ANNO XXXV -N. 4-5 LUGLIO -OTTOBRE 1983 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1984 



ABBONAMENTI ANNO 1984 

ANNO � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � L. 29.000 
UN NUMERO SEPARATO ���� � � � � � � � � � � � 5.300 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in Ital, 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


(5219035) Roma, 1984 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del


/'avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . . . pag. 597 

Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
ZIONALE (a cura 
COMUNITARIA 
del/'avv. Oscar 
E INTERNA-
Fiumara) . . � 641 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo 
Sica e Antonio Cingolo) . . . . . . . . . . . . � 682 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati 
Antonio Catrica/� e Paolo Cosentino) . . . . . . � 692 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura 
gli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) 
de
� 714 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato 
Carlo Bafi/e) . . . . . . . . . . . � 735 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . � 768 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . . � 780 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 


LEGISLAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 77 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE 


Avvocati 


Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; 
Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, 
L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco 
BERARDI, Potenza; Maurizio DE F'RANcms, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; 
Giancarlo MAND�, Venezia. 


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ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

M. 
CONTI, Requisiti di commercializzazione e misure di effetto 
equivalente a restrizioni alla importazione ai sensi dell'art. 30 
del Trattato CEE . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 646 

S. LAPORTA, IGE all'importazione e restituzione di diritti doganali I, 736 

G. P. Pouzz1, Spunti critici sulla giurisprudenza della Adunanza Plenaria 
relativa all'impugnazione del P.R.G. . . . . . . . I, 715 

G. 
STIPO, I criteri della liquidazione della pensione nei riguardi del 
dipendente statale transitato in un ente compreso nel regime 
previdenziale degli Istituti di Previdenza ........... . I, 724 


PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Compensi 
per danni da forza maggiore Onere 
della riserva -Sussiste -Tempo 
dell'iscrizione, 771. 

-Appalto di opere pubbliche -Decadenza 
dal diritto per intempestivit� 

-Libera circol�zione delle persone Previdenza 
sociale -Pensione sociale 
-Revoca delle clausole di residenza, 
653. 

-Unione doganale -Libera circolazione 
delle merci � Imposizioni fiscali 
interne discriminatorie -Trattamento 
fiscale del vino e dellae 

della riserva -Rinunzia della P.A. -
Ammissibilit� -Proposta di transazione 
-Non equivale a rinunzia, 772. 
ARBITRATO 
-Arbitrato obbligatorio -Norma regolamentare 
che lo prevede -Effetti -
Vizio di nullit� del lodo per nullit� 
del compromesso, 768. 
-Lodo parziale -Lodo parziale affermativo 
della competenza arbitrale -
Impugnativa immediata -Inammissibilit�, 
702. 
AVVOCATURA DELLO STATO 
-Patrocinio di Enti pubblici -Deroga 
-Condizioni, 699. 
COMUNIT� EUROPEE 
-Convenzione di Bruxelles 27 settembre 
1968 sulla competenza giurisdizionale 
e l'esecuzione delle decisioni in 
materia civile e commerciale -Competenza 
giurisdizionale -Materia contrattuale 
-Nozione, 641. 
-Convenzione di Bruxelles sulla competenza 
giurisdizionale e l'esecuzione 
delle decisioni in materia civile e 
commerciale � Contratto di assicurazione 
stipulato anche a favore di 
terzi � Clausola di proroga della 
competenza � Sottoscrizione delle 
parti e non del terzo, 676. 
-Convenzione di Bruxelles sulla competenza 
giurisdizionale e l'esecuzione 
delle decisioni in materia civile 
e commerciale � Eccezione di incompetenza 
� Difese sul merito -
Compatibilit�, 676. 
-Libera circolazione delle persone 
Previdenza sociale -Pensione sociale 
� Ambito della disciplina, 653. 
birra, 658. 
-Unione doganale -Libera circola� 
zione delle merci -Misure d'effetto 
equivalente a restrizioni all'importazione 
-Vermut, 645. 
CORTE COSTITUZIONALE 
-Conflitto di attribuzione tra Stato 
e Regione -Non notificato al Pre� 
sidente del Consiglio, 599. 
-Incidente di legittimit� costituzionale 
-Mancato intervento del Presidente 
del Consiglio dei Ministri � 
Impossibilit� di acquisire pareri 
giuridici, 605. 
-Incidente di legittimit� costituzionale 
� Presidente del Consiglio dei 
ministri e Presidente della Giunta 
regionale � Intervento � Non impedisce 
la decisione in camera di consiglio, 
605. 
-Legge di ratifica di trattato inter� 
nazionale -Non ancora efficace . 
Non pu� costituire oggetto del giudizio 
costituzionale, 635. 
-Principio di eguaglianza -Limiti della 
giurisdizione costituzionale, 613. 
DEMANIO 
-Antichit� e Belle arti -Cose di interesse 
artistico, storico, archeologico 
e etnografico -Obbligo di denuncia 
-Sussiste -Requisito dell'interesse 
particolare -Irrilevante, 
con nota di G. PALMIERI, 695. 
ENTI PUBBLICI 
-Banche -Banche di diritto pubbli� 
co � Responsabilit� di amministratori 
e dipendenti -Parificazione alle 
banche private -Inammissibilit� 
della questione, 600. 

INDICE DELLA GIURISPRUDBNZA vu 

-Delegazione amministrativa intersoggettiva 
� Nozione � Affidamento 
improprio � Attribuzione da parte 
di un ente ad un altro ente di ogni 
potere relativo all'esecuzione di 
un'opera, 694. 

-Universit� degli studi � Rappresentanza 
e difesa in giudizio � Spetta 
all'Avvocatura dello Stato � Ricorso 
per cassazione proposto da avvocato 
libero professionista -lnam� 
missibilit�, 699. 

ESPROPRIAZIONE PER P.U. 

-Indennit� -Criteri dettati dalla legge 
� sulla casa � � Dichiarazione di 
incostituzionalit� � Legge � tampone 
� -Applicabilit� nei giudizi in 
corso, 692. 

-Indennit� -Opposizione a stima � 
Dichiarazione di incostituzionalit� 
delle norme sulla determinazione 
dell'indennit� in pendenza di giudizio 
� Effetti � Cessazione della materia 
del contendere � Esclusione, 

692. 
-Occupazione temporanea d'urgenza � 
Illegittima per difetto del titolo � 
Risarcimento del danno � Legittimato 
passivo � Soggetto che concretamente 
ha attuato l'occupazione, 

694. 
GIURISDIZIONE CIVILE 

-Alloggi di tipo economico e popolare 
� Cessione in propriet� � Adeguamento 
dell'importo del prezzo 
di cessione al limite minimo fissato 
dall'art. 6, secondo comma, della 
legge 27 aprile 1962, n. 231 � Doverosit�, 
682. 

-Alloggi di tipo economico e popolare 
� Cessione in propriet� � Criteri 
legali di determinazione del prezzo 
� Controversie � Giurisdizione del 
giudice ordinario, 682. 

-Riconoscimento del diritto a rimborso 
IRPEF -Omessa corresponsione 
� Domanda di pagamento � 
Giurisdizione delle commissioni tri� 
butarie, 689. 

-Riforma della sentenza dichiarativa 
del difetto di giurisdizione dell'a.
g.o. -Omessa rimessione al giudice 
di primo grado � Violazione 
del principio del doppio grado di 
merito -Sussiste, 687. 

-Tardiva corresponsione dell'indenni� 
t� di buonuscita � Domanda di pagamento 
dei danni � Colpevole ritar� 
do dell'Amministrazione nella trasmissione 
del progetto di liquidazione 
all'E.N.P.A.S. � Giurisdizione 
del giudice ordinario, 687. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Appello -Questioni pregiudiziali sollevate 
in primo grado � Riproposizione 
da parte dell'Amministrazione 
vincitrice. Necessit� o meno dell'ap� 
pello incidentale in relazione al contenuto 
della decisione di primo grado, 
714. 

-Regolamento preventivo di giurisdizione 
-Applicabilit� anche ai giudizi 
di ottemperanza � Sospensione 
del processo amministrativo � Legittimit� 
costituzionale, 625. 

LOCAZIONE 

-Immobili adibiti ad abitazione � Facolt� 
di recesso riconosciuta solo 
al conduttore � Legittimit� costituzionale, 
628. 

-Immobili adibiti ad abitazione -Termine 
finale del rapporto -Legittimit� 
costituzionale, 628. 

PENA 

-Sanzioni depenalizzate � Intrasmissibilit� 
passiva per successione 
mortis causa � Limiti, 709. 

PENSIONI 

-Pensioni civili � Impiegati enti locali 
� Servizi statali � Ricongiunzione 
� Liquidazione � Criteri, con nota 
di G. STIPO, 724. 

PREVIDENZA 

-Fondo di previdenza personale imposte 
di fabbricazione � Impiegati 
non di ruolo -Sono iscritti, 636. 

PROCEDIMENTO CIVILE 

-Cassazione civile -Questioni nuove 
-Inammissibilit�, 694. 
-Gratuito patrocinio � Assistenza del 
consulente tecnico di parte, 597. 


VIII 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

PROCEDIMENTO PENALE 

- 
Diritto df difesa -Prelevamento ed 

analisi di campioni � Deteriorabilit� 
del campione -Avviso all'inquisito Necessit�, 
613. 

-Dogana -Reati punibili con pena 
pecuniaria -Imputati stranieri Carcerazione 
preventiva -Illegittimit� 
costituzionale -Estensione nell'ambito 
dei monopoli, 609. 

PROFESSIONI 

-Esame di Stato abilitante -Equipollenti 
-Necessit� di previsione 
legislativa espressa, 605. 

REATO 

-Reati valutari -Delitti previsti dal 
secondo e dal terzo comma dell'art. 
1 d.l. 4 marzo 1976, n. 31 e 
succ. mod. -Reati a soggetto qualificato, 
780. 

-Reati valutari -Delitto previsto dal 
primo comma dell'art. 1 d.l. 4 marzo 
1976, n. 31 e succ. mod. -Reato 
comune a soggetto indifferente, 780. 

-Reati valutari -Nozione di residenza 
delle persone fisiche ai fini valutari 
-:B quella di cui all'art. 1 

d.l. 6 giugno 1956, n. 576, 780. 
-Successione di leggi penali nel tempo 
-Graduale regolarizzazione di 
situazioni esistenti -Autonoma legge 
di delegazione di amnistia -Non 
necessit�, 612. 

REGIONI 

-Coordinamento degli incentivi creditizi 
-:B attribuzione dello Stato, 

621. 
-Inquinamento -Conferimento di 
funzioni alle regioni a statuto ordinario 
-Legittimit� costituzionale, 

612. 
-Regioni a statuto speciale -Decreti 
legislativi di attuazione -:B competenza 
legislativa separata, 621. 

SANZIONI AMMINISTRATIVE 

-Giudizio di opposizione -Esistenza 
di un'adeguata motivazione -Potere 
-Dovere del Pretore di accertar


TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-lmr>osta sui redditi di ricchezza 
mobile -Aziende ed istituti di credito 
-Quote di reddito destinate a 
riserva -Aliquota ridotta -Condizioni 
e limiti, 751. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
-Soggetti passivi -Eredit� giacente 
o vacante -Organizzazione di 
beni non avente personalit� giuridica 
-Esclusione -Accettazione Acquisto 
della qualit� di soggetto 
passivo con effetto retroattivo, 754. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Dogana -Accordo G.A.T.T. -Principio 
di parit� fiscale tra prodotti 
nazionali e prodotti importati -Imbarcazioni 
da diporto -Prima vendita 
-Esenzione dall'I.G.E. -Assoggettamento 
ad imposta dei natanti 
importati -Illegittimit�, con nota di 

S. 
LAPORTA, 735. 
-Dogana -Diritti di prelievo -Importazioni 
anteriori all'll settembre 
1976 -Aliquota applicabile -:B quella 
in vigore il giorno dell'importazione 
-Sopravvivenza di aliquota 
inferiore prima dello sdoganamento 
-Irrilevanza, 740. 

- 
Dogana -Diritti di prelievo -Rinuncia 
al recupero del maggior prelievo 
non riscosso -Importazioni anteriori 
al 1� luglio 1980 -Esclusione, 

740. 
- 
Dogana -Diritti doganali -Rimborso 
� Disciplina di cui all'art. 19 d.l. 
30 settembre 1982, n. 688 � Applicabilit� 
all'I.G.E. all'importazione Esclusione, 
con nota di S. LAPORTA, 

735. 
-Imposta di registro -Agevolazione 
per il Mezzogiorno � Aumento di 
capitale di societ� -Conferimento 
di impianti gi� funzionanti -Non 
esclude il beneficio, 758. 

-Imposta di registro -Dichiarazione 
di simulazione assoluta di atto di 
trasferimento -Imposta sul ritrasferimento 
� :B dovuta con riferimento 
al valore del tempo del ritrasferimento, 
747. 

-Imposta di successione -Deduzione 
di passivit� -Inventario di eredit� 
beneficiata -Insufficienza, 742. 

- 
Imposta di successione -Dichiarazione 
-Termine -Accettazione con 

la -Sussiste, con nota di G. PALMIERI, 
695. 
beneficio di inventario -Rinvio al 
cod. civ., 765. 

INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

TRIBUTI (IN GENERE) 

-Accertamento tributario -Notificazioni. 
Irreperibilit� del destinatario 
nel domicilio fiscale -Ipotesi diverse, 
744. 

-Condono -Processo costituzionale Eventuale 
presentazione di istanze 
di condono -Rimessione al giudice 

� a quo '" 639. 

-Contenzioso tributario -Impugna� 
zione di terzo grado -Oggetto e li� 
miti -Difetto di motivazione -Ammissibilit�, 
763. 

-Contenzioso tributario -Procedimneto 
innanzi alle commissioni -Articolo 
44 d.P .R. 26 ottobre 1972 n. 636 Illegittimit� 
costituzionale -Manifesta 
infondatezza, 760. 

-Contenzioso tributa11io -Procedimento 
innanzi alle commissioni -Estinzione 
-Art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, 

n. 636 -Effetti -Riassunzione del 
giudizio -Esclusione, 760. 
- 
Contenzioso tributario -Procedimento 
innanzi alle commissioni -Estinzione 
-Art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, 

n. 636 -Effetti -Riproposizione di 
nuovo ricorso -Inammissibilit�, 760. 
- 
Contenzioso tributario -Procedimento 
innanzi alle commissioni -Impugnazione 
incidentale condiziona


ta -Nozione -Rigetto dell'impugnazione 
principale -Assorbimento, 757. 

URBANISTICA 

-Costruzione abusiva -Ordine di demolizione 
-Irrogazione della sanzione 
pecuniaria -Motivazione della 
scelta tra i due strumenti repressivi 
-Esclusione di massima � 
Necessit� per opere conformi al 
P.R.G., 721. 

-Costruzione abusiva -Ordine di demolizione 
-Irrogazione della sanzione 
pecuniaria -Motivazione della 
scelta tra i due strumenti repressivi 
-Necessit� quando trascorso 
lungo tempo, 721. 

-Piano regolatore adottato dal Comune 
-Immediata impugnabilit� Misure 
di salvaguardia -Riapertura 
termini per impugnazione piano 
regolatore, inammissibilit�, con nota 
di G.P. POLIZZI, 715., 

-Piano regolatore approvato -Incondizionata 
impugnabilit�, con nota 
di G.P. POLIZZI, 715. 

-Piano regolatore -Beni del patrimonio 
indisponibile dello Stato -Mutamento 
di destinazione -Intesa con 
l'Amministrazione Statale -Mancanza 
-Illegittimit�, 722. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

8 giugno 1983, n. 149 
16 giugno 1983, n. 172 
1 � luglio 1983, n. 205 
6 luglio 1983, n. 207 
6 luglio 1983, n. 210 
18 luglio 1983, n. 215 
21 luglio 1983, n. 225 
21 luglio 1983, n. 226 
25 luglio 1983, n. 237 
28 luglio 1983, n. 246 
28 luglio 1983, n. 248 
28 luglio 1983, n. 251 
28 luglio 1983, n. 252 
29 settembre 1983, n. 282 (ord.) 
18 ottobre 1983, n. 308 
18 ottobre 1983, n. 310 
18 ottobre 1983, n. 314 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE 

22 marzo 1983, nella causa 34/82 
20 aprile 1983, nella causa 59/82 
III Sezione, 5 maggio 1983, nella causa 139/1982 
12 luglio 1983, nella causa 170/78 
III sezione, 14 luglio 1983, nella causa 201/82 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2454 
Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2486 
Sez. I, 11 aprile 1983, n. 2545 
Sez. I, 16 aprile 1983, n. 2626 
Sez. I, 16 aprile 1983, n. 2631 
Sez. I, 16 aprile 1983, n. 2633 
Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2644 
Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2646 
Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2648 
Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2649 

pag. 597 
� 599 
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� 625 
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� 628 
)) 628 
)) 635 
� 636 
� 639 
� 613 

pag. 641 
)) 645 
� 653 
� 676 
)) 676 

pag. 735 
)) 740 
)) 692 
� 742 
)) 744 
� 747 
)) 751 
� 754 
� 757 
)) 758 



INDICE CRONOLOGICO DEU.A GIURISPRUDENZA 

Sez. I, 2 maggio 1983, n. 
Sez. I, 2 maggio 1983, n. 
Sez. I, 13 maggio 1983, n. 
Sez. I, 9 giugno 1983, n. 
Sez. Un., 21 giugno 1983, 
Sez. I, 27 giugno 1983, n. 
Sez. Un., 5 luglio 1983, n. 


3020 
3022 
3307 
3954 


n. 
4259 
4404 
4512 

Sez. I, 13 luglio 1983, n. 4759 . 
Sez. I, 9 agosto 1983, n. 5311 . 
Sez. I, 18 ottobre 1983, n. 6109 
Sez. Un., 20 ottobre 1983, n. 6149 
Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6180 
Sez. Un., 29 ottobre 1983, n. 6418 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen. 22 dicembre 1982, n. 21 
Ad. Plen. 9 marzo 1983, n. 1 . . 
Ad. Plen. 19 maggio 1983, n. 12 . 
Ad. Plen. 27 maggio 1983, n. 13 

CORTE DEI CONTI 
Sez. Ili, 13 gennaio 1982, n. 48927 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 


GIURISDIZIONI PENAU 

CORTE DI CASSAZIONE 
Sez. III. pen., 19 maggio 1983, n. 390 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 


Xl 

pag. 760 
� 763 
� 765 
� 694 
� 768 
� 695 
)) 699 
� 771 
)) 702 
� 709 
� 682 
)) 687 
)) 689 

pag. 714 
� 715 
� 721 
)) 722 

pag. 724 

pag.. 780 


PARTE SECONDA 
INDICE DELLA LEGISLAZIONE 
PARTE SECONDA 
INDICE DELLA LEGISLAZIONE 
LEGISLAZIONE 

QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

I. -Norme dichiarate incostituzionali pag. 77 
II. -Questioni dichiarate non fondate � 81 
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III. -Questioni proposte . . . � 87 
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PARTE PRIMA 



SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 giugno 1983, n. 149 -Pres. Elia -Rel. Mala


gugini -Saldarini (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (Avv. 

Stato Salimei). 

Procedimento civile � Gratuito patrocinio � Assistenza del consulente 
tecnico di parte. 
(Cost., art. 24; r.d. 30 dicembre 1923. n. 3282, art. 11). 

Il diritto di difesa comprende la facolt� di avvalersi dell'assistenza di 
un consulente tecnico di parte. Contrasta con l'art. 24 ed � pertanto costituzionalmente 
illegittimo l'art. 11 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, 
nella parte in cui non prevede che il beneficio del gratuito patrocinio 
si estenda alla facolt� per le parti di farsi assistere da consulenti tecnici. 

(omissis) Questa Corte ha ripetutamente sottolineato �fa portata 
generale della categorica affermazione -nell'art. 24 Cost. -del diritto 
� inviolabile di difesa � ed ha rilevato che, pur se spetta � al legislatore, 
considerate le peculiarit� strutturali e funzionali ed i -diversi interessi in 
gioco nei vari stadi e gradi del procedimento, dettare le concrete modalit� 
per l'esercizio del diritto di difesa�, esso deve �nelle diverse situazioni 
processuali � essere � garantito a tutti su un piano di uguaglianza 
ed in forme idonee� (sent. n. 125 del 1979 cfr. da ultimo sent. n. 188 
del 1980). 

In termini pi� specifici, la Corte ha ritenuto che � il diritto della difesa 
deve essere inteso come possibilit� effettiva dell'assistenza tecnica 
e professionale, nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga 
assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere 
le ragioni delle parti� (sent. n. 46 del 1957 e n. 59 del 1959). Ora, � 
proprio per il carattere � inviolabile � del diritto di difesa, posto anche 
a garanzia del contraddittorio, che il medesimo art. 24 Cost., al terzo 
comma, statuisce che � sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, 
i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione�: con 
ci� intendendo � rimuovere le �difficolt� di ordine economico che possono 
opporsi al concreto esercizio del diritto-�di difesa� stesso (sent. n. 46 
del 1957 cit.) e cos� instaurare tra le parti quella, almeno tendenziale, 
� parit� delle armi � che del contraddittorio medesimo � connotato essenziale. 


I complessi normativi che definiscono gli � appositi istituti� intesi 

ad assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi in giudizio, 


598 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sono stati ripetutamente sottoposti al vaglio di questa Corte in riferimento 
a vari parametri costituzionali, tra i quali, ricorrente, quello di 
cui all'art. 24 Cost. E Ja Corte medesima si � pronunciata per Ja non 
fondatezza delle questioni allora dedotte, tutte incentrate sulla ritenuta 
insufficienza o non efficienza dei mezzi a quel fine apprestati con le disposizioni 
di legge denunziate, affermando, al proposito, che �la insufficienza 
o scarsa efficienza di una norma di legge rispetto agli scopi voluti 
dalla Costituzione, non pu� condurre a riconoscerla senz'altro contraria 
alla Costituzione, col risultato di far venir meno il poco gi� attuato 
(sent. n. 97 del 1970, che richiama la sent. n. 114 del 1964; sentt. n. 149 
del 1972, n. 35 del 1973 e n. 58 del 1973). 

La Corte non � ora chiamata a riconsiderare questa sua precedente 
affermazione, riferita a censure aventi oggetto e prospettazione diversi 
rispetto a quella oggi in esame, anche se non pu� esimersi dal rilevare 
che ila constatazione del �poco attuato � assume ad anni di distanza un 
sapore ancora pi� amaro. (omissis) 

g invero da � ricordare che, secondo un principio affermato dalla 
Corte fin dalla sentenza n. 46 del 1957 e poi fermamente e costantemente 
ribadito in numerose, successive occasioni, il diritto di difesa �, in primo 
luogo, garanzia �di contraddittorio e di assistenza tecnico-professionale. Il 
che � quanto dire che quel diritto, �di regola, � assicurato nella misura in 
cui si dar� all'interessato la possibilit� di partecipare ad una effettiva 
dialettica processuale� (sent. n. 190 del 1970). Queste affermazioni, riferite 
al difensore, vanno estese al consulente tecnico di parte, il quale quando 
si tratti di risolvere nel giudizio problemi di natura tecnica e si 
faccia perci� luogo alla nomina di un consulente tecnico d'ufficio svolge 
funzioni che, secondo la comune opinione di dottrina e giurisprudenza, 
sono paragonabili a quelle dell'avvocato, limitatamente al piano 
tecnico. Ci� del resrto, risulta gi� dalle norme processuali che prevedono 
tale figura e ne disciplinano la facolt� (artt. 87 e 201 cod. proc. civ.; 
artt. 323 e 324 cod. proc. pen.) ed � stato riconosciuto da questa medesima 
Corte quando ha affermato che � l'accertamento tecnico sia nel 
procedimento civile sia in quello penale ha gi.ridica rilevanza di difesa, 
nei ~imiti segnati dalle regole tecniche che ne costituiscono 'l'oggetto � 
(sent. n. 128 del 1979): affermazione, questa, che discende �direttamente 
dail'essere la nomina del consulente tecnico ,di parte prevista a maggior 
garanzia della regolarit� del contraddittorio. 

Ora, che il testo di legge sul gratuito patrocinio approvato col r.d. 
30 dicembre 1923, n. 3282 non contemplasse la nomina del consulente di 
parte � facilmente comprensibile, dato che la nomina stessa non era prevista 
nel sistema processuale allora vigente (di cui al codice di rito approvato 
con r.d. 25 giugno 1865, n. 2366) per le ipotesi in cui nel giudizio 
si ricorresse al parere di uno o pi� �periti� (secondo la terminologia 
allora vigente). In tale sistema, peraltro, la regola era che il perito o i 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

periti fossero concordemente nominati dalle parti, e vi dovesse provvedere 
H giudice solo quando queste non si fossero in proposito accordate 
(art. 253). Ben diverso �, ~nvece, il sistema instaurato con il codice processuale 
del 1940, nel quale il consulente tecnico d'ufficio � sempre nominato 
dal giudice ed � data facolt� alle parti, in tal caso, di � farsi assistere... 
da un consulente tecnico� (artt. 61, 87 e 201). Nell'ambito di 
tale sistema, Ja mancata previsione della facolt� di nomina di un proprio 
consulente tecnico da parte del soggetto ammesso al gratuito patrocinio 
-ovviamente, nel caso ~n cui si faccia luogo nel giudizio alla noll:\ina di 
un consulente tecnico d'ufficio -non � pi� giustificabile. Essa, infatti, 
costituisce un'evidente limitazione del diritto di difesa del non abbiente, 
che ne menoma la possibilit� di efficacemente contraddire quando nel 
giudizio si controverta su questioni di natura tecnica. Del resto, che nel 
vigente ovdinamento si� in generale riconosciuto, anche alla parte am� 
messa al gratuito patrocinio, il diritto di avvalersi dell'opera del consulente 
tecnico di parte, quando ne � consentita la presenza, risulta positivamente 
dalle specifiche norme dettate in altri settori dell'ordinamento 
medesimo. Cos�, riconosciuta dal codice di procedura penale del 1930 
(art. 323) la facolt� delle par.ti private di nominare consulenti tecnici, con 
le facolt� ivi previste (artt. 324 e 325 cod. proc. pen.) apposita disposizione 
di attuazione del codice medesimo (art. 3, comma secondo, del r.d 
28 maggio 1931, n. 602) ha esteso il beneficio del gratuito patrocinio alla 
facolt� per le parti di farsi assistere da .consulenti tecnici (cfr. anche 
artt. 4-6 r.d. 24 foglio 1931, n. 1071 [norme di coordinamento delle tariffe 
in materia penale con quelle dei due nuovi codi�e penale e di procedura 
penale]). Ed allo stesso modo ha disposto -all'art. 14, secondo comma 
-la legge sul processo del lavoro (legge 11 agosto 1973, n. 533) nel 
dettare, per tale settore, la nuova disciplina del patrocinio a spese dello 

Stato. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 giugno 1983, n. 172 � Pres. Elia� Rel. Bucciarelli 
Ducci � Regione Trentino-Alto Adige (avv. Pace) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Vittoria). 

Corte costituzionale -Conflitto di attribuzione tra Stato e . Regione Non 
notificato al Presidente del Consiglio. 

E inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra Stato e 
Regione notificato, anzich� al Presidente del Consiglio dei Ministri, al 
Ministro che ha emesso il procedimento impugnato. 

Con ricorso notificato il 2 luglio 1981 la Regione Trentino-Alto Adige, 
in persona del Presidente della Giunta regionale, ha sollevato conflitto di 

2 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

attribuzione nei confronti del Ministro del Tesoro avverso i decreti dello 
stesso ministro de11'11 aprile e del 5 maggio 1981 (pubblicati su1la Gazzetta 
Ufficiale n. 120 del 4 maggio 1981 e n. 136 del 20 maggio 1981). 
(omissis) 

(omissis) Il ricorso � inammissibile per non essere stato notificato 
al Presidente del Consiglio dei ministri, bens� al Ministro del tesoro. 

Questa Corte ha pi� volte affermato che i conflitti di attribuzione 
tra Stato e Regioni �devono svolgersi esclusivamente nel contraddittorio 
del Presidente del Consiglio dei Ministri, da un lato, e del Presidente 
della Regione, dall'altro, di qualunque autorit� dello Stato o della 
Regione sia l'atto dal quale iJ. conflitto deriva� (sentenza n. 6/1957), 
disponendo in tal senso gli artt. 39 della fogge 11 marzo 1953, n.. 87, 
e 27 delle norme integrative 16 marzo 1956. 

CORTE COSTITUZIONALE, 1� luglio 1983, n. 205 � Pres. Elia � Rel. 
Roehrssen � Pantellini (avv. Flick), Banca naz. lavoro (avv. Giannini), 
Fall. Compagnia italiana petroli (avv. Cremonini). 

Enti pubbllcl � Banche � Banche di diritto pubbllco � Responsabilit� di 
amministratori e dipendenti -Parificazione alle banche private � 
Inammissibilit� della questione. 
(Cost., artt. 3 e 47; cod. pen., artt. 314, 357 e 358; I. 7 marzo 1938 n. 141, artt. 1 e 25). 

Spetta alla discrezionalit� del legislatore ordinario stabiliffe se debba 
eliminarsi il divario tra chi opera nelle banche pubbliche e chi opera 
in quelle private; del resto, la parificazione non potrebbe operarsi semplicemente 
adottando il regime penalistico pi� favorevole (1). 

{omissis) Con ordinanza 30 gennaio 1980 Ja Corte d'appello di Bologna 
-nel corso di un processo per peculato per distrazione a carico 
dei dipendenti della Banca nazionale del lavoro e di un consigliere della 
societ� CIP (Compagnia italiana petroli) -ha sollevato questione di <legittimit� 
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 47 della Costituzione, 

(1) La pronuncia appare da condividere (anche se non � del tutto chiaro 
perch� il dispositivo sia di inammissibilit� anzich� di rigetto). Merita segnalare 
che, mentre la Presidenza del Consiglio non � intervenuta nel processo 
costituzionale (malgrado la importanza della questione, ampiamente trattata 
nella sentenza 10 ottobre 1981 della Corte di cassazione penale a sezioni 
unite, e dibattuta anche in dottrina), si � costituita in detto processo la 
Banca nazionale del lavoro -com'� noto, ente di diritto pubblico -per 
sostenere tesi che non consta abbiano ricevuto un preventivo assenso dell'autorit� 
di Governo. 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

degli artt. 314 (peculato), 357 (nozione di pubblico ufficiale) e 358 (nozione 
di persona incaricata di un pubblico servizio) del codice penale. 

Ne1l'ordinanza si deduce fa irrazionalit� e la discriminatoriet� di tali 
norme, giacch� in forza di esse i dipendenti da enti pubblici sono sottoposti 
a pesanti sanzioni penali per comportamenti che, se commessi da 
dipendenti di enti privati, sarebbero penalmente irrilevanti o sanzionati 
penalmente in modo pi� lieve. 

Si adduce che l'art. 47 della Costituzione conferisce all'attivit� creditizia 
un rilievo particolare (in chiave di disciplina, coordinamento e 
controllo), di senso unitario, che sembra contraddire la possibilit� di distinzioni 
tra l'esercizio di quella attivit� ad opera di enti pubblici o di 
enti privati. Questo aspetto unitario � avvalorato dal rilievo che la legge 
bancaria, definendo la raccolta del risparmio e l'esercizio del credito 
come � funzioni di interesse pubblico �, consente J'elaborazione normativa 
di una categoria a s�, comprensiva dell'attivit� creditizia svolta da 
operatori privati e pubblici; che essa propone modi identici di controllo 
sezionale, accomuna tutti gli istituti, enti e persone sotto la comune 
denominazione di �aziende di credito �; attribuisce la qualit� espressa di 
pubblici ufficiali ai soli funzionari della Banca d'Italia; prevede una uniforme 
disciplina penale anche in relazione alle disposizioni pena:li contenute 
negli artt. 2621 e segg. del codice civile, cui gli operatori credjtizi 
sono soggetti indipendentemente dall'appartenenza ad enti pubblici o 
privati. 

Si sottolinea che anche il credito a medio e lungo termine, come 
quello ordinario, � esercitato con 'le stesse modalit�, controlli e risorse 
pattjmoniali, sia esso attuato da enti pubblici o privati. 

Si rileva, infine, che quale che sia il soggetto da cui promana, l'esercizio 
dell'attivit� creditizia � attivit� tipicamente imprenditoriale e di 
�rischio �, che non sarebbe compatibile con fa soggezione a schemi e 
moduli di controllo anche in chiave penale, tipicamente rigidi e formaListici. 


In tale situazione, l'applicazione dell'art. 314 cod. pen. conseguente 
alla genericit� ed all'ampiezza della formulazione degli artt. 357 e 358 
cod. pen. si risolverebbe in una violazione de1l'art. 3 della Costituzione, 
configurando una ingiustificata sperequazione di trattamento tra operatori 
dipendenti da enti pubblici e privati, in relazione ad una identica 
situazione di fatto sottostante, come dimostrerebbe J.a circostanza che nel 
giudizio in corso davanti ad essa il fatto costituente reato di peculato, se 
commesso da un impiegato di una banca privata sarebbe stato irrilevante 
sotto il profilo generale � e forse elogiabile sotto quello professionale �. 

Si � costituita la Banca nazionale del lavoro, la quale ha chiesto che 
gli artt. 357, 358 e 314 cod. pen. siano dichiarati costituzionalmente illegittimi, 
in relazione all'art. 1 della legge bancaria. �in quanto qualifi



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

602 

chino pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio e conseguentemente 
consentano che siano imputati di peculato per distrazione i di� 
pendenti d'istituto di credito di diritto pubblico nell'esercizio dell'attivit� 
creditizia �. 

Si osserva che l'art. 314 cod. pen. va necessariamente integrato da 
norme e princ�pi tratti da altre disposizioni di Jegge ed eventualmente 
da altri ordinamenti per la identificazione del soggetto cui il precetto � 
rivolto ed a tal uopo occorre riferirsi agli artt. 357 e 358 cod. pen., che 
danno la nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servi� 
zio agli effetti della legge penale. Ma neppure queste norme sono suffi� 
oienti perch� parlano di impiegati dello Stato o di altri enti pubblici e 
� di ogni altro personale che eserciti una pubblica funzione -ilegislati� 
va, amministrativa o giudiziaria -o un pubblico servizio �, perch� occorre 
.riferirsi ad ordinamenti diversi, non penali, per l'identificazione 
dei concetti di pubblica funzione e di servizio pubblico. 

Alcuni di questi ordinamenti hanno norme esplicite, inequivoche 
(ferrovie esercitate dallo Stato o concesse all'industria privata, poste e 
telecomunicazioni) ed in queste ipotesi il giudice penale identifica M precetto 
in una norma giuridica tratta dal combinato disposto degli artt. 
314, 357 e 358 cod. pen. e da una disposizione propria dell'ovdinamento, 
che disciplina l'attivit�. 

Ma fa norma oggetto del presente giudizio di legittimit� costituzionale 
deriva dal combinato disposto degli artt. 314, 357 o 358 cod. pen. e 
dei princ�pi dell'ordinamento del credito, che contiene una norma di qualificazione 
e~licita, l'art. 10, esclusivamente per i funzionari della Banca 
d'Italia e limitatamente alla funzione di vigilanza sulle aziende di credito. 

L'ordinamento del credito, quale risulta dalla legge bancaria, disci� 
plina in modo unitario !',istituto dell'impresa bancaria e costituisce un 
oroinamento giuridico settoriale, ove, alla potest� di direzione e di controllo 
dei pubblici poteri, si aggiunge la normazione interna, cui le im� 
prese sono �assoggettate prioritariamente rispetto alla normativa prima� 
ria esterna de1l'ordinamento generale. Sicch�, fa qualificazione giuridica 
delle medesime e delle loro attivit� non pu� derivare da norme di quest'uJ.
timo {come quelli aventi ad oggetto gli esercenti pubbliche funzioni 

o servizi pubblici), in quanto le stesse risultano gi� diversamente quali� 
ficate e regolate appunto dall'ordinamento sezionale. 
L'autonomia dell'ordinamento sezionale del credito � confermata dal� 
l'art. 47 Cost., la cui collocazione nel Titolo III, Parte I, relativo ai rapporti 
economici conferma che questo ordinamento attiene all'impresa 
privata ed alla sua disciplina pubblica, non ai pubblici servizi e tanto 
meno alle funzioni pubbliche. 

La legge bancaria, dopo aver definito � funzioni di interesse pubblico
� la raccolta del risparmio e l'esercizio del credito, dispone che tali 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

funzioni sono esercitate da Istituti di credito di diritto pubblico, da Banche 
di interesse nazionale, da Casse di risparmio, e da Istituti, Banche ed 
enti ed imprese private a tale fine autorizzati (art. 1). 

Tutte le aziende ,di credito (di diritto pubblico o privato) sono sottoposte 
al controllo delta Banca d'Italia. 

L'applicazione degli artt. 357 e 358 in relazione all'art. 314 cod. pen. 
agli amministratori e dipendenti degli istituti di credito di diritto pubblico 
nell'esercizio dell'attivit� creditizia sarebbe in contrasto evidente 
con gli artt. 3 e 47 Cost. perch� senza alcuna ragionevole ~ustificazione 
pone in es,sere un trattamento differenziato fra persone che esercitano la 
stessa attivit�, soggetta ad una stessa unitaria conforme disciplina. 

Ci� vale sia per il credito ordinario, a breve tenmne, sia per il credito 
a medio e a lungo termine. Anche queste forme di credito speciale 
sono esercitate, infatti, da enti pubb1ici e privati alle stesse condizioni, 
con le stesse modalit� e sotto gli stessi controlli. (omissis) 

Con tali ordinanze la Corte viene investita del i;dudizio sulla legittimit� 
costituzionale degli artt. 357, 358 e 314 cod. pen. in relazione all'art. 
1 della legge 7 marzo 1938, n. 141 (� Disposizioni per la difesa del risparmio 
e per la disciplina della funzione creditizia�) nonch� dell'art. 61, 

n. 9, cod. pen., in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost. 
Ritengono, infatti, le ordinanze che le cennate norme del codice pe� 
nale, attribuendo ai dipendenti delle banche di diritto pubblico la qualifica 
di pubblici ufficiali senza alcuna discriminazione, violerebbero 
l'art. 47 Cost., il quale avrebbe accolta una nozione unitaria delle banche, 
sia pubbliche sia private, tutta fondata sull'assetto privatistico, e J'art. 3 
Cost., in quanto sottoporrebbero a1la pi� grave disciplina penale propria 
dei pubblici ufficiali amministratori e dipendenti che svolgono funzioni 
del tutto identiche a quelle di amministratori e dipendenti di banche di 
diritto privato che a quella disciplina non sono assoggettati. 

La questione, cos� proposta, � inammissibile. 

Infatti, le ordinanze di rimessione -necessariamente ancorate al 
requisito della rilevanza nei giudizi a quibus deHe norme denunciate 
e degli effetti delle decisioni di questa Corte -hanno sottoposto al 
suo esame soltanto alcuni articoli del codice penale ma nella realt�, 
attraverso la denuncia di queste specifiche disposizioni, pongono in di� 
scussione il complesso delle norme penali applicabili agli ~stituti di credito 
e dalla sua valutazione globale non si pu� prescindere se si vuole 
pervenire ad una soluzione la quale sia ispirata a criteri di razionalit� 
e coerenza. 

Appare allora evidente che, una volta esaminato il cennato complesso 
normativo, le scelte da adottare non possono che essere rimesse alla di� 
screzionalit� del legislatore, verificandosi altrimenti il pericolo di non 


604 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

lasciare margini per soluzioni che si adeguino ai princ�pi affermati particolarmente 
negli artt. 41 e 43 Cost. 

In ogni caso tale discrezionalit� non potr� che svolgersi nella considerazione 
globale del problema. Da questo punto di vista va rilevato che 
le disparit� di trattamento tra amministratori e dipendenti di banche 
pubbliche e di banche private non si limitano alla disciplina del peculato 
e dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 9, del codice penale. Invero, a parte 
la malversazione, esse (pur sommariamente evocate) riguardano, tra 
l'altro, le ipotesi di falsit� nei bilanci ed in altre comunioazioni sociali, 
le stesse falsit� in atti e documenti della banoa (art. 479 cod. pen.), a 
fronte del meno grave delitto di false comunicazioni sociali previsto 
dall'art. 2621, n. 1, del codice civile. 

V'�, inoltre, il diverso regime penale in ordine alla obbligatoriet� del 
rapporto all'autorit� giudiziaria (art. 361 cod. pen.). E infine rispetto a:Lle 
banche pubbliche, possono profilarsi altri reati tipici contro la pubblica 
Amministrazione, che non trovano riscontro per le banche private, ovvero 
danno Juogo a differenti ipotesi criminose (interesse privato: art. 
324 cod. pen. e art. 2631 cod. civ.; omissione di atti di ufficio: art. 328 
cod. pen. e art. 2625 e ss. cod. civ.; rivelazione di segreti e notizie riservate: 
art. 326 :cod. pen. e art. 2627 cOcl. civ.). 

Dinanzi a simile strumentazione penalistica ed al conseguente divarfo 
fra chi opera nelle banche pubbliche e chi opera in quelle private (divario 
gi� di per s� problematico, a seguito della nota giurisprudenza penale 
sulla natura di incaricati di. pubblico servizio degli amministratori e 
funzionari degli enti bancari privati, contrasta tuttavia per taluni aspetti 
dagli orientamenti della giurisprudenza civile) \�i � da dire che la parificazione 
del trattamento sanzionatorio (che viene chiesto dalle ordinanze 
di rimessione) non potrebbe per� che :competere al legislatore, al quale 
spetta valutare tutti i diversi profili della materia. 

Del resto fa parificazione, com'� prospettata nelle ordinanze, non 
potrebbe operarsi semplioemente adeguando il regime penalistico anzi. 
detto a quello pi� favorevole, perch� in questo caso si potrebbero creare 
altre sperequazioni, a svantaggio del settore privato, soprattutto per 
quanto attiene allo stato di insolvenza (cfr. in particolare art. 195, ultimo 
comma, legge fallimentare). 

Spetta quindi alla discrezionalit� del legislatore stabilire dn quali termini 
il diritto penale dell'impresa bancaria debba inquadrarsi o risolversi 
in un pi� ampio diritto penale dell'impresa; e, soprattutto, determinare 
quali fattispecie criminose debbono considerarsi pi� <idonee ai 
fini della prevenzione e della punizione di comportamenti fraudolenti. 

� peraltro auspicabile che la materia sia presa in esame il pi� rapidamente 
possibile, nel quadro della normativa costituzionale e comunita11ia. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 6 luglio 1983, n. 207 � Pres. Elia � Rel. Paladin 
-Consiglio naz. ragionieri e periti commerciali (avv. Mandel). 

Corte costituzionale � Incidente di legittimit� costituzionale � Mancato 
intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri � Impossibllit� 
di acquisire pareri giuridici. 

Professioni � Esame di Stato abllitante � Equipollenti -Necessit� di previsione 
legislativa espressa. 
(Cost., art. 33; d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, art. 31). 

La Corte costituzionale non pu� disporre l'acquisizione del parere 
di un ufficio legislativo per surrogare il mancato intervento del Presidente 
del Consiglio dei ministri. 

Il legislatore ordinario pu� equiparare all'esame di Stato, generalmente 
prescritto per l'accertamento di determinate capacit� professionali, 
altri esami che in effetti soddisfino la medesima esigenza,� tuttavia 
tali equiparazioni, rappresentando una eccezione alla regola, devono essere 
espressamente previste. 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 6 luglio 1983, n. 210 � Pres. Elia -Rel. Reale. 

Corte costit~onale � Incidente di legittimit� costituzionale � Presidente 

del Consiglio dei ministri e Presidente della Giunta regionale -Inter


vento � Non impedisce la decisione in camera di consiglio. 

La Corte costituzionale pu� decidere in camera di consiglio anche 
quando il Presidente del Consiglio dei Ministri (o il Presidente della 
Giunta regionale) � intervenuto nel processo costituzionale; la decisione 
in camera di consiglio � impedita soltanto dalla costituzione in detto processo 
di taluna delle parti � in causa � del giudizio nel quale la questione 
incidentale di legittimit� costituzionale � stata sollevata. 

I 

(omissis) Entrambe le ordinanze procedono, infatti, dalla premessa 
che l'art. 31, primo comma, nn. 4 e 5, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 
(�Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciaile�), 
pur non avendo abrogato la disciplina dettata in materia di abilitazione 
professionale dall'art. 2 della legge n. 327 del 1906, valga senz'altro ad 
esentare dall'obbligo della pratica biennale e dal superamento dell'apposito 
esame gli abilitati all'insegnamento della ragioneria negli istituti 
tecnici-commerciali. Ed entrambi i giudici ne desumono un motivo di con



606 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

trasto fra le disposizioni denunciate e l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, 
l� dove si prescrive �un esame di Stato... per l'abilitazione all'eseroizio 
professionale �. 

Come gi� si � ricordato in narrativa, il costituito Consiglio nazionale 
dei ragionieri e periti commerciali ha preliminarmente contestato l'interpretazione 
dalla quale muovono i giudici a quibus. Mediante una memoria 
depositata alla vigilia della pubblica udienza, fa difesa del Consiglio 
ha anzi avanzato formale richiesta, affinch� la Corte acquisisca, � in 
via istruttoria�, l'avviso del Ministero di grazia e giustizia e -pi� precisamente 
-un parere dell'Ufficio legislativo del Ministero stesso, interpellato 
in proposito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. 

Ma una domanda del genere non pu� essere accolta, dal momento 

che i mezzi istruttori utilizzabili nei giudizi sulla legittimit� costituzio


nale delle leggi, in applicazione dell'art. 13 della legge n. 87 del 1953 e 

dell'art. 12 delle Norme integrative del 16 marzo 1956 giovano allo scopo 

di conoscere dati od elementi di fatto, non gi� per stabilire m qual modo 

si debba interpretare la disciplina impugnata (o per surrogare -come, 

in sostanza, si vorrebbe nella specie -il mancato intervento del Presi


dente del Consiglio dei ministri). 

Ci� posto, per�, anche questa Corte � dell'avviso che alle disposi


zioni in esame non si possa attribuire il senso configurato e censurato 

dai giudici a quibus. 

L'oggetto specifico delle presenti impugnative, vale a dire l'art. 31, 

primo comma, n. 5, del d.P.R. n. 1068 del 1953, si risolve infatti nel prean


nuncio che il �termine� e le �modalit�� dell'abilitazione all'esercizio 

della rprofessione di ragioniere e perito commerciaie � saranno stablite 

con apposita norma legislativa, su proposta del Ministero per fa pub


blioa istruzione di concerto con quello per la grazia e giustizia�: 

norma che, per altro, non � mai stata emanata. Perci� la Corte ne ha 

tratto -con la decisione n. 43 del 1972 -ila conseguenza che � sono 

tuttora tin vigore, sul punto relativo ai requisiti richiesti per l'iscrizione 

nell'albo e per �l'esercizio pubblico della professione di ragioniere, le :nor


me di cui alla legge n. 327 del 1906 (art. 2, comma secondo, fottera d), ed 

al relativo regolamento d'esecuzione (r.d.l. n. 715 del 1906, articoli 18-23), 

non essendo state le stesse abrogate o derogate da norme successive ed 

in particolare da quelle di cui alla legge n. 3060 del 1952 (articolo unico) 

e al d..P.R. n. 1068 del 1953 (art. 31, nn. 4 e 5) �. E la permanenza de.i par


ticolari requisiti previsti dall'ordinamento del 1906, cio� del � compi


mento del biennio di pratica� e del � superamento dell'esame teorico 

pratico�, � stata poi riaffermata pi� volte, sia dalla. Corte stessa (con 

le sentenze n. 111 del 1973 e n. 83 del 1974), sia da alcilne contemporanee 

pronunce della Cassazione. 

Ora, una volta chiarito che il legislatore non ha provveduto in nessun 

modo ad innovare la disciplina dettata dalla legge e dal regolamento del 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

1906, in tema di abilitazione professionale, � contraddittorio sostenere 
-come fanno i giuilici a quibus -che le disposizioni denunciate avrebbero 
pur sempre una puntuale ed immediata efficacia precettiva, consistente 
nel consentire senz'altro l'iscrizione nell'albo dei ragionieri e l'esercizio 
della rispettiva professione, quanto agli abilitati all'linsegnamento 
della ragioneria negli istitu1li tecriici-commerciali. E la circostanza che 
l'art. 31, primo comma, n. 5, non prescriva in modo espresso che gli stessi 
insegnanti in questione, specificamente menzionati nel n. 4 del medesimo 
comma, devono per ora possedere i requisiti prescritti dall'o11dinamento 
del 1906, non basta a sorreggere l'interpretazione sulla quale si fondano 
le ordinanze in esame; tanto pi� che il d.P.R. n. 1068 del 1953 non prende 
in alcuna considerazione, non solo nell'art. 31 ma anche 111egli altri suoi 
disposti, le norme preesistenti che transitol1i.amente continuano a regolare 
l'esercizio della professione di ragioniere (salvo il particolarissimo caso di 
coloro che vi erano stati abilita1Ji prima ancora dell'entrata in vigore della 
legge 15 luglio 1906, n. 327). 

Vero � che il legislatore ordinario pu� equiparare all'esame di Stato, 
generalmente prescritto per l'accertamento di determinate capacit� professionali, 
altri esami che in effettJi soddisfino la medesima esigenza (come 
la Corte ha precisato nelle sentenze n. 174 e n. 175 del 1980). Ma rimane 
fermo che tali equipollenti, rappresentando un'eccezione alla regola, devono 
venire espressamente previsti, anzich� risultare lin modo implicito. 
E, d'altro lato, non si possono comunque ipotizzare equipollenze del genere, 
J� dove il legislatore non abbia nemmeno definito -come appunto 
si registra ne1la specie -i termini e le modalit� dell'accertamento normalmente 
necessacio per i candidati all'abilitazione professionale. 

La questione � dunque inammissibile, poich� l'art. 31, primo comma, 

n. 5 del d.P.R. n. 1068 del 1953 non ha alcun c0111tenuto normativo, suscettibile 
di trovare applicazione da parte dei giudici a quibus, nel senso 
censurato dalle orilinanze cm rimessione. 
Tuttavia, la Corte non pu� non r1levare che i dubbi di legittimit� costituzionale 
e le connesse difficolt� interpretative, cui hanno dato luogo 
le ilisposizioni denunciate, verrebbero meno in partenza se .il legislatore 
sciogliesse -dopo trent'anni di attesa -la riserva concernente l'abilitazi0111e 
all'esercizio della professione di ragioniere e penito commerciale. Se 
nOID. altro sotto questo aspetto, risulta perci� necessario che l'ordinamento 
del 1953 venga completato ed aggiornato, ponendo fine alla scoordinata 
sovrapposizione di leggi scolastiche e di leggi professionali, che da tanti 
decenni costituisce una nota negativa della disciplina del settore. 

Il 

(omissis) La Corte ritiene di poter procedere all'esame della questione 
in camera cm consiglio, ancorch� si sia verificato l'intervento del Presidente 


.> .> 
RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

608 

del Consiglio dei ministri rappresentato dall'Avvocatura generale dello 
Stato. E ci� a norma dell'art. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 
1953, n. 87, il quale dispone che �qualora non si costituisca alcuna 
parte... fa Corte pu� decidere in camera di consiglio �. 

Il presupposto dell'applicazione nel senso detto di tale norma � costituito 
dalla negazione della qualit� di � parte � nel Presidente del Consiglio 
(non quando esso sia stato parte nel giudizio principale, ma) quando 
esso interviene nel giudizio incidentale di legittimit� costituzionale. 

La, Corte ritiene che la questione possa essere decisa utilizzando 
un elemento di giudizio testuale e uno desunto dal sistema. 

In primo luogo il testo della legge. Il citato art. 26 della legge n. 87 
del 1953 che esclude '1a necessit� dell'uddenza quando non vi sia alcuna 
parte costituita segue immediatamente l'art. 25 il quale in due commi distinti 
tratta separatamente della facolt� delle � parti � e di quella del 
Presidente del Consiglio dei ministri e del Presidente della Giunta Regionale. 
La netta distinzione e separazione :indica che i Presidenti del Consiglio 
dei ministri e della Giunta Regionale non appartengono alla categoria 
delle � parti �. 

Vero � che l'art. 8 delle Norme integrative 16 marzo 1956 per i giudizi 
davanti alla Corte costituzionale, a proposito della convocazione della 
Corte in udienza pubblica, stabilisce che il decreto di fissazione dell'udienza 
� comunicato in copia alle � parti costituite �, considerando unitariamente 
le partii in senso proprio e gli intervenii.enti, e che l'art. 17, comma secondo, 
stabilisce, senza distinguere tra parti ed intervenienti, che �dopo la relazione, 
i difensori delle parti svolgono succintamente i motivi delle loro 
conclusioni (al quale riguardo deve per� ricordarsi che la dottrina non ha 
mancato di sottolin;eare il rilievo che assume Ja prassi costante secondo 
la quale l'Avvocatura parla sempre per ultima dopo i difensori delle 
parti). Ma � vero anche che gli artt. 3 e 4 trattano distintamente (come 
fa l'art. 25 della legge n. 87) della � costituzione delle parti � e dell' � intervento 
in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri e del Presidente 
della Giunta Regionale�; mentre l'art. 9 contiene ,una disposi:llione ripetitiva 
dell'art. 26 della legge n. 87. 

Pertanto Ie non univoche enunciazioni delle Norme integrative (tuttavia 
destinate ad assicurare sia alle parti, sia agli intervenienti, la comunicazione 
della data di trattazione della causa, in udienza o in camera 
di consiglio, e conseguentemente la facolt� di presentare memoria illustrati.
va anche in questo secondo caso) non possono invalidare, anche 
per la loro natura, la chiara distinzione che ila legge n. 87 ha posto 
tra parti ed intervenienti. 

La quale -ed � questo il secondo fondamentale elemento di giudizio 
-� conseguente e coerente alla natura <incidentale del giudizio costituzionale. 
Costituendo iii giudizio di legittimit� un incidente del giudizio 
di merito, � a questo, necessariamente, che bisogna far capo per stabilire 


PARIE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

quali siano le parti �in causa�, cio�, secondo la definizione della dottrina 
prooessualistica, quelle che propongono la domanda o :in nome delle 
quali la domanda � proposta e quelle contro le quali. � diretta la domanda 
medesima. 

La Corte non ignora le controversie e discussioni della dottrina intorno 
al difficile problema dell'inquadramento dommatico dell'intervento del Presidente 
del Consiglio nel giudizio costituzionale e delle critiche che all'istituto 
cos� come organizzato vengono mosse per le sue anomalie. 

Ma anche in dottrina � prevalente l'opinione che esclude ila qualit� di 
parte nel Presidente del Consiglio che interviene innan2'Ji la Corte, proprio 
perch�, come � stato osservato, le �parti� in senso tecnico-giuridico sono 
soltanto quelle stesse che erano parti nel processo da cui hl questione 
proviene. Conclusione coincidente con quella che la Corte trae dalla natura 
incidentale del giudizio di costituzionalit� e dal testo della legge n. 87 
del 1953. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONA:LE, 18 1uglio 1983, n. 215 � Pres. Elia -Rel. Conso. 
Tzonis ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. 
gen. Stato Carafa). 

Procedimento penale � Dogana � Reati punibili con pena pecuniaria � lm� 

putati stranieri � Carcerazione preventiva � Illegittimit� costituzionale � 

Estensione nell'ambito dei monopoli. 

(Cost., art. 3; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43; art. 332; 1. 17 luglio 1942, n. 907, art. 108). 

Contrastano con l'art. 3 Cost. e sono pertanto costituzionalmente illegittimi: 


a) l'art. 332, primo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (testo 
unico delle disposizioni legislative in materia doganale) e l'art. 108, primo 
comma, della legge 17 luglio 1942, n. 907 (legge sul monopolio dei sali e dei 
tabacchi), relativamente alle parole � ovvero quando si tratta di straniero 
che non d� idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle multe o 
delle ammende �,� 

b) l'art. 332, secondo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, e 
l'art. 108, secondo comma, della legge 17 luglio 1942, n. 907, relativamente 
alle parole � o, trattandosi di straniero, fino a che questi non ha prestato 
la cauzione o la malleveria �. 

(omissis) L'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 {testo unico delle 
disposizioni legislative in materia doganale), riproduce, alla lettera, ,l'art. 139 
della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (legge doganale), gi� oggetto di due 
interventi da parte di questa Corte, sfociati entrambi in pronunce di 
rigetto. Ed invero, dapprima, � stata dichiarata non fondata, con la 
sentenza n. 26 del 1964, una questione di legittimdt� dell'art. 139, secondo 
comma, ultimo periodo (�Tuttavia, la detenzione del colpevole non pu� 


610 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

superare il massimo della pena stabilita dalla ilegge per il reato di cui � 
imputato, od i tre mesi quando contro di lui si procede per contravvenzione
�), in riferimento all'art. 13, quinto comma, Cost., e, poi, con la sentenza 
n. 120 del 1967, una questione di legittimit� dell'art. 139, m riferimento 
,agli artt. 3 (coHegato, nella parte motiva, con l'art. 2), 10, secondo 
comma, e 27 Cost., cos� �da escludere�, fra l'altro, l'esistenza di �una 
illegittima discriminazione per lo straniero� rispetto al cittadino. (omissis) 

Gi� in due occasioni questa Corte era pervenuta a dichiarare megittime, 
per contrasto con l'art. 3 Cost., norme che iimponevano la carcerazione 
preventiva per reati punibili con sola pena pecuniaria: nel 
primo caso (sentenza n. 39 del 1970) la questione verteva sull'arresto 
obbligatorio in flagranza nei confronti del contravventore al divieto di 
comparire mascherato in luogo pubblico o aperto al pubblico, cio� di un 
contravventore che, � tutt'al pi�, sair� passibile deHa pena dell'ammenda � 
(artt. 85 e 220 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773); nel secondo caso (sentenza 

n. 42 del 1973) era mdiscussione l'emissione del mandato di cattura obbligatoriamente 
prevista anche per le ipotesi nelle quali il fatto di vendere 
o mettere in vendita merci a prezzi superiori, in quanto addebitato come 
�di lieve entit��, pu� essere �punito solo con fa multa� (artt. 14, terzo 
comma, e 15, secondo comma, del d.lgs. C.p.S. 15 settembre 1947, n. 896). 
Per la prima sentenza, la specifica ipotesi di carcerazione preventiva 
non trovava giustificazione di fronte all'art. 3 Cost. (l� invocato a causa 
della diversit� di trattamento riscontrabile rispetto a tutti gli altri reati 
punibili con pena detentiva ma non suscettibili di arresto in flagranza) 
� n� con fa gravH� del reato, che, an2li, la legge stessa considera di cos� 
scarsa entit� da comportare, come si � detto, la sanzione contravvenzionale 
dell'ammenda; n� con ragionevoli motivi di prevenzione, ch� la mascheratura 
� lungi dal denotare, di per s�, una qualsiasi pericolosit� del soggetto 
attivo�: due argomentazioni, queste, che non si possono ripetere tali e 
quali in ordine ai delitti per le cui ipotesi non aggravate il d.P.R. 23 gennaio 
1973, n. 43, commina la sola pena della multa (le contravvenzioni 
punibili con la sola pena dell'ammenda sono ora depenalizzate, non esistendo 
.ipotesi aggravate punibili con l'arresto). A sua volta, per la seconda 
sentenza, l'irrazionalit� ex art. 3 Cost. era da <l'avvisare nell'essere l'autorit� 
giudiziaria � obbligatoriamente tenuta a disporre la cattura anche per 
un fatto nel quale essa stessa, nella sua preliminare delibazione, ravvisi 
gli estremi della tenuit��: una considerazione, pure questa, che non trova 
pieno riscontro nel settore regolamentato dal d.P .R. n. 43 del 1973. D'altra 
parte, per quanto riguarda l'art. 332 di tale decreto, che prescrive l'arresto 
quando non sia data cauzione o malileveria � per il pagamento delle multe 

o delle ammende �, essendovi in allora posto per la conversione deMa pena 
pecuniaria insoluta in pena detentiva, non mancava la possibilit� che 
la pena detentiva, pur non comminabile all'atto delJa condanna, subentrasse 
a11a pena pecuniaria in sede di esecuzione. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Come osserva l'ordinanza della Corte di cassazione, adesso che, a 

seguito della sentenza n. 131 del 1979, J.a pena detentiva non pu� pi� 

subentrare alla pena pecuniaria insoluta, la previsione di una carcera


2lione preventiva cos� finalizzata, a carico di un imputato nei cui con


fronti la pena detentiva non potr� pi� trovare esecuzione in alcun modo 

ed in alcuna forma, si appaJesa �contraria ad ogni criterio di ragionevo


lezza �,qualunque sia l'entit� de1la pena pecuniaria irrogabile. 

A tutto concedere sullfl natura giuridica di questa speciale figura di 
carcerazione preventiva (arresto obbligatorio e divieto di liberazione se 
non viene prestata idonea cauzione o malleveria per ii pagamento della 
pena pecuniaria; liberazione dovuta e, pertanto, non libert� provvisoria, 
ma scarcerazione .immediata se viene prestata idonea oauzione o malleveria), 
e, quindi, anche ad ammettere che si sia in presenza non di 
un'anticipata espiazione della pena (in tal caso, si arriverebbe all'assurdit� 
di far scontare sotto forma di carcera2'Jione preventiva un'eventuale 
sanzione non espiabile sotto specie di pena detentiva), bens� di una misura 
cautelare sussidiaria e mediata rispetto alla misura cautelare ;principale 
e diretta (cio�, la cauzione o malleveria) preordinata soltanto ad assicurare 
il pagamento della pena pecuniaria, un dato rimane innegabile: 
l'arresto obbligatorio e il divieto di scarcerazione si risolvono in un 
mezzo di pressione esercitato sulla persona fisica delil'imputato all'unico 
fine di costringerlo all'esborso anticipato di una somma che, in caso di 

.condanna a pena pecuniaria, non potrebbe mai essere ottenuta dallo Stato 

utilizzando nella fase dell'esecuzione analoghi strumenti di coercizione 

fisica. 

Questo insieme di valutazioni -che, facendo .leva su un riverbero 
dellla sentenza n. 131 del 1979, portano a concludere nel senso di una 
palese irrazionalit� delle pr�scrizioni in esame, anche tenuto conto di 
ciuelle che sono le normali finalit� della carcerazione preventiva: un'irrazionalit� 
tanto pi� gi:iave e tanto meno tollerabile in quanto a risentirne 
� un fondamentale vail.ore quale la libert� pel'ISonale -coinvolge, anzi. 
tutto, le rLpotes.i (normalmente, ma non esclusivamente, prese in considerazione 
dalle ordinanze di rimessione) nelle quali l'applicazione del


1

l'art. 332 del d.P.R. n. 43 del 1973 concerne reati punibili esclusivamente 
con pena pecuniaria. Ma ci� non toglie che ne rimangano coinvolte anche 
le ipotesi in cui il prolungarsi dell'arresto dello straniero abbia attinenza 
a reati punibili congiuntamente con pena detentiva e con pena pecuniaria 
{o -anche se questa eventualit� non trova riscontro nelle previsioni 
del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 -con pena detentiva alternativamente 
a .pena pecuniaria): ovviamente, e semprech� rispetto alla pena 
detentiva la carcerazione preventiva trovi titolo nelle ordinarie previsioni 
delle foggi processuali penali, l'irrazionalit� dell'arresto verr� a delinearsi 
quando il periodo di carcerazione gi� sofferto assorba i rapporti con la 
pena detentiva, cos� che il suo proseguire trovi titolo soltanto nella man



612 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cata prestazione della cauzione o della malleveria preordinata a garantire 
il pagamento della pena pecuniaria. 

L'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, in. 43, va, dunque, dichiarato 
illegittimo relativamente sia alle parole del primo comma: � ovvero quando 
si trotta di straniero che non d� idonea cauzione o malleveria per il pagamento 
delle multe e deMe ammende �, sia alle parole del secondo comma: 
� o, trattandosi di straniero, fino a che questi non ha pagato la 
cauzione o la ma!lleveria �, (omissis) 

In applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, � pure 
da dichiaraire iUegittimo negli stessi termini il gi� menzionato art. 108 
della legge 17 luglio 1942, n. 907, che, con riguardo atlle violazioni penalmente 
sanzionate del monopolio dei sali e dei tabacchi, configura per 
lo straniero casi di arresto con prescrizioni pressoch� identiche; pertanto, 
anche questa declaratoria conseguenziaile di illegittimit� investe le 
corrispondenti parole dei prjmi due commi di detto articolo. 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 21 luglio 1983, n. 225 � Pres. FMa -Rel. Reale � 
Regione Lombartlia (avv. Pototschnig) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Chiarotti). 

Regioni � Inquinamento � Conferimento di funzioni alle regioni a statuto 
ordinario � Legittbnit� costituzionale. 
(Cost., art. 117; I. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, artt. 14 e 15). 

Premesso che prima della legge Merli 10 maggio 1976, n. 319 non esisteva 
nella legislazione statale una organica discipl.ina relativa agli inquinamenti, 
non pu� ritenersi costituzionalmente illegittima una interpretazione 
estensiva dell'art. 117 Cost. con riconoscimento di un ambito di competenza 
delle regioni in materia di disciplina degli scarichi e di tutela 
delle acque dall'inquinamento (come successivamente confermato dall'art. 
101 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616). 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 21luglio1983, n. 226 � Pres. Elia -Rel. Paladin. 
Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). 

Reato � Successione di leggi penali nel tempo � Graduale regolarizza


zione di situazioni esistenti � Autonoma legge di delegazione di amni� 

stia � Non necessit�. 

(Cost., artt. 3, 9 e 79; I. 10 maggio 1976, n. 319, artt. 15, 25 e 26). 

Nel quadro della introduzione di una normativa penale pi� severa, 
il legislatore ordinario pu� -senza necessit� di autonoma legge di dele



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

gazione di amnistia -prevedere la estinzione d�i reati anteriormente commessi 
al verificarsi di condizioni puntualmente stabilite per la regolarizzazione 
delle situazioni di fatto esistenti. 

III 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983, n. 248 � Pres. Elia � Rel. BucciareMi 
Ducci -Tummirna ed a:ltri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Chiarotti). 

Procedimento penale � Diritto di dHesa � Prelevamento ed analisi di 

campioni � Deteriorabilit� del campione � Avviso all'inquisito � Ne


cessit�. 

(Cost., art. 24; 1. 10 maggio 1976, n. 319, art, 15). 

Contrasta con l'art. 24 Cost. l'art. 15 comma settimo legge 10 maggio 
1976 n. 319 (norme per la tutela delle acque dall'inquinamento) come 
sostituito dall'art. 18 legge 24 dicembre 1979 n. 650, nella parte lin cui non 
prevede che il Laboratorio Provinciale di igiene e profilassi dia avviso al 
titolare dello scarico affinch� possa presenziare, eventualmente con l'assistenza 
di un consulente tecnico, all'esecuzione delle analisi. 

IV 

CORTE COSTITUZIONALE, 18 ottobre 1983, n. 314 -Pres. Elia -Rel. PaJaclin 
-P,residente Consiglio dei Ministri. 

Corte costituzionale � Principio di eguaglianza � Limiti della giurisdizione 
costituzionale. 
(Cost., art. 3; I. 10 maggio 1976, n. 319, artt. 9, 12, 13, 15, 21, 22 e 25). 

La Corte costituzionale non � abilitata, in nome dell'eguaglianza, ad 
esercitare scelte di esclusiva spettanza del legislatore, ma pu� solo ridurre 
le deroghe ingiustificate e le arbitrarie eccezioni alle regole (generali) gi� 
stabilite dalla legge ovvero ai principi generali univocamente desumibili 
dall'ordinamento. 

I 

(omissis) La questione non � fonidata. 

Essa � stata sollevata sul rilievo che � la disciplina de~i scarichi 
industriali non sembra rientrare in alcuna delle ma:terie indicate nell'art. 
117 Cost. �, mentre poi �lo Stato, nel trasferire alle Regioni con i 
decreti delegati del 1972 le funzioni amministrative nelle materie attri



614 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ.O STATO 

buite alle Regioni stesse dal menzionato art. 117 Cost., ha mantenut� a 
se stesso la competenza in omine all'igiene del suolo e dell'ambiente, 
all'inquinamento atmosferico e cWlle acque ed agli aspetti igienico-sanitari 
delle industrie insalubri, come espressamente stabilito dall'art. 6, n. 7, 
del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4 �. 

La Corte �ritiene che la delicata questione della competenza regionale 
nella materia di cui trattasi non possa essere affrontata se non partendo 
dalla considerazione che fino alla legge cosiddetta Merli n. 319 del 1976 
non esisteva nella legislazione dello Stato alcuna organica disciplina relativa 
agli iinquinamenti. Il problema, divenuto assai grave con Io sviluppo 
industriale e con quello urbanistico, era solo frammentariamente toccato 
da molteplici disposizioni sia delle leggi sanitarie, sia di quelle sulla pesca 
e sulle acque pubbliche, sia del codice penale, con ampi margini di 
incompletezza, di discrezionalit� e di incertezza sulla loro concreta appli� 

I 

cabilit�, tanto da rendere assai difficili e controversi i primi mtervent!i. 
dell'autorit� giudiziaria di fronte all'incontrollato espandersi del fenomeno 
dell'inquinamento, ulteriormente favorito proprio dalla deficienza e scarsa 
decifu-abilit� della regolamentazione. 

Che in questa specie di vuoto �legislativo le regioni, nella specie la 
regione Lombardia con la legge n. 48 del 1974, siano state pressoch� costrette 
ad inserirsi con una interpretazione estensiva e globale . ma non 
arbitraria della competenza loro accordata dafil'art. 117 della Costituzione 
in materia di urbanistica, di caccia e pesca nelle acque interne (cio� in 
materia direttamente o indirettamente collegata con quella della protezione 
dagli inquinamenti), � fatto che non pu� considerarsi travalicante 
i limiti della competenza regionale. 

D'altra parte, come � rilevato in dottrina, da una considerazione uni� 
taria del contenuto dell'art. 117 della Costituzione si desume l'attribuzione 
alle regioni, come uno dei campi preforenziali, della competenza relativa 
all'assetto del territorio, del quale le acque costituiscono elemento essenziale, 
sicch� la �strumentazione della loro difesa dagli inquinamenti non 
pu� ritenersi sottratta, quanto meno nella totalit�, alla competenza regionale. 
Con la conseguenza che ove questa sia stata -come nella specie esercitata 
non in contrasto con la disciplina statale della materia, ma 
in via per cos� �dire suppletiva, finch� una disciplina statale non � intervenuta, 
non si � verificata violazione dell'art. 117 Cost. 

Vero � poi, come osservano i giudici a quibus, che il decreto n. 4 
del 1972 mantiene � ferme le attuali competenze degli organi stata:li � in 
ordine fra l'altro (art. 6, n. 7) � all'igiene del suolo e dell'ambiente, all'in� 
quinamento atmosferico e delle acque ed agli aspetti igienico-sanitari 
delle industrie insalubri �. Ma, come osserva la difesa della regione Lombardia, 
la riserva (� restano ferme le attuali competenze � dice il citato 
art. 1 del decreto n. 4) non poteva riferirsi se non a\lle competenze in 
quel tempo esercitate dallo Stato. E come si � gi� osservato, previsioni ,, 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

e prescnzioni specifiche in ordine alla regolamentazione degli scarichi, 

ai tassi di inquinamento tollerabili, ai modi e tempi per accordare le 

situazioni irregolari pregresse con le nuove esigenze ecc. non erano state 

emanate dallo Stato e non lo furono fino alla degge n. 319 del 1976 con


cernente la �tutela delle acque dall.'inquinamento �, nella quale (titolo IV) 

� contenuta la �regolamentazione degli scarichi�, precisandosi (art. 9) 

che �in tutto il territorio na.Ziomrle viene stab:filita (dunque prima non esi


steva) Un'unica �disciplina degli scarichi, basata sulla prescrizione per gli 

stessi dei limiti di accettabilit� previsti neHe tabelle A, B e C allegate 

alla presente legge �. 

D'altra parte l'art. 25 della legge n. 319 stabilisce l'obbligo di � osser


v.~ le prescrizioni stabilite dalle regioni o dagli enti locali in quanto 

compatibiili con le �disposizioni qualitative e temporanee della presente 

le~ge �. E dunque, quanto meno contro l'essit�nza di una riserva assoluta 

di competenza allo Stato che si vorrebbe operata dall'art. 6, n. 7, del de


creto n. 4 del 1972, �l'argomento desunto dal citato art. 25 della legge 

n. 319 pu� considerarsi decisivo. 
La verit� � che si era fatalmente verificato U111 intreccio di compe


tenze statali, praticamente non esercitate, e di competenze regionali rico


nosciuto drula stessa legge n. 319 come transitoriamente non illegittimo; 

e ,che la situazione non � stata definitivamente chiarita se non con il 

capo VIII del titolo V del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che all'art. 101 

determina le funzioni spettanti in materia alle regioni, fra le quali � la 

disciplina degli scarichi .e la programmazione degli interventi di conser


vazione e depurazione delle acque e di smaltimento dei rifiuti liquidi 

e idrosolubili �. 

Da tale normativa non pu� trarsi argomento circa la preesistenza 

del conferimento della competenza alle regioni in tale materia; � per� 

indubbio che l'espresso riconoscimento, ivi contenuto, delle attribuzioni 

suddette, da parte del legislatore statale, �dimostra nella ratio legis l'inesi


stenza di contrasto fira l'art. 117 della Costituzione e la gi� esercitata 

potest� -legislativa regionale. 

Si deve dU111que concludere per l'infondatezza della questione, la cui 

incidenza � ormai confinata entro strettissimi limiti temporali. 

E ad eguale conclusione deve a maggior ragione pervenirsi anche per 

la questione di legittimit� costituzionale estesa nei .confronti dell'art. 15, 

terzo comma, della legge n. 48 della regione LombaJ:idia, che tratta degli 

scarichi di insediamenti produttivi in pubbliche fognature. A dimostrarne 

la infondatezza stanno in proposito non� solo Je ragioni sopra esposte trat


tando dell'art. 14, comma primo, ma la considerazione aggiuntiva che pu� 

trarsi dall'art. 2, lett. e, n. 3, del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 il quale 

. stabilisce 
il trasferimento aille regioni dei lavori pubblici concernenti le 
opere igieniche di interesse locale fra cui le fognature. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DI::LLO STATO 

II 

Con ordinanza emessa il 9 marzo 1977, la sesta sezione penale della 
Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimit� costituzionale degli 
artt. 15, secondo, ottavo e nono comma, 21, 25, ultimo comma, 26, primo 
comma, deMa legge 10 maggio 1976, n. 319 (�Norme per la tutela delle 
acque dall'inquinamento�), per pretesa violazione degli artt. 2, 3, 9 e 32 
della Costituzione. 

Nella specie, H ricorrente era stato imputato di contravvenzione agli 
artt. 6 e 33 del testo unico deHe leggi sulla pesca, per aver scaricato :in 
un torrente rifiuti industriali inquinanti. Condannato in primo grado e poi 
assolto in appello per insufficienza di prove, egli deduceva nel ricorso per 
cassazione che il reato ascrittogli doveva considerarsi abrogato per effetto 
degli artt. 25 e 26 della legge n. 319 del 1976 e non pi� applicabile a coloro 
che avessero osservato le prescrizioni deLl'art. 15 della legge stessa, presentando 
domanda di rinnovo dell'autorizzazione a scaricare (senza che 
questa venisse respinta nel termine di sei mesi dalla presentazione). Ma, 
precisamente in tal senso, l'ordinanza di rimessione rileva che �le norme 
tutte invocate dal ricorrente come cause estintive del reato a lui ascritto 

o come cause di giustificazione della sua condotta non si sottraggono al 
sospetto di legittimit� costituzionale �. 
Premesso che la disciplina in esame non determinerebbe un'abolitio 
criminis ma una sorta di amnistia o di condono, senza per altro seguire 
il procedimento prescritto dall'art. 79 Cost., la Cassazione osserva che �il 
sistema dei precetti e delle sanzioni introdotti dalla ~egge n. 319 in sostituzione 
delle norme abrogate non appare uniformato al dichiarato fine 
di tutela delle acque dall'inquinamento � e alle norme costituzionali rilevanti 
in materia. In primo luogo, cio�, ne deriverebbe una � diversit� di 
trattamento di casi sostanzialmente identici �, poich� gli scarichi dei nuovi 
insediamenti produttivi dovrebbero .immediatamente uniformarsi ai limiti 
di accettabilit� di cui alla tabeHa A, mentre per gli scarichi esistenti 
si prescri.verebbe un primo adeguamento -entro t�l"e anni -alla tabella C 
ed un uteriore adeguamento -entro sei anni -alla predetta tabella A 
(per di pi� disponendo che in quest'ultimo caso fa domanda di rinnovo 
si consideri tacitamente autorizzata, qualora l'autorizzazione provvisoria 
non venga rifiutata entro sei mesi dalla presentazione della domanda 
medesim�). 

Inoltre, la questione risulterebbe non manifestamente infondata in 
vista dell'art. 2 (in quanto esso esige che � la generalit� delle persone 
fisiche o giuridiche adempia ai doveri di solidariet��, dell'art. 9 (relativamente 
alla tutela del paesaggio, � da intendersi non tanto e non solo come 
panorama ma altres� e soprattutto come habitat�) e dell'art. 32 Cost. 
(che garantisce la salute �come fondamentale diritto dell'individuo e preminente 
interesse della collettivit��). 


PARTE I, SE:l;. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Identica questione � stata riproposta dalla seconda, dalla terza e dalla 
sesta sezione penale della Cassazione, con altre quattro ordinanze, emesse 
nel corso di una serie di procedimenti penali per violazione degli artt. 6 
e 33 del testo unico delle leggi sulla pesca, 9 del testo stesso come modificato 
dall'art. 43 del d.P.R. n. 987 del 1955, 635 e 650 cod. pen. La motivazione 
di tali provvedimenti ricalca la linea argomentativa test� ricordata, 
salvo il richiamo all'art. 79� Cost., che si ritrova nella sola ordinanza 
del 6 giugno 1977. Viene per altro chiarita la ragione della denuncia dell'art. 
21 della Jegge n. 319, che sarebbe viziato poich� �.prevede sanzioni 
soltanto per coloro che aprano o comunque effettuino nuovi scarichi senza 
aver richiesto la preventiva autorizzazione e per coloro che, dopo che 
sia stata loro negata o revocata l'autorizzazione, continuino ad effettuare 

o mantenere gli scarichi, mentre nessuna sanzione � prevista per coloro 
che, come nel caso in esame, mai richiesero l'autorizzazione �. (omissis) 

Nel merito, la questione non � fondata. 

Anzitutto, non regge la premessa, esplicita od implicita, su cui le 
ordinanze in esame fondano le loro impugnative: ossia che la legge n. 319 
avrebbe previsto una sorta di immunit� per gli autori dei pregressi reati 
di inquinamento delle acque: o avrebbe addirittura realizzato una vera e 
propria amnistia, in forme diverse da quelle prescritte nell'art. 79 Cost. 
Vero � piuttosto -a quanto finisce per ammettere la stessa Cassazione che 
la causa di non punibilit�, di cui all'ultimo comma dell'art. 25, non 
opera se non concorrono tre ordini di condizioni, puntualmente fissate dal 
legislatore per saldare il vecchio al nuovo regime della tutela delle acque 
dagli inquinamenti, nello sforzo di impedire che medio tempore gli scarichi 
esistenti aggravassero i danni gi� in atto. Occorre, cio�, che risulti 
presentata la domanda di autorizzazione allo scarico (o di rinnovo dell'autorizzazione 
stessa), precisando le � caratteristiche qualitative e quantitative 
dello scarico terminale in atto >>, nonch� l'� indicazione della quantit� 
di acqua da prelevare nell'anno solare� (come prescrive il terzo 
comma dell'art. 15); che siano osservate, in quanto compatibili con la 
legge n. 319, �le prescrizioni stabilite dalle regioni o dagli enti locali�; 
e, soprattutto, che un fattivo comportamento del titolare dello scarico, 
consistente nell'adozione delle misure a ci� necessarie, valga ad evitare 
�un aumento anche temporaneo dell'inquinamento� (cfr. il primo comma 
dell'art. 25). 

S'intende che il momento amministrativo � stato cos� privilegiato come 
si � detto in dottrina -rispetto al momento repressivo, affidato ai 
giudici penali. Ma questa scelta �legislativa non pu� ritenersi priva di 
giustificazione. Nel sindacato sulla legittimit� costituzionale del combinato 
disposto degli artt. 25, ultimo comma, e 26, primo comma, non devono 
infatti trascurarsi la considerazione del sistema normativo in cui 
tali disposti si inseriscono e la valutazione complessiva delle finalit� che 
la legge n. 319 ha perseguito e tuttora persegue (malgrado i gravi ritardi 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

verificatisi in sede attuativa). Per affrontare d.n modo organico il fenomeno 
degli inquinamenti delle acque, questa legge fa :perno sulla programmazione 
degli indispensabili interventi pubblici, sia da parte statale sia 
da parte il:'egionale (cfr. gli artt. 1 l:ett. d), 2 lett. e), 4 lett. a) e Jett. e), 
ed 8); ed a ci� si collega la previsione di una sistematica raccolta di 
dati, con particolare riguardo al catasto provinciale di tutti gli scarichi 
ed al censimento regionale dei corpi idrici (cfr. gli artt. 1 lett. e), 2 fott. 
b), 4 lett. d), 5 lett. a) e 7). 

In un tale quadro, si rendeva dunque necessaria la collaborazione 
fra i titolari degli scrurichi e le autorit� amministrative o di governo del 
settore: collaborazione che � stata per l'appunto incentivata dall'ultimo 
comma dell'art. 25, temperando il rigore delle norme penali preesistenti 
e cos� facilitando la presentazione delle domande di cui all'art. 15 e la 
conseguente rilevazione degli scarichi stessi. (omissis) 

A questa stiregua, per�, non si tiene conto della novit� rappresentata 
dalla legge n. 319, rispetto alla frammentaria e lacunosissima legislazione 
preesistente. Imporre agli insediamenti produttivi gi� in essere, sebbene 
realizzati durante la vigenza di norme ben diversamente orientate, l'immediata 
osservanza delle tabelle A e C, avrebbe infatti significato -nella 
pi� parte dei casi -prevedere alcunch� di materialmente iimpossibile, 
determinando la� totale interruzione o il �drastico ridimensionamento delle 
pi� varie attivit� industriali. Viceversa, la prevista gradualit� dell'adeguamento 
ha inteso contemperare gli antitetici valori ed interessi in gioco, 
sulla base d'�una discrezionale ma non irragionevole valutazione delle 
esigenze dell'economia del Paese, dei tempi tecnici occorrenti per conformare 
gli scarichi {ed eventualmente gli stessi procedimenti produttivi), 
dei notevoli costi da sopportare comunque in tal senso. Ed anzi va 
ricordato che nemmeno la legge n. 319 ha saputo far fronte in maniera efficace 
ai problemi finanziari, 'Collegati alla tutela delle acque dagli inquinamenti: 
tanto � vero che le generiche previsioni degli artt. ,19 e 20 hanno 
dovuto �e.ssere variamente integrate da una serie di successive norme di 
leggi, statali e regionali. (omissis). 

III 

(omissis) Con la prima ordinanza di rimessione il Pretore di Milano 
ha sollevato questione di legittimit� costituzionale -in !relazione all'art. 
24 secondo comma della Costituzione -degli artt. 6 primo comma (lett. 
a) 9 terzo comma e 15 sesto e settimo comma della legge 10 maggio 1976, 

n. 319 (tutela delle acque dall'inquinamento) e successive modifiche perch� 
dette norme non prevedono che i prelievi di campioni di acque effettuati 
dagli organi amministrativi di controllo e la conseguente analisi 
di essi, operate dal 1aboratorio provinciale di igiene e profilassi, avvengano 
con le garanzie difensive previste dal codice di procedura penale 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

per gli accertamenti iperitali; e, non essendo prevista un'idonea procedura 
di revisione delle analisi, la normativa denunciata consentirebbe di porre 
a base di una condanna penale i risultati di una procedura amministrativa 
ana quale ['interessato non � stato posto in grado di intervenire. 

(omissis) 

La questione di legittimit� costituzionale deve essere circoscritta 
all'art. 15, comma settimo, legge 10 maggio 1976, n. 319, dato che le altre 
norme della stessa legge, impugnate con~untamente, non concernono 
le fasi specifiche� di prelevamento e di analisi dei campioni delle acque 
di scarico, ma riguardano, in generale, le fasi anteriori di controllo, individuando 
le autorit� competenti ad effettuare tale controllo, precisan-. 
done i poteri, e dettando i criteni per Ia misurazione ed i limiti di accettabilit� 
degli scar.ichi. 

La questione � fondata. 

Questa Corte ha gi� precisato che il diritto di difesa sarebbe violato 
qualora la nozione di � procedimento >>, nel quale il secondo comma dell'art. 
24 Cost. garantisce la difesa come diritto .inviolabile, venisse intesa 
in senso restrittivo escludendo le attivit� �preordinate a una pronuncia 
penale che si traducono in processi verbaU di cui � consentita la lettura in 
dibattimento ,, poste in essere al di fuori del normale intervento del ma� 
gistrato (sent. 86/1968). 

In base a tale orientamento la Corte ha compreso nel concetto di 
�procedimento�, nel quale si deve realizzare il diritto di difesa, gli atti 
di polizia giudiziaria di cui all'art. 225 cod. proc. pen. (sent. n. 86/1968) 
e la fase di reviS1ione delle analisi previste dall'art. 44 r.d.L 15 ottobre 1925, 

n. 2033 in materia di repressione delle frodi nella preparazione e nel com� 
mercio di sostanze di uso agrario (sent. n. 149/1969). 
Situazioni paragonabili a queHe oggetto dei giudizi di legittimit� costituzionale 
definiti con <le sopra citate sentenze si ,riscontrano per quanto 
ora si dir� nella fattispecie ora all'esame della Corte. 

L'art. 15 comma settimo legge 10 maggio 1976, n. 319 si limita ad at� 
tribuire ai Laboratori Provinciali di ~giene e profilassi le funzioni di controllo 
sugli scarichi e non prevede che lo stesso ufficio debba dare avviiso 
al titolare dello scarico del giorno in cui verranno effettuate le ana� 
lisi sicch� 1"interessato possa essere presente con la eventuale assistenza 
di un consulente tecnico. 

Se � logico che l'Autorit� Amministrativa, cui compete il ,diritto di 
effettuare i campionamenti delle acque (art. 9 terzo comma), non abbia 
l'obbligo di preavvisare il titolare dello scarico circa il momento in cui 
verranno effettuate le operazioni di prelievo per evitare che possano essere 
apportate modifiche agli scarichi e di conseguenza fatte sparire le 
tracce di ogni irregolarit�, non altrettanto pu� dirsi per quanto riguarda 
il momento delle analisi delle acque campionate. Infatti queste. d~bbono 
essere esaminate con la massima tempestivit� stante Ia loro deteriora� 


620 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STAlU 

bilit� e pertanto le analisi non sarebbero utilmente ripetibili nel corso 
del successivo procedimento penale. 
Assumono quindi particolare efficacia probatoria le analisi compiute 
dal Laboratorio Provinciale di igiene e profilassi con un procedimento 

che � un vero e proprio accertamento assimilabile, nella sostanza, ad una 
perizia, fonte, quindi, di convincimento del giudice; tanto pi� che le relazioni 
sulle analisi sono allegate agli atti del procedimento penale e di 
esse lo stesso giudice pu� tener conto ,e darne lettura a norma dello 
stesso art. 466 cod. proc. pen. 

Proprio questa particolare efficacia probatoria del risultato delle analisi 
impone che sia dato avviso alla parte onde consentirne fa presenza 
con l'eventuale assistenza di un consulente tecnico. (omissis) 

IV 

(omissis) Il nucleo del problema concerne le pretese disparit� di trattamento 
e gli arbitri in cui sarebbe incorso il Parlamento, nel distinguere 
fra � insediamento o complesso produttivo � ed � insediamento civile �, ai 
sensi e per gli effetti della legge 10 maggio 1976, n. 319. Pi� precisamente, 
ci� che tutti i giudici a quibus contestano � che -in virt� dell'art. 1 
quater della legge n. 690 del 1976 -alcune specie di insediamenti, adibite 
a � prestazione di servizi � o ricadenti fra le � imprese agricole �, siano 
state considerate alla stregua degli insediamenti civili anzich� degli insediamenti 
produttivi, sebbene diano luogo a scarichi non assimilabili a 
quelli abitativi. (omissis) 

Cos� circoscritta, la questione dev'essere per� dichiarata inammissibile, 
poich� -in definitiva -essa non attiene alla legittimit� costituzionale, 
bens� al merito delle scelte operate in materia dal legislatore. 

(omissis). 

Nemmeno il richiamo all'a�rt. 3 della Costituzione vale a mantenere 
questioni . siffatte nei limiti del sindacato sulla legittimit� costituzionale 
delle leggi. In nome dell'eguaglianza, questa Corte non � infatti abilitata 
a esercitare scelte di esclusiva spettanza del legislatore, ma pu� solo ricondurre 
le deroghe ingiustificate e le arbitrarie eccezioni alle regole 
gi� stabilite dalla legge ovvero ai pdncipi generali univocamente desumibili 
dall'ordinamento. Per contro, gli stessi giudici a quibus affermano 
che l'art. 1 quater, anzich� dettare regole o ispirarsi a principi generali, 

-~ 

ha dato corpo ad una serie di scelte politiche, concernenti i pi� diversi 
complessi di situazioni: dalle case di abitazione e dagli alberghi agli insediamenti 
turistici, alle installazioni sportive o ricreative, alle scuole, 
agli ospedali, agli immobili destinati a servizi ed alle imprese agricole, 
fino agli insediamenti produttivi equiparati a quelli civili in virt� dell'ultima 
parte dell'art. 1, primo comma, lett. b).La specifica sorte di questi 
od altri tipi o sottotipi, non considerata dalla [egge n. 319 e poi discipli



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

nata nelle sole grandi linee dalla legge n. 690 del 1976, potr� essere certo 
mutata o meglio precisata, ma �sulla base di opzioni e di valutazioni tecnico-
politiche, eccedenti la competenza della Corte. E ne danno conferma 
le vicende delle imprese agricole, che hanno gi� costituito l'oggetto di 
tutta una serie di aggiustamenti, non solo legislativi ma anche effettuati 
in forma amministrativa: dai primi chiarimenti del Ministro dei lavori 
pubblici, precedenti lo stesso art. 1 quater, e dalle deliberazioni ripetutamente 
adottate in tal campo dall'apposito Comitato interministeriale, 
fino al ricordato art. 17 della legge 24 dicembre 1979, n. 650, ed alle conseguenti 
definizioni del Comitato medesimo, approvate rin data 8 maggio 
1980. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 luglio 1983, n. 237 -Pres. Elia -Rel. Bucciarelli 
Ducci -Regione Sicilia (avv. Villari), Regione Sardegna (avv. 
Guarino), Regione Friuli-Venezia Giulia (avv. Pacia) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

~gioni � Regioni a statuto speciale � Decreti legislativi di attuazione � 
:I!: competenza legislativa separata. 

Regioni � Coordinamento degli incentivi creditizi -I:: attribuzione dello 
Stato. 

I decreti legislativi di attuazione degli Statuti di regioni a statuto 
speciale, preceduti da proposte o pa1�eri di commissioni paritetiche, sono 
espressione di una competenza separata e riservata rispetto a quella esercitabile 
con leggi statali ordinarie; � pertanto costituzionalmente illegittimo 
l'art. 6, commi quinto, ottavo e nono, della legge 2 maggio '1976, n. 183, 
nella parte in cui prevede il trasferimento alle regioni Sicilia e Sardegna 
del personale periferico della Cassa per il Mezzogiorno con decreto del 
Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno. 

Il legislatore statale pu� dettare norme dirette a coordinare gli incentivi 
creditizi per l'espansione delle attivit� produttive e in particolare 
delle attivit� industriali e commerciali, senza con ci� invadere la sfera di 
autonomia legislativa primaria (anche quando esclusiva) delle regioni in 
dette materie; sono pertanto non fondate le questioni di legittimit� costituzionale 
degli artt. 3, 15 e 16, commi primo, secondo e terzo, della stessa 
legge n. 183 del 1976, nonch� degli artt. 9 e 28 d.P.R. 9 novembre 1976, 

n. 902 e 48 d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218. 
(omissis) Va presa innanzitutto in esame la prima questione sollevata 
dalle Regioni Sicilia e Sardegna: se contrasti o meno con gli artt. 
14, lett. p) e q) e 43 dello Statuto Siciliano nonch� con gli artt. 3, lett. a), 
6 e 56 dello Statuto Sardo e gli artt. 3 e 36 della Costituzione l'art. 6, 


622 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

commi quinto, ottavo e nono della legge 2 maggio 1976, il. 183, l� dove 
prevede che il personale periferico della Cassa per il Mezzogiorno venga 
trasferito alle regioni con decreto del Ministro per gli interventi straordinari 
nel Mezzogiorno, sentite le regioni interessate. Assumono le due 
regioni ricorrenti che tali disposizioni violano la loro sfera di competenza 
legislativa esclusiva, nella quale rientrano l'inquadramento, lo stato 
giuridico ed il trattamento economico del personale, mentre il trasferimento 
di quest'ultimo dallo Stato alle regioni deve avvenire mediante 
norme proposte da apposita commissione paritetica ed emanate con 
decreto legislativo. 

Dubitano inoltre le due regioni che le norme impugnate determinino 
irrazionali disparit� di trattamento all'interno dei ruoli del personale regionale 
e pongano a carico delle regioni un onere finanziario senza ristoro, 
incidendo cos� sulla loro autonomia finanziaria. (omissis) 

Nel merito la questione � fondata. 

Sia i'art. 43 dello Statuto sicil�ano che l'art. 56 dello Statuto sardo 
stabiliscono che il passaggio degli uffici e del pel'!sonale dallo Stato alla 
regione sar� disciplinato, da norme transitorie, proposte da una Commissione 
paritetica. 

Questa Corte ha gi� affermato, accogliendo l'avviso della dottrina dominante, 
che i decreti legislativi di attuazione statutaria, preceduti dalle 
proposte o �dai pareri delle ricordate commissioni paritetiche, siano 
espressione di una competenza separata e riservata rispetto a quella 
esercitabile con leggi statali ordinarie ai sensi dell'ottava disp. trans. 
Cost. Tale competenza � stata riconosciuta, alla luce della legislazione 
emanata anche di recente, non solo in occasione del primo passaggio di 
funzioni, uffici e� personale dallo Stato alle Regioni ricorrenti, ma anche 
successivamente ogni qual volta vi sia trasferimento di funzioni, uffici 
e personale da enti pubblici nazionali alle regioni stesse (sent. n. 180 
del 1980). 

Nella specie la procedura di trasferimento prevista dagli artt. 43 dello 
Statuto siciliano e 56 dello Statuto sardo non � stata osservata, non potendo 
ritenersi certo soddisfatti la lettera e lo spirito delle due norme 
con la semplice previa audizione delle regioni da parte del ministro. 

Va conseguentemente dichiarata l'illegittimit� costituzionale dei commi 
quinto, ottavo e nono dell'art. 6 della fogge n. 183/1976, risultando cos� 
superfluo l'esame degli ulteriori profili d'incostituzionalit� prospettati 
nei ricorsi. 

Altre tre questioni che la Corte � chiamata a decidere riguardano 
gli artt. 3, 15 e 16 della stessa legge n. 183 de'l 1976. 

Con Ia prima questione la Regione Friuli-Venezia Giulia si limita a 
denunciare l'art. 3 della legge senza alcuna specifica argomentazione e indicazione 
della norma parametro riportandosi alla motivazione svolta a 
proposito della impugnazione del 'successivo art. 15. 

r: 
� 

___..,_ 



PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Con la seconda questione. si chiede se contmsti o meno con l'art. 4, 

n. 6, dello Statuto Friuli-Venezia Giulia il predetto art. 15 che delega il 
Governo della Repubblica a coordinare gli incentivi creditizi nel settore 
industriale in vigore per altri territori con quelli previsti per le iniziative 
industriali nel Mezzogiorno; per il dubbio che tale disposizione violi la 
sfera di competenza legislativa primaria della regione in materia di industria 
e commercio. 
La terza questione riguarda invece il denunciato contrasto con gli artt. 
14 dello Statuto siciliano, 4 di quello del Friuli-Venezia Giulia e 3 dell0< 
Statuto sardo, dell'art. 16, primo, secondo e terzo comma, della legge 

n. 183 del 1976, che: a) impone aHe regioni di coordinare le loro leggi 
con i principi e le norme fondamentali in materia di incentivi alle attivit� 
industriali; b) vieta a tutte le regioni di disporre con proprie leggi agevolazioni 
di tipo diverso da quelle previste dalla legge n. 183, nonch� di 
superare i massimi delle agevolazioni statali; e) prevede l'abrogazione 
delle leggi regionali in contrasto con i principi fondamentali determinati 
con la legge impugnata; per il dubbio. che tali disposizioni violino la 
sfera di competenza normativa primaria garantita alle regioni ricorrenti. 
La soluzione delle questioni discende dalla risposta ad un quesito fondamentale: 
se il legislatore statale possa dettare norme dirette a coordinare 
gli incentivi creditizi per l'espansione delle attivit� produttive e in 
particolare delle attivit� industriali e commerciali, senza con ci� invadere 
la sfera di autonomia legislativa primaria delle regioni in dette 
materie. 

La risposta non pu� essere che positiva. In numerose pronunce questa 
Corte, chiamata a definire le rispettive sfere di competenza legislativa 
dello Stato e delle Regioni, ha affermato rl principio che, con riguardo 
alla incentivazione dello sviluppo economico, gli interessi particolari, 
di cui sono portatrici le singole Regioni, si devono condizionare e conciliare 
con il preminente interesse generale del Paese, del quale � portatore 
lo Stato. Cos� se ad esse sono state attribuite ampie competenze legislative 
nei diversi settori produttivi, allo scopo di far aderire gli strumenti 
di incentivazione alle esigenze concrete delle varie zone del territorio 
nazionale, al tempo stesso, al fine di evitare che l'esercizio di tali competenze 
nell'ambito regionale determini conflitti tra le esigenze delle 
varie Tegioni e tra queste e gli interessi generali del Paese, si rende necessario 
il coordinamento dei vari interventi regionali tra Joro e con l'intervento 
statale. 

E tale coordinamento non pu� essere esercitato da altri se non dallo 
Stato, in modo che siano Je sue scelte generali a limitare e condizionare 
la politica di incentivazione svolta dalle singole Regioni '(cfr. in particolare 
le sentenze nn. 4/1964 e 221/1975). 

E vale anche in tal senso la disposizione dell'art. 119, terzo comma, 
Cost. Sarebbe irrazionale, infatti, attribuire allo Stato la facolt� di asse



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

gnare contributi speciali alle Regioni per la valorizzazione del Mezzogiorno 
e delle Isole, se non si prevedessero nello stesso momento strumenti 
idonei a coordinare ed armonizzare tali contributi, con gli incentivi che 
possono concedere le singole Regioni, nella st�ssa area meridionale e insulare, 
e nel �rimanente territorio nazionale. 

Le questioni come sopra proposte dalle tre regioni ricorrenti sono, pertanto, 
infondate. 
Infondata � anche la questione sollevata dal Friuli-Venezia Giulia con 
il ricorso n. 3 del 1977, che denuncia l'art. 9 d.P.R. 9 novembre 1976, 

n. 902, per contrasto con l'art. 4, nn. 6 e 12, dello Statuto speciale della 
regione ricorrente. 
Si dubita, in particolare, che tale disposizione -la quale esclude le 
regioni dal procedimento per ottenere il credito agevolato nel settore industriale, 
limitandosi a richiedere un parere motivato -violi la competenza 
primaria della regione in materia industriale, commerciale ed urbanistica. 


Ma nessuna invasione della sfera di competenza primaria regionale 
si pu� ravvisare nell'esercizio da parte del Governo in sede di delega di 
quel potere di coordinamento conferitogli dall'art. 15 della legge n. 183 
del 1976, la cui costituzionalit� � stata pi� sopra affermata, e di cui la 
norma impugnata costituisce una logica estrinsecazione. 

Alla stessa conclusione si deve pervenire -alla stregua di quanto 
premesso -per le ulteriori questioni sollevate dal:la Regione Friuli-Venezia 
Giulia e dalla Regione Sicilia, in ordine all'art. 28 del medesimo 

d.P.R. 9 novembre 1976, n. 902. 
Le due Regioni impugnano il citato art. 28, secondo comma, in riferimento 
agli artt. 14 St. siciliano e 4 St. Friuli-Venezia Giulia, nella parte 
in cui consente il concorso delle agevolazioni creditizie da esso previste 
con quelle disposte da leggi regionali, a condizione che non siano superati 
i limiti stabiliti nel decreto stesso, per il dubbio che tale norma violi 
la sfera di competenza esclusiva delle regioni in materia di industria. 

La disposizione cos� impugnata, infatti, rappresenta legittima applicazione 
da parte del legislatore delegato di quella facolt� di coordinamento 
degli incentivi creditizi affermata dagli artt. 15 e 16 della legge di 
delega. Una volta assicurata la legittimit� costituzionale di tali norme 
fondamentali, ne discende logicamente Ia conformit� alla Costituzione e 
agli Statuti speciali della disposizione impugnata. 

La Regione Sicilia impugna inoltre lo stesso art. 28 anche 1n rifer�-
mento all'art. 76 della Costituzione, nella parte in cui non si limita ad unificare 
e riordinare la disciplina statale vigente in materia di credito agevolato 
per l'industria, ma estende la sfera della normativa ai contenuti 
dell'art. 16 della legge n. 183 del 1976; per il dubbio che tale disposizione 
ecceda i limiti della delega al Governo contenuta nell'art. 15 della legge 
citata. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

La censura � per� inammissibile -come rettamente osserva la difesa 
dello Stato� -in quanto con essa non viene denunciata una invasione 
della sfera di competenza :regionale, come richiesto per tale tipo 
di impugnativa dall'art. 32 della legge 11 marzo 1953, n. 8. 

Infondata � infine l'ultima questione sollevata dalla Regione siciliana, 
la quale denuncia l'art. 48 del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 (aggiornamento 
del testo unico 30 giugno 1967, n. 1523 sugli interventi nel Mezzogiorno), 
per contrasto con gli artt. 14 dello Statuto siciliano e 76 della 
Costituzione. La Regione lamenta che la norma impugnata imponga alla 
sua competenza legislativa esclusiva nel settore industriale gli stessi limiti 
imposti alle regioni a statuto ordinario e, anzich� fissare tale competenza 
un mero limite di principi, specifichi dettagliatamente la normativa da 
applicare nella regione. La disposizione verrebbe cos� a violare la sfera 
di competenza esclusiva della :regione stessa ed eccederebbe i limiti della 
delega conferita al Governo con l'art. 21 della legge n. 183 del 1976. 

La necessit� del coordinamento tra leggi statali e regionali in materia 
di credito agevolato per l'industria non pu� che riguardare tanto le regioni 
a statuto ordinario che quelle a statuto speciale, a pena di vanificare 
l'obiettivo stesso del coordinamento voluto, alla luce dei principi 
sopra esposti, dallo stesso Costituente. 

Quanto alla presunta violazione dell'art. 76 della Costituzione, anche 
tale censura -come quella analoga di cui al precedente n. 5 -prima 
che infondata � inammissibile, non avendo ad oggetto specifico un'invasione 
della sfera di competenza regionale, ai sensi dell'art. 32 della legge 

n. 87 del 1953. 
CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983, n. 246 -Pres. Elia -Rel. 
Roehrssen -Daniele (n.p.) e Presidente �Consiglio dei Ministri (vice 
avv. gen. Stato Chiarotti). 

Giustizia amministrativa -Regolamento preventivo di giurisdizione -Ap


plicabilit� anche ai giudizi di ottemperanza -Sospensione del pro


cesso amministrativo -Legittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3, 24, 103, 111, 113 e 125; I. 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 30 e 37; cod. proc.
civ., artt. 41 e 367). 

Non esiste alcun principio costituzionale dal quale possa desumersi 
la necessit� di una collaborazione tra giudici, nella modalit� del susseguirsi 
dei gradi del processo, per decidere sulla giurisdizione; ci� vale 
anche per il giudizio di ottemperanza, in quanto questo ha carattere giurisdizionale. 
L'effetto di sospensione del processo in pendenza di regolamento 
preventivo di giurisdizione non � irrazionale sul piano costituzionale. 



626 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Alla Corte vengono sottoposte le seguenti questioni di legittimit� 
costituzionale: 

a) se siano costituzionalmente legittimi, con riferimento agli artt. 
3, 24, 103, 111, terzo comma, 113 e 125 Cost., gli artt. 30, terzo comma, e 
37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (� Istituzione dei Tribunali amministrativi 
regionali�) nonch� 41 e 367 cod. proc. civ. in quanto applicano 
al processo amministrativo l'istituto del regolamento preventivo di giurisdizione; 


b) se siano costituzionalmente legittime le stesse disposizioni sopra 
citate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., in quanto applicano 
l'istituto del �regolamento preventivo di giurisdizione al �giudizio relativo 
alla esecuzione delle sentenze dei giudici amministrativi; 

e) se l'art. 30, terzo comma, della legge n. 1034 del 1971 sia costituzionalmente 
legittimo, in riferimento agli artt. 3, 24, 103, 111, terzo comma, 
113 e 125 Cost., nella parte in cui dispone che il processo di merito 
sia sospeso durante il corso del processo per regolamento preventivo di 
giurisdizione. 

Le questioni non sono fondate. 

In ordine alla prima di tali questioni di legittimit� costituzionale, 
questa Corte (sent. n. 73/1973) ha gi� riconosciuto che l'istituto del regolamento 
preventivo di giurisdizione � giustificato da esigenze di economia 
processuale. 

Con 1successiva sentenza (n. 135/1975) questa Corte ha aggiunto che, 
tale essendo la ratio dell'istituto in parola, non � dubbio che la stessa 
valga tanto se l'istanza per regolamento di giurisdizione sia proposta in 
procedimenti pendenti davanti ad un giudice ordinario quanto se venga 
proposta in procedimenti pendenti davanti al giudice amministrativo. 

La Corte non ha motivo. per discostarsi da queste affermazioni, dato 
che le cennate es1genze di economia processuale sussistono anche a proposito 
del 'Processo amministrativo, data la presenza in questo del pubblico 
interesse, soprattutto quando si tratta della giurisdizione generale 
di legittimit�. 

N� gli argomenti svolti dai giudici a quibus possono valere a modificare 
tali conclusioni. 

Si assume, 1nfatti, che dall'arrt. 111, terzo comma, Cost. si dovrebbe 
desumere che il giudice regolatore della giurisdizione possa pronunciarsi 
in materia soltanto dopo che il giudice amministrativo abbia potuto manifestare 
in proposito il suo pensiero in ordine alla giurisdizione con la 
sua sentenza, attuando in tal modo una forma di collaborazione. 

Ora � vero che l'art. 111, terzo comma, letteralmente parla di ricorso 
contro le decisioni del Consiglio di Stato, ma l'avere preveduto la impugnazione 
di una sentenza gi� emessa non ha in alcun modo, n� esplicitamente 
n� implicitamente, il significato di un contempo~aneo divieto per I. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

il legislatore ordinario di introdurre altri sistemi processuali atti a raggiungere 
il medesimo Tisultato e ad ottenere, in tema di giurisdizione, la 
pronuncia conclusiva del giudice a ci� competente, cio� della Corte di 
cassazione. 

N� esiste alcun principio o regola costituzionale dalla quale possa 
des1imersi che per decidere sulla giurisdizione occorra una qualche forma 
di collaborazione &a i giudici. 

Non fondata � anche la ulteriore osservazione secondo cui l'art. 111 
consentirebbe il regolamento preventivo di giurisdizione sol quando il 
processo si trovi dinanzi al Consiglio di Stato e non anche nello stadio di 
primo grado dinanzi ai TAR, che non sono menzionati nella disposizione: 
all'epoca della elaborazione della Costituzione i Tribunali amministrativi 
non esistevano (l'art. 125 prevedeva ed in tempi molto ampi e generali 
l'istituzione di organi di prima istanza), sicch� il richiamo non poteva 
essere fatto se non all'unico organo allora esistente. Una volta posto 
in essere il doppio grado di giurisdizione con la legge rn. 1034 del 1971, 
non vi � ragione per non applicare anche nel campo del processo amministrativo, 
nonostante le differenze che esistono con :il processo dinanzi 
al giudice ordinario, l'art. 41 cod. proc. civ., .il quale ammette il regolamento 
in parola � finch� la causa non sia decisa nel merito in primo 
grado�. 

Non pu�, infine, profilarsi, come fa il TAR del Lazio, alcun parallelo 
con le questioni incidentali di legittimit� costituzionale nelle quali il giudice 
che le 1solleva � chiamato ad una valutazione preliminare della questione 
stessa, mentre al giudice della causa di merito in ordine alla quale 
viene proposto regolamento �di giurisdizione non � consentito nulla di simile: 
si tratta di istituti e �di norme completamente diverse, soprattutto 
ove si tenga conto della ratio del regolamento preventivo di giurisdizione, 
che incide soltanto sulla appartenenza del potere di decidere ed � inteso 
ad accelerare il corso dei procedimenti. 

Neppure la seconda questione � fondata. 

Una volta che il giudizio di c.d. ottemperanza (art. 27, n. 4, del t.u. 
16 giugno 1924, n. 1054, e art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034) 
ha carattere giurisdizionale ed una volta che anche in questa sede possono 
sorgere, come di fatto sono sorte, questioni attinenti alla giurisdizione, 
non si vede ragione per negare la possibilit� di proporre regolamento 
di giurisdizione anche in un processo di esecuzione. Anzi potrebbe 
dirsi che, data la necessit� ancor pi� evidente di accelerare il corso dei 
giudizi di ottemperanza, la ratio pi� volte ripetuta si presenta qui con 
una intensit� maggiore. 

L'ultima questione, posta da entrambi i giudici a quibus, riguarda 
l'effetto sospensivo del giudizio di merito, che consegue automaticamente 
alla proposizione della istanza per regolamento di giurisdizione (art. 30 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, in relazione agli artt. 41 e 367 
cod. proc. civ.). 

Ad avviso della Corte l'effetto sospensivo del regolamento preventivo 
di giurisdizione non appare irrazionale sul piano costituzionale, 
trattandosi di scelta rientrante nella discrezionalit� del legislatore. 

I giudici a quibus insistono, nelle loro ordinanze, nel prospettare gli 
inconvenienti che si sono verificati, dato che l'istituto del regolamento 
preventivo di giurisdizione ha provocato ritardi notevoli nella decisione 
delle cause, apparendo talvolta addirittura pretestuoso: ma si tratta, 
ovviamente, di inconvenienti dovuti non gi� al contenuto della norma 
di legge, bens� alla distorta applicazione che ne � stata fatta. 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983 n. 251 -Pres. Elia -Rel. Saja -
Batistoni e altri (rnp.) e Presidente Consiglio dei ministri (vice avv. gen. 
Stato Carafa). 

Locazione -Immobili adibiti ad abitazione -Facolt� di recesso riconosciuta 
solo al conduttore -Legittimit� costituzionale. 
(Cast., art. 3; !. 27 luglio 19i8, n. 392, art. 4). 

Non contrasta con il principio di eguaglianza il riconoscimento solo 
al conduttore e non anche al locatore della facolt� di recedere dal rapporto 
in qualsiasi momento, con preavviso di sei mesi. 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983, n. 252 -Pres. Elia -Rel. Saja -
Collovati ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. 
Stato Cosentino). 

Locazione -Immobili adibiti ad abitazione -Termine finale del rapporto 
-Legittimit� costituzionale. 
(Cast., artt. 2, 3, 31, 41, 42 e 47; !. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1, 3, 58 e 65). 

La propriet� continua ad essere un diritto soggettivo e non � stata 
dall'art. 42 Cost. trasformata in una funzione pubblica. Sono costituzionalmente 
legitt�ne le disposizioni di legge ordinaria che considerano 
il rapporto di locazione di immobili abitativi come rapporto a tempo 
determinato e non come rapporto a tempo indeterminato dal quale il 
locatore pu� recedere � giusta causa '" 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

I 
(omissis) Rilevano i giudici rimettenti che la facolt� di recesso circoscritta 
unicamente al locatario viola il principio di eguaglianza sancito 
dall'art. 3 della Costituzione, per ingiustificata disparit� di frattamento 
tra '1ocato'.re e conduttore e, secondo il Pretore di Gragnano, anche tra 
locatori con contratto sottoposto alla disciplina definitiva dettata dalla 
cit. legge n. 392 del 1978 (ai quali non spetta in alcun caso il diritto 
di recesso) e locatori con contratto soggetto alla disciplina transitoria 
(ai quali � attribuita la facolt� di recedere nei casi previsti dall'art. 59 
della stessa legge). 
Giova premettere, in linea generale, che la ricordata legge 27 luglio 
1978 n. 392 ha abrogato il sistema c.d. vincolistico, che durava da molti 
decenni, ma non ha ripristinato integralmente la disciplina generale del 
codice civile, introducendo invece rispetto agli immobili urbani una 
speciale disciplina legale, la quale, per quelli adibiti ad abitazione, consiste 
principalmente nella sottrazione del canone alle leggi di mercato 
della domanda e dell'offerta e nella determinazione della durata del 
contratto non inferiore a quattro anni. 
La previsione relativa alla durata della locazione � diretta, come 
si legge nella Relazione ministeriale al Disegno di legge, a dare pari 
forza alle parti contraenti per cui � � sembrato necessario assicurare 
al conduttore una sufficiente stabilit� che gli eviti i disagi connessi ai 
frequenti cambiamenti di alloggio, ma che soprattutto lo metta in condizione 
di non cedere alle eventuali pressioni del locatore dirette ad 
ottenere illegittimi aumenti del canone �. 
Chiaramente connessa con tale norma � quella concernente il recesso 
anticipato, per cui l'art. 4 dispone che esso pu� essere contrattualmente 
pattuito soltanto a favore del conduttore (primo comma) e che, indipendentemente 
da una clausola contrattuale, il conduttore stesso pu� 
recedere per gravi motivi (secondo comma). Appunto contro la disposizione 
del cit. art. 4 � diretta la critica delle ordinanze di rimessione: 
essa, per�, risulta infondata sotto entrambi i profili dedotti. 
In ordine al primo, va rilevato che il principio di eguaglianza garantisce 
parit� di trattamento solo a parit� di situazioni, la quale, nel 
rispetto dei limiti di ragionevolezza, deve essere valutata dal legislatore 
ordinario. 
Ora, nella specie, il legislatore, com'� detto espressamente nella 
ricordata Relazione, ritenne di potere legittimamente introdurre in tema 
di recesso una disciplina differenziata sul rilievo � che la posizione del 
conduttore � sostanzialmente diversa da quella del locatore �. E ci� 
soprattutto per la diftkolt� del primo di trovare altra abitazione idonea 
alle sue esigenze, difficolt� che, nelle condizioni del mercato edilizio 
tenute presenti dal legislatore del 1978 e tuttora perduranti, potrebbe 
essere grave e talvolta addirittura drammatica. La ratio della norma, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

630 

dunque, coincide sostanzialmente con quella gi� indicata relativa alla 
durata del contratto, essendo entrambe egualmente dirette a tutelare 
l'inquilino mediante un'adeguata stabilit� del .rapporto, la cui mancanza 
si risolverebbe per lui in un notevole pregiudizio. 

La possibilit� di recesso del conduttore, invece, non Teca alcun effettivo 
nocumento al locatore, in quanto il preavviso di sei mesi, previsto 
sia nel primo che nel secondo comma dell'art. 4, garantisce il 
locatore stesso in maniera adeguata, essendo presumibile, se non proprio 
sicuro, secondo l'id quod plerumque accidit, che egli nel frattempo 
trovi altro inquilino che corrisponda lo stesso canone, e cio� quello 
stabilito dalla legge. 

D'altro canto, la ricordata facolt� �di recesso del conduttore non � 
avulsa dall'intero complesso normativo, ma costituisce, in particolare, il 
fondamento del divieto, contenuto nell'art. 2 primo comma, di sublocazione 
totale (la quale, come avverte Ia richiamata Relazione, normalmente 
costituisce una speculazione in danno del proprietario). 

Per vero, in tanto � stato escluso il potere di concedere in sublocazione 
totale l'immobile che il conduttore non abita pi�, in quanto 
a questo � stata riconosciuta la facolt� di recedere dal contratto, con 
la conseguente possibilit� di evitare il pregiudizio che altrimenti deriverebbe 
dall'obbligo del pagamento del canone senza alcuna effettiva 
utilit�. Da ci� discende evidente come sia anche unilaterale la prospettazione 
delle ordinanze di rimessione, le quali, invece di considerare 
il quadro complessivo della disciplina dettata dalla legge, hanno fatto 
riferimento ad una singola previsione normativa staccata dal suo contesto. 
In base ai suiperiori rilievi, il disposto legislativo non pu� quindi 
ritenersi n� arbitrario n� i!l'razionale. Il che trova conferma, in '1inea 
generale, in precedenti pronunzie di questa Corte che, sia pure ad altri 
fini, ha ritenuto non assimilabile la posizione del conduttore a quella 
del locatore (cfr. sent. 20 marzo 1980 n. 33 ed ivi altri richiami). (omissis) 

II 

(omissis) I giudici a quibus dubitano della legittimit� costituzionale 
degli artt. l, 3, 58 e 65 della legge 27 luglio 1978 n. 392 (c.d. legge 
sull'equo canone), i quali considerano il contratto di locazione come 
contratto a tempo determinato, con la conseguenza che allo spirare del 
termine finale, pattuito convenzionalmente ovvero stabilito dalla legge, 
cessa il relativo rapporto a (meno che non vi sia stata volontaria rinnovazione). 
Secondo i predetti giudici, il legislatore ordinario avrebbe 
dovuto disciplinare il negozio in esame come contratto a tempo indeterminato 
e abilitare il locatore a riavere il godimento del bene esclusivamente 
in presenza di una � giusta causa �. Al riguardo vengono 
invocati, come parametri, gli artt. 2, 3, 31, 41, 42 e 47 Costituzione. 

(omissis) 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Ci� si verifica rispetto all'art. 2 prima parte della Costituzione, invo


cato ... sulla considerazione �che la � stabilit� della situazione abitativa � 

costituirebbe il �presupposto sine qua (rectius quo) non� per l'eser


cizio dei diritti inviolabili e perci� dovrebbe essere garantita dal legi


slatore � nel modo pi� lato �, 

Rileva in proposito la Corte che indubbiamente l'abitazione costituisce, 
per la sua fondamentale importanza nella vita dell'individuo, un 
bene primario il quale deve essere adeguatamente e concretamente tutelato 
dalla legge (cfr. per qualche riferimento: sent. 20 marzo 1980 n. 33). 
Ci� va ribadito in un momento tanto delicato del mercato edilizio nazionale 
anche sulla scorta dell'art. 25 della Dichiarazione universale dei 
diritti dell'u9mo (New York, 10 dicembre 1948) e dell'art. 11 del Patto 
internazionale dei diritti economici, sociali e culturali (approvato il 16 
dicembre 1966 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e ratificato 
'dall'Italia il 15 settembre 1978 in seguito ad autorizzazione disposta con 

I. 25 ottobre 1977 n. 881) che auspicano l'accesso di tutti gli individui 
all'abitazione. 
N� la Corte pu� omettere di osservare che il complesso ed annoso 
problema potr� essere avviato -almeno parzialmente -a soluzione 
soltanto se vi sar� quel necessario e indispensabile sviluppo dell'edilizia 
pubblica e privata che determini un adeguato incremento dell'offerta 
di alloggi. La disciplina dell'equo canone presupponeva appunto per il 
suo buon funzionamento un congruo aumento di case di abitazione, 
aumento che doveva conseguire alla contestuale legge 5 agosto 1978 

n. 457, nota come �piano decennale per l'edilizia�, la quale, invece, 
per varie ragioni, non ha avuto la necessaria attuazione. 
Ma, ci� precisato, deve la Corte rilevare come non possa convenirsi 
con l'ordinanza di rimessione nel considerare l'abitazione come l'indispensabile 
presupposto dei diritti inviolabili previsti dalla 1.a parte 
dell'art. 2 della Costituzione, trattandosi di una costruzione giuridica del 
tutto estranea al nostro ordinamento positivo. Se, invero, i diritti inviolabili 
sono, per giurisprudenza costante, quei diritti che formano il 
patrimonio irretrattabile della personalit� umana, non � logicamente possibile 
ammettere altre figure giuridiche, le quali sarebbero dirette a 
funzionare da � presupposti � e dovrebbero avere un'imprecisata, maggiore 
tutela. (omissis) 

Tutti i giudici rimettenti hanno invocato come parametro anche 
l'art. 3 Cost. in quanto le norme impugnate violerebbero, secondo l'assunto 
dei giudici stessi, il principio di eguaglianza sotto duplice profilo 
e cio�: a) perch� trascurerebbero la tutela della parte meno abbiente, 
ossia pi� debole, quale il conduttore; b) perch� rispetto alla durata 
del contratto riserverebbero al conduttore di immobile destinato ad 
abitazione un tirattamento ingiustificatamente deteriore rispetto al conduttore 
di immobile destinato ad uso diverso. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

632 

Riguardo al primo aspetto, osserva la Corte che quanto dedotto 
dai giudici �a quibus non concerne propriamente il principio di eguaglianza, 
per la chiara eterogeneit� delle situazioni considerate, ma in 
effetti si risolve nella censura fondamentale, �relativa ai limiti della 
propriet� edilizia nei rapporti intersoggettivi tra conduttore e locatore 
-di cui si dir� in seguito -�e pertanto rimane in essa assorbita. 
Una propria autonomia ha invece il secondo ip!rofilo, con cui le ordinanze 
di rimessione lamentano una �disparit� idi trattamento tra conduttore 
di immobile desHnato ad uso di abitazione e conduttore di 
immobile destinato ad altro uso: a quest'ultimo, s�econdo Ie dette oroinanze, 
sarebbe riservato un tmttamento migliore, in quanto egli, alla 
scadenza del contratto, ha diritto, in base agli artt. 28 e 29 cit. I. n. 392 
del 1978, alla rinnovazione dello stesso (a meno che non ricorra una 
giusta causa per il locatore, come rprevisto appunto nel suddetto art. 29): 
rinnovazione che invece non � prevista per gli immobili destinati ad 
us� di abitazione, mentre l'ovdinamento giuridico dovvebbe apprestare 
al conduttore Idi tali immobili una garanzia pi� energica ed efficace a 
tutela del bene primario costituito dall'abitazione. 

La censura non pu� essere �ondivisa. 

Per stabilire correttamente se vi sia la pretesa parit� delle situazioni 
prospettate -parit� che, com'� noto, sta alla base del principio 
di eguaglianza -e la corrispondente ingiustificata diseguaglianza di 
tr�ttamento da parte delle norme impugnate, i giudici a quibus avrebbero 
dovuto comparare le stesse situazioni in base alla normativa applicabile 
complessivamente considerata e non gi�, come hanno fatto, sulla 
scorta di singole disposizioni, avulse dal sistema introdotto con la 

l. rn. 392 del 1978. 
Ora, in proposito � decisivo osservare come il regime dell'equo 
canone si applica soltanto agli immobili adibiti ad uso di abitazione 
(art. 12 e segg. I. cit.) e non pure a quelli destinati ad usb diverso, 
sicch� tale differente regime, che incide in maniera assai rilevante nei 
rapporti tra locatore e conduttore (sono note le pressanti insistenze 
dei conduttori di immobili non destinati ad abitazione rper estendere 
anche a loro la disciplina dell'equo canone) esclude gi� di per s� la 
possibilit� di configurare la parit� delle situazioni messe a raffronto. 

Inoltre devesi aggiungere che, come gi� rilevato dalla Relazione ministeriale 
al Disegno di legge, il trattamento differenziato, quanto alla 
durata del contratto, trova fondamento anche nella eventualit� che gli 
operatori economici debbano investire somme non indiffel"enti per utilizzare 
I'immobile ai fini dell'attivit� commerciale o industriale praticate. 

E tutto ci� conferma che non sussiste la dedotta violazione del 
principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. 
Non sembra poi pertinente quanto dedotto esclusivamente dal ... secondo 
cui la disciplina vigente in tema di durata del contratto di loca




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

zione contrasterebbe con l'art. 31 Costituzione, in quanto ostacolerebbe 
la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi. 

A parte, invero, ogni considerazione sul carattere puramente diret� 
tivo della norma, va rilevato che essa pu� concernere soltanto quelle 
situazioni legate da un rapporto di necessit� con la formazione della 
famiglia e non gi� tutto ci� che in maniera puramente indiretta ed 
eventuale pu� avere qualche riflesso su di essa. '� necessario, in altri 
termini, un nesso di stretta conseguenzialit� tra il fatto considerato e la 
formazione della famiglia e non soltanto una possibile mera influenza 
di carattere indiretto o riflesso. E proprio per ci� questa Corte ha gi� 
ritenuto, rispetto ad una fattispecie diversa ma riconducibile allo stesso 
principio, l'estraneit� del suindicato precetto costituzionale (cfr. sent. n. 4 
del 1976) relativamente alla materia delle locazioni. 

Parimenti non sembra pertinente il richiamo all'art. 41 Cost., concernente 
l'iniziativa economica privata: infatti quest'ultima si sostanzia 
nella libert� di svolgere attivit� relative alla funzione imprenditorale, 
mentre le norme impugnate si riferiscono soltanto al godimento di un bene 
non produttivo quale l'immobile destinato ad abitazione. Del resto, sembra 
che gli stessi giudici a quibus abbiano richiamato l'art. 41 non tanto 
in s� considerato quanto per trarre dal limite dell'utilit� sociale, in 
esso sancito, un elemento per rafforzare le ragioni addotte a favore 
dell'impugnativa in base all'art. 42 Cost. su cui, come gi� si � accennato, 
si incentra il vero problema. 

Esso � prospettato in maniera sostanzialmente coincidente da tutte 
le ordinanze di rimessione, le quali pongono l'accento sul secondo comma 
del cit. art. 42 per dedume che il diritto di propriet� deve adempiere 
ad una funzione sociale e che pertanto non sarebbe consentita la cessazione 
del rapporto di locazione per il mero spirare del termine finale: 
il contratto deve durare, secondo le predette ordinanze, a tempo indeterminato 
(a meno che non vi sia rinuncia da parte del conduttore) 
sin quando non intervenga � una giusta causa � che sola pu� consentire 
al locatore di riottenere la disponibilit� dell'immobile. 

La Corte non crede di poter consentire sull'interpretazione dell'art. 42 
secondo comma Cost. data dai giudici a quibus, dovendo invece confermare 
il suo orientamento, numerose volte espresso. 

iLa norma suddetta non ha, come pure si � sostenuto da una parte 
della dottrina, trasformato Ia propriet� privata in una funzione pubblica. 
Ci� inequivocabilmente risulta dal suo preciso tenore: � La propriet� 
privata � riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi 
di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione 
sociale e di renderla accessibile a tutti �. La Costituzione dunque ha 
chiaramente continuato a considerare la propriet� privata come un diritto 
soggettivo, ma ha affidato al legislatore ordinario il compito di introdurre, 
a seguito delle opportune valutazioni e dei necessari bilancia



634 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

menti dei diversi interessi, quei limiti che ne assicurano la funzione 
sociale. 

Indubbiamente detta funzione con il solenne riconoscimento avuto 
dalla Carta fondamentale, non pu� pi� essere considerata, come per 
il passato, quale mera sintesi dei limiti gi� esistenti nell'ordinamento 
positivo in base a singole disposizioni; essa rappresenta, invece, l'indirizzo 
generale a cui dovr� ispirarsi la futura legislazione. Ma -ripetesi 
-l'attuazione dell'indirizzo suddetto � riservata, rper il testuale 
disposto costituzionale, al legislatore ordinario, il quale dovr� provvedervi 
secondo il criterio indicato dal Costituente. 

Non si pu� quindi convenire nell'impostazione di fondo delle ordinanze 
di rimessione, che accolgono un'interpretazione non consentita 
dal dettato costituzionale. 

Va poi osservato che la disciplina del contratto di locazione fa 
parte di un complesso normativo (la c.d. legge sull'equo canone), in 
cui le singole disposizioni sono strettamente collegate, non solo sul 
piano giuridico ma anche -e forse ancor pi� -su quello economico 
e sociale: non � perci� possibile, come invece vocrebbero le ordinanze 
di rimessione, incidere su una singola disposizione, essenziale e qualificante 
nell'economia dell'assetto normativo, trascurando i riflessi e le 
necessarie conseguenze sull'intera disciplina. Ci� rende ancor pi� chiaro 
come si chieda alla Corte una pronunzia la quale sostanzialmente comporta 
una rielaborazione della materia, il che, all'evidenza, � compito 
esclusivo del legislatore. 

N� ha consistenza il generico richiar,no alle legislazioni della Francia 
e della Repubblica federale tedesca, giacch� quanto � avvenuto in quei 
Paesi con l'emanazione di nuove leggi (successive alla detta ordinanza: 

Loi n. 82-526 du 22 juin 1982 relative aux droits et obligations des locataires 
et des bailleurs; Gesetz zur Erhohung des Angebots an Mietwohnungen 
del 20 dicembre 1982) conferma che 1n questa materia vi � largo 
spazio per la discrezionalit� delle scelte da parte del legislatore (il che 
in linea di principio non comporta, ben s'intende, che la scelta adottata 
sia sottratta all'osservanza dei principi costituzionali). 

Neppure pu� considerarsi esatta l'asserzione secondo cui il principio 
della durata illimitata del contratto (salvo giusta causa di recesso) 
sarebbe stato accolto dalle predette legislazioni: e ci� perch� il cosiddetto 
droit au maintien del conduttore trova, nella legislazione francese, 
numerosi e congrui strumenti di bilanciamento a favore del locatore, 
mentre il principio del berechtigtes Interesse, che nella legislazione tedesca 
legittimerebbe esso soltanto lo scioglimento del rapporto di locazione, 
� fortemente limitato, per non dire sostanzialmente accantonato, 
nella legge sopra citata, volta -come risulta anche dal suo titolo a 
superare una situazione di stasi nel mercato degli affitti. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Si deve quindi concludere che le scelte operate dal legislatore italiano 
non appaiono incompatibili con la norma costituzionale ora considerata: 
ci� non significando, ovviamente, che, nell'ambito di discrezionalit� 
lasciato dal Costituente alla fogge ordinaria, le dette scelte 
siano le sole compatibili con la Carta fondamentale e che non possano 
essere mutate. (omissis) 

Esaurito cos� l'esame delle impugnate norme di natura sostanziale, 
devesi, infine, brevemente accennare aUa legittimit� costituzionale delle 
norme di cui agli artt. 657 e segg. cod. proc. civile, i quali, secondo la 
formulazione dell'OTdinanza di rimessione, da un lato, esonerano il locatore 
dal provare Ia giusta causa e non consentono al conduttore di far 
valere le proprie esigenze abitative; e, dall'altro, non permettono al 
giudice di valutare i contrapposti interessi delle parti, impedendogli 
� di realizzare cos�, con il processo, l'obiettivo di giustizia sostanziale �. 

Sembra alla Corte che la censura non costituisca altro che la ripetizione 
di quanto dedotto sul terreno del diritto sostanziale e valgono 
quindi i rilievi esposti in quella sede; comunque, se diverso ne fosse 
il senso, si deve aggiungere come non sarebbe ammissibile, in base al 
vigente assetto costituzionale, l'adombrata pretesa di mediazione, da 
parte del giudice, tra conflitti di interessi in base a sue personali valutazioni 
di � giustizia sostanziale � spettando, :invece, al legislatore regolare 
i rapporti intersoggettivi e al giudice applicare le relative norme. 

CORTE COSTITUZIONALE, 29 settembre 1983, n. 282 (ord.) -Pres. Elia -
Rel. Bucdarelli Ducci -Barletta e Presidente Consiglio dei Ministri. 

Corte costituzionale � Legge di ratifica di trattato internazionale -Non 
ancora efficace � Non pu� costituire oggetto del giudizio costituzionale. 


Una .legge che autorizza la ratifica e prescrive la piena esecuzione 
di un trattato internazionale, se inoperante per mancato deposito dello 
strumento di ratifica, non pu� formare oggetto di giudizio di costituzionalit�; 
giudizio in esito al quale non potrebbe comunque essere 
emessa una pronuncia sostitutiva del deposito di detto strumento. 

(omissis) Considerato che nel corso del procedimento penale a carico 
di Barletta Cosimo -imputato del delitto di omicidio volontario, 
commesso in Germania, condannato dal Tribunale di Hagen ... e sottoposto 
in Italia a nuovo procedimento penale a norma dell'art. 11 cod. 
pen., su richiesta del Ministro di Grazia e Giustizia -la Corte di 
assise di appello di Milano ... ha ritenuto rilevante ai fini della decisione 
e non manifestamente infondata -in riferimento agli artt. 3, 80, 87, 
comma ottavo, della Costituzione -la questione, sollevata dal difen



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sore dell'imputato, concernente la legittimit� costituzionale della legge 
16 maggio 1977, n. 305 (ratifica della Convenzione europea sulla validit� 
internazionale degli atti Tepressivi, adottata a L'Aja il 28 maggio 1970) 
in quanto la mancata fissazione, nella stessa legge, di un termine per 
la ratifica (non ancora effettuata dallo Stato italiano) non consente 
di applicare l'art. 53 della Convenzione, che sancisce J'efficacia delle sen.
tenze penali straniere in tutti gli Stati contraenti e, quindi, nel caso 
di specie preclude la rinnovazione del giudizio in Italia prevista dall'art. 
11 cod. pen.; 

rilevato che fa legge impugnata, composta da due articoli, autorizza 
con l'art, 1 il Presidente della Repubblica a ratificare la suddetta Convenzione 
e con l'art. 2 prescrive che piena ed intera �esecuzione � data 
alla Convenzione a decorrere dalla sua entrata in v,igore in conformit� 
all'art. 58 della Convenzione medesima, il quale dispone l'entrata in 
vigore tre mesi dopo la data del deposito del terzo strumento di ratifica 
e di accettazione e, per lo Stato firmatario che depositi la ratifica o l'accettazione 
in un secondo tempo, tre mesi dopo tale deposito; 

ritenuto che lo Stato italiano finora non ha depositato lo strumento 
di ratifica e, quindi, nei suoi confronti la Convenzione non � entrata in 
vigore, dal che deriva l'attuale inoperativit� della legge impugnata -concernente 
la ratifica e contenente l'ordine di esecuzione della Convenzione 
necessariamente condizionato aWentrata in vigore della convenzione medesima 
-e la conseguente inidoneit� della stessa legge n. 305 del 1977 
a costituire oggetto del giudizio di legittimit� costituzionale; 

ritenuto, peraltro, che neppure l'eventuale declaratoria di illegittimit� 
costituzionale della menzionata legge, per mancata fissazione del termine 
per la ratifica, potrebbe rendere vincolante per lo Stato italiano la Convenzione 
internazionale -con le conseguenti opemtivit� della suddetta 
legge e applicabilit� del menzionato art. 53 della Convenzione da parte 
del giudice a quo -perch� tali effetti derivano esclusivamente dal deposito 
dello strumento di ratifica; 

ritenuto, pertanto, che la questione di legittimit� costituzionale � 
manifestamente inammissibile. 

CORTE COSTITUZIONALE, 18 ottobre 1983, n. 308 -Pres. Elia -Rel. De 
Stefano -Belardo (n.p.) e Ministero delle Finanze (avv. Stato Mataloni). 


Previdenza -Fondo di previdenza personale imposte di fabbricazione . 
Impiegati non di ruolo � Sono iscritti. 

(Cost., art. 3; 1. 12 gennaio 1942, n. 37, art. 1). 

Contrasta con l'art. 3 Cast. l'art. 1 della legge 26 gennaio 1942 n. 37 
nella parte in cui non comprende nel personale addetto ai servizi delle 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTlTUZIONALE 

imposte di fabbricazione e dei laboratori chimici delle dogane e delle 
imposte indirette, avente diritto alla iscrizione al Fondo di previdenza, 
anche gli impiegati non di ruolo. 

Con l'art. 1 del r.d.l. 5 settembre 1938, n. 1561, convertito in legge 
19 gennaio 1939, n. 260, � stato istituito un �Fondo di previdenza a 
:favore del personale addetto ai servizi delle �imposte di fabbricazione�. 
L'art. 1 della legge 26 gennaio 1942, n. 37, ne ha modificato la dizione 
in � Fondo di previdenza a favore del personale dei ruoli provinciali 
addetto ai servizi delle imposte di fabbricazione e del personale dei 
laboratori chimici delle dogane e delle imposte indirette �. In base a 
questa disposizione sono pertanto iscritti al Fondo, secondo quanto poi 
precisato dall'art. 1 del relativo regolamento, approvato con d.P.R. 9 aprile 
1964, n. 1650, il personale dei ruoli periferici delle imposte di fabbricazione 
e dei laboratori chimici delle dogane e imposte indirette, e quello 
dei rispettivi ruoli aggiunti; mentre ne rimangono esclusi gl'impiegati non 
di ruolo. Affluiscono al Fondo quote dei proventi contravvenzionali e dei 
compensi per i servizi, a carico dei privati, compiuti dal personale. Il 
Fondo, avvalendosi di tali entrate, corrisponde agl'iscritti una indennit� 
all'atto della cessazione dal servizio, oltre sovvenzioni e contributi in 
caso di bisogno. 

In virt� dell'art. 1 del d.P.R. 17 marzo 1981, n. 211, i fondi di previdenza 
del personale dell'amministrazione finanziaria, tra cui il Fondo 
anzidetto, sono stati unificati in un unico ente di diritto pubblico, denominato 
� Fondo di previdenza per il personale del Ministero delle finanze
�; ma l'unificazione ha effetto a decorrere dalla data di ent~ata in 
vigore del cennato decreto (17 maggio 1981). 

L'ordinanza del Consiglio di Stato, Sezione IV, emessa, come esposto 
in narrativa, nel corso di un procedimento relativo alla negata corresponsione 
dell'indennit� per il servizio prestato da un impiegato non di 
ruolo, cessato nel 1971, solleva questione �di legittimit� costituzionale, 
per contrasto con i princ�pi di eguaglianza e di proporzionalit� retributiva 
posti dagli artt. 3 e 36, comma primo, della Costituzione, del 
menzionato art. 1 della legge n. 37 del 1942, nella parte in cui esclude 
dalla iscrizione al Fondo e dalle prestazioni da esso erogate, nell'�mbito 
del personale addetto ai servizi delle imposte di fabbricazione e dei laboratori 
chimici, gl'impiegati non di ruolo. 

La questione � fondata. 

Giova premettere che tra il Fondo e i suoi iscritti intercorre un 
rapporto di natura previdenziale, per la cui costituzione opera, come 
titolo esclusivo ed automatico la qualit� di impiegato che presti servizio 
presso l'Amministrazione delle imposte di fabbricazione e dei laboratori 
chimici delle dogane e delle imposte indirette. Nello svolgimento di 


638 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

siffatto rapporto, le prestazioni erogate dal Fondo costituiscono, in buona 
sostanza, il corrispettivo, non di versamenti contributivi degl'iscritti, ma, 
per la massima parte, di servizi dagli stessi forniti all'amministrazione, 
nell'interesse e su richiesta di privati, i quali dal Joro canto corrispondono 
direttamente all'amministrazione medesima le indennit� all'uopo 
previste. Una quota di tali compensi, secondo disposto, sin dall'origine, 
dall'art. 2 del decreto legge n. 1561 del 1938, e poi ribadito in sede regolamentare 
(art. 2 del r.d. n. 1768 del 1940; art. 2 del d.P.R. n. 1650 del 1964), 
affluisce al Fondo per il perseguimento delle sue finalit�. Pi� specificamente, 
al Fondo viene versato il 25 per cento delle somme affluite in 
Tesoreria per indennit� dovute dai privati per le analisi delle merci e 
per i riscontri tecnici eseguiti fuori orario o fuori sede dal personale 
dei laboratori chimici, nonch� il 40 per cento sulla differenza tra le 
somme versate dai privati per i servizi svolti dal personale delle imposte 
di fabbricazione e le indennit� di missione all'uopo liquidate al 
personale stesso: cos� ha prescritto l'art. 5, comma terzo, della legge 
15 novembre 1973, n. 734, che, nel concedere un assegno perequativo 
ai dipendenti civili dello Stato, di ruolo e non di ruolo, ha altres� unificato 
la previgente disciplina circa l'acquisizione di siffatte entrate (e delle 
quote dei proventi contravvenziona1i) da parte dei vari fondi di previdenza 
per il personale dell'Amministrazione finanziaria. 

Ora -come pone .giustamente in rilievo H giudice a quo -gl'impiegati 
non di ruolo addetti agli uffici delle imposte di fabbricazione 
ed ai laboratori chimici delle dogane e delle imposte indirette sono 
impegnati, al pari del personale di ruolo, negli stessi servizi, per i 'quali 
dagli operatori economici sono versati gli speciali compensi e proventi, 
che concorrono, pro quota, ad alimentare il Fondo. Rispetto a questa 
identit� di prestazioni di lavoro, e di inserimento e di coinvolgimento nell'organizzazione 
e nella operativit� degli uffici, il collocamento in ruolo 

o la condizione di impiegato non di ruolo non possono venir considerati 
titolo sufficiente di diversificazione, tale da giustificare l'iscrizione al 
Fondo e la partecipazione alle sue erogazioni nel primo caso, e la esclusione 
dall'iscrizione e dalle conseguenti erogazioni nel secondo. 
N� va taciuto che in altri consimili fondi di previdenza per il 
personale dell'Amministrazione finanziaria non si riscontra la famentata 
esclusione degl'impiegati non di ruolo. Al Fondo di previdenza 
per il personale dell'amministrazione periferica delle imposte dirette 
sono, infatti, iscritti di diritto tutti gl'impiegati, di ruolo e non di ruolo, 
di quell'amministrazione (art. 5 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 648; art. 1 
del regolamento approvato con il d.P.R. 12 dicembre 1975, n. 856). Al Fondo 
di previdenza per il personale del Ministero delle finanze e delle Intendenze 
di finanza sono del pari iscritti di diritto gl'impiegati, di ruolo 
e non di ruolo, dell'amministrazione centrale del Ministero delle finanze 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 639 

e delle Intendenze di finanza, nonch� quelli, di ruolo e non di ruolo, 
amministrati dalla Direzione generale per l'organizzazione dei servizi 
tributari, e quelli, di ruolo e non di ruolo, dell'amministrazione periferica 
del demanio (artt. l, comma secondo, n. 4, e 6 del citato d.P.R. n. 648 
del 1972; art. 1 del regolamento approvato con d.P.R. 12 dicembre 1975, 

n. 855). Cos� pure per il Fondo di previdenza a favore del personale 
periferico delle tasse e delle imposte indirette sugli affari, al quale sono 
iscritti di diritto tutti gl'impiegati, di ruolo e non di ruolo, dell'amministrazione 
periferica delle tasse e delle imposte indirette sugli affari 
(art. 1 del regolamento approvato con d.P.R. 12 dicembre 1975, n. 857). 
Infine, per :l'art. 2 del gi� citato d.P.R. n. 211 del 1981, �al Fondo di 
previdenza unificato sono iscritti di diritto tutti i dipendenti civili di 
ruolo e non di ruolo del Ministero delle finanze appartenenti ai Fondi 
di previdenza� confluiti nell'unico ente. (omissis) 
CORTE COSTITUZIONALE, 18 ottobre 1983, n. 310 -Pres. Elia -Rel. De 
Stefano -Velati Bellini ed altro (avv. Cogliati Dezza) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). 

Tributi in genere -Condono -Processo costituzionale -Eventuale presentazione 
di istanze di condono -Rimessione al giudice � a quo �. 

La rimessione al giudice a quo pu� essere disposta dalla Corte costituzionale 
anche solo perch� sia accertato se una parte si � avvalsa di 
condono tributario. 

(omissis) Tutte le suddette ordinanze riguardano casi di omessa pre� 

sentazione dc;:lla dichiarazione dei sostituti d'imposta, prescritta dall'art. 7 

del d.P.R. n. 600 del 1973, per i quali si � inflitta la pena pecuniaria 

prevista dal denunciato art. 47 dello stesso decreto. 

Ora, nelle more del giudizio, � intervenuta la legge 12 febbraio 1983, 

n. 27, che ha convertito con modificazioni il d.l. 15 dicembre 1982, n. 916. 
Tra le modificazioni apportate dall'art. 1 di detta legge vi � quella 
operata con l'aggiunta al decreto legge convertito dell'art. 2 ter, a norma 
del quale i sostituti d'imposta, tenuti alla presentazione della dichiarazione 
prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 600 del 1973, �per i periodi d'imposta 
relativamente ai quali il termine per la presentazione della dichiarazione 
� scaduto anteriormente al 1� agosto 1982, semprech� non sia 
intervenuto accertamento definitivo, sono ammessi a presentare dichiarazioni 
integrative in luogo di quelle omesse �. Dispone poi l'ottavo comma 
del citato art. 2 ter che le sanzioni amministrative previste dal titolo V 

640 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

del d.P.R. n. 600 del 1973 (tra le quali rientrano quelle previste dal denunciato 
art. 47) � non si applicano se l'ammontare delle ritenute resta 
definito per l'importo corrispondente alle dichiarazioni integrative�. 

Anche per tali ord1n�nze, pertanto, si rende necessario restituire gli 
atti alle Commissioni tributarie sopra indicate, perch� accertino, nella 
ipotesi che i ricorrenti si siano avvalsi della sopravvenuta normativa, se 
le questioni sollevate siano tuttora rilevanti. 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 22 marzo 1983, 
nella causa 34/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Mancini Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione 
olandese neMa causa Martin Peters Bauunternehmung GmbH 

c. Zuid Nederlandse Aannemers Vereniging -lnterv. Governi della 
Repubblica federale di Germania (ag. Bohmer) e italiano {avv. Stato 
Fiumara) e Commissione delle Comunit� europee (ag. Zimmerman). 
Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla 
competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia 
civile e commerciale� � Competenza giurisdizionale -Materia contrattuale 
-Nozione. 
(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con 

legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 5). 

Le obbligazioni aventi ad oggetto il versamento di una somma di 
denaro e che hanno il loro fondamento nel rapporto di affiliazione esistente 
fra un'associazione e i suoi membri rientrano nella � materia 
contrattuale� ai sensi dell'art. 5, punto l, della convenzione di Bruxelles 
27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione 
delle decisioni in materia civile e commerciale. E -indifferente, in 
proposito, che le obbligazioni di cui trattasi derivino direttamente dalla 
adesione o ad un tempo da questa e da una o pi� delibere adottate da 
organi dell'associazione (1). 

(1) La decisione � da condividersi. 
Invero l'esame complessivo e sistematico dell'art. 5 della convenzione di 
Bruxelles induce a ritenere che la norma tende ad abbracciare tutto intero e 
senza residui (nel campo di applicazione delineato nel precedente art. 1 e 
salve le eccezioni degli articoli seguenti) l'ambito del diritto delle obbligazioni, 
quale sia la fonte del vincolo obbligatorio (contrattuale, ex lege ovvero extracontrattuale 
da delitto o quasi-delitto). 

Siano o non siano le espressioni e le nozioni giuridiche usate dalla convenzione 
da considerarsi, in linea generale, come autonome e perci� comuni all'insieme 
degli Stati membri (cfr. in un senso la sentenza della Corte 6 ottobre 
1976, nella causa 12/76, INDUSTRIE TESSILI ITALIANE, in Racc., 1976, 1473, e nell'altro 
le sentenze 6 ottobre 1976, nella causa 14/76, DE Bwos, in Racc., 1976, 1497, e 22 
novembre 1978, nella causa 33/78, SOMAFER, in Racc. 1976, 2183, citata in motivazione), 
alla espressione �materia contrattuale� di cui al punto 1 della norma 
in questione sembra che possa attribuirsi il significato, comune e generale, pi� 
ampio, coincidente con quello di atto negoziale lecito di qualsiasi natura (unilaterale, 
bilaterale o plurilaterale) produttivo di obbligazione civile (di quell'obbligazione, 
cio�, che pi� precisamente � serva di base all'azione giudiziaria�, 



642 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) 1. -Con sentenza 15 gennaio 1982', pervenuta alla Corte il 
21 gennaio successivo, lo Hoge Raad dei Paesi Bassi ha proposto, in forza 
del Protocollo 3 giugno 1981 relativo all'interpretazione, da parte della 
Corte di giustizia, della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la 
competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile 
e commerciale (in prosieguo: Convenzione), due questioni pregiudiziali 
relative all'interpretazione dell'art. 5, punto 1�, della Convenzione. 

2. -Dette questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia 
tra la Zuid Nederlandse Aannemers Vereniging (in prosieguo: 
ZNA V), associazione di diritto olandese con sede giuridica in Maastricht 
e con sede amministrativa in Heeze (Brabante settentrionale), ed uno dei 
suoi membri, la societ� di diritto tedesco Martin Peters Bauunternehmung 
GmbH (in prosieguo: Peters), con sede in Aquisgrana, Repubblica federale 
di Germania. La controversia verte sul pagamento di talune somme 
addebitate a quest'ultima societ� in base ad una norma interna emanata 
dagli organi dell'associazione e vincolante per i membri della stessa. 
3. -L'Arrondissementsrechtbank (Tribunale) di 's-Hertogenbosch 
(Boscoducale), adito dalla ZNAV, respingeva l'eccezione di incompetenza 
sollevata dalla Peters. Esso affermava che la causa era stata originata 
da un asserito d.nadempdmento contrattuale e si considerava pertanto competente 
in forza dell'art. 5, punto 1�, della Convenzione, a norma del 
quale il convenuto -in casu la Peters -domiciliato nel territorio di 
un altro Stato contraente pu� essere citato, in materia contrattuale, 
dinanzi al giudice del luogo in cui l'obbligazione � stata o dev'essere 
adempiuta. 
secondo quanto ha ritenuto la Corte nella sopracitata sentenza 6 ottobre 1976, 

nella causa 14/76), nel senso originario del termine contractus in diritto romano 

(omnis enim obligatio vel ex contractu nascitur vel ex delicto). 

Poco rilevante appare, dunque, una distinzione fra contratto in senso stret� 

to, quale incontro di volont� su interessi divergenti, e accordo, quale incontro 

di volont� su interessi convergenti, nella cui figura pi� propriamente andrebbe 

inquadrato il negozio associativo: entrambi hanno struttura contrattuale in senso 

lato, in quanto nascono dalla volont� concorde delle parti per la regolazione 

di uno o pi� rapporti giuridici fra di loro. 

Poco rilevante appare finanche la distinzione fra contratto o accordo asso


ciativo e atto unilaterale collegiale (nel caso deciso la direttiva deliberata dal


l'organo del consorzio di appaltatori cui appartiene la societ� Peters, istitutiva 

degli obblighi di comportamento e delle indennit� e contributi a carico dei 

membri): derivino le prestazioni pecuniarie richieste alla ditta associata diretta


mente dal contratto-accordo associativo ovvero solo dalla regolare delibera del� 

l'organo consortile (il che, peraltro, non escluderebbe comunque una indiretta 

derivazione contrattuale), si tratterebbe in ogni caso di obbligazione di fonte 

� contrattuale '" nell'ampio significato che all'espressione � materia contrattuale � 

sembra doversi attribuire. 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 643 

4. -In sede d'appello, il Gerechtshof di 's-Hertogenbosch, adito dalla 
Peters, confermava la sentenza di primo grado, dichiarando che l'obbligo 
di pagare le somme pretese dalla ZNA V andava considerato come obbligazione 
contrattuale ai sensi dell'art. 5, punto 1�, della Convenzione. 
5. -La Peters Ticorreva per cassazione dinanzi allo Hoge Raad dei 
Paesi Bassi contestando il giudizio espres'SO dal Gerechtshof circa fa natura 
del vincolo che la legava alla ZNAV. 
6. -Lo Hoge Raad, prima di pronunziarsi nel merito, ha deciso di 
sottoporre alla Corte di giustizia le due questioni seguenti relative all'interpretazione 
della Convenzione di Bruxelles: 
� 1) Se l'art. 5, prima parte e punto 1�, della Convenzione si applichi 
alle pretese di un'associazione munita di personalit� giuridica nei 
confronti di uno dei suoi membri, pretese relative al pagamento di una 
somma e che hanno il loro fondamento nel rapporto di associazione in 
atto fra le parti, posto in essere dal fatto che la convenuta � divenuta 
membro dell'associazione in forza di un apposito negozio giuridico. 

2) Se si debba in proposito fare una distinzione a seconda che le 
obbligazioni derivino direttamente dall'iscrizione ovvero dall'iscrizione 
in relazione ad una o pi� delibere di organi dell'associazione �. 

I -Sulla prima questione. 

7. -L'art. 5 della Convenzione contempla vari fori speciali con facolt� 
di scelta per l'attore, in deroga alla norma generale in materia di 
competenza di cui all'art. 2, primo comma, della Convenzione. 
8. -A tenore dell'art. 5, punto 1�, della Convenzione, �il convenuto 
domiciliato nel territorio di uno Stato contraente pu� essere citato in 
un altro Stato contraente: 1) in materia contrattuale, davanti al giudice 
del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio � stata o dev'essere 
eseguita... �. 
9. -La nozione di materia contrattuale serve quindi di criterio per 
delimitare la sfera d'applicazione di una delle norme speciali in materia 
di competenza di cui l'attore pu� avvalersi. Tenuto conto degli scopi 
e della struttura generale ciella Convenzione, � necessario, al fine di 
garantire per quanto possibile la parit� e l'uniformit� dei diritti e degli 
obblighi che derivano dalla Convenzione per gli Stati contraenti e per le 
persone interessate, evitare d'interpretare la suddetta nozione come un 
semplice rinvio al diritto nazionale di questo o quello Stato interessato. 

644 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

10. -Di conseguenza, e come peraltro la Corte ha affermato per 
motivi analoghi a proposito della nozione � esercizio di una succursale, 
di un'agenzia o di qualsiasi altra filiale� di cui aH'art. 5, punto 5�, della 
Convenzione (sentenza 22 novembre 1978, causa 33/78, Somafer c/ SaarFerngas 
AG, Racc. pag. 2183), la nozione di materia contrattuale va considerata 
come una nozione autonoma che dev'essere interpretata, ai 
fini dell'applicazione della Convenzione, riferendosi principalmente al 
sistema e agli. scopi della Convenzione stessa onde garantire la piena 
efficacia di questa. 
11. -Sotto questo profilo va rilevato che l'art. 5 contempla vari fori 
speciali con facolt� di scelta per l'attore in considerazione del fatto che 
esiste, in taluni casi ben determinati, un collegamento particolarmente 
stretto tra una data controversia e il giudice che pu� essere adito, circostanza 
rilevante ai fini dell'economia processuale. 
12. -Cos�, con la designazione, nell'art. 5, punto 1�, della Convenzione, 
del giudice del luogo lin cui l'obbligazione contrattuale � stata o dev'essere 
adempiuta si � voluto far s� che, in ragione degli stretti legami creati da 
un contratto tra le parti contraenti, tutti i problemi che possono sorgere 
~n occasione dell'adempimento di una obbligazlione contrattuale possano 
essere sottoposti allo stesso giudice: quello del luogo dell'adempimento. 
13. -A questo proposito, si pu� affermare che l'adesione ad una associazione 
crea tra gli associati stretti vincoli dello stesso tipo di quelli 
che esistono tra le parti di un contratto e che, di conseguenza, per l'applicazione 
dell'art. 5, punto 1�, della Convenzione, � lecito considerare contrattuali 
le obbligazioni cui si riferisce il giudice di rinvio. 
14. -Poich� la maggior parte degli ord~namenti giuridici nazionali 
designano il Iuogo in cui l'associazione ha sede come luogo dell'adempimento 
delle obbligazioni risultanti dall'atto di adesione all'associazione 
stessa, l'applicazione dell'art. 5, punto l�, della Convenzione presenta inoltre 
vantaggi pratici: infatti, il giudice del luogo in cui ha sede l'associazione 
�, di regola, quello che pi� � ~n grado di comprendere lo statuto, 
i regolamenti e le delibere dell'associazione, nonch� le circostanze relative 
al sorgere della controversia. 
15. -In base a quanto precede, la prima questione va risolta nel 
senso che le obbligazioni aventi ad oggetto il versamento di una somma 
di denaro e che hanno il loro fondamento nel rapporto di affiliazione 
esistente tra un'associazione e i suoi membri devtmo essere considerate 
rientranti nella �materia contrattuale� ai sensi dell'art. 5, punto 1�, 
della Convenzione. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

IL Sulla seconda questione. 

16. -Il giudice nazionale chiede alla Corte di precisare se, per stabilire 
se un'obbligazione di un membro nei confronti di un'associazione 
rientri o no nella �materia contrattuale� si debba fare una distinzione 
a seconda che l'obbligazione di cui trattasi derivi direttamente dall'adesione 
oppure ad un tempo da questa e da una delibera di un organo 
dell'associazione. 
17. -� importante osservare che la moltiplicazione dei criteri di 
competenza per lo stesso tipo di controversie non � atta a favorire la 
certezza del diritto e l'efficacia della tutela giurisdizionale nell'msieme dei 
territori che costituiscono la Comunit�. Pertanto, Ie disposizioni della 
Convenzione devono essere interpretate in modo che il giudice adito non 
sia mdotto a dichiararsi competente a statuire su talune domande, ma 
incompetente a conoscere di altre domande, pure molto affini. Il rispetto 
degli scopi e dello spirito della Convenzione esige inoltre un'interpretazione 
dell'art. 5 della stessa che consenta al giudice nazionale di pronunziarsi 
sulla propria competenza senza dover procedere all'esame del 
merito della causa. 
18. -Per questi motivi, la seconda questione dev'essere risolta nel 
senso che il fatto che l'obbligazione controversa derivi direttamente dall'adesione 
oppure ad un tempo da questa e da una delibera di un organo 
dell'associazione non ha alcuna influenza sull'applicazione dell'art. 5, 
punto 1�, della Convenzione ad una causa relativa alla suddetta obbligazione. 
(omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 20 aprile 1983, 
nella causa 59/82 -Pres. f.f. Pescatore -Avv. Gen. Mancini. Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgericht di Monaco di 
Baviera nella causa Schlitzverband gegen Unwesen i.d. Wirtschaft c. 
Weinvertriebs GmbH -Interv.: Governi francese (ag. Prevel) e italiano 
(avv. Stato Conti) e Commissione delle C.E. (ag. Wagenbaur). 

Comunit� europee -Unione doganale -Libera circolazione delle merci Misure 
d'effetto equivalente a restrizioni all'importazione -Vermut(
Trattato CEE, art. 30; decreto legge 11 gennaio �956, n. 3, conv. in legge 16 marzo 1956, 

n. 108, artt. 7 e 20). 
Va considerato come misura d'effetto equivalente ad una restrizione 
quantitativa vietata dall'art. 30 del Trattato il divieto d'importare vermut 
la cui gradazione alcoolica � inferiore al minimo prescritto nello Stato 


646 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

membro esportatore, per la commercializzazione sul mercato interno, 
quando detto minimo non � prescritto per la commercializzazione del 
vermut prodotto nello Stato membro importatore (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 20 gennaio 1982, pervenuta in cancelleria 
1'11 febbraio successivo, il Landgericht di Monaco ha sottoposto a 
questa Corte, in forza dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali 
vertenti sull'<interipretazione degli artt. 30 e segg. del Trattato, 
onde esser posto in grado di valutare fa compatibilit� col diritto comunitario 
di una disposizione legislativa tedesca riguardante la commercializzazione 
nella Repubblica federale di Germania di bevande a base di 
vino prodotte all'estero (art. 32, 1� comma, della legge sul vino 
(Weingesetz) 14 luglio 1971, Bundegesetzblatt 1971, n. 63, pag. 893). 

2. -Le suddette questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia 
fra lo Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft -in 
(1) La Corte ha condiviso la tesi sostenuta dal Governo italiano nella memoria 
che si trascrive. 
Requisiti di commercializzazione e misure di effetto equivalente a restrizioni 
all'importazione ai sensi dell'art. 30 del Trattato CEE. 
(omissis) 2. -Come risulta dall'ordinanza, la causa principale ha ad oggetto 
una domanda di inibitoria a distribuire nel territorio della Repubblica federale 
di Germania vermut italiano di gradazione alcolica inferiore a 16�. 

La legge italiana (art. 7 del d.I. 11 gennaio 1956, n. 3, convertito nella legge 
16 marzo 1956, n. 108) dispone che nei vini aromatizzati il contenuto effettivo 
di alcool deve essere non inferiore al 16% in volume. Le autorit� competenti 
possono, per�, consentire la preparazione di vini aromatizzati destinati all'esportazione 
in difformit� delle norme vigenti per il mercato interno, purch� in modo 
rispondente alla legislazione del Paese di destinazione (art. 20 del d.I. 3/56). 

La legge tedesca, per parte sua, non prescrive alcuna gradazione alcolica 
minima per i vermut nazionali. Per i vermouth prodotti all'estero (come anche 
per le altre bevande a base di vino), dispone che essi possono essere importati 
soltanto a condizione che la loro fabbricazione sia stata effettuata conformemente 
alle norme in vigore nello Stato di esportazione e che essi siano idonei 
ad essere ivi immessi sul mercato. 

In tale contesto, il Landgericht, prima di pronunciarsi sull'interpretazione 
della normativa tedesca, ritiene importante stabilire se il vietare l'importazione 
di merci legittimamente prodotte in un altro Stato membro ai fini 
dell'esportazione, ma non commerciabili nel loro paese d'origine, costituisca una 
restrizione quantitativa ovvero una misura di effetto equivalente, ai sensi. 
degli artt. 30 e segg. del Trattato CEE. 

Il Governo italiano ritiene che a tale quesito debba darsi risposta positiva. 

3. -Secondo la costante giurisprudenza della Corte, rientra nel divieto 
di cui all'art. 30 del Trattato CEE qualsiasi provvedimento che possa intralciare, 
direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio intracomunitario 
(cfr., per tutte, la sentenza 15 dicembre 1976, causa 41/76, Denkerwolcke, 
in Racc. 1976, p. 1921). 
Alla luce di questa giurisprudenza, deve affermarsi senz'altro che cade 
sotto il divieto dell'art. 30 una misura statale del tipo di quella ipotizzata 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 647 

prosieguo � lo Schutzverband � -, attore nella causa principale e la 
Weinvertriebs-GmbH, in merito al divieto di porre in commercio, nel territorio 
della Repubblica federale di Germania, un vermut italiano avente 
titolo alcolometrico inferiore a 16� in volume. 

3. -A norma della legge italiana (art. 7 del decreto legge 11 gennaio 
1956, GURI n. 14, del 18 gennaio 1956, convertito nella legge 16 marzo 
1956, n. 108), la gradazione del vermut che � ammessa sul mercato 
in Italia dev'essere almeno di 16� in volume; in via eccezionale, � tuttavia 
ammessa la produzione in Italia di vermut avente gradazione alcolica 
inferiore a 16�, purch� il prodotto sia destinato all'esportazione e sia 
conforme alle norme del paese di destinazione. 
4. -La legge tedesca sul vino non stabilisce alcun limite minimo 
concernente la gradazione alcolica del vermut; tuttavia, all'art. 32, n. 1, 
essa dispone che: 
�Le bevande a base di vino prodotte all'estero (bevande a base di 
vino di provenienza straniera) possono essere importate soltanto a con


nell'ordinanza di rinvio. Non vi pu� esser dubbio, infatti, che il divieto di 
importare i prodotti provenienti da un altro Stato membro, nonostante la 
loro perfetta �conformit� alla disciplina interna, costituisca una misura apertamente 
e direttamente contraria ai principi della libera circolazione delle 
merci. 

In mancanza di norme comuni o uniformi, spetta certamente agli Stati 
membri disciplinare, ciascuno nell'ambito del suo territorio, tutto ci� che 
riguarda le caratteristiche di composizione, le modalit� di produzione e di 
smercio dei vari prodotti. Ma � evidente che, nell'esercizio di questa competenza, 
gli Stati membri non possono prescrivere requisiti diversi per la 
commercializzazione dei prodotti nazionali e di quelli provenienti dagli altri 
Stati membri. Una simile discriminazione non potrebbe, infatti, non realizzare, 
in ogni caso, una tipica forma di �restrizione quantitativa all'importazione
�, o, almeno, di �misura di effetto equivalente�, ai sensi dell'art. 30 
del Trattato CEE. 

Ci� risulta, con molta chiarezza, anche dalla direttiva della Commissione 
del 22 dicembre 1969 (n. 70/50/CEE, in G.U.C.E., 1970, n. I. 13, pag. 29), 
nella quale esattamente si osserva che le misure di commercializzazione applicabili 
soltanto alle merci importate � rendono le importazioni vuoi impossibili 
vuoi pi� difficili o onerose dello smercio della produzione nazionale � (4� e 5� 
considerando). Esse, perci�, vanno considerate, in s� e per s�, senza necessit� 
di alcuna ulteriore indagine sugli scopi perseguiti e sugli effetti prodotti, 
come misure assolutamente vietate dall'art. 30. Ci� vale, in particolare, per 
� le misure che subordinano l'importazione o lo smercio dei prodotti importati 
ad ogni stadio di commercializzazione, ad una condizione richiesta per i soli 
prodotti importati o ad una condizione diversa e pi� difficile rispetto a 
quella richiesta per i prodotti nazionali� (art. 2, par. 2). E la direttiva 
precisa anche che sono da annoverare fra le misure di questo genere quelle 
che � impongono condizioni, concernenti in particolare... la composizione... dei 
soli prodotti importati oppure condizioni differenti e pi� difficili per i pro


5 



648 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
dizione che l'intera fabbricazione sia stata effettuata nello Stato dnteres� 
sato conformemente alle disposizioni ivi in vigore e che il prodotto sia 
idoneo ad essere ivi messo sul mercato per essere consumato tale e 
quale... �. 
5. -Poich� tale ddsposizione induce a vietare le importazioni nella 
Repubblica federale di Germania di un vermut italiano la cui gradazione 
alcolica sia inferiore a 16�, il giudice nazionale ha ritenuto che si dovesse 
accertare se un siffatto divieto costituisca misura d'effetto equivalente 
ad una restrizione quantitativa ai sensi dell'art. 30 del Trattato CEE; di 
conseguenza, esso ha sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte le 
seguenti questioni: 
� 1) Se l'interpretazione di una disposizione di legge dello Stato 
membro A, secondo cui un vermut a base di vino prodotto nello Stato 
membro B non � commerciabile pevch� di gradazione alco1ica legger-
dotti importati rispetto ai prodotti nazionali � (art. 2, par. 3, lett. J), nonch� 
quelle che � prescrivono che i prodotti importati siano, in tutto o in parte, 
conformi ad una regolamentazione diversa da quella del paese importatore � 
(art. 2, par. 3, lett. p). 
t> ben chiaro che fra queste ipotesi espressamente contemplate dalla direttiva 
70/50/CEE rientra esattamente la misura ipotizzata nell'ordinanza di rinvio. 
La sua incompatibilit� con l'art. 30 �, perci�, incontestabile in base ai criteri 
applicativi da tempo codificati e generalmente raccolti. 
4. -Nella presente fattispecie, pertanto, trattandosi di misure applicabili 
ai soli prodotti importati, non vengono in considerazione i delicati problemi 
concernenti l'eventuale incompatibilit� con l'art. 30 di discipline nazionali di 
commercializzazione applicabili indistintamente ai prodotti nazionali e importati 
(tali problemi, com'� noto, sono stati esaminati dalla Corte nelle sentenze: 
20 febbraio 1979, causa n. 120/78, Rewe, in Racc., 1979, pag. 649; 26 giugno 1980, 
causa n. 788/79, Gilli, in Racc., 1980, pag. 2071; 19 febbraio 1981, causa n. 130/80, 
KEL!JERMAN, inedita; 9 dicembre 1981, causa n. 193/80, Commissione c. Italia, 
inedita). 
La situazione � ben diversa: la norma ipotizzata nelFordinanza di rinvio non 
stabilisce determinati requisiti indifferentemente validi per tutti i prodotti di 
una determinata specie (vermut a base di vino), nazionali o importati che 
siano. Essa, invece, consente, da un lato, la libera commercializzazione, all'interno 
della Repubblica federale di Germania, dei vermut nazionali (o importati 
da Paesi diversi dall'Italia), qualunque sia la loro gradazione (purch� inferiore 
a 18�), e vieta, dall'altro, la commercializzazione del solo vermut proveniente 
dall'Italia che abbia una gradazione inferiore a 16�. 
L'esistenza di una discriminazione arbitraria, e, quindi, di un'illecita restriuone 
alle importazioni,. non potrebbe essere pi� chiara. L'incompatibilit� della 
misura ipotizzata con gli artt. 30 e segg. del Trattato CEE dev'essere, perci�. 
affermata in maniera del tutto incondizionata, senza che possano neppure 
ipotizzarsi limitazioni o eccezioni del tipo di quelle che, forse, vanno introdotte 
laddove si tratti di misure indistintamente applicabili ai prodotti nazionali 
e a quelli importati. i' ti: 
1'
!: 
~: 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 649 

mente inferiore a quella minima prescritta dalla legislazione dello Stato 
membro B, sia conforme agli artt. 30 e segg. del Trattato CEE, anche 
qualora nello Stato membro A non ,sia prescritta la gradazione alcolica 
minima per il vermut a base di vino nazionale, con la conseguenza che 
il vermut, se venisse prodotto nello Stato membro A, sarebbe senz'altro 
commerciabile in questo Stato. 

Nel caso di soluzione affermativa della prima questione: 
2) Se questa compatibilit� con gli artt. 30 e segg. del Trattato CEE 
sussista anche qualora le disposizioni nazionali dello Stato membro B 
stabiliscano che il vermut a base di vino non dev'essere conforme alle 
norme narionahl deliJ.o sitesso Stato, relaitiive ailila ~on.e ailcolica 
minima, nel caso in cui sia prodotto per essere esportato nello Stato 
membro A�. 

6. -Con la prima questione, il giudice nazionale mira ad ottenere 
gli elementi d'interpretazione che gli consentano di stabilire se un divieto 
5. -Occorre chiedersi, per completezza, se un divieto all'importazione 
del tipo di quello ipotizzato nell'ordinanza di rinvio possa, per avventura, esser 
legittimato dall'art. 36 del Trattato, e cio� se esso possa ritenersi giustificato 
�da motivi di moralit� pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, 
di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione 
dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico 
nazionale, o di tutela della propriet� industriale e commerciale �. 
Appare evidente che la risposta a tale quesito dev'essere negativa. 

Esclusa, per ovvie ragioni, la possibilit� di far riferimento a motivi di 
moralit� pubblica, di pubblica sicurezza, di tutela della salute, di protezione 
del patrimonio artistico e di tutela della propriet� industriale, restano da 
considerare i motivi attinenti all'� ordine pubblico�. Ma anche a voler ammettere 
che la nozione di ordine pubblico possa essere estesa fino a comprendervi 
la tutela dei consumatori contro le frodi e la repressione della concorrenza 
sleale (cfr., in proposito, le conclusioni dell'Avvocato Generale Capotorti nella 
causa 120/78, in Racc., 1979, pag. 666 e segg.), appare evidente che un divieto 
come quello ipotizzato nell'ordinanza di rinvio non pu� aver nulla a che fare 
neppure con queste finalit�. 

Per quanto riguarda la tutela della lealt� e dell'equit� nei rapporti con


correnziali, va osservato, anzi, che � proprio la prescrizione di un requisito 

di gradazione minima per i soli prodotti provenienti da un determinato Paese 

che rende impossibile lo svolgimento di una normale concorrenza. La pos


sibilit� di diminuire la gradazione alcolica garantisce, infatti, un evidente 

vantaggio concorrenziale ai prodotti nazionali rispetto alle bevande importate, 

obbligate ad attenersi alla gradazione pi� elevata, dato che l'alcool costituisce, 

nella composizione delle bevande, l'elemento di gran lunga pi� costoso, in 

considerazione, soprattutto, del notevole onere fiscale cui � soggetto. 

L'equit� nei rapporti di concorrenza nell'ambito del mercato tedesco sarebbe, 
perci�, gravemente violata a danno dei prodotti italiani se questi, e solo 
questi, fossero obbligati a rispettare onerose condizioni di commercializzazione, 
dall'osservanza delle quali, invece, sarebbero esenti i prodotti nazionali e 
quelli importati da altri Paesi. 



650 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d'importare vermut la cui gradazione alcolica sia inferiore al minimo prescritto 
nello Stato membro esportatore per la commercializzazione sul 
mercato interno, mentre tale minimo non � prescritto per la commercializzazione 
del vermut prodotto nello Stato membro importatore, rientri 

o no nella categoria delle restrizioni quantitative all'importazione o misure 
d'effetto equivalente cli cui all'art. 30 del Trattato CEE. 
7. -Dal dibattito svoltosi �dinanzi alla Corte risulta -e ci� non viene 
contestato dall'attore nella causa principale -che una norma dello Stato 
importatore, e la quale imponga d� fatto una gradazione alcolica minima 
per il solo vermut importato impedisce la commercializzazione di un 
prodotto lecitamente fabbricato nello Stato membro esportatore, quando 
non pone alcuna condizione relativa alla gradazione alcolica minima per 
la messa in commercio cli prodotti nazionali analoghi. 
8. -Una siffatta disposizione, in quanto riguarda soltanto prodotti 
importati, ha quindi carattere discriminatorio. 
Quanto, poi, alla tutela dei consumatori, � ancor pi� evidente che essa � 
completamente estranea al tema in discussione. 

La determinazione di requisiti di composizione dei vari prodotti, e cos� 
anche la fissazione di valori-limite in materia di gradazione alcolica delle 
bevande, pu� certamente servire alla standardizzazione delle merci poste in 
commercio e delle loro denominazioni, nell'interesse di una maggior trasparenza 
dei negozi commerciali e delle offerte al pubblico (sentenza 20 febbraio 1979, 
causa n. 120/78, Rewe, par. 13). Ma ci� presuppone, ovviamente, che i requisiti 
prescritti valgano indifferentemente per tutti i prodotti, senza alcun riguardo 
alla loro origine. La determinazione di requisiti diversi per i prodotti interni 
e per quelli importati non potrebbe, invece, trovare giustificazione alcuna 
dal punto di vista della tutela dei consumatori. 

E ci� a prescindere dalla considerazione che, comunque, la fissazione di 
valori-limite in materia di gradazione alcolica non pu� mai considerarsi come 
una garanzia sostanziale e indispensabile della lealt� dei negozi commerciali, 
dal momento che � facile garantire l'adeguata informazione dell'acquirente 
rendendo semplicemente obbligatoria l'indicazione della gradazione alcolica sull'etichetta 
(cfr. sentenza citata). 

Appare incontestabile, in conclusione, che una misura restrittiva come 
quella ipotizzata nell'ordinanza di rinvio non pu� avere altro scopo ed altro 
effetto pratico che quello di garantire un vantaggio ai prodotti nazionali, 
allontanando i prodotti provenienti da un determinato Paese (l'Italia) o rendendoli 
meno competitivi attraverso l'imposizione di requisiti di commercializzazione 
pi� onerosi. L'incompatibilit� di una simile misura con gli artt. 30 
e segg. del Trattato CEE non pu�, perci�, essere negata. 

_6. -� appena il caso di aggiungere, infine, che la conclusione raggiunta 
non pu� certamente mutare in considerazione della circostanza che i requisiti 
di commercializzazione imposti al solo prodotto importato (vermut italiano) 
ricalchino quelli valevoli nell'ambito del mercato di origine del prodotto stesso. 

Come si � gi� detto, in mancanza di una normativa comune in materia 
di produzione e di commercio dell'alcool, spetta agli Stati membri disciplinare 

~ 

'~j 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 651 

9. -Questa conclusione non � inficiata dal fatto che la normativa di 
cui trattasi fac;cia rinvio alle norme di produzione dello Stato membro 
esportatore, poich� il carattere discriminatorio pu� essere constatato soltanto 
in funzione della normativa dello Stato in cui il prodotto viene 
messo in commercio, cio� dello Stato membro importatore. 
10. -Lo Schutzverband ha tuttavia sostenuto che detta normativa � 
giustificata in quanto i consumatori tedeschi, ed .in particolare quelli, 
assai numerosi, che si recano ogni anno in Italia, danno per scontato che 
un vermut italiano, messo in commercio nella Repubblica federale di 
Germania, sia identico al vermut messo in commercio in Italia, e sono 
conseguentemente indotti in errore da un vermut italiano la cui gradazione 
alcolica in volume � inferiore a quella dello stesso vermut ch'essi 
hanno consumato in Italia. 
11. -Bench� fa Corte abbia ripetutamente dichiarato, a partire dalla 
sentenza 20 febbraio 1979 (causa 120/1978, Rewe, Racc. pag. 649), che in 
particolare la tutela dei consumatori pu� giustificare ostacoli alla libera 
ciascuno nel suo territorio, tutto ci� che riguarda la produzione e il commercio 
delle bevande alcoliche. 

Ci� comporta che ogni disciplina nazionale deve essere valutata per s�, 
isolatamente, e che, nel suo ambito di applicazione, tutti i prodotti, quale che 
sia la loro provenienza, devono esser trattati allo stesso modo. Qualunque 
discriminazione non potrebbe che apparire arbitraria, nel senso indicato dall'art. 
36 del Trattato. 

In particolare, del tutto arbitraria sarebbe una discriminazione che pretendesse 
di fondarsi su una specie di indebita estensione, al di l� dei suoi 
limiti spaziali, della disciplina vigente nel mercato di origine dei vari prodotti. 
La circostanza che i produttori italiani di vermouth siano obbligati ad attenersi 
a determinate specifiche tecniche (gradazione minima di 16�) per commercializzare 
il loro prodotto in Italia non costituisce affatto una buona ragione 
per imporre loro lo stesso onere anche nell'ambito di un ordinamento diverso, 
nel quale quelle specifiche non valgono n� per i prodotti nazionali, n� per 
quelli importati da altri Paesi. 

Che, insomma, in materia di requisiti di commercializzazione sia lecito 
introdurre, allo stadio attuale di evoluzione del diritto comunitario, una specie 
di principio � del Paese di origine�, � un'ipotesi da scartare nettamente, in 
quanto contraria al chiaro disposto dell'art. 30 ed alle evidenti esigenze della 
parit� di trattamento di tutti i prodotti degli Stati membri nell'ambito di 
ciascuno degli ordinamenti degli Stati stessi, anche prima della loro completa 
armonizzazione. 

In tal senso � chiaramente orientata anche la direttiva n. 70/50/CEE, che, 
come si � gi� �ricordato, comprende espressamente fra le misure d'effetto equivalente 
a restrizioni quantitative quelle che � prescrivono che i prodotti importati 
siano, in tutto o in parte, conformi ad una regolamentazione diversa 
<la quella del paese importatore� (art. 2, par. 3, lett. p). Solo la prescrizione 
che le merci importate siano conformi alla disciplina commerciale e tecnica 
del Paese di destinazione pu�, infatti, ritenersi giustificata in base ai principi 



652 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

circolazione delle merci derivanti da disparit� delle normative nazionali, 
il carattere discriminatorio della normativa di cui � causa esclude tuttavia 
.J'applicazione di detto criterio, il quale riguarda unicamente le disposizioni 
delle legislazioni che disciplinano in modo uniforme la commercializzazione 
dei prodotti nazionali e dei prodotti importati. Di conseguenza, 
nella fattispecie, la giustificazione fondata sulla tutela dei consumatori non 
pu� essere ammessa nell'ambito dell'art. 30, poich� la stessa tutela non 
� garantita rper quanto riguarda la produzione nazionale. 

12. -La prima questione pregiudiziale va quindi risolta nel senso che 
va considerato come misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa 
vietata dall'art. 30 del Trattato il divieto d'importare vermut la 
cui gradazione alcolica � inferiore al minimo prescritto nello Stato membro 
esportatore, per la commercializzazione sul mercato interno, quando 
detto minimo non � prescritto per la commercializzazione del vermut 
prodotto nello Stato membro importatore. 
13. -Stando cos� le cose, non � necessario risolvere la seconda questione. 
(omissis) 
della libera circolazione. Non cos�, invece, una prescnz1one che pretendesse 
di imporre l'osservanza di una disciplina diversa, sia pure quella vigente nel 
Paese di origine. 

N� la misura discriminatoria in discussione potrebbe giustificarsi, nella 

specie, in base alla esigenza di impedire lo smercio di prodotti fabbricati 
illecitamente. In base alla legge italiana, infatti, la produzione di vermouth per 
l'esportazione a gradazione inferiore a 16� � (se autorizzata e controllata) 
perfettamente legittima. Neppure sotto questo aspetto, perci�, il prodotto, legittimamente 
ottenuto, potrebbe essere lecitamente discriminato. 

7. -Da quanto si � detto consegue che il par. 32, 1� comma, della legge 
tedesca sul vino potrebbe essere ritenuto compatibile con gli artt. 30 e segg. 
del Trattato CEE soltanto se fosse interpretato nel senso che non possa essere 
mai vietata l'importazione di prodotti fabbricati conformemente alle norme 
in vigore nel Paese d'origine, e ci� anche se queste norme prevedano requisiti 
diversi per i prodotti destinati all'esportazione e per quelli destinati al 
mercato interno. L'osservanza della disciplina stabilita per i prodotti destinati 
all'esportazione, anche se essa non sia sufficiente per rendere i prodotti stessi 
commerciabili anche nel Paese d'origine, deve, infatti, considerarsi in ogni caso 
sufficiente ad escludere ogni potere del Paese di destinazione di vietarne l'importazione 
a causa di pretese irregolarit� nella fabbricazione. Solo se interpretato 
conformemente a questo principio, il par. 32 potrebbe, perci�, ritenersi 
compatibile con il diritto comunitario. 
8. -Il Governo italiano ritiene, pertanto, che ai quesiti posti dal Lanct 
gericht Miinchen I debba darsi risposta nel senso che non � compatibile con 
gli artt. 30 e segg. del Trattato CEE la prescrizione, per i prodotti importati, 
di requisiti di commercializzazione diversi e pi� onerosi di quelli valevoli 
per i prodotti nazionali; e ci� anche nel caso in cui tali requisiti ricalchino 
quelli valevoli nel Paese d'origine dei prodotti importati. 
MARCELLO CONTI 

t 

_....,~........,..,J 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 653 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, III Sezione, 5 
maggio 1983, nella causa 139/1982 -Pres. Everling -Avv. Gen. Mancini 
-Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di 
Cassazione italiana nella: causa Piscitello c. I.N.P.S. -Interv.: Governi 
britannico (ag. Dagtoglou e Knorpel) e italiano (avv. Stato 
Ferri) e Commissione della CEE (ag. Montalto). 

Comunit� .europee -Libera circolazione delle persone -Previdenza sociale 
-Pensione sociale -Ambito della disciplina. 
(Trattato CEE, art. 51; regolamento CEE del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, art. 4; 
Costituzione, art. 38; legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 26). 

Comunit� europee -Libera circolazione delle persone -Previdenza so


ciale -Pensione sociale -Revoca delle clausole di residenza. 

(Trattato CEE, art. 51; regolamento CEE del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, art. 10; 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 26). 

Una pensione come la pensione sociale contemplata dall'art. 26 della 
legge italiana 30 aprile 1969, n. 153, che, da un lato, attribuisce ai beneficiari 
una posizione giuridica ben .definita, prescindendo da qualsiasi 
valutazione individuale e discrezionale delle esigenze o delle situazioni 
personali e, dall'altro, pu� garantire un reddito complementare ai beneficiari 
di prestazioni di previdenza sociale rientra, in via di principio, nella 
previdenza sociale ai sensi dell'art. 51 del Trattato e non rientra nei casi 
di esclusione previsti dall'art. 4, n. 4, del regolamento n. 1408/71 (1). 

Una pensione del n�po di quella contemplata dall'art. 26 della legge 
italiana 30 aprile 1969, n. 153, viene versata, alle condizioni e sulla base di 
criteri obiettivi definiti da detta legge, a cittadini anziani, allo scopo di 
garantire loro un minimo di mezzi di sussistenza. Una pensione del genere 
deve pertanto essere equiparata ad una prestazione di vecchiaia ai 
sensi dell'art. 4, n. 1, lett. e), del regolamento n. 1408/71. Essa rientra 
quindi nelle prestazioni di cui all'art. 10, n. l, primo comma, del precitato 
regolamento n. 1408/71. Poich� questo regolamento non contiene disposizioni 
speciali concernenti questa pensione, si deve ammettere che 
la revoca delle clausole di residenza stabilita dall'art. 10, n. 1, dello stesso 
regolamento riguarda anche tale prestazione (2). 

(1-2) La distinzione fra previdenza sociale e assistenza sociale �, in linea 
di principio, sufficientemente chiara. La previdenza mira a garantire i lavoratori 
contro il rischio del verificarsi di eventi ben delimitati e tipizzati 
(malattie, invalidit�, vecchiaia, infortuni, ecc.). Le prestazioni di assistenza tendono, 
invece, a soccorrere chiunque si trovi in stato di bisogno, quale che 
ne sia la causa o l'origine. 

Come ha osservato la Corte sin dalla sentenza 22 giugno 1972, nella causa 
1/72, FRILLI, in Racc., 1972, pag. 457, taluni regimi nazionali, in ragione del 



654 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA ni;;LLO STATO 

(omissis) 1. -Con 011dinanza 14 gennaio 1982, pervenuta al.la Corte il 
30 aprile seguente, la Corte di Cassazione ha proposto, in forza dell'art. 
177 del Trattato CEE, una domanda di pronunzia pregiudiziale vertente 
sull'interpretazione dell'art. 10 del regolamento del Consiglio 14 giugno 

1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di previdenza sociale ai 
lavoratori subordinati ed ai loro familiari che si spostano all'interno della 
Comunit� (G.U. n. L 149, pag. 2). 

2. -Le questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia 
tra la sig.ra Piscitello e l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale 
(INPS). 
3. -La Piscitello, cittadina italiana, fruiva, dal 1� gennaio 1973, della 
pensione sociale contemplata dall'art. 26 della ilegge 30 aprile 1969, n. 153. 
In forza di tale norma, la pensione sociale spetta ai cittadini italiani ultrasessantacinquenni, 
residenti nel territorio nazionale, il cui reddito annuale, 
cumulato, se essi sono coniugati, con quello del coniuge, sia inferiore 
agli importi stabiliti dalla legge. 
4. -La legge italiana 30 aprile 1969, n. 153, attribuisce agli interessati 
-se possiedono i requisiti da essa contemplati -diritti indipendenti da 
qualunque valutazione discrezionale della loro situazione personale e del 
loro stato di indigenza. La pensione sociale � concessa automaticamente 
a qualsiasi cittadino italiano che abbia compiuto sessantacinque anni, 
che non fruisca di altre prestazioni di previdenza o di assistenza sociale, 
e che, tenuto conto della sua situazione fiscale, non goda di redditi 
sufficienti per provvedere ai suoi bisogni vitali. Se l'interessato percepisce 
redditi da altra fonte, l'importo della pensione sociale viene ridotto. 
campo di applicazione soggettivo, degli scopi perseguiti o delle modalit� di 
attuazione, sfuggono alla rigida distinzione fra le due categorie della previdenza 
e della assistenza. Essi, infatti, presentanq caratteristiche tali da farli rientrare 
al tempo stesso nell'una e nell'altra categoria. 

Si tratta, in particolare, di alcuni regimi, che tendono ad assicurare un 
reddito minimo agli anziani o agli invalidi e che sono strutturati in maniera 
tale da assolvere, in pratica, alla duplice funzione, sia di garantire un minimo .~ 
di mezzi di sussistenza a persone che non siano affatto coperte dal sistema 
della previdenza sociale, sia di assicurare un reddito complementare ai beneficiari 
di prestazioni previdenziali insufficienti. 

In questi casi non sembra possibile inquadrare in maniera univoca e 
assoluta il regime considerato nell'ambito della previdenza sociale o in quello 
dell'assistenza. Si dovrebbe, invece, distinguere a seconda del beneficiario della 
prestazione e della funzione in concreto assolta da quest'ultima. Se il beneficiario 
fosse un lavoratore subordinato o un soggetto assimilato e se la 
prestazione di cui si tratta servisse ad integrare altre prestazioni previdenziali 
insufficienti, potrebbero ritenersi applicabili l'art. 51 del trattato CEE 
e le relative norme di attuazione. In ogni altro caso, invece, le prestazioni 
rientranti nei regimi in considerazione non potrebbero qualificarsi come pre



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 655 

5. � Con decisione 26 giugno 1976 dell'INPS, avente effetto dal 1� aprile 
1975, la Piscitello veniva privata della pensione sociale poich�, avendo 
trasferito in quest'ultima data la sua residenza in Belgio, presso un suo 
familiare, non possedeva pi� tutti i requisiti stabiliti dall'art. 26 della 
fogge suddetta. 
6. -La Piscitello proponeva ricorso contro tale decisione dinanzi al 
pretore di Enna, in appello dinanzi �al Tribunale di Enna, e infine dinanzi 
alla Corte di Cassazione, che ha sollevato la seguente questione pregiudiziale: 
�Se per effetto della "revoca delle clausole di residenza", stabilita 
dall'art. 10 del regolamento comunitario 14 giugno 1971, n. 1408, debba 
ritenersi abrogato il disposto di cui all'art. 26 della legge 30 aprile 1969, 

n. 153, in base al quale la concessione e la fruizione della pensione sociale 
sono condizionate alla residenza del cittadino italiano nel territorio nazionale, 
e se, di conseguenza, tale pensione possa, o non subire sospensione 
o soppressione per il fatto che il beneficiario trasferisca la propria residenza 
nel territorio di un altro degli Stati membri: e ci�, avuto riguardo, 
da un canto alla natura assistenziale (cfr. sentenza 15 dicembre 1980, n. 157, 
della Corte costituzionale) della pensione sociale e, dall'altro, alla sua 
connotazione di prestazione di vecchiaia, nonch� alla disposizione di cui 
all'art. 4, primo comma, del regolamento comunitario n. 1408/71, secondo 
la quale il medesimo regolamento " si applica a tutte le legislazioni relative 
ai settori di sicurezza sociale riguardanti le prestazioni di vecchiaia " �. 
stazioni previdenziali e ad esse non potrebbe applicarsi la richiamata disciplina 
comunitaria. 

E cos�, se anche la legislazione italiana in questione rientrasse nelle normative 
a duplice funzione, occorrerebbe verificare la reale funzione della 
pensione sociale in concreto corrisposta. E in tanto si potrebbe parlare di 
prestazione previdenziale rientrante nel campo di applicazione dell'art. 51 del 
trattato, in quanto essa fosse attribuita ai soggetti contemplati dal regolamento 
1408/7<1, e cio� ai lavoratori subordinati o ai loro familiari. 

Sembra che questo aspetto non sia stato sufficientemente approfondito 
dalla Corte, la quale ha ritenuto in assoluto che la pensione sociale prevista 
dalla legislazione italiana rientra nel campo di applicazione dell'art. 51 del 
trattato, per il fatto che �attribuisce ai beneficiari una posizione giuridica 
ben definita, prescindendo da qualsiasi valqtazione individuale e discrezionale 
delle esigenze o delle situazioni personali� 'e �pu� garantire un reddito complementare 
ai beneficiari di prestazioni previdenziali "� 

Sul problema dei limiti in cui prestazioni �previdenziali rientrino nell'ambito 
di applicazione dei regolamenti comunitari, cfr., oltre la sentenza 22 
giugno 1972 sopracitata, le seguenti altre pronunzie della Corte di giustizia: 
28 maggio 1974, nella causa 187/73, CALLEYMEN, in Racc., 1974, pag. 553; 9 
ottobre 1974, nella causa 24/74, BIASON, ibidem, pag. 999; 13 novembre 1974, 
nella causa 39/74, COSTA, ibidem, pag. 1251; 17 giugno 1975, nella causa 7 /75, 
FRACAS, ibidem, 1975, pag. 675; 7 dicembre 1976, nella causa 73/76, INZIRILLO, 
ibidem, 1976, pag. 2057. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

7. -Dalla formulazione della questione pregiudiziale proposta risulta 
che la Corte di Cassazione italiana domanda in primo luogo se una 
prestazione quale la pensione sociale italiana rientri nella sfera di applicazione 
ratione materiae del regolamento n. 1408/71 e, in secondo luogo, 
se la revoca delle clausole di residenza di cui all'art. 10, .n. 1, dello 
stesso regolamento riguardi la detta prestazione. 
Sul primo punto. 

8. -Il regolamento n. 1408/71, anorma del suo art. 4, n. 1, lett. e), e 
n. 2, si applica a tutte la legislazioni relative ai settori di previdenza 
sociale riguardanti le prestazioni di vecchiaia, indipendentemente dalla 
circostanza che esse si riferiscano ad un regime contributivo o non contributivo. 
Dall'art. l, lett. t), dello stesso regolamento risulta che il 
termine � prestazioni � designa tutte le prestazioni erogate in base alla 
legislazione degli Stati membri � compresi tutti gli elementi a carico 
dei fondi pubblici�, L'art. 4, n. 4, del regolamento !Il. 1408/71 dispone che 
questo regolamento non si applica � all'assistenza sociale e medica �. 
9. -NeH'ordinanza di rinvio la Corte di Cassazione precisa che la 
pensione sociale contemplata dalla legge 30 aprile 1969, n. 153, ha, 
in base al diritto italiano, come risulta dalla sentenza della Corte costituzionale 
15 dicembre 1980, n. 157, natura assistenziale. Tale circostanza, 
per�, come rileva la stessa Corte di Cassazione, non � di per 
s� sola determinante per escludere, con riguardo al diritto comunitario, 
questa prestazione dalla sfera di applicazione ratione materiae del regolamento 
n. 1408/71. 
10. -Come la Corte ha dichiarato nella sentenza 6 luglio 1978, 
emessa nella causa Gillard (9/78, Racc. pag. 1661), fa distinzione fra 
prestazioni escluse dalla sfera di applicazione del regolamento n. 1408/71 
e prestatloni che vi rientrano si basa essenzialmente sugli elementi costitutivi 
di ciascuna prestazione, ed in particolare sui suoi scopi e sui criteri 
per la sua attribuzione. 
11. -Bisogna osservare, in primo luogo, che una normativa quale la 
legge italiana 30 aprile 1969, n. 153, anche se, per talune sue caratteristiche, 
� affine alle norme sull'assistenza sociale -tenuto conto in particolare 
del fatto ch'essa considera :lo stato di bisogno come criterio essenziale 
di applicazione e prescinde da qualsiasi requisito relativo a periodi di 
attivit� lavorativa, di affiliazione o di contribuzione -si avvicina 
tuttavia alla previdenza sociale in quanto, abbandonata la valutazione 
indiv1duale, caratteristica dell'assistenza, attribuisce ai beneficiari una 
posizione giuridica ben definita, che d� diritto ad una prestazione analoga 
alle prestazioni di vecchiaia menzionate dall'art. 4, n. l, del regolamento 
n. 1408/71. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

12. -In secondo luogo, si deve rilevare che, data l'ampia definizione 
della cerchia di beneficiari, una normativa del genere assolve, in pratica, 
una duplice funzione, consistente nel garantire sia un minimo di mezzi 
di sussistenza a persone che non siano affatto coperte dal sistema 
della previdenza sociale, sia un reddito complementare ai beneficiari di 
prestazioni previdenziali insufficienti. 
13. -Di conseguenza, si deve ammettere che una pensione come 
quella contemplata dall'art. 26 della legge italiana 30 aprile 1%9, !Il. 153, 
che, da un lato, attribuisce ai beneficiari della pensione sociale una posizione 
giuridica ben definita, prescindendo da qualsiasi valutazione dndividuale 
e discrezionale delle esigenze o delle situazioni personali e che, 
dall'altro, pu� garantire un reddito complementare ai beneficiari di prestazioni 
previdenziali, rientra �in via di principio nella previdenza sociale 
ai sensi dell'art. 51 del Trattato e non rientra nei casi di esclusione 
previsti dall'art. 4, n. 4, del regolamento n. 1408/71. 
Sul secondo punto. 

14. -Ai termini dell'art. 10, n. 1, primo comma, del regolamento 
n. 1408/71: 
�Salvo quanto diversamente �disposto dal presente regolamento, 
le prestazioni in danaro per invalidit�, vecchiaia o ai superstiti, le rendite 
per infortunio sul lavoro o di malattia professionale e gli assegni in 
caso di morte, acquisiti in base alle legislazioni di uno o pi� Stati 
membri, non possono subire alcuna riduzione, n� modifica, n� sospensione, 
n� �soppressione, n� confisca per il fatto che il beneficiario risiede 
nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale si trova 
l'istituzione debitrice �. 

15. -Questa disposizione ha lo scopo di favorire la libera circolazione 
dei lavoratori e dei loro familiari, tutelando gli interessati contro gli 
svantaggi che potrebbero derivare dal trasferimento della loro residenza 
da uno Stato membro ad un altro; essa, pertanto, mira a garantire agli 
interessati la conservazione del diritto alle prestazioni, alle rendite e agli 
assegni acquisiti in base alle leggi di uno pi� Stati membri, pur se essi 
risiedono nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale 
si trova l'ente debitore. 
16. -Dalle osservazioni che precedono risulta che una pensione del 
tipo di quella contemplata dall'art. 26 della legge italiana precitata viene 
versata, alle condizioni e sulla base di criteri obiettivi definiti da detta 
legge, a cittadini anziani, allo scopo di garantire loro un minimo di 
sussistenza. Una pensione del genere deve quindi essere equiparata ad 
una prestazione di vecchiaia ai sensi dell'art. 4, n. 1, lett. e), del regola

658 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

mento n. 1408/71. Essa rientra quindi nelle prestazioni di cui all'art. 10, 

n. 1, primo comma, precitato, del regolamento n. 1408/71. Poich� questo 
regolamento :non contiene disposizioni speciali concernenti questa pensione, 
si deve ritenere che la revoca delle clausole di residenza, stabilita 
dall'art. 10, n. 1, dello stesso regolamento, riguarda anche la detta 
prestazione. 
17. � In base alle considerazioni sopra svolte, la questione proposta 
dalla Corte di Cassazione dev'essere risolta come segue: 
1) Una pensione come la pensione sociale contemplata dall'art. 26 
della legge italiana 30 aprile 1969, n. 153, che, da un lato, attribuisce 
ai beneficiari una posizione giuridica ben definita, prescindendo da qualsiasi 
valutazione individuale e discrezionale delle esigenze o delle situazioni 
personali e, dall'altro, pu� garantire un reddito complementare ai 
beneficiari di prestazioni di previdenza sociale rientra, in via di principio, 
nella previdenza sociale ai sensi dell'art. 51 del Trattato e non rientra 
nei casi di esclusione previsti dall'art. 4, n. 4, del regolamento 

n. 
1408/71; 
2) Una pensione del tipo di quella contemplata dall'art. 26 della 
legge italiana precitata viene versata, alle condizioni e sulla base di 
criteri obiettivi definiti da detta legge, a cittadini anziani, allo scopo 
di garantire loro un minimo di mezzi di sussistenza. Una pensione 
del genere deve pertanto essere equiparata ad una prestazione di vecchiaia 
ai sensi dell'art. 4, n. 1, lett. e), del regolamento n. 1408/71. Essa rientra 
quindi nelle prestazioni di cui all'art. 10, n. 1, primo comma, precitato, 
del regolamento n. 1408/71. Poich� questo regolamento non contiene 
disposizioni speciali concernenti questa pensione, si deve ammettere 
che la revoca delle clausole di residenza stabilite dall'art. 10, n. 1 
dello stesso regolamento riguarda anche tale prestazione. (omissis) 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 12 luglio 1983, 
nella causa 170/78 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Verloren 
Van Themaat -Commissione delle C.E. (ag. McClellan) c. Regno unito 
di Gran Bretagna e d'Irlanda del nord (ag. Ricks, avv. Archer Q.C.) lnterv.: 
Governo italiano (avv. Stato Conti). 

Comunit� europee � Unione doganale � Libera circolazione delle merci 
Imposizioni fiscali interne discriminatorie -Trattamento fiscale del 
vino e della birra. 

(Trattato CEE, art. 95). 

Il Regno unito di Gran Bretagna e d'Irlanda del nord, gravando i 
vini leggeri di uve fresche di un'accisa relativamente pi� elevata di 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 659 

quella gravante sulla birra, in rapporto sia al volume che alla gradazione 
alcoolica e al prezza franco dei prodotti, � venuto meno agli obblighi 
impostigli dall'art. 95, secondo comma, del trattato CEE (1). 

(omissis) 1. -Con atto 7 agosto 1978, la Commissione ha proposto, a 
norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far dichiarare 
che il Regno Unito, gravando i vini leggeri di uve fresche (in prosieguo 
�i vini�) di un'accisa relativamente pi� elevata di quella gravante sulla 
birra, � venuto meno agli obblighi impostigli dall'art. 95, secondo comma, 
del Trattato CEE. 

(1) La Corte ha condiviso in larga parte le argomentazioni svolte dalla 
difesa del Governo italiano, intervenuto a sostegno del ricorso proposto dalla 
Commissione, confermando in punto di diritto la linea seguita in precedenti 
pronunzie relative al trattamento fiscale degli alcoli. Cfr., oltre alla sentenza 
interlocutoria 27 febbraio 1980 emessa nella stessa causa (in Racc., 11980, 
pag. 417), quelle in pari data nelle cause 168/78, COMMISSIONE c. FRANCIA, 169/78, 
COMMISSIONE c. ITALIA '(in questa Rassegna, 1980, I, 273, con nota di CONTI, 
relativa ai contrassegni di Stato sui recipienti contenenti acquavite destinata 
alla vendita al minuto); la sentenza 15 luglio 1982, nella causa 216/81, COGIS 
(ibidem, 1982, I, 913), relativa alla sovrimposta di confine e al diritto erariale 
sul whisky importato; la sentenza 15 marzo 1983, nella causa 319/81, COMMISSIONE 
c. ITALIA, (supra, 285), relativa all'I.V.A. sulle acqueviti. 
Le complesse vicende della causa e le questioni dibattute fra le parti 
nelle sue varie fasi sono compiutamente esposte nelle conclusioni dell'avvocato 
generale M. Pieter Verloren Van Themaat, presentate all'udienza del 10 maggio 
1983, che riteniamo opportuno pubblicare integralmente. 

Conclusioni dell'avvocato generale Verloren Van Themaat 
Signor Presidente, signori Giudici, 

1. LO STATO DEL PROCEDIMENTO. 
1.1. -All'ordine del giorno vi � oggi di nuovo la questione se la Commissione 
abbia con ragione concluso nel ricorso del 7 agosto 1978 che l'accisa allora 
riscossa dal Regno Unito sui vini leggeri non spumanti era in contrasto con 
l'art. 95, 2� comma del Trattato CEE. Tale accisa era allora di UKL 3,250 il 
gallone, rispetto ad UKL 0,6084 il gallone per la birra della qualit� corrente 
presa in considerazione. 
1.2. -La data decisiva per la valutazione. -Elemento decisivo per risol� 
vere la questione, in base fra l'altro alla vostra sentenza relativa alla carne 
suina (causa 7 /61, Racc. 1961, pag. 619, primi 7 punti della motivazione) ed 
alla dottrina ad essa afferente, � la situazione esistente al momento della 
proposizione della domanda (v. H. G. ScHERMERS, Judicial Protection in the 
European Communities, seconda edizione, pag. 227, ed H. A. H. AUDRETSCH, 
Supervision in European Community Law, pagg. 29, 36, 38, 40-46). Anche qualora 
lo Stato membro si sia conformato in corso di causa agli obblighi impostigli 
dal Trattato, la Commissione pu�, stando alla suddetta sentenza, conservare un 
interesse � a far accertare in diritto se sia stata effettivamente commessa una 
violazione del Trattato �. Nelle conclusioni per la causa 7/61 (Racc. 1%1, pag. 647) 
l'avvocato generale Lagrange, basandosi fra l'altro sulla lettera dell'art. 171 del 
Trattato, era anch'esso giunto alla conclusione, in una con la Commissione, 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

660 

2. -n 27 febbraio 1980, la Corte ha emesso una sentenza interlocutoria 
(Racc. 1980, pag. 417) con la quale ha, da un lato, deciso su vari 
punti di diritto relativi all'interpretatlone dell'art. 95 e, dall'altro, ha 
esaminato, in via preliminare, talune questioni che, in quel momento, 
non apparivano ancora idonee ad una soluzione definitiva. Pronunziandosi 
prima di decidere sul ricorso proposto daMa Commissione, la Corte 
ha chiesto alle parti di riprendere in esame la questione litigiosa alla 
luce delle considerazioni di cui alla sentenza e di riferirle, entro un 
determinato termine, sia di qualsiasi soluzione. deMa controversia cui 
esse fossero pervenute, sia dei loro rispettivi punti di vista. Essa si :riservava 
di decidere definitivamente dopo tale data, viste le relazioni che 
le fossero state presentate, o in mancanza di esse. 
3. -In seguito a tale sentenza, le parti hanno dapprima esaminato 
bilateralmente la controversia. Poi, la Commissione ha tentato di risolverla, 
neM'ambito di negoziati all'interno del Consiglio, grazie ad una 
regolamentazione globale del problema della tassazione degli alcoolici. 
che per la Corte � decisivo se � la trasgressione sia avvenuta, senza tener 
conto di ci� che � accaduto in seguito >>, e che anche dopo che si era posto 
fine al comportamento illegittimo, la Commissione poteva ancora avere interesse 
alla decisione della causa, almeno perch�, in caso contrario, lo Stato membro 
avrebbe modo di � ricominciare il giorno seguente e ci� senza che la sussistenza 
della trasgressione possa essere dichiarata con sentenza �. 

Questo richiamo alla vostra giurisprudenza mi sembra particolarmente importante 
nella presente fattispecie per due motivi. Anzitutto, taluni passi 
delle allegazioni scritte ed orali delle parti successive alla sentenza interlocutoria 
del 27 febbraio 1980 danno l'impressione che essi considerino decisiva 
per l'accertamento di una trasgressione del Trattato la situazione degli anni 
1980-1983. Una tesi del genere sarebbe tuttavia contraria all'interpretazione da 
voi data, nella summenzionata sentenza, degli artt. 169 e 171 del Trattato. 
L'evolversi della situazione nel Regno Unito dopo la proposizione del ricorso 
� rilevante in proposito solo in quanto � atto a gettare una proficua nuova 
luce sulla situazione esistente al momento della proposizione del ricorso. 

In secondo luogo, il richiamo alla vostra giurisprudenza � importante 
nella fattispecie perch� la Commissione sostiene manifestamente che neppure 
dopo la proposizione del ricorso l'asserita trasgressione del Trattato � venuta 
completamente meno. Gi� per questo motivo, la Commissione conserva altres� 
in concreto un evidente interesse ad una decisione della Corte la quale indichi 
con sufficiente chiarezza quali provvedimenti debba adottare, a norma dell'art. 
171 del Trattato, il Regno Unito per porre fine all'asserita trasgressione 
del Trattato stesso. 

1.3. -Gli antefatti di rilievo secondo il ricorso. -Nel parere motivato 
8 novembre 1977, la Commissione ha sostenuto che l'accisa sui vini leggeri non 
spumanti era stata portata, al 1� gennaio 1977, da UKL 2,955 il gallone a 
UKL 3,250 il gallone, mentre sulla birra considerata veniva riscossa un'accisa 
di UKL 0,6084 il gallone. Per grado alcolico, l'accisa riscossa sul vino di cui 
trattasi con gradazione di 11� e, rispettivamente, di 12� era di UKL 0,2955 
o di UKL 0.2708 il gallone, a fronte di UKL 0.2028 il gallone per la birra. Per 
quanto riguarda il rapporto di prezzo, l'accisa sulla birra rappresenterebbe 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 661 

In attesa dell'esito di tali negoziati, le parti hanno chiesto ed ottenuto 
varie proroghe del termine fissato dalla sentenza 27 febbraio 1980. Non 
avendo potuto raggiungere un accordo bonario, esse hanno depositato le 
loro relazioni il 1� e, rispettivamente, il 2 dicembre 1981; il Governo 
italiano, interveniente nella causa, ha avuto modo di esprimere il suo 
parere. 

4. -All'udienza del 19 maggio 1982 le parti hanno fornito spiegazioni 
orali. I chiarimenti dedotti in questa fas� essendo risultati ancora insufficienti 
per consentire una decisione, ila Corte, con ovdinanza 15 luglio 
1982, ai sensi degli artt. 45 e 60 del regolamento di procedura, ha disposto 
un supplemento d'istruttoria. Essa ha chiesto alle parti ulteriori 
informazioni in merito ai �prezzi al consumo ed ai prezzi franchi del 
vino e della birra, entrambi di qualit��corrente, compresi cio� nei tipi 
di vino e di birra pi� frequentemente venduti e consumati sia nel Regno 
Unito, sia negli altri Stati membri. Essa ha, inoltre, chiesto delucida-
in media il 25 % e l'accisa sul vino almeno il 38 % del prezzo di vendita al 
consumo. 

Secondo il parere motivato, l'accisa sul vino considerato supererebbe 
quindi l'accisa sulla birra, in base ai criteri applicati, di circa il 50 % (se 
si seguono i criteri relativi al contenuto alcolico o al prezzo al consumo) o 
anche di circa il 400 % (se si segue il criterio del volume previsto dalla 
norma1liva britannica �in materia di accise). 

Vi � un rapporto di concorrenza fra la birra ed il vino, cosicch� l'accertata 
disparit� di tassazione costituirebbe una protezione indiretta della produzione 
di birra, vietata dall'art. 95, 2� comma, del Trattato CEE. 

1.4. � La sentenza 27 febbraio 1980. -Nella sentenza interlocutoria 27 febbraio 
1980 (Racc. 1980, pag. 417) avete anzitutto preso atto, al punto 3 della 
motivazione, che il Regno Unito ammette essenzialmente (non mette in dubbio) 
i fatti dedotti dalla Commissione, specialmente per quanto riguarda l'andamento 
delle aliquote d'imposta. Il Regno Unito ha invece contestato che vi 
sia un rapporto di concorrenza fra vino e birra, cosicch� non vi sarebbe la 
possibilit� di sostituzione che � la condizione per l'applicazione dell'art. 95, 
secondo comma. Inoltre, anche supponendo che si riconosca tale possibilit� di 
sostituzione, secondo il Regno Unito, il regime fiscale dei vini non avrebbe carattere 
protezionistico ai sensi del suddetto articolo del Trattato. 
Al punto 6 della motivazione, avete affermato che per determinare la 
sussistenza di un rapporto di concorrenzialit� nel senso dell'art. 95, secondo 
comma, bisogna prendere in considerazione non soltanto lo stato attuale del 
mercato, ma anche le possibilit� di evoluzione nel contesto della libera circolazione 
delle merci su scala comunitaria e le nuove potenzialit� di sostituzione 
fra prodotti che l'intensificazione degli scambi pu� mettere in luce, 
cos� da porre pienamente in valore le complementarit� fra le economie degli 
Stati membri, conformemente alle finalit� stabilite dall'art. 2 del Trattato. 

Al punto 10 della sentenza avete energicamente sottolineato che (per 
accertare l'effetto protezionistico) l'art. 95, secondo comma, si riferisce al 
carattere del sistema fiscale in questione, cosicch� non si pu� esigere che sia 
fornita in ogni caso la prova statistica dell'effetto protezionistico. � Per l'applicazione 
dell'art. 95, secondo comma, � sufficiente l'accertamento che un 



662 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zioni sull'evoluzione nella Comunit� del consumo complessivo annuo 
del vino e 11ispettivamente della birra. 

5. -Dopo che era stato risposto ai quesiti, la Corte ha sentito ancora 
una volta le parti all'udienza del 15 marzo 1983. 
Sul merito della causa. 

6. -Si ricorda che i punti esaminati e lasciati, in parte, .in sospeso 
nella sentenza 27 febbraio 1980, riguardano 1e caratteristiche del rapporto 
di concorrenzialit� fra vino e birra, nonch� la scelta di un criterio 
di confronto e la determinazione di �un rapporto d'imposizione adeguato 
fra i due prodotti. Le due questioni vanno riesaminate alla luce deg1i 
elementi forniti nelle due fasi del supplemento d'istruttoria. 
Sul rapporto di concorrenzialit� fra il vino e la birra. 

7. -Nella sentenza 27 febbraio 1980, la Corte ha sotto1ineato che il 
secondo comma dell'art. 95 si applica al trattamento tributario di pro-
determinato dispositivo fiscale, tenuto conto delle caratteristiche ad esso 
proprie, pu� provocare l'effetto protezionistico cui si riferisce il Trattato �. 

Al punto 14 della motivazione avete dichiarato: � Non si pu� negare 
che, in una certa misura, le due bevande di cui � causa sono in grado 
di soddisfare bisogni identici, cosicch� si deve ammettere un determinato 
grado di sostituibilit� reciproca>>. 

Nelle sue prime conclusioni (pag. 442) l'avvocato generale Reischl ha 
rafforzato la tesi della possibilit� di sostituzione, affermando che dal punto 
di vista del consumatore, la birra e il vino sono destinati allo stesso uso, poich� 
posseggono le stesse caratteristiche. Sono ottenuti entrambi mediante un 
procedimento di fermentazione, si distinguono dalle altre bevande dissetanti 
elencate nel capitolo XXII della Tariffa doganale comune per il loro contenuto 
alcolico. Il tenore di alcool relativamente ridotto le distingue poi, ancora 
-secondo tali conclusioni -dalle acquaviti di cui alla voce 22.09 C della 
Tariffa doganale comune, ottenute mediante distillazione. Considero un punto 
di partenza importante per le mie conclusioni nella presente causa il punto 14 
della suddetta sentenza, al quale l'avvocato generale ha fornito un ulteriore 
supporto nelle prime conclusioni per questa causa. 

In merito ai criteri di calcolo da applicare all'accertato rapporto di 

concorrenzialit� onde stabilire un confronto fra gli oneri fiscali sopportati 

dai due prodotti, al punto 18 della motivazione avete dichiarato che � le spie


gazioni fornite indicano che n� la presa in considerazione del volume puro 

e semplice delle due bevande, n�, ancora, il raffronto fra unit� tipiche di 

consumo possono fornire un'adeguata base di comparazione. Lo stesso vale 

per il confronto fra l'incidenza dell'onere fiscale sul prezzo di vendita per 

i due tipi di bevande, tenuto conto del fatto che, mentre � relativamente 

agevole individuare un prezzo medio per la birra, � difficile definire una base 

di confronto rappresentativa per i vini, caratterizzati dall'ampio ventaglio di 

prezzi>>. 

Al punto 19, la sentenza aggiunge che �fra i criteri proposti dalle parti il 

solo indice che possa permettere un confronto adeguato in un certo senso 

oggettivo consiste quindi nell'apprezzamento dell'incidenza dell'onere fiscale 

in rapporto alla gradazione alcolica delle bevande in questione�. In base a 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 663 

dotti che, pur non rispondendo al criterio di similarit�, di cui al primo 
comma dello stesso articolo, si trovano nonclimeno in concorrenza, sia 
parziale, sia potenziale, con determinate produzioni del paese d'importazione. 
Essa ha aggiunto che per accertare la sussistenza di un rapporto 
di concorrenzialit� nel senso dell'art. 95, secondo comma, bisogna 
prendere in considerazione non solo Jo stato attuale del mercato, ma 
anche le possibilit� di evoluzione nel contesto deMa libera circolazione 
delle merci su scala comunitari.a e .Je nuove potenzialit� di sostituzione 
fra prodotti che l'intensificarsi degli scambi pu� mettere in luce, cos� 
da porre pienamente in valore le complementarit� fra le economie degli 
Stati membri, conformemente alle finalit� stabilite dall'art. 2 del Trattato. 

8. -Per quanto riguarda la concorrenzialit� fra vino e birra, la Corte 
ha sostenuto che, quantomeno in una certa misura, le due bevande di 
cui � causa sono in grado di soddisfare bisogni identici, cosicch� si 
deve ammettere un determinato grado di sostituibilit� reciproca. Essa 
questo criterio avete poi, fra l'altro, constatato che il vino sopporta attualmente 
nel Regno Unito un'imposizione superiore approssimativamente del 50 % 
a quella sulla birra, supponendo che si tratti di bevande, di rispettivamente, 
11�-12� e 3�-3,7� di alcool. Secondo il Governo italiano, lo stesso punto della 
motivazione indica che, per i vini da tavola correnti di 9�-lCJ<>, il margine 
di discriminazione raggiunge circa il 100.125 %. 

Il punto 20 della motivazione dichiara in conclusione, e con riserva 
di quanto � stato detto sopra al punto 16 sulla determinazione di un rapporto 
di tassazione adeguato fra il vino e la birra, che secondo il solo criterio che 
permetta, per quanto in modo imperfetto, di stabilire un confronto oggettivo 
fra le aliquote di imposta applicate rispettivamente al vino ed alla birra, risulta 
che il vino sopporta nel Regno Unito un onere fiscale pi� pesante della 
birra. 

Prender� come secondo punto di partenza del mio esame i punti 18-20 
della motivazione della vostra sentenza, relativi ai criteri di confronto da 
seguire. Dalle parole che ho sottolineato desumo in primo luogo che considerate 
il contenuto alcolico un criterio di confronto utilizzabile, anche se non 
del tutto perfetto. In secondo luogo ne deduco che non avete neppure voluto 
escludere l'applicazione complementare dei criteri relativi al volume ed al 
prezzo. Almeno per quanto concerne la rilevanza complementare del prezzo 
come criterio, questa mi sembra essere del resto la conseguenza logica dei 
quesiti posti alle parti con la successiva ordinanza 15 luglio 1982. 

Un terzo punto di partenza importante per la mia analisi mi sembra con


sistere nell'affermazione di cui al punto 24 della motivazione, secondo la 

quale � la presa in considerazione comparativa dell'andamento dei due regimi 

fiscali di cui � causa rivela una tendenza protezionistica riguardo all'importa


zione del vino nel Regno Unito�. 

1.5 -L'ulteriore svolgimento del procedimento. -Per un riassunto delle 
deduzioni integrative delle parti in seguito alla sentenza interlocutoria, mi 
limito qui a rinviare alla seconda relazione d'udienza. In esito a tali deduzioni 
integrative, avete espressamente chiesto alla Commissione, nella lettera 
di convocazione per la prosecuzione della fase orale, di precisare all'udienza la 
sua opinione sul rapporto di imposizione adeguato fra il vino e la birra, non6 




664 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ha precisato che per misurare il grado di sostituibilit� possibile non ci 
si pu� limitare alle abitudini di consumo presenti in uno Stato membro 
od in una regione determinata. Infatti, tali abitudini, variabili essenzialmente 
nel tempo e nello sp~io, non possono essere considerate un 
dato immutabile; non bisogna quindi che la politica fiscale di uno Stato 
membro serva a cristallizzare date abitudini di consumo allo scopo di 
rendere stabile un vantaggio acquisito dalle industrie nazionali che si 
dedicano al il.oro soddisfacimento. 

9. -Cionondimeno la Corte ha riconosciuto la difficolt�, in considerazione 
delle notevoli differenze fra il vino e la birra, di stabilire confronti 
in base ai processi di produzione o alle propriet� naturali delle 
bevande, difficolt� che ha giustamente sottolineato H Governo del Regno 
Unito. Essa ha pertanto invitato le parti a fornire ulteriori elementi 
d'informazione atti ad eliminare le incertezze esistenti in merito alle 
caratteristiche del rapporto di concorrenzialit� fra i due prodotti. 
ch� di precisare l'influenza dei procedimenti di fabbricazione del vino e della 

birra sulla struttura del loro prezzo. All'udienza del 19 maggio 1982, la Com


missione ha confermato che, a suo parere, era opportuno che la Comunit� 

fissasse un limite massimo per la tassazione del vino, ma non un rapporto 

d'imposizione fisso fra il vino e la birra. Tale opinione, su cui ritorner� nella 

mia esposizione, si basa sulla duplice constatazione che vi sono Stati membri 

che producono esclusivamente o pressoch� esclusivamente birra, mentre negli 

altri Stati membri si producono sia birra che vino, senza che la maggiore 

tassazione della birra in questi paesi sembri ostacolare lo sviluppo sano 

delle fabbriche di birra. Nel secondo gruppo di paesi non vi � praticamente 

importazione di birra, mentre nel gruppo di paesi menzionato per primo 

l'importazione di vino � rilevante. La Commissione ha aggiunto che secondo 

le vostre sentenze 127/75 (Bobie, Racc. 1976, pag. 1079), 148/77 (Hansen, 

Racc. 1978, pag. 1787), 21/79 (Commissione c/ Italia, Racc. 1980, pag. 1) e 46/80 

(Vinal, Racc. 1981, pag. 77) uno Stato membro pu� applicare anche a prodotti 

analoghi sistemi tributari diversi, secondo criteri obiettivi, purch� persegua 

in tal modo fini economici a loro volta compatibili col diritto comunitario 

e purch� tali sistemi tributari non siano discriminatori e non abbiano per 

loro natura carattere protezionistico. Un rapporto fisso di tassazione reciproca 

fra vino e birra sarebbe, come l'armonizzazione delle aliquote, un fine essen


ziale solo nell'ambito dell'armonizzazione delle legislazioni, ma non lo si pu� 

raggiungere per mezzo dell'art. 95. Per il riassunto delle altre difese svolte 

dalle parti nella seconda udienza, rinvio alla terza relazione d'udienza. 

Nelle conclusioni integrative del 16 giugno 1982, l'avvocato generale Reischl 

si � richiamato, per stabilire l'eventuale esistenza di un rapporto di sostituibilit� 

fra i prodotti, oltre che alla vostra sentenza interlocutoria, alle sentenze REWE 

(145/75, Racc. 1976, pag. 181) e Fink-Frucht (27/67, Racc. 1968, pag. 315). Per 

quanto riguarda il rapporto d'imposizione adeguato fra il vino e la birra, egli 

ritiene determinante, sulla scorta delle vostre sentenze sugli alcolici 27 feb


braio 1980, 168/78, 169/78, 171/78, 55/79 e 68/79 (Racc. 11980, pagg. 347, 385, 447, 

481 e 501), il fatto che un diverso trattamento fiscale -che anch'egli considera 

in linea di massima ammissibile in base alle vostre sentenze menzionate dalla 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 665 

10. -Il Governo del Regno Unito non si � espresso su questo punto 
nelle memorie successive. La Commissione ha esposto il parere che le 
diverse condizioni di produzione, alle quali la Corte aveva attribuito una 
certa importanza, non incidano sulla composizione dei prezzi dei due 
prodotti, specialmente se si considera il mpporto di concorrenzialit� fra 
birra e vini di qualit� corrente. 
11. -Da parte sua, il Governo italiano ha sostenuto Jn proposito che 
non � giusto fare il confronto fra birra e vini di contenuto alcoolico 
medio o, a maggior ragione, elevato. Secondo �lui, i vini che si trovano 
effettivamente in rapporto di concorrenzialit� con la birra sono i vini 
pi� leggeri, di gradazione alcolica vicina a 9�, cio� i vini pi� correnti 
e meno cari. A parere di questo Governo, sono quindi vini del genere 
a dover essere scelti come termine di confronto quando si tratta di 
accertare l'incidenza della tassazione in base vuoi alla gradazione alcolica, 
vuoi al prezzo dei prodotti. 
Commissione -non deve essere discriminatorio o protezionistico nei con� 
fronti dei prodotti importati. 

Proseguendo nell'esame dell'accisa di cui � causa sul vino, alla luce dei 
vari criteri di confronto, egli si chiede fra l'altro � se e fino a che punto, 
tenendo conto delle altre notevoli differenze fra il vino e la birra, il comportamento 
dei consumatori sia determinato dalla gradazione alcolica, o se 
esso non sia invece influenzato, in definitiva, solo dal prezzo finale delle 
bevande di cui trattasi �. Egli conclude � che il solo fatto che il descritto 
aggravio fiscale sopportato dal vino sia relativamente maggiore di quello sopportato 
dalla birra non consente di affermare con sufficiente certezza che 
questa prassi tributaria sia intesa a proteggere indirettamente la produzione 
naziouale di birra�. In considerazione dei dati disponibili al momento di queste 
osservazioni, anch'io sarei probabilmente giunto alle medesime conclusioni. 
Baser� pertanto il mio esame sull'analisi dei nuovi dati che sono divenuti 
disponibili in seguito, grazie ai quesiti da voi posti con ordinanza 15 luglio 
1982. Tali quesiti riguardano, come sappiamo, i prezzi al consumo e la 
componente fiscale in essi compresa nei vari Stati membri dal 1977, nonch� 
l'andamento del consumo di vino e di birra nei vari Stati membri dal 1972. 

2. OSSERVAZIONI COMPLEMENTARI. 
2.1. -Riassunto dei punti di partenza. -Passo ora all'esame delle questioni 
sollevate. All'uopo scelgo come punti di partenza, onde elaborare una 
mia opinione, le seguenti constatazioni sopra menzionate, della vostra sen� 
tenza interlocutoria: 
a) l'esistenza di un rapporto di sostituibilit� fra vino e birra; 

b) le considerazioni sui vari criteri di confronto, alla luce tuttavia delle 
precisazioni di cui alla vostra ordinanza 15 luglio 1982, nonch� delle deduzioni 
fatte dalle parti in seguito a detta ordinanza; 

e) la tendenza protezionistica assodata al punto 24 della motivazione. 

2.2. -Il rapporto di sostituibilit� fra vino e birra. -In merito all'esistenza 
di un rapporto di sostituibilit� fra il vino e la birra non ho nulla da aggiungere 
a quanto � gi� stato osservato in proposito nella vostra sentenza e nelle 
due conclusioni dell'avvocato generale Reischl. Ammettere un rapporto di concorrenzialit� 
significa riconoscere che pu� eventualmente applicarsi l'art. 95, 

666 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

12. -La Corte ritiene pertinente l'osservazione del Governo italiano. 
In considerazione delle grandi differenze di quailit� e, quindi, di prezzo 
fra i vini, il rapporto cli concorrenzialit� decisivo fra la birra, bevanda 
popolare e di largo consumo, ed il vino va stabilito per i vini pi� accessibili 
dal grande pubblco che sono, in generale, i pi� leggeri ed i meno 
cari; � pertanto su questa base che vanno fatti i confronti tributari 
secondo la gradazione alcolica delle due bevande o il prezzo dei due 
prodotti di cui tmttasi. 
Sulla determinazione di un rapporto di tassazione adeguata. 

13. -Per quanto riguarda la scelta del metodo di confronto al fine 
di determinare un rapporto di tassazione adeguato, la Commissione sostiene 
che il metodo pi� sicuro consisterebbe nell'usare un criterio connesso 
contemporaneamente ;:i.I volume delle bevande di cui � causa ed 
alla foro gradazione alcolica. La Commissione assume che una tassazione 
secondo comma. Nelle mie osservazioni conclusive ritorner� tuttavia su un 
certo numero di caratteristiche del rapporto di concorrenzialit� esistente fra 
vino e birra. 
2.3. -I criteri di confronto per determinare il carico fiscale. -Nella sentenza 
interlocutoria avete gi� concluso, ai punti 19 e 20 della motivazione, 
che, seguendo il criterio della gradazione alcolica, che avete ritenuto il pi� 
obiettivo (seppure imperfetto), i vini da prendere in considerazione ai fini 
del confronto �sopportano un onere fiscale superiore di circa il 50 % a quello 
della birra. Ritorner� a parte sulla questione del rapporto di tassazione adeguato 
che � cos� rimasta aperta. Secondo la Commissione ed il Governo italiano 
(che partono da gradazioni alcoliche inferiori) il vantaggio fiscale in 
base a questo criterio � ancora maggiore. Proprio perch� anche voi avete ritenuto 
che il criterio del contenuto alcolico era imperfetto, mi sembra auspicabile 
fare altres� alcune considerazioni sugli altri criteri adottati dalla Commissione. 
Anzitutto, come ha giustamente osservato il Governo italiano nelle sue 
varie memorie, l'applicazione di un criterio riferito al volume � logica in 
quanto lo stesso regime fiscale del Regno Unito parte da un criterio basato� 
sul volume. Inoltre, l'avvocato generale Reischl ha opportunamente osservato 
nelle sue prime conclusioni che il rapporto di sostituibilit� fra il vino e la 
birra dipende in particolare dal fatto che entrambi sono bevande leggermente 
alcoliche, che servono a dissetare; ora, per dissetare, il volume della bevanda 
�, come sappiamo, uno degli elementi determinanti. Il Governo italiano ammette 
certo che va applicato in proposito un fattore correttivo di 1,5 cio� che un 
litro di vino va equiparato ad 1,5 litri di birra. Con ragione esso ha rilevato, 
nel commento alle risposte della Commissione e del Regno Unito, che i dati 
esibiti a proposito del consumo di birra e di vino nei paesi nei quali � maggiore 
il consumo di birra o, rispettivamente, di vino, giustificherebbero anche 
un coefficiente correttore meno elevato (1,35). Secondo tale criterio, l'imposizione 
sul vino sarebbe quindi pi� di tre volte superiore a quella sulla birra. 
Il margine di discriminazione raggiungerebbe cos�, in base a questo criterio, 
almeno il 200 % . 
Per quanto riguarda il criterio del confronto dei prezzi, condivido la 
posizione del Regno Unito e dell'avvocato generale Reischl secondo cui tale 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 667 

che superi dl rapporto di 1: 2,8 riferita al volume (pari quindi ad una 
tassazione 1: 1 rapportata alla gradazione alcolica) determina una � presunzione 
� di protezione indiretta della birra. 

14. -A sua volta, il Governo del Regno Unito, nel ricordare le conclusioni 
della relazione presentata alla Commissione nel 1963 dal comitato 
fiscale e finanziario (�relazione Neumark �), ha sottolineato, ancora 
una volta, che un confronto valido andrebbe effettuato in base all'incidenza 
dell'imposta sul prezzo, franco, dei due prodotti di cui trattasi. 
A suo parere, un confronto basato sui prezzi medi sarebbe preferibile 
ad un confronto basato sulla gradazione alcolica media. Non vi sarebbe 
pratica commerciale discriminatoria o protezionistica quando si accerta 
che le imposte riscosse su due prodotti in concorrenza rappresentano 
in proporzione la medesima quota dei prezzi medi degli stessi. Il Governo 
del Regno Unito sostiene che, in base a tale criterio, il sistema 
tributario britannico non ha effetto protezionistico. 
criterio � certamente rilevante in linea di princ1p10. Anzitutto ritengo, d'accordo 
col Regno Unito, che il parere del comitato Neumark, che tale Governo 
ha menzionato a pag. 3 della relazione 1� dicembre 1981, fa effettivamente 
tutt'ora fede. E ci� nonostante il fatto che dalla pubblicazione della relazione 
nella quale era esposto, siano passati vent'anni, come ha sottolineato la Commissione 
in modo un po' spregiativo. 

In secondo luogo, ritengo, in linea con le conclusioni integrative dell'avvo


cato generale Reischl, che le� differenze fra i costi di produzione, il contenuto 

alcolico ed altre differenze di costi e di qualit�, ed anche le preferenze dei 

consumatori si esprimano in definitiva nei prezzi di vari prodotti. Non a caso 

le nozioni di meccanismo di concorrenza e di meccanismo di prezzo sono 

spesso considerate sinonimi. I rapporti di concorrenza fra vino e birra si 

esprimono effettivamente nei rapporti di prezzo fra i due prodotti. Se il Regno 

Unito avesse tassato il vino e la birra con aliquote sul prezzo al consumo, 

tasse escluse, identiche nei due casi, non si potrebbe, secondo me, parlare 

di trasgressione dell'art. 95, 2� comma. 

Le difficolt� di applicare alla presente fattispecie il criterio del prezzo 

derivano tuttavia dal fatto che il Regno Unito usa proprio come base di tas


sazione per il vino e la birra, nel suo sistema tributario, non il criterio del 

prezzo, ma quello del volume. Inoltre, il confronto tra i prezzi � ulteriormente 

complicato dalle strutture alquanto diverse dei mercati sui quali si vendono 

il vino e la birra e dai prezzi molto disparati calcolati ' per i vari tipi di 

vino, in relazione fra l'altro alle differenze di qualit�. 

Il problema relativo alle strutture dei mercati sui quali i prodotti vengono 

smerciati si pu� risolvere confrontando i prezzi su un mercato sul quale sono 

venduti i due prodotti, cio� nei grandi magazzini o negli altri negozi al minuto 

che vendono al consumatore sia birra che vino. La Commissione nella risposta 

alla vostra ordinanza del 15 luglio 1982, si � quindi, secondo me, giustamente 

servita di questo punto di riferimento per il confronto dei prezzi. 

Il problema sollevato dall'ampia gamma dei prezzi del vino si pu� risol


vere, a mio parere, sia confrontando l'imposta sui vini da tavola pi� econo


mici con quella sulla birra (come ha consigliato il Governo italiano, nelle 

osservazioni sui dati forniti dalla Commissione), sia calcolando il prezzo 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

15. -Il Governo italiano contesta, su questo punto, la tesi sia del 
Governo britannico che della Commis'Sione. Esso sottolinea l'importanza, 
per la soluzione della controversia, del fatto che il vino � un prodotto 
agricolo e la birra un prodotto industriale; a suo parere, le esigenze 
della politica agricola comune dovrebbero portare ad .introdurre un'aliquota 
di tassazione di favore per il prodotto agricolo e sarebbe pertanto 
incoerente con tale politica il ridurre a zero, col sistema nazionale di 
imposizione, gli effetti degli interventi comunitari di sostegno della produzione 
vitivinicola. 
16. -Il Governo italiano contesta altres� l'importanza attribuita dalla 
Commissione a11a gradazione alcolica delle due bevande di cui trattasi. 
A suo parere, il criterio determinante � la valutazione dell'incidenza dell'imposta 
rispetto al volume delle due bevande e ci� per due motivi: 
I 

I ~

il sistema di tassazione britannico � basato sul volume dei prodotti e, 
trattandosi nei due casi di bevande con basso contenuto alcolico, adatte 

f; 

I ~ 

massimo dei vini da tavola pi� economici che costituiscono insieme una parte 
di mercato ritenuta sufficiente (come propone infatti la Commissione). I prezzi 
da considerare per i vini da tavola raggiungono a seconda che si opti per l'una 

o per l'altra soluzione, 2 o 3 sterline il litro (1). Il margine di discriminazione 
a danno del vino si colloca allora fra il 30 ed il 120 % del prezzo, tasse 
escluse (� 70-300 % dell'accisa sulla birra). 
I

A sostegno del confronto, da esso caldeggiato, tra l'onere fiscale sulla 
birra e quello sul vino da tavola pi� economico, il Governo italiano assume che 

I

l'art. 95 vieta le discriminazioni fiscali protezionistiche nei confronti di qualsiasi 
prodotto importato. Come nel settore degli accordi fra imprese, ritengo 
tuttavia che per stabilire rapporti di concorrenza corretti si possano trascurare 
i prodotti specifici che costituiscono una parte insignificante del mer


Icato e che il calcolo, da parte della Commissione di un prezzo massimo per 
i vini da tavola economici offra quindi una base pi� sicura per il controllo dei 
prezzi. Secondo quanto esposto dallo stesso Regno Unito all'ultima udienza, 

I

i vini da tavola italiani relativamente economici costituiscono il 20 % del 
mercato britannico, cio� una parte di mercato abbastanza rappresentativa 
perch� si possa effettuare il confronto tra gli oneri fiscali. 

Ricordo in proposito che, nella comunicazione della Commissione relativa 
agli accordi fra imprese d'importanza minima in fatto d'intese (G. U. 1977, 

II

n. C313), le restrizioni della concorrenza concernenti quote di mercato del 5 % 
sono gi� considerate rilevanti ai fini del mantenimento di corretti rapporti 
di concorrenza. Insieme al Governo italiano ritengo, d'altra parte, che il prezzo 
medio dei vini all'importazione nel Regno Unito, indicato dallo stesso nell'alI 


legato E della risposta 30 settembre 1982, rende inverosimile che i due tipi di 

I ~ 

(1) In questo calcolo del margine di discriminazione bisogna naturalmente tener conto 
del fatto che esso si riferiva al 1982. In quel periodo il rapporto d'imposizione fra vino e 
birra era gi� molto meno sfavorevole al vino di quanto non fosse al momento della proposizione 1:: 
del ricorso, determinante per il giudizio. A quella data decisiva, se si applica il criterio del 1: 
prezzo, il sistema d'imposizione seguito nel Regno Unito aveva gi�, stando alle caratteristiche 
{::

sopra indicate, carattere protezionistico per la produzione di birra, nel senso di cui al 
punto 10 della sentenza interlocutoria, rispetto a tutti i vini con prezzo al consumo (tasseescluse) inferiore al quintuplo del prezzo al consumo (tasse escluse) della birra. Nel caso 
del rapporto d'imposizione pi� sfavorevole, il margine di discriminazione poteva certo 

i 

superare di molto il margine di protezione massimo del 120 % del prezzo, tasse escluse, 

~~ 

calcolato per il 1982. 

& 

i: 
1: 
f.: 

~ 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 669 

ad accompagnare i pasti o ad essere consumate per dissetarsi, la scelta 
del consumatore non avviene in base alla gradazione alcolica dei due 
prodotti, ma per le loro caratteristiche globali, quali il gusto e l'aroma, 
cosicch� verrebbero consumati, per fini identici, in quantit� praticamente 
. uguali. Secondo l'esperienza, il rapporto nel consumo della birra e del 
vino se non � perfettamente uguale, non supererebbe comunque H rap


porto di 1,5: 1. 

17. � Il Governo italiano propone, in definitiva, di combinare i due 
criteri basati sul volume e sulla gradazione alcolica nel senso che se, 
in linea di principio, bisogna pretendere la parit� d'imposizione riferita 
al volume delle due bevande, la sussistenza di una maggiore tassazione 
del vino riferita alla gradazione alcolica sarebbe un indizio sicuro della 
presenza di una discriminazione e di un effetto protezionistico 12el sistema 
di tassazione di cui � causa. 
vini tedeschi citati dal Regno Unito vadano effettivamente considerati rap


presentativi ai fini del confronto tra i prezzi. Ci� vale certamente per i grandi 

magazzini che importano direttamente il vino. 

I dati forniti dal Governo italiano sono inoltre importanti perch� da 

essi si desume che i vini italiani pi� rappresentativi ai fini dell'accertamento 

di rilevanti restrizioni della concorrenza hanno un contenuto alcolico di soli 

9�-10�. Secondo i dati forniti dalla Commissione a pagg. 16-17 della relazione 

1� dicembre 1981, il margine di discriminazione a danno dei vini pi� rappre


sentativi, alla data da considerare per l'accertamento della trasgressione del 

Trattato, era allora su detti vini, applicando il criterio della gradazione 

alcolica, quantomeno del 90 %. Il criterio di confronto riferito alla gradazione 

alcolica e quello rappresentato dal prezzo dimostrano del resto un'evidente 

connessione in quanto, a norma del regolamento del Consiglio n. 816/70 

(G. U. 1970 n. L 114), (da applicare nella fattispecie), il quale � stato sostituito 
solo nel 1979 dal regolamento n. 337/79 (G. U. 1979, n. L99), il prezzo d'orientamento 
era fissato per grado alcolico/ettolitro. 
Ai vini da tavola con bassa gradazione alcolica si applicano quindi prezzi 
d'orientamento proporzionalmente inferiori a quelli dei vini da tavola con 
maggiore gradazione alcolica. 

All'ultima udienza dinanzi alla Corte, il Governo del Regno Unito ha 
inoltre addotto un argomento giuridico che non pu� restare incontrastato in 
questa sede. Dall'art. 97 del Trattato CEE esso ha dedotto che uno Stato 
membro pu� fissare aliquote medie d'imposizione per il vino e che per applicare 
l'art. 95 l'onere fiscale sui prezzi medi del vino va pertanto confrontato 
con l'onere fiscale sui prezzi medi della birra. Tale argomento � insostenibile. 
L'art. 97 � chiaramente una disposizione derogatoria che, come tutte le disposizioni 
derogatorie, va interpretata restrittivamente. L'art. 97 vale solo per le 
imposte sull'entrata riscosse secondo il sistema d'imposta cumulativa a cascata. 
L'effetto discriminatorio, a favore soprattutto delle imprese nazionali 
integrate, determinato dall'art. 97 unitamente alle possibilit� di manipolazione 
sul piano della politica commerciale che l'articolo consentiva ed insieme ad 
altre distorsioni della concorrenza determinate dal vecchio sistema di imposta 
sulla cifra d'affari, � stato, come sappiamo, uno dei motivi determinanti per 
cui le imposte sull'entrata, riscosse secondo il sistema d'imposta cumulativa 



670 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

18. -Gli scambi di argomenti fra le parti successivi alla sentenza 
27 febbraio 1980, hanno dimostrato che, se nessuno dei criteri di confronto 
usati per valutare il rapporto di tassazione fra i due prodotti di 
cui trattasi � in grado di fornire, da solo, risultati sicuri, cionondimeno 
ciascuno dei tre metodi -cio� considerare il carko fiscale rispetto al 
volume, alla gradazione alcolica ed al prezzo dei prodotti -pu� dare 
indicazioni significative onde valutare il sistema tributario di cui � 
causa. 
19. -Non � .contestato che il confronto fra la tassazione della birra 
e quella del vino riferita al volume delle due bevande rivela un sovraccarico 
fiscale ad un tempo relativo ed assoluto del vino rispetto alla 
birra. Non solo l'imposizione sul vJno � stata notevolmente aumentata rispetto 
a quella sulla birra al momento in cui il Regno Unito ha sostituito 
l'accisa al vecchio dazio doganale, come la Corte ha gi� sottolineato 
nella sentenza 27 febbraio 1980, ma risulta altres� che negli anni sui quali 
a cascata, sono state sostituite da un'imposta sul valore aggiunto. In quanto 
disposizione eccezionale, l'art. 97 non pu� in alcun caso essere esteso alle 
accise. Tale articolo sottolinea piuttosto che l'art. 95 va di massima interpretato 
nel senso che la tassazione che colpisce prodotti specifici importati (cio� 
nella fattispecie, per esempio, i vini da tavola economici) va confrontata con 
l'imposizione sui prodotti nazionali analoghi (applicando l'art. 95, primo comma) 
oppure, rispettivamente, con l'imposizione sui prodotti che si trovano con essi 
in rapporto di sostituzione o di concorrenza (applicando l'art. 95, secondo 
comma). L'argomento pu� quindi venir usato proprio contro la tesi del Regno 
Unito e fornisce piuttosto sostegno alla tesi del Governo italiano secondo cui 
va preso come criterio di confronto il tipo di vino pi� economico, sebbene io 
non voglia, per i motivi di politica concorrenziale generale che ho indicato, 
giungere a tanto. 

2.4. -Conclusioni dell'applicazione dei vari criteri di confronto. -Riassumendo, 
dai documenti esibiti in seguito alla vostra ordinanza 15 luglio 1982 
si desume che l'onere fiscale che gravava sui vini pi� rappresentativi dal punto 
di vista della concorrenza, alla data determinante nella fattispecie per accertare 
una trasgressione del Trattato, superava, secondo tutti i criteri sostenibili, 
quantomeno del 70-100 % quello gravante sulla birra. D'accordo con l'avvocato 
generale Reischl (il quale non disponeva ancora, su questo punto, di dati sufficienti 
nel momento in cui ha presentato le sue conclusioni integrative) ritengo 
che, dal punto di vista della concorrenza, il criterio dell'influenza sul prezzo 
sia il pi� valido. Nello stesso tempo ho per� sottolineato che, in seguito 
all'organizzazione comune dei mercati nel settore vitivinicolo, esiste un rapporto 
diretto fra il prezzo del vino e la gradazione alcolica, e ci� conferma 
anche la validit� del criterio del contenuto alcolico, che avete preferito nella 
sentenza interlocutoria. Una differenza di aggravio fiscale del 70-100 % a mio 
parere indica gi� chiaramente, restando impregiudicata la questione del rapporto 
di imposizione corretto che sto per esaminare, che l'accisa sul vino 
riscossa dal Regno Unito protegge indirettamente la produzione di birra in 
quel paese, poich� la pressione che esercita sul prezzo di vendita al minuto, 
tasse escluse, pu� costituire, in base ai dati forniti, sino al 160 % di tale 
prezzo. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 671 

verte il ricorso, cio� il 1976 ed il 1977, la tassazione del vino riferita 
al volume � stata, in media, cinque volte superiore a quella della birra, 

1

e ci�, in altvi termini, costituisce un sovraccarico tributario del 400 % 
in cifra tonda. 

20. -Quanto al criterio di confronto tratto dalla gradazione alcolica, 
come la Corte ha gi� detto nella sentenza 27 febbraio 1980, anche 
se ha solo funzione secondaria nella scelta dei consumatori dell'una 
o dell'altra� delle due bevande considerate, esso costituisce cionondimeno 
un criterio di confronto relativamente sicuro. Va osservato che la validit� 
di questo criterio � stata riconosciuta nei lavori attualmente in 
corso nell'ambito del Consiglio al fine di armonizzare la tassazione dell'acool 
e dei vari tipi di bevande alcoliche. 
21. -Tenendo conto delle indicazioni delle quali la Corte ha sopra 
riconosciuto la fondatezza, risulta che nel periodo considerato di vino 
2.5. -Il problema del rapporto di imposizione corretto. -Insieme alla 
Commissione sono del parere che un rapporto di imposizione corretto fra 
vino e birra si possa determinare solo mediante l'armonizzazione delle normative 
in materia di accise a norma degli articoli 99 e 100 del Trattato. Basando 
le direttive d'armonizzazione anche sull'art. 43 del Trattato, si potr� altres� tener 
conto allora di considerazioni di politica agricola comune. In conseguenza anche 
della indeterminatezza della nozione di � proteggere indirettamente� di cui 
all'art. 95, secondo comma, tale disposizione del Trattato non consentir� di 
stabilire un limite preciso. Di fronte ad un carico tributario dell'entit�, in 
cifre assolute, di quello di cui trattasi, una differenza di aggravio fiscale 
quantomeno del 70-100 % rispetto alla birra, prodotto di sostituzione, comporter� 
tuttavia certamente, secondo tutti i dati elementari forniti dall'esperienza in 
merito al meccanismo della concorrenza, una notevolissima restrizione della 
concorrenza a danno del vino. Anche di fronte ad una differenza di pressione 
fiscale del 50 %, come quella che avete ammesso nella sentenza interlocutoria, 
la mia opinione resterebbe la stessa qualora altri elementi facciano presumere, 
come nella fattispecie, che la differenza � ancora maggiore. Una notevole limitazione 
della concorrenza a �danno del vino significa quindi, secondo me, 
una protezione indiretta della produzione concorrente di birra, ai sensi dell'art. 
95, secondo comma. 
Sebbene la questione non sia naturalmente stata sollevata nel presente 
procedimento, e non possa quindi essere definitivamente risolta, comprendo 
tuttavia che vi preoccupiate anche del valore di precedente che la vostra 
pronunzia in questa causa pu� avere per la valutazione dei rapporti d'imposizione 
negli Stati membri che producono contemporaneamente vino e birra. 
Come l'avvocato generale Reischl, sono del parare che gli argomenti della 
Commissione volti a consentire in questi paesi una tassazione della birra 
superiore a quella del vino siano molto validi, specialmente alla luce della 
vostra giurisprudenza che la Commissione ha richiamato. Per quanto riguarda 
la concorrenza mediante i prezzi, secondo me essenziale -come ho gi� 
detto -ai fini dell'art. 95, secondo comma, aggiunger� che la produzione di 
vino non � comunque, a mio parere, indirettamente protetta da una maggiore 
imposizione sulla birra finch� il prezzo di questa, tasse comprese, non supera 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

672 

� stato gravato, nel Regno Unito, di un carico tributario che, riferito 
alla gradazione alcolica, superava il doppio del carico imposto alla 
birra, cio� un eccesso dii tassazione quanto meno del 100 %. 

22. -Quanto al criterio dell'incidenza della tassazione sul prezzo 
franco dei prodotti, la Corte ha avut� grandi difficolt� ad elaborare 
un giudizio, in considerazione del carattere disparato degli elementi 
forniti dalle parti. In particolare, il carattere incompleto delle informazioni 
fornite dalla Commissione, consistenti in elenchi di prezzi di 
vendita senza indicazioni parallele di dati che consentissero di individuare, 
nei prezzi, l'incidenza dell'accisa, dell'IVA e del prezzo franco, ha reso 
particolarmente arduo valutare tale criterio, al quale :il Governo del 
Regno Unito ha attribuito importanza capitale. 
23. -In risposta all'ordinanza del 15 luglio 1982, con cui la Corte 
ha chiesto informazioni sui prezzi al consumo ed i prezz;i franchi dei 
��' 

., 

il prezzo dei v1m con essa in concorrenza. Non appena i prezzi della birra, 
come conseguenza dei tributi riscossi sulla stessa, divenissero nettamente 
superiori a quelli dei vini corrispondenti, non escluderei a priori la possibilit� 
di una trasgressione dell'art. 95, secondo comma. L'andamento della produzione 
nazionale di birra e dell'importazione di birra nei paesi interessati 
potr� tuttavia, secondo me, avere anch'esso rilievo nella decisione finale. Questa 
incertezza giuridica rafforza naturalmente l'opportunit� che il rapporto di tassazione 
fra vino e birra sia definitivamente disciplinato per tutti gli Stati 
membri da un'armonizzazione delle normative. Proprio se si adotta come 
criterio determinante quello del prezzo, l'applicazione simmetrica dell'art. 95, 
secondo comma, ai paesi che fabbricano essenzialmente birra ed a quelli che 
producono essenzialmente vino, per i detti motivi non mi sembra comportare, 
in linea di massima, conseguenze inaccettabili dal punto di vista comunitario. 
Pertanto il problema del rapporto d'imposizione corretto fra vino e 
birra non deve, secondo me, portare a conclusioni, tratte dal confronto tra 
gli oneri fiscali, diverse da quelle cui sono giunto. 

2.6. -La tendenza protezionistica. -I dati resisi disponibili dopo le conclusioni 
integrative dell'avvocato generale Reischl confermano altres� chiaramente 
la tendenza protezionistica accertata al punto 24 della motivazione della 
sentenza interlocutoria. Ai sensi degli artt. 169 e 171 del Trattato, come interpretati 
dalla vostra summenzionata giurisprudenza, per l'applicazione di questo 
criterio � decisivo il modo in cui � mutato nel Regno Unito il rapporto d'imposizione 
fra birra e vino dalla data dell'adesione a quella della proposizione 
del ricorso. 
Secondo i dati forniti dalla Commissione, e non contestati dal Regno 
Unito, a proposito della tendenza dell'andamento nel periodo che � quindi determinante, 
dal 1973 al 1978, il rapporto d'imposizione fra birra e vino � passato 
da 1:3,2 il 1� gennaio 1974 a 1:4,2 il 27 marzo 1974 ed a 1:5,6 al 16 aprile 1975. 
Il ,1� luglio 1977 il rapporto ha cominciato a scendere leggermente sino a 1:5,3 
e questo � il rapporto da considerare nella presente causa. 

I dati relativi al consumo, forniti dalla Commissione, dimostrano che 
l'aumento dell'accisa nel 1975 � stato accompagnato dalla diminuzione del consumo 
di vino pro capite. Il nesso fra livello dell'accisa e consumo pro capite 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 673 

tipi di v.iru e di birra pi� comunemente venduti e consumati nel Regno 
Unito, il Governo britannico si � limitato a fornire elementi su due 
vini tedeschi (il Goldener Oktober e il Blue Nun), certamente di largo 
consumo, ma, di fatto, poco rappresentativi della situazione del mercato 
dei vini su scala comunitaria. 

24. -La Commissione ed il Governo italiano hanno contestato fa pertinenza 
della scelta effettuata dal Governo del Regno Unito ed hanno 
presentato analisi relative a vini italiani; con fa differenza per� che la 
Commissione si � sforzata di stabilire dei prezzi medi, mentre il Governo 
italiano, in conformit� alla surriportata concezione, ha confrontato 
l'incidenza dell'imposta sul prezzo di una birra britannica tipica con 
qu,ella sul vino italiano pi� economico, offerto in quantit� significative 
sul mercato britannico. 
25.. -I ca~co1i effettuati dalla Commissione allo stato attuale del 
mercato britannico, la cui pertinenza non � stata contestata dai! Governo 

degli abitanti � tuttavia dimostrato in modo ancora pi� manifesto dall'andamento 
successivo al 1978. Nel 1980, il rapporto di tassazione fra birra e vino 
� sceso sino a 1:4,9 e nel 1981 sino al livello del 1974 cio� a 1:4,2. Contemporaneamente, 
il consumo pro capite � notevolmente aumentato (passando da 

1. 5,41 pro capite nel 1977 a 1. 7,8 pro capite nel 1981), mentre il consumo di 
birra � diminuito nel 1979-1981 per la prima volta dal 1972, passando da 1. 122,l 
a 1. 111,5 pro capite. Il Regno Unito conferma, coi propri dati, tali andamenti. 
Esso ammette altres� il rapporto esistente fra onere fiscale e consumo e nella 
relazione 1� dicembre 1981 nonch� all'ultima udienza ha concluso, in base 
all'andamento successivo al 1978, che la tendenza protezionistica accertata nella 
vostra sentenza interlocutoria � ora completamente eliminata. A parte il fatto 
che tale conclusione � inesatta se ci si riferisce al rapporto d'imposizione 
vigente il 1� gennaio 1974, ho gi� rilevato che, ai fini dell'accertamento di una 
tendenza protezionistica, nella presente causa rileva solo l'andamento dal 1973 
al 1978. Per detto periodo, l'esistenza di una tendenza protezionistica � confermata 
anche dalla suddetta relazione del Regno Unito. 
A tali osservazioni aggiungo che l'accertamento di una tendenza protezionistica 
in un determinato periodo pu� certo costituire un importante indizio 
di trasgressione dell'art. 95, secondo comma, ma che tale indizio non pu� tuttavia 
essere decisivo per l'applicazione di detta norma. L'elemento decisivo 
� piuttosto, in definitiva, se alla data determinante per l'accertamento di una 
trasgressione del Trattato, l'onere fiscale sui prodotti importati fosse a tal 
punto maggiore di quello gravante sui prodotti nazionali di sostituzione da 
dover ammettere che la produzione nazionale delle merci di sostituzione era 
indirettamente protetta dall'imposizione sui prodotti importati. Le conclusioni 
sull'ultimo punto possono benissimo essere basate sul contestuale accertamento 
dell'aumento della disparit� di pressione fiscale nel tempo. 

3. OSSERVAZIONI FINALI E CONCLUSIONI. 
3.1. -Le caratteristiche del rapporto di concorrenzialit� fra vino e birra. Per 
i tipi di vini economici da prendere in considerazione dal punto di vista 
della concorrenza, ritengo, con la Commissione e con l'avvocato generale Reischl, 
che le differenze nei processi di produzione fra vino e birra non abbiano in 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

674 

del Regno Unito, concludono per una sovratassazione del vino di circa 
il 58 % ed il 77 % , mentre dai calcoli del Governo italiano che riguardano 
il vino meno caro risulta un eccesso di tassazione a carico del vino 

sino al 286 %. L'analisi, fatta dal Governo britannico, del prezzo di vendita 
dei due vini tedeschi conferma indirettamente tali risultati. Infatti, 
l'uno dei due villi rappresenta, quasi esattamente, il punto di parit� 
fra la birra ed il vino dal punto di vista dell'incidenza dell'imposta 
sul prezzo. L'esempio dimostra che tutti i vini a minor prezzo venduti 
nel Regno Unito, subiscono, rispetto al prezzo, una tassazione relativamente 
maggiore di quella della birra. Ora, gli elenchi di prezzi forniti 
dalla Commissione assodano che vi �, sul mercato britannico, un cospicuo 
numero di vini, fra cui la quasi totalit� dei vini italiani, che corrispondono 
a tale definizione e che subiscono quindi una sovratassazione 
tanto pi� sensibile quanto minore � il loro .prezzo. 

26. -In seguito all'esame dei dati forniti dalle parti, la Corte ha 
cos� potuto convincersa del fatto che se si prendono come base di con-
fin dei conti grande importanza. Anzitutto, le differenze nei costi di produzione 
si traducono, come ho gi� detto, in differenze di prezzo, cosicch�, in 
caso d'applicazione del criterio del prezzo, esse vengono automaticamente 
prese in considerazione all'atto del confronto. In secondo luogo, come hanno 
gi� osservato la Commissione e l'avvocato generale Reischl, tanto la maggior 
parte dei vini economici da considerare, quanto la birra, sono generalmente 
fabbricati in processi produttivi di grandi dimensioni. 

Neppure le grandi differenze nella struttura dei mercati sui quali vengono 
venduti il vino e la birra mi sembrano costituire, in definitiva, un impedimento 
per giungere ad un chiaro confronto tra gli oneri fiscali. L'impossibilit� di 
applicare l'art. 97 comporta gi� che qualora si applichi l'art. 95, secondo comma, 
non ci si pu� servire delle aliquote medie d'imposizione su tutti i vini 
importati. Lo scopo perseguito dall'art. 95, secondo comma, in relazione alla 
struttura generale del Trattato, implica piuttosto che la prova del sussistere 
di un effetto chiaramente restrittivo della concorrenza, nei confronti di merci 

importate che rappresentano da sole o raggruppate una parte non trascurabile 
del mercato di tali merci, basta gi� a far ritenere che vi � trasgressione 
di detta norma. Una parte non trascurabile del mercato � gi� costituita, 
secondo i dati forniti dallo stesso Regno Unito, dalla vendita di vino nei 
grandi magazzini e in altri negozi al minuto che smerciano vino e birra, mentre 
la parte di mercato costituita, nell'offerta complessiva di vino, dai vini economici 
da prendere in considerazione, secondo quanto dedotto dalle parti principali 
e dal Governo italiano, pu� essere valutata quantomeno al 20 %. A mio 
parere, come ho gi� detto, una quota di mercato del 5-10 % sarebbe stata 
sufficiente. 

I dati forniti circa i prezzi ed il consumo di vino e di birra confermano 
infine che, nel rapporto di concorrenza fra vino e birra, i rapporti di prezzo 
e l'onere fiscale che essi implicano per i consumatori hanno un peso facilmente 
dimostrabile e che anche il Regno Unito ammette. 

Le incertezze a proposito del rapporto di concorrenza fra vino e birra, 
che avete ancora sottolineato al punto 24 della sentenza interlocutoria, secondo 
me, si possono pertanto considerare sufficientemente dissipate. 


PARTE I, SBZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 675 

fronto v1m il cui prezzo � inferiore a quello dei tipi di vino scelti dal 
Regno Unito, e dei quali parecchie variet� sono rappresentate sul mercato 
britannico in quantit� significative, si giunge alla conclusione che una 
notevole sovratassazione grava proprio quei vini che, per il loro prezzo, 
si trovano in pi� diretto rapporto di concorrenzialit� con la produzione 
nazionale di birra. 

27. -Risulta cos�, in seguito alle approfondite informazioni raccolte 
dalla Corte -indipendentemente dal criterio di confronto usato e senza 
che sia, in definitiva, necessario preferirne l'uno o l'altro -che il sistema 
tributario del Regno Unito ha l'effetto di gravare il vino proveniente 
dagli altri Stati membri di un sovraccarico fiscale atto a garantire una 
protezione alla produzione nazionale di birra, in quanto questa costituisce 
il criterio di riferimento pi� vicino dal punto di vista della concorrenzialit�. 
Poich� tale effetto protezionistico � maggiore sui vini pi� cor3.2. 
-Le conseguenze giuridiche della dichiarazione di trasgressione del 
Trattato da parte del Regno Unito. -Come avviene spesso, ad esempio per le 
vostre sentenze relative atrasgressioni dell'art. 30 del Trattato CEE, non si possono 
stabilire con precisione le conseguenze giuridiche che il Regno Unito 
deve trarre, a norma dell'art. 171 del Trattato, da una condanna nella presente 
causa. Da questo punto di vista, vi � certamente un margine d'incertezza molto 
maggiore in caso di condanna ai sensi dell'art. 95, secondo comma che in caso 
di condanna ai sensi dell'art. 95, primo comma. Quel che mi sembra comunque 
certo nella presente causa � che, dopo la condanna, il Regno Unito non pu� 
pi� tornare ad una tendenza protezionistica nell'andamento del rapporto di 
imposizione. Gi� questo risultato dimostra chiaramente, secondo me, che 
anche dopo il capovolgimento della tendenza nel Regno Unito nel periodo 
1977-1981, la Commissione conservava un interesse legittimo alla prosecuzione 
del procedimento. Mi richiamo altres�, in proposito, alle considerazioni particolareggiate 
sulla questione dell'interesse legittimo di cui alle conclusioni dell'avvocato 
generale Lagrange per la summenzionata causa 7 /61. 
A mio parere, bisogna tuttavia desumere anche da esperienze generali relative 
al meccanismo della concorrenza, nonch� dai dati forniti dalle parti, che 
la protezione indiretta della produzione di birra continua comunque a sussistere 
finch� l'onere fiscale sopportato dai vini economici, e calcolata in riferimento 
al prezzo al netto dell'imposta, resta superiore almeno del 30% all'onere 
fiscale sulla birra. Non va certo escluso, secondo me, che anche in caso 
di differenza minima nell'aggravio fiscale vi sia ancora una protezione indiretta 
della birra, ma ci� richiederebbe prove molto pi� circostanziate di quelle 
fornite in questo caso. 

Poich� per i tributi riscossi in eccesso vi � certamente stata rivalsa sul consumatore, 
il timore del Regno Unito che tali tributi vengano ripetuti mi sembra 
infondato nella fattispecie data l'esclusione di azioni di rimborso del genere 
da voi disposta nella sentenza Just (causa 55/79, Racc. 1980, pag. 431). 

3.3. � CONCLUSIONE. 
Concludendo, vi propongo di dichiarare, conformemente alla domanda della 
Commissione, che per i motivi suindicati il Regno Unito di Gran Bretagna e 
d'Irlanda del Nord � venuto meno agli obblighi impostigli dall'art. 95, secondo 
comma del Trattato. (omissis) 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

676 

renti, il sistema tributario britannico comporta come conseguenza di 
attribuire al vino il carattere di prodotto di lusso che, a causa dell'aggravio 
fiscale cui � sottoposto, non pu� costituire agli occhi del consumatore, 
un'alternativa concreta alla bevanda tipica della produzione 
nazionale. 

28. -Da tutto quanto sopra si desume che va dichiarato che il 
Regno Unito, gravando i vini leggeri di uve fresche di un'accisa relativamente 
pi� elevata di quella gravante sulla birra, � venuto meno agli 
obblighi impostigli dall'art. 95, secondo comma, del Trattato CEE. (omissis). 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, III sezione, 14 luglio 
1983, nella causa 201/82 -Pres. Everling -Avv. Gen. Mancini Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione 
.italiana, sezioni unite, nella causa Amministrazione del Tesoro 

c. Gerling Konzern Speziale Kreditversicherung A.G. ed altri -I:nterv.: 
Governo italiano (Avv. Stato Fiumara) e Commissione delle .C.E. 
(ag. Berardis e Kremlis). 
Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale 
e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale Contratto 
di assicurazione stipulato anche a favore di terzi -Clausola 
di proroga della competenza -Sottoscrizi~ne delle parti e non 
del terzo. 

(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con 

legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 17). 

Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale 
e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale 
-Eccezione di incompetenza -Difese sul merito -Compatibilit�. 

(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con 
legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 18). 

L'art. 17, primo comma, della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 
1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni 
in materia civile e commerciale dev'essere intrepretato nel senso 
che, in caso di contratto di assicurazione fra un assicuratore ed un 
contraente, stipulato da quest'ultimo per s� e in favore di terzi e contenente 
una clausola di proroga della competenza con riferimento a controversie 
promuovibili dai detti terzi, questi ultimi possono far valere 
la clausola di proroga della competenza, anche qualora non la abbiano 
espressamente sottoscritta, se la condizione della forma scritta, posta dall'art. 
17 della Convenzione, sia stata soddisfatta nei rapporti fra l'assi



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 677 

curatore e il contraente dell'assicurazione, e i.I consenso dell'assicuratore 
in proposito sia stato manifestato chiaramente (1). 

L'art. 18 della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 concernente 
la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia 
civile e commerciale va interpretato nel senso che esso consente al 
convenuto non solo di eccepire l'incompetenza, ma anche di presentare 
congiuntamente, in via subordinata, difese nel merito, senza tuttavia 
perdere il diritto di sollevare l'eccezione d'incompetenza (2). 

(omissis) J. -Con ordinanza 28 luglio 1982, pervenuta in cancelleria 
il 6 agosto 1982, la Corte Suprema di Cassazione (Sezioni unite civili) 
ha sottoposto a questa Corte, in forza del Protocollo 3 giugno 1971, relativo 
all'interpretazione, da parte della Corte di giustizia, della Convenzione 
27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e la 
esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in prosieguo 
�la Convenzione�), due questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione 
degli articoli 17 e 18 della Convenzione. 

2. -Le suddette questioni sono state sollevate nell'ambito di una 
controversia fra l'Amministrazione del Tesoro dello Stato e la Gerling 
Konzern Speziale Kreditversicherung A.G. e altri (in prosieguo �la 
(1) La Corte ha accolto la tesi prospettata dalla Commissione e dal Governo 
Italiano (e in forza della quale l'Amministrazione del Tesoro aveva promosso 
la causa davanti al giudice italiano). 
Il fatto che la singola organizzazione nazionale, non essendo parte, non 
abbia sottoscritto il contratto e con esso la clausola relativa alla proroga di 
competenza -aveva osservato l'Avvocatura -, non � rilevante ai fini della 
operativit� della clausola stessa in favore di essa organizzazione nazionale che 
la invoca. Nel contratto a favore di terzo, infatti, il terzo il quale intenda 
profittare della stipulazione in suo favore acquista i diritti che derivano dal 
contratto senza bisogno di alcuna accettazione per il solo effetto della stipulazione 
intervenuta fra le parti. E come egli si giova automaticamente dei be� 
nefici pattuiti fra altri e pu� agire per ottenere la soddisfazione dei diritti che 
il contratto gli attribuisce, cos� egli pu� giovarsi anche della clausola che gli 
consente di ricorrere ad un particolare giudice, senza che sia necessaria, per 
l'esercizio di tale facolt�, la sottoscrizione o la conferma per iscritto della clau� 
sola stessa. 

Del resto, essendo la clausola invocata dal terzo nei confronti di una parte 
del contratto che quella clausola ha sottoscritto, appare salvaguardata l'esigenza 
per la quale l'art. 17 della convenzione � stato dettato: neutralizzazione 
degli effetti delle clausole �che rischiano di passare inosservate e rilevanza di 
quelle sole clausole che appaiono espressamente pattuite (cfr., Relazione sulla 
convenzione, in Bollettino C.E., suppi. 12/72). La stessa convenzione, nell'art. 
12, in materia di assicurazione, riferendosi alla possibilit� di deroghe della 
competenza in favore del beneficiario non contraente, non fa alcun cenno alla 
necessit� di una sottoscrizione da parte del beneficiario stesso. 

(2) Fra le sentenze della Corte citate in motivazione la seconda � pubblicata 
in questa Rassegna, 1981, I, 672, con nota di FIUMARA. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

678 

Gerling �), con sede in Colonia. L'Amministrazione attrice nella causa 
principale intende ottenere il pagamento di una somma corrispondente 
a pene pecuniarie, tasse, diritti e spese accessorie con riferimento ad 
una serie di trasporti effettuati in regime T.I.R., per i quali erano stati 
accertati in Italia illeciti e fatti che avevano reso esigibili i suddetti oneri 
e tributi. 

3. -Per fruire delle agevolazioni previste dalla convenzione doganale 
relativa al trasporto internazionale delle merci su strada in regime di 
T.I.R., convenzione adottata a Ginevra il 15 gennaio 1959, i trasporti 
devono fra l'altro essere effettuati in base ad un �carnet T.I.R. � rilasciato 
dall'organizzazione competente per ciascun paese firmatario della 
convenzione doganale e sotto la garanzia della quale viene effettuato 
!il trasporto. L'organizzazione nazionale garante � tenuta al pagamento 
dei diritti e delle tasse riconosciuti esigibili, nonch� delle pene pecuniarie 
di cui si sia reso passibile il titolare del carnet T.I.R. 
4. -L'organizzazione nazionale abilitata per l'Italia, all'epoca dei 
fatti di cui � causa, eiia l'Ente Autotrasporti Merci (in prosieguo � E.A,M. �). 
Da quando questo Ente � stato messo in liquidazione, il Ministero italiano 
del Tesoro prosegue l'attivit� dello stesso conformemente al combinato 
disposto della legge 4 dicembre 1956, n. 1404, della legge 18 marzo 
1968, n. 413, e della legge 23 dicembre 1970, n. 1139. 
5. -Le organizzazioni nazionali sono affiliate all'International Road 
Union (IRU). Ciascuna di tali organizzazioni nazionali beneficia a sua 
volta della garanzia prestata da un gruppo internazionale di assicuratori, 
rappresentato dalla Gerling, in forza di un contratto concluso nel 1961 
dall'IRU, nel proprio interesse e nell'interesse di ciascuna delle organizzazioni 
nazionali, da una parte, e da detto gruppo internazionale di assicuratori, 
dall'altra. 
6. -A termini dell'art. 8 di detto contratto d'assicurazione, � in caso 
di controversia tra il pool (di assicuratori) e una delle organizmzioni 
nazionali, queste ultime avranno il �diritto di reolamare una procedura 
davanti al tribunale competente del paese in cui esse hanno sede, per 
l'applicazione del diritto di questo paese �. 
7. -Poich� l'Amministrazione italiana delJe Dogane pretendeva il 
pagamento di una serie di pene pecuniarie, tasse e diritti con riferimento 
a trasporti effettuati in Italia in regime di T.I.R., il Ministero 
del Tesoro citata dinanzi al Tribunale di Roma il suddetto gruppo d'assicuratori, 
chiedendo la loro condanna al. pagamento della somma complessiva 
di L. 812.134.310. 
8. -In pendenza del giudizio, il gruppo di assicuratori proponeva 
ricorso incidentale dinanzi alle Sezioni unite della Corte di Cassazione, 

PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

in forza dell'art. 41 del codice di procedura civile italiano, per regolamento 
preventivo di giurisdizione. Gli assicuratori contestano infatti che 
possa essere foro opposta la suddetta clausola attributiva di competenza, 
poich� questa non � stata sottoscritta dall'E.A.M. (o dall'Amministrazione 
del Tesoro), mentre l'art. 17 della Convenzione subordina la proroga 
di competenza alla condizione della forma scritta. 

9. -'� in tale contesto che la Corte di Cassazione ha formulato le 
due seguenti questioni pregiudiziali. 
� 1. Se, in caso di contratto debitamente firmato dalle parti contraenti 
e stipulato, da una di queste, per s� e nell'inrteresse di altri 
beneficiari, Ja clausola derogativa della competenza giurisdizionale in 
esso convenuta con riferimento a controversie promovibili dai detti beneficiari, 
valga a realizzare anche a favore di questi il requisito della 
forma scritta voluto dall'art. 17 della Convenzione di Bruxelles del 
27 settembre 1968,� concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione 
delle decisioni in materia civile e commerciale. 
2. Se l'effetto di determinare la competenza del giudice adito -derivante, 
secondo l'art. 18 della citata Convenzione, dalla comparizione del 
convenuto -si verifichi anche quando il convenuto stesso, nel costituirsi, 
oltre ad eccepire in via preliminare l'incompetenza di quel giudice, prospetti 
soltanto in via subordinata �difese di merito�. 
1. -Sulla prima questione. 
10. -Con tale questione la Corte di Cassazione chiede a questa Corte, 
in sostanza, di precisare se la Convenzione -in particolare l'art. 17 possa 
essere interpretata nel senso che, nell'ambito di un contratto di 
assicurazione, l'assicurato beneficiario di tale contratto, terzo rispetto 
al rapporto derivante dal contratto stesso e persona diversa dal contraente, 
possa far valere una clausola di proroga della competenza stipulata 
in suo favore, pur non avendola sottoscritta, mentre essa � stata 
debitamente sottoscritta dall'assicuratore e dal contraente. 
11. -Ai fini dell'applicazione della Convenzione, questa deve essere 
interpretata facendo riferimento, prinoipalmente, al suo sistema ed ai 
suoi obiettivi, onde garantirne la piena efficacia. 
12. 
-A norma dell'art. 17, primo comma, della Convenzione: 
� Qualora con clausola scritta, o con clausola verbale confermata 
per iscritto, le parti, di cui almeno una domiciliata nel territorio dello 
Stato contraente, abbiano convenuto la competenza di un giudice o dei 
giudici di uno Stato contraente a conoscere delle controversie, presenti 

o future, nate da un determinato rapporto giuridico, la competenza 
esclusiva spetta al giudice o ai giudici di quest'ultimo Stato contraente �. 

680 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

13. �Come la Corte ha ripetutamente affermato nelle sentenze 14 di� 
cembre 1976 {cause 24/76, Estasis Salotti, Racc. pag. 1831, e 25/76, S�goura, 
Racc. pag. 1851) e 6 maggio 1980 (causa 784/79, Porta Leasing, Racc. 
pag. 1517), il requisito deU� forma scritta stabilito dall'art. 17 della 
Convenzione � inteso a garantire che il consenso delle parti, le quali, 
mediante la proroga di competenza derogano ai principi generali in materia 
di competenza sanciti dagli artt. 2, 5 e 6 della Convenzione, sia manifestato 
in maniera chiara e precisa e sia effettivamente provato. 
14. �D'altra parte, l'art. 17 della Convenzione, imponendo tale requisito 
della fo:rnna scritta fra le parti, non ha lo scopo, n� l'effetto, di 
subordinare alla stessa condizione di forma la facolt�, per il terzo beneficiario 
del contratto, di far valere, in una lite che lo opponga all'assicurat�re, 
la clausola attributiva di competenza stipulata in suo favore. 
15. � La Corte ritiene che, in tal caso, l'assicuratore non pu� opporsi 
a detta deroga di competenza -qualora il suo consenso iniziale sia stato 
chiaramente manifestato nella stipulazione del contratto -per il solo 
motivo che il beneficiario della clausola stabilita a favore d~ terzi, il 
quale non era parte nel contratto, non abbia egli stesso soddisfatto la 
condizione della forma scritta posta dall'art. 17 della Convenzione. 
16. � L'esame delle disposizioni del titolo II, sezione 3, della Convenzione, 
relative alla competenza in materia d'assicurazioni, viene a 
suffragare questa tesi. 
17. � Dall'esame delle disposizioni di detta sezione, chiarite dai lavori 
preparatori, risulta infatti che, offrendo all'assicurato una gamma 
di competenze pi� estesa di quella offerta all'assicuratore, ed escludendo 
qualsiasi possibilit� di stabilire una clausola di proroga della 
competenza a favore dell'assicuratore, dette disposizioni si sono ispirate 
ad una preoccupazione di tutela dell'assicurato, il quale, nella maggior 
parte dei casi, si trova ,di fronte ad un contratto predeterminato le cui 
clausole non possono pi� essere oggetto di trattative ed � la persona 
economicamente pi� debole. 
18. � Inoltre, l'art. 12 della Convenzione consente alle parti di derogare 
alle disposizioni della suddetta sezione 3 � ��� con convenzioni: 
... 2. che consentano al contraente dell'assicurazione, all'assicurato o al 
beneficiario di adire un organo giurisdizionale diverso da quelli indicati 
nella presente sezione... �. � perci� chiaro che la Convenzione ha previsto 
espressamente la possibilit� di smpulare clausole di proroga della 
competenza, non soltanto in favore del contraente dell'assicurazione, 
parte nel contratto, ma anche in favore dell'assicurato e del beneficiario 
che, per ipotesi, non sono parti nel contratto qualora non vi sia coinci

PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 681 

denza, come nella fattispeoie, fra queste varie persone, e che possono 
anche non essere noti al momento della firma del contratto. 

19. -Di conseguenza, l'interpretazione secondo cui la condizione di 
forma stabilita dall'art. 17 implicherebbe che l'assicurato o il beneficiario, 
terzo quanto al rapporto contrattuale e beneficiario della clausola 
attributiva di competenza stipulata in suo favore, ha l'obbligo di sottoscrivere 
espressamente detta clausola per convalidarla e potersene servire, 
avrebbe l'effetto di imporre a detto terzo un obbligo inutile quando, 
inizialmente, l'assicuratore abbia manifestato senza possibilit� di equivoci 
il suo consenso ad un sistema generale ed aperto di proroga 
della competenza, e costituirebbe addirittura, all'occorrenza, una formalit� 
di difficile attuazione qualora, prima di qualsiasi controversia, l'assicurato 
non sia stato informato, dal contraente dell'assicurazione, dell'esistenza 
di una clausola attributiva di competenza stipulata in suo 
favore. 
20. -Dal complesso delle precedenti considerazioni risulta che la questione 
pregiudiziale va risolta dichiarando che, nell'ambito di un contratto 
d'assicurazione, una clausola attributiva di competenza stipulata 
in favore dell'assicurato, terzo quanto al rapporto contrattuale e persona 
diversa dal contraente dell'assicurazione, dev'essere considerata valida 
ai sensi dell'art. 17 della Convenzione, qualora la condizione della 
forma scritta posta da questo articolo sia soddisfatta nei rapporti fra 
l'assicuratore e il contraente dell'assicurazione e il consenso dell'assicuratore 
in proposito sia stato manifestato in modo chiaro e preciso. 
2. -Sulla seconda questione. 
21. -In merito a tale questiO!lle, � sufficiente ricordare che la Corte, 
nelle sentenze 24 giugno 1981 (causa 150/80, Elefanten Schuh GmbH, 
Racc. pag. 1671), 22 ottobre 1981 (causa 27/81, Rohr, Racc. pag. 2431) e 
31 marzo 1982 (causa 25/81, CHW, Racc. pag. 1189), ha riconosciuto che 
l'art. 18 della Convenzione dev'essere interpretato nel senso che esso 
consente al convenuto non solo di eccepire l'incompetenza, ma anche 
di presentare congiuntamente, in via subordinata,� difese nel merito, 
senza tuttavia perdere il diritto di sollevare l'eccezione d'incompetenza. 
(omissis) 


SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 ottobre 1983, n. 6149 . Pres. Qreco � 
Rel. Parisi -P. M. Corasaniti -Ministcrn delle Poste e delle Telecomuni�azioni 
(avv. Stato Mataloni) c. Proietti Mercuri Lorenzo ed 
altri (avv. De Propris). 

Giurisdizione civile � Alloggi di tipo economico e popolare � Cessione 
in propriet� � Criteri legali di determinazione del prezzo � Controversie 
� Giurisdizione del giudice ordinarlo. 

Giurisdizione civile � Alloggi di tipo economico e popolare � Cessione 
in propriet� � Adeguamento dell'importo del prezzo di cessione al 
limite minimo fissato dall'art. 6, secondo comma, della legge 27 apri� 
le 1962, n. 231 � Doverosit�. 

L'attivit� amministrativa che precede la stipulazione del contratto 
di cessione in propriet� degli alloggi di tipo economico e popolare � 
un'attivit� vincolata da norme aventi natura di norme di relazione, dirette 
ad assicurare la cessione in propriet� dell'alloggio all'avente diritto, 
in base ad un prezza che deve essere determinato secondo precisi 
criteri di commisurazione, tassativamente previsti da norme di relazione 
inderogabili dalle quali scaturiscono quindi posizioni di diritto soggettivo 
a favore di entrambe le parti del medesimo rapporto (1). 

I criteri legali di commisurazione del prezza di cessione degli alloggi 
di tipo economico e popolare devono essere inderogabilmente rispettati 
sotto comminatoria di nullit� dei contratti stessi (2). 

Con il primo mezzo si contesta che la posizione dedotta in giudizio 
dagli attuali resistenti, con la domanda che fu da essi proposta il 
17 aprile 1972 davanti al Tribunale di Roma nei confronti dell'Amministrazione 
ricorrente, configuri una posizione di diritto soggettivo, tutelabile 
davanti al Giudice ordinario. 

E ci� sia perch� l'accertamento dei limiti della competenza assegnata 
alle commissioni, provinciale e regionale, di cui agli artt. 6 e 7 del 

d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 -al fine di stabilire se alle medesime 
fosse riservata soltanto la estimazione del valore venale degli alloggi e 
(1-2) In senso conforme, cfr. Cass., Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835, in 
questa Rassegna, 1982, I, 501, con ampia annotazione di richiami giurisprudenziali. 



PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

degli apporti di natura reale (che concorrono solo in parte a determinare 
il prezzo di cessione, in propriet�, degli alloggi, secondo la previsione 
contenuta nel citato art. 6 del d.P.R. n. 2 del 1959 e nell'art. 6 della 
legge 27 aprile 1962, n. 231), o fosse invece devoluto anche l'accertamento 
di tutte le altre condizioni che, in base alle norme vigenti in 
materia, devono essere tenute presenti per determinare il prezzo su 
indicato -dovrebbe essere riservato alla giurisdizione del Giudice 
amministrativo, sia perch�, nella specie, nessuno dei contratti di cessione 
era stato approvato, con conseguente impossibilit� di configurare 
un diritto soggettivo alla pretesa immutabilit� dei prezzi che erano 
stati in essa indicati, vantata dagli attuali resistenti. 

Il primo mezzo non � fondato. 

Queste Sezioni Unite hanno gi� avuto occasione di !ritenere che le 
controversie relative all'accertamento dei criteri legali di quantificazione 
del prezzo che deve essere stabilito per la cessione in propriet� degli 
alloggi di tipo economico e popolare, secondo la normativa del d.P.R. 
17 gennaio 1959, n. 2, modificato dalla legge 27 aprile 1962, n. 231 (e successive 
modificazioni), involgono posizioni aventi natura e consistenza 
di diritti soggettivi, tutelabili come tali davanti all'Autorit� giudiziaria 
ordinaria (v. sent. 11 febbraio 1982, n. 835; 30 marzo 1972, n. 1015). 

A tale conclusione -alla quale sostanzialmente mostra di aderire 
anche la difesa della ricorrente Amministrazione, che a p. 1-4 della 
sua memoria ha dichiarato di non insistere ulteriormente nei motivi 
dedotti con il primo mezzo -questa Corte � pervenuta osservando, tra 
l'altro, che l'attivit� amministrativa che precede la stipulazione del contratto 
di cessione in propriet� degli alloggi in questione � un'attivit� 
vincolata da norme aventi natura di norme di relazione, dirette ad assicurare 
-nel concorso delle condizioni all'uopo richieste dalla legge la 
cessione in propriet� dell'alloggio all'avente diritto, in base a un 
prezzo che deve essere determinato secondo precisi criteri di commisurazione, 
tassativamente previsti da norme di relazione inderogabili 
-che devono cio� essere osservate sotto comminatoria di nullit� del 
contratto -dalle quali scaturiscono quindi posizioni di diritto soggettivo 
a favore di entrambe le parti del medesimo rapporto. 

Al riguardo va poi precisato che il richiamo fatto dalla difesa della 

ricorrente amministrazione alla sentenza 25 maggio 1%5, n. 1026 di queste 

Sezioni Unite -con cui venne affermato che l'operato delle Commissioni 

regionali di cui all'art. 7 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 in tema di deter


minazione del prezzo di c�ssione degli alloggi agli assegnatari dell'Isti


tuto Autonomo Case Popolari non incide su un diritto soggettivo dell'as� 

segnatario, tutelabile davanti al Giudice ordinario -a parte ogni altra 

considerazione, non � pertinente alla fattispecie. 

La questione allora dibattuta concerneva,� infatti, non gi� la indivi


duazione dei criteri legali di determinazione del prezzo, bens� la mera 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLLO STATO

684 

quantificazione del valore venale; e poneva perci� in discuss~one, a 
istanza della stessa amministrazione, la determinazione fattane in sede 
di reclamo dalla Commissione istituita a livello regionale, chiamata a 
risolvere -come gi� ritenuto da queste Sezioni Unite nella citata sentenza 
n. 835 del 1982 -non gi� questioni giuridiche (anche se la fogge 
istitutiva la dichiara competente a conoscere dei ricorsi � contro la determinazione 
del prezzo�) ma a compiere indagini di mera valutazione, 
aventi carattere tecnico. 

Per contro, nella fattispecie .in esame -come del resto ammettono 
le stesse parti -la controversia riguarda esclusivamente l'accertamento 
della illegittimit� del prezzo di cessione, dipendente unicamente dall'asserita 
violazione della condizione tassatirvamente e .inderogabilmente sancita 
dall'art. 6 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, secondo cui �il prezzo di 
cessione non pu� essere inferiore alla somma occorrente agli enti proprietari 
per recuperare gli apporti di carattere patrimoniale per 1a realizzazione 
degM alloggi e per estinguere i residui debiti contratti da essi 
per la costruzione di ogni singolo alloggio, al netto dei contributi dello 
Stato �: violazione peraltro verificatasi con riferimento ad una ipotesi 
di apporti m danaro da valutare al valore nominale a norma dell'art. 6 
della legge 27 aprile 1962, n. 231, o non soggetti quindi alla stima della 
speciale Commissione prevista dall'art. 6 del d.P.R. n. 2 del 1959, a cui 
vanno sottoposti, secondo il citato art. 6 della legge n. 231, solo gli 
apporti di natura reale. La controversia concerne pertanto l'accertamento 
della violazione di una condizione, espressamente prevista dalla 
citata norma di relazione, la cui concreta applicazione non poteva in 
alcun modo essere subordinata o condizionata dalle norme procedimentali 
che regolano -l'attivit� e disciplinano gli effetti che, riguardo alla 
determinazione del prezzo di cessione, .possono derivare dagli accertamenti 
che sono riservati alla competenza delle Commissioni provinciali 
e regionali previste dagli artt. 6 e 7 del citato d.P.R. n. 2 del 1959. 

Pertanto, una volta ritenuto che dal sistema normativo risultante 
dal complesso delle norme su richiamate sorge un diritto soggettivo a 
favore di entrambe le parti -tra cui la cessione intercorre -a che il 
prezzo della cessione venga determinato in conformit� dei criteri di commisurazione 
tassativamente previsti dalla legge, ne consegue che ogni 
controversia relativa alla violazione dei criteri legali di commisurazione 
del prezzo di cessione degli alloggi, di cui trattasi, resta necessariamente 
devoluta -ancor prima e indipendentemente dall'avvenuta stipula del 
contratto di cessione -alla giurisdizione del Giudice ordinario. 

Pertanto il primo mezzo va rigettato. 

Con il secondo e terzo motivo -che per la stretta connessione 
delle questioni prospettate possono essere esaminati congiuntamente si 
denuncia la violazione degli artt. 6 e 7 del d.P.R. n. 2 del 1959 e 4 e 6 
della legge 27 aprile 1962 n. 231 e difetto di motivazione, in relazione 


PARTE I, SBZ. UI, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 685 

all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. per avere i giudici di appello ritenuto 
illegittima la pretesa dell'Amministrazione di adeguare l'importo dei 
prezzi di cessione al limite minimo inderogabilmente stabilito dall'arti� 
colo 6, comma secondo, della legge 27 aprile 1962, n. 231, partendo dal� 
l'erroneo presupposto che fo citate commissioni fossero competenti a 
determinare non soltanto il valore venale degli alloggi e degli apporti 
di carattere patrimoniale, a cui deve essere ragguagliato il prezzo di 
cessione, ma fossero chiamate a compiere �anche tutte le altre ulteriori. 
operazioni richieste, in via complementare, dalle citate nonne ai fini 
della definitiva determinazione del prezzo di cessione, e fondandosi 
inoltre sul presupposto -rimasto peraltro del tutto indimostrato e non 
accertato -che nel caso concreto la Commissione regionale avesse anche 
proceduto ad un effettiva valutazione e applicazione degli altri criteri 
legali di commisurazione del prezzo di cessione, tenendo conto delle 
condizioni soggettive dei vari assegnatari e dei limiti mderogabilmente 
stabiliti dal citato art. 6 della legge n. 231 del 1962. 

I due motivi sono fondati nei limiti che risultano dalle seguenti 
considerazioni. 

In primo luogo va precisato -come gi� si � avuto occasione 
di rilevare esaminando il primo mezzo -che la pretesa dell'Ammini� 
strazione era nella specie diretta ad ottenere l'adeguamento dell'importo 
dei prezzi di cessione al limite minimo inderogabilmente stabilito dal� 
l'art. 6, comma secondo, della legge 27 aprile 1962, n. 231 (secondo 
cui .n prezzo di cessione non pu� essere inferiore alla somma occorrente 
agli enti proprietari per recuperare gli apporti di carattere patrimoniale 
gi� erogati o per estinguere i debiti contratti per procedere alla costru� 
zione degli alloggi), in una fattispecie in cui, trattandosi di apporti in 
denaro, avrebbe dovuto inoltre procedersi alla relativa valutazione se� 
condo il loro rispettivo valore nominale, senza necessit� di stima da 
parte della speciale Commissione prevista dall'art. 6 del cLP.R. n. 2 
del 1959, a cui vanno sottoposti -secondo l'art. 6 della legge n. 231 
del 1962 -solo gli apporti in natura. 

Pertanto il richiesto adeguamento ineriva all'osservanza di un cri� 
terio legale tassativamente previsto, la cui applicazione non postulava 
n� l'intervento della Commissione provinciale -non potendo la rela� 
tiva competenza estendersi al di l� delle ipotesi espressamente previste 
nei citati artt. 6 del d.P.R. n. 2 del 1959 e 6 dalla legge n. 231 del 1962, 
riguardanti l'�accertamento del solo valore venale degli alloggi e la esti� 
mazione dei soli apporti di natura �reale, di cui sopra si � detto -n� 
l'intervento della Commissione a livello regionale, chiamata anch'essa a 
risolvere -come gi� ritenuto da queste Sezioni Unite nella citata sentenza 
n. 835 del 1982 -non gi� questioni di natura amministrativa e 
di carattere giuridico, da risolvere, sul piano formale e sostanziale, in 
stretta aderenza al contenuto delle nonne vigenti in materia, ma a com� 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

piere indagini di mera valutazione, cio� di carattere tecnico e quindi non r ' 

suscettibili di un'immediata e sicura verifica sul piano della loro legit� 

timit� formale e sostanziale. Essa aveva quindi una competenza, in tutto 
analoga, per contenuti, a quella della Commissione provinciale, per un 
possibile riesame e una diversa determinazione della misura del prezzo 
di cessione, nei limiti ben inteso in cui ci� fosse stato richiesto in conseguenza 
di un diverso risultato delle indagini di mera valutazione, 
del valore venale degli alloggi e degli eventuali apporti di natura reale. 

Risulta anche priva di consistenza la circostanza, sia pure in via 
subordinata, ipotizzata dai resistenti per suffragare, per altra via, la 
decisione che � stata adottata -relativa alle preclusioni che in ogni 
caso sarebbero derivate dal mancato esperimento dei rimedi amministrativi 
o giurisdizionali, nei termini di decadenza all'uopo previsti, anche 
nel caso in cui la Commissione, nel determinare il definitivo ammontare 
del prezzo di cessione, avesse travalicato i Hmiti della sua specifica 
competenza. 

'� infatti evidente che le preclusioni connesse al mancato esperi� 
mento dei cennati rimedi -non potendo valere ad immutare n� la 
natura meramente amministrativa della delibera della Commissione, n� 
la natura delle norme dalla stessa violate -avrebbero potuto operare, 
rendendole non pi� contestabili, solo rispetto alle posizioni giuridiche 
riservate alla tutela giurisdizionale del giudice amministrativo, e non 
anche rispetto ai diritti soggettivi che fossero stati eventualmente lesi 
dalla delibera della Commissione, impedendo al giudice ordinario di accertarne 
e dichiararne la illegittimit�. 

Va infine osservato che la previsione a favore di entrambe le parti, 
tra cui la cessione intercorre, della determinazione del prezzo dell'alloggio 
in conformit� dei criteri di commisurazione tassativamente previsti 
dalle norme su richiamate d� origine a una situazione di diritto soggettivo 
che, come gi� si � detto, sorge -nel concorso delle condizioni 
all'uopo richieste dalla legge -anteriormente e indipendentemente dalla 
stipula del contratto di cessione, il quale costituisce lo strumento tecnico-
giuridico attraverso cui si perviene soltanto a un definitivo assetto 
di quella posizione gi� di diritto soggettivo con fa realizzazione del concordato 
trasferimento della propriet� dell'alloggio all'avente diritto, a 
mezzo del contratto. 

Risulta quindi evidente che anche nel caso in oui l'ammontare del 
prezzo della cessione avesse potuto essere determinato dalla Commis� 
sione in tutte le sue componenti, mediante l'applicazione e il calcolo 
di tutti i coefficienti riduttivi, integrativi e limitativi stabiliti dal complesso 
delle speciali disposizioni vigenti in materia -e avesse potuto 
ritenersi perci� che il prezzo di cessione poteva essere (ed era stato 
anche concretamente) determinato dalla detta Commissione, nella piena 
osservanza dei limiti assegnati a:lla sua specifica competenza -ci� non 

I 11 


PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 687 

avrebbe mai potuto precludere ai giudici di appello di verificare se, 
nella specie, erano stati rispettati i criteri legali di commisurazione che 
avrebbero dovuto essere per esso inderogabilmente rispettati sotto comminatoria 
di nullit� dei contratti di cessione, per cui si controverte. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 �ottobre 1983, n. 6180 -Pres. Moscone 
-Rel. Colasurdo -P. M. Sgroi -Ministero delle finanze (avv. Stato 
Laporta) c. Giovannetti (avv. Lopes). 

Giurisdizione civile -Tardiva corresponsione della indennit� di buonuscita 
-Domanda di pagamento dei danni -Colpevole ritardo del1'
Amministrazione nella trasmissione del progetto di liquidazione 
all'E.N.P.A.S. -Giurisdizione del giudice ordinarlo. 

Giurisdizione civile -Riforma della sentenza dichiarativa del difetto di 
giurisdizione dell'a.g.o. -Omessa rimessione al giudice di primo 
grado -Violazione del principio del doppio grado di merito -Sussiste. 


Spetta alla cognizione dell'a.g.o. la domanda di risarcimento dei 
danni per tardivo pagamento dell'indennit� di buonuscita fondata sul 
colpevole comportamento dell'Amministrazione di appartenenza (1). 

Accertata dal giudice d'appello la sussistenza della giurisdizione dell'a.
g.o., negata dal giudice di primo grado, la causa va rimessa a questo 
giudice al fine di garantire il principio del doppio grado del giudizio 
di merito. 

L'Amministrazione ricorrente sostiene che la domanda, in quanto 
rivolta a far valere il diritto del dipendente a conseguire entro il termine 
perentorio stabilito dalla legge l'indennit� di buonuscita, avrebbe 
d�>vuto essere rivolta contro l'ENPAS, e cio� contro l'ente incaricato 
istituzionalmente dell'erogazione, e non gi� all'Amministrazione <li annartenenza, 
del tutto estranea al rapporto di credito-debito, il cui inadem


(1) Questa decisione si riporta alla nota sentenza delle Sezioni Unite in 
data 12 ottobre 1982, n. 5225. 
Naturalmente nel giudizio dinanzi al giudice ordinario spetta all'attore fornire 
la prova della colpa dell'Amministrazione e del danno secondo i criteri 
fissati dall'art. 1224 del codice civile. 

Ne resta cos� esclusa la possibilit� per il medesimo di domandare il paga� 
mento degli interessi corrispettivi e della rivalutazione del credito secondo il 
criterio di cui agli artt. 429, terzo comma, cod. proc. civ. e 150 delle relative disposizioni 
di attuazione. Tali domande, prescindendo da un accertamento su 
stati soggettivi di colpa e traendo diretta fonte dal credito da cui originano, 
ne condividono la natura spettando in via esclusiva alla cognizione del giudice 
amministrativo. 



688 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

pimento era dedotto dall'attore a soste8Ilo delle proprie pretese risarcitorie. 


�La censura non pu� essere accolta. 

La domanda infatti, ha per oggetto il risarcimento dei danni che 

si assume essere derivati da un illecito comportamento colposo tenuto 
dall'Amministrazione convenuta prima e al di fuori dell'attivit� demandata 
dalla legge all'ente previdenziale, obbligato per legge all'erogazione 
dell'indennit� di buonuscita, per cui la pretesa non poteva non 
essere rivolta contro la detta Amministrazione. 

D'altra parte � questione di merito lo stabilire se quel preteso comportamento 
possa aver costituito violazione di un diritto soggettivo dell'attore, 
e, conseguentemente, essere stato per lui fonte di danni risarcibili. 


Con il secondo motirvo si denuncia la violazione degli artt. 29 e 30 

r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, 7 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, 1,3, 25,33 d.P.R. 
29 dicembre 1973, n. 1032, e 353 cod. proc. civ., assumendo che, se sussistesse 
la legittimazione passiva dell'Amministrazione ricorrente, il giudice 
ordinario difetterebbe di giurisdizione. 
Si tratterebbe, infatti, di una questione di diritti patrimoniali conseguenziali 
alla violazione di una situazione inerente al rapporto di pubblico 
impiego, dal quale deriva l'obbligo dell'Amministrazione finanziaria 
di comportarsi in modo da rendere possibile la prestazione previdenziale, 
In ogni caso, poi, Ia Corte di Appello avrebbe violato fart. 353 cod. proc. 

civ. perch�, avendo ravvisato la giurisdizione negata dal primo giudice, 
avrebbe dovuto rimettergli la causa. 

La doglianza � fondata soltanto sotto quest'ultimo profilo. 

Premesso che, stante quanto si � detto a proposito della legittima


zione passiva, qui non si versa nell'ipotesi di cui a:l primo comma del


l'art. 6 l. 20 marzo 1980 n. 75, va aggiunto che non si versa nemmeno 

nell'ipotesi di diritti patrimoniali conseguenziali alla mera Hlegittimit� 

di un atto o di un comportamento dell'Amministrazione in materia di 

pubblico impiego. 

L'attore, invero, deduce un comportamento dell'Amministrazione che 

sarebbe andato oltre il semplice ritardo del compimento dell'attivit� 

dovuta in virt� del rapporto di impiego e che assumerebbe gli aspetti 

dell'illecito. Ne deriva che sussiste al riguardo la giurisdizione del 

giudice ordinario, come � stato ritenuto dalla Corte di Appello e come 

queste Sezioni Unite hanno gi� avuto recentemente occasione ,di affer


mare (12 ottobre 1982, n. 5225). 

Il �giudice di appello, tuttavia, non ha rilevato che, proseguendo 
~'indagine per accertare la concreta responsabilit� della' convenuta dopo 
il riconoscimento della proponibilit� della domanda, negata dal Tribunale, 
veniva a violare il principio del doppio grado del giudizio di 
merito. 


PARTE I, SEZ. llI, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 689 

Il difetto di giurisdizione -ritenuto dal ;primo giudice, sia pure a 
torto, preclusivo di ogni indagine sulla fondatezza della domanda non 
consentiva che l'esame del merito potesse essere svolto nel grado 
superiore, imponendo invece di rimettere le parti davanti al primo giudice 
(23 marzo 1979 n. 1669), secondo l'espressa previsione dell'art. 353 
cod. proc. civ. invocato dall'Amministrazione ricorrente. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 29 ottobre 1983, n. 6418 -Pres. Mirabelli 
-Rel. Tondo -P. M. Tamburrino -Minnella (avv. Astolfi e Sardella) 
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta). 

GiurlsdWone civile -Riconoscimento del diritto a rimborso IRPEF � 
Omessa corresponsione � Domanda di pagamento � Giurisdizione delle 
commissioni tributarie. 

Nel vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, che ha compiutamente 
regolato il sistema del contenzioso tributario, la tutela giurisdizionale 
dei diritti del contribuente si esplica esclusivamente mediante ricorsi alle 
commissioni tributarie, giudici speciali cui la legge attribuisce la cognii;
ione delle controversie relative agli specifici atti di accertamento, di 
imposizione o di rifiuto di restituzione di somme indebitamente riscosse 
nelle materie contemplate dall'art. 1 del citato decreto (1). 

Con l'unico motivo di ricorso, la Minnella -denunciando violazione 
delle norme sulla giurisdizione, violazione e falsa applicazione 
degli artt. 12, 13, 23, 24, 25, 26 e 41 del decreto presidenziale 602 del 1973, 
degli artt. 19-21 della legge n. 114 del 1977, dell'art. 9 della legge n. 751 
del 1976, degli artt. 1 e 16 del decr. pres. 636 del 1978, degli artt. 633 ss. 
cod. proc. civ. e degli artt. 3, 24 e 97 Cost., nonch� �omessa, insufficiente 
e contraddittoria motivazione circa la valutazione di documenti decisi.vi 
e circa la qualificazione della domanda della ricorrente � -deduce che, 
una volta valutata la cartella esattoriale per quello che �, e cio� per 

(1) Sez. Un. 11 aprile 1981, n. 2118. 
La decisione � pienamente da condividere anche per quanto attiene alla 
considerazione, contenuta in parte motiva, che il riconoscimento del diritto del 
contribuente a conseguire il rimborso d'imposta non comporta mutamento del� 
la natura della relativa controversia, poich� incide su un piano strettamente 
processuale lasciando inalterato il rapporto fondamentale. 

La Cassazione conferma cosi la propria virata in tema di rapporti tra contribuente 
e p.a. specie sotto il profilo della restituzione di somme pagate in 
carenza del poteli"e impositivo. Da notare che, precedentemente alla ricordata 
sentenza delle Sez. Un. n. 2118 del 1981, la Cassazione aveva sempre affermato, 
al riguardo, la giurisdizione dell'A.G.O. (cfr. in proposito la sentenza n. 4668 
del 18 ottobre 1978). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DElJ..O STATO 

riconoscimento di debito quanto alla somma in essa contrassegnata con 
la lettera R, diventa palese fa falsa applicazione degli artt. 1 e 16 del 
decr. n. 636 del 1972 e l'erronea qualificazione dell'azione proposta, che 
� di pagamento di un debito gi� riconosciuto e non di riconoscimento di 
un diritto a rimborso; e che, conseguentemente, di fronte al riconoscimento 
gi� avvenuto, non v'era da instaurare alcuna controversia d'imposta 
sul diritto al rimborso, essendo questo ultimo pacifico e scontato. 

Il ricorso � infondato. 

Nel vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, che ha compiutamente 
regolato ili sistema del contenzioso tributario, la tutela giurisdizionale 
dei diritti del contribuente si esplica esclusivamente mediante ricorsi 
alle commissioni tributarie, giudici speciali alla cui cognizione la legge 
attribuisce le controversie relative agli specifici atti di accertamento, 
d'imposizione o di rifiuto di restituzione di somme indebitamente riscosse, 
nelle materie contemplate daill'art. 1 del cit. decreto (v. per tutte, 
sent. 11 aprile 1981, n. 2118). Pi� in particolare, nel caso in cui il contribuente 
affermi che � sopravvenuto diritto al rimborso, si considera 
imposizione il rifiuto di restituzione della somma pagata, ovvero il 
silenzio dell'amministrazione per novanta giorni dalla intimazione a provvedere 
notificata a mezzo di Jettera raccomandata con ricevuta di ritorno, 
ed il ricorso deve essere proposto, salve diverse disposizioni delle singole 
leggi d'imposta, entro sessanta giorni dal rifiuto o dalla scadenza 
dei novanta giorni (art. 16 ult. comma decr. n. 636 del 1972). 

Nella �specie, pertanto, anche a prescindere dal rilievo che, ai sensi 
della disciplina contenuta negli artt. 19 e 21 I. 13 aprile 1977, n. 114, 
modif. dalla 1. 9 dicembre 1977 n. 909, la riliquidazione dell'IRPEF, comunicata 
mediante notificazione di speciale cartella esattoriale, non attribuisce 
al contribuente il diritto ad un immediato rimborso delle somme 
risultanti a di lui credito, ma obbliga soltanto l'ufficio a proporre, in 
difetto di altri impedimen\i, il rimborso, cui provvede l'Intendenza di Finanza 
con ordinativo di pagamento da emettere nei trenta giorni della 
ricezione della proposta, decisiva ed assorbente � la considerazione che 
il preteso riconoscimento di debito da parte dell'Amministrazione di per 
s� non esclude, nel caso di rifiuto di pagamento, la esistenza di una controversia 
d'imposta, perch�, secondo i principi (art. 1988 cod. civ.), la 
ricognizione di debito non pone in essere una obbligazione astratta 
rispetto alfa causa e non preclude all'autore di essa di contestare la esistenza 
del debito, ma determina soltanto un'inversione processuale dell'onere 
della prova, presumendosi la esistenza del rapporto fondamentale 
sino a prova contraria. Cos� accertata la persistenza di una controversia 
d'imposta (art. 16 cit.) � chiaro, poi, che di tale controversia deve conoscere 
la commissione tributaria, giudice speciale cui dalla [egge essa � 
attribuita, non gi� il .giudice ordinario, carente, anche in sede monitaria 
(art. 633 ss. cod. proc. civ.) di giurisdizione. 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

Giova piuttosto precisare che tale soluzione non � in contrasto con 
l'orientamento (v. sent. 31 marzo 1983 n. 2350; 4 marzo 1981 n. 1240) 
secondo cui � di competenza, non gi� cli giurisdizione, la relazione tra la 
corte di appello, in sede di impugnazione contro la pronuncia della commissione 
tributaria di secondo grado (art. 40 decr. n. 636 del 1972) e 
le stesse commissioni tributarie. Tale indirizzo � infatti fondato nel 
rilievo che il ricorso alla corte d'appello, ora ricordato, non d� luogo 
ad un'autonoma azione ordinaria, ma configura un normale mezzo d'impugnazione, 
previsto nell'ambito dell'unico processo tributario come rimedio 
alternativo e di contenuto uguaile al ricorso alla Commissione centrale: 
e che ci� comporta la confluenza, nello anzidetto unico processo, 
di uffici di giurisdizione ordinaria e di giurisdizione speciale, senza che 
la rispettiva, diversa collocazione in ordini distinti possa avere giuridica 
rilevanza per la qualificazione del loro rapporto, dal momento che, 
per disposte normative, essi sono collegati quaili organi di fasi o gradi 
diversi dello stesso processo e preposti, dunque, all'esercizio della medesima 
.piurlsc:lizione inteso in senso oggettivo. e che. d'altro canto, le 
norme che determinano Je funzioni degli organi in fasi o gradi distinti 
dello stesso processo sono, per definizione, interne alla giurisdizione per 
la quale esso � istituito ed attengono perci� alfa competenza. � quindi 
appena il caso di aggiungere che queste considerazioni non si possono 
ovviamente ripetere con riferimento al rapporto tra commissioni tributarie 
ed autorit� giudiziaria ordinaria ed in relazione ad un'autonoma 
azione ordinaria, oggi ammessa solo per talune imposte non rientranti tra 
quelle elencate nell'art. 1 decr. n. 636 del 1972. Contrariamente a quanto 
rilevato ad altro fine (v. sent. 5 febbraio 1982, n. 658), l'inserimento 
della Corte d'Appello nel processo tributario quale alternativo organo 
di terza istanza, non comporta affatto un accentuato collegamento tra 
commissioni, e giudice ordinarlo in quanto tale; e soprattutto non 
toglie che le commissioni tributarie restano giudici speciali e che le 
norme dirette ad attribuire loro la cognizione esclusiva di determinate 
controversie, in deroga alla giurisdizione generale del giudice ordinario 
quale giudice dei diritti attengono, appunto, alla giurisdizione. 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 aprile 1983, n. 2545 � Pres. Mazzacane � 
Est. Bologna � P. M. Ferraiuolo (parz. diff.) � A.N.A.S. (avv. Stato 
Laporta) c. Mauro (avv. Mancuso). 

Espropriazione per p.u. � Indennit� � Opposizione a stima � Dichiarazione 
d'incostituzionalit� delle norme sulla determinazione dell'inden� 
nit� in pendenza di giudizio � Effetti � Cessazione della materia del 
contendere � Esclusione. 
(legge 25 giugno 1865, n. 2359, art. 51; legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 16 e 19). 

Espropriazione per p.u. � Indennit� � Criteri dettati dalla legge � sulla 
casa � � Dichiarazione d'incostituzionalit� � Legge � tampone � � Applicabilit� 
nei giudizi in corso. 

(legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16; legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1 e 3). 

L'opposizione alla stima determinativa dell'indennit� di espropriazione 
non integra una impugnazione dell'indennit�, ma costituisce una 
azione oggettivamente devolutiva della questione riguardante la misura 
dell'indennit� stessa. Ne consegue che nell'ipotesi in cui, pendente il giudizio 
d'opposizione a stima, sopravvenga dichiarazione d'illegittimit� costituzionale 
delle norme applicate in sede di determinazione amministrativa 
dell'indennit�, il giudice non pu� dichiarare cessata la materia del 
contendere ma deve procedere alla determinazione dell'indennit� in base 
alle norme ritenute applicabili (1). 

Le disposizioni della legge 29 luglio 1980, n. 385 (c.d. �legge tampone
�) in tema di determinazione dell'indennit� di esproprio, emanate 
per sostituire provvisoriamente le norme della legge n. 865/1971 dichiarate 
costituzionalmente illegittime, sono applicabili nei giudizi di opposizione 
a stima in corso alla data della loro entrata in vigore (2). 

(1) La sentenza risulta deliberata prima della pubblicazione di Cass., S.U., 
26 febbraio 1983, n. 1464 (in Foro it. 1983, I, 626 ed in questa Rass. 1983, I, 124). 
Sulla natura non impugnatoria dell'opposizione a stima v. in Rass. Avv. 
Stato, 1982, I, 96, in nota a Cass. 3 novembre 1981, n. 5793, ed ivi ulteriori richiami. 


(2) Di diverso avviso s'era dichiarato Trib. Sup. AA.PP., 7 aprile 1981, n. 11 
(in Rass. Avv. Stato, 1981, I, 861, con nota di LAPORTA, � Legge casa� ed espropriazioni 
statali), secondo cui la gi� avvenuta emanazione del decreto d'esproprio 
al momento dell'entrata in vigore della legge �tampone� n. 385/1980 sarebbe 
stata di preclusione all'applicazione, nei giudizi pendenti, delle norme 
da questa dettate. 

PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 693 

(omissis). Con il ricorso principale i'ANAS deduce la necessaria appli� 
cazione nella presente fattispecie della legge sopravvenuta n. 385 del 
29 luglio 1980 diretta a superare le conseguenze negati.ve prodotte sul 
piano della normazione dalla decisione n. 5 del 1980 con la quale la 
Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimit� costituzionale delle 
norme (tra cui -in parte -l'art. 16 della legge n. 865 del 22 ottobre 
1971 :riguardante il criterio del valore agricolo medio) che avevano 
introdotto nuovi criteri per la determinazione dell'indennit� dell'espropriazione 
relativamente all'esecuzioni di opere ad interventi da parte 

o per conto dello Stato e degli enti pubblici; la disciplina provvisoria 
contenuta nella legge sopravvenuta sarebbe applicabile anche ai procedimenti 
in corso, come quello presente. 
La censura � fondata e merita accoglimento. 

La tesi della Corte di merito, che ha pronunziata la cessazione della 
materia del contendere per effetto della sopravvenuta dichiarazione di 
illegittimit� costituzionale dell'art. 16 della legge n. 865 del 22 ottobre 
1971, la quale dichiarazione awebbe sottratto la potestas decidendi 
al giudice dell'opposizione alla indennit� determinata in relazione alla 
espropriazione del terreno de quo (definita con decreto in data 18 aprile 
1977), � erronea. 

Si deve precisare che l'opposizione alla stima determinativa dell'in


dennit� di espropriazione {anche ai sensi dell'art. 19 della legge n. 865 

del 1971, applicata nella specie) non integra una impugnazione dell'inden


nit� gi� fissata in via amministrativa, ma costituisce una azione oggetti


vamente devolutiva della questione riguardante la misura della inden


nit� di espropriazione, ed al giudice della opposizione, quando l'indennit� 

determinata in via amministrativa non sia stata accettata, spetta il 

compito di determinare in concreto l'indennit� dovuta sulla base di 

una nuova ed autonoma valutazione, che deve tener conto dei criteri 

introdotti dalle norme sopravvenute in corso di causa (Cass. 1981 n. 2509, 

1981 n. 4679, 1981 n. 6098). 

Ci� premesso, si osserva che la sentenza della Corte Costituzionale 

n. 5 del 30 gennaio 1980 ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale -fra 
l'altro -dell'art. 16, quinto, sesto e settimo comma della legge n. 865 
del 1971 (applicato nella specie in sede amministrativa) e dell'art. 14 
legge n. 10 del 1977 nella parte in cui ha modificato <il quinto, sesto, settimo 
comma del citato art. 16 in tema di criteri determinativi dell'indennit� 
di espropriazioni. A seguito 1di detta sentenza e per colmare il vuoto 
normativo cos� verificatosi � intervenuta la legge n. 385 del 29 luglio 1980, 
applicabile anche ai giudizi in coriso ai sensi dell'art. 3 (purch� -come 
nella specie in esame -la liquidazione dell'indennit� non sia gi� divenuta 
definitiva ovvero non sia impugnabile, ovvero non sia stata definita 
con sentenza passata in cosa, giudicata alla data rdi pubblicazione 
della sentenza della Corte Costituzionale); l'art. 1 di detta legge soprav

694 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 
venuta ha stabilito che, fino all'entrata in vigore di apposita legge sostitutiva 
delle norme dichiarate illegittime, l'indennit� di espropriazioni 
deve essere commisurata al valore agricolo medio variamente determinato 
e dovr� essere assoggettata a conguaglio secondo i criteri contenuti in 
detta legge sostitutiva (Cass. 1982 n. 3668), il cui termine di emanazione 
� stato prorogato da ultimo al 31 dicembre 1983 (con legge 23 dicembre 
1982 n. 943). 
In relazione a quanto precede, il ricorso deve essere accolto e per 
effetto dell'accoglimento e della conseguente cassazione della sentenza impugnata, 
il giudice di rinvio, pronunziando nel presente giudizio di opposizione 
alla stima riguardante l'indennit� di espropriazione dovuta dall'ANAS 
a Mauro Pietro proprietario dei terreni espropriati, sar� tenuto 
ad 'applicare la legge concretamente vigente al momento della sua decisione 
ed i relativi criteri determinativi della suddetta indennit�. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 giugno 1983, n. 3954 -Pres. Mazza. 
cane � Rel. Gualtieri � P. M. Catelani � Palazzo e altri (avv. Capano) 
c. Ministero dei Lavori Pubblici (avv. Stato Salimei.). 
' 
fil 
~ 
Espropriazione per p.u. � Occupazione temporanea d'urgenza � Illegit� ~i 
tima per difetto del titolo � Risarcimento del danno � Legittimato 
passivo � Soggetto che concretamente ba attuato l'occupazione. 
Enti pubblici � Delegazione amministrativa intersoggettiva . Nozione � Af. 
fidamento improprio � Attribuzione da parte di un ente ad un altro 
ente di ogni potere relativo all'esecuzione di un'opera. 
Procedimento civile � Cassazione civile � Questioni nuove � Inammissiili 
I I 
bilit�. 
Qualora il proprietario di un fondo agisca per il ristoro del danno !�~.~ 
< 
derivatogli dall'esecuzione di un provvedimento di occupazione temporanea 
d'urgenza, deducendo l'illegittimit� di tale esecuzione per difetto 
di valido titolo, l'identificazione del legittimato passivo va effettuata non 
con riferimento al soggetto che abbia chiesto ed ottenuto il decreto autorizzativo 
dell'occupazione, ma a quello che abbia posto in essere il fatto 
causativo del danno e, cio�, concretamente attuato l'occupazione stessa (1). 
La delegazione amministrativa intersoggettiva � un istituto peculiare 
del diritto pubblico, con il quale l'ente investito in via primaria in I ~ i:�: 
~:: 
(1-2) In tema di realizzazione di opera da parte di ente pubblico in regime 
di affidamento improprio � principio pacifico che il legittimato passivo vada 
identificato nell'ente che esegue l'opera e concretizzi l'occupazione: v. per tutte 
Cass., 13 dicembre 1980, n. 6452, in Foro lt., 1981, I, 1082, con nota di richiami. 
In dottrina non vi sono dubbi che la responsabilit� per l'occupazione illegittima 
ricada sull'ente materialmente autore dell'occupazione, indipendentemente 
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PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 69S 

una data materia, conferisce autoritativamente ed unilateralmente ad 
un altro ente pubblico una competenza derivata in ordine alla stessa 
materia, con la conseguenza che l'ente delegato, legittimato all'esercizio 
di poteri e di funzioni spettanti al delegante, provvede rispetto all'oggetto 
della delega non in veste di organo o di rappresentante dell'ente competente 
in via primaria, ma in nome proprio, anche se per conto e nell'interesse 
del delegante. A tale figura giuridica va assimilato l'affidamento 
improprio nel quale un ente attribuisce ad un altro ente ogni 
potere relativo alla esecuzione di un'opera (2). 

Non � consentito prospettare per la prima volta in cassazione una 
tesi giuridica del tutto nuova pur se fondata su questioni di diritto processuale 
e sostanziale gi� dedotte nei precedenti gradi del giudizio allorch� 
quella tesi compensi la formulazione di pretese ed eccezioni diverse, 
che non sono state sottoposte all'esame dei giudici del merito (3). 

dagli eventuali rapporti organizzatori con altri enti: G. DE PINA, Affidamento 
di opere pubbliche e responsabilit� civile, in Giur. merito, 1974, III, 30; Ro. 
DELLA, Circa la possibilit� di delegazione, affidamento o sostituzione nella procedura 
espropriativa, in Ammin. lt., 1971, 496. In tema di rapporti intersoggettivi 
nel caso di affidamento improprio si ammette, poi, il diritto di rivalsa 
dell'ente delegato nei confronti dell'ente delegante che sia concretamente resPonsabile. 
V. per tutte Cass. 17 aprile 1969, n. 1212, in Giust. Civ. 1969, I, 990 
con nota di RuOPPOLO -Sulla figura in generale V. la voce delegaziane amministrativa, 
Umo Dig., voi. di aggiornamento di Rampulla; CARNEVALE VBNCHI, 
Opere pubbliche (ordinamento), Eds. 1980, XXX, 373. 

(3) Principio consolidato. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 giugno 1983, n. 4404 -Pres. Falcone -
Rel. Zappulli � P. M. Plartino (conci. conf.) -Gozzini {avv. di Roberto 
e Sciagr�) c. Ministero dei Beni Culturali e Ambientali (avv. Stato 

Ferri). 

Demanio � Antichit� e Belle arti � Cose di interesse artistico, storico, 
archeologico e etnografico � Obbligo di denuncia � Sussiste � Requisito 
dell'interesse particolare � Irrilevante. 
(Art. 10, primo comma, legge 1 marzo 1975, n. 44; artt. 1, 2, 3, 12, legge 1 giugno 1939, 

n. 1089). 
Sanzioni amministrative � Giudizio di opposizione � Esistenza di un'adeguata 
motivazione -Potere � dovere del Pretore di accertarla � Sussiste. 
(Art. 9, legge 3 maggio 1967, n. 317; art. 8, legge 24 dicembre 1975, n. 706). 

L'interesse archeologico, artistico e storico di cui all'art. 10 della 
legge n. 44 del 1975, che prescrive l'obbligo di denuncia indicato con 
formula generica e priva di particolare rigore, corrisponde a quello ugual


8 



696 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

;::

mente generico di cui all'art. 1 legge n. 1089 del 1939, senza che sia ri


chiesto quel maggior grado dell'interesse particolare, per il quale sono, r ,~:; 
invece, legittimate la notifica e la speciale disoiplina di cui alla legge 

n. 1089 del 1939 {l). 
Il Pretore, nel giudicare sulla opposizione all'ordinanza di irrogazione 
della sanzione amministrativa, ha il potere -dovere di riscontrare 
la esistenza di una adeguata motivazione, pur senza valutare direttamente 
la congruit� di quella determinazione e senza sostituirvi una sua 

II

pronuncia (2). 

1. -Il ,ricorrente Gozzini, con il primo motivo del ricorso, ha lamentato 
la violazione dell'art. 10 della 1. 1� marzo 1975 n. 44 e dell'art. 1 della 
1. 1� giugno 1939 n. 1089. Egli ha sostenuto che, pur secondo la relazione I tecnica del funzionario della Sovrintendenza richiamata nella sentenza, 
non risultava che le cose oggetto del suo commercio rientrassero tra 
quelle previste dalla citata legge del 1939 e, come tali, soggette all'art. 10 
della suddetta legge del 1975. Secondo il ricorrente, essendo stato preciI


sato in quella relazione che gli oggetti commerciati nel negozio erano di m 
� livello storico, artistico e artigianale corrente e medio �, non vi erano w 
elementi per ritenerli � di particolare interesse �, e cio� superiori alla 

I ~ 

media e alla normalit�, cosi da dover essere tutelati per la collettivit�. 
ll motivo � ilnfondiato. Invero, in ;primo luogo il citato art. 10 della 
legge del 1975, nello stabilire l'obbligo della denunzia per �tutti coloro m 

f~

che esercitano il commercio di cose di interesse archeologico, artistico 
e storico � ha sostanzialmente ripetuto, con inequivoco riferimento � per 

.

quanto riguarda Je cose mobili, la categoria generale indicata, con la . 

.. 

sola aggiunta dell'aggettivo � etnografico � delle �cose... che presentano 

l

.� 

interesse artistico, storico, archeologico e etnografico � assoggettate, ai 

(1) Il princ1p10 era stato gi� affermato dalla Cassazione Sezioni Unite, 
nella sentenza 24 maggio 1975, n. 2102 peraltro citata nel testo � in Foro It., 
1976, I, 119 e in Cass. 14 febbraio 1975, n. 590, ivi 1975, I, 1107, con nota di richiaini 
che affronta il problema in relazione agli atti traslativi di propriet� e 
alla locazione di l>eni dichiarati di interesse particolarmente importante. 
(2) Massima consolidata. V. in particolare Cass., 27 ottobre 1978, n. 4892, 
in Foro It., Rep. 1978; Cass., 14 maggio 1976, n. 1708, ivi, 1976, I, 2671, con nota 
di richiaini; Cass. 24 febbraio 1976, n. 926, Mass., 1976, in base alle quali l'esistenza 
di una sufficiente motivazione sul quantum della sanzione � condizione 
sul piano formale della legittimit� dell'atto e come tale, quindi, forma oggetto 
del relativo controllo. In senso parzialmente difforme V. Cass., 27 febbraio 
1981, n. 623, ivi, 981. 
In dottrina V. NoccELLI, Poteri di ordinanza del sindaco, irrogazione di 
sanzioni amministrative e tutela giurisdizionale del privato, in Foro It., 1975, 
I, 1025. 

Sul problema V. in generale M. A. SANDULLI, Sanzioni amministrative pecuniarie, 
Javene, Napoli, 1983, passim. 
GABRIELLA PALMIERI. 


PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

sensi della norma fondamentale dell'art. 1 della J. 1� giugno 1939 n. 1089, 
alla disciplina di detta fogge. 

Ci� premesso, va posto in rilievo che il successivo art. 3 della stessa 
attribuisce al Ministro per l'Istruzione Pubblica il potere di eseguire 
una speciale notifica ai rispettivi proprietari, possessori e detentori, per 
quelle indicate nell'art. 1 �che siano di interesse particolarmente importante 
�. Conseguenza di tale notifica, ed esclusivamente per le cose 
per le quali sia stata effettuata, � oltre che l'irnclusione in speciali elenchi, 
l'assoggettamento, ai sensi del successivo art. 12, al divieto dri demolizione, 
rimozione, modifica. o restauro senza l'autorizzazione del ministro stesso, 
come stabilito dal precedente art. 11. 

Si evincono chiaramente da queste norme la distinzione e la contrapposizione 
tra il generico �interesse artistico, storico, archeologico e etnografico 
� di cui al citato art. 1 e quelle �particolarmente importanti � di 
cui all'art. 2 e alle altre norme citate, per il cui riconoscimento � imposto 
il pi� rigoroso vincolo. � 

Questa medesima distinzione conferma che l'interesse archeologico, 
artistico e storico di cui all'art. 10 della legge del 1975, indicato con formula 
generica e priva di particolare rigore, corrisponde a queihlo ugualmente 
generico, di cui all'art. 1 della legge del 1939, senza che sia richiesto 
quel maggior grado dell'interesse particolare, per il quale sono legittimate 
la notifica e la speciale disciplina di cui alle altre norme riportate. 

Conseguentemente, il riferimento nella motivazione della sentenza 
impugnata, al � livello corrente medio � accertato neMa relazione tecnica, 
� ben sufficiente a indicare le ragioni per le quali il giudice ha ritenuto, 
in conformit� alla suddetta ordinanza, che gli oggetti del commercio 
esercitato dal Gozzini rientrano nella categoria prevista dal merlzionato 
art. 10. 

True distinzione � stata riconosciuta pur da questa Suprema Corte, 
la quale ha affermato che i beni di interesse artistico e storico sono 
soggetti, sia pure in misura limitata, alla disciplina di cui alla l. 1� giugno 
1975 n. 1089, anche in mancanza dello speciale provvedimento di 
notifica previsto da tale legge, poich� questo provvedimento, richiesto 
per le sole cose che posseggano il suddetto interesse in misura rilevante, 
� necessario esclusivamente ai fini dell'integrale applicazione della legge 
medesima (Sez. Un. 24 maggio 1975, n. 2102). 

Sulla base di tale distinzione e della sostanziale corrispondenza 

tra fa categoria prevista dall'art. 10 della legge deJ 1975 e quella di cui 

all'art. 1 della legge del 1939, va considerato pure che il suddetto art. 10 

ha manifestamente carattere strumentale, essendo diretto, attraverso la 

imposizione della denunzia ai commercianti di quel �ramo a favorire il 

controllo e le indagini successive dehl'amministrazione interessata, oltre 

che per altri fini, per la ricerca di quelle cose che abbiano l'interesse 

particolare importante, tale da legittimare la successiva e conseguente 


698 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

eventuale notifica, rimessa al potere discrezionale degli uffici competenti, 
per la costituzione del vincolo previsto per quella meno estesa categoria 
rientrante;� come specie, nel pi� ampio. genere indicato dall'art. 1. 

Pertanto, � peJfettamente giustificato e conforme a legge che la valutazione 
possa essere fatta con riferimento a quel livello minore, ma comunque 
corrispondente alla media, e non sulla base dei requisiti di carattere 
pi� elevato. Non � dubbio, perci�, che il riferimento alle vailutazioni 
della menzionata relazione tecnica ha dato luogo una motivazione adeguata 
e sufficiente, dovendosi tener conto anche della discrezionalit� in 
tal materia della Pubblica Amministrazione per l'imposizione di quei successivi 
e maggiori vincoli. 

2. -Con il secondo motivo i!l ricorrente ha lamentato, nel �rilevare che 
l'art. 8 della l. 24 dicembre 1975 n. 306 ha richiesto che l'autorit� amministrativa 
competente determini la somma dovuta a titolo di sanzione 
� con ordinanza motivata �, che il pretore ha omesso di considerare la 
eccepita mancanza di motivazione e Ja conseguente Ulegittimit� dell'atto, 
per quanto riguavda la entit� della somma, erroneamente affermando che 
la congruit� della motivazione in ordine alla sussistenza dell'infrazione 
determinava anche que1la della sanzione applicata e che non spettava al 
contravventore sindacare l'entit� e i criteri. adottati discrezionalmente 
dalla Pubblica Amministrazione. 
Il motivo non pu� essere accolto, pur se va riconosciuto l'errore del 
giudice sulla asserita insindacabilit� da parte del pretore del difetto di 
motivazione del provvedimento amministrativo prima dell'entrata in vigore 
della L. 24 novembre 1981 n. 689 priva di norme retroattive per questa 
parte. 

Al riguardo, va osservato, che sia l'art. 9 della L. 3 maggio 1967 n. 317 
sia l'art. 8 della legge 24 dicembre 1975 n. 706 disponevano che la somma 
dovuta per la violazione accertata deve essere determinata con � ordinanza 
motivata�. In applicazione di tale norma e dei principi generali 
questa Suprema Corte ha costantemente affermato che il Pretore, nel 
giudicare sulla conseguente opposizione, ha il potere dovere di riscontrare 
l'esistenza di una adeguata motivazione, pur senza valutare direttamente 
la congruit� di quella determinazione e senza sostituirvi una sua 
pronunzia (Sez. Un. 27 ottobre 1978 n. 4892, 12 aprile 1980 n. 2323; 19 luglio 
1980 n. 4727, 3 aprile 1980 n. 2151). 

Ci� premesso, deve per�, precisarsi che se il giudice dell'opposizione, 
e cio� il pretore, pu� e deve eseguire il suo controllo sul menzionato 
requisito della motivazione del provvedimento amministrativo, questa 
Suprema Corte non pu� compiere direttamente tale valutazione del medesimo, 
ma solo controllare se il pretore stesso abbia adeguatamente e 
in conformit� alle leggi effettuato quel contro11o e corrispondente motivato 
la propria pronunzia. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 699 

In base a tale principio e a tale distinzione la sentenza impugnata, 
pur avendo erroneamente affermato ila insindacabilit� della determinazione 
della sanzione, ha, con motivazione sintetica ma sufficiente, negato che 
sussistesse il dedotto difetto di motivazione del provvedimento amministrativo 
perch� la �congruit� della motivazione (sul fatto) determina anche 
la congruit� dell'entit� della sanzione �. Quel giudice, in tal modo, ha 
manifestato di ritenere che fa motivazione del provvedimento su11a estensione 
dell'infrazione avesse effetto anche per le ragioni della determinazione 
della sanzione pecuniaria. Tale affermazione, della quale non � stato 
d~otto alcun vizio di i11ogicit� e contraddittoriet�, manifesta il proced.tmento 
logico giuridico seguito dal giudice per valutare a sua volta la 
congruit� della motivazione dell'ordinanza impugnata e si sottrae, perci� 
ad o~ulteriore sindacato della corte regolatrice. 

Conseguentemente, il ricorso va rigettato. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 luglio 1983, n. 4512 -Pres. Moscone� 
Rel. Virgilio -P. M. Sgroi (diff.) -Universit� degli studi di Messina 
(avv. Nicol�) c. Siracusano '(avv. Sorrentino). 

Avvocatura dello Stato � Patrocinio di Enti pubblici � Deroga � Condizioni. 


(r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43; �l. 3 aprile 1979, n. 103, art. 11). 
Enti pubblici � Universit� degli studi � Rappresentanza e difesa in giudizio 
� Spetta all'Avvocatura dello Stato � Ricorso per cassazione proposto 
da avvocato libero professionista � Inammissibilit�. 

(r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, art. 56; r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43}. 
L'autorizzazione, conferita ad Enti pubblici, ad avvalersi del patrocinio 
dell'Avvocatura dello Stato determina la costituzione -ope legis di 
un mandato di rappresentanza e difesa in giudizio avente caratteri di 
organicit� ed esclusivit�, il quale, fuori dei casi di conflitto d'interessi 
tra l'Ente e lo Stato o le Regioni, pu� eccezionalmente essere interrotto 
solo allorch� la determinazione di non avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura 
risulti da una delibera motivata dell'Ente sottoposta agli organi 
di vigilanza (1). 

(1-2) Ulteriore, rilevante intervento della Corte regolatrice nella definizione 
dei caratteri del patrocinio di Enti pubblici, da parte dell'Avvocatura dello 
Stato, dopo le modificazioni introdotte nell'art. 43 T.U. n. 1611/1933 con la 
legge 3 aprile 1979, n. 103. In argomento, v. LAPORTA, Esercizio dello ius postu� 
landi per una p.a., ecc., in questa Rassegna, 1980, I, 335. 

Per particolari aspetti del patrocinio delle Regioni a statuto ordinario, 
alla luce dell'art. 106 e 107 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, cfr. Cass., S.U., 15 marzo 
1982, n. 1672, in questa Rassegna, 1982, I, 705 con nota. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� inammissibile, per difetto di ius postulandi, il ricorso per cassazione 
proposto da una Universit� col patrocinio di un libero professionista, 
quando la deliberazione dell'Ente abbia avuto ad oggetto esclusivamente 
l'opportunit� di proporre impugnazione (2). 

(omissis) I ~esistenti hanno preliminarmente eccepito l'inammissibilit� 
del ricorso ed hanno insistito su tale deduzione con Ia memoria 
depositata il 18 aprile 1983, specifioando che la delibevazione del Consiglio 
di ammiinistrazione dell'Universit� di Messina in data 3 ottobre 1981 
non risulta conforme al precetto inderogabile dell'art. 11 della Jegge 3 
aprile 1979 n. 103 (contenente modifiche all'ordinamento dell'Avvocatura 
dello Stato) e che pertanto l'Universit� non pu� ritenersi validamente 
rappresentata e difesa nel presente giudizio da un avvocato del libero 
foro. 

L'eccezione � fondata. 

A norma dell'art. 56 del r.d. 31 agosto 1933 n. 1592 (testo unico delle 
leggi sull'istruzione superiore) le Universit� e gli istituti superiori possono 
essere rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato nei giudizi 
attivi e passivi avanti l'autorit� giudiziaria, i collegi arbitrali e le giurisdizioni 
amministrative speciali, semprech� non trattisi di contestazioni 
contro lo Stato. 

Queste Sezioni unite hanno precisato, anche prima delle modifiche 
apportate con la legge n. 103 del 1979 al T.U. n. 1611 del 1933, che per 
le amministrazioni ed enti pubblici indicati {qualora siano autorizzati per 
legge ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato) la rappresentanza 
e la difesa sono assunte dall'Avvocatura stessa senza bisogno 
di mandato, neppure nei casi in cui sia richiesto il mandato speciale. 

~ stato infatti ritenuto che anche nell'ipotesi considerata trova applicazione, 
in forza del chiaro disposto (di rinvio) dell'art. 45 del testo unico, 
la regola generale (art. 1) secondo cui l'esercizio delle funzioni di rappresentanza 
e difesa in giudizio non richiede alcun mandato. 

Con la stessa sentenza n. 700 del 1975 � stato inoltre precisato che 

l'art. 43 del citato testo unico (nella parte in cui autorizza l'Avvocatura 

dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa di amministrazioni 

pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti, a tutela od anche 

a sola vigilanza dello Stato) � da considerarsi norma di preminente ca


rattere pubbUcistico, volta non alla tutela diretta degli interessi di tali 

enti, bens� alla tutela dell'interesse esclusivo dello Stato a che i fini pub


blici delegati ai medesimi vengano legittimamente e opportunamente per� 

seguiti mediante l'attribuzione della difesa in giudizio a un organo chia


mato a valutare gli interessi dello Stato considerato nella sua unicit�. 

Questi principi sono stati ancor pi� ribaditi dopo l'entrata in vigore 

della legge n. 103 del 1979, la quale ha improntato a maggior rigore la 

disciplina della rappresentanza e difesa nei giudizi degli enti pubblici. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

�1:. stato perci� riaffermato che non � richiesta alcuna deliberazione 
degli enti ai fini dell'assunzione della difesa da parte dell'Avvocatura dello 
Stato, n� occorre alcun conferimento di mandato per l'esercizio dello 
ius postulandi, mentre la deliberazione � necessaria allo scopo di escludere 
il potere di rappresentanza e difesa spettante ex lege (in forza dell'art. 
11 della legge n. 103 del 1979) all'Avvocatura dello Stato, cio� allo 
scopo di potersi valere dell'opera di Jiberi professionisti (SS.UU., 19 luglio 
1982 n. 4204; 27 luglio 1982 n. 4317; 24 settembre 1982 n. 4934; 16 gennaio 
1980 n. 374). 

Sulla lmea dei richiamati principi (con Ja �sentenza n. 4204 del 1982 
fu esaminato proprio il caso di una UniveJ:1Sit�) deve ritenersi che l'osservanza 
delle disposizioni sulla rappresentanza e difesa in giudizio degli 
enti pubblici, la quale attiene, come si � detto, alla tutela dell'interesse 
(pubblico) generale dello Stato ne11a sua unicit�, deve essere controllata 
anche di ufficio, e perci� non ha alcun rilievo la circostanza che i �resistenti 
abbiano soltanto con la memoria chiarito i teI'Ill.ini della eccezione 
di �inammissibilit� del ricorso, genericamente proposta con il controri� 
corso; n� ha rilievo che l'Universit� non abbia ritenuto di dolersi essa 
stessa della violazione delle norme che regolano la sua rappresentanza e 
difesa in 'giudizio, non essendo ci� sufficiente ad esimere }a Corte dallo 
esame della detta eccezione. 

Passando alla valutazione del caso concreto, va rilevato che la deliberazione 
3 ottobre 1981 del Consiglio di amministrazione dell'Universit� 
di Messina ebbe per oggetto esclusivamente l'esame della opportunit� di 
proporre ricorso per cassazione avverso la senten21a della Corte di appello, 
mentre nessun accenno vi � sul punto della rappresentanza e di� 
fesa dell'ente nel relativo giudizio. 

Il quinto comma (aggiunto con l'art. 11 della legge n. 103 del 1979) 
dell'art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933, dopo aver fatto �salve� le ipotesi di 
conflitto previste nel comma precedente (cio� i casi di conflitto di interessi 
con lo Stato o con le regioni), dispone che le amministrazioni non 
statali e gli enti pubblici � ove intendano in casi speciali non avvalersi 
dell'Avvocatura dello St�to, debbono adottare apposita motivata delibera 
da sottoporre agli ovgam di vigilanza �. 

La fattispecie derogatoria, rispetto al potere di rappresentanza e di� 
fesa attribuito per legge all'Avvocatura dello Stato, si articola in due 
distinte ipotesi. 

La prima (conflitto di interessi) non � assolutamente configurabile 
nel caso in esame perch� sia nel giudizio dinanzi agli arbitri, sia nelle 
fasi successive, rparti in causa sono soltanto l'Universit� (da una parte) 
e l'impresa Siracusano (dall'altra), sicch� la contrapposizione di dnteressi 
riguarda ovviamente tali parti, disputandosi tra esse del contratto di appalto 
e delle reciproche pretese derivanti da tale contratto. 


RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Neppure la seconda ipotesi derogatoria prevista dalla norma si � 
realizzata. 

Come chiaramente risulta dal tenore della riportata disposizione, il 
rapporto che ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio si costituisce 
ope legis � in via organica ed esclusiva � tra gli enti indicati nel primo 
comma dell'art. 43 e l'Avvocatura dello Stato, pu� diventare !inoperante 
soltanto se concorrono due precise condizioni: che l'ente abbia ritenuto, 
mediante deliberazione motivata, di non avvalersi nel caso concreto dell'organo 
di difesa previsto in via generale dalla legge, e che la deliberazione 
sia stata sottoposta agli organi di vigilanza. 

La deliberazione e il suo assoggettamento ai detti organi sono dunque 
elementi costitutivi della fattispecie derogatoria (e non gi� meri elementi 
propedeutici al conferimento del mandato a difensori liberi professionisti), 
per cui la loro mancanza impedisce la interruzione del rapporto 
organico di rappresentanza-difesa esistente ipso iure tra ente pubblico 
e Avvocatura dello Stato. 

La non avvenuta realizzazione della fattispecie derogatoria comporta 
perci� la persistenza del menzionato rapporto, con conseguente invalidazione 
del mandato conferito al difensore privato, il quale in tal caso � 
sfornito dello jus postulandi per conto dell'ente pubblico. 

Per le considerazioni esposte, la Corte deve dichiarare !inammissibile 
il ricorso dell'Universit� di Messina sottoscritto da tale difensore, con 
assorbimento di ogni altra questione. '(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 agosto 1983, n. 5311 -Pres. Virgilio -
Rel. Sgroi -P. M. Silocchi -Ministero della Difesa Aeronautica (vice 
Avv. Gen. Gargiulo) c. Fallimento SACA (avv. Selvaggi e Giorgianm). 

Arbitrato � Lodo parziale � Lodo parziale affermativo della competenza 
arbitrale � Impugnativa immediata � Inammissibilit�. 

L'impugnazione immediata contro U lodo parziale non � ammissibile 
anche se tale lodo decide soltanto la questione di competenza degli arbi� 
tri, in senso aftermativo (la decisione in senso negativo va data con lodo 
definitivoj (1). 

(1) L'immediata azione di nullit� (senza attendere il lodo definitivo) � stata 
proposta perch�, pur tenendo presente i principi affermati dalla recente sentenza 
della Cassazione (I sezione, 12 luglio 1979, numero 4-020), -la quale ha 
ritenuto che il lodo parziale deve essere impugnato insieme con il lodo defi� 
nitivo -, si � osservato che tali princ�pi concernono esclusivamente un lodo 
parziale che contenga statuizioni di merito su alcune domande sottoposte 
agli arbitri, e solo rispetto a tale ipotesi pu� valere il principio dell'impugnazione 
congiunta del lodo parziale e di quello definitivo (o, il che � Io stesso, 

PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 703 

Con il primo motivo, l'Amministrazione della Difesa deduce la violazione 
degli artt. 827 e ss. cod. rproc. civ. e dei principi sull'impugnazione 
immediata del lodo parziale che decide la sola questione di competenza, 
osservando che il riferimento alle argomentazioni della sentenza n. 4020 
del 1979 di questa Corte non � pertinente. Come � detto in tale sentenza, 
la considerazione unitaria del giudizio arbitrale da parte del giudice del� 
l'impugnazione � giustificata dall'esigenza di non frazionare il giudizio 
di merito, in quanto quel giudice avrebbe dovuto procedere al giudizio 
rescissorio e riesaminare cos� il merito, sebbene questo fosse continuato 
ad essere affidato agli arbitri per la parte non decisa col lodo non definitivo. 
invece, nel caso in esame il lodo parziale non riguarda il merito 
e quindi vengono meno le ragioni che hanno indotto la Cassarione ad accogliere 
il principio della concentrazione dei gravami. 

Il lodo non concerne l'oggetto del contratto, ma si limita a decidere 
una questione che � ancora fuori ad esso. 

Il principio secondo cui, all'annullamento della sentenza arbitrale, 
consegue il giudizio di merito da parte dell'A.G.O. investita della querela 
nullitatis non si applica nel caso che gli arbitri abbiano statuito su controversia 
sottratta per ragioni di competenza alla Joro cognizione, perch� 
in tale ipotesi la causa, per rispetto dell'esigenza del doppio grado di 
giurisdizione, deve essere rimessa al giudice ordinario che sarebbe stato 
competente a decidere in primo grado la controversia. 

dell'impugnazione procrastinata del primo lodo), essendo essa imposta dalla 
struttura unitaria del procedimento arbitrale. Nella specie invece il lodo, pur 
parziale, ha esaminato la sola questione di competenza senza statuire nel 
merito; e la pronuncia, rispetto a tale questione, pu�� ritenersi conclusiva. 
A conforto di tale tesi � stata richiamata la sentenza delle Sezioni Unite 
19 luglio 1957 numero 2050 (Giustizia Civile 1957, I, 1460), la quale proprio in 
tema di competenza, ha ritenuto ammissibile l'impugnativa immediata contro 
il lodo parziale. 

Il riferimento alle argomentazioni della sentenza n. 4020 per risolvere la 
questione di specie, non � pertinente. Come � detto in tale sentenza, la considerazione 
unitaria del giudizio arbitrale da parte del giudice dell'impugnazione 
veniva giustificata dall'esigenza di non frazionare il giudizio di merito 
(e la specie decisa da quella sentenza concerneva un lodo parziale su alcune 
domande risolte separatamente dalle altre), in quanto quel giudice avrebbe 
dovuto procedere al giudizio rescissorio e riesaminare cosi il merito sebbene 
questo fosse continuato ad essere affidato agli arbitri per la parte non decisiva 
col lodo non definitivo. Ora � evidente che nel caso in esame il lodo parziale 
non riguarda -si ripete -il merito e quindi vengono meno le ragioni, di 
indole sistematica, che hanno indotto la Cassazione ad accogliere il principio 
della concentrazione dei gravami (contro il lodo parziale e contro quello 
definitivo). E si consideri, infine, che la Cassazione nella stessa sentenza riconosce 
il potere degli arbitri di frazionare la loro pronunzia in pi� lodi sempre 
che essa, nel suo complesso, riguardi la totalit� dell'oggetto del compromesso. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Secondo la ricorrente, la Corte di Appello � in errore laddove si sofferma 
sull'art. 830 cod. proc. civ. perch�, pur non ponendo la legge alcuna 
distinzione fra le varie ipotesi di nullit� del giudizio e della sentenza arbitrale, 
non pu� dubitarsi che un diverso trattamento, con esclusione della 
competenza del giudice dell'impugnazione ad emettere pronuncie di merito 
ai sensi dell'art. 8'30 cod. proc. civ., debba farsi per quelle ipotesi in 
cui per divieto di legge il giudizio arbitrale non avrebbe potuto essere 
comunque istituito. In tali casi non si deve parlare di nullit�, ma J'.'icorrere 
ipotesi di tinesistenza, cio� di assoluta inefficacia giuridica del lodo, 
sicch� non possono essere consentite pronuncie quali quelle di merito, 
di cui al cit. art. 830, aventi per presupposto un procedimento ed una 
decisione arbitrale, quantunque viziati, non tali per� da poter essere considerati 
del tutto inesistenti per l'ordinamento. 

Nella specie l'Amministrazione aveva sostenuto la caducazione e la 
nullit� assoluta della clausola compromissoria per contrasto con precetti 
costituzionrali e norme imperative. 

Con il secondo motivo, l'Amministrazione della Difesa deduce Ja violazione 
degli artt. 827, 829 e 830, 360 n. 2, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., osservando 
che nel lodo era detto che gli arbitri, su concorde richiesta delle 
parti, avevano limitato la pronuncia alla sola questione di competenza, 
precisando che il giudizio sarebbe proseguito solo dopo iJ passaggio in 
giudicato del lodo parziale, quale effetto ,della mancata proposizione del 
regolamento di competenza, ovvero di una pronuncia della Cassazione 
confermativa della competenza arbitrale. La Corte di appello doveva scegliere 
fra due soluzioni alternative: o dichiarare inammissibile !'.impugnativa 
immediata (ed in tal caso non poteva esaminare e decidere i motivi 
di impugnazione); oppure dichirarare ammissibile l'impugnativa (ed 
in tal caso doveva esaminare e decidere 1a questione di competenza). La 
Corte di appello ha invece scelto una terza via, dichiarando inammissibile 
il'impugnativa immediata, ma accogliendo tuttavia il terzo motivo 
che criticava il lodo sul mezzo d'impugnazione da esso suggerito, violando 
in tal modo ~i artt. 824 e 829, perch� doveva ritenersi investita della 
querela nullitatis ed esaminare e .giudicare anche la questione di competenza. 


I due motivi devono essere esaminati congiuntamente e sono infondati. 
Per completare il quadro dei riferimenti riguardanti la questione, 
si deve ricordare che questa Corte, con sentenze non recenti (Cass. 20 
aprile 1950 n. 1062; Cass. 9 luglio 1965 n. 1431) ha statuito che alla pronuncia 
dell'arbitro che abbia deciso su!lla propria competenza, senza definire 
il giudizio, deve riconoscersi il carattere di ordinanza revocabile 
ai sensi dell'art. 816 ult. comma cod. proc. civ., anche se l'arbitro abbia 
attribuito alla propria pronunzia la denominazione di sentenza. Tale indirizzo 
non pu� essere confermato, e pertanto dal principio enunciato non 
si pu� trarre avgomento per affermare in radice l'inammissibilit� del



PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 

l'impugnativa di nullit� la quale non pu� rivolgersi contro le ordinanze, 
ma soltanto contro il lodo (art. 827 ss.). 

Invero, mentre la sentenza n. 1062 del 1950 si inquadrava nell'indi� 
rizzo, allora dominante, secondo cui non � ammessa la pronuncia di un 
lodo parziale, Ja sentenza n. 1431 del 1965 non ha tenuto conto del consolidarsi 
dehl'opposto indirizzo, che ammette i lodi parziali, a seguito 
della sentenza deMe Sez. un. 7 agosto 1950 n. 2419. E pertanto, anche sulla 
competenza il collegio arbitrale si deve pronunciare con lodo parziale. 

Il problema dehl'impugnabilit� immediata di esso � stato sfiorato dalla 
sentenza delle sez. unite 19 luglio 1957 n. 3050 che si � limitata ad affermare 
che non pu� esservi dubbio sull'ammissibilit� dell'impugnazione 
di nullit� di cui agli artt. 827 e 829 cod. proc. civ. avverso un Jodo parziale 
1che ha fissato soltanto i limiti della controversia e delfa competenza 
arbitrale, escludendo l'ammissibilit� del regolamento di competenza. 

Quest'ultima affermazione � esatta e conforme ailla costante giurisprudenza 
di questa Corte, che ha semrpre ritenuto non esperibile il ri� 
medio del regolamento di competenza, avverso la sentenza arbitrale (fra 
le altre, cfr. Cass. 15 marzo 1976 n. 930; Cass. 18 dicembre 1973 n. 3433). 
Invece, l'affermazione precedente, non sovretta da adeguato approfondimento 
dell'arduo problema, � stata motivatamente superata da Cass. 
12 luglio 1979 n. 4020. 

L'Amministrazione �ricorrente mostra �di non contestare la validit� di 
quest'ultimo orientamento per i casi in cui gli arbitri abbiano deciso 
soltanto su alcune delle domande, ma di ritenerlo iinappllicabile all'ipotesi 
in cui gli arbitri hanno deciso soltanto sulla competenza, affermandola, 
senza definire il giudizio arbitrale (fermo, ovviamente, il principio 
deH'esperibilit� dell'impugnativa immediata per nullit� e non del regolamento 
di competenza). L'assunto della ricorrente non pu� essere condiviso, 
e non soltanto perch� non appare corretto, in linea di principio, di� 
scriminare la possibiilit� o meno di esperire l'impugnazione immediata 
contro la sentenza airbitrale parziale, a seconda che essa pronunci sulla 
competenza o su altre questioni (o addirittura, a ,seconda della ragione 
fatta valere con il'Jmpugnazione per nullit�); ma anche perch� nemmeno 
la ricorrente contesta efficacemente tutte fo ragioni sistematicamente 
esposte dalla sentenza n. 4020 del 1979. 

Questa � poggiata su cinque ordini di argomentazioni: 
a) il sistema della scelta fra impugnazione immediata ed impugnazione 
differita � imperniato sull'istituto de11a riserva di impugnazione 
differita, la quale non � utilizzabile nell'impugnazione dei lodi parziali; , 
b) l'art. 829 n. 4 cod. proc. civ. sancisce con Ja nullit� del lodo la� 
violazione dell'obbligo degli arbitri di pronunciare su tutte le questioni 
sottoposte al loro esame. La decisione resta definitivamente parziale e 
diventa, quindi, operante la causa di nullit�, se il lodo definitivo non venga 
poi affatto pronunciato o non intervenga tempestivamente, agli ef� 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

fetti dell'art. 820; e poich� questo evento � relazionato, in entrambe le 
ipotesi, alla scadenza del termine per il deposito del lodo definitivo, � 
chiaro che queJ.:lo parziale non pu� essere impugnato prima di detta data; 
e, nel secondo caso �(cio� quando n lodo finale sia stato reso dopo la 
notifica di cui all'art. 821), l'impugnativa deve necessariamente investire 
entrambi i lodi, nei termini dovuti per il definitivo. Lo stesso discorso 
vale per l'ipotesi che hl lodo definitivo non esaurisca l'intero oggetto del 
compromesso: il'incompletezza della sentenza finale ugualmente cristallizza 
il carattere parziale della pdma pronuncia, con le medesime conseguenze 
di cui sopra, sicch� anche in tal caso il gravame � reso possibile 
solo dalla prolazione del lodo definitivo e deve rigua.Tdare di necessit� 
entrambe le pronuncie (le quali, ai fini della completezza o meno 
del giudizio arbitrale vanno valutate contemporaneamente); 

e) in relazione alla stessa ipotesi ed a tutte le altre in cui sia nullo 
il lodo definitivo, viene �in considerazione l'art. 830 cod. proc..civ.: dovendo 
il giudice dell'impugnazione dichiarare la nullit� della pronuncia 
e del giudizio arbitrale tutte le volte che accolga il gravame, tali conseguenze 
si producono anche quando la nullit� investa un solo capo della 
decisione a11bitrale, rimanendo travolta, quindi, anche iJ.'eventuale sentenza 
non definitiva in precedenza resa. 

Se questa dovesse formare oggetto di impugnazione immediata, il 
passaggio in giudicato della sentenza medesima, se non impugnata, o 
di quella che decide il gravame (respingendolo) renderebbe intangibile 
la statuizione e conseguentemente inoperante l'art. 830; 

d) con riferimento a1l'inosservanza del termine di deposito del lodo 
definitivo, [a nullit� di cui al n. 6 dell'art. 829 investe sia il lodo definitivo, 
depositato oltre il termine, e sia quello parziale. Anche per dedurre 
questo vizio si impone quindi il differimento dell'Jmpugnativa del lodo 
parziale, dovendosi evitare l'effetto preclusivo del giudicato che potrebbe 
prodursi se si ammettesse il gravame immediato, per una diversa 
causa di nullit� del lodo parziale; 

e) l'annullamento di un Jodo parziale impugnato immediatamente, 
obbligherebbe il giudice a procedere al giudizio rescissorio ed a riesaminare, 
quindi, il merito della controversia, sebbene questo continui ad 
essere affidato agli arbitri per la parte non decisa con :il lodo non definitivo, 
con fa conseguente necessit� di una nuova impugnativa per eliminare 
il lodo definitivo, nonch� con fa possibilit� di pronuncie contraddittorie. 


La ricorrente non censura espressamente l'argomento sub a). Tuttavia, 
esso � stato criticato da parte della dottrina, la quale ha osservato che 
Ja iriserva di impugnazione differita, pu� essere avanzata dall'interessato 
entro i termini previsti dal 1� e 3� comma dell'art. 828, nelle forme 
indicate dall'art. 129 secondo comma, disp. att. cod. proc. civ.; non assu



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDRNZA CIVILB 

mendo �rilievo la circostanza che non sia prevista la comunicazione della 
sentenza arbitrale, n� l'udienza successiva, a cui fa cenno l'art. 340 comma 
primo, ultimo inciso cod. proc. civ. 

Il Collegio osserva che tale argomentazione, se fondata, porterebbe 
soltanto a ritenere possibile la formalit� della riserva di impugnazione 
(in analogia con quanto dispone l'art. 340 per l'appello contro le sentenze 
non ~efinitive), ma tale � formalit� � (ritenuta non necessaria dalla 
sentenza n. 4020/79) � in linea con il differimento dell'impugnazione, che 
� il vero cardine di tutto il sistema sopra delineato, nel quale il ~erimento 
� previsto come necessario, per impedire iI passaggio in giudicato 
del lodo parziale indipendentemente da quello definitivo (o, comunque, 
prima della scadenza del termine per il deposito di quest'ultimo) e 
consentire, attraverso la concentrazione delle impugnazioni, la considerazione 
unitaria dell'mtera pronuncia, evitando altres� il frazionamento 
del giudizio rescissorio. 

Si pu� aggiungere che non pu� .trarsi partito dal principio secondo 
cui la sentenza non definitiva (del giudice ordinario) sulla sola competenza 
� impugnabiile soltanto, .in via immediata, con il regolamento di 
competenza, sicch� ad essa � inapplicabile l'art. 340 cod. proc. civ. (Cass. 
22 gennaio 1980 n. 521; ,Cass. 8 giugno 1977 n. 2366); .invero, si � gi� rilevato 
che il regolamento di competenza � estraneo al sistema delle impugnative 
del lodo arbitJrale rituale, per cui la verifica dell'ammissibilit� 
dell'impugnazione immediata del lodo parziale sulla sola competenza va 
condotta alla stregua delle disposizioni degli artt. 827 e ss. cod. proc. 

civ. 
Si deve sottolineare che l'argomento sub a) non � decisivo, nell'ambito 
dell'indirizzo qui sostenuto, perch� esso poggia essenzialmente sul 
principio della concentrazione dei gravami contro il lodo arbitrale. 

Contro l'arrgomento sub b) l'Amministrazione deduce che nella specie 
essa non aveva inteso sostenere l'esistenza dei vizi indicati dall'art. 829 

111. 4 cod. proc. civ.; ma tale argomento non � conferente, perch� l'ammissibilit� 
o meno dell'impugnazione immediata non deve affermarsi in 
relazione al concreto motivo d'impugnazione, ma in relazione ai principi 
generali, applicabili anche al di fuori della fattispecie da decidere. 
Contro gli argomenti sub e) e d) l'Amministrazione non solleva alcuna 
critica, e pertanto essi vanno riconfermati, riconoscendosene l'essenzialit� 
ai fini della affermazione del principio della non impugnabilit� 
immediata del dodo .parziale, .per evitare le conseguenze incongrue ivi 
illustrate. 

Contro l'argomento sub e) l'Amministrazione obietta che il giudice 
dell'impugnazione del lodo non � competente ad ammettere pronuncie 
di merito, ai sensi dell'art. 830 cod. proc. civ., nei casi nei quali gli arbitri 
hanno pronunciato ai di fuori della volont� delle parti o su materie non 
compromettibili in arbitri per divieto di legge, casi nei quali si � davanti 


708 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO; 
ad ipotesi di inesistenza del lodo, per cui il giudice deve limitarsi a 
dichiarare l'inefficacia del lodo, mentire per il merito � competente il giudice 
originario in primo grado. 
Il Collegio osserva che il princiipio richiamato � stato pi� volte affermato 
da questa Corte (fra le altre, cfr. Cass. 16 ottobre 1975 n. 3354; 
Cass. 3 ottobre 1968 n. 3070), ma che esso non � conferente. In primo 
luogo, � da dubitarsi che si vertesse in ipotesi di assoluta contrariet� a 
legge della clausola compromissoria (cfr. Cass. 27 maggio 1981 n. 3474), 
ma ovviamente questa argomentazione non � decisiva, perch� non pu� 
esaminarsi nel merito il motivo dell'impugnazione per nullit�, ma soltanto 
verificare se sia esatta o meno Ja decisione della Corte di Appello 
di Roma ,fili ordine a1l'inammissibilit� dell'impugnazione. 
Si pu� convenire con l'osservazione che, in taluni casi (cfr. Cass. 
25 settembre 1964 n. 2433) non si verificherebbe -con l'impugnazione 
immediata del lodo parziale sulla competenza del collegio arbitrale -
l'inconveniente supra descritto sub e); ma tale argomentazione � di carattere 
aggiU111tivo e non essenziale, nell'ambito del sistema ricostiruito. Invero, 
resterebbero insuperabili sempre le precedenti argomentazioni: nel 
caso di impugnazione immediata e di reiezione della stessa, il giudizio 
arbitrale proseguirebbe per il merito. Una volta, poi impugnato il lodo 
definitivo, in ipotesi di accoglimento dell'impugnazione, si dovrebbe procedere 
�anche al giudizio rescissorio, per cui il giudicato formale sulla 
competenza degli arbitri sarebbe privato di pratica efficacia. Esso conterrebbe 
un'mtrinseca contraddittoriet�: da un lato permetterebbe al giudice 
dell'impu~nazione di conoscere del merito della controversia, ma 
dall'altro mal si concilierebbe con il fermo principio della inscindibilit� 
della pronuncia arbitrale, che non pu� annullarsi parzialmente. 
Concludendo, deve affermarsi che il principio secondo cui l'impugnazione 
immediata del lodo parziale � inammissibile si applica anche 
quando il suddetto lodo parziale decide soltanto una questione di competenza 
degli arbitri, in senso affermativo {la decisione in senso negativo 
va data con lodo definitivo). 
Il lodo parziale deve essere impugnato msieme con quello definitivo 
e nei termini previsti per l'impugnazione di quest'ultimo. 
L'argomento contenuto nel secondo motivo di ricorso � parimenti infondato. 
Non � esatto che fa Corte di appello abbia contraddetto i suddetti 
principi, decidendo parzialmente l'impugnazione e cio� accogliendo 
il terzo motivo, con cui l'Amministrazione aveva sostenuto che il lodo 
arbitrale non poteva essere limpugnato con il regolamento di competenza 
.(contrariamente a quanto detto nel lodo stesso), ma con J'impugnazione 
per nullit�. 
Invero, la decisione sul mezzo di impugnazione esperibile non � stata 
presa dalla Corte di appello m sede di esame del contenuto del lodo (che 
su tale scelta non poteva dettare alcuna statuizione efficace), ma d'uffii: 
i: 
f: 
1: 

i: 

PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVnB 

cio, in quanto � l'ordinamento che stabilisce, in modo inderogabile dalle 
parti e dal giudice, quali sono i mezzi d'impugnazione ammissibili contro 
una decisione di un certo tipo. '� ovvio, d'altra parte, che non pu� 
passare in giudicato (e quindi non � necessaria l'impugnazione per evitare 
la formazione del giudicato) una pronuncia del giudice di grado 
inferiore che intenda vincolare il giudice �di grado superiore, in ordine 
al tipo di processo da instaurare in sede di impugnazione. 

Il problema pu� porsi soltanto quando l'ordinamento configura -rispetto 
a decisioni emesse dal medesimo giudice -impugnazioni di tipo 
diverso a seconda del diverso tipo di controversia risoluta, perch� in tal 
caso l'individuazione del mezzo di volta in volta esperibile va compiuta 
in base alla qualificazione data dallo stesso provvedimento alla controversia 
e, attraverso questa, a se medesimo (Cass., Sez. Un. 24 febbraio 
1978 n. 931; Cass. 11 ottobre 1978 n. 4506). 

Ma non pu� sorgere nel presente caso, in cui l'unico mezzo di impugnazione 
che l'ordinamento prevede � l'impugnazione per nullit�, per 
cui non pu� sorgere mai un problema di qualificazione da parte del giu� 
dice a quo, influente sul tipo di impugnazione, che � unico ed inderogabile. 


Pertanto, la pronuncia preliminare della Corte di appello che ha rico� 
nosciuto, in astratto, la corrispondenza della querela nullitatis dell'Am� 
mmistrazione davanti a1la Corte stessa alla tipologia del rimedio predi� 
sposto dall'ordinamento (pur rilevandone in concreto l'inammissibilit� 
in quanto rivolta contro un lodo parziale), non si converte in annulla� 
mento parziale del lodo e non produce le conseguenze esposte dalla 
ricorrente. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 ottobre 1983, n. 6109 -Pres. San� 
dulli � Rel. Zappulli -P. M. Silocchi -Ministero del Tesoro (avv. Stato 
Ferri) c. Battinelli {avv. Casella). 

Sanzioni amministrative -Sanzioni originariamente amministrative e 

sanzioni depenalizzate � lntrasmissibilit� passiva per successione 

� mortis causa � � Limiti. 

L'intrasmissibilit� passiva per successione mortis causa, ai sensi dell'art. 
4 della legge 24 dicembre 1975, n. 706, non pu� trovare applicazione 
per le infrazioni che, a causa del loro carattere esclusivamente amministrativo, 
non sono gi� assoggettate alla pena dell'ammenda di cui all'art. 
17, 2� comma, codice penale, con la successiva depenalizzazione 
dalla legge stessa prevista; del pari il principio contenuto nell'art. 7 della 
legge n. 689 del 1981 non � applicabile alle stesse infrazioni, mantenendo 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA l>llLLO STATO 

il suo effetto la trasmissione ereditaria quando la morte del responsabile 
sia avvenuta anteriormente alla sua entrata in vigore (1). 

Ritiene la corte di dover prendere in esame con precedenza il secondo 
motivo del ricorso principale, :per il suo contenuto pregiudiziale. Con il 
medesimo il Ministero del Tesoro ha censurato Ja sentenza impugnata, 
lamentando la violazione degli artt. 4, 10 e 11 della legge 24 dicembre 1975, 

n. 706, nonch� dell'art. 2 del r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928 e del r.d.l. 
12 maggio 1938, n. 794, per avere la corte di merito ritenuto che la citata 
legge del 1975 riguardasse ooche le infrazioni valutarie e che, quindi, 
fosse applicabile alle stesse il suo art. 4, in virt� del quale erano esclusi 
gli effetti della successione ereditaria per le obbligazioni del de cuius 
relative a somme dovute in sostituzione dell.'ammenda per contravvenzioni 
depenalizzate. Ha sostenuto l'amministrazione dco:rrente che il 
nuovo sistema sanzionatodo introdotto da quella legge trovava applicazione 
solo per le violazioni gi� assoggettate dalle leggi precedenti alla 
sanzione pena.le dell'ammenda, mentre per le infrazioni valutarie, tra le 
quali rientrava quella i�n questione, era prevista solo una sanzione amministrativa. 
Il motivo � fondato e il suo accoglimento non trova ostacolo neanche 
nella sopravvenuta legge 24 novembre 1981, n. 681 sulle modifiche del 
sistema penale, la cui applicazione ha formato oggetto di approfondito 
dibattito nella discussione orale. 

Circa l'applicabilit� della citata legge 24 dicembre 1975, n. 706, 
il cui articolo 4 . �sanciva espressamente Ja � mancata trasmissione agli 
eredi del responsabile delle violazioni da esso previste per l'obbligazione 
di pagare le somme dovute per quelle �indicate nell'art. 1 �, � facile 
osservare che questa norma cos� richiamata, e posta a base di quella 
legge, ha delimitato specificamente, in conformit� al titolo della stessa, 
il suo campo di applicazione, come dedotto dal Ministero dcorrente, e 
ci� indipendentemente dalla successiva legge del 1981. 

Invero, in corri:>pondenza al titolo del testo legislativo � Sistema sanzionatorio 
delle norme che prevedono contravvenzioni punibili con l'ammenda 
�, il citato art. 1 aveva innovativamente disposto che non costituivano 
reato ed erano soggette alle sanzioni amministrative pecuniarie 
� tutte le violazioni per le quali � prevista soltanto la pena dell'ammenda, 
sa.Ivo quanto previsto dagli artt. 10 e 11 �. 

Ne consegue che, ancor prima dell'abrogazione di quella legge di 
cui all'art. 42 della ;menzionata legge del 1981 l'intrasmissibilit� passiva 

(1) Sentenza cli particolare interesse che risolve il contrasto sorto in dottrina 
e in giurisprudenza sulla in~rasmissibilit� per successione mortis causa 
delle sanzioni esclusivamente amministrative; per riferimenti cfr. Cass. 3 aprile 
1979 n. 1885, in Foro lt., Rep. voce Contravvenzione n. 7. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

per successione mortis causa di cui al successivo art. 4, cos� come le 
altre disposizioni di essa, non poteva trovare applicazione per quelle infrazioni 
che, a causa del loro precedente carattere esclusivamente �amministrativo, 
non fossero gi� assoggettate alla pena dell'ammenda di cui 
all'art. 17, secondo comma, cod. pen. 

Va aggiunto che, mentre il riportato art. 1 delimita come sopra 
indicato il campo di applicazione di quella fogge, non vi era nella stessa 
alcuna norma che consentisse di estendere alle violazioni ,di norme non 
penali assoggettate a sanzioni amministrative la disciplina da essa prevista. 
Giova osservare, a conferma di tale interpretazione, che fine di 
quella Jegge era stata la riduzione del carico complessivo dei procedimenti 
:penali per gli uffici giudiziari con una correlativa attenuazione, 
pi� corrispondente a giustizia, delle responsabilit� dei privati per infrazioni 
di minor .gravit�. Pertanto, si era provveduto ad una estensione 
di quella depenalizzazione gi� introdotta con precedenti leggi, adottando 
per le infrazioni cos� depenalizzate una nuova normativa di carattere 
generale, in relazione a quel mutamento. 

Nel quadro di tale riforma era stata espressamente stabilita la 
intrasmissibilit� ereditaria passiva delle sanzioni amministrative stabilite 
in sostituzione delle ammende penali, nonostante la diversa disciplina 
preceden~e delle sanzioni gi� previste direttamente senza alcuna commutazione, 
e ci� per non cagionare un aggravio agli eredi dei responsabili 
delle infrazioni penalmente sancite. Infatti, senza quella norma, il beneficio 
della depenalizzazione avrebbe importato, in senso contrario, la trasmissione 
a loro carico dell'obbligo di pagamento della sanzione amministrativa 
mentre 'l'ammenda, quale pena, si estingue con la morte del 
reo ai sensi dell'art. 171 cod. pen. 

Innanzi a tale espressa e diversa disciplina legislativa, secondo la 
legge del 1975, � superflua e irrilevante ogni altra questione sui caratteri 
propri delle sanzioni relative alle infrazioni valutarie, per le quali, come 
per quella attribuita al defunto marito della Battinelli, fosse stabilita originariamente 
la sanzione amministrativa pecuniaria. 

2. -Ci� premesso, per quanto concerne la citata Jegge del 1975, va 
rilevato che la stessa aveva effettivamente dato luogo ad una disarmonia 
nel nostro sistema legislativo in quanto, mentre da un lato ile violazioni 
depenalizzate erano state sottratte al maggior rigore delle pene 
in senso strettamente penalistico, con l'assimilazione �alle comuni infrazioni 
di ordine amministrativo, d'altro lato erano venute meno '1e maggiori 
garanzie del sistema penale con due gradi di giudizio di merito. 
Inoltre, si era determinata una situazione per la quale le infrazioni originariamente 
considerate pi� gravi, tanto da essere represse con la pena 
dell'ammenda, davano luogo, con la foro depenalizzazione, a :sanzioni 
amministrative che, dn virt� della espressa norma del citato art. 4 
della 'legge del 1971, non erano trasmissibili a carico degli eredi del 

712 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

soggetto responsabile, mentre quelle pi� Hevi, per le quali il legislatore 
aveva dall'origine previsto la sanzione amministrativa pecuniaria, 
rimanevano, in assenza di specifica norma, trasmissibili a carico degli 
eredi stessi. N� emno solo questi gli inconvenienti, dovendosi rilevare 
quelli, per esempio, relativi alla diversa normativa sulla imputabilit�. 

Pertanto, � chiaro che il legislatore, con la successiva legge 24 novembre 
1981, n. 689, ha inteso unificare la materia delle sanzioni amministrative, 
sia per Je infrazioni depenalizzate sia per quelle originariamente 
punite con le sanzioni stesse disponendo, tra l'altro, un completo riesame 
delle ordinanze-ingiunzioni da parte del pretore (art. 23). In questa 
sistematica unificazione � stata compresa la norm;:i. dell'art. 7, corrispondente 
al menzionato art. 4 della legge del 1975, con la quale � stato 
disposto che l'obbligazione di pagare la sanzione non si trasmette agli 
eredi. 

Senonch�, non ritiene questa Suprema Corte che tale norma possa 
trovare applicazione nella specie in esame, neanche in virt� della disposizione 
transitoria di cui amart. 40 della sovravvenuta legge del 1981. 
Invero, questo articolo, nello statuire che le disposizioni di quel capo 
(comprendente il citato art. 7) si applicano anche alle violazioni commesse 
anteriormente � quando il relativo procedimento penale non sia 
stato definito�, ne ha limitato la retroattivit� alle sole infrazioni gi� 
sancite penalmente e sotto la condizione che il relativo procedimento 
penale sia tuttora pendente. 

Al dguardo, gi� questa Suprema Corte ha affermato che, ai sensi 
dell'art. 40 della legge del 1981, le disposizioni di quel capo si applicano 
retroattivamente solo quando le violazioni contestate avevano in origine 
carattere penale ed erano state depenalizzate dalla legge sopravvenuta, 
in corrispondenza, cio�, al principio dell'art. 2, secondo comma, cod. 
pen., per effetto del quale nessuno pu� ~ssere punito per un fatto che, 
secondo fa legge posteriore, non costituisce reato (Cass. 13 dicembre 1982 

n. 6824; 11 novembre 1982 n. 5945; 28 gennaio 1983 n: 773). Perci�, quella 
disciplina transitoria posta dall'art. 40 citato concerne esclusivamente 
gli effetti sia sostanziali sia procedurali che si collegano alle infrazioni 
depenalizzate e sotto la menzionata condizione della mancata definizione 
del procedimento pendente. 
N� si pu� riconoscere una retroattivit� del menzionato art. 7 autonomamente, 
e cio� indipendentemente dalla norma' transitoria dell'art. 40. 
Infatti, quella disposizione, con lo statuire che l'obbligazione in questione 
� non si trasmette agli eredi �, ha escluso la sua trasmissibilit� 
solo per il futuro, e cio� ex nunc, senza nulla disporre per le sucoessioni 
gi� verificatesi. Non � dubbio, al riguardo, che la trasmissione dell'obbligazione 
al pagamento della sanzione amministrativa, sorta automaticamente 
al momento della relativa infrazione, si trasmette con l'apertura 
della successione, e cio� con la morte del responsabile diretto, e 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

non in seguito a una sua contestazione e a un qualsiasi provvedimento 
dell'autorit� amministrativa, ,PUr se la relativa obbligazione era condizionata 
all'esito della eventuale opposizione. 

Consegue dalla menzionata limitazione della norma che Ia trasmissibilit� 
di quella obbligazione era regolata dalle norme vigenti all'apertura 
della successione, pacificamente anteriore nella specie alla legge 
del 1981. Rimanevano, perci�, applicabili le disposizioni precedentemente 
vigenti sulle sanzioni civili amministrative, in relazione alle quali non 
ne � stata contestata la trasmissibilit� agli eredi. 

Pu� pure riconoscersi che JI legislatore, nell'unificare istituti giuridici 
eterogenei, ha inteso attribuire alle sanzioni amministrative, gi� aventi 
carattere esclusivamente civile, un carattere �personalissimo�, come dedotto 
dalla resistente, attraverso il citato art. 7 e altre norme vigenti 
precedentemente solo nel campo penale, ma ci� non importa necessariamente 
l'assoggettamento alle nuove norme per ogni infrazione verificatasi 
anteriormente. 

Non pu�, pertanto, per il principio consacrato da11'art. 11 delle disposizioni 
sulla legge in generale, riconoscersi una retroattivit� in contrasto 
con la norma generale da esso posta (� la legge non dispone che per l'avvenire 
�) nella assenza di qualsiasi disposizione contraria. 

In virt� di questa norma deve accogliersi il secondo motivo del 
ricorso principale del Ministero del Tesoro, rimanendo assorbiti il primo 
motivo del medesimo e il ricorso incidentale della Battinelli, onde va 
cassata la sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della stessa 
corte d'appello. Quest'ultima, la quale avr� da provvedere anche sulle 
spese dell'attuale giudizio per cassazione, dovr� attenersi al principio 
in virt� del quale la legge 24 dicembre 1975 n. 706 non � applicabile 
a11e infrazioni per le quali non sia stata originariamente prevista la 
pena dell'ammenda, con la successiva depenalizzazione da essa stabilita, 
nonch� a quello in virt� del quale alle infrazioni suddette commesse 
anteriormente alla successiva legge n. 689 del 1981, non � applicabHe 
l'art. 7 di quest'ultima, mantenendo il suo effetto la trasmissione ereditaria 
quando la morte del responsabile sia avvenuta anteriormente alla 
sua entrata in vigore. 


SEZIONE QUINTA 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 
SEZIONE QUINTA 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 
CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 22 dicembre 1982 n. 21 -Pres. Pescatore 
-Est. Giovannini -Giannotti {avv. Della Fontana, Cavasola) c. 
Universit� degli Studi di Bologna (avv. dello Stato Tarin). 

Giustizia amministrativa -Appello -Questioni pregiudiziali sollevate 
in primo grado -Riproposizione da parte dell' Amm.ne vincitrice. 
Necessit� o meno dell'appello incidentale in relazione al contenuto 
della decisione di primo grado. 

Quando le questioni di rito sono state espressamente esaminate e 
decise in primo grado, la loro riproposizione in appello da parte dell'Amministrazione 
vincitrice 1deve avvenire con apposita impugnazione, 
per evitare che su di esse si formi il giudicato. Quando invece il giudice 
di prima istanza abbia dichiarato espressamente di voler prescindere da 
tali questioni oppure su di esse non si sia affatto pronunciato, l'Amministrazione 
pu� riproporle con semplice memoria o anche nelle difese 
orali, potendo comunque il giudice d'appello esaminarle d'ufficio {1). 

(1) Prima di questa importante decisione la rilevabilit� d'ufficio delle questioni 
pregiudiziali di rito da parte del giudice di appeHo era .stata liimitiata al 
difetto di contraddittorio (cfr. IV 27 giugno 1978, n. 606 in Cons. St. 1978, I, 
1014 e IV 10 aprile 1979 n. 268 ivi 1979, I, 510 e V '16 ottobre 1981, n. 454 ivi 
1981 p. 1043) ed al difetto di giurisdizione (cfr. 15 ottobre 1980, n. 401 ivi 1980, 
p. 473 e IV 6 giugno 1978, n. 532 ivi 1978 p. 973) ma per tali casi era stata talora 
persino sostenuta la rilevabilit� d'ufficio nonostante l'esistenza di un'esplicita 
pronuncia in primo grado non impugnata. (Cfr. Ad. Plen. 28 ottobre 1980, 
n. 42 ivi 1980, 1290 per il difetto di giurisdizione). 
La sentenza qui massimata estende la rilevabilit� a tutte le eccezioni pregiudiziali 
(nel caso di specie si trattava di eccezione di inammissibilit� dei ri


corsi sotto il triplice profilo della mancata notifica agli organi autori dei provvedimenti 
impugnati, dell'attinenza ad atti meramente preparatori e della tardivit�). 
Essa, per�, sembra per altro e contrario verso stabilire la necessit� dell'appello 
incidentale, quando vi sia stata espressa decisione anche per quanto 
concerne il difetto di giurisdizione ed il difetto di contraddittorio, data l'ampiezza 
della regola dettata e riassunta nella massima. 
Quest'ultimo aspetto della questione tuttavia non essendo stato affrontato 
direttamente dall'Adunanza Plenaria rimane piuttosto opinabile. 
La sentenza si segnala anche per l'interessante raffronto con la giurisprudenza 
della Cassazione sull'analoga tematica nel processo civile e per l'interpretazione 
dell'art. 346 cod. proc. civ. come suscettibile di valere anche in seno 
al giudizio amministrativo solo per la parte in cui � espressivo del principio generale 
di libert� di forma degli atti processuali e non, invece, per la parte 
che deroga al principio dell'onere della impugnazione per evitare la formazione 
del giudicato. 
G.P.P. 

PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA; 715 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 9 marzo 1983 n. 1 -Pres. Pescatore � 

Est. Lignani -:Petricca (avv. Lav:itola) e Comune di Montelibretti 

(avv. Davoli). 

Urbanistica � Piano regolatore adottato dal Comune -Immediata impugnabilit� 
-Misure di salvaguardia -Riapertura termini per impugnazione 
piano regolatore, inammissibilit�. 

Urbanistica � Piano regolatore approvato -Incondizionata impugnabilit�. 

La delibera comunale di approvazione del P.R.G. avendo una propria 
immediata efficacia lesiva degli interessi dei singoli pu� essere autonomamente 
impugnata anche prima della adozione delle misure di salvaguardia, 
la quale non riapre i termini per impugnare Ja delibera di' 
approvazione del piano (1). 

Il piano regolatore approvato pu� essere impugnato anche da chi, 
pur avendone avuto conoscenza, non abbia impugnato tempestivamente 
il piano solo adottato (2) *. 

(*) La motivazione della decisione pu� leggersi nella rivista Il Consiglio di 
Stato, 1983, I, 205. 
(1-2) Spunti critici sulla giurisprudenza dell'Adunanza Plenaria relativa alla 
impugnazione del P.R.G. 

Questa decisione dell'Adunanza Plenaria ribadisce con alcune correzioni 
di rotta un orientamento assunto dal Consiglio di Stato con la decisione 
dell'Ad. Plen. 16 giugno 1978, n. 17 (pubbl. in Foro lt., 1979, III, 14), che aveva 
costituito nella giurisprudenza amministrativa un revirement cos� brusco da 
sollevare non pochi dissensi nell'ambito delle sezioni ordinarie dello stesso organo 
giudicante (cfr. ad es. Sez. IV 15 dicembre 1981, n. 1078 in Cons. St. 1981, 
I, 1047 e 11 maggio 1979, n. 312 ibidem, 1979, I, 687), e dei T.A.R. (cfr. T.A.R. 
Puglia 4 settembre 1982, n. 379 in Trib. Amm. Reg. 1982, I, 3175) e T.A.R. Veneto 
12 marzo 1981, n. 200). � per questo che sembra opportuno prendere le mosse 
dalla decisione 17/1978 per ripercorrere il cammino della questione ed esaminarne 
le pi� recondite motivazioni. Questa prima pronuncia concerneva un 
ricorso proposto contro una misura di salvaguardia che il Comune di Roma 
aveva preso, in relazione al piano regolatore solamente adottato, ovvero non 
ancora approvato in sede regionale. 

Come � noto le misure di salvaguardia introdotte nella nostra legislazione 

dalla legge 3 novembre 1952, n. 1902 poi modificata con legge 21 dicembre 1955, 

n. 1357, 30 luglio 1959, n. 615 e 5 luglio 1966, n. 517, avevano carattere facoltativo, 
essendo rimessa alla decisione del sindaco la valutazione dell'opportunit� 
di adottare la misura, consistente nella sospensione di � ogni determinazione 
sulle domande di licenza di costruzione... quando riconosca che tali domande 
siano in contrasto con il piano adottato �. 
Successivamente per� il legislatore, preso atto dei gravi inconvenienti che 
tale carattere delle misure comportava, costituiti da una applicazione molto 
limitata e casuale e spesso puramente discriminatoria (cfr. la circolare ministeriale 
illustrativa della legge 765/1967 riportata da Dr LORENZO, Diritto Urbanistico 
1973 p. 513, n. 5), con l'art. 3 della legge ponte rendeva obbligatoria 
l'adozione delle misure di salvaguardia. 

Al mutato carattere del provvedimento in questione consegu� l'aggiustamento 
di tiro delle impugnative, che non si limitarono pi� a censurare le mi




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sure in s� e per s�, ma quasi necessariamente dovettero appuntarsi contro 
l'atto presupposto costituito dal piano regolatore adottato dal Comune; si riteneva 
per�, da parte della prevalente giurisprudenza, che la deliberazione comunale 
in quanto atto preparatorio che dava inizio al procedimento di approvazione 
del piano regolatore non potesse formare oggetto del sindacato di legittimit� 
in occasione del ricorso contro il provvedimento di salvaguardia 
(Cons. St. V 8 gennaio 1966, nn. 27 e 37), si ammetteva solamente un'indagine 
volta ad accertare se la delibera comunale di approvazione del piano esistesse 
effettivamente, e sussistessero le norme in contrasto con il progetto (Sez. V, 
3 giugno 1969, n. 598). Successivamente il giudice amministrativo estese il proprio 
sindacato, in sede di impugnativa delle misure di salvaguardia, anche 
ai vizi attinenti al P.R.G. in itinere che delle misure costituivano il presupposto, 
ferma restando la non autonoma impugnabilit� della deliberazione comunale 
di adozione del piano prima del perfezionamento dell'iter di approvazione 
(Sez. V, 15 marzo 1974, n. 260 in Foro it., 74, III, 364). 

Deve subito rilevarsi a proposito di questa ultima decisione che non appare 
chiaro se il Consiglio di Stato abbia inteso ammettere la deducibilit� dei 
vizi del P.R.G. solo adottato come vizi derivati anche alla misura di salvaguardia 
presa su tale presupposto, oppure se abbia ritenuto impugnabile il 

P.R.G. per tali vizi seppure solo unitamente alla misura di salvaguardia. 
Sta di fatto che l'Adunanza Plenaria 17/1978 ha recepito la prima delle due 
sopraformulate ipotesi, avendo criticata detta sentenza col dire che " ove la 
prescrizione del P.R.G. dovesse essere annullata in s.g. a seguito di impugnativa 
della misura a salvaguardia, l'annullamento avrebbe efficacia limitata 
a questa misura, mentre la delibera di adozione continuerebbe ad esistere 
anche per la parte annullata ai fini di salvaguardia, come elemento della fattispecie 
complessa che si conclude con il provvedimento regionale. La conseguenza 
ulteriore sarebbe che una volta intervenuto questo provvedimento senza 
aver apportato modifiche alla prescrizione della delibera di adozione gi� ritenuta 
illegittima, il P.R.G. che entrerebbe in vigore verrebbe a comprendere anche 
quella prescrizione gi� ammllata �. 

La conclusione raggiunta non sembra per� cos� necessitata come appare 
all'Adunanza Plenaria, sol che si ammetta l'estensione dell'impugnativa oltre 
che alla misura di salvaguardia anche al P.R.G. adottato, che ne sia presupposto 
e quindi si riconosca in tale limitata ipotesi la caducabilit� a tutti gli 
effetti anche del P.R.G., in caso di accoglimento del ricorso per i motivi che lo 
concernono (si noti per inciso che nella causa decisa dalla Sez. V, con la sent. 
260/74 cit., i ricorrenti avevano impugnato anche il P.R.G. ma il G.A. aveva 
negato la fondatezza dei motivi che lo investivano). 

Comunque, muovendo da questa premessa, l'Ad. Plen. 17/1978, rileva che 
pur essendo il P.R.G. una fattispecie complessa che si perfeziona a tratto successivo, 
data l'obbligatoriet� della misura di salvaguardia, la delibera comunale 
di adozione "produce necessariamente l'effetto immediato di impedire la realizzazione 
di progetti edilizi che siano difformi dalle prescrizioni del piano adottato 
per cui " la lesione concreta ed attuale � prodotta direttamente dalla delibera 
di adozione che per ci� deve essere impugnata, ove conosciuta, prima ancora 
che intervenga in concreto la misura di salvaguardia �. 

Risulta palese gi� da queste prime considerazioni che l'intento dell'Adunanza 
Plenaria � quello di agevolare il destinatario della misura di salvaguardia 
consentendogli per un verso di richiedere al G.A. il pi� ampio sindacato 
sul provvedimento impugnato anche per i profili concernenti il collegamento 
con il P.R.G., per altro verso di ottenere gi� in sede di impugnativa della misura 
cautelare (e seppure estesa al P.R.G.) l'annullamento della parte di quest'ultimo 
che illegittimamente lede i propri interessi. 


PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIV~ 

Quel che non si comprende � invece il motivo che ha indotto il collegio giudicante 
a ritenere autonomamente impugnabile il P.R.G. non ancora approvato, 
deduzione non necessaria che poi finisce con il conseguire effetti opposti a 
quelli che l'Adunanza si proponeva. 

I primi problemi nascono per quanto concerne il giorno dal quale decorre 
il termine per utilmente impugnare il P.R.G. solo deliberato, e la sentenza ne 
� pienamente consapevole, tant'� vero che si affretta a precisare come la conoscenza 
del P.R.G. non potr� essere legalmente presunta per effetto della 
pubblicazione nell'albo, n� potranno applicarsi i principi che regolano l'impugnativa 
del P.R.G. perfezionato dato lo speciale regime di pubblicit� di quest'ultimo. 


Ora, a parte le perplessit� che entrambe queste considerazioni suscitano, 
� evidente che allora non rimangono altri modi per far decorrere il termine 
oltre alla comunicazione personale ed alla comunicazione del� provvedimento 
di salvaguardia. 

Avendo riferimento a quest'ultimo si torna a configurare la necessit� di 
un'impugnazione congiunta della misura e del P.R.G. facendo rientrare dalla finestra 
quello che si era fatto uscire dalla porta. 

Con riguardo poi al primo si attribuisce al Comune la possibilit� di evitare 
le impugnative dei privati meno accorti che dalla comunicazione del P.R.G. 
non si rendano conto degli effetti pregiudizievoli, e per altro verso si costringono 
i privati pi� accorti all'impugnazione immediata del P.R.G., senza attendere 
l'adozione della misura di salvaguardia che potrebbe in ipotesi anche essere 
omessa, seppure contra legem. 

N� agli interessati viene lasciata la possibilit� di presentare osservazioni al 

P.R.G. deliberato che potrebbero essere accolte dall'organo regionale nell'esercizio 
dei suoi poteri di modifica del piano, perch� tale agire costituisce indice 
della presa di conoscenza dello strumento urban�stico e fa quindi decorrere 
nei loro confronti il termine per l'impugnazione, con l'ulteriore conseguenza, 
secondo Ad. Plen. 17/1978, che essi non potranno poi impugnare per i medesimi 
motivi neppure il P.R.G. approvato. 
A quest'ultima nefasta conseguenza pone rimedio, come si vedr�, la sentenza 
qui massimata ritenendo non preclusa la impugnazione del piano approvato 
(e questa � una delle pi� rilevanti correzioni di rotta cui si accennava in 
principio e sulla cui ammissibilit� logica si torner� in prosieguo), ma rimane 
anche in questa seconda decisione ferma la conseguenza, pure incongrua, che 
la martcata impugnazione del P.R.G. adottato rende inoppugnabile la successiva 
e conseguenziale applicazione di misure di salvaguardia. 

Il che significa che il privato che abbia comunque avuto conoscenza ufficiale 
del piano deliberato o che abbia voluto presentare osservazioni per l'organo 
regionale, deve immediatamente impugnare il P.R.G. per evitare di decadere 
dalla possibilit� di impugnare a suo tempo, eventuali misure di salvaguardia. 

Sembra a chi scrive che nel caso di specie si evidenzi come talora il pragmatismo 
di certe soluzioni sortisca effetti radicalmente opposti a quelli avuti 
di mira. 

Tornando con un'ultima osservazione sulla sentenza 17/1978 per analizzarne 
le motivazioni, occorre altres� osservare che, come si � gi� detto in quell'occasione, 
il Consiglio di Stato non si � nascosto la difficolt� di � concepire 
l'impugnabilit� di un atto facente parte di una fattispecie complessa, prima che 
questa si fosse conclusa con l'emanazione dell'atto cosiddetto di approvazione 
da parte dell'autorit� statale, ora regionale � epper� ha considerato che � il 
principio relativo all'esigenza di assicurare la tutela immediata pur quando 
l'atto amministrativo faccia parte di una procedura ancora in itinere � stato 


718 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

ribadito di recente da questa adunanza plenaria (dee. 3 luglio 1973, n. 7 in 
Cons. St. 1973, Ili, 205) �. 

Orbene nel caso deciso da quest'ultima sentenza il ricorrente aveva impugnato 
un provvedimento di sospensione dei lavori di costruzione di un edificio, 
fondato sull'esistenza di una procedura in itinere di annullamento della 
licenza edilizia, estendendo quindi la propria impugnativa agli atti di quest'ultima 
procedura, in quanto idonei a viziare in via derivata l'ordine di sospensione; 
eccepita dall'Amm.ne resistente l'inammissibilit� dell'impugnazione concernente 
la procedura in itinere, il Consiglio di Stato aveva affermato il principio 
sopra richiamato, avuto riguardo al caso di specie, nel quale l'interessato 
in occasione dell'impugnazione dell'atto lesivo (emesso sulla base del distinto 
potere che aveva per suo presupposto la pendenza di altro procedimento) 
poteva gravarsi anche contro la procedura in itinere cos� da provocare 
l'annullamento di quest'ultima e, perci�, del presupposto che � alla base 
dell'atto lesivo. 

Il che equivale a dire che si ammetteva l'impugnabi,lit� di un atto inserito 
in una procedura in itinere ma solo unitamente all'impugnazione dell'atto lesivo 
di cui il primo era presupposto necessario, e non autonomamente come 
deciso poi dall'Adunanza Plenaria del 1978 e confermato da quella del 1983 per 
il piano regolatore solo adottato. 

In base a queste considerazioni non pu� stupire la resistenza opposta 
dalle Sezioni ordinarie del Consiglio di Stato ai principi innovatori enucleati 
dall'Adunanza Plenaria, resistenza ispirata anche alla considerazione delle legittime 
ragioni difensive dei privati. Basti per tutte ricordare le osservazioni 
della Sez. V 15 dicembre 1981, n. 1078 ove si legge che � l'innovazione giurisprudenziale 
rappresentata dalla decisione n. 17 del 1978 dell'Adunanza Plenaria, comunque, 
non ha ancora dato luogo ad un sicuro orientamento per quanto 
attiene all'ulteriore problema del termine per 'ricorrere contro il piano adottato, 
anche perch� quella decisione appare chiaramente ispirata allo scopo di 
estendere le possibilit� di difesa degli interessati (di per s�, invero, la questione 
allora proposta all'Adunanza Plenaria riguardava la deducibilit� di determinati 
motivi di ricorso) piuttosto che a quello di restringerle, come avverrebbe 
se si traessero dal suo enunciato tutte le conseguenze ipotizzabili �. 

Va dato atto all'Adunanza Plenaria 1/1983 di essersi fatta carico della validit� 
delle tesi prospettate dalle decisioni non allineate alla propria precedente 
giurisprudenza e dell'impegno profuso per superare certe conseguenze incon� 
grue, di cui � prova il riesame critico operato dell'intera questione. 

La prima argomentazione cui il Supremo Giudice amministrativo si appella 
� quella relativa all'obbligatoriet� della misura di salvaguardia per effetto 
del quale carattere il P.R.G. solo adottato avrebbe acquisito un'efficacia imperativa 
propria e diretta che ne fa uno strumento di governo del territorio. 

Rileva per� poi lo stesso giudice che la convinzione circa il carattere immediatamente 
lesivo del piano non ancora approvato non si fonda soltanto 
sulla natura obbligatoria e vincolata degli atti applicativi � quasi che bastasse 
la trasformazione di un atto da discrezionale in vincolato a spostare automaticamente 
l'effetto lesivo e la conseguente impugnabilit�, all'atto presupposto 
nel quale si consuma la discrezionalit� amministrativa�. 

Con questa considerazione il Consiglio di Stato sembra aver colto il vero 
nucleo del problema; non rileva infatti indagare se il piano solo adottato costituisca 
o meno strumento di governo del territorio, ma occorre valutare se 
esso abbia autonomamente un effetto lesivo che determini per il privato un 
interesse a ricorrere. 

Tale effetto lesivo viene individuato, nel piano adottato, nell'imposizione 
ad un terreno di una specifica destinazione urbanistica che lo qualifica e so-

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PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

stanzialmente configura il cont~uto del diritto del proprietario; da questo punto 
di vista non vi sarebbero differenze qualitative tra piano adottato e piano approvato, 
ma solo quantitative costituite dalla diversa stabilit� delle prescrizioni 
dell'uno e dell'altro. 

:E!. noto infatti che la legge 765/1967, innovando profondamente nel sistema 
normativo relativo alle modifiche del piano regolatore da parte dell'autorit� 
competente per l'approvazione, in accoglimento peraltro dei principi elaborati 
dalla stessa giurisprudenza, ha dettato nell'art. 3 una disciplina organica della 
materia disponendo un elenco preciso dei casi in cui possono essere apportate 
modifiche al piano adottato dal Comune, e tali casi hanno un'ampiezza tale da 
far correttamente ormai ritenere che il piano risultante dall'approvazione regionale 
costituisce un atto complesso ineguale, data la preminenza accordata 
alla posizione dell'autorit� regionale. Data questa premessa, deve porsi il problema 
di analizzare la portata lesiva del piano solo adottato, che costituisce 
solamente una prima configurazione dell'assetto del territorio, suscettibile di 
essere modificato in modo pressoch� totale prima della formazione del piano 
definitivo e non solo per il prevalere della volont� regionale, ma con lo stesso 
consenso del Comune che potrebbe (ai sensi del n. 2 dell'art. 3) accogliere delle 
osservazioni al piano presentate da un privato, con deliberazione del Consiglio, 
aprendo la strada a qualunque tipo di modifiche. Non si vuol dire che l'efficacia 
lesiva di un atto si debba misurare necessariamente in relazione al suo 
carattere definitivo ed immutabile, ma sembra che non si possa fare a meno di 
avere riguardo all'esistenza di un procedimento in fieri, di cui l'atto in questione 
costituisce un momento formativo, senza con questo alterare lo stesso 
concetto di procedimento e determinare la creazione di una molteplice serie 
di subprocedimenti sfocianti in altrettanti atti impugnabili, con conseguente 
perversa prolificazione del contenzioso. 

Viene insomma naturale domandarsi perch� debba essere immediatamente 
impugnabile un piano solo adottato nonostante l'indefinita sua possibilit� di 
modifiche e non invece un qualunque parere vincolante incorporato in altro 
procedimento. 

Certo il concetto di lesivit� ha un alcunch� di convenzionale nel senso 
che il legislatore pu� rendere impugnabile qualunque atto individuandone di 
conseguenza un'efficacia lesiva, ma la creazione giurisprudenziale nel medesimo 
campo sembra piuttosto pericolosa, aprendo il varco ad ogni sorta di 
possibili situazioni analoghe. 

N� si dica che il carattere obbligatorio delle misure di salvaguardia rende 
lesivo il piano regolatore adottato perch� non si pu� trasporre la lesivit� 
della misura al piano presupposto in s� e per s� considerato, n�, come s1 e 
sopra affermato, si vuole contestare la possibilit� di un'impugnazione congiunta 
dei due atti, bens� quella autonoma del solo piano. 

Quanto agli altri limitati effetti che secondo la sentenza in epigrafe 
dimostrerebbero la immediata operativit� del piano adottato, � agevole rilevare 
che si tratta di fatti di poco conto e non idonei comunque a configurare una 
reale portata lesiva. 

Cos� l'Ad. Plen. fa riferimento all'art. 3 ultimo comma legge 18 aprile 1962 

n. �167 che consentirebbe di formare un piano di zona per l'edilizia economica 
anche in base ad un P.R.G. adottato e trasmesso per la approvazione, 
mentre in realt� un tale contenuto non si trova nella norma citata e pur 
se vi fosse la lesione, potrebbe derivare dal PEEP e non certo del piano 
non approvato. 
Si fa cenno altres all'art. 17 quarto comma legge 765/1967 che attribuisce 
al piano approvato l'effetto di rendere inapplicabili certe limitazioni di legge 
all'edificazione, ma anche a prescindere dal considerare che a quelle limita



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

720 

zioni si sostituiscono le altre previste dal piano operanti attraverso le misure 
di salvaguardia obbligatoria, rimane la natura prodromica e solo parzialmente 
anticipatrice di taluni effetti del piano in questione. Il che non basta 
ad attribuire un'efficacia lesiva immediata al piano del Comune. 

La fondatezza di questa riserva sulla tesi sostenuta dal Consiglio di Stato 
sembra poi avvalorata dalla considerazione della parte successiva della motivazione. 


Si � gi� detto dell'incongruo rigore del ritenere tenuto il privato ad 
impugnare il piano adottato conosciuto prima della misura di salvaguardia per 
evitare la decadenza dalla possibilit� di impugnare quest'ultima (si pensi al 
paradosso che si determina quando il privato formula delle osservazioni al 
piano che vengono accolte con delibera comunale ex art. 3 n. 2 legge 765/67 
aprendo la strada alla modifica regionale e ciononostante deve impugnare 
il piano in s.g. per tutelarsi contro le eventuali obbligatorie misure di salvaguardia, 
con l'ulteriore conseguenza che il G.A. potrebbe accogliere il ricorso 
determinando l'annullamento del piano e� la necessit� di riprendere dall'inizio 
l'iter procedimentale). 

Si osservi ora quella parte della sentenza che innovando parzialmente 
alla decisione 17/78 ha ritenuto comunque ammissibile l'impugnazione del 

P.R.G. approvato anche da parte di chi avendo avuto conoscenza di quello 
solo adottato non lo abbia tuttavia tempestivamente impugnato. 
Questa soluzione risolve effettivamente, da un punto di vista pratico, molti 
problemi essendo questo della non impugnabilit� del P.R.G. approvato il punto 
di maggiore resistenza alla precedente giurisprudenza, che pregiudicava gli 
interessi sostanziali dei privati. Ma da un punto di vista teoretico essa � la 
conferma dell'insostenibilit� della tesi che vuole impugnabile anche il solo 

P.R.G. adottato. Sostiene l'Ad. Plen. che tra le due tesi non sussiste incompatibilit� 
logica perch� la lesione prodotta dal piano adottato � diversa da 
quella causata dal piano approvato, in quanto la prima � di minore intensit� 
e di durata limitata e non � stabile, tutte considerazioni che avvalorano. l'ampiezza 
del divario, ad avviso di chi scrive, fino al punto di determinare, 
come si � detto, una differenza qualitativa. 
N� risulta secondo l'argomentare del G.A. infranto il principio cardine 
della giustizia amministrativa, secondo il quale in sede di impugnazione di 
un provvedimento non sono pi� contestabili i vizi dell'atto presupposto che, 
essendo impugnabile ex se, di fatto non sia stato impugnato; infatti tale principio 
vale perch� l'autorit� emanante il secondo atto non pu� invocare il 
precedente che � immodificabile, mentre nel caso di specie l'autorit� regionale 
pu� modificare il piano comunale, sicch� il suo provvedimento � impugnabile 
anche per i vizi concernenti il piano adottato. 

Tale spiegazione del principio sopraenunciato appare inconfutabile, quello 
che per� sembra essere sfuggito all'Adunanza Plenaria � la sua pi� immediata 
implicazione logica, cio� che tale tesi implica una inscindibile connessione 
tra immodif�cabilit� dell'atto amministrativo da parte dell'autorit� (fatti salvi 
i rimedi eccezionali dell'autotutela) e impugnabilit� da parte dell'interessato. 
Le vicende amministrative, per assicurare la certezza delle situazioni giuridiche, 
procedono per gradi, man mano che si raggiunge un certo grado definitivo 
al privato � consentita la difesa giudiziale mediante l'impugnazione, la quale 
invece non � ammessa n� prima n� dopo la formazione dell'atto definitivo 
(salva diversa disposizione di legge). Immodificabilit� ed impugnabilit� sono 
due concetti logicamente speculari che non si possono quindi alterare autonomamente. 


Se questo, � come pare, un corollario dell'esatta affermazione contenuta 
nella seconda parte della sentenza, allora risalta chiaram.ente l'insanabile con



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 721 

traddittoriet� tra le due enunciazioni di diritto ivi contenute ed emerge il 
carattere di compromesso della decisione, che ha voluto conciliare la tesi 
precedentemente recepita nella sentenza 17/78 dell'impugnabilit� autonoma del 
piano regolatore solo adottato dal Comune con quella sostenuta con intransigenza 
dalla prevalente giurisprudenza dell'impugnabilit� incondizionat� del 
piano approvato, con un'operazione logica la cui difficolt� ricorda quella paradigmatica 
della quadratura del cerchio. 

GIAN PAOLO POLIZZI 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 19 maggio 1983 n. 12 -Pres. Pescatore Est. 
Varrone -Soc. Establissement Oron Societ� (avv. Lavitola) c. 
Comune di Roma (avv. Palopoli). 

Urbanistica -Costruzione abusiva -Ordine di demolizione -Irrogazione 
della sanzione pecuniaria -Motivazione della scelta tra i due strumenti 
repressivi -Esclusione di ma:ssima -Necessit� per opere conformi 
al P.R.G. 

Urbanistica -Costruzione abusiva -Ordine di demolizione -Irrogazione 

della sanzione pecuniaria -Motivazione della scelta tra i due stru


menti repressivi -Necessit� quando trascorso lungo tempo. 

Per disporre la riduzione in pristino e la demolizione delle opere 
eseguite senza licenza ai sensi dell'art. 13 legge 7 agosto 1967 n. 765 il 
Sindaco non � tenuto ad indicare le ragioni di pubblico interesse che 
giustificano tale scelta in luogo di quella alternativa, ma subordinata, 
dell'irrogazione della sanzione pecuniaria. 

Un'attenuazione di tale principio pu� aversi quando l'opera, pur 
priva di autorizzazione, sia tuttavia conforme allo strumento di pianificazione 
territoriale comunale (1). 

(1-2) Come � noto l'applicazione dell'art. 13 della legge 7 agosto 1967 n. 765 
ha dato luogo ad un ampio contenzioso sviluppatosi su vari filoni. Il pi� 
interessante o quanto meno quello di maggior rilievo economico sociale trova 
finalmente una soluzione nella sentenza sopra massimata dell'Adunanza Plenaria 
che si segnala per lucidit� ed equanimit� della decisione. 

Per i due orientamenti opposti, quello che negava la necessit� di una 
motivazione sulle ragioni di pubblico interesse che inducono l'Amm.ne a scegliere 
la misura ripristinatoria � espresso da Sez. V 23 ottobre 1981 n. 515 in Cons. 
St. 1981, I, 1055 ed A 26 ottobre 1976 n. 1319 ivi 1976, I, 1051. Cfr. anche 
V 30 settembre 1980 n. 785 in Cons. St. 1980, I, 1157 e _30 settembre 1980 

n. 784 ibidem 1156; V 15 febbraio 1972 n. 104 ivi 1972, I,� 169 e quello che 
viceversa affermava la necessit� medesima da 17 ottobre 1980 n. 827 ivi 
1980, I, 1328, e 10 aprile 1973 n. 368 ivi 1973, I, 572 e 29 ottobre 1971 n. 958 
ivi 1971, I, 1963 richiamate a proposito in sentenza, mentre non pertinenti 
sono i richiami di Cons. St. V 27 marzo 1981 n. 100 ivi 1981, 317 e di 
Cons. St. V 26 ottobre 1971 n. 120 ivi 1971, I, 2206. Occorre peraltro segnalare 
che la maggior parte delle sentenze ispirate a questo secondo orientamento 

722 RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA DELLO STATO 

Quando sia trascorso un lungo periodo di tempo senza che sia stato 
fatto valere il potere sanzionatorio ex art. 13 legge 7 agosto 1967 n. 765 
non si pu� considerare sanata la situazione di illegittimit� dell'opera e 
tuttavia � necessario che l'Amministrazione indichi le ragioni di pubblico 
interesse che la inducono a disporre la riduzione in pristino (2). 

lo hanno affermato in sede di impugnazione della diffida a demolire, ritenendo 
che per questo atto non fosse necessaria la motivazione suddetta da 
effettuare invece successivamente in sede di effettiva scelta tra demolizione e 
sanzione. Pregevole appare altres� l'ambito conferito alle attenuazioni del principio 
enunciato con riguardo sia all'ipotesi dell'opera non autorizzata ma conforme 
al P.R.G. sia a quella del lungo tempo trascorso che di fatto fa 
acquisire anche alla situazione di illegittimit� dell'opera un rilievo non trascurabile 
quanto meno sul piano dell'affidamento. 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 27 maggio 1983 n. 13 -Pres. Pescatore Est. 
Baccarini -Ministero della Difesa e Ministero Finanze (avv. 
Stato Nucaro) c. Regione Friuli Venezia Giulia (avv. Pacia, Rkci) 
ed altri. 

Urbanistica -Piano regolatore -Beni del patrimonio indisponibile dello 
Stato -Mutamento di destinazione -Intesa con l'Amm.ne Statale � 
Mancanza -Illegittimit�. 

� illegittimo uno strumento urbanistico che incida su una area occupata 
da fabbricati militari mutandone la destinazione rispetto a quella 
gi� attribuita dall'Amministrazione, senza alcuna previa intesa con la 
stessa (nella fattispecie nella variante del P.R.G. del Comune di Tarvisio 
era stata destinata a strada statale un'area occupata da alloggi militari) (1)�� 

(1) Importantissima decisione dell'Adunanza Plenaria, che annulla TAR Friuli 
Venezia Giulia 24 luglio 1980 n. 247, dopo un approfondito esame di tutti i 
temi coinvolti nella decisione. La soluzione raggiunta pu� apparire scontata, 
mentre costituisce il frutto di una travagliata ricerca della normativa appli� 
cabile che passa attraverso la disciplina dell'art. 828 e.e. ritenuta ininfluente 
con riferimento a precedenti sentenze (Cons. St. IV 11 dicembre 1979 n. 1144, 
in Cons. St. 1979, I, 1780; IV 29 aprile 1977 n. 439 ivi 1977, I, 568, e 29 maggio 1973 
n. 613, ivi 1973, I, 727 nella penultima delle quali si afferma il principio che i 
beni patrimoniali indisponibili possono formare oggetto di atti espropriativi 
per il conseguimento di un fine di interesse generale; viceversa per i beni dema� 
niali IV 12 dicembre 1978 n. 1192 ivi 1978, I, 1834 ritiene illegittimo il decreto di 
occupazione d'urgenza avente ad oggetto una strada comunale poich� ai sensi 
degli artt. 823, 824, e 829 e.e., 8 e 12 legge 12 febbraio 1958 n . .126 e legge 25 giugno 
1865 n. 2359 la peculiare destinazione dei beni demaniali impone, per poter 
disporre alla stregua degli altri beni e per diverse finalit� anche pubbliche, il 

PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 

ricorso al procedimento di sdemanializzazione ad iniziativa del soggetto titolare 
del bene stesso), attraverso la legge urbanistica 17 agosto 1942 n., 1150, che pur 
non attenendo direttamente alla fattispecie in esame fornisce tuttavia utili argomenti 
interpretativi e poi attraverso l'art. 9 della legge 28 gennaio 1977 n. 10 
ed il D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, dal quale ultimo l'Adunanza Plenaria trae 
il primo riferimento al principio dell'intesa come strumento di coordinamento 
degli interessi contrastanti dei vari enti interessati in mancanza del quale 
rimane per� fatto salvo il potere preminente dell'Amm.ne Statale, che si 
esercita attraverso la deliberazione del Consiglio dei Ministri. 

L'esame del Consiglio di Stato si sposta quindi sulla legge 24 dicembre 
1976 n. 898 contenente la nuova regolamentazione delle servit� militari, per 
una lettura dell'art. 16 significativamente diversa da quella datane dal TAR 
del Friuli, che aveva radicalmente escluso la necessit� del concorso dello Stato 
alla formazione della variante del P.R.G., argomentando del carattere solo 
eventuale del parere della autorit� militare previsto dal comma quarto dell'articolo 
citato. Secondo la sentenza in esame tale interpretazione � errata, 
ma l'articolo 16 rimane � ininfluente� ai fini della decisione in quanto nel 
caso di specie si presentava un'ipotesi di immutazione unilaterale ad opera 
del P.R.G. della destinazione dei beni del patrimonio indisponibile dello 
Stato. 

Questo passaggio della motivazione suscita perplessit� originate dalla mancata 
considerazione della maggiore gravit� della situazione in esame rispetto 
a quella ipotizzata dalla norma: in altre parole se la costruzione di strade 
nel territorio militarmente importante non pu� avvenire senza l'assenso preventivo 
(in sede di adozione del P.R.G.) o successivo (in sede di esecuzione) 
dell'autorit� militare non si vede come possa farsi prescindere dalla intesa 
con la stessa autorit� la costruzione di strada che per di pi� determini una 
radicale modificazione della destinazione del territorio gi� posta in atto. 

N� si pu� condividere la tesi del TAR che consentirebbe al pianificatore 
urbanistico di prescindere dal parere dell'autorit� militare, pur col rischio di 
vedere poi paralizzata l'attivit� esecutiva dal diniego di autorizzazione: in 

u realt� tale interpretazione, oltre ad ipotizzare una procedura decisamente anomala, 
non rileva che l'audizione del parere militare non � affatto eventuale 
ma doverosa, mentre l'autorizzazione in sede di esecuzione � solo un possibile 
ripiego quando l'intesa non sia stata previamente raggiunta. 
Ancora della legge 898/1976 si occupa l'Adunanza Plenaria per rilevare che 
l'art. 3 utilizza il sistema della intesa (con finale prevalenza del potere statale 
in caso di insanabile contrasto) per l'armonizzazione tra piani di assetto territoriale 
della regione e programmi delle installazioni militari, ma anche questa 
disposizione non viene ritenuta del tutto pertinente riguardando la situazione 
in cui la disciplina urbanistica costituisce prius e l'opera militare il posterius, 
mentre nel caso di specie avviene il contrario. 
Pure questa conclusione non sembra condivisibile perch� se l'intesa �� necessaria 
quando si tratti di un assetto territoriale che incide su opere militari 
ancora in fieri a maiori sembra doversene argomentare la obbligatoriet� quando 
l'incidenza si abbia su opere gi� realizzate. Comunque, scartate tutte queste 
ipotesi normative il Consiglio di Stato approda alla conclusione che si � detta, 
sulla base della sola disciplina urbanistica rilevando che, dopo il passaggio 
alle Regioni del potere di approvare il P.R.G., il coordinamento degli interessi 
locali con quelli statali non pu� avvenire nel momento dell'approvazione e 
tuttavia deve realizzarsi in base ai principi generali, poich� con la variante 
del P.R.G. che muta la destinazione urbanistica di opere militari si esplica 
una funzione amministrativa relativa non solo alla materia urbanistica ma 
anche alla materia delle opere pubbliche di interesse statale e della difesa 


724 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nazionale che sono riservate alla competenza, statale, e non rileva l'assenza 
di una disciplina specifica, perch� il coordinamento si pu� evincere dall'esigenza 
della reductio ad unitatem del sistema. 

Si tratta dunque di una motivazione ricca e complessa nella quale abbondano 
spunti e richiami del massimo interesse, ultimo tra i quali si vuole 
segnalare quello che esclude il rinvio del coordinamento funzionale alla fase 
attuativa delle previsioni di piano � perch� ci� sottrarrebbe alla sede propria 
il contributo differenziato dei soggetti legittimati � che costituisce un'ulteriore 
conferma della necessit� del coordinamento gi� in sede pianif�catoria. 

G.P.P. 
CORTE DEI CONTI, Sez. III, 13 gennaio 1982 n. 48927 -Pres. Saraceno 


Est. Errera -P.M. Visca (conf.). Messale c. Tesoro, Istituti di Previ


denza, C.P.D.E.L. (avv. Stato Stipo). 

Pensioni -Pensioni civili � Impiegati enti locali -Servizi statali � Ricongiunzione 
-Liquidazione � Criteri. 

In caso di ricongiunzione tra servizi statali e servizi presso ente con 
iscrizione agli Istituti di Previdenza la base pensionabile va calcolata sulla 
retribuzione goduta all'atto del collocamento a riposo, ancorch� maggiore 
di quella percepita alla cessazione del servizio statale, purch� il periodo 
di servizio prestato nel nuovo ente sia superiore ad un anno. 

(omissis). Si ritiene opportuno chiarire preliminarmente che, per maggior 
compattezza d'esposizione, appare preferibile svolgere congiuntamente 
� fatto � e � diritto � posto che il � fatto � � prevalentemente 
costituito da considerazioni giuridiche, vuoi contenute in un precedente 
giurisprudenziale di fondo, vuoi argomentate nella dialettica dei soggetti 
parziali del processo. 

Ci� premesso, va detto, anzitutto, che, con l'impugnato provvedimento, 
la C.P.D.E.L. ha .liquidato al dr. Messale la complessiva pensione di lire 
4.495.500, di cui L. 110.000 in parte b). 

I criteri della liquidazione della pensione nei riguardi del dipendente statale 
transitato in un ente compreso nel regime previdenziale degli Istituti di 
Previdenza. '-',, 

Particolari problemi ai fini della pensione ha sempre suscitato il caso di 

un pubblico dipendente che inizia l'attivit� di servizio presso un ente pubblico 

e poi, cessato il rapporto con detto ente, instaura un nuovo rapporto di 

servizio con altro ente pubblico. 

Il problema acquista vieppi� rilevanza qualora differenti siano i regimi 

pensionistici per i dipendenti dei due enti, cio� l'ente presso il quale ha avuto 

inizio il rapporto d'impiego e l'ente di appartenenza al momento della liqui


dazione della pensione. 

Si � avuta pertanto la legge 22 giugno 1954, n. 523, con la quale � stato 

disposto che ai fini del trattamento di quiescenza, i servizi resi allo Stato 



PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 725 

L'Amministrazione ha, cio�, fatto applicazione del quarto comma dell'art. 
1 della legge ~6 luglio 1965, n. 965, che recita: �per il periodo di 
continuazione d'iscrizione e di reiscrizione, che non superi ii cinque 
anni, qualora la parte a) della retribuzione contributiva goduta nel 
periodo stesso, risulti superiore a quella riferita alla precedente cessazione 
dal servizio, la differenza � da comprendersi, in ogni caso, nella 
parte b) della retribuzione� (� appena il caso di ricordare che la distinzione, 
posta dai commi secondo e terzo del medesimo articolo, corrisponde, 
in via di massima, ad emolumenti fissi, certi, fondamentali; ed 
emolumenti aleatori, incerti nell'an e nel quantum, e relativi a prestazioni 
in certo senso secondarie, rispetto a quella che costituisca il 
nucleo essenziale dell'impiego). 

Nella specie, l'applicazione del riferito quarto comma dell'art. 1 della 
legge 965, � stata fatta perch� il dott. Messale, gi� ispettore generale 
del Ministero della Sanit�, dopo aver vinto U pubblico concorso per il 
posto di �direttore amministrativo dell'Ospedale generale provinciale Umberto 
I di Siracusa, transit� nella nuova amministrazione il 16 settembre 
1974, ma cess� definitivamente, per volontarfo dimissioni il 30 aprile 
1977, senza aver, cio�, maturato un quinquennio, e poiche (secondo 
una fictio juris della quale si riferiranno pi� avanti le ragioni, alla cui 

sono ricongiungibili con i servizi prestati presso enti locali con iscrizione agli 
istituti di Previdenza (art. 1). 

Il trattamento di quiescenza � quello previsto per il personale dell'Ente 
presso il quale il dipendente si trova al momento della cessazione dal servizio 
(art. 3). 

Chi liquida la pensione, ripartisce il relativo onere tra gli enti o casse 
in proporzione dei rispettivi periodi cui il dipendente � stato iscritto, ricevendone 
la quota di pensione a loro carico attraverso la capitalizzazione del 
valore capitale (art. 5 e 6). 

Nel caso di dipendente transitato dallo Stato ad un ente locale si ha la 
situazione che la sentenza in Rassegna cos� puntualizza: 

� La pensione deve essere liquidata secondo la retribuzione pensionabile 
dell'Ente locale, in genere, per non dir sempre, di gran lunga superiore a 
quella dello Stato, per grande che possa essere la sperequazione quantitativa 
che ne derivi a danno dello Stato (secondo la legislazi�ne oggi vigente, anche 
39 anni prestati alle dipendenze dello Stato e tino solo alle dipendenze, per 
es., della Regione Lombardia) con la conseguenza che, poich� il primo comma 
del successivo art. 5 � l'importo del trattamento di quiescenza si attribuisce, 
per quote, a ciascun ente concorrente alla ricongiunzione, in relazione alle 
durate dei rispettivi servizi utili �, lo Stato dovr� accollarsi, al limite nell'esempio 
fatto, 39 anni di pensione liquidata su una retribuzione che � 
molto pi� elevata di quella statale �. 

Il nuovo Testo Unico sul trattamento di quiescenza (d.P.R. 29 dicembre 
1973 n. 1092) ha voluto per� ovviare a tale situazione, disponendo cos� 
all'art. 115: 

� Se in seguito al transito, con o senza soluzione di continuit�, dal servizio 
statale a quello di altro ente di cui all'art. 113, comma primo (cio� ente 
con iscrizione agli Istituti di Previdenza), debba farsi luogo alla ricongiunzione 



726 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stregua, comunque, il pregresso servizio statale avrebbe potuto considerarsi 
come prestato in regime d'iscrizione previdenziale alla C.P.D.E.L.), 
si sarebbe verificato il presupposto della reiscrizione, tutta la retribuzione 
eccedentaria su quella maturata quale funzionario dello Stato, � stata 
valorizzata in parte b). 

In altri termini, la retribuzione pensionabile relativa al servizio reso 
presso lo Stato, � stata considerata come la pregressa parte a), e quella 
maturata presso l'Ospedale come una seconda parte a), per la misura 
superiore alla prima, da Jiquidare in parte b). 

Nel ricorso il dr. Messale sostiene invece, che, nel suo caso manca 
il presupposto per l'applicazione dell'art. 1, quarto comma, della legge 
del 1965, e cio� la continuazione d'iscrizione o la reiscrizione alla C.P.D.E.L.; 
ha, cio�, contestato �in radice � la fondatezza della fictio juris di cui si 
sono visti gli effetti. 

Di questa particolare impostazione giuridica, troviamo l'enunciazionespiegazione 
nella precedente sentenza di questa Sezione n. 31918 del 
23 marzo 1972, in affare Tundo Francesco. 

Ridotta ad essenziale sintesi, la decisione afferma che fa base della 
fictio � da ricercarsi nella formulazione letterale, e pi� ancora nella 
ratio che ispira gli artt. 3 e 7 della legge 22 .giugno 1954, n. 523, intitolata 
alla �ricongiunzione ai fini del trattamento di quiescenza e della buonuscita, 
dei servizi resi allo Stato con quelli resi ad Enti locali�. 

dei servizi, lo Stato determina la pensione spettante al proprio dipendente 

alla data di inizio del nuovo rapporto, considerando tutti i servizi valutabili, 

anche mediante ricongiunzione, anteriormente resi. 

� L'importo della suddetta pensione, con esclusione degli assegni acces


sori, � corrisposto in valore capitale all'ente presso il quale il dipendente ha 

assunto servizio ovvero all'istituto al quale il dipendente stesso viene iscritto 

ai fini di quiescenza ... 

Per il personale che transita o sia transitato da uno degli enti di cui 

al primo comma dell'art. 113 alle dipendenze dello Stato, l'ente di prove


nienza o l'Istituto di previdenza cui l'interessato era iscritto liquida il 

trattamento di quiescenza secondo il proprio ordinamento e ne versa l'im


porto allo Stato con applicazione delle norme contenute nei commi pre


cedenti�. 

Il pregiudizio economico si � cos� spostato a danno dell'Ente (o Cassa di 

Previdenza) dal momento in cui si deve liquidare la pensione, perch� questo 

deve corrispondere al dipendente la pensione sull'importo dell'ultima retribu


zione calcolata per� anche sulla base del periodo di servizio prestato presso 

il primo Ente di appartenenza. 

Per ovviare a simili situazioni gi� l'art. 6 d.P.R. 5 giugno 1965 n. 758 

(Nuove norme sul cumulo di pensioni e stipendi a carico dello Stato e di 

Enti pubblici, in applicazione della legge 5 dicembre 1964 n. 1268) cos� ha 

disposto: 

� In tutti i casi di ricongiunzione di servizi, ai fini della liquidazione 

o della riliquidazione del trattamento di quiescenza spettante sulla base dei 
servizi ricongiunti, non possono essere considerati uno stipendio, una paga 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 727 

Ed � proprio questa legge che il Tundo a suo tempo, e il Messale 
adesso, hanno invocato invece, come l'unica applicabile alle loro pressocch� 
identiche fattispecie. 

Secondo l'art. 3 cit., �il diritto al trattamento di quiescenza, diretto 

o indiretto, la forma di esso, e la sua misura, si stabiliscono applicando 
le norme che regolano il trattamento medesimo presso .l'Ente al quale il 
dipendente presta servizio, o � iscritto al momento della cessazione definitiva 
tenendo conto della totalit� dei servizi valutati. 
Nell'ottica dei due ricorrenti, quelli il cui caso � stato deciso con 
sentenza ormai intangibile, e quello il cui caso viene deciso ora (ovviamente, 
avvalendosi anche dei dati via via forniti dall'evoluzione legislativa 
da un lato e, dall'altro, dall'esperienza operativa nel frattempo maturata), 
queste parole significano, puramente e semplicemmente, che la pensione 
deve essere liquidata secondo la retribuzione pensionabile dell'Ente 
locale, in genere, per non dir sempre, di gran lunga superiore a quella 
dello Stato, per grande che possa ess�ere la sperequazione quantitativa 
che ne derivi a danno dello Stato (secondo la legislazione oggi vigente, 
anche 39 anni prestati alle dipendenze dello Stato e uno solo alle dipen


o una retribuzione superiore a quelli posti a base della liquidazione del 
precedente trattamento di quiescenza se non sia trsacorso almeno un anno 
intero nel nuovo rapporto�. 
Disposizione analoga � stata ripetuta nell'art. 118 del nuovo testo unico 
sulle pensioni di cui al d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092. 
Nella legislazione sugli Istituti di Previdenza, invece di un anno intero 
si richiede un periodo superiore ai cinque anni. 
Da ultimo l'art. 29 D.L. 28 febbraio 1981, n. 38, nel testo modificato dalla 
legge di conversione 23 aprile 1981, n. 153, ha stabilito: 

� Per il periodo di continuazione di iscrizione o reiscrizione che non 
superi i cinque anni, qualora la parte a) della retribuzione annua contributiva 
riferita alla data di definitiva cessazione dal servizio risulti superiore a quella 
riferita alla data della prima cessazione intervenuta nei cinque anni predetti, 
ai fini della determinazione del trattamento di quiescenza si assume quale 
ultima retribuzione annua contributiva la media ponderata dell'ultimo quinquennio 
di servizio, tra le due retribuzioni relative alle cessazioni predette�. 

Come la stessa Sezione della Corte dei Conti (1) in altra occasione ha 
precisato, � detta disposizione, nell'esigere un periodo almeno quinquennale di 
continuazione di iscrizione o di reiscrizione per attribuire alla retribuzione, 
eventualmente maggiore, rilevanza ai fini della parte A (2) della pensione, ha 

(1) Corte dei Conti Sez. III, 25 gennaio 1980, n. 44040, Tacchetti c. Istituti Previdenza,
in Foro amm. 1980, I, 3, 2262. 

(2) Nel nuovo sistema di pensionamento introdotto con la legge 26 luglio 1965, n. 965 
(il cui quarto comma � stato modificato con la soprariportata norma dell'art. 29 della 
lcgi;e n. 153 del 1981) nella liquidazione della pensione liquidata dalla C.P .D.E.L. figura una 
parte A ed una parte B; mentre la parte A della pensione � calcolata sulla retribuzione 
annua contributiva relativa all'ultimo giorno di servizio con le aliquote previste nella tabella 
allegata (e quindi con l'attribuzione del 100 % dell'ultima retribuzione -meno l'importodella indennit� integrativa -nel caso del massimo pensionabile) la parte B della pensione 
(che � puramente eventuale e d� luogo ad un trattamento che si aggiunge a quello fondamentale 
della parte A) va calcolata alla stregua del previgente sistema facendo riferimento 
alla successione dei valori della retribuzione contributiva relativa a ciascun anno solare 
di servizio. 

IO 



RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DEll.O STATO

728 

denze, per. es., della Regione Lombardia) con la conseguenza che, poich�, 
il primo comma del successivo art. 5 l'importo del trattamento di quiescenza 
si attribuisce, per quote, a ciascun Ente concorrente alla ricongiunzione, 
in relazione alle durate dei rispettivi servizi utili �, lo Stato dovr� 
accollarsi al limite, nell'esempio fatto 39 anni di pensione liquidata su una 
retribuzione che � molto pi� elevata di quella statale. 

Secondo la decisione Tundo, invece, proprio l'art. 3 della legge 523 
conteneva il primo nucleo della fictio, individuando, in particolare, nella 
dizione secondo cui la � misura � del trattamento si stabilisce applicando 
le norme che lo regolano presso l'Ente al quale l'interessato trovisi iscritto 
al momento della cessazione, un rinvio a tutta la normativa della 
C.P.D.E.L., ivi compresa la legge 965 del 1965, con il contestato art. 1, 
quarto comma. 

Il secondo nucleo della fictio -sempre secondo la Tundo -si rinveniva, 
poi, nell'art. 7 della stessa legge 523, che pone il trattamento, salvo 
rivalsa della quota estranea, a totale carico dell'Ente (o anche dello Stato, 
a seconda di dove siasi verificata la cessazione ultima; ipotesi, peraltro, 
che � qui fuor di vertenza), � proprio come se il dipendente avesse prestato 
sempre servizio in regime d'iscrizione previdenziale alla C.P.D.E.L. 

La decisione non disconosce che siffatta interpretazione � ottenuta a 
prezzo di qualche �necessaria forzatura letterale�; ma ritiene decisiva la 

voluto evitare che tale maggiore retribuzione, percepita magari in dipendenza 
di un nuovo brevissimo servizio, potesse comportare per gli Istituti di Previdenza 
l'accollo di un onere pensionistico non sostenuto da adeguate contribuzioni... 
Si tratta evidentemente di disposizioni che, vuoi per limitare l'onere 
quiescibile gravante sugli Istituti di Previdenza o vuoi per frustrare facili 
artifici da parte degli iscritti, pongono dei correttivi al nuovo sistema del 
calcolo della pensione sull'ultima retribuzione percepita: si pongono cio� come 
eccezione alla regola�. 

Orbene tale principio valevole nei casi di continuazione o di reiscrizione 

alla Cassa di Previdenza era stato ritenuto valido dalla stessa Sezione della 

Corte dei Conti nei casi di ricongiunzione tra servizi statali e servizi con 

iscrizione agli Istituti di Previdenza (3). 

Tale principio � stato ora disconosciuto dalla decisione in Rassegna sulla 

base dell'art. 118 del nuovo testo unico sul trattamento di quiescenza del per


(3) Cos� la decisione 9 giugno 1972; n. 31918, Tundo c. Ist. Previdenza (in Foro amm. 1973, 
I, ~. 160} dalla quale la sentenza in Rassegna ha inteso discostarsi. Tale decisione, in applicaz1one 
del quarto comma della legge 26 luglio 1965 n. %5 aveva ritenuto che � in casi di 
ricongiunzione tra servizi statali e servizi con iscrizione agli Istituti di Previdenza se 
l'ulti!ll? periodo d~ servizio (c~perto da iscrizione} J'.!On ~~peri i 5 anni e se gli emolumenti 
relativi a tale penodo (che, d1 regola, andrebbero msent1 nella parte A della base pensionabile 
prevista dal comma 2 dello stesso articolo) risultino superiori a quelli riferiti alla 
data della cessazione dal servizio statale, la differenza in pi� va compresa nella parte B 
dell base pensionabile �. Sul concetto di parte A e parte B del trattamento pensionistico 
v. la nota precedente. Essendo stato modificato il quarto comma della legge n. 965 del 1965, 
ed applicando quindi i criteri di cui all'art. 29 della legge n. 153/1981, ne deriva che, ai sensi 
dell'orientamento espresso con la decisione n. 31918 del 1972, nei casi di ricongiunzione tra 
servizi statali e servizi con iscrizione alla Cassa di Previdenza, se questi ultimi non superino 
i cinque anni e la relativa retribuzione risulti superiore a quella goduta alla data di cessazione 
del servizio statale, la retribuzione annua da prendere a base della pensione � costituita dalla 
media ponderata dell'ultimo quinquennio di servizio tra la retribuzione relativa alla cessazione 
del servizio statale e quella relativa alla cessazione del nuovo servizio. 

PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 729 

ratio, desunta anche da un esame dei lavori parlamentari, secondo la 
quale, con la riforma del 1965, si � s� voluto introdurre il nuovo principio 
della commisurazione della pensione all'ultima retribuzione, ma senza 
abbandonare del tutto il vecchio sistema d,ei capitali accumulati, e cio� 
del ragguaglio della pensione ai contributi versati e, quindi, alle retribuzioni 
in effetti percepite, durante l'intera carriera. 

Uno degli argomenti sui quali il dr. Messale insiste maggiormente, 
� quello desunto dall'art. 6 del d.P.R. 758 del 1965 (oggi: art. 118 del 

t.u. 1092 del 1973), in forza del quale le norme sulla ricongiunzione ex 
legge 523, non si applicano solo se il perfodo finale pi� favorevole, quello 
presso l'Ente locale, sia stato inferiore ad un anno. 
Questa norma, secondo il ricorrente, � assolutamente incompatibile 
con l'art. l, quarto comma, della legge 965. 

L'Avvocatura dello Stato e la Procura Generale per iscritto, hanno 
chiesto il rigetto del ricorso, motivando quasi per relationem alla Tundo; 
la Procura ha per� aggiunto, a sostegno del rigetto, un ulteriore argomento 
tratto dalla legge 6 febbraio 1973, n. 16, che ha escluso dall'applicazione 
dell'art. l, quarto comma, �soltanto� i passaggi dallo Stato 
alle Regioni. 

sonale dello Stato (d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092), secondo cui, nel caso 
di riunione o di ricongiunzione di servizi non pu� essere presa a base della 
pensione una retribuzione superiore a quella percepita alla fine del primitivo 
servizio � se non sia trascorso almeno un anno intero nel nuovo rapporto "� 
Quindi, secondo tale decisione, � sufficiente al dipendente statale che passa alle 
dipendenze di un ente con iscrizione agli Istituti di Previdenza mantenere 
per appena un anno il rapporto di servizio per vedersi liquidata la pensione 
sulla retribuzione da ultimo goduta ed in relazione all'intero periodo del 
servizio reso alle dipendenze dello Stato. 

Siffatta interpretazione urta per� contro il disposto dell'art. 36 della Costituzione, 
che prevede una retribuzione (la pensione � stata infatti considerata 
una retribuzione differita) proporzionata alla quantit� e alla qualit� del lavoro 
prestato. Se � vero infatti che la qualit� del lavoro prestato pu� essere soddisfatta 
con riferimento all'Ultima retribuzione non pu� invece altrettanto dirsi 
soddisfatta la quantit� se una retribuzione superiore percepita per un solo anno 
alle dipendenze di un ente venga calcolata per il pi� lungo periodo di servizio 
reso allo Stato, ma sUlla base di una retribuzione superiore a quella 
corrisposta e sulla quale ha gravato l'onere contributivo. 

La norma dell'art. 118 citato non sembra avere voluto limitare ad un anno 
il servizio reso all'ente diverso dallo Stato per permettere al dipendente transitato 
nel nuovo ente di liquidare la pensione sul trattamento goduto presso 
di esso e per l'intero periodo del servizio statale; se tale fosse il senso della 
norma sarebbe pleonastico l'uso dell'avverbio � almeno �. 

Se un senso vuol darsi a tale espressione, la interpretazione logica dovrebbe 
indurre a � ritenere che nel caso di riunione o ricongiungimento di 
serv1z1 va presa a base l'ultima retribuzione solamente quando nella nuova 
Cassa di Previdenza vi sia stata una iscrizione per un periodo di tempo previsto 
nella normativa di detta Cassa, periodo che deve essere di almeno un 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

730 

La quale ultima norma ha, peraltro, subito, nelle more del ricorso, 
un ammorbidimento con la legge 153 del 23 aprile 1981, art. 29, mediante 
un complesso sistema che vede eliminata Ia parte b), e assume, quale 
ultima retribuzione, la media ponderata fra le retribuzioni relative alle 
cessazioni verificatesi nell'ultimo quinquennio (nel quale, � ovvio che le 
cessazioni debbano essere due: una nel primo, e l'altra nel secondo rapporto; 
altrimenti la vita di questo ultimo supererebbe, appunto, il quinquennio, 
e non ci sarebbe, in partenza problema alcuno). 

Quanto al punto costituito dalla legge 16 del 1973, il Messale ribatte 
in una memoria aggiunta depositata il 4 marzo 1981, che l'art. unico 
di questa legge, significa niente di pi� di ci� che dice. Si tratterebbe 
in sostanza, di norma, avente l'unico, limitato ed esclusivo scopo di 
favorire in massa il passaggio dallo Stato alle Regioni, che altrimenti, 
si sarebbe verificato con estrema parsimonia. 

D'altra parte, nemmeno l'applicazione dell'art. 29 della legge 153 del 
1981, come si evince chiaramente dalla lettura della stessa memoria, soddisferebbe 
il petitum del ricorrente, in quanto egli si dichiara pi� che mai 
convinto che il suo non sia affatto un caso di continuazione d'iscrizione 
(dipendente che viene trattenuto in servizio presso lo stesso Ente), 
n� di reiscrizione (dipendente che, Jnveoe, passa al servizio di un altro 

anno, in caso che nulla fosse disposto o si prevedesse un periodo di tempo 
inferiore. 

Inoltre per disapplicare la normativa vigente per gli Istituti di Previdenza, 
che nei casi di continuazione di iscrizione o reiscrizione iichiede un periodo 
minimo di 5 anni per liquidare la pensione sulla base della retribuzione percepita 
all'atto del collocamento a riposo, la sentenza in Rassegna avrebbe 
dovuto ritenere che riunione o ricongiunzione di servizi (di cui all'art. 118 
del T.U. sulle pensioni) siano ipotesi diverse da quelle di continuazione di 
iscrizione o reiscrizione previste prima dalla legge 26 luglio 1965 n. 965 cd ora 
dalla legge 23 aprile 1981 n. 153. 

Questo problema non � stato posto, ma la sentenza si � limitata a ripor


tare la tesi dell'interessato, secondo cui il caso del dipendente passato dallo 

Stato ad un ente locale non configura n� la continuazione di iscrizione n� 

la reiscrizione, perch�, secondo l'interessato stesso la prima ipotesi si ha 

quando il dipendente viene trattenuto in servizio presso lo stesso ente mentre 

la seconda ipotesi si ha quando il dipendente passa al servizio di un altro 

ente ma sempre nell'ambito della stessa Cassa o fondo pensioni. 

Tale definizione dei concetti di continuazione di iscrizione e di reiscri


zione non sono esatti e, per vero, la sentenza in Rassegna si limita solo ad 

esporli senza farli propri. 

Pi� precisa al riguardo � invece la precedente sentenza, pi� volte richia


mata, della stessa Corte dei Conti, 25 gennaio 1980 n. 44040, dove esattamente 

si precisa che �l'ipotesi pi� chiara (e pi� accessibile) di continuazione di 

iscrizione � data da due distinti servizi succedutisi autonomamente nel tempo 

senza soluzione di continuit� tra di loro � mentre � l'ipotesi di reiscrizione 

presuppone un periodo di interruzione del rapporto previdenziale �. 

Quindi il criterio differenziale tra le ipotesi di continuazione di iscrizione 

e di reiscrizione non � dato dalla identit� o meno degli enti presso i quali 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 731 

Ente); laddove il citato art. 29 si muove pur sempre nello stesso humus 
dell'art. 1, quarto comma, della legge 965, e continua, quindi, ad avere 
il presupposto, appunto, della continuazione d'iscrizione o della reiscrizione 
al regime previdenziale C.P.D.E.L. 

Alla pubblica udienza odierna, la causa ha avuto discussione relativamente 
breve, in rapporto alla complessit� dei suoi precedenti, ed intrinseca. 


L'Avvocato dello Stat-o, confermando le richieste di cui alla memoria 
scritta, ha insistito per il rigetto del ricorso; mentre il P.M., cambiando 
radicalmente le conclusioni scritte, ha chiesto l'accoglimento, sostenendo 
che la fattispecie non rientra affatto nell'ambito d'applicazione della normativa 
C.P.D.E.L., bens� in quella dell'attuale t.u. 1092 sulle pensioni artt. 114 
e 118, il primo dei quali, riproduce, con modifiche di carattere procedurale, 
la disciplina della ricongiunzione, gi� compiutamente contenuta nella legge 
523, ed il secondo (art. 118), non � che la trascrizione pressoch� testuale 
dell'art. 6 del d.P.R. 758 del 1965. E poich�, sul metro di quest'ultima, 
norma, � pacifico che il servizio del dr. Messale presso l'Ospedale di Siracusa, 
ha largamente superato l'anno, il ricorso -ha concluso 11 Procuratore 
d'udienza -va accolto. (omissis). 

si presta serv1z10, bens� dalla circostanza se il rapporto previdenziale abbia 

o meno avuto soluzione di continuit�. 
Comunque, agli effetti che interessano, ci� non � decisivo, perch�, al fine 
di negare vigore alla disposizione di cui all'art. 29 della legge n. 153/1981 (che 
richiede un periodo minimo di 5 anni per calcolare la pensione sull'importo 
dell'ultima retribuzione) occorre, come detto, dimostrare che la riunione o ricongiunzione 
di servizi rappresenti qualcosa di diverso dalla continuazione di 
iscrizione o reiscrizione. 

Tale dimostrazione non � stata data, anzi un'interpretazione coordinata 
delle varie disposizioni legislative nella materia conduce a ritenere che la diversit� 
cui si accennava non sussiste. 

Diversamente opinando non avrebbe senso la legge 6 febbraio 1973 n. 16, 
il cui articolo unico cos� suona: 

� Per il personale dello Stato, degli Enti locali e degli altri Enti pubblici 
che sia transitato o transiti, anche a domanda, nei ruoli delle regioni, 
non trova applicazione la norma di cui alla prima parte del comma quarto 
dell'art. 1 della legge 26 luglio 1965 n. 965 �. 

� perci� il legislatore stesso che ci dice che il quarto comma dell'art. 1 
della legge 26 luglio 1965 n. 965 (modificato dall'art. 29 della legge 23 aprile 1981 

n. 153) si applica al personale che dallo Stato transiti ad un ente locale diverso 
dalle Regioni. 
E giova sottolineare come la ora riportata disposizione della legge 6 febbraio 
1973 n. 16 � posteriore al d.P.R. 5 giugno 1965 n. 758 il cui art. 6 richiedeva 
almeno un anno di iscrizione nella nuova cassa; e ci� per fugare ogni 
dubbio che possa indurre a ritenere di carattere innovativo la disposizione dell'art. 
118 del nuovo testo unico sulle pensioni (d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092) 
che, come detto, si � limitato a ripetere il tenore del citato art. 6. 

GIUSEPPE STIPO 



732 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Per decidere se il ricorso sia o meno fondato, � chiaramente indispensabile 
esaminare, in una luce critica retrospettiva ma anche proiettata 
nella pi� immediata attualit�, e senza tralasciare nulla di quanto di 
obiettivamente significante siasi verificato nel decennio trascorso, le ragioni 
della decisione Tundo. 


Ebbene: un esame il pi� possibile approfondito induce il Collegio alla 
conclusione che, quelle ragioni convincenti, anche se fino a un certo punto, 
allora, lo sono anzimeno oggi, in cui, sopratutto, non appaiono pi� rispondenti 
alle istanze che il legislatore mostra di aver gi� accolto o d'essere 
sulla via d'accogliere. 

Naturalmente, � appena il caso di accennare che i cambiamenti di 
giurisprudenza, quand'anche rampollino da ripensamenti totali -e questo 
non � il caso -sono comunque il segno d'una realt� sempre viva, 
sempre tesa nello sforzo di attualizzarsi in sintonia con gli impulsi sollecitatori 
che promanano da due fonti, in particolare: l'evoluzione legislativa 
e la quotidiana realt� operativa, fra le quali, non � chi non veda i @ 
nessi di tipo eziologico. 

~ 

Sgombra la mente da ogni pregiudizio, v� cos�, ammesso de plano ~ 
che l'art. 3 della legge 523 contiene s� una sorta di rinvio recettizio sostan


~ 

@

ziale alla normativa della C.P.D.E.L., in caso di ricongiunzione con pre


~ 

gresso servizio statale, e ci� proprio allo scopo d'individuare Ja normativa [

@

alla stregua della quale la liquidazione complessiva debba essere effettuata. @ 
Questo rinvio �, pi� che utile, necessario per determinare l'onere �:: 

r

contabile definitivo della pensione; non per� (ed � questo un limite imporf!
i 
tantissimo), per la ripartizione fra Stato ed Ente, che per l'art. 5, primo , ' 

'

l

comma, cit., legge 523, avviene secondo quote proporzionali aUa durata 

I ~ 

dei rispettivi servizi. 
Ora, se si cominciano a porre a confronto queste due norme (l'art. 3 

ID

e l'art. 5, primo comma, della legge 523), si comincia anche a percepire 
una sorta di convinzione ancora embrionale, alla stregua della quale, 
l'espressione � misura � dell'art. 3, e la portata stessa del rinvio, siano 
da intendere in senso stretto, specifico, limitato agli elementi essenziali 
della liquidazione, quali Ja retribuzione pensionabile da valorizzare, aliquote 
da applicare, ecc. 

Si comincia, cio�, a percepire l'idea che il rinvio all'ordinamento 
della C.P.D.E.L. non sia affatto integrale, e che, in ogni caso, non possa 
involgere l'applicazione d'una norma cos� fortemente caratterizzata come 
l'art. l, quarto comma, della legge 965. 10 

~=' 

Comunque, se c'� il rinvio, c'� anche la fictio, o viceversa: e dice 
bene la decisione Tundo quando osserva che, se la liquidazione della Il 
pensione avviene, per usare espressione volutamente generica, con i para


lii 

metri dell'Ente locale, � � come se � fosse stata 
zione alla C.P.D.E.L. anche per i servizi statali. 

sempre coperta d'iscrifo'


i:: 

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!41PL#JIJ;il�llfli�JIJl!IJlll1'llfl&�;ffflla1nt_,lǥt 


PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA, 

Della finzione giuridica individuata, a suo tempo, dalla decisione Tundo, 
il Collegio ha evidenziato, finora, la finalit� sostanziale: quella realizzata 
dal � rinvio � dell'art. 3 della legge 523, sia pure con tutti i limiti finora 
soltanto ipotizzati. 

Ma altre finalit� vi sono, di natura pi� propriamente procedurale. 
S'intende, puramente e semplicemente, semplificare le operazioni, il 
che � possibile solo se la funzione esiste e, nei suoi limiti, funziona. 

� evidente, infatti, che proprio perch� � possibile considerare il dipendente, 
per la pregressa parte dei servizi statali, iscritto alla C.P.D.E.L., 
si pu� fare una liquidazione sola, anzich� due. Liquida tutto la C.P.D.E.L., 
secondo la propria normativa di base; e non avviene (che sarebbe una 
specie di colmo dell'impraticit�) che liquidi prima lo Stato, per la sua 
quota, secondo una normativa che gli � estranea; e provveda poi, a parte, 
la Cassa per la propria. Ad unica liquidazione, segue unico pagamento: 
l'onere � posto intanto a carico della C.P.D.E.L. proprio come se il dipendente 
avesse sempre prestato servizio con iscrizione a quel regime previdenziale. 


� questo, s'� visto, l'argomento pro fictio tratto dall'art. 7 della 
legge 523. 

Ma, si sa bene, l'incidenza dell'onere � soltanto provvisoria. Lo stesso 
art. 7 contiene un fondamentale inciso salva la rivalsa di cui all'art. 6, 
rivalsa che avviene poi secondo le modalit� gi� viste riferendo il primo 
comma dell'art. 5. 

L'art. 5, primo comma, parlando di ripartizione secondo le durate 
dei �rispettivi servizi�, non pu� che riferirsi ai servizi cosi come, nella 
realt� effettuale, sono stati di fatto prestati, altrimenti quel �rispettivi� 
se il servizio si dovesse considerare unico non avrebbe alcun senso. 

E qui la fictio non � pi� sostenibile: qui � il suo limite invalicabile; 
laddove, per poter valere ai fini dell'applicazione d'una norma quale 
l'art. l, quarto comma, della legge 965, cosi, strettamente sintonizzata 
con le finalit� esclusive, generali o particolari della C.P.D.E.L., il presupposto 
della �continuazione d'iscrizione o della reiscrizione, dovrebbe, forse, 
sussistere realmente, o almeno presentarsi senza limiti di sorta nella 
finzione giuridica che consenta, in astratto, di ritenerlo sussistente. 

In verit�, dalla stessa decisione Tundo, traspaiono preoccupazioni certamente 
comprensibili, ma che devono arrestarsi di fronte a precise 
volont� contrarie del legislatore. 

La preoccupazione fondamentale � quella d'un'eccessiva incidenza della 
pensione C.P.D.E.L. (pochi anni di servizio) sullo Stato (servizio per intere 
carriere); n� c'� motivo alcuno di dubitare che questi timori trovassero 
riscontro negli stessi lavori parlamentari della legge 523. 

Sta di fatto, per�, che il legislatore cosi volle e cosi continua a volere: 
vedansi l'art. 114, terzo comma, e 118 dell'attuale t.u. Il 114 dice: �il 
trattamento di quiescenza, sia per il ,diritto che per la misura ... viene 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

734 

disciplinato secondo le norme che lo regolano presso l'ente al quale il 
ricorrente presta servizio all'atto della definitiva cessazione�; e il 118: 
� in tutti i casi di ricongiunzione dei servizi, ai fini della liquidazione 

o riliquidazione spettante sulla base dei servizi ricongiunti, non possono 
essere considerati stipendi posti a base della liquidazione del precedente 
trattamento se non sia trascorso almeno un anno intero nel nuovo rapporto
�. 
Ora, questi strumenti normativi, la Sezione li possedeva quando 
emise la decisione Tundo (si ripete che l'art. 118 non � che la trascrizione 
dell'art. 6 del d.P.R. 758), ma non poteva, ovviamente, possedere, la preziosa 
esperienza operativa che sarebbe germinata dalla concreta applicazione 
della decisione, alla quale, se non sono mancati i consensi, non 
hanno fatto certo nemmeno difetto le perplessit�; ma soprattutto non 
poteva prevedere quale sarebbe stata la linea di sviluppo della normativa 
futura. 

-In quest'ultimo (e pi� importante) ordine di idee, non appaia fuori 
luogo citare proprio la legge 16 del 1973 per valersene a sostegno della 
fondatezza del ricorso. 

Questa legge ha un chiaro effetto incentivante dei passaggi alle Regioni 
(quelli, ovviamente, che pi� premevano al legislatore), e non pare 
affatto azzardato affermare che si sia sentito il bisogno di sancire proprio 
con una legge, massimo atto d'espressione della volont� autoritativa dello 
Stato, una situazione di sicurezza, al posto dell'incertezza dominante sulle 
pi� disperate interpretazioni deila decisione Tundo. 

Ma questa legge appare rivestire un carattere fondamentale, perch� 
per �a prima volta guarda con manifesto sfavore (escludendone addirittura 
l'applicazione, sia pure per una sola categoria), l'art. 4, primo comma, in 
s� e per s� considerato. 

Si � gi� visto, come l'art. 29 della legge 153 del 1981 sia intervenuto, di 
recente, a modificare, in maniera abbastanza incisiva con l'ablazione della 
parte b), la norma ora detta; � cio� chiaro, incontrovertibile segno che il 
legislatore odierno non vede pi� con il favore d'una volta una norma che, 
per valide che siano le ragioni, che ne videro il sorgere, ha indubbiamente 
finito per costituire una lesione al principio della pensione da 
liquidarsi sulla retribuzione ultima integralmente percepita. Principio, � 
vero, ampiamente .negletto, ignorato, disatteso, da tante leggi; ma che, 
nell'invocata riforma pensionistica, dovrebbe essere fissato come cardine 
intangibile ad uno dei primi posti d'una normativa, pi� agile, meno dispersiva 
e pi� giusta. 

Per le ragioni svolte fin qui, il Collegio ritiene pienamente fondato 
il ricorso del dr. Pasqualino Messale. (omissis) 

$. 

i: 
....,,.,.....,~ 



SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2454 -Pres. Miele Est. 
Battimelli -P. M. Benanti (conf.)-Ministero delle finanze (avv. Stato 
Laporta) c. Scandinavian Motor Boats s.r.l. (avv. Ferri e Scalzo). 

Tributi erariali indiretti -Dogana -Accordo G.A.T.T. � Principio di parit� 
fiscale tra prodotti nazionali e prodotti importati -Imbarcazioni 
da diporto � Prima vendita -Esenzione dall'I.G.E. � Assoggettamento 
ad imposta dei natanti importati � Illegittimit�. 

(I. 5 aprile 1950, n. 295; 1. 21 luglio 1965, n. 939, art. 4). 
Tributi erariali indiretti -Dogana � Diritti doganali -Rimborso -Disciplina 
di cui all'art. 19 D.L. 30 settembre 1982, n. 688 -Applicabilit� 
all'I.G.E. all'importazione � Esclusione. 

(d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19; I. 19 giugno 1940, n. 762, art. 17). 
L'art. III del G.A.T.T., inteso ad assicurare un'equivalenza complessiva 
degli oneri fiscali rispettivamente gravanti, per imposizioni interne, sul 
prodotto nazionale e su quello importato, non consente di aver riguardo 
agli scopi della norma agevolativa del prodotto nazionale n� alla natura 
giuridica degli atti agevolati nel corso del ciclo produttivo di questo, 
quando -comunque -all'esenzione fiscale conseguano pi� favorevoli condizioni 
per l'immissione del prodotto finito sul mercato. Ancorch�, quindi, 
accordata ai soli atti di prima vendita di imbarcazioni da diporto costruite 
da cantieri nazionali, l'esenzione dall'I.G.E. prevista dall'art. 4 legge 21 luglio 
1965, n. 939 (e diretta, in definitiva, a favorire la stipula di contratti 
di appalto per lo sviluppo della cantieristica) ha comportato, in applicazione 
dell'art. III dell'Accordo generale, che identico alleggerimento fiscale 
andasse operato nei confronti dei natanti importati, da ritenere perci� 
non assoggettabili, dallo stesso momento, alla corrispondente imposta di 
cui all'art. 17 legge organica I.G.E. (1). 

(1) La sentenza fa applicazione del principio, pi� volte affermato, secondo 
cui la parit� fiscale che l'art. III G.A.T.T. ha stabilito doversi rispettare, quanto 
ad imposizioni �interne�, fra prodotto importato e prodotto nazionale va 
intesa in senso globale (cfr. Cass., S.U., 4 gennaio 1975, n. 2, in Rass. Avv. 
Stato 1975, I, 82; Cass., S.U., 8 giugno 1972, n. 1773, in Foro it. 1972, I, 1963); ma 
non tiene conto, bench� dallo svolgimento del processo non risulti essersi 
formata alcuna preclusione in punto di giurisdizione, dell'ordinanza 21 luglio 
1981 (in Rass. Avv. Stato 1981, I, 484) con la quale le Sezioni Unite avevano 
richiesto alla' Corte di giustizia C.E.E. di pronunciarsi, in via pregiudiziale ed 
in considerazione dell'avvenuta � comunitarizzazione � dell'Accordo generale, 
sulla idoneit� delle norme G.A.T.T. ad attribuire diritti soggettivi ai cittadini 
degli Stati membri della Comunit�. 

736 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'I.G.E. all'importazione, istituita dall'art. 17 legge 19 giugno 1940 n. 762 
in funzione perequativa dell'imposta gravante sugli atti economici relativi 
ai beni di produzione nazionale, non aveva natura di dazio doganale 
sebbene riscossa in occasione dell'importazione del prodotto estero; non 
� pertanto applicabile a tale tributo la speciale disciplina dettata, dal1'
art. 19 d.l. 30 settembre 1982, n. 688, per il rimborso dei �diritti doganali
� indeb'itamente corrisposti (2). 

(omissis) Il ricorso � infondato. 

Ed invero, l'unico argomento addotto dall'Amministrazione ricorrente 
contro la sentenza impugnata attiene sostanzialmente ad una interpretazione 
complessiva della legge 21 luglio 1965, n. 939, la quale avrebbe come 
unico scopo di agevolare le imprese nazionali di costruzioni navali, prevedendo 
a favore di queste benefici di carattere esclusivamente soggettivo, 
intesi a ridurre il costo di costruzione delle navi introducendo facilitazioni 
tributarie analoghe a quelle vigenti a favore delle costru.zioni 
navali in altri paesi. 

Tale argomento peraltro non � valido a risolvere la questione qui 
dibattuta in senso contrario a quello della decisione impugnata: anzitutto 
va osservato che la ricerca della ratio legis non costituisce se non un criterio 
sussidiario di interpretazione, in presenza di norme di dubbio contenuto, 
ma non pu� valere a disattendere la portata della norma qualora 

(2) I.G.E. all'importazione e restituzione di diritti doganali. '-L'affermata 
inapplicabllit� dell'art. 19 D.L. 30 settembre 1982, n. 688 al rimborso della c.d. 
� I.G.E. all'importazione� � affidata, nella sentenza in rassegna, a due rilievi: 
l'esclusione dell'imposta dal novero dei � diritti doganali>>, ai quali -come 
pure alle imposte di fabbricazione, alle imposte di consumo e ai diritti erariali 
-si riferisce la norma nel dettare una speciale disciplina della restituzione 
d'indebito; e l'espressa sottrazione del rimborso I.V.A. alla sfera d'applicazione 
dell'art. 19 cit. 
L'art. 7 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424 e -ora -l'art. 34 

d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 considerano i �diritti doganali� (che la Dogana 
� tenuta a riscuotere in relazione alle operazioni doganali) come un pi� ampio 
genus, del quale costituiscono una species i �diritti di confine � che a loro 
volta comprendono non solo i dazi ed i prelievi ma, altres�, i diritti di monopolio, 
le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo 
riscossa, all'importazione, a favore dello Stato. 
Certamente, ora, l'imposta di cui all'art. 17 legge 19 giugno 1940 n. 762 
non era un tributo doganale, essendo stata istituita in corrispondenza e con 
funzione perequativa di una imposta interna -1'1.G.E. -cos� da rimanere 
soggetta, ad es., alla disciplina dettata per le imposizioni interne dall'art. III 

G.A.T.T. e non gi� a quella� deline�ta dall'art. II dello stesso Accordo per i 
prelievi fiscali gravanti esclusivamente sui prodotti importati (senza trovare 
corrispondenza in una parallela imposizione su quelli nazionali). In tal senso 
vanno intese quelle pronunce della Corte Suprema che, intorno agli anni 1970, 
ebbero ad occuparsi del problema della classificazione del tributo de quo, 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 737 

questa, sia pure contro le intenzioni del legislatore, abbia un inequivocabile 
significato; inoltre, il ragionamento dell'Amministrazione ricorrente 
porta comunque alla conclusione che l'intera legge, nel suo complesso, � 
intesa a ridurre il costo di costruzione delle imbarcazioni e, quindi, a 
permettere la loro immissione in commercio ad un prezzo competitivo 
nei confronti dei. prodotti delle industrie non nazionali: e ci� appunto, 
ove venga realizzato anche a mezzo di manovre fiscali, incorre senza 
dubbio nella normativa dell'art. III dell'accordo G.A.T.T., che vieta ai 
paesi aderenti di proteggere la produzione nazionale con qualsiasi mezzo 
(tasse e imposizioni interne, leggi regolamenti e prescrizioni riguardanti 
la vendita, la messa in vendita, l'acquisto, il trasporto, la distribuzione 

o l'utilizzazione dei prodotti sul mercato interno, che, applicati ai prodotti 
importati o nazionali, si risolvano in una discriminazione dei primi 
a vantaggio dei secondi). � 
In altre parole, ci� che rileva non � tanto la natura o lo scopo delle 
varie norme disciplinanti l'immissione nel mercato delle merci quanto il 
risultato obiettivo che con esse si consegue; e questa Corte ha avuto gi� 
occasione di affermare (ved. sent. n. 1317 del 1� marzo 1979) che, al fine 
dell'applicazione del principio della parit� tributaria fra prodotti nazionali 
e prodotti importati -introdotto nell'ordinamento nazionale in esecu


trovandosi invero specificato in pi� d'una di dette sentenze che � tale imposta 
non �... imposta doganale, ma rientra tra i diritti doganali, cio� tra quei diritti 
che colpiscono le merci importate per finalit� diverse � (nel caso, per finalit� 
perequative dell'imposta gravante sugli atti economici aventi ad oggetto prodotti 
nazionali scambiati nel territorio dello Stato: cfr., tra le altre, Cass., S.U., 
27 giugno 1%9, n. 2309, in Giust. civ. 1969, I, 1180; Cass., S.U., 2 luglio 1969, 

n. 2779, in Giust. it. 1970, I, 1, 33). Pu� ben essere accaduto che, nella massimazione 
di queste o altre sentenze, l'esclusione dell'i.g.e. all'importazione dal 
novero delle imposte doganali sia stata tradotta in esclusione della stessa dalla 
categoria dei � diritti doganali �; ma � chiaro tuttavia che nella formulazione 
di tali massime la espressione � diritti doganali � dovrebbe considerarsi 
adottata in maniera atecnica ed impropria (e cio� come sinonimo di imposte 
doganali) essendo, invero, inequivoco il pensiero della Corte quale desumibile 
dal surriferito brano di motivazione nel quale � addirittura esplicita la qualificazione 
dell'i.g.e. all'importazione come � diritto doganale � (intesa, stavolta, 
l'espressione nel suo significato tecnico e aderente alla definizione legislativa). 
Orbene, non essendo pensabile che la sentenza in rassegna sia stata, per 
cos� dire, � tradita � dalla ipotizzata massimazione impropria dei precedenti 
verosimilmente tenuti presenti e dovendo, allo stesso tempo, escludersi che la 
Corte abbia inteso � rivedere � il proprio orientamento sulla natura dell'i.g.e. 
all'importazione (mancando, nella motivazione, ogni elemento capace di avvalorare 
una siffatta lettura della pronuncia), deve piuttosto ritenersi che la 
Corte abbia considerato atecnica l'accezione dell'espressione � diritti doganali � 
figurante nello stesso art. 19, del quale si trattava di fare applicazione; in 
altri termini, � assai pi� plausibile che la conclusione raggiunta dalla Corte 
si fondi sulla (inespressa) premessa che, nel corpo della norma presa in esame, 
la riferita espressione debba assumersi come sinonimo di imposte doganali. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

zione dell'accordo G.A.T.T. -, il parametro di riferimento per la determinazione 
del trattamento tributario del prodotto importato � costituito 
dal costo fiscale complessivo del prodotto nazionale, in conseguenza del 
regime tributario cui quest'ultimo � sottoposto nelle fasi di produzione, 
lavorazione ed immissione sul mercato: e non vi � dubbio che, anche 
a non tener conto delle agevolazioni di cui gode l'industria nazionale 
per effetto della normativa dell'art. 1 della legge n. 939 del 1965 (agevolazioni 
che si ripercuotono favorevolmente sul costo finale e quindi sul 
prezzo del prodotto), senza dubbio nel costo fiscale non rientrava, all'epoca, 
l'I.G.E. relativa al passaggio dal produttore all'acquirente (non importa 
se detto passaggio avvenisse all'esito di un appalto o di una vendita, data 
l'ampia previsione dell'art. III dell'accordo G.A.T.T., che prevede, fra l'altro, 
anche genericamente l'� acquisto�). Il prodotto nazionale, pertanto, non 
scontando l'I.G.E., veniva senza dubbio ad essere agevolato nei confronti 
dell'analogo prodotto straniero, che invece, ove avesse scontato la stessa 
imposta, a sensi dell'art. 17 della legge 19 giugno 1940, n. 762, avrebbe 
sub�to un aggravio di costi e conseguentemente sarebbe stato discriminato. 
E ci� basta per riconoscere esente da censura la sentenza impugnata. 

La suddetta decisione, inoltre, non appare suscettibile di riforma per 
effetto dello ius superveniens costituito dall'entrata in vigore, successivamente 
alla proposizione del ricorso, del d.L 30 settembre 1982, n. 688. 
Nel corso della discussione, invero, le parti hanno sollevato Ja questione 

� significativa, in tal senso, la cura posta dalla decisione nel sottolineare come 
tanto la legge n. 762/1940 quanto la legge n. 939/1965 avessero tenuto distinta 
l'I.G.E. all'importazione dai � dazi doganali�. 

Cos� ricostruita la ratio decidendi della sentenza in rassegna, sembrerebbe 

giustificata qualche riserva in ordine all'interpretazione dell'art. 19 D.L. 

n. 688/1982 sottesa, nel senso ora accennato, all'affermata inapplicabilit� della 
norma alla restituzione del tributo de quo. 
Intanto, salvo il caso -qui non ricorrente -di inequivoci dati positivi 
in senso contrario, dovrebbe sempre presumersi un uso tecnico ed appropriato 
della terminologia giuridica da parte del legislatore, specialmente quando ai 
termini adottati corrispondano istituti o categorie giuridiche puntualmente 
definiti in altra norma dell'ordinamento. Per altro verso, anche a non volersi 
attenere a tale canone ermeneutico, identica conclusione circa l'uso della espressione 
�diritti doganali� nella sua accezione tecnica avrebbe potuto raggiungersi 
considerando che l'art. 19 in esame ha riguardo anche alle imposte di 
fabbricazione, alle imposte di consumo e ai diritti erariali, cio� ad imposte 
interne corrispondentemente alle quali risultano 'istituite, in funzione perequativa, 
altrettanti tributi (per lo pi� definiti come sovrimposte di confine) gravanti 
sull'importazione del prodotto estero. 

Sembra agevole, allora, osservare che ove lo speciale (e pi� rigoroso) 
regime della restituzione d'indebito fosse stato dettato solo per le citate imposte 
interne (e per i dazi doganali propriamente detti, secondo l'interpretazione 
offerta dalla Corte) ne sarebbe rimasta gravemente alterata, a discapito 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 739 

relativa all'incidenza che potrebbe avere, rispetto alla fattispecie in esame, 
l'art. 19 del suddetto decreto, che, al primo comma, stabilisce che chi 
ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, anche anteriormente 
alla data di entrata in vigore del decreto stesso, ha diritto 
al rimborso delle somme pagate solo se prova documentalmente che il 
relativo onere non sia stJato in alcun modo trasferito su altri soggetti. 

Questa disposizione, infatti, non � applicabile al caso di specie, in 
quanto essa attiene unicamente alla restituzione di � diritti doganali� e 
non pu� essere, per la sua eccezionalit� estesa ad ipotesi diverse. Il tributo 
della cui restituzione qui si discute non � un diritto doganale, ma 
� l'imposta generale sull'entrata, che, sia pure applicata alle merci estere 
importate, conserva tale sua natura; ci� si evince anzitutto dal chiaro 
disposto del primo comma dell'art. 17 della legge n. 762 del 1940 ed � 
confermato dal fatto che il successivo art. 18 della stessa legge chiaramente 
distingue, con una dettagliata disciplina, detto tributo dai dazi 
doganali, dal fatto che l'art. 1 della legge n. 939 del 1965, legge della cui 
applicazione qui si controverte, ugualmente distingue l'imposta di cui 
all'art. 17 dai dazi doganali, e, soprattutto, dal fatto che lo stesso art. 19 
del decreto n. 688/1982, al quarto comma, espressamente prevede che i 
rimborsi delle somme pagate per imposta sul valore aggiunto (tributo 
questo sostitutivo dell'I.G.E.) rimangono regolati unicamente dalle disposizioni 
concernenti detta imposta. (omissis) 

dei produttori nazionali, l'uniformit� di trattamento perseguita con l'istituzione, 
sul prodotto importato, di imposte corrispondenti (a quelle gravanti 
sul prodotto nazionale) giacch�, in caso d'indebito pagamento dei tributi, solo 
gli importatori avrebbero potuto continuare a giovarsi della (pi� favorevole) 
disciplina di diritto comune delineata nell'art. 2033 cod. civ.; e tanto, malgrado 
che il fenomeno della traslazione dell'imposta di consumo fosse riscontrabile 
nella commercializzazione cos� del prodotto nazionale come di quello importato. 
Si tratta di una conseguenza sicuramente aberrante, tale -da sola da 
indurre l'interprete a riflettere sul significato dell'espressione diritti doganali, 
che, una volta intesa -invece -nel suo significato tecnico, consente di 
ritenere soggetta all'art. 19 non solo la restituzione dei dazi doganali propriamente 
detti (che, in quanto tali, non sono, oltre tutto, espressamente contemplati 
dalla norma), ma l'intera categoria dei �diritti di confine� inclusiva 
delle sottospecie � dazi d'importazione � e � sovrimposte di confine � e compresa, 
appunto, fra i � diritti doganali � ai quali si riferisce la disposizione. 

Quanto all'altro argomento sul quale si fonda la decisione in rassegna, 

sembra qui sufficiente osservare che la ragione per la quale la restituzione 

dell'I.V.A. � stata espressamente esclusa del nuovo regime va ravvisata nelle 

particolarit� proprie di tale tributo (e segnatamente nella � trasparenza� del


l'imposta durante le successive fasi di commercializzazione del bene, e quindi 

nella inconfigurabilit� di quella traslazione soltanto economica -od occulta 


dell'onere fiscale che sta invece alla base della disposizione di cui all'art. 19 

pi� volte citato). 

SERGIO LAPORTA 



740 RASSEGNA DEll'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2486 -Pres. Brancaccio Est. 
Caturani -P. M. Paolucci (conf.) -Ministero delle finanze (avv. 
Stato Braguglia) c. S.r.l. Rama (n.c.). 

Tributi erariali indiretti -Dogana -Diritti di prelievo � Importazioni anteriori 
all'11 settembre 1976 � Aliquota applicabile � '.� quella in vigore 
il giorno dell'importazione � Sopravviv.enza di aliquota inferiore 
prima dello sdoganamento � Irrilevanza. 

(d.P.R. 26 giugno 1965, n. 723, art. 6; d.P.R. 22 settembre 1978, n. 695). 
Tributi erariali indiretti -Dogana � Diritti di prelievo � Rinuncia al recupero 
del maggior prelievo non riscosso � Importazioni anteriori al �� 
1� luglio 1980 -Esclusione. 

(Reg. CEE 24 luglio 1979, n. 1697). 

L'art. 6 n. 2 delle disposizioni preliminari della tariffa doganale, come 
modificato .con d.P.R. 22 settembre 1978 n. 695, non presuppone per le importazioni 
anteriori all'JJ settembre 1976 una norma interna di senso 
opposto, e cio� comportante l'applicabilit� del pi� favorevole prelievo agricolo 
comunitario sopravvenuto nelle more del rilascio della merce alla 
libera disponibilit� dell'importatore. Le importazioni anteriori alla predetta 
data restano, pertanto, disciplinate dall'art. 17 del Reg. CEE n. 19 
del 4 aprile 1962 che, secondo l'interpretazione vincolante della Corte di 
giustizia, esclude l'applicabilit� delle aliquote pi� favorevoli sopravvenute 
dopo l'accettazione della dichiarazione d'importazione (1). 

Il divieto di recupero o la facolt� di rinunciare al recupero dei maggiori 
prelievi non riscossi non sono operanti per le importazioni anteriori 
al 1� luglio 1980, alla stregua dell'interpretazione del Reg. CEE n. 1697 
del 24 luglio 1979 resa dalla Corte di giustizia. 

(omissis) Con unico motivo l'Amministrazione ricorrente, denunziando 
violazione dell'art. 17 n. 1 del regolamento del Consiglio CEE 4 aprile 1962 

n. 19 e dell'art. 5 del regolamento del Consiglio CEE 5 febbraio 1964 
n. 14 (art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ.), assume che la Corte d'appello 
avrebbe dovuto riconoscere la infondatezza dell'opposizione anche relati(
1) Il S.C. conferma l'interpretazione, armonizzatrice del diritto interno 
con la normativa comunitaria, di cui alla precedente Cass. 25 maggio 1982, 
n. 3177, citata in motivazione (cfr. in Foro it. 1982, I, 1872 ed ivi ulteriori 
richiami, anche di dottrina). 
In precedenza, da alcuni giudici di merito era stata sollevata questione di 
legittimit� costituzionale, tuttora pendente, sul rilievo che gli artt. 1 e 3 d.P.R. 

n. 695/1978 consentissero di fare riferimento, per le importazioni anteriori 
all'll settembre 1976, ad un prelievo diverso da quello vigente il giorno deli 
l'importazione (in tal senso, ad es., v. Trib. Genova, ordinanza 30 aprile .1979, 
in G. U. 28 novembre 1979, n. 325 nonch� in Giur. cast. 1979, II, 1802). 
11 

1� 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

vamente alla ingiunzione di lire 709.500 perch� in base alla normativa 
comunitaria per � giorno della importazione � deve intendersi quello in 
cui l'uffi.cio doganale accetta la dichiarazione di importazione e quindi 
nella specie andavano applicati i maggiori prelievi vigenti a detta data. 

Il ricorso � fondato . nei termini che sono precisati dalle seguenti 
considerazioni. 

Come questa Corte ha gi� avuto occasione di statuire (sent. 25 maggio 
1982 n. 3177, e per il principio secondo cui l'aliquota applicabile � 
quella del giorno dell'importazione: sent. 5 febbraio 1979 n. 748; 25 gennaio 
1979 �n. 562; 2 novembre 1978 n. 4980) il d.P.R. 22 settembre 1978 

n. 695, modificando l'art. 6 n. 2 delle disposizioni preliminari della tariffa 
doganale approvata con d.P.R. 26 giugno 1965 n. 723, stabilisce l'applicabilit� 
ai prelievi agricoli comunitari del principio fissato dal diritto 
interno per i dazi, circa la possibilit� per l'importatore di beneficiare di 
tariffe pi� favorevoli sopravvenute prima che la merce venga lasciata 
nella sua libera disponibilit� con effetto retroattivo a partire dall'll settembre 
1976 (artt. 1 e 3), ma non detta implicitamente n� presuppone 
una norma interna di senso opposto per le importazioni anteriori. Pertanto, 
i diritti di prelievo, con riguardo ad importazioni antecedenti all'indicata 
data (come quella che ne occupa nel presente giudizio), restano disciplinati 
dall'art. 17 del regolamento CEE n. 19 del 4 aprile 1962, secondo 
la interpretazione vincolante resa dalla Corte di Giustizia della Comunit� 
il 15 giugno 1976 in causa n. 117/75, con la conseguenza che l'aliquota del 
prelievo sull'importazione � sempre quella in vigore il giorno dell'importazione 
stessa, cio� il giorno in cui la dichiarazione d'importazione viene 
accettata dagli uffici doganali, mentre resta irrilevante l'eventuale intervento 
di tariffe pi� favorevoli prima del giorno dello sdoganamento. 
Da quanto precede discende che � erronea la sentenza impugnata allorch� 
-con riferimento alla pretesa di lire 709.500, cui esclusivamente si 
riferisce Ja doglianza dell'amministrazione in questa sede -ha ritenuto 
applicabile l'aliquota pi� favorevole per il contribuente vigente alla data 
dello sdoganamento, secondo una interpretazione del diritto comunitario 
che diverge dalla interpretazione vincolante per il diritto interno cui 
innanzi si � fatto riferimento. 

D'altra parte, il regolamento CEE n. 1697 del 24 luglio 1979 il quale, 
con riguardo al recupero a posteriori di dazi <percepiti in misura inferiore 
al dovuto, contempla alcune fattispecie in cui le autorit� competenti non 
possono agire per il recupero medesimo ovvero hanno facolt� di rinunciarvi, 
non � invocabile, alla stregua dell'interpretazione resa dalla Corte 
di Giustizia della Comunit� con sentenza 12 novembre 1981 (il cui indirizzo 
� stato qui confermato dalla sentenza 9 dicembre 1982) con riguardo 
ad importazioni od esportazioni effettuate anteriormente al 1� luglio 1980, 
ancorch� sia pendente controversia sulla legittimit� della pretesa del maggior 
tributo (sent. 25 maggio 1982 n. 3177 cit.). (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 aprile 1983, n. 2626 -Pres. Brancaccio 


Est. Ricciardelli -P. M. La Valva (conf.) Marasca (avv. Piccarozzi) c. 

Ministero delle Finanze (avv. Stato Vittoria). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di successione -Deduzione di passivit� 
-Inventario di eredit� beneficiata -Insufficienza. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, art. 45). 
Seppure ai fini delle dimostrazioni delle passivit� deducibili dall'asse 
ereditario l'elencazione dei mezzi di prova contenuta nell'art. 45 del r.d. 
30 dicembre 1923 n. 3270 non � rigorosamente tassativa s� che possono 
ritenersi validi altri mezzi di dimostrazione creati in procedure caratterizzate 
dalla partecipazione dei creditori e dal controllo del giudice, tuttavia 
non pu� ritenersi idoneo allo scopo l'inventario della eredit� beneficiata 
che descrive la situazione risultante dalle carte e dalle note del defunto, 
ma non accerta la reale esistenza delle passivit� (1). 

(omissis) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione 
degli artt. 45-56 e 70 del 'r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270, con riferimento 
agli artt. 484 e seguenti del codice civile, perch� nella determinazione della 
base imponibile non si sarebbe tenuto conto delle passivit� risultanti 
dall'inventario dell'eredit� beneficiata, pur essendo, quest'atto, preordinato 
all'accertamento della situazione patrimoniale, e perci�, come tale, 
idoneo a determinare gli effetti previsti dall'art. 45 del d.l. n. 3270 del 1923. 

Con il secondo motivo deducono la violazione dell'art. 48 del citato 
decreto n. 3270 perch� sarebbe erronea l'affermazione che l'alligazione del 
verbale d'inventario alla denuncia di successione non equivale alla esibizione 
dei titoli giustificativi dei debiti. 

Le censure postulano, entrambe, la risposta al quesito circa il valore 
probatorio dell'inventario dell'eredit� beneficiata nel rapporto tributario 
dipendente dall'applicazione dell'imposta di successione; esse possono essere, 
perci�, congiuntamente esaminate. 

Giova, tuttavia, precisare, ai fini di una esatta impostazione del problema, 
che il richiamo alla norma riguardante il termine di presentazione 
della denunzia per le successioni beneficiate (art. 56) non � perti


(1) Decisione da condividere pienamente. � di tutta evidenza la differenza 
tra un mero inventario descrittivo, sia pure redatto da un pubblico ufficiale, 
e un procedimento di accertamento e liquidazione di passivit� quale il concordato 
preventivo o il fallimento o anche lo stato di graduazione nella procedura 
di liquidazione dell'eredit� beneficiata; riguardo a quest'ultimo si � 
precisato che lo stato di graduazione � opponibile alla finanza anche se eseguito 
senza l'osservanza dell'art. 45 del r.d. n. 3270 del 1923, potendo l'Amministra� 
zione, far accertare attraverso il reclamo l'insussistenza dei debiti riconosciuti 
(Cass. 19 marzo 1979, n. 1587, in questa Rassegna, 1979, I, 535). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

nente, in quanto non � in discussione la tempestivit� dell'atto; n� � pertinente 
il richiamo all'art. 70 della legge, perch� .l'Amministrazione finanziaria 
non-nega la validit� e quindi gli effetti del beneficio. 

Ci� posto, nell'affrontare �l'indagine, va subito rilevato che il principio 
enunciato dalla decisione impugnata, secondo cui la prova delle passivit� 
deducibili dall'asse ereditario ai fini dell'imposta di successione, nel vigore 
del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270, dev'essere data solamente in uno dei 
modi stabiliti dall'art. 45 del citato decreto, senza la possibilit� di fare 
ricovso ad accertamenti sostitutivi, non pu� essere condiv�so. 

g da escludersi, infatti, che la norma in esame abbia p~evisto una 
elencazione tassativa dei mezzi idonei a provare l'esistenza dei debiti ereditari 
deducibili, perch� un'interpretazi�ne in questo senso del testo legislativo 
contrasta con la lettera e la ratio della disposizione la quale ha 
inteso invece fissare il principio che in tema di deduzione del passivo 
dall'asse ereditario, nel rapporto t.ributario, fa prova dell'esistenza dei 
debiti certi e liquidi, anteriori all'apertura della successione, perch� sia 
evitato il pericolo di facili evasioni, deve essere rigorosamente precosti~ 
tuita ovvero risultare da un accertamento giudiziale che offra la medesima 
garanzia di certezza. 

Del resto, in questi sensi la giurisprudenza di questo Supremo Collegio 
� stata pressoch� uniforme; ed, infatti, sono stati ritenuti validamente 
provati, e quindi deducibili, i debiti risultanti da una sentenza 
omologativa di concordato preventivo anteriore all'apertura della succes� 
sione, la quale presuppone il controllo e fa verifica dello stato passivo in 
contraddittorio degli interessati (Cass. n. 695 del 1972); sono stati �altres� 
considerati efficacemente provati i debiti risultanti dallo stato passivo nel 
fallimento post mortem, rispetto all'attivo residuato all'erede dopo la 
chiusura del fallimento, anche se, in relazione alle questioni dibattute nelle 
singole fattispecie, le motivazioni sono diverse, evidenziando, alcune, l'effettiva 
ricchezza trasferita (n. 560 del 1961) altre, lo stato di separazione 
dei patrimoni prodotto dal fallimento, (n. 2292 del 1960) altre ancora,. 
l'analogia con ;l'evizione e lo spoglio sofferti dall'erede e previsto dall'art. 9 
della legge sull'imposta di successione non pi� in vigore (n. 1101 del 1975); 
� stato infine giudicato utile, sempre ai fini della deducibilit�, lo stato di 
graduazione nella procedura di liquidazione dell'eredit� beneficiata (n. 2490 
del 1971 e 1587 del 1979). 

Com'� facile rilevare, in tutti questi casi per cos� dire anomali, in 
quanto non rientrati nella previsione dell'art. 45 della legge, l'elemento 
determinante che spiega la soluzione interpretativa adottata � costituito 
appunto dalla considerazione che l'iniziativa e la partecipazione dei creditori 
nelle procedure indicate ed il controllo del giudice sull'accertamento 
del passivo sono garanzie pi� che sufficienti contro eventuali manovre 
dirette a ridurre fraudolentemente la massa attivit� ereditaria e quindi 
la base imponibile del tributo. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Se dunque, in linea di principio, � possibile provare i debiti ereditari 
deducibili dall'asse, con mezzi diversi da quelli preveduti .�l.all'art. 45 
della legge, nondimeno tra questi mezzi non pu� essere annoverato l'inventario 
dell'eredit� beneficiata, �proprio perch� l'attivit� diretta alla formazione 
dell'inventario ha carattere meramente descrittivo della situazione 
patrimoniale quale risulta dalle carte e dalle note del defunto, e prescinde 
dall'accertamento rigoroso delle passivit�. 

In altri termini, ai fini dell'.imposta di successione, o i debiti inventariati 
sono documentabili in uno dei modi previsti dall'art. 45 della 
legge -e, in particolare, per i debiti di commercio, dai libri contabili, 
regolarmente tenuti, dal debitore defunto -ed allora sono deducibili, 
oppure risultano da semplici annotazioni del debitore (art. 775 n. 5 cod. 
proc. civ.) che, come tali, sono prive di efficacia probatoria ai fini fiscali, 
ed in tal caso le passivit� non sono deducibili proprio perch� manca la 
verifica della loro esistenza. 

In proposito i ricorrenti obiettano che la procedura per la formazione 
dell'inventario prevede la partecipazione attiva di un pubblico ufficiale, 
sicch� per questa via, risulterebbe garantito il controllo delle emergenze 
documentali; il rilievo, tuttavia non ha pregio, perch� la presenza del 
pubblico ufficiale prova la verit� degli atti da lui compiuti e quindi delle 
carte, scritture e note da lui reperite, ma non la rispondenza alla realt� 
fattuale delle risultanze delle scritture: donde la irrilevanza, a questo fine, 
della vidimazione delle carte da parte del pubblico ufficiale che ha proceduto 
all'inventario. 

Diversa invece sarebbe la situazione se la formazione dell'inventario 

fosse seguita dalla procedura di liquidazione dell'eredit�, perch� in questo 

caso le passivit� sarebbero comprovate dallo stato di graduazione definitivo 

che, una volta pubblicato, � opponibile anche all'amministrazione finan


ziaria, cui incombe l'onere della iniziativa di controllo delle operazioni 

compiute, anche se non � creditrice dell'eredit�, ma quale interessata 

all'accertamento delle passivit�. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 aprile 1983, n. 2631 -Pres. Miele Est. 
Corda -P. M. Cantagalli (conf.) Massacesi (avv. Occionero) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Corti). 

Tributi in genere -Accertamento tributario -Notificazioni. Irreperibilit� 
del destinatario nel domicilio fiscale -Ipotesi diverse. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 38; cod. proc. civ. artt. 139 e 140). 
Premesso che in base all'art. 38 del t.u. delle imposte dirette la notifica 
dell'accertamento va eseguita nel domicilio fiscale del soggetto passivo, 
quando nel detto domicilio non � possibile una ordinaria notifica mediante 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 745 

consegna a mani proprie o di una delle persone indicate nell'art. 139 
cod. proc. civ. pu� verificarsi una delle seguenti ipotesi: se il destinatario 
ha abitazione ufficio o azienda nel domicilio fiscale conosciuto la notificazione 
va eseguita a norma dell'art. 140 cod. proc. civ.; se il destinatario 
ha cambiato abitazione ufficio e azienda nell'ambito dello stesso comune 
devono essere eseguite ricerche anagrafiche per procedere alla notifica nel 
nuovo recapito e solo se le ricerche abbiano dato esito negativo potr� 
provvedersi a norma dell'art. 140; se il destinatario ha trasferito l'abitazione 
l'ufficio o l'azienda in comune diverso da quello del domicilio fiscale 
e non ne ha dato comunicazione all'Ufficio tributario, la notifica va eseguita 
mediante deposito nella casa comunale e affissione nell'albo comunale, 
senza necessit� di spedizione di avviso per raccomandata (1). 

(omissis) La censura del ricorrente principale deve, tuttavia, essere 
respinta, in quanto infondata. 

In primo luogo va osservato che non � pertinente l'assunto del ricorrente, 
secondo cui sarebbe erronea' l'affermazione che l'effettuazione delle 
ricerche anagrafiche (da parte dell'Ufficio fiscale) dovrebbe ritenersi 
implicita nel fatto che 1a notifica fu eseguita ai sensi dell'art. 140 cod. 
proc. civ. Un'atfermazione siffatta, che pure, � riscontrabile nella sentenza 
di primo grado, non si rinviene, invero, nella sentenza impugnata in 
questa sede. 

Per quanto, poi, attiene all'altro assunto -secondo cui la notifica 
sarebbe irregolare perch� l'Ufficio, pur avendo conoscenza del fatto ch'esso 
contribuente aveva trasferito la propria residenza in un altro Comune, 

(1) Sul tormentato tema delle notificazioni degli atti del procedimento 
tributario non si arriva ancora a fare chiarezza. Ora si deve sottolineare l'affermazione 
che, vi sia stato cambiamento del domicilio per un diverso comune e 
non ne sia stata data comunicazione all'ufficio tributario, la notifica va eseguita 
nel comune di domicilio fiscale considerando il destinatario irreperibile (art. 38 
lettera f t.u. sulle imposte dirette, ora art. 60 lettera e d.P.R. n. 600/1973). 
� questo un punto molto importante sia quanto all'inesistenza del dovere dell'ufficio 
di inseguire il contribuente, sia quanto all'onere del soggetto, passivo 
di comunicare le variazioni di domicilio (in senso conforme da ultimo 
Cass. 16 giugno 1980, n. 3824 in questa Rassegna, 1981, I, 369, in senso contrario 
18 luglio 1979, n. 4297, ivi 1979, I, 770). 
� invece del tutto priva di base normativa, bench� frequentemente ripetuta, 
l'affermazione che nel caso di variazione del domicilio fiscale nell'ambito 
del comune l'ufficio abbia l'onere di rintracciare il destinatario attraverso ricerche 
anagrafiche, o addirittura altre ricerche ancora (Cass. 29 marzo 1983, 

n. 2237, ivi 1983, I, 533); questa ipotesi non � mai considerata in nessuna norma 
separatamente dal cambiamento di domicilio verso comune diverso; ed � evidente 
che se sussiste l'onere di comunicazione le variazioni di domicilio fiscale 
questo vale indifferentemente per ogni variazione, mentre se per la difficolt� di 
rintracciare il destinatario non trovabile nel domicilio fiscale si ammette la 
notifica a persona irreperibile, questo vale allo stesso modo per qualunque 
spostamento dentro o fuori del comune. 

746 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DE~LO STATO 
aveva omesso l'effettuazione delle ricerche anagrafiche -� da chiarire, 
746 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DE~LO STATO 
aveva omesso l'effettuazione delle ricerche anagrafiche -� da chiarire, 
anzitutto, che la notifica predetta fu effettuata non gi� ai sensi dell'art. 140 
cod. proc. civ., bens� ai sensi dell'art. 38, lettera f), del t.u. del 1958. 

Il detto art. 38, dopo avere prescritto che le notificazioni si eseguono 
secondo le norme degli artt. 137 e seguenti cod. proc. civ., stabilisce (per 
quanto, qui, interessa rilevare): 

1) che la notificazione va eseguita nel Comune di domicilio fiscale 
del contribuente (lettera e); 

2) che quando nel Comune nel quale deve eseguirsi la notificazione 
non vi � n� abitazione, n� ufficio, n� azienda del contribuente, l'avviso di 
deposito prescritto dall'art. 140 cod. proc. civ. si affigge nell'albo del Comune 
(e la notificazione si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo). 
Dal complesso di tali disposizioni si desume la sussistenza dei possibili 
tre casi seguenti: 

a) Il contribuente ha abitazione (o ufficio, o azienda) nel Comune 
di domicilio fiscale, ma non viene rinvenuto dal messo notificante (perch� 
temporaneamente assente): in tal caso, se non vengono rinvenute persone 
abili1late a ricevere l'atto (art. 139 cod. proc. civ.), la notificazione 
dovr� essere effettuata ai sensi dell'art. 140 del detto codice di rito e, quindi, 
mediante: 1) deposito dell'atto nella ca~a comunale; 2) affissione, nella 
porta dell'abitazione (o ufficio o azienda) dell'avviso di deposito; 3) spedizione 
della raccomandata con avviso di ricevimento. La regolarit�t di tale 
notifica non �, ovviamente, legata alla previa effettuazione di alcuna ricerca 
anagrafica, in quanto la ricerca del contribuente e l'affissione dell'atto sono 
state fatte proprio nell'abitazione (o ufficio o azienda) del contribuente 
predetto, e proprio a tale indirizzo � stata spedita la raccomandata con 
avviso di ricevimento. In questo caso, cio�, non occorre alcuna � ricerca 
anagrafica�, poich� la stessa sarebbe diretta ad accertare quanto gi� si 
conosce; 

b) Il contribuente ha cambiato abitazione (o ufficio, o azienda), 

nell'ambito, per�, dello stesso Comune del domicilio fiscale: in tal caso, 

la notificazione eseguita ai sensi dell'art. 140 potr� essere ritenuta valida 

solo se vi sia stata una previa effettuazione delle ricerche anagrafiche e 

queste abbiano dato esito negativo (ch�, in caso contrario, la notificazione 

dovr� essere eseguita nel nuovo recapito risultante, appunto, dalle ri


cerche); 

e) Il contribuente ha trasferito la propria abitazione (o ufficio, o 

azienda) in un Comune diverso da quello ov'� il domicilio fiscale, senza, 

per�, darne comunicazione all'Ufficio tributario: questo �, proprio, il caso 

della �irreperibilit�� del contribuente contemplata dall'art. 38, lettera f), 

del t.u., il quale prescrive che la notificazione sia eseguita mediante depo


sito dell'atto nella casa com'unale e mediante affissione, nell'albo comu


nale. Non �, invece, prescritta la spedizione di alcuna raccomandata, poich� 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

ci� � escluso dalla lettera c) dell'articolo citato, che ha resistito alla dichiarazione 
di incostituzionalit� (Corte Cost., 26 giugno 1974 n. 189) nella 
parte in cui prevede l'omissione della raccomandata predetta se il contribuente 
non ha, nel Comune di domicilio fiscale, n� abitazione, n� ufficio, 
n� azienda. Per l'effettuazione di tale notifica non occorre l'esperimento 
di alcuna ricerca anagrafica, se non ai fini dell'iaccertamento del fatto che 
il contribuente si � trasferito in un altro Comune: non � richiesto, cio�, 
l'accertamento del nuovo recapito, perch� la notificazione (salvo il caso 
dell'esecuzione della notifica �a mani proprie�) deve essere eseguita nel 
Comune del domicilio fiscale, con le modalit� sopra riferite. 

Ora, nel caso concreto, l'Ufficio aveva fatto eseguire la notifica dell'avviso 
di accertamento dell'imponibile proprio con le modalit� prescritte 
dalla lettera f) dell'art. 38, evidentemente perch� sapeva che il contribuente 
aveva trasferito in un altro comune la propria residenza; e il 
ricorrente -dopo avere premesso che il trasferimento da Camerino (Comune 
del domicilio fiscale) a Termoli era avvenuto da epoca precedente 
alla notifica -si duole che la sentenza impugnata non abbia fatto carico 
all'Ufficio della mancata effettuazione delle ricerche anagrafiche. Ma � 
chiaro che la proposizione di una siffatta doglianza non giova �ai ricorrente, 
per l'evidente ragione che, una volta accertato il trasferimento a un 
altro Comune (senza, peraltro, che ne fosse stata fatta comunicazione 
all'Ufficio), la notifica non avrebbe potuto essere effettuata se non con le 
modalit� di fatto eseguite. Il ricorrente, cio�, sostiene che l'atto avrebbe 
dovuto essergli notificato nel luogo della nuova residenza; ma siffatta 
pretesa non ha fondamento neHa legge, la quale -come si � detto prescrive 
che, in presenza di tale fattispecie, la notifica avvenga mediante 
deposito dell'atto nella Casa Comunale e med1ante affissione, nell'albo 
comunale, dell'avviso di deposito. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 aprile 1983, n. 2633 -Pres. Brancaccio Est. 
Virgilio -P. M. Valente (diff.) Siccardi (avv. Aversa) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Angelini-Rota). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Dichiarazione di simulazione 
assoluta di atto di trasferimento -Imposta sul ritrasferimento 


t: dovuta con riferimento al valore del tempo del ritrasferimento. 
(d.P.R. 26 �ttobre 1972, n. 634, artt. 19 e 36).
� 

In base all'art. 19 della vigente legge di registro, sostanzialmente coincidente 
con l'art. 8 deUa legge abrogata, l'imposta di registro va applicata 
secondo l'intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto; conseguente1;11ente 
a seguito della dichiarazione della ,simulazione, assoluta o relativa, di un 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

748 

atto di trasferimento si opera un ritrasferimento a sua volta soggetto 
all'imposta, da commisurare al valore dei beni al momento del ritrasferimento 
(1). 

(omissis) Con il primo motivo i ricorrenti deducono che a norma 
dell'art. 19 della nuova legge di registro (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634) 
le imposte sono applicate secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici 
degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda 
il titolo o la forma apparente; la norma indica perci� quale interpretazione 
deve essere data agli atti, ai fini dell'applicazione dell'imposta, e 
pone in evidenza la necessit� di aver riguardo agli effetti giuridici degli 
atti stessi. 

Da questa premessa deriva la conseguenza, secondo la tesi dei ricorrenti, 
che non � pi� possibile sostenere, come era avvenuto da parte della 
giurisprudenza nel vigore dell'art. 8 della legge di registro abrogata 

(r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269), che la sentenza dichiarativa della simulazione 
assoluta di un trasferimento debba essere assoggettata all'imposta 
di registro sotto il profilo di un ulteriore trasferimento (o ritrasferimento) 
del bene dal simulato acquirente al simulato alienante. 
Una tale interpretazione non sarebbe pi� compatibile con la formulazione 
dell'art. 19 della nuova legge di registro, in quanto il chiaro riferimento 
agli effetti giuridici degli atti, e non soltanto ai loro effetti (secondo 
il testo del corrispondente art. 8 della legge abrogata), renderebbe palese 
che non sarebbe concepibile colpire con imposta un trasferimento (simulato 
in modo assoluto), il quale �non produce effetto tra le parti�, come 
dispone l'art. 1414 del codice civile. 

Concludono i ricorrenti che, pur essendo esclusa la possibilit� di 
chiedere la restituzione dell'imposta pagata in sede di registrazione dell'atto 
simulato, perch� vi osta la norma di cui all'art. 36 della nuova 
legge di registro, non pu� tuttavia dubitarsi che non � dovuta l'imposta 
sul ritrasferimento del bene insito nella sentenza dichiarativa della simulazione 
assoluta. 

Le argomentazioni esposte dai ricorrenti sono senza dubbio suggestive, 
ma non possono essere condivise. 
Nel vigore della legge di registro abrogata la giurisprudenza di questa 
Corte suprema, anche recentemente confermata (21 novembre 1981 

n. 6228-6 gennaio 1979 n. 53), era consolidata nel senso che la sentenza 
dichiarativa della simulazione, tanto assoluta quanto relativa, di un contratto 
con effetti reali, costitutivo o traslativo di diritti, � soggetta al 
pagamento di una imposta di registro (cosiddetta �tassa di titolo�) po(
1) Decisione molto importante che ricollega la vigente legge di registro 
alla copiosa elaborazione della legislazione abrogata su un punto cardine 
della normativa. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

nendo in essere, ai fini tributari, un � ritrasferimento � del bene costituente 
oggetto del precedente contratto simulato. 

Si � anche ritenuto che la imposta proporzionale di registro sul ritrasferimento 
dell'immobile, in conseguenza della sentenza dichiarativa della 
simulazione del negozio traslativo, non � compresa tra le imposte giudiziarie 
che gravano sulla sentenza, ma colpisce il negozio che necessariamente 
deve presumersi intervenuto al fine di operare il nuovo trasferimento. 


� stato precisato con la citata sent. n. 53 del 1979, sul piano della 
spiegazione logico-giuridica del fenomeno tributario, che allo stesso modo 
in cui l'atto simulato aveva a suo tempo prodotto gli effetti del trasferimento, 
con assoggettamento alla relativa imposta, cos� egualmente la 
sentenza dichiarativa della simulazione produce l'effetto di un nuovo 
trasferimento e diventa di per s� il titolo tassabile perch� produttivo 
degli effetti potenziali tipici dell'atto. 

Ci� premesso con riferimento alla elaborazione giurisprudenziale sulla 
interpretazione della legge di registro abrogata, occorre stabilire se la 
formulazione, avanti riportata, dell'art. 19 del d.P.R. n. 634 del 1972 sia 
effettivamente tale da autorizzare l'opposta interpretazione. 

Va innanzitutto sottolineato che il testo delle due norme (art. 8 della 
legge del 1923 e 19 della legge vigente) � sostanzialmente identico perch� 
entrambe le disposizioni fanno riferimento alla �intrinseca natura e agli 
effetti � degli atti da assoggettare a registrazione. 

A questi elementi essenziali, costituenti il fulcro dei dati di valutazione 
offerti all'interprete per l'applicazione dell'imposta, deve perci� aversi 
riguardo, sia in base alla normativa abrogata, sia in base a quella vigente. 

La circostanza che in quest'ultima, e precisamente nell'art. 19, si faccia 
riferimento agli effetti giuridici degli atti (l'aggiunta di tale termine costituisce 
la sola modificazione introdotta nella norma) non sposta i termini 
del problema. 

Gi� nel vigore della legge di registro abrogata era stato pi� volte 

precisato (da ultimo, Cass., 13 marzo 1980 n. 1691) che l'imposta doveva 

essere applicata secondo la natura e il contenuto dell'atto, desumibile 

esclusivamente dalle sue clausole, prescindendo dalla corrispondenza fra 

le dichiarazioni e la volont� dei dichiaranti e dallo scopo pratico da essi 

perseguito, per cui le indagini dell'ufficio finanziario dovevano essere cir


coscritte alla intrinseca natura e agli effetti dell'atto, cos� come risulta


vano dall'oggettiva struttura delle sue clausole unitariamente considerate 

secondo quanto da esse manifestato, senza che potessero avere rilevanza 

motivi di nullit�, salvo casi particolari, essendo sufficiente e necessario, 

ai fini dell'applicazione della imposta nella misura e secondo le regole 

corrispondenti, che fosse stato voluto '1'atto con le ,pattuizioni e le clau


sole in esso indicate, mentre restava irrilevante, ai fini tributari, che 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fossero stati effettivamente voluti i rispettivi obblighi ed effetti normal


mente derivanti dall'atto stesso. 

Questo sistema ermeneutico � rimasto sicuramente invariato anche 

nella nuova legge di registro. 

L'esclusivo riferimento, ai fini dell'imposta, all'oggettiva idoneit� del


l'atto a produrre determinati effetti, ancorch� non voluti dalle parti, costi. 
tuisce un principio-base in tema di applicazione dell'imposta di registro 
(cfr. Cass., 7 marzo 1978 n. 1123) .in quanto � chiaramente correlato 
11ll'altro principio, egualmente fondamentale, secondo cui il tributo di 
registro si caratterizza come imposta d'atto, volta cio� a colpire il contenuto 
negoziale oggettivo dell'atto presentato alla registrazione, indipendentemente 
dalla verit� e dalle vicende del rapporto sostanziale dal punto 


di vista strettamente privat.istico. 

In tale prospettiva, l'aggiunta del termine � giuridici � nel testo del


l'art. 19 del d.P.R. n. 634 del 1972, rispetto al testo del corrispondente 

art. 8 della legge di registro abrogata, assume il significato di una mera 

precisazione concettuale perch� ribadisce che soltanto gli effetti di carat


tere giuridico, che obiettivamente l'atto si rivela idoneo a produrre, sono 

rilevanti ai fini dell'applicazione dell'imposta. 

Si � inteso in sostanza chiarire -anche in relazione alle questioni 

dibatfote in passato circa il significato da attribuire alla espressione 

� effetti degli atti � -che tali effetti devono essere considerati sotto il 

profilo giuridico (e non soltanto sotto il profilo economico, patrimoniale, 

ecc.), perch� esclusivamente agli effetti giuridici deve aversi riguardo per 

individuare la fattispecie tributaria e la relativa imposta. 

In definitiva, pertanto, il legislatore ha reso testualmente esplicito il 

connotato ermeneutico che gi� aveva trovato ..nella giurisprudenza delinea


tasi sotto il vigore della precedente disciplina una chiara e costante appli


cazione. 

Una puntuale conferma dell'esattezza di questa conclusione risulta 

proprio dalla nuova normativa, e precisamente dall'art. 36, primo e se


condo comma. 

� stato, infatti, stabilito il criterio generale della irrilevanza della 

nullit� o dell'annullabilit� dell'atto ai fini dell'imposta, in quanto tali vizi 

non dispensano dall'obbligo di chiedere la registrazione e di pagare il 

relativo tributo. 

Nel secondo comma � prevista una sola deroga a tale principio, 

perch� la possibilit� di chiedere la restituzione dell'imposta assolta � 

limitata al caso di atto �dichiarato nullo o annullato� per causa non 

imputabile alle parti. 

Dunque, al di fuori di questo specifico caso, per ogni altra ipotesi 

di atto oggettivamente idoneo a produrre determinati effetti giuridici 

resta .confermato il criterio della sua assoggettabilit� all'imposta corri


spondente a quegli effetti. 


PARTE I, SEZ. VI; GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono che, in ogni caso, l'imposta 
sulla retrocessione, contenuta. nella sentenza dichiarativa della simulazione, 
avrebbe dovuto essere rapportata al valore del bene alla data del 
primo trasferimento dichiarato improduttivo di effetti, e non gi� con riferimento 
al valore accertato al momento della sentenza. 

Neppure questa censura � fondata. 
Essa si rivela innanzitutto inconcil.iabile <:on la accertata inconsistenza 
delle ragioni addotte a sostegno del primo motivo. 

Ritenuto, infatti, che nessun sostanziale mutamento esiste tra la legge 
di registro abrogata e quella :in vigore, sul punto in discussione, � evidente 
che, come per il passato, la valutazione del bene, ai fini dell'applicazione 
dell'imposta, deve seguitare a effettuarsi con riferimento alla data in cui 
sorge il titolo giuridico che opera la retrocessione del bene dal simulato 
acquirente al simulato alienante. 

Tale data � sicuramente quella della sentenza dichiarativa della simulazione, 
la quale opera il ritrasferimento del bene all'originario proprietario 
e costituisce dunque il titolo necessario per procurarne la reintestazione 
al detto proprietario. 

In quel momento e da quel momento si verificano perci� gli effetti 
giuridici della sentenza (compreso in essi H ritrasferimento del bene), 
sicch� esattamente la Commissione centrale tributaria ha ritenuto che 
l'imponibile dovesse essere stabilito in relazione all'epoca di assoggettamento 
della sentenza a registrazione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2644 -Pres. Brancaccio Est. 
Sensale -P. M. Grimaldi (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Sailimei) c. Banca Cuneese (Lamberti e Meinartli). 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Aziende 
ed istituti di credito -Quote di reddito destinate a riserva -Aliquota 
ridotta -Condizioni e limiti. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 90; r.d.l. 7 settembre 1926, n. 1511, art. 3; cod. civ. 
art. 2428). 
Poich� nella disciplina dell'art. 90 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e dell'art. 
3 del r.d.l. 7 settenzbre 1926, n. 1511, la riduzione a met� dell'aliquota 
relativa all'imposta di ricchezza mobile � prevista per il solo fatto che 
gli utili delle aziende e degli istituti di credito siano destinati a riserva 
legale e statutaria, restano escluse dalla riduzione le riserve facoltative 
deliberate discrezionalmente senza criteri vincolanti di predeterminazione 
e di intangibilit�. � da considerare riserva facoltat�va quella deliberata 
in forza di disposizione statutaria che prevede, oltre all'accontanamento 


752 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di utili in misura determinata, ulteriori accantonamenti in misura da determinare 
di volta in volta dall'assemblea (1). 

(omissis) Con .J'unico motivo del ricorso l'Amministrazione delle Finanze 
denuncia la violazione degli artt. 90 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, 
2424 e 2428 cod. civ. e 3 del r.d.l. 7 settembre 1926 n. 1511, nonch� il vizio 
d'insufficienza e contraddittoriet� della motivazione, censurando la decisione 
impugnata per avere non solo accolto -in tesi -un'errata nozione 
di riserva legale, comprensiva degli utili accantonati oltre il limite annuale 
previsto dall'art. 2428 cod. civ. fino a quando� non abbiano raggiunto un 
quinto del capitale sociale, ma qualificato -in ipotesi -riserva statutaria 
gli utili accantonati, con deliberazione ordinaria dell'assemblea, oltre il 
limite previsto dallo statuto (ci�, in base all'erroneo presupposto che 
possa qualificarsi riserva statutaria non solo quella determinata dallo 
statuto in eccedenza ai limiti di legge, ma anche quella dallo stesso 
prevista, con attribuzione agli organi legali del potere di quantificarne 
via via l'aliquota); e per avere, conseguentemente, ritenuto applicabile a 
tali utili l'aliquota ridotta alla met�, ai fini dell'imposta di R.M. cat. B, 
prevista dall'art. 90 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645. 

Il ricorso � fondato. 

L'art. 2428 cod. civ. stabilisce che dagli utili netti annuali dev'essere 
detratta una somma corrispondente almeno alla ventesima parte di essi 
per costituire il fondo di riserva fino a che questo non abbia raggiunto un 
quinto del capitale sociale; e l'art. 3 del r.d.l. 7 settembre 1926 n. 1511 
fa obbligo agli enti esercenti il credito e alle ditte bancarie in genere 
di prelevare annualmente non meno di un decimo. degli utili da destinare 
a riserva ordinaria, sino a che questa abbia raggiunto il 40 % del capitale. 

Ora, posto che l'art. 90 del t.u. 645/58 concedere la riduzione alla 
met� dell'aliquota sulle quote di reddito (cio� sugli utili, come testualmente 
recita l'art. 3 del decreto 1511/26) delle aziende ed istituti di credito 
per il solo fatto della loro destinazione a riserva legale o statutaria, 
indipendentemente dalla loro idoneit� a raggiungere, oppure no, la quota 
di capitale sociale indicata negli artt. 2428 cod. civ. o 3 del decreto 1511/26, 
la distinzione tra riserva legale, riserve statutarie e riserve facoltative 
(e pi� precisamente tra utili accantonati a titolo di riserva legale, di riserve 
statutarie o di riserve facoltative) deve operarsi, ai fini previsti dalla citata 
norma tributaria, con riguardo al loro fondamento obbligatorio. 

Sotto tale profilo '1e riserve si distinguono in legali, statutarie e facoltative, 
secondo che siano imposte dalla legge o dallo statuto ovvero siano 

(1) Decisione da condividere pienamente e di molto interesse per la definizione 
dei caratteri della riserva facoltativa. Il principio enunciato pu� essere 
integralmente trasportato al vigente beneficio di esenzione dall'ILOR previsto 
dall'art. 21 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

deliberate daWassemblea dei soci; e, mentre la riserva legale e quelle 
statutarie sono obbligatorie (queste ultime fino a quando non intervenga 
una modifica dello statuto), le riserve deliberate dall'assemblea sono �facoltative
�, nel senso che gli accantonamenti di utili a tale titolo sono 
rimessi alla discrezionale volont� dell'assemblea. 

In conseguenza, la riserva legale � soggetta alla speciale disciplina 
dettata dall'art. 2428 cod. civ., e segue lo stesso regime del capitale, 
potendo essere distribuita ai soci solo in caso di scioglimento della societ� 

o di riduzione del capitale esuberante; e la riserva statutaria pu� essere 
distribuita solo a seguito di una modifica statutaria. Per contro, le riserve 
facoltative sono costituite da utili che, come possono essere accantonati 
con deliberazione dell'assemblea, cos� possono essere distribuiti con analoga 
successiva deliberazione. 
Il carattere che accomuna gli accantonamenti eseguiti a titolo di 
riserva legale a quelli destinati a riserva statutaria � dato dal fatto 
che entrambi perseguono lo scopo di potenziare la consistenza patrimoniale 
della societ� (ond'� necessario che anche le riserve statutarie 
abbiano requisiti di predeterminazione e d'intangibilit�), mentre le riserve 
facoltative conservano un carattere di assoluta disponibilit�, anche se la 
determinazione degli accantonamenti a titolo di riserva facoltativa sia 
rimessa all'assemblea, oltre la quota da accantonare a titolo di riserva 
statutaria per tassativa disposizione dello statuto. 

Nel caso concreto, in virt� della clausola statutaria il cui contenuto 
� riportato nella decisione impugnata, dall'utile netto di bilancio si sarebbe 
dovuto, in ogni caso, prelevare un .importo non inferiore al 10 % 
dell'utile stesso, da destinarsi a riserva legale ai sensi e sotto i vincoli di 
cui all'art. 2428 cod. civ., mentre ogni accantonamento superiore al 
10 % annuo sarebbe rimasto affidato alla determinazione discrezionale 
dell'assemblea, che ne avrebbe via via quantificato l'aliquota. 

Al riguardo, esattamente rileva l'Amministrazione che -contraria-' 
mente a quanto ha ritenuto la decisione impugnata -si � in presenza di 
accantonamenti manifestamente facoltativi, in quanto eccedenti la riserva 
statutaria e rimessi alle determinazioni dell'assemblea. 

In conseguenza, l'agevolazione prevista dall'art. 90 del citato t.u. -che 
� correlata ai caratteri di predeterminazione e d'intangibilit� comuni agli 
accantonamenti destinati a riserva legale o statutaria e la cui ragione 
d'essere viene meno in relazione alla disponibilit� delle riserve facoltative 
-nella ipotesi esaminata dalla Commissione tributaria centrale 
non spetta. 

Pertanto, in accoglimento del ricorso proposto dall'Amministrazione 
delle Finanze, la decisione impugnata dev'essere cassata con rinvio alla 
Commissione tributaria centrale per nuovo esame alla stregua dei principi 
sopra enunciati, che possono cos� riassumersi: nella disciplina del


l'art. 90 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 e dell'art. 3 del r.d.l. 7 settem



. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

bre 1926 n. 1511, la riduzione alla met� dell'aliquota relativa all'imposta 
di R.M. � prevista per il solo fatto che gli utili delle aziende e degli 
istituti di credito sono destinati a riserva legale o statutaria, indipendentemente 
dalla loro idoneit� a raggiungere, oppure no, la quota di 
capitale indicata nell'art. 2428 cod. civ. e nell'art. 3 del decreto 1511/26, 
essendo correlata al carattere di predeterminazione e d'intangibilit� proprio 
degli accantonamenti destinati a riserva legale o statutaria e venendo 
meno la sua ragion d'essere in relazione alla disponibilit� delle riserve 
facoltative. Quando -in virt� di una clausola statutaria che preveda 
tassativamente l'accantonamento di utili in misura determinata -sia 
nello stesso tempo rimesso all'assemblea dei soci di deliberare� ulteriori 
accantonamenti in base ad aliquote determinate di volta in volta dalla 
stessa assemblea, questi ultimi costituiscono riserve facoltative e non 
godono, quindi, della riduzione suddetta. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2646 -Pres. Granata Est. 
Sensale -P. M. La Valva (conf.) Soc. Assicurazioni Generali (avv. 
Cantucci) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Soggetti 
passivi -Eredit� giacente o vacante -Organizzazione di beni non 
avente personalit� giuridica -Esclusione � Accettazione -Acquisto 
della qualit� di soggetto passivo con effetto retroattivo. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 8). 
L'art. 8 del t.u. sulle imposte dirette nell'indicare i soggetti passivi 
del rapporto tributario, dopo aver enumerato tutti i mot;l.elli soggettivi 
del diritto comune, fa menzione di altre organizzazioni di persone e di 
beni non aventi personalit� giuridica con l'intento di estendere la sogget� 
tivit� tributaria a centri di imputazione di situazioni giuridiche non comprensibili 
negli schemi tradizionali; conseguentemente l'eredit� giacente o 
vacante, che � una figura tipica del diritto comune non pu� essere ricompresa 
fra tali organizzazioni. Nell'eredit� giacente o vacante soggetto passivo 
dell'imposta � colui, pur indeterminato medio tempore, che assumer� 
la titolarit� dell'eredit� a seguito dell'accettazione con effetto retroattivo 
(1). 

(1) Decisione di molto interesse. La soggettivit� passiva tributaria di 
entit� non personificabile secondo il diritto comune � stata ripetutamente 
ammessa soprattutto in relazione ad accordi temporanei creati per operazioni 
di speculazione {Cass. 22 luglio 1980, n. 4784; 14 gennaio 1982, n. 231; 30 marzo 
1983, n. 2301, in questa Rassegna, 1981, I, 391; 1982, I, 577; 1983, I, 545). 
Annotando queste sentenze si era rilevato che l'eccezionale strumento 
delle �altre� organizzazioni di persone e di beni non appariva appropriato 

i: 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 755 

(omissis) Il problema di fondo della controversia resta, dunque, quello 
concernente la decorrenza del termine, sostenendosi dalla ricorrente che 
l'eredit� giacente o vacante, a seconda che vi sia, oppur no, un curatore, 
costituisce una organizzazione di beni ai sensi dell'art. 8 del t.u. 645/58, 
soggetta alla ritenuta del 30 % ai sensi dell'art. 10 della legge 1745/62 
e successive modifiche, e che, pertanto, il dovere dell'Amministrazione di 
procedere all'accertamento sussisteva sin da quando si era determinata la 
situazione di giacenza o vacanza dell'eredit�, con l'ulteriore conseguenza, 
ai fini della decorrenza del termine, della irrilevanza della data dell'accetta~ 
zione dell'eredit� da parte del <<Patrimonio della Sede Apostolica�. 

A sostegno della sua tesi, Ia ricorrente invoca una non recente giurisprudenza, 
mentre l'Amministrazione, con il conforto di una decisione 
di questa Corte (la n. 5509/80), sostiene che l'eredit� giacente (o vacante) 
non potrebbe essere considerata organizzazione di beni, in quanto non 
finalizzata alla produzione di redditi. 

I richiami giurisprudenziali contenuti nel ricorso non sono decisivi, 
poich� rigu�rdano genericamente ipotesi di patrimoni o di complessi di 
beni percettori di redditi (sent. 559/47 e 3341/54), con un fugace accenno 
all'eredit� giacente in una elencazione meramente esemplificativa (sent. 
2517/51), senz'alcun rilievo di strumentale necessit� nella. economia della 
decisione. Neppure risolutivo � pertanto, il richiamo, da parte dell'Amministrazione, 
alla sentenza n. 5509/80 ed all'accento che essa pone sulla finalizzazione 
della organizzazione alla produzione dei redditi, poich� essa 
riguardava una organizzazione di persone e verteva in tema di intento 
speculativo che, nella realizzazione di una plusvalenza, si attribuiva a tale 
organizzazione. 

Che l'eredit� vacante (tal � l'ipotesi che ricorre nel caso) possa configurarsi 
come organizzazione di beni nel senso di cui all'art. 8 del t.u. 
645/58 deve escludersi per altre assorbenti ragioni. 

Tale norma, nella indicazione dei soggetti passivi del rapporto tributario, 
esaurisce nella prima parte del suo primo comma tutte le situazioni, 
desunte dal diritto comune, in cui, nel superamento della tradizionale 
contrapposizione tra persone fisiche e persone giuridiche, si sono individuati, 
come autonomi centri d'imputazione di situazioni giuridiche 

per situazioni non infrequenti di unioni di persone riconducibili piuttosto alla 

societ� eventualmente occasionale. E per l'appunto la sentenza ora intervenuta 

acutamente osserva che la specialissima creazione di una soggettivit� esclu


sivamente tributaria non pu� consistere nella ripetizione di un istituto gi� 

presente nei modelli del diritto comune. 

Per escludere la qualificazione dell'eredit� giacente o vacante come una 

organizzazione anomala pu� soccorrere ancora la considerazione che queste 

indeterminate aggregazioni sono pur sempre assimilate nell'art. 8 del t.u. 

delle imposte dirette ai soggetti tassabili in base a bilancio e oggi (art. 2 

lett. b, d.P.R. n. 598/1973) alle persone giuridiche. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

756 

soggettive, altri organismi collettivi o gruppi organizzati, facendo, c10e, 
riferimento a tutti i modelli soggettivi, che si rinvengono nel diritto comune 
e nella elaborazione che tali figure giuridiche sono andate via via 
ricevendo. � evidente, quindi, che la seconda parte della norma, introdotta 
con le parole � sono inoltre soggetti passivi �, non si riferisce ai soggetti 
gi� indicati nella prima parte e non li include nella sua previsione, 
ma crea degli ulteriori centri d'imputazione, di redditi, spingendo oltre, 
ai fini fiscali, quel processo di soggettivazione, gi� intrnpreso nell'ambito 
del diritto privato, di autonomi centri d'imputazione di situazioni giuridiche 
non comprensibili negli schemi tradizionali delle persone fisiche 
e delle persone giuridiche. 

Ci� deve ritenersi non soltanto in base al testo normativo, che non 
consente di ricondurre le �altre organizzazioni di persone o di beni� 
negli schemi gi� latamente menzionati nella prima parte della norma, ma 
anche considerando l'intento perseguito dal legislatore tributario, chiaramente 
volto ad impedire che forme di attivit� produttive di reddito, non 
riferibili ai soggetti indicati nella prima parte, sfuggano all'imposizione 
tributaria. 

La portata generica della norma, pur dopo l'ampia elencazione contenuta 
nella sua prima parte, nell'intento di chiudere il sistema normativo 
in materia, e l'irreperibilit� nel diritto privato di altri modelli soggettivi 
corrispondenti all'ipotesi prevista nella seconda parte del primo 
comma dell'art. 8 inducono a ritenere che, con tale norma, si sia voluta 
delineare una figura soggettiva propria ed esclusiva del diritto tributario, 
non raffrontabile a nessuna delle figure indicate nella prima parte della 
norma, comprendente -nella gi� indicata ratio della norma -quelle 
aggregazioni di attivit� non altrimenti imputabili a individuati o individuabili 
soggetti passivi d'imposta. 

Nella lettera e nella ratio della norma occorre, dunque, che, in relazione 
ad una organizzazione di beni od a un'attivit� produttiva di reddito, 
non emerga un diverso soggetto che s'individui come figura esponenziale 
di queHa organizzazione o di quella attivit� e venga, quindi, in 
luce come reale destinatario del precetto tributario e soggetto passivo della 
relativa obbligazione. E, affinch� tale situazione possa considerarsi realizzata, 
deve coerentemente ritenersi che l'organizzazione suscettibile di 
assumere la veste di soggetto passivo d'imposta abbia una connaturale 
idoneit� a durare per un tempo indeterminato e che tale suscettibilit� 
non abbia un complesso di beni e di attivit�, temporaneamente privo di 
titolare e considerato in sostituzione di questo per il breve periodo di 
tempo in cui egli -che potenzialmente esiste e deve essere soltanto individuato 
-non assuma connotati precisi e definitivi. 

In tali situazioni il destinatario del precetto tributario e vero soggetto 
passivo d'imposta � pur sempre, anche in attesa che venga individuato, 
colui il quale sta per assumere la titolarit� dei beni e le obbligazioni 




PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 757 

compresa quella tributaria -che vi ineriscono. � quanto accade nel caso 
in cui il chiamato all'eredit� non abbia ancora accettato, indipendentemente 
dall'essere avvenuta la nomina di un curatore, nel qual caso anche 
i redditi che si producono medio tempore sono, .in definitiva, imputabili 
ad un soggetto destinato ad uscire dallo stato di indeterminatezza 
nel quale temporaneamente si trova e a divenire titolare sin dal momento 
dell'apertura della successione in virt� dell'effetto retroattivo dell'accettazione 
(art. 459 cod. civ.). 

Ne deriva che esattamente la Commissione tributaria centrale ha ritenuto 
che, durante il tempo di giacenza dell'eredit�, l'Amministrazione 
non aveva motivo di dubitare della regolarit� della ritenuta d'acconto 
calcolata nella misura del 5 % in attesa che il soggetto passivo del rapporto 
tributario si manifestasse attraverso l'accettazione dell'eredit� e 
che la decorrenza del termine per l'accertamento dovesse stabilirsi in relazione 
alla data dell'accettazione. Dovendo infatti, adottarsi una disciplina 
tributaria provvisoria, questa non poteva non uniformarsi alla regola 
generale della ritenuta del 5 % a titolo di acconto, rispetto alla quale 
la regola della ritenuta del 30 % a titolo d'imposta, stabilita dall'art. 10 
della legge 1745/62 e successive modificazioni per talune ipotesi, si pone 
come disciplina particolare. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2648 -Pres. Brancaccio 
-Est. Virgilio -P. M. Catelani (conf.). Galeppini c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle 
commissioni -Impugnazione incidentale condizionata -Nozione -Rigetto 
dell'impugnazione principale -Assorbimento. 

L'impugnazione incidentale condizionata all'accoglimento dell'impugnazione 
principale (nella specie deduzione della nullit� dell'accertamento 
sintetico condizionata all'impugnazione dell'ufficio) � assorbita dal rigetto 
della impugnazione principale con il quale si forma il giudicato (1). 

(omissis) Il ricorrente deduce la violazione dell'art. 137 del t.u. 
29 gennaio 1958, n. 645 in quanto l'Ufficio era in possesso della dichiarazione 
dei redditi presentata dai! contribuente e degli elementi indicativi 
della capacit� contributiva, per cui avrebbe dovuto stabilire l'ammontare 
dell'imponibile sulla base dei detti indici di valutazione, senza ricorrere 
al sistema dell'accertamento sintetico. 

(1) Massima di evidente esattezza applicata ad una situazione spesso 
ricorrente nel procedimento innanzi alle commissioni. 

758 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'amministrazione resistente ha eccepito l'inammissibilit� di una tale 
censura perch� la questione dell'applicabilit� o meno del criterio di accertamento 
sintetico era stata riproposta in linea condizionata dinanzi alla 
Commissione Tributaria centrale, con la conseguenza che, essendo stata in 
quella sede rigettata l'impugnazione dell'Ufficio, la suddetta questione � 
ormai preclusa. 

L'eccezione della resistente � fondata. 

Il ricorso del contribuente del 14 novembre 1977, diretto alla Commissione 
Tributaria Centrale, � intitolato � controricorso e appello incidentale 
condizionato� e vi � inoltre contenuta questa espressione �nella non 
creduta ipotesi che la Commissione adita dovesse ritenere l'appello dell'ufficio 
meritevole di accoglimento, il ricorrente interpone -condizi�natamente 
-il seguente ricorso �. 

Chiaramente perci� la impugnazione del Galeppini fu subordinata alla 
condizione dell'accoglimento del ricorso dell'ufficio. 

Poich� tale condizione non si � verificata, perch� l'impugnazione della 
finanza � stata respinta dalla Commissione centrale, � evidente che sulla 
questione costituente oggetto del ricorso incidentale condizionato del contribuente 
(ora riproposta in questa sede) si � formata la res iudicata. 

La Commissione centrale, pur avendo rigettato tutti i ricorsi, ha nella 
sostanza giustamente ritenuto assorbito il ricorso del contribuente, come 
risulta dall'esame della motivazione, la quale � interamente volta a dimostrare 
la infondatezza del ricorso dell'Ufficio. 

Ogni altra questione sollevata in questa sede resta assorbita. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2649 -Pres. Mazzacane Est. 
Bologna -P. M. Morozzo della Rocca (conf.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato D'Amico) c. Soc. S.A.R.A. (avv. Manfredonia). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per il Mezzogiorno 
-Aumento di capitale di societ� -Conferimento di impianti 
gi� funzionanti -Non esclude il beneficio. 

(d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523, art. 112 lett. a). 
L'agevolazione dell'art. 112 lett. a) del d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523 
non esige la realizzazione di nuovi stabilimenti industriali o l'ampliamento 
e la trasformazione di quel.ti esistenti: di conseguenza pu� fruire della 
a:gevolazione l'aumento di capitale (in beni) realizzato con il conferimento 
di uno stabilimento industriale gi� esistente (1). 

(1) Si deve ormai prendere att~ dell'orientamento della S.C. che non 
riesce tuttavia a fugare tutti i dubbi. Se l'agevolazione � da riconoscere a 
qualunque aumento di capitale, non sembra che venga pi� rispettata la con~ 


f 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 759 

(omissis) Con il ricorso (violazione dell'art. 112 d.P.R. n. 1523 del 30 
giugno 1967; vizi di motivazione) si deduce che Ia sentenza impugnata 
non avrebbe considerato che, per quanto riguarda gli aumenti di capitale 
realizzati mediante conferimento di beni, il beneficio della tassa fissa 
previsto dall'art. 112 lett. a) non � applicabile ai conferimenti effettuati 
per potenziare lo svolgimento dell'attivit� industriale gi� esercitata mediante 
l'impianto industriale conferito, e che il concetto di potenziamento 
dell'attivit� industriale deve essere inteso in senso oggettivo, riferito 
ad un concreto incremento delle risorse impiegate nel Mezzogiorno, e 
non consiste ii:J. una diversa utilizzazione di risorse industriali gi� esistenti 
ed esercitate; la medesima sentenza non avrebbe esaminato il punto dell'ammissibilit� 
del beneficio per l'intero valore del conferimento comprendente 
l'azienda alberghiera da conferire. 

La censtura � infondata. 
Per quanto concerne l'applicazione delle agevolazioni fiscali per l'in


. dustria del Mezzogiorno contenute nel d.P.R. n. 1523 del 30 giugno 1967, 
l'aumento del capitale sociale, deliberato dalla Soc. SARA e realizzato 
mediante emissione di azioni correlata al conferimento di beni (alcuni 
immobili e l'azienda alberghiera Santa Lucia operante in Napoli) da parte 
di terzi sottoscrittori, deve essere sussunto sotto lo schema agevolativo 
dell'art. 112 lett. a); il testo della disposizione � il seguente: �� il beneficio 
di cui all'art. 110, primo, secondo e terzo comma [tassa fissa di registro 
ed ipotecaria] � concesso anche per i seguenti atti: a) aumenti del capitale, 
in numerario o beni o crediti, quando gli aumenti siano preordinati 
al potenziamento dell'attivit� industriale, anche se la ditta siasi costituita 
prima del 18 agosto 1957, purch� abbia sede ed operi nei territori 
indicati all'art. 1 �. 

La specifica questione sollevata con il ricorso, che comporta l'interpretazione 
del citato art. 112 nel quadro delle disposizioni agevolative concesse 
dalla medesima legge (artt. 105 e segg.), � stata di recente decisa 
da questa Corte in senso contrario a quello sostenuto dall'Amministrazione 
finanziaria deldo Stato (Cass. 1980, n. 1687). 

E precisamente, l'art. 112 d.P.R. n. 1523 del 1967, concessivo del beneficio 
della tassa fissa di registro per gli aumenti di capitale sociale � preordinati 
al potenziamento dell'attivit� industriale �, deve ritenersi applicabile 
anche alle fattispecie in cui tale potenziamento sia ottenuto con il 
mero conferimento, in sottoscrizione del nuovo capitale, di impianti gi� 
funzionanti, poich� la norma stessa, a differenza del precedente art. 111 in 
tema di benefici fiscali per gli atti costitutivi di Societ� (in linea con 
le fattispecie di cui agli arttt. 106, 107, 109), non pone come ulteriore con


dizione specificamente enunciata nell'art. 112 lett. a) che l'aumento sia preordinato 
al potenziamento dell'attivit� industriale; se l'attivit� industriale non 
riceve incremento l'agevolazione dovrebbe essere disconosciuta. 

12 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dizione la realizzazione cli nuovi stabilimenti, ovvero l'ampliamento, la 
trasformazione e la riattivazione di quelli preesistenti. 

Analogo orientamento era stato gi� sostanzialmente adottato, a proposito 
della fattispecie di cui all'art. 112 lett. d) in tema di trasformazione, 
fusione, concentrazione di ditte aventi sede e svolgenti Ja loro attivit� 
industriale o commerciale nei territori di cui all'art. 1 (Cass. 1978, 

n. 4148). 
La ratio dell'art. 112 lett. a) citato � incentrata sulla previsione del 
potenziamento dell'attivit� industriale dell'impresa che abbia deliberato 
l'aumento del capitale sociale e non sulla valutazione economica globale 
dell'operazione comprendente anche i beni conferiti ed in ultima analisi 
i mezzi necessari a realizzare l'aumento del capitale ed il potenziamento 
dell'attivit� industriale. 

In questa Sede siffatto orientamento giurisprudenziale deve essere 
confermato in assenza di significativi argomenti in contrario desumibili 
dal ricorso e dal sistema del d.P.R. n. 1523 del 1967. 

Il punto della censura, riguardante il preteso omesso esame della 
questione se comunque il beneficio in contestazione debba escludersi limitatamente 
al conferimento dell'azienda alberghiera Santa Lucia, resta 
assorbito dalle considerazioni che precedono, poich� ai fini della concessione 
del beneficio ex art. 112 lett. a) � irrilevante che il conferimento sia 
realizzato mediante impianti gi� funzionanti. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 maggio 1983, n. 3020 -Pres. Brancaccio 
-Est. Borruso � P. M. Caristo (conf.). Carnevali (avv. Bondoni) c. 
Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). 

Tributi in genere � Contenzioso tributarlo � Procedimento innanzi alle 
commissioni � Estinzione � Art. 44 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 � Effetti 
� Riproposizione di nuovo ricorso � Inammissibilit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44). 
Tributi in genere � Contenzioso tributarlo � Procedimento innanzi alle 
commissioni � Estinzione � Art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 � Effetti 
� Riassunzione del giudizio � Esclusione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44; cod. proc. civ., artt. 307 e 310). 
Tributi in genere � Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle 
commissioni � Art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 � Illegittimit� costituzionale 
� Manifesta infondatezza. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44). 
A seguito dell'estinzione del procedimento innanzi alle commissioni, 
pronunziata a norma dell'art. 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, � inammissibile 
la riproposizione di nuovo ricorso (1). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 761 

L'estinzione del procedimento innanzi alle commissioni pronunziata 
a norma dell'art.' 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 non consente la 
riassunzione del processo (2). 

� manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit� dell'art. 44 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, anche sotto il profilo di diversit� di posizione 
delle parti nel processo (3). 
(omissis). Col primo motivo di ricorso la Carnevali deduce la contraddittoriet�. 
della motivazione addotta dalla Commissione Centrale nell'applicare 
l'art. 44 del d.P.R. n. 636 del 1972: una volta riconosciuto, infatti, 
che il terzo comma di esso consente espressamente che dalla data 
di notificazione dell'ordinanza dichiarativa dell'estinzione del .processo decorrono 
� riprendono a decorrere �i termini di decadenza� (senza discriminazioni 
di trattamento tra Fisco e contribuenti), non avrebbe pi� senso 
attribuire decisivo rilievo al fatto che il termine originario di decadenza 
per la proposizione del ricorso contro l'avviso d'accertamento era gi� 
scaduto, dovendosi esso intendere riaperto per effetto del predetto terzo 
comma. 

La censura � infondata. 

Invero la norma contenuta nel terzo comma dell'art. 44, in virt� 
della quale dalla data di notificazione dell'ordinanza presidenziale di estinzione 
decorrono o riprendono a decorrere i termini di decadenza o di 
prescrizione, fa riferimento soltanto a quei termini entro i quali gli uffici 
debbono compiere gli ulteriori atti ed esercitare i poteri per la definitiva 
attuazione della pretesa tributaria che aveva formato oggetto del 
procedimento (poi dichiarato estinto) e che era rimasta sospesa in dipendenza 
del procedimento stesso e non importa riapertura dei termini per 
le impugnazioni (Conf. Cass. sent. n. 3637 dell'80). 

Col secondo motivo di ricorso la contribuente sostiene che il legislatore, 
avendo voluto con :l'art. 44 sopracitato sanzionare l'inattivit� delle 
parti, abbia usato l'espressione � estinzione del processo � con lo stesso 
significato e con gli stessi effetti attribuiti alla � cancellazione della causa 
dal ruolo� di cui all'art. 307 cod. proc. civ. 

(1-3) Ancora una decisione che chiude la porta ad ogni tentativo di neutralizzare 
gli effetti dell'art. 44 del d.P.R. n. 636/1972. Sull'argomento della prima 
massima si erano gi� pronunciate le sentenze 19 aprile 1982, n. 2407 e 30 luglio 
1982, n. 4357 (in questa Rassegna, 1982, I, 836 e 1983, I, 166). Presenta novit� 
la seconda massima che esclude la possibilit� di riassunzione dello stesso 
processo estinto, il che appare evidente sol che si pensi che l'art. 44 sancisce 
l'estinzione e non la cancellazione dal ruolo, istituto quest'ultimo assolutamente 
sconosciuto al procedimento innanzi alle commissioni di natura officiosa. 
Sul punto della terza massima � intervenuta anche una specifica pronuncia 
della Corte Costituzionale con la sentenza 20 dicembre 1982, n. 243 (Foro it., 
1983, I, 533). 



762 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Conseguentemente il processo tributario, pur essendo stata omessa 
dal contribuente l'istanza per la fissazione d'udienza ai sensi del citato 
art. 44, sarebbe pur sempre riassumibile, come in effetti nella specie lo 
fu, essendo stato il ricorso riproposto entro 60 gg: dalla notifica dell'ordinanza 
dichiarativa dell'estinzione. 

Anche questo secondo motivo del ricorso non sembra meritevole di 
accoglimento, pur essendo vero che, a mente dell'art. 310 cod. proc. civ., 
� l'estinzione del processo non estingue l'azione �. 

E ci� per tre ragioni: 

1) l'art. 310 cod. proc. civ. non � richiamato dall'art. 39 del d.P.R. 

n. 636 del 1972 secondo cui �al procedimento dinanzi alle commissioni 
tributarie .s� applicano le norme contenute. nel libro I d~l codice di procedura 
civile� (cio� soltanto gli artt. 1-162); 
2) la disposizione contenuta nell'art. 310 cod. proc. civ. secondo cui 
� l'estinzione del processo non estingue l'azione � non costituisce un principio 
generale e assoluto del processo civile, dovendo la norma stessa essere 
correlata ad altre disposizioni che regolano l'effetto dell'estinzione 
secondo i gradi del giudizio; 

3) la medesima disposizione non si palesa comunque compatibile 
con la finalit� di rendere pi� agevole il passaggio dal precedente contenzioso 
tributario al nuovo che con l'art. 44 il legislatore ha voluto conseguire. 


,.,,,,. 

Col terzo motivo la ricorrente rileva che interpretare l'art. 44 nel 
senso che la dichiarazione di estinzione del processo travolgerebbe. per 
sempre anche la riproponibHit� dell'azione e che la decadenza, mentre 
continuerebbe ad operare inesorabile contro il contribuente, non opererebbe 
invece nei confronti della Finanza determinando cos� un intollerabile 
e irrazionale disparit� di trattamento, dovrebbe portare a far ritenere 
costituzionalmente illegittimo il predetto art. 44 per violazione della legge 
delega 9 ottobre 1971, n. 825 (art. 10 n. 14) che intendeva, invece, assicurare 
l'imparziale applicazione della legge tributaria salvaguardando, in 
conformit� ai principi della Costituzione e della stessa riforma tributaria 
del 1972, la par condicio delle parti avanti alla, legge. 

La questione di illegittimit� costituzionale qui sollevata non sembra 
al Collegio utilmente riproponibile, essendo gi� stata dichiarata anche di 
recente manifestamente infondata dalla Corte Costituzionale (cfr. ordinanze 
nn. 164 e 9 del 1981, 162 e 85 del 1980, 144 del 1979, 77 e 48 del 
1978 e 144 del 1977) per essersi su di essa gi� pronunciata con la sentenza 

n. 63 del 1977, e non essendo state dedotte nuove ragioni giustificative 
di un riesame. (omissis) 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 763 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 maggio 1983, n. 3022 -Pres. Brancaccio 
-Est. Canti;llo -P. M. Sgroi (conf.). Soc. SITAR (avv. Cagliati Dezza) 
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Impugnazione di terzo grado 
Oggetto e limiti -Difetto di motivazione -Ammissibilit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 4972, n. 636, artt. 26 e 40). 
L'impugnazione di terzo grado � un gravame illimitato, salvo che per 
le statuizioni in materia di valutazione estimativa, ed in ogni caso esteso 
alla censura di difetto di motivazione anche contro le decisioni pronunciate 
in materia di valutazione estimativa (1). 

(omissis) Con l'unico motivo, denunziando la violazione degli artt. 26 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, 91 e 119 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, e 
difetto di motivazione, la societ� ricorrente critica sotto tre profili la 
decisione impugnata, per avere: a) affermato che la competenza della 
Commissione tributaria centrale sia circoscritta alle questioni di diritto, 
laddove essa riguarda non solo tutte ile questioni di fatto diverse da 
quelle inerenti alla valutazione estimativa, ma anche i vizi di motivazione 
delle pronunzie di mera estimazione; b) considerato apoditticamente questione 
estimativa quella suscitata dalla presente controversia, la quale, 
invece, investe i criteri giuridici diretti a stabilire l'inerenza della spesa 
alla produzione del reddito; c) omesso qualsiasi motivazione in ordine 
alla dedotta violazione dell'art. 119 cit., che subordina alla presenza di 
inesattezze e irregolarit� nelle scritture contabili gli accertamenti e le 
rettifiche dei redditi nei confronti dei soggetti tassabili in base a bilancio. 
Le censure sono fondate. 
Sub a), questa Corte ha da tempo chiarito che, ai sensi degli artt. 
26 e 40 del d.P.R. n. 636 del 1972, la Commissione centrale e la Corte di 

(1) L'ambito del giudizio di terzo grado, dopo le iniziali incertezze, si va 
ormai delineando con chiarezza (per un ampio esame, anche con riferimento 
alla giurisprudenza v. BAFILE, Il giudizio di terzo grado nel processo tributario, 
Milano 1982). 
Sulla esatta sentenza ora intervenuta, si pu� fare una sola osservazione: 
soltanto contro le pronunzie di valutazione estimativa � ammessa l'impugnazione 
per difetto di motivazione, e altri vizi, del procedimento, che si concreta 
in una impugnazione di legittimit� volta all'annullamento della decisione impugnata, 
al quale dovr� seguire necessariamente il rinvio. Negli altri casi l'impugnazione 
illimitata � di merito, � cio� volta ad ottenere una pronunzia che 
sostituisce quella impugnata assorbendone i vizi e sostituendo la motivazione 
(Cass. 26 settembre 1978, n. 4321, in questa Rassegna, 1979, I, 70; 5 marzo 
1979, n. 1363, in Riv. leg. Fisc., 1980, 216). 



RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 

764 

appello hanno competenza piena, in fatto e in diritto, su tutte le questioni, 
ad eccezione di quelle di mero fatto relative alla valutazione estimativa 
(e alla misura delle pene pecuniarie), sicch� i due rimedi si configurano 
come mezzi di gravame illimitato, proponibili per violazione di legge ed 
errnta risoluzione di questioni di fatto, della decisione della commissione 
di secondo grado, eccettuate le statuizioni in materia estimativa, che possono 
essere impugnate solo per violazione di leggi processuali o sostanziali 
(cfr., tra altre, sent. n. 6678 del 1981; n. 4168 e 4154 del 1978; n. 5086 
del 1977). Pertanto, con il ricorso alla Commissione centrale (e con l'impugnazione 
innanzi alla corte di appello: sull'assoluta identit� della 
competenza dei due organi v., ora, Corte Cost. n. 67 del 1982) sono deducibili 
tutti i vizi di motivazione della decisione; e il principio � valido anche 
per le statuizioni di valutazione estimativa, sol che in tal caso, ove si 
riscontri un vizio che comporti la necessit� di procedere a nuova stima, 
la commissione non pu� pronunziare nel merito, ma deve limitarsi ad 
annullare la decisione e rinviare la controversia ad altra sezione della 
commissione di secondo grado (v. sent. n. 1307 del 1980; n. 1636 del 1979). 

Nel caso in esame, risulta dagli atti del processo (direttamente conoscibili 
da questa Corte, venendo denunziato un vizio in procedendo) e 
dalla stessa pronunzia impugnata (pella parte dedicata all'esposizione 
delle vicende processuali) che la S.I.T.A.R. aveva censurato fa decisione 
della commissione di secondo grado pure sotto il profilo del difetto di 
motivazione; ed � perci� evidente l'errore in cui � incorsa la Commissione 
centrale nel dichiarare inammissibili i ricorsi, giacch� avrebbe dovuto 
controllare la congruit� logico-giuridica della motivazione di detta decisione 
anche se fosse esatto che essa riflette una questione di mera estimazione. 


Senonch�, come si denunzia con la censura sub b), tale qualificazione 
dell'oggetto della controversia � sostanzialmente immotivata, in 
quanto la Commissione centrale, dopo di avere riassunto i termini del 
problema risolto nel precedente grado del giudizio, si � limitata. ad osservare 
che � nella specie non si verte in tema di identificazione della qualit� 
delle spese, bens� del loro ammontare �, senza indicare le ragioni di 
questa conclusione. E la lacuna -ammessa dalla stessa difesa erariale si 
risolve in un irrimediabile salto logico, in quanto proprio dalla prospettazione 
del thema decidendum si evince �che il dibattito, lungi dall'essere 
circoscritto all'entit� delle detrazioni �per agevolazioni a favore 
della clientela (abbuoni, sconti, omaggi, ecc.) �, riguardava appunto la loro 
natura di spese inerenti alla produzione del reddito, essendo in discussione 
il concetto di inerenza assunto nell'art. 91 del t.u. n. 645 del 1958 
e i limiti dei poteri sindacatori dell'amministrazione finanziaria sulle scelte 
dell'imprenditore in ordine alla entit� di dette � agevolazioni �; i quali 
problemi giuridici esulano, manifestamente, dall'ambito delle questioni 
di valutazione estimativa. (omissis) 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 765 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 maggio 1983, n. 3307 -Pres. Mazzacane 
-Est. Pannella -P. M. Catelani (diff.). Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Vittoria) c. Caola (avv. Neri). 

Tributi erariali indiretti -Imposta di successione -Dichiarazione -Termine 
-Accettazione con beneficio di inventario -Rinvio al cod. civ. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, artt. 39 e 50; cod. civ., artt. 484, 485, 487, 489). 
Il termine per presentazione de;Zla dichiarazione per l'imposta di successione, 
decorrente da quello stabilito per la formazione dell'inventario, 
deve intendersi riferito, secondo le varie ipotesi previste dal cod. civ. 
agli artt. 485, 487 e 489, al termine entro il quale secondo la legge civile 
deve essere completato l'inventario (1). 

(omissis) Con l'unico mezzo l'Amm.ne Finanziaria, censurando la decisione 
impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 39 comma 
1, 3 e 4 e 50 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637 e degli artt. 18 e 23 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc.. civ., 
sostiene che la formulazione letterale del terzo comma dell'art. 39 del 
decreto n. 637/1972, nello stabilire che il termine per la dichiarazione 
di successione decorre dalla scadenza del termine stabilito per la formazione 
dell'inventario, non fa che rinviare al codice civile (artt. 485, 
487 e 489 cod. civ.) nel quale, appunto, sono indicati i termini per la 
formazione dell'inventario con distinzione tra i chiamati che sono o non 
sono nel possesso dei beni, i minori, gli interdetti e gli inabilitati. Aggiunge 
che il quarto comma dell'art. 39 citato non ha la funzione di rendere i 
termini di presentazione della dichiarazione (di successione) indipendenti 
da quelli previsti dal codice civile per la formazione dell'inventario, ma 
la funzione di restringere entro termini eguali per tutti i contribuenti 
quelli che s.arebbero suscettibili di diventare pi� ampi in applicazione 
della legge civile. Conclude affermando che i Caola, in quanto nel possesso 
dei beni ereditari, iniziarono l'inventario il 21 marzo 1975, cio� oltre 
il termine previsto per completarlo (tre mesi 24 novembre 1974 o 
6 mesi, per proroga pretorile, 24 febbraio 1975), e lo completarono il 
23 giugno 1975 cio� dopo la scadenza dell'anzidetto termine. 
La censura � fondata, ritenendo la Corte che debba pervenirsi, anche 
nella nuova disciplina conseguente alla riforma tributaria, alle stesse 
conclusioni gi� enunciate in precedenza (Cass. n. 99/1972~. 

Premesso che va pienamente condivisa l'osservazione preliminare 
della Commissione tributaria centrale, riguardante l'autonomia della legislazione 
fiscale rispetto alle leggi civili, onde va ritenuto ammissibile 
il richiamo alle norme civili solo se espresso o compatibile, tuttavia non 

(1) Decisione di evidente esattezza. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

pu� accettarsi il corollario cui la Commissione giunge, affermando che 
le disposizioni dell'art. 39 d.P.R. n. 637/1972, quanto ai termini per la 
denuncia di successione, rinviano solamente all'art. 484 cod. civ. 

Dalla lettera della prima parte del terzo comma dell'indicato art. 39: 
�Per Ie eredit� accettate con il beneficio dell'inventario, il termine per 
la presentazione della dichiarazione decorre dalla scadenza di " quello 
stabilito" per la formazione dell'inventario e, quando questo sia compiuto 
prima di tale scadenza, dalla data della sua chiusura�, si deduce 
un espresso rinvio ad altra norma giuridica che fissa il termine per la 
formazione dell'inventario. 

Non rinvenendosi nella legge tributaria una tale disposizione, � logico 
che essa vada ricercata nella legge civile, la quale nella ipotesi di 
accettazione col beneficio dell'inventario, fissa tre termini diversi per il 
compimento di esso, distinguendo tra i chiamati all'eredit� che sono nel 
possesso dei beni ereditari, quelli che non lo sono, nonch� i minori, gli 
interdetti e gli inabilitati (art. 485, 487, 489 cod. civ.). 

Ora, la domanda che si pone � se 11 rinvio debba ritenersi fatto a 
ciascuno dei tre termini o limitato ad uno soltanto di essi, quale quello 
dell'art. 487 cod. civ. riguardante i chiamati alla eredit� che, non essendo 
nel possesso dei beni, abbiano accettato col beneficio dell'inventario, ai 
sensi dell'art. 484, prima de1la formazione dell'inventario stesso. 

Orbene, se tale suggestiva limitazione sembra adattarsi coerentemente 
all'inciso del terzo comma dell'art. 39 succitato: � Per le eredit� 
accettate col beneficio dell'inventario �, considerando -in aggiunta che 
al legislatore fiscale non interesserebbe la situazione giuridica dei 
chiamati quanto al possesso o meno dei beni ereditari, tuttavia, una siffatta 
'limitazione appare arbitraria nel silenzio della legge e nella interpretazione 
della sua ratio. 

Premesso che la denuncia di successione va presentata (art. 39 primo 
comma) entro sei mesi dalla morte del de cuius (coincidente con la data 
dell'apertura della successione), la legge fiscale nell'intento di consentire 
una precisa e non affrettata dichiarazione dei beni ereditari da parte di 
coloro che accettano col beneficio dell'inventario, ammette una proroga 
di tale termine fino a quello, ad essi concesso dalla legge civile, per la 
formazione dell'inventario. 

� intuitivo che l'eccezionalit� della norma non pu� non riflettere le 
situazioni giuridiche dei chiamati all'eredit�, che non procedono all'accettazione 
pura e semplice, di modo che i termini per la formazione del-
l'inventario, direttamente collegati a tali situazioni giuridiche soggettive, 
devono ritenersi recepiti dalla norma tributaria (terzo comma art. 39) 
cos� come previsti dalla legge civile'. 

La conferma di quanto detto si rinviene nelle ulteriori limitazioni 
volute dal legislatore tributario, il quale consente la � proroga � del termine 
normale sempre che la dichiarazione di accettazione col beneficio 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUiARIA' 

dell'inventario sia fatta entro sei mesi dalla morte del de cuius e fissa, 
nel termine massimo di ,un anno da tale evento, la presentazione della 
domanda di successione. 

Queste disposizioni limitative se hanno lo scopo di restringere entro 
termini eguali per tutti i contribuenti quelli che sarebbero suscettibili 
di diventare pi� ampii in applicazione della legge civile (come ha osservato 
la ricorrente), per altro rafforzano il convincimento che il legislatore 
tributario mostra interesse alla sollecitudine con cui i contribuenti 
debbono apprestarsi alla denuncia di succession�, rispettando i termini 
della legge civile, informati alla disciplina dei casi particolari, e poi quelli 
generali della legge fiscale. 

Da quanto esposto discende che gli eredi Caola, essendo nel possesso 
dei beni ereditari, avrebbero dovuto presentare la denuncia di successione 
entro il termine di nove mesi (tre mesi per fa formazione dell'inventario 
ex art. 485 cod. proc. civ e 6 mesi a norma del terzo comma dell'art. 
39 d.P.R. n. 637 del 1972) dall'apertura della successione (25 agosto 
1974) e c10e entro il 25 maggio 1975. Essendo stati;t presentata invece 
il 22 agosto 1975 deve ritenersi tardiva. (omissis) 


SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 giugno 1983, n. 4259 -Pres. Gambogi 
-Est. Maltese -P. M. Fabi (conf.) -Ministero della difesa (Avv. 
Stato Del Greco) c. Panauto G. Conti S.a.s. (avv. Sciacca). 

Arbitrato -Arbitrato obbligatorio -Norma regolamentare che J.o prevede 
-Effetti � Vizio di nullit� del lodo per nullit� del compromesso. 
(Cost.; artt. 24 e 102; I. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, art. 5; d.m. 26 ottobre 1938, n. 882, 
capitolato generale di oneri del ministero della difesa, art. 61; cod. proc. civ., artt. 806 

e 808). 

La deduzione che la norma di capitolato generale configura un arbitrato 
obbligatorio ed � perci� illegittima per contrasto con gli artt. 24 
e 102 Cost. si risolve nell'allegazione di un vizio di ,nullit� del lodo per 
nullit� della clausola compromissoria e non in quella di un'usurpazione 
di potere giurisdizionale per inesistenza :,giuridica della stessa clausola. 
Essa va pertanto dedotta come motivo dell'impugnazione per nullit� 
e non pu� essere fatta valere per la prima volta in cassazione (1). 

(omissis). Con l'unico motivo di censura il Ministero denuncia la 
violazione degli artt. 24 e 102 della Costituzione; 5 legge 20 marzo 1865, 

n. 2248, all. E; 61 �capitolato generale d'oneri, approvato con d.m. 26 ottobre 
1938, n. 882; 806 e 808 cod. proc. civ. nonch� il vizio di omesso 
esame di un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, 
nn. 3 e 5 cod. proc. civ. 
Sostiene che l'art. 61 d.m. n. 882 del 1938, da considerare, secondo un 
costante indirizzo giurisprudenziale, norma di diritto oggettivo inquadrabile 
fra i regolamenti di organizzazione, dovrebbe essere disapplicato 
d'ufficio dal giudice, in qualunque stato e grado del processo, ai sensi 

(1) Cass. 14 maggio 1981, n. 3167, richiamata in motivazione, � pubblicata 
in questa Rassegna 1981, I, 421, in Arch. giur. op. pubbl. 1981, Il, 120; Foro it. 
1981, I, 1552 con osserv. di C.M. BARONE, Giusi. civ. 1981, I, 2635 con nota di 
P. CARBONE, Natura giuridica dei capitolati generali, carattere dispositivo delle 
norme che prevedono l'arbitrato quale strumento di composizione delle controversie 
e tempestivit� della riserva in caso di sospensione, in Riv. giur. edilizia 
1982, I, 42. 
Sull'argomento, cfr., altres�, Cass. 27 maggio 1981, n. 3474, in questa 
Rassegna 1981, I, 597 e in Arch. giur. op. pubbl. 1981, II, 405 e Cass. 28 gen



PARTE I, SEZ. vu; GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 769 

dell'art. 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, quale atto amministrativo 
illegittimo perch� istitutivo, in vio1azione degli artt. 24, primo comma 
e 102, primo comma, della Costituzione, di un arbitrato obbligatorio, 
mentre il conferimento agli arbitri del potere di decidere le 
controversie sarebbe rimesso, secondo gli artt. 806 e 808 cod. proc. civ., 
soltanto alla libera scelta delle parti. 

Il ricorrente cita in suffragio le sentenze della Corte Costituzionale 
14 luglio 1977, n. 127 e della Cassazione 20 gennaio 1980, n. 658, che 
hanno ritenuto incostituzionali analoghe disposizioni contenute in decreti 
dell'esecutivo. 

L'impresa � Panauto � sostiene, invece, nel controricorso che il motivo 
sarebbe imammissibtle ,in considerazione della novit� della contestazione, 
involgente un giudizio sulla validit� della clausola arbitrale 
per asserita incostituzionalit� de1la sua fonte -eNoneamente ritenuta dal 
Ministero fonte normativa anzich� negoziale -mentre nei precedenti 
gradi del giudizio la stessa ,controparte si era Iimitata a contestare la 
legittimit� del lodo per difetto di giurisdizione degli arbitri e, nel 
merito, per errore in iudicando, dovuto a inesatta interpretazione di 
una clausola contrattuale, con violazione deHe ordinarie regole di ermeneutica. 


Ritiene il Collegio che il ricorso sia, in effetti, inammissibile, per la 
novit� della contestazione mossa dal Ministero, con l'unico motivo di 
censura, alla decisione impugnata. 

Bisogna premettere che la questione posta dal ricorrente non comporterebbe 
la necessit� di nuovi accertamenti di merito, ch� in tal caso 
sarebbe ovvia la � novit�� di essa, in questo giudizio di legittimit�. 

Per affrontare e risolvere la detta questione si tratterebbe, invero, 
non di accertare, in punto di fatto, se i contraenti avessero inteso recepire 
'1e disposizioni dei capitoli generali con atto di volont� negoziale, 
ma, in base 'alla circostanza, presupposta dalla stessa sentenza d'appello, 
deLla menzione di tali disposizioni nell'avviso di Hcitazione privata a norma 
deill'articolo 99 reg. 23 maggio 1924, n. 827, per l'esecuzione deHa legge 
sulla contabilit� generale dello Stato, di stabilire in diritto il foro eventuale 
valore normativo di regolamenti integranti ipso iure il contratto, 
ovvero di clausole tipo, di volta in volta richiamate, con fa detta �menzione 
�, dalle parti. Riconosciuta, in ipotesi, la foro natura normativa -pre


naio 1980, n. 658, in questa Rasseg11a 1980, I, 209 e in Arch. giur. op. pubbl. 1980, 
II, 14; Foro it. 1980, I, 543 con osserv. di C.M. BARONE e Giust. civ. 1980, I, 821. 

Sulla distinzione tra nullit� del lodo per nullit� del compromesso e difetto 
di giurisdizione per essere stata devoluta agli arbitri la cognizione di controversia 
che esula dalla competenza giurisdizionale del giudice ordinario, 
cfr. Cass., 24 settembre 1982, n. 4934, Giust. civ. Rep> 1982, compromesso ed 
arbitrato, 58; Cass. 27 luglio 1982, n. 4317, ivi, 59. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

vio riscontro, trattandosi di regolamento ministeriale,� dell'esistenza di 
una fonte legisfativa primaria, attributiva del corrispondente potere al 
Ministro -si tratterebbe, quindi, di discuterne la legittimit� costituzionale, 
alla '1uce della giurisprudenza sopra citata delle due Corti. 

Indagine, dunque, in ogni suo aspetto, di legittimit�, non di merito, 
perch� attinente alla qualificazione e definizione giuridica dei detti capitoli 
generali, sulla base dei dati di fatto acquisiti, concernenti la formazione 
del consenso contrattuale. 

Sotto un diverso profilo, tuttavia, una siffatta indagine � preclusa 
al Collegio. 

Gi� con sentenza del 14 maggio 1981, n. 3167, la prima Sezione di 
questa Corte ha affrontato e risolto lo stesso problema, affermando che 
� la dedotta illegittimit� della norma del capitolato che predispone l'arbitrato, 
risolvendosi nella invalidit� del titolo di investitura degli arbitri, 
d� luogo ad una ipotesi riconducibile alla previsione dell'art. 829, n. l, 
cod. proc. civ., cio� ad un motivo di nullit� della sentenza arbitrale, 
che avrebbe dovuto essere dedotto avanti alla Corte d'appello come 
motivo d'impugnazione della sentenza stessa �. 

Anche nel caso deciso dalla prima sezione, il Ministero della Difesa 
si era limitato a contestare nel giudizio d'appello la configurabilit� di 
una valida rinuncia all'impugnazione per violazione delle regole di diritto 
� al fine di dare ingresso a motivi di censura per error in iudicando �. 
Da cui, appunto, la dichiarazione di inammissibilit� del motivo del 
ricorso per cassazione. 

La soluzione appare corretta, perch� adottata in conformit� alle 
regole di diritto processuale e sostanziale vigenti in materia. 

Per il disposto, invero, dell'art. 829, n. 1, cod. proc. civ., � ammessa 
l'impugnazione per nullit� del lodo se il compromesso � nullo. E il 
compromesso � nullo se contrario alle regole degli artt. 806, 807, 808, 
809 cod. proc. civ., e, in genere, a norme imperative, secondo il principio 
sancito dall'art. 1418 cod. civ. � nullo, inoltre, se imposto -come 
oggi il ricorrente afferma -con norma regolamentare di approvazione 
dei capitolati generali d'appalto, in violazione del precetto costituzionale 
dell'art. 24 Cost., dettato a presidio del diritto alla difesa del cittadino. 

In entrambe le ipotesi -contrariamente a quanto il ricorrente sostiene 
-si tratta di nullit� in senso tecnico, non di inesistenza giuridica 
del titolo di investitura arbitrale, che si ha quando � devoluta agli 
arbitri la cognizione di una controversia non rientrante neppure nella 
giurisdizione del giudice ordinario rispetto alla pubblica amministrazione 
e rispetto al giudice amministrativo, mentre in ciascuno dei casi sopra 
accennati la controversia appartiene virtualmente alla competenza dell'autorit� 
giudiziaria ordinaria. 

Ne consegue che, mentre l'inesistenza giuridica della clausola comporterebbe 
una vera e propria usurpazione di potere, e sarebbe rilevabile 


PARTE I, SEZ. VII, �GIURIS. � IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

d'ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass., 22 aprile 1963, 

n. 1026; 17 aprile 1963, n. 945), per la nullit� in senso tecnico vige 
la regola processuale della conversione dei motivi di nullit� in motivi 
di gravame, per cui, in applicazione dell'art. 161, primo comma, cod. 
proc. civ., i vizi dirimenti la pronuncia arbitrale devono essere fatti 
valere nell'atto di impugnazione (Cass., 12 giugno 1963, n. 1593; 12 febbraio 
1968, n. 470). Vige, inoltre, la norma sulla specificit� dei motivi, ancor 
pi� rigorosa -data la particolare nat�ra del procedimento di impugnazione 
del lodo -della regola dell'art. 342, cod. proc. civ., che 
disciplina la forma dell'atto d'appello (Cass., 26 marzo 1975, n. 1148). 
Nel caso in esame, mentre da~anti alla Corte d'appello il Ministero, 
per accreditare la proponibilit� dei motivi di merito, aveva chiesto la 
disapplicazione dell'art. 61, ultimo comma, del decreto ministeriale del 
26 ottobre 1938, contenente Ia rinuncia al gravame ed al ricorso per 
cassazione, oggi, per infirmare la validit� della fonte istitutiva della 
competenza arbitrale, chiede la disapplicazione (pur senza un esplicito 
riferimento) dell'art. 55 dello stesso decreto, contenente il titolo dell'investitura 
degli arbitri. 

Oggetto del ricorso �, pertanto, una disposizione del decreto ministeriale 
diversa da quella impugnata in appello. 

Il preteso motivo di nullit� non � stato, quirndi, dedotto davanti 
alla Corte d'appello come specifico motivo di gravame. E non potrebbe, 
pertanto, conoscerne oggi questo Collegio se non in difformit� dalle norme 
citate e dalla stessa giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale 
� i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammisibilit�, 
statuizioni e questioni che hanno formato oggetto di gravame 
con l'atto d'appello, talch� nel giudizio di cassazione non possono essere 
proposte per la prima volta questioni nuove, implicanti un rilevante 
mutamento nel sistema difensivo� (sent. 8 marzo !978, 1170), �n� sono 
ammissibili tesi difensive che, per la loro novit�, siano tali da sconvolgere 
il precedente tema difensivo della controparte � (26 aprile 1978, 

n. 1953). 
Il ricorso iproposto dal Ministero deve essere, pertanto, dichiarato 
inammissibile. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 luglio 1983, n. 4759 -Pres. Santosuosso 
-Est. Contu -P. M. La Valva (conf.) -Giudici (avv. Pallottino) 
c. Assessorato ai lavori pubblici della regione siciliana (Avv. 
Stato Vittoria). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Compensi per danni da forza 
maggiore -Onere della riserva -Sussiste -Tempo della iscrizione. 

(r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 25, 36, 37, 53, 54, 64 e 89; d.m. 28 maggio 1895, art. 28). 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Decadenza dal diritto per intem


pestivit� della riserva � Rinunzia della P.A. � Ammissibilit� -Pro


posta di transazione � Non equivale a rinunzia. 

(cod. civ., art. 1965). 

Anche i compensi dovuti all'appaltatore per danni cagionati da forza 
maggiore, in quanto incidenti sulla spesa complessiva dell'opera, ~ono 
soggetti' alla disciplina generale relativa all'onere della riserva che va 
osservato inserendo la riserva a contestazione delle registrazioni contabili 
immediatamente successive all'esecuzione dei lavori di riparazione, 
ove queste non ne contengano la contabilizzazione (1). 

Se .la p. a. pu� rinunciare ad opporre la decadenza nella quale sia 
incorso l'appaltatore per non avere inserito nel registro di contabilit� 
le riserve, accertare se il comportamento della p.a. integri una rinuncia 
spetta al giudice di merito e non � censurabile in sede di legittimit� 
l'affermazione che non implichi rinuncia il comportamento estrinsecatosi 
non nel puro e semplice riconoscimento del diritto della decadenza 
del quale si discuteva, ma nella proposta di una transazione riguardante 
tutte le pretese dell'appaltatore (2). 

(omissis) Con il primo motivo del ricorso principale il Giudici 
deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 25, 36, 37, 53, 54, 
64 e 89 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, e dell'art. 348 della legge 
20 marzo 1865, n. 2248 All. F, nonch� omessa e insufficiente motiva


(1) Sull'onere della riserva e la sua estensione, cfr., da ultimo, Cass. 15 dicembre 
1982, n. 6911 in questa Rassegna 1983, I, 191 e Cass. 1� aprile 1982, n. 2006, 
ivi, 1982, I, 2758. 
Non consta che abbia precedenti l'affermazione per cui soggiace all'onere 
della riserva la pretesa dell'appaltatore al pagamento di compensi per danni 
da forza maggiore. 

La decisione � da condividere, giacch� il procedimento delineato dagli 
artt. 25 r.d. 25 maggio 1895, n. 350, 28 d..m. 28 maggio 1895 e 24 d.P.R. 16 luglio 
1962, n. 1063; procedimento che si apre con la denuncia dell'appaltatore, 
tende a verificare che dei danni si siano prodotti e ad accertarne le cause. 
Ma n� la denuncia contiene l'indicazione della somma spesa per riparare i 
guasti n� il verbale di constatazione dei danni � la sede per stabilire, avuto 
anche riguardo a quanto disposto dal capitolato speciale, se spetti o no all'appaltatore 
il compenso ed in che misura. Ne deriva che, eseguita la riparazione 
dei guasti, se i lavori non siano contabilizzati, sorge per l'appaltatore l'onere 
di affermare il suo diritto al compenso impugnando con la riserva la mancata 
registrazione e quindi il mancato pagamento del compenso cui ritiene di aver 
diritto. 

(2) Sull'ammissibilit� della rinuncia a far valere la decadenza in cui l'appaltatore 
sia incorso per aver formulato le riserve tardivamente, cfr. Cass. 
18 maggio 1977; n. 2015 in Arch. giur. op. pubbl. 1977, II, 195 e la giurisprudenza 
richiamata nella annotazione a Trib. Roma 14 marzo 1977, n. 2338 in 
questa Rassegna 1977, I, 576. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 773 

zione su punti decisivi della controversia, in relazione all'art. 360, primo 
comma, n. 3 e 5 cod. proc. civ. 

Il ricorrente si duole che la corte del merito abbia ritenuto erroneamente 
che il danno da forza maggiore sia stato produttivo di un aumento 
di spesa complessiva riconducibile al contratto d'appalto e che sia conseguentemente 
assoggettabile alle disposizioni relative all'onere della riserva 
immediata, senza tener conto che la pretesa dell'appaltatore sorge e pu� 
essere fatta valere solo dopo l'esecuzione dei lavori occorrenti per la 
riparazione dei guasti ed in precedenza non � assoggettabile al regime 
delle riserve. Con riferimento alla fattispecie sostiene che i danni da lui 
subiti in conseguenza di causa di forza maggiore erano stati tempestivamente 
denunciati e sostanzialmente riconosciuti, tant'� che era stata 
disposta l'effettuazione di una perizia suppletiva per valutarli, ma, non 
essendo stata la stessa approvata, non si era provveduto al pagamento; 
la lesione del suo diritto al compenso si era perci� verificata dopo l'ultimazione 
dell'opera costituente oggetto dell'appalto ed era stata accertata 
solo al momento della contabilit� finale, allorquando la Pubblica Amministrazione 
aveva omesso di contabilizzare i lavori necessari per la riparazione 
dei danni, e solo allora era sorto l'onere della riserva, cui era 
stato ritualmente e tempestivamente ottemperato. 

Tali censure non sono fondate. 

Da pi� di un decennio, dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 1960 
del 20 giugno 1972, questa Suprema Corte ha affermato e ribadito il 
carattere generale deLl'istituto della riserva, nel senso che la necessit� 
della relativa formulazione, e della successiva quantificazione nel registro 
di contabilit�, sussiste per tutte le pretese che siano tali da incidere 
sul compenso complessivo spettante all'appaltatore, quali che siano le 
componenti ed i titoli delle medesime. 

Le norme che disciplinano l'istituto della i:iserva sono ispirate ad 
una duplice finalit�, in quanto da un lato sono dirette a consentire 
all'amministrazione appaltante la verifica di tutti i fatti producenti spesa 
con l'immediatezza che rende pi� sicuro e meno dispendioso l'accertamento, 
e dall'altro rispondono all'esigenza della continua evidenza della 
spesa dell'opera, in relazione alla corretta utilizzazione ed eventuale 
tempestiva integrazione dei mezzi finanziari all'uopo predisposti, nonch� 
alle possibili determinazioni dell'amministrazione appaltante di fronte 
ad un notevole superamento delle previsioni originarie di spesa, le quali 
possono condurre anche all'esercizio della potest� di risoluzione unilaterale, 
quando l'onere della costruzione dell'opera rischi di divenire troppo 
pesante per la collettivit� in relazione alla sua utilit�. � indubbio perci�, 
che la necessit� della riserva sorge ogni qualvolta si verifichi una situazione 
suscettibile di risolversi in danno, o di provocare, comunque, un 
aumento di spesa. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

E poich� i � fatti producenti spesa � non si esauriscono, ovviamente, 
negli allibramenti delle partite dei lavori e delle somministrazioni dell'appaltatore, 
ma riguardano anche richieste di ulteriori compensi e indennizzi 
per i lavori eseguiti, qualunque ne sia il titolo, la necessit� dell'immediata 
riserva va collegata all'inerenza di quei fatti all'esecuzione dell'opera, 
rimanendone esclusi solo quelli che siano il prodotto di un'attivit� del 
tutto scissa e contraria ai fini della gestione dell'appalto, o quelli che, 
costituendo fatti illeciti, abbiano con l'esecuzione dell'opera un legame 
puramente occasionale ed in definitiva siano fonte di responsabilit� 
non contrattuale ma aquiliana. 

Da tali premesse discende l'ineluttabile conseguenza che il verificarsi 
di un evento obiettivamente atipico rispetto all'economia dell'appalto 
faccia scattare l'onere della denuncia dell'appaltatore, concretantesi, poi, 
all'atto della prima firma successiva dei documenti di contabilit� presentatigli 
dall'amministrazione appaltante, nella specifica riserva delle 
sue pretese. 

I 

Anche i compensi dovuti all'appaltatore per danni cagionati da forza 
maggiore, in quanto incidenti sulla spesa complessiva dell'opera, sono 
pertanto soggetti alla disciplina generale relativa all'onere della riserva 
e, del resto,� 10 stesso appaltatore ritenne di essere tenuto a formularla, 

l 

! �

tant'� che vi provvide all'atto della firma della contabilit� finale. La 
questione attiene, perci�, non tanto alla sussistenza in concreto di tale 
onere, quanto al momento del suo sorgere. 

I ~ 

Al riguardo non pu� prescindersi dal considerare che, secondo quanto 
disposto dagli artt. 36 e 37 del regolamento per la direzione, contabilit� 
e collaudazione dei lavori dello Stato di competenza del Ministero dei 
lavori pubblici (r.d. 25 maggio 1895, n. 350), pacificamente applicabile 
anche agli appalti conclusi dalla Regione siciliana (Cass. n. 1962 del 

i 
1971), la contabilit� di un'opera ha per oggetto l'accertamento e la registrazione 
di tutti i fatti producenti spesa, la cui contabilit� deve proce


I

dere di pari passo al loro avvenimento (artt. 36 e 37). 

� quindi da escludere che possa sorgere il diritto a compensi non 
risultanti dal registro di contabilit�, e, argomentando a contrario, deve 
affermarsi che in relazione alle pretese estranee alla contabilizzazione 
formale sorge l'onere della riserva immediata, la quale non pu� essere 
differita al momento della firma del conto finale poich�, per espressa 
disposizione dell'art. 64 del citato decreto, in esso l'appaltatore non pu� 
iscrivere domande per oggetto o per importo diverse da que1le formulate 
nel registro di contabilit� durante lo svolgimento dei lavori. 

N� pu� avere rilevanza che nella fattispecie l'appaltatore avesse provveduto 
alla denunzia dei danni, come previsto dall'art. 25 del citato 
regolamento e dall'art. 28 del capitolato generale (d.m. 28 maggio 1895), 
poich� tale denunzia, non contenendo gli elementi necessari per quanti( 
:: 

f 

ficare la pretesa al compenso, non poteva sostituire la riserva da inserire I. 

f:
j: 
f:
I: 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

in contabilit�, n� assolvere alla funzione ad essa attribuita dalla normativa 
sugli appalti pubblici. 

La sentenza appellata si � attenuta puntualmente a tali princ1p1 e, 
partendo dall'affermazione del carattere generale dell'istituto della riserva, 
ha giustamente asserito che le registrazioni contabili relative ai lavori 
di riparazione conseguenti ai danni di cui trattasi dovevano essere 
effettuate 1subito dopo l'esecuzione delle opere, con la conseguenza che 
l'onere della riserva sorgeva per il fatto che mancasse la relativa contabilizzazione 
ovvero che su di essa fossero sorte delle contestazioni. 

La decisione della Corte del merito � dunque corretta sotto il profilo 
giuridico ed, avendo preso in considerazione tutte le circostanze di fatto 
influenti sulla decisione, appare incensurabile anche sotto il profilo della 
motivazione. 

Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce difetto assoluto 
di motivazione su elemento !decisivo della controversia nonch� violazione 
e falsa applicazione degli artt. 1965 e seguenti cod. civ., in relazione all'art. 
360, primo comma, n. 3 e 5 cod. proc. civ. Sostiene, al riguardo, 
che nella �sentenza impugnata si sia frettolosamente negato il riconoscimento 
dell'avvenuta rinuncia, da parte dell'Assessorato committente, 
all'eccezione di tardivit� della riserva per i danni da forza maggiore, 
contenuta nella nota del maggio 1974, relativa a <liquidazione parziale 
della riserva, e si duole che il documento sia stato qualificato, in modo 
del tutto insufficiente e superficiale, come � offerta di transazione �, laddove 
esso conteneva una valutazione nel merito delle richieste dell'appaltatore. 


Anche tale censura � del tutto infondata. La corte del merito ha 

portato la sua indagine sulla natura del documento citato dal ricorrente 

e, ponendo in evidenza che esso conteneva una proposta di transazione su 

tutte le pretese avanzate dall'appaltatore e non un puro e semplice 

riconoscimento del diritto ai maggiori compensi rper i danni da forza 

maggiore, ha escluso che implicasse una rinunzia ad avvalersi della 

decadenza conseguente alla intempestiva formulazione della riserva rela


tiva alle pretese in oggetto. 

In tal modo la sentenza impugnata si � uniformata alla giurisprudenza 

di questa oorte che, pur riconoscendo la possibilit� di rinunzia della 

pubblica amministrazione appaltante al diritto di far valere la decadenza 

nella quale sia incorso l'appaltatore per non avere inserito nel registro 

di contabilit� le riserve che intendeva formulare, ha affermato che il 

relativo accertamento spetta al giudice del merito ed � incensurabile 

in sede di cassazione se sorretto da congrua motivazione, immune da 

vizi logici e gi�ridici ~Cass. n. 677 del 1973; 2015 del 1977). 

Nella fattispecie l'accertamento della corte palermitana sulla natura 

giuridica del documento suindicato � sorretto da motivazione ineccepibile 

~ul piano logico giuridico ed � perci� incensurabile in questa sede, tanto 


776 RASSF.GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

pi� che gi� in precedenza questa corte, pronunziandosi su una fattispecie 
analoga, aveva affennato che non � ravvisabile un riconoscimento del 
diritto, efficace ad impedire la decadenza, nelil'offerta di una somma da 
parte della pubblica amministrazione, al solo scopo transattivo ed in un 
momento successivo a quello in cui la decadenza dai diritti vantati 
dall'appaltatore si sia gi� verificata (Cass. n. 677 del 1973). 

Con il terzo motivo il ricorrente principale denunzia la violazione e 
falsa applicazione degli artt. 1226 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., 40 del 
capitolato generale 28 maggio 1895 e 35 del capitolato generale 16 luglio 
1962, n. 1063, nonch� contraddittoria e insufficiente motivazione, con 
riferimento all'art. 360, prim.o comma, n. 3 e 5, cod. proc. civ. 

Deduce, sotto un primo profilo, che 111el determinare la rivalutazione 
degli importi riconosciuti ed originati dai ritardi colpevoli dell'Amministrazione, 
la sentenza d'appello ha fatto erroneamente ricorso, per di pi� 
immotivatamente, all'equit�, senza considerare che tale criterio non � 
consentito quando esistono, come nel caso, dati seri, reali e concreti 
di valutazione e quantificazione, quali, ad esempio, gli indici ISTAT 
dotati di notoriet� e caratterizzati da runa applicazione ormai generailizzata. 


I

Tale censura � fondata, nei limiti di cui alle considerazioni che @ 
seguono. 
� da premettere, illl punto di fatto, che la rata di saldo fu pagata ~ all'appaltatore il 7 aprile 1971, anzich� alla regolare scadenza del 2 ago


I

sto 1963. La Corte del merito, dopo avere accertato e ritenuto che tale 
ritardo era imputabile a colpa grave dell'Amministrazione, ha riconosciuto 
il diritto dello stesso appaltatore ad ottenere il risarcimento del 
danno derivatogliene, da liquidarsi nella misura della svalutazione monetaria 
nel frattempo verificatasi. Ha poi considerato che, essendo inter


Ivenuta in quel periodo, per nozioni di comune esperienza, una svaluta


ffi

zione del 15 %, la somma originariamente dovuta, pari a lire 3.632.000, 
aveva subito una svalutazione ammontante a lire 544.680, che costituiva 
il danno verificatosi fino alla data di pagamento della rata cli saldo; 
ha infine rivalutato detta somma per adeguarla al deprezzamento subito 
dalla moneta fino alla data della sentenza e, ponendo a base del calcolo 
un indice di svalutazione del 60 %, ha liquidato il danno in complessive 
Hre 871.680. 

Altra fonte di danno � stata individuata nel fatto che, in considerazione 
del protrarsi del collaudo, l'appaltatore aveva dovuto rinnovare 
fino al 7 aprile 1971 la fideiussione sostitutiva della cauzione, subendo 
l'onere del pagamento dei relativi premi. Anche a tale riguardo � stata 
attribuita rilevanza alla svalutazione monetaria verificatasi dopo il 2 agosto 
1963, ed � stato riconosciuto l'obbligo dell'Amministrazione cli rimborsare 
detti premi, con la rivalutazione in misura pari al 100 % della 
somma complessiva dovuta. 


PARTB I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE BD APPALTI PUBBLICI 

� facile rilevare che la corte del merito ha rivalutato i due crediti con 
criteri diversi, pur prendendo in considerazione la svalutazione relativa 
allo stesso periodo di tempo e riferendosi ad indici di svalutazione indicati 
come notori. La dififerenza inerente al procedimento adottato �, 
infatti, irrilevante, poich� in entrambi i casi l'indice finale coin[>lessivo 
sarebbe dovuto essere identico, anche se per il primo credito si � proceduto 
applicando prima gli indici relativi a due periodi contigui e pervenendo 
poi ad una sintesi unitaria complessiva con un'operazione aritmetica 
effettuata sui risultati parziali cos� ottenuti, mentre per il secondo 
si � proceduto ad una rivalutazione complessiva mediante un indice 
unico. 

Tale divergenza di risultato non ha una spiegazione logica poich� 
l'indice finale di svalutazione riferito ad una determinata quantit� di 
moneta non pu� che essere identico, se riferito allo stesso periodo, sia 
considerando la diminuzione complessiva di potere d'acquisto mediante 
un'unica operazione aritmetica, sia calcolandola separatamente per periodi 
diversi e componendo alla fine i risultati delle due operazioni. 

La corte del merito � pervenuta, invece, a conclusioni non accettabili 
poich� ha rivalutato U secondo credito applicando un indice del 100 %, 
che � nettamente superiore a quello risultante dalla composizione dei due 
indici aipplicati in relazione al primo credito. In tale incongruenza � 
ravvisabile il vizio di contradditoriet� di motivazione poich�, se � vero 
che la Inisura della svalutazione monetaria e la relativa determinazione 
attengono all'esercizio di un potere discrezionale del giudice del merito, 
il quale, nell'avvalersene, non � tenuto ad indicare gli elementi sui quali 
esse si fondano, avendo egli la facolt� e non l'obbligo di riferirsi ai 
coefficienti dell'istituto di �statistica e potendo, discrezionalmente, limitarsi 
ad utilizzarli orientativamente, per una valutazione globale e forfettaria 
alla stregua delle nozioni di comune esperienza (Cass. n. 899, 1084 
e 4568 del 1982), � altrettanto vero che pecca di illogicit�, e diventa conseguentemente 
censurabile in sede di legittimit�, l'applicazione di indici 
di svalutazione diversi con riferimento allo stesso periodo di tempo. 

Nell'ambito dello stesso motivo di gravame, la sentenza impugnata 
viene censurata sotto un altro profilo, in quanto si sostiene che sia stato 
erroneamente applicato, per gli interessi, il tasso del 5 %, anzich� 
quello del 12 %, dovuto in virt� del nuovo capitolato approvato con d.P.R. 
16 luglio 1962, n. 1063, avente valore dichiarativo e non costitutivo. 

Tale doglianza non � fondata. La corte del merito ha giustamente 
rilevato che alla fattispecie sono applicabili le disposizioni del vecchio 
capitolato generale del 1895, il cui art. 40 prevede il diritto dell'appaltatore 
a percepire l'interesse del 5 % per i ritardi nei pagamenti delle 
somme dovutegli, ed ha correttamente determinato il tasso di interesse 
in tale misura. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il richiamo al nuovo capitolato generale � del tutto arbitrario poich� 
il contratto d'appalto venne concluso prima della sua entrata in vigore e 
non poteva perci� disciplinarlo in alcun modo. Occorre infatti considerare 
che le clausole del capitolato generale hanno natura contrattuale 
quando siano richiamate ed applicate in contratti riguardanti Enti diversi 
dello Stato, ed in tal caso, essendo oggetto di un rinvio non formale ma 
recettizio, ,diventano parte integrante del contenuto del contratto e restano 
insensibili allo jus superveniens. Tali principi sono applicabili anche nei 
confronti della Regione siciliana, essendo essa un Ente �diverso dallo 
Stato, e sono ormai pacifici nella giurisprudenza di questa Suprema 
Corte, la quale si � gi� pronunziata nel senso che le norme del capitolato 
generale per le opere pubbliche si applicano ai contratti di appalto 
stipulati dalla Regione siciliana solo lin quanto i contraenti le abbiano 
richiamate. Dal carattere negoziale del richiamo deriva che, sopravvenuta 
l'emanazione di un nuovo capitolato, le disposizioni innovative �di questo 
non si applicano ai contratti stipulati dall� Regione con riferimento al 
vecchio capitolato (Cass. n. 1274 del 1970, n. 528 del 1967; n. 710 del 
1969). 

Sulla base di tale orientamento, dal quale non vi � motivo per discostarsi, 
va 'approvata la conclusione della corte del merito, secondo cui 
l'appaltatore non poteva pretendere un interesse superiore al tasso 
del 5 %. 

Passando ora all'esame del ricorso <incidentale, deve rilevarsi che con 
il primo motivo si deduce violazione degli artt. 1277 e 1224 cod. civ. 
e dei principi in tema di inadempimento di obbligazioni pecuniare. 
Si sostiene, al riguardo, che la corte del merito sarebbe caduta in errore 
nel pronunziare condanna al pagamento degli interessi sulle somme liquidate 
a titolo di danni da svalutazione monetaria, in quanto gli stessi, 
avendo natura di interessi corrispettivi, possono competere solo dalla 
data della pronuncia della sentenza e non da quella della mora o 
della domanda. 

Tale censura non � fondata. 

La doglianza non tiene conto del fatto che trattavasi di interessi compensativi, 
i quali -come � noto -sono dovuti per indennizzare il 
creditore della mancata disponibilit� della somma dovutagli, di per s� 
idonea a determinare un incremento patrimoniale, ed hanno una funzione 
diversa dalla rivalutazione della somma da liquidarsi a titolo 
di risarcimento del danno, la quale mira unicamente a ripristinare 
la situazione patrimoniale del danneggiato quale essa era prima del 
fatto generatore del danno ed a porlo nelle condizioni in cui si sarebbe 
trovato se l'evento dannoso non si fosse verificato. Nella fattispecie non 
pu� perci� farsi riferimento ai principi che regolano gli interessi moratori 

o corrispettivi ed occorre invece riaffermare il pincipio, ormai consolidato 
in giurisprudenza, secondo cui sulla somma liquidata a titolo di 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

danno sia da inadempimento (contrattuale) che da illecito (extracontrattuale) 
-determinata tenendo conto della svalutazione monetaria nel 
frattempo intervenuta -'spettano di pieno diritto gli interessi, aventi 
natura compensativa .(v. per tutte Cass. n. 303 del 1982, m F. lt. 1983, 
I, 427; 2579 del 1981). 

La sentenza impugnata, che ha qualificato espressamente come compensativi 
gli interessi liquidati a favore del Giudici sulle somme attribuitegli 
a titolo di danni da svalutazione monetaria, appare perci� giuridicamente 
corretta e non merita censura. 

Con il secondo motivo, condizionato all'accoglimento del terzo motivo 
del ricorso principale, il ricorrente incidentale denunzia mancanza e 
contraddittoriet� di motivazione su un punto decisivo (art. 360 n. 5, 
cod. proc. civ.), deducendo che nel calcolo del danno conseguente al 
ritardo nella restituzione dei premi di rinnovo della fideiussiohe non 
poteva essere considerata !!.'intera somma gi� dovuta alla data del 2 agosto 
1963, e avrebbe dovuto essere invece accertata la data di pagamento 
di ogni rata del premio, per le conseguenze da trarsene in ordine 
alla determinazione del coefficiente di svalutazione monetaria. 

Tale censura � fondata. 

La Corte del merito, dopo aver accertato che i� Giudici aveva subito 
danni da svalutazione monetaria a causa del mancato rimborso dei maggiori 
premi di rinnovo de1la polizza fideiussoria erogati a causa del 
ritardo nel collaudo, ha ritenuto che per Ia loro liquidazione dovesse 
calcolarsi il tasso di svalutazione verificatosi tra il 2 agosto 1963 e la 
data della sentenza e lo ha determinato nel 100 %. 

Siffatto ragionamento non sfugge alle critiche formulate con il motivo 
in esame poich� non tiene conto della circostanza determinante che 
non si � accertato se il rinnovo della fideiussione sia avvenuto nel 1963 
con effetti fino al 1971 (come appare poco probabile), o se vi siano stati 
successivi rinnovi in concomitanza col passare degli anni senza che 
la fideiussione fosse stata svincolata. Con riferimento a tale seconda 
ipotesi � ovvio che il danno si sarebbe verificato non rinstantaneamente ma 
in tempi diversi e success~vi, con evidente influenza sulla liquidazione 
poich�, trattandosi di danno da svalutazione monetaria, avrebbe dovuto 
proceders.i all'accertamento della data di pagamento d'ogni rata di premio, 
per calcolare poi la svalutazione vericatasi fra le singole scadenze 
e la data della sentenza. 

I giudici del merito hanno omesso l'inda~ine necessaria per addivenire 
ad una liquidazione del danno di cui trattasi secondo corretti criteri 
giuridici, e sono perci� incorsi nel denunziato vizio di motivazione. 

(omissis). 


SEZIONE OTTAVA 
GIURISPRUDENZA PENALE 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III pen., 19 maggio 1983, n. 390 � Pres. 
Radaelli � Est. Visalli -Imp. Carlo Ponti ed altri � Rie. P.G. e parti 
civili Ministero del Tesoro e Ufficio Italiano Cambi (avv. dello Stato 
Ugo Fienga). 
Reato -Reati valutari � Delitto previsto dal primo comma dell'art. 1 d.1. 

4 marzo 1976, n. 31 e succ. mod. � Reato comune a soggetto indif


ferente. 

Reato � Reati valutari. � Delitti previsti dal secondo e dal terzo comma 
dell'art. 1 d.I. 4 marzo 1976, n. 31 e succ. mod. � Reati a soggetto 
qualificato. 

Reato � Reati vab:(tari � Nozione di residenza delle persone fisiche ai fini 
valutari � � quella di cui all'art. 1 d.I. 6 giugno 1956, n. 576. 

Il delitto previsto dal primo 1comma dell'art. 1 d.l. 4 marzo 1976, 

n. 31 e succ. mod. � un reato a soggetto indifferente, in quanto punisce 
colui che esporta fuori del territorio dello Stato valuta italiana o estera, 
titoli azionari o obbligazionari, titoli di credito o altri mezzi di pagamento, 
senza la prescritta autorizzazione oppure con putorizzazione illegalmente 
ottenuta, sia esso residente o non residente nel territorio dello 
Stato, con cittadinanza italiana o straniera (1). 
Gli autori dei delitti previsti dal secondo comma (illecita costituzione 
all'estero di disponibilit� valutarie o di attivit� di qualsiasi genere) 
e dal terzo comma (omessa cessione di valuta estera all'Ufficio Italiano 
dei Cambi) dell'art. 1 d.l. 4 marza 1976 n. 31 e succ. mod. devono essere 
� residenti � nel territorio italiano ai fini valutari, essendo irrilevante la 
presenza nella norma del pronome indefinito �chiunque� (2). 

La figura giuridica di� � residente � ai fini valutari trova la sua specificazione 
differenziata all'art. 1 d.l. 6 giugno 1956 n. 476 conv. nella legge 
25 luglio 1956 n. 786, il quale, nell'ambito delle persone fisiche, fa coinci


(1-3) Sulla prima massima v. in giurisprudenza Cass. pen. III, 11 mar� 
zo 1982, n. 2710, rie. Dottor, e n. 27H rie. Zeiske, in Riv. pen. 1982, 1024; Cass. 
pen. Ili, 18 febbraio 1981, rie. Giacomini, in Giust. pen. 1983, Il, 29; Cass. 
pen. Ili, 12 novembre 1980, n. 11912, rie. Vivaldi, in Riv. pen. 1981, 182. In dottrina 
sui principi di cui alle tre massime v. A. DI AMATO, La disciplina penale 
delle infrazioni valutarie, in Giust. pen. 1977, 1, 289; PERRUCCI, Il diritto valutario, 
ed. Zanichelli, 1980; DI STEFANO, Lineamenti del sistema valutario, ed. Giuffr�, 
1980). 


PARTB I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

dere la residenza in senso civilistico (art. 43 cod. civ.) con la residenza 
ai fini valutari solo nel caso di cui al n. 1 (italiano residente in Patria) 
ed in quello di cui al n. 3 (straniero o apolide residente in Italia, limitatamente 
all'attivit� produttrice di redditi quivi esercitata), mentre tale 
coincidenza non prevede nel caso di cui al n. 4 (persona fisica di nazionalit� 
italiana avente la residenza all'estero, limitatamente all'attivit� 
produttrice di redditi esercitata nel territorio della Repubblica) {3). 

(omissis). Ritiene opportuno questo Supremo Collegio accennare brevemente 
alla disciplina vigente in materia valutaria, fa quale, prima 
dell'attuale riordinamento, si presentava m modo frammentario, disorgalll�CO 
e contraddittorio, risentendo della profonda diversit� d'impostazione 
della politica economica, ispirata nel periodo prebellico ad un modello di 
tipo autarchico ed in quello postbellico ad un modello di tipo Uberale 
nei rapporti tra � residenti � e � non residenti � e nell.e transazioni internazionali. 


Molto importanti sono al riguardo le disposizioni emanate col d.l. 
28 luglio 1955 n. 586 sulla negoziazione e cessione di valuta estera allo 
Stato, convertito nella legge 26 settembre 1955 n. 852, e col d.l. 6 giugno 
1956 n. 476 recante � nuove norme valutarie e istituzione di un mercato 
libero di biglietti di Stato e di banca esteri �, convertito nella 
fogge 25 luglio 1956 n. 786, integrati da numerosi decreti ministeriali, 
tutte dirette a consentire ai competenti organi della Pubblica amministrazione 
di attuare, mediante il controllo valutario, il blocco dell'esportazione 
illegittima delle valute e degli aUri mezzi di pagamento, il monopolio 
dei cambi, i monopolio dei mezzi di pagamento internazionali. 

Per le relative violazioni sono previste sanzioni di natura amministrativa, 
che vengono inflitte dal Ministro del Tesoro ovvero, nel caso 
di connessione con un i!llecito penale, dal giudice ordinario. 

I noti eventi verificatisi agli inizi degli anni settanta (inconvertibilit� 
del dolllaro U.S.A., progressivo aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi, 
ecc.) hanno determinato una grave crisi nel campo internazionale 
ed hanno inciso negativamente in modo ancor pi� grave sull'economia 
italiana, che da alcuni anni stava attraversando un periodo di 
forte recessione, caratterizzato da .un rapido aumento del disavanzo con 
l'estero e da un altrettanto rapido processo inflattivo. 

Si � resa, perci�, necessaria ['adozione di mezzi di lotta pi� efficaci 
contro l'esportazione olandestina di capitali ed ogni altra forma di possibile 
depauperamento del patrimonio nazionale, ripristinando le sanzioni 
penali gi� abrogate da oltre un trentennio (legge 18 ottobre 1949 n. 769) 
ed uniformando la legislazione interna a quella gi� esistente neUa maggioranza 
dei Paesi della Comunit� Economica Europea. 

Di conseguenza, nell'arco di circa dieci mesi, sono stati emanati 
il decreto legge 4 marzo 1976 n. 31, contenente disposizioni penali, con



782 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

vertito con modificazioni nella legge 30 aprile 1976 n. 159; il decreto 
legge 10 agosto 1976 n. 543, contenente la fissazione di un termine di 
proroga, convertito con modificazioni nella legge 8 ottobre 1976 n. 689; 
il decreto legge 19 novembre 1976 n. 759, contenente la fissazione di un 
ulteriore termine di proroga, convertito con modificazioni nella legge 
23 dicembre 1976 n. 863. 

Gli obiettivi essenziali che il Legislatore si � prefisso mediante questo 
regime repressivo � quello di scoraggiare l'illegale esportazione di capitali 
e l'illecita costituzione all'estero di disponibilit� o di attivit� di qualsiasi 
genere; di inventariare i beni situati all'estero ed appartenenti direttamente 
o a mezzo inte:riposte persone a � residenti � !in Italia; di acquisire 
alla bilancia valutaria italiana i redditi ,di tali beni e, in prospettiva, H 
corrispettivo di eventuali loro alienazioni. 

E per raggiungere codesti obiettivi ha introdotto nell'ordinamento positivo 
numerose ipotesi di reato, le cui figure pi� gravi (delitti) sono: 

-l'esportazione, senza autorizzazione o con autorizzazione indebitamente 
ottenuta, da parte di � residenti � e di � non residenti � di valuta 
a!1l'estero ovvero di titoli vari traslativi di valuta (art. l, primo comma); 

-la costituzione all'estero, senza autorizzazione o con autorizzazione 
indebitamente ottenuta, da parte di � residenti � di disponibilit� o di 
attivit� di qualsiasi genere (art. l, secondo comma); 

-l'omessa cessione da parte del �residente� all'Ufficio Italiano dei 
Cambi della valuta estera comunque acquisita o detenuta nel territorio 
deHo Stato entro fil termine _di 30 giorni (art. l, terzo comma); 

-la costituzione da parte del � residente � 'di persone giuridiche o 
enti esteri, ovvero l'assunzione di partecipazioni, per far apparire beni 
situati o attivit� realizzate in territorio italiano come appartenenti a 
soggetti �non residenti� (art. 1bis introdotto con l'art. 2 della legge 
di conversione 23 dicembre 1976 n. 863, modificatrice dell'art. 2 della legge 
8 ottobre 1976 n. 689); 

-l'omessa dichiarazione e la mancata cessione con le modalit� e nei 
termini fissati dalla legge delle disponibilit� valutarie e delle attivit� costituite 
all'estero. anteriormente a!l 6 marzo 1976, in violazione delle norme 
valutarie vigenti al momento del fatto, da parte del �residente� avente 
la cittadinanza italiana fino a tale data (art. 2 introdotto con l'art. 3 
della legge di conversione 8 ottobre 1976 n. 689, parzialmente modificato 
dall'art. 3-della legge 23 dicembre 1976 n. 863). 

Ci� premesso e passando all'esame dei motivi di ricorso del Procuratore 
Generale e delle Parti civili, che per la sostanziale identit� di contenuto 
possono essere trattati in un unico, comune contesto, rilevasi 
che i predetti ricorrenti, contro l'opinione espressa dai giudici di primo 
e di secondo grado, hanno affermato che le ipotesi delittuose previste dai 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

primi tre commi dell'art. 1 del d.l. 4 marzo 1976 n. 31 e succ. mod. non 
rientrano nella categoria dei reati propri o a soggetto qualificato, bensi 
in quella dei reati comuni a soggetto indifferente, cio� di quegli illeciti 
penali che possono essere commessi da qualsiasi persona, a prescindere 
dalla sua nazionalit� o dalla sua residenza. 

Osserva questa Corte Suprema che tale assunto pu� essere considerato 
esatto soltanto per il delitto previsto dal primo comma in quanto 
punisce in modo indiscr�iminato colui che esporta fuori del territorio 
dello Stato valuta italiana o estera, titoli azionari o obbligazionari, titoli 
di credito o altri mezzi di pagamento, senza la prescritta autorizzazione 
oppure con un'autorizzazione ottenuta illegalmente. 

Ma per i delitti previsti dal secondo comma (illecita costituzione 
all'estero di disponibilit� valutarie o di attivit� di qualsiasi genere) e dal 
terzo comma (omessa cessione di valuta estera all'Ufficio italiano dei 
cambi) esso � del tutto privo di fondamento, poich� gli autori degli 
stessi devono essere � .residenti � nel territorio italiano ai fini valutari 
a norma dell'art. 1 del d.l. 6 giugno 1956 n. 476, essendo irrilevante l'uso 
improprio (del resto non infrequente) del pronome indefinito �chiunque �. 

Rileva in proposito che la legge valutaria pena[e, anche se non pu� 
essere ritenuta -come da taluno si sostiene -un sistema di norme 
sanzionatorie dei precetti contenuti nella legge valutaria amministrativa, 
�, tuttavia, intimamente collegata con quest'ultima, da cui mutua i principi 
e le fattispecie pi� importanti, donde la necessit� di farvi -riferimento 
per la determinazione del fatto-tipico e, in particolare, per la 
nozione della qualifica di �residente� e di �non residente� nel territorio 
nazionale degli agenti. 

Infatti, per �l'esatta configurazione giuridica dei due reati in esame 
devesi far ricorso alla suddetta normativa, secondo la quale le restrizioni 
valutarie riguardano soltanto i �residenti �. 

E proprio codesta figura giuridica di � residente � ai fini valutari 
-destinatario di gran parte degli obblighi imposti dalla particolare 
materia -trova fa sua specificazione differenziata nell'art. 1 del d.l. 
6 giugno 1956 n. 476, convertito nella legge 25 luglio 1956 n. 786, il quale 
nell'ambito delle persone fisiche, ne fa coincidere la residenza in senso 
civilistico (art. 43 cod. civ.) con Ja residenza ai fini valutari solo nel 
caso di cui ail n. 1 (italiano residente in Patria) ed in quello di cui al n. 3 
(straniero o apolide residente in Italia, limitatamente all'attivit� produttrice 
di .redditi quivi esercitata), mentre la esclude nel caso di cui 
al n. 4 (italiano residente all'estero limitatamente all'attivit� produttrice 
dei redditi esercitata nel territorio della Repubblica). 

All'odierna pubblica udienza il concludente Procuratore Generale ha 
acutamente sostenuto la tesi, meritevole di ogni considerazione, della 
diversit� di posizione espressamente stabilita dall'art. 1 n. 3 del decreto 
in questione delle persone fisiche di nazionalit� straniera e degli apolidi, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tutti naturalmente in quanto esercenti una attivit� produttrice di redditi 
in Italia, assumendo che l'ulteriore requisito della � residenza� nel 
territorio dello Stato � richiesto soltanto per gli apolidi e non anche 
per i primi, illustrando con ampi riferimenti legislativi la fondatezza 
di tale interpretazione. 

Questo Supremo Collegio non ritiene, per�, di poterne condividere 
l'opinione, posto che la � ratio � della norma e l'armonia del sistema 
non lo consentono, attesa l'esigenza di equiparare entrambe le suddette 
categorie di persone di nazionalit� non italiana, limitapdo l'attribuzione 
ad esse della residenza valutaria in Italia in relazione ad un fatto ben 
pi� rilevante per l'assunzione di oneri ed obblighi valutari che non la 
semplice e, talvolta, solo occasionale produzione di un reddito in Italia. 

Lo prova ulteriormente la circostanza che, accogliendo la tesi contraria, 
verrebbe meno ogni differenza, sempre ai fini della � residenza 
valutaria � nel territorio dello Stato, tra la persona .fisica di nazionalit� 
straniera, di cui all'art. 1 n. 3, e la persona fisica di nazionalit� italiana 
aivente la residenza a!ll'estero, di cui all'art. 1 n. 4 del decreto n. 476/56. 

Ritornando alla nozione di � residenza �, osservasi che, poich� l'art. 1 

n. 3 di quest'ultimo provvedimento, al fine di delimitare convenzionalmente 
la cosiddetta residenza valutaria dello straniero, si richiama alla 
� residenza� intesa manifestamente come concetto 1gi� acquisito all'ordinamento, 
non v'ha dubbio che esso intenda riferirsi a quella accolta 
dall'art. 43 cod. civ., cos� come � stato correttamente ritenuto da entrambi 
i giudici di merito. 
Tuttavia ;proprio nella materia valutaria, una volta stabilito tale 
principio, occorre determinare per la valutazione dei fatti e della situazione 
dell'imputato Carlo Ponti i criteri generali da seguire in sede 
di merito, criteri dei quali, invece, la sentenza impugnata non ha tenuto 
conto, pur essendo i medesimi gi� recepiti dalla giurisprudenza delle 
Sezioni civili di questa Corte in tema, appunto, di residenza. 

Si osserva iin primo luogo che, come � pacifico in causa, il Ponti, 
gi� cittadino italiano, ha acquistato la cittadinanza francese nell'anno 
1965, continuando a mantenere la propria abitazione a Marino, localit� 
posta nei pressi di Roma, dalla quale. -secondo le sue dichiarazioni si 
sarebbe successivamente allontanato trasferendo all'estero la residenza 
per sottrarsi a concrete intimidazioni ricattatorie. 

Orbene, se ci� � �vero, bisogna in ogni modo tener presente che l'aver 
abbandonato come persona fisica, unitamente ai �suoi due familiari (la 
moglie ed il figlio), l'abitazione di Marino, non comporta ancora, di per 
s�, che egli abbia trasferito �all'estero la propria residenza, posto che 
abbia mantenuto in Italia il centro effettivo delle sue attivit�, delle sue 
relazioni, dei suoi interessi. 

tt dato, anzi, desumere in linea di diritto dall'art. 44 cod. civ. un 
criterio presuntivo e probatorio, che tale norma detta bens� per i 

i

fo 

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f.: 

I 1: 
f: 


PARTE I, SEZ, VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

rapporti privatistici coi terzi di buona fede, ma che ha una portata ed 
una ispirazione di carattere pi� generale, la quale cosi si pu� sinteticamente 
esprimere: la residenza precedentemente possedut� e provata 
va ritenuta anche per il tempo successivo, se non si dimostri, con 
un rigore cui si sottraggono le semplici dichiarazioni e fo documentazioni 
anagrafiche, che i precedenti elementi costitutivi di essa -quelli 
che la motivano anche da un punto di vista intenzionale -siano sensibilmente 
mutati. 

Inoltre, stante la rilevanza amministrativa e penale della residenza, 
unitamente alla cittadinanza, nella materia valutaria -cosi come questa 
Corte Suprema ha gi� ritenuto anche in altre materie (cfr.: Sez. I civ., 
sentenza 28 ottobre 1978 n. 4926; Sez. I, sentenza 13 dicembre 1978 n. 5919; 
Sez. I, sentenza 22 dicembre 1978 n. 6152) -comprensibili ragioni di 
sospetto che si tratti di uno stratagemma per eludere la normativa valutaria 
del 1956 e quella del 1976, inducono a richiedere la prova rigorosa 
che il trasferimento affermato sia serio, duraturo ed effettivo; pertanto 
il giudice di merito deve dare conto di essa con adeguata motivazione, 
la quale, nella specie, � manchevole per quanto riguarda le dichiarazioni 
dei testimoni addotti dalla parte. 

Al riguardo questo Collegio ha sempre affermato in sede civile la 
scarsa o nulla rilevanza di assenze reiterate e prolungate dal luogo di 
residenza ipotizzato, che vanno valutate nella situazione concreta e poste 
in relazione con talune esigenze della vita moderna; nel caso in esame 
non si pu� non tenere nel debito conto .la probabile pluralit� delle sedi 
di produzione e di gestione degli affari, che emerge dalla stessa sentenza 
censurata, cos� che H requisito della abitualit� non pu� essere valutato 
solo in base all'elemento fisico e temporale, ma deve essere considerato 
soprattutto in relazione agli altri elementi che concorrono a 
provare la permanenza dell'elemento soggettivo ed il rinnovato rapporto 
di fatto con il luogo della precedente dimora abitu~e {cfr.: Sez. I civ., 
sentenza 26 ottobre 1%8 n. 3586). 

La Corte di merito, poi, nel ritenere provata la residenza del Ponti 
all'estero, hon ha considerato, oltre ai criteri suesposti, anche altre 
circostanze rilevanti, che emergono dalla sentenza stessa, fra cui: l'aver 
il Ponti mantenuto in Italia cospicue relazioni d'affari e notevoli interessi 
economici; l'aver -a quanto sembra -conservato, nonostante 
tutto, una ben efficiente organizzazione abitativa a Marino (dipendente 
dalla S.p.A. �Immobiliare Villa Sara�, eon sede in Roma) e non semplicemente 
dei vani spogli e disabitati; l'aver data eccessiva �importanza, in 
relazione agli altri elementi di localizzazione della dimora, alle non prolungate 
sue permanenze al Grand Hotel di Roma. 

Ancora in relazione alla materia valutaria va pure rilevato che, per 
provare la residenza in Italia ovvero il suo avvenuto ed effettivo trasferimento 
all'estero, non costituisce � luogo della dimora abituale �, ai 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO 

sensi e per gli effetti del citato art. 43 cod. c~v., il comune singolo (per 
esempio quello di Marino o quello di Roma), bens� l'intero ambito locale 
in cui una persona dotata di particolare mobilit� per varie ragioni pu� 
aver in periodi diversi dimorato, cos� da dover considerare, di fatto, 
detto ambito in modo unitario, indifferente essendo, in situazioni di tal 
genere, anche la mancanza di una vera e propria abitazione fissa. 

Devesi ultel'iormente osservare, nella presente materia valutaria e con 
riferimento anche ai criteri di valutazione da valere nella specie, che, in 
linea puramente teorica ed astratta, non sarebbe necessario dare prova 
compiuta e positiva del luogo in cui lo straniero o l'apolide risiede, ove 
si potesse comunque esoludere con certezza che egli risieda in Italia; 
tuttavia, in difetto di codesta certezza, come nella presente fattispecie, 
e nella esigenza di dover partire dalla presunzione legata per il passato 
ad una opposta certezza, occorre dimostrare che il soggetto ha realmente 
spostato in altro luogo determinato il centro delle sue relazioni e dei suoi 
interessi (cfr. da ultimo: Sez. I, sentenza 23 febbraio 1977 n. 792). 

Va ancora tenuto presente che indubbiamente il luogo in cui dimorano 
il coniuge ed i pi� stretti familiari dev'essere considerato in tutta 
la sua efficacia probatoria ai fini, appunto, della individuazione della 
dimora abituale dell'interessato; ci� non toglie, per�, che per le ricordate 
particolarissime esigenze della vita moderna, come la complessit� degli 
affari del Ponti e l'attivit� artistica ben nota di sua moglie (in arte 
Sophia Loren), fa sede della famiglia possa perdere molto della sua pur 
normale importanza ed assumere un carattere del tutto secondario, sia 
in linea di fatto che sul piano della prova, rispetto alla sede o alle sedi 
effettive di svolgimento personale delle rispettive attivit� professionali 
e lavorative. 

In definitiva, posto il primo e precipuo criterio presuntivo sopra 
richiamato con riguardo al luogo certo e pacifico della precedente residenza 
del Ponti, non pu� escludersi che non si abbia prova altrettanto 
certa dell'avvenuto trasferimento del luogo (preferenziale) in cui egli 
coltiva le proprie relazioni ed i propri interessi: in tal caso appare evidente 
che in realt� nessun trasferimento si � verificato, con tutte le conseguenze 
che da questa circostanza devono essere tratte. 

Tutto ci� premesso e precisato, pur non meritando censura la sentenza 
impugnata sul punto di diritto concernente H concetto di � residenza 
ai fini valutari �, il primo motivo denunciato nel ricorso del Procuratore 
Generale merita, tuttavia, accoglimento, se non negli stessi termini 
come sviluppati dal ricorrente, per aver comunque trascurato !i sopra 
esposti criteri valutativi del preteso trasferimento di residenza del Ponti 
all'estero, particolarmente rilevanti in relazione alle violazioni valutarie 
contestate, e per vizio conseguente della motivazione. 

A tali criteri la Corte di rinvio dovr� attenersi ai sensi dell'art. 544 
cod. proc. pen. nel valutare il pi� che abbondante materiale probatorio 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

gi� acquisito, con queHa urgenza richiesta daH'opportunit� di giungere 
ad una rapida decisione definitiva di merito. 

Analogo rinvio va disposto, altres�, per le censure mosse dal Pubblico 
miri.istero e dalle Parti civili alla sentenza de qua sul punto relativo 
all'esercizio dell'attivit� produttrice di redditi in Italia, che vengono 
pienamente condivise. 

Nel corso dell'odierna pubblica discussione i difensori hanno sostenuto 
che il Ponti non era un socio di rango o socio sovrano della 

S.p.A. � Champion '" giacch� questa aveva sempre operato nelle forme 
statutarie ed attraverso la sua organizzazione: a tale rilievo si oppone 
la considerazione che nel processo si discute, invece, se l'impresa 
societaria fosse, al di l� delle sue strutture organizzative, interamente 
gestita di fatto dal predetto imputato. Appare, perci�, necessario che 
al riguardo il giudice conduca un'opportuna ed approfondita indagine 
sulle relative emergenze processuali, indagine per nulla affatto espletata 
dal giudice di appello, avendo ritenuto che l'attivit� produttrice di 
reddito esercitata in Italia facesse capo esclusivamente al soggetto formalmente 
operante, senza alcun legame con il Ponti. 
Assieme alla posizione di quest'ultimo vanno riesaminate quelle degli 
imputati concorrenti Van Daalen Robert e Baldini Giorgio nei limiti 
delle rispettive imputazioni, tenendo presente che il solo Baldini � stato 
assolto in sede di appello dal delitto d'illecita costituzione all'estero 
della somma �di L. 75.059.468 per insussistenza del fatto e che tale decisione 
� divenuta irrevocabile non essendo stata gravata di ricorso per 
cassazione. 

Va, infine, posta in evidenza l'esattezza sul piano giuridico delle argomentazioni 
svolte con i relativi motiv�i di impugnazione in ordine agli 
obblighi derivanti dal rapporto di avallo cambiario (e non di girata) 
sottoscritto dal Ponti, nel caso ne venisse riconosciuta la sua qualit� 
di � residente " nel territorio dello Stato ai fini valutari. 

Concludendo, in accoglimento dei ricorsi del Procuratore Generale 
della Repubblica di Roma e delle due Parti civili limitatamente ai denunciati 
vizi di motivazione, la sentenza impugnata deve essere annullata per 
difetto di motivazione con rinvio degli atti relativi ad altra Sezione della 
Corte di Appello di Roma per un nuovo giudizio. (omissis) 


PARTE SECONDA 



LEGISLAZIONE 


I � NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice di procedura civile, art. 419 (sub art. 1 della legge 11 agosto 1973, 

n. 533), nella parte in cui, ove un terzo spieghi intervento volontario, non attri� 
buisce al giudice il potere dovere fissare -con il rispetto del termine di cui 
all'art. 415, quinto comma (elevabile a quaranta giorni allorquando la notificazione 
ad alcuna delle parti originarie contumaci debba effettuarsi all'estero) una 
nuova udienza, non meno di dieci giorni prima della quale potranno le 
parti originarie depositare memoria, e di disporre che, entro cinque giorni, 
siano notificati alle parti originarie il provvedimento di fissazione e la memoria 
dell'interveniente, e che sia notificato a quest'ultimo il provvedimento di fissa� 
zione della nuova udienza. 
Sentenza 29 giugno 1983, n. 193, 'G. U. 6 luglio 1983, n. 184. 

codice penale, artt. 204, secondo comma e 219, primo comma, nella parte 
in cui non subordinano il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di 
custodia dell'imputato condannato per delitto non colposo ad una pena diminuita 
per cagione di infermit� psichica al previo accertamento da parte del 
giudice della persistente pericolosit� sociale derivante dall'infermit� medesima, 
al tempo dell'applicazione della misura di sicurezza. 

Sentenza 28 luglio 1983, n. 249, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

codice penale, art. 219, secondo comma, nella parte in cui non subordina 
il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell'imputato 
condannato ad una pena diminuita per cagione di infermit� psichica per un 
delitto per il quale � stabilita dalla legge la pena dell'ergastolo o della reclusione 
non inferiore nel minimo a dieci anni, al previo accertamento da parte 
del giudice della persistente pericolosit� sociale derivante dall'infermit� medesima, 
al tempo dell'applicazione della misura di sicurezza. 

Sentenza 28 luglio 1983, n. 249, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

codice di procedura penale, art. 387, terzo comma, nella parte in cui esclude 
il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, 
comma secondo, codice di procedura penale, avverso la sentenza del giudice 
istruttore, che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o prescrizione. 


Sentenza 21 luglio 1983, n. 224, G. U. 21 luglio 1983, n. 205. 

codice di procedura penale, art. 399, primo comma, nella parte in cui esclude 
il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'articolo 
152, comma secondo, codice di procedura penale, avverso la sentenza del 
pretore, che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o prescrizione. 


Sentenza 21 luglio 1983, n. 224, G. U. 27 luglio, 1983, n. 205. 

14 



78 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

codice di procedura penale, artt. 512, n. 2, e 513, n. 2 [come sostituiti dagli 
artt. 134 e 135 legge 24 novembre 1981, n. 689], nelle parti in cui escludono il 
diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, 
comma secondo, codice di procedura penale, avverso la sentenza del pretore, 
del tribunale e della corte di assise che lo abbia prosciolto per estinzione del 
reato per amnistia o prescrizione. 

Sentenza 21 luglio .1983, n. 224, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

r.d.I. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9 [convertito con modif. in legge 27 maggi0> 
1935, n. 835] nella parte in cui sottrae alla competenza del tribunale per i 
minorenni i procedimenti penali a carico di minori coimputati con maggiorenni 
per concorso nello stesso reato. 
Sentenza 19 luglio 1983, n. 222, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

ordinamento della Cassa di previdenza per le �pensioni agli impiegati degli 
enti locali, approvato con r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, art. 61, quarto comma 
[convertito in legge 9 gennaio 1939, n. 41], nella seconda parte, che inizia con 
le parole � Il provvedimento di cessazione � e termina con le parole � presente 
ordinamento �. 

Sentenza 5 ottobre 1983, n. 288, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. 

r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 53, nella parte in cui consente di scegliere 
nei procedimenti penali davanti ai tribunali militari territoriali i difensori tra 
gli ufficiali inferiori in servizio. 
Sentenza 20 ottobre 1983, n. 320, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. 

legge 26 gennaio 1942, n. 37, art. 1, nella parte in cui non comprende nel 
personale addetto ai servizi delle imposte di fabbricazione e dei laboratori 
chimici delle dogane e delle imposte indirette, avente diritto alla iscrizione al 
Fondo di previdenza, anche gli impiegati non di ruolo. 

Sentenza 18 ottobre 1983, n. 308, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. 

legge 17 luglio 1942, n. 907, art. 108, primo comma, relativamente alle parole: 
� ovvero quando si tratta di straniero che non d� idonea cauzione o malleveria 
per il pagamento delle multe o delle ammende �. 

Sentenza 18 luglio 1983, n. 215, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

legge 17 luglio 1942, n. 907, art. 108, secondo comma, relativamente alle parole: 
� o, trattandosi di straniero, fino a che questi non ha prestato la cauzione 

o la malleveria �. 
Sentenza 18 luglio 1983, n. 215, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

legge 5 dice:rnbre 1959, n. 1077, art. 18, primo comma. 

Sentenza 10 ottobre 1983, n. 302, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332, primo comma, relativamente alle pa~ 
role: � ovvero quando si tratta di straniero che non d� idonea cauzione o 
malleveria per il pagamento delle multe e delle ammende �. 
Sentenza 18 luglio 1983, n. 215, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 



INDICE DELLA LEGISLAZIONE 

d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332, secondo comma, relativamente alle 
parole: � o, trattandosi di straniero, fino a che questi non ha pagato la cauzione 
o la malleveria�, 
Sentenza 18 luglio 1983, n. 215, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma, nella parte in cui 
comporta che l'accertamento dell'imposta divenuto definitivo in conseguenza 
della decisione di una commissione tributaria vincoli il giudice penale, nella 
cognizione dei reati previsti in materia di imposte sui redditi, contestati a chi 
sia rimasto estraneo al giudizio tributario, perch� non posto in condizioni di 
intervenirvi o di parteciparvi. 
Sentenza 28 luglio 1983, n, 247, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54, nella parte in cui non prevede la possi" 
bilit� di concedere anche al condannato all'ergastolo la riduzione di pena, 
ai soli fini del computo della quantit� di pena cos� detratta nella quantit� 
scontata, richiesta per l'ammissione alla liberazione condizionale. 

Sentenza 27 settembre 1983, n. 274, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. 

legge 2 maggio 1976, n. 183, art. 6, quinto, ottavo e nono comma, nella parte 
in cui prevede il trasferimento alle regioni Sicilia e Sardegna del personale 
periferico della Cassa per il Mezzogiorno con decreto del Ministro per gli 
interventi straordinari nel Mezzogiorno. 

Sentenza 25 luglio 11983, n. 237, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 15, settimo comma [come sostituito dal� 
l'art. 18 legge 24 dicembre 1979, n. 650] nella parte in cui non prevede che il 
Laboratorio provinciale di igiene e profilassi dia avviso al titolare dello scarico 
affinch� possa presenziare, eventualmente con l'assistenza di un consulente 
tecnico, all'esecuzione delle analisi. 

Sentenza 28 luglio 1983, n. 248, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, combinato disposto degli artt. 58, 59 nn. 2, 3, 6 
e 8, nonch� 65, nella parte in cui esclude il diritto di recesso del locatore, per 
i motivi indicati nel citato art. 59 nn. 2, 3, 6 e 8, dai contratti in corso alla 
data del 30 luglio 1978 e non soggetti a proroga. 

Sentenza 28 luglio 1983, n. 250, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, combinato disposto degli artt. 58, 59 nn. 4, 5 e 7 
nonch� 65, nella parte in cui esclude il diritto di recesso del locatore per i 
motivi indicati nel cit. art. 59 nn. 4, 5 e 7, dai contratti in corso alla data del 
30 luglio 1978 e non soggetti a proroga. 

Sentenza 28 luglio 1983, n. 250, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, combinato disposto art. 69, settimo comma e 
art. 73 stessa legge (quale modificato dall'art. 1-bis del decreto-legge 30 gen� 
naio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93), 
nella parte in cui -relativamente alle ipotesi di recesso del locatore dai 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DllLLO STATO 

contratti disciplinati dall'art. 67 stessa legge, motivate con la sopravvenuta 
necessit� di adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei 
parenti in linea retta entro il secondo grado -prevede che l'indennit� per 
l'avviamento commerciale dovuta al conduttore sia determinata sulla base del 
canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, anzich� 
con riferimento all'ultimo canone corrisposto. 

Sentenza 6 ottobre 1983, n. 300, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. 

legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1, primo e secondo comma, e 2. 

Sentenza 19 luglio 1983, n. 223, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1, terzo, quarto e quinto comma, e 3. 

Sentenza 19 luglio 1983, n. 223, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

legge 25 settembre 1981, n. 535. 

Sentenza 119 luglio 1983, n. 223, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

d.-1. 22 dicembre 1981, n. 786 [convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 
1982, n. 51], art. 26, secondo e terzo comma (divenuti primo e secondo per 
effetto della soppressione del primo comma, operata in sede di conversione 
in legge). � 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1963, n. 288. 

legge 29 luglio 1982, n. 481. 

Sentenza 19 luglio 1983, n. 223, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

legge 23 dicembre 1982, n. 943. 

Sentenza 19 luglio 1983, n. 223, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

d.-1. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 31, primo comma [convertito in legge 26 aprile 
1983, n. 131], nella parte in cui prevede che, per il definitivo equilibrio delle 
gestioni delle aziende locali di trasporto, le regioni sono tenute -anzich� 
facoltizzate -a provvedere mediante l'integrazione della eventuale differenza 
tra la quota regionale derivante dalla ripartizione del Fondo nazionale 
trasporti per l'anno 1983 e la somma delle erogazioni effettuate allo stesso 
titolo alle aziende nel 1982, nonch� nella parte in cui prevede che a questa 
integrazione le regioni devono necessariamente fare fronte con il maggiore 
gettito dei tributi propri. 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

legge 26 aprile 1983, n. 130, art. 4, quinto e sesto comma. 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

legge 26 aprile 1983, n. 130, art. 9, quarto comma, nella parte in cui non 
prevede che siano le regioni -anzich� il Presidente del Consiglio dei Ministri, 
previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministro del 


INDICE DELLA LEGISLAZIONE 81. 

tesoro -a determinare, valutate le eventuali necessit�, i singoli casi in cui sia 
indispensabile procedere ad assunzione di personale nelle unit� sanitarie locali 
esistenti nell'ambito territoriale di rispettiva competenza, ferme restando le funzioni 
di indirizzo e coordinamento previste dall'art. 5 della legge 23 dicembre 
1978, n. 833. 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 3CJ1, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

legge 26 aprile 1983, n. 130, art. 20, terzo comma. 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 3CJ1, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

legge 26 aprile 1983, n. 131, articolo unico, ultimo comma, nella parte in 
cui prevede che �restano validi gli atti e i provvedimenti adottati ed hanno 
efficacia i rapporti giuridici sorti in applicazione � dell'art. 45, primo comma, 
lett. a), del decreto-legge n. 952 del 1982. 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 3CJ1, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

Codice civile, art. 480 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 29 giugno 1983, n. 19.1, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. 

combinato disposto codice civile, art. 2697, legge 23 ottobre 1960, n. 1369, 
art. 1, e codice di procedura civie, art. 414, n. 4 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Sentenza 29 giugno 1983, n. 192, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. 

codice di procedura civile, artt. 41 e 367 (artt. 3, 24, 103, 111, terzo comma, 
113 e 125 della Costituzione). 

Sentenza 28 luglio 1983, n. 246, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

combinato disposto codice di procedura civile, art. 414, n. 4, legge 23 ottobre 
1960, n. 1369, art. 1, e codice civile, art. 2697 (artt. 3 e 24 della Costi� 
tuzione). 

Sentenza 29 giugno 1983, n. 192, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. 

codice di procedura civile, artt. 657 e seguenti (artt. 2, 3, 31, 41, 42 e 47 
della Costituzione). 
Sentenza 28 luglio 1983, n. 252, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

codice penale, artt. 519 e 539 (artt. 2, 3, 27 della Costituzione). 

Sentenza 6 luglio 1983, n. 209, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 

codice penale, art. 539 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Sentenza 6 luglio 1983, n. 209, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 



82 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

codice di procedura penale, art. 503, terzo comma (art. 24 della Costituzione). 


Sentenza 6 luglio 1983, n. 206, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 

r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 228, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 26 settembre 1983, n. 263, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. 
r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 228, terzo comma, seconda parte (art. 36 della 
Costituzione). 
Sentenza 26 settembre 11983, n. 264, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. 

d.l.lgt. 19 ottobre 1944, n. 279 (artt. 3, 24, 42, 43, 44, 97 e 113 della Costituzione). 


Sentenza 10 ottobre 1983, n. 301, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

legge 19 marzo 1955, n. 160, artt. 9, 10 e 15 (artt. 3, 32 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 18 luglio 1983, n. 212, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

combinato disposto art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, codice di procedura 
civile, art. 414, n. 4, e codice civile, art. 2697 {artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Sentenza 29 giugno 1983, n. 192, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. 

legge 27 febbraio 1963, n. 260, art. 5 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 21 luglio 1983, n. 230, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 


legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 8 e 9 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 
Sentenza 29 settembre 1983, n. 279, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. 

legge 22 dicembre 1969, n. 967 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 21 luglio 1983, n. 229, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 


legge 28 ottobre 1970, n. 775, art. 26 (art. 36 della Costituzione). 
Sentenza 26 settembre 1983, n. 264, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. 


legge 23 dicembre 1970, n. 1054, art. 1 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 21 luglio 1983, n. 229, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 6, n. 4 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 26 settembre 1983, n. 262, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. 

legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 30, terzo comma, e 37 (artt. 3, 24, 103, 
111, terzo comma, 113 e 125 della Costituzione). 

Sentenza 28 luglio 1983, n. 246, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 


INDICE DELLA LEGISLAZIONE 

legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 42, quinto comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Sentenza 25 luglio 1983, n. 238, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

legge 6 dicembre 1971, n. 1044, art. 6 (art. 117 della Costituzione). 

Sentenza 20 ottobre 1983, n. 319, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, combinato disposto artt. 42 e 44 (artt. 24 e 
76 della Costituzione). 
Sentenza 6 luglio 1983, n. 210, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 1, 2, 3 e 6 (artt. 3, 42 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 25 luglio 1983, n. 239, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 25 luglio 1983, n. 239, G. U. 3 agosto :1983, n. 212. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6, secondo comma, penultimo periodo 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 26 settembre 1983, n. 262, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274, 

legge reg. Emilia� Romagna 20 luglio 1973, n. 25, art. 109 e tabella B allegata 
[cos� come sostituito dall'art. 36 della legge regionale 20 luglio 1973, n. 26] 
(artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Sentenza 29 settembre 1983, n. 278, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. 

legge reg. Abruzzo 2 agosto 1973, n. 32, artt. 1, 2 e 72 (artt. 37, 97, e 117 della 
Costituzione). 

Sentenza 29 settembre 1983, n. 277, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. 

legge reg. Abruzzo 2 agosto 1973, n. 32, artt. 1, primo comma, 2 e 72, primo 
e quarto comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 29 settembre 1983, n. 277, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. 

legge 27 ottobre 1973, n. 628, art. 8 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 21 luglio 1983, n. 229, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

legge reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41 [cos� come modificata dalla legge reg. 
Lazio 26 gennaio 1977, n. 12] (art. 117 della Costituzione). 

Sentenza 20 ottobre 1983, n. 319, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. 

legge reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, artt. 3, 4, 8, 13 e 14 (artt. 97 e 128 della 
Costituzione). 

Sentenza 20 ottobre 1983, n. 319, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 14 (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 21 luglio 1983, n. 225, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 15 (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 21 luglio 1983, n. 225, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

legge 28 aprile 1975, n. 135, art. 2 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 21 luglio 1983, n. 229, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

legge teg. Campania 16 maggio 1975, n. 30, art. 39 (art. 118 della Costituzione). 
Sentenza 20 ottobre 1983, n. 319, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. 

legge reg. Emilia-Romagna 30 maggio 1975, n. 39, art. 1 (artt. 3, 117 e 123 della 
Costituzione). 

Sentenza 26 settembre 1983, n. 265, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. 

legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 82 (art. 24 della Costituzione). 
Sentenza 5 ottobre 1983, n. 290, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. 


legge 2 maggio 1976, n. 183, artt. 3, 15 e 16, primo, secondo e terzo comma 
(artt. 14 statuto siciliano, 3 statuto sardo e 4 statuto Friuli-Venezia Giulia). 

Sentenza 25 luglio 1983, n. 237, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 15, secondo, ottavo e nono comma; 25, ultimo 
comma e 26, primo comma (artt. 2, 3, 9 e 32 della Costituzione). 

Sentenza 21 luglio 1983, n. 226, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 25, ultimo comma (artt. 32 e 101 della Costituzione). 


Sentenza 18 ottobre 1983, n. 313, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 26, primo comma (art. 32 della Costituzione). 
Sentenza 18 ottobre 1983, n. 313, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. 

d.P.R. 9 novembre 1976, n. 902, artt. 9 e 28 (artt. 14 statuto siciliano, 3 statuto 
sardo e 4 statuto Friuli-Venezia Giulia). 
Sentenza 25 luglio 1983, n. 237, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 26 settembre 1983, n. 266, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. 

legge 27 maggio 1977, n. 284, art. 1 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 21 luglio 1983, n. 229, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 


INDICE DELLA LEGISLAZIONE 
8.f 

legge 3 gennaio 1978, n. 1, artt. 1 e 3 (art. 97 della Costituzione). 
Sentenza 20 ottobre 1983, n. 319, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. 


d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 48 (artt. 14 statuto siciliano, 3 statuto sardo 
e 4 statuto Friuli-Venezia Giulia). 
Sentenza 25 luglio 1983, n. 237, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1, 3, 58 e 65 (artt. 2, 3, 31, 41, 42 e 47 della 
Costituzione). 

Sentenza 28 luglio 1983, n. 252, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 4, primo e secondo comma (art.. 3 della Costituzione). 


Sentenza 28 luglio 1983, n. 251, G. V. 3 agosto 1983, n. 212. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, combinato disposto art. 69, settimo comma e arti� 
colo 73 stessa legge [quale modif. dall'art. 1 bis del decreto-legge 30 gennaio 1979, 

n. 21, convertito nella legge 31 marzo 1979, n. 93] (artt. 3, 41, 42, e 47 della 
Costituzione). 
Sentenza 6 �ottobre 1983, n. 300, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. 

legge 5 agosto 1978, n. 505, art. 1 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 21 luglio 1983, n. 229, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 


legge provincia aut. di Bolzano 3 settembre 1979, n. 12, art. 1 (artt. 3, 6 e 41 
della Costituzione). 

Sentenza 18 ottobre 1983, n. 312, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. 

d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744 (artt. 73 e 79 della Costituzione). 
Sentenza 20 ottobre 1983, n. 321, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. 
d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, artt. 28, primo comma, e 29 [convertito in legge 
n. 
51 del 1982] (art. 119 della Costituzione). 
Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 
dJ. 22 dicembre 1981, n. 786, art. 34 [convertito in legge 51 del 1982] (artt. 117, 
118 e 119 della Costituzione). 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 8, primo e secondo comma e 8 bis [con� 
vertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 117, 119 e 81 della Costituzione). 
Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n: 288. 


86 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 9, primo, quarto, sesto, nono e decimo comma 
[convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 117 e 119 della Costituzione). 
Sentenza 11 ottobre 1983, n. 3fJ7, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 11 [convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] 
(artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 3fJ7, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 16, secondo comma [convertito in legge 
26 aprile 1983, n. 131] (artt. 117 e 119 della Costituzione). 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 27, quarto comma [convertito in legge 26 aprile 
1983, n. 131] (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

d.1. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 28, quinto comma [convertito in legge 26 aprile 
1983, n. 131] (art. 119 della Costituzione). 
Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 2~8. 

dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 29, terzo, quarto e quinto comma [convertito 
in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 31, secondo, terzo, quarto e quinto comma 
[convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] (art. 117 della Costituzione). 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 3fJ7, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

d.I. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 31, comma 5.1, 5.2 e 5.3 [convertito in legge 
26 aprile 1983, n. 131] (artt. 117, 118 e 119, nonch� 81, della Costituzione). 
Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

legge 26 aprile 1983, n. 130, art. 9, terzo comma (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 


Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

legge 26 aprile 1983, n. 130, art. 9, quinto comma (artt. 117, 118 e 119 della 
Costituzione). 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

legge 26 aprile 1983, n. 130, art. 10, primo comma (art. 119, nonch� 81, della 
Costituzione). 

Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

I 

!: 
legge 26 aprile 1983, n. 131, articolo unico, ultimo comma (artt. 117, 118 e 119 

I ~ 

della Costituzione). 
Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

I: 
~


. 

!' 


INDICE DELLA LEGISLAZIONE 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

codice civile, artt. 556, 564, secondo comma e 751 (art. 3 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 12 ottobre 1982, n. 340/83, G. U. 14 settembre 
1983, n. 253. 

codice civile, art. 565 (artt. 3 e 30 della Costituzione). 

Corte d'appello di Bologna, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 122/83, G. U. 13 luglio 
1983, n. 191. 

codice di procedura civile, artt. 8 e 9 (artt. 24 e 97 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso Tribunale di Firenze, ordinanza 31 dicembre 1982, 

n. 370/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 
codice di procedura civile, art. 9 (art. 97 della Costituzione). 

Presidente Tribunale di Firenze, ordinanza 21 gennaio 1983, n. 369, G. U. 
14 settembre 1983, n. 253. 

codice di procedura civile, art. 51 (artt. 3 e 111 della Costituzione). 

Pretore di Taranto, ordinanza 18 marzo 1983, n. 425, G. U. 26 ottobre 1983, 

n. 295. 
codice di procedura civile, artt. 75 e 300 (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di S. Margherita di Belice, ordinanza 7 febbraio 1983, n. 277, G. U. 
31 agosto 1983, n. 239. 

codice di procedura civile, art. 187 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Giudice istruttore Tribunale di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 371/83, 

G. U. 21 settembre 1983, n. 260. 
codice di procedura civile, art. 189 (art. 101 della Costituzione). 

Giudice istruttore del Tribunale di Firenze, ordinanza 17 luglio 1982, n. 372/83, 

G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 
codice di procedura civile, art. 395, prima parte e n. 4 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanza 30 settembre 1982, n. 234/83, G. U. 13 luglio 
1983, n. 191. 

codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 1, 3, 4, 34, 36 e 97 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 marzo 1981, 

n. 374/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

88 

codice di procedura civile, art. 657 e seguenti (artt. 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Gallarate, ordinanze (quattro) 20 dicembre 1982, nn. 296-299/83, 

G. U. 31 agosto .1983, n. 239. 
codice di procedura civile, art. 660 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 11 luglio 1982, n. 166/83, G. U. 24 agosto 1983, 

n. 232. 
codice di procedura civile, artt. 663 e 668 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 11 luglio 1982, n. 166/83, G. U. 24 agosto 1983, 

n. 232. 
codice di procedura civile, art. 663, primo comma (artt. 3, 24 e 111 della 
Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 11 luglio 1982, n. 166/83, G. U. 24 agosto 1983, 

n. 232. 
codice di procedura civile, capo II, titolo I, libro IV (artt. 3, 24, 31 e 41 della 
Costituzione). 
Pretore di Mestre, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 109/83, G. U. 13 luglio 1983, 

n. ,191. 
codice penale, art. 81 cpv. (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Lanusei, ordinanza 26 novembre 1982, n. 230/83, G. U. 20 luglio 
1983, n. 198. 
Tribunale di Vasto, ordinanza 2 dicembre 1980, n. 162/83, G. U. 3 agosto 1983, 

n. 212. 
c~dice penale, art. 102 (art. 27 della Costituzione). 

Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Roma, ordinanze (sette) 
24 gennaio 1983, nn. 396-400, 409 e 423, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 
Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Roma, ordinanza 10 febbraio 
1983, n. 401, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 
Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Roma, ordinanza 23 febbraio 
1983, n. 402, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 
Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Roma, ordinanza 26 mar� 
zo 1983, n. 424, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 

codice penale, art. 136 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Foligno, ordinanza 14 dicembre 1982, n. 112/83, G. U. 13 luglio 1983, 

n. 191. 
codice penale, art. 162 bis [introdotto dall'art. 126 legge 24 novembre 1981, 

n. 689] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Genova, ordinanza 25 novembre 1982, n. 128/83, G. U. 13 luglio 1983, 

n. 191. 

INDICE DELLA LEGISLAZIONE 

codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Soave, ordinanza 29 ottobre 1982, n. 74/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
codice penale, art. 542, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Genova, ordinanza 10 gennaio 1983, n. 443, G. U. 26 ottobre 1983, 

n. 295. 
codice penale, art. 567 cpv. (art. 3 della Costituzione). 

Giudice istruttore Tribunale di Pisa, ordinanza 118 giugno 1982, n. 150/83, 
� G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 

codice penale, art. 630 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 14 marzo 1983, n. 440, G. U. 26 ottobre 1983, 

n. 295. 
codice penale, art. 699 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Teano, ordinanza 28 gennaio 1983, n. 164, G. U. 24 agosto 1983, 

n. 232. 
codice di procedura penale, art. 41 bis (artt. 3, 24 e 97 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso Tribunale di Belluno, ordinanza 26 gennaio 1983, 

n. 273, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. 
codice di procedura penale, art. 41 bis (artt. 3, 97 e 101 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanze (tre) 29 maggio 1982, nn. 114-116/83, G. U. 
13 luglio 1983, n. 1191. 
Corte di cassazione, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 188/83, G. U. 20 luglio 1983, 

n. 198. 
codice di procedura penale, art. 90 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Lanusei, ordinanza 26 novembre 1982, n. 230/83, G. U. 20 luglio 
1983, n. 198. 

codice di procedura penale, artt. 263 bis e 263 ter (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Tribunale militare di Bari, ordinanza 8 gennaio 1983, n. 334, G. U. 21 settembre 
1983, n. 260). 

codice di procedura penale, art. 586 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Foligno, ordinanza 14 dicembre 1982, n. 112/83, G. U. 13 luglio 1983, 

n. 191. 
codice penale militare di pace, artt. 58, ultimo comma, e 230, terzo comma 
(artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Tribunale militare di Bari, ordinanza 19 gennaio 11983, n. 333, G. U. 7 settembre 
1983, n. 246. 


Corte dei conti, ordinanza 22 febbraio 1980, n. 219/83, G. U. 7 settembre 1983, 
n. 246. 
Corte dei conti, ordinanza 22 febbraio 1980, n. 219/83, G. U. 7 settembre 1983, 
n. 246. 
90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

codice penale militare di pace, art. 122 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Tribunale militare di Padova, ordinanza 4 novembre 1982, n. " 221/83, G. U. 
7 settembre 1983, n. 246. 
Tribunale militare di Padova, ordinanza 1� dicembre 1982, n. 222/83, G. U. 
14 settembre 1983, n. 253. 

codice penale militare di pace, art. 195 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale militare di Napoli, ordinanza 3 dicembre 1982, n. 72/83, G. U. 6 luglio 
1983, n. 184. 

codice penale militare di pace, art. 195, primo comma (art. 3 della Costi� 
tuzione). 

II

Tribunale militare di Padova, ordinanza 13 ottobre 1982, n. 223/83, G. U. 
24 agosto 1983, n. 232. 

legge 13 giugno 1912, n. 555, artt. 10, secondo comma, e 4, n. 3 (artt. 2, 3, 22 
e 29 della Costituzione). 

Corte costituzionale, ordinanza 22 dicembre 1982, n. 95/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
legge 16 febbraio 1913, n. 89, artt. 146, primo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 6 novembre 1982, n. 76/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
I 

legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 7 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Pinerolo, ordinanza 11 marzo 1983, n. 472, G. U. 28 settembre 
1983, n. 267. 

convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, art. 22 [come sostituito dall'art. 
XI del protocollo dell'Aja del 28 settembre 1955, resi esecutivi in Italia con 
le leggi 19 maggio 1932, n. 81 e 3 dicembre 1962, n. 1832] (artt. 2, 3 e 32 della 
Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 404, G. U. 21 settembre 
1983, n. 260. 


r.dJ. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 5 (artt. 3 e 25 della Costituzione). 

Tribunale per i minorenni di Roma, ordinanza 21 dicembre 1982, n. 137/83, 

G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 
r.d. 20 settembre 1934, n. 2011, art. 53 (art. 23 della Costituzione). 
Tribunale di Bologna, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 395, G. U. 21 settembre 
1983, n. 260. 


r.d.l. 2 giugno 1936, n. 1172, art. 1 [convertito in legge 26 dicembre 1936, 
n. 2439) (art. 3 della Costituzione). 

INDICE DELLA LEGISLAZIONE 

contratto collettivo nazionale per gli operai metalmeccanici, stipulato il 
30 luglio 1936, art. 19 (art. 52 della Costituzione). 

Pretore di Legnano, ordinanze (due) 1� febbraio 1983, nn. 192 e 193, G. U. 
31 agosto 1983, n. 239. 

r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, art. 33, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 23 novembre 1982, n. 393/83, G. U. 21 settembre 
1983, n. 260. 

r.d. 3 marzo 1938, n. 680, art. 67, lett. f) (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Corte dei conti -sezione terza giurisdizionale -ordinanza 5 novembre 
1980, n. 196/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. 

r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 48 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Giudice istruttore Tribunale di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 371/83, 

G. U. 21 settembre 1983, n. 260. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 43 (artt. 13 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Rimini, ordinanza 18 marzo 1983, n. 406, G. U. 21 settembre 1983, 

n. 260. 
legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 9, quarto comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Bologna, ordinanza 20 ottobre 1982, n. 121/83, G. U. 6 luglio 
1983, n. 184. 

legge 10 agosto 1950, n. 648, art. 73 (artt. 2 e 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 413, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. 

legge 2 luiliO 1952, n. 703, art. 39 (artt. 70 e 72 della Costituzione). 

Tribunale di Lucca, ordinanze (tre) 10 novembre 1982, nn. 201-203/83, G. U. 
17 agosto 1983, n. 225. 

legge 25 luglio 1952, n. 991, art. 8, seconda parte (artt. 3 e 44 della Costituzione). 


Pretore di Foggia, ordinanza 1� ottobre 1982, n. 136/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, art. 31, numeri 4 e 5 (art. 33 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 92/83, G. U. 6 luglio 1983, 
n, ,184. 

legge 22 giugno 1954, n. 523, art. 1 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Corte dei conti -sezione terza giurisdizionale -ordinanza 5 novembre 
1980, n. 196/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. 


92 RASSF.GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 11 aprile 1955, n. 379, art. 7, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 23 novembre 1982, n. 393/83, G. U. 21 settembre 
1983, n. 260. 

legge 'J:1 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Tribunale di. Roma, ordimmze 1� aprile 1983, nn. 456 e 457, G. U. 28 settembre 
1983, n. 267. 

d.P.It. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 85, 87, primo comma e 140, ultimo comma 
[mantenuto in vita dall'art. 83 d.P.lt. 29 settembre 1973, n. 597] (artt. 3, 38 e 53 
della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Rieti, ordinanza 29 aprile 1982, 

n. 281/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 
� legge 4 febbraio 1958, n. 87, art. 11, primo comma (art. 3 e 53 della Costi� 
tuzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 febbraio 
1982, n. 291/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 

I 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis (art. 3 della Costituzione). 
I

Pretore di Padova, ordinanza 20 novembre 1982, n. 100/83, G. U. 6 luglio 

Iit1983, n. 184. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis [introdotto dall'art. 142 legge 24 novembre 
1981, n. 689] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 19 gennaio 1983, n. 384, G. U. 7 settembre 
1983, n. 246. 


d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis [introdotto dall'art. 142, legge 
I

24 novembre 1981, n. 689] (art. 3 della Costituzione). { 

Pretore di Caltanissetta, ordinanza 22 settembre 1982, n. 379/83, G. U. 
14 settembre 1983, n. 253. 


d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis, secondo comma (art. 27 della Costituzione). 
Pretore di Padova, ordinanza 20 novembre 1982, n. 99/83, G. U. 6 luglio 1983, 


n. 184. 
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, artt. 80-bis e 80-ter (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 23 giugno 1982, n. 380/83, G. U. 14 settembre 
1983, n. 253. 
Pretore di Caltanissetta, ordinanze (tre) 31 gennaio 1983, nn. 381-383, G. U. 
liJ settembre 1983, n .253. 


d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 3 dicembre 1982, n. 200/83, G. U. 
10 agosto 1983, n. 219. 



INDICE DELLA LEGISLAZIONE 

legge 27 aprile 1962, n. 231, art. 8, primo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 208/83, G. U. 7 settembre 
1983, n. 246. 

legge 12 agosto, 1962, n. 1338, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 15 ottobre 1982, n. 67/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 cpv., lett. a) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Siena, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 294, G. U. 24 agosto 1983, 

n. 232. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 cpv., lett. a) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Siena, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 293, G. U. 31 agosto 1983, 

n. 239. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Modena, ordinanza 17 marzo 1983, n. 435, G. U. 19 ottobre 1983, 

n. 288. 
d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Bologna, ordinanza 16 aprile 1982, n. 233/83, G. U. 20 luglio 
1983, n. 198. 

d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 11 e 41 della Costituzione). 
Tribunale di Ravenna, ordinanza 17 novembre 1982, n. 175/83, G. U. 17 ago� 
sto 1983, n. 225. 

d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 76 e 17 della Costituzione). 
Tribunale di Velletri, ordinanza 29 ottobre 1982, n. 290/83, G. U. 31 agosto 
1983, n. 239. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e n (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Verona, ordinanza 14 dicembre 1982, n. 161/83, G. U. 10 agosto 
1983, n. 219. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 134, primo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Tribunale di Alessandria, ordinanza 29 gennaio 1983, n. 158, G. U. 20 luglio 
1983, n. 198. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 215 (artt. 3, 35 e 38 della Costituzione). 
Tribunale di Frosinone, ordinanza 9 gennaio 1974, n. 283/83, G. U. 7 settembre 
1983, n. 246. 


94 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 3 maggio 1966, n. 437 (artt. 3, 68, 112 e 138 della Costituzione). 

Giudice istruttore del tribunale di Venezia, ordinanza 16 aprile 1982, n. 286/83, 

G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 
legge 3 maggio 1966, n. 437, artt. 1 e 2 (artt. 2 e 3 della Costituzione). 

Pretore di Trieste, ordinanza 18 dicembre 1982, n. 174/83, G. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 

legge 3 maggio 1967, n. 315, art. 13 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 feb� 
braio 1982, n. 291/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 

legge 6 agosto 1967, n. 699, art. 10, settimo comma (artt. 3, 29 e 36 della Costituzione). 


Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 2 marzo 1981, n. 218/83, 

G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 
lgge 2 ottobre 1967, n. 695, artt. 2 e 7 [sostituiti dagli artt. 10 e 14 della legge 
14 ottobre 1974, n. 497] (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Trento, ordinanza 14 febbraio 1983, n. 237, G. U. 20 luglio 
1983, n. 198. 
Tribunale di Bologna, ordinanza 11 maggio 1981, n. 231/83, G. U. 3 agosto 
1983, n. 212. 

legge 9 ottobre 1967, n. 973, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Tribunale di Venezia, ordinanze (due) 13 dicembre 1979, n. 243 e 244/83, G. U. 
13 luglio 1983, n. 191. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, lett. c) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 5 gennaio 1983; n. 127, G. U. 13 luglio 1983, 

n. 191. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3 (artt. 3, 29 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Como, ordinanza 25 gennaio 1983, n. 154, G. U. 10 agosto 1983, 

n. 219. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, lett. a) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Ferrara, ordinanza 22 gennaio 1983, n. 241, G. U. 3 agosto 1983, 

n. 212. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Chieti, ordinanza 26 gennaio 1983, n. 155, G. U. 20 luglio 
1983, n. 198. 



INDICE DELLA LEGISLAZIONE 9f 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 29 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 9 novembre 1982, n. 240/83, G. U. 20 luglio 1983, 

n. 198. 
legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 67 (artt. 2 e 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 413, G. U. 5 ottobre 1983, 

n. 274. 
legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5 (artt. 3, 4, 35 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza B gennaio 1983, n. 410, G. U. 19 ottobre 1983, 

n. 288. 
legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5 (artt. 3, 4 e 38 della Costituzione). 

Tribunale di Cuneo, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 474/83, G. U. 28 settembre 
1983, n. 267. 

legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 13, quinto comma (artt. 4, 27, 32, 35 e 41 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 2 giugno 1980, 

n. 295/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 
d.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639, art. 111 (artt. 3, 35 e 41 della Costituzione). 
Pretore di Ancona, ordinanza 8 marzo 1983, n. 319, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 cpv. (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Siena, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 293, G. U. 31 agosto 1983, 

n. 239. 
legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 25 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Oristano, ordinanza 28 gennaio 1983, n. 229, G. U. 3 agosto 1983, 

n. 212. 
legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 [modificato dalla legge 23 dicembre 
1970, n. 1054, art. l] (artt. 3, 31 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 6 ottobre 1982, 

n. 123/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. 
legge 25 maggio 1970, n. 364, artt. 19, secondo comma, n. 2, e 20, secondo 
comma, lett. b) (art. 81 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 28 settembre 1982, n. 385/83, G. U. 14 settembre 
1983, n. 253. 

d.l. 19 giugno 1970, n. 370, art. 8 [convertito con modif. in legge 26 luglio 
1970, n. 576] (art. 3 della Costituzione). 
Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 3 novembre 1981, 

n. 151/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 

RASSF.GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

96 

legge 28 ottobre 1970, n. 775, art. 16-ter (artt. 3, 36, 103, 104 e 107 della Costituzione). 


Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 16 febbraio 1977, 

n. 394/83, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. 
legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 2, 3, 5 e 117 della Costituzione). 

Tribun..ale di Torino, ordinanza 19 gennaio 1983, n. 184, G. U. 17 agosto 
1983, n. 225. 

legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (art. 81 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 30 novembre 1982, n. 102/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 
184. 
Pretore di Lecce, ordinanza 10 dicembre 1982, n. 111/83, G. U. 6 luglio 1983, 
n. 
184. 
Pretore di Roma, ordinanza 10 febbraio 1983, n. 317, G. U. 31 agosto 1983, 
n. 
239. 
Pretore di Lecce, ordinanza 10 marzo 1983, n. 378, G. U. 14 settembre 1983, 
n. 253. 
legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6, secondo comma (art. 81 della Costituzione). 

Pretore di Macerata, ordinanza 9 marzo 1983, n. 338, G. U. 7 settembre 
1983, n. 246. 
Pretore di Roma, ordinanza 2 marzo 1983, n. 377, G. U. 7 settembre 1983, 

n. 
246. 
Pretore di Macerata, ordinanza 9 marzo 1983, n. 339, G. U. 14 settembre 
1983, n. 253. 
Pretore di Roma, ordinanza 10 gennaio 1983, n. 463, G. U. 28 settembre 
1983, n. 267. 

legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Tribunale di Venezia, ordinanze (due) 13 dicembre 1979, nn. 243 e 244/83, 

G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 
legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, primo comma, n. 11 (artt. 76 e 77 della 
Costituzione). 

Commissione tributaria di 1� grado di Reggio Calabria, ordinanza 27 marzo 
1979, n. 149/83, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

legge 9 ottobre 1971, n. 825, punto 6, n. 4 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 24 settembre 
1981, n. 387/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865 (artt. 64 e 72 della Costituzione). 

Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 10 giugno 1977, n. 467, G. U. 12 ottobre 
1983, n. 281. 



INDICE DELLA LEGISLAZIONE 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 16 (artt. 3, 42 e 53 della Costituzione) e 20 
(artt. 24 e 3 della Costituzione). 

Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 10 giugno 1977, n. 467, G. U. 12 ottobre 
1983, n. 281. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzioile). 


Corte d'appello di Bologna, ordinanza 21 gennaio 1983, n. 266, G. U. 3 agosto 
1983, n. 212. 

d.I. 25 maggio 1972, n. 202 [convertito in legge 24 luglio 1972, n. 321] (artt. 70, 
72, 76 e 77 della Costituzione). 
Pretore di Cosenza, ordinanza 10 febbraio 1983, n. 285, G. U. 7 settembre 
1983, n. 246. 

d.I. 30 giugno 1972, n. 267, art. 7 [convertito in legge 11 agosto 1972, n. 485] 
(artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 febbraio 
1982, n. 291/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 

d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 50 (art. 3 della Costituzione). 
Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ordinanza 10 dicembre 1982, 

n. 458/83, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. 
legge prov. di Bolzano, 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo e terzo comma 
(artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 23 novembre 1982, n. 93/83, G. U. 6 luglio 
1983, Il. 184. 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 25 gennaio 1983, n. 242, G. U. 27 luglio 
1983, n. 205. 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 21 dicembre 1982, n. 210/83, G. U. 
24 agosto 1983, n. 232. 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo e secondo periodo, 
e 24, primo e secondo periodo (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 18 gennaio 1983, n. 209, G. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 
Corte d'appello di Trento, ordinanza 25 gennaio 1983, n. 310, G. U. 7 set� 
tembre 1983, n. 246. 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo comma, primo e 
secondo periodo, e 24, primo comma, primo e secondo periodo (artt. 3 e 42 
della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 14 dicembre 1982, n. :170/83, G. U. 10 agosto 
1983, n. 219. 
Corte d'appello di Trento, ordinanza 11 gennaio 1983, n. 171, G. U. 17 agosto 
1983, n. 225. 


98 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge reg. Emilia� Romagna 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4, secondo comma 
(artt. 117, 118, 123 e 127 della Costituzione e 25 e 57 dello statuto regionale). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia� Romagna, ordinanza 19 novembre 
1980, n. 407/83, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 462, art�.2, primo e secondo comma, n. 1 (artt. 3, 
24 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 11 luglio 1982, n. 165/83, G. U. 24 agosto 1983, 

n. 232. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. da 41 a 50 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di 1� grado di Reggio Calabria, ordinanza 27 marzo 
1979, n. 149/83, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51 (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Venezia, ordinanza 25 i�iarzo 
1982, n. 126/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, primo, secondo, terzo e quarto comma 
(art. 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 6 novembre 
1981, n. 388/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 4 (art. 102 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Ragusa, ordinanze (quattro) 26 ottobre 
1981, nn. 475-478/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 
Commissione tributaria di primo grado di Ragusa, ordinanze 26 ottobre 
1981, nn. 311 e 312/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 30 [modificato dal d.P .R. 3 novembre 1981, 
n. 739] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Commisione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 14 febbraio 
1983, n. 344, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 39, primo comma (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Modena, ordinanza 19 febbraio 
1982, n. 318/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 24 settembre 
1981, n. 387/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 648, art. 10 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 
Pretore di Lecce, ordinanza 3 febbraio 1983, n. 180, G. U. 24 agosto 1983, 

n. 232. 
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INDICE DELLA LEGISLAZIONE 

legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e quinto comma 
(artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trento, ordinanza 8 febbraio 1983, n. 288, G. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 

d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332 (artt. 3, 13 e 27 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 5 novembre 1982, n. 280/83, G. U. 7 settembre 
1983, n. 246. 

d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Tribunale di Napoli, ordinanza 24 marzo 1983, n. 467, G. U. 28 settembre 
1983, n. 267. 

legge 22 febbraio 1973, n. 27, art. 3 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Fermo, ordinanza 6 settembre 1982, h. 145/83, G. U. 13 luglio 1983, 

n. 191. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 6, 28, 48 e 93 (artt. 3; 28 e 113 della Costituzione). 
, Pretore di Roma, ordinanza 3 marzo 1983, n. 337, G. U. 14 settembre 1983, 

n. 253. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 195 [modificati dall'art. 45 della legge 
14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Modena, ordinanza 19 gennaio 1983, n. 268, G. U. 3 agosto 1983, 

n. 212. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 [modif. dall'art. 45 della legge 
14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Castelfranco Veneto, ordinanza 3 dicembre 1982, n. 194/83, G. U. 
17 agosto 1983, n. 225. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma, u. 2 (art. 3 
della Costituzione). 
Pretore di Morbegno, ordinanza 13 g~nnaio �1983, n. 143, G. U. 13 luglio 
1983, n. 191. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195, 334, primo comma, n. 2 [modificato 
dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Adria, ordinanza 1� febbraio 1983, n. 278, G. U. 7 settembre 1983, 

n. 246. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, secondo comma, n. 2 
(art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Verona, ordinanza 2 marzo 1983, n. 386, G. U. 14 settembre 
1983, n. 253. 


100 

RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.l. 24 luglio 1973, n. 426, art. 1, quarto comma [convertito nella legge 
4 agosto 1973, n. 495] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Thiene, ordinanza 4 marzo 1983, n. 342, G. U. 14 settembre 1983, 

n. 253. 
legge 30 luglio 1973, n. 477, art. 17 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 novembre 1979, 

n. 284/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 5 (artt. 3 e 52 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Reggio Emilia, ordinanza 18 novembre 
1981, n. 144/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 12, lett. e) (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 22 luglio 1981, 

n. 418/83, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12 e 14 (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Rieti, ordinanza 29 aprile 1982, 

n. 281/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 46 cpv. (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 10 dicembre 
1982, n. 187/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 48 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 28 gennaio 
1983, n. 405, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74, secondo e terzo comma (artt. 3, 24 
e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Grosseto, ordinanza 18 dicembre 
1981, n. 124/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 82 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Tribunale di Venezia, ordinanze (due) 13 dicembre 1979, nn. 243 e 244/83, 

G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Reggio Emilia, ordinanza 10 ottobre 
1981, n. 330/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 35 (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Venezia, ordinanza 25 marzo 

1982, n. 126/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 

I 

. I 

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Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 novembre 1979, 
n. 284/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 
16 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 novembre 1979, 
n. 284/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 
16 
INDICE DELLA LEGISLAZIONE 
1..01 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 44 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 28 gennaio 
1983, n. 405, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92 (artt. 3, 53, 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di 1� grado di Genova, ordinanza 30 giugno 1980, 

n. 259/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 98, sesto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 14 febbraio 
1983, n. 344, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 

d.l. 1� ottobre 1973, n. 580, art. 4, primo comma [conv. con mod. in legge 
30 novembre 1973, n. 766] (artt. 3, 51 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 22 ottobre 1982, 

n. 265/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 65, secondo comma (art. 3 della Co� 
stituzione). 
Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 30 novembre 1981, 

n. 153/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 85, secondo comma (artt. 3 e 38 della 
Costituzione). 
Corte dei1 conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 5 giugno 1981, 

n. 
195/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. 
Corte dei conti, ordinanza 7 giugno 1982, n. 217/83, G. U. 7 settembre 1983, 
n. 246. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 113 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordin,anza 5 novembre 1980, 

n. 
196/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 147, primo comma (artt. 3, 36 e 38 della 
Costituzione). 
Corte dei Conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 22 aprile 1981, 

n. 152/83, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. 
legge 14 giugno 1974, n. 270, art. 1 (art. 42 della Costituzione). 

Pretore di Francavilla Fontana, ordinanza 118 marzo 1983, n. 367, G. U. 14 set� 
tembre 1983, n. 253. 

legge 14 agosto 1974, n. 391 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 


1.02 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
legge 17 agosto 1974, n. 386, art. 7, terzo comma (artt. 70, 76, 77, 97 e 113 della 
Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione quinta, ordinanza 14 maggio 1982, n. 117/83, G. U. 
6 luglio 1983, n. 184. 

legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 10 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Vasto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 190/83, G. U. 17 agosto 1983, 


n. 225. 
Tribunale di Novara, ordinanza 8 marzo 1983, n. 471, G. U. 28 settembre 
1983, n. 267. 

legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Vasto, ordinanza 2 dicembre 1980, n. 162/83, G. U. 3 agosto 
1983, n. 212. 
Tribunale di Vasto, ordinanza 30 marzo 1982, n. 163/83, G. U. 3 agosto 
1983, n. 212. 
Tribunale di Bologna, ordinanza 5 maggio 1981, n. 232/83, G. U. 3 agosto 
1983, n. 212. 
Tribunale di Bassano del Grappa, ordinanza 20 gennaio 1983, n. 182, G. U. 
17 agosto 1983, n. 225. 

legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 40, primo e secondo comma, e 44, secondo 
comma (artt. 3, 21 e 41 della Costituzione). 
Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ordinanza 12 novembre 
1982, n. 376/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2 secondo cpv. (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 31 marzo 1982, n. 212/83, G. U. 17 agosto 
1983, n. 225. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 11 gennaio 1982, n. 211/83, G. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 7 giugno 1982, n. 213/83, G. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 18 giugno 1982, n. 214/83, G. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 18 ottobre 1982, n. 215/83, G. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 24 settembre 1982, n. 216/83, G. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, secondo cpv. (art. 25 della Costituzione). 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 31 marzo 1982, n. 212/83, G. U. 17 agosto 
1983, n. 225. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 11 gennaio 1982, n. 211/83, (;. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 7 giugno' 1982, n. 213/83, G. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 
Tribunale di Agrigento, ordinanza 18 giugno 1982, n. 214/83, G. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 


INDICE DELLA LEGISLAZIONE 10J 

legge 18 aprile 1975; n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Sondrio, ordinanza 27 febbraio 1981, n. 197/83, G. U. 17 agosto 
1983, n. 225. 

legge 18 aprile 1975 n. 110, art. 23, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Novara, ordinanza 8 marzo ,1983, n. 471, G. U. 28 settembre 1983, 

n. 267. 
legge reg. Emilia-Romagna 14 maggio 1975, n. 30, art. 15, quarto comma 
(art. 117 della Costituzione). 

Pretore di Forll, ordinanze 7 marzo 1983, nn. 414 e 415, G. U. 12 ottobre 1983, 

n. 281. 
legge reg. Laiio 3 giugno 1975, n. 42, art. 10 (art. 117 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 6 maggio 1981. 

n. 263/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. 
legge 3 giugno 1975, n. 160, artt. 9 e 10 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Ferrara, ordinanza 16 ottobre 1982, n. 84/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 (artt. 3, 13 e 27 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 7 febbraio 1981, n. 104/83, G. U. 13 luglio 1983, 

n. 191. 
legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 90 (artt. 13 e 101 della Costituzione). 

Magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Avellino, ordinanza 11 dicembre 
1982, n. 206/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 

legge 29 luglio 1975, n. 426, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 20 ottobre 1982, n. 432/83, G. U. 19 ottobre 1983, 


n. 288. 
legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 12, 26, 28, primo comma e 71, primo ed 
ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Venezia ordinanza 16 febbraio 1983, n. 276, G. U. 20 luglio 1983, 

n. 198. 
legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 71 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Genova, ordinanza 12 luglio 1982, n. 140/83, G. U. B luglio 1983, 


n. 191. 
d.l. 4 marzo 1976, n. 31, art. 7 (artt. 2 e 41 della Costituzione). 
Tribunale di Como, ordinanza 8 febbraio ,1983, n. 459, G. U. 28 settembre 1983, 
n. 267. 

104 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 


legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2-bis [introdotto con l'art. 3 della legge 8 ottobre 
1976, n. 689] (art. 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 6 novembre 
1981, n. 313/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanze (tre), 6 novembre 
1981, nn. 419, 421 e 433/83, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 9, primo comma e nota in calce alla tab. A 
[come modificata dall'art. 22, ultimo comma, legge 24 dicembre 1979, n. 650] 
(art. 24 della Costituzione). 

Tribunale di Cremona, ordinanza 14 dicembre 1982, n. 110/83, G. U. 6 luglio 
1983, n. 184. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 15, sesto e settimo comma (art. 24 della 
Costituzione). 

Tribunale di Cremona, ordinanza 14 dicembre 1982, n. 110/83, G. U. 6 luglio 
1983, n. 184. 

legge 8 ottobre 1976, n. 689, art. 3 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Sondrio, ordinanza 1� aprile 1980, n. 329/83, G. U. 31 agosto 
1983, n. 239. 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 15, terzo comma (art. 42 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Campania, ordinanza 10 febbraio 
1982, n. 183/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b) (art. 3 della Costituzione). 

Vice pretore di Laurenzana, ordinanze 13 dicembbre 1981, nn. 335 e 336/83, 

G. U. 14 settembbre 1983, n. 253. 
legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Piombino, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 82/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b) (artt. 42 e 43 della Costituzione). 

Pretore di Trecastagni, ordinanza 17 marzo 1980, n. 139/83, G. U. 13 luglio 1983, 

n. 191. 
Pretore di Trecastagni, ordinanza 23 ottobre 1981, n. 271/83, G. U. 20 luglio 
1983, n. 198. 

d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234, art. 3, primo comma (art. 116 della Costituzione). 
Tribunale di Trento, ordinanza 24 febbraio 1983, n. 449, G.U. 19 ottobre 
1983, n. 288. 
Tribunale di Trento, ordinanza 20 gennaio 1983, n. 448, G.U. 26 otto� 
bre 1983, n. 295. 

' 

-



INDICE DELLA LEGISLAZIONE 1.0f 

legge 6 aprile 1977, n. 150, artt. 1 e 2 (artt. 2 e 3 della Costituzione). 

Pretore di Trieste, ordinanza .18 dicembre 1982, n. 174/83, G. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 

legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 5 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 28 gennaio 
1983, n. 405, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. 

legge 8 agosto 1977, n. 513, artt. 27 e 28 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 208/83, G. U. 7 settembre 
1983, n. 246. 

legge 27 febbraio 1978, n. 41, art. 7 (artt. 3 e 44 della Costituzione). 

Pretore di Foggia, ordinanza 1� ottobre 1982, n. 136/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1, primo e secondo comma (artt. 3, 42 e 44 
della Costituzione). 

Tribunale di Siracusa, ordinanza 3 giugno 1981, n. 90/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'appello di Napoli, ordinanza 17 febbraio 1983, n. 267, G. U. 10 agosto 
1983, n. 219. 

legge reg. Veneto 14 luglio 1978, n. 30, art. 57, quarto comma (artt. 117 e H9 
della Costituzione). 

Tribunale di Venezia, ordinanza 9 dicembre 1982, n. 225/83, G. U. 10 agosto 
1983, n. 219. 

legge 27 luglio 1978, n. 392 (artt. 3, 24, 31 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Mestre, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 109/83, G. U. 13 lu� 
glio 1983 n. 191. 

legge 27 luglio 1978, n. 392 (artt. 3, 42 e 47 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Roma ordinanza 19 febbraio 1983, n. 331, G. U. 
14 settembre 1983, n. 253. 
Giudice conciliatore di Roma, ordinanza 21 febbrado .1983, n. 3Je, G. U. 
14 settembre 1983, n. 253. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1 e 58 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Gallarate, ordinanze (quattro) 20 dicembre 1982, nn. 296-299/83, 

G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 

106 

RASSP.GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1, 3 e 58 (artt. 2, 3, 32, 41 e 42 della Costituzione). 


Pretore di Torino, ordinanze (due) 4 dicembre 1982, n. 460 e 461/83, G. U. 
28 settembre 1983, n. 267. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 3, 30, 31, 32, 41 e 42 della Costituzione). 


Pretore di Crema, ordinanza 23 novembre 1982, n. 157/83, G. U. 20 luglio 
1983, n. 198. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 3, 30, 31 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Menaggio, ordinanza 10 dicembre 1982, n. 80/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 3, 32 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 26 gennaio 1983, n. 176, G. U. 10 agosto 
1983, n. 219. 
Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 2 febbraio 1983, n. 177, G. U. 10 agosto 
1983, n. 219. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Ruvo di Puglia, ordinanza 7 gennaio 1983, n. 129, G.,U. 13 luglio 
1983, n. .191. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 3, 31 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Molfetta, ordinanza 7 dicembre 1982, n. 77/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 
184. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 3, 31, 42 e 47 della Costituzione). 

Pretore di Iglesias, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 282, G. U. 31 agosto 1983, 

n. 
239. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Ciri�, ordinanza 29 gennaio 1983, n. 260, G. U. 20 luglio 1983, 

n. 
198. 
Pretore di Ciri�, ordinanza 3 febbraio 1983, n. 261, G. U. 20 luglio 1983, 
n. 
198. 
Pretore di Ciri�, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 167/83, G. U. 3 agosto 1983, 
n. 
212. 
Pretore di Ciri�, ordinanza 17 dicembre 1982, n. 168/83, G. U. 3 agosto 1983, 
n. 
212. 
:Pretore di Ciri�, ordinanza 30 novembre 1982, n. 169/83, G. U. 3 agosto 1983, 
n. 212.� 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 30, 31, 32, 41 e 42 della 
Costituzione). 

Pretore di Torre Annunziata, ordinanza 3 marzo 1983, n. 417, G. U. 19 ottobre 
1983, n. 288. 


INDICE DELLA LEGISLAZIONE 
107 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 32 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 159/83, G. U. 20 luglio 
1983, n. 198. 
Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 2 febbraio 1983, n. 178, G. U. 20 luglio 1983, 

n. 
198. 
Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 10 gennaio 1983, n. 204, G.U. 17 agosto 
1983, n. 225. 
Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 2 febbraio 1983, n. 207, G. U. 17 agosto 
1983, n. 225. 
Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 10 gennaio 1983, n. 205, G. U. 24 agosto 
1983, n. 232. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). 
Pretore di Ruvo di Puglia, ordinanza 10 marzo 1983, n. 306, G. U. 31 agosto 
1983, n. 239. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). 
Pretore di Gallarate, ordinanze (quattro) 20 dicembre 1982, n. 296-299/83, G. U. 
31 agosto 1983, n. 239. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3 e 42 della Costituzione). 
Pretore di Sestri Ponente, ordinanza 14 gennaio 1983, n. 138, G. U. 13 luglio 
1983, D. 191. 
Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 2 febbraio 1983, n. 179, G. U. 10 agosto 
1983, n. 219. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Carrara, ordinanze (cinque) 15 febbraio 1983, nn. 239 e 322-325, 

G. U. 20 luglio 1983, n. 198. 
Pretore di Carrara, ordinanza 11 febbraio 1983, n. 238, G. U. 3 agosto 1983, 
n. 
212. 
Pretore di Ruvo di Puglia, ordinanza 28 febbraio ,1983, n. 262, G. U. 3 agosto 
1983, n. 212. 
Pretore di Carrara, ordinanza 20 gennaio '1983, n. 279, G. U. 7 settembre 1983, 

n. 
246. 
�Pretore di Carrara, ordinanza 8 marzo 1983, n. 326, G. U. 7 settembre 1983, 
n. 
246. 
Pretore di Carrara, ordinanza 5 marzo 1983, n. 327, G. U. 7 settembre 1983, 
n. 
246. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). 
Pretore di Torre del Greco, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 343, G. U. 
14 settembre 1983, n. 253. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Pretore di Bari, ordinanze (due) 18 aprile 1983, nn. 454 e 455, G. U. 21 settembre 
1983, n. 260. 
Pretore di Bari, ordinanza 18 aprile 1983, n. 437, G. U. 119. ottobre 1983, 

n. 288. 

108 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3, 58 e 65 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Carrara, ordinanza 5 marzo 1983, n. 403, G. U. 21 settembre 1983, 

n. 260. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 65 (artt. 2, 3, 30, 31, 32, 41 e 42 della 
Costituzione). 

Pretore di Maddaloni, ordinanza 31 gennaio 1983, n. 186, G. U. 17 agosto 1983, 

n. 225. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 6, ultimo comma (artt. 2, 3 e 30 della Costituzione). 


Tribunale di Firenze, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 368/83, G. U. 14 settembre 
1983, n. 253. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 30, 46 e segg. e 84 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Pretore di Pizzo, ordinanze 11 aprile 1983, n. 468 e 469, G. U. 28 settembre 
1983, n. 267. 
Pretore di Pizzo, ordinanza 20 aprile 1983, n. 470, G. U. 5 ottobre 1983, 

n. 
274. 
Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 8 aprile 1983, n. 427, G. U. 26 ottobre 1983, 
n. 295. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 58 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 289/83, G. U. 31 agosto 1983, 


n. 
239 
Pretore di Milano, ordinanza 20 gennaio 1983, n. 328, G. U. 7 settembre 1983, 
n. 246. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Palermo, ordinanza 24 gennaio 1983, n. 224, G. U. 24 agosto 1983, 


n. 232. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 60, primo comma (art. 24 della Costituzione) .. 
Pretore di Firenze, ordinanza 29 novembre 1982, n. 373/83, G. U. 21 settembre 
1983, n. 260. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 29 settembre 1982, n. 103/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n . .184. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3, 24 e 42 della Costituzione). 


Pretore di Roma, ordinanza 23 novembre 1982, n. 101/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). 


Tribunale di Torino, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 133/83, G. U. 13 luglio 1983, 

n. 191. 

INDICE DEIJ.A LEGISLAZIONE 
109 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (art. 42 della Costitu� 
zione). 

Pretore di Milano, ordinanza 20 maggio 1982, n. 431/83, G. U. 19 ottobre 1983, 

n. 288. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo e nono comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Misilmeri, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 272/83, G. U. 10 agosto 
1983, n. 219. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 69 e 73 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 
Pretore di Canosa di Puglia, ordinanza 5 dicembre 1981, n. 199/83, G. U. 
17 agosto 1983, n. 225. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo coinma e 73 (artt. 3, 41, 42 e 47 
della Costituzione). 
Pretore di Sala Consilina, .ordinanza 24 novembre 1982, n. 81/83, G. U. 6 lu� 
glio 1983, n. 184. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Pretore di Pomigliano d'Arco, ordinanza 15 dicembre 1982, n. 65/83, G. U. 
6 luglio 1983, n. 184. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [come modif. dalla legge 31 marzo 1979, 

n. 
93] (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 133/83, G. U. 13 luglio 1983, 
n. 191. 
d.l. 
23 dicembre 1978, n. 815, articolo unico, sedicesimo comma [conv. con 
modif. 
in legge 19 febbraio 1979, n. 54] (artt. 3, 51 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 22 ottobre 1982, 

n. 265/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 
d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, artt. 58, 70 e 86, ultimo comma (artt. 2 e 3 
della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 413, G. U. 5 ottobre 1983, 

n. 274. 
legge reg. Sicilia 27 dicembre 1978, n. 71, art. 49 (artt. 42 e 43 della Costituzione). 
Pretore di Trecastagni, ordinanza 23 ottobre 1981, n. 271/83, G. U. 20 lu� 
glio 1983, n. 198. 

legge 27 dicembre 1978, n. 833, art. 48 (artt. 5, 39, 97, 117 e 128 della Costi� 
tuzione). 
Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 2 dicembre 1982, 

n. 189/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 
legge 24 dicembre 1979, n. 650, artt. 6 e 17, ultima parte (artt. 25 e 77 della 
Costituzione). 
Pretore di Saluzzo, ordinanza 19 febbraio 1983, n. 236, G. U. 13 luglio 1983, 

n. 191. 
i� 

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110 

RASSF.GNA DELL'AVVOCATURA Dl!LLO STATO 

Pretore di Saluzzo, ordinanza 8 marzo 1983, n. 392, G. U. 21 settembre 1983, 

n. 260. 
dJ. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 2 [come sostituito dalla legge 29 felJ.. 
braio 1980, n. 33]. 

Pretore di Rimini, ordinanze 23 dicembre 1981, n. 130 e 131/83, G. U. 
13 luglio 1983, n. 191. 
Pretore di Rimini, ordinanza 21 luglio 1982, n. 132/83, G. U. 13 luglio 1983, 

n. 191. 
legge. 21 febbraio 1980, n. 28, art. 7, lett. h) (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 16 giugno 
11982, n. 316/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 

legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 3, lett. b) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Verona, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 146/83, G. U. 20 luglio 
1983, n. 198. 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6 (artt. 3, 25 e 103 della Costituzione). 

Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 15 maggio 1981, 

n. 270/83, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. 
legge 29 marzo 1980, n. 33, art. 3 (artt. 3, 32 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Como, ordinanza 30 novembre 1982, n. 89/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
Tariffa allegata alla legge reg. Veneto 8 maggio 1980, n. 50 (art. 119 della 
Costituzione). 
Tribunale di Venezia, ordinanza .13 gennaio 1983, n. 389, G. U. 14 settembre 
.1983, n. 253. 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 58, lett. i) (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 16 giugno 
1982, n. 316/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 

legge 29 luglio 1980, n. 385 (artt. 24 e 42 della Costituzione). 

Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte d'appello di Na~ 
poli, ordinanze (sei) 15 novembre 1982, n. 300.305/83, G. U. 31 agosto 1983, 

n. 239. 
legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, sesto comma, e 10, terzo comma 
(artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Ravenna, ordinanza 30 novembre 1982, n. 83/83, G. U. 6 luglio 
1983, n. 184. 
Pretore di Modena, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 442, G. U. 26 ottobre 1983, 

n. 295. 
legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22 (artt. 2, 3, 38 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Fermo, ordinanza 31 dicembre 1982, n. 314/83, G. U. 31 agosto 1983, 

n. 239. 

INDICE DELLA LEGISLAZIONE 

d.P.It. 18 gennaio 1981, n. 834, art. 12 (artt. 2 e 3 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 413, G. U. 5 ottobre 1983, 

n. 274. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 9 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Perugia, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 172, G. U. 24 agosto 1983, 

n. 232. 
Tribunale di Perugia, ordinanza 7 marzo 1983, n. 411, G. U. 19 ottobre 1983, 
n. 288. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 28 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Todi, ordinanza 24 marzo 1983, n. 416, G. U. 5 ottobre 1983, 

n. 274. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, 54 e 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Sal�, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 97/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Portogruaro, ordinanza 23 novembre 1982, n. 69/83, G. U. 6 luglio 
1983, n. 184. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Genova, ordinanza 20 ottobre 1982, n. 125/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77 (artt. 3 della Costituzione). 


Pretore di Domodossola, ordinanza 14 aprile 1983, n. 464, G. U. 14 settembre 
1983, n. 253. 
Pretore di Torino, ordinanza 16 marzo 1983, n. 428, G. U. 26 ottobre 1983, 

n. 295. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo 
comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Dolo, ordinanza 20 gennaio 1983, n. 220, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. 

Pretore di La Spezia, ordinanza 16 febbraio 1983, n. 292, G. U. 24 agosto 1983, 

n. 232. 
Pretore di Dolo, ordinanza 24 febbraio 1983, n. 321, G. U. 31 agosto 1983, 
n. 239. 
Pretore di Lugo, ordinanza 17 marzo 1983, n. 390, G. U. 14 settembre 1983, 
n. 
253. 
Pretore di Dolo, ordinanza 24 febbraio 1983, n. 441, G. U. 26 ottobre 1983, 
n. 295. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60, ultimo comma (art. 3 della Costi� 
tuzione). 
Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 134/83, G. U. 13 luglio 
1983, n. 191. 


1.12 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Piazza Armerina, ordinanza 10 dicembre 1982, n. 78/83, G. U. 
6 luglio 1983, n. 1184. 
Pretore di Padova, ordinanze (due) 10 dicembre 1982, nn. 96 e 106/83, G. U. 
6 luglio 1983, n. 184. 
Pretore di Piazza Armerina, ordinanze (due) 10 dicembre 1982, nn. 141 e 
142/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. 
Pretore di Cant�, ordinanza 9 dicembre 1982, n. 198/83, G. U. 17 agosto 1983, 

n. 
225. 
Pretore di Torino, ordinanza 23 marzo 1983, n. 429, G. U. 26 ottobre 1983, 
n. 295. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Fermo, ordinanza 1� dicembre 1982, n. 68/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 
184. 
Pretore di Ancona, ordinanza 2 aprile 1982, n. 173/83, G. U. 10 agosto 1983, 
n. 219. 
Pretore di Thiene, ordinanza 11 gennaio 1983, n. 181, G. U. 17 agosto 1983, 
n. 
225. 
Pretore di Monza, ordinanza 11 gennaio 1983, n. 185, G. U. 17 agosto 1983, 
n. 
225. 
Pretore di Genova, ordinanza ,17 gennaio 1983, n. 309, G. U. 31 agosto 1983, 
n. 
239. 
Pretore di Genova, ordinanza 21 gennaio 1983, n. 308, G. U. 14 settembre 1983, 
n. 253. 
Pretore di Portogruaro, ordinanza 11 gennaio 1983, n. 341, G. U. 14 settembre 
1983, n. 253. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 101 della Costituzione). 

Pretore di Legnano, ordinanza 21 marzo 1983, n. 408, G. U. 21 settembre 1983, 

n. 260. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77, primo e secondo comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Recanati, ordinanza 22 dicembre 1982, n. 156/83, G. U. 20 luglio 1983, 

n. 
198. � 
Pretore di Recanati, ordinanza 12 gennaio 1983, n. 235, G. U. 3 agosto 1983, 
n. 212. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 77 e 78 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). 


Pretore di Latina, ordinanza 19 novembre 1982, n. 107/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 92 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza. 3 dicembbre 1982, n. 200/83, 

G. U. 10 agosto 1983, n. 219. 

INDICE DELLA LEGISLAZIONE 
1.H 

legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 101, 102, 103, 105, 106 e 107 (art. 3 
della Costituzione). 

Pretore di Foligno, ordinanza 14 dicembre 1982, n. 112/83, G. U. 13 luglio 1983, 

n. 191. 
legge 24 novembbre 1981, n. 689, art. 142 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Voltri, ordinanza 26 aprile 1982, n. 108/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
legge 10 dicembre 1981, n. 741, art. 20 (artt. 3 e 25 della Costituzione). 
Pretore di Messina, ordinanza 3 gennaio 1983, n. 422, G. U. 12 ottobre 1983, 

n. 281. 
d.l. 
23 gennaio 1982, n. 9, art. 14, quh1to comma, lett. b) [convertito nella 
legge 
25 marzo 1982, n. 94] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Milano ordinanza 25 ottobre 1982, n. 75/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
dJ. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 14, quinto comma, lett. b), prima parte [con� 
vertito in legge 25 marzo 1982, n. 94] .(art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 18 aprile 1983, n. 473, G. U. 28 settembre 1983, 

n. 267. 
d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis [convertito in legge 25 marzo 1982, n. 94] 
(art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 4 marzo 1983, n. 430, G. U. 19 ottobre 1983, 

n. 288. 
legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 10 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Viterbo, ordinanza 29 aprile 1983, n. 465, G. U. 28 settembre 1983, 

n. 
267. 
legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 21 dicembre 1982, n. 160/83, G. U. 3 agosto 1983, 

n. 
212. 
Pretore di Bergamo, ordinanza 1� febbraio 1983, n. 274, G. U. 3 agosto 1983, 
n. 
212. 
Pretore di Bergamo, ordinanza 4 febbraio 1983, n. 275, G. U. 3 agosto 1983, 
n. 
212. 
Pretore di Bergamo, ordinanza 3 marzo 1983, n. 320, G. U. 31 agosto 1983, 
n. 239. 
Tribunale di Bassano del Grappa, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 462, G. U. 
28 settembre 1983, n. 267. 

legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 10 dicembre 1982, n. 98/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
Pretore di Roma, ordinanza 23 dicembre 1982, n. 118/83, G. U. 6 luglio 1983, 
n. 184. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DBLLO STATO 

d.P.lt. 29 aprile 1982, n. 240, artt. 1, 2, primo comma, lett. c) e d) e 11, secon� 
do comma (artt. 3 e 76 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 3 novembre 1982, n. 566/83, G. U. 19 ottobre 1983, 

n. 288. 
d.P.lt. 29 aprile 1982, n. 240, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 3 novembre 1982, n. 566/83, G. U. 19 ottobre 1983, 

n. 288. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 9, secondo e terzo comma, e 15, primo e 
secondo comma (artt. 42 e 44 della Costituzione). 

Tribunale di Ancona, ordinanza 26 ottobre 1982, n. 191/83, G. U. 17 agosto 
1983, n. 225. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25 e 26 (artt. 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Orvieto, ordinanze (ventidue) 1� febbraio 1983, nn. 345-366, G. U. 
27 luglio 1983, n. 205. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41 e 44 della Costi� 
tuzione). 

Tribunale di Siena, undici ordinanze 3 maggio 1983, nn. da 540 a 550, G. U. 
26 ottobre 1983, n. 295. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28, 30 e 31 (artt. 3, 4, 41, 42 e 44 della 
Costituzione). 

Tribunale di Ravenna, ordinanza 20 gennaio 1983, n. 228, G. U. 10 agosto 1983, 

n. 219. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28, 30 e 31 (artt. 3, 4, 41 e 44 della 
Costituzione). 

Tribunale di Ravenna, ordinanze (due) 20 gennaio 1983, n. 226 e 227, G. U. 
20 luglio 11983, n. 198. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 31 (artt. 3 e 41 della Costituzione). 

Tribunale di Ancona, ordinanza 9 aprile 1983, n. 466, G. U. 28 settembre 1983, 

n. 267. 
legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 40, primo comma (artt. 41 e 44 della Costi� 
tuzione). 

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza 3 marzo 1983, n. 307, 

G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 
legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 40 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ordinanza 17 dicembre 1982, 

n. 375/83, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. 

INDICE DELLA LEGISLAZIONE 

legge 29 maggio 1982, n. 297; art. 5, terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). 


Pretore di Milano, ordinanza 29 marzo 1983, n. 444, G. U. 26 ottobre 1983, 

n. 295. 
d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525 (artt. 73 e 79 della Costituzione). 
Tribunale di Firenze, ordinanza 11 novembre 1982, n. 120/83, G. U. 6 lu.. 
glio 1983, n. 184. 

d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Ravenna, ordinanza 30 novembre 1982, n. 86/83, G. U. 6 lu� 
glio 1983, n. 184. 
Tribunale di Ravenna, ordinanza 1� dicembre 1982, n. 119/83, G. U. 6 lu� 
glio 1983, n. 184. 
Corte d'appello di Lecce, ordinanza 7 gennaio 1983, n. 135, G. U. 13 lu� 
glio 1983, n. 191. 
Tribunale di Prato, ordinanza 3 febbraio 1983, n. 264, G. U. 20 luglio 1983, 

n. 198. 
legge 12 agosto 1982, n. 532, art. 25 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale militare di Bari, ordinanza 8 gennaio 1983, n. 334, G. U. 21 settembre 
1983, n. 260. 

d.P.R. 30 settembre 1982, n. 688, art. 9 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Nereto, ordinanza 16 novembre 1982, n. 105/83, G. U. 6 luglio 1983, 

n. 184. 
dJ. 30 settembre 1982, n. 688, art. 9 (artt. 3, 77 e 79 della Costituzione). 

Pretore di S. Don� di Piave, ordinanza 18 marzo 1983, n. 391, G. U. 14 settembre 
1983, n. 253. 

d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [conv. nella legge 27 novembre 1982, 
n. 873] (art. 24, 101, 102 e 104 della Costituzione). 
Tribunale di Trieste, ordinanza 26 gennaio 1983, n. 287, G. U. 31 agosto 1983, 

n. 239. 
d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [convertito 
in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11, 23 e 24 della Costituzione). 
Corte d'appello di Torino, ordinanza 18 marzo 1983, n. 412, G. U. 26 ottobre 
-1983, n. 295. 

legge reg. Sicilia 15 novembre 1982, n. 135 (artt. 3 e 25 della Costituzione). 

Pretore di Messina, ordinanza 3 gennaio 1983, n. 422, G. U. 12 ottobre 1983, 

n. 281. 

116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge approvata dal consiglio regionale d'Abruzzo il 4 maggio 1983 e riapprovata 
il 27 luglio 1983 (art. 'l7 della Costituzione). 


Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 30 agosto 1983, n. 36, G. U. 

'I

7 settembre 1983, n. 246. 

legge 17 maggio 1983, n. 217 (art. 4, n. 1 e n. 10, statuto speciale regione 
Friuli-Venezia Giulia). 


Regione Friuli-Venezia Giulia, ricorso 2 luglio 1983, n. 32, G. U. 27 luglio 1983, 

n. 205. 
legge 17 maggio 1983, n. 217 nel suo complesso e, in particolare, artt. 1, ultimo 
comma, 2, 3, 4, primo, sesto ed ultimo comma, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 e 15 
(artt. 3, terzo comma, 8, n. l, n. 5, n. 19, n. 20, 9, n. 7, 16, primo comma, 78 e 79 
statuto regione Trentino-Alto Adige). 


Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 30 giugno 1983, n. 29, G. U. 20 luglio 
1983, n. 198. 


legge 17 maggio 1983, n. 217, artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 15 (artt. 116 
della Costituzione e 3, lett. a), lett. f) e lett. p), 4, lett. a), 6 e 56 dello statuto 
speciale della Sardegna). 


Regione Sardegna, ricorso 30 giugno 1983, n. 30, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. 

legge 17 maggio 1983, n. 217, artt. 1, primo comma, 5, secondo, terzo, quarto 
e quinto comma, 10, primo comma, 11, dodicesimo comma, 13, 14 e 15 (artt. 5, 
117, 118 e 119 della Costituzione e art. 21 legge n. 335 del 11'176). 


Regione Emilia-Romagna, ricorso 2 luglio 1983, n. 31, G. U. 27 luglio 1983, 

n. 205. 
" legge 17 maggio 1983, n. 217, art. 1, quarto comma, 4, primo comma, 13, primo 
comma, 14, primo e quarto comma, 15, secondo comma (artt. 8, n. 1 e n. 20, 16 
e 78 statuto regione Trentino-Alto Adige. 

Provincia autonoma di Trento, ricorso 30 giugno 1983, n. 28, G. U. 20 luglio 
1983, n. 198. 


d.I. 11 luglio 1983, n. 317, art. 12, secondo comma (artt. 117 e 119 della Costituzione). 
Presidente regione Lombardia, ricorso 12 agosto 1983, n. 35, G. U. 21 settembre 
1983, n. 260. 

d.I. 11 luglio 1983, n. 317, artt. 12, secondo comma, e 17 (artt. il17 e 119 della 
Costituzione). 
�~ 

Presidente regione Toscana, ricorso 10 agosto 1983, n. 34, G. U. 21 settembre 
1983,n. 260. 

disegno di legge riapprovato dal consiglio provinciale di Bolzano il 13 luglio 
1983 (art. 100 statuto reg. Trentino-Alto Adige). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 5 agosto 1983, n. 33, G. U. 7 settembre 
1983, n. 246.