ricorsi autonomamente proposti dai signori Roncat e Daini 
avverso i provvedimenti dello stesso tenore emanati dal Ministero della 
Difesa sulle loro domande, rivolte ad ottenere il riconoscimento della 
obiezione di coscienza e l'ammissione a prestare il servizio sostitutivo 
civile, possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia, in quanto comportano 
la definizione delle stesse questioni di diritto. 
2. -Le ordinanze di rimessione delle cause a questa Adunanza Plenaria 
hanno indicato le ragioni per le quali, in ordine ad aspetti essenziali 
concernenti l'interpretazione e l'applicazione della legge 15 dicembre 1972, 
n. 772, recante norme per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, 
siano possibili ricostruzioni della volont� legislativa sensibilmente diverse 
a seconda che l'accento venga posto su questa o su quella espressione 
ovvero a seconda che la oggettiva ambiguit� di determinate proposizioni 
venga integrata da una delle possibili chiavi di lettura di una realt� 
cos� complessa e articolata come quella che va sotto il nome di obiezione 
di coscienza. 
In effetti, il rischio di contrasti giurisprudenziali in questa materia 
non � meramente potenziale: esso diventa immediatamente concreto e 
reale non appena vengono riproposte in sede interpretativa ed applicativa 
le contrapposte problematiche delineatesi nel corso dei tormentati lavori 
parlamentari della 1. n. 772 del 1972. 

l'automaticit� del suo riconoscimento e quindi con l'inutilit� di un organo che 
sottoponesse �d esame le domande presentate. Nella linea del relatore, al 
contrario, si prospettava l'attribuzione al singolo di un mero interesse legittimo 
dinanzi al quale la P.a., non avendo obbligo giuridico di emanare il provvedimento 
richiesto, doveva avviare un'istruttoria e porre in essere un'attivit� 
almeno in parte discrezionale;-e in tale progetto, che prevalse, l'illustrazione 
dei motivi da parte del richiedente non solo npn venne scartata, ma fu considerata 
elemento logicamente necessario affinch� quella indagine conoscitiva 
-che � normale presupposto di ogni attivit� provvedimentale caratterizzata 
da discrezionalit� -potesse essere svolta: l'emendamento abrogativo dell'obbligo 
di motivare la domanda fu ritenuto precluso dato che l'emendamento soppressivo 
del secondo comma dell'art. 1 era stato respinto (v. pag. 83 seduta 
14 dicembre). Il che porta a concludere che gli oppositori intendessero (e correttamente) 
che la �motivazione� della domanda consistesse nella illustrazione 
e non nella semplice indicazione dei motivi che inducono il giovane a chiedere 
l'esonero dal servizio armato. 

Dunque la preoccupazione di disparit� di trattamento in relazione all'onere 

di illustrazione dei motivi, cui la sentenza dell'Adunanza Plenaria si riferiva, 

fu argomento della linea di opposizione che rimase perdente; nel sistema della 

legge che venne approvata si sancisce invece che i motivi di coscienza addotti 

debbono essere attinenti ad una concezione generale della vita basata su 

profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali (art. 2, secondo comma); 

si stabilisce che la domanda deve essere motivata, in relazione al secondo 



624 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Da essi, perci�, ad avviso del Collegio, conviene muovere sia per risolvere 
lo specifico problema del significato da attribuire alla �motivazione 
� della domanda di riconoscimento della obiezione di coscienza, 
espressamente sollevato dalle ordinanze di rimessione, sia per individuare 
(il che � un modo diverso e pi� articolato di porre lo stesso problema) 
nel procedimento previsto dagli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge n. 772 del 1972, 
da un lato gli oneri posti a carico dei richiedenti il beneficio e dall'altro 
i poteri dell'apposita commissione, cui la legge demanda la formulazione 
di un parere �circa la fondatezza e la sincerit� dei motivi addotti dal 
richiedente� (art. 3, comma primo). 


3. -Al problema del riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza, 
affrontato anche dall'Assemblea Costituente in modo del tutto 
marginale (cfr. Atti Ass. Cast., seduta del 22 maggio 1947 p. 4186 e seg.), 
il legislatore aveva cercato di dare una risposta sin dalla V legislatura, 
durante la quale il Senato aveva approvato (27 luglio 1971) un disegno di 
legge che non ottenne il voto dell'altro ramo del Parlamento per l'anticipato 
scioglimento delle Camere. Con la VI legislatura, lo stesso testo approvato 
dal Senato fu ripresentato con il disegno di legge n. 317, al quale 
si contrappose il disegno di legge n. 430 recante una diversa concezione 
della struttura del provvedimento legislativo da adottare: quest'ultimo, 
infatti, era basato non gi� sulla possibilit� di ottenere il beneficio dell'ammissione 
al servizio militare non armato ovvero al servizio civile sostitutivo, 
ma sul diritto del cittadino ahl'esonero dal servizio militare in 
quanto obiettore di coscienza, e, quindi, sul riconoscimento automatico 
di tale diritto alla stregua della semplice dichiarazione dell'interessato. 
comma dell'art. precedente (art. 2, primo comma); si demanda alla commissione 
il compito di esprimere un parere circa la fondatezza e la sincerit� dei 
motivi addotti. 

L'Adunanza Plenaria giustamente considera l'attivit� della commissione 
come uno strumento per selezionare gli obiettori autentici da quelli falsi, ma 
ritiene che vi sia anche un altro mezzo posto dalla legge allo stesso scopo, 
e cio� la maggior durata del servizio civile. Ma nell'esposizione del relatore 
RosA al Senato (pag. 17 seduta del 29 novembre) si chiarisce che tale maggiore 
durata � posta per compensare-il fatto che coloro che prestano servizio militare 
restano esposti per lungo tempo all'obbligo di eventuali richiami per 
addestramento. A ben vedere, dunque, il vaglio della commissione sulle domande 
� l'unico strumento p�sto dalla legge per selezionare i veri obiettori. 

� da ritenere, in conclusione, che la difficolt� incontrata dal legislatore nel 
comporre il conflitto fra i due opposti interessi -quello del singolo all'esplicazione 
dei propri convincimenti ideologici e quello dello Stato ad organizzare le 
proprie forze armate -di cui s'� detto sopra, e che risulta dalle avverse 
posizioni dei componenti della Commissione parlamentare Difesa, ha portato 
ad una legif�cazione non del tutto chiara e di difficile applicazione: se da un 
lato si attribuisce alla commissione consultiva il compito di accertare la fondatezza 
dei motivi esposti dal richiedente, dall'altro non si indicano in modo ' 
esplicito i mezzi per esercitare tale potere. 

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625

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Per� entrambi i suddetti disegni di legge fu adottata la procedura 
abbreviata di cui all'art. 81 del Regolamento del Senato, ma l'oggetto 
della discussione rest� ancorato al testo dal disegno di legge n. 317, non 
essendo riuscita a prevalere la diversa concezione del riconoscimento 
automatico della obiezione di coscienza. 

A quel testo, per�, furono introdotte,"nella seconda discussione in Senato, 
significative modifiche la cui rilevanza � essenziale e decisiva ai fini 
della esatta impostazione delle questioni di diritto sottoposte all'esame 
del Collegio. 

La prima modifica invest� il secondo comma dell'art. 1 che originariamente 
cos� recitava: �I motivi di coscienza addotti debbono essere attinenti 
ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti 
religiosi o filosofici o morali del soggetto, di cui sia stata fatta in 
precedenza manifesta professione �. Questa disposizione, s� proposta tra 
gli altri dello stesso relatore di maggioranza, (e la circostanza, come si 
vedr�, non � priva di significato), risulta modificata come segue dallo 
emendamento 1.6: �I motivi di coscienza addotti debbono essere attinenti 
ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti 
religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto �. 

Tali difficolt� di applicazione non sembrano appianate con la decisione 
annotata. Il Consiglio di Stato afferma che l'indagine della commissione 
deve esserie tesa non ad accertare �in positivo� il grado di profondit� dei 
convincimenti e dei motivi -e ci� pu� essere pienamente condiviso -ma 
bens� a verificare la � non inattendibilit�� dei motivi addotti in relazione agli 
elementi raccolti in sede istruttoria; non indica per� mediante l'uso di quali 
strumenti possano essere raccolti quegli elementi. Se il richiedente non ha 
l'onere di illustrare egli stesso le proprie motivazioni, l'Amministrazione non 
ha in realt� alcun mezzo (giuridicamente lecito) per accertare che la domanda 
proviene da un falso obiettore ed � pretestuosa. Non resterebbero infatti che 
le informazioni assunte dagli organi di polizia: in realt� nessun aiuto concreto 
potr� venire da queste, dato che soltanto la segnalazione di determinati 
comportamenti penalmente rilevanti rappresenterebbe un elemento atto a 
smentire le affermazioni del preteso obiettore; ma tali elementi emergerebbero 
comunque dalle certificazioni del casellario giudiziale. Si finisce in tal 
modo per svuotare totalmente di contenuto l'attivit� della commissione, e 
per tornare in effetti alla concezione dell'obiezione di coscienza come automatico 
riconoscimento di un diritto perfetto; concezione che -come� la stessa 
Adunanza Plenaria ha riconosciuto -� stata dal legislatore ripudiata. 

Va infine rileVlato che le preoccupazioni di cui questa decisione del Consiglio 
di Stato sembra espressione (e cio� la repressione della libera manifestazione 
delle opinioni di determinati gruppi di cittadini mediante un'applicazione 
restrittiva della legge n. 772) non sembrano giustificate alla luce di 
alcuni dati statistici. Negli anni 1984-1985 sono state .avanzate circa 9.000 domande 
l'anno, delle quali � stato respinto meno del 10 %; il che induce a ritenere che 
il potere attribuito all'Amministrazione dalla legge sia stato esercitato con 
notevole liberalit�. 

GESUALDO D'ELIA 



626 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

La seconda modifica (con gli emendamenti 4.5 e 4.6, anch'essi proposti 
tra gli altri dal relatore di maggioranza) riguarda la formulazione del terzo 
comma dell'art. 4 e la soppressione del quarto comma dello stesso 
articolo. Il testo originario dei due commi in questione era il seguente: 
� La Commissione interroga il richiedente e procede a tutti gli accertamenti 
necessari in ordine alla fondatezza e alla sincerit� dei motivi addotti 
dal richiedente �; � La mancata comparizione del richiedente, senza giustificato 
motivo, equivale, ad ogni effetto di legge, a rinuncia alla domanda
�. Quest'ultimo comma fu, come gi� accennato, soppresso, mentre 
quello precedente risult� modificato dalla seguente proposizione: �La 
Commissione raccoglie e valuta tutti gli elementi utili ad accertare la validit� 
dei motivi addotti dal richiedente�, (cfr. Atti Senato, VI legislatura, 
Assemblea, seduta del 30 novembre 1972, pag. 3076 e segg. e in particolare 
pagg. 3102 e 3106). 

Sebbene queste modifiche abbiano un oggettivo ed incontestabile significato, 
non � inopportuno ricordare che la loro spiegazione ufficiale si 
rinviene nella successiva discussione in seno alla Camera dei Deputati 
(cfr. Atti Camera, VI legislatura, Commissioni in sede Jegislativa, VII Commissione, 
seduta del 6 dicembre 1972 pagg. 9 e 10), e, precisamente, nella 
introduzione del relatore di maggioranza, il quale, dando atto di una serie 
di contatti di parlamentari di diversi gruppi politici (di maggioranza e di 
opposizione) appartenenti sia alla Camera che al Senato, per cercare di 
�chiarire, prima che si pervenisse alla fase del dibattito ufficiaJe, l'impostazione 
di alcune norme sulle quali indubbiamente, una volta assunto 
un determinato orientamento, sarebbe stato poi molto difficile tornare 
indietro�, dichiar� testualmente: �In questa fase preliminare di contatti 
abbiamo potuto cos� formarci la convinzione della inopportunit� di insistere 
sulla disposizione che imponeva alla Commissione costituita per 
giudicare la fondatezza delle domande di interrogare gli obiettori: si 
trattava infatti di una norma di carattere prevalentemente formale e 
che, dal punto di vista sostanziale, non avrebbe permesso di conseguire 
i risultati sperati, ma avrebbe potuto dar luogo ad una sperequazione, 
ingiustificata ed ingiustificabile, tra i richiedenti forniti di una certa cultura, 
i quali non avrebbero avuto alcuna difficolt� ad esprimersi in termini 
chiari e convincenti, e quelli invece privi di un bagaglio culturale 
adeguato. In merito a tale aspetto mi sembra di poter dire che un notevole 
passo in avanti sia stato compiuto, cos� che la Commissione avr� 
semplicemente il compito di valutare e raccogliere gli elementi necessari 
al fine di accertare la fondatezza dei motivi, addotti dal richiedente�, 

Le preoccupazioni espresse dal relatore di maggioranza, a proposito 

dell'interrogatorio, sulle inammissibili, ma tutt'altro che ipotetiche, dispa


rit� di trattamento connesse al diverso livello culturale dei richiedenti 

il �beneficio� dell'obiezione di coscienza, trovarono eco in numerosi inter


venti dei parlamentari di tutti i gruppi (favorevoli o contrari che fossero 

alla proposta di legge in discussione) e in alcuni casi esse furono estese, 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

per ragionamenti del tutto analoghi a quelli sopra riportati, anche. ad 
altri adempimenti previsti dalla legge e in particolare alla domanda e alla 
relativa �motivazione� (cfr. tra gli altri, Atti Camera, VII Commissione, 
seduta del 13 dicembre, p. 62). 

4. ~ Nel tirare le fila del diffuso richiamo� ai lavori preparatori, � 
lecito mettere a fuoco alcune conclusioni che, ad avviso del Collegio, 
debbono avere una adeguata rilevanza in sede interpretativa: a) tra le 
due opposte concezioni del riconoscimento della obiezione di coscienza 
(come ammissione ad un beneficio ovvero come automatico riconoscimento 
di un diritto individuale) il legislatore ha scelto decisamente la 
prima alternativa, adottando, per scoraggiare i falsi obiettori, un sistema 
doppiamente selettivo basato su due criteri fondamentali: il primo � 
costituito dalla maggiore durata del servizio militare non armato o dal 
servizio sostitutivo civile per un periodo di otto mesi (art. 5, comma 
primo); il secondo � rappresentato da un'autonoma commissione, pur 
costituita dal Ministro della Difesa, incaricata di formulare, previa una 
istruttoria d'ufficio, un parere sulla consistenza della domanda (cfr. Camera 
-Commisioni in sede legislativa, -VI legislatura, VII Commissione, 
6 dicembre 1972, pag. 19); b) nel'ambito di questa impostazione, per�, 
la originaria trama normativa ha subito modificazioni tutt'altro che 
marginali, in quanto le prescrizioni volte a gravare il richiedente di 
oneri specifici ovvero ad attribuire penetranti poteri inquisitori alla 
commisione, sono state profondamente modificate nel senso di attenuarne 
se non di eliminarne la portata: cos�, la soppressione della espr�ssione 
�di cui sia stata fatta in precedenza manifesta professione� sta a 
significare in modo trasparente che l'obiettore non � tenuto a dimostrare 
quando, come e dove abbia �professato� quei profondi convincimenti 
che debbono essere il supporto dei � motivi di coscienza addotti �, ma 
ha semplicemente l'onere di indicare il motivo o i motivi che dal legislatore 
sono stati astrattamente ritenuti meritevoli della deroga all'obbligo 
del servizio militare.' Altrettanto dicasi in ordine alle modifiche 
dell'art. 4, dove accanto alla significativa soppressione dell'interrogatorio, 
per le ragioni sopra indicate, alla Commissione � espressamente demandato 
il compito di raccogliere e valutare �tutti gli elementi utili ad 
accertare la validit� dei motivi addotti dal richiedente�; e) il legislatore 
si � concretamente posto il problema che, in un procedimento siffatto, 
i richiedenti potrebbero essere discriminati a seconda del diverso livello 
intellettuale e culturale: adoperandosi per eliminare quelle disposizioni 
che avrebbero potuto realizzare o, comunque, accentuare tali discriminazioni, 
egli ha dato una prova esplicita, della sua intenzione che l'interprete 
ha il dovere di raccogliere ed utilizzare come criterio ermeneutico 
a norma dell'art. 12 delle disposizioni della legge in generale, tutte le 
volte in cui quella diversit� di livello intellettuale e cuturale � suscet

628 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
tibile di alterare la par condicio dei richiedenti e di incidere sulla 
628 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
tibile di alterare la par condicio dei richiedenti e di incidere sulla 
ammissibilit� al beneficio. 

5. -Le conclusioni sopra delineate sono state tenute ben presenti 
dal Governo in sede di emanazione delle norme regolamentari relative 
all'attuazione della legge n. 772, a norma dell'art. 5, comma secondo. 
In effetti; precisando il contenuto della � apposita domanda � per 
ottenere il riconoscimento della obiezione di coscienza, l'art. 2, comma 
secondo, del d.P.R. 28 novembre 1977, n. 1139, stabilisce, tra l'altro, 
che � la domanda deve indicare il motivo o i motivi rientranti tra 
quelli indicati al secondo comma dell'art. 1 d�lla legge 15 dicembre 1972, 

n. 772, in base ai quali viene chiesto il riconoscimento�, precisando significativamente, 
nel comma sucessivo, che � la domanda pu� essere 
corredata di tutti i documenti che l'interessato ritenga utile a sostegno 
dei motivi addotti �, 
Tali essendo gli oneri posti a carico del richiedente l'ammissione al 
beneficio, non � chi non veda come, dall'originario procedimento nel 
quale il giovane era tenuto a fornire la prova ~ei propri comportamenti 
e convincimenti pregressi e a sottoporsi alla penetrante attivit� inquisitoria 
della Commissione, chiamata a valutare a mezzo dell'interrogatorio 
le dichiarazioni e le prove da lui fornite a sostegno della domanda, 
la legge prima, e le norme di attuazione poi, abbiano configurato un 
procedimento del tutto diverso nel quale l'onere -effettivo posto a carico 
del richiedente si riduce alla compilazione dell'atto introduttivo del procedimento 
recante, tra l'altro, la indicazione del motivo o dei motivi, 
fra quelli previsti dalla legge, che sono alla base della domanda di 
riconoscimento dehla obiezione di coscienza. 

Le successive norme regol~mentari confermano questa impostazione, 
atteso che demandano all'autorit� militare qualsiasi altro adempimento, 
ivi compresa l'acquisizione di taluni certificati (certificato generale del 
casellario giudiziario, ~ertificato rilasciato dalla competente autorit� comprovante 
che l'istante non � titolare di licenze o autorizzazioni relative alle 
armi) che pure avrebbero potuto essere fornite dai richiedenti. 

A seguito dell'atto introduttivo, il procedimento, dunque, prosegue 
su esclusivo impulso d'ufficio (salvo il ricorso, da parte dell'interessato, 
alla procedura per la impugnazione del silenzio-rifiuto dopo H decorso 
del termine di sei mesi dalla presentazione della domanda: cfr. Sez. IV, 
20 maggio 1980, n. 579) e si conclude con il decreto del Ministro previo 
esame della commissione che � raccoglie e valuta tutti ~i elementi utili 
ad accertare la validit�� dei motivi addotti dal richiedente� (art. 4, comma 
terzo, della legge) ed esprime un parere �circa la fondatezza e la 
sincerit� dei motivi addotti� dallo stesso (art. 3, comma primo, della 
legge). 

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~....,.,.,



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

La commissione, perci�, ha il compito di selezionare e di graduare 
la rilevanza degli elementi raccolti per formulare un giudizio di pertinenza 
e di congruenza del motivo prospettato nella domanda con gli 
altri dati acquisiti d'ufficio, a seguito della istruttoria. In altre parole, 
alla Commissione non � demandato hl compito di valutare in positivo 
il grado di profondit� dei convincimenti e dei motivi allegati dai richiedenti 
(come pure talora erroneamente si � ritenuto), ma solo la loro 
attendibilit�, anzi, meglio, la loro non manifesta infondatezza ai fini 
della concessione del beneficio: sicch�, solo dinanzi alla manifesta infondatezza 
degli imprescindibili motivi di coscienza allegati alla dichiarazione 
di contrariet�, in ogni circostanza, all'uso generale delle armi, la 
commissione pu� disattendere le domande degli interessati: e ci� pu� 
verificarsi sia quando dagli elementi raccolti d'ufficio in sede istruttoria 
emerga la prova della inconsistenza dei motivi addotti dai richiedenti, 
sia quando da quegli stessi elementi sia possibile dedurre, al di l� 
di ogni ragionevole dubbio, la pretestuosit� della domanda di ammissione 
al beneficio. 

Alla formulazione di quest'ultimo giudizio la commissione non pu� 
per� pervenire sulla base della sola valutazione della motivazione della 
domanda, sia perch� questa si risolve, come sopra � stato precisato, 
nella indicazione � del motivo o dei motivi � rientrante tra quelli previsti 
dalla legge, sia perch� la concreta formulazione dei motivi da 
parte del richiedente (ove venisse sottoposta a un giudizio di congruit� 
con riferimento alla seriet� e consistenza delle argomentazioni sui convincimenti 
religiosi filosofici o morali), potrebbe prestarsi a forme di 
discriminazione fondate sul livello intellettuale e culturale dei richiedenti 
che, come si � visto, il legislatore ha per certo voluto evitare. 

In questa prospettiva, deve essere valutata anche la ipotesi (tutt'altro 
che infrequente nella pratica) che la domanda di riconoscimento 
venga fatta sulla falsariga di uno schema stereotipo o di un modello 
eventualmente predisposto da associazioni o comitati di persone che 
asseriscono di essere contrari in ogni circostanza all'uso personale delle 
armi: anche in questo caso, posto che la sincerit� dell'obiezione non 
pu� essere senz'altro esclusa dall'adesione (magari con intento chiaramente 
provocatorio) a un modulo predisposto, la commissione � tenuta 
a formulare un giudizio concreto sulla base degli elementi a sua disposizione, 
perch� la sua pronuncia, per quanto collegata alla domanda dell'interessato, 
dipende pur sempre dal concreto riscontro dei motivi dichiarati 
con gli elementi raccolti in sede istruttoria. 

6. -Le considerazioni che precedono valgono, per un verso, a risolvere 
i dubbi prospettati dalle ordinanze di rimessione, per l'altro, a 
definire correttamente la portata delle censure che sia il Roncat sia 
il Daini hanno separatamente dedotto nei confronti dei decreti mini

630 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

steriali di reiezione delle rispettive domande tese ad ottenere il riconoscimento 
dell'obiezione di coscienza. 

I ricorrenti hanno censurato i provvedimenti impugnati sotto tre 
distinti profili e, precisamente, per assoluta carenza di motivazione e 
contraddittoriet�, per sviamento di potere e per violazione e falsa applicazione 
della legge n. 772 del 1972. In sostanza, da diversa angolazione, 
gli interessati contestano i decreti ministeriali (e i relativi pareri): 
a) nella parte in cui essi hanno ritenuto insufficiente e generico il 
richiamo ad imprescindibili motivi di coscienza sul rilievo che i giovani 
non avrebbero fornito alcun elemento che consentisse di ascrivere 
la loro obiezione a profondi motivi d'ordine etico o filosofico o religioso; 
b) nella parte in cui il comportamento dei ricorrenti era stato ritenuto 
� manifestamente� in contrasto con i principi morali che il legislatore 
ha inteso considerare come fondamento della obiezione di coscienza�. 

Sotto entrambi gli aspetti i ricorsi si rivelano fondati. 

Per quanto attiene alle determinazioni enunciate sub a), � appena 
il caso di sottolineare, dopo quanto � stato sopra prospettato in via 
generale, che la commissione � incorsa in un duplice erroneo rilievo: 
l� dove ha addebitat6 ai richiedenti la mancata allegazione di elementi 
probatori per ascrivere l'obiezione a motivi di carattere etico, o filosofico 

o religioso e nella parte in cui ha considerato generico il richiamo 
agli imprescindibili motivi di coscienza. Il primo rilievo, infatti, si risolve 
in una illegittima inversione dell'onere della prova in quanto, mentre la 
normativa considera una mera facolt� dei richiedenti quella di corredare 
la domanda di tutti i documenti ritenuti utili a sostegno dei motivi 
addotti, il provvedimento impugnato lo considera un onere, il cui mancato 
adempimento si riflette sulla genericit� del richiamo ai motivi di 
coscienza. 
A quest'ultimo proposito va invece ribadito che � sufficiente nella 
domanda la. indicazione di uno dei motivi contemplati dalla legge per 
ritenere ritualmente proposta la richiesta di ammissione ai benefici di 
cui alla legge n. 772 del 1972. 

In ordine, poi, alle determinazioni enunciate sub b), le censure dei 
ricorrenti colgono nel segno: il preteso contrasto tra il comportamento 
dei ricorrenti con i principi morali tutelati dall:istituto della obiezione 
di coscienza si configura innanzi tutto come una petizione di principio 
e in secondo luogo risulta inconsistente in punto di fatto. Ed invero, 
le vicende penali cui la commissione sembra aver fatto riferimento 
erano largamente superate per il Roncat alla data d! formulazione del 
parere (seduta del 14 settembre 1982), in quanto lo stesso Roncat, pur 
condannato in primo grado dal Tribunale di Bolzano, era stato assolto, 
perch� il fatto non costituisce reato, dalla contravvenzione di cui all'art. 18 
del r.d. 18 giugno 1931 n. 773, con sentenza della Corte d'appello di 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 631 

Trento del 6 maggio 1981, divenuta irrevocabile molto tempo prima del 
parere della menzionata commissione. 

Quanto, poi, al Daini, il richiamo a un precedente penale per danneggiamento, 
coperto -per di pi� -da perdono giudiziale concesso 
dal Tribunale per i minorenni di Bolzano, non appare motivo sufficiente 
per escludere il ricorrente dal beneficio della obiezione di coscienza, 
atteso che i fatti, cui si riferisce il perdono giudiziale, che comporta, 
come � noto, l'estinzione del reato, appaiono assunti in modo astratto e, 
come tali, considerati contrastanti con i valori tutelati dalla legge n. 772 
del 1982. 

7. -Da quant'innanzi discende che ricorsi indicati in epigrafe 
debbano essere accolti. (omissis) 
CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 27 maggio 1985, n. 212 (ordinanza) -
Pres. Crisci -Rel. Buonopane -Sarti (avv. Sciacca) c. Ministero del 
Tesoro (avv. dello Stato). 

Giustizia amministrativa � Giudicato � Ricorso per l'esecuzione -Credito 
del dipendente pubblico -Domanda di rivalutazione -Ammissibilit� � 
Rimessione all'Adunanza plenaria.� 

Deve essere rimessa all'Adunanza plenaria la questione dell'ammissibilit� 
nel giudizio di ottemperanza della domanda di rivalutazione del 
credito del pubblico dipendente e dei relativi ~nteressi, non accertato 
nel giudicato. (1) 

(omissis). -L'obbligo, al cui adempimento tende l'azione di esecuzione 
proposta con il ricorso in esame, si specifica nell'attribuzione dei 
benefici (in materia di trattamento pensionistico, indennit� di buonuscita 
ed altre indennit�) di cui all'art. 1 bis del d.l. 23 dicembre 1978, n. 814, 
convertito nella legge 19 febbraio 1979 n. 52, nonch� nella corresponsione 
della rivalutazione monetaria e degli interessi legali inerenti alle somme 
spettanti per l'applicazione di detti benefici. 

Peraltro, la pretesa alla rivalutazione ed agli interessi in parola pone 
un problema particolare, per il fatto che essa, oltre a non essere stata 
espressamente formulata n� nell'atto introduttivo del giudizio (ricorso 

(1) Sulla ammissibilit� della domanda si era pronunciata la sez. VI, con 
la decisione 21 maggio 1984, n. 295; in senso contrario, la sez. V, con decisione 
11 dicembre 1982, n. 836. 
La questione appare delicata in rapporto al limite della proponibilit� delle 
domande nel ricorso per ottemperanza, costituite dal contenuto del giudicato, 
ma nel corso della stampa del fascicolo � stata risolta dall'Ad. plen. nel senso 
favorevole al dipendente (Ad. plen., 8 ottobre 1985, n. 19). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

632 

incardinato al n. 1162 del ruolo della Sezione I del TAR del Lazio, per 
l'anno 1980) n� nell'atto di appello, non trova riscontro nella decisione 

n. 643/1983, di cui si chiede l'esecuzione. 
La questione si configura come ulteriore specificazione di quella che 
la sezione ha deferito all'esame dell'Adunanza plenaria, con ordinanza 
28 agosto 1984, n. 655, resa su vertenza pure avente ad oggetto l'erogazione 
dei benefici sopra menzionati, e nella quale la domanda degli interessi 
legali e della rivalutazione monetaria era stata posta, per la prima 
volta, con il ricorso in appello. 

Orbene, la proposizione di siffatta istanza, per la prima volta, nel 
giudizio di ottemperanza per l'adempimento di obbligazioni inerenti a 
rapporto di 'pubblico impiego -fermo restando il principio che in tale 
sede non possono avanzarsi domande� nuove o diverse da quelle sulle 
quali la decisione passata in giudicato ha pronunciato -� destinata a 
subire discriminazioni, sotto il profilo dell'ammissibilit�, nella misura 
in cui sia consentito o meno tener conto, nelle singole fattispecie, della 
inscindibilit� del credito di lavoro principale da quello derivante dall'automatica 
applicazione di meccanismi previsti dall'ordinamento, per la 
conservazione del valore economico del cr.edito medesimo o in ragione 
del ritardato pagamento. 

� chiaro, infatti, che se la rivalutazione e gli interessi, siano questi 
ultimi anche �moratori� (cfr. Ad. plen., dee. 7 aprile 1981, n. 2), dovessero 
ritenersi parte integrante del credito di lavoro, sarebbe, per ci� 
stesso, escluso il carattere di novit� nei confronti della domanda che, 
per tale parte, venisse specificata, per la prima volta, in sede di giudizio 
di ottemperanza. 

SuJ punto, peraltro, la giurisprudenza di questo Consiglio non presenta 
univoche soluzioni. Infatti, alla rigorosa esclusione dell'ammissibilit� 
della domanda in parola, pronunciata dalla V Sezione, con decisione 
11 dicembre 1982, n. 836, sembra contrapporsi il riconoscimento -ad 
opera della decisione 21 maggio 1984, n. 295, resa dalla VI Sezione che 
l'istanza di rivalutazione non introduce accertamenti nuovi ed ulteriori 
rispetto a quello richiesto per far valere l'adempimento o il ritardato 
adempimento dell'obbligazione principale a . carico della Pubblica 
amministrazione. Viene argomentato, in proposito, che il credito retributivo 
del pubblico dipendente, non diversamente da quello del lavorante 
privato, si sottrae, mediante i cennati meccanismi di automatica conservazione 
del valore reale, alla rigida applicazione del principio nominalistico. 


In presenza della considerata alternativit� di . orientamento, il Collegio 
ritiene opportuno deferire all'Adunanza plenaria l'esame della questione 
sopra prospettata, nei limiti attinenti alle pretese per crediti 
di lavoro, ai sensi dell'art. 45 secondo comma del t.u. approvato con 

r.d. 26 giugno 1924, n. 1054. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 633 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 13 maggio 1985, n. 197 � Pres. Buscemi Est. 
Luci � Ministero Industria (avv. Stato Sernicola) c. Comune di 
Rossano Calabro (avv. Garofalo) e Enel (avv. M. Nigro). 

Giustizia amministrativa � Appello incidentale -Termine -Riproposizione 
dei motivi del ricorso -Ammissibilit�. 

Urbanistica � Edilizia -Enel -Costruzione di oleodotto -Difetto di concei:;. 
sione � Sospensione dei lavori -Illegittimit�. 

� ammissibile l'appello al Consiglio di Stato, proposto dalla parte 
soccombente, che sia stato notificato entro il termin~ di 60 giorni dalla 
notificazione dell'appello di altra parte soccombente, e comunque entro 
il termine prescritto per l'impugnazione principale e che riproduca motivi 
di illegittimit� gi� formulati nel provvedimento impugnato, anche 
se deduca vizi propri 'della decisione. (1) 

� illegittimo il provvedimento del sindaco che ordina la sospensione 
dei lavori intrapresi dall'Enel per la costruzione di un oleodotto, perch� 
privi di concessione, ma dichiarati conformi agli strumenti urbanistici 
dal Ministro dei LL.PP. di intesa con la regione. (2) 

(omissis) -Preliminarmente, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilit� 
degli appelli, dedotte dai Comuni resistenti con riferimento 
a diversi rilievi: 

1) perch� trattasi di un appello � principale � proposto dopo la 
notifica di analogo ,appello del Ministero dell'industria (quanto alla impugnazione 
dell'ENEL); 

2) perch� non vengono impugnate parti delle sentenze autonomamente 
idonee a sorreggerle e perch� i gravami sono basati su motivi 
�non riconducibili ai motivi del ricorso di primo grado� (quanto ad 
entrambe le impugnazioni); 

3) per difetto di posizione soggettiva tutelabile e di interesse in 
relazione ai provvedimenti impugnati (quanto all'appello del Ministero). 
Le eccezioni sono da respingere. 

Quanto alla prima, vero � che, nel caso in cui nel giudizio di primo 
grado siano rimaste soccombenti pi� parti e, una di queste proponga 
appello contro la sentenza, le altre parti, ove intendano anche esse 
impugnare, devono proporre appello incidentale nei modi e nei termini 
per esso previsti (Sez. VI, maggio 1983: n. 308), e ci� in quanto anche 

(1-2) La prima questione sul termine per la proposlZlone dell'appello � 
stata gi� esaminata dall'Ad. plen., 18 luglio 1983, n. 20; la seconda � conforme 
all'Ad. plen., 20 maggio 1980, n. 18. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

634 

nel processo amministrativo trova applicazione il princ1p10 generale, 
ricavato dall'art. ~33 cod. proc. civ. secondo il quale sussiste interesse 
a che tutte le impugnazioni avverso la stessa sentenza vengano concentrate 
ed unitariamente trattate e decise dal giudice dell'impugnazione, 
per evidenti ragioni di economia processuale ed al fine di evitare l'eventuale 
formarsi di giudicati tra loro contrastanti (Sez. V, 15 dicembre 1978, 

n. 1614). 
Tuttavia, deve ritenersi che l'appello proposto in via principale 
possa valere come impugnazione incidentale, a condizione che sia stato 
proposto entro i termini di decadenza propri delle impugnazioni incidentali; 
termini che, per il processo amministrativo, vanno ricavati dagli 
artt. 37 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 e 29 della legge 6 dicembre 1971 

n. 1034 (trenta giorni dalla scadenza del termine assegnato per il deposito 
della impugnazione principale, e cio� sessanta giorni dalla notificazione 
della stessa) (Sez. IV, 25 marzo 1983, n. 165). 
Ed inoltre una volta raggiunto, mediante la riunione di pi� impu


gnazioni separate avverso la stessa sentenza, lo scopo della loro con� 

centrazione, l'eventuale violazione del principio di cui all'art. 333 cod. 

proc. civ. circa i termini ed i modi dell'impugnazione incidentale, nep


pure produce conseguenze in ordine alla ammissibilit� della seconda 

impugnazione, la cui tempestivit� ben pu� essere accertata secondo le 

regole generali e con riferimento al termine previsto per impugnare in 

via principale (Sez. VI, 2 maggio 1983, n. 308, cit.). 

Nel caso di specie, pertanto, l'appello dell'ENEL essendo stato noti� 

ficato il 25 novembre 1983 e quindi entro il termine di sessanta giorni 

dalla notificazione dell'appello del Ministero dell'industria (3 novembre 

1983) e risultando, altres�, proposto nel termine prescritto per l'impu


gnazione principale, non pu� essere considerato intempestivo e di con


seguenza inammissibile. 

Quanto al secondo rilievo dedotto dai resistenti, va considerato che, 

pur essendo la sentenza impugnata l'ogg�1tto immediato del ricorso in 
�appello, sussiste tuttavia identit� di contenuto tra il giudizio di impugnazione 
e� quello di primo grado, dal momento che l'effetto devolutivo 
dell'appello stesso implica il riesame, nei limiti dell'impugnazione, dei 
motivi di illegittimit� dedotti avverso l'originario provvedimento im


pugnato. 

Altro non occorre, quindi, ai fini dell'ammissibilit� dell'appello, ~e 
non la riesposizione delle ragioni fatte� valere in primo grado, e cio� i 
motivi di illegittimit� dell'atto sottostante respinti dal primo giudice; 
mentre la esposizione delle specifiche ragioni per le quali, a sua volta, 
questo giudizio viene ritenuto ingiusto, onde se ne richiede la riforma, 
attengono ad un maggiore spiegamento delle facolt� di difesa, in vista 
soltanto di un pi� completo ed esauriente riesame della controversia 
(Ap., 21 ottobre 1980, n. 37). 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Non occorre, in definitiva, dedurre, al fine dell'ammissibilit� dell'appello, 
in quanto mezzo di gravame, vizi propri della sentenza impugnata, 
essendo sufficiente che il soccombente si dolga dell'erroneit� della 
decisione del primo giudice, perch� l'intera materia del contendere passi 
all'esame del giudice di appello, salvi gli effetti del giudicato interno, 
eventualmente formatosi sui capi autonomi della decisione non fatti 
oggetto di specifica impugnativa (Sez. VI, 9 febbraio 1983, n. 67). , 

Deriva, da quanto precede la inammissibilit� della relativa eccezibne 
formulata dagli ;:tppellati, peraltro infondata anche nel merito, dal momento 
che tanto l'ENEL quanto il .Ministero dell'industria, oltre a 
riprodurre i motivi dell'originario ricorso, hanno anche dedotto specifiche 
circostanziate censure alla sentenza del T.A.R. 

Motivi, peraltro, che non sono nuovi rispetto a quelli dedotti in 
primo grado, dato che di essi sono riproduzione, ovvero (per quanto 
riguarda la prima censura dell'ENEL) semplice migliore puntualizzazione 
e specificazione. 

Quanto, infine, al terzo dei rilievi dedotti, va considerato che la 
posizione soggettiva tutelata del Ministero dell'industria e l'interesse 
dello stesso a ric�rrere scaturiscono dalla sua partecipazione al procedimento 
preordinato alla esecuzione dell'opera, di cui propriamente ha 
determinato la localizzazione, rilasciando all'ENEL la prevista autorizzazione 
con decreto del 13 maggio 1980 non impugnato. 

Nel merito le amministrazioni appellanti riproducono le censure 
dedotte in primo grado, ribadendo che i provvedimenti di sospensione 
dei lavori di costruzione dell'oleodotto, realizzato dall'ENEL, sono illegittimi 
sotto un duplice profilo: perch� adottati in violazione del disposto. 
di cui all'art. 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, in base al quale l'esecuzione 
di opere da realizzarsi da amministrazioni statali, ovvero di 
opere di interesse statale (tra cui dovrebbero ricomprendersi quelle 
considerate), non implica la necessit� della preventiva concessione edilizia; 
perch� non contenenti un termine di durata della sospensione dei 
favori, ed in quanto viziate da illogicit� e sviamento di potere, per essere 
in contrasto con gli atti delle diverse Autorit� che avevano approvato 
il progetto e per essere determinate da valutazioni non propriamente 
urbanistiche. 

La difesa dell'ENEL, dal canto suo, ulteriormente sviluppando la 
prima delle censure anzidette, rileva che, essendo stato seguito il procedimento 
di cui al secondo-comma deJJ'art. 81 del menzionato d.P.R. 

n. 616 del 1977, con valutazioni di conformit� agli strumenti urbanistici 
da parte del Ministero dei lavori pubblici, non residuava alcuno spazio 
di intervento per le. amministrazioni resistenti. 
Viene, infine, censurata la sentenza appellata per aver ritenuto applicabile 
nella specie la diversa normativa di cui alla legge n. 880 del 1973 
e per aver ritenuto che il secondo e terzo comma di cui al richiamato 


636 RASSEGNA DELL'A,VVOCATURA DELLO STATO 

art. 81 d.P.R. n. 616 del 1977 disciplinino ipotesi tra loro diverse, ricollegantesi, 
invece, ad unico fondamento, costituito dalla finalit� di risolvere 
eventuali conflitti tra Autorit� nazionali e locali, per cui entrambi 
precludono qualsiasi intervento comunale, quanto al rilascio della concessione 
edilizia. 

Cosi sintetizzata, la proposta impugnazione � da ritenere fondata e 
meritevole, pertanto, di accoglimento. 
L'ENEL ha intrapreso la costruzione di un oleodotto di collegamento 
della centrale termoelettrica di Rossano Calabro con il porto di Sibari. 

Per l'esecuzione delle relative opere il Ministero dei lavori pubblici, 
con atto 28 febbraio 1979 adottato d'intesa con la Regione Calabria, ha 
accertato la conformit� agli strumenti urbanistici dei Comuni interessati, 
cui ha fatto comunicazione, non impugnata, il 12 maggio 1979. 

I Sindaci dei Comuni di Rossano e Corigliano Calabro hanno, per�, 
disposto la sospensione dei lavori in quanto non era stata rilasciata la 
concessione edilizia. 

Si tratta, pertanto, di stabilire se la concessione anzidetta fosse o 
meno necessaria, in relazione al tipo di opera pubblica ed alla valutazione 
di conformit� da parte del Ministero, e poi eventualmente verificare 
se i provvedimenti impugnati siano inficiati dai dedotti vizi di 
illogicit� e sviamento di potere. 

Al fine anzidetto, occorre, in primo luogo. individuare la normativa 
da applicare nella specie, che il T.A.R. ha ritenuto di identificare nella 
legge 18 dicembre 1973, n. 880, concernente la produzione di energia 
elettrica. 

Tale legge riguarda peraltro (art. l, prima parte) pi� propriamente, 
la localizzazione, la costruzione e la gestione sul territorio nazionale 
dei nuovi impianti termici per la produzione di energia elettrica e la 
localizzazione e costruzione delle reti di trasporto ad alta tensione, tra 
cui certamente non pu� ricomprendersi l'oleodotto di cui � questione. 

Riguarda, altresi, (art. l, seconda parte) l'ampliamento degli impianti 
esistenti, da effettuarsi da parte dell'ENEL, tra cui neppure pu� includersi 
l'oleodotto stesso, che costituisce un'opera a s� stante rispetto alla 
centrale termoelettrica e di cui non determina comunque un ampliamento. 


N� il carattere accessorio o pertinenziale (quale ritenuto dal T.A.R.) 
dell'opera rispetto alla centrale stessa, ne comporta l'assoggettabilit� alla 
legge anzidetta, atteso che la medesima ha un ambito di applicazione 
che riguarda soltanto la costruzione e l'ampliamento degli impianti produttivi 
e non anche qualunque opera ad essi accessoria o pertinenziale. 

Una conferma della estraneit� dell'oleodotto nell'ambito di applicazione 
della legge n. 880 del 1973 si ricava dal confronto del disposto di 
cui all'ultimo comma dell'art. 81 con quello di cui al n. 4 dell'art. 88 
del d.P.R. n. 616 del 1977. 


PARTE l, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRAnVA 

La prima di tali norme stabilisce, infatti, che resta fermo quanto 
previsto dalla legge 18 dicembre 1973, n. 880,. laddove il n. 4 del successivo 
art. 88 riserva allo Stato, tra le altre, le 'opere relative al trasporto, 
anche a mezzo di condotte, di risorse energetiche, per le quali richiama 
la procedura di cui all'art. 81 secondo comma e seguenti dello stesso d.P.R. 

Interpretando, pertanto, in maniera corretta le norme suindicate, 
appare incontestabile che la costruzione dell'oleodotto da parte dell'ENEL 
in quanto destinato al trasporto di olio combustibile, va sottratta al regime 
relativo alla realizzazione ed ampliamento degli impianti elettrici ed 
assoggettata, .invece, alla regolamentazione di cui all'art. 81 d.P.R. n. 616 
del 1977. 

Ritenuto, quindi, che la fattispecie � regolata dall'art. 81 del detto 

d.P.R. occorre, ulteriormente, stabilire se di tale disposizione debba, pi� 
propriamente, applicarsi il secondo ovvero il terzo comma, di cui peraltro 
vanno determinati anche l'esatto contenuto e la portata. 
Non � sufficiente, infatti, per la risoluzione della cohtroversia, rilevare 
che il procedimento concretamente seguito � quello di cui al secondo 
anzidetto comma, dal momento che, come ha precisato la difesa delle 
amministrazioni appellate, oggetto della normativa riguardante l'istituto 
della concessione edilizia sono le attivit� e non le procedure adottate per 
realizzarle. 

Non ritiene, peraltro, il collegio che l'oleodotto costruito dall'ENEL 
possa ricomprendersi tra le opere � da eseguirsi da una amministrazione 
statale� cui si rifer.isce il secondo comma dell'art. 81 d.P.R. n. 616 del 1977. 

L'ENEL, infatti, pur perseguendo interessi e finalit� di rilevanza 
generale, non �, tuttavia, una amministrazione statale in senso proprio, 
identificando, piuttosto, un ente distinto e diverso dallo Stato, per cui 
trova applicazione la disciplina del terzo comma del medesimo art. 81. 

La ritenuta applicabilit� della disposizione indicata, anzich� di quella 
di cui al precedente comma, non implica, per�, contrariamente a quanto 
ritenuto dal T .A.R., alcuna particolare conseguenza in ordine alla soluzione 
della controversia, dal momento che, anche nell'ipotesi di cui al 
terzo comma dell'art. 81 d.P.R. n. 616 del 1977, non si richiede il preventivo 
rilascio della concessione edilizia. 

In realt�, la disposizione disciplina specificamente le modalit� di 
progettazione di massima ed esecutiva delle opere pubbliche di interesse 
statale, da realizzarsi dagli enti istituzionalmente competenti, che siano 
difformi, quanto alla loro localizzazione e alle scelte del tracciato, dalle 
prescrizioni e dai vincoli delle norme o dei piani urbanistici ed edilizi. 

E stabilisce che, in tal caso, debba provvedervi l'Amministrazione 
statale competente, d'intesa con le Regioni interessate, che devono preventivamente 
sentire gli enti locali nel cui territorio sono previsti gli 
interventi. 


638 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Intesa che, se non realizzata entro novanta giorni dalla data di ricevimento 
da parte della Regione dei programmi di intervento e qualora il 
Consiglio dei Ministri ritenga che si debba procedere in difformit� delle 
prescrizioni degli strumenti urbanistici, � sostituita, sentita la Commissione 
interparlamentare per le questioni regionali, dal decreto del Presidente 
della Repubblica, da adottarsi previa deliberazione del Consiglio 
dei ministri medesimo e su proposta del Ministro o dei Ministri competenti 
per materia (quarto comma, art. 81 menzionato). 

Appare evidente, per�, che tale norma presuppone implicitamente 
ma inequivocabilmente, che, nel caso da essa regolamentato, si prescinda 
dalla concessione edilizia del Sindaco, dal momento che, non si spiegherebbe, 
altrimenti, come possa realizzarsi concretamente J'intesa con le 
(sole) Regioni e rispetto alla quale i Comuni debbono essere solo sentiti, 
oppure come possa, in mancanza, addirittura imporsi la determinazione 
statale, anche se vi sia difformit�, rispetto alle previsioni degli strumenti 
urbanistici comunali che non consentirebbero giammai il rilascio 
della concessione stessa. 

In realt�, come ben ha sottolineato la difesa dell'ENEL, le ipotesi 
regolamentate dal secondo e terzo comma dell'art. 81 d.P.R. n. 616 del 1977 
appartengono ad un unico contesto logico e rispondono ad una unica 
finalit�, che � quella di realizzare un meccanismo di soluzione dei possibili 
conflitti tra autorit� statali e locali in merito alla localizzazione e 
realizzazione delle opere di interesse dello Stato. 

In entrambi i casi la valutazione circa la conformit� o meno delle 
opere stesse agli strumenti urbanistici ed edilizi viene riservata, in relazione 
alla. natura delle opere medesime, all'autorit� statale che deve 
procede~e, certamente, con l'intesa delle Regioni, ma che pu� anche imporre 
la propria determinazione, sia pure in esito ad un complesso meccanismo 
procedimentale, qualora l'intesa, sebbene in presenza di un contrasto 
con gli str�menti urbanistici medesimi, non si realizzi. 

Non residua, pertanto, in tale contesto, alcun potere valutativo finale 
per gli enti locali i quali, qualora si tratti di opere pubbliche di interesse 
statale da realizzarsi dagli enti istituzionalmente competenti, vanno sentiti 
preventivamente e possono, soltanto in quella sede, fare eventualmente 
valere le proprie ragioni circa la scelta e le programmazioni urbanistiche, 
dovendo, alla fine, subire eventuali determinazioni adottate dall'autorit� 
statale, ancorch� contrastanti con gli strumenti urbanistici. 

N� a diversa conclusione induce il richiamo al disposto di cui al�a 
lett. f dell'art. 9 della legge n. 10 del 1977 secondo cui la concessione 
edilizia, anche se gratuitamente rilasciata, occorre anche per le � opere 
pubbliche d� interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti
�, dal momento che tale norma, la quale peraltro � antecedente 
a quella di cui all'art. 81 d.P.R. Il� 616 del 1977, non esclude che, per la 
categoria pi� specifica delle opere di interesse statale, si possa, con 


PARTE I, SEZ. V; GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

particolare statuizione, prescindere dalla concessione stessa e sostituirla 
con un diverso procedimento di valutazione urbanistica riservata allo 
Stato, in considerazione del particolare interesse che ad esso fa capo. 

D'altra parte, la soluzione adottata non appare in contrasto con la 
natura della concessione edilizia di cui all'art. 10 della richiamata legge 

n. 10 del 1977. 
Anche ipotizzandone, infatti, il carattere propriamente concessorio 
(il che non � agevole specialmente dopo la sentenza n. 5 del 1980 Corte 
costituzionale), non si tratterebbe comunque di una concessione di tipo 
traslativo, quale invece dovrebbe ritenersi, qualora il potere (lo ius 
aedificandi) fosse di spettanza comunale, e non gi� inerente alla propriet� 
del suolo. 

Circostanza che emerge chiaramente da tutto il contesto della legge, 
e particolarmente dal fatto che ius aedificandi e propriet� del suolo, 
quand'anche vogliano in ipotesi ritenersi separati, la concessione e detta 
propriet�, sono certamente correlate nel senso che, come il proprietario 
del suolo non pu� edificare in mancanza della concessione, cos� la 
Pubblica amministrazione concedente non pu� intraprendere iniziative 
edilizie su di un suolo che non sia preventivamente acquisito al proprio 
patrimonio (Sez. VI, 1� marzo 1980, n. 219). 

Dovendosi, pertanto, escludere che con le singole concessioni edilizie 
il Comune disponga di interessi esclusivamente propri, risulta confermato, 
anche sotto un profilo sistematico, che non � ravvisabile alcuna 
preclusione (sul piano logico e razionale) a che, in situazioni particolarmente 
qualificate, la legge possa prescinderne, riservando ad altra autorit� 
la valutazione pubblicistica sottesa all'atto concessorio e normalmente 
riservata al Sindaco. 

In definitiva, si deve ritenere che, nel caso considerato, si poteva 
prescindere dalla concessione edilizia e dall'ulteriore meccanismo procedimentale 
di cui al quarto comma dell'art. 81, n. 616 del 1977, in quanto 
era stata gi� verificata la conformit� dell'opera agli strumenti urbanistici 
locali. 

Conformit�, peraltro, legittimamente ritenuta dal momento che la 
destinazione a zona agricola del terreno non poteva precludere la realizzazione 
dell'oleodotto non essendo lo stesso di per s� idoneo ad alterare 
tale destinazione. 

Era stata, inoltre, raggiunta l'intesa con la Regione Calabria che aveva 
a sua volta, preventivamente informato i Comuni resistenti, per provocarne 
eventuali contrarie valutazioni, i quali, peraltro, nulla deducevano 
circa l'osservanza delle prescrizioni previste dagli strumenti urbanistici. 

Se dunque non era' richiesta alcuna concessione edilizia e non residuava 
spazio per ulteriori valutazioni da parte delle amministrazioni 
locali interessate, i provvedimenti di sospensione dei lavori, adottati dai 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

640 

Sindaci dei Comuni di Rossano e Corigliano Calabro, indipendentemente 
dall'esame delle altre censure ad esse relative che possono ritenersi 
assorbite, sono illegittimi e vanno . quindi annullati. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 21 ottobre 1985, n. 520 -Pres. Quartulli Est. 
Luce -Prefetto di Roma (avv. Stato Semicola) c. Franchi (avv. 
Nardone). 

Lavoro -Sciopero -Diritto costituzionalmente protetto -Mancanza di leggi 
ordinarie regolatrici -Suo esercizio -Limiti inerenti alla categoria Ordinanza 
di urgente necessit� -Ammissibilit�. ' 

La mancanza di leggi ordinarie regolatrici del diritto di sciopero non 
implica che il diritto stesso possa esercitarsi incondizionatamente, bens� 
piuttosto che non possono frapporsi al suo esercizio limiti ulteriori 
rispetto a quelli ad esso coessenziali (ad es. sicurezza pubblica) che 
servono a delimitare la categoria quale � assunta e garantita dalla Costituzione, 
con la conseguenza che legittimamente vengono emanate ordinanze 
prefettizie di urgente necessit� tendenti a soddisfare esigenze di 
ordine e sicurezza pubblica (1). 

(omisst) Il T.A.R. del Lazio ha dichiarato il difetto di giurisdizione 
del giudice amministrativo ritenendo che, in mancanza di leggi che lo 
disciplinino, il diritto soggettivo di sciopero, costituzionalmente garan� 
tito, possa esercitarsi liberamente e senza alcuna limitazione. 

La riserva di legge per esso prevista, avrebbe lasciato al legislatore 
ordinario la pi� ampia discrezionalit� nel procedere alla sua concreta 
conformazione; ed il non uso del potere anzidetto starebbe a significare, 
che, al momento, sussiste una precisa volont� di lasciare senza limiti 
l'esercizio del diritto, quali che siano le conseguenze che ne possano 
derivare. 

(1) Massima esatta che puntualizza, come si desume dalla motivazione, 
esatti limiti al potere di ordinanza ai fini della discriminazione della giurisdizione 
amministrativa da quella ordinaria. 
Come si � osservato nelle difese svolte sul giudizio, i limiti costituzionali del 
diritto di sciopero derivano, anzitutto, dalla norma generale contenuta nell'art. 
2 della Costituzione dalla quale risulta chiaramente che le situazioni soggettive 
da tale norma considerate, implicano la coesistenza di � diritti � e di 
� doveri inderogabili di solidariet� politica, economica e sociale �; onde al 
diritto riconosciuto dalla norma costituzionale � connaturale una limitazione 
preordinata alla tutela di altri diritti egualmente garantiti ovvero di preminenti 
interessi della collettivit�. 

Invero, la Corte Costituzionale ha pi� volte affermato che, anche in 
assenza di una particolare disciplina legislativa, il diritto di sciopero incontra 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 641 

N� -secondo il T.A.R. -sarebbe consentito al giudice sostituirsi 
al legislatore, al fine di eliminare o attenuare le conseguenze negative 
dell'esercizio indiscriminato del diritto di sciopero, escogitando soluzioni 
limitatrici che non possono . trovare il loro supporto in precise disposi� 
zioni normative. 

Men che mai, poi, un potere sostitutivo dell'intervento legislativo 
potrebbe riconoscersi all'amministrazione, nemmeno in relazione alle 
esigenze di pubblica necessit�, dovendosi, tra l'altro, escludere che le 
ordinanze di cui all'art. 2 del t.u. n. 773 del 1931 possano limitare l'esercizio 
di diritti garantiti dalla Costituzione. 

La ritenuta carenza di potere del Prefetto, quindi, a disciplinare la 
materia implicherebbe che l'ordine di precettazione impugnato debba 
considerarsi inidoneo a provocare l'effetto di degradazione delle originali 
posizioni giuridiche soggettive, con la ulteriore implicazione che le 
posizioni fatte valere dagli iniziali ricorrenti identificano diritti soggettivi 
lesi la cui tutela compete alla giurisdizione del giudice ordinario. 

N� tale conclusione -secondo il T.A.R. -pu� essere confutata con 
richiamo della l. 23 maggio 1980, n. 242 che, all'art. 4, fissa alcuni principi 
relativi all'esercizio del diritto di sciopero da parte del personale addetto 
al servizio di assistenza al volo. 

Tale legge, infatti, � di mera delega al Governo ed avrebbe perso 
vigore per il mancato esercizio della delega stessa nel periodo previsto. 

D'altra parte, poi, anche ad ammetterne una immediata e perdurante 
vigenza, quanto ai principi generali in essa contenuti, ugualmente, dovreb� 
be escludersi ogni possibilit� di intervento del prefetto, attesa la previsione 
dell'intervento limitativo del solo Ministro dei Trasporti. 

In ogni caso -sempre secondo il T.A.R. -l'intervento dei prefetti a 
norma dell'art. 2 del t.u. 18 giugno 1931, n. 773, potrebbe ritenersi giustifi� 
cato soltanto nel caso in cui lo sciopero venga indetto, contrariamente 
al caso considerato, con violazione della procedura prevista dall'art. 4 
della legge stessa. 

dei limiti � (coessenziali ad esso, come qualsiasi specie di diritto)� che derivano 
� in modo necessario dal concetto stesso dello sciopero, oppure dalla necessit� 
di contemperare le esigenze dell'autotutela di categoria con le altre discendenti 
da interessi generali i quali trovano diretta protezione in principi consacrati 
nella stessa Costituzione � (Corte Cost., 28 dicembre 1962, n. 123; id., 3 agosto 
1976, n. 222, in Foro it., 1963, I, 5 e ss.; id., 1976, I, 2297 e ss.). 

L'accennato criterio che determina il limite per l'esercizio del diritto nella 
esigenza del rispetto del � nucleo degli interessi generali assolutamente premi� 
nenti � (sent. n. 123 del 1962 sopra cit.), � stato, come � noto, adottato dalla 
giurisprudenza costituzionale anche in relazione allo sciopero del personale 
addetto a funzioni od a servizi pubblici � da considerarsi essenziali per il loro 
carattere di preminente interesse generale �, la cui individuazione � rimessa 
al giudice competente (Corte Cost., 3 agosto 1976, n. 222, in Foro it., 1976, I, 
2297); ed in base ad una valutazione comparativa degli interessi in c�nflitto � 



642 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Il T.A.R., infine, ha escluso che la questione possa comunque farsi 
rientrare nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
in materia di pubblico impiego. 
Con il proposto appello l'amministrazione ricorrente contesta l'asserita, 
attuale, mancanza di� limiti al diritto di sciopero; sottolineando che 
la mancata regolamentazione legislativa implica, invece, che i limiti, 
coessenziali al diritto stesso, vanno, frattanto, desunti dalla complessiva 
legislazione vigente. 
Limiti, peraltro, la cui individuazione in sede di interpretazione, non 
implica sostituzione al legislatore, dal momento che la libert� di questo 
ultimo non pu� esercitarsi in maniera da riuscire lesiva di altri principi 
costituzionali indirizzati alla tutela di beni pari ordinati rispetto a quelli 
affidati all'autotutela di categoria. 
Limiti che si ricollegano, comunque, all'esigenza di assicurare la vita 
stessa dello Stato e che ben possono scaturire da provvedimenti di 
precettazione emessi ai sensi dell'art. 2 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 che, 
peraltro, non innovano al diritto oggettivo, bens� dispongono in relazione 
a determinate e concrete situazioni di fatto. 
L'Amministrazione appellante sottolinea, inoltre, la contraddittoriet� 
dei riferimenti alla previsione di cui all'art. 4 della I. 23 maggio 1980, 
n. 242 e deduce, altres�, l'inammissibilit� e l'infondatezza nel me.rito degli 
originari ricorsi. 
L'appello � fondato e va, pertanto, accolto, in relazione alle censure 
concernenti la questione di giurisdizione, che hanno carattere preliminare 
ed assorbente, essendo l'impugnata sentenza basata su di un presupposto 
erroneo, che ne ha condizionato tutto lo svolgimehto argomentativo. 
Contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., la mancanza di leggi 
ordinarie che disciplinino il diritto di sciopero, di cui all'art. 40 della 
Costituzione, non implica la conseguenza che lo stesso possa, attualmente, 
esercitarsi illimitatamente e senza alcun condizionamento. 
stato ad es. attribuito carattere preminente alla esigenza di assicurare la conservazione 
di beni, la integrit� fisica e la vita delle persone (Corte Cost., 
28 dicembre 1962, n. 124, in Foro it., 1963, I, 1 e ss., concernente l'esercizio 
dello sciopero nel lavoro marittimo; vedasi pure sent. n. 222 del 1976 sopra cit. 
relativa allo sciopero del personale addetto ad ospedale psichiatrico). 
Inoltre, l'accennata esigenza di tutela di interessi di carattere preminente, 
come � riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, giustifica 
interventi dell'autorit� amministrativa che � tendano a contenere gli effetti dannosi 
dello sciopero, specie ove ricadano su servizi pubblici essenziali '" Sotto 
tale profilo sono state ritenute legittime le norme che ammettono la sostituzione 
con messi comunali nell'attivit� di notificazione degli organi normalmente 
competenti la cui assenza sia determinata dall'esercizio dello sciopero (art. 34, 
d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229) e consentono di affidare a notai le funzioni 
dei cancellieri la cui assenza sia determinata da eguali motivi (arL 74, legge 
Il 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 643 

La giurisprudenza costante della Corte costituzionale, a partire dalla 
sentenza n. 123 del 1962, � nel senso che, non avendo il legislatore ordinario 
provveduto ad emanare le leggi regolatrici previste dalla norma 
costituzionale, i limiti � coessenziali � al diritto di sciopero vanno, frattanto, 
desunti sulla base della legislazione vigente. 

Lo sciopero, in quanto di~itto soggettivo, non �, cio�, ontologicamente, 
illimitato, atteso che il suo esercizio, tra l'altro, non pu� svolgersi 
nel contrasto con altri diritti, altrettanto assistiti da garanzia 
costituzionale, ed in ogni caso contro interessi (quale ad esempio la 
sicurezza collettiva) che devono considerarsi assolutamente preminenti, 
anche rispetto all'autotutela degli interessi di categoria (Corte cost., 

n. 123 del 1962). 
Non pu� concepirsi, infatti, un ordinamento il quale si basi su di 
un unico, assoluto, valore; ed anteponga la sua sicurezza ed, al limite, 
la sua stessa esistenza alla tutela di un diritto che, per quanto rilevante, 
deve comunque esercitarsi in maniera da consentire il mantenimento, 
almeno, dei presupposti indispensabili al suo riconoscimento. 

La mancanza di leggi ordinarie regolatrici, quindi, non implica che 
il diritto di sciopero possa esercitarsi incondizionatamente, bens� piuttosto 
che non possano, frattanto, frapporsi al suo esercizio limiti ulteriori 
rispetto a quelli ad esso coessenziali, non meno che ad ogni altro 
diritto soggettivo, anche se costituzionalmente garantito. 

N� vale il rilievo del T.A.R. secondo cui l'individuazione dei limiti 
anzidetti comporterebbe un'interferenza rispetto alla disciplina riservata 
dalla Costituzione al legislatore ordinario, dal momento che �la libert� 
del legislatore (medesimo) in materia non pu� esercitarsi in misura tale 
da riuscire lesiva di altri principi costituzionali,, indirizzati alla tutela 
di beni singoli pari ordinati rispetto a quelli affidati all'autotutela di 
categoria, oppure alle esigenze necessarie ad assicurare la vita stessa 
della Comunit� e dello Stato� (Corte cost., 17 marzo 1969, n. 31). 

23 ottobre 1960, n. 1196, Corte Cost., 23 luglio 1980, n. 125 in Foro it., 1980, I, 
2369 e ss.). 

Per analoghe ragioni concernenti l'esigenza della tutela di interessi preminenti 
� stata anche riconosciuta la legittimit� costituzionale delle norme che 
attribuiscono all'autorit� amministrativa il potere di emettere ordinanze extra 
ordinem in presenza di situazioni eccezionali. 

Con la sentenza n. 8 del 2 luglio 1956 (Foro it., 1956, I, 1050 e ss.) la Corte 
Costituzionale dichiarava, come � noto, non fondata la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 2 del t.u.p.s. approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773, che 
attribuisce ai prefetti il potere di adottare, in caso di urgenza e gravi necessit� 
pubbliche, i provvedimenti indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico e 
della sicurezza pubblica; e ci� attribuendo, in senso conforme alla costante 
interpretazione data alla norma dalla giurisprudenza, a tali provvedimenti il 
carattere di atti amministrativi con efficacia limitata nel tempo e nell'ambito 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

644 

In definitiva, quindi, lungi dall'implicare una illegittima conformazione 
del diritto di sciopero, come erroneamente ritenuto dal T.A.R., la 
ricerca e l'individuazione dei limiti � coessenziali � al diritto stesso, serve, 
pi� semplicemente, a delimitare la categoria quale � assunta e garantita 
nel contesto costituzionale. 

In questo quadro, ad es., in numerose occasioni, la Corte costituzionale 
ha affermato, che la tutela (della salute e) dell'incolumit� delle 
persone non pu� non limitare il concreto esercizio del diritto di sciopero, 
cos� come avviene per altri interessi che trovano, del pari, riconoscimento 
nel testo costituzionale e la cui salvaguardia, insieme a quella 
della sicurezza verso l'esterno, costituisce la prima ed essenziale ragione 
d'essere dello Stato � (Corte cost., n. 31 del 1969). 

La stessa Corte, pur nell'ammettere che l'esercizio del diritto di 
sciopero � garantito anche se implichi l'interruzione di servizi pubblici, 
ha, tuttavia, precisato che deve, per�, trattarsi di servizi il cui funzionamento 
non sia da considerare essenziale e cio� indispensabile alla 
collettivit�, aggiungendo, altres�, che l'iridividuazione di tali ultimi servizi 
viene rimessa alla concreta determinazione del giudice competente (Corte 
cost., n. 222 del 1976). 

Consegue da quanto precede che, pur nella perdurante assenza di 
apposita specifica normativa, limiti all'esercizio del diritto di sciopero 
possano derivare, attualmente, da esigenze correlate alla sicurezza ed 
all'ordine pubblico; e che, quindi, la previsione di cui all'art. 40 della 
Costituzione non costituisce ostacolo all'emanazione delle ordinanze prefettizie 
di necessit� ed urgenza in relazione al disposto di cui all'art. 2 
del r.d. n. 773 del 1931, che l'ordine e la sicurezza pubblica tendono a 
preservare. . 

Quanto precede non � sufficiente, per�, a far ritenere risolto il problema 
della giurisdizione, dal momento che occo~re, al riguardo, verificare 
se l'ordinanza impugnata sia stata emanata nell'ambito dei limiti 
posti dall'ordinamento all'esercizio dell'anzidetto potere del prefetto di 
cui all'.art. � 2 del t.u. n. 773 del 1931. 

territoriale. Vero � che la questione � stata poi riesaminata con la sentenza 

n. 26 del 27 maggio 1961 (Foro ilt., 1961, I, 888 e ss.), ma anche questa sentenza 
non ha �eliminato dal mondo del diritto� la norma sopra cit. (Cons. di Stato, 
IV Sezione, 22 giugno 1976, n. 486, in Cons. Stato, 1976, I, 710 e ss.): la motivazione 
della citata sentenza premette che gi� nella precedente del 1958 si avvertiva 
che le ordinanze in considerazione devono essere emanate nel rispetto dei 
principi dell'ordinamento giuridico e prospettando l'ipotesi che provvedimenti 
rli>J genere (chP. non possono avere carattere normativo e possono essere emanati 
entro i limiti indicati nella cit. sent. n. 8/1956) invadano campi ove si 
esercitano i diritti dei cittadini garantiti dalla Costituzione� aggi�nge che in 
tale evenienza spetta al giudice competente di accertare se nei singoli casi 
sussista la violazione di quei diritti (in tal senso anche Cons. Stato, Sez. IV, 
dee. 486/1976 sopra cit.). 

PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 645 

Limiti tra i quali, per quanto rilevato in precedenza, non pu� farsi 
rientrare l'asserita intangibilit� del diritto di sciopero, atteso che, come 
riscontrato, tale diritto presenta, anche esso, limiti coessenziali in relazione 
ai quali � consentito l'intervento compressivo dell'autorit� amministrativa. 


L'indagine, peraltro, relativa alla individuazione dei limiti del potere 
di ordinanza del Prefetto va svolta confrontando in astratto la situazione 
enunciata dalle parti e la previsione legislativa quale risulta, particolarmente, 
dalla !interpretazione che ne ha dato la Corte costituzionale. 

E solo qualora dovesse ritenersi, in esito al confronto anzidetto, che 
siano stati violati i limiti posti dall'ordinamento all'attribuzione del 
potere in esame, potrebbe conseguire la conferma della declaratoria della 
giurisdizione del giudice ordinario atteso che, in tale ipotesi, l'atto emanato, 
in quanto adottato nella assoluta carenza di potere amministrativo, 
dovrebbe considerarsi non idoneo a produrre l'effetto di affievolimento 
dell'originaria posizione di diritto soggettivo. 

Qualora, viceversa, si dovesse concludere che l'autorit� amministrativa 
ha operato nell'ambito del potere ad essa attribuito dall'ordinamento 
e nei limiti stabiliti per l'esistenza del potere stesso, allora la 
competenza apparterrebbe al giudice amministrativo, al quale spetterebbe 
la successiva, ulteriore verifica circa le modalit� dell'esercizio in 
concreto del potere stesso in relazione alla regolamentazione legislativa 
che lo concerne. 

Si impone, pertanto, di delimitare resatta portata della previsione 
legislativa di cui all'art. 2 t.u. n. 773/1931 menzionato, quale risulta a 
seguito della interpretazione che ne ha dato la Corte costituzionale. Il 
problema non � nuovo. 

Ricorda, in proposito, la Sezione che, con una prima sentenza del 
2 luglio 1956, n. 8, la Corte anzidetta aveva ad affermare che i provvedimenti 
in questione hanno il carattere di atti amministrativi, adottati 
dal prefetto nell'esercizio dei compiti del suo ufficio, strettamente limitati 

La stessa Corte ha inoltre riconosciuto la legittimit� dell'art. 20 t.u.c. e p. 

n. 383 del 3 marzo 1934 che attribuisce al Prefetto di emettere ordinanze di 
carattere contingibile ed urgente in materia di edilizia, polizia locale ed igiene, 
per motivi di sanit� o sicurezza pubblica, ammettendo che dall'esercizio del 
potere medesimo possano derivare limitazioni al diritto di sciopero (Corte 
Cost., 12 gennaio 1977, n. 4, in Foro it., 1977, I, 276 e ss.). 
Non � pertinente il richiamo della sentenza 6 luglio 1974, n. 1978, delle 
sezioni unite della Corte di Cassazione (Foro it., 1974, I, 3072 e ss.), in quanto 
tale sentenza si riferisce ad una fattispecie del tutto particolare concernente la 
costituzione di un consorzio di polizia rurale, con imposizione di tributo a 
carico dei proprietari dei terreni del luogo, senza limitazioni di tempo, onde 
la Corte ha ritenuto di poter configurare una ipotesi di carenza assoluta del 
potere per violazione del limite esterno del medesimo derivante dalle norme 
costituzionali (vedasi sull'argomento Luoo, In tema di competenza � giudicare 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

646 

nel tempo e nell'ambito territoriale dell'ufficio stesso e vincolati ai presupposti 
dell'ordinamento. 

Tali provvedimenti, inoltre, possono toccare tutti i campi nei quali 
si esercitano i diritti dei cittadini, anche se garantiti dalla Costituzione; 
ed il giudicare se l'ordinanza prefettizia leda tali diritti � indagine di volta 
in volta da farsi dal giudice ordinario o amministrativo che sia eventualmente 
competente. 

La �Corte, infine, auspicava che, nell'opera di revisione, in corso 
presso gli organi legislativi, il testo dell'art. 2 anzidetto trovasse una 
formulazione che lo ponesse, nella misura massima possibile, al riparo da 
ogni interpretazione contraria allo spirito della Costituzione. 

Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza del 27 maggio 
1961, n. 26, ritornando sull'argomento, chiariva ed ulteriormente precisava 
che le ordinanze del prefetto non possono violare i principi dell'ordinamento 
ed escludeva, rettificando la precedente affermazione, che 
le medesime potessero menomare l'esercizio dei diritti garantiti dalla 
Costituzione. 

Secondo la Corte, ancora, l'art. 2 del t.u. n. 773/1931 conferisce al 
prefetto poteri che non possono in nessun modo considerarsi di carattere 
legislativo, quanto alla loro forma e quanto ai loro effetti. 

Quanto al loro contenuto, i relativi provvedimenti, finch� si mantengono 
nei limiti posti dall'ordinamento, non possono mai essere tali da 
invadere il campo riservato alla attivit� degli organi legislativi, n� a 
quella di altri organi costituzionali dello Stato. 

Secondo la Corte, poi, i provvedimenti in questione non possono mai 
contrastare con i principi fondamentali dell'ordinamento, dovunque tali 
principi siano espressi e comunque essi risultino; e precisamente non 
possano essere in contrasto con quei precetti della Costituzione che, 
rappresentando gli elementi cardine dell'ordinamento, non consentono 
alcuna possibilit� di deroga nemmeno ad opera della legge ordinaria. 

della legittimit� dell'ordinanza prefettizia di precettazione, in Giust. civ., 1983, 
I, 2210 e ss.). 

Nella fattispecie in considerazione, per contro (come pure riconosce l'A. cit. 
nella cit. nota alla stessa sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio 
impugnata dalle predette Amministrazioni) si trattava di un provvedimento di 
carattere del tutto provvisorio adottato in relazione ad una situazione egualmente 
provvisoria ed eccezionale ed il provvedimento medesimo non dettava 
alcuna regolamentazione del diritto di sciopero invadendo funzioni di competenza 
del legislatore, ma si limitava a dare particolari disposizioni per attenuare 
il danno derivante dallo sciopero nel senso di contenerne le conseguenze 
entro limiti compatibili con preminenti esigenze di pubblico interesse inerenti 
alla tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico. Onde appare evidente che il 
controllo della legittimit� delle ordinanze impugnate rientri nella competenza 
del giudice amministrativo. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 647 

La Corte precisava, infine, che nei casi in cui la Costituzione stabilisce 
che la legge provveda direttamente a disciplinare una determinata 
materia, non pu� concepirsi che nella materia stessa l'art. 2 permetta la 
emanazione d� atti che dispongano in difformit� della legge pre.vista dalla 
Costituzione. 

Laddove, invece, la riserva di legge sia relativa nulla vieta che, 
nella materia, una disposizione di legge ordinaria conferisca al prefetto 
il potere di emettere ordinanze di necessit� ed urgenza, ma occorre che 
le stesse risultino adeguate ai limiti posti all'esercizio del potere conferito. 

Delimitato in questi sensi -da cui il Collegio non ha motivo di 
discostarsi -il potere di intervento del Prefetto, di cui all'art. 2 del t.u. 

n. 773 del 1931, il Collegio ritiene che non vi � stata, nel caso di specie, 
alcuna esorbitanza dai limiti medesimi, per cui � da escludere che possa 
ipotizzarsi la dedotta assoluta carenza del potere amministrativo. 
In primo luogo, va sottolineato che non � stata adottata alcuna 
disciplina astratta del diritto di sciopero, e non vi � stata,� quindi, 
alcuna interferenza nel potere legislativo dal momento che ci si � limitati 
in concreto ad ordinare ad alcuni dipendenti di assicurare la pro� 
secuzione del servizio, la cui perdurante int~rruzione implicava gravi 
ripercussioni per l'ordine e la sicurezza pubblica. 

Circostanza, quest'ultima, la quale implicava, altres�, che l'intervento 
doveva ritenersi consentito, (anche tenuto conto che si interferiva con 
il diritto di sciopero) in quanto la limitazione non incideva sul contenuto 
del diritto stesso quale tutelato dalla Costituzione, bens� riguardava 
profili afferenti la identificazione del diritto, �n relazione ai suoi limiti 
� coessenziali �, e con riferimento ad un interesse (sicurezza ed ordine 
pubblico) rispetto al quale l'interesse all'autodisciplina di categoria 
doveva considerarsi cedevole. 

La precettazione, infine, aveva il carattere della provvisoriet�, essendo 
strettamente correlata alla situazione di emergenza che l'aveva provo-

Non � conferente (ai fini della dimostrazione tlell'asserta carenza di potere) 
il richiamo.. contenuto nella motivazione della sentenza impugnata in ordine 
all'art. 4 della legge 23 maggio 1980, n. 242. Che anzi questa disposizione costituisce 
una ulteriore conferma della limitazione del diritto di sciopero del personale 
addetto ai servizi di controllo del traffico aereo ed assistenza al volo ed 
� contenuta in una norma che aveva una efficacia immediatamente precettiva 
(nel senso che norme del genere possano essere inserite, come frequentemente 
accade, in leggi di delega, CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Il, 1, 
Padova 1975, pag. 78); peraltro, la delega disposta con la cit. legge si riferiva alla 
emanazione di norme per l'ordinamento dell'Azienda di Stato per l'assistenza 
al volo ed il traffico aereo e queste norme sono state emanate entro il termine 
previsto dalla legge medesima che non era affatto scaduto alla data di emanazione 
delle ordinanze prefettizie dalle quali trae argomento il presente giudizio. 


EMILIO SERNICOLA 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

648 

cata; ed il provvedimento adottato osservava i limiti spaziali di operativit� 
correlati all'autorit� che l'aveva emanato. 

Nessun particolare principio dell'ordinamento � stato violato; ch�, 
anzi, la misura straordinaria veniva adottata, sia pure sacrificando il 
diritto di sciopero per alcuni dipendenti, proprio allo scopo di assicurare 
la salvaguardia dei valori fondamentali (ordine e sicurezza generale ed 
individuale) dell'ordinamento medesimo. 

Per quanto qui rileva, pertanto, si deve ritenere che il provvedimento 
del Prefetto, adottato a norma dell'art. 2 t.u. n. 773 del 1931, era adeguato 
alla situazione eccezionale che si intendeva fronteggiare e rispetto ad 
esso non era configurabile alcuna mancanza di presupposti che potessero 
implicare assoluta carenza di potere amministrativo. 

Sussiste, quindi, la giurisdizione del giudice amministrativo e gli 
atti vanno rimessi al T.A.R., cui competer� verificare se il potere stesso 
� stato, in concreto, esercitato legittimamente, in relazione alle censure 
svolte dalle parti, od anche alla asserita incompetenza (relativa) del 
Prefetto. (omissis). 



SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 febbraio 1985, n. 774 -Pres. Scanzano Est. 
Rossi -P. M. Sgroi (conf.) -Marinelli c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Corti). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Appello -Presentazione del 
ricorso -Irregolare notifica -Effetti. 

(D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 25) . 
. Il termine per la proposizione dell'appello � osservato con la presentazione 
del ricorso in segreteria s� che la irregolarit� della successiva 
notifica, che � adempimento della segreteria, non pu� tornare a danno 
dell'appellante; e poich� la notifica ha soltanto lo scopo di assicurare il 
contraddittorio, l'irregolarit� della notificazione � sanata ex tunc dal 
concreto esercizio del diritto di difesa (1). 

(omissis) Con i primi due motivi, strettamente collegati, il Marinelli 

sostiene che la Commissione tributaria centrale avrebbe dovuto rilevare 

la nullit� della notifica dell'atto di appello, proposto dall'Ufficio innanzi 

alla Commissione tributaria di 2� gra,do, in quanto eseguita a mani del 

proprio fratello non convivente e non facente parte del suo nucleo 

familiare, sicch� egli non aveva avuto che tardiva conoscenza dell'atto; 

e avrebbe dovuto ritenere avvenuto il passaggio in giudicato della deci� 

sione appellata, non impedito dalla sua costituzione in giudizio effettuata 

in data successiva al termine per la proposizione del gravame, e non osta� 
� tiva quindi alla declaratoria di inammisibilit� dell'appello. 

Il ricorrente addebita pertanto alla Commissione centrale di aver 

cos� violato e falsamente applicato gli artt. 24, 139 e 170 cod. proc. civ., 

con riferimento all'art. 360 nn. 3 e 4; e di aver anzi completamente omesso 

ogni esame delle proprie relative deduzioni, svolte anche con il corredo 

di specifica documentazione sulla residenza propria e quella diversa 

del fratello (art. 360, n. 5). 

L'assunto non � fondato, data la insussistenza dei vizi dedotti. 

L'appello dell'Ufficio � stato proposto entro il termine stabilito e ci� 

� valso ad impedire il passaggio in giudicato della decisione della Com� 

missione tributaria di 1� grado. 

(1) Massima di evidente esattezza. 

650 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ed invero il termine di cui all'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, 
si intende osservato con il deposito del ricorso presso la segreteria della 
Commissione di secondo grado, mentre la notificazione alla controparte 
(che � un adempimento della detta segreteria, i cui eventuali ritardi non 
possono tornare a danno di colui che ha proposto l'impugnazione) ha la 
funzione di assicurare il contraddittorio. 

Nella specie peraltro la .dedotta nullit� della notificazione dell'atto 
di impugnazione non sussiste, data la ricezione dell'atto stesso senza 
riserve, nell'abitazione del notificando, da parte di un familiare (ancorch� 
residente altrove, v. Cass., 19 gennaio 1979, n.. 397), la cui presenza ivi 
non risulta essere stata puramente occasionale; e sarebbe comunque 
sanata, ex tunc, dall'avvenuto concreto esercizio del diritto di difesa nel 
processo cui la notificazione si riferiva. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 febbraio 1985, n. 778 � Pres. Scanzano . 
Est. Sgroi � P. M. Zema (diff.) � Consorzio Garanzia fidi provincia di 
Udine (avv. Fermanelli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico). 

Tributi erariali diretti � Imposta sul reddito delle persone giuridiche � 
Enti commerciali e non � Consorzio di garanzia fidi senza fine di 
lucro � Non � ente commerciale. 

(D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 51; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 2 e 20; 
cod. civ., art. 2195). 
Se di norma il fine di lucro � indifferente per la definizione del 
reddito di impresa quale risulta definito nell'art. 51 del d.P.R. n. 597/1973, 
tuttavia in deroga alla norma generale l'art. 20 del d.P.R. n. 598/1973 (nel 
testo integrato con l'art. 2 del d.P.R. 954/1982) non considera attivit� di 
impresa la prestazione alle imprese consorziate o socie di garanzie 
mutualistiche da parte di consorzi o cooperative non aventi fine di 
lucro (1). 

(omissis) Con l'unico motivo, il consorzio deduce la violazione e 
falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e 5 del d.P.R. 29 settembre 1973, 

n. 598, dell'art. 51 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 e dell'art. 2195 cod. 
(1) Conformi alle altre due sentenze in pari data n. 779 e 780. ) 
La questione specifica � risolta dalla legge sopravvenuta. � tuttavia impori 
tante la motivazione che enuncia una regola generale di cui il caso di specie 

I

� una eccezione. 

I 

I 

..........,_.,-1 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

civ. in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ, lamentando che la decisione 
impugnata si sia limitata a constatare che l'attivit� del Consorzio 
di prestazione di garanzia pu� farsi rientrare fra le attivit� ausiliarie di 
cui all'art. 2195 cod. civ. e che pertanto essa costituisce, ai sensi dell'art. 
51 d.P.R. n. 597 del 1973, esercizio oggettivo di impresa commerciale, 
con conseguente assoggettamento all'IRPEG ed all'ILOR. 
Secondo il ricorrente, la Commissione Centrale non ha posto mente 
al presupposto del suddetto assoggettamento, costituito dalla produzione 
di un � reddito �, per cui soggetto all'IRPEG pu� essere soltanto un Consorzio 
che svolga una attivit� capace di produrre un reddito e non un 
consorzio che, per statuto, non svolge una consimile attivit� 

N� vale obiettare, secondo il ricorrente, che il Consorzio percepisce 
gli interessi sui depositi presso le banche, in quanto quegli interessi 
non solo non sono profitti di un'attivit�, ma sono esclusi dalla base 
imponibile dall'art. 3 del d.P.R. n. 598, essendo soggetti a ritenuta alla 
fonte a titolo d'imposta. 

Il motivo � fondato, in relazione all'ultima argomentazione. 

Poich�, infatti, risulta che l'imposta pretesa dall'Amministrazione � 
quella avente come base imponibile gli interessi che le Banche convenzionate 
col Consorzio gli corrispondono, sul deposito del �Fondo rischi�, 
si deve stabilire se tali interessi sono tassabili a titolo d'imposta o 
d'acconto. 

Invero, nel primo caso, essi sono esclusi dalla base imponibile 
dall'IRPEG, ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598; 
e non costituiscono reddito soggetto all'ILOR, ai sensi dell'art. 1, lett. c) 
del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599. 

Ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo 
fissato dall'art. 3 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 60, nei confronti dei 
soggetti all'IRPEG (quali sono indubbiamente i Consorzi-Fidi, perch� 
essi rientrano fra i soggetti passivi elencati nell'art. 2 del d.P.R. n. 598, 
e l'unico problema � quello di stabilire se si tratta di enti compresi 
nella lettera b) ovvero nella lettera c) del predetto art. 2) le ritenute 
relative alle somme di cui al secondo comma dell'art. 26 del d.P.R. n. 600 
(e cio� sugli interessi pagati dalle aziende di credito ai depositanti e 
correntisti) sono applicate a titolo di acconto se dette somme sono 
corrisposte alle societ� ed agli enti indicati alle lettere a) e b) dell'art. 2 
del d.P.R. n. 598; mentre, nei confronti dei soggetti esenti dall'IRPEG 

ed in ogni altro caso le ritenute sono applicate a titolo d'imposta. 

Si tratta, dunque, di stabilire se il Consorzio ricorrente (non compreso 
nella lettera a) del citato art. 2 in quanto non costituito in forma 
di societ� cooperativa) possa ritenersi compreso nella lettera b) e cio� 
fra gli altri enti aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di 


652 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

attivit� commerciale, compresi i consorzi, le associazioni non riconosciute 
nonch� le altre organizzazioni senza personaHt� giuridica. 

A tale quesito la Commissione centrale ha dato risposta positiva, 
ma non ha (ovviamente, in relazione all'epoca della decisione) tenuto 
presente il disposto dell'art. 2 del d.P.R. 28 dicembre 1982, n. 954 che, 
sostituendo con l'art. 2 l'art. 20 del d.P.R. n. 598 del 1973, al terzo comma 
dispone: �non sono invece considerate attivit� commerciali: la prestazione 
alle imprese consorziate o socie, da parte di consorzi o cooperative 
non aventi fini di lucro, di garanzie mutualistiche�. 

Tale disposizione (che, in base all'art. 9 del d.P.R. n. 954 del 1982 
ha effetto dal, 1� gennaio 1974) � rilevante, in quanto l'identificazione 
dell'attivit� �non commerciale� farebbe rientrare il Consorzio ricorrente 
nella lett. e) dell'art. 2 del d.P.R. n. 598. 

Si tratta di una disposizione che apporta un'espressa deroga alla 
nozione di �impresa commerciale� delineata dall'art. 51 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 597. 

Invero, a tenore di quest'ultima norma, che � -quella che la Commissione 
Tributaria ha applicato, l'esercizio di imprese commerciali, ai fini 
fiscali, si ha nel caso di attivit� commerciali di cui all'art. 2195 �anche 
se non organizzate in forma di impresa� e nel caso di attivit� di prestazione 
di servizi a terzi non rientranti nell'art. 2195 cod. civ., ma organizzate 
in forma di impresa, s� che si deve ritenere -come ha esattamente 
ricordato, la Commissione centrale -che la finalit� di lucro sia 
indifferente, nell'ambito della definizione del reddito di impresa commerciale. 
Invece, la disposizione del 1982 d� un rilievo all'inesistenza 
del fine di lucro e considera �non commerciali� le attivit� di un certo 
tipo esercitate da cooperative e consorzi, e cio� da organizzazioni che, in 

.linea di principio, possono svolgere attivit� commerciale, nel senso di 
cui all'art. 51 del d.P.R. n. 597. 

Pertanto, non ha rilievo decisivo il richiamo (fatto dalla difesa 
dell'Amministrazione) ad un precedente di questa Corte (sentenza 17 maggio 
1984, n. 3053) che ha ritenuto che esattamente il giudice tributario 
aveva stabilito che un �Consorzio-Fidi� svolgesse attivit� commerciale, 
in presenza di uno statuto in forza del quale quel Consorzio svolgeva 
una attivit� complessa, costituita dall'allestimento di garanzie collettive, 
consistenti sia nella prestazione di fideiussioni in favore degli istituti di 
credito, che il Consorzio concede raccogliendo e convogliando e cio� 
organizzando le adesioni di tutti gli imprenditori associati; sia nella 
gestione e finalizzazione del fondo rischi, sul quale le ~ziende di credito 
possono immediatamente e direttamente soddisfarsi. 

Nella materia in esame, invero, la decisione circa la natura del 

consorzio � strettamente dipendente dalle previsioni dello statuto dei 

singoli enti e dell'effettiva attivit� svolta da ciascuno di essi. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 653 

Orbene, nel caso della presente controversia la Commissione centrale 
ha descritto tale attivit� limitandola, alla prestazione diretta di fi. 
deiussione, da parte del Consorzio, a favore delle Banche creditrici dei 
singoli associati; fideiussione �garantita� a sua volta con un fondo appartenente 
al Consorzio, alimentato dal denaro proveniente da terzi, dagli 
associati e dallo stesso Consorzio, come innanzi si � detto. 

La Commissione centrale ha poi ritenuto l'esistenza di una struttura 
mutualistica (e quindi imprenditoriale); ed ha ritenuto infine che la 
mancanza di fine di lucro nello statuto fosse fiscalmente indifferente, 
stante l'irrilevanza dell'esistenza o meno del fine di lucro per la defini� 
zione dell'attivit� commerciale sotto il profilo tributario, quando l'at� 
tivit� stessa � oggettivamente commerciale (nella specie, qualificata come 
attivit� ausiliaria ex art. 2195 n. 5 cod. civ.). 

Tutti i suddetti accertamenti (che portavano alla conclusione adot� 
tata dalla Commisione centrale, alla stregua della legislazione allora vigente) 
devono essere rivisti alla luce della norma del 1982 che, con effetto 
dal 1974, esclude d'imperio la qualificazione commerciale per l'attivit� 
di garanzia mutualistica prestata alle imprese consorziate o socie da 
parte di consorzi o cooperative non aventi fine di lucro. (Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 febbraio 1985, n. 786 � Pres. Falcone . 
Est. Zappulli -P. M. Paolucci (conf.) � Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Mari) c. Nicolini. 

Tributi erariali indiretti � Imposta di registro � Consolidazione di usufrutto 
� Costituzione in epoca anteriore alla riforma e riunione in 
epoca successiva � E' dovuta l'imposta di consolidazione secondo le 
norme abrogate. 

(R.d. 30 dicembre 1923, 11. 3269, art. 20 e 21; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 77). 
Poich� nell'abrogata legge di registro l'imposta sulla consolidazione 
dell'usufrutto era considerata una ritardata esazione (complementare) 
dell'unica imposta sull'unico negozio di costituzione dell'usufrutto, ancora 
oggi la consolidazione deve essere assoggettata all'imposta secondo le norme 
vigenti al tempo della separazione dell'usufrutto e della nuda propriet� 
(1). 

(1) Decisione da condividere che conferma Cass., 23 novembre 1984, n. 6071, 
in questa Rassegna, 1985, I, 175). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

654 

(Omissis). L'Amministrazione finanziaria, con l'unico motivo del ricorso, 
ha censurato la sentenza impugnata per violazione degli artt. 10 e 
11 delle disposizioni sulla legge in generale, dell'art. 21 del r.d. 30 dicembre 
1923, n. 3269 e degli artt. 77 e 80 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, 
per avere la Commissione tributaria centrale omesso di considerare che 
nella successione delle leggi tributarie quella precedente mantiene i suoi 
effetti sui rapporti non esauriti allorch� in base ad essa una delle parti 
(finanza o contribuenti) abbia gi� definitivamente acquisito un diritto 
soggettivo. Quest'ultimo, secondo la ricorrente, nel caso d'atti anteriori 
alla suddetta legge del 1972 e traslativi della sola nuda propriet�, previsti 
e regolati dagli artt. 20 e 21 della citata legge del registro del 1923, 
era sorto con l'atto stesso a favore dell'amministrazione anche per la 
quota dell'imposta relativa all'usufrutto, pur se l'accertamento e la riscossione 
potevano aver luogo solo con la successiva consolidazione. Ha 
sostenuto la ricorrente che il secondo comma dell'art. 77 della nuova legge 
n. 634 del 1972, -nello statuire che i rapporti tributari derivanti da 
atti formati anteriormente alla stessa sono regolati dalle disposizioni anteriori 
purch� alla sua entrata in vigore non sia ancora scaduto il termine 
per la registrazione, -si era riferito, attraverso la contrapposizione 
tra formazione e registrazione degli atti, a quelli non ancora registrati, 
distinguendo secondo che il termine per quell'adempimento fiscale 
fosse gi� scaduto o no al 1� gennaio 1973. 

Il ricorso � fondato. 

Va previamente riconosciuto che il quesito posto nell'attuale controversia 
�, come precisato nella decisione impugnata, se, in presenza delle 
norme transitorie degli art. 77 e 80 del d.P.R. n. 634 del 1972, possa ancora 
applicarsi, per gli atti traslativi della sola nuda propriet� anteriori alla 
sua entrata in vigore e registrati in precedenza, l'art. 21 della legge di 
registro del 1923 relativo alla consolidazione. 

Per tale quesito non pu�, per�, condividersi la soluzione negativa 
accolta nella decisione impugnata, e ci� in base al principio fondamentale 
e generale che quella del registro � imposta d'atto, riferendosi esclusivamente 
al medesimo. 

A corollario di tale principio, nella specifica materia della separata 
regolamentazione negoziale della propriet� e dell'usufrutto e della loro 
successiva riunione, gi� questa corte regolatrice ha affermato che, a norma 
dell'art. 21 della precedente legge organica di registro, l'acquirente 
a titolo oneroso della nuda propriet� � tenuto subito al pagamento della 
imposta sul prezzo o corrispettivo dichiarato nell'atto e, poi, al momento 
di quella riunione, al pagamento della residua imposta sulla differenza 
tra esso e il valore della piena propriet� al momento della consolidazione, 
onde questa successiva tassazione, lungi dall'essere una nuova imposta 
principale, ha natura complementare della prima, ed � determinata dalle 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

norme che erano in vigore al tempo del . trasferimento della nuda propriet� 
(Sez. Un. 2 marzo 1964 n. 424 in motivazione). 

� stato precisato nella stessa sentenza che quel passaggio della nuda 
propriet� fa sorgere immediatamente l'obbligo del pagamento dell'imposta 
di registro su tutto il valore della propriet� piena, ma, poich� sotto 
il profilo economico il trasferimento si attua in due tempi, pure in due 
tempi � ripartita la riscossione dell'imposta: il valore della nuda propriet� 
� assunto solo come imponibile provvisorio in attesa di stabilire quello 
globale definitivo al momento della consolidazione, quarido, essendo venuto 
meno l'usufrutto, si siano interamente verificati i presupposti economici 
per l'applicazione totale dell'imposta. 

Recentemente � stato riaffermato che, ai sensi dell'art. 20 della legge 
del 1923, l'esazione della parte dell'imposta sul valore dell'usufrutto da 
riunire alla nuda propriet� � � rimandata � ad un momento successivo, e 
cio� a quello della cessazione dell'usufrutto, costituendo l'imposta di 
consolidazione � il residuo � di quella dovuta per il trasferimento della 
nuda propriet� (Cass., 25 maggio 1979, n: 3031). 

Anche in dottrina, pur con notevole contrasto, � stata prevalentemente 
affermata, nell'applicazione della legge del 1923, !'.unit� dell'imposizione 
con mera divisione in due tempi della riscossione, compreso il rispettivo 
accertamento. 

� sufficiente osservare, secondo questo indirizzo giurisprudenziale 
prevalente, che nel trasferimento della nuda propriet� � stato ravvisato 
un necessariamente connesso trasferimento di quella �ntera, con rinvio 
temporale per la parte relativa all'usufrutto e con coerente riconoscimento 
di un'unica obbligazione tributaria commisurata al valore dell'intera propriet�, 
dividendosene in due tempi l'accertamento e la conseguente riscossione 
dell'imposta. 

Una volta ritenuta tale unitariet� dell'imposizione, secondo la citata 
legge, del 1923 in conformit� alla natura di imposta d'atto di quella del 
registro non appare che l'entrata in vigore del d.P.R. n. 634 del 1972, ispirato 
a differenti principi per quanto concerne i trasferimenti a persone 
diverse delle propriet� e dell'usufrutto con nuova disciplina (artt. 41 e 45), 
abbia sottratto al pagamento dell'imposta dovuta per le consolidazioni 
coloro che abbiano ante11iormente acquisito la nuda propriet�, valutata 
secondo un criterio diverso in considerazione del rinviato pagamento dell'imposta 
relativa all'usufrutto. 

� pur vero, infatti, che la norma transitoria del 2� comma dell'art. 77 
della nuova legge cli registro ha statuito che i rapporti tributari derivanti 
da atti formati prima dell'entrata in vigore del presente decreto sono 
regolati dalle disposizioni anteriori, purch� il termine stabilito per la 
richiesta di registrazione non sia ancora scaduto a tale data, mentre l'atto 
in questione era stato registrato anteriormente. Ma questo condiziona



656 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mento alla mancata registrazione per la sottoposizione alla vecchia disciplina 
per i rapporti tributari sorti anteriormente non pu� trovare applicazione, 
a causa della riaffermata unitariet� dell'imposizione, se non per 
quei rapporti tributari che, pur derivando da rapporti anteriori, hanno 

una propria autonomia. Invece la stessa � esclusa per quelli relativi alle 
citate separazioni dello usufrutto per il rilevato fatto che la cosiddetta 
imposta di consolidazione non costituisce altro se non una parte di quella 
dovuta per il trasferimento dell'unico bene con differimento nel tempo 
dell'accertamento e del relativo pagamento per la successiva e connessa 
riunione. 
N� vale, al riguardo, il richiamo del resistente alla possibilit� di cessazione 
dell'usufrutto senza consolidazione considerata nella dottrina, 
(come nel caso di crollo dell'edificio formante oggetto di quel separato 
trasferimento). In tale ipotesi, come in .altre analoghe, infatti, l'obbligo 
tributario viene meno per la parte soggetta a dilazione in virt� di un 
fatto es~intivo sopravvenuto con effetto ex nunc, senza che sia esclusa 
l'unitariet� sussistente fino al suo verificarsi. 
Per la stessa unitariet� � ininfluente il richiamo della resistente al 
terzo comma del citato art. 77 relativo agli atti sottoposti a condizione 
sospensiva perch� l'obbligazione tributaria � gi� sorta con l'atto traslativo 
anche per la parte soggetta a futura consolidazione. Per il loro carattere 
eccezionale non possono, infine, fornire elementi contrari alla rilevata 
unitariet� di disciplina i successivi commi del medesimo art. 77. 
Resta, infine, da considerare, a conferma di essa e della esclusione 
dei citati rapporti tributari, che sarebbe illogico e contrario ai principi del 
nostro ordinamento in tal materia, nonch� di dubbia legittimit� costitu~ 
zionale, sottoporre a regime impositivo non coordinato e rispondente a 
diversi sistemi, il trasferimento di un bene per una parte (la nuda propriet�) 
con applicazione dell'imposta proporzionale vigente all'epoca di 
esso e per l'altra (l'usufrutto riunito) alla sola imposta fissa, e ci� senza 
alcuna ragione di tale favore per il soggetto obbligato. La decisione impugnata 
deve, perci�, essere cassata con rinvio della controversia alla Commissione 
tributaria centrale, la quale si atterr� al principio in virt� del 
quale, a causa della unitariet� della imposizione, nel caso di trasferimento 
di nuda propriet� anteriore all'entrata in vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, 
n. 634, con consolidazione posteriore, quest'ultb:na � soggetta al regime 
tributario posto dal r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269. Per la sua soccombenza 
il resistente Nicolini va condannato al pagamento delle spese a 
favore del Ministero ricorrente, mentre nei confronti dei Dallamano, in 
seguito alla loro acquiescenza alle richieste dell'Amministrazione finanziaria 
indicata nella memoria della stessa, si ravvisano giusti motivi per 
la compensazione delle spese. (Omissis). j 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 657 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 febbraio 1985, n. 1703 -Pres. Scanzano 
-Est. Tilocca -P. M. Zema (diff.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Zotta) c. De Simone. 

Tributi erariali diretti -Riscossione -Cartella dei pagamenti -Requisiti Omessa 
indicazione dell'imponibile e dell'aliquota � Nullit�. 

(D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25). 
� nulla la cartella dei pagamenti che, non indicando l'imponibile e 
l'aliquota, non consente il necessario controllo sulla .legittimit� dell'imposizione 
e l'esercizio dell'impugnazione in tutta la sua pienezza (1) � 

.. 

(Omissis). Con il primo motivo l'Amministrazione delle finanze� denuncia 
la violazione dell'art: 25 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e degli 
artt. 156 e 157 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ., 
per non avere la Commissione centrale considerato che la pronuncia di 
nullit�, per mancanza dei requisiti indispensabili al raggiungimento dello 
scopo, va emessa, non gi� sulla base di un interpretazione astratta, ma 
con riferimento alla fattispecie concreta e, quindi, per non aver valutato 
(la Commissione medesima) che l'imponibile per l'anno 1973 era stato definito, 
in via automatica, a richiesta dello stesso contribuente avvalsosi 
della procedura di cui all'art. 4 del decreto-legge stilla definizione delle pen


(1) La. decisione desta molte perplessit�. L'art. 25, e parallelamente l'art. 12, 
del d.P.R. n. 602 del 1973, stabiliscono che il ruolo e la cartella dei pagamenti 
devono indicare gli elementi costitutivi del credito di imposta (imponibile, 
aliquota, imposta, versamenti diretti, imposta residua); ma ci� non � tuttavia 
prescritto a pena di nullit�. 
Peraltro non sembra potersi ricavare dalla indicazione del contenuto del 
ruolo e della cartella il principio che dalla semplice lettura di essi, e senza il 
sussidio di altri elementi, debba poter essere valutata la legittimit� dell'imposizione 
e debba poter essere impostata la difesa in sede giurisdizionale. 

Il procedimento di liquidazione non � cos� semplice come enunciato negli 
artt. 12 e 25, almeno riguardo all'IRPEF; dall'imponibile vanno fatte le deduzioni 
dell'art. 10 e dall'imposta le detrazioni degli artt. 15, 16 e 16-bis, d.P.R. 

n. 597 del 1973; dall'imposta cos� ottenuta vanno poi detratti non soltanto i 
versamenti diretti (come si � preoccupato di precisare l'art. 3 del d.P.R. 24 dicembre 
1976, n. 920, che ha integrato gli artt. 12 e 25) ma anche i crediti di 
imposta. Tutto ci� nelle situazioni normali. Vi sono poi iscrizioni a ruolo particolari 
come quella per imposta liquidata o riliquidata per condono, come nel 
caso, o a seguito di decisioni di commissioni computando le riscossioni gi� 
eseguite per effetto di iscrizioni provvisorie. Insomma � illusoria la possibilit� 
di trovare nel ruolo, che contiene delle indicazioni schematiche compatibili 
con sistemi meccanografici (art. 12), tutto quanto � necessario per apprezzare� 
la legittimit� dell'imposizione e per impostare un ricorso. Del resto ci� non si 
pretende nemmeno per una sentenza la cui impugnabilit� pu� essere valutata 
solo con l'esame del fascicolo. 

658 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

denze tributarie e che erano state detratte le somme dovute a rimborso 
per gli anni precedenti. 

�Sicch� se in via ordinaria risponde ad un'ovvia esigenza di certezza 
l'indicazione dell'imponibile e dell'aliquota di imposta applicata, nella 
specie l'osservanza di tali prescrizioni non era possibile, atteso che la 
somma portata della cartella non derivava della semplice applicazione 
di una data aliquota ad un dato imponibile, ma conseguiva ad un calcolo 
pi� complesso, che riguardava anche gli anni precedenti �. 

Il motivo va respinto. 

La Commissione centrale, contrariamente a quanto afferma l'Amministrazione 
ricorrente, non si � limitata a sottolineare, alla stregua dell'art. 
25 d.P.R. n. 600 del 1973 (� gi� dell'art. 189 del t.u. n. 645 del 1958), il 
carattere essenziale dell'indicazione dell'imponibile e dell'aliquota applicata 
nella cartella esattoriale e ai fini della validit� del medesimo, ma ha 
specificamente rilevato che nel caso concreto la mancanza di tale duplice 
indicazione nella cartella notificata al contribuente impediva � il necessario 
controllo sulla legittimit� dell'imposizione in tutti i suoi vari aspetti 
e, quindi, l'esercizio di impugnazione in tutta la sua pienezza�, pur richiamandosi 
agli accertamenti all'uopo eseguiti dalla commissione di merito, 
in quanto non contrastati, nel giudizio svoltosi davanti ad essa, dall'Amministrazione 
ricorrente. 

Che l'imponibile per l'anno 1973 sia stato, poi, definito in via automatica 
a seguito della domanda del contribuente non esonerava l'Ammini-

Quanto poi all'aliquota, la sua indicazione � chiaramente un non essenziale 
completamento sia perch� l'aliquota � sempre nota, sia perch� nel caso dell'aliquota 
progressiva la sua indicazione � addirittura insignificante. 

Gli artt. 12 e 25 non fanno poi nessuna distinzione tra le ipotesi che il 
ruolo sia stato o meno preceduto dall'accertamento; e ci� dimostra che, in relazione 
alla esigenza di verifica della legittimit� dell'imposizione, le disposizioni 
degli artt. 12 e 25 non sono poste a pena di nullit�. 

Il problema va dunque riesaminato integralmente sulla premessa che per 
stabilire la legittimit� dell'imposizione non � da escludere la consultazione degli 
atti dell'ufficio. 

Problema connesso � quello dell'accertamento per il quale l'art. 42 del 

d.P.R. n. 600 del 1973 prescrive, oltre alla motivazione, l'indicazione dell'imponibile, 
delle aliquote, dell'imposta al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute 
e dei crediti di imposta. Bench� in questo caso sia espressamente prevista la 
sanzione della nullit�, non si pu� certo dire che qualunque imperfezione comporti 
la nullit� dell'intero accertamento; anche qui vale lo stesso discorso per 
aliquota la cui omessa indicazione � assai poco significativa se il calcolo � stato 
fatto esattamente secondo l'aliquota stabilita nella legge. L'omissione di taluna 
delle altre indicazioni difficilmente pu� essere importante, se � solo formale. Se 
poi l'omissione fosse sostanziale, nel senso che non si sia tenuto conto di una 
detrazione, una ritenuta o un credito, l'accertamento potr� essere integrato e 
corretto ma non sar� da dichiarare nullo. 
La nullit� riferita alla mancanza di motivazione e di sottoscrizione non 
pu� essere intesa allo stesso modo per le indicazioni formali. 



PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

strazione dall'obbligo cli indicare fimponibile e l'aliquota applicata, poich� 
tale tipo di definizione non escludeva la possibilit� cli errori incidenti 
sulla determinazione dell'imponibile e nella scelta dell'esatta aliquota 
applicabile e, quindi, l'esigenza di consentire al contribuente un adeguato 
controllo sulla legittimit� dell'imposizione sotto tutti i profili ai fini della 
valutazione della convenienza di impugnare o meno il ruolo. 

L'Amministrazione ha c~rtamente determinato l'imponibile, sia pure 
eseguendo un calcolo pi� complesso di quello normalmente occorrente, 
ed applicato una certa aliquota; sarebbe stato sufficiente che essa avesse 
indicato nella cartella l'uno e l'altro elemento per ottemperare compiutamente 
alle prescrizioni dell'art. 25 d.P.R. n. 600 del 1973 (perci� l'integrazione 
deHa cartella era tutt'altro che impossibile). (Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 marzo 1985, n. 2085 -Pres. ~cansano Est. 
Cantillo -P.M. Iannelli (diff. in parte) Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Linguiti) c. Spezza. 

Procedimento civile � Cassazione civile � Notifica del ricorso -Rinnovazione 
per iniziativa di parte � Sanatoria con effetto � ex tunc �. 
(Cod. proc. civ., art. 291). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario � Oggetto del processo -Accertamento 
� Difetto di motivazione -Dichiarazione di nullit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 16 e 21, come modificati con d.P.R. 21 novembre 1Ql\I 
n. 739). 
Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione � Requisiti -Spet


tanza di agevolazioni -Art. 15 legge 6 agosto 1967 n. 765 -Motivazione 

� per relationem � � Legittimit�. 

(Legge 6 agosto 1967, n. 765, art. 15). 

Poich� l'art. 291 cod. proc. civ. � applicabile anche al ricorso per cassazione, 
la irregolarit� della notifica del ricorso (nella specie eseguita a 
mezzo posta senza la allegazione dell'avviso di ricevimento) pu� essere 
sanata con effetto ex tunc da una seconda notifica eseguita spontaneamente 
dal ricorrente anticipando l'ordinanza che la Corte avrebbe dovuto 
pronunciare per ordinare la rinnovazione. 

Anche se il processo tributario innanzi alle commissioni era di accertamento 
del rapporto e non di annullamento dell'atto (ma ci� deve essere 
ver:ificato a seguito delle incisive modificazioni introdotte con il d.P.R. 
21 novembre 1981, n. 739), il giudice deve emanare una pronunzia di solo 
annullamento quando l'atto � inficiato da vizi che incidono sulla sostanza, 


RASSEGN.\ DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

660 

come l'incompetenza assoluta e la mancanza di motivazione, non essendo 
in tal .caso consentita una indagine sul merito (1). 

L'obbligo di motivazione dell'accertamento normalmente necessario 
per gli atti che costituiscono espressione di una funzione di prelievo articolata 
e complessa, si attenua per gli altri atti di identificazione di una 
determinata disciplina legale, come nell'atto di diniego dell'agevolazione 
per le case di abitazione in contrasto con la concessione edilizia a norma 
dell'art. 15 della legge 6 agosto 1967 n. 765, nel qual caso � legittima la 
motivazione per relationem alla comunicazione del comune che contenga 
l'indicazione delle violazioni urbanistiche (2). 

(Omissis). La domanda di Irene Spessa, diretta ad ottenere l'esenzione 
venticinquennale dall'imposta sul reddito di un suo fabbricato in Loano, 
con provvedimento del 5 novembre 1976 veniva respinta dall'Ufficio distrettuale 
di Albenga per il motivo che l'immobile era stato costruito in 
violazione delle norme edilizie di cui all'art. 15 della 1. 6 agosto 1967, n. 765. 

La Commissione tributaria di primo grado di Savona annullava il 
provvedimento, ritenendolo viziato per difetto di motivazione; e la pronunzia 
veniva confermata dalla Commissione di secondo grado e, con la 
decisione ora denunziata del 29 dicembre 1982, da:lla Commissione tributaria 
centrale. 

Premesso che l'art. 15 della legge n. 765 del 1967, richiamato nell'atto 
dell'Ufficio, elenca specificamente le violazioni che, per i fabbricati realizzati 
in contrasto con la .concessione edilizia, comportano la perdita delle 
agevolazioni fiscali, la Commissione centrale ha osservato che la semplice 
citazione della norma non � sufficiente a rendere noto al contribuente il 

(1-2) Nuovi orizzonti per�il processo tributario? 
La parte della sentenza oggetto della sec�nda massima � chiaramente intesa 
a provocare una riflessione sull'oggetto del processo in connessione con la novella 
del d.P.R. 21 novembre 1981, n. 739; tale proposito di provocazione alla 
discussione risulta evidente se si considera che la digressione della sentenza 
� irrilevante sulla decisione, sia perch� il processo si era incardinato prima della 
novella, sia perch�, nel caso, l'ipotetico annullamento dell'atto impugnato � 
stato in concreto escluso. 
Sul vastissimo problema possono farsi, per il momento, solo alcune considerazioni. 
Sulla natura del processo tributario innanzi alle commissioni la giurisprudenza 
era fermissima nella tesi, pur contrastata da molta parte della dottrina 
che, nonostante il necessario collegamento cronologico con un atto dell'uJficio, 
il ricorso tende all'accertamento dcl rapporto tributario (impugnazione-merito) 
e non all'annullamento dell'atto impugnato (fra le molte pronunzie, assai significative 
17 maggio 1984, n. 3047 e 30 luglio 1984, n. 4541, in questa Rassegna, 1984, 
I, 583 e 1014 che si pongono sulla stessa linea della nota sentenza delle sez. nn.. 
5 marzo 1980, n. 1471, ivi, 1981, I, 345 condivisa da Corte cost., 1� aprile 1982, 

n. 63, ivi, 1982, I, 227). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 661 

motivo che, fra quelli astrattamente previsti, � stato ritenuto in concreto 
determinante per la decadenza dalle agevolazioni. 

N� il difetto di motivazione si pu� superare ponendo in relazione il 
provvedimento fiscale con gli atti di accertamento della violazione compiuti 
dall'autorit� locale, noti al contribuente e comunicati -come prescrive 
lo stesso art. 15 cit. -all'Intendente di finanza. Infatti, l'obbligo 
di precisare le violazioni accertate e assunte a fondamento della sanzione 
non adempie soltanto alla funzione di individuare la violazione considerata 
dall'Ufficio, ma anche di porre il contribuente nella condizione 
di stabilire se la violazione medesima sia o non sia configurabile come 
causa di decadenza dal beneficio. 

Nella specie, invece, il provvedimento era del tutto privo di motivazione, 
non richiamando neppure gli atti di accertamento compiuti dal 
Comune competente, e perci� non consentiva in alcun modo alla contribuente 
di individuare la violazione accertata e conseguenzialmente di 
svolgere un'adeguata difesa. 

� Avverso la decisione l'Amministrazione ha proposto ricorso (in base 
a due motivi), il quale, essendo stato depositato due volte, ha dato luogo 
ad altrettanti procedimenti formalmente distinti (n. 139/84 e 1487/84). 

La controparte non ha presentato difese. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. -I procedimenti debbono essere riuniti perch� relativi alla stessa 
sentenza e soprattutto perch� riguardano lo stesso ricorso, notificato e 
depositato due volte, con la conseguenza che Sono stati erroneamente formati 
due fascicoli contraddistinti da diversi numeri di ruolo. 
Ora per� si affaccia l'ipotesi che la natura dcl processo sia radicalmente 
cambiata e in base a questa riflessione si induce che anche anteriormente, sia 
pure entro ristretti limiti, il processo tributario poteva essere soltanto di annullamento, 
ipotizzando cos� una diversit� di struttura del processo a seconda che 
l'accertamento sia inficiato o meno da vizi essenziali. 

Non si vede tuttavia quale radicale sovvertimento abbia potuto introdurre 
la novella del 1981 su un punto tanto fondamentale e non si comprende perch� 
tale nuova normativa � non sembra consentire dubbio in ordine all'attribuzione 
al giudice tributario del potere di annullare il provvedimento impugnato 
per vizi inerenti alla sua legittimit� formale�. Sembrerebbe che tale fondamentale 
innovazione sia ricavabile dal nuovo testo dell'art. 21 che consentendo 
una sanatoria dei vizi di incompetenza (non assoluta?) e non attinenti all'esis-
tenza e all'ammontare del credito, ma escludendola per il difetto di motivazione, 
imporrebbe l'annullamento dell'accertamento non motivato � senza alcuna 
possibilit� di accertamento giurisdizionale di merito (ci� che conferma la natura 
non sostitutiva del giudizio speciale tributario) �. 

In vero la novella dell'art. 21 appare assai pi�t modesta. L'originaria ammissibilit� 
della sanatoria dei soli vizi di notificazione � stata ampliata per comprendervi 
l'incompetenza ed altri vizi non sostanziali; per il resto l'art. 21 � 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

662 

2. -Sebbene la prima notificazione, eseguita a mezzo del servizio postale 
il 27 dicembre 1983, sia invalida per la mancata allegazione della ricevuta 
di ritorno, il ricorso pu� essere ugualmente trattato in conseguenza 
della seconda notificazione, che invece risulta regolarmente eseguita 
essendo stato allegato l'avviso di ricevimento, sottoscritto da Irene Spessa, 
attestante che l'atto venne ad essa consegnato il 17 febbraio 1984. 

� vero che il perfezionameno della notifica a mezzo posta si ha appunto 
con la consegna del piego raccomandato e perci�, se si dovesse 
avere riguardo -agli effetti della tempestivit� del gravame -a questa 
seconda notificazione, il ricorso sarebbe tardivo per essere decorso, anche 
tenuto conto della sospensione feriale, il termine annuale di cui all'art. 327 
cod. proc. civ., applicabile perch� la decisione, depositata il 29 dicembre 
1982, non venne notificata. 

Sennonch� occorre considerare che anche per il ricorso per cassazione 
opera l'art. 291, primo comma, cod. proc. civ., in forza del quale, in caso 
di nullit� della notificazione, se ne deve disporre la rinnovazione e la nuova 
notifica, se regolarmente eseguita n�l termine all'uopo fissato, impedisce 
ogni decadenza, risolvendosi, in pratica, in una sanatoria ex tunc 
della prima (v., fra altre, sent. n. 4905 del 1978). 

Nella specie, alla stregua di detta norma, la seconda notificazione deve 
essere qualificata come rinnovazione spontanea della precedente, eseguita 
dalla ricorrente prima del provvedimento che in tali sensi avrebbe dovuto 
.adottare questa Corte; e ci�, nel rendere ultronea un'ulteriore attivit� 
notificatoria, comporta che il ricorso risulta tempestivo, siccome l'osservanza 
del termine deve essere accertata, ai sensi del principio suddetto, 
con riferimento alla prima notifica, ricadente nell'anno dal deposito della 
decisione impugnata. 

rimasto immutato: era ed � esclusa la sanatoria per il difetto di motivazione e 
per la notificazione intervenuta dopo la scadenza del termine di decadenza. In 
conclusione il problema dell'accertamento non motivato non ha sub�to alcuna 
� incisiva modificazione�. 

Le norme sostanziali sanciscono la nullit� dell'accertamento non motivato 
(ma questo � un diverso problema di rilevanza sostanziale) e di conseguenza 
il processo non pu� ignorare tale realt�; ma ci� non basta per affermare che 
il processo tributario � (ieri come oggi) di annullamento. 

La nullit� dell'accertamento � un dato sostanziale; il giudice cio� accerta 
che l'Amministrazione non ha validamente esercitato il potere di accertare la 
maggiore imposta o � decaduto da esso, ma non pronuncia un mero annullamento 
per vizi formali. 

Se mai l'estensione dell'art. 21 sta a significare che il giudice tributario non 
ha un generale potere di annullare atti viziati (avendo l'obbligo di rimetterli 
all'ufficio per la rinnovazione), e solo in presenza di vizi sostanziali che comportano 
il venir meno del potere di accertare deve emettere una pronuncia, che 
� pur sempre di accertamento del rapporto, ossia di infondatezza della pretesa 
dell'ufficio. L'art. 21 pone sulla stessa linea l'accertamento non motivato e 
quello notificato dopo la scadenza del termine; in quest'ultimo .caso non si pu� 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 663 

3. -Con il primo motivo di ricorso, denunziando la violazione dei 
principi relativi all'oggetto del processo tributario, l'Amministrazione sostiene 
che la Commissione centrale, una volta accertato -per altro erroneamente 
(per le ragioni di cui al secondo mezzo) -il difetto di motivazione 
del provvedimento di diniego del beneficio fiscale, non poteva 
limitarsi a dichiararne la nullit�, ma, non trattandosi di una giurisdizione 
di mero annullamento, avrebbe dovuto prendere in esame direttamente 
il rapporto e statuire sul:la spettanza, o meno, del beneficio �medesimo. 
La censura � infondata. 

Si deve convenire sulla premessa da cui essa muove, cio� che il giudizio 
innanzi alle commissioni tributarie, sebbene costruito come processo 
di impugnazione di atti dell'amministrazione finanziaria, non � circoscritto 
alla verifica (formale) della legittimit� degli stessi e si estende, invece, al 
riesame del merito del rapporto d'imposta, in quanto il giudice deve direttamente 
accertare, nei limiti della contestazione, i presupposti materiali 
e giuridici della pretesa dell'amministrazione, assunti a fondamento del 
provvedimento impugnato. Ed � altres� vero che, in considerazione di siffatta 
estensione dell'attivit� conoscitiva di merito, questa Corte ha pi� 
volte affermato, sul (diverso) piano dell'oggetto del processo e della potest� 
decisoria, che non si tratta di un giudizio di impugnazione-annullamento, 
bens� di accertamento dell'obbligazione tributaria, ancorch� svolto 
per il tramite dell'impugnazione di specifici atti dell'amministrazione (cfr., 
sez. un., n. 1471 del 1980, n. 4507 del 1978 e n. 942 del 1977, nonch�, fra le 
pi� significative di questa stessa sezione, le sent. n. 1471 del 1980 e n. 2407 
del 1982). 

affatto parlare di annullamento per vizi formali dovendosi invece affermare nel 
merito che a causa dell'intervenuta decadenza nessuna pretesa pu� essere 
vantata dall'ufficio; lo stesso � a dirsi quando si riconosce che l'accertamento 
� nullo per difetto di motivazione o altra causa. 

Non si poteva e non si pu� dunque parlare di impossibilit� di emettere una 
pronuncia di merito in presenza di un accertamento non motivato (e conseguentemente 
non � sostenibile che il processo non ha natura sostitutiva) perch� 
la decisione che riconosce l'illegittimit� dell'accertamento, dichiara infondata la 
pretesa tributaria e con ci� accerta definitivamente il rapporto cos� come lo 
accerta quando rigettando il ricorso dichiara fondata la pretesa o quando accogliendo 
il ricorso riduce o anche esclude la pretesa stessa. 

In o.,gni caso il giudice emette la sua statuizione, a prescindere dall'atto 
impugnato, per dichiarare I'an e il quantum della obbligazione; la nullit� dell'accertamento 
(per vizi sostanziali, la cui sussistenza deve essere attentamente 
delimitata) non rileva come tale, ma solo perch� si risolve nella affermazione 
della insistenza dell'obbligazione vantata. 

Ben altra cosa � l'impossibilit� per il giudice di pronunciare l'accertamento 
in luogo dell'ufficio (in tal senso sarebbe esatta l'affermazione che il processo 
non ha natura sostitutiva perch� non � pi� affidata al giudice quella residua 



664 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Sennonch� -a parte il rilievo che l'attuale validit� dell'indirizzo deve 
essere controllata alla stregua delle incisive modificazioni introdotte nella 
disciplina del contenzioso con il d.P.R. 21 novembre 1981, n. 739, che sembra 
non consentire dubbio in ordine all'attribuzione al giudice tributario 
del potere di annullare il provvedimento impugnato per vizi inerenti alla 
sua legittimit� formale -anche rimanendo nell'ottica del giudizio di impugnazione 
-merito, per cui gli stessi sono normalmente irrilevanti al 
fine dell'accertamento dell'obbligazione d'imposta, occorre ammettere che 
la pronunzia deve necessariamente arrestarsi all'annullamento dell'atto 
impugnato se i vizi formali che lo inficiano incidono sulla sostanza del 
rapporto precludendo l'indagine sul merito dello stesso, come nei casi di 
incompetenza assoluta dell'organo o di mancanza di motivazione. 

In particolare, con riferimento a quest'ultima ipotesi, che ora interessa, 
la tutela giurisdizionale non pu� che consistere nell'invalidazione 
del provvedimento quando la carenza di motivazione sia tale da non consentire 
l'identificazione degli elementi materiali e giuridici cui � correlata 
la pretesa tributaria e, di conseguenza, il controllo degli stessi da parte 
del contribuente e il loro accertamento ad opera del giudice tributario; 
il quale ai fini del riesame di merito dispone di un ampio potere di indagine 
istruttoria (che non ha riscontro nel giudizio di accertamento di rapporti 
innanzi al giudice ordinario), ma non pu�, ovviamente, sostituirsi 
all'amministrazione nella ricerca dei presupposti del rapporto d'imposta. 

In questi sensi la fattispecie si trova ora espressamente disciplinata 
dall'art. 21 del d.P.R. n. 636 del 1972, nel testo dettato con la riforma suddetta, 
il quale, mentre dispone in via generale che i:1 giudice, nel caso 
rilevi � un vizio di incompetenza o che comunque non attiene all'esistenza 

o all'ammontare del credito tributario�, deve sospendere il giudizio ed 
attivit� amministrativa che aveva fatto un tempo dubitare della giurisdizionalit� 
delle commissioni), il che nessuno ha pensato di negare anche prima 
della modifica dell'art. 21. 

Se il processo tributario fosse soltanto di annullamento, l'atto annullato 
potrebbe essere nuovamente emanato dall'ufficio (tutt'altro problema � quello 
dell'eventuale decadenza) non essendovi nel giudicato una definizione �el rap� 
porto. Non sembra tuttavia che la S.C. abbia inteso ricondurre il processo 
tributario al tipo di processo amministrativo. 

� invero sorprendente come la digressione sulla natura del processo sia 
stata intro�otta proprio in una fattispecie nella quale l'inadeguatezza del giudizio 
di annullamento si manifestava con particolare evidenza. L'atto impugnato, 
come la stessa sentenza pone in evidenza nell'esame del secondo motivo, 
non era un comune accertamento ma un provvedimento che negava l'esenzione 
venticinquennale dell'ILOR per una casa di abitazione non di lusso in contrasto 
con la licenza edilizia. La controversia dunque riguardava la spettanza della 
esenzione e non certo la motivazione del provvedimento, essendo evidente che 
dall'asserita illegittimit� del provvedimento per difetto di motivazione non discendeva 
immediatamente il diritto all'esenzione. In tale situazione se si 
fosse potuta profilare una possibilit� di mero annullamento del provvedimento, 

Il 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 665 

assegnare un termine all'amministrazione per rinnovare l'atto viziato, 
esclude che possa � provvedersi a rinnovazione quando il vizio consista 
nel difetto di motivazione�; la quale disposizione comporta che l'esistenza 
del vizio d� luogo necessariamente all'annullamento dell'atto, senza alcuna 
possibilit� di un accertamento giurisdizionale di merito (ci� che conferma 
la natura non sostitutiva del giudizio speciale tributario). 

Pertanto, sul piano della tipologia delle decisioni, va detto che. anche 
in base alla disciplina anteriore alla legge del 1981 il giudice tributario 
aveva il potere di emettere pronunzie limitate all'invalidazione dell'atto 
impositivo ca.rente di motivazione; e ci� � sufficiente a respingere la censura 
in esame, risultando la questione circoscritta all'oggetto del secondo 
mezzo, che impone di controllare la decisione di annullamento sotto il 
profilo della logicit� e correttezza delle ragioni in base alle quali il provvedimento 
� stato ritenuto non congruamente motivato. 

Giova avvertire, poi, che nella presente controversia, insorta prima 
dell'entrata in vigore del cit. d.P.R. n. 739 del 1981, non viene in rilievo 
il delicato problema -che avrebbe carattere pregiudiziale -circa l'ammissibilit� 
dell'impugnazione dei provvedimenti (come quello in esame) 
relativi alla spettanza di agevolazioni fiscali, in quanto non compresi 
nell'elenco degli atti contro i quali, ai sensi dell'art. 16 del d.P.R. n. 636 
del 1972, � possibile proporre ricorso. Invero, l'elenco medesimo, modificato 
con l'aggiunta di altri provvedimenti tipici, � stato reso tassativo 
soltanto con la novella, in quanto il nuovo testo dell'art. 16 espressamente 
stabilisce che non possono essere autonomamente impugnati gli atti diversi 
da quelli ivi indicati, mentre in passato, in assenza di un analogo 
disposto, l'indicazione degli atti doveva ritenersi esemplificativa; la possibilit� 
di ricorrere direttamente contro i provvedimenti in materia di age


per difetto di motivazione o altro v1z10 formale, sarebbero rimasti salvi gli 
ulteriori provvedimenti dell'autorit� amministrativa, si sarebbe cio� dovuto 
nuovamente pronunciare l'ufficio sulla spettanza dell'esenzione, al che poteva 
seguire nuovo ricorso con possibile nuovo annullamento e ulteriore rimessione 
all'ufficio secondo le regole del giudizio amministrativo di annullamento (e 
nella specie non esisterebbero decadenze che potrebbero troncare il corso e 
ricorso tra giurisdizione e amministrazione). Ci� nessuno osa pensarlo perch� 
la commissione in una sola battuta deve statuire sul rapporto (di diritto 
soggettiv�), deve affermare se l'esenzione spetta o non spetta, indipendentemente 
dalla motivazione del provvedimento o dalla� sua ipotetica nullit�. Se 
cos� non fosse avverrebbe che l'accertamento non motivato dovrebbe essere 
semplicemente annullato, mentre quello motivato in modo sufficiente ma erroneo, 
secondo quanto sembrerebbe dedursi dalla sentenza, aprirebbe la via ad 
un giudizio di merito. 

Il provvedimento che nega l'esenzione o agevolazione (se ne � fatto in passato 
ampia. esperienza sulla imposta di registro) non ha ragione di essere 
motivato perch� consta soltanto di una affermazione le cui ragioni (in diritto), 
che potrebbero essere di un'ampiezza e complessit� sconfinate (come lo sono 
le motivazioni delle sentenze sulla stessa questione) sono oggetto della contro




666 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

volazioni veniva, quindi, generalmente riconosciuta (e nella specie non � 
stata contestata dall'amministrazione). 

4. -Con il secondo motivo, denunziando la violazione dell'art. 15 della 
legge n. 765 del 1967 e vizi della motivazione, la ricorrente sostiene 
che erroneamente la decisione impugnata ha ritenuto sussistere il vizio 
suddetto, laddove il provvedimento di diniego delle agevolazioni in questione, 
meramente conseguenziale alla segnalazione del Comune riguardante 
una delle violazioni edilizie cui la norma ricollega la sanzione fiscale, 
dev� ritenersi sufficientemente motivato attraverso il riferimento alla 
segnalazione medesima ed alla disposizione di legge. 
La censura � fondata. 

Altre volte questa Corte ha avvertito che l'obbligo di motivare gli 
atti tributari si atteggia diversamente a seconda della natura e funzione 
che essi hanno in base alle norme loro proprie, giacch�, accanto ad atti 
che costituiscono espressione di una funzione di prelievo articolata e 
complessa, e assumono, quindi, una veste formale e un contenuto precisamente 
regolato dalla legge (ad es., l'avviso di accertamento, nelle imposte 
dirette come in quelle indirette), ve ne sono altri in cui la funzione 
viene esercitata in forme estremamente semplici e contratte, risolvendosi 
talvolta nella mera imposizione di una determinata disciplina. � in relazione 
al contenuto tipico e all'oggetto del singolo atto, quindi, che deve essere 
verificata in concreto l'osservanza dell'obbligo, nel senso che questo 
deve ritenersi adempiuto allorch� la motivazione, ancorch� sommaria 
e semplificata, sia tale da esternare le ragioni del provvedimento, evidenziandone 
i momenti ricognitivi e logico-deduttivi, e consentendo di conseguenza 
al destinatario di svolgere efficacemente la propria difesa attra


versia in sede giurisdizionale; se la motivazione in diritto non si richiede nemmeno 
per la sentenza (arg. art. 384 cod. proc. civ.) non si pu� certo pretendere 
che essa sia richiesta, a pena di nullit�, nel provvedimento amministrativo. 

Di ci� si � resa conto la sentenza in rassegna nell'esame del secondo motivo 
ove ha ricordato la distinzione tra gli atti che costituiscono espressione di 
una funzione di prelievo (gli atti di accertamento veri e propri che, pur non 
potendo essere definiti atti di imposizione, determinano, con esercizio di poteri 
di autorit�, la certezza e esigibilit� del credito di imposta) e gli altri atti che 
individuano una � determinata disciplina � e per la loro natura consentono al 
destinatario di svolgere una adeguata difesa. 

Questa precisazione, che si ricollega ai principi enunciati con le menzionate 
sentenze 17 maggio 1984, n. 3047 e 30 luglio 1984, n. ~541, sul problema della 
motivazione dell'accertamento � esatta in termini generali e molto importante, 
ma poco si concilia con la prima parte della sentenza. La decisione di merito 
sulla spettanza della esenzione doveva essere pronunciata dalla commissione non 
gi� perch� il provvedimento, adeguatamente motivato, non doveva essere annullato 
ma perch� la commissione doveva comunque pronunziarsi sulla spettanza 
della esenzione, quale che fosse la motivazione del provvedimento, e in nessun 
caso avrebbe potuto limitarsi ad un mero annullamento, non risolutivo 

--! ! 
1: 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 667 

verso la tempestiva e motivata impugnazione giurisdizionale dell'atto 
medesimo. 

Ora, per le opere realizzate in contrasto con la concessione edilizia, 
l'art. 15 della legge 6 agosto 1967, n. 765, prevede -quale ulteriore sanzione 
dell'illecito edilizio -l'esclusione de iure delle vigenti agevolazioni 
fiscali nel caso che le difformit� riguardino violazioni di altezza, distacchi, 
cubatura o superficie coperta, le quali eccedano, per ogni singola unit� 
immobiliare, il due per cento delle misure prescritte; e all'uopo jl Comune 
� obbligato a segnalare entro un certo termine siffatte violazioni 
all'Amministrazione finanziaria, la quale, non essendo normativamente 
previsti specifici atti al riguardo, applica la sanzione attraverso un provvedimento 
o di diniego del beneficio non ancora concesso o di revoca (o 
decadenza) di quello gi� concesso. 

Si tratta, quindi, di un atto rigidamente vincolato, rispetto al quale 
l'Amministrazione non ha alcun margine di apprezzamento discrezionale, 
in quanto � obbligata ad emetterlo in base ai risultati dell'accertamento 
compiuto dall'autorit� locale cui spetta la vigilanza in materia edilizia; 
e di tale accertamento l'autore dell'illecito riceve formale notizia gi� attraverso 
la notifica della diffida del Sindaco, che costituisce il primo atto del 
procedimento repressivo dell'abuso edilizio. 

Il provvedimento in oggetto deve ritenersi, quindi, sufficientemente 
motivato attraverso l'indicazione dell'accertamento amministrativo che ha 
dato luogo alla comunicazione comunale e della norma di legge che 
prevede la perdita automatica del beneficio fiscale, giacch� in tal modo 
risultano enunciati in modo intellegibile al destinatario i presupposti di 

del merito del rapporto, cos� come avrebbe potuto dichiarare spettante la 
esenzione negata con un provvedimento ampiamente motivato e fonnalmente 
perfetto. 

Su un ulteriore punto la sentenza si � preoccupata di porre sul tappeto 
una questione, non strettament� attinente al decisum, originata dalla novella 
del 1981: un atto, quale quello di diniego delle agevolazioni, sicuramente impugnabile 
in vigenza della prima formulazione dell'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 
1972 (contenente una elencazione esemplificativa degli atti impugnabili) potrebbe 
non essere attualmente impugnabile per non essere ricompreso nella nuova 
enumerazione dell'art. 16, divenuta tassativa. 

L'elencazione degli atti impugnabili non era esemplificativa in passato e 
non � tassativa, in senso rigoroso, attualmente. L'affermazione che gli atti diversi 
da quelli menzionati non sono impugnabili autonomamente, pu� significare soltanto 
che non sono impugnabili in modo autonomo gli atti strumentali che 
si inseriscono in una serie procedimentale per assorbirsi nel provvedimento 
conclusivo, ma non pu� certo significare che non sono impugnabili gli atti 
compiuti e finali che, non assorbendosi in atti successivi, non sarebbero in 
alcun modo impugnabili. � 

L'art. 16 � norma che disciplina il procedimento e non pu� restringere l'ambito 
della giurisdizione come definita nell'art. 1; d'altra parte la esclusivit� 

11 



668 RASSEGNA IJEIL1AVVOCATURA IJELLO STATO 

fatto e cli diritto dell'atto, cio� sia l'esistenza della violazione e sia l'appartenenza 
della stessa al novero cli quelle che, ai sensi dell'art. 15 cit., 
comportano la sanzione fiscale; n� ha rilievo che si tratta di una motivazione 
per relationem, la quale � sicuramente ammissibile sempre che 
l'atto al quale si fa rinvio sia idoneo a mettere il contribuente nella condizione 
di conoscere esattamente le ragioni che sorreggono il provvedimento
� (in relazione ad una fattispecie uguale a quella in esame � stato 
appunto affermato che sussiste difetto di motivazione quando neppure dalle 
ordinanze comunali risulti contestata specificamente una delle violazioni 
di cui all'art. 15 cit., v. sent. n. 6470 del 1983). 

Nel caso in esame, il provvedimento di diniego dell'esenzione venticinquennale 
conteneva, come risulta dalla decisione impugnata, entrambe 
le indicazioni ~uddette; e risulta del tutto immotivata l'affermazione che 
il riferimento alla violazione contestata dal Comune non fosse idoneo ad 
individuare le ragioni della sanzione, laddove il contribuente si era difeso 
anche nel merito, contestando l'entit� della violazione e sostenendo, fra� 
l'altro, che il riferimento della norma alla � singola unit� immobiliare � 
introduce un limite alla fattispecie sanzionatoria, che la rendeva in concreto 
inapplicabile. 

Pertanto fa decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla 
stessa Commissione Tributaria Centrale, la quale proceder� a nuovo esame 
della controversia alla stregua dei principi cli diritto e dei rilievi sopra 
svolti, tenendo altres� presente che l'accertamento della spettanza del 
diritto alle agevolazioni fiscali d� luogo ad una questione di fatto non inerente 
a valutazione estimativa e perci� rientra nella cognizione della 
Commissione medesima. (Omissis). 

della giurisdizione delle commissioni sulle controversie tributarie � ormai uni


versalmente riconosciuta, s� che la non impugnabilit� di taluni atti si risolvereb


be in un inammissibile diniego di tutela giurisdizionale. Di conseguenza ogni 

atto non considerato che comunque tocca in modo definitivo il diritto sogget


tivo del contribuente deve poter essere impugnato. E ci� non contrasta nem


meno con una corretta interpretazione dell'art. 16, dovendosi (come gi� in pas


sato) intendere per accertamento qualunque atto comunque denominato che 

dichiara l'obbligazione o un elemento di essa (Cass., 25 novembre 1980, n. 6262, 

in questa Rassegna, 1981, 579). Sono quindi certamente impugnabili gli atti 

individuali del procedimento catastale, peraltro espressamente menzionati nel


l'art. 1, il concordato, il provvedimento che nega il condono (l'ipotesi avanzata 

di illegittimit� costituzionale delle norme che non ammetterebbero !'impugna


bilit� non ha ragion d'essere) ed ogni altro atto che, anche in rapporto a leggi 

future, ha portata di accertamento, in senso lato. Conseguentemente il provve


dimento che nega l'esenzione � anch'esso, al pari dell'avviso di liquidazione 

dell'imposta suppletiva dovuta per il disconoscimento di un beneficio, un atto 

di accertamento che non soltanto pu�, ma deve, essere impugnato per impe


dirne la irretrattabilit� (Cass., 6 luglio 1978, n. 3343, in questa Rassegna, 1978, 

I, 734; 25 novembre 1980, n. 6062 citata).. 

CARLO BAFILE 

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SEZIONE SETTIJMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 26 luglio 1985, n. 4350 -Pres. Cusani � 
Est. Cherubini -S.p.A. Star (avv. Biamonti) c. Ministero Difesa (avv. 
Stato Corti). 

Contabilit� pubblica -Contratti della pubblica amministrazione � Forni� 
ture -Revisione dei prezzi � Previsione in contratto � Diritto soggettivo 
alla revisione. 

(r.d.1. 13 iiugno 1940, n. 901, artt. 1, 2, 3 e 4). 
Ai sensi del r.d.l. 13 giugno 1940 n. 901, la revisione del prezzo espressamente 
pattuita nei contratti di pubbliche forniture d� luogo ad una 
situazione di diritto soggettivo del privato contraente, tutelabile innanzi 
all'A.G.O. (1). 

(omissis) Il ricorso � articolato in tre motivi che in realt� consistono 
in altrettante argomentazioni di un'unica censura rivolta dalla STAR 
avverso la sentenza impugnata per aver negato la giurisdizione dell'A.G.O. 
a decidere la controversia, nel falso presupposto che la posizione soggettiva 
della societ� fornitrice integrasse un interesse legittimo, anzich� un 
diritto soggettivo. 

(1) Nello stesso senso le coeve sentenze nn. 4349 e 4351, la prima delle 
quali ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo in una fattispecie 
nella quale il contratto di fornitura conteneva una clausola del seguente 
tenore: �oltre che dalle clausole contenute negli articoli del presente contratto, 
la fornitura che ne costituisce l'oggetto sar� regolata dalle norme contenute 
nel C�pitolato d'oneri per la fornitura e la riparazione dei materiali occorrenti 
�ll'Amministrazione aeronautica, approvato con d.m. in data 6 marzo 1974 �. 
Dopo aver ricordato che tale Capitolato contiene un rinvio formale alle norme 
sulla revisione dei prezzi cos� da rendere applicabile, dalla data della loro entrata 
in vigore, le disposizioni del r.d.l. n. 901 del 1940, la sentenza n. 4349/1985 
ha escluso che la riferita clausola contrattuale potesse aver trasferito, nella 
specie, la disciplina della revisione dei prezzi dal piano della discrezionalit� 
amministrativa a quello paritetico contrattuale, nulla disponendo circa la 
revisione stessa e limitandosi ad un mero rinvio al r.d.l. del 1940. 
Cass., Sez. Un., 23 febbraio 1983, n. 1370 � pubblicata in questa Rassegna 
1983, I, 414. Bench� le argomentazioni della sentenza riprodotta non riescano del 
tutto appaganti, il ribadito indirizzo della Corte regolatrice induce ad escludere 
che la questione, almeno allo stato, possa essere utilmente riproposta. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

670 

Il ricorso � fondato. 

Queste Sezioni Unite hanno recentemente riaffermato, con la sentenza 
n. 6593 del 1981 e con quella n. 1370 del 1983, che la disciplina contenuta 
nel r.d.l. 13 giugno 1940 n. 901, va intesa nel senso che qualora le 
parti espressamente pattuiscano, nel contratto di pubbliche forniture, 
la revisione dei prezzi, quest't�tima esula dai poteri discrezionali dell'amministrazione 
e costituisce oggetto di una posizione di diritto soggettivo 
del privato contraente. 

Questa interpretazione �, del resto, conforme all'opinione manifestata, 
fin dalle prime decisioni riguardanti la portata del d.l. n. 901 del 
1940, da questa Corte la quale' (S. U. 16 maggio 1945 n. 345) ha osservato 
che l'espressa pattuizione in un contratto di pubbliche forniture della 
revisione dei prezzi, in connessione con determinate variazioni delle condizioni 
di mercato, d� luogo ad un rapporto sinallagmatico, con correlative 
posizioni di diritto di credito e di obbligazione, tali da escludere che 
la revisione sia oggetto di una semplice facolt� dell'Amministrazione, 
rispetto alla quale sia configurabile una posizione di interesse legittimo. 

Il Ministero della Difesa sostiene nel controricorso che il ragionamento 
di queste Sezioni Unite in precedenti giudizi, aventi ad oggetto 
l'interpretazione del r.d.l. n. 901 del 1940, non pu� essere seguito perch� 
fondato sull'inaccettabile premessa che la volont� negoziale sarebbe da 
sola sufficiente a qualificare come di diritto soggettivo le posizioni che 
la legge ricollega a tali manifestazioni di volont�; di qui la necessit� di 
esaminare il citato r.d.l. n. 901 al fine di accertare quale effettivamente sia 
la posizione soggettiva che la legge riserva al privato fornitore. 

La tesi dell'Amministrazione mostra di complicare inutilmente il problema. 


Invero la sentenza n. 6593/81 di queste Sezioni Unite -contro la 
quale sono dichiaratamente rivolte le critiche -non afferma affatto 
che la clausola contrattuale che prevede la revisione sia da sola suffi. 
ciente a qualificare la posizione soggettiva del privato contraente come 
diritto soggettivo ma piuttosto parte dalla indubbia constatazione che i 
contratti tra P.A. e privato aventi ad oggetto forniture sono contratti di 
diritto privato e si chiede se esistano norme imperative che disciplinino 
la revisione dei prezzi come semplice facolt� dell'Amministrazione. La 
citata sentenza passa, quindi, all'esame del r.d.l. n. 901 del 1940 ed 
esclude che le relative norme possano avere una tale portata. 

Sicch� tutto si riduce, ancora una volta, all'interpretazione della 
normativa da ultimo richiamata e al riguardo il Ministero della Difesa 
non svolge argomentazioni che possano indurre ad una modifica della 
uniforme giurisprudenza di queste S. U. Pertanto, contrariamente a 
quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, sussiste la giurisdizione del1'
A.G.O. 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

671 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 ottobre 1985, n. 5232 -Pres. La 

Torre -Est. Di Salvo -Assessorato LL.PP. regione siciliana (avv. 

Stato Del Greco) c. Messina (avv. Angelini). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Mancata corresponsione di acconti 
alla scadenza -Sospensione dei lavori da parte dell'impresa -Les!ittimit�. 


(d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 35; e.e., art. 1460). 
Nel caso in cui il ritardo nella corresponsione di acconti in corso 
d'opera sia imputabile al comportamento doloso o gravemente colposo 
della P.A. committente, � giustificata l'applicazione della disciplina contrattuale 
di diritto comune con la conseguenza che deve ritenersi legittima, 
alla stregua del principio inadimplenti non est ademplendum, la 
sospensione dell'esecuzione dei lavori da parte dell'appaltatore (1). 

(omissis) Con l'unico motivo del ricorso, l'Assessorato per i lavori 
pubblici della Regione Sicilia, deducendo violazione e falsa applicazione 
degli artt. 341 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F e degli artt. 29 e 
35 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, nonch� degli artt. 1453 e 1460 e.e., in 
relazione all'art. 360, n. 3 e 5 c.p.c., sostiene che erroneamente la Corte 
di appello avrebbe riconosciuto all'appaltatore il diritto di sospendere 
l'esecuzione dei lavori avvalendosi dell'eccezione inadimplenti non est 
adimplendum, senza considerare: a) che gli acconti non costituiscono 
pagamenti delle partite di lavoro eseguite, ma anticipazioni parziali 
del prezzo finale e che, non esistendo un ob)Jligo di pagare singole partite 
di lavoro eseguite, non pu� esistere inadempienza dell'Amministrazione 
committente nel caso di mancato o ritardato pagamento delle 
somme che ad esse si riferiscono: b) che il ritardo dei nagamenti degli 
acconti contrattualmente previsti � sanzionato esclusivamente dall'obbligo 
di corrispondere gli interessi legali e moratori, ai sensi dell'art. 35 del 

d.P.R. n. 1063 del 1962, e solo quando l'omesso pagamento superi il quarto 
dell'importo contrattuale, l'appaltatore ha diritto di chiedere la risolu(
1) Cass. 19 novembre 1973, n. 3089, citata in motivazione, � pubblicata in 
questa Rassegna 1973, I, 1194 con nota di A. MARZANO (Il ritardo dei pagamenti 
nell'appalto d'opera pubblica); Cass. 13 maggio 1971, n. 1384, parimenti richfa� 
mata, si legge in questa Rassegna 1971, I, 698. Non consta, invece, di precedenti 
�in termini'" riferiti cio� all'art. 35 del vigente Capitolato gen. di cui al d.P.R. 
1063/1962. 
Sulla legittimit� della sospensione dei lavori ad iniziativa dell'appaltatore 
(per la ~uale v. Coll. arb. 25 marzo 1974 n. 16, in Arb. app. 1974, 79) sembra 
giustificata qualche riserva, soprattutto considerando che nella facolt� at.tri 
buita all'impresa dal quarto comma dell'art. 35 cap. gen. oo.pp. � azzardiltn 
ricomprendere, attraverso una mera relazione logica da maggiore a minore. il 
diritto d'opporre l'eccezione d'inadempimento (art. 1460 cod. civ.). 



672 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione del contratto; e) che in base alle disposizioni di legge che regolano 
gli appalti di opere pubbliche, l'appaltatore non ha alcuna possibilit� di 
proporre l'eccezione di inadempimento per sottrarsi all'obbligo di proseguire 
i lavori. ' 

Le censure proposte dall'Assessorato ricorrente si fondano sul presupposto 
che nei contratti d'appalto delle opere pubbliche l'amministrazione 
non abbia alcun obbligo di pagare gli acconti nei termini contrattualmente 
previsti e che, pertanto, essa, nel caso di ritardo, non sia 
tenuta al risarcimento del danno, e sul presupposto che tale suo comportamento 
legittimi l'apprutatore a sollevare l'eccezione inadimplenti non 
est adimplendum; ci� perch� l'art. 35 del d.P.R. n. 1063 del 1962 stabilisce 
che il ritardo nel pagamento di tali acconti sarebbe sanzionato 
esclusivamente con la corresponsione degli interessi legali e moratori, 
mentre la risoluzione del contratto potrebbe essere richiesta dall'appaltatore 
solo quando l'omesso pagamento superi il quarto dell'importo contrattuale. 


All'esame delle proposte censure occorre premettere che agli appalti 
stipulati dalla regione Siciliana � applicabile, con valore normativo, il 
capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero 
dei LL.PP., approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, per effetto dell'art. 
9 della L.R. 26 maggio� 1973, n. 21 il quale stabilisce l'obbligo di 
applicare il detto capitolato agli appalti stipulati dalla Regione. 

Pertanto inesattamente la difesa dell'Amministrazione richiama la 
massima di questa Corte n. 2349 del 1970 che risulta inapplicabile alla 
fattispecie perch� relativa ad un contratto di appalto di un ente pubblico 
nel quale l'art. 40 dell'abrogato capitolato generale dello Stato (D.M. 
28 maggio 1895) figurava richiamato con valore di semplice atto negoziale. 


La tesi sostenuta dal ricorrente, e sopr� richiamata, non pu� essere 
condivisa ed � stata gi� disattesa da precedenti pronuncie di questa 
Corte relative a fattispecie disciplinate dal d.m. 28 maggio 1895, ora 
abrogato, che conteneva il precedente capitolato generale per gli appalti 
dipendenti dal Ministero dei LL.PP. I princ�pi affermati con tali decisioni 
sono compatibili ed anzi, come si vedr�, sono validi a fortiori nel nuovo 
ordinamento risultante dall'art. 35 del citato nuovo capitolato generale. 
Questa Corte ha, invero, affermato (Cass. 1971, n. 1384/1973, n. 3089) che 
la limitazione di responsabilit� prevista dal predetto art. 40 non pu� 
spiegare efficacia in ogni ipotesi di inadempimento della P.A., e, quindi, 
anche in caso di inattivit� volontaria o gravemente colposa dei suoi 
organi, perch� la deroga in ogni e qualsiasi caso alla disciplina ordinaria 
della responsabilit� contrattuale sarebbe in contrasto ingiustificato con 
il principio generale che, in uno Stato di diritto, l'ente pubblico, al pari 
di ogni altra persona giuridica, non pu� esimersi dal rispondere dei danni 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 673 

che, sul piano contrattuale, l'inadempimento volontario o gravemente colposo 
di una sua obbligazione determina ai privati; ha, inoltre, precisato che 
il predetto art. 40, io comma, costituendo deroga alla disciplina generale 
dell'adempimento, � una norma di stretta interpretazione, sicch� esso 
esclude soltanto quella responsabilit� dell'ente pubblico che possa ricollegarsi 
strettamente alla sua ratio immediata, consistente nella necessit� 
di tener salva l'Amministrazione pubblica da pretese risarcitorie derivanti 
da ritardi dovuti alle caratteristiche proprie dell'organizzazione e del 
modo di funzionamento dell'apparato statale o, comunque, pubblico ed 
alla complessivit.� di procedimenti attraverso i quali si realizza la sua 
attivit� giuridica. Pertanto, in ogni altra situazione in cui si dimostri 
che si � fuori da questa esigenza, ed in particolare che il ritardo dipenda 
esclusivamente da un comportamento ascrivibile a dolo o colpa grave 
dell'Amministrazione, � giustificata l'applicazione della disciplina contrattuale 
comune, ovviamente con l'esclusione della presunzione di responsabilit� 
ex art. 1218 e.e; Questi princ�pi sono stati enunciati sia con 
riferimento a�:I un'ipotesi in cui la pretesa fatta valere dall'appaltatore 
concerneva il risarcimento dei maggiori danni (oltre gli interessi legali) 
derivanti dalla svalutazione monetaria da lui subita a causa del ritardo 
colpevole dell'Amministrazione nel provvedere al collaudo ed al conseguente 
pagamento del saldo (Cass. 1973, n. 3089), sia con riferimento al 
colposo ritardo della P. A. nelle operazioni di emissione del certificato 
delle rate di acconto e, nella redazione dello stato finale dei lavori e 
dell'espletamento del collaudo. (Cass. 1971, n. 1384). Da tale orientamento 
non vi � ragione di discostarsi nella decisione della presente causa, in 
quanto le predette argomentazioni trovano piena conferma nell'art. 35 
del nuovo capitolato generale, il quale regola la stessa materia dei ritardi 
nei pagamenti degli acconti, disciplinando la corresponsione degli interessi, 
ma si differenzia, con una innovazione, che � significativa della 
progressiva riduzione dei privilegi della P. A., la cui posizione giuridica, nei 
negozi di diritto privato, viene parificata a quella delle altre parti. 

Invero, mentre l'art. 10 del precedente capitolato si apriva con la 
enunciazione che �i ritardi nei pagamenti non danno diritto all'appaltatore 
di pretendere indennit� di qualsiasi specie, n� di chiedere lo scioglimento 
del contratto >>, l'art. 35 del vigente capitolato non contiene alcuna 
prescrizione avente tale contenuto, ma, al contrario, regola i presupposti 
e la procedura per proporre l'azione di risoluzione del contratto (quarto 
comma). La risoluzione, pu� essere chiesta quando siano trascorsi i termini 
massimi stabiliti per l'emissione del certificato delle rate di acconto 

o per l'emissione del titolo di spesa, ovvero quando l'ammontare delle 
rate di acconto per le quali non sia stato tempestivamente emesso il 
certificato o il titolo di spesa, raggiunga il quarto dell'importo netto 
contrattuale. Alla esplicita previsione della esperibilit� dell'azione di riso

674 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

luzione devono aggiungersi, data l'entit� della ratio e della loro finalit�, 
tutti i rimedi stabiliti per garantire l'equilibrio sinallagmatico delle prestazioni 
ed impedirne l'alterazione in danno di una delle parti; deve, 
quindi, ritenersi legittima anche la proposizione dell'eccezione di inadempimento 
che tende a paralizzare la pretesa dell'inadempiente, che perseveri 
nel suo rifiuto, di ottenere l'adempimento dell'altra parte; cos� 
come deve ritenersi legittima la sospensione dei lavori da parte dell'appaltatore 
ed il suo rifiuto di riprenderli dopo la sospensione ordinata 
dalla P. A. L'Amministrazione, infatti, � responsabile dell'inattivit�, volontaria 
o gravemente colposa dei suoi organi, e tale responsabilit� � rilevante, 
non solo ai fini della proposizione dell'azione di risoluzione, ma 
anche ai fini della exceptio inadimplenti non est adimplendum. 

La giurisprudenza di questa Corte ha gi� indicato la differenza esistente 
tra la gravit� dell'inadempimento richiesta ai fini della risoluzione 
del contratto e la gravit� dell'inadempimento o del ritardo nell'adempimento, 
ai fini dell'eccezione di inadempimento. Si �, infatti, precisato che 
la prima serve per determinare il punto oltre il quale, secondo un criterio 
direttivo rapportato al particolare contratto, viene meno l'utilit� per il 
contraente di ricevere la prestazione, cos� come gli viene offerta, ovvero 
di attendere che l'altra parte esegua, sia pure con ritardo, la sua prestazione. 
Nella seconda, invece, e cio� quando la consistenza dell'inadempimento 
viene in rilievo ai fini della proposizione dell'eccezione, la gravit� 
dell'inadempimento o del ritardo nell'adempimento, ha la limitata finalit� 
di stabilire se, stando alle circostanze del caso, la controparte possa 
ritenersi abilitata a pretendere che sia effettuata la prestazione avversa, 
cos� come prevista nel contratto, prima di eseguire la propria. Pertanto, 
il relativo giudizio non pu� fondarsi solo sull'entit� del fatto avverso, ma 
deve comprendere anche l'indagine di altre questioni, fra le quali la proporzione 
tra ci� che � mancato e ci� che � stato versato in controprestazione 
nonch� la valutazione dell'importanza che il fatto altrui pu� avere 
nell'esecuzione della prestazione della eccipiente (Cass. 1979, n. 2230). 

Di conseguenza, l'Amministrazione, anche quando la sua inadempienza 
sia di scarsa importanza ai fini della risoluzione del contratto, non 
pu� perseverare nell'inadempimento della propria obbligazione scaduta e 
pretendere, contestualmente, dall'appaltatore l'esatto adempimento del-
l'obbligazione posta a suo carico perch� tra le due prestazioni vi � un 
rapporto sinallagmatico che non consente di considerarle totalmente indipendenti 
l'una dall'altra. 

Anche i princ�pi di correttezza e buona fede, che permeano la 
disciplina delle obbligazioni (art. 1175 e.e.) e del contratto, con particolare 
riguardo al momento della sua esecuzione (art. 1337, 1366 e 1375 e.e.) e 
che, sotto il profilo in esame, impegnano il debitore a svolgere senza ingiustificate 
dilatazioni, ma con diligente sollecitudine, l'attivit� necessaria 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 675 

all'adempimento, non consentono di pervenire alla conclusione sollecitata 
dalla ricorrente Amministrazione. 

La gravit� e la rilevanza dell'inadempimento dell'obbligazione dell'Assessorato 
regionale, ai ..fini della giustificazione del rifiuto dell'appaltatore 
di eseguire la propria obbligazione, � stata accertata dalla Corte 
di merito, la quale ha rilevato che il contratto prevedeva il pagamento 
di acconti; che i termini relativi erano gi� scaduti quando l'impresa 
avrebbe dovuto riprendere i lavori gi� sospesi; che la percezione delle 
somme illegittimamente non pagate dall'amministrazione, era necessaria 
all'impresa per far fronte alla continuazione dci lavori; che il mancato 
pagamento delle rate degli acconti esponeva l'impresa a maggiori oneri 
non giustificati, anzi causati dalla condotta gravemente colposa dell'amministrazione. 
Tali giudizi di fatto, essendo sorretti d'adeguata e congrua 
motivazione, immune da errori logici e giuridici, si sottraggono al 
sindacato di questa Corte di legittimit�. 

La ricorrente Amministrazione denunzia, altres�, la violazione dell'art. 
29 del d.P.R. n. 1063 del 1962 sostenendo che esso esclude il diritto 
dell'appaltatore di chiedere la risoluzione del contratto ovvero di proporre 
l'azione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 e.e. 

La tesi �, per�, infondata in quanto il predetto art. 29, dopo avere 
stabilito nei primi commi l'obbligo dell'appaltatore di ultimare i lavori 
nel termine stabilito nel contratto e le sanzioni poste a suo carico 
per l'inadempimento, prevede espressamente, nell'ultimo periodo del 
sesto comma, che �resta salvo cd impregiudicato ogni eventuale diritto 
dell'appaltatore, qualora il ritardo sia dovuto a fatto imputabile alla 
amministrazione �. 

Infondata �, altres�, la tesi dell'Amministrazione ricorrente secondo 
cui, muovendo dalla premessa che gli acconti non costituiscono pagamenti 
delle partite di lavoro eseguite, ma anticipazioni parziali del 
prezzo finale, ne deduce che non esisterebbe un obbligo di pagare le singole 
partite di lavori eseguite e l'ulteriore conseguenza che non esisterebbe 
inadempienza dell'amministrazione committente nel caso di mancato 
o ritardato pagamento. 

In realt�, l'affermata inesistenza di un obbligo di pagare le rate di 
acconto costituisce una premessa apodittica, non soltanto indimostrata, 
ma in contrasto con gli obblighi contrattuali assunti quali sono stati 
accertati, dai giudici di merito e con la stessa natura degli acconti in 
corso d'opera; essa non �, quindi, idonea a sorreggere la conclusione 
che non pu� sussistere inadempimento della P. A. La tesi non pu�, dunque, 
essere accolta. 

In linea di massima deve ammettersi che il principio della postnumerazione 
del corrispettivo, codificato nell'art. 1665, u.c. e.e., opera anche 
nell'appalto di opere pubbliche, e che, per effetto di esso, il credito del



676 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'appaltatore al prezzo diventa certo liquido ed esigibile solo dopo la 
ultimazione, la collaudazione e l'accettazione delle opere, in quanto nei 
negozi modellati sulla locatio operis le due prestazioni reciproche non 
debbono essere eseguite contemporaneamente, ma l'adempimento della 
committente segue la gi� avvenuta prestazione dell'altra parte; occorre, 
tuttavia, precisare che l'applicazione di tale regola ha sub�to notevoli 
attenuazioni per effetto della prevista disciplina del versamento degli 
acconti in corso d'opera la quale ha apportato notevoli e radicali deroghe 
al principio privatistico. 

Il pagamento degli acconti in corso d'opera � previsto dalla legge 
-come ha osservato la sentenza impugnata -allo scopo di evitare allo 
appaltatore oneri finanziari troppo rilevanti con inevitabili riflessi sul 
costo dell'opera e, quindi, nell'interesse pubblico. Essi hanno carattere 
provvisorio, non costituiscono solutio e non costituiscono riconoscimento 
del credito dell'appaltatore da parte dell'amministrazione. 

L'art. 33, primo comma, del vigente capitolato generale regola il pagamento 
di tali acconti e stabilisce che essi devono essere corrisposti � in 
conto del corrispettivo degli appalti nei termini o nelle rate stabilite 
nel capitolato speciale ed a misura dell'avanzamento dei lavori regolarmente 
eseguiti �. I commi successivi e l'art. 34 stabiliscono, quindi, i termini 
per l'emissione dei certificati di pagamento, l'obbligo dell'Ammini� 
strazione di effettuare ritenute-garanzia che si aggiunge alla cauzione per 
l'adempimento degli obblighi dell'appaltatore, nonch� i criteri per la 
valutazione dei lavori in corso d'opera da effettuare al fine dei pagamenti 
degli acconti. 

L'art. 35, di cui si � gi� detto, e l'art. 36, disciplinano rispettivamente 
le conseguenze dei ritardi nei pagamenti degli acconti e del ritardo nel 
pagamento della rata di saldo. L'art. 35, in particolare, regola distintamente 
l'ipotesi del ritardo nella emissione del certificato di pagamento 
della rata di acconto e quella del ritardo nell'emissione del titolo di spesa 
a favore dell'appaltatore; esso stabilisce le sanzioni civili a carico dell'Amministrazione, 
che consistono nell'obbligo di pagare gli interessi 
legali, in taluni casi, e gli interessi moratori, in altri, e legittima l'appaltatore, 
nei casi pi� gravi di ritardo, ad agire innanzi al giudice arbitrale 
od ordinario per ottenere la dichiarazione di risoluzione del contratto. 

La norma in esame prevede, altres�, limitazioni di responsabilit� a 
favore della P. A. le quali trovano la loro ratio nelle peculiarit� struttu� 
rali e funzionali dei suoi organi; esse, per�, non trovano applicazione 
quando l'inadempimento sia volontario e determinato, quindi, da dolo 

o da grave colpa; in questi casi -come si � visto -la responsabilit� 
dell'Amministrazione � regolata non pi� dalle norme speciali in esame, 
ma dalle. norme di diritto comune sull'adempimento delle obbligazioni 
pecuniarie, esclusa, per�, la presunzione di colpa e con il trasferimento 

PARIB I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

dell'onere della prova alla parte creditrice (art. 1224, 1282 e 1453 s.s. 
cod. civ., nonch�, per quanto interessa pi� specificamente in questa sede, 
l'art. 1460 e.e.). 

Occorre, inoltre, precisare che il pagamento degli acconti in corso 
d'opera da parte della pubblica Amministrazione, contrariamente a quanto 
ritiene l'Assessorato ricorrente, � un diritto dell'appaltatore per la cui 
tutela egli pu� agire in giudizio per chiederne non solo la liquidazione, 
ma anche il pagamento perch� la solutio costituisce il contenuto di un 
obbligo dell'amministrazione e, reciprocamente, di un diritto dell'appaltatore 
che, per sua natura e per espressa previsione normativa, deve 
essere adempiuto durante l'esecuzione dei lavori, senza pregiudizio dell'adempimento 
dello stesso appaltatore e della determinazione del suo 
credito finale, che saranno poi verificati dopo il collaudo e per i quali 
l'amministrazione � garantita, sia dalla cauzione che dalle ritenute sugli 
acconti stessi previste dall'art. 33 del d.P.R. n. 1063 del 1962. Inoltre, poich� 
il pagamento di tali acconti costituisce un' diritto subiettivo dell'appaltatore, 
egli pu� proporre anche l'azione diretta a conseguire il pagamento 
degli interessi gi� scaduti sulle rate di acconto non versate. � 


SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sez. III penale, 24 maggio 1985, 

n. 5103 -Pres. Radaelli -Rel. Cavallari -Imp. Andreucci Francesco ed 
altri -Parte civile Amministrazione finanziaria dello Stato (avv. dello 
Stato De Stefano). 
Procedimento penale � Dibattimento -Pubblico Ministero -Omissione di 
conclusioni nei confronti dell'imputato � Nullit� sanabile ex art. 471 
cod. proc. pen. 

Cosa giudicata penale � Effetti � Inammissibilit� di un secondo giudizio 
(�ne bis in idem�) � Fatto compatibile con quello giudicato in prece� 
denza � Concorso materiale -Sussistenza. 

Reato � Delitto di cui all'art. 476 cod. pen. -Certificati di provenienza (1) 
emessi da privato esercente deposito libero di olio minerale per 
uso commerciale � Sono atti pubblici. 

Impugnazioni penali � Sentenza che dichiara causa estintiva del reato � 
Improponibilit� in cassazione di difetto di motivazione anche ai fini 
dell'applicazione dell'art. 152 cod. proc. pen. 

Qualora nel dibattimento il rappresentante del Pubblico Ministero 
non prenda conclusioni nei confronti degli imputati, tale omissione determina 
una nullit� sanabile ex art. 471 cod. proc. pen. 

La disposizione dell'art. 90 cod. proc. pen. non � applicabile quando 
oggetto del nuovo procedimento � un fatto compatibile con quello giudicato 
in precedenza e quindi suscettibile di concorso materiale col 
medesimo. 

Il certificato di provenienza, necessario per legittimare il trasporto 
degli oli minerali, costituito dal modello H ter 16 � un atto pubblico, 
e il soggetto che lo rilascia � un pubblico ufficiale anche se si tratti di 
privato esercente deposito libero di olio minerale per uso commerciale, 
autorizzato dall'Amministrazione finanziaria dello Stato ad emettere detto 
certificato. 

In presenza di una causa estintiva del reato non sono proponibili in 
cassazione difetti di motivazione della sentenza impugnata neppure ai 
fini dell'art. 152 cpv. cod. proc. pen. 

(1) Modelli H ter 16 previsti dal d.l. 5 maggio 1957, n. 271 conv. in I. 2 luglio 
1957, n. 474. 

PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

(omissis) Neppure ha pregio la nullit� dedotta da Rocca Aristide e 
Rocca Gianfranco (motivo 1). Se � vero che nel dibattimento di appello 
il rappresentante del P. M. non .ha preso conclusioni nei confronti degli 
imputati in violazione delle norme di cui agli art. 76, 150 c.p.p., � altres� 
vero che questa omissione ha determinato una nullit� sanabile, e che, 
nella specie, la stessa nullit� � stata sanata, non essendo stata rilevata 
dagli interessati con dichiarazione inserita nel processo verbale ex art. 471 

c.p.p. (Cass. S. U. 4 maggio 1968 -Borrasi -Giust. Pen. 1968 -III -481; 
Sez. II, 8 aprile 1970 -Sbriccoli -Cass. Pen. Mass. 1972 -281). 
La preclusione di cui all'art. 90 c.p.p., invocata dal Ricci (motivo 2), 
dal Canaccini, dal Pucciarelli e dal Pantani (motivo 2), � stata correttamente 
esclusa dai giudici sulla base delle risultanze processuali, tenuto 
conto della mancata coincidenza temporale tra i reati oggetto del presente 
procedimento e quelli gi� irrevocabilmente giudicati con sentenza 12 novembre 
1981 di questa Corte (Processo Petrobenz) e considerato pure che 
le fonti di provenienza dei prodotti petroliferi erano diverse, stante la 
emissione di fittizi H ter 16, destinati a coprire anche quantitativi di 
benzina, mentre � certo che la Petrobenz aveva fornito soltanto gasolio. 

Gli imputati non hanno, comunque, dimostrato, come era, invece, loro 
onere, la sussistenza di tutte le condizioni necessarie per la relativa pronuncia 
di improcedibilit�, mentre � noto che la disposizione dell'art. 90 

c.p.p. non � applicabile quando oggetto del nuovo procedimento sia un 
fatto compatibile con quello giudicato in precedenza e quindi suscettibile 
di concorso materiale col medesimo (Cass. 8 giugno 1982 -Chi�volon -
Giust. Pen 1983 -III -460; 26 ottobre 1981 -Massarutti -Riv. Pen. 1982 1031). 
Le censure di Assilli Giorgio e di Alasso Adolfo sulla ritenuta esistenza 
dell'associazione per delinquere (motivo 2 dei rispettivi ricorsi) 
sono infondate. Al riguardo, va osservato che la sentenza impugnata ha 
desunto proprio dalle ammissioni degli imputati, avvalorate da obiettivi 
riscontri, la prova che la societ� a.r.l. Samoa di Livorno era stata, fin 
dalla sua origine, costituita, con predisposizione di mezzi, suddivisione 
di incarichi, divisione di utili, al solo scopo di commettere in modo continuativo 
e sistematico, su vasta scala, un numero indeterminato di reati 
di contrabbando di prodotti petroliferi. Pertanto, non si sarebbe potuta 
ravvisare, nella specie, la semplice compartecipazione criminosa perch�, 
in questa, l'accordo � diretto al compimento di uno o pi� reati, commessi 
i quali l'accordo si esaurisce e non costituisce pi� alcun pericolo, ma 
esattamente � stato ipotizzato il reato contestato, in presenza di un vincolo 
associativo consapevolmente esteso ad un generico programma delittuoso 
(affectio societatis scelerum) e cio� in presenza di un accordo tale 
da costituire di per s� un nucleo di forze, rappresentante, per il solo fatto 
della sua esistenza, indipendentemente dai reati di contrabbando, un 


RASSEGNA l>ELL1AVVOCATUllA !>ELLO STATO

680 


pericolo per l'ordine pubblico (Cass. 17 giugno 1982 � Liberti_� Riv. Pen. 

1983 -705; 28 aprile 1982 -Bosco -idem, 1983 � 676). 

Neppure merita censura il convincimento dei giudici sulla ritenuta 
esistenza del reato di cui all'art. 476 c.p., anzich� di ipotesi delittuose 
meno gravi di falso (artt. 477 � 482 -489 �.p.), in relazione alla falsificazione 
dei certificati di provenienza H ter 16 (motivo 1 ricorso Assilli; motivo 
3 ricorso Alasso; motivo 2 ricorso Biagiotti, motivo 1 ricorso Privilegi). 


Anzitutto risulta di tutta evidenza il concorso dell'Assilli e dell'Alasso 
nella falsificazione degli H ter 16 materialmente perpetrata da Catania 
Vincenzo, ove si consideri che tale falsificazione, peraltro avvenuta d'accordo 
con gli altri imputati, era il necessario presupposto della successiva 
attivit� contrabbandiera. N�, al riguardo, ha importanza che il 
Catania non poteva assumere la veste di pubblico ufficiale siccome non 
delegato dalla P. A. all'emissione degli H ter 16, dato che la delega conferita, 
a sua richiesta, alla societ� Samoa (di cui gli imputati erano ammi� 
nistratori o soci) aveva consentito l'emissione, da parte della stessa 
societ�, dei certificati di provenienza ideologicamente falsi sulla base dei 
primi certificati materialmente falsi. 

Va, poi, osservato che, giusta l'ormai consolidata giurisprudenza di 
questa Corte (S. U. 29 ottobre 1983 -Mario ed Altri � Giust. Pen. 1984 � 
II -140), il certificato di provenienza, necessario per legittimare il trasporto 
degli oli minerali, costituito dal modello H ter 16 del modulario 
generale delle dogane e delle imposte indirette, � un atto pubblico e il 
soggetto che lo rilascia � un pubblico ufficiale anche qualora sia un privato 
esercente di deposito libero di olio minerale per uso commerciale, legalmente 
autorizzato al rilascio dai competenti uffici dell'amministrazione 
finanziaria. 

Poich� istituzionalmente la formazione del documento in questione 
appartiene alla P. A., esso � senz'altro un atto pubblico che non muta 
natura quando sia rilasciato, su delega della stessa P. A., dal privato 
esercente del deposito libero di olio minerale. In tal caso il privato � 
investito occasionalmente di una pubblica funzione svolta con la formazione 
di un atto che possiede rilevanza probatoria ed effetti identici a 
quelli che esso avrebbe avuto se fosse stato rilasciato dall'ufficio pubblico. 

L'ordinamento penale riconosce espressamente la possibilit� dello 
esercizio di una pubblica funzione da parte del privato che diventa �os� 
pubblico ufficiale agli effetti della legge penale (art. 357, n. 2 c.p.). La 
delega della pubblica funzione al privato, anche se qualificata come 
�autorizzazione�, � certamente atto di natura concessoria e non autorizzativa, 
poich� non preesiste nel privato alcun potere (nella specie, 
di emettere pubblica documentazione), per il cui esercizio sia necessario 
l'intervento della pubblica amministrazione. Come � noto, la concessione 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

� un negozio di diritto amministrativo, che ha per oggetto il conferimento 
di potest� e di diritti alla persona cui � rivolta; essa si distingue dall'autorizzazione, 
in quanto quest'ultima non crea nel soggetto alcun nuovo 
potere, ma solo rende lecito o possibile l'esercizio di poteri o di diritti 
di cui lo stesso soggetto gi� sia titolare. N� il fatto che la delega assuma, 
nella specie, la forma contrattuale pu� importare una rinunzia, da parte 
della P. A., alla sua funzione, che verrebbe ad essere attribuita contrattualmente 
al privato, con la conseguenza che il certificato di provenienza 
rientrerebbe nella categoria delle autorizzazioni amministrative, tutelate, 
ai fini della loro autenticit�, dall'art. 477 c.p. Invero, il rapporto bilaterale 
a cui d� origine la concessione � cosa del tutto distinta dall'atto 
che tale rapporto produce, s� ch� diverso � il loro rispettivo carattere, e 
l'esistenza della convenzione, che importa diritti e doveri reciproci tra 
le parti, non vale a mutare la natura della concessione come atto amministrativo, 
con cui viene trasferito al privato soltanto l'esercizio di poteri 
che rimangono di esclusiva pertinenza dello Stato. 

La stessa consolidata giurisprudenza di questa Corte ha escluso che 
il modello H ter 16 sia un certificato amministrativo. La natura di atto 
pubblico del documento di cui trattasi � dimostrata dalla constatazione 
che l'attestazione della provenienza del prodotto petrolifero dal deposito 
in esso indicato, la prova della sua identit� e delle circostanze soggettive, 
di spazio e di tempo, che ne accompagnano il trasporto scaturiscono in 
modo originario dall'attivit� direttamente compiuta o caduta sotto la 
diretta percezione del pubblico ufficiale che forma il documento. �, 
infatti, l'esercente il deposito, investito della pubblica funzione, che personalmente 
identifica il deposito stesso dal quale i prodotti sono estratti 
e ne accerta qualit� e. quantit�, coevamente attestando ci� che in quello 
stesso momento va compiendo. Si verifica cio� quel primo passaggio 
dalla realt� fenomenica a quella giuridica che � carattere essenziale dell'atto 
pubblico e non del certificato, che � atto derivativo di secondo 
grado, nel quale � presupposta, una prova gi� acquisita del fatto oggetto 
di certificazione (cfr. sent. cit.). 

La sentenza impugnata ha, pertanto, correttamente ravvisato, nella 
fattispecie il pi� grave reato di falso commesso da pubblico ufficiale in 
atti pubblici, anzich� le me.no gravi ipotesi criminose, di falso in certificati 
o autorizzazioni amministrative (art. 477 c.p.), di falso commesso 
da privato in atti pubblici (art. 482 c.p.), di uso di atto falso (art. 489 c.p.). 

Invero, dalla sentenza impugnata, in base agli elementi di fatto 
da essa risultanti, non � dato rilevare, all'evidenza, cause di non punibilit� 
pi� favorevoli, mentre � noto che in presenza di una causa estintiva 
del reato non sono proponibili in cassazione difetti di motivazione 
della sentenza impugnata neppure ai fini dell'applicazione dell'art. 152 
cpv. c.p.p., perch� l'inevitabile rinvio al giudice di merito sarebbe incom



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

682 

patibile con il principio di applicazione immediata della causa estintiva 
(Cass. 6 maggio 1982 -Alboetti -Riv. Pen. 1983 -207; 22 marzo 1982 -
Bicoli -idem, 1983 -602; 16 febbraio 1982 -Paganotti -idem, 1983 -517). 
Va, altres�, osservato che sulla pretesa erronea qualificazione giuridica 
del reato nonch� sull'assoluzione con formula dubitativa prevale la declaratoria 
di estinzione, essendo questa esclusa soltanto dall'evidenza delle 
prove delfinsussistenza del fatto, o dell'incolpevolezza dell'imputato, ovvero 
perch� il fatto non � preveduto dalla legge come reato. 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sez. VI, 29 ottobre 1985, n. 9998 -
Pres. Mastursi -Est. Trojano -Rie. P.G. e Amm.ne finanziaria dello 
Stato (avv. Stato Nicola Bruni). 

Reato -Delitto di concussione -� Metus publicae potestatis � -Contenuto. 

Reato -Delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio Individuazione 
dell'atto. 

Reato -Delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio Promessa 
o ricezione dell'utilit� non seguita dall'atto che il p.u. si 
� impegnato a compiere -Sussistenza del reato. 

Nel delitto di concussione il metus publicae potestatis si atteggia in 
modo diverso a seconda che l'abuso, posto in essere dal pubblico ufficiale, 
si realizzi mediante costrizione o induzione per persuasione. Mentre 
nel primo caso il metus consiste nel timore di un danno apertamente 
minacciato, nel secondo esso si risolve nella soggezione del soggetto passivo 
alla posizione di preminenza del p.u., il quale, abusando della propria 
qualit� e delle sue funzioni, faccia leva su di esse per suggestionare, 
consigliare o convincere a dare o promettere denaro o altra utilit�, al 
fine di stornare un male maggiore, il cui verificarsi sia stato in qualche 
modo prospettato dall'agente. 

Nel delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, l'individuazione 
dell'atto da parte dei contraenti del (( pactum sceleris � ricorre 
anche quando la controprestazione della promessa o della dazione 
dell'utilit� sia costituita da un comportam.ento del p.u. ben determinato 
nel suo contenuto anche se suscettibile di specificarsi in una pluralit� 
di atti singoli non specificamente previsti e programmati (ha ritenuto 
il S. C. che tale requisito pu� ben ricorrere allorch� il direttore dell'ufficio 
IVA si impegni, nell'ambito di un rapporto di consulenza a carattere 
continuativo, ad aiutare il contribuente ad evadere le imposte afferenti 
ad una sua ben precisa e determinata attivit� economica). 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

Dal momento consumativo del delitto di c6rruzione di cui all'�rt. 319 

c.p. esula l'effettivo compimento dell'atto, tanto che il reato si consuma 
anche se il p.u. non faccia seguire alla promessa o alla ricezione della uti� 
lit� l'atto elle si � impegnato a compiere. 
(omissis) In via preliminare, deve essete dichiarata l'inammissibilit�, 
per sopravvenuta rinunzia, del ricorso proposto dal Procuratore Generale' 
presso la Corte di Appello di Venezia contro il proscioglimento 
del Paolacci da tutti i reati ascrittigli diversi dal delitto di concussione, 
nonch� contro l'assoluzione degli imputati Villani, Zennaro, Tamburro, 
Ferroni, Ronconi e Dondi. 

Con l'uriico motivo del ricorso del P. M. e con la. seconda censura 
del ricorso proposto dalla parte civile si censura la sentenza impugnata, 
sotto il profilo della violazione dell'art. 317 cod. pen., per aver erroneamente 
escluso che valesse a concretare il delitto di concussione il comportamento 
tenuto dal Paolacci nei confronti del Salustri e consistente 
nell'averlo indotto a procurare clienti alla societ� RO/Quattro, della quale 
erano soci alcuni suoi parenti. Si assume, al riguardo, che tale condotta, 
sia per la posizione del Paolacci, dirigente del secondo ufficio IV A di 
Rovigo, sia per le modalit� di tempo in cui era stata posta in essere 
-dopo una ispezione fiscale eseguita a carico del soggetto passivo e 
quando non era da escludere che altra ispezione potesse essere disposta in 
ordine ad altra attivit� imprenditoriale dello stesso contribuente -aveva 
sostanziato un vero e proprio abuso della qualit� e delle funzioni del 
pubblico ufficiale, diretto ad indurre il Salustri, sia pure in modo velato, 
a favorire la cennata societ� contro il suo volere. 

Tale censura � infondata. La Corte del merito accert� che il Paolacci, 
dopo aver eseguito, nello studio del Salustri, un'ispezione fiscale conclusasi 
in modo favorevole al contribuente, era ritornato in detto studio 
e, conversando con un collaboratore dello stesso Salustri, aveva raccomandato 
la societ� R0/4 dei fratelli Ronconi, di cui erano soci la moglie 
ed i cognati, chiedendo che le venissero indirizzati dei clienti. Su tali 
premesse, la Corte escluse la sussistenza degli estremi del contestato 
delitto sul quadruplice rilievo che la raccomandazione, pur evidenziando 
una mancanza di correttezza da parte del pubblico ufficiale, non sostanziava, 
di per s� sola, un abuso di ufficio; eh~ non v'era prova che la medesima 
fosse stata compiuta in forme prevaricatrici o comunque, inti� 
midatorie; �che, quanto al requisito del metus pubblicae potestatis, il 
Salustri, essendo uscito indenne dalla precedente ispezione fiscale, aveva 
poco da temere dall'imputato; che, infine, dai pregressi rapporti di affari 
correnti fra il Salustri e la societ� R0/4 non era da escludere che l'invio 
a quest'ultima di nuovi clienti sarebbe avvenuto anche senza l'intervento 


684 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

del Paolacci. Orbene, tale motivazione, considerata nel suo complesso, 
resiste alle censure mossele dai ricorrenti. 


Giova rilevare a tale riguardo, che, come pi� volte affermato da questa 
Corte, il metus publicae potestatis si atteggia, nel delitto di concussione, 
in modo diverso a seconda che l'abuso, posto in essere dal 
pubblico ufficiale, si realizzi mediante costrizione, induzione per persuasione 
o induzione pre frode. Prescindendo da quest'ultima ipotesi del tutto 
estranea alla fattispecie in esame, � da rilevare che, mentre nel primo 
caso, il metus consiste nel timore di un danno apertamente minacciato, 
nel secondo, esso si risolve nella soggezione del soggetto passivo alla 
posizione di preminenza del pubblico ufficiale, il quale, abusando della 
propria qualit� e delle sue funzioni, faccia leva su di esse per suggestionare, 
consigliar~ o convincere a dare o promettere denaro o altra utilit�, 
al fine di stornare un male maggiore, il cui possibile verificarsi sia stato 
in qualche modo prospettato dall'agente. 

Nella specie, come gi� rilevato, la sentenza impugnata ha ritenuto 
non dimostrato che la raccomandazione rivolta dal Paolacci al collaboratore 
del Salustri fosse stata accompagnata dall'aperta minaccia di una 
nuova ispezione fiscale ovvero da quella forma sottile ed indiretta di 
intimidazione in cui si concreta l'induzione per persuasione. E tale 
apprezzamento non � censurabile in questa sede, poich�, se, da un lato, 
� certamente esatto che la mera richiesta di favori avanzata dal pubblico 
ufficiale ad un privato, non vale a concretare la fattispecie criminosa 
in esame ove non sia fondata sulla preminenza intimidatrice del soggetto 
attivo, a sua volta imperniata sull'abuso delle qualit� o delle funzioni, 
dall'altro, come esattamente ritenuto dal giudice del merito, le stesse 
modalit� temporali delle raccomandazioni, non costituivano un elemento 
decisivo sufficiente a provare che, nella specie, siffatta intimidazione fosse 
stata realmente consumata. Che, anzi, la stessa circostanza che tale raccomandazione 
sia stata avanzata non prima o durante l'ispezione fiscale, 
ma dopo l'esito positivo di questa, potrebbe essere invocata come un 
indizio contrario alla tesi dei ricorrenti. 

Non assume, infine, rilievo, ai fini della qualificazione del fatto, 

l'ulteriore circostanza alligata dai ricorrenti che, cio�, il Salustri, infor


mato dalle sollecitazioni dell'imputato, sarebbe stato indotto ad aderirvi 

dal timore delle possibili conseguenze negative di un suo rifiuto; e 

ci� sia perch� tale assurdo collide con il convincimento del giudice del 

merito, tratto dalla testimonianza resa dal medesimo Salustri nell'istrut


toria formale, che, e per i pregressi rapporti di affari fra il testimone 

e la societ� R0/4, e per il limitato numero delle imprese operanti nello 

stesso campo di tale societ�, appariva quanto meno possibile che la rac


comandazione del Paolacci non avesse spiegato un ruolo decisivo, sia 

perch�, comunque, ai fini della prova della sussistenza di un reato, assu-

I 
I 


I 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

mono rilievo decisivo la natura e le modalit� della condotta tenuta dall'imputato 
e non certo le reazioni psicologiche o l'interpretazione soggettiva 
data ai fatti dal soggetto passivo. 

Con il terzo motivo la parte civile Amministrazione delle Finanze si 
duole che la sentenza impugnata ha escluso la responsabilit� del Paolacci 
per il delitto di corruzione propria, ritenendo non provato il compimento, 
da parte del medesimo dietro compenso in denaro, di atti contrari ai 
doveri del proprio ufficio, senza considerare che l'imputato era venuto 
meno all'obbligo del rapporto in ordine alla sussistenza di conti correnti 
occulti, sui quali venivano gestiti i �fondi neri� della societ� Dondi, 
pur essendone a conoscenza in quanto proprio sui detti conti venivano 
tratti gli assegni emessi in suo favore; che lo stesso Paolacci si era, 
inoltre, reso complice nell'emissione, da parte di tale societ�, di fatture 
per operazioni inesistenti; che le dichiarazioni della societ� Dondi ai fini 
dell'l.V.A. contenevano irregolarit� ed inesattezze. 

Questa doglianza merita di essere accolta, poich� la motivazione della 
sentenza impugnata � sul punto gravemente lacun�sa e contraddittoria. 

Invero, il giudice di appello rivel� essere incontestabile che il Paolacci 
aveva percepito dalla cennata societ� diversi assegni bancari e che 
la corrispondenza della data di riscossione di questi titoli di credito 
con l'inizio e la fine dell'anno solare accreditava la tesi che i relativi 
importi rappresentavano il compenso di incarichi di consulenza fiscale 
in tema di pagamento dell'l.V.A. Osserv� che, tuttavia, l'espletamento 
di tali incarichi, pur violando un preciso divieto posto dallo statuto dei 
pubblici impiegati, non valeva, di per s� solo a comprovare il delitto di 
corruzione propria. Invero, premesso che elemento tipico di questo reato 
� l'individuazione, da parte dei soggetti attivi, degli specifici atti contrari 
ai doveri di ufficio che il pubblico ufficale si impegna a compiere 
dietro co:t'npenso, la Corte rilev� che, nella specie, non sussisteva alcuna 
prova in ordine a detta individuazione e, comunque, al compimento di 
tali atti. In particolare, non risultava dimostrato, ad avviso dei giudici 
del merito, che il Paolacci avesse suggerito alla societ� Dondi specifici 
stratagemmi diretti all'evasione fiscale; ed invero: a) l'apertura di conti 
correnti intestati ad uno degli amministratori, sui quali confluivano gli 
introiti della contabilit� non ufficiale della societ�, rappresentava un'operazione 
consueta nel mondo degli affari, per la quale la societ� Dondi 
non aveva bisogno di particolari suggerimenti; b) gli illeciti tributari 
consumati da questa societ� non erano particolarmente gravi e, comunque, 
rientravano, anch'essi nella norma; e) non poteva ritenersi, comunque, 
che il Paolacci, salvo per quanto atteneva alle dichiarazioni I.V.A. 
redatte di suo pugno, fosse � l'unico o il primo responsabile � di tali 
irregolarit�; d) il solo dato sospetto -consistente nelle differenze fra 
le dichiarazioni I.V.A. e le risultanze dei registri, dovute all'impiego di 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

686 

aliquote diverse -non costituiva, di per s�, un decisivo elemento di 
prova, non essendo stata provata la sussistenza del dolo o, comunque, 
che il Paolacci avesse ricevuto compensi per porre in essere siffatte 
irregolarit�; e) la posizione g�rarchica dell'imputato non era, inoltre, 
tale da impedire eventuali verifiche tributarie; f) non risultava, infine, 
che la societ�. Dondi fosse stata agevolata per quanto riguardava i rimborsi 
di imposta. 

Al fine di valutare l'idoneit� di tale motivazione a sorreggere il proscioglimento 
del Paolacci, occorre rilevare che la Corte del merito prende 
le mosse dal principio enunciato da questa Corte (Cass. VI, 24 febbraio 
1982, n. 1940) secondo il quale elemento tipico del delitto di corruzione 
� la precisa determinazione dell'atto di ufficio o contrario al 
dovere di ufficio da compiersi dal pubblico ufficialj!. Invero, l'incontro 
dei consensi fra corruttore. e corrottq non pu� non riguardare la negoziazione 
di un atto o di un comportamento amministrativo individuato 
nel suo oggetto e nella� sua portata, poich� il concetto di compenso 
previsto dagli artt. 318 e 319, cod. pen., �implica una controprestazione 
che, a sua volta, richiede un termine determinato di riferimento. Sicch� 
non rappresenta elemento idoneo _ad integrare il delitto in esame l'utilit� 
data o promessa nella generica previsione di eventuali, futuri ed imprecisati 
atti omissivi o commissivi al fine di ottenere la benevolenza del 
pubblico ufficiale. 

Senonch� il richiamo di questo principio � tutt'altro che pertinente 
al caso di specie. Inver�, non pu� contestarsi che l'individuazione dell'atto 
o del comportamento contrario ai doveri di ufficio, da parte dei 
contraenti del pactum sceleris -ricorre anche quando la controprestazione 
della promessa o della dazione dell'utilt� sia costituito da un comportamento 
del pubblico ufficiale ben determinato nel suo contenuto anche 
se suscettibile di specificarsi in una pluralit� di atti singoli non specificamente 
previsti e programmati. E tale requisito pu� ben ricorrere 
allorch� il pubblico ufficiale si impegni, nell'ambito di un rapporto di 
consulenza a carattere continuativo, ad aiutare il contribuente ad evadere 
le imposte afferenti ad una sua ben precisa e determinata ~ttivit� economica. 


�, altres�, incontestabile che il rapporto di consulenza tributaria, 
considerato in se stesso, pu� ben mantenersi nei limiti del mero illecito 
amministrativo e--disciplinare, sotto il profilo dell'inosservanza del divieto, 
posto ai pubblici dipendenti dall'art. 60 del d.P.R. 10 gennaio 1957, 

n. 3, di esercitare alcune professioni o di assumere impieghi alle dipendenze 
di privati; ma � anche vero che siffatta consulenza, ove riguardi, 
come nella specie, attivit� che il pubblico ufficiale � tenuto a vigilare 
nell'esercizio delle sue specifiche incombenze di ufficio, racchiude in s� 
un grave elemento di sospetto in ordine al suo possibile travalicare nel

PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

l'illecito penale, quale strumento rivolto a suggerire al privato comportamenti 
idonei a sfuggire al controllo. Ne deriva che siffatto rapporto 
di consulenza, se accertato, deve. costituire l'oggetto di un approfondito 
esame da parte del giudice del merito allo scopo di appurare se i suddetti 
limiti siano stati in concreto travalicati. Ed in tale indagine, particolare 
rilievo assume il comportamento successivo tenuto dal pubblico 
,ufficiale, poich�, se dal momento consumativo del delitto de quo esula 
certamente l'effettivo compimento dell'atto tanto che il reato si consuma 
anche se il pubblico ufficiale non faccia seguire alla promessa o alla 

\ 

ricezione dell'utilit� l'atto che si � impegnato a compiere (cfr. Cass. VI, 
12 giugno 1982, n. 5913), � del pari indubbio che l'effettiva . ...realizzazione 
di quest'atto sostanzi un elemento di prova illuminante in ordine all'effettiva 
portata del pactum sceleris. Per contro, l'indagine condotta sul 
punto dalla Corte di merito � tutt'altro che esente da critiche. Ed, invero, 
una volta accertato che la societ� Dondi si rese responsabile di una 
serie di infrazioni alle norme tributarie e che queste riguardarono anche 
le dichi~.razioni ai fini dell'IVA redatte di pugno del Paolacci, la colpevolezza 
di quest'ultimo poteva essere esclusa soltanto se fosse stato accertato 
che il medesimo mm vi aveva consapevolmente concorso, essendo, 
invece, privo di qualsiasi rilievo il sostenere, come invece fa la Corte 
di appell.o, che tali irregolarit� rientravano nella norma o che l'imputato 
non poteva essere considerato l'unico o il principale responsabile delle 
irregolarit� commesse dall'anzidetta impresa. Inoltre, essendo stato appurato 
che la societ� Dondi aveva aperto conti correnti, intestati ad 
uno dei suoi amministratori, per farvi confluire i c.d. � f9ndi neri �, 
non era sufficiente osservare, al fine di escludere che l'imputato fosse 
venuto meno all'obbligo di segnalare tale circostanza ai suoi superiori, 
che trattavasi di un sotterfugio generalmente praticato, la cui adozione 
non richiedeva il suggerimento di esperti. Sarebbe stato, invece, indispensabile 
accertare che il Paolacci, pur venendo retribuito con assegni 
tratti sui detti conti correnti, non ne avesse avuto sentore. Ancora, non 
pu� sfuggire la palese contraddizione esistente fra l'assunto della Corte 
del merito che la posizione gerarchica ricoperta dal Paolacci nel proprio 
ufficio non gli consentiva di evitare che la societ� Dondi � fosse soggetta 
a verifiche fiscali e l'altra affermazione, pur essa c9ntenuta nella sentenza 
impugnata, che tali verifiche, pur essendo disposte da �ltro funzionario, 
venivano normalmente eseguite su segnalazione dello stesso 
Paolacci, cui era attribuita la competenza ad eseguire gli accertamenti 
tributari, dai quali poteva emergere l'opportunit� di indagini ispettive. 
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata per quanto 

attiene al reato di corruzione, devolvendosi al giudice del rinvio il 

compito di accertare la consumazione di tale reato sulla base di una 

rivalutazione globale di tutte le emergenze istruttorie. 


688 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Con altro motivo, infine, la parte civile denunzia la violazione del 

d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, in riferimento all'art. 50, quarto comma, 
del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, recante la disciplina dell'imposta sul 
valore aggiunto. In particolare, si censura la sentenza impugnata per 
aver applicato l'amnistia prevista dal citato d.P.R. n. 525 del 1982, ai reati 
tributari commessi da alcuni degli imputati mediante l'emissione di fatture 
per operazioni commerciali inesistenti o comunque difformi da quelle 
indicate nelle fatture medesime. Si sostiene, al riguardo, che la suindicata 
amnistia, proprio perch� condizionata alla presentazione di una dichiarazione 
integrativa la quale comporti la definizione automatica della 
pendenza tributaria o, comunque, assicuri all'erario un'entrata non inferiore 
ad un determinato importo, riguarda esclusivamente i reati che 
abbiano comportato l'evasione del tributo e, pertanto, non � applicabile 
anche ai delitti in esame, previsti nel quarto comma del cit. art. 50, 
che si sostanziano in reati di mera condotta, del tutto svincolati da una 
effettiva evasione. 
Questa doglianza, avente ad oggetto la sola dichiarazione di estin� 
zione dei suindicati reati per intevenuta amnistia, non � sorretta da un 
effettivo interesse a ricorrerre ed �, comunque, infondata. 

Deve rilevarsi, a questo riguardo, che l'art. 1 del citato d.P.R. n. 525 
del 1982 ha concesso l'amnistia per i reati previsti, fra l'altro, dall'art. 50 
del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, subordinando il godimento di tale bene� 
ficio alla presentazione, da parte del contribuente o di chiunque vi abbia 
interesse, dell'istanza di definizione automatica della pendenza tributaria 
(secondo comma), ovvero, indichi un'imposta non inferiore a determinati 
importi (terzo comma). Sin dalla prima applicazione di tale norma, 
un orientamento dottrinale condiviso da qualche magistratura di merito, 
ritenne che la stessa condizione cui � subordinata l'amnistia -e, cio�, 
la presentazione della dichiarazione integrativa, la quale deve indicare, 
a norma dell'art. 30 della legge 7 agosto 1982, n. 516, l'ammontare dell'imposta 
dovuta o la minore eccedenza detraibile -escluderebbe l'applicabilit� 
dd provvedimento di clemenza al reato, di cui al quarto 
comma del cit. art. 50, consistente, come quelli in esame, nella emissione 
di fatture inesistenti e nell'annotazione di tali fatture nei registri di cui 
all'art. 25 del d.P.R. n. 633 del 1972, poich� questo delitto, costituendo un 
reato formale o di mero pericolo, prescinde, ai fini della sua composizione, 
da una concreta evasione tributaria. 

Senonch� questa tesi non pu� essere condivisa sia perch� collide 
con la chiara formulazione letterale della norma in esame, che ha ri� 
guardo a tutti i reati puniti dall'art. 50 del d.P.R. n. 633 del 1972, e non 
soltanto alle ipotesi previste nei primi tre commi di quest'ultima norma, 
sia perch� non � logicamente ammissibile che il legislatore abbia inteso 
concedere l'amnistia ai pi� gravi reati di cui ai primi due commi dello 

I 
I 


~ 

I 




PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALB 

stesso articolo, consistenti nel mancato pagamento dell'imposta per un 
ammontare superiore ai cento milioni o nell'aver ottenuto un indebito 
rimborso per un ammontare superiore ad un milione ed, invece, negare 
lo stesso beneficio al meno grave reato di emissione ed annotazione di 
fatture per operazioni inesistenti. L'unico quesito astrattamente prospettabile 
concerne, pertanto, i presupposti necessari per l'applicabilit� 
del provvedimento di clemenza a quest'ultimo reato. Invero, mentre una 
parte della dottrina ritiene che tale delitto sarebbe amnistiabile in modo 
incondizionato e, cio�, indipendentemente dalla presentazione della dichiarazione 
integrativa, si oppone da altri che, invece, siffatta condizione 
riguarda tutti i reati previsti dal cit. art. 50, sia perch� il testo dell'art. 1 
del d.P.R. 525 del 1982 non introduce al riguardo alcuna distinzione, sia 
perch�, infine, la connaturata idoneit� dell'emissione e registrazione di 
fatture false a pregiudicare l'interesse fiscale protetto rende tutt'altro 
che irrazionale la previsione della presentazione della dichiarazione sostitutiva 
quale presupposto necessario per l'applicabilit� dell'amnistia. 

Peraltro la risoluzione di tale quesito esula dall'economia del processo, 
poich�, da comunicazione dell'ufficio tributario, risulta che le dichiarazioni 
integrative in esame sono state nella specie presentate da 
tutti gli interessati. 


PARTE SECONDA 



LEGISLA.ZIONE 


I� NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice di procedura civile, art. 404, nella parte in cui non ammette l'opposizione 
di terzo avverso l'ordinanza di sfratto per morosit�. 

Sentenza 25 ottobre 1985, n. 237, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. 

codice penale, art. 273. 

Sentenza 3 luglio 1985, n. 193, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 

codice penale, art. 274. 

Sentenza 3 luglio 1985, n. 193, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 

r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 211. 
Sentenza 3 luglio 1985, n. 193, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 

legge 3 aprile 19!18, n. 460, art. 32, quarto comma, nella parte in cui non 
prevedeva che anche i sottufficiali di p.s. potessero conseguire la pensionP-::il 
compimento di quindici anni di servizio se dispensati dal servizio di autorit�. 

o rimossi dal grado, o cessati comunque dal servizio per effetto di condanna 
penale. 
Sentenza 25 ottobre 1985, n. 236, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-1'is. 

legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21, ultimo comma, nella parte, in cui 
limitando l'intervento di urgenza del giudice amministrativo alla sospem.ione 
dell'esecutivit� dell'atto impugnato, non consente al giudice stesso di adottare 
nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego, sottoposte alla 
sua giurisdizione esclusiva, i provvedimenti d'urgenza che appaiano secondo 
le circostanze pi� idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione 
sul merito, le quante volte il ricorrente abbia fondato motivo di temere 
che durante il tempo necessario alla prolazione della pronuncia di merito 
il suo diritto sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile. 

Sentenza 28 giugno 1985, n. 190, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. 

legge 14 aprile 197!1, n. 103, artt. 40, primo comma, e 44, secondo comma, 
ultima parte. 

Sentenza 17 ottobre 1985, n. 231, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. 



118 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

Codice civile, art. 2122, primo comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 22 luglio 1985, n. 213, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. 

codice penale, art. 280, ultimo comma_ (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 3 luglio 1985, n. 194, G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. 

codice di procedura penale, art. 395, primo comma (artt. 3 e 24 della Costi


tuzione). 
Sentenza 15 luglio 1985, n. 202, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. 

codice procedura penale, art. 489, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 25 luglio 1985, n. 222, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. 

d.P.R. 14 agosto 1954, 11. 676 (artt. 3, 11 e 53 de1Ia Costituzione). 
Sentenza 25 luglio 1985, n. 219, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. 
d.P.R. 23 agosto 1960, n. 905 (artt. 3, 11 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 25 luglio 1985, n. 219, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. 
legge 18 dicembre 1960, n. 1561, art. 1 (art. 3� della Costituzione). 

Sentenza 3 luglio 1985, n. 198, G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. 

legge 12 giugno 1962, n. 567, art. 8 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 17 ottobre 1985, n. 227, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. 


d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 205, lett. a) e e), e 213 (artt. 3 e 38 della 
Costituzione). 
Sentenza 25 luglio 1985, n. 221, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. 

legge 11 febbraio 1971, n. 11, art. 28 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 17 ottobre 1985, n. 227, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 (artt. 3, 24 e 113 della Costituzione). 
Sentenza 17 ottobre 1985, n. 226, G. U. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. 

legge 7 agosto 1973, n. 5i9, artt. 64, quarto comma, e 66 (art. 3 della Costi


tuzione). 
Sentenza 22 luglio 1985, n. 212, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge reg. Emilia-Romagna 28 agosto 1973, n. 31, art. 1, secondo comma 
(art. 130 della Costituzione). 

Sentenza 22 luglio 1985, n. 211, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. 

d.P.R. 29 settembre '1973, n. 599, art. 6, primo comma (artt. 3, 24 e 53 della 
Costituzione). 
Sentenza 17 ottobre 1985, n. 229, G. ,u. 30 ottobre 1985, n. 256-bis. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, 11. 1092, art. 85, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 28 giugno 1985, n. 186, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 147, primo comma (artt. 3, 36 e 38 della 
Costituzione). 
Sentenza 15 luglio 1985, n. 203, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. 

legg�e reg. Friuli-Venezia Giulia 17 luglio 1974, n. 31 (artt. 4 e 68 dello 
statuto regionale). 

Sentenza 28 giugno 1985, n. 188, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 

legge 18 aprile 1975, n. 148, art. 12 (artt. 3, 4, 34 e 36 della Costituzione). 
Sentenza 22 luglio 1985, n. 210, G. U. 7 agosto .. 1985, n. 185-bis. 

legge 3 gennaio 1978, n. 1 (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 22 luglio 1985, n. 214, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. 


legge 3 gennaio 1978, n. 1 (artl. 8, n. 5, 17, 22 e 28 dello statuto spec. 
Trentino-Alto Adige): 

Sentenza 22 luglio 1985, n. 214, G. U. �7 agosto 1985, n. 185-bis. 

legge 18 agosto 1978, n. 497, art. 4 (artt. 8, n. 5, e 16 dello statuto spec. 
Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 22 luglio 1985, n. 215, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 13, ptimo e terzo comma (artt. 3, 36, 51 e 97 
della Costituzione). 
Sentenza 15 luglio 1985, n. 204, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. 

d.l. 6 dicembre 1984, n. 807, nel suo complesso e, in particolare, artt. 1, 
primo comma, 2, primo e secondo comma, e 4 [conv. in legge 4 febbraio 1985. 
n. 
10] (artt. 3, 8, 18 e 19 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 15 luglio 1985, n. 207, G.U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. 
legge 6 febbraio 1985, n. 16 (artt. 3, 8, n. 5, e 16 dello Statuto spec. TrentinoAlto 
Adige). 

Sentenza 22 luglio 1985, n. 216, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. 


140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

III � QUESTIONI PROPOSTE 

codice civile, art. 244, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Savona, ordinanza 24 aprile 1984, n. 250/85, G. U. 28 agosto 1985, 


n. 202-bis. 
codice civile, art. 1916, secondo comma (artt. 35 e 38 della Costituzione). 
Giudice istruttore tribunale di Genova, ordinanza 26 novembre 1984, 


n. 239/85, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. 
codice di procedura civile, art. 164 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Corte d'appello di Bari, ordinanza 15 febbraio 1985, n. 311, G. U. 18 settembre 
1985, n. 220-bis. 

codice di procedura civile, artt. 216, primo comma, e 648, primo comma 
(artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso il tribunale di Fermo, ordinanza 28 gennaio 1985, 

n. 240, G. U. 7 agosto 1985, n. 185-bis. 
codice di procedura civile, art. 246 (artt. 2, 3 e 24 della Costituzione). 

Corte d'appello di Roma, ordinanza 25 ottobre 1983, n. 249/85, G. U. 7 agosto 
1985, n. 185-bis. 

codice di procedura civile, art. 404 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 25 maggio 1984, n. 85/85, G. U. 3 luglio 1985, 


n. 155-bis. 
codice penale, art. 206, primo e terzo comma (art. 13 della Costituzione). 
Giudice istruttore presso il tribunale di Perugia, ordinanza 25 febbraio 1985, 


n. 262, G. U. 11 settembre 1985, n. 214-bis. 
codice penale, art. 235 (art. 3 della Costituzione). 
Corte d'appello di Venezia, ordinanza 7 dicembre 1984, n. � 137/85, G. U. 
10 luglio 1985, n. 161-bis. 

codice penale, art. 384, pdmo comma (artt. 3 e 29 della Costituzione). 
Giudice istruttore tribunale di Camerino, ordinanza 6 febbraio 1985, n. 193, 


G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. 
codice penale, art. 589 (artt. 3, 29 e 30 della Costituzione). ~ 

Tribunale di Frosinone, ordinanza 7 febbraio 1985, n. 316, G. U. 25 settemi 
bre 1985, n. 226-bis. 

I 
codice di procedura penale, art. 31, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). ! 
!

Pretore di Urbino, ordinanza 11 febbraio 1985, n. 181, G. U. 31 luglio 1985, i 

I f

n. 119-bis. 
I 

' 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

codice di procedura penale, art. 41-bis (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso Tribunale di Enna, ordinanza 6 novembre 1984, 

n. 169/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 
codice di procedura penale, art. 192 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Gravina di Puglia, ordinanza 23 marzo 1985, n. 303, G.U. 18 set� 
tembre 1985, n". 220-bis. 

codice di procedura penale, art. 263, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 26 novembre 1984, n. 202/85, G. U. 17 luglio 
1985, n. 167-bis. 
Corte di cassazione, ordinanza 17 dicembre 1984, n. 201/85, G. U. 31 luglio 
1985, n. 179-bis. 
Corte di cassazione, ordinanza 14 febbraio 1985, n. 255, G. U. 4 settembre 
1985, n. 208-bis. 

codice di procedura penale, art. 282, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costi� 
tuzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 17 dicembre 1984, n. 266/85, G. U. 4 settembre 
1985, n. 208-bis. 

codice di procedura penale, art. 323, ultimo comma (artt. 3 e 24 della Costi� 
tuzione). 

Giudice istruttore presso tribunale di Vigevano, ordinanza 20 ottobre 1984, 

n. 285/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. 
codice di procedura penale, artt. 392, secondo comma, e 296, secondo comma 
(artt. 24, 25, 97 e 112 della Costituzione). 

Pretore di San Giovanni Valdarno, ordinanza 8 marzo 1985, n. 319, G. U. 
25 settembre 1985, n. 226-bis. 

codice di procedura penale, artt. 392, secondo comma, e 296 secondo e terzo 
comma (artt. 3, 25 e 31 della Costituzione). 

Pretore di San Giovanni Valdarno, ordinanza 8 marzo 1985, n. 319, G. U. 
25 settembre 1985, n. 226-bis. 

codice penale militare di pace, artt. 223 e 260 (art. 3 della Costituzione). 

Corte militare d'appello di Verona, ordinanza 28 marzo 1985, n. 344, G. U. 
25 settembre 1985, n. 226-bis. 

legge 8 agosto 1895, n. 486, art. 11, sesto comma, ali. T all'art. 39 (art. 3 
della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanze (due) 17 maggio 1984, nn. 171 e 172/85, G. U. 
10 luglio 1985, n. 161-bis. 


142 
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, artt. 29, n. 1, e 39 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore cli Sal�, ordinanza 11 dicembre 1984, n. 112/85, G. U. 3 luglio 1985, 
n. 155-bis. 
r.d. 18 giugno 1931, l.l� 773, art. 86 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Tivoli, ordinanza 27 marzo 1985, n. 412, G. U. 23 ottobre 1985, 
n. 250-bis. 
r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 152, secondo comma (artt. 2 e 97 della Co~tl� 
tuzione). 
Pretore di Legnano, ordinanza 28 febbraio 1985, n. 256, G. U. 24 luglio 1985, 

n. 173-bis. 
r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Gravina di Puglia, ordinanza 23 marzo 1985, n. 303, G. U. 18 set� 
tembre 1985, n. 220-bis. 

legge 10 maggio 1938, n. 745, art. 11 (art. 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Catania, ordinanza 17 gennaio 1985, n. 253, G. U. 17 luglio 
1985, n. 161-bis. 

r.d. 
25 maggio 1939, n. 1279, art. 47 (art. 42 della Costituzione). 
Corte d'appello di Catania, ordinanza 17 gennaio 1985, n. 253, G. U. 17 luglio 
1985, n. 161-bis. 

legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, primo comma (artt. 24, 25 e 112 della 
Costituzione). 
Pretore di Voghera, ordinanza 29 maggio 1984, n. 259/85, G. U. 28 agosto 
1985, n. 202-bis. 

legge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 13 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 3 marzo 1982, n. 194/85, G. U. 17 luglio 1985, 


n. 161-bis. 
legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 9, quarto comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Vicenza, ordinanza 29 novembre 1984, n. 260/85, G. U. 4 set� 
tembre 1985, n. 208-bis. 

legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 23 (arti. 2, 3 e 33 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 15 marzo 1985, n. 365, G. U. 2 ottobre 1985, 

n. 232-bis. 
legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 30 (artt. 3 e 136 della Costituzione). 
Tribunale di Bologna, ordinanza 14 marzo 1984, n. 129/85, G. U. 10 luglio 1985, 

n. 
161-bis. 
Tribunale di Bologna, ordinanza 7 maggio 1984, n. 116/85, G. U. 10 luglio 1985, 
n. 161-bis. 
I 


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i 

I 


I 


I 



PARTB II, LEGISLAZIONE 

legge 23 marzo 1956, n. 167, art. 8 (artt. 3 e 103 della Costituzione). 

Tribunale militare di Bari, ordinanza 28 febbraio 1985, n. 264, G. U. 21 agosto 
1985, n. 196-bis. 

legge reg. Trentino-Alto Adige 6 aprile 1956, n. 5, art. 16, secondo comma 
Cartt. 25 e 63 dellq statuto regionale). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 11 aprile 1985, n. 327, G. U. 2 ottobre 
1985, n. 232-bis. 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87, 89 e 140, ultimo comma (artt. 3, 38, 53 
e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanza 
10 dicembre 1984, n. 382/85, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 87, primo comma, e 140, ultimo comma 
(artt. 38 e 53 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 21 dicembre 1984, n. 313/85, G. U. 18 settembre 
1985, n. 220-bis. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 58, ottavo comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Tolmezzo, ordinanza 31 gennaio 1985, n. 391, G. U. 23 ottobre 1985, 

n. 250-bis. 
d.p. reg. Sicilia 20 agosto 1960, n. 3, art. 5, n. 6 (artt. 3 e 51 della Costituzione). 
Gorte d'appello di Catania, ordinanza 26 ottobre 1984, n. 98/85, G. U. 3 luglio 
1985, n. 155-bis. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Palermo, ordinanza 5 dicembre 1984, n. 230/85, G. U. 24 luglio 1985, 

n. 
173-bis. 
Pretore di Messina, ordinanza 20 marzo 1985, n. 338, G. U. 9 ottobre 1985, 
n. 238-bis. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Savona, ordinanze (due) 4 dicembre 1984, nn. 76-77/85, G. U. 
3 luglio 1985, n. 115-bis. 
Pretore di Udine, ordinanza 14 dicembre 1984, n. 80/85, G. U. 3 luglio 1985, 

n. 
155-bis. 
Pretore di Palermo, ordinanza 21 dicembre 1984, n. 127/85, G. U. 10 luglio 1985, 
n. 
161-bis. 
Pretore di Savona, ordinanza 14 gennaio 1985, n. 179, G. U. 31 luglio 1985, 
n. 
119-bis. 
Pretore di Udine, ordinanza 18 gennaio 1985, n. 185, G. U. 31 luglio 1985, 
n. 119-bis. 

1.44 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Pretore di Ancona, ordinanza 30 ottobre 1984, n. 267/85, G. U. 21 agosto 1985, 

n. 
196-bis. 
Pretore di Bari, ordinanza 15 febbraio 1985, n. 238; G. U. 21 agosto 1985, 
n. 
196-bis. 
Pretore di Udine, ordinanza 15 febbraio 1985, n. 302, G. U. 25 settembre 1985, 
n. 
226-bis. 
Pretore di Pescara, ordinanza 28 febbraio 1985, n. 296, G. U. 2 ottobre 1985, 
n. 
232-bis. 
Pretore di Aosta, ordinanza 23 marzo 1985, n. 297, G. U. 2 ottobre 1985, 
n. 
232-bis. 
Pretore di Udine, ordinanza 26 marzo 1985, n. 351, G. U. 9 ottobre 1985, 
n. 
238-bis. 
Pretore di Savona, ordinanze (due) 28 marzo 1985, nn. 356 e 357, G. U. 
9 ottobre 1985, n. 238-bis. 
Pretore di Savona, ordinanza 25 marzo 1985, n. 358, G. U. 23 ottobre 1985, 

n. 250-bis. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 38 
della Costituzione. 

Pretore di Marsala, ordinanza 15 dicembre 1984, n. 75/85, G. U. 3 luglio 1985, 

n. 155-bis. 
Tribunale di Cagliari, ordinanza 22 febbraio 1985, n. 326, G. U. 9 ottobre 
1985, n. 238-bis. 

legge 5 marzo 1963, n. 245, artt. 3, secondo comma, e 12 (artt. 3 e 32 della 
Costituzione). 

I 

Pretore di Milano, ordinanza 9 gennaio 1985, n. 235, G. U. 10 luglio 1985, 

n. 161-bis. 
I 

legge 10 maggio 1964, n. 336, artt. 1 e 6 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanze (tre) 27 nov..em


I!

bre 1984, nn. 299-301/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis e G. U. 2 ottobre 1985, 

n. 232-bis. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, primo e quarto comma (artt. 3 e 38 
della Costituzione). 
Tribunale di Imperia, ordinanza 27 marzo 1985, n. 341, G. U. 16 ottobre 1985, 

n. 244-bis. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, primo e quarto comma (artt. 3 e 53 
della Costituzione). 
Pretore di Siena, ordinanza 12 febbraio 1985, n. 199, G. U. 17 luglio 1985, 


n. 167-bis. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, quinto comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
Tribunale di Nuoro, ordinanza 12 dicembre 1984, n. 298/85, G. U. 25 settembre 
1985, n. 226-bis. 


I! 

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~ 


PARm II, LEGISLAZIONE 
14f 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 116 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Padova, ordinanza 9 novembre 1984, n. 221/85, G. U. 10 luglio 1985, 

n. 161-bis. 
legge reg. Sicilia 3 febbraio 1968, n. 1, art. 4, terzo comma (artt. 3, 114 
e 128 della Costituzione e 14 dello statuto regionale). 

Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 26 gennaio 1984, 

n. 113/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. a) (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Padova, ordinanza 23 gennaio 1985, n. 220, G. U. 24 luglio 1985, 

n. 173-bis. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 37 della 
Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 5 febbraio 1985, n. 268, G. U. 28 agosto 1985, 

n. 202-bis. 
legge 12 marzo 1968, n. 334, art. 8, primo comma (artt. 3, 42 e 44 della 
Costituzione). 

Pretore di Lecce, ordinanza 5 febbraio 1985, 11. 186, G. U. 31 luglio 1985, 

n. 
179-bis. 
Pretore di Lecce, ordinanza 18 aprile 1985, n. 339, G. U. 16 ottobre 1985, 
n. 244-bis. 
legge 12 marzo 1968, n. 334, art. 8, primo comma (artt. 41, 42 e 44 della 
Costituzione). 

Pretore di Maglie, ordinanza 12 marzo 1985, n. 306, G. U. 2 ottobre 1985, 

n. 232-bis. 
legge 2 aprile 1968, n. 475, art. 17 (art. 3 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso il Tribunale di Vicenza, ordinanza 12 novembre 
1984, n. 89/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. 

d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, art. 60 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 27 novembre 
1984, n. 299/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanze (due) 27 nnvembre 
1984, nn. 300 e 301/85, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. 

Legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Savona, ordinanza 4 dicembre 1984, n. 76/85, G. U. 3 luglio 1985, 

n. 155-bis. 
Legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Marsala, ordinanza 15 dicembre 1984, n. 75/85, G. U. 3 luglio 1985, 

n. 155-bis. 

146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Legge 20 maggio 1970, n. 300, artt. 28 e 37 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Sal�, ordinanza 11 dicembre 1984, n. 112/85, G. U. 3 luglio 1985, 

n. 155-bis. 
Legge 25 maggio 1970, n. 364, art. 19 cpv., sub 2, (artt. 81, 114, 118, 119 e 130 
della Costituzione e ottava disp. trans. e finale della Cost.). 

Consiglio di Stato, ordinanza 25 maggio 1984, n. 359/85, G. U. 23 ottobre 1985, 

n. 250-bis. 
Legge 9 ottobre 1971 n. 825, art. 4, n. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Ferrara, ordinanza 8 ottobre 
1984, n. 286/8.5, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. 

Legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, primo e secondo comma, n. 14 (artt. 76 
e 77 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 27 novembre 
1984, n. 205/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. 

Legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 17, secondo comma (artt. 3 e 42 della 
Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 22 ottobre 1984, n. 315/85, G. U. 25 settembre 
1985, n. 226-bis. 

Legge 24 novembre 1971, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Olbia, ordinanza 20 giugno 1984, n. 241/85, G. U. 28 agosto 1985, 

n. 202-bis. 
Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 7, 19 e 21 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Sal�, ordinanza 11 dicembre 1984, n. 112/85, G. U. 3 luglio 1985, 

n. 155-bis. 
Legge 8 agosto 1972, n. 464, art. 3, secondo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). 


Pretore di Bologna, ordinanza 6 febbraio 1985, n. 293, G. U. 18 settembre 1985, 

n. 220-bis. 
Legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 14, primo comma (artt. 108, 
116 e 117 della Costituzione e 4, 8 e 9 dello statuto Trentino-Alto Adige). 

Corte di cassazione, ordinanze (due) 24 gennaio 1985, nn. 424 e 425, G. U. 
28 agosto 1985, n. 202-bis. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 20, prima parte (art. 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Salerno, ordinanza 22 gennaio 
1985, n. 330, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. 

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I 
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PARTE II, LEGISLAZIONE 

Tariffa allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635 (artt. 3, 70 e 76 della Costituzione). 


Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa, ordinanza 
30 aprile 1984, n. 322/85, G. U. 9 ottobre 1985, n. 238-bis. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 1, secondo e terzo comma (art. 3 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 27 novembre 
1984, n. 205/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 17, secondo comma (artt. 53, 97 e 113 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Cagliari, ordinanza 27 aprile 
1984, n. 209/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 8, secondo comma (artt. 53 e 76 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Monza, ordinanza 29 settembre 
1984, n. 211/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Cremona, ordinanza 20 dicembre 
1984, n. 237/85, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23 (artt. 3 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Siena, ordinanza 7 febbraio 1985, 

n. 265, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. 
legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 11 (artt. 25 e 103 della Costituzione). 

Tribunale militare di Cagliari, ordinanza 14 novembre 1984, n. 164/85, G. U. 
10 luglio 1985, n. 161-bis. 
Tribunale militare di Verona, ordinanza 12 novembre 1984, n. 233/85, G. U. 
31 luglio 1985, n. 179-bis. 
Tribunale militare di Verona, ordinanza 26 marzo 1985, n. 348/85, G. U. 
9 ottobre 1985, n. 238-bis. 

d.P.R.. 1� febbraio 1973, n. 50, art. 5, secondo comma (artt. 25 e 63 dello 
statuto reg. Trentino-Alto Adige). 
Corte d'appello di Trento, ordinanza 11 aprile 1985, n. 327, G. U. 2 otto� 
bre 1985, n. 232-bis. 

d.P.R. 29 marzo 19,73, n. 156, artt. 1 e 183 [come sost. dall'art. 45 legge 
14 aprile 1975, n. 103] (artt. 3, 15, 21 e 41). 
Tribunale di Milano, ordinanza 28 marzo 1985, n. 474, G. U. 23 ottobre 
1985, n. 250-bis. 


148 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 195 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 4 aprile 1985, n. 448, G. U. 23 ottobre 1985, 

n. 
250-bis. 
Pretore di Calitri, ordinanza 12 giugno 1985, n. 576, G. U. 30 ottobre 1985, 
n. 256-bis. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 195 (artt. 3, 10, 21 e 27 della . Costituzione). 
Pretore di Castiglione delle Stiviere, ordinanza 7 ottobre 1983, n. 321/85, G. U. 
9 ottobre 1985, n. 238-bis. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (art. 3 della Costituziene). 
Pretore di Torino, ordinanza 23 marzo 1985, n. 423, G. U. 23 ottobre 1985, 

n. 250-bis. 
Pretore di Regalbuto, ordinanza 18 aprile 1985, n. 54QJ G. U. 30 ottobre 1985, 
n. 256-bis. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma (artt. 3 e 27 
della Costituzione). 
Pretore di Parma, ordinanza 18 febbraio 1985, n. 345, G. U. 9 ottobre 1985, 

n. 238-bis. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 
(artt. 3, 10 21 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Taggia, ordinanza 29 novembre 1984, n. 320/85, G. U. 9 ottobre 
1985, n. 238-bis. 

d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, artt. 183, 195 e 336, primo comma, n. 2 (artt. 3, 
21 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Ficarolo, ordinanza 12 giugno 1984, n. 328/85, G. U. 9 ottobre 1985, 

n. 238-bis. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 334 e seguenti, 183 e 195 (artt. 3 e 21 della 
Costituzione). 
Pretore di Chieri, ordinanza 24 novembre 1984, n. 294/85, G. U. 2 ottobre 
1985, n. 232-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 5, ultimo comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 7 novembre 
1984, n. 350/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. e) (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 22 febbraio 
1985, n. 349, G. U. 16 ottobre 1985, n. 244-bis. 


PARm II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. f) (artt. 2, 3, 32, 53 76 e 77 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Roma, ordinanza 18 giugno 
1984, n. 215/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 12 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Novara, ordinanza 30 novembre 
1983, n. 216/85, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), 14 e 46, secondo comma 
(artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanze (due) 18 e 
24 novembre 1983, n. 243-244/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), 14 e 46, secondo comma 
(artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanza 
10 dicembre 1984, n. 382/85, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. 

d.P.R. \29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e) e 46 (artt. 3, 38, 53 "' 7ft 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 15 maggio 1982, 

n. 210/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12, lett. e), e 46, secondo comma 
(artt. 3, 38, 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Pinerolo, ordinanza 16 marzo 
1984, n. 122/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, artt. 46, primo comma, e 48 (art. 36 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Termini Imerese, ordinanza 
6 giugno 1984, n. 212/85, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 48 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Lamezia Terme, ordinanze (tre) 
9 febbraio 1984, n. 307-309/85, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis e G. U. 16 ottobre 
1985, n. 244-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 49 e 51 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Mondov�, ordinanza 22 giugno 
1984, n. 84/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 51 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Ferrara, ordinanza 8 ottobre 
1984, n. 286/85, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis~ 
Commissione tributaria di primo grado di Urbino, ordinanza 29 settembre 
1984, n. 295/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. 


HO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Macerata, ordinanza 21 feb� 
braio 1984, n. 192/85, G. U. 17 luglio 1985, n. 167-bis. 
Commissione tributaria di primo grado di Urbino, ordinanza 29 settem� 
bre 1984, n. 295/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. 

I

Commissione tributaria di primo grado di Treviso, ordinanza 12 febbraio 
1985, n. 383, G. U. 23 ottobre 1985, n. 250-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1, secondo comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondq grado di Ferrara, ordinanza 8 otto� 
bre 1984, n. 286/85, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 55 (art. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 10 luglio 1984, 

n. 242/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (artt. 3, 38, 53 e 76 della �Costi� 
tuzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Napoli, ordinanza 15 maggio 1982, 

n. 210/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 42 (art. 36 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Termini lmerese, ordinanza 
6 giugno 1984, n. 212/85, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 15, 39, 53 e 54 (artt. 24 e 113 della 
Costituzione). 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 25 marzo 1985, n. 332, G.U. 9 ottobre 
1985, n. 238-bis. 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 30 marzo 1985, n. 334, G.U. 9 ottobre 
1985, n. 238-bis. 
Pretore di Caltanissetta, ordinanze (due) 30 marzo 1985, nn. 335 e 337, G. U. 
16 ottobre 1985, n. 244-bis. 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 25 marzo 1985, n. 333, G. U. 16 ottobre 
1985, n. 244-bis. 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 30 marzo 1985, n. 336, G. U. 16 ottobre 
1985, n. 244-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 52, secondo comma, lett. b) (art. 24 
della Costituzione). 
Tribunale di Cosenza, ordinanza 14 novembre 1984, n. 226/85, G. U. 31 luglio 
1985, n. 179-bis. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92 (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ivrea, ordinanza 16 novem� 
bre 1984, n. 314/85, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 1.J1 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 98 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di� primo grado di Roma, ordinanza 10 luglio 1984, 

n. 242/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, artt. 3 e 38 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Campania, ordinanza 14 febbraio 
1984, n. 263/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 147, secondo comma (artt. 3, 36 e 38 della 
Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 18 giugno 1984, n. 257/85, G. U. 28 agosto 1985, 

n. 202-bis. 
legge reg. Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18, art. 8 (art. 128 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 22 no� 
vembre 1984, n. 367/85, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. 

legge reg. Emilia-Romagna 24 marzo 1975, n. 18, art. 9 (art. 97 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia~Romagna, ordinanza 17 novembre 
1983, n. 178/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 179-bis. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, secondo cpv. (artt. 3 e 25 della Costituzione). 


Tribunale di Agrigento, ordinanza 4 maggio 1981, n. 272/85, G. U. 21 agosto 
1985, n. 196-bis. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 11 giugno 1982, D.. 273/85, G. U. 21 agosto 
1985, n. 196-bis. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 14 giugno 1982, n. 274/85, G. U. 21 agosto 
1985, n. 196-bis. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 5, quarto e sesto comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Torino, ordinanza 1� dicembre 1984, n. 219/85, G. U. 24 luglio 1985, 

n. 173-bis. 
legge 17 maggio 1985, n. 210 in toto ed, in particolare, artt. 1, 2, 14, 15, 
18, 20, 21, 22 e 25 (artt. 2, 3, 8, nn. 5, 18 e 29; 14; 16, 68, 69, 100 e 107 dello 
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e� art. 10 della Costituzione). 

Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 8 luglio 1985, n. 26, G. U. 24 luglio 1985, 

n. 173-bis. 
legge 22 luglio 1975, n. 382, art. 4 (art. 125 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 4 novembre 
1983, n. 88/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. 


1.12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 26 e 28 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di La Spezia, ordinanza 16 dicembre 1983, n. 121/85, G. U. 10 luglio 
1985, n. 161-bis. 


legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 81 (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'appello di Venezia, ordinanza 7 dicembre 1984, n. 137/85, G. U. 
10 luglio 1985, n. 161-bis. 

legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 81, primo comma (art. 10 della Costi� 
tuzione). 

Corte d'appello di Perugia, ordinanza 26 marzo 1985, :n. 347, G. U. 16 otto� 
bre 1985, n. 244-bis. 

legge reg. Friuli-Venezia Giulia 15 marzo 1976, n. 2, art. 1 (art. 4 statuto 
regionale). 

Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 
21 nov;embre 1984, n. 305/85, G. U. 18 settembre 1985, n. 220-bis. 

d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 106 (art. 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 4 novem� 
bre 1983, n. 88/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. 

d.P.R. 24 luglio JJ77, n. 616, art. 106, ultimo conuna (art. 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanze (due) 23 feb� 
braio 1985, nn. 291 e 292, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis. 

legge reg. Emilia-Romagna 13 gennaio 1978, n. 5, art. 3 (art. 97 della 
Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, ordinanza 4 novembre 
1983, n. 88/85, G. U. 3 luglio 1985, n. 155-bis. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 29, secondo comma, e 73 (art. 3 della 
Costituzione). 
Tribunale di N�poli, ordinanza 23 gennaio 1985, n. 246, G. U. 28 agosto 1985, 

n. 202-bis. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 30, 46 e 84 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Pizzo, ordinanza 2 marzo 1985, n. 258, G. U. 28 agosto 1985, 

n. 202-bis. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 58 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Potenza, ordinanze (tre) 21 dicembre 1984 
nn. 206-208/85, G. U. 31 luglio 1985, n. 119-bis. 

Pretore di Lucca, ordinanza 13 marzo 1985, n. 269, G. U. 

n. 214-bis. 
f 

e 19 gennaio 1985, J 
11 settembre 1985, 

I 
I


I 

I

I 


PARm II, LEGISLAZIONE 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65, primo comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Milano, ordinanza 14 dicembre 1983, n. 352/85, G. U. 30 ottobre 
1985, n. 256-bis. 

Pretore di Milano, ordinanza 31 gennaio 1985, n. 353, G. U. 30 ottobre 1985, 

n. 256-bis. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, n. 2 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Parma, ordinanza 13 marzo 1985, n. 288, G. U. 18 settembre 1985, 

n. 220-bis. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 69, settimo comma, e 73 (artt. 3 e 42 della 
Costituzione). 

' 

Tribunale di Torino, ordinanza 10 gennaio 1985, n. 167, G. U. 10 luglio 1985, 

n. 161-bis. 
d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 6, terzo comma .<artt. 3 e 27 della Costi� 
tuzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 20 dicembre 1984, n. 346/85, G. U. 16 ottobre 
1985, n. 244-bis. 

legge reg. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35, art. 2, prhno comma (artt. 42 e 97 
della Costituzione). 

Pretore di Barrafranca, ordinanza 20 dicembre 1984, n. 180/85, G. U. 31 luglio 
1985, n. 179-bis. 

legge 21 agosto 1978, n. 641, art. I-bis (artt. 3, 38, 42 e 43 della Costituzione). 

Corte d'appello di Napoli, ordinanza 20 luglio 1984, n. 317/85, G. U. 2 ottobre 
1985, n. 232-bis. 

legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 19, primo comma (artt. 36 e 38 della 
Costituzione). 

Pretore di Salerno, ordinanza 4 febbraio 1985, n. 366, G. U. 23 ottobre 1985, 

n. 250-bis. 
d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 53 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanze (tre) 27 novembre 
1984, nn. 299-301/85, G. U. 25 settembre 1985, n. 226-bis e G. U. 2 ottobre 1985, 

n. 232-bis. 
d.J. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3 [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33] 
(art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 22 novembre 1984, n. 119/85, G. U. 10 luglio 
1985, n. 161-bis. 
Pretore di Milano, ordinanza 9 novembre 1984, n. 200/85, G. U. 17 luglio 1985, 

n. 167-bis. 
Tribunale di Torino, ordinanza 27 febbraio 1985, n. 254, G. U. 28 agosto 1985, 
n. 202-bis. 

1J4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.I. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 3 [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33] 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza 3 maggio 1985, n. 340, G. U. 
16 ottobre 1985, n. 244-bis. 

d.I. 30 dicembre 1979, n. 663, art; 3, primo comma, lett. b) [conv. in, legge 
29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Tribunale di Piacenza, ordinanza 5 dicembre 1984, n. 290/85, G. U. 4 settembre 
1985, n. 208-bis. 

legge 21 �febbraio 1980, n. 28, art. 5, terzo co:mlna (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale l'er la Sicilia, ordinanza 7 dicembre 1984, 

n. 374/85, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. 
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanze (sei) 17 dicem� 
bre 1984, nn. 375-380/85, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. 

legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanze (due) 29 novembre e 5 dicembr� 1984, 
nn. 189 e 190/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 
Pretore di Brescia, ordinanza 11 gennaio 1985, n. 191, G. U. 17 luglio 1985, 

n. 167-bis. 
t.u. reg. Trentino-Alto Adige 27 marzo 1980, n. 445, art. 15, secondo comma 
(artt. 25 e 63 dello statuto regionale). 
Corte d'appello di Trento, ordinanza 11 aprile 1985, n. 327, G. U. 2 ottobre 
1985, n. 232-bis. 

legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 3 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanze (due) 9 aprile 1985, nn. 362 e 363, G. U. 
21 agosto 1985, n. 196-bis. 
Pretore di Roma, ordinanza 30 marzo 1985, n. 364, G. U. 21 agosto 1985, 

n. 196-bis. 
legge 8 luglio 1980, n. 319, artt. 1, secondo comma, e 2 (artt. 3, 101 e 104 della 
Costituzione). 

Tribunale di Messina, ordinanza 7 novembre 1984, n. 355/85, G. U. 25 set� 
tembre 1985, n. 226-bis. 

legge 8 luglio 1980, n. 319, art. 11, quinto comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Palermo, ordinanza 8 marzo 1985, n. 304, G. U. 18 settem� 
bre 1985, n. 220-bis. 

d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, art. 1 (artt. 3, 23 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Tortona, ordinanza 10 gennaio 1985, n. 163, G. U. 10 luglio 1985, 

n. 161-bis. 

PARTE II, LEGISLAZIONE tff 

d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Tribunale di Piacenza, ordinanza 5 dicembre 1984, n. 290/85, G. U. 4 settembre 
1985, n. 208-bis. 

d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, artt. 1 e 2 (artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 11 marzo 1985, n. 312, G. U. 2 ottobre 1985, 

n. 232-bis. 
d.P.R. 8 luglio 1980, n. 538, artt. 1 e 2 (artt. 3 e 53 della Costituzione) 
Pretore di Brescia, ordinanze (due) 29 novembre e 5 dicembre 1984, nn. 189 
e 190/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 
Pretore di Brescia, ordinanza 11 gennaio 1985, n. 191, G. U. 17 luglio 1985, 

n. 167-bis. 
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 50, primo comma, n. 3 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 7 dicembre 1984, 

n. 374/85, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. 
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanze (sei) 17 dicembre 
1984, n. 375-380/85, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, 3, 4, 5 e 22 (artt. 3, 38 e 47 della 
Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 25 marzo 1985, n. 386, G. r;. 23 ottobre 1985, 

n. 250-bis. 
legge 22 dicembre 1980, n. 882, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Commissione tr~butaria di primo grado di Ascoli Piceno, ordinanza 3 dicembre 
1984, n. 287/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. 

legge 3 gennaio 1981, n. 6, artt. 7, quinto comma, e 25, secondo comma (articoli 
3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 6 dicembre 1984, n. 361/85, G. U. 25 settembre 
1985, n. 226-bis. 

d.l. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] 
(art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 22 novembre 1984, n. 118/85, G. U. 10 luglio 
1985, n. 161-bis. 
Pretore di Milano, ordinanza 9 novembre 1984, n. 200/85, G. U. 17 luglio 
1985, n. 167-bis. 

d.l. 29 luglio 1981, n. 402, art. �12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] 
(artt. 3, 23 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Tortona, ordinanza 10 gennaio 1985, n. 163, G. U. 10 luglio 1985, 

n. 161-bis. 

1J6 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.l. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] 
(artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 11 marzo 1985, n. 312, G. U. 2 ottobre 1985, 

n. 232-bis. 
d.l. 29 luglio 1981, n. 402, art. 12 [conv. in legge 26 settembre 1981, n. 537] 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Brescia, ordinanza (due) 29 novembre e 5 dicembre 1984, nn. 189 
e 190/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 

Pretore di Brescia, ordinanza 11 gennaio 1985, n. 191, G. U. 17 luglio 1985, 

n. 167-bis. 
Pretore di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza 3 maggio 1985, n. 340, G. U. 
16 ottobre 1985, n. 244-bis. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 8 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Rimini, ordinanza 1� marzo 1985, n. 261, G. U. 4 settembre 1985, 

n. 208-bis. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 9 (art. 3 della Costituzione). 

Giudice istruttore Tribunale di Agrigento, ordinanza 27 dicembre 1984, 

n. 126/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 
Giudice istruttore presso il tribunale di Agrigento, ordinanze (due) 24 gennaio 
1985, n. 252 e 251, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis e G. U. 4 settembre 1985, 

n. 208-bis. 
Giudice istruttore presso il tribunale di Agrigento, ordinanze (due) 26 febbraio 
1985, nn. 282 e 283, G. U. 11 settembre 1985, n. 214-bis. 
Giudice istruttore presso il tribunale di Agrigento, ordinanza 18 gennaio 
1985, 
n. 280, G. U. 18 settembre 1985, n. 220-bis. 
Giudice istruttore presso il tribunale di Agrigento, ordinanza 5 marzo 1985, 

n. 281, G. U. 18 settembre 1985, n. 220-bis. 
Giudice istruttore del tribunale di Agrigento, ordinanze (due) 5 marzo 1985, 
nn. 324 e 325, G. U. 16 ottobre 1985, n. 244-bis. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 21, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Palermo, ordinanze (tre) 8 febbraio 1985, nn. 276-278, G. U. 18 settembre 
1985, n. 220-bis. 
Pretore di Genova, ordinanza 19 marzo. 1985, n. 323, G. U. 2 ottobre 1985, 

n. 
232-bis. 
Pretore di Tolmezzo, ordinanza 31 gennaio 1985, n. 391, G. U. 23 ottobre 
1985, 
n. 250-bis. 
Pretore di Ancona, ordinanza 10 aprile 1985, n. 354, G. U. 23 ottobre 1985, 

n. 250-bis. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 23 (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di Tione, ordinanza 15 marzo 1985, n. 289, G. U. 21 agosto 1985, 

n. 196-bis. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 
1f7 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 53 (art. 3 della Costituzione). 

Magistrato di sorveglianza presso tribunale di Siracusa, ordinanza 15 marzo 
1985, n. 276, G. U. 11 settembre 1985, n. 214-bis. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 80 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Tione di Trento, ordinanza 28 giugno 1984, n. 360/85, G. U. 23 ottobre 
1985, n. 250-bis. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 102 (art. 3 della Costituzione). 

Magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Siracusa, ordinanze (due) 
4 aprile 1985, n. 342-343, G. U. 16 ottobre 1985, n. 244-bis. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo 
comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Dolo, ordinanza 15 novembre 1984, n. 64/85, G. U. 3 luglio 1985, 

n. 
155-bis. 
Pretore di Lugo, ordinanza 18 ottobre 1984, n. 407/85, G. U. 23 ottobre 1985, 
n. 2SO.bis. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 54 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Arezzo, ordinanza 1� aprile 1985, n. 331/85, G. U. 9 ottobre 1985, 

n. 238-bis. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 60, 77, 53 e segg. (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Santhi�, ordinanza 15 marzo 1985, n. 387, G. U. 30 ottobre 1985, 

n. 256-bis. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 62, primo comma (art. 25 della Costituzione). 


Magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Pavia, ordinanza 13 ottobre 
1984, n. 236/85, G. U. 24 luglio 1985, n. 173-bis. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di La Spezia, ordinanza 30 aprile 1985, n. 384, G. U. 23 ottobre 1985, 

n. 250-bis. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 80 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Montagnana, ordinanza 23 novembre 1984, n. 196/85, G. U. 17 luglio 
1985, n. 167-bis. 
Pretore d1 Saronno, ordinanza 8 febbraio 1985, n. 232, G. U. 24 luglio 1985, 

n. 173-bis. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 91 (art. 3 della Costituzione). 

Corte militare d'appello di Verona, ordinanza 28 marzo 1985, n. 344, G. U. 
25 settembre 1985, n. 226-bis. 


1J8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744, art. 6, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Rieti, ordinanza 11 febbraio 1985, n. 234, G. U. 31 luglio 1985, 

n. 179-bis. 
d.I. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-l>is [conv. in legge 25 marzo 1982, n. 94] 
(art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 25 gennaio 1984, n. 175/85, G. U. 10 luglio 
1985, n. 161-bis. 

legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ovdinanza 22 novembre 1984, n. 118/85, G. U. 10 luglio 
1985, n: 161-bis. 
Pretore di Milano, ordinanza 9 novembre 1984, n. 200/85, G. U. 17 luglio 
1985, n. 167-bis. 

legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3, 23 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Tortona, ordinanza 10 gennaio 1985, n. 163, G. U. 10 luglio 1985, 

n. 161-bis. 
legge 26 aprile 1982, n. 181, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanze (due) 29 novembre e 5 dicembre 1984, nn. 189 
e 190/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 
Pretore di Brescia, ordinanza 11 gennaio 1985, n. 191, G. U. 17 lug!.io 1985, 

n. 167-bis. 
Pretore di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza 3 maggio 1985, n. 340,' G. U. 
16 ottobre 1985, n. 244-bis. 


legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 46 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Matelica, ordinanza 8 febbraio 1985, n. 279, G. U. 21 agosto 1985, 

n. 196-bis. 
legge 20 maggio 1982, n. 270, artt. 35, 37, 38 e 57 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 13 febbraio 1984, 

n. 166/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 
legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 40 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione sesta, ordinanza 6 luglio 1984, n. 231/85, G. U. 
24 luglio 1985, n. 173-bis. i 

d.I. 2 luglio 1982, n. 402, art. �5 [come conv. in legge 3 settembre 1982, n. 627] ! I 
(art. 3 della Costituzione). i 
j 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 27 novembre \ 
1984, n. 299/85, G. U. 25 settembre 1985, n. �226-bis. : 
Tribunale amministrativo regionale per i1 Piemonte, ordinanze (due) 27 novembre 
1984, nn. 300 e 301/85, G. U. 2 ottobre 1985, n. 232-bis. 

i 
I 


II 


PARTE II, LEGISLAZIONE 
1f9 

d.I. 10 luglio 1982, n. 429, art. 16 [conv. In legge 7 agosto 1982, n. 516] (arti� 
coli 3 e 97 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bologna, ordinanza 3 aprile 1984, 

n. 284/85, G. U. 4 settembre 1985, n. 208-bis. 
legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 16 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Larino, ordinanza 5 luglio 1984, 

n. 174/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 
d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 25 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Santhi�, ordinanza 15 marzo 1985, n. 387, G. U. 30 ottobre 1985, 

n. 256-bis. 
dJ. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [conv. in legge 
27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11, 23 e 24 della Costituzione). 

Corte d'appello di Torino, ordinanza 1� febbraio 1985, n. 229, G. U. 31 luglio 
1985, n. 179-bis. 

d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [conv. In legge 
27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11 e 24 della Costituzione). 
Corte d'appello di Trieste, ordinanza 9 novembre 1984, n. 100/85, G. U. 3 luglio 
1985, n. 155-bis. 
Tribunale di Roma, ordinanza 21 maggio 1984, n. 117/85, G. U. 3 luglio 1985, 

n. 
155-bis. 
Corte d'appello di Trieste, ordinanza 9 novembre 1984, n. 128/85, G. U. 10 luglio 
1985, n. 161-bis. 
Tribunale di Napoli, ordinanza 14 novembre 1984, n. 318/85, G. U. 2 ottobre 
1985, n. 232-bis. 

dJ. 30 dicembre 1982, n. 953, art. 1, terzo comma [conv. In legge 28 febbraio 
1983, n. 53] (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 18 settembre 
1984, n. 245/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. 

d.1. 
10 gennaio 1983, n. 2, art. 8 (artt. 3, 23 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Tortona, ordinanza 10 gennaio 1985, n. 163, G. U. 10 luglio 1985, 

n. 161-bis. 
d.J. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 19 [conv. in legge 26 aprile 1983, n. 131] 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ragusa, ordinanza 3 novembre 
1984, n. 188/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 

d.I. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 19 e 20, quinto, sesto, decimo e undicesimo 
conana [conv. in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione 'tributaria di primo grado di La Spezia, ordinanza 28 settembre 
1984, n. 125/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. 


160 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 19, 20, 21, 22 e 23 [conv. in legge 26 apri� 
le 1983, n. 131] (artt. 3, 23 47 e 53 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 8 novembre 
1984, n. 247/85, G. U. 28 agosto 1985, n. 202-bis. 

d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 26 [conv. in legge 26 aprile 1983, n. 131] 
(art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Cremona, ordinanza 20 dicembre 
1984, n. 237/85, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. 

legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 76 (art. 3 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 16 marzo 1985, n. 310, G. U. 18 settembre 
1985, n. 220-bis. 

legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 79 (artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione). 

Tribunale per i minorenni di Torino, ordinanza 7 gennaio 1985, n. 176, G. U. 
31 luglio 1985, n. 179-bis. 

dJ. 29 settembre 1983, n. 463, art. 14 [conv. in leg2e Il novembre 1983, 

n. 638] (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 22 novembre 1984, n. 118/85, G. U. 10 luglio 
1985, n. 161-bis. 

d.P.R. 4 novembre 1983, n. 820, artt. 1, 2, 3, 4, 6, 8, 11, 13, 14, 15 e 17 (artt. 3, 
101 e 104 della Costituzione). 
Tribunale di Messina, ordinanza 7 novembre 1984, n. 355/85, G. U. 25 settembre 
1985, n. 226-bis. 

legge 11 novembre 1983 n. 638, art. 14 (artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 11 marzo 1985, n. 312, G. U. 2 ottobre 1985, 

n. 232-bis. 
legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Brescia, ordinanze (due) 29 novembre e 5 dicembre 1984, nn. 189 
e 190/85, G. U. 10 luglio 1985, n. 161-bis. � 
Pretore di Brescia, ordinanza 11 ge~aio 1985, n. 191, G. U. 17 luglio 1985, 
n. 167-bis. 
Pretore di Bari, ordinanza 20 dicembre 1984, n. 124/85, G. U. 17 luglio 1985, 
n. 167-bis. 
Tribunale di Piacenza, ordinanza 5 dicembre 1984, n. 290/85, G. U. 4 settembre 
1985, n. 208-bis. 
I 
legge 11 novembre 1983, n. 638, art. 14 (art. 104 della Costituzione). 
Tribunale di Piacenza, ordinanza 5 dicembre 1984, n. 290/85, G. U. 4 set-l tembre 1985, n. 208-bis. i. 
I 

. I 
II

..~ 

..........,~ 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 22 novembre 1984, n. 118/85, G. U. 10 luglio 
1985, n. 161-bis. 

Pretore di Milano, ordinanza 9 novembre 1984, n. 200/85, G. U. 17 luglio 1985, 

n. 161-bis. 
legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33 (artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 11 marzo 1985, n. 312, G. U. 2 ottobre 1985, 

n. 232-bis. 
legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 33, n. 3 (artt. 3, 23 e 53 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Tortona, ordinanza 10 gennaio 1985, n. 163, G. U. 10 luglio 1985, 

n. 161-bis. 
d.l. 26 maggio 1984, n. 158, art. 6 (artt. 24, 77 e 101 della Costituzione). 
Tribunale di Firenze, ordinanza 22 febbraio 1985, n. 248, G. U. 28 agosto 
1985, n. 202-bis. 

accordo collettivo nazionale approvato con d.P.R. 16 ottobre 1984, n. 882, 
art. 3, secondo comma, lett. b) (artt. 3 e 32 dell� Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 27 febbraio 1985, n. 271, G. U. 24 luglio 1985, 

n. 173-bis. 
accordo collettivo nazionale approvato con d:P.R. 16 ottobre 1984, n. 882, 
art. 4 (artt. 3, 4, 32 e 35 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 4 marzo 1985, n. 270, G. U. 7 agosto 1985, 

n. 185-bis. 
legge 22 dicembre 1984, n. 887, art. 10 (artt. 3, 23, 53 e 97 della Costitu� 
zione). 

Pretore di Roma, ordinanza 11 marzo 1985, n. 312, G. U. 2 ottobre 1985, 

n. 232-bis. 
d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, primo, secondo, terzo e settimo comma 
(artt. 24 e 42 della Costituzione). 
Pretore cii Milano, ordinanza 13 aprile 1985, n. 385, G. U. 30 ottobre 1985, 

n. 256-bis. 
d.l. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, settimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 13 aprile 1985, n. 385, G. U. 30 ottobre 1985, 

n. 256-bis. 
legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 35, 38, 39 e 44 (artt. 3, 25, 79 e 101 della 
Costituzione). 
Pretore di Pietrasanta, ordinanza 18 marzo 1985, n. 329, G. U. 3 luglio 1985, 

n. 155-bis. 

162 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9-bis, primo alinea (artt. 3, 41 e 42 
della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 8 maggio 1985, n. 371, G. U. 28 agosto 1985, 

n. 202-bis. 
legge 5 aprile 1985, n. 118, art. 1, comma 9�bis, primo alinea (artt. 3 e 42 
della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 6 maggio 1985, n. 372, G~ U. 28 agosto 1985, 

n. 
202-bis. 
Pretore di Roma, ordinanze (tre) 10 maggio 1985, nn; 368-370, G. U. 28 agosto 
1985, 
n. 202-bis. 
Pretore di Roma, ordinanza 22 maggio 1985, n. 487, G. U. 30 ottobre 1985, 

n. 256-bis. 
Pretore di Roma, ordinanze (due) 27 e 24 maggio 1985, nn. 488-489, G. U. 
30 ottobre 1985, n. 256-bis. 

legge reg. Valle d'Aosta approvata il 19 aprile 1985 e riapprovata il 4 luglio 
1985 (artt. 2 e 3 dello statuto speciale di autonomia). 

Presidente Consiglio dei ministri, ricorso 1� agosto 1985, n. 33, G. U. 4 settembre 
1985, n. 208-bis. 

d.l. 22 aprile 1985, n. 144, artt. 1, 1-bis, 1-quater e 2 [come convertito in legge 
21 giugno 1985, n. 297] (artt. 77, 117, 118 e 119 della Costituzione). 
Regione Lombardia, ricorso 29 luglio 1985, n. 31, G. U. 21 agosto 1985, 

n. 
196-bis. 
Regione Emilia-Romagna, ricorso 29 luglio 1985, n. 32, G. U. 21 agosto 1985, 
n. 196-bis. 
legge reg. sarda approvata il 23 aprile 1985 e riapprovata il 21 giugno 1985 
(art. 33, secondo comma dello statuto di autonomia). 

Presidente del Consiglio dei ministri, ricorso 19 luglio 1985, n. 27, G. U. 2 ottobre 
1985, n. 232-bis. 

legge 21 giugno 1985, n. 297 [contenente la conversione in legge del d.I. 
22 aprile 1985, n. 144] (art. 5, n. 16, dello statuto spec. Friuli-Venezia Giulia). 

Regione Friuli-Venezia Giulia, ricorso 29 luglio 1985, n. 30, G. U. 21 agosto 
1985, n. 196-bis. 

legge 21 giugno 1985, n. 297, artt. 1, l�bis, 1-ter, 1-quater e 2 [contenente la 
conversione in legge del d.l. 22 aprile 1985, n. 144] (artt. 117, 118 e 119 della 
Costituzione). 

Regione Toscana, ricorso 26 luglio 1985, n. 29, G. U. 21 agosto 1985, n. 196-bis. 

legge prov. Bolzano riapprovata il 26 giugno 1985 (artt. 8, 9� e 10 dello statuto 
spec. Trentino-Alto Adige). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 23 luglio 1985, n. 28, G. U. 7 agosto 
1985, n. 185-bis. 

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PARTE II, LEGISLAZIONE 16S 

d.l. 27 giugno 1985, n. 312, art. 1, primo, secondo e quinto comma (artt. 117 
e 118 della Costituzione). 
Regione Veneto, ricorso 2 agosto 1985, n. 34, G. U. 4 settembre 1985, :�.. 208-bis. 

dJ. 22 luglio 1985, n. 356, art. 3 (artt. 3, 77, 81, 97, 117 e 119 della Costi� 
tuzione). 

Regione Toscana, ricorso 22 agosto 1985, n. 35, G. U. 25 settembre 1985, 

n. 226-bis. 
legge 3 agosto 1985, n. 429, articolo unico, primo, secondo, terzo, quarto, 
quinto e sesto comma (artt. 97, 117, 118 e 119 della Costituzione). 

Regione Liguria, ricorso 27 settembre 1985, n. 39, G. U. 9 ottobre 1985, 

n. 238-bis. 
legge 8 agosto 1985, n. 431 (artt. 2, 3 e 4 dello statuto speciale Valle d'Aosta). 

Regione aut. Valle d'Aosta, ricorso 25 settembre 1985, n. 36, G. U. 9 otto� 
bre �1985, n. 238-bis. 

legge 8 agosto 1985, n. 431 (art. 4, n. 12 dello statuto spec. reg. Friuli-Venezia 
Giulia). 

Regione� Friuli-Venezia Giulia, ricorso 27 settembre 1985, n. 40, G. U. 16 otto� 
bre 1985, n. 244-bis. 

legge 8 agosto 1985, n. 431 in toto e in special modo art. 2 (artt. 3, terzo 
comma, 8, nn. 3, 5, 6, 7, 16, 21 e 24, e 16, primo comma, dello statuto speciale 
Trentino-Alto Adige). 

Provincia aut. di Bolzano, ricorso 25 settembre 1985, n. 37, G. U. 9 ottobre 
1985, n. 238-bis. 

legge 8 agosto 1985, n. 431, art. 2 (artt. 3, 8, nn. 3, 5, 6, 7, 16, 21 e 24, e 16 
dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). 

Provincia aut. di Trento, ricorso 26 settembre 1985, n. 38, G. U. 9 ottobre 
1985, n. 238-bis.