ANNO XXXV -N. 4-5 LUGLIO -OTTOBRE 1983 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1984 ABBONAMENTI ANNO 1984 ANNO � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � L. 29.000 UN NUMERO SEPARATO ���� � � � � � � � � � � � 5.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Ital, Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (5219035) Roma, 1984 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del /'avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . . . pag. 597 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA ZIONALE (a cura COMUNITARIA del/'avv. Oscar E INTERNA- Fiumara) . . � 641 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Carlo Carbone, Carlo Sica e Antonio Cingolo) . . . . . . . . . . . . � 682 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvocati Antonio Catrica/� e Paolo Cosentino) . . . . . . � 692 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura gli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. Palizzi) de � 714 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato Carlo Bafi/e) . . . . . . . . . . . � 735 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . . . � 768 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . . � 780 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO LEGISLAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 77 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AWOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Giovanni CoNTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE F'RANcms, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. ;�.�;�.�.�.�.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�r.�.�.�r.�.r.�.�.� �� �r �� ' �� , ��� , �.,, �� ,,. � �,,, �, , � , ����� ,. � , � � , -~ � , � ,. � � � � �.r.r� � �.r�r� ���e� � � � � � ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI M. CONTI, Requisiti di commercializzazione e misure di effetto equivalente a restrizioni alla importazione ai sensi dell'art. 30 del Trattato CEE . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 646 S. LAPORTA, IGE all'importazione e restituzione di diritti doganali I, 736 G. P. Pouzz1, Spunti critici sulla giurisprudenza della Adunanza Plenaria relativa all'impugnazione del P.R.G. . . . . . . . I, 715 G. STIPO, I criteri della liquidazione della pensione nei riguardi del dipendente statale transitato in un ente compreso nel regime previdenziale degli Istituti di Previdenza ........... . I, 724 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Compensi per danni da forza maggiore Onere della riserva -Sussiste -Tempo dell'iscrizione, 771. -Appalto di opere pubbliche -Decadenza dal diritto per intempestivit� -Libera circol�zione delle persone Previdenza sociale -Pensione sociale -Revoca delle clausole di residenza, 653. -Unione doganale -Libera circolazione delle merci � Imposizioni fiscali interne discriminatorie -Trattamento fiscale del vino e dellae della riserva -Rinunzia della P.A. - Ammissibilit� -Proposta di transazione -Non equivale a rinunzia, 772. ARBITRATO -Arbitrato obbligatorio -Norma regolamentare che lo prevede -Effetti - Vizio di nullit� del lodo per nullit� del compromesso, 768. -Lodo parziale -Lodo parziale affermativo della competenza arbitrale - Impugnativa immediata -Inammissibilit�, 702. AVVOCATURA DELLO STATO -Patrocinio di Enti pubblici -Deroga -Condizioni, 699. COMUNIT� EUROPEE -Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale -Competenza giurisdizionale -Materia contrattuale -Nozione, 641. -Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale � Contratto di assicurazione stipulato anche a favore di terzi � Clausola di proroga della competenza � Sottoscrizione delle parti e non del terzo, 676. -Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale � Eccezione di incompetenza � Difese sul merito - Compatibilit�, 676. -Libera circolazione delle persone Previdenza sociale -Pensione sociale � Ambito della disciplina, 653. birra, 658. -Unione doganale -Libera circola� zione delle merci -Misure d'effetto equivalente a restrizioni all'importazione -Vermut, 645. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione tra Stato e Regione -Non notificato al Pre� sidente del Consiglio, 599. -Incidente di legittimit� costituzionale -Mancato intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri � Impossibilit� di acquisire pareri giuridici, 605. -Incidente di legittimit� costituzionale � Presidente del Consiglio dei ministri e Presidente della Giunta regionale � Intervento � Non impedisce la decisione in camera di consiglio, 605. -Legge di ratifica di trattato inter� nazionale -Non ancora efficace . Non pu� costituire oggetto del giudizio costituzionale, 635. -Principio di eguaglianza -Limiti della giurisdizione costituzionale, 613. DEMANIO -Antichit� e Belle arti -Cose di interesse artistico, storico, archeologico e etnografico -Obbligo di denuncia -Sussiste -Requisito dell'interesse particolare -Irrilevante, con nota di G. PALMIERI, 695. ENTI PUBBLICI -Banche -Banche di diritto pubbli� co � Responsabilit� di amministratori e dipendenti -Parificazione alle banche private -Inammissibilit� della questione, 600. INDICE DELLA GIURISPRUDBNZA vu -Delegazione amministrativa intersoggettiva � Nozione � Affidamento improprio � Attribuzione da parte di un ente ad un altro ente di ogni potere relativo all'esecuzione di un'opera, 694. -Universit� degli studi � Rappresentanza e difesa in giudizio � Spetta all'Avvocatura dello Stato � Ricorso per cassazione proposto da avvocato libero professionista -lnam� missibilit�, 699. ESPROPRIAZIONE PER P.U. -Indennit� -Criteri dettati dalla legge � sulla casa � � Dichiarazione di incostituzionalit� � Legge � tampone � -Applicabilit� nei giudizi in corso, 692. -Indennit� -Opposizione a stima � Dichiarazione di incostituzionalit� delle norme sulla determinazione dell'indennit� in pendenza di giudizio � Effetti � Cessazione della materia del contendere � Esclusione, 692. -Occupazione temporanea d'urgenza � Illegittima per difetto del titolo � Risarcimento del danno � Legittimato passivo � Soggetto che concretamente ha attuato l'occupazione, 694. GIURISDIZIONE CIVILE -Alloggi di tipo economico e popolare � Cessione in propriet� � Adeguamento dell'importo del prezzo di cessione al limite minimo fissato dall'art. 6, secondo comma, della legge 27 aprile 1962, n. 231 � Doverosit�, 682. -Alloggi di tipo economico e popolare � Cessione in propriet� � Criteri legali di determinazione del prezzo � Controversie � Giurisdizione del giudice ordinario, 682. -Riconoscimento del diritto a rimborso IRPEF -Omessa corresponsione � Domanda di pagamento � Giurisdizione delle commissioni tri� butarie, 689. -Riforma della sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione dell'a. g.o. -Omessa rimessione al giudice di primo grado � Violazione del principio del doppio grado di merito -Sussiste, 687. -Tardiva corresponsione dell'indenni� t� di buonuscita � Domanda di pagamento dei danni � Colpevole ritar� do dell'Amministrazione nella trasmissione del progetto di liquidazione all'E.N.P.A.S. � Giurisdizione del giudice ordinario, 687. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Appello -Questioni pregiudiziali sollevate in primo grado � Riproposizione da parte dell'Amministrazione vincitrice. Necessit� o meno dell'ap� pello incidentale in relazione al contenuto della decisione di primo grado, 714. -Regolamento preventivo di giurisdizione -Applicabilit� anche ai giudizi di ottemperanza � Sospensione del processo amministrativo � Legittimit� costituzionale, 625. LOCAZIONE -Immobili adibiti ad abitazione � Facolt� di recesso riconosciuta solo al conduttore � Legittimit� costituzionale, 628. -Immobili adibiti ad abitazione -Termine finale del rapporto -Legittimit� costituzionale, 628. PENA -Sanzioni depenalizzate � Intrasmissibilit� passiva per successione mortis causa � Limiti, 709. PENSIONI -Pensioni civili � Impiegati enti locali � Servizi statali � Ricongiunzione � Liquidazione � Criteri, con nota di G. STIPO, 724. PREVIDENZA -Fondo di previdenza personale imposte di fabbricazione � Impiegati non di ruolo -Sono iscritti, 636. PROCEDIMENTO CIVILE -Cassazione civile -Questioni nuove -Inammissibilit�, 694. -Gratuito patrocinio � Assistenza del consulente tecnico di parte, 597. VIII RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO PROCEDIMENTO PENALE - Diritto df difesa -Prelevamento ed analisi di campioni � Deteriorabilit� del campione -Avviso all'inquisito Necessit�, 613. -Dogana -Reati punibili con pena pecuniaria -Imputati stranieri Carcerazione preventiva -Illegittimit� costituzionale -Estensione nell'ambito dei monopoli, 609. PROFESSIONI -Esame di Stato abilitante -Equipollenti -Necessit� di previsione legislativa espressa, 605. REATO -Reati valutari -Delitti previsti dal secondo e dal terzo comma dell'art. 1 d.l. 4 marzo 1976, n. 31 e succ. mod. -Reati a soggetto qualificato, 780. -Reati valutari -Delitto previsto dal primo comma dell'art. 1 d.l. 4 marzo 1976, n. 31 e succ. mod. -Reato comune a soggetto indifferente, 780. -Reati valutari -Nozione di residenza delle persone fisiche ai fini valutari -:B quella di cui all'art. 1 d.l. 6 giugno 1956, n. 576, 780. -Successione di leggi penali nel tempo -Graduale regolarizzazione di situazioni esistenti -Autonoma legge di delegazione di amnistia -Non necessit�, 612. REGIONI -Coordinamento degli incentivi creditizi -:B attribuzione dello Stato, 621. -Inquinamento -Conferimento di funzioni alle regioni a statuto ordinario -Legittimit� costituzionale, 612. -Regioni a statuto speciale -Decreti legislativi di attuazione -:B competenza legislativa separata, 621. SANZIONI AMMINISTRATIVE -Giudizio di opposizione -Esistenza di un'adeguata motivazione -Potere -Dovere del Pretore di accertar TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -lmr>osta sui redditi di ricchezza mobile -Aziende ed istituti di credito -Quote di reddito destinate a riserva -Aliquota ridotta -Condizioni e limiti, 751. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Soggetti passivi -Eredit� giacente o vacante -Organizzazione di beni non avente personalit� giuridica -Esclusione -Accettazione Acquisto della qualit� di soggetto passivo con effetto retroattivo, 754. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Dogana -Accordo G.A.T.T. -Principio di parit� fiscale tra prodotti nazionali e prodotti importati -Imbarcazioni da diporto -Prima vendita -Esenzione dall'I.G.E. -Assoggettamento ad imposta dei natanti importati -Illegittimit�, con nota di S. LAPORTA, 735. -Dogana -Diritti di prelievo -Importazioni anteriori all'll settembre 1976 -Aliquota applicabile -:B quella in vigore il giorno dell'importazione -Sopravvivenza di aliquota inferiore prima dello sdoganamento -Irrilevanza, 740. - Dogana -Diritti di prelievo -Rinuncia al recupero del maggior prelievo non riscosso -Importazioni anteriori al 1� luglio 1980 -Esclusione, 740. - Dogana -Diritti doganali -Rimborso � Disciplina di cui all'art. 19 d.l. 30 settembre 1982, n. 688 � Applicabilit� all'I.G.E. all'importazione Esclusione, con nota di S. LAPORTA, 735. -Imposta di registro -Agevolazione per il Mezzogiorno � Aumento di capitale di societ� -Conferimento di impianti gi� funzionanti -Non esclude il beneficio, 758. -Imposta di registro -Dichiarazione di simulazione assoluta di atto di trasferimento -Imposta sul ritrasferimento � :B dovuta con riferimento al valore del tempo del ritrasferimento, 747. -Imposta di successione -Deduzione di passivit� -Inventario di eredit� beneficiata -Insufficienza, 742. - Imposta di successione -Dichiarazione -Termine -Accettazione con la -Sussiste, con nota di G. PALMIERI, 695. beneficio di inventario -Rinvio al cod. civ., 765. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA TRIBUTI (IN GENERE) -Accertamento tributario -Notificazioni. Irreperibilit� del destinatario nel domicilio fiscale -Ipotesi diverse, 744. -Condono -Processo costituzionale Eventuale presentazione di istanze di condono -Rimessione al giudice � a quo '" 639. -Contenzioso tributario -Impugna� zione di terzo grado -Oggetto e li� miti -Difetto di motivazione -Ammissibilit�, 763. -Contenzioso tributario -Procedimneto innanzi alle commissioni -Articolo 44 d.P .R. 26 ottobre 1972 n. 636 Illegittimit� costituzionale -Manifesta infondatezza, 760. -Contenzioso tributa11io -Procedimento innanzi alle commissioni -Estinzione -Art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -Effetti -Riassunzione del giudizio -Esclusione, 760. - Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle commissioni -Estinzione -Art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -Effetti -Riproposizione di nuovo ricorso -Inammissibilit�, 760. - Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle commissioni -Impugnazione incidentale condiziona ta -Nozione -Rigetto dell'impugnazione principale -Assorbimento, 757. URBANISTICA -Costruzione abusiva -Ordine di demolizione -Irrogazione della sanzione pecuniaria -Motivazione della scelta tra i due strumenti repressivi -Esclusione di massima � Necessit� per opere conformi al P.R.G., 721. -Costruzione abusiva -Ordine di demolizione -Irrogazione della sanzione pecuniaria -Motivazione della scelta tra i due strumenti repressivi -Necessit� quando trascorso lungo tempo, 721. -Piano regolatore adottato dal Comune -Immediata impugnabilit� Misure di salvaguardia -Riapertura termini per impugnazione piano regolatore, inammissibilit�, con nota di G.P. POLIZZI, 715., -Piano regolatore approvato -Incondizionata impugnabilit�, con nota di G.P. POLIZZI, 715. -Piano regolatore -Beni del patrimonio indisponibile dello Stato -Mutamento di destinazione -Intesa con l'Amministrazione Statale -Mancanza -Illegittimit�, 722. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 8 giugno 1983, n. 149 16 giugno 1983, n. 172 1 � luglio 1983, n. 205 6 luglio 1983, n. 207 6 luglio 1983, n. 210 18 luglio 1983, n. 215 21 luglio 1983, n. 225 21 luglio 1983, n. 226 25 luglio 1983, n. 237 28 luglio 1983, n. 246 28 luglio 1983, n. 248 28 luglio 1983, n. 251 28 luglio 1983, n. 252 29 settembre 1983, n. 282 (ord.) 18 ottobre 1983, n. 308 18 ottobre 1983, n. 310 18 ottobre 1983, n. 314 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE 22 marzo 1983, nella causa 34/82 20 aprile 1983, nella causa 59/82 III Sezione, 5 maggio 1983, nella causa 139/1982 12 luglio 1983, nella causa 170/78 III sezione, 14 luglio 1983, nella causa 201/82 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2454 Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2486 Sez. I, 11 aprile 1983, n. 2545 Sez. I, 16 aprile 1983, n. 2626 Sez. I, 16 aprile 1983, n. 2631 Sez. I, 16 aprile 1983, n. 2633 Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2644 Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2646 Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2648 Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2649 pag. 597 � 599 � 600 )) 605 � 605 � 609 � 612 )) 612 )) 621 � 625 )) 613 � 628 )) 628 )) 635 � 636 � 639 � 613 pag. 641 )) 645 � 653 � 676 )) 676 pag. 735 )) 740 )) 692 � 742 )) 744 � 747 )) 751 � 754 � 757 )) 758 INDICE CRONOLOGICO DEU.A GIURISPRUDENZA Sez. I, 2 maggio 1983, n. Sez. I, 2 maggio 1983, n. Sez. I, 13 maggio 1983, n. Sez. I, 9 giugno 1983, n. Sez. Un., 21 giugno 1983, Sez. I, 27 giugno 1983, n. Sez. Un., 5 luglio 1983, n. 3020 3022 3307 3954 n. 4259 4404 4512 Sez. I, 13 luglio 1983, n. 4759 . Sez. I, 9 agosto 1983, n. 5311 . Sez. I, 18 ottobre 1983, n. 6109 Sez. Un., 20 ottobre 1983, n. 6149 Sez. Un., 21 ottobre 1983, n. 6180 Sez. Un., 29 ottobre 1983, n. 6418 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen. 22 dicembre 1982, n. 21 Ad. Plen. 9 marzo 1983, n. 1 . . Ad. Plen. 19 maggio 1983, n. 12 . Ad. Plen. 27 maggio 1983, n. 13 CORTE DEI CONTI Sez. Ili, 13 gennaio 1982, n. 48927 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . GIURISDIZIONI PENAU CORTE DI CASSAZIONE Sez. III. pen., 19 maggio 1983, n. 390 . . . . . . . . . . . . . . . . . . Xl pag. 760 � 763 � 765 � 694 � 768 � 695 )) 699 � 771 )) 702 � 709 � 682 )) 687 )) 689 pag. 714 � 715 � 721 )) 722 pag. 724 pag.. 780 PARTE SECONDA INDICE DELLA LEGISLAZIONE PARTE SECONDA INDICE DELLA LEGISLAZIONE LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I. -Norme dichiarate incostituzionali pag. 77 II. -Questioni dichiarate non fondate � 81 I III. -Questioni proposte . . . � 87 I I ~ 11 I I �~: >: i:>: f.j ~ ~ 1~ ~ I ~ I I I ~ ~ I I~ i ,.�: ~= PARTE PRIMA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 8 giugno 1983, n. 149 -Pres. Elia -Rel. Mala gugini -Saldarini (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (Avv. Stato Salimei). Procedimento civile � Gratuito patrocinio � Assistenza del consulente tecnico di parte. (Cost., art. 24; r.d. 30 dicembre 1923. n. 3282, art. 11). Il diritto di difesa comprende la facolt� di avvalersi dell'assistenza di un consulente tecnico di parte. Contrasta con l'art. 24 ed � pertanto costituzionalmente illegittimo l'art. 11 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, nella parte in cui non prevede che il beneficio del gratuito patrocinio si estenda alla facolt� per le parti di farsi assistere da consulenti tecnici. (omissis) Questa Corte ha ripetutamente sottolineato �fa portata generale della categorica affermazione -nell'art. 24 Cost. -del diritto � inviolabile di difesa � ed ha rilevato che, pur se spetta � al legislatore, considerate le peculiarit� strutturali e funzionali ed i -diversi interessi in gioco nei vari stadi e gradi del procedimento, dettare le concrete modalit� per l'esercizio del diritto di difesa�, esso deve �nelle diverse situazioni processuali � essere � garantito a tutti su un piano di uguaglianza ed in forme idonee� (sent. n. 125 del 1979 cfr. da ultimo sent. n. 188 del 1980). In termini pi� specifici, la Corte ha ritenuto che � il diritto della difesa deve essere inteso come possibilit� effettiva dell'assistenza tecnica e professionale, nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti� (sent. n. 46 del 1957 e n. 59 del 1959). Ora, � proprio per il carattere � inviolabile � del diritto di difesa, posto anche a garanzia del contraddittorio, che il medesimo art. 24 Cost., al terzo comma, statuisce che � sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione�: con ci� intendendo � rimuovere le �difficolt� di ordine economico che possono opporsi al concreto esercizio del diritto-�di difesa� stesso (sent. n. 46 del 1957 cit.) e cos� instaurare tra le parti quella, almeno tendenziale, � parit� delle armi � che del contraddittorio medesimo � connotato essenziale. I complessi normativi che definiscono gli � appositi istituti� intesi ad assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi in giudizio, 598 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sono stati ripetutamente sottoposti al vaglio di questa Corte in riferimento a vari parametri costituzionali, tra i quali, ricorrente, quello di cui all'art. 24 Cost. E Ja Corte medesima si � pronunciata per Ja non fondatezza delle questioni allora dedotte, tutte incentrate sulla ritenuta insufficienza o non efficienza dei mezzi a quel fine apprestati con le disposizioni di legge denunziate, affermando, al proposito, che �la insufficienza o scarsa efficienza di una norma di legge rispetto agli scopi voluti dalla Costituzione, non pu� condurre a riconoscerla senz'altro contraria alla Costituzione, col risultato di far venir meno il poco gi� attuato (sent. n. 97 del 1970, che richiama la sent. n. 114 del 1964; sentt. n. 149 del 1972, n. 35 del 1973 e n. 58 del 1973). La Corte non � ora chiamata a riconsiderare questa sua precedente affermazione, riferita a censure aventi oggetto e prospettazione diversi rispetto a quella oggi in esame, anche se non pu� esimersi dal rilevare che ila constatazione del �poco attuato � assume ad anni di distanza un sapore ancora pi� amaro. (omissis) g invero da � ricordare che, secondo un principio affermato dalla Corte fin dalla sentenza n. 46 del 1957 e poi fermamente e costantemente ribadito in numerose, successive occasioni, il diritto di difesa �, in primo luogo, garanzia �di contraddittorio e di assistenza tecnico-professionale. Il che � quanto dire che quel diritto, �di regola, � assicurato nella misura in cui si dar� all'interessato la possibilit� di partecipare ad una effettiva dialettica processuale� (sent. n. 190 del 1970). Queste affermazioni, riferite al difensore, vanno estese al consulente tecnico di parte, il quale quando si tratti di risolvere nel giudizio problemi di natura tecnica e si faccia perci� luogo alla nomina di un consulente tecnico d'ufficio svolge funzioni che, secondo la comune opinione di dottrina e giurisprudenza, sono paragonabili a quelle dell'avvocato, limitatamente al piano tecnico. Ci� del resrto, risulta gi� dalle norme processuali che prevedono tale figura e ne disciplinano la facolt� (artt. 87 e 201 cod. proc. civ.; artt. 323 e 324 cod. proc. pen.) ed � stato riconosciuto da questa medesima Corte quando ha affermato che � l'accertamento tecnico sia nel procedimento civile sia in quello penale ha gi.ridica rilevanza di difesa, nei ~imiti segnati dalle regole tecniche che ne costituiscono 'l'oggetto � (sent. n. 128 del 1979): affermazione, questa, che discende �direttamente dail'essere la nomina del consulente tecnico ,di parte prevista a maggior garanzia della regolarit� del contraddittorio. Ora, che il testo di legge sul gratuito patrocinio approvato col r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282 non contemplasse la nomina del consulente di parte � facilmente comprensibile, dato che la nomina stessa non era prevista nel sistema processuale allora vigente (di cui al codice di rito approvato con r.d. 25 giugno 1865, n. 2366) per le ipotesi in cui nel giudizio si ricorresse al parere di uno o pi� �periti� (secondo la terminologia allora vigente). In tale sistema, peraltro, la regola era che il perito o i PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE periti fossero concordemente nominati dalle parti, e vi dovesse provvedere H giudice solo quando queste non si fossero in proposito accordate (art. 253). Ben diverso �, ~nvece, il sistema instaurato con il codice processuale del 1940, nel quale il consulente tecnico d'ufficio � sempre nominato dal giudice ed � data facolt� alle parti, in tal caso, di � farsi assistere... da un consulente tecnico� (artt. 61, 87 e 201). Nell'ambito di tale sistema, Ja mancata previsione della facolt� di nomina di un proprio consulente tecnico da parte del soggetto ammesso al gratuito patrocinio -ovviamente, nel caso ~n cui si faccia luogo nel giudizio alla noll:\ina di un consulente tecnico d'ufficio -non � pi� giustificabile. Essa, infatti, costituisce un'evidente limitazione del diritto di difesa del non abbiente, che ne menoma la possibilit� di efficacemente contraddire quando nel giudizio si controverta su questioni di natura tecnica. Del resto, che nel vigente ovdinamento si� in generale riconosciuto, anche alla parte am� messa al gratuito patrocinio, il diritto di avvalersi dell'opera del consulente tecnico di parte, quando ne � consentita la presenza, risulta positivamente dalle specifiche norme dettate in altri settori dell'ordinamento medesimo. Cos�, riconosciuta dal codice di procedura penale del 1930 (art. 323) la facolt� delle par.ti private di nominare consulenti tecnici, con le facolt� ivi previste (artt. 324 e 325 cod. proc. pen.) apposita disposizione di attuazione del codice medesimo (art. 3, comma secondo, del r.d 28 maggio 1931, n. 602) ha esteso il beneficio del gratuito patrocinio alla facolt� per le parti di farsi assistere da .consulenti tecnici (cfr. anche artt. 4-6 r.d. 24 foglio 1931, n. 1071 [norme di coordinamento delle tariffe in materia penale con quelle dei due nuovi codi�e penale e di procedura penale]). Ed allo stesso modo ha disposto -all'art. 14, secondo comma -la legge sul processo del lavoro (legge 11 agosto 1973, n. 533) nel dettare, per tale settore, la nuova disciplina del patrocinio a spese dello Stato. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 16 giugno 1983, n. 172 � Pres. Elia� Rel. Bucciarelli Ducci � Regione Trentino-Alto Adige (avv. Pace) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Vittoria). Corte costituzionale -Conflitto di attribuzione tra Stato e . Regione Non notificato al Presidente del Consiglio. E inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra Stato e Regione notificato, anzich� al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro che ha emesso il procedimento impugnato. Con ricorso notificato il 2 luglio 1981 la Regione Trentino-Alto Adige, in persona del Presidente della Giunta regionale, ha sollevato conflitto di 2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO attribuzione nei confronti del Ministro del Tesoro avverso i decreti dello stesso ministro de11'11 aprile e del 5 maggio 1981 (pubblicati su1la Gazzetta Ufficiale n. 120 del 4 maggio 1981 e n. 136 del 20 maggio 1981). (omissis) (omissis) Il ricorso � inammissibile per non essere stato notificato al Presidente del Consiglio dei ministri, bens� al Ministro del tesoro. Questa Corte ha pi� volte affermato che i conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni �devono svolgersi esclusivamente nel contraddittorio del Presidente del Consiglio dei Ministri, da un lato, e del Presidente della Regione, dall'altro, di qualunque autorit� dello Stato o della Regione sia l'atto dal quale iJ. conflitto deriva� (sentenza n. 6/1957), disponendo in tal senso gli artt. 39 della fogge 11 marzo 1953, n.. 87, e 27 delle norme integrative 16 marzo 1956. CORTE COSTITUZIONALE, 1� luglio 1983, n. 205 � Pres. Elia � Rel. Roehrssen � Pantellini (avv. Flick), Banca naz. lavoro (avv. Giannini), Fall. Compagnia italiana petroli (avv. Cremonini). Enti pubbllcl � Banche � Banche di diritto pubbllco � Responsabilit� di amministratori e dipendenti -Parificazione alle banche private � Inammissibilit� della questione. (Cost., artt. 3 e 47; cod. pen., artt. 314, 357 e 358; I. 7 marzo 1938 n. 141, artt. 1 e 25). Spetta alla discrezionalit� del legislatore ordinario stabiliffe se debba eliminarsi il divario tra chi opera nelle banche pubbliche e chi opera in quelle private; del resto, la parificazione non potrebbe operarsi semplicemente adottando il regime penalistico pi� favorevole (1). {omissis) Con ordinanza 30 gennaio 1980 Ja Corte d'appello di Bologna -nel corso di un processo per peculato per distrazione a carico dei dipendenti della Banca nazionale del lavoro e di un consigliere della societ� CIP (Compagnia italiana petroli) -ha sollevato questione di <legittimit� costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 47 della Costituzione, (1) La pronuncia appare da condividere (anche se non � del tutto chiaro perch� il dispositivo sia di inammissibilit� anzich� di rigetto). Merita segnalare che, mentre la Presidenza del Consiglio non � intervenuta nel processo costituzionale (malgrado la importanza della questione, ampiamente trattata nella sentenza 10 ottobre 1981 della Corte di cassazione penale a sezioni unite, e dibattuta anche in dottrina), si � costituita in detto processo la Banca nazionale del lavoro -com'� noto, ente di diritto pubblico -per sostenere tesi che non consta abbiano ricevuto un preventivo assenso dell'autorit� di Governo. t l l ! ! I ' I' PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE degli artt. 314 (peculato), 357 (nozione di pubblico ufficiale) e 358 (nozione di persona incaricata di un pubblico servizio) del codice penale. Ne1l'ordinanza si deduce fa irrazionalit� e la discriminatoriet� di tali norme, giacch� in forza di esse i dipendenti da enti pubblici sono sottoposti a pesanti sanzioni penali per comportamenti che, se commessi da dipendenti di enti privati, sarebbero penalmente irrilevanti o sanzionati penalmente in modo pi� lieve. Si adduce che l'art. 47 della Costituzione conferisce all'attivit� creditizia un rilievo particolare (in chiave di disciplina, coordinamento e controllo), di senso unitario, che sembra contraddire la possibilit� di distinzioni tra l'esercizio di quella attivit� ad opera di enti pubblici o di enti privati. Questo aspetto unitario � avvalorato dal rilievo che la legge bancaria, definendo la raccolta del risparmio e l'esercizio del credito come � funzioni di interesse pubblico �, consente J'elaborazione normativa di una categoria a s�, comprensiva dell'attivit� creditizia svolta da operatori privati e pubblici; che essa propone modi identici di controllo sezionale, accomuna tutti gli istituti, enti e persone sotto la comune denominazione di �aziende di credito �; attribuisce la qualit� espressa di pubblici ufficiali ai soli funzionari della Banca d'Italia; prevede una uniforme disciplina penale anche in relazione alle disposizioni pena:li contenute negli artt. 2621 e segg. del codice civile, cui gli operatori credjtizi sono soggetti indipendentemente dall'appartenenza ad enti pubblici o privati. Si sottolinea che anche il credito a medio e lungo termine, come quello ordinario, � esercitato con 'le stesse modalit�, controlli e risorse pattjmoniali, sia esso attuato da enti pubblici o privati. Si rileva, infine, che quale che sia il soggetto da cui promana, l'esercizio dell'attivit� creditizia � attivit� tipicamente imprenditoriale e di �rischio �, che non sarebbe compatibile con fa soggezione a schemi e moduli di controllo anche in chiave penale, tipicamente rigidi e formaListici. In tale situazione, l'applicazione dell'art. 314 cod. pen. conseguente alla genericit� ed all'ampiezza della formulazione degli artt. 357 e 358 cod. pen. si risolverebbe in una violazione de1l'art. 3 della Costituzione, configurando una ingiustificata sperequazione di trattamento tra operatori dipendenti da enti pubblici e privati, in relazione ad una identica situazione di fatto sottostante, come dimostrerebbe J.a circostanza che nel giudizio in corso davanti ad essa il fatto costituente reato di peculato, se commesso da un impiegato di una banca privata sarebbe stato irrilevante sotto il profilo generale � e forse elogiabile sotto quello professionale �. Si � costituita la Banca nazionale del lavoro, la quale ha chiesto che gli artt. 357, 358 e 314 cod. pen. siano dichiarati costituzionalmente illegittimi, in relazione all'art. 1 della legge bancaria. �in quanto qualifi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 602 chino pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio e conseguentemente consentano che siano imputati di peculato per distrazione i di� pendenti d'istituto di credito di diritto pubblico nell'esercizio dell'attivit� creditizia �. Si osserva che l'art. 314 cod. pen. va necessariamente integrato da norme e princ�pi tratti da altre disposizioni di Jegge ed eventualmente da altri ordinamenti per la identificazione del soggetto cui il precetto � rivolto ed a tal uopo occorre riferirsi agli artt. 357 e 358 cod. pen., che danno la nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servi� zio agli effetti della legge penale. Ma neppure queste norme sono suffi� oienti perch� parlano di impiegati dello Stato o di altri enti pubblici e � di ogni altro personale che eserciti una pubblica funzione -ilegislati� va, amministrativa o giudiziaria -o un pubblico servizio �, perch� occorre .riferirsi ad ordinamenti diversi, non penali, per l'identificazione dei concetti di pubblica funzione e di servizio pubblico. Alcuni di questi ordinamenti hanno norme esplicite, inequivoche (ferrovie esercitate dallo Stato o concesse all'industria privata, poste e telecomunicazioni) ed in queste ipotesi il giudice penale identifica M precetto in una norma giuridica tratta dal combinato disposto degli artt. 314, 357 e 358 cod. pen. e da una disposizione propria dell'ovdinamento, che disciplina l'attivit�. Ma fa norma oggetto del presente giudizio di legittimit� costituzionale deriva dal combinato disposto degli artt. 314, 357 o 358 cod. pen. e dei princ�pi dell'ordinamento del credito, che contiene una norma di qualificazione e~licita, l'art. 10, esclusivamente per i funzionari della Banca d'Italia e limitatamente alla funzione di vigilanza sulle aziende di credito. L'ordinamento del credito, quale risulta dalla legge bancaria, disci� plina in modo unitario !',istituto dell'impresa bancaria e costituisce un oroinamento giuridico settoriale, ove, alla potest� di direzione e di controllo dei pubblici poteri, si aggiunge la normazione interna, cui le im� prese sono �assoggettate prioritariamente rispetto alla normativa prima� ria esterna de1l'ordinamento generale. Sicch�, fa qualificazione giuridica delle medesime e delle loro attivit� non pu� derivare da norme di quest'uJ. timo {come quelli aventi ad oggetto gli esercenti pubbliche funzioni o servizi pubblici), in quanto le stesse risultano gi� diversamente quali� ficate e regolate appunto dall'ordinamento sezionale. L'autonomia dell'ordinamento sezionale del credito � confermata dal� l'art. 47 Cost., la cui collocazione nel Titolo III, Parte I, relativo ai rapporti economici conferma che questo ordinamento attiene all'impresa privata ed alla sua disciplina pubblica, non ai pubblici servizi e tanto meno alle funzioni pubbliche. La legge bancaria, dopo aver definito � funzioni di interesse pubblico � la raccolta del risparmio e l'esercizio del credito, dispone che tali PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE funzioni sono esercitate da Istituti di credito di diritto pubblico, da Banche di interesse nazionale, da Casse di risparmio, e da Istituti, Banche ed enti ed imprese private a tale fine autorizzati (art. 1). Tutte le aziende ,di credito (di diritto pubblico o privato) sono sottoposte al controllo delta Banca d'Italia. L'applicazione degli artt. 357 e 358 in relazione all'art. 314 cod. pen. agli amministratori e dipendenti degli istituti di credito di diritto pubblico nell'esercizio dell'attivit� creditizia sarebbe in contrasto evidente con gli artt. 3 e 47 Cost. perch� senza alcuna ragionevole ~ustificazione pone in es,sere un trattamento differenziato fra persone che esercitano la stessa attivit�, soggetta ad una stessa unitaria conforme disciplina. Ci� vale sia per il credito ordinario, a breve tenmne, sia per il credito a medio e a lungo termine. Anche queste forme di credito speciale sono esercitate, infatti, da enti pubb1ici e privati alle stesse condizioni, con le stesse modalit� e sotto gli stessi controlli. (omissis) Con tali ordinanze la Corte viene investita del i;dudizio sulla legittimit� costituzionale degli artt. 357, 358 e 314 cod. pen. in relazione all'art. 1 della legge 7 marzo 1938, n. 141 (� Disposizioni per la difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia�) nonch� dell'art. 61, n. 9, cod. pen., in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost. Ritengono, infatti, le ordinanze che le cennate norme del codice pe� nale, attribuendo ai dipendenti delle banche di diritto pubblico la qualifica di pubblici ufficiali senza alcuna discriminazione, violerebbero l'art. 47 Cost., il quale avrebbe accolta una nozione unitaria delle banche, sia pubbliche sia private, tutta fondata sull'assetto privatistico, e J'art. 3 Cost., in quanto sottoporrebbero a1la pi� grave disciplina penale propria dei pubblici ufficiali amministratori e dipendenti che svolgono funzioni del tutto identiche a quelle di amministratori e dipendenti di banche di diritto privato che a quella disciplina non sono assoggettati. La questione, cos� proposta, � inammissibile. Infatti, le ordinanze di rimessione -necessariamente ancorate al requisito della rilevanza nei giudizi a quibus deHe norme denunciate e degli effetti delle decisioni di questa Corte -hanno sottoposto al suo esame soltanto alcuni articoli del codice penale ma nella realt�, attraverso la denuncia di queste specifiche disposizioni, pongono in di� scussione il complesso delle norme penali applicabili agli ~stituti di credito e dalla sua valutazione globale non si pu� prescindere se si vuole pervenire ad una soluzione la quale sia ispirata a criteri di razionalit� e coerenza. Appare allora evidente che, una volta esaminato il cennato complesso normativo, le scelte da adottare non possono che essere rimesse alla di� screzionalit� del legislatore, verificandosi altrimenti il pericolo di non 604 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO lasciare margini per soluzioni che si adeguino ai princ�pi affermati particolarmente negli artt. 41 e 43 Cost. In ogni caso tale discrezionalit� non potr� che svolgersi nella considerazione globale del problema. Da questo punto di vista va rilevato che le disparit� di trattamento tra amministratori e dipendenti di banche pubbliche e di banche private non si limitano alla disciplina del peculato e dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 9, del codice penale. Invero, a parte la malversazione, esse (pur sommariamente evocate) riguardano, tra l'altro, le ipotesi di falsit� nei bilanci ed in altre comunioazioni sociali, le stesse falsit� in atti e documenti della banoa (art. 479 cod. pen.), a fronte del meno grave delitto di false comunicazioni sociali previsto dall'art. 2621, n. 1, del codice civile. V'�, inoltre, il diverso regime penale in ordine alla obbligatoriet� del rapporto all'autorit� giudiziaria (art. 361 cod. pen.). E infine rispetto a:Lle banche pubbliche, possono profilarsi altri reati tipici contro la pubblica Amministrazione, che non trovano riscontro per le banche private, ovvero danno Juogo a differenti ipotesi criminose (interesse privato: art. 324 cod. pen. e art. 2631 cod. civ.; omissione di atti di ufficio: art. 328 cod. pen. e art. 2625 e ss. cod. civ.; rivelazione di segreti e notizie riservate: art. 326 :cod. pen. e art. 2627 cOcl. civ.). Dinanzi a simile strumentazione penalistica ed al conseguente divarfo fra chi opera nelle banche pubbliche e chi opera in quelle private (divario gi� di per s� problematico, a seguito della nota giurisprudenza penale sulla natura di incaricati di. pubblico servizio degli amministratori e funzionari degli enti bancari privati, contrasta tuttavia per taluni aspetti dagli orientamenti della giurisprudenza civile) \�i � da dire che la parificazione del trattamento sanzionatorio (che viene chiesto dalle ordinanze di rimessione) non potrebbe per� che :competere al legislatore, al quale spetta valutare tutti i diversi profili della materia. Del resto fa parificazione, com'� prospettata nelle ordinanze, non potrebbe operarsi semplioemente adeguando il regime penalistico anzi. detto a quello pi� favorevole, perch� in questo caso si potrebbero creare altre sperequazioni, a svantaggio del settore privato, soprattutto per quanto attiene allo stato di insolvenza (cfr. in particolare art. 195, ultimo comma, legge fallimentare). Spetta quindi alla discrezionalit� del legislatore stabilire dn quali termini il diritto penale dell'impresa bancaria debba inquadrarsi o risolversi in un pi� ampio diritto penale dell'impresa; e, soprattutto, determinare quali fattispecie criminose debbono considerarsi pi� <idonee ai fini della prevenzione e della punizione di comportamenti fraudolenti. � peraltro auspicabile che la materia sia presa in esame il pi� rapidamente possibile, nel quadro della normativa costituzionale e comunita11ia. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I CORTE COSTITUZIONALE, 6 luglio 1983, n. 207 � Pres. Elia � Rel. Paladin -Consiglio naz. ragionieri e periti commerciali (avv. Mandel). Corte costituzionale � Incidente di legittimit� costituzionale � Mancato intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri � Impossibllit� di acquisire pareri giuridici. Professioni � Esame di Stato abllitante � Equipollenti -Necessit� di previsione legislativa espressa. (Cost., art. 33; d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, art. 31). La Corte costituzionale non pu� disporre l'acquisizione del parere di un ufficio legislativo per surrogare il mancato intervento del Presidente del Consiglio dei ministri. Il legislatore ordinario pu� equiparare all'esame di Stato, generalmente prescritto per l'accertamento di determinate capacit� professionali, altri esami che in effetti soddisfino la medesima esigenza,� tuttavia tali equiparazioni, rappresentando una eccezione alla regola, devono essere espressamente previste. II CORTE COSTITUZIONALE, 6 luglio 1983, n. 210 � Pres. Elia -Rel. Reale. Corte costit~onale � Incidente di legittimit� costituzionale � Presidente del Consiglio dei ministri e Presidente della Giunta regionale -Inter vento � Non impedisce la decisione in camera di consiglio. La Corte costituzionale pu� decidere in camera di consiglio anche quando il Presidente del Consiglio dei Ministri (o il Presidente della Giunta regionale) � intervenuto nel processo costituzionale; la decisione in camera di consiglio � impedita soltanto dalla costituzione in detto processo di taluna delle parti � in causa � del giudizio nel quale la questione incidentale di legittimit� costituzionale � stata sollevata. I (omissis) Entrambe le ordinanze procedono, infatti, dalla premessa che l'art. 31, primo comma, nn. 4 e 5, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (�Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciaile�), pur non avendo abrogato la disciplina dettata in materia di abilitazione professionale dall'art. 2 della legge n. 327 del 1906, valga senz'altro ad esentare dall'obbligo della pratica biennale e dal superamento dell'apposito esame gli abilitati all'insegnamento della ragioneria negli istituti tecnici-commerciali. Ed entrambi i giudici ne desumono un motivo di con 606 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO trasto fra le disposizioni denunciate e l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, l� dove si prescrive �un esame di Stato... per l'abilitazione all'eseroizio professionale �. Come gi� si � ricordato in narrativa, il costituito Consiglio nazionale dei ragionieri e periti commerciali ha preliminarmente contestato l'interpretazione dalla quale muovono i giudici a quibus. Mediante una memoria depositata alla vigilia della pubblica udienza, fa difesa del Consiglio ha anzi avanzato formale richiesta, affinch� la Corte acquisisca, � in via istruttoria�, l'avviso del Ministero di grazia e giustizia e -pi� precisamente -un parere dell'Ufficio legislativo del Ministero stesso, interpellato in proposito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Ma una domanda del genere non pu� essere accolta, dal momento che i mezzi istruttori utilizzabili nei giudizi sulla legittimit� costituzio nale delle leggi, in applicazione dell'art. 13 della legge n. 87 del 1953 e dell'art. 12 delle Norme integrative del 16 marzo 1956 giovano allo scopo di conoscere dati od elementi di fatto, non gi� per stabilire m qual modo si debba interpretare la disciplina impugnata (o per surrogare -come, in sostanza, si vorrebbe nella specie -il mancato intervento del Presi dente del Consiglio dei ministri). Ci� posto, per�, anche questa Corte � dell'avviso che alle disposi zioni in esame non si possa attribuire il senso configurato e censurato dai giudici a quibus. L'oggetto specifico delle presenti impugnative, vale a dire l'art. 31, primo comma, n. 5, del d.P.R. n. 1068 del 1953, si risolve infatti nel prean nuncio che il �termine� e le �modalit�� dell'abilitazione all'esercizio della rprofessione di ragioniere e perito commerciaie � saranno stablite con apposita norma legislativa, su proposta del Ministero per fa pub blioa istruzione di concerto con quello per la grazia e giustizia�: norma che, per altro, non � mai stata emanata. Perci� la Corte ne ha tratto -con la decisione n. 43 del 1972 -ila conseguenza che � sono tuttora tin vigore, sul punto relativo ai requisiti richiesti per l'iscrizione nell'albo e per �l'esercizio pubblico della professione di ragioniere, le :nor me di cui alla legge n. 327 del 1906 (art. 2, comma secondo, fottera d), ed al relativo regolamento d'esecuzione (r.d.l. n. 715 del 1906, articoli 18-23), non essendo state le stesse abrogate o derogate da norme successive ed in particolare da quelle di cui alla legge n. 3060 del 1952 (articolo unico) e al d..P.R. n. 1068 del 1953 (art. 31, nn. 4 e 5) �. E la permanenza de.i par ticolari requisiti previsti dall'ordinamento del 1906, cio� del � compi mento del biennio di pratica� e del � superamento dell'esame teorico pratico�, � stata poi riaffermata pi� volte, sia dalla. Corte stessa (con le sentenze n. 111 del 1973 e n. 83 del 1974), sia da alcilne contemporanee pronunce della Cassazione. Ora, una volta chiarito che il legislatore non ha provveduto in nessun modo ad innovare la disciplina dettata dalla legge e dal regolamento del PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 1906, in tema di abilitazione professionale, � contraddittorio sostenere -come fanno i giuilici a quibus -che le disposizioni denunciate avrebbero pur sempre una puntuale ed immediata efficacia precettiva, consistente nel consentire senz'altro l'iscrizione nell'albo dei ragionieri e l'esercizio della rispettiva professione, quanto agli abilitati all'linsegnamento della ragioneria negli istitu1li tecriici-commerciali. E la circostanza che l'art. 31, primo comma, n. 5, non prescriva in modo espresso che gli stessi insegnanti in questione, specificamente menzionati nel n. 4 del medesimo comma, devono per ora possedere i requisiti prescritti dall'o11dinamento del 1906, non basta a sorreggere l'interpretazione sulla quale si fondano le ordinanze in esame; tanto pi� che il d.P.R. n. 1068 del 1953 non prende in alcuna considerazione, non solo nell'art. 31 ma anche 111egli altri suoi disposti, le norme preesistenti che transitol1i.amente continuano a regolare l'esercizio della professione di ragioniere (salvo il particolarissimo caso di coloro che vi erano stati abilita1Ji prima ancora dell'entrata in vigore della legge 15 luglio 1906, n. 327). Vero � che il legislatore ordinario pu� equiparare all'esame di Stato, generalmente prescritto per l'accertamento di determinate capacit� professionali, altri esami che in effettJi soddisfino la medesima esigenza (come la Corte ha precisato nelle sentenze n. 174 e n. 175 del 1980). Ma rimane fermo che tali equipollenti, rappresentando un'eccezione alla regola, devono venire espressamente previsti, anzich� risultare lin modo implicito. E, d'altro lato, non si possono comunque ipotizzare equipollenze del genere, J� dove il legislatore non abbia nemmeno definito -come appunto si registra ne1la specie -i termini e le modalit� dell'accertamento normalmente necessacio per i candidati all'abilitazione professionale. La questione � dunque inammissibile, poich� l'art. 31, primo comma, n. 5 del d.P.R. n. 1068 del 1953 non ha alcun c0111tenuto normativo, suscettibile di trovare applicazione da parte dei giudici a quibus, nel senso censurato dalle orilinanze cm rimessione. Tuttavia, la Corte non pu� non r1levare che i dubbi di legittimit� costituzionale e le connesse difficolt� interpretative, cui hanno dato luogo le ilisposizioni denunciate, verrebbero meno in partenza se .il legislatore sciogliesse -dopo trent'anni di attesa -la riserva concernente l'abilitazi0111e all'esercizio della professione di ragioniere e penito commerciale. Se nOID. altro sotto questo aspetto, risulta perci� necessario che l'ordinamento del 1953 venga completato ed aggiornato, ponendo fine alla scoordinata sovrapposizione di leggi scolastiche e di leggi professionali, che da tanti decenni costituisce una nota negativa della disciplina del settore. Il (omissis) La Corte ritiene di poter procedere all'esame della questione in camera cm consiglio, ancorch� si sia verificato l'intervento del Presidente .> .> RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 608 del Consiglio dei ministri rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato. E ci� a norma dell'art. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, il quale dispone che �qualora non si costituisca alcuna parte... fa Corte pu� decidere in camera di consiglio �. Il presupposto dell'applicazione nel senso detto di tale norma � costituito dalla negazione della qualit� di � parte � nel Presidente del Consiglio (non quando esso sia stato parte nel giudizio principale, ma) quando esso interviene nel giudizio incidentale di legittimit� costituzionale. La, Corte ritiene che la questione possa essere decisa utilizzando un elemento di giudizio testuale e uno desunto dal sistema. In primo luogo il testo della legge. Il citato art. 26 della legge n. 87 del 1953 che esclude '1a necessit� dell'uddenza quando non vi sia alcuna parte costituita segue immediatamente l'art. 25 il quale in due commi distinti tratta separatamente della facolt� delle � parti � e di quella del Presidente del Consiglio dei ministri e del Presidente della Giunta Regionale. La netta distinzione e separazione :indica che i Presidenti del Consiglio dei ministri e della Giunta Regionale non appartengono alla categoria delle � parti �. Vero � che l'art. 8 delle Norme integrative 16 marzo 1956 per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, a proposito della convocazione della Corte in udienza pubblica, stabilisce che il decreto di fissazione dell'udienza � comunicato in copia alle � parti costituite �, considerando unitariamente le partii in senso proprio e gli intervenii.enti, e che l'art. 17, comma secondo, stabilisce, senza distinguere tra parti ed intervenienti, che �dopo la relazione, i difensori delle parti svolgono succintamente i motivi delle loro conclusioni (al quale riguardo deve per� ricordarsi che la dottrina non ha mancato di sottolin;eare il rilievo che assume Ja prassi costante secondo la quale l'Avvocatura parla sempre per ultima dopo i difensori delle parti). Ma � vero anche che gli artt. 3 e 4 trattano distintamente (come fa l'art. 25 della legge n. 87) della � costituzione delle parti � e dell' � intervento in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri e del Presidente della Giunta Regionale�; mentre l'art. 9 contiene ,una disposi:llione ripetitiva dell'art. 26 della legge n. 87. Pertanto Ie non univoche enunciazioni delle Norme integrative (tuttavia destinate ad assicurare sia alle parti, sia agli intervenienti, la comunicazione della data di trattazione della causa, in udienza o in camera di consiglio, e conseguentemente la facolt� di presentare memoria illustrati. va anche in questo secondo caso) non possono invalidare, anche per la loro natura, la chiara distinzione che ila legge n. 87 ha posto tra parti ed intervenienti. La quale -ed � questo il secondo fondamentale elemento di giudizio -� conseguente e coerente alla natura <incidentale del giudizio costituzionale. Costituendo iii giudizio di legittimit� un incidente del giudizio di merito, � a questo, necessariamente, che bisogna far capo per stabilire PARIE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE quali siano le parti �in causa�, cio�, secondo la definizione della dottrina prooessualistica, quelle che propongono la domanda o :in nome delle quali la domanda � proposta e quelle contro le quali. � diretta la domanda medesima. La Corte non ignora le controversie e discussioni della dottrina intorno al difficile problema dell'inquadramento dommatico dell'intervento del Presidente del Consiglio nel giudizio costituzionale e delle critiche che all'istituto cos� come organizzato vengono mosse per le sue anomalie. Ma anche in dottrina � prevalente l'opinione che esclude ila qualit� di parte nel Presidente del Consiglio che interviene innan2'Ji la Corte, proprio perch�, come � stato osservato, le �parti� in senso tecnico-giuridico sono soltanto quelle stesse che erano parti nel processo da cui hl questione proviene. Conclusione coincidente con quella che la Corte trae dalla natura incidentale del giudizio di costituzionalit� e dal testo della legge n. 87 del 1953. (omissis) CORTE COSTITUZIONA:LE, 18 1uglio 1983, n. 215 � Pres. Elia -Rel. Conso. Tzonis ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Procedimento penale � Dogana � Reati punibili con pena pecuniaria � lm� putati stranieri � Carcerazione preventiva � Illegittimit� costituzionale � Estensione nell'ambito dei monopoli. (Cost., art. 3; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43; art. 332; 1. 17 luglio 1942, n. 907, art. 108). Contrastano con l'art. 3 Cost. e sono pertanto costituzionalmente illegittimi: a) l'art. 332, primo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale) e l'art. 108, primo comma, della legge 17 luglio 1942, n. 907 (legge sul monopolio dei sali e dei tabacchi), relativamente alle parole � ovvero quando si tratta di straniero che non d� idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle multe o delle ammende �,� b) l'art. 332, secondo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, e l'art. 108, secondo comma, della legge 17 luglio 1942, n. 907, relativamente alle parole � o, trattandosi di straniero, fino a che questi non ha prestato la cauzione o la malleveria �. (omissis) L'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 {testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), riproduce, alla lettera, ,l'art. 139 della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (legge doganale), gi� oggetto di due interventi da parte di questa Corte, sfociati entrambi in pronunce di rigetto. Ed invero, dapprima, � stata dichiarata non fondata, con la sentenza n. 26 del 1964, una questione di legittimdt� dell'art. 139, secondo comma, ultimo periodo (�Tuttavia, la detenzione del colpevole non pu� 610 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO superare il massimo della pena stabilita dalla ilegge per il reato di cui � imputato, od i tre mesi quando contro di lui si procede per contravvenzione �), in riferimento all'art. 13, quinto comma, Cost., e, poi, con la sentenza n. 120 del 1967, una questione di legittimit� dell'art. 139, m riferimento ,agli artt. 3 (coHegato, nella parte motiva, con l'art. 2), 10, secondo comma, e 27 Cost., cos� �da escludere�, fra l'altro, l'esistenza di �una illegittima discriminazione per lo straniero� rispetto al cittadino. (omissis) Gi� in due occasioni questa Corte era pervenuta a dichiarare megittime, per contrasto con l'art. 3 Cost., norme che iimponevano la carcerazione preventiva per reati punibili con sola pena pecuniaria: nel primo caso (sentenza n. 39 del 1970) la questione verteva sull'arresto obbligatorio in flagranza nei confronti del contravventore al divieto di comparire mascherato in luogo pubblico o aperto al pubblico, cio� di un contravventore che, � tutt'al pi�, sair� passibile deHa pena dell'ammenda � (artt. 85 e 220 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773); nel secondo caso (sentenza n. 42 del 1973) era mdiscussione l'emissione del mandato di cattura obbligatoriamente prevista anche per le ipotesi nelle quali il fatto di vendere o mettere in vendita merci a prezzi superiori, in quanto addebitato come �di lieve entit��, pu� essere �punito solo con fa multa� (artt. 14, terzo comma, e 15, secondo comma, del d.lgs. C.p.S. 15 settembre 1947, n. 896). Per la prima sentenza, la specifica ipotesi di carcerazione preventiva non trovava giustificazione di fronte all'art. 3 Cost. (l� invocato a causa della diversit� di trattamento riscontrabile rispetto a tutti gli altri reati punibili con pena detentiva ma non suscettibili di arresto in flagranza) � n� con fa gravH� del reato, che, an2li, la legge stessa considera di cos� scarsa entit� da comportare, come si � detto, la sanzione contravvenzionale dell'ammenda; n� con ragionevoli motivi di prevenzione, ch� la mascheratura � lungi dal denotare, di per s�, una qualsiasi pericolosit� del soggetto attivo�: due argomentazioni, queste, che non si possono ripetere tali e quali in ordine ai delitti per le cui ipotesi non aggravate il d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, commina la sola pena della multa (le contravvenzioni punibili con la sola pena dell'ammenda sono ora depenalizzate, non esistendo .ipotesi aggravate punibili con l'arresto). A sua volta, per la seconda sentenza, l'irrazionalit� ex art. 3 Cost. era da <l'avvisare nell'essere l'autorit� giudiziaria � obbligatoriamente tenuta a disporre la cattura anche per un fatto nel quale essa stessa, nella sua preliminare delibazione, ravvisi gli estremi della tenuit��: una considerazione, pure questa, che non trova pieno riscontro nel settore regolamentato dal d.P .R. n. 43 del 1973. D'altra parte, per quanto riguarda l'art. 332 di tale decreto, che prescrive l'arresto quando non sia data cauzione o malileveria � per il pagamento delle multe o delle ammende �, essendovi in allora posto per la conversione deMa pena pecuniaria insoluta in pena detentiva, non mancava la possibilit� che la pena detentiva, pur non comminabile all'atto delJa condanna, subentrasse a11a pena pecuniaria in sede di esecuzione. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Come osserva l'ordinanza della Corte di cassazione, adesso che, a seguito della sentenza n. 131 del 1979, J.a pena detentiva non pu� pi� subentrare alla pena pecuniaria insoluta, la previsione di una carcera 2lione preventiva cos� finalizzata, a carico di un imputato nei cui con fronti la pena detentiva non potr� pi� trovare esecuzione in alcun modo ed in alcuna forma, si appaJesa �contraria ad ogni criterio di ragionevo lezza �,qualunque sia l'entit� de1la pena pecuniaria irrogabile. A tutto concedere sullfl natura giuridica di questa speciale figura di carcerazione preventiva (arresto obbligatorio e divieto di liberazione se non viene prestata idonea cauzione o malleveria per ii pagamento della pena pecuniaria; liberazione dovuta e, pertanto, non libert� provvisoria, ma scarcerazione .immediata se viene prestata idonea oauzione o malleveria), e, quindi, anche ad ammettere che si sia in presenza non di un'anticipata espiazione della pena (in tal caso, si arriverebbe all'assurdit� di far scontare sotto forma di carcera2'Jione preventiva un'eventuale sanzione non espiabile sotto specie di pena detentiva), bens� di una misura cautelare sussidiaria e mediata rispetto alla misura cautelare ;principale e diretta (cio�, la cauzione o malleveria) preordinata soltanto ad assicurare il pagamento della pena pecuniaria, un dato rimane innegabile: l'arresto obbligatorio e il divieto di scarcerazione si risolvono in un mezzo di pressione esercitato sulla persona fisica delil'imputato all'unico fine di costringerlo all'esborso anticipato di una somma che, in caso di .condanna a pena pecuniaria, non potrebbe mai essere ottenuta dallo Stato utilizzando nella fase dell'esecuzione analoghi strumenti di coercizione fisica. Questo insieme di valutazioni -che, facendo .leva su un riverbero dellla sentenza n. 131 del 1979, portano a concludere nel senso di una palese irrazionalit� delle pr�scrizioni in esame, anche tenuto conto di ciuelle che sono le normali finalit� della carcerazione preventiva: un'irrazionalit� tanto pi� gi:iave e tanto meno tollerabile in quanto a risentirne � un fondamentale vail.ore quale la libert� pel'ISonale -coinvolge, anzi. tutto, le rLpotes.i (normalmente, ma non esclusivamente, prese in considerazione dalle ordinanze di rimessione) nelle quali l'applicazione del 1 l'art. 332 del d.P.R. n. 43 del 1973 concerne reati punibili esclusivamente con pena pecuniaria. Ma ci� non toglie che ne rimangano coinvolte anche le ipotesi in cui il prolungarsi dell'arresto dello straniero abbia attinenza a reati punibili congiuntamente con pena detentiva e con pena pecuniaria {o -anche se questa eventualit� non trova riscontro nelle previsioni del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 -con pena detentiva alternativamente a .pena pecuniaria): ovviamente, e semprech� rispetto alla pena detentiva la carcerazione preventiva trovi titolo nelle ordinarie previsioni delle foggi processuali penali, l'irrazionalit� dell'arresto verr� a delinearsi quando il periodo di carcerazione gi� sofferto assorba i rapporti con la pena detentiva, cos� che il suo proseguire trovi titolo soltanto nella man 612 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cata prestazione della cauzione o della malleveria preordinata a garantire il pagamento della pena pecuniaria. L'art. 332 del d.P.R. 23 gennaio 1973, in. 43, va, dunque, dichiarato illegittimo relativamente sia alle parole del primo comma: � ovvero quando si trotta di straniero che non d� idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle multe e deMe ammende �, sia alle parole del secondo comma: � o, trattandosi di straniero, fino a che questi non ha pagato la cauzione o la ma!lleveria �, (omissis) In applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, � pure da dichiaraire iUegittimo negli stessi termini il gi� menzionato art. 108 della legge 17 luglio 1942, n. 907, che, con riguardo atlle violazioni penalmente sanzionate del monopolio dei sali e dei tabacchi, configura per lo straniero casi di arresto con prescrizioni pressoch� identiche; pertanto, anche questa declaratoria conseguenziaile di illegittimit� investe le corrispondenti parole dei prjmi due commi di detto articolo. I CORTE COSTITUZIONALE, 21 luglio 1983, n. 225 � Pres. FMa -Rel. Reale � Regione Lombartlia (avv. Pototschnig) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Regioni � Inquinamento � Conferimento di funzioni alle regioni a statuto ordinario � Legittbnit� costituzionale. (Cost., art. 117; I. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, artt. 14 e 15). Premesso che prima della legge Merli 10 maggio 1976, n. 319 non esisteva nella legislazione statale una organica discipl.ina relativa agli inquinamenti, non pu� ritenersi costituzionalmente illegittima una interpretazione estensiva dell'art. 117 Cost. con riconoscimento di un ambito di competenza delle regioni in materia di disciplina degli scarichi e di tutela delle acque dall'inquinamento (come successivamente confermato dall'art. 101 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616). II CORTE COSTITUZIONALE, 21luglio1983, n. 226 � Pres. Elia -Rel. Paladin. Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Reato � Successione di leggi penali nel tempo � Graduale regolarizza zione di situazioni esistenti � Autonoma legge di delegazione di amni� stia � Non necessit�. (Cost., artt. 3, 9 e 79; I. 10 maggio 1976, n. 319, artt. 15, 25 e 26). Nel quadro della introduzione di una normativa penale pi� severa, il legislatore ordinario pu� -senza necessit� di autonoma legge di dele PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE gazione di amnistia -prevedere la estinzione d�i reati anteriormente commessi al verificarsi di condizioni puntualmente stabilite per la regolarizzazione delle situazioni di fatto esistenti. III CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983, n. 248 � Pres. Elia � Rel. BucciareMi Ducci -Tummirna ed a:ltri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Procedimento penale � Diritto di dHesa � Prelevamento ed analisi di campioni � Deteriorabilit� del campione � Avviso all'inquisito � Ne cessit�. (Cost., art. 24; 1. 10 maggio 1976, n. 319, art, 15). Contrasta con l'art. 24 Cost. l'art. 15 comma settimo legge 10 maggio 1976 n. 319 (norme per la tutela delle acque dall'inquinamento) come sostituito dall'art. 18 legge 24 dicembre 1979 n. 650, nella parte lin cui non prevede che il Laboratorio Provinciale di igiene e profilassi dia avviso al titolare dello scarico affinch� possa presenziare, eventualmente con l'assistenza di un consulente tecnico, all'esecuzione delle analisi. IV CORTE COSTITUZIONALE, 18 ottobre 1983, n. 314 -Pres. Elia -Rel. PaJaclin -P,residente Consiglio dei Ministri. Corte costituzionale � Principio di eguaglianza � Limiti della giurisdizione costituzionale. (Cost., art. 3; I. 10 maggio 1976, n. 319, artt. 9, 12, 13, 15, 21, 22 e 25). La Corte costituzionale non � abilitata, in nome dell'eguaglianza, ad esercitare scelte di esclusiva spettanza del legislatore, ma pu� solo ridurre le deroghe ingiustificate e le arbitrarie eccezioni alle regole (generali) gi� stabilite dalla legge ovvero ai principi generali univocamente desumibili dall'ordinamento. I (omissis) La questione non � fonidata. Essa � stata sollevata sul rilievo che � la disciplina de~i scarichi industriali non sembra rientrare in alcuna delle ma:terie indicate nell'art. 117 Cost. �, mentre poi �lo Stato, nel trasferire alle Regioni con i decreti delegati del 1972 le funzioni amministrative nelle materie attri 614 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ.O STATO buite alle Regioni stesse dal menzionato art. 117 Cost., ha mantenut� a se stesso la competenza in omine all'igiene del suolo e dell'ambiente, all'inquinamento atmosferico e cWlle acque ed agli aspetti igienico-sanitari delle industrie insalubri, come espressamente stabilito dall'art. 6, n. 7, del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4 �. La Corte �ritiene che la delicata questione della competenza regionale nella materia di cui trattasi non possa essere affrontata se non partendo dalla considerazione che fino alla legge cosiddetta Merli n. 319 del 1976 non esisteva nella legislazione dello Stato alcuna organica disciplina relativa agli iinquinamenti. Il problema, divenuto assai grave con Io sviluppo industriale e con quello urbanistico, era solo frammentariamente toccato da molteplici disposizioni sia delle leggi sanitarie, sia di quelle sulla pesca e sulle acque pubbliche, sia del codice penale, con ampi margini di incompletezza, di discrezionalit� e di incertezza sulla loro concreta appli� I cabilit�, tanto da rendere assai difficili e controversi i primi mtervent!i. dell'autorit� giudiziaria di fronte all'incontrollato espandersi del fenomeno dell'inquinamento, ulteriormente favorito proprio dalla deficienza e scarsa decifu-abilit� della regolamentazione. Che in questa specie di vuoto �legislativo le regioni, nella specie la regione Lombardia con la legge n. 48 del 1974, siano state pressoch� costrette ad inserirsi con una interpretazione estensiva e globale . ma non arbitraria della competenza loro accordata dafil'art. 117 della Costituzione in materia di urbanistica, di caccia e pesca nelle acque interne (cio� in materia direttamente o indirettamente collegata con quella della protezione dagli inquinamenti), � fatto che non pu� considerarsi travalicante i limiti della competenza regionale. D'altra parte, come � rilevato in dottrina, da una considerazione uni� taria del contenuto dell'art. 117 della Costituzione si desume l'attribuzione alle regioni, come uno dei campi preforenziali, della competenza relativa all'assetto del territorio, del quale le acque costituiscono elemento essenziale, sicch� la �strumentazione della loro difesa dagli inquinamenti non pu� ritenersi sottratta, quanto meno nella totalit�, alla competenza regionale. Con la conseguenza che ove questa sia stata -come nella specie esercitata non in contrasto con la disciplina statale della materia, ma in via per cos� �dire suppletiva, finch� una disciplina statale non � intervenuta, non si � verificata violazione dell'art. 117 Cost. Vero � poi, come osservano i giudici a quibus, che il decreto n. 4 del 1972 mantiene � ferme le attuali competenze degli organi stata:li � in ordine fra l'altro (art. 6, n. 7) � all'igiene del suolo e dell'ambiente, all'in� quinamento atmosferico e delle acque ed agli aspetti igienico-sanitari delle industrie insalubri �. Ma, come osserva la difesa della regione Lombardia, la riserva (� restano ferme le attuali competenze � dice il citato art. 1 del decreto n. 4) non poteva riferirsi se non a\lle competenze in quel tempo esercitate dallo Stato. E come si � gi� osservato, previsioni ,, ?: f ' f: iI� ~ ' I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE e prescnzioni specifiche in ordine alla regolamentazione degli scarichi, ai tassi di inquinamento tollerabili, ai modi e tempi per accordare le situazioni irregolari pregresse con le nuove esigenze ecc. non erano state emanate dallo Stato e non lo furono fino alla degge n. 319 del 1976 con cernente la �tutela delle acque dall.'inquinamento �, nella quale (titolo IV) � contenuta la �regolamentazione degli scarichi�, precisandosi (art. 9) che �in tutto il territorio na.Ziomrle viene stab:filita (dunque prima non esi steva) Un'unica �disciplina degli scarichi, basata sulla prescrizione per gli stessi dei limiti di accettabilit� previsti neHe tabelle A, B e C allegate alla presente legge �. D'altra parte l'art. 25 della legge n. 319 stabilisce l'obbligo di � osser v.~ le prescrizioni stabilite dalle regioni o dagli enti locali in quanto compatibiili con le �disposizioni qualitative e temporanee della presente le~ge �. E dunque, quanto meno contro l'essit�nza di una riserva assoluta di competenza allo Stato che si vorrebbe operata dall'art. 6, n. 7, del de creto n. 4 del 1972, �l'argomento desunto dal citato art. 25 della legge n. 319 pu� considerarsi decisivo. La verit� � che si era fatalmente verificato U111 intreccio di compe tenze statali, praticamente non esercitate, e di competenze regionali rico nosciuto drula stessa legge n. 319 come transitoriamente non illegittimo; e ,che la situazione non � stata definitivamente chiarita se non con il capo VIII del titolo V del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che all'art. 101 determina le funzioni spettanti in materia alle regioni, fra le quali � la disciplina degli scarichi .e la programmazione degli interventi di conser vazione e depurazione delle acque e di smaltimento dei rifiuti liquidi e idrosolubili �. Da tale normativa non pu� trarsi argomento circa la preesistenza del conferimento della competenza alle regioni in tale materia; � per� indubbio che l'espresso riconoscimento, ivi contenuto, delle attribuzioni suddette, da parte del legislatore statale, �dimostra nella ratio legis l'inesi stenza di contrasto fira l'art. 117 della Costituzione e la gi� esercitata potest� -legislativa regionale. Si deve dU111que concludere per l'infondatezza della questione, la cui incidenza � ormai confinata entro strettissimi limiti temporali. E ad eguale conclusione deve a maggior ragione pervenirsi anche per la questione di legittimit� costituzionale estesa nei .confronti dell'art. 15, terzo comma, della legge n. 48 della regione LombaJ:idia, che tratta degli scarichi di insediamenti produttivi in pubbliche fognature. A dimostrarne la infondatezza stanno in proposito non� solo Je ragioni sopra esposte trat tando dell'art. 14, comma primo, ma la considerazione aggiuntiva che pu� trarsi dall'art. 2, lett. e, n. 3, del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 il quale . stabilisce il trasferimento aille regioni dei lavori pubblici concernenti le opere igieniche di interesse locale fra cui le fognature. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DI::LLO STATO II Con ordinanza emessa il 9 marzo 1977, la sesta sezione penale della Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimit� costituzionale degli artt. 15, secondo, ottavo e nono comma, 21, 25, ultimo comma, 26, primo comma, deMa legge 10 maggio 1976, n. 319 (�Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento�), per pretesa violazione degli artt. 2, 3, 9 e 32 della Costituzione. Nella specie, H ricorrente era stato imputato di contravvenzione agli artt. 6 e 33 del testo unico deHe leggi sulla pesca, per aver scaricato :in un torrente rifiuti industriali inquinanti. Condannato in primo grado e poi assolto in appello per insufficienza di prove, egli deduceva nel ricorso per cassazione che il reato ascrittogli doveva considerarsi abrogato per effetto degli artt. 25 e 26 della legge n. 319 del 1976 e non pi� applicabile a coloro che avessero osservato le prescrizioni deLl'art. 15 della legge stessa, presentando domanda di rinnovo dell'autorizzazione a scaricare (senza che questa venisse respinta nel termine di sei mesi dalla presentazione). Ma, precisamente in tal senso, l'ordinanza di rimessione rileva che �le norme tutte invocate dal ricorrente come cause estintive del reato a lui ascritto o come cause di giustificazione della sua condotta non si sottraggono al sospetto di legittimit� costituzionale �. Premesso che la disciplina in esame non determinerebbe un'abolitio criminis ma una sorta di amnistia o di condono, senza per altro seguire il procedimento prescritto dall'art. 79 Cost., la Cassazione osserva che �il sistema dei precetti e delle sanzioni introdotti dalla ~egge n. 319 in sostituzione delle norme abrogate non appare uniformato al dichiarato fine di tutela delle acque dall'inquinamento � e alle norme costituzionali rilevanti in materia. In primo luogo, cio�, ne deriverebbe una � diversit� di trattamento di casi sostanzialmente identici �, poich� gli scarichi dei nuovi insediamenti produttivi dovrebbero .immediatamente uniformarsi ai limiti di accettabilit� di cui alla tabeHa A, mentre per gli scarichi esistenti si prescri.verebbe un primo adeguamento -entro t�l"e anni -alla tabella C ed un uteriore adeguamento -entro sei anni -alla predetta tabella A (per di pi� disponendo che in quest'ultimo caso fa domanda di rinnovo si consideri tacitamente autorizzata, qualora l'autorizzazione provvisoria non venga rifiutata entro sei mesi dalla presentazione della domanda medesim�). Inoltre, la questione risulterebbe non manifestamente infondata in vista dell'art. 2 (in quanto esso esige che � la generalit� delle persone fisiche o giuridiche adempia ai doveri di solidariet��, dell'art. 9 (relativamente alla tutela del paesaggio, � da intendersi non tanto e non solo come panorama ma altres� e soprattutto come habitat�) e dell'art. 32 Cost. (che garantisce la salute �come fondamentale diritto dell'individuo e preminente interesse della collettivit��). PARTE I, SE:l;. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Identica questione � stata riproposta dalla seconda, dalla terza e dalla sesta sezione penale della Cassazione, con altre quattro ordinanze, emesse nel corso di una serie di procedimenti penali per violazione degli artt. 6 e 33 del testo unico delle leggi sulla pesca, 9 del testo stesso come modificato dall'art. 43 del d.P.R. n. 987 del 1955, 635 e 650 cod. pen. La motivazione di tali provvedimenti ricalca la linea argomentativa test� ricordata, salvo il richiamo all'art. 79� Cost., che si ritrova nella sola ordinanza del 6 giugno 1977. Viene per altro chiarita la ragione della denuncia dell'art. 21 della Jegge n. 319, che sarebbe viziato poich� �.prevede sanzioni soltanto per coloro che aprano o comunque effettuino nuovi scarichi senza aver richiesto la preventiva autorizzazione e per coloro che, dopo che sia stata loro negata o revocata l'autorizzazione, continuino ad effettuare o mantenere gli scarichi, mentre nessuna sanzione � prevista per coloro che, come nel caso in esame, mai richiesero l'autorizzazione �. (omissis) Nel merito, la questione non � fondata. Anzitutto, non regge la premessa, esplicita od implicita, su cui le ordinanze in esame fondano le loro impugnative: ossia che la legge n. 319 avrebbe previsto una sorta di immunit� per gli autori dei pregressi reati di inquinamento delle acque: o avrebbe addirittura realizzato una vera e propria amnistia, in forme diverse da quelle prescritte nell'art. 79 Cost. Vero � piuttosto -a quanto finisce per ammettere la stessa Cassazione che la causa di non punibilit�, di cui all'ultimo comma dell'art. 25, non opera se non concorrono tre ordini di condizioni, puntualmente fissate dal legislatore per saldare il vecchio al nuovo regime della tutela delle acque dagli inquinamenti, nello sforzo di impedire che medio tempore gli scarichi esistenti aggravassero i danni gi� in atto. Occorre, cio�, che risulti presentata la domanda di autorizzazione allo scarico (o di rinnovo dell'autorizzazione stessa), precisando le � caratteristiche qualitative e quantitative dello scarico terminale in atto >>, nonch� l'� indicazione della quantit� di acqua da prelevare nell'anno solare� (come prescrive il terzo comma dell'art. 15); che siano osservate, in quanto compatibili con la legge n. 319, �le prescrizioni stabilite dalle regioni o dagli enti locali�; e, soprattutto, che un fattivo comportamento del titolare dello scarico, consistente nell'adozione delle misure a ci� necessarie, valga ad evitare �un aumento anche temporaneo dell'inquinamento� (cfr. il primo comma dell'art. 25). S'intende che il momento amministrativo � stato cos� privilegiato come si � detto in dottrina -rispetto al momento repressivo, affidato ai giudici penali. Ma questa scelta �legislativa non pu� ritenersi priva di giustificazione. Nel sindacato sulla legittimit� costituzionale del combinato disposto degli artt. 25, ultimo comma, e 26, primo comma, non devono infatti trascurarsi la considerazione del sistema normativo in cui tali disposti si inseriscono e la valutazione complessiva delle finalit� che la legge n. 319 ha perseguito e tuttora persegue (malgrado i gravi ritardi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO verificatisi in sede attuativa). Per affrontare d.n modo organico il fenomeno degli inquinamenti delle acque, questa legge fa :perno sulla programmazione degli indispensabili interventi pubblici, sia da parte statale sia da parte il:'egionale (cfr. gli artt. 1 l:ett. d), 2 lett. e), 4 lett. a) e Jett. e), ed 8); ed a ci� si collega la previsione di una sistematica raccolta di dati, con particolare riguardo al catasto provinciale di tutti gli scarichi ed al censimento regionale dei corpi idrici (cfr. gli artt. 1 lett. e), 2 fott. b), 4 lett. d), 5 lett. a) e 7). In un tale quadro, si rendeva dunque necessaria la collaborazione fra i titolari degli scrurichi e le autorit� amministrative o di governo del settore: collaborazione che � stata per l'appunto incentivata dall'ultimo comma dell'art. 25, temperando il rigore delle norme penali preesistenti e cos� facilitando la presentazione delle domande di cui all'art. 15 e la conseguente rilevazione degli scarichi stessi. (omissis) A questa stiregua, per�, non si tiene conto della novit� rappresentata dalla legge n. 319, rispetto alla frammentaria e lacunosissima legislazione preesistente. Imporre agli insediamenti produttivi gi� in essere, sebbene realizzati durante la vigenza di norme ben diversamente orientate, l'immediata osservanza delle tabelle A e C, avrebbe infatti significato -nella pi� parte dei casi -prevedere alcunch� di materialmente iimpossibile, determinando la� totale interruzione o il �drastico ridimensionamento delle pi� varie attivit� industriali. Viceversa, la prevista gradualit� dell'adeguamento ha inteso contemperare gli antitetici valori ed interessi in gioco, sulla base d'�una discrezionale ma non irragionevole valutazione delle esigenze dell'economia del Paese, dei tempi tecnici occorrenti per conformare gli scarichi {ed eventualmente gli stessi procedimenti produttivi), dei notevoli costi da sopportare comunque in tal senso. Ed anzi va ricordato che nemmeno la legge n. 319 ha saputo far fronte in maniera efficace ai problemi finanziari, 'Collegati alla tutela delle acque dagli inquinamenti: tanto � vero che le generiche previsioni degli artt. ,19 e 20 hanno dovuto �e.ssere variamente integrate da una serie di successive norme di leggi, statali e regionali. (omissis). III (omissis) Con la prima ordinanza di rimessione il Pretore di Milano ha sollevato questione di legittimit� costituzionale -in !relazione all'art. 24 secondo comma della Costituzione -degli artt. 6 primo comma (lett. a) 9 terzo comma e 15 sesto e settimo comma della legge 10 maggio 1976, n. 319 (tutela delle acque dall'inquinamento) e successive modifiche perch� dette norme non prevedono che i prelievi di campioni di acque effettuati dagli organi amministrativi di controllo e la conseguente analisi di essi, operate dal 1aboratorio provinciale di igiene e profilassi, avvengano con le garanzie difensive previste dal codice di procedura penale PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE per gli accertamenti iperitali; e, non essendo prevista un'idonea procedura di revisione delle analisi, la normativa denunciata consentirebbe di porre a base di una condanna penale i risultati di una procedura amministrativa ana quale ['interessato non � stato posto in grado di intervenire. (omissis) La questione di legittimit� costituzionale deve essere circoscritta all'art. 15, comma settimo, legge 10 maggio 1976, n. 319, dato che le altre norme della stessa legge, impugnate con~untamente, non concernono le fasi specifiche� di prelevamento e di analisi dei campioni delle acque di scarico, ma riguardano, in generale, le fasi anteriori di controllo, individuando le autorit� competenti ad effettuare tale controllo, precisan-. done i poteri, e dettando i criteni per Ia misurazione ed i limiti di accettabilit� degli scar.ichi. La questione � fondata. Questa Corte ha gi� precisato che il diritto di difesa sarebbe violato qualora la nozione di � procedimento >>, nel quale il secondo comma dell'art. 24 Cost. garantisce la difesa come diritto .inviolabile, venisse intesa in senso restrittivo escludendo le attivit� �preordinate a una pronuncia penale che si traducono in processi verbaU di cui � consentita la lettura in dibattimento ,, poste in essere al di fuori del normale intervento del ma� gistrato (sent. 86/1968). In base a tale orientamento la Corte ha compreso nel concetto di �procedimento�, nel quale si deve realizzare il diritto di difesa, gli atti di polizia giudiziaria di cui all'art. 225 cod. proc. pen. (sent. n. 86/1968) e la fase di reviS1ione delle analisi previste dall'art. 44 r.d.L 15 ottobre 1925, n. 2033 in materia di repressione delle frodi nella preparazione e nel com� mercio di sostanze di uso agrario (sent. n. 149/1969). Situazioni paragonabili a queHe oggetto dei giudizi di legittimit� costituzionale definiti con <le sopra citate sentenze si ,riscontrano per quanto ora si dir� nella fattispecie ora all'esame della Corte. L'art. 15 comma settimo legge 10 maggio 1976, n. 319 si limita ad at� tribuire ai Laboratori Provinciali di ~giene e profilassi le funzioni di controllo sugli scarichi e non prevede che lo stesso ufficio debba dare avviiso al titolare dello scarico del giorno in cui verranno effettuate le ana� lisi sicch� 1"interessato possa essere presente con la eventuale assistenza di un consulente tecnico. Se � logico che l'Autorit� Amministrativa, cui compete il ,diritto di effettuare i campionamenti delle acque (art. 9 terzo comma), non abbia l'obbligo di preavvisare il titolare dello scarico circa il momento in cui verranno effettuate le operazioni di prelievo per evitare che possano essere apportate modifiche agli scarichi e di conseguenza fatte sparire le tracce di ogni irregolarit�, non altrettanto pu� dirsi per quanto riguarda il momento delle analisi delle acque campionate. Infatti queste. d~bbono essere esaminate con la massima tempestivit� stante Ia loro deteriora� 620 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STAlU bilit� e pertanto le analisi non sarebbero utilmente ripetibili nel corso del successivo procedimento penale. Assumono quindi particolare efficacia probatoria le analisi compiute dal Laboratorio Provinciale di igiene e profilassi con un procedimento che � un vero e proprio accertamento assimilabile, nella sostanza, ad una perizia, fonte, quindi, di convincimento del giudice; tanto pi� che le relazioni sulle analisi sono allegate agli atti del procedimento penale e di esse lo stesso giudice pu� tener conto ,e darne lettura a norma dello stesso art. 466 cod. proc. pen. Proprio questa particolare efficacia probatoria del risultato delle analisi impone che sia dato avviso alla parte onde consentirne fa presenza con l'eventuale assistenza di un consulente tecnico. (omissis) IV (omissis) Il nucleo del problema concerne le pretese disparit� di trattamento e gli arbitri in cui sarebbe incorso il Parlamento, nel distinguere fra � insediamento o complesso produttivo � ed � insediamento civile �, ai sensi e per gli effetti della legge 10 maggio 1976, n. 319. Pi� precisamente, ci� che tutti i giudici a quibus contestano � che -in virt� dell'art. 1 quater della legge n. 690 del 1976 -alcune specie di insediamenti, adibite a � prestazione di servizi � o ricadenti fra le � imprese agricole �, siano state considerate alla stregua degli insediamenti civili anzich� degli insediamenti produttivi, sebbene diano luogo a scarichi non assimilabili a quelli abitativi. (omissis) Cos� circoscritta, la questione dev'essere per� dichiarata inammissibile, poich� -in definitiva -essa non attiene alla legittimit� costituzionale, bens� al merito delle scelte operate in materia dal legislatore. (omissis). Nemmeno il richiamo all'a�rt. 3 della Costituzione vale a mantenere questioni . siffatte nei limiti del sindacato sulla legittimit� costituzionale delle leggi. In nome dell'eguaglianza, questa Corte non � infatti abilitata a esercitare scelte di esclusiva spettanza del legislatore, ma pu� solo ricondurre le deroghe ingiustificate e le arbitrarie eccezioni alle regole gi� stabilite dalla legge ovvero ai pdncipi generali univocamente desumibili dall'ordinamento. Per contro, gli stessi giudici a quibus affermano che l'art. 1 quater, anzich� dettare regole o ispirarsi a principi generali, -~ ha dato corpo ad una serie di scelte politiche, concernenti i pi� diversi complessi di situazioni: dalle case di abitazione e dagli alberghi agli insediamenti turistici, alle installazioni sportive o ricreative, alle scuole, agli ospedali, agli immobili destinati a servizi ed alle imprese agricole, fino agli insediamenti produttivi equiparati a quelli civili in virt� dell'ultima parte dell'art. 1, primo comma, lett. b).La specifica sorte di questi od altri tipi o sottotipi, non considerata dalla [egge n. 319 e poi discipli PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE nata nelle sole grandi linee dalla legge n. 690 del 1976, potr� essere certo mutata o meglio precisata, ma �sulla base di opzioni e di valutazioni tecnico- politiche, eccedenti la competenza della Corte. E ne danno conferma le vicende delle imprese agricole, che hanno gi� costituito l'oggetto di tutta una serie di aggiustamenti, non solo legislativi ma anche effettuati in forma amministrativa: dai primi chiarimenti del Ministro dei lavori pubblici, precedenti lo stesso art. 1 quater, e dalle deliberazioni ripetutamente adottate in tal campo dall'apposito Comitato interministeriale, fino al ricordato art. 17 della legge 24 dicembre 1979, n. 650, ed alle conseguenti definizioni del Comitato medesimo, approvate rin data 8 maggio 1980. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 25 luglio 1983, n. 237 -Pres. Elia -Rel. Bucciarelli Ducci -Regione Sicilia (avv. Villari), Regione Sardegna (avv. Guarino), Regione Friuli-Venezia Giulia (avv. Pacia) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). ~gioni � Regioni a statuto speciale � Decreti legislativi di attuazione � :I!: competenza legislativa separata. Regioni � Coordinamento degli incentivi creditizi -I:: attribuzione dello Stato. I decreti legislativi di attuazione degli Statuti di regioni a statuto speciale, preceduti da proposte o pa1�eri di commissioni paritetiche, sono espressione di una competenza separata e riservata rispetto a quella esercitabile con leggi statali ordinarie; � pertanto costituzionalmente illegittimo l'art. 6, commi quinto, ottavo e nono, della legge 2 maggio '1976, n. 183, nella parte in cui prevede il trasferimento alle regioni Sicilia e Sardegna del personale periferico della Cassa per il Mezzogiorno con decreto del Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno. Il legislatore statale pu� dettare norme dirette a coordinare gli incentivi creditizi per l'espansione delle attivit� produttive e in particolare delle attivit� industriali e commerciali, senza con ci� invadere la sfera di autonomia legislativa primaria (anche quando esclusiva) delle regioni in dette materie; sono pertanto non fondate le questioni di legittimit� costituzionale degli artt. 3, 15 e 16, commi primo, secondo e terzo, della stessa legge n. 183 del 1976, nonch� degli artt. 9 e 28 d.P.R. 9 novembre 1976, n. 902 e 48 d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218. (omissis) Va presa innanzitutto in esame la prima questione sollevata dalle Regioni Sicilia e Sardegna: se contrasti o meno con gli artt. 14, lett. p) e q) e 43 dello Statuto Siciliano nonch� con gli artt. 3, lett. a), 6 e 56 dello Statuto Sardo e gli artt. 3 e 36 della Costituzione l'art. 6, 622 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO commi quinto, ottavo e nono della legge 2 maggio 1976, il. 183, l� dove prevede che il personale periferico della Cassa per il Mezzogiorno venga trasferito alle regioni con decreto del Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, sentite le regioni interessate. Assumono le due regioni ricorrenti che tali disposizioni violano la loro sfera di competenza legislativa esclusiva, nella quale rientrano l'inquadramento, lo stato giuridico ed il trattamento economico del personale, mentre il trasferimento di quest'ultimo dallo Stato alle regioni deve avvenire mediante norme proposte da apposita commissione paritetica ed emanate con decreto legislativo. Dubitano inoltre le due regioni che le norme impugnate determinino irrazionali disparit� di trattamento all'interno dei ruoli del personale regionale e pongano a carico delle regioni un onere finanziario senza ristoro, incidendo cos� sulla loro autonomia finanziaria. (omissis) Nel merito la questione � fondata. Sia i'art. 43 dello Statuto sicil�ano che l'art. 56 dello Statuto sardo stabiliscono che il passaggio degli uffici e del pel'!sonale dallo Stato alla regione sar� disciplinato, da norme transitorie, proposte da una Commissione paritetica. Questa Corte ha gi� affermato, accogliendo l'avviso della dottrina dominante, che i decreti legislativi di attuazione statutaria, preceduti dalle proposte o �dai pareri delle ricordate commissioni paritetiche, siano espressione di una competenza separata e riservata rispetto a quella esercitabile con leggi statali ordinarie ai sensi dell'ottava disp. trans. Cost. Tale competenza � stata riconosciuta, alla luce della legislazione emanata anche di recente, non solo in occasione del primo passaggio di funzioni, uffici e� personale dallo Stato alle Regioni ricorrenti, ma anche successivamente ogni qual volta vi sia trasferimento di funzioni, uffici e personale da enti pubblici nazionali alle regioni stesse (sent. n. 180 del 1980). Nella specie la procedura di trasferimento prevista dagli artt. 43 dello Statuto siciliano e 56 dello Statuto sardo non � stata osservata, non potendo ritenersi certo soddisfatti la lettera e lo spirito delle due norme con la semplice previa audizione delle regioni da parte del ministro. Va conseguentemente dichiarata l'illegittimit� costituzionale dei commi quinto, ottavo e nono dell'art. 6 della fogge n. 183/1976, risultando cos� superfluo l'esame degli ulteriori profili d'incostituzionalit� prospettati nei ricorsi. Altre tre questioni che la Corte � chiamata a decidere riguardano gli artt. 3, 15 e 16 della stessa legge n. 183 de'l 1976. Con Ia prima questione la Regione Friuli-Venezia Giulia si limita a denunciare l'art. 3 della legge senza alcuna specifica argomentazione e indicazione della norma parametro riportandosi alla motivazione svolta a proposito della impugnazione del 'successivo art. 15. r: � ___..,_ PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Con la seconda questione. si chiede se contmsti o meno con l'art. 4, n. 6, dello Statuto Friuli-Venezia Giulia il predetto art. 15 che delega il Governo della Repubblica a coordinare gli incentivi creditizi nel settore industriale in vigore per altri territori con quelli previsti per le iniziative industriali nel Mezzogiorno; per il dubbio che tale disposizione violi la sfera di competenza legislativa primaria della regione in materia di industria e commercio. La terza questione riguarda invece il denunciato contrasto con gli artt. 14 dello Statuto siciliano, 4 di quello del Friuli-Venezia Giulia e 3 dell0< Statuto sardo, dell'art. 16, primo, secondo e terzo comma, della legge n. 183 del 1976, che: a) impone aHe regioni di coordinare le loro leggi con i principi e le norme fondamentali in materia di incentivi alle attivit� industriali; b) vieta a tutte le regioni di disporre con proprie leggi agevolazioni di tipo diverso da quelle previste dalla legge n. 183, nonch� di superare i massimi delle agevolazioni statali; e) prevede l'abrogazione delle leggi regionali in contrasto con i principi fondamentali determinati con la legge impugnata; per il dubbio. che tali disposizioni violino la sfera di competenza normativa primaria garantita alle regioni ricorrenti. La soluzione delle questioni discende dalla risposta ad un quesito fondamentale: se il legislatore statale possa dettare norme dirette a coordinare gli incentivi creditizi per l'espansione delle attivit� produttive e in particolare delle attivit� industriali e commerciali, senza con ci� invadere la sfera di autonomia legislativa primaria delle regioni in dette materie. La risposta non pu� essere che positiva. In numerose pronunce questa Corte, chiamata a definire le rispettive sfere di competenza legislativa dello Stato e delle Regioni, ha affermato rl principio che, con riguardo alla incentivazione dello sviluppo economico, gli interessi particolari, di cui sono portatrici le singole Regioni, si devono condizionare e conciliare con il preminente interesse generale del Paese, del quale � portatore lo Stato. Cos� se ad esse sono state attribuite ampie competenze legislative nei diversi settori produttivi, allo scopo di far aderire gli strumenti di incentivazione alle esigenze concrete delle varie zone del territorio nazionale, al tempo stesso, al fine di evitare che l'esercizio di tali competenze nell'ambito regionale determini conflitti tra le esigenze delle varie Tegioni e tra queste e gli interessi generali del Paese, si rende necessario il coordinamento dei vari interventi regionali tra Joro e con l'intervento statale. E tale coordinamento non pu� essere esercitato da altri se non dallo Stato, in modo che siano Je sue scelte generali a limitare e condizionare la politica di incentivazione svolta dalle singole Regioni '(cfr. in particolare le sentenze nn. 4/1964 e 221/1975). E vale anche in tal senso la disposizione dell'art. 119, terzo comma, Cost. Sarebbe irrazionale, infatti, attribuire allo Stato la facolt� di asse RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gnare contributi speciali alle Regioni per la valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole, se non si prevedessero nello stesso momento strumenti idonei a coordinare ed armonizzare tali contributi, con gli incentivi che possono concedere le singole Regioni, nella st�ssa area meridionale e insulare, e nel �rimanente territorio nazionale. Le questioni come sopra proposte dalle tre regioni ricorrenti sono, pertanto, infondate. Infondata � anche la questione sollevata dal Friuli-Venezia Giulia con il ricorso n. 3 del 1977, che denuncia l'art. 9 d.P.R. 9 novembre 1976, n. 902, per contrasto con l'art. 4, nn. 6 e 12, dello Statuto speciale della regione ricorrente. Si dubita, in particolare, che tale disposizione -la quale esclude le regioni dal procedimento per ottenere il credito agevolato nel settore industriale, limitandosi a richiedere un parere motivato -violi la competenza primaria della regione in materia industriale, commerciale ed urbanistica. Ma nessuna invasione della sfera di competenza primaria regionale si pu� ravvisare nell'esercizio da parte del Governo in sede di delega di quel potere di coordinamento conferitogli dall'art. 15 della legge n. 183 del 1976, la cui costituzionalit� � stata pi� sopra affermata, e di cui la norma impugnata costituisce una logica estrinsecazione. Alla stessa conclusione si deve pervenire -alla stregua di quanto premesso -per le ulteriori questioni sollevate dal:la Regione Friuli-Venezia Giulia e dalla Regione Sicilia, in ordine all'art. 28 del medesimo d.P.R. 9 novembre 1976, n. 902. Le due Regioni impugnano il citato art. 28, secondo comma, in riferimento agli artt. 14 St. siciliano e 4 St. Friuli-Venezia Giulia, nella parte in cui consente il concorso delle agevolazioni creditizie da esso previste con quelle disposte da leggi regionali, a condizione che non siano superati i limiti stabiliti nel decreto stesso, per il dubbio che tale norma violi la sfera di competenza esclusiva delle regioni in materia di industria. La disposizione cos� impugnata, infatti, rappresenta legittima applicazione da parte del legislatore delegato di quella facolt� di coordinamento degli incentivi creditizi affermata dagli artt. 15 e 16 della legge di delega. Una volta assicurata la legittimit� costituzionale di tali norme fondamentali, ne discende logicamente Ia conformit� alla Costituzione e agli Statuti speciali della disposizione impugnata. La Regione Sicilia impugna inoltre lo stesso art. 28 anche 1n rifer�- mento all'art. 76 della Costituzione, nella parte in cui non si limita ad unificare e riordinare la disciplina statale vigente in materia di credito agevolato per l'industria, ma estende la sfera della normativa ai contenuti dell'art. 16 della legge n. 183 del 1976; per il dubbio che tale disposizione ecceda i limiti della delega al Governo contenuta nell'art. 15 della legge citata. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE La censura � per� inammissibile -come rettamente osserva la difesa dello Stato� -in quanto con essa non viene denunciata una invasione della sfera di competenza :regionale, come richiesto per tale tipo di impugnativa dall'art. 32 della legge 11 marzo 1953, n. 8. Infondata � infine l'ultima questione sollevata dalla Regione siciliana, la quale denuncia l'art. 48 del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 (aggiornamento del testo unico 30 giugno 1967, n. 1523 sugli interventi nel Mezzogiorno), per contrasto con gli artt. 14 dello Statuto siciliano e 76 della Costituzione. La Regione lamenta che la norma impugnata imponga alla sua competenza legislativa esclusiva nel settore industriale gli stessi limiti imposti alle regioni a statuto ordinario e, anzich� fissare tale competenza un mero limite di principi, specifichi dettagliatamente la normativa da applicare nella regione. La disposizione verrebbe cos� a violare la sfera di competenza esclusiva della :regione stessa ed eccederebbe i limiti della delega conferita al Governo con l'art. 21 della legge n. 183 del 1976. La necessit� del coordinamento tra leggi statali e regionali in materia di credito agevolato per l'industria non pu� che riguardare tanto le regioni a statuto ordinario che quelle a statuto speciale, a pena di vanificare l'obiettivo stesso del coordinamento voluto, alla luce dei principi sopra esposti, dallo stesso Costituente. Quanto alla presunta violazione dell'art. 76 della Costituzione, anche tale censura -come quella analoga di cui al precedente n. 5 -prima che infondata � inammissibile, non avendo ad oggetto specifico un'invasione della sfera di competenza regionale, ai sensi dell'art. 32 della legge n. 87 del 1953. CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983, n. 246 -Pres. Elia -Rel. Roehrssen -Daniele (n.p.) e Presidente �Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Chiarotti). Giustizia amministrativa -Regolamento preventivo di giurisdizione -Ap plicabilit� anche ai giudizi di ottemperanza -Sospensione del pro cesso amministrativo -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 24, 103, 111, 113 e 125; I. 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 30 e 37; cod. proc. civ., artt. 41 e 367). Non esiste alcun principio costituzionale dal quale possa desumersi la necessit� di una collaborazione tra giudici, nella modalit� del susseguirsi dei gradi del processo, per decidere sulla giurisdizione; ci� vale anche per il giudizio di ottemperanza, in quanto questo ha carattere giurisdizionale. L'effetto di sospensione del processo in pendenza di regolamento preventivo di giurisdizione non � irrazionale sul piano costituzionale. 626 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (omissis) Alla Corte vengono sottoposte le seguenti questioni di legittimit� costituzionale: a) se siano costituzionalmente legittimi, con riferimento agli artt. 3, 24, 103, 111, terzo comma, 113 e 125 Cost., gli artt. 30, terzo comma, e 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (� Istituzione dei Tribunali amministrativi regionali�) nonch� 41 e 367 cod. proc. civ. in quanto applicano al processo amministrativo l'istituto del regolamento preventivo di giurisdizione; b) se siano costituzionalmente legittime le stesse disposizioni sopra citate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., in quanto applicano l'istituto del �regolamento preventivo di giurisdizione al �giudizio relativo alla esecuzione delle sentenze dei giudici amministrativi; e) se l'art. 30, terzo comma, della legge n. 1034 del 1971 sia costituzionalmente legittimo, in riferimento agli artt. 3, 24, 103, 111, terzo comma, 113 e 125 Cost., nella parte in cui dispone che il processo di merito sia sospeso durante il corso del processo per regolamento preventivo di giurisdizione. Le questioni non sono fondate. In ordine alla prima di tali questioni di legittimit� costituzionale, questa Corte (sent. n. 73/1973) ha gi� riconosciuto che l'istituto del regolamento preventivo di giurisdizione � giustificato da esigenze di economia processuale. Con 1successiva sentenza (n. 135/1975) questa Corte ha aggiunto che, tale essendo la ratio dell'istituto in parola, non � dubbio che la stessa valga tanto se l'istanza per regolamento di giurisdizione sia proposta in procedimenti pendenti davanti ad un giudice ordinario quanto se venga proposta in procedimenti pendenti davanti al giudice amministrativo. La Corte non ha motivo. per discostarsi da queste affermazioni, dato che le cennate es1genze di economia processuale sussistono anche a proposito del 'Processo amministrativo, data la presenza in questo del pubblico interesse, soprattutto quando si tratta della giurisdizione generale di legittimit�. N� gli argomenti svolti dai giudici a quibus possono valere a modificare tali conclusioni. Si assume, 1nfatti, che dall'arrt. 111, terzo comma, Cost. si dovrebbe desumere che il giudice regolatore della giurisdizione possa pronunciarsi in materia soltanto dopo che il giudice amministrativo abbia potuto manifestare in proposito il suo pensiero in ordine alla giurisdizione con la sua sentenza, attuando in tal modo una forma di collaborazione. Ora � vero che l'art. 111, terzo comma, letteralmente parla di ricorso contro le decisioni del Consiglio di Stato, ma l'avere preveduto la impugnazione di una sentenza gi� emessa non ha in alcun modo, n� esplicitamente n� implicitamente, il significato di un contempo~aneo divieto per I. ~= f.: 1: i 11 ~~~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE il legislatore ordinario di introdurre altri sistemi processuali atti a raggiungere il medesimo Tisultato e ad ottenere, in tema di giurisdizione, la pronuncia conclusiva del giudice a ci� competente, cio� della Corte di cassazione. N� esiste alcun principio o regola costituzionale dalla quale possa des1imersi che per decidere sulla giurisdizione occorra una qualche forma di collaborazione &a i giudici. Non fondata � anche la ulteriore osservazione secondo cui l'art. 111 consentirebbe il regolamento preventivo di giurisdizione sol quando il processo si trovi dinanzi al Consiglio di Stato e non anche nello stadio di primo grado dinanzi ai TAR, che non sono menzionati nella disposizione: all'epoca della elaborazione della Costituzione i Tribunali amministrativi non esistevano (l'art. 125 prevedeva ed in tempi molto ampi e generali l'istituzione di organi di prima istanza), sicch� il richiamo non poteva essere fatto se non all'unico organo allora esistente. Una volta posto in essere il doppio grado di giurisdizione con la legge rn. 1034 del 1971, non vi � ragione per non applicare anche nel campo del processo amministrativo, nonostante le differenze che esistono con :il processo dinanzi al giudice ordinario, l'art. 41 cod. proc. civ., .il quale ammette il regolamento in parola � finch� la causa non sia decisa nel merito in primo grado�. Non pu�, infine, profilarsi, come fa il TAR del Lazio, alcun parallelo con le questioni incidentali di legittimit� costituzionale nelle quali il giudice che le 1solleva � chiamato ad una valutazione preliminare della questione stessa, mentre al giudice della causa di merito in ordine alla quale viene proposto regolamento �di giurisdizione non � consentito nulla di simile: si tratta di istituti e �di norme completamente diverse, soprattutto ove si tenga conto della ratio del regolamento preventivo di giurisdizione, che incide soltanto sulla appartenenza del potere di decidere ed � inteso ad accelerare il corso dei procedimenti. Neppure la seconda questione � fondata. Una volta che il giudizio di c.d. ottemperanza (art. 27, n. 4, del t.u. 16 giugno 1924, n. 1054, e art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034) ha carattere giurisdizionale ed una volta che anche in questa sede possono sorgere, come di fatto sono sorte, questioni attinenti alla giurisdizione, non si vede ragione per negare la possibilit� di proporre regolamento di giurisdizione anche in un processo di esecuzione. Anzi potrebbe dirsi che, data la necessit� ancor pi� evidente di accelerare il corso dei giudizi di ottemperanza, la ratio pi� volte ripetuta si presenta qui con una intensit� maggiore. L'ultima questione, posta da entrambi i giudici a quibus, riguarda l'effetto sospensivo del giudizio di merito, che consegue automaticamente alla proposizione della istanza per regolamento di giurisdizione (art. 30 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, in relazione agli artt. 41 e 367 cod. proc. civ.). Ad avviso della Corte l'effetto sospensivo del regolamento preventivo di giurisdizione non appare irrazionale sul piano costituzionale, trattandosi di scelta rientrante nella discrezionalit� del legislatore. I giudici a quibus insistono, nelle loro ordinanze, nel prospettare gli inconvenienti che si sono verificati, dato che l'istituto del regolamento preventivo di giurisdizione ha provocato ritardi notevoli nella decisione delle cause, apparendo talvolta addirittura pretestuoso: ma si tratta, ovviamente, di inconvenienti dovuti non gi� al contenuto della norma di legge, bens� alla distorta applicazione che ne � stata fatta. I CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983 n. 251 -Pres. Elia -Rel. Saja - Batistoni e altri (rnp.) e Presidente Consiglio dei ministri (vice avv. gen. Stato Carafa). Locazione -Immobili adibiti ad abitazione -Facolt� di recesso riconosciuta solo al conduttore -Legittimit� costituzionale. (Cast., art. 3; !. 27 luglio 19i8, n. 392, art. 4). Non contrasta con il principio di eguaglianza il riconoscimento solo al conduttore e non anche al locatore della facolt� di recedere dal rapporto in qualsiasi momento, con preavviso di sei mesi. II CORTE COSTITUZIONALE, 28 luglio 1983, n. 252 -Pres. Elia -Rel. Saja - Collovati ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Cosentino). Locazione -Immobili adibiti ad abitazione -Termine finale del rapporto -Legittimit� costituzionale. (Cast., artt. 2, 3, 31, 41, 42 e 47; !. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1, 3, 58 e 65). La propriet� continua ad essere un diritto soggettivo e non � stata dall'art. 42 Cost. trasformata in una funzione pubblica. Sono costituzionalmente legitt�ne le disposizioni di legge ordinaria che considerano il rapporto di locazione di immobili abitativi come rapporto a tempo determinato e non come rapporto a tempo indeterminato dal quale il locatore pu� recedere � giusta causa '" I' i ff } PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE I (omissis) Rilevano i giudici rimettenti che la facolt� di recesso circoscritta unicamente al locatario viola il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, per ingiustificata disparit� di frattamento tra '1ocato'.re e conduttore e, secondo il Pretore di Gragnano, anche tra locatori con contratto sottoposto alla disciplina definitiva dettata dalla cit. legge n. 392 del 1978 (ai quali non spetta in alcun caso il diritto di recesso) e locatori con contratto soggetto alla disciplina transitoria (ai quali � attribuita la facolt� di recedere nei casi previsti dall'art. 59 della stessa legge). Giova premettere, in linea generale, che la ricordata legge 27 luglio 1978 n. 392 ha abrogato il sistema c.d. vincolistico, che durava da molti decenni, ma non ha ripristinato integralmente la disciplina generale del codice civile, introducendo invece rispetto agli immobili urbani una speciale disciplina legale, la quale, per quelli adibiti ad abitazione, consiste principalmente nella sottrazione del canone alle leggi di mercato della domanda e dell'offerta e nella determinazione della durata del contratto non inferiore a quattro anni. La previsione relativa alla durata della locazione � diretta, come si legge nella Relazione ministeriale al Disegno di legge, a dare pari forza alle parti contraenti per cui � � sembrato necessario assicurare al conduttore una sufficiente stabilit� che gli eviti i disagi connessi ai frequenti cambiamenti di alloggio, ma che soprattutto lo metta in condizione di non cedere alle eventuali pressioni del locatore dirette ad ottenere illegittimi aumenti del canone �. Chiaramente connessa con tale norma � quella concernente il recesso anticipato, per cui l'art. 4 dispone che esso pu� essere contrattualmente pattuito soltanto a favore del conduttore (primo comma) e che, indipendentemente da una clausola contrattuale, il conduttore stesso pu� recedere per gravi motivi (secondo comma). Appunto contro la disposizione del cit. art. 4 � diretta la critica delle ordinanze di rimessione: essa, per�, risulta infondata sotto entrambi i profili dedotti. In ordine al primo, va rilevato che il principio di eguaglianza garantisce parit� di trattamento solo a parit� di situazioni, la quale, nel rispetto dei limiti di ragionevolezza, deve essere valutata dal legislatore ordinario. Ora, nella specie, il legislatore, com'� detto espressamente nella ricordata Relazione, ritenne di potere legittimamente introdurre in tema di recesso una disciplina differenziata sul rilievo � che la posizione del conduttore � sostanzialmente diversa da quella del locatore �. E ci� soprattutto per la diftkolt� del primo di trovare altra abitazione idonea alle sue esigenze, difficolt� che, nelle condizioni del mercato edilizio tenute presenti dal legislatore del 1978 e tuttora perduranti, potrebbe essere grave e talvolta addirittura drammatica. La ratio della norma, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 630 dunque, coincide sostanzialmente con quella gi� indicata relativa alla durata del contratto, essendo entrambe egualmente dirette a tutelare l'inquilino mediante un'adeguata stabilit� del .rapporto, la cui mancanza si risolverebbe per lui in un notevole pregiudizio. La possibilit� di recesso del conduttore, invece, non Teca alcun effettivo nocumento al locatore, in quanto il preavviso di sei mesi, previsto sia nel primo che nel secondo comma dell'art. 4, garantisce il locatore stesso in maniera adeguata, essendo presumibile, se non proprio sicuro, secondo l'id quod plerumque accidit, che egli nel frattempo trovi altro inquilino che corrisponda lo stesso canone, e cio� quello stabilito dalla legge. D'altro canto, la ricordata facolt� �di recesso del conduttore non � avulsa dall'intero complesso normativo, ma costituisce, in particolare, il fondamento del divieto, contenuto nell'art. 2 primo comma, di sublocazione totale (la quale, come avverte Ia richiamata Relazione, normalmente costituisce una speculazione in danno del proprietario). Per vero, in tanto � stato escluso il potere di concedere in sublocazione totale l'immobile che il conduttore non abita pi�, in quanto a questo � stata riconosciuta la facolt� di recedere dal contratto, con la conseguente possibilit� di evitare il pregiudizio che altrimenti deriverebbe dall'obbligo del pagamento del canone senza alcuna effettiva utilit�. Da ci� discende evidente come sia anche unilaterale la prospettazione delle ordinanze di rimessione, le quali, invece di considerare il quadro complessivo della disciplina dettata dalla legge, hanno fatto riferimento ad una singola previsione normativa staccata dal suo contesto. In base ai suiperiori rilievi, il disposto legislativo non pu� quindi ritenersi n� arbitrario n� i!l'razionale. Il che trova conferma, in '1inea generale, in precedenti pronunzie di questa Corte che, sia pure ad altri fini, ha ritenuto non assimilabile la posizione del conduttore a quella del locatore (cfr. sent. 20 marzo 1980 n. 33 ed ivi altri richiami). (omissis) II (omissis) I giudici a quibus dubitano della legittimit� costituzionale degli artt. l, 3, 58 e 65 della legge 27 luglio 1978 n. 392 (c.d. legge sull'equo canone), i quali considerano il contratto di locazione come contratto a tempo determinato, con la conseguenza che allo spirare del termine finale, pattuito convenzionalmente ovvero stabilito dalla legge, cessa il relativo rapporto a (meno che non vi sia stata volontaria rinnovazione). Secondo i predetti giudici, il legislatore ordinario avrebbe dovuto disciplinare il negozio in esame come contratto a tempo indeterminato e abilitare il locatore a riavere il godimento del bene esclusivamente in presenza di una � giusta causa �. Al riguardo vengono invocati, come parametri, gli artt. 2, 3, 31, 41, 42 e 47 Costituzione. (omissis) PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Ci� si verifica rispetto all'art. 2 prima parte della Costituzione, invo cato ... sulla considerazione �che la � stabilit� della situazione abitativa � costituirebbe il �presupposto sine qua (rectius quo) non� per l'eser cizio dei diritti inviolabili e perci� dovrebbe essere garantita dal legi slatore � nel modo pi� lato �, Rileva in proposito la Corte che indubbiamente l'abitazione costituisce, per la sua fondamentale importanza nella vita dell'individuo, un bene primario il quale deve essere adeguatamente e concretamente tutelato dalla legge (cfr. per qualche riferimento: sent. 20 marzo 1980 n. 33). Ci� va ribadito in un momento tanto delicato del mercato edilizio nazionale anche sulla scorta dell'art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'u9mo (New York, 10 dicembre 1948) e dell'art. 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali (approvato il 16 dicembre 1966 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e ratificato 'dall'Italia il 15 settembre 1978 in seguito ad autorizzazione disposta con I. 25 ottobre 1977 n. 881) che auspicano l'accesso di tutti gli individui all'abitazione. N� la Corte pu� omettere di osservare che il complesso ed annoso problema potr� essere avviato -almeno parzialmente -a soluzione soltanto se vi sar� quel necessario e indispensabile sviluppo dell'edilizia pubblica e privata che determini un adeguato incremento dell'offerta di alloggi. La disciplina dell'equo canone presupponeva appunto per il suo buon funzionamento un congruo aumento di case di abitazione, aumento che doveva conseguire alla contestuale legge 5 agosto 1978 n. 457, nota come �piano decennale per l'edilizia�, la quale, invece, per varie ragioni, non ha avuto la necessaria attuazione. Ma, ci� precisato, deve la Corte rilevare come non possa convenirsi con l'ordinanza di rimessione nel considerare l'abitazione come l'indispensabile presupposto dei diritti inviolabili previsti dalla 1.a parte dell'art. 2 della Costituzione, trattandosi di una costruzione giuridica del tutto estranea al nostro ordinamento positivo. Se, invero, i diritti inviolabili sono, per giurisprudenza costante, quei diritti che formano il patrimonio irretrattabile della personalit� umana, non � logicamente possibile ammettere altre figure giuridiche, le quali sarebbero dirette a funzionare da � presupposti � e dovrebbero avere un'imprecisata, maggiore tutela. (omissis) Tutti i giudici rimettenti hanno invocato come parametro anche l'art. 3 Cost. in quanto le norme impugnate violerebbero, secondo l'assunto dei giudici stessi, il principio di eguaglianza sotto duplice profilo e cio�: a) perch� trascurerebbero la tutela della parte meno abbiente, ossia pi� debole, quale il conduttore; b) perch� rispetto alla durata del contratto riserverebbero al conduttore di immobile destinato ad abitazione un tirattamento ingiustificatamente deteriore rispetto al conduttore di immobile destinato ad uso diverso. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 632 Riguardo al primo aspetto, osserva la Corte che quanto dedotto dai giudici �a quibus non concerne propriamente il principio di eguaglianza, per la chiara eterogeneit� delle situazioni considerate, ma in effetti si risolve nella censura fondamentale, �relativa ai limiti della propriet� edilizia nei rapporti intersoggettivi tra conduttore e locatore -di cui si dir� in seguito -�e pertanto rimane in essa assorbita. Una propria autonomia ha invece il secondo ip!rofilo, con cui le ordinanze di rimessione lamentano una �disparit� idi trattamento tra conduttore di immobile desHnato ad uso di abitazione e conduttore di immobile destinato ad altro uso: a quest'ultimo, s�econdo Ie dette oroinanze, sarebbe riservato un tmttamento migliore, in quanto egli, alla scadenza del contratto, ha diritto, in base agli artt. 28 e 29 cit. I. n. 392 del 1978, alla rinnovazione dello stesso (a meno che non ricorra una giusta causa per il locatore, come rprevisto appunto nel suddetto art. 29): rinnovazione che invece non � prevista per gli immobili destinati ad us� di abitazione, mentre l'ovdinamento giuridico dovvebbe apprestare al conduttore Idi tali immobili una garanzia pi� energica ed efficace a tutela del bene primario costituito dall'abitazione. La censura non pu� essere �ondivisa. Per stabilire correttamente se vi sia la pretesa parit� delle situazioni prospettate -parit� che, com'� noto, sta alla base del principio di eguaglianza -e la corrispondente ingiustificata diseguaglianza di tr�ttamento da parte delle norme impugnate, i giudici a quibus avrebbero dovuto comparare le stesse situazioni in base alla normativa applicabile complessivamente considerata e non gi�, come hanno fatto, sulla scorta di singole disposizioni, avulse dal sistema introdotto con la l. rn. 392 del 1978. Ora, in proposito � decisivo osservare come il regime dell'equo canone si applica soltanto agli immobili adibiti ad uso di abitazione (art. 12 e segg. I. cit.) e non pure a quelli destinati ad usb diverso, sicch� tale differente regime, che incide in maniera assai rilevante nei rapporti tra locatore e conduttore (sono note le pressanti insistenze dei conduttori di immobili non destinati ad abitazione rper estendere anche a loro la disciplina dell'equo canone) esclude gi� di per s� la possibilit� di configurare la parit� delle situazioni messe a raffronto. Inoltre devesi aggiungere che, come gi� rilevato dalla Relazione ministeriale al Disegno di legge, il trattamento differenziato, quanto alla durata del contratto, trova fondamento anche nella eventualit� che gli operatori economici debbano investire somme non indiffel"enti per utilizzare I'immobile ai fini dell'attivit� commerciale o industriale praticate. E tutto ci� conferma che non sussiste la dedotta violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. Non sembra poi pertinente quanto dedotto esclusivamente dal ... secondo cui la disciplina vigente in tema di durata del contratto di loca PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE zione contrasterebbe con l'art. 31 Costituzione, in quanto ostacolerebbe la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi. A parte, invero, ogni considerazione sul carattere puramente diret� tivo della norma, va rilevato che essa pu� concernere soltanto quelle situazioni legate da un rapporto di necessit� con la formazione della famiglia e non gi� tutto ci� che in maniera puramente indiretta ed eventuale pu� avere qualche riflesso su di essa. '� necessario, in altri termini, un nesso di stretta conseguenzialit� tra il fatto considerato e la formazione della famiglia e non soltanto una possibile mera influenza di carattere indiretto o riflesso. E proprio per ci� questa Corte ha gi� ritenuto, rispetto ad una fattispecie diversa ma riconducibile allo stesso principio, l'estraneit� del suindicato precetto costituzionale (cfr. sent. n. 4 del 1976) relativamente alla materia delle locazioni. Parimenti non sembra pertinente il richiamo all'art. 41 Cost., concernente l'iniziativa economica privata: infatti quest'ultima si sostanzia nella libert� di svolgere attivit� relative alla funzione imprenditorale, mentre le norme impugnate si riferiscono soltanto al godimento di un bene non produttivo quale l'immobile destinato ad abitazione. Del resto, sembra che gli stessi giudici a quibus abbiano richiamato l'art. 41 non tanto in s� considerato quanto per trarre dal limite dell'utilit� sociale, in esso sancito, un elemento per rafforzare le ragioni addotte a favore dell'impugnativa in base all'art. 42 Cost. su cui, come gi� si � accennato, si incentra il vero problema. Esso � prospettato in maniera sostanzialmente coincidente da tutte le ordinanze di rimessione, le quali pongono l'accento sul secondo comma del cit. art. 42 per dedume che il diritto di propriet� deve adempiere ad una funzione sociale e che pertanto non sarebbe consentita la cessazione del rapporto di locazione per il mero spirare del termine finale: il contratto deve durare, secondo le predette ordinanze, a tempo indeterminato (a meno che non vi sia rinuncia da parte del conduttore) sin quando non intervenga � una giusta causa � che sola pu� consentire al locatore di riottenere la disponibilit� dell'immobile. La Corte non crede di poter consentire sull'interpretazione dell'art. 42 secondo comma Cost. data dai giudici a quibus, dovendo invece confermare il suo orientamento, numerose volte espresso. iLa norma suddetta non ha, come pure si � sostenuto da una parte della dottrina, trasformato Ia propriet� privata in una funzione pubblica. Ci� inequivocabilmente risulta dal suo preciso tenore: � La propriet� privata � riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti �. La Costituzione dunque ha chiaramente continuato a considerare la propriet� privata come un diritto soggettivo, ma ha affidato al legislatore ordinario il compito di introdurre, a seguito delle opportune valutazioni e dei necessari bilancia 634 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO menti dei diversi interessi, quei limiti che ne assicurano la funzione sociale. Indubbiamente detta funzione con il solenne riconoscimento avuto dalla Carta fondamentale, non pu� pi� essere considerata, come per il passato, quale mera sintesi dei limiti gi� esistenti nell'ordinamento positivo in base a singole disposizioni; essa rappresenta, invece, l'indirizzo generale a cui dovr� ispirarsi la futura legislazione. Ma -ripetesi -l'attuazione dell'indirizzo suddetto � riservata, rper il testuale disposto costituzionale, al legislatore ordinario, il quale dovr� provvedervi secondo il criterio indicato dal Costituente. Non si pu� quindi convenire nell'impostazione di fondo delle ordinanze di rimessione, che accolgono un'interpretazione non consentita dal dettato costituzionale. Va poi osservato che la disciplina del contratto di locazione fa parte di un complesso normativo (la c.d. legge sull'equo canone), in cui le singole disposizioni sono strettamente collegate, non solo sul piano giuridico ma anche -e forse ancor pi� -su quello economico e sociale: non � perci� possibile, come invece vocrebbero le ordinanze di rimessione, incidere su una singola disposizione, essenziale e qualificante nell'economia dell'assetto normativo, trascurando i riflessi e le necessarie conseguenze sull'intera disciplina. Ci� rende ancor pi� chiaro come si chieda alla Corte una pronunzia la quale sostanzialmente comporta una rielaborazione della materia, il che, all'evidenza, � compito esclusivo del legislatore. N� ha consistenza il generico richiar,no alle legislazioni della Francia e della Repubblica federale tedesca, giacch� quanto � avvenuto in quei Paesi con l'emanazione di nuove leggi (successive alla detta ordinanza: Loi n. 82-526 du 22 juin 1982 relative aux droits et obligations des locataires et des bailleurs; Gesetz zur Erhohung des Angebots an Mietwohnungen del 20 dicembre 1982) conferma che 1n questa materia vi � largo spazio per la discrezionalit� delle scelte da parte del legislatore (il che in linea di principio non comporta, ben s'intende, che la scelta adottata sia sottratta all'osservanza dei principi costituzionali). Neppure pu� considerarsi esatta l'asserzione secondo cui il principio della durata illimitata del contratto (salvo giusta causa di recesso) sarebbe stato accolto dalle predette legislazioni: e ci� perch� il cosiddetto droit au maintien del conduttore trova, nella legislazione francese, numerosi e congrui strumenti di bilanciamento a favore del locatore, mentre il principio del berechtigtes Interesse, che nella legislazione tedesca legittimerebbe esso soltanto lo scioglimento del rapporto di locazione, � fortemente limitato, per non dire sostanzialmente accantonato, nella legge sopra citata, volta -come risulta anche dal suo titolo a superare una situazione di stasi nel mercato degli affitti. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Si deve quindi concludere che le scelte operate dal legislatore italiano non appaiono incompatibili con la norma costituzionale ora considerata: ci� non significando, ovviamente, che, nell'ambito di discrezionalit� lasciato dal Costituente alla fogge ordinaria, le dette scelte siano le sole compatibili con la Carta fondamentale e che non possano essere mutate. (omissis) Esaurito cos� l'esame delle impugnate norme di natura sostanziale, devesi, infine, brevemente accennare aUa legittimit� costituzionale delle norme di cui agli artt. 657 e segg. cod. proc. civile, i quali, secondo la formulazione dell'OTdinanza di rimessione, da un lato, esonerano il locatore dal provare Ia giusta causa e non consentono al conduttore di far valere le proprie esigenze abitative; e, dall'altro, non permettono al giudice di valutare i contrapposti interessi delle parti, impedendogli � di realizzare cos�, con il processo, l'obiettivo di giustizia sostanziale �. Sembra alla Corte che la censura non costituisca altro che la ripetizione di quanto dedotto sul terreno del diritto sostanziale e valgono quindi i rilievi esposti in quella sede; comunque, se diverso ne fosse il senso, si deve aggiungere come non sarebbe ammissibile, in base al vigente assetto costituzionale, l'adombrata pretesa di mediazione, da parte del giudice, tra conflitti di interessi in base a sue personali valutazioni di � giustizia sostanziale � spettando, :invece, al legislatore regolare i rapporti intersoggettivi e al giudice applicare le relative norme. CORTE COSTITUZIONALE, 29 settembre 1983, n. 282 (ord.) -Pres. Elia - Rel. Bucdarelli Ducci -Barletta e Presidente Consiglio dei Ministri. Corte costituzionale � Legge di ratifica di trattato internazionale -Non ancora efficace � Non pu� costituire oggetto del giudizio costituzionale. Una .legge che autorizza la ratifica e prescrive la piena esecuzione di un trattato internazionale, se inoperante per mancato deposito dello strumento di ratifica, non pu� formare oggetto di giudizio di costituzionalit�; giudizio in esito al quale non potrebbe comunque essere emessa una pronuncia sostitutiva del deposito di detto strumento. (omissis) Considerato che nel corso del procedimento penale a carico di Barletta Cosimo -imputato del delitto di omicidio volontario, commesso in Germania, condannato dal Tribunale di Hagen ... e sottoposto in Italia a nuovo procedimento penale a norma dell'art. 11 cod. pen., su richiesta del Ministro di Grazia e Giustizia -la Corte di assise di appello di Milano ... ha ritenuto rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata -in riferimento agli artt. 3, 80, 87, comma ottavo, della Costituzione -la questione, sollevata dal difen RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sore dell'imputato, concernente la legittimit� costituzionale della legge 16 maggio 1977, n. 305 (ratifica della Convenzione europea sulla validit� internazionale degli atti Tepressivi, adottata a L'Aja il 28 maggio 1970) in quanto la mancata fissazione, nella stessa legge, di un termine per la ratifica (non ancora effettuata dallo Stato italiano) non consente di applicare l'art. 53 della Convenzione, che sancisce J'efficacia delle sen. tenze penali straniere in tutti gli Stati contraenti e, quindi, nel caso di specie preclude la rinnovazione del giudizio in Italia prevista dall'art. 11 cod. pen.; rilevato che fa legge impugnata, composta da due articoli, autorizza con l'art, 1 il Presidente della Repubblica a ratificare la suddetta Convenzione e con l'art. 2 prescrive che piena ed intera �esecuzione � data alla Convenzione a decorrere dalla sua entrata in v,igore in conformit� all'art. 58 della Convenzione medesima, il quale dispone l'entrata in vigore tre mesi dopo la data del deposito del terzo strumento di ratifica e di accettazione e, per lo Stato firmatario che depositi la ratifica o l'accettazione in un secondo tempo, tre mesi dopo tale deposito; ritenuto che lo Stato italiano finora non ha depositato lo strumento di ratifica e, quindi, nei suoi confronti la Convenzione non � entrata in vigore, dal che deriva l'attuale inoperativit� della legge impugnata -concernente la ratifica e contenente l'ordine di esecuzione della Convenzione necessariamente condizionato aWentrata in vigore della convenzione medesima -e la conseguente inidoneit� della stessa legge n. 305 del 1977 a costituire oggetto del giudizio di legittimit� costituzionale; ritenuto, peraltro, che neppure l'eventuale declaratoria di illegittimit� costituzionale della menzionata legge, per mancata fissazione del termine per la ratifica, potrebbe rendere vincolante per lo Stato italiano la Convenzione internazionale -con le conseguenti opemtivit� della suddetta legge e applicabilit� del menzionato art. 53 della Convenzione da parte del giudice a quo -perch� tali effetti derivano esclusivamente dal deposito dello strumento di ratifica; ritenuto, pertanto, che la questione di legittimit� costituzionale � manifestamente inammissibile. CORTE COSTITUZIONALE, 18 ottobre 1983, n. 308 -Pres. Elia -Rel. De Stefano -Belardo (n.p.) e Ministero delle Finanze (avv. Stato Mataloni). Previdenza -Fondo di previdenza personale imposte di fabbricazione . Impiegati non di ruolo � Sono iscritti. (Cost., art. 3; 1. 12 gennaio 1942, n. 37, art. 1). Contrasta con l'art. 3 Cast. l'art. 1 della legge 26 gennaio 1942 n. 37 nella parte in cui non comprende nel personale addetto ai servizi delle PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTlTUZIONALE imposte di fabbricazione e dei laboratori chimici delle dogane e delle imposte indirette, avente diritto alla iscrizione al Fondo di previdenza, anche gli impiegati non di ruolo. Con l'art. 1 del r.d.l. 5 settembre 1938, n. 1561, convertito in legge 19 gennaio 1939, n. 260, � stato istituito un �Fondo di previdenza a :favore del personale addetto ai servizi delle �imposte di fabbricazione�. L'art. 1 della legge 26 gennaio 1942, n. 37, ne ha modificato la dizione in � Fondo di previdenza a favore del personale dei ruoli provinciali addetto ai servizi delle imposte di fabbricazione e del personale dei laboratori chimici delle dogane e delle imposte indirette �. In base a questa disposizione sono pertanto iscritti al Fondo, secondo quanto poi precisato dall'art. 1 del relativo regolamento, approvato con d.P.R. 9 aprile 1964, n. 1650, il personale dei ruoli periferici delle imposte di fabbricazione e dei laboratori chimici delle dogane e imposte indirette, e quello dei rispettivi ruoli aggiunti; mentre ne rimangono esclusi gl'impiegati non di ruolo. Affluiscono al Fondo quote dei proventi contravvenzionali e dei compensi per i servizi, a carico dei privati, compiuti dal personale. Il Fondo, avvalendosi di tali entrate, corrisponde agl'iscritti una indennit� all'atto della cessazione dal servizio, oltre sovvenzioni e contributi in caso di bisogno. In virt� dell'art. 1 del d.P.R. 17 marzo 1981, n. 211, i fondi di previdenza del personale dell'amministrazione finanziaria, tra cui il Fondo anzidetto, sono stati unificati in un unico ente di diritto pubblico, denominato � Fondo di previdenza per il personale del Ministero delle finanze �; ma l'unificazione ha effetto a decorrere dalla data di ent~ata in vigore del cennato decreto (17 maggio 1981). L'ordinanza del Consiglio di Stato, Sezione IV, emessa, come esposto in narrativa, nel corso di un procedimento relativo alla negata corresponsione dell'indennit� per il servizio prestato da un impiegato non di ruolo, cessato nel 1971, solleva questione �di legittimit� costituzionale, per contrasto con i princ�pi di eguaglianza e di proporzionalit� retributiva posti dagli artt. 3 e 36, comma primo, della Costituzione, del menzionato art. 1 della legge n. 37 del 1942, nella parte in cui esclude dalla iscrizione al Fondo e dalle prestazioni da esso erogate, nell'�mbito del personale addetto ai servizi delle imposte di fabbricazione e dei laboratori chimici, gl'impiegati non di ruolo. La questione � fondata. Giova premettere che tra il Fondo e i suoi iscritti intercorre un rapporto di natura previdenziale, per la cui costituzione opera, come titolo esclusivo ed automatico la qualit� di impiegato che presti servizio presso l'Amministrazione delle imposte di fabbricazione e dei laboratori chimici delle dogane e delle imposte indirette. Nello svolgimento di 638 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO siffatto rapporto, le prestazioni erogate dal Fondo costituiscono, in buona sostanza, il corrispettivo, non di versamenti contributivi degl'iscritti, ma, per la massima parte, di servizi dagli stessi forniti all'amministrazione, nell'interesse e su richiesta di privati, i quali dal Joro canto corrispondono direttamente all'amministrazione medesima le indennit� all'uopo previste. Una quota di tali compensi, secondo disposto, sin dall'origine, dall'art. 2 del decreto legge n. 1561 del 1938, e poi ribadito in sede regolamentare (art. 2 del r.d. n. 1768 del 1940; art. 2 del d.P.R. n. 1650 del 1964), affluisce al Fondo per il perseguimento delle sue finalit�. Pi� specificamente, al Fondo viene versato il 25 per cento delle somme affluite in Tesoreria per indennit� dovute dai privati per le analisi delle merci e per i riscontri tecnici eseguiti fuori orario o fuori sede dal personale dei laboratori chimici, nonch� il 40 per cento sulla differenza tra le somme versate dai privati per i servizi svolti dal personale delle imposte di fabbricazione e le indennit� di missione all'uopo liquidate al personale stesso: cos� ha prescritto l'art. 5, comma terzo, della legge 15 novembre 1973, n. 734, che, nel concedere un assegno perequativo ai dipendenti civili dello Stato, di ruolo e non di ruolo, ha altres� unificato la previgente disciplina circa l'acquisizione di siffatte entrate (e delle quote dei proventi contravvenziona1i) da parte dei vari fondi di previdenza per il personale dell'Amministrazione finanziaria. Ora -come pone .giustamente in rilievo H giudice a quo -gl'impiegati non di ruolo addetti agli uffici delle imposte di fabbricazione ed ai laboratori chimici delle dogane e delle imposte indirette sono impegnati, al pari del personale di ruolo, negli stessi servizi, per i 'quali dagli operatori economici sono versati gli speciali compensi e proventi, che concorrono, pro quota, ad alimentare il Fondo. Rispetto a questa identit� di prestazioni di lavoro, e di inserimento e di coinvolgimento nell'organizzazione e nella operativit� degli uffici, il collocamento in ruolo o la condizione di impiegato non di ruolo non possono venir considerati titolo sufficiente di diversificazione, tale da giustificare l'iscrizione al Fondo e la partecipazione alle sue erogazioni nel primo caso, e la esclusione dall'iscrizione e dalle conseguenti erogazioni nel secondo. N� va taciuto che in altri consimili fondi di previdenza per il personale dell'Amministrazione finanziaria non si riscontra la famentata esclusione degl'impiegati non di ruolo. Al Fondo di previdenza per il personale dell'amministrazione periferica delle imposte dirette sono, infatti, iscritti di diritto tutti gl'impiegati, di ruolo e non di ruolo, di quell'amministrazione (art. 5 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 648; art. 1 del regolamento approvato con il d.P.R. 12 dicembre 1975, n. 856). Al Fondo di previdenza per il personale del Ministero delle finanze e delle Intendenze di finanza sono del pari iscritti di diritto gl'impiegati, di ruolo e non di ruolo, dell'amministrazione centrale del Ministero delle finanze PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 639 e delle Intendenze di finanza, nonch� quelli, di ruolo e non di ruolo, amministrati dalla Direzione generale per l'organizzazione dei servizi tributari, e quelli, di ruolo e non di ruolo, dell'amministrazione periferica del demanio (artt. l, comma secondo, n. 4, e 6 del citato d.P.R. n. 648 del 1972; art. 1 del regolamento approvato con d.P.R. 12 dicembre 1975, n. 855). Cos� pure per il Fondo di previdenza a favore del personale periferico delle tasse e delle imposte indirette sugli affari, al quale sono iscritti di diritto tutti gl'impiegati, di ruolo e non di ruolo, dell'amministrazione periferica delle tasse e delle imposte indirette sugli affari (art. 1 del regolamento approvato con d.P.R. 12 dicembre 1975, n. 857). Infine, per :l'art. 2 del gi� citato d.P.R. n. 211 del 1981, �al Fondo di previdenza unificato sono iscritti di diritto tutti i dipendenti civili di ruolo e non di ruolo del Ministero delle finanze appartenenti ai Fondi di previdenza� confluiti nell'unico ente. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 18 ottobre 1983, n. 310 -Pres. Elia -Rel. De Stefano -Velati Bellini ed altro (avv. Cogliati Dezza) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Salimei). Tributi in genere -Condono -Processo costituzionale -Eventuale presentazione di istanze di condono -Rimessione al giudice � a quo �. La rimessione al giudice a quo pu� essere disposta dalla Corte costituzionale anche solo perch� sia accertato se una parte si � avvalsa di condono tributario. (omissis) Tutte le suddette ordinanze riguardano casi di omessa pre� sentazione dc;:lla dichiarazione dei sostituti d'imposta, prescritta dall'art. 7 del d.P.R. n. 600 del 1973, per i quali si � inflitta la pena pecuniaria prevista dal denunciato art. 47 dello stesso decreto. Ora, nelle more del giudizio, � intervenuta la legge 12 febbraio 1983, n. 27, che ha convertito con modificazioni il d.l. 15 dicembre 1982, n. 916. Tra le modificazioni apportate dall'art. 1 di detta legge vi � quella operata con l'aggiunta al decreto legge convertito dell'art. 2 ter, a norma del quale i sostituti d'imposta, tenuti alla presentazione della dichiarazione prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 600 del 1973, �per i periodi d'imposta relativamente ai quali il termine per la presentazione della dichiarazione � scaduto anteriormente al 1� agosto 1982, semprech� non sia intervenuto accertamento definitivo, sono ammessi a presentare dichiarazioni integrative in luogo di quelle omesse �. Dispone poi l'ottavo comma del citato art. 2 ter che le sanzioni amministrative previste dal titolo V 640 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO del d.P.R. n. 600 del 1973 (tra le quali rientrano quelle previste dal denunciato art. 47) � non si applicano se l'ammontare delle ritenute resta definito per l'importo corrispondente alle dichiarazioni integrative�. Anche per tali ord1n�nze, pertanto, si rende necessario restituire gli atti alle Commissioni tributarie sopra indicate, perch� accertino, nella ipotesi che i ricorrenti si siano avvalsi della sopravvenuta normativa, se le questioni sollevate siano tuttora rilevanti. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 22 marzo 1983, nella causa 34/82 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Mancini Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione olandese neMa causa Martin Peters Bauunternehmung GmbH c. Zuid Nederlandse Aannemers Vereniging -lnterv. Governi della Repubblica federale di Germania (ag. Bohmer) e italiano {avv. Stato Fiumara) e Commissione delle Comunit� europee (ag. Zimmerman). Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale� � Competenza giurisdizionale -Materia contrattuale -Nozione. (Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 5). Le obbligazioni aventi ad oggetto il versamento di una somma di denaro e che hanno il loro fondamento nel rapporto di affiliazione esistente fra un'associazione e i suoi membri rientrano nella � materia contrattuale� ai sensi dell'art. 5, punto l, della convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. E -indifferente, in proposito, che le obbligazioni di cui trattasi derivino direttamente dalla adesione o ad un tempo da questa e da una o pi� delibere adottate da organi dell'associazione (1). (1) La decisione � da condividersi. Invero l'esame complessivo e sistematico dell'art. 5 della convenzione di Bruxelles induce a ritenere che la norma tende ad abbracciare tutto intero e senza residui (nel campo di applicazione delineato nel precedente art. 1 e salve le eccezioni degli articoli seguenti) l'ambito del diritto delle obbligazioni, quale sia la fonte del vincolo obbligatorio (contrattuale, ex lege ovvero extracontrattuale da delitto o quasi-delitto). Siano o non siano le espressioni e le nozioni giuridiche usate dalla convenzione da considerarsi, in linea generale, come autonome e perci� comuni all'insieme degli Stati membri (cfr. in un senso la sentenza della Corte 6 ottobre 1976, nella causa 12/76, INDUSTRIE TESSILI ITALIANE, in Racc., 1976, 1473, e nell'altro le sentenze 6 ottobre 1976, nella causa 14/76, DE Bwos, in Racc., 1976, 1497, e 22 novembre 1978, nella causa 33/78, SOMAFER, in Racc. 1976, 2183, citata in motivazione), alla espressione �materia contrattuale� di cui al punto 1 della norma in questione sembra che possa attribuirsi il significato, comune e generale, pi� ampio, coincidente con quello di atto negoziale lecito di qualsiasi natura (unilaterale, bilaterale o plurilaterale) produttivo di obbligazione civile (di quell'obbligazione, cio�, che pi� precisamente � serva di base all'azione giudiziaria�, 642 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) 1. -Con sentenza 15 gennaio 1982', pervenuta alla Corte il 21 gennaio successivo, lo Hoge Raad dei Paesi Bassi ha proposto, in forza del Protocollo 3 giugno 1981 relativo all'interpretazione, da parte della Corte di giustizia, della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in prosieguo: Convenzione), due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 5, punto 1�, della Convenzione. 2. -Dette questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra la Zuid Nederlandse Aannemers Vereniging (in prosieguo: ZNA V), associazione di diritto olandese con sede giuridica in Maastricht e con sede amministrativa in Heeze (Brabante settentrionale), ed uno dei suoi membri, la societ� di diritto tedesco Martin Peters Bauunternehmung GmbH (in prosieguo: Peters), con sede in Aquisgrana, Repubblica federale di Germania. La controversia verte sul pagamento di talune somme addebitate a quest'ultima societ� in base ad una norma interna emanata dagli organi dell'associazione e vincolante per i membri della stessa. 3. -L'Arrondissementsrechtbank (Tribunale) di 's-Hertogenbosch (Boscoducale), adito dalla ZNAV, respingeva l'eccezione di incompetenza sollevata dalla Peters. Esso affermava che la causa era stata originata da un asserito d.nadempdmento contrattuale e si considerava pertanto competente in forza dell'art. 5, punto 1�, della Convenzione, a norma del quale il convenuto -in casu la Peters -domiciliato nel territorio di un altro Stato contraente pu� essere citato, in materia contrattuale, dinanzi al giudice del luogo in cui l'obbligazione � stata o dev'essere adempiuta. secondo quanto ha ritenuto la Corte nella sopracitata sentenza 6 ottobre 1976, nella causa 14/76), nel senso originario del termine contractus in diritto romano (omnis enim obligatio vel ex contractu nascitur vel ex delicto). Poco rilevante appare, dunque, una distinzione fra contratto in senso stret� to, quale incontro di volont� su interessi divergenti, e accordo, quale incontro di volont� su interessi convergenti, nella cui figura pi� propriamente andrebbe inquadrato il negozio associativo: entrambi hanno struttura contrattuale in senso lato, in quanto nascono dalla volont� concorde delle parti per la regolazione di uno o pi� rapporti giuridici fra di loro. Poco rilevante appare finanche la distinzione fra contratto o accordo asso ciativo e atto unilaterale collegiale (nel caso deciso la direttiva deliberata dal l'organo del consorzio di appaltatori cui appartiene la societ� Peters, istitutiva degli obblighi di comportamento e delle indennit� e contributi a carico dei membri): derivino le prestazioni pecuniarie richieste alla ditta associata diretta mente dal contratto-accordo associativo ovvero solo dalla regolare delibera del� l'organo consortile (il che, peraltro, non escluderebbe comunque una indiretta derivazione contrattuale), si tratterebbe in ogni caso di obbligazione di fonte � contrattuale '" nell'ampio significato che all'espressione � materia contrattuale � sembra doversi attribuire. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 643 4. -In sede d'appello, il Gerechtshof di 's-Hertogenbosch, adito dalla Peters, confermava la sentenza di primo grado, dichiarando che l'obbligo di pagare le somme pretese dalla ZNA V andava considerato come obbligazione contrattuale ai sensi dell'art. 5, punto 1�, della Convenzione. 5. -La Peters Ticorreva per cassazione dinanzi allo Hoge Raad dei Paesi Bassi contestando il giudizio espres'SO dal Gerechtshof circa fa natura del vincolo che la legava alla ZNAV. 6. -Lo Hoge Raad, prima di pronunziarsi nel merito, ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia le due questioni seguenti relative all'interpretazione della Convenzione di Bruxelles: � 1) Se l'art. 5, prima parte e punto 1�, della Convenzione si applichi alle pretese di un'associazione munita di personalit� giuridica nei confronti di uno dei suoi membri, pretese relative al pagamento di una somma e che hanno il loro fondamento nel rapporto di associazione in atto fra le parti, posto in essere dal fatto che la convenuta � divenuta membro dell'associazione in forza di un apposito negozio giuridico. 2) Se si debba in proposito fare una distinzione a seconda che le obbligazioni derivino direttamente dall'iscrizione ovvero dall'iscrizione in relazione ad una o pi� delibere di organi dell'associazione �. I -Sulla prima questione. 7. -L'art. 5 della Convenzione contempla vari fori speciali con facolt� di scelta per l'attore, in deroga alla norma generale in materia di competenza di cui all'art. 2, primo comma, della Convenzione. 8. -A tenore dell'art. 5, punto 1�, della Convenzione, �il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente pu� essere citato in un altro Stato contraente: 1) in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio � stata o dev'essere eseguita... �. 9. -La nozione di materia contrattuale serve quindi di criterio per delimitare la sfera d'applicazione di una delle norme speciali in materia di competenza di cui l'attore pu� avvalersi. Tenuto conto degli scopi e della struttura generale ciella Convenzione, � necessario, al fine di garantire per quanto possibile la parit� e l'uniformit� dei diritti e degli obblighi che derivano dalla Convenzione per gli Stati contraenti e per le persone interessate, evitare d'interpretare la suddetta nozione come un semplice rinvio al diritto nazionale di questo o quello Stato interessato. 644 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 10. -Di conseguenza, e come peraltro la Corte ha affermato per motivi analoghi a proposito della nozione � esercizio di una succursale, di un'agenzia o di qualsiasi altra filiale� di cui aH'art. 5, punto 5�, della Convenzione (sentenza 22 novembre 1978, causa 33/78, Somafer c/ SaarFerngas AG, Racc. pag. 2183), la nozione di materia contrattuale va considerata come una nozione autonoma che dev'essere interpretata, ai fini dell'applicazione della Convenzione, riferendosi principalmente al sistema e agli. scopi della Convenzione stessa onde garantire la piena efficacia di questa. 11. -Sotto questo profilo va rilevato che l'art. 5 contempla vari fori speciali con facolt� di scelta per l'attore in considerazione del fatto che esiste, in taluni casi ben determinati, un collegamento particolarmente stretto tra una data controversia e il giudice che pu� essere adito, circostanza rilevante ai fini dell'economia processuale. 12. -Cos�, con la designazione, nell'art. 5, punto 1�, della Convenzione, del giudice del luogo lin cui l'obbligazione contrattuale � stata o dev'essere adempiuta si � voluto far s� che, in ragione degli stretti legami creati da un contratto tra le parti contraenti, tutti i problemi che possono sorgere ~n occasione dell'adempimento di una obbligazlione contrattuale possano essere sottoposti allo stesso giudice: quello del luogo dell'adempimento. 13. -A questo proposito, si pu� affermare che l'adesione ad una associazione crea tra gli associati stretti vincoli dello stesso tipo di quelli che esistono tra le parti di un contratto e che, di conseguenza, per l'applicazione dell'art. 5, punto 1�, della Convenzione, � lecito considerare contrattuali le obbligazioni cui si riferisce il giudice di rinvio. 14. -Poich� la maggior parte degli ord~namenti giuridici nazionali designano il Iuogo in cui l'associazione ha sede come luogo dell'adempimento delle obbligazioni risultanti dall'atto di adesione all'associazione stessa, l'applicazione dell'art. 5, punto l�, della Convenzione presenta inoltre vantaggi pratici: infatti, il giudice del luogo in cui ha sede l'associazione �, di regola, quello che pi� � ~n grado di comprendere lo statuto, i regolamenti e le delibere dell'associazione, nonch� le circostanze relative al sorgere della controversia. 15. -In base a quanto precede, la prima questione va risolta nel senso che le obbligazioni aventi ad oggetto il versamento di una somma di denaro e che hanno il loro fondamento nel rapporto di affiliazione esistente tra un'associazione e i suoi membri devtmo essere considerate rientranti nella �materia contrattuale� ai sensi dell'art. 5, punto 1�, della Convenzione. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE IL Sulla seconda questione. 16. -Il giudice nazionale chiede alla Corte di precisare se, per stabilire se un'obbligazione di un membro nei confronti di un'associazione rientri o no nella �materia contrattuale� si debba fare una distinzione a seconda che l'obbligazione di cui trattasi derivi direttamente dall'adesione oppure ad un tempo da questa e da una delibera di un organo dell'associazione. 17. -� importante osservare che la moltiplicazione dei criteri di competenza per lo stesso tipo di controversie non � atta a favorire la certezza del diritto e l'efficacia della tutela giurisdizionale nell'msieme dei territori che costituiscono la Comunit�. Pertanto, Ie disposizioni della Convenzione devono essere interpretate in modo che il giudice adito non sia mdotto a dichiararsi competente a statuire su talune domande, ma incompetente a conoscere di altre domande, pure molto affini. Il rispetto degli scopi e dello spirito della Convenzione esige inoltre un'interpretazione dell'art. 5 della stessa che consenta al giudice nazionale di pronunziarsi sulla propria competenza senza dover procedere all'esame del merito della causa. 18. -Per questi motivi, la seconda questione dev'essere risolta nel senso che il fatto che l'obbligazione controversa derivi direttamente dall'adesione oppure ad un tempo da questa e da una delibera di un organo dell'associazione non ha alcuna influenza sull'applicazione dell'art. 5, punto 1�, della Convenzione ad una causa relativa alla suddetta obbligazione. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 20 aprile 1983, nella causa 59/82 -Pres. f.f. Pescatore -Avv. Gen. Mancini. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgericht di Monaco di Baviera nella causa Schlitzverband gegen Unwesen i.d. Wirtschaft c. Weinvertriebs GmbH -Interv.: Governi francese (ag. Prevel) e italiano (avv. Stato Conti) e Commissione delle C.E. (ag. Wagenbaur). Comunit� europee -Unione doganale -Libera circolazione delle merci Misure d'effetto equivalente a restrizioni all'importazione -Vermut( Trattato CEE, art. 30; decreto legge 11 gennaio �956, n. 3, conv. in legge 16 marzo 1956, n. 108, artt. 7 e 20). Va considerato come misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa vietata dall'art. 30 del Trattato il divieto d'importare vermut la cui gradazione alcoolica � inferiore al minimo prescritto nello Stato 646 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO membro esportatore, per la commercializzazione sul mercato interno, quando detto minimo non � prescritto per la commercializzazione del vermut prodotto nello Stato membro importatore (1). (omissis) 1. -Con ordinanza 20 gennaio 1982, pervenuta in cancelleria 1'11 febbraio successivo, il Landgericht di Monaco ha sottoposto a questa Corte, in forza dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali vertenti sull'<interipretazione degli artt. 30 e segg. del Trattato, onde esser posto in grado di valutare fa compatibilit� col diritto comunitario di una disposizione legislativa tedesca riguardante la commercializzazione nella Repubblica federale di Germania di bevande a base di vino prodotte all'estero (art. 32, 1� comma, della legge sul vino (Weingesetz) 14 luglio 1971, Bundegesetzblatt 1971, n. 63, pag. 893). 2. -Le suddette questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia fra lo Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft -in (1) La Corte ha condiviso la tesi sostenuta dal Governo italiano nella memoria che si trascrive. Requisiti di commercializzazione e misure di effetto equivalente a restrizioni all'importazione ai sensi dell'art. 30 del Trattato CEE. (omissis) 2. -Come risulta dall'ordinanza, la causa principale ha ad oggetto una domanda di inibitoria a distribuire nel territorio della Repubblica federale di Germania vermut italiano di gradazione alcolica inferiore a 16�. La legge italiana (art. 7 del d.I. 11 gennaio 1956, n. 3, convertito nella legge 16 marzo 1956, n. 108) dispone che nei vini aromatizzati il contenuto effettivo di alcool deve essere non inferiore al 16% in volume. Le autorit� competenti possono, per�, consentire la preparazione di vini aromatizzati destinati all'esportazione in difformit� delle norme vigenti per il mercato interno, purch� in modo rispondente alla legislazione del Paese di destinazione (art. 20 del d.I. 3/56). La legge tedesca, per parte sua, non prescrive alcuna gradazione alcolica minima per i vermut nazionali. Per i vermouth prodotti all'estero (come anche per le altre bevande a base di vino), dispone che essi possono essere importati soltanto a condizione che la loro fabbricazione sia stata effettuata conformemente alle norme in vigore nello Stato di esportazione e che essi siano idonei ad essere ivi immessi sul mercato. In tale contesto, il Landgericht, prima di pronunciarsi sull'interpretazione della normativa tedesca, ritiene importante stabilire se il vietare l'importazione di merci legittimamente prodotte in un altro Stato membro ai fini dell'esportazione, ma non commerciabili nel loro paese d'origine, costituisca una restrizione quantitativa ovvero una misura di effetto equivalente, ai sensi. degli artt. 30 e segg. del Trattato CEE. Il Governo italiano ritiene che a tale quesito debba darsi risposta positiva. 3. -Secondo la costante giurisprudenza della Corte, rientra nel divieto di cui all'art. 30 del Trattato CEE qualsiasi provvedimento che possa intralciare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio intracomunitario (cfr., per tutte, la sentenza 15 dicembre 1976, causa 41/76, Denkerwolcke, in Racc. 1976, p. 1921). Alla luce di questa giurisprudenza, deve affermarsi senz'altro che cade sotto il divieto dell'art. 30 una misura statale del tipo di quella ipotizzata PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 647 prosieguo � lo Schutzverband � -, attore nella causa principale e la Weinvertriebs-GmbH, in merito al divieto di porre in commercio, nel territorio della Repubblica federale di Germania, un vermut italiano avente titolo alcolometrico inferiore a 16� in volume. 3. -A norma della legge italiana (art. 7 del decreto legge 11 gennaio 1956, GURI n. 14, del 18 gennaio 1956, convertito nella legge 16 marzo 1956, n. 108), la gradazione del vermut che � ammessa sul mercato in Italia dev'essere almeno di 16� in volume; in via eccezionale, � tuttavia ammessa la produzione in Italia di vermut avente gradazione alcolica inferiore a 16�, purch� il prodotto sia destinato all'esportazione e sia conforme alle norme del paese di destinazione. 4. -La legge tedesca sul vino non stabilisce alcun limite minimo concernente la gradazione alcolica del vermut; tuttavia, all'art. 32, n. 1, essa dispone che: �Le bevande a base di vino prodotte all'estero (bevande a base di vino di provenienza straniera) possono essere importate soltanto a con nell'ordinanza di rinvio. Non vi pu� esser dubbio, infatti, che il divieto di importare i prodotti provenienti da un altro Stato membro, nonostante la loro perfetta �conformit� alla disciplina interna, costituisca una misura apertamente e direttamente contraria ai principi della libera circolazione delle merci. In mancanza di norme comuni o uniformi, spetta certamente agli Stati membri disciplinare, ciascuno nell'ambito del suo territorio, tutto ci� che riguarda le caratteristiche di composizione, le modalit� di produzione e di smercio dei vari prodotti. Ma � evidente che, nell'esercizio di questa competenza, gli Stati membri non possono prescrivere requisiti diversi per la commercializzazione dei prodotti nazionali e di quelli provenienti dagli altri Stati membri. Una simile discriminazione non potrebbe, infatti, non realizzare, in ogni caso, una tipica forma di �restrizione quantitativa all'importazione �, o, almeno, di �misura di effetto equivalente�, ai sensi dell'art. 30 del Trattato CEE. Ci� risulta, con molta chiarezza, anche dalla direttiva della Commissione del 22 dicembre 1969 (n. 70/50/CEE, in G.U.C.E., 1970, n. I. 13, pag. 29), nella quale esattamente si osserva che le misure di commercializzazione applicabili soltanto alle merci importate � rendono le importazioni vuoi impossibili vuoi pi� difficili o onerose dello smercio della produzione nazionale � (4� e 5� considerando). Esse, perci�, vanno considerate, in s� e per s�, senza necessit� di alcuna ulteriore indagine sugli scopi perseguiti e sugli effetti prodotti, come misure assolutamente vietate dall'art. 30. Ci� vale, in particolare, per � le misure che subordinano l'importazione o lo smercio dei prodotti importati ad ogni stadio di commercializzazione, ad una condizione richiesta per i soli prodotti importati o ad una condizione diversa e pi� difficile rispetto a quella richiesta per i prodotti nazionali� (art. 2, par. 2). E la direttiva precisa anche che sono da annoverare fra le misure di questo genere quelle che � impongono condizioni, concernenti in particolare... la composizione... dei soli prodotti importati oppure condizioni differenti e pi� difficili per i pro 5 648 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dizione che l'intera fabbricazione sia stata effettuata nello Stato dnteres� sato conformemente alle disposizioni ivi in vigore e che il prodotto sia idoneo ad essere ivi messo sul mercato per essere consumato tale e quale... �. 5. -Poich� tale ddsposizione induce a vietare le importazioni nella Repubblica federale di Germania di un vermut italiano la cui gradazione alcolica sia inferiore a 16�, il giudice nazionale ha ritenuto che si dovesse accertare se un siffatto divieto costituisca misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa ai sensi dell'art. 30 del Trattato CEE; di conseguenza, esso ha sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte le seguenti questioni: � 1) Se l'interpretazione di una disposizione di legge dello Stato membro A, secondo cui un vermut a base di vino prodotto nello Stato membro B non � commerciabile pevch� di gradazione alco1ica legger- dotti importati rispetto ai prodotti nazionali � (art. 2, par. 3, lett. J), nonch� quelle che � prescrivono che i prodotti importati siano, in tutto o in parte, conformi ad una regolamentazione diversa da quella del paese importatore � (art. 2, par. 3, lett. p). t> ben chiaro che fra queste ipotesi espressamente contemplate dalla direttiva 70/50/CEE rientra esattamente la misura ipotizzata nell'ordinanza di rinvio. La sua incompatibilit� con l'art. 30 �, perci�, incontestabile in base ai criteri applicativi da tempo codificati e generalmente raccolti. 4. -Nella presente fattispecie, pertanto, trattandosi di misure applicabili ai soli prodotti importati, non vengono in considerazione i delicati problemi concernenti l'eventuale incompatibilit� con l'art. 30 di discipline nazionali di commercializzazione applicabili indistintamente ai prodotti nazionali e importati (tali problemi, com'� noto, sono stati esaminati dalla Corte nelle sentenze: 20 febbraio 1979, causa n. 120/78, Rewe, in Racc., 1979, pag. 649; 26 giugno 1980, causa n. 788/79, Gilli, in Racc., 1980, pag. 2071; 19 febbraio 1981, causa n. 130/80, KEL!JERMAN, inedita; 9 dicembre 1981, causa n. 193/80, Commissione c. Italia, inedita). La situazione � ben diversa: la norma ipotizzata nelFordinanza di rinvio non stabilisce determinati requisiti indifferentemente validi per tutti i prodotti di una determinata specie (vermut a base di vino), nazionali o importati che siano. Essa, invece, consente, da un lato, la libera commercializzazione, all'interno della Repubblica federale di Germania, dei vermut nazionali (o importati da Paesi diversi dall'Italia), qualunque sia la loro gradazione (purch� inferiore a 18�), e vieta, dall'altro, la commercializzazione del solo vermut proveniente dall'Italia che abbia una gradazione inferiore a 16�. L'esistenza di una discriminazione arbitraria, e, quindi, di un'illecita restriuone alle importazioni,. non potrebbe essere pi� chiara. L'incompatibilit� della misura ipotizzata con gli artt. 30 e segg. del Trattato CEE dev'essere, perci�. affermata in maniera del tutto incondizionata, senza che possano neppure ipotizzarsi limitazioni o eccezioni del tipo di quelle che, forse, vanno introdotte laddove si tratti di misure indistintamente applicabili ai prodotti nazionali e a quelli importati. i' ti: 1' !: ~: PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 649 mente inferiore a quella minima prescritta dalla legislazione dello Stato membro B, sia conforme agli artt. 30 e segg. del Trattato CEE, anche qualora nello Stato membro A non ,sia prescritta la gradazione alcolica minima per il vermut a base di vino nazionale, con la conseguenza che il vermut, se venisse prodotto nello Stato membro A, sarebbe senz'altro commerciabile in questo Stato. Nel caso di soluzione affermativa della prima questione: 2) Se questa compatibilit� con gli artt. 30 e segg. del Trattato CEE sussista anche qualora le disposizioni nazionali dello Stato membro B stabiliscano che il vermut a base di vino non dev'essere conforme alle norme narionahl deliJ.o sitesso Stato, relaitiive ailila ~on.e ailcolica minima, nel caso in cui sia prodotto per essere esportato nello Stato membro A�. 6. -Con la prima questione, il giudice nazionale mira ad ottenere gli elementi d'interpretazione che gli consentano di stabilire se un divieto 5. -Occorre chiedersi, per completezza, se un divieto all'importazione del tipo di quello ipotizzato nell'ordinanza di rinvio possa, per avventura, esser legittimato dall'art. 36 del Trattato, e cio� se esso possa ritenersi giustificato �da motivi di moralit� pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della propriet� industriale e commerciale �. Appare evidente che la risposta a tale quesito dev'essere negativa. Esclusa, per ovvie ragioni, la possibilit� di far riferimento a motivi di moralit� pubblica, di pubblica sicurezza, di tutela della salute, di protezione del patrimonio artistico e di tutela della propriet� industriale, restano da considerare i motivi attinenti all'� ordine pubblico�. Ma anche a voler ammettere che la nozione di ordine pubblico possa essere estesa fino a comprendervi la tutela dei consumatori contro le frodi e la repressione della concorrenza sleale (cfr., in proposito, le conclusioni dell'Avvocato Generale Capotorti nella causa 120/78, in Racc., 1979, pag. 666 e segg.), appare evidente che un divieto come quello ipotizzato nell'ordinanza di rinvio non pu� aver nulla a che fare neppure con queste finalit�. Per quanto riguarda la tutela della lealt� e dell'equit� nei rapporti con correnziali, va osservato, anzi, che � proprio la prescrizione di un requisito di gradazione minima per i soli prodotti provenienti da un determinato Paese che rende impossibile lo svolgimento di una normale concorrenza. La pos sibilit� di diminuire la gradazione alcolica garantisce, infatti, un evidente vantaggio concorrenziale ai prodotti nazionali rispetto alle bevande importate, obbligate ad attenersi alla gradazione pi� elevata, dato che l'alcool costituisce, nella composizione delle bevande, l'elemento di gran lunga pi� costoso, in considerazione, soprattutto, del notevole onere fiscale cui � soggetto. L'equit� nei rapporti di concorrenza nell'ambito del mercato tedesco sarebbe, perci�, gravemente violata a danno dei prodotti italiani se questi, e solo questi, fossero obbligati a rispettare onerose condizioni di commercializzazione, dall'osservanza delle quali, invece, sarebbero esenti i prodotti nazionali e quelli importati da altri Paesi. 650 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d'importare vermut la cui gradazione alcolica sia inferiore al minimo prescritto nello Stato membro esportatore per la commercializzazione sul mercato interno, mentre tale minimo non � prescritto per la commercializzazione del vermut prodotto nello Stato membro importatore, rientri o no nella categoria delle restrizioni quantitative all'importazione o misure d'effetto equivalente cli cui all'art. 30 del Trattato CEE. 7. -Dal dibattito svoltosi �dinanzi alla Corte risulta -e ci� non viene contestato dall'attore nella causa principale -che una norma dello Stato importatore, e la quale imponga d� fatto una gradazione alcolica minima per il solo vermut importato impedisce la commercializzazione di un prodotto lecitamente fabbricato nello Stato membro esportatore, quando non pone alcuna condizione relativa alla gradazione alcolica minima per la messa in commercio cli prodotti nazionali analoghi. 8. -Una siffatta disposizione, in quanto riguarda soltanto prodotti importati, ha quindi carattere discriminatorio. Quanto, poi, alla tutela dei consumatori, � ancor pi� evidente che essa � completamente estranea al tema in discussione. La determinazione di requisiti di composizione dei vari prodotti, e cos� anche la fissazione di valori-limite in materia di gradazione alcolica delle bevande, pu� certamente servire alla standardizzazione delle merci poste in commercio e delle loro denominazioni, nell'interesse di una maggior trasparenza dei negozi commerciali e delle offerte al pubblico (sentenza 20 febbraio 1979, causa n. 120/78, Rewe, par. 13). Ma ci� presuppone, ovviamente, che i requisiti prescritti valgano indifferentemente per tutti i prodotti, senza alcun riguardo alla loro origine. La determinazione di requisiti diversi per i prodotti interni e per quelli importati non potrebbe, invece, trovare giustificazione alcuna dal punto di vista della tutela dei consumatori. E ci� a prescindere dalla considerazione che, comunque, la fissazione di valori-limite in materia di gradazione alcolica non pu� mai considerarsi come una garanzia sostanziale e indispensabile della lealt� dei negozi commerciali, dal momento che � facile garantire l'adeguata informazione dell'acquirente rendendo semplicemente obbligatoria l'indicazione della gradazione alcolica sull'etichetta (cfr. sentenza citata). Appare incontestabile, in conclusione, che una misura restrittiva come quella ipotizzata nell'ordinanza di rinvio non pu� avere altro scopo ed altro effetto pratico che quello di garantire un vantaggio ai prodotti nazionali, allontanando i prodotti provenienti da un determinato Paese (l'Italia) o rendendoli meno competitivi attraverso l'imposizione di requisiti di commercializzazione pi� onerosi. L'incompatibilit� di una simile misura con gli artt. 30 e segg. del Trattato CEE non pu�, perci�, essere negata. _6. -� appena il caso di aggiungere, infine, che la conclusione raggiunta non pu� certamente mutare in considerazione della circostanza che i requisiti di commercializzazione imposti al solo prodotto importato (vermut italiano) ricalchino quelli valevoli nell'ambito del mercato di origine del prodotto stesso. Come si � gi� detto, in mancanza di una normativa comune in materia di produzione e di commercio dell'alcool, spetta agli Stati membri disciplinare ~ '~j PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 651 9. -Questa conclusione non � inficiata dal fatto che la normativa di cui trattasi fac;cia rinvio alle norme di produzione dello Stato membro esportatore, poich� il carattere discriminatorio pu� essere constatato soltanto in funzione della normativa dello Stato in cui il prodotto viene messo in commercio, cio� dello Stato membro importatore. 10. -Lo Schutzverband ha tuttavia sostenuto che detta normativa � giustificata in quanto i consumatori tedeschi, ed .in particolare quelli, assai numerosi, che si recano ogni anno in Italia, danno per scontato che un vermut italiano, messo in commercio nella Repubblica federale di Germania, sia identico al vermut messo in commercio in Italia, e sono conseguentemente indotti in errore da un vermut italiano la cui gradazione alcolica in volume � inferiore a quella dello stesso vermut ch'essi hanno consumato in Italia. 11. -Bench� fa Corte abbia ripetutamente dichiarato, a partire dalla sentenza 20 febbraio 1979 (causa 120/1978, Rewe, Racc. pag. 649), che in particolare la tutela dei consumatori pu� giustificare ostacoli alla libera ciascuno nel suo territorio, tutto ci� che riguarda la produzione e il commercio delle bevande alcoliche. Ci� comporta che ogni disciplina nazionale deve essere valutata per s�, isolatamente, e che, nel suo ambito di applicazione, tutti i prodotti, quale che sia la loro provenienza, devono esser trattati allo stesso modo. Qualunque discriminazione non potrebbe che apparire arbitraria, nel senso indicato dall'art. 36 del Trattato. In particolare, del tutto arbitraria sarebbe una discriminazione che pretendesse di fondarsi su una specie di indebita estensione, al di l� dei suoi limiti spaziali, della disciplina vigente nel mercato di origine dei vari prodotti. La circostanza che i produttori italiani di vermouth siano obbligati ad attenersi a determinate specifiche tecniche (gradazione minima di 16�) per commercializzare il loro prodotto in Italia non costituisce affatto una buona ragione per imporre loro lo stesso onere anche nell'ambito di un ordinamento diverso, nel quale quelle specifiche non valgono n� per i prodotti nazionali, n� per quelli importati da altri Paesi. Che, insomma, in materia di requisiti di commercializzazione sia lecito introdurre, allo stadio attuale di evoluzione del diritto comunitario, una specie di principio � del Paese di origine�, � un'ipotesi da scartare nettamente, in quanto contraria al chiaro disposto dell'art. 30 ed alle evidenti esigenze della parit� di trattamento di tutti i prodotti degli Stati membri nell'ambito di ciascuno degli ordinamenti degli Stati stessi, anche prima della loro completa armonizzazione. In tal senso � chiaramente orientata anche la direttiva n. 70/50/CEE, che, come si � gi� �ricordato, comprende espressamente fra le misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative quelle che � prescrivono che i prodotti importati siano, in tutto o in parte, conformi ad una regolamentazione diversa <la quella del paese importatore� (art. 2, par. 3, lett. p). Solo la prescrizione che le merci importate siano conformi alla disciplina commerciale e tecnica del Paese di destinazione pu�, infatti, ritenersi giustificata in base ai principi 652 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO circolazione delle merci derivanti da disparit� delle normative nazionali, il carattere discriminatorio della normativa di cui � causa esclude tuttavia .J'applicazione di detto criterio, il quale riguarda unicamente le disposizioni delle legislazioni che disciplinano in modo uniforme la commercializzazione dei prodotti nazionali e dei prodotti importati. Di conseguenza, nella fattispecie, la giustificazione fondata sulla tutela dei consumatori non pu� essere ammessa nell'ambito dell'art. 30, poich� la stessa tutela non � garantita rper quanto riguarda la produzione nazionale. 12. -La prima questione pregiudiziale va quindi risolta nel senso che va considerato come misura d'effetto equivalente ad una restrizione quantitativa vietata dall'art. 30 del Trattato il divieto d'importare vermut la cui gradazione alcolica � inferiore al minimo prescritto nello Stato membro esportatore, per la commercializzazione sul mercato interno, quando detto minimo non � prescritto per la commercializzazione del vermut prodotto nello Stato membro importatore. 13. -Stando cos� le cose, non � necessario risolvere la seconda questione. (omissis) della libera circolazione. Non cos�, invece, una prescnz1one che pretendesse di imporre l'osservanza di una disciplina diversa, sia pure quella vigente nel Paese di origine. N� la misura discriminatoria in discussione potrebbe giustificarsi, nella specie, in base alla esigenza di impedire lo smercio di prodotti fabbricati illecitamente. In base alla legge italiana, infatti, la produzione di vermouth per l'esportazione a gradazione inferiore a 16� � (se autorizzata e controllata) perfettamente legittima. Neppure sotto questo aspetto, perci�, il prodotto, legittimamente ottenuto, potrebbe essere lecitamente discriminato. 7. -Da quanto si � detto consegue che il par. 32, 1� comma, della legge tedesca sul vino potrebbe essere ritenuto compatibile con gli artt. 30 e segg. del Trattato CEE soltanto se fosse interpretato nel senso che non possa essere mai vietata l'importazione di prodotti fabbricati conformemente alle norme in vigore nel Paese d'origine, e ci� anche se queste norme prevedano requisiti diversi per i prodotti destinati all'esportazione e per quelli destinati al mercato interno. L'osservanza della disciplina stabilita per i prodotti destinati all'esportazione, anche se essa non sia sufficiente per rendere i prodotti stessi commerciabili anche nel Paese d'origine, deve, infatti, considerarsi in ogni caso sufficiente ad escludere ogni potere del Paese di destinazione di vietarne l'importazione a causa di pretese irregolarit� nella fabbricazione. Solo se interpretato conformemente a questo principio, il par. 32 potrebbe, perci�, ritenersi compatibile con il diritto comunitario. 8. -Il Governo italiano ritiene, pertanto, che ai quesiti posti dal Lanct gericht Miinchen I debba darsi risposta nel senso che non � compatibile con gli artt. 30 e segg. del Trattato CEE la prescrizione, per i prodotti importati, di requisiti di commercializzazione diversi e pi� onerosi di quelli valevoli per i prodotti nazionali; e ci� anche nel caso in cui tali requisiti ricalchino quelli valevoli nel Paese d'origine dei prodotti importati. MARCELLO CONTI t _....,~........,..,J PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 653 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, III Sezione, 5 maggio 1983, nella causa 139/1982 -Pres. Everling -Avv. Gen. Mancini -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di Cassazione italiana nella: causa Piscitello c. I.N.P.S. -Interv.: Governi britannico (ag. Dagtoglou e Knorpel) e italiano (avv. Stato Ferri) e Commissione della CEE (ag. Montalto). Comunit� .europee -Libera circolazione delle persone -Previdenza sociale -Pensione sociale -Ambito della disciplina. (Trattato CEE, art. 51; regolamento CEE del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, art. 4; Costituzione, art. 38; legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 26). Comunit� europee -Libera circolazione delle persone -Previdenza so ciale -Pensione sociale -Revoca delle clausole di residenza. (Trattato CEE, art. 51; regolamento CEE del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, art. 10; legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 26). Una pensione come la pensione sociale contemplata dall'art. 26 della legge italiana 30 aprile 1969, n. 153, che, da un lato, attribuisce ai beneficiari una posizione giuridica ben .definita, prescindendo da qualsiasi valutazione individuale e discrezionale delle esigenze o delle situazioni personali e, dall'altro, pu� garantire un reddito complementare ai beneficiari di prestazioni di previdenza sociale rientra, in via di principio, nella previdenza sociale ai sensi dell'art. 51 del Trattato e non rientra nei casi di esclusione previsti dall'art. 4, n. 4, del regolamento n. 1408/71 (1). Una pensione del n�po di quella contemplata dall'art. 26 della legge italiana 30 aprile 1969, n. 153, viene versata, alle condizioni e sulla base di criteri obiettivi definiti da detta legge, a cittadini anziani, allo scopo di garantire loro un minimo di mezzi di sussistenza. Una pensione del genere deve pertanto essere equiparata ad una prestazione di vecchiaia ai sensi dell'art. 4, n. 1, lett. e), del regolamento n. 1408/71. Essa rientra quindi nelle prestazioni di cui all'art. 10, n. l, primo comma, del precitato regolamento n. 1408/71. Poich� questo regolamento non contiene disposizioni speciali concernenti questa pensione, si deve ammettere che la revoca delle clausole di residenza stabilita dall'art. 10, n. 1, dello stesso regolamento riguarda anche tale prestazione (2). (1-2) La distinzione fra previdenza sociale e assistenza sociale �, in linea di principio, sufficientemente chiara. La previdenza mira a garantire i lavoratori contro il rischio del verificarsi di eventi ben delimitati e tipizzati (malattie, invalidit�, vecchiaia, infortuni, ecc.). Le prestazioni di assistenza tendono, invece, a soccorrere chiunque si trovi in stato di bisogno, quale che ne sia la causa o l'origine. Come ha osservato la Corte sin dalla sentenza 22 giugno 1972, nella causa 1/72, FRILLI, in Racc., 1972, pag. 457, taluni regimi nazionali, in ragione del 654 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA ni;;LLO STATO (omissis) 1. -Con 011dinanza 14 gennaio 1982, pervenuta al.la Corte il 30 aprile seguente, la Corte di Cassazione ha proposto, in forza dell'art. 177 del Trattato CEE, una domanda di pronunzia pregiudiziale vertente sull'interpretazione dell'art. 10 del regolamento del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di previdenza sociale ai lavoratori subordinati ed ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunit� (G.U. n. L 149, pag. 2). 2. -Le questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra la sig.ra Piscitello e l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS). 3. -La Piscitello, cittadina italiana, fruiva, dal 1� gennaio 1973, della pensione sociale contemplata dall'art. 26 della ilegge 30 aprile 1969, n. 153. In forza di tale norma, la pensione sociale spetta ai cittadini italiani ultrasessantacinquenni, residenti nel territorio nazionale, il cui reddito annuale, cumulato, se essi sono coniugati, con quello del coniuge, sia inferiore agli importi stabiliti dalla legge. 4. -La legge italiana 30 aprile 1969, n. 153, attribuisce agli interessati -se possiedono i requisiti da essa contemplati -diritti indipendenti da qualunque valutazione discrezionale della loro situazione personale e del loro stato di indigenza. La pensione sociale � concessa automaticamente a qualsiasi cittadino italiano che abbia compiuto sessantacinque anni, che non fruisca di altre prestazioni di previdenza o di assistenza sociale, e che, tenuto conto della sua situazione fiscale, non goda di redditi sufficienti per provvedere ai suoi bisogni vitali. Se l'interessato percepisce redditi da altra fonte, l'importo della pensione sociale viene ridotto. campo di applicazione soggettivo, degli scopi perseguiti o delle modalit� di attuazione, sfuggono alla rigida distinzione fra le due categorie della previdenza e della assistenza. Essi, infatti, presentanq caratteristiche tali da farli rientrare al tempo stesso nell'una e nell'altra categoria. Si tratta, in particolare, di alcuni regimi, che tendono ad assicurare un reddito minimo agli anziani o agli invalidi e che sono strutturati in maniera tale da assolvere, in pratica, alla duplice funzione, sia di garantire un minimo .~ di mezzi di sussistenza a persone che non siano affatto coperte dal sistema della previdenza sociale, sia di assicurare un reddito complementare ai beneficiari di prestazioni previdenziali insufficienti. In questi casi non sembra possibile inquadrare in maniera univoca e assoluta il regime considerato nell'ambito della previdenza sociale o in quello dell'assistenza. Si dovrebbe, invece, distinguere a seconda del beneficiario della prestazione e della funzione in concreto assolta da quest'ultima. Se il beneficiario fosse un lavoratore subordinato o un soggetto assimilato e se la prestazione di cui si tratta servisse ad integrare altre prestazioni previdenziali insufficienti, potrebbero ritenersi applicabili l'art. 51 del trattato CEE e le relative norme di attuazione. In ogni altro caso, invece, le prestazioni rientranti nei regimi in considerazione non potrebbero qualificarsi come pre PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 655 5. � Con decisione 26 giugno 1976 dell'INPS, avente effetto dal 1� aprile 1975, la Piscitello veniva privata della pensione sociale poich�, avendo trasferito in quest'ultima data la sua residenza in Belgio, presso un suo familiare, non possedeva pi� tutti i requisiti stabiliti dall'art. 26 della fogge suddetta. 6. -La Piscitello proponeva ricorso contro tale decisione dinanzi al pretore di Enna, in appello dinanzi �al Tribunale di Enna, e infine dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha sollevato la seguente questione pregiudiziale: �Se per effetto della "revoca delle clausole di residenza", stabilita dall'art. 10 del regolamento comunitario 14 giugno 1971, n. 1408, debba ritenersi abrogato il disposto di cui all'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, in base al quale la concessione e la fruizione della pensione sociale sono condizionate alla residenza del cittadino italiano nel territorio nazionale, e se, di conseguenza, tale pensione possa, o non subire sospensione o soppressione per il fatto che il beneficiario trasferisca la propria residenza nel territorio di un altro degli Stati membri: e ci�, avuto riguardo, da un canto alla natura assistenziale (cfr. sentenza 15 dicembre 1980, n. 157, della Corte costituzionale) della pensione sociale e, dall'altro, alla sua connotazione di prestazione di vecchiaia, nonch� alla disposizione di cui all'art. 4, primo comma, del regolamento comunitario n. 1408/71, secondo la quale il medesimo regolamento " si applica a tutte le legislazioni relative ai settori di sicurezza sociale riguardanti le prestazioni di vecchiaia " �. stazioni previdenziali e ad esse non potrebbe applicarsi la richiamata disciplina comunitaria. E cos�, se anche la legislazione italiana in questione rientrasse nelle normative a duplice funzione, occorrerebbe verificare la reale funzione della pensione sociale in concreto corrisposta. E in tanto si potrebbe parlare di prestazione previdenziale rientrante nel campo di applicazione dell'art. 51 del trattato, in quanto essa fosse attribuita ai soggetti contemplati dal regolamento 1408/7<1, e cio� ai lavoratori subordinati o ai loro familiari. Sembra che questo aspetto non sia stato sufficientemente approfondito dalla Corte, la quale ha ritenuto in assoluto che la pensione sociale prevista dalla legislazione italiana rientra nel campo di applicazione dell'art. 51 del trattato, per il fatto che �attribuisce ai beneficiari una posizione giuridica ben definita, prescindendo da qualsiasi valqtazione individuale e discrezionale delle esigenze o delle situazioni personali� 'e �pu� garantire un reddito complementare ai beneficiari di prestazioni previdenziali "� Sul problema dei limiti in cui prestazioni �previdenziali rientrino nell'ambito di applicazione dei regolamenti comunitari, cfr., oltre la sentenza 22 giugno 1972 sopracitata, le seguenti altre pronunzie della Corte di giustizia: 28 maggio 1974, nella causa 187/73, CALLEYMEN, in Racc., 1974, pag. 553; 9 ottobre 1974, nella causa 24/74, BIASON, ibidem, pag. 999; 13 novembre 1974, nella causa 39/74, COSTA, ibidem, pag. 1251; 17 giugno 1975, nella causa 7 /75, FRACAS, ibidem, 1975, pag. 675; 7 dicembre 1976, nella causa 73/76, INZIRILLO, ibidem, 1976, pag. 2057. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 7. -Dalla formulazione della questione pregiudiziale proposta risulta che la Corte di Cassazione italiana domanda in primo luogo se una prestazione quale la pensione sociale italiana rientri nella sfera di applicazione ratione materiae del regolamento n. 1408/71 e, in secondo luogo, se la revoca delle clausole di residenza di cui all'art. 10, .n. 1, dello stesso regolamento riguardi la detta prestazione. Sul primo punto. 8. -Il regolamento n. 1408/71, anorma del suo art. 4, n. 1, lett. e), e n. 2, si applica a tutte la legislazioni relative ai settori di previdenza sociale riguardanti le prestazioni di vecchiaia, indipendentemente dalla circostanza che esse si riferiscano ad un regime contributivo o non contributivo. Dall'art. l, lett. t), dello stesso regolamento risulta che il termine � prestazioni � designa tutte le prestazioni erogate in base alla legislazione degli Stati membri � compresi tutti gli elementi a carico dei fondi pubblici�, L'art. 4, n. 4, del regolamento !Il. 1408/71 dispone che questo regolamento non si applica � all'assistenza sociale e medica �. 9. -NeH'ordinanza di rinvio la Corte di Cassazione precisa che la pensione sociale contemplata dalla legge 30 aprile 1969, n. 153, ha, in base al diritto italiano, come risulta dalla sentenza della Corte costituzionale 15 dicembre 1980, n. 157, natura assistenziale. Tale circostanza, per�, come rileva la stessa Corte di Cassazione, non � di per s� sola determinante per escludere, con riguardo al diritto comunitario, questa prestazione dalla sfera di applicazione ratione materiae del regolamento n. 1408/71. 10. -Come la Corte ha dichiarato nella sentenza 6 luglio 1978, emessa nella causa Gillard (9/78, Racc. pag. 1661), fa distinzione fra prestazioni escluse dalla sfera di applicazione del regolamento n. 1408/71 e prestatloni che vi rientrano si basa essenzialmente sugli elementi costitutivi di ciascuna prestazione, ed in particolare sui suoi scopi e sui criteri per la sua attribuzione. 11. -Bisogna osservare, in primo luogo, che una normativa quale la legge italiana 30 aprile 1969, n. 153, anche se, per talune sue caratteristiche, � affine alle norme sull'assistenza sociale -tenuto conto in particolare del fatto ch'essa considera :lo stato di bisogno come criterio essenziale di applicazione e prescinde da qualsiasi requisito relativo a periodi di attivit� lavorativa, di affiliazione o di contribuzione -si avvicina tuttavia alla previdenza sociale in quanto, abbandonata la valutazione indiv1duale, caratteristica dell'assistenza, attribuisce ai beneficiari una posizione giuridica ben definita, che d� diritto ad una prestazione analoga alle prestazioni di vecchiaia menzionate dall'art. 4, n. l, del regolamento n. 1408/71. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 12. -In secondo luogo, si deve rilevare che, data l'ampia definizione della cerchia di beneficiari, una normativa del genere assolve, in pratica, una duplice funzione, consistente nel garantire sia un minimo di mezzi di sussistenza a persone che non siano affatto coperte dal sistema della previdenza sociale, sia un reddito complementare ai beneficiari di prestazioni previdenziali insufficienti. 13. -Di conseguenza, si deve ammettere che una pensione come quella contemplata dall'art. 26 della legge italiana 30 aprile 1%9, !Il. 153, che, da un lato, attribuisce ai beneficiari della pensione sociale una posizione giuridica ben definita, prescindendo da qualsiasi valutazione dndividuale e discrezionale delle esigenze o delle situazioni personali e che, dall'altro, pu� garantire un reddito complementare ai beneficiari di prestazioni previdenziali, rientra �in via di principio nella previdenza sociale ai sensi dell'art. 51 del Trattato e non rientra nei casi di esclusione previsti dall'art. 4, n. 4, del regolamento n. 1408/71. Sul secondo punto. 14. -Ai termini dell'art. 10, n. 1, primo comma, del regolamento n. 1408/71: �Salvo quanto diversamente �disposto dal presente regolamento, le prestazioni in danaro per invalidit�, vecchiaia o ai superstiti, le rendite per infortunio sul lavoro o di malattia professionale e gli assegni in caso di morte, acquisiti in base alle legislazioni di uno o pi� Stati membri, non possono subire alcuna riduzione, n� modifica, n� sospensione, n� �soppressione, n� confisca per il fatto che il beneficiario risiede nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale si trova l'istituzione debitrice �. 15. -Questa disposizione ha lo scopo di favorire la libera circolazione dei lavoratori e dei loro familiari, tutelando gli interessati contro gli svantaggi che potrebbero derivare dal trasferimento della loro residenza da uno Stato membro ad un altro; essa, pertanto, mira a garantire agli interessati la conservazione del diritto alle prestazioni, alle rendite e agli assegni acquisiti in base alle leggi di uno pi� Stati membri, pur se essi risiedono nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale si trova l'ente debitore. 16. -Dalle osservazioni che precedono risulta che una pensione del tipo di quella contemplata dall'art. 26 della legge italiana precitata viene versata, alle condizioni e sulla base di criteri obiettivi definiti da detta legge, a cittadini anziani, allo scopo di garantire loro un minimo di sussistenza. Una pensione del genere deve quindi essere equiparata ad una prestazione di vecchiaia ai sensi dell'art. 4, n. 1, lett. e), del regola 658 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO mento n. 1408/71. Essa rientra quindi nelle prestazioni di cui all'art. 10, n. 1, primo comma, precitato, del regolamento n. 1408/71. Poich� questo regolamento :non contiene disposizioni speciali concernenti questa pensione, si deve ritenere che la revoca delle clausole di residenza, stabilita dall'art. 10, n. 1, dello stesso regolamento, riguarda anche la detta prestazione. 17. � In base alle considerazioni sopra svolte, la questione proposta dalla Corte di Cassazione dev'essere risolta come segue: 1) Una pensione come la pensione sociale contemplata dall'art. 26 della legge italiana 30 aprile 1969, n. 153, che, da un lato, attribuisce ai beneficiari una posizione giuridica ben definita, prescindendo da qualsiasi valutazione individuale e discrezionale delle esigenze o delle situazioni personali e, dall'altro, pu� garantire un reddito complementare ai beneficiari di prestazioni di previdenza sociale rientra, in via di principio, nella previdenza sociale ai sensi dell'art. 51 del Trattato e non rientra nei casi di esclusione previsti dall'art. 4, n. 4, del regolamento n. 1408/71; 2) Una pensione del tipo di quella contemplata dall'art. 26 della legge italiana precitata viene versata, alle condizioni e sulla base di criteri obiettivi definiti da detta legge, a cittadini anziani, allo scopo di garantire loro un minimo di mezzi di sussistenza. Una pensione del genere deve pertanto essere equiparata ad una prestazione di vecchiaia ai sensi dell'art. 4, n. 1, lett. e), del regolamento n. 1408/71. Essa rientra quindi nelle prestazioni di cui all'art. 10, n. 1, primo comma, precitato, del regolamento n. 1408/71. Poich� questo regolamento non contiene disposizioni speciali concernenti questa pensione, si deve ammettere che la revoca delle clausole di residenza stabilite dall'art. 10, n. 1 dello stesso regolamento riguarda anche tale prestazione. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 12 luglio 1983, nella causa 170/78 -Pres. Mertens de Wilmars -Avv. Gen. Verloren Van Themaat -Commissione delle C.E. (ag. McClellan) c. Regno unito di Gran Bretagna e d'Irlanda del nord (ag. Ricks, avv. Archer Q.C.) lnterv.: Governo italiano (avv. Stato Conti). Comunit� europee � Unione doganale � Libera circolazione delle merci Imposizioni fiscali interne discriminatorie -Trattamento fiscale del vino e della birra. (Trattato CEE, art. 95). Il Regno unito di Gran Bretagna e d'Irlanda del nord, gravando i vini leggeri di uve fresche di un'accisa relativamente pi� elevata di PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 659 quella gravante sulla birra, in rapporto sia al volume che alla gradazione alcoolica e al prezza franco dei prodotti, � venuto meno agli obblighi impostigli dall'art. 95, secondo comma, del trattato CEE (1). (omissis) 1. -Con atto 7 agosto 1978, la Commissione ha proposto, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far dichiarare che il Regno Unito, gravando i vini leggeri di uve fresche (in prosieguo �i vini�) di un'accisa relativamente pi� elevata di quella gravante sulla birra, � venuto meno agli obblighi impostigli dall'art. 95, secondo comma, del Trattato CEE. (1) La Corte ha condiviso in larga parte le argomentazioni svolte dalla difesa del Governo italiano, intervenuto a sostegno del ricorso proposto dalla Commissione, confermando in punto di diritto la linea seguita in precedenti pronunzie relative al trattamento fiscale degli alcoli. Cfr., oltre alla sentenza interlocutoria 27 febbraio 1980 emessa nella stessa causa (in Racc., 11980, pag. 417), quelle in pari data nelle cause 168/78, COMMISSIONE c. FRANCIA, 169/78, COMMISSIONE c. ITALIA '(in questa Rassegna, 1980, I, 273, con nota di CONTI, relativa ai contrassegni di Stato sui recipienti contenenti acquavite destinata alla vendita al minuto); la sentenza 15 luglio 1982, nella causa 216/81, COGIS (ibidem, 1982, I, 913), relativa alla sovrimposta di confine e al diritto erariale sul whisky importato; la sentenza 15 marzo 1983, nella causa 319/81, COMMISSIONE c. ITALIA, (supra, 285), relativa all'I.V.A. sulle acqueviti. Le complesse vicende della causa e le questioni dibattute fra le parti nelle sue varie fasi sono compiutamente esposte nelle conclusioni dell'avvocato generale M. Pieter Verloren Van Themaat, presentate all'udienza del 10 maggio 1983, che riteniamo opportuno pubblicare integralmente. Conclusioni dell'avvocato generale Verloren Van Themaat Signor Presidente, signori Giudici, 1. LO STATO DEL PROCEDIMENTO. 1.1. -All'ordine del giorno vi � oggi di nuovo la questione se la Commissione abbia con ragione concluso nel ricorso del 7 agosto 1978 che l'accisa allora riscossa dal Regno Unito sui vini leggeri non spumanti era in contrasto con l'art. 95, 2� comma del Trattato CEE. Tale accisa era allora di UKL 3,250 il gallone, rispetto ad UKL 0,6084 il gallone per la birra della qualit� corrente presa in considerazione. 1.2. -La data decisiva per la valutazione. -Elemento decisivo per risol� vere la questione, in base fra l'altro alla vostra sentenza relativa alla carne suina (causa 7 /61, Racc. 1961, pag. 619, primi 7 punti della motivazione) ed alla dottrina ad essa afferente, � la situazione esistente al momento della proposizione della domanda (v. H. G. ScHERMERS, Judicial Protection in the European Communities, seconda edizione, pag. 227, ed H. A. H. AUDRETSCH, Supervision in European Community Law, pagg. 29, 36, 38, 40-46). Anche qualora lo Stato membro si sia conformato in corso di causa agli obblighi impostigli dal Trattato, la Commissione pu�, stando alla suddetta sentenza, conservare un interesse � a far accertare in diritto se sia stata effettivamente commessa una violazione del Trattato �. Nelle conclusioni per la causa 7/61 (Racc. 1%1, pag. 647) l'avvocato generale Lagrange, basandosi fra l'altro sulla lettera dell'art. 171 del Trattato, era anch'esso giunto alla conclusione, in una con la Commissione, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 660 2. -n 27 febbraio 1980, la Corte ha emesso una sentenza interlocutoria (Racc. 1980, pag. 417) con la quale ha, da un lato, deciso su vari punti di diritto relativi all'interpretatlone dell'art. 95 e, dall'altro, ha esaminato, in via preliminare, talune questioni che, in quel momento, non apparivano ancora idonee ad una soluzione definitiva. Pronunziandosi prima di decidere sul ricorso proposto daMa Commissione, la Corte ha chiesto alle parti di riprendere in esame la questione litigiosa alla luce delle considerazioni di cui alla sentenza e di riferirle, entro un determinato termine, sia di qualsiasi soluzione. deMa controversia cui esse fossero pervenute, sia dei loro rispettivi punti di vista. Essa si :riservava di decidere definitivamente dopo tale data, viste le relazioni che le fossero state presentate, o in mancanza di esse. 3. -In seguito a tale sentenza, le parti hanno dapprima esaminato bilateralmente la controversia. Poi, la Commissione ha tentato di risolverla, neM'ambito di negoziati all'interno del Consiglio, grazie ad una regolamentazione globale del problema della tassazione degli alcoolici. che per la Corte � decisivo se � la trasgressione sia avvenuta, senza tener conto di ci� che � accaduto in seguito >>, e che anche dopo che si era posto fine al comportamento illegittimo, la Commissione poteva ancora avere interesse alla decisione della causa, almeno perch�, in caso contrario, lo Stato membro avrebbe modo di � ricominciare il giorno seguente e ci� senza che la sussistenza della trasgressione possa essere dichiarata con sentenza �. Questo richiamo alla vostra giurisprudenza mi sembra particolarmente importante nella presente fattispecie per due motivi. Anzitutto, taluni passi delle allegazioni scritte ed orali delle parti successive alla sentenza interlocutoria del 27 febbraio 1980 danno l'impressione che essi considerino decisiva per l'accertamento di una trasgressione del Trattato la situazione degli anni 1980-1983. Una tesi del genere sarebbe tuttavia contraria all'interpretazione da voi data, nella summenzionata sentenza, degli artt. 169 e 171 del Trattato. L'evolversi della situazione nel Regno Unito dopo la proposizione del ricorso � rilevante in proposito solo in quanto � atto a gettare una proficua nuova luce sulla situazione esistente al momento della proposizione del ricorso. In secondo luogo, il richiamo alla vostra giurisprudenza � importante nella fattispecie perch� la Commissione sostiene manifestamente che neppure dopo la proposizione del ricorso l'asserita trasgressione del Trattato � venuta completamente meno. Gi� per questo motivo, la Commissione conserva altres� in concreto un evidente interesse ad una decisione della Corte la quale indichi con sufficiente chiarezza quali provvedimenti debba adottare, a norma dell'art. 171 del Trattato, il Regno Unito per porre fine all'asserita trasgressione del Trattato stesso. 1.3. -Gli antefatti di rilievo secondo il ricorso. -Nel parere motivato 8 novembre 1977, la Commissione ha sostenuto che l'accisa sui vini leggeri non spumanti era stata portata, al 1� gennaio 1977, da UKL 2,955 il gallone a UKL 3,250 il gallone, mentre sulla birra considerata veniva riscossa un'accisa di UKL 0,6084 il gallone. Per grado alcolico, l'accisa riscossa sul vino di cui trattasi con gradazione di 11� e, rispettivamente, di 12� era di UKL 0,2955 o di UKL 0.2708 il gallone, a fronte di UKL 0.2028 il gallone per la birra. Per quanto riguarda il rapporto di prezzo, l'accisa sulla birra rappresenterebbe PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 661 In attesa dell'esito di tali negoziati, le parti hanno chiesto ed ottenuto varie proroghe del termine fissato dalla sentenza 27 febbraio 1980. Non avendo potuto raggiungere un accordo bonario, esse hanno depositato le loro relazioni il 1� e, rispettivamente, il 2 dicembre 1981; il Governo italiano, interveniente nella causa, ha avuto modo di esprimere il suo parere. 4. -All'udienza del 19 maggio 1982 le parti hanno fornito spiegazioni orali. I chiarimenti dedotti in questa fas� essendo risultati ancora insufficienti per consentire una decisione, ila Corte, con ovdinanza 15 luglio 1982, ai sensi degli artt. 45 e 60 del regolamento di procedura, ha disposto un supplemento d'istruttoria. Essa ha chiesto alle parti ulteriori informazioni in merito ai �prezzi al consumo ed ai prezzi franchi del vino e della birra, entrambi di qualit��corrente, compresi cio� nei tipi di vino e di birra pi� frequentemente venduti e consumati sia nel Regno Unito, sia negli altri Stati membri. Essa ha, inoltre, chiesto delucida- in media il 25 % e l'accisa sul vino almeno il 38 % del prezzo di vendita al consumo. Secondo il parere motivato, l'accisa sul vino considerato supererebbe quindi l'accisa sulla birra, in base ai criteri applicati, di circa il 50 % (se si seguono i criteri relativi al contenuto alcolico o al prezzo al consumo) o anche di circa il 400 % (se si segue il criterio del volume previsto dalla norma1liva britannica �in materia di accise). Vi � un rapporto di concorrenza fra la birra ed il vino, cosicch� l'accertata disparit� di tassazione costituirebbe una protezione indiretta della produzione di birra, vietata dall'art. 95, 2� comma, del Trattato CEE. 1.4. � La sentenza 27 febbraio 1980. -Nella sentenza interlocutoria 27 febbraio 1980 (Racc. 1980, pag. 417) avete anzitutto preso atto, al punto 3 della motivazione, che il Regno Unito ammette essenzialmente (non mette in dubbio) i fatti dedotti dalla Commissione, specialmente per quanto riguarda l'andamento delle aliquote d'imposta. Il Regno Unito ha invece contestato che vi sia un rapporto di concorrenza fra vino e birra, cosicch� non vi sarebbe la possibilit� di sostituzione che � la condizione per l'applicazione dell'art. 95, secondo comma. Inoltre, anche supponendo che si riconosca tale possibilit� di sostituzione, secondo il Regno Unito, il regime fiscale dei vini non avrebbe carattere protezionistico ai sensi del suddetto articolo del Trattato. Al punto 6 della motivazione, avete affermato che per determinare la sussistenza di un rapporto di concorrenzialit� nel senso dell'art. 95, secondo comma, bisogna prendere in considerazione non soltanto lo stato attuale del mercato, ma anche le possibilit� di evoluzione nel contesto della libera circolazione delle merci su scala comunitaria e le nuove potenzialit� di sostituzione fra prodotti che l'intensificazione degli scambi pu� mettere in luce, cos� da porre pienamente in valore le complementarit� fra le economie degli Stati membri, conformemente alle finalit� stabilite dall'art. 2 del Trattato. Al punto 10 della sentenza avete energicamente sottolineato che (per accertare l'effetto protezionistico) l'art. 95, secondo comma, si riferisce al carattere del sistema fiscale in questione, cosicch� non si pu� esigere che sia fornita in ogni caso la prova statistica dell'effetto protezionistico. � Per l'applicazione dell'art. 95, secondo comma, � sufficiente l'accertamento che un 662 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zioni sull'evoluzione nella Comunit� del consumo complessivo annuo del vino e 11ispettivamente della birra. 5. -Dopo che era stato risposto ai quesiti, la Corte ha sentito ancora una volta le parti all'udienza del 15 marzo 1983. Sul merito della causa. 6. -Si ricorda che i punti esaminati e lasciati, in parte, .in sospeso nella sentenza 27 febbraio 1980, riguardano 1e caratteristiche del rapporto di concorrenzialit� fra vino e birra, nonch� la scelta di un criterio di confronto e la determinazione di �un rapporto d'imposizione adeguato fra i due prodotti. Le due questioni vanno riesaminate alla luce deg1i elementi forniti nelle due fasi del supplemento d'istruttoria. Sul rapporto di concorrenzialit� fra il vino e la birra. 7. -Nella sentenza 27 febbraio 1980, la Corte ha sotto1ineato che il secondo comma dell'art. 95 si applica al trattamento tributario di pro- determinato dispositivo fiscale, tenuto conto delle caratteristiche ad esso proprie, pu� provocare l'effetto protezionistico cui si riferisce il Trattato �. Al punto 14 della motivazione avete dichiarato: � Non si pu� negare che, in una certa misura, le due bevande di cui � causa sono in grado di soddisfare bisogni identici, cosicch� si deve ammettere un determinato grado di sostituibilit� reciproca>>. Nelle sue prime conclusioni (pag. 442) l'avvocato generale Reischl ha rafforzato la tesi della possibilit� di sostituzione, affermando che dal punto di vista del consumatore, la birra e il vino sono destinati allo stesso uso, poich� posseggono le stesse caratteristiche. Sono ottenuti entrambi mediante un procedimento di fermentazione, si distinguono dalle altre bevande dissetanti elencate nel capitolo XXII della Tariffa doganale comune per il loro contenuto alcolico. Il tenore di alcool relativamente ridotto le distingue poi, ancora -secondo tali conclusioni -dalle acquaviti di cui alla voce 22.09 C della Tariffa doganale comune, ottenute mediante distillazione. Considero un punto di partenza importante per le mie conclusioni nella presente causa il punto 14 della suddetta sentenza, al quale l'avvocato generale ha fornito un ulteriore supporto nelle prime conclusioni per questa causa. In merito ai criteri di calcolo da applicare all'accertato rapporto di concorrenzialit� onde stabilire un confronto fra gli oneri fiscali sopportati dai due prodotti, al punto 18 della motivazione avete dichiarato che � le spie gazioni fornite indicano che n� la presa in considerazione del volume puro e semplice delle due bevande, n�, ancora, il raffronto fra unit� tipiche di consumo possono fornire un'adeguata base di comparazione. Lo stesso vale per il confronto fra l'incidenza dell'onere fiscale sul prezzo di vendita per i due tipi di bevande, tenuto conto del fatto che, mentre � relativamente agevole individuare un prezzo medio per la birra, � difficile definire una base di confronto rappresentativa per i vini, caratterizzati dall'ampio ventaglio di prezzi>>. Al punto 19, la sentenza aggiunge che �fra i criteri proposti dalle parti il solo indice che possa permettere un confronto adeguato in un certo senso oggettivo consiste quindi nell'apprezzamento dell'incidenza dell'onere fiscale in rapporto alla gradazione alcolica delle bevande in questione�. In base a PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 663 dotti che, pur non rispondendo al criterio di similarit�, di cui al primo comma dello stesso articolo, si trovano nonclimeno in concorrenza, sia parziale, sia potenziale, con determinate produzioni del paese d'importazione. Essa ha aggiunto che per accertare la sussistenza di un rapporto di concorrenzialit� nel senso dell'art. 95, secondo comma, bisogna prendere in considerazione non solo Jo stato attuale del mercato, ma anche le possibilit� di evoluzione nel contesto deMa libera circolazione delle merci su scala comunitari.a e .Je nuove potenzialit� di sostituzione fra prodotti che l'intensificarsi degli scambi pu� mettere in luce, cos� da porre pienamente in valore le complementarit� fra le economie degli Stati membri, conformemente alle finalit� stabilite dall'art. 2 del Trattato. 8. -Per quanto riguarda la concorrenzialit� fra vino e birra, la Corte ha sostenuto che, quantomeno in una certa misura, le due bevande di cui � causa sono in grado di soddisfare bisogni identici, cosicch� si deve ammettere un determinato grado di sostituibilit� reciproca. Essa questo criterio avete poi, fra l'altro, constatato che il vino sopporta attualmente nel Regno Unito un'imposizione superiore approssimativamente del 50 % a quella sulla birra, supponendo che si tratti di bevande, di rispettivamente, 11�-12� e 3�-3,7� di alcool. Secondo il Governo italiano, lo stesso punto della motivazione indica che, per i vini da tavola correnti di 9�-lCJ<>, il margine di discriminazione raggiunge circa il 100.125 %. Il punto 20 della motivazione dichiara in conclusione, e con riserva di quanto � stato detto sopra al punto 16 sulla determinazione di un rapporto di tassazione adeguato fra il vino e la birra, che secondo il solo criterio che permetta, per quanto in modo imperfetto, di stabilire un confronto oggettivo fra le aliquote di imposta applicate rispettivamente al vino ed alla birra, risulta che il vino sopporta nel Regno Unito un onere fiscale pi� pesante della birra. Prender� come secondo punto di partenza del mio esame i punti 18-20 della motivazione della vostra sentenza, relativi ai criteri di confronto da seguire. Dalle parole che ho sottolineato desumo in primo luogo che considerate il contenuto alcolico un criterio di confronto utilizzabile, anche se non del tutto perfetto. In secondo luogo ne deduco che non avete neppure voluto escludere l'applicazione complementare dei criteri relativi al volume ed al prezzo. Almeno per quanto concerne la rilevanza complementare del prezzo come criterio, questa mi sembra essere del resto la conseguenza logica dei quesiti posti alle parti con la successiva ordinanza 15 luglio 1982. Un terzo punto di partenza importante per la mia analisi mi sembra con sistere nell'affermazione di cui al punto 24 della motivazione, secondo la quale � la presa in considerazione comparativa dell'andamento dei due regimi fiscali di cui � causa rivela una tendenza protezionistica riguardo all'importa zione del vino nel Regno Unito�. 1.5 -L'ulteriore svolgimento del procedimento. -Per un riassunto delle deduzioni integrative delle parti in seguito alla sentenza interlocutoria, mi limito qui a rinviare alla seconda relazione d'udienza. In esito a tali deduzioni integrative, avete espressamente chiesto alla Commissione, nella lettera di convocazione per la prosecuzione della fase orale, di precisare all'udienza la sua opinione sul rapporto di imposizione adeguato fra il vino e la birra, non6 664 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ha precisato che per misurare il grado di sostituibilit� possibile non ci si pu� limitare alle abitudini di consumo presenti in uno Stato membro od in una regione determinata. Infatti, tali abitudini, variabili essenzialmente nel tempo e nello sp~io, non possono essere considerate un dato immutabile; non bisogna quindi che la politica fiscale di uno Stato membro serva a cristallizzare date abitudini di consumo allo scopo di rendere stabile un vantaggio acquisito dalle industrie nazionali che si dedicano al il.oro soddisfacimento. 9. -Cionondimeno la Corte ha riconosciuto la difficolt�, in considerazione delle notevoli differenze fra il vino e la birra, di stabilire confronti in base ai processi di produzione o alle propriet� naturali delle bevande, difficolt� che ha giustamente sottolineato H Governo del Regno Unito. Essa ha pertanto invitato le parti a fornire ulteriori elementi d'informazione atti ad eliminare le incertezze esistenti in merito alle caratteristiche del rapporto di concorrenzialit� fra i due prodotti. ch� di precisare l'influenza dei procedimenti di fabbricazione del vino e della birra sulla struttura del loro prezzo. All'udienza del 19 maggio 1982, la Com missione ha confermato che, a suo parere, era opportuno che la Comunit� fissasse un limite massimo per la tassazione del vino, ma non un rapporto d'imposizione fisso fra il vino e la birra. Tale opinione, su cui ritorner� nella mia esposizione, si basa sulla duplice constatazione che vi sono Stati membri che producono esclusivamente o pressoch� esclusivamente birra, mentre negli altri Stati membri si producono sia birra che vino, senza che la maggiore tassazione della birra in questi paesi sembri ostacolare lo sviluppo sano delle fabbriche di birra. Nel secondo gruppo di paesi non vi � praticamente importazione di birra, mentre nel gruppo di paesi menzionato per primo l'importazione di vino � rilevante. La Commissione ha aggiunto che secondo le vostre sentenze 127/75 (Bobie, Racc. 1976, pag. 1079), 148/77 (Hansen, Racc. 1978, pag. 1787), 21/79 (Commissione c/ Italia, Racc. 1980, pag. 1) e 46/80 (Vinal, Racc. 1981, pag. 77) uno Stato membro pu� applicare anche a prodotti analoghi sistemi tributari diversi, secondo criteri obiettivi, purch� persegua in tal modo fini economici a loro volta compatibili col diritto comunitario e purch� tali sistemi tributari non siano discriminatori e non abbiano per loro natura carattere protezionistico. Un rapporto fisso di tassazione reciproca fra vino e birra sarebbe, come l'armonizzazione delle aliquote, un fine essen ziale solo nell'ambito dell'armonizzazione delle legislazioni, ma non lo si pu� raggiungere per mezzo dell'art. 95. Per il riassunto delle altre difese svolte dalle parti nella seconda udienza, rinvio alla terza relazione d'udienza. Nelle conclusioni integrative del 16 giugno 1982, l'avvocato generale Reischl si � richiamato, per stabilire l'eventuale esistenza di un rapporto di sostituibilit� fra i prodotti, oltre che alla vostra sentenza interlocutoria, alle sentenze REWE (145/75, Racc. 1976, pag. 181) e Fink-Frucht (27/67, Racc. 1968, pag. 315). Per quanto riguarda il rapporto d'imposizione adeguato fra il vino e la birra, egli ritiene determinante, sulla scorta delle vostre sentenze sugli alcolici 27 feb braio 1980, 168/78, 169/78, 171/78, 55/79 e 68/79 (Racc. 11980, pagg. 347, 385, 447, 481 e 501), il fatto che un diverso trattamento fiscale -che anch'egli considera in linea di massima ammissibile in base alle vostre sentenze menzionate dalla PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 665 10. -Il Governo del Regno Unito non si � espresso su questo punto nelle memorie successive. La Commissione ha esposto il parere che le diverse condizioni di produzione, alle quali la Corte aveva attribuito una certa importanza, non incidano sulla composizione dei prezzi dei due prodotti, specialmente se si considera il mpporto di concorrenzialit� fra birra e vini di qualit� corrente. 11. -Da parte sua, il Governo italiano ha sostenuto Jn proposito che non � giusto fare il confronto fra birra e vini di contenuto alcoolico medio o, a maggior ragione, elevato. Secondo �lui, i vini che si trovano effettivamente in rapporto di concorrenzialit� con la birra sono i vini pi� leggeri, di gradazione alcolica vicina a 9�, cio� i vini pi� correnti e meno cari. A parere di questo Governo, sono quindi vini del genere a dover essere scelti come termine di confronto quando si tratta di accertare l'incidenza della tassazione in base vuoi alla gradazione alcolica, vuoi al prezzo dei prodotti. Commissione -non deve essere discriminatorio o protezionistico nei con� fronti dei prodotti importati. Proseguendo nell'esame dell'accisa di cui � causa sul vino, alla luce dei vari criteri di confronto, egli si chiede fra l'altro � se e fino a che punto, tenendo conto delle altre notevoli differenze fra il vino e la birra, il comportamento dei consumatori sia determinato dalla gradazione alcolica, o se esso non sia invece influenzato, in definitiva, solo dal prezzo finale delle bevande di cui trattasi �. Egli conclude � che il solo fatto che il descritto aggravio fiscale sopportato dal vino sia relativamente maggiore di quello sopportato dalla birra non consente di affermare con sufficiente certezza che questa prassi tributaria sia intesa a proteggere indirettamente la produzione naziouale di birra�. In considerazione dei dati disponibili al momento di queste osservazioni, anch'io sarei probabilmente giunto alle medesime conclusioni. Baser� pertanto il mio esame sull'analisi dei nuovi dati che sono divenuti disponibili in seguito, grazie ai quesiti da voi posti con ordinanza 15 luglio 1982. Tali quesiti riguardano, come sappiamo, i prezzi al consumo e la componente fiscale in essi compresa nei vari Stati membri dal 1977, nonch� l'andamento del consumo di vino e di birra nei vari Stati membri dal 1972. 2. OSSERVAZIONI COMPLEMENTARI. 2.1. -Riassunto dei punti di partenza. -Passo ora all'esame delle questioni sollevate. All'uopo scelgo come punti di partenza, onde elaborare una mia opinione, le seguenti constatazioni sopra menzionate, della vostra sen� tenza interlocutoria: a) l'esistenza di un rapporto di sostituibilit� fra vino e birra; b) le considerazioni sui vari criteri di confronto, alla luce tuttavia delle precisazioni di cui alla vostra ordinanza 15 luglio 1982, nonch� delle deduzioni fatte dalle parti in seguito a detta ordinanza; e) la tendenza protezionistica assodata al punto 24 della motivazione. 2.2. -Il rapporto di sostituibilit� fra vino e birra. -In merito all'esistenza di un rapporto di sostituibilit� fra il vino e la birra non ho nulla da aggiungere a quanto � gi� stato osservato in proposito nella vostra sentenza e nelle due conclusioni dell'avvocato generale Reischl. Ammettere un rapporto di concorrenzialit� significa riconoscere che pu� eventualmente applicarsi l'art. 95, 666 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 12. -La Corte ritiene pertinente l'osservazione del Governo italiano. In considerazione delle grandi differenze di quailit� e, quindi, di prezzo fra i vini, il rapporto cli concorrenzialit� decisivo fra la birra, bevanda popolare e di largo consumo, ed il vino va stabilito per i vini pi� accessibili dal grande pubblco che sono, in generale, i pi� leggeri ed i meno cari; � pertanto su questa base che vanno fatti i confronti tributari secondo la gradazione alcolica delle due bevande o il prezzo dei due prodotti di cui tmttasi. Sulla determinazione di un rapporto di tassazione adeguata. 13. -Per quanto riguarda la scelta del metodo di confronto al fine di determinare un rapporto di tassazione adeguato, la Commissione sostiene che il metodo pi� sicuro consisterebbe nell'usare un criterio connesso contemporaneamente ;:i.I volume delle bevande di cui � causa ed alla foro gradazione alcolica. La Commissione assume che una tassazione secondo comma. Nelle mie osservazioni conclusive ritorner� tuttavia su un certo numero di caratteristiche del rapporto di concorrenzialit� esistente fra vino e birra. 2.3. -I criteri di confronto per determinare il carico fiscale. -Nella sentenza interlocutoria avete gi� concluso, ai punti 19 e 20 della motivazione, che, seguendo il criterio della gradazione alcolica, che avete ritenuto il pi� obiettivo (seppure imperfetto), i vini da prendere in considerazione ai fini del confronto �sopportano un onere fiscale superiore di circa il 50 % a quello della birra. Ritorner� a parte sulla questione del rapporto di tassazione adeguato che � cos� rimasta aperta. Secondo la Commissione ed il Governo italiano (che partono da gradazioni alcoliche inferiori) il vantaggio fiscale in base a questo criterio � ancora maggiore. Proprio perch� anche voi avete ritenuto che il criterio del contenuto alcolico era imperfetto, mi sembra auspicabile fare altres� alcune considerazioni sugli altri criteri adottati dalla Commissione. Anzitutto, come ha giustamente osservato il Governo italiano nelle sue varie memorie, l'applicazione di un criterio riferito al volume � logica in quanto lo stesso regime fiscale del Regno Unito parte da un criterio basato� sul volume. Inoltre, l'avvocato generale Reischl ha opportunamente osservato nelle sue prime conclusioni che il rapporto di sostituibilit� fra il vino e la birra dipende in particolare dal fatto che entrambi sono bevande leggermente alcoliche, che servono a dissetare; ora, per dissetare, il volume della bevanda �, come sappiamo, uno degli elementi determinanti. Il Governo italiano ammette certo che va applicato in proposito un fattore correttivo di 1,5 cio� che un litro di vino va equiparato ad 1,5 litri di birra. Con ragione esso ha rilevato, nel commento alle risposte della Commissione e del Regno Unito, che i dati esibiti a proposito del consumo di birra e di vino nei paesi nei quali � maggiore il consumo di birra o, rispettivamente, di vino, giustificherebbero anche un coefficiente correttore meno elevato (1,35). Secondo tale criterio, l'imposizione sul vino sarebbe quindi pi� di tre volte superiore a quella sulla birra. Il margine di discriminazione raggiungerebbe cos�, in base a questo criterio, almeno il 200 % . Per quanto riguarda il criterio del confronto dei prezzi, condivido la posizione del Regno Unito e dell'avvocato generale Reischl secondo cui tale �;,,,, r,: 11: ~j ~~~.,Il~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 667 che superi dl rapporto di 1: 2,8 riferita al volume (pari quindi ad una tassazione 1: 1 rapportata alla gradazione alcolica) determina una � presunzione � di protezione indiretta della birra. 14. -A sua volta, il Governo del Regno Unito, nel ricordare le conclusioni della relazione presentata alla Commissione nel 1963 dal comitato fiscale e finanziario (�relazione Neumark �), ha sottolineato, ancora una volta, che un confronto valido andrebbe effettuato in base all'incidenza dell'imposta sul prezzo, franco, dei due prodotti di cui trattasi. A suo parere, un confronto basato sui prezzi medi sarebbe preferibile ad un confronto basato sulla gradazione alcolica media. Non vi sarebbe pratica commerciale discriminatoria o protezionistica quando si accerta che le imposte riscosse su due prodotti in concorrenza rappresentano in proporzione la medesima quota dei prezzi medi degli stessi. Il Governo del Regno Unito sostiene che, in base a tale criterio, il sistema tributario britannico non ha effetto protezionistico. criterio � certamente rilevante in linea di princ1p10. Anzitutto ritengo, d'accordo col Regno Unito, che il parere del comitato Neumark, che tale Governo ha menzionato a pag. 3 della relazione 1� dicembre 1981, fa effettivamente tutt'ora fede. E ci� nonostante il fatto che dalla pubblicazione della relazione nella quale era esposto, siano passati vent'anni, come ha sottolineato la Commissione in modo un po' spregiativo. In secondo luogo, ritengo, in linea con le conclusioni integrative dell'avvo cato generale Reischl, che le� differenze fra i costi di produzione, il contenuto alcolico ed altre differenze di costi e di qualit�, ed anche le preferenze dei consumatori si esprimano in definitiva nei prezzi di vari prodotti. Non a caso le nozioni di meccanismo di concorrenza e di meccanismo di prezzo sono spesso considerate sinonimi. I rapporti di concorrenza fra vino e birra si esprimono effettivamente nei rapporti di prezzo fra i due prodotti. Se il Regno Unito avesse tassato il vino e la birra con aliquote sul prezzo al consumo, tasse escluse, identiche nei due casi, non si potrebbe, secondo me, parlare di trasgressione dell'art. 95, 2� comma. Le difficolt� di applicare alla presente fattispecie il criterio del prezzo derivano tuttavia dal fatto che il Regno Unito usa proprio come base di tas sazione per il vino e la birra, nel suo sistema tributario, non il criterio del prezzo, ma quello del volume. Inoltre, il confronto tra i prezzi � ulteriormente complicato dalle strutture alquanto diverse dei mercati sui quali si vendono il vino e la birra e dai prezzi molto disparati calcolati ' per i vari tipi di vino, in relazione fra l'altro alle differenze di qualit�. Il problema relativo alle strutture dei mercati sui quali i prodotti vengono smerciati si pu� risolvere confrontando i prezzi su un mercato sul quale sono venduti i due prodotti, cio� nei grandi magazzini o negli altri negozi al minuto che vendono al consumatore sia birra che vino. La Commissione nella risposta alla vostra ordinanza del 15 luglio 1982, si � quindi, secondo me, giustamente servita di questo punto di riferimento per il confronto dei prezzi. Il problema sollevato dall'ampia gamma dei prezzi del vino si pu� risol vere, a mio parere, sia confrontando l'imposta sui vini da tavola pi� econo mici con quella sulla birra (come ha consigliato il Governo italiano, nelle osservazioni sui dati forniti dalla Commissione), sia calcolando il prezzo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 15. -Il Governo italiano contesta, su questo punto, la tesi sia del Governo britannico che della Commis'Sione. Esso sottolinea l'importanza, per la soluzione della controversia, del fatto che il vino � un prodotto agricolo e la birra un prodotto industriale; a suo parere, le esigenze della politica agricola comune dovrebbero portare ad .introdurre un'aliquota di tassazione di favore per il prodotto agricolo e sarebbe pertanto incoerente con tale politica il ridurre a zero, col sistema nazionale di imposizione, gli effetti degli interventi comunitari di sostegno della produzione vitivinicola. 16. -Il Governo italiano contesta altres� l'importanza attribuita dalla Commissione a11a gradazione alcolica delle due bevande di cui trattasi. A suo parere, il criterio determinante � la valutazione dell'incidenza dell'imposta rispetto al volume delle due bevande e ci� per due motivi: I I ~ il sistema di tassazione britannico � basato sul volume dei prodotti e, trattandosi nei due casi di bevande con basso contenuto alcolico, adatte f; I ~ massimo dei vini da tavola pi� economici che costituiscono insieme una parte di mercato ritenuta sufficiente (come propone infatti la Commissione). I prezzi da considerare per i vini da tavola raggiungono a seconda che si opti per l'una o per l'altra soluzione, 2 o 3 sterline il litro (1). Il margine di discriminazione a danno del vino si colloca allora fra il 30 ed il 120 % del prezzo, tasse escluse (� 70-300 % dell'accisa sulla birra). I A sostegno del confronto, da esso caldeggiato, tra l'onere fiscale sulla birra e quello sul vino da tavola pi� economico, il Governo italiano assume che I l'art. 95 vieta le discriminazioni fiscali protezionistiche nei confronti di qualsiasi prodotto importato. Come nel settore degli accordi fra imprese, ritengo tuttavia che per stabilire rapporti di concorrenza corretti si possano trascurare i prodotti specifici che costituiscono una parte insignificante del mer Icato e che il calcolo, da parte della Commissione di un prezzo massimo per i vini da tavola economici offra quindi una base pi� sicura per il controllo dei prezzi. Secondo quanto esposto dallo stesso Regno Unito all'ultima udienza, I i vini da tavola italiani relativamente economici costituiscono il 20 % del mercato britannico, cio� una parte di mercato abbastanza rappresentativa perch� si possa effettuare il confronto tra gli oneri fiscali. Ricordo in proposito che, nella comunicazione della Commissione relativa agli accordi fra imprese d'importanza minima in fatto d'intese (G. U. 1977, II n. C313), le restrizioni della concorrenza concernenti quote di mercato del 5 % sono gi� considerate rilevanti ai fini del mantenimento di corretti rapporti di concorrenza. Insieme al Governo italiano ritengo, d'altra parte, che il prezzo medio dei vini all'importazione nel Regno Unito, indicato dallo stesso nell'alI legato E della risposta 30 settembre 1982, rende inverosimile che i due tipi di I ~ (1) In questo calcolo del margine di discriminazione bisogna naturalmente tener conto del fatto che esso si riferiva al 1982. In quel periodo il rapporto d'imposizione fra vino e birra era gi� molto meno sfavorevole al vino di quanto non fosse al momento della proposizione 1:: del ricorso, determinante per il giudizio. A quella data decisiva, se si applica il criterio del 1: prezzo, il sistema d'imposizione seguito nel Regno Unito aveva gi�, stando alle caratteristiche {:: sopra indicate, carattere protezionistico per la produzione di birra, nel senso di cui al punto 10 della sentenza interlocutoria, rispetto a tutti i vini con prezzo al consumo (tasseescluse) inferiore al quintuplo del prezzo al consumo (tasse escluse) della birra. Nel caso del rapporto d'imposizione pi� sfavorevole, il margine di discriminazione poteva certo i superare di molto il margine di protezione massimo del 120 % del prezzo, tasse escluse, ~~ calcolato per il 1982. & i: 1: f.: ~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 669 ad accompagnare i pasti o ad essere consumate per dissetarsi, la scelta del consumatore non avviene in base alla gradazione alcolica dei due prodotti, ma per le loro caratteristiche globali, quali il gusto e l'aroma, cosicch� verrebbero consumati, per fini identici, in quantit� praticamente . uguali. Secondo l'esperienza, il rapporto nel consumo della birra e del vino se non � perfettamente uguale, non supererebbe comunque H rap porto di 1,5: 1. 17. � Il Governo italiano propone, in definitiva, di combinare i due criteri basati sul volume e sulla gradazione alcolica nel senso che se, in linea di principio, bisogna pretendere la parit� d'imposizione riferita al volume delle due bevande, la sussistenza di una maggiore tassazione del vino riferita alla gradazione alcolica sarebbe un indizio sicuro della presenza di una discriminazione e di un effetto protezionistico 12el sistema di tassazione di cui � causa. vini tedeschi citati dal Regno Unito vadano effettivamente considerati rap presentativi ai fini del confronto tra i prezzi. Ci� vale certamente per i grandi magazzini che importano direttamente il vino. I dati forniti dal Governo italiano sono inoltre importanti perch� da essi si desume che i vini italiani pi� rappresentativi ai fini dell'accertamento di rilevanti restrizioni della concorrenza hanno un contenuto alcolico di soli 9�-10�. Secondo i dati forniti dalla Commissione a pagg. 16-17 della relazione 1� dicembre 1981, il margine di discriminazione a danno dei vini pi� rappre sentativi, alla data da considerare per l'accertamento della trasgressione del Trattato, era allora su detti vini, applicando il criterio della gradazione alcolica, quantomeno del 90 %. Il criterio di confronto riferito alla gradazione alcolica e quello rappresentato dal prezzo dimostrano del resto un'evidente connessione in quanto, a norma del regolamento del Consiglio n. 816/70 (G. U. 1970 n. L 114), (da applicare nella fattispecie), il quale � stato sostituito solo nel 1979 dal regolamento n. 337/79 (G. U. 1979, n. L99), il prezzo d'orientamento era fissato per grado alcolico/ettolitro. Ai vini da tavola con bassa gradazione alcolica si applicano quindi prezzi d'orientamento proporzionalmente inferiori a quelli dei vini da tavola con maggiore gradazione alcolica. All'ultima udienza dinanzi alla Corte, il Governo del Regno Unito ha inoltre addotto un argomento giuridico che non pu� restare incontrastato in questa sede. Dall'art. 97 del Trattato CEE esso ha dedotto che uno Stato membro pu� fissare aliquote medie d'imposizione per il vino e che per applicare l'art. 95 l'onere fiscale sui prezzi medi del vino va pertanto confrontato con l'onere fiscale sui prezzi medi della birra. Tale argomento � insostenibile. L'art. 97 � chiaramente una disposizione derogatoria che, come tutte le disposizioni derogatorie, va interpretata restrittivamente. L'art. 97 vale solo per le imposte sull'entrata riscosse secondo il sistema d'imposta cumulativa a cascata. L'effetto discriminatorio, a favore soprattutto delle imprese nazionali integrate, determinato dall'art. 97 unitamente alle possibilit� di manipolazione sul piano della politica commerciale che l'articolo consentiva ed insieme ad altre distorsioni della concorrenza determinate dal vecchio sistema di imposta sulla cifra d'affari, � stato, come sappiamo, uno dei motivi determinanti per cui le imposte sull'entrata, riscosse secondo il sistema d'imposta cumulativa 670 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 18. -Gli scambi di argomenti fra le parti successivi alla sentenza 27 febbraio 1980, hanno dimostrato che, se nessuno dei criteri di confronto usati per valutare il rapporto di tassazione fra i due prodotti di cui trattasi � in grado di fornire, da solo, risultati sicuri, cionondimeno ciascuno dei tre metodi -cio� considerare il carko fiscale rispetto al volume, alla gradazione alcolica ed al prezzo dei prodotti -pu� dare indicazioni significative onde valutare il sistema tributario di cui � causa. 19. -Non � .contestato che il confronto fra la tassazione della birra e quella del vino riferita al volume delle due bevande rivela un sovraccarico fiscale ad un tempo relativo ed assoluto del vino rispetto alla birra. Non solo l'imposizione sul vJno � stata notevolmente aumentata rispetto a quella sulla birra al momento in cui il Regno Unito ha sostituito l'accisa al vecchio dazio doganale, come la Corte ha gi� sottolineato nella sentenza 27 febbraio 1980, ma risulta altres� che negli anni sui quali a cascata, sono state sostituite da un'imposta sul valore aggiunto. In quanto disposizione eccezionale, l'art. 97 non pu� in alcun caso essere esteso alle accise. Tale articolo sottolinea piuttosto che l'art. 95 va di massima interpretato nel senso che la tassazione che colpisce prodotti specifici importati (cio� nella fattispecie, per esempio, i vini da tavola economici) va confrontata con l'imposizione sui prodotti nazionali analoghi (applicando l'art. 95, primo comma) oppure, rispettivamente, con l'imposizione sui prodotti che si trovano con essi in rapporto di sostituzione o di concorrenza (applicando l'art. 95, secondo comma). L'argomento pu� quindi venir usato proprio contro la tesi del Regno Unito e fornisce piuttosto sostegno alla tesi del Governo italiano secondo cui va preso come criterio di confronto il tipo di vino pi� economico, sebbene io non voglia, per i motivi di politica concorrenziale generale che ho indicato, giungere a tanto. 2.4. -Conclusioni dell'applicazione dei vari criteri di confronto. -Riassumendo, dai documenti esibiti in seguito alla vostra ordinanza 15 luglio 1982 si desume che l'onere fiscale che gravava sui vini pi� rappresentativi dal punto di vista della concorrenza, alla data determinante nella fattispecie per accertare una trasgressione del Trattato, superava, secondo tutti i criteri sostenibili, quantomeno del 70-100 % quello gravante sulla birra. D'accordo con l'avvocato generale Reischl (il quale non disponeva ancora, su questo punto, di dati sufficienti nel momento in cui ha presentato le sue conclusioni integrative) ritengo che, dal punto di vista della concorrenza, il criterio dell'influenza sul prezzo sia il pi� valido. Nello stesso tempo ho per� sottolineato che, in seguito all'organizzazione comune dei mercati nel settore vitivinicolo, esiste un rapporto diretto fra il prezzo del vino e la gradazione alcolica, e ci� conferma anche la validit� del criterio del contenuto alcolico, che avete preferito nella sentenza interlocutoria. Una differenza di aggravio fiscale del 70-100 % a mio parere indica gi� chiaramente, restando impregiudicata la questione del rapporto di imposizione corretto che sto per esaminare, che l'accisa sul vino riscossa dal Regno Unito protegge indirettamente la produzione di birra in quel paese, poich� la pressione che esercita sul prezzo di vendita al minuto, tasse escluse, pu� costituire, in base ai dati forniti, sino al 160 % di tale prezzo. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 671 verte il ricorso, cio� il 1976 ed il 1977, la tassazione del vino riferita al volume � stata, in media, cinque volte superiore a quella della birra, 1 e ci�, in altvi termini, costituisce un sovraccarico tributario del 400 % in cifra tonda. 20. -Quanto al criterio di confronto tratto dalla gradazione alcolica, come la Corte ha gi� detto nella sentenza 27 febbraio 1980, anche se ha solo funzione secondaria nella scelta dei consumatori dell'una o dell'altra� delle due bevande considerate, esso costituisce cionondimeno un criterio di confronto relativamente sicuro. Va osservato che la validit� di questo criterio � stata riconosciuta nei lavori attualmente in corso nell'ambito del Consiglio al fine di armonizzare la tassazione dell'acool e dei vari tipi di bevande alcoliche. 21. -Tenendo conto delle indicazioni delle quali la Corte ha sopra riconosciuto la fondatezza, risulta che nel periodo considerato di vino 2.5. -Il problema del rapporto di imposizione corretto. -Insieme alla Commissione sono del parere che un rapporto di imposizione corretto fra vino e birra si possa determinare solo mediante l'armonizzazione delle normative in materia di accise a norma degli articoli 99 e 100 del Trattato. Basando le direttive d'armonizzazione anche sull'art. 43 del Trattato, si potr� altres� tener conto allora di considerazioni di politica agricola comune. In conseguenza anche della indeterminatezza della nozione di � proteggere indirettamente� di cui all'art. 95, secondo comma, tale disposizione del Trattato non consentir� di stabilire un limite preciso. Di fronte ad un carico tributario dell'entit�, in cifre assolute, di quello di cui trattasi, una differenza di aggravio fiscale quantomeno del 70-100 % rispetto alla birra, prodotto di sostituzione, comporter� tuttavia certamente, secondo tutti i dati elementari forniti dall'esperienza in merito al meccanismo della concorrenza, una notevolissima restrizione della concorrenza a danno del vino. Anche di fronte ad una differenza di pressione fiscale del 50 %, come quella che avete ammesso nella sentenza interlocutoria, la mia opinione resterebbe la stessa qualora altri elementi facciano presumere, come nella fattispecie, che la differenza � ancora maggiore. Una notevole limitazione della concorrenza a �danno del vino significa quindi, secondo me, una protezione indiretta della produzione concorrente di birra, ai sensi dell'art. 95, secondo comma. Sebbene la questione non sia naturalmente stata sollevata nel presente procedimento, e non possa quindi essere definitivamente risolta, comprendo tuttavia che vi preoccupiate anche del valore di precedente che la vostra pronunzia in questa causa pu� avere per la valutazione dei rapporti d'imposizione negli Stati membri che producono contemporaneamente vino e birra. Come l'avvocato generale Reischl, sono del parare che gli argomenti della Commissione volti a consentire in questi paesi una tassazione della birra superiore a quella del vino siano molto validi, specialmente alla luce della vostra giurisprudenza che la Commissione ha richiamato. Per quanto riguarda la concorrenza mediante i prezzi, secondo me essenziale -come ho gi� detto -ai fini dell'art. 95, secondo comma, aggiunger� che la produzione di vino non � comunque, a mio parere, indirettamente protetta da una maggiore imposizione sulla birra finch� il prezzo di questa, tasse comprese, non supera RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 672 � stato gravato, nel Regno Unito, di un carico tributario che, riferito alla gradazione alcolica, superava il doppio del carico imposto alla birra, cio� un eccesso dii tassazione quanto meno del 100 %. 22. -Quanto al criterio dell'incidenza della tassazione sul prezzo franco dei prodotti, la Corte ha avut� grandi difficolt� ad elaborare un giudizio, in considerazione del carattere disparato degli elementi forniti dalle parti. In particolare, il carattere incompleto delle informazioni fornite dalla Commissione, consistenti in elenchi di prezzi di vendita senza indicazioni parallele di dati che consentissero di individuare, nei prezzi, l'incidenza dell'accisa, dell'IVA e del prezzo franco, ha reso particolarmente arduo valutare tale criterio, al quale :il Governo del Regno Unito ha attribuito importanza capitale. 23. -In risposta all'ordinanza del 15 luglio 1982, con cui la Corte ha chiesto informazioni sui prezzi al consumo ed i prezz;i franchi dei ��' ., il prezzo dei v1m con essa in concorrenza. Non appena i prezzi della birra, come conseguenza dei tributi riscossi sulla stessa, divenissero nettamente superiori a quelli dei vini corrispondenti, non escluderei a priori la possibilit� di una trasgressione dell'art. 95, secondo comma. L'andamento della produzione nazionale di birra e dell'importazione di birra nei paesi interessati potr� tuttavia, secondo me, avere anch'esso rilievo nella decisione finale. Questa incertezza giuridica rafforza naturalmente l'opportunit� che il rapporto di tassazione fra vino e birra sia definitivamente disciplinato per tutti gli Stati membri da un'armonizzazione delle normative. Proprio se si adotta come criterio determinante quello del prezzo, l'applicazione simmetrica dell'art. 95, secondo comma, ai paesi che fabbricano essenzialmente birra ed a quelli che producono essenzialmente vino, per i detti motivi non mi sembra comportare, in linea di massima, conseguenze inaccettabili dal punto di vista comunitario. Pertanto il problema del rapporto d'imposizione corretto fra vino e birra non deve, secondo me, portare a conclusioni, tratte dal confronto tra gli oneri fiscali, diverse da quelle cui sono giunto. 2.6. -La tendenza protezionistica. -I dati resisi disponibili dopo le conclusioni integrative dell'avvocato generale Reischl confermano altres� chiaramente la tendenza protezionistica accertata al punto 24 della motivazione della sentenza interlocutoria. Ai sensi degli artt. 169 e 171 del Trattato, come interpretati dalla vostra summenzionata giurisprudenza, per l'applicazione di questo criterio � decisivo il modo in cui � mutato nel Regno Unito il rapporto d'imposizione fra birra e vino dalla data dell'adesione a quella della proposizione del ricorso. Secondo i dati forniti dalla Commissione, e non contestati dal Regno Unito, a proposito della tendenza dell'andamento nel periodo che � quindi determinante, dal 1973 al 1978, il rapporto d'imposizione fra birra e vino � passato da 1:3,2 il 1� gennaio 1974 a 1:4,2 il 27 marzo 1974 ed a 1:5,6 al 16 aprile 1975. Il ,1� luglio 1977 il rapporto ha cominciato a scendere leggermente sino a 1:5,3 e questo � il rapporto da considerare nella presente causa. I dati relativi al consumo, forniti dalla Commissione, dimostrano che l'aumento dell'accisa nel 1975 � stato accompagnato dalla diminuzione del consumo di vino pro capite. Il nesso fra livello dell'accisa e consumo pro capite PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 673 tipi di v.iru e di birra pi� comunemente venduti e consumati nel Regno Unito, il Governo britannico si � limitato a fornire elementi su due vini tedeschi (il Goldener Oktober e il Blue Nun), certamente di largo consumo, ma, di fatto, poco rappresentativi della situazione del mercato dei vini su scala comunitaria. 24. -La Commissione ed il Governo italiano hanno contestato fa pertinenza della scelta effettuata dal Governo del Regno Unito ed hanno presentato analisi relative a vini italiani; con fa differenza per� che la Commissione si � sforzata di stabilire dei prezzi medi, mentre il Governo italiano, in conformit� alla surriportata concezione, ha confrontato l'incidenza dell'imposta sul prezzo di una birra britannica tipica con qu,ella sul vino italiano pi� economico, offerto in quantit� significative sul mercato britannico. 25.. -I ca~co1i effettuati dalla Commissione allo stato attuale del mercato britannico, la cui pertinenza non � stata contestata dai! Governo degli abitanti � tuttavia dimostrato in modo ancora pi� manifesto dall'andamento successivo al 1978. Nel 1980, il rapporto di tassazione fra birra e vino � sceso sino a 1:4,9 e nel 1981 sino al livello del 1974 cio� a 1:4,2. Contemporaneamente, il consumo pro capite � notevolmente aumentato (passando da 1. 5,41 pro capite nel 1977 a 1. 7,8 pro capite nel 1981), mentre il consumo di birra � diminuito nel 1979-1981 per la prima volta dal 1972, passando da 1. 122,l a 1. 111,5 pro capite. Il Regno Unito conferma, coi propri dati, tali andamenti. Esso ammette altres� il rapporto esistente fra onere fiscale e consumo e nella relazione 1� dicembre 1981 nonch� all'ultima udienza ha concluso, in base all'andamento successivo al 1978, che la tendenza protezionistica accertata nella vostra sentenza interlocutoria � ora completamente eliminata. A parte il fatto che tale conclusione � inesatta se ci si riferisce al rapporto d'imposizione vigente il 1� gennaio 1974, ho gi� rilevato che, ai fini dell'accertamento di una tendenza protezionistica, nella presente causa rileva solo l'andamento dal 1973 al 1978. Per detto periodo, l'esistenza di una tendenza protezionistica � confermata anche dalla suddetta relazione del Regno Unito. A tali osservazioni aggiungo che l'accertamento di una tendenza protezionistica in un determinato periodo pu� certo costituire un importante indizio di trasgressione dell'art. 95, secondo comma, ma che tale indizio non pu� tuttavia essere decisivo per l'applicazione di detta norma. L'elemento decisivo � piuttosto, in definitiva, se alla data determinante per l'accertamento di una trasgressione del Trattato, l'onere fiscale sui prodotti importati fosse a tal punto maggiore di quello gravante sui prodotti nazionali di sostituzione da dover ammettere che la produzione nazionale delle merci di sostituzione era indirettamente protetta dall'imposizione sui prodotti importati. Le conclusioni sull'ultimo punto possono benissimo essere basate sul contestuale accertamento dell'aumento della disparit� di pressione fiscale nel tempo. 3. OSSERVAZIONI FINALI E CONCLUSIONI. 3.1. -Le caratteristiche del rapporto di concorrenzialit� fra vino e birra. Per i tipi di vini economici da prendere in considerazione dal punto di vista della concorrenza, ritengo, con la Commissione e con l'avvocato generale Reischl, che le differenze nei processi di produzione fra vino e birra non abbiano in RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 674 del Regno Unito, concludono per una sovratassazione del vino di circa il 58 % ed il 77 % , mentre dai calcoli del Governo italiano che riguardano il vino meno caro risulta un eccesso di tassazione a carico del vino sino al 286 %. L'analisi, fatta dal Governo britannico, del prezzo di vendita dei due vini tedeschi conferma indirettamente tali risultati. Infatti, l'uno dei due villi rappresenta, quasi esattamente, il punto di parit� fra la birra ed il vino dal punto di vista dell'incidenza dell'imposta sul prezzo. L'esempio dimostra che tutti i vini a minor prezzo venduti nel Regno Unito, subiscono, rispetto al prezzo, una tassazione relativamente maggiore di quella della birra. Ora, gli elenchi di prezzi forniti dalla Commissione assodano che vi �, sul mercato britannico, un cospicuo numero di vini, fra cui la quasi totalit� dei vini italiani, che corrispondono a tale definizione e che subiscono quindi una sovratassazione tanto pi� sensibile quanto minore � il loro .prezzo. 26. -In seguito all'esame dei dati forniti dalle parti, la Corte ha cos� potuto convincersa del fatto che se si prendono come base di con- fin dei conti grande importanza. Anzitutto, le differenze nei costi di produzione si traducono, come ho gi� detto, in differenze di prezzo, cosicch�, in caso d'applicazione del criterio del prezzo, esse vengono automaticamente prese in considerazione all'atto del confronto. In secondo luogo, come hanno gi� osservato la Commissione e l'avvocato generale Reischl, tanto la maggior parte dei vini economici da considerare, quanto la birra, sono generalmente fabbricati in processi produttivi di grandi dimensioni. Neppure le grandi differenze nella struttura dei mercati sui quali vengono venduti il vino e la birra mi sembrano costituire, in definitiva, un impedimento per giungere ad un chiaro confronto tra gli oneri fiscali. L'impossibilit� di applicare l'art. 97 comporta gi� che qualora si applichi l'art. 95, secondo comma, non ci si pu� servire delle aliquote medie d'imposizione su tutti i vini importati. Lo scopo perseguito dall'art. 95, secondo comma, in relazione alla struttura generale del Trattato, implica piuttosto che la prova del sussistere di un effetto chiaramente restrittivo della concorrenza, nei confronti di merci importate che rappresentano da sole o raggruppate una parte non trascurabile del mercato di tali merci, basta gi� a far ritenere che vi � trasgressione di detta norma. Una parte non trascurabile del mercato � gi� costituita, secondo i dati forniti dallo stesso Regno Unito, dalla vendita di vino nei grandi magazzini e in altri negozi al minuto che smerciano vino e birra, mentre la parte di mercato costituita, nell'offerta complessiva di vino, dai vini economici da prendere in considerazione, secondo quanto dedotto dalle parti principali e dal Governo italiano, pu� essere valutata quantomeno al 20 %. A mio parere, come ho gi� detto, una quota di mercato del 5-10 % sarebbe stata sufficiente. I dati forniti circa i prezzi ed il consumo di vino e di birra confermano infine che, nel rapporto di concorrenza fra vino e birra, i rapporti di prezzo e l'onere fiscale che essi implicano per i consumatori hanno un peso facilmente dimostrabile e che anche il Regno Unito ammette. Le incertezze a proposito del rapporto di concorrenza fra vino e birra, che avete ancora sottolineato al punto 24 della sentenza interlocutoria, secondo me, si possono pertanto considerare sufficientemente dissipate. PARTE I, SBZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 675 fronto v1m il cui prezzo � inferiore a quello dei tipi di vino scelti dal Regno Unito, e dei quali parecchie variet� sono rappresentate sul mercato britannico in quantit� significative, si giunge alla conclusione che una notevole sovratassazione grava proprio quei vini che, per il loro prezzo, si trovano in pi� diretto rapporto di concorrenzialit� con la produzione nazionale di birra. 27. -Risulta cos�, in seguito alle approfondite informazioni raccolte dalla Corte -indipendentemente dal criterio di confronto usato e senza che sia, in definitiva, necessario preferirne l'uno o l'altro -che il sistema tributario del Regno Unito ha l'effetto di gravare il vino proveniente dagli altri Stati membri di un sovraccarico fiscale atto a garantire una protezione alla produzione nazionale di birra, in quanto questa costituisce il criterio di riferimento pi� vicino dal punto di vista della concorrenzialit�. Poich� tale effetto protezionistico � maggiore sui vini pi� cor3.2. -Le conseguenze giuridiche della dichiarazione di trasgressione del Trattato da parte del Regno Unito. -Come avviene spesso, ad esempio per le vostre sentenze relative atrasgressioni dell'art. 30 del Trattato CEE, non si possono stabilire con precisione le conseguenze giuridiche che il Regno Unito deve trarre, a norma dell'art. 171 del Trattato, da una condanna nella presente causa. Da questo punto di vista, vi � certamente un margine d'incertezza molto maggiore in caso di condanna ai sensi dell'art. 95, secondo comma che in caso di condanna ai sensi dell'art. 95, primo comma. Quel che mi sembra comunque certo nella presente causa � che, dopo la condanna, il Regno Unito non pu� pi� tornare ad una tendenza protezionistica nell'andamento del rapporto di imposizione. Gi� questo risultato dimostra chiaramente, secondo me, che anche dopo il capovolgimento della tendenza nel Regno Unito nel periodo 1977-1981, la Commissione conservava un interesse legittimo alla prosecuzione del procedimento. Mi richiamo altres�, in proposito, alle considerazioni particolareggiate sulla questione dell'interesse legittimo di cui alle conclusioni dell'avvocato generale Lagrange per la summenzionata causa 7 /61. A mio parere, bisogna tuttavia desumere anche da esperienze generali relative al meccanismo della concorrenza, nonch� dai dati forniti dalle parti, che la protezione indiretta della produzione di birra continua comunque a sussistere finch� l'onere fiscale sopportato dai vini economici, e calcolata in riferimento al prezzo al netto dell'imposta, resta superiore almeno del 30% all'onere fiscale sulla birra. Non va certo escluso, secondo me, che anche in caso di differenza minima nell'aggravio fiscale vi sia ancora una protezione indiretta della birra, ma ci� richiederebbe prove molto pi� circostanziate di quelle fornite in questo caso. Poich� per i tributi riscossi in eccesso vi � certamente stata rivalsa sul consumatore, il timore del Regno Unito che tali tributi vengano ripetuti mi sembra infondato nella fattispecie data l'esclusione di azioni di rimborso del genere da voi disposta nella sentenza Just (causa 55/79, Racc. 1980, pag. 431). 3.3. � CONCLUSIONE. Concludendo, vi propongo di dichiarare, conformemente alla domanda della Commissione, che per i motivi suindicati il Regno Unito di Gran Bretagna e d'Irlanda del Nord � venuto meno agli obblighi impostigli dall'art. 95, secondo comma del Trattato. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 676 renti, il sistema tributario britannico comporta come conseguenza di attribuire al vino il carattere di prodotto di lusso che, a causa dell'aggravio fiscale cui � sottoposto, non pu� costituire agli occhi del consumatore, un'alternativa concreta alla bevanda tipica della produzione nazionale. 28. -Da tutto quanto sopra si desume che va dichiarato che il Regno Unito, gravando i vini leggeri di uve fresche di un'accisa relativamente pi� elevata di quella gravante sulla birra, � venuto meno agli obblighi impostigli dall'art. 95, secondo comma, del Trattato CEE. (omissis). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, III sezione, 14 luglio 1983, nella causa 201/82 -Pres. Everling -Avv. Gen. Mancini Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione .italiana, sezioni unite, nella causa Amministrazione del Tesoro c. Gerling Konzern Speziale Kreditversicherung A.G. ed altri -I:nterv.: Governo italiano (Avv. Stato Fiumara) e Commissione delle .C.E. (ag. Berardis e Kremlis). Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale Contratto di assicurazione stipulato anche a favore di terzi -Clausola di proroga della competenza -Sottoscrizi~ne delle parti e non del terzo. (Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 17). Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale -Eccezione di incompetenza -Difese sul merito -Compatibilit�. (Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 21 giugno 1971, n. 804, art. 18). L'art. 17, primo comma, della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale dev'essere intrepretato nel senso che, in caso di contratto di assicurazione fra un assicuratore ed un contraente, stipulato da quest'ultimo per s� e in favore di terzi e contenente una clausola di proroga della competenza con riferimento a controversie promuovibili dai detti terzi, questi ultimi possono far valere la clausola di proroga della competenza, anche qualora non la abbiano espressamente sottoscritta, se la condizione della forma scritta, posta dall'art. 17 della Convenzione, sia stata soddisfatta nei rapporti fra l'assi PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 677 curatore e il contraente dell'assicurazione, e i.I consenso dell'assicuratore in proposito sia stato manifestato chiaramente (1). L'art. 18 della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale va interpretato nel senso che esso consente al convenuto non solo di eccepire l'incompetenza, ma anche di presentare congiuntamente, in via subordinata, difese nel merito, senza tuttavia perdere il diritto di sollevare l'eccezione d'incompetenza (2). (omissis) J. -Con ordinanza 28 luglio 1982, pervenuta in cancelleria il 6 agosto 1982, la Corte Suprema di Cassazione (Sezioni unite civili) ha sottoposto a questa Corte, in forza del Protocollo 3 giugno 1971, relativo all'interpretazione, da parte della Corte di giustizia, della Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e la esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in prosieguo �la Convenzione�), due questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli articoli 17 e 18 della Convenzione. 2. -Le suddette questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia fra l'Amministrazione del Tesoro dello Stato e la Gerling Konzern Speziale Kreditversicherung A.G. e altri (in prosieguo �la (1) La Corte ha accolto la tesi prospettata dalla Commissione e dal Governo Italiano (e in forza della quale l'Amministrazione del Tesoro aveva promosso la causa davanti al giudice italiano). Il fatto che la singola organizzazione nazionale, non essendo parte, non abbia sottoscritto il contratto e con esso la clausola relativa alla proroga di competenza -aveva osservato l'Avvocatura -, non � rilevante ai fini della operativit� della clausola stessa in favore di essa organizzazione nazionale che la invoca. Nel contratto a favore di terzo, infatti, il terzo il quale intenda profittare della stipulazione in suo favore acquista i diritti che derivano dal contratto senza bisogno di alcuna accettazione per il solo effetto della stipulazione intervenuta fra le parti. E come egli si giova automaticamente dei be� nefici pattuiti fra altri e pu� agire per ottenere la soddisfazione dei diritti che il contratto gli attribuisce, cos� egli pu� giovarsi anche della clausola che gli consente di ricorrere ad un particolare giudice, senza che sia necessaria, per l'esercizio di tale facolt�, la sottoscrizione o la conferma per iscritto della clau� sola stessa. Del resto, essendo la clausola invocata dal terzo nei confronti di una parte del contratto che quella clausola ha sottoscritto, appare salvaguardata l'esigenza per la quale l'art. 17 della convenzione � stato dettato: neutralizzazione degli effetti delle clausole �che rischiano di passare inosservate e rilevanza di quelle sole clausole che appaiono espressamente pattuite (cfr., Relazione sulla convenzione, in Bollettino C.E., suppi. 12/72). La stessa convenzione, nell'art. 12, in materia di assicurazione, riferendosi alla possibilit� di deroghe della competenza in favore del beneficiario non contraente, non fa alcun cenno alla necessit� di una sottoscrizione da parte del beneficiario stesso. (2) Fra le sentenze della Corte citate in motivazione la seconda � pubblicata in questa Rassegna, 1981, I, 672, con nota di FIUMARA. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 678 Gerling �), con sede in Colonia. L'Amministrazione attrice nella causa principale intende ottenere il pagamento di una somma corrispondente a pene pecuniarie, tasse, diritti e spese accessorie con riferimento ad una serie di trasporti effettuati in regime T.I.R., per i quali erano stati accertati in Italia illeciti e fatti che avevano reso esigibili i suddetti oneri e tributi. 3. -Per fruire delle agevolazioni previste dalla convenzione doganale relativa al trasporto internazionale delle merci su strada in regime di T.I.R., convenzione adottata a Ginevra il 15 gennaio 1959, i trasporti devono fra l'altro essere effettuati in base ad un �carnet T.I.R. � rilasciato dall'organizzazione competente per ciascun paese firmatario della convenzione doganale e sotto la garanzia della quale viene effettuato !il trasporto. L'organizzazione nazionale garante � tenuta al pagamento dei diritti e delle tasse riconosciuti esigibili, nonch� delle pene pecuniarie di cui si sia reso passibile il titolare del carnet T.I.R. 4. -L'organizzazione nazionale abilitata per l'Italia, all'epoca dei fatti di cui � causa, eiia l'Ente Autotrasporti Merci (in prosieguo � E.A,M. �). Da quando questo Ente � stato messo in liquidazione, il Ministero italiano del Tesoro prosegue l'attivit� dello stesso conformemente al combinato disposto della legge 4 dicembre 1956, n. 1404, della legge 18 marzo 1968, n. 413, e della legge 23 dicembre 1970, n. 1139. 5. -Le organizzazioni nazionali sono affiliate all'International Road Union (IRU). Ciascuna di tali organizzazioni nazionali beneficia a sua volta della garanzia prestata da un gruppo internazionale di assicuratori, rappresentato dalla Gerling, in forza di un contratto concluso nel 1961 dall'IRU, nel proprio interesse e nell'interesse di ciascuna delle organizzazioni nazionali, da una parte, e da detto gruppo internazionale di assicuratori, dall'altra. 6. -A termini dell'art. 8 di detto contratto d'assicurazione, � in caso di controversia tra il pool (di assicuratori) e una delle organizmzioni nazionali, queste ultime avranno il �diritto di reolamare una procedura davanti al tribunale competente del paese in cui esse hanno sede, per l'applicazione del diritto di questo paese �. 7. -Poich� l'Amministrazione italiana delJe Dogane pretendeva il pagamento di una serie di pene pecuniarie, tasse e diritti con riferimento a trasporti effettuati in Italia in regime di T.I.R., il Ministero del Tesoro citata dinanzi al Tribunale di Roma il suddetto gruppo d'assicuratori, chiedendo la loro condanna al. pagamento della somma complessiva di L. 812.134.310. 8. -In pendenza del giudizio, il gruppo di assicuratori proponeva ricorso incidentale dinanzi alle Sezioni unite della Corte di Cassazione, PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE in forza dell'art. 41 del codice di procedura civile italiano, per regolamento preventivo di giurisdizione. Gli assicuratori contestano infatti che possa essere foro opposta la suddetta clausola attributiva di competenza, poich� questa non � stata sottoscritta dall'E.A.M. (o dall'Amministrazione del Tesoro), mentre l'art. 17 della Convenzione subordina la proroga di competenza alla condizione della forma scritta. 9. -'� in tale contesto che la Corte di Cassazione ha formulato le due seguenti questioni pregiudiziali. � 1. Se, in caso di contratto debitamente firmato dalle parti contraenti e stipulato, da una di queste, per s� e nell'inrteresse di altri beneficiari, Ja clausola derogativa della competenza giurisdizionale in esso convenuta con riferimento a controversie promovibili dai detti beneficiari, valga a realizzare anche a favore di questi il requisito della forma scritta voluto dall'art. 17 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968,� concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. 2. Se l'effetto di determinare la competenza del giudice adito -derivante, secondo l'art. 18 della citata Convenzione, dalla comparizione del convenuto -si verifichi anche quando il convenuto stesso, nel costituirsi, oltre ad eccepire in via preliminare l'incompetenza di quel giudice, prospetti soltanto in via subordinata �difese di merito�. 1. -Sulla prima questione. 10. -Con tale questione la Corte di Cassazione chiede a questa Corte, in sostanza, di precisare se la Convenzione -in particolare l'art. 17 possa essere interpretata nel senso che, nell'ambito di un contratto di assicurazione, l'assicurato beneficiario di tale contratto, terzo rispetto al rapporto derivante dal contratto stesso e persona diversa dal contraente, possa far valere una clausola di proroga della competenza stipulata in suo favore, pur non avendola sottoscritta, mentre essa � stata debitamente sottoscritta dall'assicuratore e dal contraente. 11. -Ai fini dell'applicazione della Convenzione, questa deve essere interpretata facendo riferimento, prinoipalmente, al suo sistema ed ai suoi obiettivi, onde garantirne la piena efficacia. 12. -A norma dell'art. 17, primo comma, della Convenzione: � Qualora con clausola scritta, o con clausola verbale confermata per iscritto, le parti, di cui almeno una domiciliata nel territorio dello Stato contraente, abbiano convenuto la competenza di un giudice o dei giudici di uno Stato contraente a conoscere delle controversie, presenti o future, nate da un determinato rapporto giuridico, la competenza esclusiva spetta al giudice o ai giudici di quest'ultimo Stato contraente �. 680 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 13. �Come la Corte ha ripetutamente affermato nelle sentenze 14 di� cembre 1976 {cause 24/76, Estasis Salotti, Racc. pag. 1831, e 25/76, S�goura, Racc. pag. 1851) e 6 maggio 1980 (causa 784/79, Porta Leasing, Racc. pag. 1517), il requisito deU� forma scritta stabilito dall'art. 17 della Convenzione � inteso a garantire che il consenso delle parti, le quali, mediante la proroga di competenza derogano ai principi generali in materia di competenza sanciti dagli artt. 2, 5 e 6 della Convenzione, sia manifestato in maniera chiara e precisa e sia effettivamente provato. 14. �D'altra parte, l'art. 17 della Convenzione, imponendo tale requisito della fo:rnna scritta fra le parti, non ha lo scopo, n� l'effetto, di subordinare alla stessa condizione di forma la facolt�, per il terzo beneficiario del contratto, di far valere, in una lite che lo opponga all'assicurat�re, la clausola attributiva di competenza stipulata in suo favore. 15. � La Corte ritiene che, in tal caso, l'assicuratore non pu� opporsi a detta deroga di competenza -qualora il suo consenso iniziale sia stato chiaramente manifestato nella stipulazione del contratto -per il solo motivo che il beneficiario della clausola stabilita a favore d~ terzi, il quale non era parte nel contratto, non abbia egli stesso soddisfatto la condizione della forma scritta posta dall'art. 17 della Convenzione. 16. � L'esame delle disposizioni del titolo II, sezione 3, della Convenzione, relative alla competenza in materia d'assicurazioni, viene a suffragare questa tesi. 17. � Dall'esame delle disposizioni di detta sezione, chiarite dai lavori preparatori, risulta infatti che, offrendo all'assicurato una gamma di competenze pi� estesa di quella offerta all'assicuratore, ed escludendo qualsiasi possibilit� di stabilire una clausola di proroga della competenza a favore dell'assicuratore, dette disposizioni si sono ispirate ad una preoccupazione di tutela dell'assicurato, il quale, nella maggior parte dei casi, si trova ,di fronte ad un contratto predeterminato le cui clausole non possono pi� essere oggetto di trattative ed � la persona economicamente pi� debole. 18. � Inoltre, l'art. 12 della Convenzione consente alle parti di derogare alle disposizioni della suddetta sezione 3 � ��� con convenzioni: ... 2. che consentano al contraente dell'assicurazione, all'assicurato o al beneficiario di adire un organo giurisdizionale diverso da quelli indicati nella presente sezione... �. � perci� chiaro che la Convenzione ha previsto espressamente la possibilit� di smpulare clausole di proroga della competenza, non soltanto in favore del contraente dell'assicurazione, parte nel contratto, ma anche in favore dell'assicurato e del beneficiario che, per ipotesi, non sono parti nel contratto qualora non vi sia coinci PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 681 denza, come nella fattispeoie, fra queste varie persone, e che possono anche non essere noti al momento della firma del contratto. 19. -Di conseguenza, l'interpretazione secondo cui la condizione di forma stabilita dall'art. 17 implicherebbe che l'assicurato o il beneficiario, terzo quanto al rapporto contrattuale e beneficiario della clausola attributiva di competenza stipulata in suo favore, ha l'obbligo di sottoscrivere espressamente detta clausola per convalidarla e potersene servire, avrebbe l'effetto di imporre a detto terzo un obbligo inutile quando, inizialmente, l'assicuratore abbia manifestato senza possibilit� di equivoci il suo consenso ad un sistema generale ed aperto di proroga della competenza, e costituirebbe addirittura, all'occorrenza, una formalit� di difficile attuazione qualora, prima di qualsiasi controversia, l'assicurato non sia stato informato, dal contraente dell'assicurazione, dell'esistenza di una clausola attributiva di competenza stipulata in suo favore. 20. -Dal complesso delle precedenti considerazioni risulta che la questione pregiudiziale va risolta dichiarando che, nell'ambito di un contratto d'assicurazione, una clausola attributiva di competenza stipulata in favore dell'assicurato, terzo quanto al rapporto contrattuale e persona diversa dal contraente dell'assicurazione, dev'essere considerata valida ai sensi dell'art. 17 della Convenzione, qualora la condizione della forma scritta posta da questo articolo sia soddisfatta nei rapporti fra l'assicuratore e il contraente dell'assicurazione e il consenso dell'assicuratore in proposito sia stato manifestato in modo chiaro e preciso. 2. -Sulla seconda questione. 21. -In merito a tale questiO!lle, � sufficiente ricordare che la Corte, nelle sentenze 24 giugno 1981 (causa 150/80, Elefanten Schuh GmbH, Racc. pag. 1671), 22 ottobre 1981 (causa 27/81, Rohr, Racc. pag. 2431) e 31 marzo 1982 (causa 25/81, CHW, Racc. pag. 1189), ha riconosciuto che l'art. 18 della Convenzione dev'essere interpretato nel senso che esso consente al convenuto non solo di eccepire l'incompetenza, ma anche di presentare congiuntamente, in via subordinata,� difese nel merito, senza tuttavia perdere il diritto di sollevare l'eccezione d'incompetenza. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 ottobre 1983, n. 6149 . Pres. Qreco � Rel. Parisi -P. M. Corasaniti -Ministcrn delle Poste e delle Telecomuni�azioni (avv. Stato Mataloni) c. Proietti Mercuri Lorenzo ed altri (avv. De Propris). Giurisdizione civile � Alloggi di tipo economico e popolare � Cessione in propriet� � Criteri legali di determinazione del prezzo � Controversie � Giurisdizione del giudice ordinarlo. Giurisdizione civile � Alloggi di tipo economico e popolare � Cessione in propriet� � Adeguamento dell'importo del prezzo di cessione al limite minimo fissato dall'art. 6, secondo comma, della legge 27 apri� le 1962, n. 231 � Doverosit�. L'attivit� amministrativa che precede la stipulazione del contratto di cessione in propriet� degli alloggi di tipo economico e popolare � un'attivit� vincolata da norme aventi natura di norme di relazione, dirette ad assicurare la cessione in propriet� dell'alloggio all'avente diritto, in base ad un prezza che deve essere determinato secondo precisi criteri di commisurazione, tassativamente previsti da norme di relazione inderogabili dalle quali scaturiscono quindi posizioni di diritto soggettivo a favore di entrambe le parti del medesimo rapporto (1). I criteri legali di commisurazione del prezza di cessione degli alloggi di tipo economico e popolare devono essere inderogabilmente rispettati sotto comminatoria di nullit� dei contratti stessi (2). Con il primo mezzo si contesta che la posizione dedotta in giudizio dagli attuali resistenti, con la domanda che fu da essi proposta il 17 aprile 1972 davanti al Tribunale di Roma nei confronti dell'Amministrazione ricorrente, configuri una posizione di diritto soggettivo, tutelabile davanti al Giudice ordinario. E ci� sia perch� l'accertamento dei limiti della competenza assegnata alle commissioni, provinciale e regionale, di cui agli artt. 6 e 7 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 -al fine di stabilire se alle medesime fosse riservata soltanto la estimazione del valore venale degli alloggi e (1-2) In senso conforme, cfr. Cass., Sez. Un., 11 febbraio 1982, n. 835, in questa Rassegna, 1982, I, 501, con ampia annotazione di richiami giurisprudenziali. PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE degli apporti di natura reale (che concorrono solo in parte a determinare il prezzo di cessione, in propriet�, degli alloggi, secondo la previsione contenuta nel citato art. 6 del d.P.R. n. 2 del 1959 e nell'art. 6 della legge 27 aprile 1962, n. 231), o fosse invece devoluto anche l'accertamento di tutte le altre condizioni che, in base alle norme vigenti in materia, devono essere tenute presenti per determinare il prezzo su indicato -dovrebbe essere riservato alla giurisdizione del Giudice amministrativo, sia perch�, nella specie, nessuno dei contratti di cessione era stato approvato, con conseguente impossibilit� di configurare un diritto soggettivo alla pretesa immutabilit� dei prezzi che erano stati in essa indicati, vantata dagli attuali resistenti. Il primo mezzo non � fondato. Queste Sezioni Unite hanno gi� avuto occasione di !ritenere che le controversie relative all'accertamento dei criteri legali di quantificazione del prezzo che deve essere stabilito per la cessione in propriet� degli alloggi di tipo economico e popolare, secondo la normativa del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, modificato dalla legge 27 aprile 1962, n. 231 (e successive modificazioni), involgono posizioni aventi natura e consistenza di diritti soggettivi, tutelabili come tali davanti all'Autorit� giudiziaria ordinaria (v. sent. 11 febbraio 1982, n. 835; 30 marzo 1972, n. 1015). A tale conclusione -alla quale sostanzialmente mostra di aderire anche la difesa della ricorrente Amministrazione, che a p. 1-4 della sua memoria ha dichiarato di non insistere ulteriormente nei motivi dedotti con il primo mezzo -questa Corte � pervenuta osservando, tra l'altro, che l'attivit� amministrativa che precede la stipulazione del contratto di cessione in propriet� degli alloggi in questione � un'attivit� vincolata da norme aventi natura di norme di relazione, dirette ad assicurare -nel concorso delle condizioni all'uopo richieste dalla legge la cessione in propriet� dell'alloggio all'avente diritto, in base a un prezzo che deve essere determinato secondo precisi criteri di commisurazione, tassativamente previsti da norme di relazione inderogabili -che devono cio� essere osservate sotto comminatoria di nullit� del contratto -dalle quali scaturiscono quindi posizioni di diritto soggettivo a favore di entrambe le parti del medesimo rapporto. Al riguardo va poi precisato che il richiamo fatto dalla difesa della ricorrente amministrazione alla sentenza 25 maggio 1%5, n. 1026 di queste Sezioni Unite -con cui venne affermato che l'operato delle Commissioni regionali di cui all'art. 7 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2 in tema di deter minazione del prezzo di c�ssione degli alloggi agli assegnatari dell'Isti tuto Autonomo Case Popolari non incide su un diritto soggettivo dell'as� segnatario, tutelabile davanti al Giudice ordinario -a parte ogni altra considerazione, non � pertinente alla fattispecie. La questione allora dibattuta concerneva,� infatti, non gi� la indivi duazione dei criteri legali di determinazione del prezzo, bens� la mera RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLLO STATO 684 quantificazione del valore venale; e poneva perci� in discuss~one, a istanza della stessa amministrazione, la determinazione fattane in sede di reclamo dalla Commissione istituita a livello regionale, chiamata a risolvere -come gi� ritenuto da queste Sezioni Unite nella citata sentenza n. 835 del 1982 -non gi� questioni giuridiche (anche se la fogge istitutiva la dichiara competente a conoscere dei ricorsi � contro la determinazione del prezzo�) ma a compiere indagini di mera valutazione, aventi carattere tecnico. Per contro, nella fattispecie .in esame -come del resto ammettono le stesse parti -la controversia riguarda esclusivamente l'accertamento della illegittimit� del prezzo di cessione, dipendente unicamente dall'asserita violazione della condizione tassatirvamente e .inderogabilmente sancita dall'art. 6 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, secondo cui �il prezzo di cessione non pu� essere inferiore alla somma occorrente agli enti proprietari per recuperare gli apporti di carattere patrimoniale per 1a realizzazione degM alloggi e per estinguere i residui debiti contratti da essi per la costruzione di ogni singolo alloggio, al netto dei contributi dello Stato �: violazione peraltro verificatasi con riferimento ad una ipotesi di apporti m danaro da valutare al valore nominale a norma dell'art. 6 della legge 27 aprile 1962, n. 231, o non soggetti quindi alla stima della speciale Commissione prevista dall'art. 6 del d.P.R. n. 2 del 1959, a cui vanno sottoposti, secondo il citato art. 6 della legge n. 231, solo gli apporti di natura reale. La controversia concerne pertanto l'accertamento della violazione di una condizione, espressamente prevista dalla citata norma di relazione, la cui concreta applicazione non poteva in alcun modo essere subordinata o condizionata dalle norme procedimentali che regolano -l'attivit� e disciplinano gli effetti che, riguardo alla determinazione del prezzo di cessione, .possono derivare dagli accertamenti che sono riservati alla competenza delle Commissioni provinciali e regionali previste dagli artt. 6 e 7 del citato d.P.R. n. 2 del 1959. Pertanto, una volta ritenuto che dal sistema normativo risultante dal complesso delle norme su richiamate sorge un diritto soggettivo a favore di entrambe le parti -tra cui la cessione intercorre -a che il prezzo della cessione venga determinato in conformit� dei criteri di commisurazione tassativamente previsti dalla legge, ne consegue che ogni controversia relativa alla violazione dei criteri legali di commisurazione del prezzo di cessione degli alloggi, di cui trattasi, resta necessariamente devoluta -ancor prima e indipendentemente dall'avvenuta stipula del contratto di cessione -alla giurisdizione del Giudice ordinario. Pertanto il primo mezzo va rigettato. Con il secondo e terzo motivo -che per la stretta connessione delle questioni prospettate possono essere esaminati congiuntamente si denuncia la violazione degli artt. 6 e 7 del d.P.R. n. 2 del 1959 e 4 e 6 della legge 27 aprile 1962 n. 231 e difetto di motivazione, in relazione PARTE I, SBZ. UI, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 685 all'art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. per avere i giudici di appello ritenuto illegittima la pretesa dell'Amministrazione di adeguare l'importo dei prezzi di cessione al limite minimo inderogabilmente stabilito dall'arti� colo 6, comma secondo, della legge 27 aprile 1962, n. 231, partendo dal� l'erroneo presupposto che fo citate commissioni fossero competenti a determinare non soltanto il valore venale degli alloggi e degli apporti di carattere patrimoniale, a cui deve essere ragguagliato il prezzo di cessione, ma fossero chiamate a compiere �anche tutte le altre ulteriori. operazioni richieste, in via complementare, dalle citate nonne ai fini della definitiva determinazione del prezzo di cessione, e fondandosi inoltre sul presupposto -rimasto peraltro del tutto indimostrato e non accertato -che nel caso concreto la Commissione regionale avesse anche proceduto ad un effettiva valutazione e applicazione degli altri criteri legali di commisurazione del prezzo di cessione, tenendo conto delle condizioni soggettive dei vari assegnatari e dei limiti mderogabilmente stabiliti dal citato art. 6 della legge n. 231 del 1962. I due motivi sono fondati nei limiti che risultano dalle seguenti considerazioni. In primo luogo va precisato -come gi� si � avuto occasione di rilevare esaminando il primo mezzo -che la pretesa dell'Ammini� strazione era nella specie diretta ad ottenere l'adeguamento dell'importo dei prezzi di cessione al limite minimo inderogabilmente stabilito dal� l'art. 6, comma secondo, della legge 27 aprile 1962, n. 231 (secondo cui .n prezzo di cessione non pu� essere inferiore alla somma occorrente agli enti proprietari per recuperare gli apporti di carattere patrimoniale gi� erogati o per estinguere i debiti contratti per procedere alla costru� zione degli alloggi), in una fattispecie in cui, trattandosi di apporti in denaro, avrebbe dovuto inoltre procedersi alla relativa valutazione se� condo il loro rispettivo valore nominale, senza necessit� di stima da parte della speciale Commissione prevista dall'art. 6 del cLP.R. n. 2 del 1959, a cui vanno sottoposti -secondo l'art. 6 della legge n. 231 del 1962 -solo gli apporti in natura. Pertanto il richiesto adeguamento ineriva all'osservanza di un cri� terio legale tassativamente previsto, la cui applicazione non postulava n� l'intervento della Commissione provinciale -non potendo la rela� tiva competenza estendersi al di l� delle ipotesi espressamente previste nei citati artt. 6 del d.P.R. n. 2 del 1959 e 6 dalla legge n. 231 del 1962, riguardanti l'�accertamento del solo valore venale degli alloggi e la esti� mazione dei soli apporti di natura �reale, di cui sopra si � detto -n� l'intervento della Commissione a livello regionale, chiamata anch'essa a risolvere -come gi� ritenuto da queste Sezioni Unite nella citata sentenza n. 835 del 1982 -non gi� questioni di natura amministrativa e di carattere giuridico, da risolvere, sul piano formale e sostanziale, in stretta aderenza al contenuto delle nonne vigenti in materia, ma a com� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO piere indagini di mera valutazione, cio� di carattere tecnico e quindi non r ' suscettibili di un'immediata e sicura verifica sul piano della loro legit� timit� formale e sostanziale. Essa aveva quindi una competenza, in tutto analoga, per contenuti, a quella della Commissione provinciale, per un possibile riesame e una diversa determinazione della misura del prezzo di cessione, nei limiti ben inteso in cui ci� fosse stato richiesto in conseguenza di un diverso risultato delle indagini di mera valutazione, del valore venale degli alloggi e degli eventuali apporti di natura reale. Risulta anche priva di consistenza la circostanza, sia pure in via subordinata, ipotizzata dai resistenti per suffragare, per altra via, la decisione che � stata adottata -relativa alle preclusioni che in ogni caso sarebbero derivate dal mancato esperimento dei rimedi amministrativi o giurisdizionali, nei termini di decadenza all'uopo previsti, anche nel caso in cui la Commissione, nel determinare il definitivo ammontare del prezzo di cessione, avesse travalicato i Hmiti della sua specifica competenza. '� infatti evidente che le preclusioni connesse al mancato esperi� mento dei cennati rimedi -non potendo valere ad immutare n� la natura meramente amministrativa della delibera della Commissione, n� la natura delle norme dalla stessa violate -avrebbero potuto operare, rendendole non pi� contestabili, solo rispetto alle posizioni giuridiche riservate alla tutela giurisdizionale del giudice amministrativo, e non anche rispetto ai diritti soggettivi che fossero stati eventualmente lesi dalla delibera della Commissione, impedendo al giudice ordinario di accertarne e dichiararne la illegittimit�. Va infine osservato che la previsione a favore di entrambe le parti, tra cui la cessione intercorre, della determinazione del prezzo dell'alloggio in conformit� dei criteri di commisurazione tassativamente previsti dalle norme su richiamate d� origine a una situazione di diritto soggettivo che, come gi� si � detto, sorge -nel concorso delle condizioni all'uopo richieste dalla legge -anteriormente e indipendentemente dalla stipula del contratto di cessione, il quale costituisce lo strumento tecnico- giuridico attraverso cui si perviene soltanto a un definitivo assetto di quella posizione gi� di diritto soggettivo con fa realizzazione del concordato trasferimento della propriet� dell'alloggio all'avente diritto, a mezzo del contratto. Risulta quindi evidente che anche nel caso in oui l'ammontare del prezzo della cessione avesse potuto essere determinato dalla Commis� sione in tutte le sue componenti, mediante l'applicazione e il calcolo di tutti i coefficienti riduttivi, integrativi e limitativi stabiliti dal complesso delle speciali disposizioni vigenti in materia -e avesse potuto ritenersi perci� che il prezzo di cessione poteva essere (ed era stato anche concretamente) determinato dalla detta Commissione, nella piena osservanza dei limiti assegnati a:lla sua specifica competenza -ci� non I 11 PARTE I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 687 avrebbe mai potuto precludere ai giudici di appello di verificare se, nella specie, erano stati rispettati i criteri legali di commisurazione che avrebbero dovuto essere per esso inderogabilmente rispettati sotto comminatoria di nullit� dei contratti di cessione, per cui si controverte. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 �ottobre 1983, n. 6180 -Pres. Moscone -Rel. Colasurdo -P. M. Sgroi -Ministero delle finanze (avv. Stato Laporta) c. Giovannetti (avv. Lopes). Giurisdizione civile -Tardiva corresponsione della indennit� di buonuscita -Domanda di pagamento dei danni -Colpevole ritardo del1' Amministrazione nella trasmissione del progetto di liquidazione all'E.N.P.A.S. -Giurisdizione del giudice ordinarlo. Giurisdizione civile -Riforma della sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione dell'a.g.o. -Omessa rimessione al giudice di primo grado -Violazione del principio del doppio grado di merito -Sussiste. Spetta alla cognizione dell'a.g.o. la domanda di risarcimento dei danni per tardivo pagamento dell'indennit� di buonuscita fondata sul colpevole comportamento dell'Amministrazione di appartenenza (1). Accertata dal giudice d'appello la sussistenza della giurisdizione dell'a. g.o., negata dal giudice di primo grado, la causa va rimessa a questo giudice al fine di garantire il principio del doppio grado del giudizio di merito. L'Amministrazione ricorrente sostiene che la domanda, in quanto rivolta a far valere il diritto del dipendente a conseguire entro il termine perentorio stabilito dalla legge l'indennit� di buonuscita, avrebbe d�>vuto essere rivolta contro l'ENPAS, e cio� contro l'ente incaricato istituzionalmente dell'erogazione, e non gi� all'Amministrazione <li annartenenza, del tutto estranea al rapporto di credito-debito, il cui inadem (1) Questa decisione si riporta alla nota sentenza delle Sezioni Unite in data 12 ottobre 1982, n. 5225. Naturalmente nel giudizio dinanzi al giudice ordinario spetta all'attore fornire la prova della colpa dell'Amministrazione e del danno secondo i criteri fissati dall'art. 1224 del codice civile. Ne resta cos� esclusa la possibilit� per il medesimo di domandare il paga� mento degli interessi corrispettivi e della rivalutazione del credito secondo il criterio di cui agli artt. 429, terzo comma, cod. proc. civ. e 150 delle relative disposizioni di attuazione. Tali domande, prescindendo da un accertamento su stati soggettivi di colpa e traendo diretta fonte dal credito da cui originano, ne condividono la natura spettando in via esclusiva alla cognizione del giudice amministrativo. 688 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pimento era dedotto dall'attore a soste8Ilo delle proprie pretese risarcitorie. �La censura non pu� essere accolta. La domanda infatti, ha per oggetto il risarcimento dei danni che si assume essere derivati da un illecito comportamento colposo tenuto dall'Amministrazione convenuta prima e al di fuori dell'attivit� demandata dalla legge all'ente previdenziale, obbligato per legge all'erogazione dell'indennit� di buonuscita, per cui la pretesa non poteva non essere rivolta contro la detta Amministrazione. D'altra parte � questione di merito lo stabilire se quel preteso comportamento possa aver costituito violazione di un diritto soggettivo dell'attore, e, conseguentemente, essere stato per lui fonte di danni risarcibili. Con il secondo motirvo si denuncia la violazione degli artt. 29 e 30 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, 7 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, 1,3, 25,33 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, e 353 cod. proc. civ., assumendo che, se sussistesse la legittimazione passiva dell'Amministrazione ricorrente, il giudice ordinario difetterebbe di giurisdizione. Si tratterebbe, infatti, di una questione di diritti patrimoniali conseguenziali alla violazione di una situazione inerente al rapporto di pubblico impiego, dal quale deriva l'obbligo dell'Amministrazione finanziaria di comportarsi in modo da rendere possibile la prestazione previdenziale, In ogni caso, poi, Ia Corte di Appello avrebbe violato fart. 353 cod. proc. civ. perch�, avendo ravvisato la giurisdizione negata dal primo giudice, avrebbe dovuto rimettergli la causa. La doglianza � fondata soltanto sotto quest'ultimo profilo. Premesso che, stante quanto si � detto a proposito della legittima zione passiva, qui non si versa nell'ipotesi di cui a:l primo comma del l'art. 6 l. 20 marzo 1980 n. 75, va aggiunto che non si versa nemmeno nell'ipotesi di diritti patrimoniali conseguenziali alla mera Hlegittimit� di un atto o di un comportamento dell'Amministrazione in materia di pubblico impiego. L'attore, invero, deduce un comportamento dell'Amministrazione che sarebbe andato oltre il semplice ritardo del compimento dell'attivit� dovuta in virt� del rapporto di impiego e che assumerebbe gli aspetti dell'illecito. Ne deriva che sussiste al riguardo la giurisdizione del giudice ordinario, come � stato ritenuto dalla Corte di Appello e come queste Sezioni Unite hanno gi� avuto recentemente occasione ,di affer mare (12 ottobre 1982, n. 5225). Il �giudice di appello, tuttavia, non ha rilevato che, proseguendo ~'indagine per accertare la concreta responsabilit� della' convenuta dopo il riconoscimento della proponibilit� della domanda, negata dal Tribunale, veniva a violare il principio del doppio grado del giudizio di merito. PARTE I, SEZ. llI, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 689 Il difetto di giurisdizione -ritenuto dal ;primo giudice, sia pure a torto, preclusivo di ogni indagine sulla fondatezza della domanda non consentiva che l'esame del merito potesse essere svolto nel grado superiore, imponendo invece di rimettere le parti davanti al primo giudice (23 marzo 1979 n. 1669), secondo l'espressa previsione dell'art. 353 cod. proc. civ. invocato dall'Amministrazione ricorrente. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 29 ottobre 1983, n. 6418 -Pres. Mirabelli -Rel. Tondo -P. M. Tamburrino -Minnella (avv. Astolfi e Sardella) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta). GiurlsdWone civile -Riconoscimento del diritto a rimborso IRPEF � Omessa corresponsione � Domanda di pagamento � Giurisdizione delle commissioni tributarie. Nel vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, che ha compiutamente regolato il sistema del contenzioso tributario, la tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente si esplica esclusivamente mediante ricorsi alle commissioni tributarie, giudici speciali cui la legge attribuisce la cognii; ione delle controversie relative agli specifici atti di accertamento, di imposizione o di rifiuto di restituzione di somme indebitamente riscosse nelle materie contemplate dall'art. 1 del citato decreto (1). Con l'unico motivo di ricorso, la Minnella -denunciando violazione delle norme sulla giurisdizione, violazione e falsa applicazione degli artt. 12, 13, 23, 24, 25, 26 e 41 del decreto presidenziale 602 del 1973, degli artt. 19-21 della legge n. 114 del 1977, dell'art. 9 della legge n. 751 del 1976, degli artt. 1 e 16 del decr. pres. 636 del 1978, degli artt. 633 ss. cod. proc. civ. e degli artt. 3, 24 e 97 Cost., nonch� �omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la valutazione di documenti decisi.vi e circa la qualificazione della domanda della ricorrente � -deduce che, una volta valutata la cartella esattoriale per quello che �, e cio� per (1) Sez. Un. 11 aprile 1981, n. 2118. La decisione � pienamente da condividere anche per quanto attiene alla considerazione, contenuta in parte motiva, che il riconoscimento del diritto del contribuente a conseguire il rimborso d'imposta non comporta mutamento del� la natura della relativa controversia, poich� incide su un piano strettamente processuale lasciando inalterato il rapporto fondamentale. La Cassazione conferma cosi la propria virata in tema di rapporti tra contribuente e p.a. specie sotto il profilo della restituzione di somme pagate in carenza del poteli"e impositivo. Da notare che, precedentemente alla ricordata sentenza delle Sez. Un. n. 2118 del 1981, la Cassazione aveva sempre affermato, al riguardo, la giurisdizione dell'A.G.O. (cfr. in proposito la sentenza n. 4668 del 18 ottobre 1978). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DElJ..O STATO riconoscimento di debito quanto alla somma in essa contrassegnata con la lettera R, diventa palese fa falsa applicazione degli artt. 1 e 16 del decr. n. 636 del 1972 e l'erronea qualificazione dell'azione proposta, che � di pagamento di un debito gi� riconosciuto e non di riconoscimento di un diritto a rimborso; e che, conseguentemente, di fronte al riconoscimento gi� avvenuto, non v'era da instaurare alcuna controversia d'imposta sul diritto al rimborso, essendo questo ultimo pacifico e scontato. Il ricorso � infondato. Nel vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, che ha compiutamente regolato ili sistema del contenzioso tributario, la tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente si esplica esclusivamente mediante ricorsi alle commissioni tributarie, giudici speciali alla cui cognizione la legge attribuisce le controversie relative agli specifici atti di accertamento, d'imposizione o di rifiuto di restituzione di somme indebitamente riscosse, nelle materie contemplate daill'art. 1 del cit. decreto (v. per tutte, sent. 11 aprile 1981, n. 2118). Pi� in particolare, nel caso in cui il contribuente affermi che � sopravvenuto diritto al rimborso, si considera imposizione il rifiuto di restituzione della somma pagata, ovvero il silenzio dell'amministrazione per novanta giorni dalla intimazione a provvedere notificata a mezzo di Jettera raccomandata con ricevuta di ritorno, ed il ricorso deve essere proposto, salve diverse disposizioni delle singole leggi d'imposta, entro sessanta giorni dal rifiuto o dalla scadenza dei novanta giorni (art. 16 ult. comma decr. n. 636 del 1972). Nella �specie, pertanto, anche a prescindere dal rilievo che, ai sensi della disciplina contenuta negli artt. 19 e 21 I. 13 aprile 1977, n. 114, modif. dalla 1. 9 dicembre 1977 n. 909, la riliquidazione dell'IRPEF, comunicata mediante notificazione di speciale cartella esattoriale, non attribuisce al contribuente il diritto ad un immediato rimborso delle somme risultanti a di lui credito, ma obbliga soltanto l'ufficio a proporre, in difetto di altri impedimen\i, il rimborso, cui provvede l'Intendenza di Finanza con ordinativo di pagamento da emettere nei trenta giorni della ricezione della proposta, decisiva ed assorbente � la considerazione che il preteso riconoscimento di debito da parte dell'Amministrazione di per s� non esclude, nel caso di rifiuto di pagamento, la esistenza di una controversia d'imposta, perch�, secondo i principi (art. 1988 cod. civ.), la ricognizione di debito non pone in essere una obbligazione astratta rispetto alfa causa e non preclude all'autore di essa di contestare la esistenza del debito, ma determina soltanto un'inversione processuale dell'onere della prova, presumendosi la esistenza del rapporto fondamentale sino a prova contraria. Cos� accertata la persistenza di una controversia d'imposta (art. 16 cit.) � chiaro, poi, che di tale controversia deve conoscere la commissione tributaria, giudice speciale cui dalla [egge essa � attribuita, non gi� il .giudice ordinario, carente, anche in sede monitaria (art. 633 ss. cod. proc. civ.) di giurisdizione. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Giova piuttosto precisare che tale soluzione non � in contrasto con l'orientamento (v. sent. 31 marzo 1983 n. 2350; 4 marzo 1981 n. 1240) secondo cui � di competenza, non gi� cli giurisdizione, la relazione tra la corte di appello, in sede di impugnazione contro la pronuncia della commissione tributaria di secondo grado (art. 40 decr. n. 636 del 1972) e le stesse commissioni tributarie. Tale indirizzo � infatti fondato nel rilievo che il ricorso alla corte d'appello, ora ricordato, non d� luogo ad un'autonoma azione ordinaria, ma configura un normale mezzo d'impugnazione, previsto nell'ambito dell'unico processo tributario come rimedio alternativo e di contenuto uguaile al ricorso alla Commissione centrale: e che ci� comporta la confluenza, nello anzidetto unico processo, di uffici di giurisdizione ordinaria e di giurisdizione speciale, senza che la rispettiva, diversa collocazione in ordini distinti possa avere giuridica rilevanza per la qualificazione del loro rapporto, dal momento che, per disposte normative, essi sono collegati quaili organi di fasi o gradi diversi dello stesso processo e preposti, dunque, all'esercizio della medesima .piurlsc:lizione inteso in senso oggettivo. e che. d'altro canto, le norme che determinano Je funzioni degli organi in fasi o gradi distinti dello stesso processo sono, per definizione, interne alla giurisdizione per la quale esso � istituito ed attengono perci� alfa competenza. � quindi appena il caso di aggiungere che queste considerazioni non si possono ovviamente ripetere con riferimento al rapporto tra commissioni tributarie ed autorit� giudiziaria ordinaria ed in relazione ad un'autonoma azione ordinaria, oggi ammessa solo per talune imposte non rientranti tra quelle elencate nell'art. 1 decr. n. 636 del 1972. Contrariamente a quanto rilevato ad altro fine (v. sent. 5 febbraio 1982, n. 658), l'inserimento della Corte d'Appello nel processo tributario quale alternativo organo di terza istanza, non comporta affatto un accentuato collegamento tra commissioni, e giudice ordinarlo in quanto tale; e soprattutto non toglie che le commissioni tributarie restano giudici speciali e che le norme dirette ad attribuire loro la cognizione esclusiva di determinate controversie, in deroga alla giurisdizione generale del giudice ordinario quale giudice dei diritti attengono, appunto, alla giurisdizione. SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 aprile 1983, n. 2545 � Pres. Mazzacane � Est. Bologna � P. M. Ferraiuolo (parz. diff.) � A.N.A.S. (avv. Stato Laporta) c. Mauro (avv. Mancuso). Espropriazione per p.u. � Indennit� � Opposizione a stima � Dichiarazione d'incostituzionalit� delle norme sulla determinazione dell'inden� nit� in pendenza di giudizio � Effetti � Cessazione della materia del contendere � Esclusione. (legge 25 giugno 1865, n. 2359, art. 51; legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 16 e 19). Espropriazione per p.u. � Indennit� � Criteri dettati dalla legge � sulla casa � � Dichiarazione d'incostituzionalit� � Legge � tampone � � Applicabilit� nei giudizi in corso. (legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16; legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1 e 3). L'opposizione alla stima determinativa dell'indennit� di espropriazione non integra una impugnazione dell'indennit�, ma costituisce una azione oggettivamente devolutiva della questione riguardante la misura dell'indennit� stessa. Ne consegue che nell'ipotesi in cui, pendente il giudizio d'opposizione a stima, sopravvenga dichiarazione d'illegittimit� costituzionale delle norme applicate in sede di determinazione amministrativa dell'indennit�, il giudice non pu� dichiarare cessata la materia del contendere ma deve procedere alla determinazione dell'indennit� in base alle norme ritenute applicabili (1). Le disposizioni della legge 29 luglio 1980, n. 385 (c.d. �legge tampone �) in tema di determinazione dell'indennit� di esproprio, emanate per sostituire provvisoriamente le norme della legge n. 865/1971 dichiarate costituzionalmente illegittime, sono applicabili nei giudizi di opposizione a stima in corso alla data della loro entrata in vigore (2). (1) La sentenza risulta deliberata prima della pubblicazione di Cass., S.U., 26 febbraio 1983, n. 1464 (in Foro it. 1983, I, 626 ed in questa Rass. 1983, I, 124). Sulla natura non impugnatoria dell'opposizione a stima v. in Rass. Avv. Stato, 1982, I, 96, in nota a Cass. 3 novembre 1981, n. 5793, ed ivi ulteriori richiami. (2) Di diverso avviso s'era dichiarato Trib. Sup. AA.PP., 7 aprile 1981, n. 11 (in Rass. Avv. Stato, 1981, I, 861, con nota di LAPORTA, � Legge casa� ed espropriazioni statali), secondo cui la gi� avvenuta emanazione del decreto d'esproprio al momento dell'entrata in vigore della legge �tampone� n. 385/1980 sarebbe stata di preclusione all'applicazione, nei giudizi pendenti, delle norme da questa dettate. PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 693 (omissis). Con il ricorso principale i'ANAS deduce la necessaria appli� cazione nella presente fattispecie della legge sopravvenuta n. 385 del 29 luglio 1980 diretta a superare le conseguenze negati.ve prodotte sul piano della normazione dalla decisione n. 5 del 1980 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimit� costituzionale delle norme (tra cui -in parte -l'art. 16 della legge n. 865 del 22 ottobre 1971 :riguardante il criterio del valore agricolo medio) che avevano introdotto nuovi criteri per la determinazione dell'indennit� dell'espropriazione relativamente all'esecuzioni di opere ad interventi da parte o per conto dello Stato e degli enti pubblici; la disciplina provvisoria contenuta nella legge sopravvenuta sarebbe applicabile anche ai procedimenti in corso, come quello presente. La censura � fondata e merita accoglimento. La tesi della Corte di merito, che ha pronunziata la cessazione della materia del contendere per effetto della sopravvenuta dichiarazione di illegittimit� costituzionale dell'art. 16 della legge n. 865 del 22 ottobre 1971, la quale dichiarazione awebbe sottratto la potestas decidendi al giudice dell'opposizione alla indennit� determinata in relazione alla espropriazione del terreno de quo (definita con decreto in data 18 aprile 1977), � erronea. Si deve precisare che l'opposizione alla stima determinativa dell'in dennit� di espropriazione {anche ai sensi dell'art. 19 della legge n. 865 del 1971, applicata nella specie) non integra una impugnazione dell'inden nit� gi� fissata in via amministrativa, ma costituisce una azione oggetti vamente devolutiva della questione riguardante la misura della inden nit� di espropriazione, ed al giudice della opposizione, quando l'indennit� determinata in via amministrativa non sia stata accettata, spetta il compito di determinare in concreto l'indennit� dovuta sulla base di una nuova ed autonoma valutazione, che deve tener conto dei criteri introdotti dalle norme sopravvenute in corso di causa (Cass. 1981 n. 2509, 1981 n. 4679, 1981 n. 6098). Ci� premesso, si osserva che la sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 30 gennaio 1980 ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale -fra l'altro -dell'art. 16, quinto, sesto e settimo comma della legge n. 865 del 1971 (applicato nella specie in sede amministrativa) e dell'art. 14 legge n. 10 del 1977 nella parte in cui ha modificato <il quinto, sesto, settimo comma del citato art. 16 in tema di criteri determinativi dell'indennit� di espropriazioni. A seguito 1di detta sentenza e per colmare il vuoto normativo cos� verificatosi � intervenuta la legge n. 385 del 29 luglio 1980, applicabile anche ai giudizi in coriso ai sensi dell'art. 3 (purch� -come nella specie in esame -la liquidazione dell'indennit� non sia gi� divenuta definitiva ovvero non sia impugnabile, ovvero non sia stata definita con sentenza passata in cosa, giudicata alla data rdi pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale); l'art. 1 di detta legge soprav 694 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO venuta ha stabilito che, fino all'entrata in vigore di apposita legge sostitutiva delle norme dichiarate illegittime, l'indennit� di espropriazioni deve essere commisurata al valore agricolo medio variamente determinato e dovr� essere assoggettata a conguaglio secondo i criteri contenuti in detta legge sostitutiva (Cass. 1982 n. 3668), il cui termine di emanazione � stato prorogato da ultimo al 31 dicembre 1983 (con legge 23 dicembre 1982 n. 943). In relazione a quanto precede, il ricorso deve essere accolto e per effetto dell'accoglimento e della conseguente cassazione della sentenza impugnata, il giudice di rinvio, pronunziando nel presente giudizio di opposizione alla stima riguardante l'indennit� di espropriazione dovuta dall'ANAS a Mauro Pietro proprietario dei terreni espropriati, sar� tenuto ad 'applicare la legge concretamente vigente al momento della sua decisione ed i relativi criteri determinativi della suddetta indennit�. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 giugno 1983, n. 3954 -Pres. Mazza. cane � Rel. Gualtieri � P. M. Catelani � Palazzo e altri (avv. Capano) c. Ministero dei Lavori Pubblici (avv. Stato Salimei.). ' fil ~ Espropriazione per p.u. � Occupazione temporanea d'urgenza � Illegit� ~i tima per difetto del titolo � Risarcimento del danno � Legittimato passivo � Soggetto che concretamente ba attuato l'occupazione. Enti pubblici � Delegazione amministrativa intersoggettiva . Nozione � Af. fidamento improprio � Attribuzione da parte di un ente ad un altro ente di ogni potere relativo all'esecuzione di un'opera. Procedimento civile � Cassazione civile � Questioni nuove � Inammissiili I I bilit�. Qualora il proprietario di un fondo agisca per il ristoro del danno !�~.~ < derivatogli dall'esecuzione di un provvedimento di occupazione temporanea d'urgenza, deducendo l'illegittimit� di tale esecuzione per difetto di valido titolo, l'identificazione del legittimato passivo va effettuata non con riferimento al soggetto che abbia chiesto ed ottenuto il decreto autorizzativo dell'occupazione, ma a quello che abbia posto in essere il fatto causativo del danno e, cio�, concretamente attuato l'occupazione stessa (1). La delegazione amministrativa intersoggettiva � un istituto peculiare del diritto pubblico, con il quale l'ente investito in via primaria in I ~ i:�: ~:: (1-2) In tema di realizzazione di opera da parte di ente pubblico in regime di affidamento improprio � principio pacifico che il legittimato passivo vada identificato nell'ente che esegue l'opera e concretizzi l'occupazione: v. per tutte Cass., 13 dicembre 1980, n. 6452, in Foro lt., 1981, I, 1082, con nota di richiami. In dottrina non vi sono dubbi che la responsabilit� per l'occupazione illegittima ricada sull'ente materialmente autore dell'occupazione, indipendentemente i: ,,, (.; r i I: f:: t: I[ fil ~~ �: 1~ ~AP"Alr~ PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 69S una data materia, conferisce autoritativamente ed unilateralmente ad un altro ente pubblico una competenza derivata in ordine alla stessa materia, con la conseguenza che l'ente delegato, legittimato all'esercizio di poteri e di funzioni spettanti al delegante, provvede rispetto all'oggetto della delega non in veste di organo o di rappresentante dell'ente competente in via primaria, ma in nome proprio, anche se per conto e nell'interesse del delegante. A tale figura giuridica va assimilato l'affidamento improprio nel quale un ente attribuisce ad un altro ente ogni potere relativo alla esecuzione di un'opera (2). Non � consentito prospettare per la prima volta in cassazione una tesi giuridica del tutto nuova pur se fondata su questioni di diritto processuale e sostanziale gi� dedotte nei precedenti gradi del giudizio allorch� quella tesi compensi la formulazione di pretese ed eccezioni diverse, che non sono state sottoposte all'esame dei giudici del merito (3). dagli eventuali rapporti organizzatori con altri enti: G. DE PINA, Affidamento di opere pubbliche e responsabilit� civile, in Giur. merito, 1974, III, 30; Ro. DELLA, Circa la possibilit� di delegazione, affidamento o sostituzione nella procedura espropriativa, in Ammin. lt., 1971, 496. In tema di rapporti intersoggettivi nel caso di affidamento improprio si ammette, poi, il diritto di rivalsa dell'ente delegato nei confronti dell'ente delegante che sia concretamente resPonsabile. V. per tutte Cass. 17 aprile 1969, n. 1212, in Giust. Civ. 1969, I, 990 con nota di RuOPPOLO -Sulla figura in generale V. la voce delegaziane amministrativa, Umo Dig., voi. di aggiornamento di Rampulla; CARNEVALE VBNCHI, Opere pubbliche (ordinamento), Eds. 1980, XXX, 373. (3) Principio consolidato. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 giugno 1983, n. 4404 -Pres. Falcone - Rel. Zappulli � P. M. Plartino (conci. conf.) -Gozzini {avv. di Roberto e Sciagr�) c. Ministero dei Beni Culturali e Ambientali (avv. Stato Ferri). Demanio � Antichit� e Belle arti � Cose di interesse artistico, storico, archeologico e etnografico � Obbligo di denuncia � Sussiste � Requisito dell'interesse particolare � Irrilevante. (Art. 10, primo comma, legge 1 marzo 1975, n. 44; artt. 1, 2, 3, 12, legge 1 giugno 1939, n. 1089). Sanzioni amministrative � Giudizio di opposizione � Esistenza di un'adeguata motivazione -Potere � dovere del Pretore di accertarla � Sussiste. (Art. 9, legge 3 maggio 1967, n. 317; art. 8, legge 24 dicembre 1975, n. 706). L'interesse archeologico, artistico e storico di cui all'art. 10 della legge n. 44 del 1975, che prescrive l'obbligo di denuncia indicato con formula generica e priva di particolare rigore, corrisponde a quello ugual 8 696 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I ;:: mente generico di cui all'art. 1 legge n. 1089 del 1939, senza che sia ri chiesto quel maggior grado dell'interesse particolare, per il quale sono, r ,~:; invece, legittimate la notifica e la speciale disoiplina di cui alla legge n. 1089 del 1939 {l). Il Pretore, nel giudicare sulla opposizione all'ordinanza di irrogazione della sanzione amministrativa, ha il potere -dovere di riscontrare la esistenza di una adeguata motivazione, pur senza valutare direttamente la congruit� di quella determinazione e senza sostituirvi una sua II pronuncia (2). 1. -Il ,ricorrente Gozzini, con il primo motivo del ricorso, ha lamentato la violazione dell'art. 10 della 1. 1� marzo 1975 n. 44 e dell'art. 1 della 1. 1� giugno 1939 n. 1089. Egli ha sostenuto che, pur secondo la relazione I tecnica del funzionario della Sovrintendenza richiamata nella sentenza, non risultava che le cose oggetto del suo commercio rientrassero tra quelle previste dalla citata legge del 1939 e, come tali, soggette all'art. 10 della suddetta legge del 1975. Secondo il ricorrente, essendo stato preciI sato in quella relazione che gli oggetti commerciati nel negozio erano di m � livello storico, artistico e artigianale corrente e medio �, non vi erano w elementi per ritenerli � di particolare interesse �, e cio� superiori alla I ~ media e alla normalit�, cosi da dover essere tutelati per la collettivit�. ll motivo � ilnfondiato. Invero, in ;primo luogo il citato art. 10 della legge del 1975, nello stabilire l'obbligo della denunzia per �tutti coloro m f~ che esercitano il commercio di cose di interesse archeologico, artistico e storico � ha sostanzialmente ripetuto, con inequivoco riferimento � per . quanto riguarda Je cose mobili, la categoria generale indicata, con la . .. sola aggiunta dell'aggettivo � etnografico � delle �cose... che presentano l .� interesse artistico, storico, archeologico e etnografico � assoggettate, ai (1) Il princ1p10 era stato gi� affermato dalla Cassazione Sezioni Unite, nella sentenza 24 maggio 1975, n. 2102 peraltro citata nel testo � in Foro It., 1976, I, 119 e in Cass. 14 febbraio 1975, n. 590, ivi 1975, I, 1107, con nota di richiaini che affronta il problema in relazione agli atti traslativi di propriet� e alla locazione di l>eni dichiarati di interesse particolarmente importante. (2) Massima consolidata. V. in particolare Cass., 27 ottobre 1978, n. 4892, in Foro It., Rep. 1978; Cass., 14 maggio 1976, n. 1708, ivi, 1976, I, 2671, con nota di richiaini; Cass. 24 febbraio 1976, n. 926, Mass., 1976, in base alle quali l'esistenza di una sufficiente motivazione sul quantum della sanzione � condizione sul piano formale della legittimit� dell'atto e come tale, quindi, forma oggetto del relativo controllo. In senso parzialmente difforme V. Cass., 27 febbraio 1981, n. 623, ivi, 981. In dottrina V. NoccELLI, Poteri di ordinanza del sindaco, irrogazione di sanzioni amministrative e tutela giurisdizionale del privato, in Foro It., 1975, I, 1025. Sul problema V. in generale M. A. SANDULLI, Sanzioni amministrative pecuniarie, Javene, Napoli, 1983, passim. GABRIELLA PALMIERI. PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE sensi della norma fondamentale dell'art. 1 della J. 1� giugno 1939 n. 1089, alla disciplina di detta fogge. Ci� premesso, va posto in rilievo che il successivo art. 3 della stessa attribuisce al Ministro per l'Istruzione Pubblica il potere di eseguire una speciale notifica ai rispettivi proprietari, possessori e detentori, per quelle indicate nell'art. 1 �che siano di interesse particolarmente importante �. Conseguenza di tale notifica, ed esclusivamente per le cose per le quali sia stata effettuata, � oltre che l'irnclusione in speciali elenchi, l'assoggettamento, ai sensi del successivo art. 12, al divieto dri demolizione, rimozione, modifica. o restauro senza l'autorizzazione del ministro stesso, come stabilito dal precedente art. 11. Si evincono chiaramente da queste norme la distinzione e la contrapposizione tra il generico �interesse artistico, storico, archeologico e etnografico � di cui al citato art. 1 e quelle �particolarmente importanti � di cui all'art. 2 e alle altre norme citate, per il cui riconoscimento � imposto il pi� rigoroso vincolo. � Questa medesima distinzione conferma che l'interesse archeologico, artistico e storico di cui all'art. 10 della legge del 1975, indicato con formula generica e priva di particolare rigore, corrisponde a queihlo ugualmente generico, di cui all'art. 1 della legge del 1939, senza che sia richiesto quel maggior grado dell'interesse particolare, per il quale sono legittimate la notifica e la speciale disciplina di cui alle altre norme riportate. Conseguentemente, il riferimento nella motivazione della sentenza impugnata, al � livello corrente medio � accertato neMa relazione tecnica, � ben sufficiente a indicare le ragioni per le quali il giudice ha ritenuto, in conformit� alla suddetta ordinanza, che gli oggetti del commercio esercitato dal Gozzini rientrano nella categoria prevista dal merlzionato art. 10. True distinzione � stata riconosciuta pur da questa Suprema Corte, la quale ha affermato che i beni di interesse artistico e storico sono soggetti, sia pure in misura limitata, alla disciplina di cui alla l. 1� giugno 1975 n. 1089, anche in mancanza dello speciale provvedimento di notifica previsto da tale legge, poich� questo provvedimento, richiesto per le sole cose che posseggano il suddetto interesse in misura rilevante, � necessario esclusivamente ai fini dell'integrale applicazione della legge medesima (Sez. Un. 24 maggio 1975, n. 2102). Sulla base di tale distinzione e della sostanziale corrispondenza tra fa categoria prevista dall'art. 10 della legge deJ 1975 e quella di cui all'art. 1 della legge del 1939, va considerato pure che il suddetto art. 10 ha manifestamente carattere strumentale, essendo diretto, attraverso la imposizione della denunzia ai commercianti di quel �ramo a favorire il controllo e le indagini successive dehl'amministrazione interessata, oltre che per altri fini, per la ricerca di quelle cose che abbiano l'interesse particolare importante, tale da legittimare la successiva e conseguente 698 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO eventuale notifica, rimessa al potere discrezionale degli uffici competenti, per la costituzione del vincolo previsto per quella meno estesa categoria rientrante;� come specie, nel pi� ampio. genere indicato dall'art. 1. Pertanto, � peJfettamente giustificato e conforme a legge che la valutazione possa essere fatta con riferimento a quel livello minore, ma comunque corrispondente alla media, e non sulla base dei requisiti di carattere pi� elevato. Non � dubbio, perci�, che il riferimento alle vailutazioni della menzionata relazione tecnica ha dato luogo una motivazione adeguata e sufficiente, dovendosi tener conto anche della discrezionalit� in tal materia della Pubblica Amministrazione per l'imposizione di quei successivi e maggiori vincoli. 2. -Con il secondo motivo i!l ricorrente ha lamentato, nel �rilevare che l'art. 8 della l. 24 dicembre 1975 n. 306 ha richiesto che l'autorit� amministrativa competente determini la somma dovuta a titolo di sanzione � con ordinanza motivata �, che il pretore ha omesso di considerare la eccepita mancanza di motivazione e Ja conseguente Ulegittimit� dell'atto, per quanto riguavda la entit� della somma, erroneamente affermando che la congruit� della motivazione in ordine alla sussistenza dell'infrazione determinava anche que1la della sanzione applicata e che non spettava al contravventore sindacare l'entit� e i criteri. adottati discrezionalmente dalla Pubblica Amministrazione. Il motivo non pu� essere accolto, pur se va riconosciuto l'errore del giudice sulla asserita insindacabilit� da parte del pretore del difetto di motivazione del provvedimento amministrativo prima dell'entrata in vigore della L. 24 novembre 1981 n. 689 priva di norme retroattive per questa parte. Al riguardo, va osservato, che sia l'art. 9 della L. 3 maggio 1967 n. 317 sia l'art. 8 della legge 24 dicembre 1975 n. 706 disponevano che la somma dovuta per la violazione accertata deve essere determinata con � ordinanza motivata�. In applicazione di tale norma e dei principi generali questa Suprema Corte ha costantemente affermato che il Pretore, nel giudicare sulla conseguente opposizione, ha il potere dovere di riscontrare l'esistenza di una adeguata motivazione, pur senza valutare direttamente la congruit� di quella determinazione e senza sostituirvi una sua pronunzia (Sez. Un. 27 ottobre 1978 n. 4892, 12 aprile 1980 n. 2323; 19 luglio 1980 n. 4727, 3 aprile 1980 n. 2151). Ci� premesso, deve per�, precisarsi che se il giudice dell'opposizione, e cio� il pretore, pu� e deve eseguire il suo controllo sul menzionato requisito della motivazione del provvedimento amministrativo, questa Suprema Corte non pu� compiere direttamente tale valutazione del medesimo, ma solo controllare se il pretore stesso abbia adeguatamente e in conformit� alle leggi effettuato quel contro11o e corrispondente motivato la propria pronunzia. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 699 In base a tale principio e a tale distinzione la sentenza impugnata, pur avendo erroneamente affermato ila insindacabilit� della determinazione della sanzione, ha, con motivazione sintetica ma sufficiente, negato che sussistesse il dedotto difetto di motivazione del provvedimento amministrativo perch� la �congruit� della motivazione (sul fatto) determina anche la congruit� dell'entit� della sanzione �. Quel giudice, in tal modo, ha manifestato di ritenere che fa motivazione del provvedimento su11a estensione dell'infrazione avesse effetto anche per le ragioni della determinazione della sanzione pecuniaria. Tale affermazione, della quale non � stato d~otto alcun vizio di i11ogicit� e contraddittoriet�, manifesta il proced.tmento logico giuridico seguito dal giudice per valutare a sua volta la congruit� della motivazione dell'ordinanza impugnata e si sottrae, perci� ad o~ulteriore sindacato della corte regolatrice. Conseguentemente, il ricorso va rigettato. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 luglio 1983, n. 4512 -Pres. Moscone� Rel. Virgilio -P. M. Sgroi (diff.) -Universit� degli studi di Messina (avv. Nicol�) c. Siracusano '(avv. Sorrentino). Avvocatura dello Stato � Patrocinio di Enti pubblici � Deroga � Condizioni. (r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43; �l. 3 aprile 1979, n. 103, art. 11). Enti pubblici � Universit� degli studi � Rappresentanza e difesa in giudizio � Spetta all'Avvocatura dello Stato � Ricorso per cassazione proposto da avvocato libero professionista � Inammissibilit�. (r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, art. 56; r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43}. L'autorizzazione, conferita ad Enti pubblici, ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato determina la costituzione -ope legis di un mandato di rappresentanza e difesa in giudizio avente caratteri di organicit� ed esclusivit�, il quale, fuori dei casi di conflitto d'interessi tra l'Ente e lo Stato o le Regioni, pu� eccezionalmente essere interrotto solo allorch� la determinazione di non avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura risulti da una delibera motivata dell'Ente sottoposta agli organi di vigilanza (1). (1-2) Ulteriore, rilevante intervento della Corte regolatrice nella definizione dei caratteri del patrocinio di Enti pubblici, da parte dell'Avvocatura dello Stato, dopo le modificazioni introdotte nell'art. 43 T.U. n. 1611/1933 con la legge 3 aprile 1979, n. 103. In argomento, v. LAPORTA, Esercizio dello ius postu� landi per una p.a., ecc., in questa Rassegna, 1980, I, 335. Per particolari aspetti del patrocinio delle Regioni a statuto ordinario, alla luce dell'art. 106 e 107 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, cfr. Cass., S.U., 15 marzo 1982, n. 1672, in questa Rassegna, 1982, I, 705 con nota. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � inammissibile, per difetto di ius postulandi, il ricorso per cassazione proposto da una Universit� col patrocinio di un libero professionista, quando la deliberazione dell'Ente abbia avuto ad oggetto esclusivamente l'opportunit� di proporre impugnazione (2). (omissis) I ~esistenti hanno preliminarmente eccepito l'inammissibilit� del ricorso ed hanno insistito su tale deduzione con Ia memoria depositata il 18 aprile 1983, specifioando che la delibevazione del Consiglio di ammiinistrazione dell'Universit� di Messina in data 3 ottobre 1981 non risulta conforme al precetto inderogabile dell'art. 11 della Jegge 3 aprile 1979 n. 103 (contenente modifiche all'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato) e che pertanto l'Universit� non pu� ritenersi validamente rappresentata e difesa nel presente giudizio da un avvocato del libero foro. L'eccezione � fondata. A norma dell'art. 56 del r.d. 31 agosto 1933 n. 1592 (testo unico delle leggi sull'istruzione superiore) le Universit� e gli istituti superiori possono essere rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato nei giudizi attivi e passivi avanti l'autorit� giudiziaria, i collegi arbitrali e le giurisdizioni amministrative speciali, semprech� non trattisi di contestazioni contro lo Stato. Queste Sezioni unite hanno precisato, anche prima delle modifiche apportate con la legge n. 103 del 1979 al T.U. n. 1611 del 1933, che per le amministrazioni ed enti pubblici indicati {qualora siano autorizzati per legge ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato) la rappresentanza e la difesa sono assunte dall'Avvocatura stessa senza bisogno di mandato, neppure nei casi in cui sia richiesto il mandato speciale. ~ stato infatti ritenuto che anche nell'ipotesi considerata trova applicazione, in forza del chiaro disposto (di rinvio) dell'art. 45 del testo unico, la regola generale (art. 1) secondo cui l'esercizio delle funzioni di rappresentanza e difesa in giudizio non richiede alcun mandato. Con la stessa sentenza n. 700 del 1975 � stato inoltre precisato che l'art. 43 del citato testo unico (nella parte in cui autorizza l'Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa di amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti, a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato) � da considerarsi norma di preminente ca rattere pubbUcistico, volta non alla tutela diretta degli interessi di tali enti, bens� alla tutela dell'interesse esclusivo dello Stato a che i fini pub blici delegati ai medesimi vengano legittimamente e opportunamente per� seguiti mediante l'attribuzione della difesa in giudizio a un organo chia mato a valutare gli interessi dello Stato considerato nella sua unicit�. Questi principi sono stati ancor pi� ribaditi dopo l'entrata in vigore della legge n. 103 del 1979, la quale ha improntato a maggior rigore la disciplina della rappresentanza e difesa nei giudizi degli enti pubblici. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE �1:. stato perci� riaffermato che non � richiesta alcuna deliberazione degli enti ai fini dell'assunzione della difesa da parte dell'Avvocatura dello Stato, n� occorre alcun conferimento di mandato per l'esercizio dello ius postulandi, mentre la deliberazione � necessaria allo scopo di escludere il potere di rappresentanza e difesa spettante ex lege (in forza dell'art. 11 della legge n. 103 del 1979) all'Avvocatura dello Stato, cio� allo scopo di potersi valere dell'opera di Jiberi professionisti (SS.UU., 19 luglio 1982 n. 4204; 27 luglio 1982 n. 4317; 24 settembre 1982 n. 4934; 16 gennaio 1980 n. 374). Sulla lmea dei richiamati principi (con Ja �sentenza n. 4204 del 1982 fu esaminato proprio il caso di una UniveJ:1Sit�) deve ritenersi che l'osservanza delle disposizioni sulla rappresentanza e difesa in giudizio degli enti pubblici, la quale attiene, come si � detto, alla tutela dell'interesse (pubblico) generale dello Stato ne11a sua unicit�, deve essere controllata anche di ufficio, e perci� non ha alcun rilievo la circostanza che i �resistenti abbiano soltanto con la memoria chiarito i teI'Ill.ini della eccezione di �inammissibilit� del ricorso, genericamente proposta con il controri� corso; n� ha rilievo che l'Universit� non abbia ritenuto di dolersi essa stessa della violazione delle norme che regolano la sua rappresentanza e difesa in 'giudizio, non essendo ci� sufficiente ad esimere }a Corte dallo esame della detta eccezione. Passando alla valutazione del caso concreto, va rilevato che la deliberazione 3 ottobre 1981 del Consiglio di amministrazione dell'Universit� di Messina ebbe per oggetto esclusivamente l'esame della opportunit� di proporre ricorso per cassazione avverso la senten21a della Corte di appello, mentre nessun accenno vi � sul punto della rappresentanza e di� fesa dell'ente nel relativo giudizio. Il quinto comma (aggiunto con l'art. 11 della legge n. 103 del 1979) dell'art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933, dopo aver fatto �salve� le ipotesi di conflitto previste nel comma precedente (cio� i casi di conflitto di interessi con lo Stato o con le regioni), dispone che le amministrazioni non statali e gli enti pubblici � ove intendano in casi speciali non avvalersi dell'Avvocatura dello St�to, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli ovgam di vigilanza �. La fattispecie derogatoria, rispetto al potere di rappresentanza e di� fesa attribuito per legge all'Avvocatura dello Stato, si articola in due distinte ipotesi. La prima (conflitto di interessi) non � assolutamente configurabile nel caso in esame perch� sia nel giudizio dinanzi agli arbitri, sia nelle fasi successive, rparti in causa sono soltanto l'Universit� (da una parte) e l'impresa Siracusano (dall'altra), sicch� la contrapposizione di dnteressi riguarda ovviamente tali parti, disputandosi tra esse del contratto di appalto e delle reciproche pretese derivanti da tale contratto. RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DELLO STATO Neppure la seconda ipotesi derogatoria prevista dalla norma si � realizzata. Come chiaramente risulta dal tenore della riportata disposizione, il rapporto che ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio si costituisce ope legis � in via organica ed esclusiva � tra gli enti indicati nel primo comma dell'art. 43 e l'Avvocatura dello Stato, pu� diventare !inoperante soltanto se concorrono due precise condizioni: che l'ente abbia ritenuto, mediante deliberazione motivata, di non avvalersi nel caso concreto dell'organo di difesa previsto in via generale dalla legge, e che la deliberazione sia stata sottoposta agli organi di vigilanza. La deliberazione e il suo assoggettamento ai detti organi sono dunque elementi costitutivi della fattispecie derogatoria (e non gi� meri elementi propedeutici al conferimento del mandato a difensori liberi professionisti), per cui la loro mancanza impedisce la interruzione del rapporto organico di rappresentanza-difesa esistente ipso iure tra ente pubblico e Avvocatura dello Stato. La non avvenuta realizzazione della fattispecie derogatoria comporta perci� la persistenza del menzionato rapporto, con conseguente invalidazione del mandato conferito al difensore privato, il quale in tal caso � sfornito dello jus postulandi per conto dell'ente pubblico. Per le considerazioni esposte, la Corte deve dichiarare !inammissibile il ricorso dell'Universit� di Messina sottoscritto da tale difensore, con assorbimento di ogni altra questione. '(omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 agosto 1983, n. 5311 -Pres. Virgilio - Rel. Sgroi -P. M. Silocchi -Ministero della Difesa Aeronautica (vice Avv. Gen. Gargiulo) c. Fallimento SACA (avv. Selvaggi e Giorgianm). Arbitrato � Lodo parziale � Lodo parziale affermativo della competenza arbitrale � Impugnativa immediata � Inammissibilit�. L'impugnazione immediata contro U lodo parziale non � ammissibile anche se tale lodo decide soltanto la questione di competenza degli arbi� tri, in senso aftermativo (la decisione in senso negativo va data con lodo definitivoj (1). (1) L'immediata azione di nullit� (senza attendere il lodo definitivo) � stata proposta perch�, pur tenendo presente i principi affermati dalla recente sentenza della Cassazione (I sezione, 12 luglio 1979, numero 4-020), -la quale ha ritenuto che il lodo parziale deve essere impugnato insieme con il lodo defi� nitivo -, si � osservato che tali princ�pi concernono esclusivamente un lodo parziale che contenga statuizioni di merito su alcune domande sottoposte agli arbitri, e solo rispetto a tale ipotesi pu� valere il principio dell'impugnazione congiunta del lodo parziale e di quello definitivo (o, il che � Io stesso, PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 703 Con il primo motivo, l'Amministrazione della Difesa deduce la violazione degli artt. 827 e ss. cod. rproc. civ. e dei principi sull'impugnazione immediata del lodo parziale che decide la sola questione di competenza, osservando che il riferimento alle argomentazioni della sentenza n. 4020 del 1979 di questa Corte non � pertinente. Come � detto in tale sentenza, la considerazione unitaria del giudizio arbitrale da parte del giudice del� l'impugnazione � giustificata dall'esigenza di non frazionare il giudizio di merito, in quanto quel giudice avrebbe dovuto procedere al giudizio rescissorio e riesaminare cos� il merito, sebbene questo fosse continuato ad essere affidato agli arbitri per la parte non decisa col lodo non definitivo. invece, nel caso in esame il lodo parziale non riguarda il merito e quindi vengono meno le ragioni che hanno indotto la Cassarione ad accogliere il principio della concentrazione dei gravami. Il lodo non concerne l'oggetto del contratto, ma si limita a decidere una questione che � ancora fuori ad esso. Il principio secondo cui, all'annullamento della sentenza arbitrale, consegue il giudizio di merito da parte dell'A.G.O. investita della querela nullitatis non si applica nel caso che gli arbitri abbiano statuito su controversia sottratta per ragioni di competenza alla Joro cognizione, perch� in tale ipotesi la causa, per rispetto dell'esigenza del doppio grado di giurisdizione, deve essere rimessa al giudice ordinario che sarebbe stato competente a decidere in primo grado la controversia. dell'impugnazione procrastinata del primo lodo), essendo essa imposta dalla struttura unitaria del procedimento arbitrale. Nella specie invece il lodo, pur parziale, ha esaminato la sola questione di competenza senza statuire nel merito; e la pronuncia, rispetto a tale questione, pu�� ritenersi conclusiva. A conforto di tale tesi � stata richiamata la sentenza delle Sezioni Unite 19 luglio 1957 numero 2050 (Giustizia Civile 1957, I, 1460), la quale proprio in tema di competenza, ha ritenuto ammissibile l'impugnativa immediata contro il lodo parziale. Il riferimento alle argomentazioni della sentenza n. 4020 per risolvere la questione di specie, non � pertinente. Come � detto in tale sentenza, la considerazione unitaria del giudizio arbitrale da parte del giudice dell'impugnazione veniva giustificata dall'esigenza di non frazionare il giudizio di merito (e la specie decisa da quella sentenza concerneva un lodo parziale su alcune domande risolte separatamente dalle altre), in quanto quel giudice avrebbe dovuto procedere al giudizio rescissorio e riesaminare cosi il merito sebbene questo fosse continuato ad essere affidato agli arbitri per la parte non decisiva col lodo non definitivo. Ora � evidente che nel caso in esame il lodo parziale non riguarda -si ripete -il merito e quindi vengono meno le ragioni, di indole sistematica, che hanno indotto la Cassazione ad accogliere il principio della concentrazione dei gravami (contro il lodo parziale e contro quello definitivo). E si consideri, infine, che la Cassazione nella stessa sentenza riconosce il potere degli arbitri di frazionare la loro pronunzia in pi� lodi sempre che essa, nel suo complesso, riguardi la totalit� dell'oggetto del compromesso. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Secondo la ricorrente, la Corte di Appello � in errore laddove si sofferma sull'art. 830 cod. proc. civ. perch�, pur non ponendo la legge alcuna distinzione fra le varie ipotesi di nullit� del giudizio e della sentenza arbitrale, non pu� dubitarsi che un diverso trattamento, con esclusione della competenza del giudice dell'impugnazione ad emettere pronuncie di merito ai sensi dell'art. 8'30 cod. proc. civ., debba farsi per quelle ipotesi in cui per divieto di legge il giudizio arbitrale non avrebbe potuto essere comunque istituito. In tali casi non si deve parlare di nullit�, ma J'.'icorrere ipotesi di tinesistenza, cio� di assoluta inefficacia giuridica del lodo, sicch� non possono essere consentite pronuncie quali quelle di merito, di cui al cit. art. 830, aventi per presupposto un procedimento ed una decisione arbitrale, quantunque viziati, non tali per� da poter essere considerati del tutto inesistenti per l'ordinamento. Nella specie l'Amministrazione aveva sostenuto la caducazione e la nullit� assoluta della clausola compromissoria per contrasto con precetti costituzionrali e norme imperative. Con il secondo motivo, l'Amministrazione della Difesa deduce Ja violazione degli artt. 827, 829 e 830, 360 n. 2, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., osservando che nel lodo era detto che gli arbitri, su concorde richiesta delle parti, avevano limitato la pronuncia alla sola questione di competenza, precisando che il giudizio sarebbe proseguito solo dopo iJ passaggio in giudicato del lodo parziale, quale effetto ,della mancata proposizione del regolamento di competenza, ovvero di una pronuncia della Cassazione confermativa della competenza arbitrale. La Corte di appello doveva scegliere fra due soluzioni alternative: o dichiarare inammissibile !'.impugnativa immediata (ed in tal caso non poteva esaminare e decidere i motivi di impugnazione); oppure dichirarare ammissibile l'impugnativa (ed in tal caso doveva esaminare e decidere 1a questione di competenza). La Corte di appello ha invece scelto una terza via, dichiarando inammissibile il'impugnativa immediata, ma accogliendo tuttavia il terzo motivo che criticava il lodo sul mezzo d'impugnazione da esso suggerito, violando in tal modo ~i artt. 824 e 829, perch� doveva ritenersi investita della querela nullitatis ed esaminare e .giudicare anche la questione di competenza. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente e sono infondati. Per completare il quadro dei riferimenti riguardanti la questione, si deve ricordare che questa Corte, con sentenze non recenti (Cass. 20 aprile 1950 n. 1062; Cass. 9 luglio 1965 n. 1431) ha statuito che alla pronuncia dell'arbitro che abbia deciso su!lla propria competenza, senza definire il giudizio, deve riconoscersi il carattere di ordinanza revocabile ai sensi dell'art. 816 ult. comma cod. proc. civ., anche se l'arbitro abbia attribuito alla propria pronunzia la denominazione di sentenza. Tale indirizzo non pu� essere confermato, e pertanto dal principio enunciato non si pu� trarre avgomento per affermare in radice l'inammissibilit� del PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB l'impugnativa di nullit� la quale non pu� rivolgersi contro le ordinanze, ma soltanto contro il lodo (art. 827 ss.). Invero, mentre la sentenza n. 1062 del 1950 si inquadrava nell'indi� rizzo, allora dominante, secondo cui non � ammessa la pronuncia di un lodo parziale, Ja sentenza n. 1431 del 1965 non ha tenuto conto del consolidarsi dehl'opposto indirizzo, che ammette i lodi parziali, a seguito della sentenza deMe Sez. un. 7 agosto 1950 n. 2419. E pertanto, anche sulla competenza il collegio arbitrale si deve pronunciare con lodo parziale. Il problema dehl'impugnabilit� immediata di esso � stato sfiorato dalla sentenza delle sez. unite 19 luglio 1957 n. 3050 che si � limitata ad affermare che non pu� esservi dubbio sull'ammissibilit� dell'impugnazione di nullit� di cui agli artt. 827 e 829 cod. proc. civ. avverso un Jodo parziale 1che ha fissato soltanto i limiti della controversia e delfa competenza arbitrale, escludendo l'ammissibilit� del regolamento di competenza. Quest'ultima affermazione � esatta e conforme ailla costante giurisprudenza di questa Corte, che ha semrpre ritenuto non esperibile il ri� medio del regolamento di competenza, avverso la sentenza arbitrale (fra le altre, cfr. Cass. 15 marzo 1976 n. 930; Cass. 18 dicembre 1973 n. 3433). Invece, l'affermazione precedente, non sovretta da adeguato approfondimento dell'arduo problema, � stata motivatamente superata da Cass. 12 luglio 1979 n. 4020. L'Amministrazione �ricorrente mostra �di non contestare la validit� di quest'ultimo orientamento per i casi in cui gli arbitri abbiano deciso soltanto su alcune delle domande, ma di ritenerlo iinappllicabile all'ipotesi in cui gli arbitri hanno deciso soltanto sulla competenza, affermandola, senza definire il giudizio arbitrale (fermo, ovviamente, il principio deH'esperibilit� dell'impugnativa immediata per nullit� e non del regolamento di competenza). L'assunto della ricorrente non pu� essere condiviso, e non soltanto perch� non appare corretto, in linea di principio, di� scriminare la possibiilit� o meno di esperire l'impugnazione immediata contro la sentenza airbitrale parziale, a seconda che essa pronunci sulla competenza o su altre questioni (o addirittura, a ,seconda della ragione fatta valere con il'Jmpugnazione per nullit�); ma anche perch� nemmeno la ricorrente contesta efficacemente tutte fo ragioni sistematicamente esposte dalla sentenza n. 4020 del 1979. Questa � poggiata su cinque ordini di argomentazioni: a) il sistema della scelta fra impugnazione immediata ed impugnazione differita � imperniato sull'istituto de11a riserva di impugnazione differita, la quale non � utilizzabile nell'impugnazione dei lodi parziali; , b) l'art. 829 n. 4 cod. proc. civ. sancisce con Ja nullit� del lodo la� violazione dell'obbligo degli arbitri di pronunciare su tutte le questioni sottoposte al loro esame. La decisione resta definitivamente parziale e diventa, quindi, operante la causa di nullit�, se il lodo definitivo non venga poi affatto pronunciato o non intervenga tempestivamente, agli ef� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO fetti dell'art. 820; e poich� questo evento � relazionato, in entrambe le ipotesi, alla scadenza del termine per il deposito del lodo definitivo, � chiaro che queJ.:lo parziale non pu� essere impugnato prima di detta data; e, nel secondo caso �(cio� quando n lodo finale sia stato reso dopo la notifica di cui all'art. 821), l'impugnativa deve necessariamente investire entrambi i lodi, nei termini dovuti per il definitivo. Lo stesso discorso vale per l'ipotesi che hl lodo definitivo non esaurisca l'intero oggetto del compromesso: il'incompletezza della sentenza finale ugualmente cristallizza il carattere parziale della pdma pronuncia, con le medesime conseguenze di cui sopra, sicch� anche in tal caso il gravame � reso possibile solo dalla prolazione del lodo definitivo e deve rigua.Tdare di necessit� entrambe le pronuncie (le quali, ai fini della completezza o meno del giudizio arbitrale vanno valutate contemporaneamente); e) in relazione alla stessa ipotesi ed a tutte le altre in cui sia nullo il lodo definitivo, viene �in considerazione l'art. 830 cod. proc..civ.: dovendo il giudice dell'impugnazione dichiarare la nullit� della pronuncia e del giudizio arbitrale tutte le volte che accolga il gravame, tali conseguenze si producono anche quando la nullit� investa un solo capo della decisione a11bitrale, rimanendo travolta, quindi, anche iJ.'eventuale sentenza non definitiva in precedenza resa. Se questa dovesse formare oggetto di impugnazione immediata, il passaggio in giudicato della sentenza medesima, se non impugnata, o di quella che decide il gravame (respingendolo) renderebbe intangibile la statuizione e conseguentemente inoperante l'art. 830; d) con riferimento a1l'inosservanza del termine di deposito del lodo definitivo, [a nullit� di cui al n. 6 dell'art. 829 investe sia il lodo definitivo, depositato oltre il termine, e sia quello parziale. Anche per dedurre questo vizio si impone quindi il differimento dell'Jmpugnativa del lodo parziale, dovendosi evitare l'effetto preclusivo del giudicato che potrebbe prodursi se si ammettesse il gravame immediato, per una diversa causa di nullit� del lodo parziale; e) l'annullamento di un Jodo parziale impugnato immediatamente, obbligherebbe il giudice a procedere al giudizio rescissorio ed a riesaminare, quindi, il merito della controversia, sebbene questo continui ad essere affidato agli arbitri per la parte non decisa con :il lodo non definitivo, con fa conseguente necessit� di una nuova impugnativa per eliminare il lodo definitivo, nonch� con fa possibilit� di pronuncie contraddittorie. La ricorrente non censura espressamente l'argomento sub a). Tuttavia, esso � stato criticato da parte della dottrina, la quale ha osservato che Ja iriserva di impugnazione differita, pu� essere avanzata dall'interessato entro i termini previsti dal 1� e 3� comma dell'art. 828, nelle forme indicate dall'art. 129 secondo comma, disp. att. cod. proc. civ.; non assu PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDRNZA CIVILB mendo �rilievo la circostanza che non sia prevista la comunicazione della sentenza arbitrale, n� l'udienza successiva, a cui fa cenno l'art. 340 comma primo, ultimo inciso cod. proc. civ. Il Collegio osserva che tale argomentazione, se fondata, porterebbe soltanto a ritenere possibile la formalit� della riserva di impugnazione (in analogia con quanto dispone l'art. 340 per l'appello contro le sentenze non ~efinitive), ma tale � formalit� � (ritenuta non necessaria dalla sentenza n. 4020/79) � in linea con il differimento dell'impugnazione, che � il vero cardine di tutto il sistema sopra delineato, nel quale il ~erimento � previsto come necessario, per impedire iI passaggio in giudicato del lodo parziale indipendentemente da quello definitivo (o, comunque, prima della scadenza del termine per il deposito di quest'ultimo) e consentire, attraverso la concentrazione delle impugnazioni, la considerazione unitaria dell'mtera pronuncia, evitando altres� il frazionamento del giudizio rescissorio. Si pu� aggiungere che non pu� .trarsi partito dal principio secondo cui la sentenza non definitiva (del giudice ordinario) sulla sola competenza � impugnabiile soltanto, .in via immediata, con il regolamento di competenza, sicch� ad essa � inapplicabile l'art. 340 cod. proc. civ. (Cass. 22 gennaio 1980 n. 521; ,Cass. 8 giugno 1977 n. 2366); .invero, si � gi� rilevato che il regolamento di competenza � estraneo al sistema delle impugnative del lodo arbitJrale rituale, per cui la verifica dell'ammissibilit� dell'impugnazione immediata del lodo parziale sulla sola competenza va condotta alla stregua delle disposizioni degli artt. 827 e ss. cod. proc. civ. Si deve sottolineare che l'argomento sub a) non � decisivo, nell'ambito dell'indirizzo qui sostenuto, perch� esso poggia essenzialmente sul principio della concentrazione dei gravami contro il lodo arbitrale. Contro l'arrgomento sub b) l'Amministrazione deduce che nella specie essa non aveva inteso sostenere l'esistenza dei vizi indicati dall'art. 829 111. 4 cod. proc. civ.; ma tale argomento non � conferente, perch� l'ammissibilit� o meno dell'impugnazione immediata non deve affermarsi in relazione al concreto motivo d'impugnazione, ma in relazione ai principi generali, applicabili anche al di fuori della fattispecie da decidere. Contro gli argomenti sub e) e d) l'Amministrazione non solleva alcuna critica, e pertanto essi vanno riconfermati, riconoscendosene l'essenzialit� ai fini della affermazione del principio della non impugnabilit� immediata del dodo .parziale, .per evitare le conseguenze incongrue ivi illustrate. Contro l'argomento sub e) l'Amministrazione obietta che il giudice dell'impugnazione del lodo non � competente ad ammettere pronuncie di merito, ai sensi dell'art. 830 cod. proc. civ., nei casi nei quali gli arbitri hanno pronunciato ai di fuori della volont� delle parti o su materie non compromettibili in arbitri per divieto di legge, casi nei quali si � davanti 708 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO; ad ipotesi di inesistenza del lodo, per cui il giudice deve limitarsi a dichiarare l'inefficacia del lodo, mentire per il merito � competente il giudice originario in primo grado. Il Collegio osserva che il princiipio richiamato � stato pi� volte affermato da questa Corte (fra le altre, cfr. Cass. 16 ottobre 1975 n. 3354; Cass. 3 ottobre 1968 n. 3070), ma che esso non � conferente. In primo luogo, � da dubitarsi che si vertesse in ipotesi di assoluta contrariet� a legge della clausola compromissoria (cfr. Cass. 27 maggio 1981 n. 3474), ma ovviamente questa argomentazione non � decisiva, perch� non pu� esaminarsi nel merito il motivo dell'impugnazione per nullit�, ma soltanto verificare se sia esatta o meno Ja decisione della Corte di Appello di Roma ,fili ordine a1l'inammissibilit� dell'impugnazione. Si pu� convenire con l'osservazione che, in taluni casi (cfr. Cass. 25 settembre 1964 n. 2433) non si verificherebbe -con l'impugnazione immediata del lodo parziale sulla competenza del collegio arbitrale - l'inconveniente supra descritto sub e); ma tale argomentazione � di carattere aggiU111tivo e non essenziale, nell'ambito del sistema ricostiruito. Invero, resterebbero insuperabili sempre le precedenti argomentazioni: nel caso di impugnazione immediata e di reiezione della stessa, il giudizio arbitrale proseguirebbe per il merito. Una volta, poi impugnato il lodo definitivo, in ipotesi di accoglimento dell'impugnazione, si dovrebbe procedere �anche al giudizio rescissorio, per cui il giudicato formale sulla competenza degli arbitri sarebbe privato di pratica efficacia. Esso conterrebbe un'mtrinseca contraddittoriet�: da un lato permetterebbe al giudice dell'impu~nazione di conoscere del merito della controversia, ma dall'altro mal si concilierebbe con il fermo principio della inscindibilit� della pronuncia arbitrale, che non pu� annullarsi parzialmente. Concludendo, deve affermarsi che il principio secondo cui l'impugnazione immediata del lodo parziale � inammissibile si applica anche quando il suddetto lodo parziale decide soltanto una questione di competenza degli arbitri, in senso affermativo {la decisione in senso negativo va data con lodo definitivo). Il lodo parziale deve essere impugnato msieme con quello definitivo e nei termini previsti per l'impugnazione di quest'ultimo. L'argomento contenuto nel secondo motivo di ricorso � parimenti infondato. Non � esatto che fa Corte di appello abbia contraddetto i suddetti principi, decidendo parzialmente l'impugnazione e cio� accogliendo il terzo motivo, con cui l'Amministrazione aveva sostenuto che il lodo arbitrale non poteva essere limpugnato con il regolamento di competenza .(contrariamente a quanto detto nel lodo stesso), ma con J'impugnazione per nullit�. Invero, la decisione sul mezzo di impugnazione esperibile non � stata presa dalla Corte di appello m sede di esame del contenuto del lodo (che su tale scelta non poteva dettare alcuna statuizione efficace), ma d'uffii: i: f: 1: i: PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVnB cio, in quanto � l'ordinamento che stabilisce, in modo inderogabile dalle parti e dal giudice, quali sono i mezzi d'impugnazione ammissibili contro una decisione di un certo tipo. '� ovvio, d'altra parte, che non pu� passare in giudicato (e quindi non � necessaria l'impugnazione per evitare la formazione del giudicato) una pronuncia del giudice di grado inferiore che intenda vincolare il giudice �di grado superiore, in ordine al tipo di processo da instaurare in sede di impugnazione. Il problema pu� porsi soltanto quando l'ordinamento configura -rispetto a decisioni emesse dal medesimo giudice -impugnazioni di tipo diverso a seconda del diverso tipo di controversia risoluta, perch� in tal caso l'individuazione del mezzo di volta in volta esperibile va compiuta in base alla qualificazione data dallo stesso provvedimento alla controversia e, attraverso questa, a se medesimo (Cass., Sez. Un. 24 febbraio 1978 n. 931; Cass. 11 ottobre 1978 n. 4506). Ma non pu� sorgere nel presente caso, in cui l'unico mezzo di impugnazione che l'ordinamento prevede � l'impugnazione per nullit�, per cui non pu� sorgere mai un problema di qualificazione da parte del giu� dice a quo, influente sul tipo di impugnazione, che � unico ed inderogabile. Pertanto, la pronuncia preliminare della Corte di appello che ha rico� nosciuto, in astratto, la corrispondenza della querela nullitatis dell'Am� mmistrazione davanti a1la Corte stessa alla tipologia del rimedio predi� sposto dall'ordinamento (pur rilevandone in concreto l'inammissibilit� in quanto rivolta contro un lodo parziale), non si converte in annulla� mento parziale del lodo e non produce le conseguenze esposte dalla ricorrente. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 ottobre 1983, n. 6109 -Pres. San� dulli � Rel. Zappulli -P. M. Silocchi -Ministero del Tesoro (avv. Stato Ferri) c. Battinelli {avv. Casella). Sanzioni amministrative -Sanzioni originariamente amministrative e sanzioni depenalizzate � lntrasmissibilit� passiva per successione � mortis causa � � Limiti. L'intrasmissibilit� passiva per successione mortis causa, ai sensi dell'art. 4 della legge 24 dicembre 1975, n. 706, non pu� trovare applicazione per le infrazioni che, a causa del loro carattere esclusivamente amministrativo, non sono gi� assoggettate alla pena dell'ammenda di cui all'art. 17, 2� comma, codice penale, con la successiva depenalizzazione dalla legge stessa prevista; del pari il principio contenuto nell'art. 7 della legge n. 689 del 1981 non � applicabile alle stesse infrazioni, mantenendo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA l>llLLO STATO il suo effetto la trasmissione ereditaria quando la morte del responsabile sia avvenuta anteriormente alla sua entrata in vigore (1). Ritiene la corte di dover prendere in esame con precedenza il secondo motivo del ricorso principale, :per il suo contenuto pregiudiziale. Con il medesimo il Ministero del Tesoro ha censurato Ja sentenza impugnata, lamentando la violazione degli artt. 4, 10 e 11 della legge 24 dicembre 1975, n. 706, nonch� dell'art. 2 del r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928 e del r.d.l. 12 maggio 1938, n. 794, per avere la corte di merito ritenuto che la citata legge del 1975 riguardasse ooche le infrazioni valutarie e che, quindi, fosse applicabile alle stesse il suo art. 4, in virt� del quale erano esclusi gli effetti della successione ereditaria per le obbligazioni del de cuius relative a somme dovute in sostituzione dell.'ammenda per contravvenzioni depenalizzate. Ha sostenuto l'amministrazione dco:rrente che il nuovo sistema sanzionatodo introdotto da quella legge trovava applicazione solo per le violazioni gi� assoggettate dalle leggi precedenti alla sanzione pena.le dell'ammenda, mentre per le infrazioni valutarie, tra le quali rientrava quella i�n questione, era prevista solo una sanzione amministrativa. Il motivo � fondato e il suo accoglimento non trova ostacolo neanche nella sopravvenuta legge 24 novembre 1981, n. 681 sulle modifiche del sistema penale, la cui applicazione ha formato oggetto di approfondito dibattito nella discussione orale. Circa l'applicabilit� della citata legge 24 dicembre 1975, n. 706, il cui articolo 4 . �sanciva espressamente Ja � mancata trasmissione agli eredi del responsabile delle violazioni da esso previste per l'obbligazione di pagare le somme dovute per quelle �indicate nell'art. 1 �, � facile osservare che questa norma cos� richiamata, e posta a base di quella legge, ha delimitato specificamente, in conformit� al titolo della stessa, il suo campo di applicazione, come dedotto dal Ministero dcorrente, e ci� indipendentemente dalla successiva legge del 1981. Invero, in corri:>pondenza al titolo del testo legislativo � Sistema sanzionatorio delle norme che prevedono contravvenzioni punibili con l'ammenda �, il citato art. 1 aveva innovativamente disposto che non costituivano reato ed erano soggette alle sanzioni amministrative pecuniarie � tutte le violazioni per le quali � prevista soltanto la pena dell'ammenda, sa.Ivo quanto previsto dagli artt. 10 e 11 �. Ne consegue che, ancor prima dell'abrogazione di quella legge di cui all'art. 42 della ;menzionata legge del 1981 l'intrasmissibilit� passiva (1) Sentenza cli particolare interesse che risolve il contrasto sorto in dottrina e in giurisprudenza sulla in~rasmissibilit� per successione mortis causa delle sanzioni esclusivamente amministrative; per riferimenti cfr. Cass. 3 aprile 1979 n. 1885, in Foro lt., Rep. voce Contravvenzione n. 7. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE per successione mortis causa di cui al successivo art. 4, cos� come le altre disposizioni di essa, non poteva trovare applicazione per quelle infrazioni che, a causa del loro precedente carattere esclusivamente �amministrativo, non fossero gi� assoggettate alla pena dell'ammenda di cui all'art. 17, secondo comma, cod. pen. Va aggiunto che, mentre il riportato art. 1 delimita come sopra indicato il campo di applicazione di quella fogge, non vi era nella stessa alcuna norma che consentisse di estendere alle violazioni ,di norme non penali assoggettate a sanzioni amministrative la disciplina da essa prevista. Giova osservare, a conferma di tale interpretazione, che fine di quella Jegge era stata la riduzione del carico complessivo dei procedimenti :penali per gli uffici giudiziari con una correlativa attenuazione, pi� corrispondente a giustizia, delle responsabilit� dei privati per infrazioni di minor .gravit�. Pertanto, si era provveduto ad una estensione di quella depenalizzazione gi� introdotta con precedenti leggi, adottando per le infrazioni cos� depenalizzate una nuova normativa di carattere generale, in relazione a quel mutamento. Nel quadro di tale riforma era stata espressamente stabilita la intrasmissibilit� ereditaria passiva delle sanzioni amministrative stabilite in sostituzione delle ammende penali, nonostante la diversa disciplina preceden~e delle sanzioni gi� previste direttamente senza alcuna commutazione, e ci� per non cagionare un aggravio agli eredi dei responsabili delle infrazioni penalmente sancite. Infatti, senza quella norma, il beneficio della depenalizzazione avrebbe importato, in senso contrario, la trasmissione a loro carico dell'obbligo di pagamento della sanzione amministrativa mentre 'l'ammenda, quale pena, si estingue con la morte del reo ai sensi dell'art. 171 cod. pen. Innanzi a tale espressa e diversa disciplina legislativa, secondo la legge del 1975, � superflua e irrilevante ogni altra questione sui caratteri propri delle sanzioni relative alle infrazioni valutarie, per le quali, come per quella attribuita al defunto marito della Battinelli, fosse stabilita originariamente la sanzione amministrativa pecuniaria. 2. -Ci� premesso, per quanto concerne la citata Jegge del 1975, va rilevato che la stessa aveva effettivamente dato luogo ad una disarmonia nel nostro sistema legislativo in quanto, mentre da un lato ile violazioni depenalizzate erano state sottratte al maggior rigore delle pene in senso strettamente penalistico, con l'assimilazione �alle comuni infrazioni di ordine amministrativo, d'altro lato erano venute meno '1e maggiori garanzie del sistema penale con due gradi di giudizio di merito. Inoltre, si era determinata una situazione per la quale le infrazioni originariamente considerate pi� gravi, tanto da essere represse con la pena dell'ammenda, davano luogo, con la foro depenalizzazione, a :sanzioni amministrative che, dn virt� della espressa norma del citato art. 4 della 'legge del 1971, non erano trasmissibili a carico degli eredi del 712 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO soggetto responsabile, mentre quelle pi� Hevi, per le quali il legislatore aveva dall'origine previsto la sanzione amministrativa pecuniaria, rimanevano, in assenza di specifica norma, trasmissibili a carico degli eredi stessi. N� emno solo questi gli inconvenienti, dovendosi rilevare quelli, per esempio, relativi alla diversa normativa sulla imputabilit�. Pertanto, � chiaro che il legislatore, con la successiva legge 24 novembre 1981, n. 689, ha inteso unificare la materia delle sanzioni amministrative, sia per Je infrazioni depenalizzate sia per quelle originariamente punite con le sanzioni stesse disponendo, tra l'altro, un completo riesame delle ordinanze-ingiunzioni da parte del pretore (art. 23). In questa sistematica unificazione � stata compresa la norm;:i. dell'art. 7, corrispondente al menzionato art. 4 della legge del 1975, con la quale � stato disposto che l'obbligazione di pagare la sanzione non si trasmette agli eredi. Senonch�, non ritiene questa Suprema Corte che tale norma possa trovare applicazione nella specie in esame, neanche in virt� della disposizione transitoria di cui amart. 40 della sovravvenuta legge del 1981. Invero, questo articolo, nello statuire che le disposizioni di quel capo (comprendente il citato art. 7) si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente � quando il relativo procedimento penale non sia stato definito�, ne ha limitato la retroattivit� alle sole infrazioni gi� sancite penalmente e sotto la condizione che il relativo procedimento penale sia tuttora pendente. Al dguardo, gi� questa Suprema Corte ha affermato che, ai sensi dell'art. 40 della legge del 1981, le disposizioni di quel capo si applicano retroattivamente solo quando le violazioni contestate avevano in origine carattere penale ed erano state depenalizzate dalla legge sopravvenuta, in corrispondenza, cio�, al principio dell'art. 2, secondo comma, cod. pen., per effetto del quale nessuno pu� ~ssere punito per un fatto che, secondo fa legge posteriore, non costituisce reato (Cass. 13 dicembre 1982 n. 6824; 11 novembre 1982 n. 5945; 28 gennaio 1983 n: 773). Perci�, quella disciplina transitoria posta dall'art. 40 citato concerne esclusivamente gli effetti sia sostanziali sia procedurali che si collegano alle infrazioni depenalizzate e sotto la menzionata condizione della mancata definizione del procedimento pendente. N� si pu� riconoscere una retroattivit� del menzionato art. 7 autonomamente, e cio� indipendentemente dalla norma' transitoria dell'art. 40. Infatti, quella disposizione, con lo statuire che l'obbligazione in questione � non si trasmette agli eredi �, ha escluso la sua trasmissibilit� solo per il futuro, e cio� ex nunc, senza nulla disporre per le sucoessioni gi� verificatesi. Non � dubbio, al riguardo, che la trasmissione dell'obbligazione al pagamento della sanzione amministrativa, sorta automaticamente al momento della relativa infrazione, si trasmette con l'apertura della successione, e cio� con la morte del responsabile diretto, e PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE non in seguito a una sua contestazione e a un qualsiasi provvedimento dell'autorit� amministrativa, ,PUr se la relativa obbligazione era condizionata all'esito della eventuale opposizione. Consegue dalla menzionata limitazione della norma che Ia trasmissibilit� di quella obbligazione era regolata dalle norme vigenti all'apertura della successione, pacificamente anteriore nella specie alla legge del 1981. Rimanevano, perci�, applicabili le disposizioni precedentemente vigenti sulle sanzioni civili amministrative, in relazione alle quali non ne � stata contestata la trasmissibilit� agli eredi. Pu� pure riconoscersi che JI legislatore, nell'unificare istituti giuridici eterogenei, ha inteso attribuire alle sanzioni amministrative, gi� aventi carattere esclusivamente civile, un carattere �personalissimo�, come dedotto dalla resistente, attraverso il citato art. 7 e altre norme vigenti precedentemente solo nel campo penale, ma ci� non importa necessariamente l'assoggettamento alle nuove norme per ogni infrazione verificatasi anteriormente. Non pu�, pertanto, per il principio consacrato da11'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, riconoscersi una retroattivit� in contrasto con la norma generale da esso posta (� la legge non dispone che per l'avvenire �) nella assenza di qualsiasi disposizione contraria. In virt� di questa norma deve accogliersi il secondo motivo del ricorso principale del Ministero del Tesoro, rimanendo assorbiti il primo motivo del medesimo e il ricorso incidentale della Battinelli, onde va cassata la sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della stessa corte d'appello. Quest'ultima, la quale avr� da provvedere anche sulle spese dell'attuale giudizio per cassazione, dovr� attenersi al principio in virt� del quale la legge 24 dicembre 1975 n. 706 non � applicabile a11e infrazioni per le quali non sia stata originariamente prevista la pena dell'ammenda, con la successiva depenalizzazione da essa stabilita, nonch� a quello in virt� del quale alle infrazioni suddette commesse anteriormente alla successiva legge n. 689 del 1981, non � applicabHe l'art. 7 di quest'ultima, mantenendo il suo effetto la trasmissione ereditaria quando la morte del responsabile sia avvenuta anteriormente alla sua entrata in vigore. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 22 dicembre 1982 n. 21 -Pres. Pescatore -Est. Giovannini -Giannotti {avv. Della Fontana, Cavasola) c. Universit� degli Studi di Bologna (avv. dello Stato Tarin). Giustizia amministrativa -Appello -Questioni pregiudiziali sollevate in primo grado -Riproposizione da parte dell' Amm.ne vincitrice. Necessit� o meno dell'appello incidentale in relazione al contenuto della decisione di primo grado. Quando le questioni di rito sono state espressamente esaminate e decise in primo grado, la loro riproposizione in appello da parte dell'Amministrazione vincitrice 1deve avvenire con apposita impugnazione, per evitare che su di esse si formi il giudicato. Quando invece il giudice di prima istanza abbia dichiarato espressamente di voler prescindere da tali questioni oppure su di esse non si sia affatto pronunciato, l'Amministrazione pu� riproporle con semplice memoria o anche nelle difese orali, potendo comunque il giudice d'appello esaminarle d'ufficio {1). (1) Prima di questa importante decisione la rilevabilit� d'ufficio delle questioni pregiudiziali di rito da parte del giudice di appeHo era .stata liimitiata al difetto di contraddittorio (cfr. IV 27 giugno 1978, n. 606 in Cons. St. 1978, I, 1014 e IV 10 aprile 1979 n. 268 ivi 1979, I, 510 e V '16 ottobre 1981, n. 454 ivi 1981 p. 1043) ed al difetto di giurisdizione (cfr. 15 ottobre 1980, n. 401 ivi 1980, p. 473 e IV 6 giugno 1978, n. 532 ivi 1978 p. 973) ma per tali casi era stata talora persino sostenuta la rilevabilit� d'ufficio nonostante l'esistenza di un'esplicita pronuncia in primo grado non impugnata. (Cfr. Ad. Plen. 28 ottobre 1980, n. 42 ivi 1980, 1290 per il difetto di giurisdizione). La sentenza qui massimata estende la rilevabilit� a tutte le eccezioni pregiudiziali (nel caso di specie si trattava di eccezione di inammissibilit� dei ri corsi sotto il triplice profilo della mancata notifica agli organi autori dei provvedimenti impugnati, dell'attinenza ad atti meramente preparatori e della tardivit�). Essa, per�, sembra per altro e contrario verso stabilire la necessit� dell'appello incidentale, quando vi sia stata espressa decisione anche per quanto concerne il difetto di giurisdizione ed il difetto di contraddittorio, data l'ampiezza della regola dettata e riassunta nella massima. Quest'ultimo aspetto della questione tuttavia non essendo stato affrontato direttamente dall'Adunanza Plenaria rimane piuttosto opinabile. La sentenza si segnala anche per l'interessante raffronto con la giurisprudenza della Cassazione sull'analoga tematica nel processo civile e per l'interpretazione dell'art. 346 cod. proc. civ. come suscettibile di valere anche in seno al giudizio amministrativo solo per la parte in cui � espressivo del principio generale di libert� di forma degli atti processuali e non, invece, per la parte che deroga al principio dell'onere della impugnazione per evitare la formazione del giudicato. G.P.P. PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA; 715 CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 9 marzo 1983 n. 1 -Pres. Pescatore � Est. Lignani -:Petricca (avv. Lav:itola) e Comune di Montelibretti (avv. Davoli). Urbanistica � Piano regolatore adottato dal Comune -Immediata impugnabilit� -Misure di salvaguardia -Riapertura termini per impugnazione piano regolatore, inammissibilit�. Urbanistica � Piano regolatore approvato -Incondizionata impugnabilit�. La delibera comunale di approvazione del P.R.G. avendo una propria immediata efficacia lesiva degli interessi dei singoli pu� essere autonomamente impugnata anche prima della adozione delle misure di salvaguardia, la quale non riapre i termini per impugnare Ja delibera di' approvazione del piano (1). Il piano regolatore approvato pu� essere impugnato anche da chi, pur avendone avuto conoscenza, non abbia impugnato tempestivamente il piano solo adottato (2) *. (*) La motivazione della decisione pu� leggersi nella rivista Il Consiglio di Stato, 1983, I, 205. (1-2) Spunti critici sulla giurisprudenza dell'Adunanza Plenaria relativa alla impugnazione del P.R.G. Questa decisione dell'Adunanza Plenaria ribadisce con alcune correzioni di rotta un orientamento assunto dal Consiglio di Stato con la decisione dell'Ad. Plen. 16 giugno 1978, n. 17 (pubbl. in Foro lt., 1979, III, 14), che aveva costituito nella giurisprudenza amministrativa un revirement cos� brusco da sollevare non pochi dissensi nell'ambito delle sezioni ordinarie dello stesso organo giudicante (cfr. ad es. Sez. IV 15 dicembre 1981, n. 1078 in Cons. St. 1981, I, 1047 e 11 maggio 1979, n. 312 ibidem, 1979, I, 687), e dei T.A.R. (cfr. T.A.R. Puglia 4 settembre 1982, n. 379 in Trib. Amm. Reg. 1982, I, 3175) e T.A.R. Veneto 12 marzo 1981, n. 200). � per questo che sembra opportuno prendere le mosse dalla decisione 17/1978 per ripercorrere il cammino della questione ed esaminarne le pi� recondite motivazioni. Questa prima pronuncia concerneva un ricorso proposto contro una misura di salvaguardia che il Comune di Roma aveva preso, in relazione al piano regolatore solamente adottato, ovvero non ancora approvato in sede regionale. Come � noto le misure di salvaguardia introdotte nella nostra legislazione dalla legge 3 novembre 1952, n. 1902 poi modificata con legge 21 dicembre 1955, n. 1357, 30 luglio 1959, n. 615 e 5 luglio 1966, n. 517, avevano carattere facoltativo, essendo rimessa alla decisione del sindaco la valutazione dell'opportunit� di adottare la misura, consistente nella sospensione di � ogni determinazione sulle domande di licenza di costruzione... quando riconosca che tali domande siano in contrasto con il piano adottato �. Successivamente per� il legislatore, preso atto dei gravi inconvenienti che tale carattere delle misure comportava, costituiti da una applicazione molto limitata e casuale e spesso puramente discriminatoria (cfr. la circolare ministeriale illustrativa della legge 765/1967 riportata da Dr LORENZO, Diritto Urbanistico 1973 p. 513, n. 5), con l'art. 3 della legge ponte rendeva obbligatoria l'adozione delle misure di salvaguardia. Al mutato carattere del provvedimento in questione consegu� l'aggiustamento di tiro delle impugnative, che non si limitarono pi� a censurare le mi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sure in s� e per s�, ma quasi necessariamente dovettero appuntarsi contro l'atto presupposto costituito dal piano regolatore adottato dal Comune; si riteneva per�, da parte della prevalente giurisprudenza, che la deliberazione comunale in quanto atto preparatorio che dava inizio al procedimento di approvazione del piano regolatore non potesse formare oggetto del sindacato di legittimit� in occasione del ricorso contro il provvedimento di salvaguardia (Cons. St. V 8 gennaio 1966, nn. 27 e 37), si ammetteva solamente un'indagine volta ad accertare se la delibera comunale di approvazione del piano esistesse effettivamente, e sussistessero le norme in contrasto con il progetto (Sez. V, 3 giugno 1969, n. 598). Successivamente il giudice amministrativo estese il proprio sindacato, in sede di impugnativa delle misure di salvaguardia, anche ai vizi attinenti al P.R.G. in itinere che delle misure costituivano il presupposto, ferma restando la non autonoma impugnabilit� della deliberazione comunale di adozione del piano prima del perfezionamento dell'iter di approvazione (Sez. V, 15 marzo 1974, n. 260 in Foro it., 74, III, 364). Deve subito rilevarsi a proposito di questa ultima decisione che non appare chiaro se il Consiglio di Stato abbia inteso ammettere la deducibilit� dei vizi del P.R.G. solo adottato come vizi derivati anche alla misura di salvaguardia presa su tale presupposto, oppure se abbia ritenuto impugnabile il P.R.G. per tali vizi seppure solo unitamente alla misura di salvaguardia. Sta di fatto che l'Adunanza Plenaria 17/1978 ha recepito la prima delle due sopraformulate ipotesi, avendo criticata detta sentenza col dire che " ove la prescrizione del P.R.G. dovesse essere annullata in s.g. a seguito di impugnativa della misura a salvaguardia, l'annullamento avrebbe efficacia limitata a questa misura, mentre la delibera di adozione continuerebbe ad esistere anche per la parte annullata ai fini di salvaguardia, come elemento della fattispecie complessa che si conclude con il provvedimento regionale. La conseguenza ulteriore sarebbe che una volta intervenuto questo provvedimento senza aver apportato modifiche alla prescrizione della delibera di adozione gi� ritenuta illegittima, il P.R.G. che entrerebbe in vigore verrebbe a comprendere anche quella prescrizione gi� ammllata �. La conclusione raggiunta non sembra per� cos� necessitata come appare all'Adunanza Plenaria, sol che si ammetta l'estensione dell'impugnativa oltre che alla misura di salvaguardia anche al P.R.G. adottato, che ne sia presupposto e quindi si riconosca in tale limitata ipotesi la caducabilit� a tutti gli effetti anche del P.R.G., in caso di accoglimento del ricorso per i motivi che lo concernono (si noti per inciso che nella causa decisa dalla Sez. V, con la sent. 260/74 cit., i ricorrenti avevano impugnato anche il P.R.G. ma il G.A. aveva negato la fondatezza dei motivi che lo investivano). Comunque, muovendo da questa premessa, l'Ad. Plen. 17/1978, rileva che pur essendo il P.R.G. una fattispecie complessa che si perfeziona a tratto successivo, data l'obbligatoriet� della misura di salvaguardia, la delibera comunale di adozione "produce necessariamente l'effetto immediato di impedire la realizzazione di progetti edilizi che siano difformi dalle prescrizioni del piano adottato per cui " la lesione concreta ed attuale � prodotta direttamente dalla delibera di adozione che per ci� deve essere impugnata, ove conosciuta, prima ancora che intervenga in concreto la misura di salvaguardia �. Risulta palese gi� da queste prime considerazioni che l'intento dell'Adunanza Plenaria � quello di agevolare il destinatario della misura di salvaguardia consentendogli per un verso di richiedere al G.A. il pi� ampio sindacato sul provvedimento impugnato anche per i profili concernenti il collegamento con il P.R.G., per altro verso di ottenere gi� in sede di impugnativa della misura cautelare (e seppure estesa al P.R.G.) l'annullamento della parte di quest'ultimo che illegittimamente lede i propri interessi. PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIV~ Quel che non si comprende � invece il motivo che ha indotto il collegio giudicante a ritenere autonomamente impugnabile il P.R.G. non ancora approvato, deduzione non necessaria che poi finisce con il conseguire effetti opposti a quelli che l'Adunanza si proponeva. I primi problemi nascono per quanto concerne il giorno dal quale decorre il termine per utilmente impugnare il P.R.G. solo deliberato, e la sentenza ne � pienamente consapevole, tant'� vero che si affretta a precisare come la conoscenza del P.R.G. non potr� essere legalmente presunta per effetto della pubblicazione nell'albo, n� potranno applicarsi i principi che regolano l'impugnativa del P.R.G. perfezionato dato lo speciale regime di pubblicit� di quest'ultimo. Ora, a parte le perplessit� che entrambe queste considerazioni suscitano, � evidente che allora non rimangono altri modi per far decorrere il termine oltre alla comunicazione personale ed alla comunicazione del� provvedimento di salvaguardia. Avendo riferimento a quest'ultimo si torna a configurare la necessit� di un'impugnazione congiunta della misura e del P.R.G. facendo rientrare dalla finestra quello che si era fatto uscire dalla porta. Con riguardo poi al primo si attribuisce al Comune la possibilit� di evitare le impugnative dei privati meno accorti che dalla comunicazione del P.R.G. non si rendano conto degli effetti pregiudizievoli, e per altro verso si costringono i privati pi� accorti all'impugnazione immediata del P.R.G., senza attendere l'adozione della misura di salvaguardia che potrebbe in ipotesi anche essere omessa, seppure contra legem. N� agli interessati viene lasciata la possibilit� di presentare osservazioni al P.R.G. deliberato che potrebbero essere accolte dall'organo regionale nell'esercizio dei suoi poteri di modifica del piano, perch� tale agire costituisce indice della presa di conoscenza dello strumento urban�stico e fa quindi decorrere nei loro confronti il termine per l'impugnazione, con l'ulteriore conseguenza, secondo Ad. Plen. 17/1978, che essi non potranno poi impugnare per i medesimi motivi neppure il P.R.G. approvato. A quest'ultima nefasta conseguenza pone rimedio, come si vedr�, la sentenza qui massimata ritenendo non preclusa la impugnazione del piano approvato (e questa � una delle pi� rilevanti correzioni di rotta cui si accennava in principio e sulla cui ammissibilit� logica si torner� in prosieguo), ma rimane anche in questa seconda decisione ferma la conseguenza, pure incongrua, che la martcata impugnazione del P.R.G. adottato rende inoppugnabile la successiva e conseguenziale applicazione di misure di salvaguardia. Il che significa che il privato che abbia comunque avuto conoscenza ufficiale del piano deliberato o che abbia voluto presentare osservazioni per l'organo regionale, deve immediatamente impugnare il P.R.G. per evitare di decadere dalla possibilit� di impugnare a suo tempo, eventuali misure di salvaguardia. Sembra a chi scrive che nel caso di specie si evidenzi come talora il pragmatismo di certe soluzioni sortisca effetti radicalmente opposti a quelli avuti di mira. Tornando con un'ultima osservazione sulla sentenza 17/1978 per analizzarne le motivazioni, occorre altres� osservare che, come si � gi� detto in quell'occasione, il Consiglio di Stato non si � nascosto la difficolt� di � concepire l'impugnabilit� di un atto facente parte di una fattispecie complessa, prima che questa si fosse conclusa con l'emanazione dell'atto cosiddetto di approvazione da parte dell'autorit� statale, ora regionale � epper� ha considerato che � il principio relativo all'esigenza di assicurare la tutela immediata pur quando l'atto amministrativo faccia parte di una procedura ancora in itinere � stato 718 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ribadito di recente da questa adunanza plenaria (dee. 3 luglio 1973, n. 7 in Cons. St. 1973, Ili, 205) �. Orbene nel caso deciso da quest'ultima sentenza il ricorrente aveva impugnato un provvedimento di sospensione dei lavori di costruzione di un edificio, fondato sull'esistenza di una procedura in itinere di annullamento della licenza edilizia, estendendo quindi la propria impugnativa agli atti di quest'ultima procedura, in quanto idonei a viziare in via derivata l'ordine di sospensione; eccepita dall'Amm.ne resistente l'inammissibilit� dell'impugnazione concernente la procedura in itinere, il Consiglio di Stato aveva affermato il principio sopra richiamato, avuto riguardo al caso di specie, nel quale l'interessato in occasione dell'impugnazione dell'atto lesivo (emesso sulla base del distinto potere che aveva per suo presupposto la pendenza di altro procedimento) poteva gravarsi anche contro la procedura in itinere cos� da provocare l'annullamento di quest'ultima e, perci�, del presupposto che � alla base dell'atto lesivo. Il che equivale a dire che si ammetteva l'impugnabi,lit� di un atto inserito in una procedura in itinere ma solo unitamente all'impugnazione dell'atto lesivo di cui il primo era presupposto necessario, e non autonomamente come deciso poi dall'Adunanza Plenaria del 1978 e confermato da quella del 1983 per il piano regolatore solo adottato. In base a queste considerazioni non pu� stupire la resistenza opposta dalle Sezioni ordinarie del Consiglio di Stato ai principi innovatori enucleati dall'Adunanza Plenaria, resistenza ispirata anche alla considerazione delle legittime ragioni difensive dei privati. Basti per tutte ricordare le osservazioni della Sez. V 15 dicembre 1981, n. 1078 ove si legge che � l'innovazione giurisprudenziale rappresentata dalla decisione n. 17 del 1978 dell'Adunanza Plenaria, comunque, non ha ancora dato luogo ad un sicuro orientamento per quanto attiene all'ulteriore problema del termine per 'ricorrere contro il piano adottato, anche perch� quella decisione appare chiaramente ispirata allo scopo di estendere le possibilit� di difesa degli interessati (di per s�, invero, la questione allora proposta all'Adunanza Plenaria riguardava la deducibilit� di determinati motivi di ricorso) piuttosto che a quello di restringerle, come avverrebbe se si traessero dal suo enunciato tutte le conseguenze ipotizzabili �. Va dato atto all'Adunanza Plenaria 1/1983 di essersi fatta carico della validit� delle tesi prospettate dalle decisioni non allineate alla propria precedente giurisprudenza e dell'impegno profuso per superare certe conseguenze incon� grue, di cui � prova il riesame critico operato dell'intera questione. La prima argomentazione cui il Supremo Giudice amministrativo si appella � quella relativa all'obbligatoriet� della misura di salvaguardia per effetto del quale carattere il P.R.G. solo adottato avrebbe acquisito un'efficacia imperativa propria e diretta che ne fa uno strumento di governo del territorio. Rileva per� poi lo stesso giudice che la convinzione circa il carattere immediatamente lesivo del piano non ancora approvato non si fonda soltanto sulla natura obbligatoria e vincolata degli atti applicativi � quasi che bastasse la trasformazione di un atto da discrezionale in vincolato a spostare automaticamente l'effetto lesivo e la conseguente impugnabilit�, all'atto presupposto nel quale si consuma la discrezionalit� amministrativa�. Con questa considerazione il Consiglio di Stato sembra aver colto il vero nucleo del problema; non rileva infatti indagare se il piano solo adottato costituisca o meno strumento di governo del territorio, ma occorre valutare se esso abbia autonomamente un effetto lesivo che determini per il privato un interesse a ricorrere. Tale effetto lesivo viene individuato, nel piano adottato, nell'imposizione ad un terreno di una specifica destinazione urbanistica che lo qualifica e so- I ;-: ,, . j lliill8flJ1�?W,.j!41f��tr�tr�w.�=:r�11111�111'alll7''=�1 PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA stanzialmente configura il cont~uto del diritto del proprietario; da questo punto di vista non vi sarebbero differenze qualitative tra piano adottato e piano approvato, ma solo quantitative costituite dalla diversa stabilit� delle prescrizioni dell'uno e dell'altro. :E!. noto infatti che la legge 765/1967, innovando profondamente nel sistema normativo relativo alle modifiche del piano regolatore da parte dell'autorit� competente per l'approvazione, in accoglimento peraltro dei principi elaborati dalla stessa giurisprudenza, ha dettato nell'art. 3 una disciplina organica della materia disponendo un elenco preciso dei casi in cui possono essere apportate modifiche al piano adottato dal Comune, e tali casi hanno un'ampiezza tale da far correttamente ormai ritenere che il piano risultante dall'approvazione regionale costituisce un atto complesso ineguale, data la preminenza accordata alla posizione dell'autorit� regionale. Data questa premessa, deve porsi il problema di analizzare la portata lesiva del piano solo adottato, che costituisce solamente una prima configurazione dell'assetto del territorio, suscettibile di essere modificato in modo pressoch� totale prima della formazione del piano definitivo e non solo per il prevalere della volont� regionale, ma con lo stesso consenso del Comune che potrebbe (ai sensi del n. 2 dell'art. 3) accogliere delle osservazioni al piano presentate da un privato, con deliberazione del Consiglio, aprendo la strada a qualunque tipo di modifiche. Non si vuol dire che l'efficacia lesiva di un atto si debba misurare necessariamente in relazione al suo carattere definitivo ed immutabile, ma sembra che non si possa fare a meno di avere riguardo all'esistenza di un procedimento in fieri, di cui l'atto in questione costituisce un momento formativo, senza con questo alterare lo stesso concetto di procedimento e determinare la creazione di una molteplice serie di subprocedimenti sfocianti in altrettanti atti impugnabili, con conseguente perversa prolificazione del contenzioso. Viene insomma naturale domandarsi perch� debba essere immediatamente impugnabile un piano solo adottato nonostante l'indefinita sua possibilit� di modifiche e non invece un qualunque parere vincolante incorporato in altro procedimento. Certo il concetto di lesivit� ha un alcunch� di convenzionale nel senso che il legislatore pu� rendere impugnabile qualunque atto individuandone di conseguenza un'efficacia lesiva, ma la creazione giurisprudenziale nel medesimo campo sembra piuttosto pericolosa, aprendo il varco ad ogni sorta di possibili situazioni analoghe. N� si dica che il carattere obbligatorio delle misure di salvaguardia rende lesivo il piano regolatore adottato perch� non si pu� trasporre la lesivit� della misura al piano presupposto in s� e per s� considerato, n�, come s1 e sopra affermato, si vuole contestare la possibilit� di un'impugnazione congiunta dei due atti, bens� quella autonoma del solo piano. Quanto agli altri limitati effetti che secondo la sentenza in epigrafe dimostrerebbero la immediata operativit� del piano adottato, � agevole rilevare che si tratta di fatti di poco conto e non idonei comunque a configurare una reale portata lesiva. Cos� l'Ad. Plen. fa riferimento all'art. 3 ultimo comma legge 18 aprile 1962 n. �167 che consentirebbe di formare un piano di zona per l'edilizia economica anche in base ad un P.R.G. adottato e trasmesso per la approvazione, mentre in realt� un tale contenuto non si trova nella norma citata e pur se vi fosse la lesione, potrebbe derivare dal PEEP e non certo del piano non approvato. Si fa cenno altres all'art. 17 quarto comma legge 765/1967 che attribuisce al piano approvato l'effetto di rendere inapplicabili certe limitazioni di legge all'edificazione, ma anche a prescindere dal considerare che a quelle limita RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 720 zioni si sostituiscono le altre previste dal piano operanti attraverso le misure di salvaguardia obbligatoria, rimane la natura prodromica e solo parzialmente anticipatrice di taluni effetti del piano in questione. Il che non basta ad attribuire un'efficacia lesiva immediata al piano del Comune. La fondatezza di questa riserva sulla tesi sostenuta dal Consiglio di Stato sembra poi avvalorata dalla considerazione della parte successiva della motivazione. Si � gi� detto dell'incongruo rigore del ritenere tenuto il privato ad impugnare il piano adottato conosciuto prima della misura di salvaguardia per evitare la decadenza dalla possibilit� di impugnare quest'ultima (si pensi al paradosso che si determina quando il privato formula delle osservazioni al piano che vengono accolte con delibera comunale ex art. 3 n. 2 legge 765/67 aprendo la strada alla modifica regionale e ciononostante deve impugnare il piano in s.g. per tutelarsi contro le eventuali obbligatorie misure di salvaguardia, con l'ulteriore conseguenza che il G.A. potrebbe accogliere il ricorso determinando l'annullamento del piano e� la necessit� di riprendere dall'inizio l'iter procedimentale). Si osservi ora quella parte della sentenza che innovando parzialmente alla decisione 17/78 ha ritenuto comunque ammissibile l'impugnazione del P.R.G. approvato anche da parte di chi avendo avuto conoscenza di quello solo adottato non lo abbia tuttavia tempestivamente impugnato. Questa soluzione risolve effettivamente, da un punto di vista pratico, molti problemi essendo questo della non impugnabilit� del P.R.G. approvato il punto di maggiore resistenza alla precedente giurisprudenza, che pregiudicava gli interessi sostanziali dei privati. Ma da un punto di vista teoretico essa � la conferma dell'insostenibilit� della tesi che vuole impugnabile anche il solo P.R.G. adottato. Sostiene l'Ad. Plen. che tra le due tesi non sussiste incompatibilit� logica perch� la lesione prodotta dal piano adottato � diversa da quella causata dal piano approvato, in quanto la prima � di minore intensit� e di durata limitata e non � stabile, tutte considerazioni che avvalorano. l'ampiezza del divario, ad avviso di chi scrive, fino al punto di determinare, come si � detto, una differenza qualitativa. N� risulta secondo l'argomentare del G.A. infranto il principio cardine della giustizia amministrativa, secondo il quale in sede di impugnazione di un provvedimento non sono pi� contestabili i vizi dell'atto presupposto che, essendo impugnabile ex se, di fatto non sia stato impugnato; infatti tale principio vale perch� l'autorit� emanante il secondo atto non pu� invocare il precedente che � immodificabile, mentre nel caso di specie l'autorit� regionale pu� modificare il piano comunale, sicch� il suo provvedimento � impugnabile anche per i vizi concernenti il piano adottato. Tale spiegazione del principio sopraenunciato appare inconfutabile, quello che per� sembra essere sfuggito all'Adunanza Plenaria � la sua pi� immediata implicazione logica, cio� che tale tesi implica una inscindibile connessione tra immodif�cabilit� dell'atto amministrativo da parte dell'autorit� (fatti salvi i rimedi eccezionali dell'autotutela) e impugnabilit� da parte dell'interessato. Le vicende amministrative, per assicurare la certezza delle situazioni giuridiche, procedono per gradi, man mano che si raggiunge un certo grado definitivo al privato � consentita la difesa giudiziale mediante l'impugnazione, la quale invece non � ammessa n� prima n� dopo la formazione dell'atto definitivo (salva diversa disposizione di legge). Immodificabilit� ed impugnabilit� sono due concetti logicamente speculari che non si possono quindi alterare autonomamente. Se questo, � come pare, un corollario dell'esatta affermazione contenuta nella seconda parte della sentenza, allora risalta chiaram.ente l'insanabile con PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 721 traddittoriet� tra le due enunciazioni di diritto ivi contenute ed emerge il carattere di compromesso della decisione, che ha voluto conciliare la tesi precedentemente recepita nella sentenza 17/78 dell'impugnabilit� autonoma del piano regolatore solo adottato dal Comune con quella sostenuta con intransigenza dalla prevalente giurisprudenza dell'impugnabilit� incondizionat� del piano approvato, con un'operazione logica la cui difficolt� ricorda quella paradigmatica della quadratura del cerchio. GIAN PAOLO POLIZZI CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 19 maggio 1983 n. 12 -Pres. Pescatore Est. Varrone -Soc. Establissement Oron Societ� (avv. Lavitola) c. Comune di Roma (avv. Palopoli). Urbanistica -Costruzione abusiva -Ordine di demolizione -Irrogazione della sanzione pecuniaria -Motivazione della scelta tra i due strumenti repressivi -Esclusione di ma:ssima -Necessit� per opere conformi al P.R.G. Urbanistica -Costruzione abusiva -Ordine di demolizione -Irrogazione della sanzione pecuniaria -Motivazione della scelta tra i due stru menti repressivi -Necessit� quando trascorso lungo tempo. Per disporre la riduzione in pristino e la demolizione delle opere eseguite senza licenza ai sensi dell'art. 13 legge 7 agosto 1967 n. 765 il Sindaco non � tenuto ad indicare le ragioni di pubblico interesse che giustificano tale scelta in luogo di quella alternativa, ma subordinata, dell'irrogazione della sanzione pecuniaria. Un'attenuazione di tale principio pu� aversi quando l'opera, pur priva di autorizzazione, sia tuttavia conforme allo strumento di pianificazione territoriale comunale (1). (1-2) Come � noto l'applicazione dell'art. 13 della legge 7 agosto 1967 n. 765 ha dato luogo ad un ampio contenzioso sviluppatosi su vari filoni. Il pi� interessante o quanto meno quello di maggior rilievo economico sociale trova finalmente una soluzione nella sentenza sopra massimata dell'Adunanza Plenaria che si segnala per lucidit� ed equanimit� della decisione. Per i due orientamenti opposti, quello che negava la necessit� di una motivazione sulle ragioni di pubblico interesse che inducono l'Amm.ne a scegliere la misura ripristinatoria � espresso da Sez. V 23 ottobre 1981 n. 515 in Cons. St. 1981, I, 1055 ed A 26 ottobre 1976 n. 1319 ivi 1976, I, 1051. Cfr. anche V 30 settembre 1980 n. 785 in Cons. St. 1980, I, 1157 e _30 settembre 1980 n. 784 ibidem 1156; V 15 febbraio 1972 n. 104 ivi 1972, I,� 169 e quello che viceversa affermava la necessit� medesima da 17 ottobre 1980 n. 827 ivi 1980, I, 1328, e 10 aprile 1973 n. 368 ivi 1973, I, 572 e 29 ottobre 1971 n. 958 ivi 1971, I, 1963 richiamate a proposito in sentenza, mentre non pertinenti sono i richiami di Cons. St. V 27 marzo 1981 n. 100 ivi 1981, 317 e di Cons. St. V 26 ottobre 1971 n. 120 ivi 1971, I, 2206. Occorre peraltro segnalare che la maggior parte delle sentenze ispirate a questo secondo orientamento 722 RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA DELLO STATO Quando sia trascorso un lungo periodo di tempo senza che sia stato fatto valere il potere sanzionatorio ex art. 13 legge 7 agosto 1967 n. 765 non si pu� considerare sanata la situazione di illegittimit� dell'opera e tuttavia � necessario che l'Amministrazione indichi le ragioni di pubblico interesse che la inducono a disporre la riduzione in pristino (2). lo hanno affermato in sede di impugnazione della diffida a demolire, ritenendo che per questo atto non fosse necessaria la motivazione suddetta da effettuare invece successivamente in sede di effettiva scelta tra demolizione e sanzione. Pregevole appare altres� l'ambito conferito alle attenuazioni del principio enunciato con riguardo sia all'ipotesi dell'opera non autorizzata ma conforme al P.R.G. sia a quella del lungo tempo trascorso che di fatto fa acquisire anche alla situazione di illegittimit� dell'opera un rilievo non trascurabile quanto meno sul piano dell'affidamento. CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 27 maggio 1983 n. 13 -Pres. Pescatore Est. Baccarini -Ministero della Difesa e Ministero Finanze (avv. Stato Nucaro) c. Regione Friuli Venezia Giulia (avv. Pacia, Rkci) ed altri. Urbanistica -Piano regolatore -Beni del patrimonio indisponibile dello Stato -Mutamento di destinazione -Intesa con l'Amm.ne Statale � Mancanza -Illegittimit�. � illegittimo uno strumento urbanistico che incida su una area occupata da fabbricati militari mutandone la destinazione rispetto a quella gi� attribuita dall'Amministrazione, senza alcuna previa intesa con la stessa (nella fattispecie nella variante del P.R.G. del Comune di Tarvisio era stata destinata a strada statale un'area occupata da alloggi militari) (1)�� (1) Importantissima decisione dell'Adunanza Plenaria, che annulla TAR Friuli Venezia Giulia 24 luglio 1980 n. 247, dopo un approfondito esame di tutti i temi coinvolti nella decisione. La soluzione raggiunta pu� apparire scontata, mentre costituisce il frutto di una travagliata ricerca della normativa appli� cabile che passa attraverso la disciplina dell'art. 828 e.e. ritenuta ininfluente con riferimento a precedenti sentenze (Cons. St. IV 11 dicembre 1979 n. 1144, in Cons. St. 1979, I, 1780; IV 29 aprile 1977 n. 439 ivi 1977, I, 568, e 29 maggio 1973 n. 613, ivi 1973, I, 727 nella penultima delle quali si afferma il principio che i beni patrimoniali indisponibili possono formare oggetto di atti espropriativi per il conseguimento di un fine di interesse generale; viceversa per i beni dema� niali IV 12 dicembre 1978 n. 1192 ivi 1978, I, 1834 ritiene illegittimo il decreto di occupazione d'urgenza avente ad oggetto una strada comunale poich� ai sensi degli artt. 823, 824, e 829 e.e., 8 e 12 legge 12 febbraio 1958 n . .126 e legge 25 giugno 1865 n. 2359 la peculiare destinazione dei beni demaniali impone, per poter disporre alla stregua degli altri beni e per diverse finalit� anche pubbliche, il PARm I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. ricorso al procedimento di sdemanializzazione ad iniziativa del soggetto titolare del bene stesso), attraverso la legge urbanistica 17 agosto 1942 n., 1150, che pur non attenendo direttamente alla fattispecie in esame fornisce tuttavia utili argomenti interpretativi e poi attraverso l'art. 9 della legge 28 gennaio 1977 n. 10 ed il D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, dal quale ultimo l'Adunanza Plenaria trae il primo riferimento al principio dell'intesa come strumento di coordinamento degli interessi contrastanti dei vari enti interessati in mancanza del quale rimane per� fatto salvo il potere preminente dell'Amm.ne Statale, che si esercita attraverso la deliberazione del Consiglio dei Ministri. L'esame del Consiglio di Stato si sposta quindi sulla legge 24 dicembre 1976 n. 898 contenente la nuova regolamentazione delle servit� militari, per una lettura dell'art. 16 significativamente diversa da quella datane dal TAR del Friuli, che aveva radicalmente escluso la necessit� del concorso dello Stato alla formazione della variante del P.R.G., argomentando del carattere solo eventuale del parere della autorit� militare previsto dal comma quarto dell'articolo citato. Secondo la sentenza in esame tale interpretazione � errata, ma l'articolo 16 rimane � ininfluente� ai fini della decisione in quanto nel caso di specie si presentava un'ipotesi di immutazione unilaterale ad opera del P.R.G. della destinazione dei beni del patrimonio indisponibile dello Stato. Questo passaggio della motivazione suscita perplessit� originate dalla mancata considerazione della maggiore gravit� della situazione in esame rispetto a quella ipotizzata dalla norma: in altre parole se la costruzione di strade nel territorio militarmente importante non pu� avvenire senza l'assenso preventivo (in sede di adozione del P.R.G.) o successivo (in sede di esecuzione) dell'autorit� militare non si vede come possa farsi prescindere dalla intesa con la stessa autorit� la costruzione di strada che per di pi� determini una radicale modificazione della destinazione del territorio gi� posta in atto. N� si pu� condividere la tesi del TAR che consentirebbe al pianificatore urbanistico di prescindere dal parere dell'autorit� militare, pur col rischio di vedere poi paralizzata l'attivit� esecutiva dal diniego di autorizzazione: in u realt� tale interpretazione, oltre ad ipotizzare una procedura decisamente anomala, non rileva che l'audizione del parere militare non � affatto eventuale ma doverosa, mentre l'autorizzazione in sede di esecuzione � solo un possibile ripiego quando l'intesa non sia stata previamente raggiunta. Ancora della legge 898/1976 si occupa l'Adunanza Plenaria per rilevare che l'art. 3 utilizza il sistema della intesa (con finale prevalenza del potere statale in caso di insanabile contrasto) per l'armonizzazione tra piani di assetto territoriale della regione e programmi delle installazioni militari, ma anche questa disposizione non viene ritenuta del tutto pertinente riguardando la situazione in cui la disciplina urbanistica costituisce prius e l'opera militare il posterius, mentre nel caso di specie avviene il contrario. Pure questa conclusione non sembra condivisibile perch� se l'intesa �� necessaria quando si tratti di un assetto territoriale che incide su opere militari ancora in fieri a maiori sembra doversene argomentare la obbligatoriet� quando l'incidenza si abbia su opere gi� realizzate. Comunque, scartate tutte queste ipotesi normative il Consiglio di Stato approda alla conclusione che si � detta, sulla base della sola disciplina urbanistica rilevando che, dopo il passaggio alle Regioni del potere di approvare il P.R.G., il coordinamento degli interessi locali con quelli statali non pu� avvenire nel momento dell'approvazione e tuttavia deve realizzarsi in base ai principi generali, poich� con la variante del P.R.G. che muta la destinazione urbanistica di opere militari si esplica una funzione amministrativa relativa non solo alla materia urbanistica ma anche alla materia delle opere pubbliche di interesse statale e della difesa 724 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nazionale che sono riservate alla competenza, statale, e non rileva l'assenza di una disciplina specifica, perch� il coordinamento si pu� evincere dall'esigenza della reductio ad unitatem del sistema. Si tratta dunque di una motivazione ricca e complessa nella quale abbondano spunti e richiami del massimo interesse, ultimo tra i quali si vuole segnalare quello che esclude il rinvio del coordinamento funzionale alla fase attuativa delle previsioni di piano � perch� ci� sottrarrebbe alla sede propria il contributo differenziato dei soggetti legittimati � che costituisce un'ulteriore conferma della necessit� del coordinamento gi� in sede pianif�catoria. G.P.P. CORTE DEI CONTI, Sez. III, 13 gennaio 1982 n. 48927 -Pres. Saraceno Est. Errera -P.M. Visca (conf.). Messale c. Tesoro, Istituti di Previ denza, C.P.D.E.L. (avv. Stato Stipo). Pensioni -Pensioni civili � Impiegati enti locali -Servizi statali � Ricongiunzione -Liquidazione � Criteri. In caso di ricongiunzione tra servizi statali e servizi presso ente con iscrizione agli Istituti di Previdenza la base pensionabile va calcolata sulla retribuzione goduta all'atto del collocamento a riposo, ancorch� maggiore di quella percepita alla cessazione del servizio statale, purch� il periodo di servizio prestato nel nuovo ente sia superiore ad un anno. (omissis). Si ritiene opportuno chiarire preliminarmente che, per maggior compattezza d'esposizione, appare preferibile svolgere congiuntamente � fatto � e � diritto � posto che il � fatto � � prevalentemente costituito da considerazioni giuridiche, vuoi contenute in un precedente giurisprudenziale di fondo, vuoi argomentate nella dialettica dei soggetti parziali del processo. Ci� premesso, va detto, anzitutto, che, con l'impugnato provvedimento, la C.P.D.E.L. ha .liquidato al dr. Messale la complessiva pensione di lire 4.495.500, di cui L. 110.000 in parte b). I criteri della liquidazione della pensione nei riguardi del dipendente statale transitato in un ente compreso nel regime previdenziale degli Istituti di Previdenza. '-',, Particolari problemi ai fini della pensione ha sempre suscitato il caso di un pubblico dipendente che inizia l'attivit� di servizio presso un ente pubblico e poi, cessato il rapporto con detto ente, instaura un nuovo rapporto di servizio con altro ente pubblico. Il problema acquista vieppi� rilevanza qualora differenti siano i regimi pensionistici per i dipendenti dei due enti, cio� l'ente presso il quale ha avuto inizio il rapporto d'impiego e l'ente di appartenenza al momento della liqui dazione della pensione. Si � avuta pertanto la legge 22 giugno 1954, n. 523, con la quale � stato disposto che ai fini del trattamento di quiescenza, i servizi resi allo Stato PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 725 L'Amministrazione ha, cio�, fatto applicazione del quarto comma dell'art. 1 della legge ~6 luglio 1965, n. 965, che recita: �per il periodo di continuazione d'iscrizione e di reiscrizione, che non superi ii cinque anni, qualora la parte a) della retribuzione contributiva goduta nel periodo stesso, risulti superiore a quella riferita alla precedente cessazione dal servizio, la differenza � da comprendersi, in ogni caso, nella parte b) della retribuzione� (� appena il caso di ricordare che la distinzione, posta dai commi secondo e terzo del medesimo articolo, corrisponde, in via di massima, ad emolumenti fissi, certi, fondamentali; ed emolumenti aleatori, incerti nell'an e nel quantum, e relativi a prestazioni in certo senso secondarie, rispetto a quella che costituisca il nucleo essenziale dell'impiego). Nella specie, l'applicazione del riferito quarto comma dell'art. 1 della legge 965, � stata fatta perch� il dott. Messale, gi� ispettore generale del Ministero della Sanit�, dopo aver vinto U pubblico concorso per il posto di �direttore amministrativo dell'Ospedale generale provinciale Umberto I di Siracusa, transit� nella nuova amministrazione il 16 settembre 1974, ma cess� definitivamente, per volontarfo dimissioni il 30 aprile 1977, senza aver, cio�, maturato un quinquennio, e poiche (secondo una fictio juris della quale si riferiranno pi� avanti le ragioni, alla cui sono ricongiungibili con i servizi prestati presso enti locali con iscrizione agli istituti di Previdenza (art. 1). Il trattamento di quiescenza � quello previsto per il personale dell'Ente presso il quale il dipendente si trova al momento della cessazione dal servizio (art. 3). Chi liquida la pensione, ripartisce il relativo onere tra gli enti o casse in proporzione dei rispettivi periodi cui il dipendente � stato iscritto, ricevendone la quota di pensione a loro carico attraverso la capitalizzazione del valore capitale (art. 5 e 6). Nel caso di dipendente transitato dallo Stato ad un ente locale si ha la situazione che la sentenza in Rassegna cos� puntualizza: � La pensione deve essere liquidata secondo la retribuzione pensionabile dell'Ente locale, in genere, per non dir sempre, di gran lunga superiore a quella dello Stato, per grande che possa essere la sperequazione quantitativa che ne derivi a danno dello Stato (secondo la legislazi�ne oggi vigente, anche 39 anni prestati alle dipendenze dello Stato e tino solo alle dipendenze, per es., della Regione Lombardia) con la conseguenza che, poich� il primo comma del successivo art. 5 � l'importo del trattamento di quiescenza si attribuisce, per quote, a ciascun ente concorrente alla ricongiunzione, in relazione alle durate dei rispettivi servizi utili �, lo Stato dovr� accollarsi, al limite nell'esempio fatto, 39 anni di pensione liquidata su una retribuzione che � molto pi� elevata di quella statale �. Il nuovo Testo Unico sul trattamento di quiescenza (d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092) ha voluto per� ovviare a tale situazione, disponendo cos� all'art. 115: � Se in seguito al transito, con o senza soluzione di continuit�, dal servizio statale a quello di altro ente di cui all'art. 113, comma primo (cio� ente con iscrizione agli Istituti di Previdenza), debba farsi luogo alla ricongiunzione 726 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stregua, comunque, il pregresso servizio statale avrebbe potuto considerarsi come prestato in regime d'iscrizione previdenziale alla C.P.D.E.L.), si sarebbe verificato il presupposto della reiscrizione, tutta la retribuzione eccedentaria su quella maturata quale funzionario dello Stato, � stata valorizzata in parte b). In altri termini, la retribuzione pensionabile relativa al servizio reso presso lo Stato, � stata considerata come la pregressa parte a), e quella maturata presso l'Ospedale come una seconda parte a), per la misura superiore alla prima, da Jiquidare in parte b). Nel ricorso il dr. Messale sostiene invece, che, nel suo caso manca il presupposto per l'applicazione dell'art. 1, quarto comma, della legge del 1965, e cio� la continuazione d'iscrizione o la reiscrizione alla C.P.D.E.L.; ha, cio�, contestato �in radice � la fondatezza della fictio juris di cui si sono visti gli effetti. Di questa particolare impostazione giuridica, troviamo l'enunciazionespiegazione nella precedente sentenza di questa Sezione n. 31918 del 23 marzo 1972, in affare Tundo Francesco. Ridotta ad essenziale sintesi, la decisione afferma che fa base della fictio � da ricercarsi nella formulazione letterale, e pi� ancora nella ratio che ispira gli artt. 3 e 7 della legge 22 .giugno 1954, n. 523, intitolata alla �ricongiunzione ai fini del trattamento di quiescenza e della buonuscita, dei servizi resi allo Stato con quelli resi ad Enti locali�. dei servizi, lo Stato determina la pensione spettante al proprio dipendente alla data di inizio del nuovo rapporto, considerando tutti i servizi valutabili, anche mediante ricongiunzione, anteriormente resi. � L'importo della suddetta pensione, con esclusione degli assegni acces sori, � corrisposto in valore capitale all'ente presso il quale il dipendente ha assunto servizio ovvero all'istituto al quale il dipendente stesso viene iscritto ai fini di quiescenza ... Per il personale che transita o sia transitato da uno degli enti di cui al primo comma dell'art. 113 alle dipendenze dello Stato, l'ente di prove nienza o l'Istituto di previdenza cui l'interessato era iscritto liquida il trattamento di quiescenza secondo il proprio ordinamento e ne versa l'im porto allo Stato con applicazione delle norme contenute nei commi pre cedenti�. Il pregiudizio economico si � cos� spostato a danno dell'Ente (o Cassa di Previdenza) dal momento in cui si deve liquidare la pensione, perch� questo deve corrispondere al dipendente la pensione sull'importo dell'ultima retribu zione calcolata per� anche sulla base del periodo di servizio prestato presso il primo Ente di appartenenza. Per ovviare a simili situazioni gi� l'art. 6 d.P.R. 5 giugno 1965 n. 758 (Nuove norme sul cumulo di pensioni e stipendi a carico dello Stato e di Enti pubblici, in applicazione della legge 5 dicembre 1964 n. 1268) cos� ha disposto: � In tutti i casi di ricongiunzione di servizi, ai fini della liquidazione o della riliquidazione del trattamento di quiescenza spettante sulla base dei servizi ricongiunti, non possono essere considerati uno stipendio, una paga PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 727 Ed � proprio questa legge che il Tundo a suo tempo, e il Messale adesso, hanno invocato invece, come l'unica applicabile alle loro pressocch� identiche fattispecie. Secondo l'art. 3 cit., �il diritto al trattamento di quiescenza, diretto o indiretto, la forma di esso, e la sua misura, si stabiliscono applicando le norme che regolano il trattamento medesimo presso .l'Ente al quale il dipendente presta servizio, o � iscritto al momento della cessazione definitiva tenendo conto della totalit� dei servizi valutati. Nell'ottica dei due ricorrenti, quelli il cui caso � stato deciso con sentenza ormai intangibile, e quello il cui caso viene deciso ora (ovviamente, avvalendosi anche dei dati via via forniti dall'evoluzione legislativa da un lato e, dall'altro, dall'esperienza operativa nel frattempo maturata), queste parole significano, puramente e semplicemmente, che la pensione deve essere liquidata secondo la retribuzione pensionabile dell'Ente locale, in genere, per non dir sempre, di gran lunga superiore a quella dello Stato, per grande che possa ess�ere la sperequazione quantitativa che ne derivi a danno dello Stato (secondo la legislazione oggi vigente, anche 39 anni prestati alle dipendenze dello Stato e uno solo alle dipen o una retribuzione superiore a quelli posti a base della liquidazione del precedente trattamento di quiescenza se non sia trsacorso almeno un anno intero nel nuovo rapporto�. Disposizione analoga � stata ripetuta nell'art. 118 del nuovo testo unico sulle pensioni di cui al d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092. Nella legislazione sugli Istituti di Previdenza, invece di un anno intero si richiede un periodo superiore ai cinque anni. Da ultimo l'art. 29 D.L. 28 febbraio 1981, n. 38, nel testo modificato dalla legge di conversione 23 aprile 1981, n. 153, ha stabilito: � Per il periodo di continuazione di iscrizione o reiscrizione che non superi i cinque anni, qualora la parte a) della retribuzione annua contributiva riferita alla data di definitiva cessazione dal servizio risulti superiore a quella riferita alla data della prima cessazione intervenuta nei cinque anni predetti, ai fini della determinazione del trattamento di quiescenza si assume quale ultima retribuzione annua contributiva la media ponderata dell'ultimo quinquennio di servizio, tra le due retribuzioni relative alle cessazioni predette�. Come la stessa Sezione della Corte dei Conti (1) in altra occasione ha precisato, � detta disposizione, nell'esigere un periodo almeno quinquennale di continuazione di iscrizione o di reiscrizione per attribuire alla retribuzione, eventualmente maggiore, rilevanza ai fini della parte A (2) della pensione, ha (1) Corte dei Conti Sez. III, 25 gennaio 1980, n. 44040, Tacchetti c. Istituti Previdenza, in Foro amm. 1980, I, 3, 2262. (2) Nel nuovo sistema di pensionamento introdotto con la legge 26 luglio 1965, n. 965 (il cui quarto comma � stato modificato con la soprariportata norma dell'art. 29 della lcgi;e n. 153 del 1981) nella liquidazione della pensione liquidata dalla C.P .D.E.L. figura una parte A ed una parte B; mentre la parte A della pensione � calcolata sulla retribuzione annua contributiva relativa all'ultimo giorno di servizio con le aliquote previste nella tabella allegata (e quindi con l'attribuzione del 100 % dell'ultima retribuzione -meno l'importodella indennit� integrativa -nel caso del massimo pensionabile) la parte B della pensione (che � puramente eventuale e d� luogo ad un trattamento che si aggiunge a quello fondamentale della parte A) va calcolata alla stregua del previgente sistema facendo riferimento alla successione dei valori della retribuzione contributiva relativa a ciascun anno solare di servizio. IO RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DEll.O STATO 728 denze, per. es., della Regione Lombardia) con la conseguenza che, poich�, il primo comma del successivo art. 5 l'importo del trattamento di quiescenza si attribuisce, per quote, a ciascun Ente concorrente alla ricongiunzione, in relazione alle durate dei rispettivi servizi utili �, lo Stato dovr� accollarsi al limite, nell'esempio fatto 39 anni di pensione liquidata su una retribuzione che � molto pi� elevata di quella statale. Secondo la decisione Tundo, invece, proprio l'art. 3 della legge 523 conteneva il primo nucleo della fictio, individuando, in particolare, nella dizione secondo cui la � misura � del trattamento si stabilisce applicando le norme che lo regolano presso l'Ente al quale l'interessato trovisi iscritto al momento della cessazione, un rinvio a tutta la normativa della C.P.D.E.L., ivi compresa la legge 965 del 1965, con il contestato art. 1, quarto comma. Il secondo nucleo della fictio -sempre secondo la Tundo -si rinveniva, poi, nell'art. 7 della stessa legge 523, che pone il trattamento, salvo rivalsa della quota estranea, a totale carico dell'Ente (o anche dello Stato, a seconda di dove siasi verificata la cessazione ultima; ipotesi, peraltro, che � qui fuor di vertenza), � proprio come se il dipendente avesse prestato sempre servizio in regime d'iscrizione previdenziale alla C.P.D.E.L. La decisione non disconosce che siffatta interpretazione � ottenuta a prezzo di qualche �necessaria forzatura letterale�; ma ritiene decisiva la voluto evitare che tale maggiore retribuzione, percepita magari in dipendenza di un nuovo brevissimo servizio, potesse comportare per gli Istituti di Previdenza l'accollo di un onere pensionistico non sostenuto da adeguate contribuzioni... Si tratta evidentemente di disposizioni che, vuoi per limitare l'onere quiescibile gravante sugli Istituti di Previdenza o vuoi per frustrare facili artifici da parte degli iscritti, pongono dei correttivi al nuovo sistema del calcolo della pensione sull'ultima retribuzione percepita: si pongono cio� come eccezione alla regola�. Orbene tale principio valevole nei casi di continuazione o di reiscrizione alla Cassa di Previdenza era stato ritenuto valido dalla stessa Sezione della Corte dei Conti nei casi di ricongiunzione tra servizi statali e servizi con iscrizione agli Istituti di Previdenza (3). Tale principio � stato ora disconosciuto dalla decisione in Rassegna sulla base dell'art. 118 del nuovo testo unico sul trattamento di quiescenza del per (3) Cos� la decisione 9 giugno 1972; n. 31918, Tundo c. Ist. Previdenza (in Foro amm. 1973, I, ~. 160} dalla quale la sentenza in Rassegna ha inteso discostarsi. Tale decisione, in applicaz1one del quarto comma della legge 26 luglio 1965 n. %5 aveva ritenuto che � in casi di ricongiunzione tra servizi statali e servizi con iscrizione agli Istituti di Previdenza se l'ulti!ll? periodo d~ servizio (c~perto da iscrizione} J'.!On ~~peri i 5 anni e se gli emolumenti relativi a tale penodo (che, d1 regola, andrebbero msent1 nella parte A della base pensionabile prevista dal comma 2 dello stesso articolo) risultino superiori a quelli riferiti alla data della cessazione dal servizio statale, la differenza in pi� va compresa nella parte B dell base pensionabile �. Sul concetto di parte A e parte B del trattamento pensionistico v. la nota precedente. Essendo stato modificato il quarto comma della legge n. 965 del 1965, ed applicando quindi i criteri di cui all'art. 29 della legge n. 153/1981, ne deriva che, ai sensi dell'orientamento espresso con la decisione n. 31918 del 1972, nei casi di ricongiunzione tra servizi statali e servizi con iscrizione alla Cassa di Previdenza, se questi ultimi non superino i cinque anni e la relativa retribuzione risulti superiore a quella goduta alla data di cessazione del servizio statale, la retribuzione annua da prendere a base della pensione � costituita dalla media ponderata dell'ultimo quinquennio di servizio tra la retribuzione relativa alla cessazione del servizio statale e quella relativa alla cessazione del nuovo servizio. PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA. 729 ratio, desunta anche da un esame dei lavori parlamentari, secondo la quale, con la riforma del 1965, si � s� voluto introdurre il nuovo principio della commisurazione della pensione all'ultima retribuzione, ma senza abbandonare del tutto il vecchio sistema d,ei capitali accumulati, e cio� del ragguaglio della pensione ai contributi versati e, quindi, alle retribuzioni in effetti percepite, durante l'intera carriera. Uno degli argomenti sui quali il dr. Messale insiste maggiormente, � quello desunto dall'art. 6 del d.P.R. 758 del 1965 (oggi: art. 118 del t.u. 1092 del 1973), in forza del quale le norme sulla ricongiunzione ex legge 523, non si applicano solo se il perfodo finale pi� favorevole, quello presso l'Ente locale, sia stato inferiore ad un anno. Questa norma, secondo il ricorrente, � assolutamente incompatibile con l'art. l, quarto comma, della legge 965. L'Avvocatura dello Stato e la Procura Generale per iscritto, hanno chiesto il rigetto del ricorso, motivando quasi per relationem alla Tundo; la Procura ha per� aggiunto, a sostegno del rigetto, un ulteriore argomento tratto dalla legge 6 febbraio 1973, n. 16, che ha escluso dall'applicazione dell'art. l, quarto comma, �soltanto� i passaggi dallo Stato alle Regioni. sonale dello Stato (d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092), secondo cui, nel caso di riunione o di ricongiunzione di servizi non pu� essere presa a base della pensione una retribuzione superiore a quella percepita alla fine del primitivo servizio � se non sia trascorso almeno un anno intero nel nuovo rapporto "� Quindi, secondo tale decisione, � sufficiente al dipendente statale che passa alle dipendenze di un ente con iscrizione agli Istituti di Previdenza mantenere per appena un anno il rapporto di servizio per vedersi liquidata la pensione sulla retribuzione da ultimo goduta ed in relazione all'intero periodo del servizio reso alle dipendenze dello Stato. Siffatta interpretazione urta per� contro il disposto dell'art. 36 della Costituzione, che prevede una retribuzione (la pensione � stata infatti considerata una retribuzione differita) proporzionata alla quantit� e alla qualit� del lavoro prestato. Se � vero infatti che la qualit� del lavoro prestato pu� essere soddisfatta con riferimento all'Ultima retribuzione non pu� invece altrettanto dirsi soddisfatta la quantit� se una retribuzione superiore percepita per un solo anno alle dipendenze di un ente venga calcolata per il pi� lungo periodo di servizio reso allo Stato, ma sUlla base di una retribuzione superiore a quella corrisposta e sulla quale ha gravato l'onere contributivo. La norma dell'art. 118 citato non sembra avere voluto limitare ad un anno il servizio reso all'ente diverso dallo Stato per permettere al dipendente transitato nel nuovo ente di liquidare la pensione sul trattamento goduto presso di esso e per l'intero periodo del servizio statale; se tale fosse il senso della norma sarebbe pleonastico l'uso dell'avverbio � almeno �. Se un senso vuol darsi a tale espressione, la interpretazione logica dovrebbe indurre a � ritenere che nel caso di riunione o ricongiungimento di serv1z1 va presa a base l'ultima retribuzione solamente quando nella nuova Cassa di Previdenza vi sia stata una iscrizione per un periodo di tempo previsto nella normativa di detta Cassa, periodo che deve essere di almeno un RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 730 La quale ultima norma ha, peraltro, subito, nelle more del ricorso, un ammorbidimento con la legge 153 del 23 aprile 1981, art. 29, mediante un complesso sistema che vede eliminata Ia parte b), e assume, quale ultima retribuzione, la media ponderata fra le retribuzioni relative alle cessazioni verificatesi nell'ultimo quinquennio (nel quale, � ovvio che le cessazioni debbano essere due: una nel primo, e l'altra nel secondo rapporto; altrimenti la vita di questo ultimo supererebbe, appunto, il quinquennio, e non ci sarebbe, in partenza problema alcuno). Quanto al punto costituito dalla legge 16 del 1973, il Messale ribatte in una memoria aggiunta depositata il 4 marzo 1981, che l'art. unico di questa legge, significa niente di pi� di ci� che dice. Si tratterebbe in sostanza, di norma, avente l'unico, limitato ed esclusivo scopo di favorire in massa il passaggio dallo Stato alle Regioni, che altrimenti, si sarebbe verificato con estrema parsimonia. D'altra parte, nemmeno l'applicazione dell'art. 29 della legge 153 del 1981, come si evince chiaramente dalla lettura della stessa memoria, soddisferebbe il petitum del ricorrente, in quanto egli si dichiara pi� che mai convinto che il suo non sia affatto un caso di continuazione d'iscrizione (dipendente che viene trattenuto in servizio presso lo stesso Ente), n� di reiscrizione (dipendente che, Jnveoe, passa al servizio di un altro anno, in caso che nulla fosse disposto o si prevedesse un periodo di tempo inferiore. Inoltre per disapplicare la normativa vigente per gli Istituti di Previdenza, che nei casi di continuazione di iscrizione o reiscrizione iichiede un periodo minimo di 5 anni per liquidare la pensione sulla base della retribuzione percepita all'atto del collocamento a riposo, la sentenza in Rassegna avrebbe dovuto ritenere che riunione o ricongiunzione di servizi (di cui all'art. 118 del T.U. sulle pensioni) siano ipotesi diverse da quelle di continuazione di iscrizione o reiscrizione previste prima dalla legge 26 luglio 1965 n. 965 cd ora dalla legge 23 aprile 1981 n. 153. Questo problema non � stato posto, ma la sentenza si � limitata a ripor tare la tesi dell'interessato, secondo cui il caso del dipendente passato dallo Stato ad un ente locale non configura n� la continuazione di iscrizione n� la reiscrizione, perch�, secondo l'interessato stesso la prima ipotesi si ha quando il dipendente viene trattenuto in servizio presso lo stesso ente mentre la seconda ipotesi si ha quando il dipendente passa al servizio di un altro ente ma sempre nell'ambito della stessa Cassa o fondo pensioni. Tale definizione dei concetti di continuazione di iscrizione e di reiscri zione non sono esatti e, per vero, la sentenza in Rassegna si limita solo ad esporli senza farli propri. Pi� precisa al riguardo � invece la precedente sentenza, pi� volte richia mata, della stessa Corte dei Conti, 25 gennaio 1980 n. 44040, dove esattamente si precisa che �l'ipotesi pi� chiara (e pi� accessibile) di continuazione di iscrizione � data da due distinti servizi succedutisi autonomamente nel tempo senza soluzione di continuit� tra di loro � mentre � l'ipotesi di reiscrizione presuppone un periodo di interruzione del rapporto previdenziale �. Quindi il criterio differenziale tra le ipotesi di continuazione di iscrizione e di reiscrizione non � dato dalla identit� o meno degli enti presso i quali PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 731 Ente); laddove il citato art. 29 si muove pur sempre nello stesso humus dell'art. 1, quarto comma, della legge 965, e continua, quindi, ad avere il presupposto, appunto, della continuazione d'iscrizione o della reiscrizione al regime previdenziale C.P.D.E.L. Alla pubblica udienza odierna, la causa ha avuto discussione relativamente breve, in rapporto alla complessit� dei suoi precedenti, ed intrinseca. L'Avvocato dello Stat-o, confermando le richieste di cui alla memoria scritta, ha insistito per il rigetto del ricorso; mentre il P.M., cambiando radicalmente le conclusioni scritte, ha chiesto l'accoglimento, sostenendo che la fattispecie non rientra affatto nell'ambito d'applicazione della normativa C.P.D.E.L., bens� in quella dell'attuale t.u. 1092 sulle pensioni artt. 114 e 118, il primo dei quali, riproduce, con modifiche di carattere procedurale, la disciplina della ricongiunzione, gi� compiutamente contenuta nella legge 523, ed il secondo (art. 118), non � che la trascrizione pressoch� testuale dell'art. 6 del d.P.R. 758 del 1965. E poich�, sul metro di quest'ultima, norma, � pacifico che il servizio del dr. Messale presso l'Ospedale di Siracusa, ha largamente superato l'anno, il ricorso -ha concluso 11 Procuratore d'udienza -va accolto. (omissis). si presta serv1z10, bens� dalla circostanza se il rapporto previdenziale abbia o meno avuto soluzione di continuit�. Comunque, agli effetti che interessano, ci� non � decisivo, perch�, al fine di negare vigore alla disposizione di cui all'art. 29 della legge n. 153/1981 (che richiede un periodo minimo di 5 anni per calcolare la pensione sull'importo dell'ultima retribuzione) occorre, come detto, dimostrare che la riunione o ricongiunzione di servizi rappresenti qualcosa di diverso dalla continuazione di iscrizione o reiscrizione. Tale dimostrazione non � stata data, anzi un'interpretazione coordinata delle varie disposizioni legislative nella materia conduce a ritenere che la diversit� cui si accennava non sussiste. Diversamente opinando non avrebbe senso la legge 6 febbraio 1973 n. 16, il cui articolo unico cos� suona: � Per il personale dello Stato, degli Enti locali e degli altri Enti pubblici che sia transitato o transiti, anche a domanda, nei ruoli delle regioni, non trova applicazione la norma di cui alla prima parte del comma quarto dell'art. 1 della legge 26 luglio 1965 n. 965 �. � perci� il legislatore stesso che ci dice che il quarto comma dell'art. 1 della legge 26 luglio 1965 n. 965 (modificato dall'art. 29 della legge 23 aprile 1981 n. 153) si applica al personale che dallo Stato transiti ad un ente locale diverso dalle Regioni. E giova sottolineare come la ora riportata disposizione della legge 6 febbraio 1973 n. 16 � posteriore al d.P.R. 5 giugno 1965 n. 758 il cui art. 6 richiedeva almeno un anno di iscrizione nella nuova cassa; e ci� per fugare ogni dubbio che possa indurre a ritenere di carattere innovativo la disposizione dell'art. 118 del nuovo testo unico sulle pensioni (d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092) che, come detto, si � limitato a ripetere il tenore del citato art. 6. GIUSEPPE STIPO 732 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Per decidere se il ricorso sia o meno fondato, � chiaramente indispensabile esaminare, in una luce critica retrospettiva ma anche proiettata nella pi� immediata attualit�, e senza tralasciare nulla di quanto di obiettivamente significante siasi verificato nel decennio trascorso, le ragioni della decisione Tundo. Ebbene: un esame il pi� possibile approfondito induce il Collegio alla conclusione che, quelle ragioni convincenti, anche se fino a un certo punto, allora, lo sono anzimeno oggi, in cui, sopratutto, non appaiono pi� rispondenti alle istanze che il legislatore mostra di aver gi� accolto o d'essere sulla via d'accogliere. Naturalmente, � appena il caso di accennare che i cambiamenti di giurisprudenza, quand'anche rampollino da ripensamenti totali -e questo non � il caso -sono comunque il segno d'una realt� sempre viva, sempre tesa nello sforzo di attualizzarsi in sintonia con gli impulsi sollecitatori che promanano da due fonti, in particolare: l'evoluzione legislativa e la quotidiana realt� operativa, fra le quali, non � chi non veda i @ nessi di tipo eziologico. ~ Sgombra la mente da ogni pregiudizio, v� cos�, ammesso de plano ~ che l'art. 3 della legge 523 contiene s� una sorta di rinvio recettizio sostan ~ @ ziale alla normativa della C.P.D.E.L., in caso di ricongiunzione con pre ~ gresso servizio statale, e ci� proprio allo scopo d'individuare Ja normativa [ @ alla stregua della quale la liquidazione complessiva debba essere effettuata. @ Questo rinvio �, pi� che utile, necessario per determinare l'onere �:: r contabile definitivo della pensione; non per� (ed � questo un limite imporf! i tantissimo), per la ripartizione fra Stato ed Ente, che per l'art. 5, primo , ' ' l comma, cit., legge 523, avviene secondo quote proporzionali aUa durata I ~ dei rispettivi servizi. Ora, se si cominciano a porre a confronto queste due norme (l'art. 3 ID e l'art. 5, primo comma, della legge 523), si comincia anche a percepire una sorta di convinzione ancora embrionale, alla stregua della quale, l'espressione � misura � dell'art. 3, e la portata stessa del rinvio, siano da intendere in senso stretto, specifico, limitato agli elementi essenziali della liquidazione, quali Ja retribuzione pensionabile da valorizzare, aliquote da applicare, ecc. Si comincia, cio�, a percepire l'idea che il rinvio all'ordinamento della C.P.D.E.L. non sia affatto integrale, e che, in ogni caso, non possa involgere l'applicazione d'una norma cos� fortemente caratterizzata come l'art. l, quarto comma, della legge 965. 10 ~=' Comunque, se c'� il rinvio, c'� anche la fictio, o viceversa: e dice bene la decisione Tundo quando osserva che, se la liquidazione della Il pensione avviene, per usare espressione volutamente generica, con i para lii metri dell'Ente locale, � � come se � fosse stata zione alla C.P.D.E.L. anche per i servizi statali. sempre coperta d'iscrifo' i:: l'o' i:i r ~~ f.:: f.! @ ~:= !41PL#JIJ;il�llfli�JIJl!IJlll1'llfl&�;ffflla1nt_,lǥt PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA, Della finzione giuridica individuata, a suo tempo, dalla decisione Tundo, il Collegio ha evidenziato, finora, la finalit� sostanziale: quella realizzata dal � rinvio � dell'art. 3 della legge 523, sia pure con tutti i limiti finora soltanto ipotizzati. Ma altre finalit� vi sono, di natura pi� propriamente procedurale. S'intende, puramente e semplicemente, semplificare le operazioni, il che � possibile solo se la funzione esiste e, nei suoi limiti, funziona. � evidente, infatti, che proprio perch� � possibile considerare il dipendente, per la pregressa parte dei servizi statali, iscritto alla C.P.D.E.L., si pu� fare una liquidazione sola, anzich� due. Liquida tutto la C.P.D.E.L., secondo la propria normativa di base; e non avviene (che sarebbe una specie di colmo dell'impraticit�) che liquidi prima lo Stato, per la sua quota, secondo una normativa che gli � estranea; e provveda poi, a parte, la Cassa per la propria. Ad unica liquidazione, segue unico pagamento: l'onere � posto intanto a carico della C.P.D.E.L. proprio come se il dipendente avesse sempre prestato servizio con iscrizione a quel regime previdenziale. � questo, s'� visto, l'argomento pro fictio tratto dall'art. 7 della legge 523. Ma, si sa bene, l'incidenza dell'onere � soltanto provvisoria. Lo stesso art. 7 contiene un fondamentale inciso salva la rivalsa di cui all'art. 6, rivalsa che avviene poi secondo le modalit� gi� viste riferendo il primo comma dell'art. 5. L'art. 5, primo comma, parlando di ripartizione secondo le durate dei �rispettivi servizi�, non pu� che riferirsi ai servizi cosi come, nella realt� effettuale, sono stati di fatto prestati, altrimenti quel �rispettivi� se il servizio si dovesse considerare unico non avrebbe alcun senso. E qui la fictio non � pi� sostenibile: qui � il suo limite invalicabile; laddove, per poter valere ai fini dell'applicazione d'una norma quale l'art. l, quarto comma, della legge 965, cosi, strettamente sintonizzata con le finalit� esclusive, generali o particolari della C.P.D.E.L., il presupposto della �continuazione d'iscrizione o della reiscrizione, dovrebbe, forse, sussistere realmente, o almeno presentarsi senza limiti di sorta nella finzione giuridica che consenta, in astratto, di ritenerlo sussistente. In verit�, dalla stessa decisione Tundo, traspaiono preoccupazioni certamente comprensibili, ma che devono arrestarsi di fronte a precise volont� contrarie del legislatore. La preoccupazione fondamentale � quella d'un'eccessiva incidenza della pensione C.P.D.E.L. (pochi anni di servizio) sullo Stato (servizio per intere carriere); n� c'� motivo alcuno di dubitare che questi timori trovassero riscontro negli stessi lavori parlamentari della legge 523. Sta di fatto, per�, che il legislatore cosi volle e cosi continua a volere: vedansi l'art. 114, terzo comma, e 118 dell'attuale t.u. Il 114 dice: �il trattamento di quiescenza, sia per il ,diritto che per la misura ... viene RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 734 disciplinato secondo le norme che lo regolano presso l'ente al quale il ricorrente presta servizio all'atto della definitiva cessazione�; e il 118: � in tutti i casi di ricongiunzione dei servizi, ai fini della liquidazione o riliquidazione spettante sulla base dei servizi ricongiunti, non possono essere considerati stipendi posti a base della liquidazione del precedente trattamento se non sia trascorso almeno un anno intero nel nuovo rapporto �. Ora, questi strumenti normativi, la Sezione li possedeva quando emise la decisione Tundo (si ripete che l'art. 118 non � che la trascrizione dell'art. 6 del d.P.R. 758), ma non poteva, ovviamente, possedere, la preziosa esperienza operativa che sarebbe germinata dalla concreta applicazione della decisione, alla quale, se non sono mancati i consensi, non hanno fatto certo nemmeno difetto le perplessit�; ma soprattutto non poteva prevedere quale sarebbe stata la linea di sviluppo della normativa futura. -In quest'ultimo (e pi� importante) ordine di idee, non appaia fuori luogo citare proprio la legge 16 del 1973 per valersene a sostegno della fondatezza del ricorso. Questa legge ha un chiaro effetto incentivante dei passaggi alle Regioni (quelli, ovviamente, che pi� premevano al legislatore), e non pare affatto azzardato affermare che si sia sentito il bisogno di sancire proprio con una legge, massimo atto d'espressione della volont� autoritativa dello Stato, una situazione di sicurezza, al posto dell'incertezza dominante sulle pi� disperate interpretazioni deila decisione Tundo. Ma questa legge appare rivestire un carattere fondamentale, perch� per �a prima volta guarda con manifesto sfavore (escludendone addirittura l'applicazione, sia pure per una sola categoria), l'art. 4, primo comma, in s� e per s� considerato. Si � gi� visto, come l'art. 29 della legge 153 del 1981 sia intervenuto, di recente, a modificare, in maniera abbastanza incisiva con l'ablazione della parte b), la norma ora detta; � cio� chiaro, incontrovertibile segno che il legislatore odierno non vede pi� con il favore d'una volta una norma che, per valide che siano le ragioni, che ne videro il sorgere, ha indubbiamente finito per costituire una lesione al principio della pensione da liquidarsi sulla retribuzione ultima integralmente percepita. Principio, � vero, ampiamente .negletto, ignorato, disatteso, da tante leggi; ma che, nell'invocata riforma pensionistica, dovrebbe essere fissato come cardine intangibile ad uno dei primi posti d'una normativa, pi� agile, meno dispersiva e pi� giusta. Per le ragioni svolte fin qui, il Collegio ritiene pienamente fondato il ricorso del dr. Pasqualino Messale. (omissis) $. i: ....,,.,.....,~ SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2454 -Pres. Miele Est. Battimelli -P. M. Benanti (conf.)-Ministero delle finanze (avv. Stato Laporta) c. Scandinavian Motor Boats s.r.l. (avv. Ferri e Scalzo). Tributi erariali indiretti -Dogana -Accordo G.A.T.T. � Principio di parit� fiscale tra prodotti nazionali e prodotti importati -Imbarcazioni da diporto � Prima vendita -Esenzione dall'I.G.E. � Assoggettamento ad imposta dei natanti importati � Illegittimit�. (I. 5 aprile 1950, n. 295; 1. 21 luglio 1965, n. 939, art. 4). Tributi erariali indiretti -Dogana � Diritti doganali -Rimborso -Disciplina di cui all'art. 19 D.L. 30 settembre 1982, n. 688 -Applicabilit� all'I.G.E. all'importazione � Esclusione. (d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19; I. 19 giugno 1940, n. 762, art. 17). L'art. III del G.A.T.T., inteso ad assicurare un'equivalenza complessiva degli oneri fiscali rispettivamente gravanti, per imposizioni interne, sul prodotto nazionale e su quello importato, non consente di aver riguardo agli scopi della norma agevolativa del prodotto nazionale n� alla natura giuridica degli atti agevolati nel corso del ciclo produttivo di questo, quando -comunque -all'esenzione fiscale conseguano pi� favorevoli condizioni per l'immissione del prodotto finito sul mercato. Ancorch�, quindi, accordata ai soli atti di prima vendita di imbarcazioni da diporto costruite da cantieri nazionali, l'esenzione dall'I.G.E. prevista dall'art. 4 legge 21 luglio 1965, n. 939 (e diretta, in definitiva, a favorire la stipula di contratti di appalto per lo sviluppo della cantieristica) ha comportato, in applicazione dell'art. III dell'Accordo generale, che identico alleggerimento fiscale andasse operato nei confronti dei natanti importati, da ritenere perci� non assoggettabili, dallo stesso momento, alla corrispondente imposta di cui all'art. 17 legge organica I.G.E. (1). (1) La sentenza fa applicazione del principio, pi� volte affermato, secondo cui la parit� fiscale che l'art. III G.A.T.T. ha stabilito doversi rispettare, quanto ad imposizioni �interne�, fra prodotto importato e prodotto nazionale va intesa in senso globale (cfr. Cass., S.U., 4 gennaio 1975, n. 2, in Rass. Avv. Stato 1975, I, 82; Cass., S.U., 8 giugno 1972, n. 1773, in Foro it. 1972, I, 1963); ma non tiene conto, bench� dallo svolgimento del processo non risulti essersi formata alcuna preclusione in punto di giurisdizione, dell'ordinanza 21 luglio 1981 (in Rass. Avv. Stato 1981, I, 484) con la quale le Sezioni Unite avevano richiesto alla' Corte di giustizia C.E.E. di pronunciarsi, in via pregiudiziale ed in considerazione dell'avvenuta � comunitarizzazione � dell'Accordo generale, sulla idoneit� delle norme G.A.T.T. ad attribuire diritti soggettivi ai cittadini degli Stati membri della Comunit�. 736 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'I.G.E. all'importazione, istituita dall'art. 17 legge 19 giugno 1940 n. 762 in funzione perequativa dell'imposta gravante sugli atti economici relativi ai beni di produzione nazionale, non aveva natura di dazio doganale sebbene riscossa in occasione dell'importazione del prodotto estero; non � pertanto applicabile a tale tributo la speciale disciplina dettata, dal1' art. 19 d.l. 30 settembre 1982, n. 688, per il rimborso dei �diritti doganali � indeb'itamente corrisposti (2). (omissis) Il ricorso � infondato. Ed invero, l'unico argomento addotto dall'Amministrazione ricorrente contro la sentenza impugnata attiene sostanzialmente ad una interpretazione complessiva della legge 21 luglio 1965, n. 939, la quale avrebbe come unico scopo di agevolare le imprese nazionali di costruzioni navali, prevedendo a favore di queste benefici di carattere esclusivamente soggettivo, intesi a ridurre il costo di costruzione delle navi introducendo facilitazioni tributarie analoghe a quelle vigenti a favore delle costru.zioni navali in altri paesi. Tale argomento peraltro non � valido a risolvere la questione qui dibattuta in senso contrario a quello della decisione impugnata: anzitutto va osservato che la ricerca della ratio legis non costituisce se non un criterio sussidiario di interpretazione, in presenza di norme di dubbio contenuto, ma non pu� valere a disattendere la portata della norma qualora (2) I.G.E. all'importazione e restituzione di diritti doganali. '-L'affermata inapplicabllit� dell'art. 19 D.L. 30 settembre 1982, n. 688 al rimborso della c.d. � I.G.E. all'importazione� � affidata, nella sentenza in rassegna, a due rilievi: l'esclusione dell'imposta dal novero dei � diritti doganali>>, ai quali -come pure alle imposte di fabbricazione, alle imposte di consumo e ai diritti erariali -si riferisce la norma nel dettare una speciale disciplina della restituzione d'indebito; e l'espressa sottrazione del rimborso I.V.A. alla sfera d'applicazione dell'art. 19 cit. L'art. 7 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424 e -ora -l'art. 34 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 considerano i �diritti doganali� (che la Dogana � tenuta a riscuotere in relazione alle operazioni doganali) come un pi� ampio genus, del quale costituiscono una species i �diritti di confine � che a loro volta comprendono non solo i dazi ed i prelievi ma, altres�, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo riscossa, all'importazione, a favore dello Stato. Certamente, ora, l'imposta di cui all'art. 17 legge 19 giugno 1940 n. 762 non era un tributo doganale, essendo stata istituita in corrispondenza e con funzione perequativa di una imposta interna -1'1.G.E. -cos� da rimanere soggetta, ad es., alla disciplina dettata per le imposizioni interne dall'art. III G.A.T.T. e non gi� a quella� deline�ta dall'art. II dello stesso Accordo per i prelievi fiscali gravanti esclusivamente sui prodotti importati (senza trovare corrispondenza in una parallela imposizione su quelli nazionali). In tal senso vanno intese quelle pronunce della Corte Suprema che, intorno agli anni 1970, ebbero ad occuparsi del problema della classificazione del tributo de quo, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 737 questa, sia pure contro le intenzioni del legislatore, abbia un inequivocabile significato; inoltre, il ragionamento dell'Amministrazione ricorrente porta comunque alla conclusione che l'intera legge, nel suo complesso, � intesa a ridurre il costo di costruzione delle imbarcazioni e, quindi, a permettere la loro immissione in commercio ad un prezzo competitivo nei confronti dei. prodotti delle industrie non nazionali: e ci� appunto, ove venga realizzato anche a mezzo di manovre fiscali, incorre senza dubbio nella normativa dell'art. III dell'accordo G.A.T.T., che vieta ai paesi aderenti di proteggere la produzione nazionale con qualsiasi mezzo (tasse e imposizioni interne, leggi regolamenti e prescrizioni riguardanti la vendita, la messa in vendita, l'acquisto, il trasporto, la distribuzione o l'utilizzazione dei prodotti sul mercato interno, che, applicati ai prodotti importati o nazionali, si risolvano in una discriminazione dei primi a vantaggio dei secondi). � In altre parole, ci� che rileva non � tanto la natura o lo scopo delle varie norme disciplinanti l'immissione nel mercato delle merci quanto il risultato obiettivo che con esse si consegue; e questa Corte ha avuto gi� occasione di affermare (ved. sent. n. 1317 del 1� marzo 1979) che, al fine dell'applicazione del principio della parit� tributaria fra prodotti nazionali e prodotti importati -introdotto nell'ordinamento nazionale in esecu trovandosi invero specificato in pi� d'una di dette sentenze che � tale imposta non �... imposta doganale, ma rientra tra i diritti doganali, cio� tra quei diritti che colpiscono le merci importate per finalit� diverse � (nel caso, per finalit� perequative dell'imposta gravante sugli atti economici aventi ad oggetto prodotti nazionali scambiati nel territorio dello Stato: cfr., tra le altre, Cass., S.U., 27 giugno 1%9, n. 2309, in Giust. civ. 1969, I, 1180; Cass., S.U., 2 luglio 1969, n. 2779, in Giust. it. 1970, I, 1, 33). Pu� ben essere accaduto che, nella massimazione di queste o altre sentenze, l'esclusione dell'i.g.e. all'importazione dal novero delle imposte doganali sia stata tradotta in esclusione della stessa dalla categoria dei � diritti doganali �; ma � chiaro tuttavia che nella formulazione di tali massime la espressione � diritti doganali � dovrebbe considerarsi adottata in maniera atecnica ed impropria (e cio� come sinonimo di imposte doganali) essendo, invero, inequivoco il pensiero della Corte quale desumibile dal surriferito brano di motivazione nel quale � addirittura esplicita la qualificazione dell'i.g.e. all'importazione come � diritto doganale � (intesa, stavolta, l'espressione nel suo significato tecnico e aderente alla definizione legislativa). Orbene, non essendo pensabile che la sentenza in rassegna sia stata, per cos� dire, � tradita � dalla ipotizzata massimazione impropria dei precedenti verosimilmente tenuti presenti e dovendo, allo stesso tempo, escludersi che la Corte abbia inteso � rivedere � il proprio orientamento sulla natura dell'i.g.e. all'importazione (mancando, nella motivazione, ogni elemento capace di avvalorare una siffatta lettura della pronuncia), deve piuttosto ritenersi che la Corte abbia considerato atecnica l'accezione dell'espressione � diritti doganali � figurante nello stesso art. 19, del quale si trattava di fare applicazione; in altri termini, � assai pi� plausibile che la conclusione raggiunta dalla Corte si fondi sulla (inespressa) premessa che, nel corpo della norma presa in esame, la riferita espressione debba assumersi come sinonimo di imposte doganali. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO zione dell'accordo G.A.T.T. -, il parametro di riferimento per la determinazione del trattamento tributario del prodotto importato � costituito dal costo fiscale complessivo del prodotto nazionale, in conseguenza del regime tributario cui quest'ultimo � sottoposto nelle fasi di produzione, lavorazione ed immissione sul mercato: e non vi � dubbio che, anche a non tener conto delle agevolazioni di cui gode l'industria nazionale per effetto della normativa dell'art. 1 della legge n. 939 del 1965 (agevolazioni che si ripercuotono favorevolmente sul costo finale e quindi sul prezzo del prodotto), senza dubbio nel costo fiscale non rientrava, all'epoca, l'I.G.E. relativa al passaggio dal produttore all'acquirente (non importa se detto passaggio avvenisse all'esito di un appalto o di una vendita, data l'ampia previsione dell'art. III dell'accordo G.A.T.T., che prevede, fra l'altro, anche genericamente l'� acquisto�). Il prodotto nazionale, pertanto, non scontando l'I.G.E., veniva senza dubbio ad essere agevolato nei confronti dell'analogo prodotto straniero, che invece, ove avesse scontato la stessa imposta, a sensi dell'art. 17 della legge 19 giugno 1940, n. 762, avrebbe sub�to un aggravio di costi e conseguentemente sarebbe stato discriminato. E ci� basta per riconoscere esente da censura la sentenza impugnata. La suddetta decisione, inoltre, non appare suscettibile di riforma per effetto dello ius superveniens costituito dall'entrata in vigore, successivamente alla proposizione del ricorso, del d.L 30 settembre 1982, n. 688. Nel corso della discussione, invero, le parti hanno sollevato Ja questione � significativa, in tal senso, la cura posta dalla decisione nel sottolineare come tanto la legge n. 762/1940 quanto la legge n. 939/1965 avessero tenuto distinta l'I.G.E. all'importazione dai � dazi doganali�. Cos� ricostruita la ratio decidendi della sentenza in rassegna, sembrerebbe giustificata qualche riserva in ordine all'interpretazione dell'art. 19 D.L. n. 688/1982 sottesa, nel senso ora accennato, all'affermata inapplicabilit� della norma alla restituzione del tributo de quo. Intanto, salvo il caso -qui non ricorrente -di inequivoci dati positivi in senso contrario, dovrebbe sempre presumersi un uso tecnico ed appropriato della terminologia giuridica da parte del legislatore, specialmente quando ai termini adottati corrispondano istituti o categorie giuridiche puntualmente definiti in altra norma dell'ordinamento. Per altro verso, anche a non volersi attenere a tale canone ermeneutico, identica conclusione circa l'uso della espressione �diritti doganali� nella sua accezione tecnica avrebbe potuto raggiungersi considerando che l'art. 19 in esame ha riguardo anche alle imposte di fabbricazione, alle imposte di consumo e ai diritti erariali, cio� ad imposte interne corrispondentemente alle quali risultano 'istituite, in funzione perequativa, altrettanti tributi (per lo pi� definiti come sovrimposte di confine) gravanti sull'importazione del prodotto estero. Sembra agevole, allora, osservare che ove lo speciale (e pi� rigoroso) regime della restituzione d'indebito fosse stato dettato solo per le citate imposte interne (e per i dazi doganali propriamente detti, secondo l'interpretazione offerta dalla Corte) ne sarebbe rimasta gravemente alterata, a discapito PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 739 relativa all'incidenza che potrebbe avere, rispetto alla fattispecie in esame, l'art. 19 del suddetto decreto, che, al primo comma, stabilisce che chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, anche anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, ha diritto al rimborso delle somme pagate solo se prova documentalmente che il relativo onere non sia stJato in alcun modo trasferito su altri soggetti. Questa disposizione, infatti, non � applicabile al caso di specie, in quanto essa attiene unicamente alla restituzione di � diritti doganali� e non pu� essere, per la sua eccezionalit� estesa ad ipotesi diverse. Il tributo della cui restituzione qui si discute non � un diritto doganale, ma � l'imposta generale sull'entrata, che, sia pure applicata alle merci estere importate, conserva tale sua natura; ci� si evince anzitutto dal chiaro disposto del primo comma dell'art. 17 della legge n. 762 del 1940 ed � confermato dal fatto che il successivo art. 18 della stessa legge chiaramente distingue, con una dettagliata disciplina, detto tributo dai dazi doganali, dal fatto che l'art. 1 della legge n. 939 del 1965, legge della cui applicazione qui si controverte, ugualmente distingue l'imposta di cui all'art. 17 dai dazi doganali, e, soprattutto, dal fatto che lo stesso art. 19 del decreto n. 688/1982, al quarto comma, espressamente prevede che i rimborsi delle somme pagate per imposta sul valore aggiunto (tributo questo sostitutivo dell'I.G.E.) rimangono regolati unicamente dalle disposizioni concernenti detta imposta. (omissis) dei produttori nazionali, l'uniformit� di trattamento perseguita con l'istituzione, sul prodotto importato, di imposte corrispondenti (a quelle gravanti sul prodotto nazionale) giacch�, in caso d'indebito pagamento dei tributi, solo gli importatori avrebbero potuto continuare a giovarsi della (pi� favorevole) disciplina di diritto comune delineata nell'art. 2033 cod. civ.; e tanto, malgrado che il fenomeno della traslazione dell'imposta di consumo fosse riscontrabile nella commercializzazione cos� del prodotto nazionale come di quello importato. Si tratta di una conseguenza sicuramente aberrante, tale -da sola da indurre l'interprete a riflettere sul significato dell'espressione diritti doganali, che, una volta intesa -invece -nel suo significato tecnico, consente di ritenere soggetta all'art. 19 non solo la restituzione dei dazi doganali propriamente detti (che, in quanto tali, non sono, oltre tutto, espressamente contemplati dalla norma), ma l'intera categoria dei �diritti di confine� inclusiva delle sottospecie � dazi d'importazione � e � sovrimposte di confine � e compresa, appunto, fra i � diritti doganali � ai quali si riferisce la disposizione. Quanto all'altro argomento sul quale si fonda la decisione in rassegna, sembra qui sufficiente osservare che la ragione per la quale la restituzione dell'I.V.A. � stata espressamente esclusa del nuovo regime va ravvisata nelle particolarit� proprie di tale tributo (e segnatamente nella � trasparenza� del l'imposta durante le successive fasi di commercializzazione del bene, e quindi nella inconfigurabilit� di quella traslazione soltanto economica -od occulta dell'onere fiscale che sta invece alla base della disposizione di cui all'art. 19 pi� volte citato). SERGIO LAPORTA 740 RASSEGNA DEll'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 aprile 1983, n. 2486 -Pres. Brancaccio Est. Caturani -P. M. Paolucci (conf.) -Ministero delle finanze (avv. Stato Braguglia) c. S.r.l. Rama (n.c.). Tributi erariali indiretti -Dogana -Diritti di prelievo � Importazioni anteriori all'11 settembre 1976 � Aliquota applicabile � '.� quella in vigore il giorno dell'importazione � Sopravviv.enza di aliquota inferiore prima dello sdoganamento � Irrilevanza. (d.P.R. 26 giugno 1965, n. 723, art. 6; d.P.R. 22 settembre 1978, n. 695). Tributi erariali indiretti -Dogana � Diritti di prelievo � Rinuncia al recupero del maggior prelievo non riscosso � Importazioni anteriori al �� 1� luglio 1980 -Esclusione. (Reg. CEE 24 luglio 1979, n. 1697). L'art. 6 n. 2 delle disposizioni preliminari della tariffa doganale, come modificato .con d.P.R. 22 settembre 1978 n. 695, non presuppone per le importazioni anteriori all'JJ settembre 1976 una norma interna di senso opposto, e cio� comportante l'applicabilit� del pi� favorevole prelievo agricolo comunitario sopravvenuto nelle more del rilascio della merce alla libera disponibilit� dell'importatore. Le importazioni anteriori alla predetta data restano, pertanto, disciplinate dall'art. 17 del Reg. CEE n. 19 del 4 aprile 1962 che, secondo l'interpretazione vincolante della Corte di giustizia, esclude l'applicabilit� delle aliquote pi� favorevoli sopravvenute dopo l'accettazione della dichiarazione d'importazione (1). Il divieto di recupero o la facolt� di rinunciare al recupero dei maggiori prelievi non riscossi non sono operanti per le importazioni anteriori al 1� luglio 1980, alla stregua dell'interpretazione del Reg. CEE n. 1697 del 24 luglio 1979 resa dalla Corte di giustizia. (omissis) Con unico motivo l'Amministrazione ricorrente, denunziando violazione dell'art. 17 n. 1 del regolamento del Consiglio CEE 4 aprile 1962 n. 19 e dell'art. 5 del regolamento del Consiglio CEE 5 febbraio 1964 n. 14 (art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ.), assume che la Corte d'appello avrebbe dovuto riconoscere la infondatezza dell'opposizione anche relati( 1) Il S.C. conferma l'interpretazione, armonizzatrice del diritto interno con la normativa comunitaria, di cui alla precedente Cass. 25 maggio 1982, n. 3177, citata in motivazione (cfr. in Foro it. 1982, I, 1872 ed ivi ulteriori richiami, anche di dottrina). In precedenza, da alcuni giudici di merito era stata sollevata questione di legittimit� costituzionale, tuttora pendente, sul rilievo che gli artt. 1 e 3 d.P.R. n. 695/1978 consentissero di fare riferimento, per le importazioni anteriori all'll settembre 1976, ad un prelievo diverso da quello vigente il giorno deli l'importazione (in tal senso, ad es., v. Trib. Genova, ordinanza 30 aprile .1979, in G. U. 28 novembre 1979, n. 325 nonch� in Giur. cast. 1979, II, 1802). 11 1� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vamente alla ingiunzione di lire 709.500 perch� in base alla normativa comunitaria per � giorno della importazione � deve intendersi quello in cui l'uffi.cio doganale accetta la dichiarazione di importazione e quindi nella specie andavano applicati i maggiori prelievi vigenti a detta data. Il ricorso � fondato . nei termini che sono precisati dalle seguenti considerazioni. Come questa Corte ha gi� avuto occasione di statuire (sent. 25 maggio 1982 n. 3177, e per il principio secondo cui l'aliquota applicabile � quella del giorno dell'importazione: sent. 5 febbraio 1979 n. 748; 25 gennaio 1979 �n. 562; 2 novembre 1978 n. 4980) il d.P.R. 22 settembre 1978 n. 695, modificando l'art. 6 n. 2 delle disposizioni preliminari della tariffa doganale approvata con d.P.R. 26 giugno 1965 n. 723, stabilisce l'applicabilit� ai prelievi agricoli comunitari del principio fissato dal diritto interno per i dazi, circa la possibilit� per l'importatore di beneficiare di tariffe pi� favorevoli sopravvenute prima che la merce venga lasciata nella sua libera disponibilit� con effetto retroattivo a partire dall'll settembre 1976 (artt. 1 e 3), ma non detta implicitamente n� presuppone una norma interna di senso opposto per le importazioni anteriori. Pertanto, i diritti di prelievo, con riguardo ad importazioni antecedenti all'indicata data (come quella che ne occupa nel presente giudizio), restano disciplinati dall'art. 17 del regolamento CEE n. 19 del 4 aprile 1962, secondo la interpretazione vincolante resa dalla Corte di Giustizia della Comunit� il 15 giugno 1976 in causa n. 117/75, con la conseguenza che l'aliquota del prelievo sull'importazione � sempre quella in vigore il giorno dell'importazione stessa, cio� il giorno in cui la dichiarazione d'importazione viene accettata dagli uffici doganali, mentre resta irrilevante l'eventuale intervento di tariffe pi� favorevoli prima del giorno dello sdoganamento. Da quanto precede discende che � erronea la sentenza impugnata allorch� -con riferimento alla pretesa di lire 709.500, cui esclusivamente si riferisce Ja doglianza dell'amministrazione in questa sede -ha ritenuto applicabile l'aliquota pi� favorevole per il contribuente vigente alla data dello sdoganamento, secondo una interpretazione del diritto comunitario che diverge dalla interpretazione vincolante per il diritto interno cui innanzi si � fatto riferimento. D'altra parte, il regolamento CEE n. 1697 del 24 luglio 1979 il quale, con riguardo al recupero a posteriori di dazi <percepiti in misura inferiore al dovuto, contempla alcune fattispecie in cui le autorit� competenti non possono agire per il recupero medesimo ovvero hanno facolt� di rinunciarvi, non � invocabile, alla stregua dell'interpretazione resa dalla Corte di Giustizia della Comunit� con sentenza 12 novembre 1981 (il cui indirizzo � stato qui confermato dalla sentenza 9 dicembre 1982) con riguardo ad importazioni od esportazioni effettuate anteriormente al 1� luglio 1980, ancorch� sia pendente controversia sulla legittimit� della pretesa del maggior tributo (sent. 25 maggio 1982 n. 3177 cit.). (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 aprile 1983, n. 2626 -Pres. Brancaccio Est. Ricciardelli -P. M. La Valva (conf.) Marasca (avv. Piccarozzi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Vittoria). Tributi erariali indiretti -Imposta di successione -Deduzione di passivit� -Inventario di eredit� beneficiata -Insufficienza. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, art. 45). Seppure ai fini delle dimostrazioni delle passivit� deducibili dall'asse ereditario l'elencazione dei mezzi di prova contenuta nell'art. 45 del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270 non � rigorosamente tassativa s� che possono ritenersi validi altri mezzi di dimostrazione creati in procedure caratterizzate dalla partecipazione dei creditori e dal controllo del giudice, tuttavia non pu� ritenersi idoneo allo scopo l'inventario della eredit� beneficiata che descrive la situazione risultante dalle carte e dalle note del defunto, ma non accerta la reale esistenza delle passivit� (1). (omissis) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 45-56 e 70 del 'r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270, con riferimento agli artt. 484 e seguenti del codice civile, perch� nella determinazione della base imponibile non si sarebbe tenuto conto delle passivit� risultanti dall'inventario dell'eredit� beneficiata, pur essendo, quest'atto, preordinato all'accertamento della situazione patrimoniale, e perci�, come tale, idoneo a determinare gli effetti previsti dall'art. 45 del d.l. n. 3270 del 1923. Con il secondo motivo deducono la violazione dell'art. 48 del citato decreto n. 3270 perch� sarebbe erronea l'affermazione che l'alligazione del verbale d'inventario alla denuncia di successione non equivale alla esibizione dei titoli giustificativi dei debiti. Le censure postulano, entrambe, la risposta al quesito circa il valore probatorio dell'inventario dell'eredit� beneficiata nel rapporto tributario dipendente dall'applicazione dell'imposta di successione; esse possono essere, perci�, congiuntamente esaminate. Giova, tuttavia, precisare, ai fini di una esatta impostazione del problema, che il richiamo alla norma riguardante il termine di presentazione della denunzia per le successioni beneficiate (art. 56) non � perti (1) Decisione da condividere pienamente. � di tutta evidenza la differenza tra un mero inventario descrittivo, sia pure redatto da un pubblico ufficiale, e un procedimento di accertamento e liquidazione di passivit� quale il concordato preventivo o il fallimento o anche lo stato di graduazione nella procedura di liquidazione dell'eredit� beneficiata; riguardo a quest'ultimo si � precisato che lo stato di graduazione � opponibile alla finanza anche se eseguito senza l'osservanza dell'art. 45 del r.d. n. 3270 del 1923, potendo l'Amministra� zione, far accertare attraverso il reclamo l'insussistenza dei debiti riconosciuti (Cass. 19 marzo 1979, n. 1587, in questa Rassegna, 1979, I, 535). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA nente, in quanto non � in discussione la tempestivit� dell'atto; n� � pertinente il richiamo all'art. 70 della legge, perch� .l'Amministrazione finanziaria non-nega la validit� e quindi gli effetti del beneficio. Ci� posto, nell'affrontare �l'indagine, va subito rilevato che il principio enunciato dalla decisione impugnata, secondo cui la prova delle passivit� deducibili dall'asse ereditario ai fini dell'imposta di successione, nel vigore del r.d. 30 dicembre 1923 n. 3270, dev'essere data solamente in uno dei modi stabiliti dall'art. 45 del citato decreto, senza la possibilit� di fare ricovso ad accertamenti sostitutivi, non pu� essere condiv�so. g da escludersi, infatti, che la norma in esame abbia p~evisto una elencazione tassativa dei mezzi idonei a provare l'esistenza dei debiti ereditari deducibili, perch� un'interpretazi�ne in questo senso del testo legislativo contrasta con la lettera e la ratio della disposizione la quale ha inteso invece fissare il principio che in tema di deduzione del passivo dall'asse ereditario, nel rapporto t.ributario, fa prova dell'esistenza dei debiti certi e liquidi, anteriori all'apertura della successione, perch� sia evitato il pericolo di facili evasioni, deve essere rigorosamente precosti~ tuita ovvero risultare da un accertamento giudiziale che offra la medesima garanzia di certezza. Del resto, in questi sensi la giurisprudenza di questo Supremo Collegio � stata pressoch� uniforme; ed, infatti, sono stati ritenuti validamente provati, e quindi deducibili, i debiti risultanti da una sentenza omologativa di concordato preventivo anteriore all'apertura della succes� sione, la quale presuppone il controllo e fa verifica dello stato passivo in contraddittorio degli interessati (Cass. n. 695 del 1972); sono stati �altres� considerati efficacemente provati i debiti risultanti dallo stato passivo nel fallimento post mortem, rispetto all'attivo residuato all'erede dopo la chiusura del fallimento, anche se, in relazione alle questioni dibattute nelle singole fattispecie, le motivazioni sono diverse, evidenziando, alcune, l'effettiva ricchezza trasferita (n. 560 del 1961) altre, lo stato di separazione dei patrimoni prodotto dal fallimento, (n. 2292 del 1960) altre ancora,. l'analogia con ;l'evizione e lo spoglio sofferti dall'erede e previsto dall'art. 9 della legge sull'imposta di successione non pi� in vigore (n. 1101 del 1975); � stato infine giudicato utile, sempre ai fini della deducibilit�, lo stato di graduazione nella procedura di liquidazione dell'eredit� beneficiata (n. 2490 del 1971 e 1587 del 1979). Com'� facile rilevare, in tutti questi casi per cos� dire anomali, in quanto non rientrati nella previsione dell'art. 45 della legge, l'elemento determinante che spiega la soluzione interpretativa adottata � costituito appunto dalla considerazione che l'iniziativa e la partecipazione dei creditori nelle procedure indicate ed il controllo del giudice sull'accertamento del passivo sono garanzie pi� che sufficienti contro eventuali manovre dirette a ridurre fraudolentemente la massa attivit� ereditaria e quindi la base imponibile del tributo. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Se dunque, in linea di principio, � possibile provare i debiti ereditari deducibili dall'asse, con mezzi diversi da quelli preveduti .�l.all'art. 45 della legge, nondimeno tra questi mezzi non pu� essere annoverato l'inventario dell'eredit� beneficiata, �proprio perch� l'attivit� diretta alla formazione dell'inventario ha carattere meramente descrittivo della situazione patrimoniale quale risulta dalle carte e dalle note del defunto, e prescinde dall'accertamento rigoroso delle passivit�. In altri termini, ai fini dell'.imposta di successione, o i debiti inventariati sono documentabili in uno dei modi previsti dall'art. 45 della legge -e, in particolare, per i debiti di commercio, dai libri contabili, regolarmente tenuti, dal debitore defunto -ed allora sono deducibili, oppure risultano da semplici annotazioni del debitore (art. 775 n. 5 cod. proc. civ.) che, come tali, sono prive di efficacia probatoria ai fini fiscali, ed in tal caso le passivit� non sono deducibili proprio perch� manca la verifica della loro esistenza. In proposito i ricorrenti obiettano che la procedura per la formazione dell'inventario prevede la partecipazione attiva di un pubblico ufficiale, sicch� per questa via, risulterebbe garantito il controllo delle emergenze documentali; il rilievo, tuttavia non ha pregio, perch� la presenza del pubblico ufficiale prova la verit� degli atti da lui compiuti e quindi delle carte, scritture e note da lui reperite, ma non la rispondenza alla realt� fattuale delle risultanze delle scritture: donde la irrilevanza, a questo fine, della vidimazione delle carte da parte del pubblico ufficiale che ha proceduto all'inventario. Diversa invece sarebbe la situazione se la formazione dell'inventario fosse seguita dalla procedura di liquidazione dell'eredit�, perch� in questo caso le passivit� sarebbero comprovate dallo stato di graduazione definitivo che, una volta pubblicato, � opponibile anche all'amministrazione finan ziaria, cui incombe l'onere della iniziativa di controllo delle operazioni compiute, anche se non � creditrice dell'eredit�, ma quale interessata all'accertamento delle passivit�. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 aprile 1983, n. 2631 -Pres. Miele Est. Corda -P. M. Cantagalli (conf.) Massacesi (avv. Occionero) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Corti). Tributi in genere -Accertamento tributario -Notificazioni. Irreperibilit� del destinatario nel domicilio fiscale -Ipotesi diverse. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 38; cod. proc. civ. artt. 139 e 140). Premesso che in base all'art. 38 del t.u. delle imposte dirette la notifica dell'accertamento va eseguita nel domicilio fiscale del soggetto passivo, quando nel detto domicilio non � possibile una ordinaria notifica mediante PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 745 consegna a mani proprie o di una delle persone indicate nell'art. 139 cod. proc. civ. pu� verificarsi una delle seguenti ipotesi: se il destinatario ha abitazione ufficio o azienda nel domicilio fiscale conosciuto la notificazione va eseguita a norma dell'art. 140 cod. proc. civ.; se il destinatario ha cambiato abitazione ufficio e azienda nell'ambito dello stesso comune devono essere eseguite ricerche anagrafiche per procedere alla notifica nel nuovo recapito e solo se le ricerche abbiano dato esito negativo potr� provvedersi a norma dell'art. 140; se il destinatario ha trasferito l'abitazione l'ufficio o l'azienda in comune diverso da quello del domicilio fiscale e non ne ha dato comunicazione all'Ufficio tributario, la notifica va eseguita mediante deposito nella casa comunale e affissione nell'albo comunale, senza necessit� di spedizione di avviso per raccomandata (1). (omissis) La censura del ricorrente principale deve, tuttavia, essere respinta, in quanto infondata. In primo luogo va osservato che non � pertinente l'assunto del ricorrente, secondo cui sarebbe erronea' l'affermazione che l'effettuazione delle ricerche anagrafiche (da parte dell'Ufficio fiscale) dovrebbe ritenersi implicita nel fatto che 1a notifica fu eseguita ai sensi dell'art. 140 cod. proc. civ. Un'atfermazione siffatta, che pure, � riscontrabile nella sentenza di primo grado, non si rinviene, invero, nella sentenza impugnata in questa sede. Per quanto, poi, attiene all'altro assunto -secondo cui la notifica sarebbe irregolare perch� l'Ufficio, pur avendo conoscenza del fatto ch'esso contribuente aveva trasferito la propria residenza in un altro Comune, (1) Sul tormentato tema delle notificazioni degli atti del procedimento tributario non si arriva ancora a fare chiarezza. Ora si deve sottolineare l'affermazione che, vi sia stato cambiamento del domicilio per un diverso comune e non ne sia stata data comunicazione all'ufficio tributario, la notifica va eseguita nel comune di domicilio fiscale considerando il destinatario irreperibile (art. 38 lettera f t.u. sulle imposte dirette, ora art. 60 lettera e d.P.R. n. 600/1973). � questo un punto molto importante sia quanto all'inesistenza del dovere dell'ufficio di inseguire il contribuente, sia quanto all'onere del soggetto, passivo di comunicare le variazioni di domicilio (in senso conforme da ultimo Cass. 16 giugno 1980, n. 3824 in questa Rassegna, 1981, I, 369, in senso contrario 18 luglio 1979, n. 4297, ivi 1979, I, 770). � invece del tutto priva di base normativa, bench� frequentemente ripetuta, l'affermazione che nel caso di variazione del domicilio fiscale nell'ambito del comune l'ufficio abbia l'onere di rintracciare il destinatario attraverso ricerche anagrafiche, o addirittura altre ricerche ancora (Cass. 29 marzo 1983, n. 2237, ivi 1983, I, 533); questa ipotesi non � mai considerata in nessuna norma separatamente dal cambiamento di domicilio verso comune diverso; ed � evidente che se sussiste l'onere di comunicazione le variazioni di domicilio fiscale questo vale indifferentemente per ogni variazione, mentre se per la difficolt� di rintracciare il destinatario non trovabile nel domicilio fiscale si ammette la notifica a persona irreperibile, questo vale allo stesso modo per qualunque spostamento dentro o fuori del comune. 746 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DE~LO STATO aveva omesso l'effettuazione delle ricerche anagrafiche -� da chiarire, 746 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DE~LO STATO aveva omesso l'effettuazione delle ricerche anagrafiche -� da chiarire, anzitutto, che la notifica predetta fu effettuata non gi� ai sensi dell'art. 140 cod. proc. civ., bens� ai sensi dell'art. 38, lettera f), del t.u. del 1958. Il detto art. 38, dopo avere prescritto che le notificazioni si eseguono secondo le norme degli artt. 137 e seguenti cod. proc. civ., stabilisce (per quanto, qui, interessa rilevare): 1) che la notificazione va eseguita nel Comune di domicilio fiscale del contribuente (lettera e); 2) che quando nel Comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi � n� abitazione, n� ufficio, n� azienda del contribuente, l'avviso di deposito prescritto dall'art. 140 cod. proc. civ. si affigge nell'albo del Comune (e la notificazione si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo). Dal complesso di tali disposizioni si desume la sussistenza dei possibili tre casi seguenti: a) Il contribuente ha abitazione (o ufficio, o azienda) nel Comune di domicilio fiscale, ma non viene rinvenuto dal messo notificante (perch� temporaneamente assente): in tal caso, se non vengono rinvenute persone abili1late a ricevere l'atto (art. 139 cod. proc. civ.), la notificazione dovr� essere effettuata ai sensi dell'art. 140 del detto codice di rito e, quindi, mediante: 1) deposito dell'atto nella ca~a comunale; 2) affissione, nella porta dell'abitazione (o ufficio o azienda) dell'avviso di deposito; 3) spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento. La regolarit�t di tale notifica non �, ovviamente, legata alla previa effettuazione di alcuna ricerca anagrafica, in quanto la ricerca del contribuente e l'affissione dell'atto sono state fatte proprio nell'abitazione (o ufficio o azienda) del contribuente predetto, e proprio a tale indirizzo � stata spedita la raccomandata con avviso di ricevimento. In questo caso, cio�, non occorre alcuna � ricerca anagrafica�, poich� la stessa sarebbe diretta ad accertare quanto gi� si conosce; b) Il contribuente ha cambiato abitazione (o ufficio, o azienda), nell'ambito, per�, dello stesso Comune del domicilio fiscale: in tal caso, la notificazione eseguita ai sensi dell'art. 140 potr� essere ritenuta valida solo se vi sia stata una previa effettuazione delle ricerche anagrafiche e queste abbiano dato esito negativo (ch�, in caso contrario, la notificazione dovr� essere eseguita nel nuovo recapito risultante, appunto, dalle ri cerche); e) Il contribuente ha trasferito la propria abitazione (o ufficio, o azienda) in un Comune diverso da quello ov'� il domicilio fiscale, senza, per�, darne comunicazione all'Ufficio tributario: questo �, proprio, il caso della �irreperibilit�� del contribuente contemplata dall'art. 38, lettera f), del t.u., il quale prescrive che la notificazione sia eseguita mediante depo sito dell'atto nella casa com'unale e mediante affissione, nell'albo comu nale. Non �, invece, prescritta la spedizione di alcuna raccomandata, poich� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ci� � escluso dalla lettera c) dell'articolo citato, che ha resistito alla dichiarazione di incostituzionalit� (Corte Cost., 26 giugno 1974 n. 189) nella parte in cui prevede l'omissione della raccomandata predetta se il contribuente non ha, nel Comune di domicilio fiscale, n� abitazione, n� ufficio, n� azienda. Per l'effettuazione di tale notifica non occorre l'esperimento di alcuna ricerca anagrafica, se non ai fini dell'iaccertamento del fatto che il contribuente si � trasferito in un altro Comune: non � richiesto, cio�, l'accertamento del nuovo recapito, perch� la notificazione (salvo il caso dell'esecuzione della notifica �a mani proprie�) deve essere eseguita nel Comune del domicilio fiscale, con le modalit� sopra riferite. Ora, nel caso concreto, l'Ufficio aveva fatto eseguire la notifica dell'avviso di accertamento dell'imponibile proprio con le modalit� prescritte dalla lettera f) dell'art. 38, evidentemente perch� sapeva che il contribuente aveva trasferito in un altro comune la propria residenza; e il ricorrente -dopo avere premesso che il trasferimento da Camerino (Comune del domicilio fiscale) a Termoli era avvenuto da epoca precedente alla notifica -si duole che la sentenza impugnata non abbia fatto carico all'Ufficio della mancata effettuazione delle ricerche anagrafiche. Ma � chiaro che la proposizione di una siffatta doglianza non giova �ai ricorrente, per l'evidente ragione che, una volta accertato il trasferimento a un altro Comune (senza, peraltro, che ne fosse stata fatta comunicazione all'Ufficio), la notifica non avrebbe potuto essere effettuata se non con le modalit� di fatto eseguite. Il ricorrente, cio�, sostiene che l'atto avrebbe dovuto essergli notificato nel luogo della nuova residenza; ma siffatta pretesa non ha fondamento neHa legge, la quale -come si � detto prescrive che, in presenza di tale fattispecie, la notifica avvenga mediante deposito dell'atto nella Casa Comunale e med1ante affissione, nell'albo comunale, dell'avviso di deposito. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 aprile 1983, n. 2633 -Pres. Brancaccio Est. Virgilio -P. M. Valente (diff.) Siccardi (avv. Aversa) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini-Rota). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Dichiarazione di simulazione assoluta di atto di trasferimento -Imposta sul ritrasferimento t: dovuta con riferimento al valore del tempo del ritrasferimento. (d.P.R. 26 �ttobre 1972, n. 634, artt. 19 e 36). � In base all'art. 19 della vigente legge di registro, sostanzialmente coincidente con l'art. 8 deUa legge abrogata, l'imposta di registro va applicata secondo l'intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto; conseguente1;11ente a seguito della dichiarazione della ,simulazione, assoluta o relativa, di un RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 748 atto di trasferimento si opera un ritrasferimento a sua volta soggetto all'imposta, da commisurare al valore dei beni al momento del ritrasferimento (1). (omissis) Con il primo motivo i ricorrenti deducono che a norma dell'art. 19 della nuova legge di registro (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634) le imposte sono applicate secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente; la norma indica perci� quale interpretazione deve essere data agli atti, ai fini dell'applicazione dell'imposta, e pone in evidenza la necessit� di aver riguardo agli effetti giuridici degli atti stessi. Da questa premessa deriva la conseguenza, secondo la tesi dei ricorrenti, che non � pi� possibile sostenere, come era avvenuto da parte della giurisprudenza nel vigore dell'art. 8 della legge di registro abrogata (r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269), che la sentenza dichiarativa della simulazione assoluta di un trasferimento debba essere assoggettata all'imposta di registro sotto il profilo di un ulteriore trasferimento (o ritrasferimento) del bene dal simulato acquirente al simulato alienante. Una tale interpretazione non sarebbe pi� compatibile con la formulazione dell'art. 19 della nuova legge di registro, in quanto il chiaro riferimento agli effetti giuridici degli atti, e non soltanto ai loro effetti (secondo il testo del corrispondente art. 8 della legge abrogata), renderebbe palese che non sarebbe concepibile colpire con imposta un trasferimento (simulato in modo assoluto), il quale �non produce effetto tra le parti�, come dispone l'art. 1414 del codice civile. Concludono i ricorrenti che, pur essendo esclusa la possibilit� di chiedere la restituzione dell'imposta pagata in sede di registrazione dell'atto simulato, perch� vi osta la norma di cui all'art. 36 della nuova legge di registro, non pu� tuttavia dubitarsi che non � dovuta l'imposta sul ritrasferimento del bene insito nella sentenza dichiarativa della simulazione assoluta. Le argomentazioni esposte dai ricorrenti sono senza dubbio suggestive, ma non possono essere condivise. Nel vigore della legge di registro abrogata la giurisprudenza di questa Corte suprema, anche recentemente confermata (21 novembre 1981 n. 6228-6 gennaio 1979 n. 53), era consolidata nel senso che la sentenza dichiarativa della simulazione, tanto assoluta quanto relativa, di un contratto con effetti reali, costitutivo o traslativo di diritti, � soggetta al pagamento di una imposta di registro (cosiddetta �tassa di titolo�) po( 1) Decisione molto importante che ricollega la vigente legge di registro alla copiosa elaborazione della legislazione abrogata su un punto cardine della normativa. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA nendo in essere, ai fini tributari, un � ritrasferimento � del bene costituente oggetto del precedente contratto simulato. Si � anche ritenuto che la imposta proporzionale di registro sul ritrasferimento dell'immobile, in conseguenza della sentenza dichiarativa della simulazione del negozio traslativo, non � compresa tra le imposte giudiziarie che gravano sulla sentenza, ma colpisce il negozio che necessariamente deve presumersi intervenuto al fine di operare il nuovo trasferimento. � stato precisato con la citata sent. n. 53 del 1979, sul piano della spiegazione logico-giuridica del fenomeno tributario, che allo stesso modo in cui l'atto simulato aveva a suo tempo prodotto gli effetti del trasferimento, con assoggettamento alla relativa imposta, cos� egualmente la sentenza dichiarativa della simulazione produce l'effetto di un nuovo trasferimento e diventa di per s� il titolo tassabile perch� produttivo degli effetti potenziali tipici dell'atto. Ci� premesso con riferimento alla elaborazione giurisprudenziale sulla interpretazione della legge di registro abrogata, occorre stabilire se la formulazione, avanti riportata, dell'art. 19 del d.P.R. n. 634 del 1972 sia effettivamente tale da autorizzare l'opposta interpretazione. Va innanzitutto sottolineato che il testo delle due norme (art. 8 della legge del 1923 e 19 della legge vigente) � sostanzialmente identico perch� entrambe le disposizioni fanno riferimento alla �intrinseca natura e agli effetti � degli atti da assoggettare a registrazione. A questi elementi essenziali, costituenti il fulcro dei dati di valutazione offerti all'interprete per l'applicazione dell'imposta, deve perci� aversi riguardo, sia in base alla normativa abrogata, sia in base a quella vigente. La circostanza che in quest'ultima, e precisamente nell'art. 19, si faccia riferimento agli effetti giuridici degli atti (l'aggiunta di tale termine costituisce la sola modificazione introdotta nella norma) non sposta i termini del problema. Gi� nel vigore della legge di registro abrogata era stato pi� volte precisato (da ultimo, Cass., 13 marzo 1980 n. 1691) che l'imposta doveva essere applicata secondo la natura e il contenuto dell'atto, desumibile esclusivamente dalle sue clausole, prescindendo dalla corrispondenza fra le dichiarazioni e la volont� dei dichiaranti e dallo scopo pratico da essi perseguito, per cui le indagini dell'ufficio finanziario dovevano essere cir coscritte alla intrinseca natura e agli effetti dell'atto, cos� come risulta vano dall'oggettiva struttura delle sue clausole unitariamente considerate secondo quanto da esse manifestato, senza che potessero avere rilevanza motivi di nullit�, salvo casi particolari, essendo sufficiente e necessario, ai fini dell'applicazione della imposta nella misura e secondo le regole corrispondenti, che fosse stato voluto '1'atto con le ,pattuizioni e le clau sole in esso indicate, mentre restava irrilevante, ai fini tributari, che RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO fossero stati effettivamente voluti i rispettivi obblighi ed effetti normal mente derivanti dall'atto stesso. Questo sistema ermeneutico � rimasto sicuramente invariato anche nella nuova legge di registro. L'esclusivo riferimento, ai fini dell'imposta, all'oggettiva idoneit� del l'atto a produrre determinati effetti, ancorch� non voluti dalle parti, costi. tuisce un principio-base in tema di applicazione dell'imposta di registro (cfr. Cass., 7 marzo 1978 n. 1123) .in quanto � chiaramente correlato 11ll'altro principio, egualmente fondamentale, secondo cui il tributo di registro si caratterizza come imposta d'atto, volta cio� a colpire il contenuto negoziale oggettivo dell'atto presentato alla registrazione, indipendentemente dalla verit� e dalle vicende del rapporto sostanziale dal punto di vista strettamente privat.istico. In tale prospettiva, l'aggiunta del termine � giuridici � nel testo del l'art. 19 del d.P.R. n. 634 del 1972, rispetto al testo del corrispondente art. 8 della legge di registro abrogata, assume il significato di una mera precisazione concettuale perch� ribadisce che soltanto gli effetti di carat tere giuridico, che obiettivamente l'atto si rivela idoneo a produrre, sono rilevanti ai fini dell'applicazione dell'imposta. Si � inteso in sostanza chiarire -anche in relazione alle questioni dibatfote in passato circa il significato da attribuire alla espressione � effetti degli atti � -che tali effetti devono essere considerati sotto il profilo giuridico (e non soltanto sotto il profilo economico, patrimoniale, ecc.), perch� esclusivamente agli effetti giuridici deve aversi riguardo per individuare la fattispecie tributaria e la relativa imposta. In definitiva, pertanto, il legislatore ha reso testualmente esplicito il connotato ermeneutico che gi� aveva trovato ..nella giurisprudenza delinea tasi sotto il vigore della precedente disciplina una chiara e costante appli cazione. Una puntuale conferma dell'esattezza di questa conclusione risulta proprio dalla nuova normativa, e precisamente dall'art. 36, primo e se condo comma. � stato, infatti, stabilito il criterio generale della irrilevanza della nullit� o dell'annullabilit� dell'atto ai fini dell'imposta, in quanto tali vizi non dispensano dall'obbligo di chiedere la registrazione e di pagare il relativo tributo. Nel secondo comma � prevista una sola deroga a tale principio, perch� la possibilit� di chiedere la restituzione dell'imposta assolta � limitata al caso di atto �dichiarato nullo o annullato� per causa non imputabile alle parti. Dunque, al di fuori di questo specifico caso, per ogni altra ipotesi di atto oggettivamente idoneo a produrre determinati effetti giuridici resta .confermato il criterio della sua assoggettabilit� all'imposta corri spondente a quegli effetti. PARTE I, SEZ. VI; GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Con il secondo motivo i ricorrenti deducono che, in ogni caso, l'imposta sulla retrocessione, contenuta. nella sentenza dichiarativa della simulazione, avrebbe dovuto essere rapportata al valore del bene alla data del primo trasferimento dichiarato improduttivo di effetti, e non gi� con riferimento al valore accertato al momento della sentenza. Neppure questa censura � fondata. Essa si rivela innanzitutto inconcil.iabile <:on la accertata inconsistenza delle ragioni addotte a sostegno del primo motivo. Ritenuto, infatti, che nessun sostanziale mutamento esiste tra la legge di registro abrogata e quella :in vigore, sul punto in discussione, � evidente che, come per il passato, la valutazione del bene, ai fini dell'applicazione dell'imposta, deve seguitare a effettuarsi con riferimento alla data in cui sorge il titolo giuridico che opera la retrocessione del bene dal simulato acquirente al simulato alienante. Tale data � sicuramente quella della sentenza dichiarativa della simulazione, la quale opera il ritrasferimento del bene all'originario proprietario e costituisce dunque il titolo necessario per procurarne la reintestazione al detto proprietario. In quel momento e da quel momento si verificano perci� gli effetti giuridici della sentenza (compreso in essi H ritrasferimento del bene), sicch� esattamente la Commissione centrale tributaria ha ritenuto che l'imponibile dovesse essere stabilito in relazione all'epoca di assoggettamento della sentenza a registrazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2644 -Pres. Brancaccio Est. Sensale -P. M. Grimaldi (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Stato Sailimei) c. Banca Cuneese (Lamberti e Meinartli). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Aziende ed istituti di credito -Quote di reddito destinate a riserva -Aliquota ridotta -Condizioni e limiti. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 90; r.d.l. 7 settembre 1926, n. 1511, art. 3; cod. civ. art. 2428). Poich� nella disciplina dell'art. 90 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 e dell'art. 3 del r.d.l. 7 settenzbre 1926, n. 1511, la riduzione a met� dell'aliquota relativa all'imposta di ricchezza mobile � prevista per il solo fatto che gli utili delle aziende e degli istituti di credito siano destinati a riserva legale e statutaria, restano escluse dalla riduzione le riserve facoltative deliberate discrezionalmente senza criteri vincolanti di predeterminazione e di intangibilit�. � da considerare riserva facoltat�va quella deliberata in forza di disposizione statutaria che prevede, oltre all'accontanamento 752 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di utili in misura determinata, ulteriori accantonamenti in misura da determinare di volta in volta dall'assemblea (1). (omissis) Con .J'unico motivo del ricorso l'Amministrazione delle Finanze denuncia la violazione degli artt. 90 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, 2424 e 2428 cod. civ. e 3 del r.d.l. 7 settembre 1926 n. 1511, nonch� il vizio d'insufficienza e contraddittoriet� della motivazione, censurando la decisione impugnata per avere non solo accolto -in tesi -un'errata nozione di riserva legale, comprensiva degli utili accantonati oltre il limite annuale previsto dall'art. 2428 cod. civ. fino a quando� non abbiano raggiunto un quinto del capitale sociale, ma qualificato -in ipotesi -riserva statutaria gli utili accantonati, con deliberazione ordinaria dell'assemblea, oltre il limite previsto dallo statuto (ci�, in base all'erroneo presupposto che possa qualificarsi riserva statutaria non solo quella determinata dallo statuto in eccedenza ai limiti di legge, ma anche quella dallo stesso prevista, con attribuzione agli organi legali del potere di quantificarne via via l'aliquota); e per avere, conseguentemente, ritenuto applicabile a tali utili l'aliquota ridotta alla met�, ai fini dell'imposta di R.M. cat. B, prevista dall'art. 90 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645. Il ricorso � fondato. L'art. 2428 cod. civ. stabilisce che dagli utili netti annuali dev'essere detratta una somma corrispondente almeno alla ventesima parte di essi per costituire il fondo di riserva fino a che questo non abbia raggiunto un quinto del capitale sociale; e l'art. 3 del r.d.l. 7 settembre 1926 n. 1511 fa obbligo agli enti esercenti il credito e alle ditte bancarie in genere di prelevare annualmente non meno di un decimo. degli utili da destinare a riserva ordinaria, sino a che questa abbia raggiunto il 40 % del capitale. Ora, posto che l'art. 90 del t.u. 645/58 concedere la riduzione alla met� dell'aliquota sulle quote di reddito (cio� sugli utili, come testualmente recita l'art. 3 del decreto 1511/26) delle aziende ed istituti di credito per il solo fatto della loro destinazione a riserva legale o statutaria, indipendentemente dalla loro idoneit� a raggiungere, oppure no, la quota di capitale sociale indicata negli artt. 2428 cod. civ. o 3 del decreto 1511/26, la distinzione tra riserva legale, riserve statutarie e riserve facoltative (e pi� precisamente tra utili accantonati a titolo di riserva legale, di riserve statutarie o di riserve facoltative) deve operarsi, ai fini previsti dalla citata norma tributaria, con riguardo al loro fondamento obbligatorio. Sotto tale profilo '1e riserve si distinguono in legali, statutarie e facoltative, secondo che siano imposte dalla legge o dallo statuto ovvero siano (1) Decisione da condividere pienamente e di molto interesse per la definizione dei caratteri della riserva facoltativa. Il principio enunciato pu� essere integralmente trasportato al vigente beneficio di esenzione dall'ILOR previsto dall'art. 21 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA deliberate daWassemblea dei soci; e, mentre la riserva legale e quelle statutarie sono obbligatorie (queste ultime fino a quando non intervenga una modifica dello statuto), le riserve deliberate dall'assemblea sono �facoltative �, nel senso che gli accantonamenti di utili a tale titolo sono rimessi alla discrezionale volont� dell'assemblea. In conseguenza, la riserva legale � soggetta alla speciale disciplina dettata dall'art. 2428 cod. civ., e segue lo stesso regime del capitale, potendo essere distribuita ai soci solo in caso di scioglimento della societ� o di riduzione del capitale esuberante; e la riserva statutaria pu� essere distribuita solo a seguito di una modifica statutaria. Per contro, le riserve facoltative sono costituite da utili che, come possono essere accantonati con deliberazione dell'assemblea, cos� possono essere distribuiti con analoga successiva deliberazione. Il carattere che accomuna gli accantonamenti eseguiti a titolo di riserva legale a quelli destinati a riserva statutaria � dato dal fatto che entrambi perseguono lo scopo di potenziare la consistenza patrimoniale della societ� (ond'� necessario che anche le riserve statutarie abbiano requisiti di predeterminazione e d'intangibilit�), mentre le riserve facoltative conservano un carattere di assoluta disponibilit�, anche se la determinazione degli accantonamenti a titolo di riserva facoltativa sia rimessa all'assemblea, oltre la quota da accantonare a titolo di riserva statutaria per tassativa disposizione dello statuto. Nel caso concreto, in virt� della clausola statutaria il cui contenuto � riportato nella decisione impugnata, dall'utile netto di bilancio si sarebbe dovuto, in ogni caso, prelevare un .importo non inferiore al 10 % dell'utile stesso, da destinarsi a riserva legale ai sensi e sotto i vincoli di cui all'art. 2428 cod. civ., mentre ogni accantonamento superiore al 10 % annuo sarebbe rimasto affidato alla determinazione discrezionale dell'assemblea, che ne avrebbe via via quantificato l'aliquota. Al riguardo, esattamente rileva l'Amministrazione che -contraria-' mente a quanto ha ritenuto la decisione impugnata -si � in presenza di accantonamenti manifestamente facoltativi, in quanto eccedenti la riserva statutaria e rimessi alle determinazioni dell'assemblea. In conseguenza, l'agevolazione prevista dall'art. 90 del citato t.u. -che � correlata ai caratteri di predeterminazione e d'intangibilit� comuni agli accantonamenti destinati a riserva legale o statutaria e la cui ragione d'essere viene meno in relazione alla disponibilit� delle riserve facoltative -nella ipotesi esaminata dalla Commissione tributaria centrale non spetta. Pertanto, in accoglimento del ricorso proposto dall'Amministrazione delle Finanze, la decisione impugnata dev'essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria centrale per nuovo esame alla stregua dei principi sopra enunciati, che possono cos� riassumersi: nella disciplina del l'art. 90 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 e dell'art. 3 del r.d.l. 7 settem . RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO bre 1926 n. 1511, la riduzione alla met� dell'aliquota relativa all'imposta di R.M. � prevista per il solo fatto che gli utili delle aziende e degli istituti di credito sono destinati a riserva legale o statutaria, indipendentemente dalla loro idoneit� a raggiungere, oppure no, la quota di capitale indicata nell'art. 2428 cod. civ. e nell'art. 3 del decreto 1511/26, essendo correlata al carattere di predeterminazione e d'intangibilit� proprio degli accantonamenti destinati a riserva legale o statutaria e venendo meno la sua ragion d'essere in relazione alla disponibilit� delle riserve facoltative. Quando -in virt� di una clausola statutaria che preveda tassativamente l'accantonamento di utili in misura determinata -sia nello stesso tempo rimesso all'assemblea dei soci di deliberare� ulteriori accantonamenti in base ad aliquote determinate di volta in volta dalla stessa assemblea, questi ultimi costituiscono riserve facoltative e non godono, quindi, della riduzione suddetta. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2646 -Pres. Granata Est. Sensale -P. M. La Valva (conf.) Soc. Assicurazioni Generali (avv. Cantucci) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Soggetti passivi -Eredit� giacente o vacante -Organizzazione di beni non avente personalit� giuridica -Esclusione � Accettazione -Acquisto della qualit� di soggetto passivo con effetto retroattivo. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 8). L'art. 8 del t.u. sulle imposte dirette nell'indicare i soggetti passivi del rapporto tributario, dopo aver enumerato tutti i mot;l.elli soggettivi del diritto comune, fa menzione di altre organizzazioni di persone e di beni non aventi personalit� giuridica con l'intento di estendere la sogget� tivit� tributaria a centri di imputazione di situazioni giuridiche non comprensibili negli schemi tradizionali; conseguentemente l'eredit� giacente o vacante, che � una figura tipica del diritto comune non pu� essere ricompresa fra tali organizzazioni. Nell'eredit� giacente o vacante soggetto passivo dell'imposta � colui, pur indeterminato medio tempore, che assumer� la titolarit� dell'eredit� a seguito dell'accettazione con effetto retroattivo (1). (1) Decisione di molto interesse. La soggettivit� passiva tributaria di entit� non personificabile secondo il diritto comune � stata ripetutamente ammessa soprattutto in relazione ad accordi temporanei creati per operazioni di speculazione {Cass. 22 luglio 1980, n. 4784; 14 gennaio 1982, n. 231; 30 marzo 1983, n. 2301, in questa Rassegna, 1981, I, 391; 1982, I, 577; 1983, I, 545). Annotando queste sentenze si era rilevato che l'eccezionale strumento delle �altre� organizzazioni di persone e di beni non appariva appropriato i: PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 755 (omissis) Il problema di fondo della controversia resta, dunque, quello concernente la decorrenza del termine, sostenendosi dalla ricorrente che l'eredit� giacente o vacante, a seconda che vi sia, oppur no, un curatore, costituisce una organizzazione di beni ai sensi dell'art. 8 del t.u. 645/58, soggetta alla ritenuta del 30 % ai sensi dell'art. 10 della legge 1745/62 e successive modifiche, e che, pertanto, il dovere dell'Amministrazione di procedere all'accertamento sussisteva sin da quando si era determinata la situazione di giacenza o vacanza dell'eredit�, con l'ulteriore conseguenza, ai fini della decorrenza del termine, della irrilevanza della data dell'accetta~ zione dell'eredit� da parte del <<Patrimonio della Sede Apostolica�. A sostegno della sua tesi, Ia ricorrente invoca una non recente giurisprudenza, mentre l'Amministrazione, con il conforto di una decisione di questa Corte (la n. 5509/80), sostiene che l'eredit� giacente (o vacante) non potrebbe essere considerata organizzazione di beni, in quanto non finalizzata alla produzione di redditi. I richiami giurisprudenziali contenuti nel ricorso non sono decisivi, poich� rigu�rdano genericamente ipotesi di patrimoni o di complessi di beni percettori di redditi (sent. 559/47 e 3341/54), con un fugace accenno all'eredit� giacente in una elencazione meramente esemplificativa (sent. 2517/51), senz'alcun rilievo di strumentale necessit� nella. economia della decisione. Neppure risolutivo � pertanto, il richiamo, da parte dell'Amministrazione, alla sentenza n. 5509/80 ed all'accento che essa pone sulla finalizzazione della organizzazione alla produzione dei redditi, poich� essa riguardava una organizzazione di persone e verteva in tema di intento speculativo che, nella realizzazione di una plusvalenza, si attribuiva a tale organizzazione. Che l'eredit� vacante (tal � l'ipotesi che ricorre nel caso) possa configurarsi come organizzazione di beni nel senso di cui all'art. 8 del t.u. 645/58 deve escludersi per altre assorbenti ragioni. Tale norma, nella indicazione dei soggetti passivi del rapporto tributario, esaurisce nella prima parte del suo primo comma tutte le situazioni, desunte dal diritto comune, in cui, nel superamento della tradizionale contrapposizione tra persone fisiche e persone giuridiche, si sono individuati, come autonomi centri d'imputazione di situazioni giuridiche per situazioni non infrequenti di unioni di persone riconducibili piuttosto alla societ� eventualmente occasionale. E per l'appunto la sentenza ora intervenuta acutamente osserva che la specialissima creazione di una soggettivit� esclu sivamente tributaria non pu� consistere nella ripetizione di un istituto gi� presente nei modelli del diritto comune. Per escludere la qualificazione dell'eredit� giacente o vacante come una organizzazione anomala pu� soccorrere ancora la considerazione che queste indeterminate aggregazioni sono pur sempre assimilate nell'art. 8 del t.u. delle imposte dirette ai soggetti tassabili in base a bilancio e oggi (art. 2 lett. b, d.P.R. n. 598/1973) alle persone giuridiche. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 756 soggettive, altri organismi collettivi o gruppi organizzati, facendo, c10e, riferimento a tutti i modelli soggettivi, che si rinvengono nel diritto comune e nella elaborazione che tali figure giuridiche sono andate via via ricevendo. � evidente, quindi, che la seconda parte della norma, introdotta con le parole � sono inoltre soggetti passivi �, non si riferisce ai soggetti gi� indicati nella prima parte e non li include nella sua previsione, ma crea degli ulteriori centri d'imputazione, di redditi, spingendo oltre, ai fini fiscali, quel processo di soggettivazione, gi� intrnpreso nell'ambito del diritto privato, di autonomi centri d'imputazione di situazioni giuridiche non comprensibili negli schemi tradizionali delle persone fisiche e delle persone giuridiche. Ci� deve ritenersi non soltanto in base al testo normativo, che non consente di ricondurre le �altre organizzazioni di persone o di beni� negli schemi gi� latamente menzionati nella prima parte della norma, ma anche considerando l'intento perseguito dal legislatore tributario, chiaramente volto ad impedire che forme di attivit� produttive di reddito, non riferibili ai soggetti indicati nella prima parte, sfuggano all'imposizione tributaria. La portata generica della norma, pur dopo l'ampia elencazione contenuta nella sua prima parte, nell'intento di chiudere il sistema normativo in materia, e l'irreperibilit� nel diritto privato di altri modelli soggettivi corrispondenti all'ipotesi prevista nella seconda parte del primo comma dell'art. 8 inducono a ritenere che, con tale norma, si sia voluta delineare una figura soggettiva propria ed esclusiva del diritto tributario, non raffrontabile a nessuna delle figure indicate nella prima parte della norma, comprendente -nella gi� indicata ratio della norma -quelle aggregazioni di attivit� non altrimenti imputabili a individuati o individuabili soggetti passivi d'imposta. Nella lettera e nella ratio della norma occorre, dunque, che, in relazione ad una organizzazione di beni od a un'attivit� produttiva di reddito, non emerga un diverso soggetto che s'individui come figura esponenziale di queHa organizzazione o di quella attivit� e venga, quindi, in luce come reale destinatario del precetto tributario e soggetto passivo della relativa obbligazione. E, affinch� tale situazione possa considerarsi realizzata, deve coerentemente ritenersi che l'organizzazione suscettibile di assumere la veste di soggetto passivo d'imposta abbia una connaturale idoneit� a durare per un tempo indeterminato e che tale suscettibilit� non abbia un complesso di beni e di attivit�, temporaneamente privo di titolare e considerato in sostituzione di questo per il breve periodo di tempo in cui egli -che potenzialmente esiste e deve essere soltanto individuato -non assuma connotati precisi e definitivi. In tali situazioni il destinatario del precetto tributario e vero soggetto passivo d'imposta � pur sempre, anche in attesa che venga individuato, colui il quale sta per assumere la titolarit� dei beni e le obbligazioni PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 757 compresa quella tributaria -che vi ineriscono. � quanto accade nel caso in cui il chiamato all'eredit� non abbia ancora accettato, indipendentemente dall'essere avvenuta la nomina di un curatore, nel qual caso anche i redditi che si producono medio tempore sono, .in definitiva, imputabili ad un soggetto destinato ad uscire dallo stato di indeterminatezza nel quale temporaneamente si trova e a divenire titolare sin dal momento dell'apertura della successione in virt� dell'effetto retroattivo dell'accettazione (art. 459 cod. civ.). Ne deriva che esattamente la Commissione tributaria centrale ha ritenuto che, durante il tempo di giacenza dell'eredit�, l'Amministrazione non aveva motivo di dubitare della regolarit� della ritenuta d'acconto calcolata nella misura del 5 % in attesa che il soggetto passivo del rapporto tributario si manifestasse attraverso l'accettazione dell'eredit� e che la decorrenza del termine per l'accertamento dovesse stabilirsi in relazione alla data dell'accettazione. Dovendo infatti, adottarsi una disciplina tributaria provvisoria, questa non poteva non uniformarsi alla regola generale della ritenuta del 5 % a titolo di acconto, rispetto alla quale la regola della ritenuta del 30 % a titolo d'imposta, stabilita dall'art. 10 della legge 1745/62 e successive modificazioni per talune ipotesi, si pone come disciplina particolare. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2648 -Pres. Brancaccio -Est. Virgilio -P. M. Catelani (conf.). Galeppini c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle commissioni -Impugnazione incidentale condizionata -Nozione -Rigetto dell'impugnazione principale -Assorbimento. L'impugnazione incidentale condizionata all'accoglimento dell'impugnazione principale (nella specie deduzione della nullit� dell'accertamento sintetico condizionata all'impugnazione dell'ufficio) � assorbita dal rigetto della impugnazione principale con il quale si forma il giudicato (1). (omissis) Il ricorrente deduce la violazione dell'art. 137 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645 in quanto l'Ufficio era in possesso della dichiarazione dei redditi presentata dai! contribuente e degli elementi indicativi della capacit� contributiva, per cui avrebbe dovuto stabilire l'ammontare dell'imponibile sulla base dei detti indici di valutazione, senza ricorrere al sistema dell'accertamento sintetico. (1) Massima di evidente esattezza applicata ad una situazione spesso ricorrente nel procedimento innanzi alle commissioni. 758 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'amministrazione resistente ha eccepito l'inammissibilit� di una tale censura perch� la questione dell'applicabilit� o meno del criterio di accertamento sintetico era stata riproposta in linea condizionata dinanzi alla Commissione Tributaria centrale, con la conseguenza che, essendo stata in quella sede rigettata l'impugnazione dell'Ufficio, la suddetta questione � ormai preclusa. L'eccezione della resistente � fondata. Il ricorso del contribuente del 14 novembre 1977, diretto alla Commissione Tributaria Centrale, � intitolato � controricorso e appello incidentale condizionato� e vi � inoltre contenuta questa espressione �nella non creduta ipotesi che la Commissione adita dovesse ritenere l'appello dell'ufficio meritevole di accoglimento, il ricorrente interpone -condizi�natamente -il seguente ricorso �. Chiaramente perci� la impugnazione del Galeppini fu subordinata alla condizione dell'accoglimento del ricorso dell'ufficio. Poich� tale condizione non si � verificata, perch� l'impugnazione della finanza � stata respinta dalla Commissione centrale, � evidente che sulla questione costituente oggetto del ricorso incidentale condizionato del contribuente (ora riproposta in questa sede) si � formata la res iudicata. La Commissione centrale, pur avendo rigettato tutti i ricorsi, ha nella sostanza giustamente ritenuto assorbito il ricorso del contribuente, come risulta dall'esame della motivazione, la quale � interamente volta a dimostrare la infondatezza del ricorso dell'Ufficio. Ogni altra questione sollevata in questa sede resta assorbita. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 aprile 1983, n. 2649 -Pres. Mazzacane Est. Bologna -P. M. Morozzo della Rocca (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amico) c. Soc. S.A.R.A. (avv. Manfredonia). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Agevolazione per il Mezzogiorno -Aumento di capitale di societ� -Conferimento di impianti gi� funzionanti -Non esclude il beneficio. (d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523, art. 112 lett. a). L'agevolazione dell'art. 112 lett. a) del d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523 non esige la realizzazione di nuovi stabilimenti industriali o l'ampliamento e la trasformazione di quel.ti esistenti: di conseguenza pu� fruire della a:gevolazione l'aumento di capitale (in beni) realizzato con il conferimento di uno stabilimento industriale gi� esistente (1). (1) Si deve ormai prendere att~ dell'orientamento della S.C. che non riesce tuttavia a fugare tutti i dubbi. Se l'agevolazione � da riconoscere a qualunque aumento di capitale, non sembra che venga pi� rispettata la con~ f PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 759 (omissis) Con il ricorso (violazione dell'art. 112 d.P.R. n. 1523 del 30 giugno 1967; vizi di motivazione) si deduce che Ia sentenza impugnata non avrebbe considerato che, per quanto riguarda gli aumenti di capitale realizzati mediante conferimento di beni, il beneficio della tassa fissa previsto dall'art. 112 lett. a) non � applicabile ai conferimenti effettuati per potenziare lo svolgimento dell'attivit� industriale gi� esercitata mediante l'impianto industriale conferito, e che il concetto di potenziamento dell'attivit� industriale deve essere inteso in senso oggettivo, riferito ad un concreto incremento delle risorse impiegate nel Mezzogiorno, e non consiste ii:J. una diversa utilizzazione di risorse industriali gi� esistenti ed esercitate; la medesima sentenza non avrebbe esaminato il punto dell'ammissibilit� del beneficio per l'intero valore del conferimento comprendente l'azienda alberghiera da conferire. La censtura � infondata. Per quanto concerne l'applicazione delle agevolazioni fiscali per l'in . dustria del Mezzogiorno contenute nel d.P.R. n. 1523 del 30 giugno 1967, l'aumento del capitale sociale, deliberato dalla Soc. SARA e realizzato mediante emissione di azioni correlata al conferimento di beni (alcuni immobili e l'azienda alberghiera Santa Lucia operante in Napoli) da parte di terzi sottoscrittori, deve essere sussunto sotto lo schema agevolativo dell'art. 112 lett. a); il testo della disposizione � il seguente: �� il beneficio di cui all'art. 110, primo, secondo e terzo comma [tassa fissa di registro ed ipotecaria] � concesso anche per i seguenti atti: a) aumenti del capitale, in numerario o beni o crediti, quando gli aumenti siano preordinati al potenziamento dell'attivit� industriale, anche se la ditta siasi costituita prima del 18 agosto 1957, purch� abbia sede ed operi nei territori indicati all'art. 1 �. La specifica questione sollevata con il ricorso, che comporta l'interpretazione del citato art. 112 nel quadro delle disposizioni agevolative concesse dalla medesima legge (artt. 105 e segg.), � stata di recente decisa da questa Corte in senso contrario a quello sostenuto dall'Amministrazione finanziaria deldo Stato (Cass. 1980, n. 1687). E precisamente, l'art. 112 d.P.R. n. 1523 del 1967, concessivo del beneficio della tassa fissa di registro per gli aumenti di capitale sociale � preordinati al potenziamento dell'attivit� industriale �, deve ritenersi applicabile anche alle fattispecie in cui tale potenziamento sia ottenuto con il mero conferimento, in sottoscrizione del nuovo capitale, di impianti gi� funzionanti, poich� la norma stessa, a differenza del precedente art. 111 in tema di benefici fiscali per gli atti costitutivi di Societ� (in linea con le fattispecie di cui agli arttt. 106, 107, 109), non pone come ulteriore con dizione specificamente enunciata nell'art. 112 lett. a) che l'aumento sia preordinato al potenziamento dell'attivit� industriale; se l'attivit� industriale non riceve incremento l'agevolazione dovrebbe essere disconosciuta. 12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dizione la realizzazione cli nuovi stabilimenti, ovvero l'ampliamento, la trasformazione e la riattivazione di quelli preesistenti. Analogo orientamento era stato gi� sostanzialmente adottato, a proposito della fattispecie di cui all'art. 112 lett. d) in tema di trasformazione, fusione, concentrazione di ditte aventi sede e svolgenti Ja loro attivit� industriale o commerciale nei territori di cui all'art. 1 (Cass. 1978, n. 4148). La ratio dell'art. 112 lett. a) citato � incentrata sulla previsione del potenziamento dell'attivit� industriale dell'impresa che abbia deliberato l'aumento del capitale sociale e non sulla valutazione economica globale dell'operazione comprendente anche i beni conferiti ed in ultima analisi i mezzi necessari a realizzare l'aumento del capitale ed il potenziamento dell'attivit� industriale. In questa Sede siffatto orientamento giurisprudenziale deve essere confermato in assenza di significativi argomenti in contrario desumibili dal ricorso e dal sistema del d.P.R. n. 1523 del 1967. Il punto della censura, riguardante il preteso omesso esame della questione se comunque il beneficio in contestazione debba escludersi limitatamente al conferimento dell'azienda alberghiera Santa Lucia, resta assorbito dalle considerazioni che precedono, poich� ai fini della concessione del beneficio ex art. 112 lett. a) � irrilevante che il conferimento sia realizzato mediante impianti gi� funzionanti. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 maggio 1983, n. 3020 -Pres. Brancaccio -Est. Borruso � P. M. Caristo (conf.). Carnevali (avv. Bondoni) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Angelini Rota). Tributi in genere � Contenzioso tributarlo � Procedimento innanzi alle commissioni � Estinzione � Art. 44 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 � Effetti � Riproposizione di nuovo ricorso � Inammissibilit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44). Tributi in genere � Contenzioso tributarlo � Procedimento innanzi alle commissioni � Estinzione � Art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 � Effetti � Riassunzione del giudizio � Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44; cod. proc. civ., artt. 307 e 310). Tributi in genere � Contenzioso tributario -Procedimento innanzi alle commissioni � Art. 44 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 � Illegittimit� costituzionale � Manifesta infondatezza. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44). A seguito dell'estinzione del procedimento innanzi alle commissioni, pronunziata a norma dell'art. 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, � inammissibile la riproposizione di nuovo ricorso (1). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 761 L'estinzione del procedimento innanzi alle commissioni pronunziata a norma dell'art.' 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 non consente la riassunzione del processo (2). � manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit� dell'art. 44 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, anche sotto il profilo di diversit� di posizione delle parti nel processo (3). (omissis). Col primo motivo di ricorso la Carnevali deduce la contraddittoriet�. della motivazione addotta dalla Commissione Centrale nell'applicare l'art. 44 del d.P.R. n. 636 del 1972: una volta riconosciuto, infatti, che il terzo comma di esso consente espressamente che dalla data di notificazione dell'ordinanza dichiarativa dell'estinzione del .processo decorrono � riprendono a decorrere �i termini di decadenza� (senza discriminazioni di trattamento tra Fisco e contribuenti), non avrebbe pi� senso attribuire decisivo rilievo al fatto che il termine originario di decadenza per la proposizione del ricorso contro l'avviso d'accertamento era gi� scaduto, dovendosi esso intendere riaperto per effetto del predetto terzo comma. La censura � infondata. Invero la norma contenuta nel terzo comma dell'art. 44, in virt� della quale dalla data di notificazione dell'ordinanza presidenziale di estinzione decorrono o riprendono a decorrere i termini di decadenza o di prescrizione, fa riferimento soltanto a quei termini entro i quali gli uffici debbono compiere gli ulteriori atti ed esercitare i poteri per la definitiva attuazione della pretesa tributaria che aveva formato oggetto del procedimento (poi dichiarato estinto) e che era rimasta sospesa in dipendenza del procedimento stesso e non importa riapertura dei termini per le impugnazioni (Conf. Cass. sent. n. 3637 dell'80). Col secondo motivo di ricorso la contribuente sostiene che il legislatore, avendo voluto con :l'art. 44 sopracitato sanzionare l'inattivit� delle parti, abbia usato l'espressione � estinzione del processo � con lo stesso significato e con gli stessi effetti attribuiti alla � cancellazione della causa dal ruolo� di cui all'art. 307 cod. proc. civ. (1-3) Ancora una decisione che chiude la porta ad ogni tentativo di neutralizzare gli effetti dell'art. 44 del d.P.R. n. 636/1972. Sull'argomento della prima massima si erano gi� pronunciate le sentenze 19 aprile 1982, n. 2407 e 30 luglio 1982, n. 4357 (in questa Rassegna, 1982, I, 836 e 1983, I, 166). Presenta novit� la seconda massima che esclude la possibilit� di riassunzione dello stesso processo estinto, il che appare evidente sol che si pensi che l'art. 44 sancisce l'estinzione e non la cancellazione dal ruolo, istituto quest'ultimo assolutamente sconosciuto al procedimento innanzi alle commissioni di natura officiosa. Sul punto della terza massima � intervenuta anche una specifica pronuncia della Corte Costituzionale con la sentenza 20 dicembre 1982, n. 243 (Foro it., 1983, I, 533). 762 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Conseguentemente il processo tributario, pur essendo stata omessa dal contribuente l'istanza per la fissazione d'udienza ai sensi del citato art. 44, sarebbe pur sempre riassumibile, come in effetti nella specie lo fu, essendo stato il ricorso riproposto entro 60 gg: dalla notifica dell'ordinanza dichiarativa dell'estinzione. Anche questo secondo motivo del ricorso non sembra meritevole di accoglimento, pur essendo vero che, a mente dell'art. 310 cod. proc. civ., � l'estinzione del processo non estingue l'azione �. E ci� per tre ragioni: 1) l'art. 310 cod. proc. civ. non � richiamato dall'art. 39 del d.P.R. n. 636 del 1972 secondo cui �al procedimento dinanzi alle commissioni tributarie .s� applicano le norme contenute. nel libro I d~l codice di procedura civile� (cio� soltanto gli artt. 1-162); 2) la disposizione contenuta nell'art. 310 cod. proc. civ. secondo cui � l'estinzione del processo non estingue l'azione � non costituisce un principio generale e assoluto del processo civile, dovendo la norma stessa essere correlata ad altre disposizioni che regolano l'effetto dell'estinzione secondo i gradi del giudizio; 3) la medesima disposizione non si palesa comunque compatibile con la finalit� di rendere pi� agevole il passaggio dal precedente contenzioso tributario al nuovo che con l'art. 44 il legislatore ha voluto conseguire. ,.,,,,. Col terzo motivo la ricorrente rileva che interpretare l'art. 44 nel senso che la dichiarazione di estinzione del processo travolgerebbe. per sempre anche la riproponibHit� dell'azione e che la decadenza, mentre continuerebbe ad operare inesorabile contro il contribuente, non opererebbe invece nei confronti della Finanza determinando cos� un intollerabile e irrazionale disparit� di trattamento, dovrebbe portare a far ritenere costituzionalmente illegittimo il predetto art. 44 per violazione della legge delega 9 ottobre 1971, n. 825 (art. 10 n. 14) che intendeva, invece, assicurare l'imparziale applicazione della legge tributaria salvaguardando, in conformit� ai principi della Costituzione e della stessa riforma tributaria del 1972, la par condicio delle parti avanti alla, legge. La questione di illegittimit� costituzionale qui sollevata non sembra al Collegio utilmente riproponibile, essendo gi� stata dichiarata anche di recente manifestamente infondata dalla Corte Costituzionale (cfr. ordinanze nn. 164 e 9 del 1981, 162 e 85 del 1980, 144 del 1979, 77 e 48 del 1978 e 144 del 1977) per essersi su di essa gi� pronunciata con la sentenza n. 63 del 1977, e non essendo state dedotte nuove ragioni giustificative di un riesame. (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 763 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 2 maggio 1983, n. 3022 -Pres. Brancaccio -Est. Canti;llo -P. M. Sgroi (conf.). Soc. SITAR (avv. Cagliati Dezza) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Impugnazione di terzo grado Oggetto e limiti -Difetto di motivazione -Ammissibilit�. (d.P.R. 26 ottobre 4972, n. 636, artt. 26 e 40). L'impugnazione di terzo grado � un gravame illimitato, salvo che per le statuizioni in materia di valutazione estimativa, ed in ogni caso esteso alla censura di difetto di motivazione anche contro le decisioni pronunciate in materia di valutazione estimativa (1). (omissis) Con l'unico motivo, denunziando la violazione degli artt. 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, 91 e 119 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, e difetto di motivazione, la societ� ricorrente critica sotto tre profili la decisione impugnata, per avere: a) affermato che la competenza della Commissione tributaria centrale sia circoscritta alle questioni di diritto, laddove essa riguarda non solo tutte ile questioni di fatto diverse da quelle inerenti alla valutazione estimativa, ma anche i vizi di motivazione delle pronunzie di mera estimazione; b) considerato apoditticamente questione estimativa quella suscitata dalla presente controversia, la quale, invece, investe i criteri giuridici diretti a stabilire l'inerenza della spesa alla produzione del reddito; c) omesso qualsiasi motivazione in ordine alla dedotta violazione dell'art. 119 cit., che subordina alla presenza di inesattezze e irregolarit� nelle scritture contabili gli accertamenti e le rettifiche dei redditi nei confronti dei soggetti tassabili in base a bilancio. Le censure sono fondate. Sub a), questa Corte ha da tempo chiarito che, ai sensi degli artt. 26 e 40 del d.P.R. n. 636 del 1972, la Commissione centrale e la Corte di (1) L'ambito del giudizio di terzo grado, dopo le iniziali incertezze, si va ormai delineando con chiarezza (per un ampio esame, anche con riferimento alla giurisprudenza v. BAFILE, Il giudizio di terzo grado nel processo tributario, Milano 1982). Sulla esatta sentenza ora intervenuta, si pu� fare una sola osservazione: soltanto contro le pronunzie di valutazione estimativa � ammessa l'impugnazione per difetto di motivazione, e altri vizi, del procedimento, che si concreta in una impugnazione di legittimit� volta all'annullamento della decisione impugnata, al quale dovr� seguire necessariamente il rinvio. Negli altri casi l'impugnazione illimitata � di merito, � cio� volta ad ottenere una pronunzia che sostituisce quella impugnata assorbendone i vizi e sostituendo la motivazione (Cass. 26 settembre 1978, n. 4321, in questa Rassegna, 1979, I, 70; 5 marzo 1979, n. 1363, in Riv. leg. Fisc., 1980, 216). RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 764 appello hanno competenza piena, in fatto e in diritto, su tutte le questioni, ad eccezione di quelle di mero fatto relative alla valutazione estimativa (e alla misura delle pene pecuniarie), sicch� i due rimedi si configurano come mezzi di gravame illimitato, proponibili per violazione di legge ed errnta risoluzione di questioni di fatto, della decisione della commissione di secondo grado, eccettuate le statuizioni in materia estimativa, che possono essere impugnate solo per violazione di leggi processuali o sostanziali (cfr., tra altre, sent. n. 6678 del 1981; n. 4168 e 4154 del 1978; n. 5086 del 1977). Pertanto, con il ricorso alla Commissione centrale (e con l'impugnazione innanzi alla corte di appello: sull'assoluta identit� della competenza dei due organi v., ora, Corte Cost. n. 67 del 1982) sono deducibili tutti i vizi di motivazione della decisione; e il principio � valido anche per le statuizioni di valutazione estimativa, sol che in tal caso, ove si riscontri un vizio che comporti la necessit� di procedere a nuova stima, la commissione non pu� pronunziare nel merito, ma deve limitarsi ad annullare la decisione e rinviare la controversia ad altra sezione della commissione di secondo grado (v. sent. n. 1307 del 1980; n. 1636 del 1979). Nel caso in esame, risulta dagli atti del processo (direttamente conoscibili da questa Corte, venendo denunziato un vizio in procedendo) e dalla stessa pronunzia impugnata (pella parte dedicata all'esposizione delle vicende processuali) che la S.I.T.A.R. aveva censurato fa decisione della commissione di secondo grado pure sotto il profilo del difetto di motivazione; ed � perci� evidente l'errore in cui � incorsa la Commissione centrale nel dichiarare inammissibili i ricorsi, giacch� avrebbe dovuto controllare la congruit� logico-giuridica della motivazione di detta decisione anche se fosse esatto che essa riflette una questione di mera estimazione. Senonch�, come si denunzia con la censura sub b), tale qualificazione dell'oggetto della controversia � sostanzialmente immotivata, in quanto la Commissione centrale, dopo di avere riassunto i termini del problema risolto nel precedente grado del giudizio, si � limitata. ad osservare che � nella specie non si verte in tema di identificazione della qualit� delle spese, bens� del loro ammontare �, senza indicare le ragioni di questa conclusione. E la lacuna -ammessa dalla stessa difesa erariale si risolve in un irrimediabile salto logico, in quanto proprio dalla prospettazione del thema decidendum si evince �che il dibattito, lungi dall'essere circoscritto all'entit� delle detrazioni �per agevolazioni a favore della clientela (abbuoni, sconti, omaggi, ecc.) �, riguardava appunto la loro natura di spese inerenti alla produzione del reddito, essendo in discussione il concetto di inerenza assunto nell'art. 91 del t.u. n. 645 del 1958 e i limiti dei poteri sindacatori dell'amministrazione finanziaria sulle scelte dell'imprenditore in ordine alla entit� di dette � agevolazioni �; i quali problemi giuridici esulano, manifestamente, dall'ambito delle questioni di valutazione estimativa. (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 765 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 maggio 1983, n. 3307 -Pres. Mazzacane -Est. Pannella -P. M. Catelani (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Vittoria) c. Caola (avv. Neri). Tributi erariali indiretti -Imposta di successione -Dichiarazione -Termine -Accettazione con beneficio di inventario -Rinvio al cod. civ. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, artt. 39 e 50; cod. civ., artt. 484, 485, 487, 489). Il termine per presentazione de;Zla dichiarazione per l'imposta di successione, decorrente da quello stabilito per la formazione dell'inventario, deve intendersi riferito, secondo le varie ipotesi previste dal cod. civ. agli artt. 485, 487 e 489, al termine entro il quale secondo la legge civile deve essere completato l'inventario (1). (omissis) Con l'unico mezzo l'Amm.ne Finanziaria, censurando la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 39 comma 1, 3 e 4 e 50 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637 e degli artt. 18 e 23 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc.. civ., sostiene che la formulazione letterale del terzo comma dell'art. 39 del decreto n. 637/1972, nello stabilire che il termine per la dichiarazione di successione decorre dalla scadenza del termine stabilito per la formazione dell'inventario, non fa che rinviare al codice civile (artt. 485, 487 e 489 cod. civ.) nel quale, appunto, sono indicati i termini per la formazione dell'inventario con distinzione tra i chiamati che sono o non sono nel possesso dei beni, i minori, gli interdetti e gli inabilitati. Aggiunge che il quarto comma dell'art. 39 citato non ha la funzione di rendere i termini di presentazione della dichiarazione (di successione) indipendenti da quelli previsti dal codice civile per la formazione dell'inventario, ma la funzione di restringere entro termini eguali per tutti i contribuenti quelli che s.arebbero suscettibili di diventare pi� ampi in applicazione della legge civile. Conclude affermando che i Caola, in quanto nel possesso dei beni ereditari, iniziarono l'inventario il 21 marzo 1975, cio� oltre il termine previsto per completarlo (tre mesi 24 novembre 1974 o 6 mesi, per proroga pretorile, 24 febbraio 1975), e lo completarono il 23 giugno 1975 cio� dopo la scadenza dell'anzidetto termine. La censura � fondata, ritenendo la Corte che debba pervenirsi, anche nella nuova disciplina conseguente alla riforma tributaria, alle stesse conclusioni gi� enunciate in precedenza (Cass. n. 99/1972~. Premesso che va pienamente condivisa l'osservazione preliminare della Commissione tributaria centrale, riguardante l'autonomia della legislazione fiscale rispetto alle leggi civili, onde va ritenuto ammissibile il richiamo alle norme civili solo se espresso o compatibile, tuttavia non (1) Decisione di evidente esattezza. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO pu� accettarsi il corollario cui la Commissione giunge, affermando che le disposizioni dell'art. 39 d.P.R. n. 637/1972, quanto ai termini per la denuncia di successione, rinviano solamente all'art. 484 cod. civ. Dalla lettera della prima parte del terzo comma dell'indicato art. 39: �Per Ie eredit� accettate con il beneficio dell'inventario, il termine per la presentazione della dichiarazione decorre dalla scadenza di " quello stabilito" per la formazione dell'inventario e, quando questo sia compiuto prima di tale scadenza, dalla data della sua chiusura�, si deduce un espresso rinvio ad altra norma giuridica che fissa il termine per la formazione dell'inventario. Non rinvenendosi nella legge tributaria una tale disposizione, � logico che essa vada ricercata nella legge civile, la quale nella ipotesi di accettazione col beneficio dell'inventario, fissa tre termini diversi per il compimento di esso, distinguendo tra i chiamati all'eredit� che sono nel possesso dei beni ereditari, quelli che non lo sono, nonch� i minori, gli interdetti e gli inabilitati (art. 485, 487, 489 cod. civ.). Ora, la domanda che si pone � se 11 rinvio debba ritenersi fatto a ciascuno dei tre termini o limitato ad uno soltanto di essi, quale quello dell'art. 487 cod. civ. riguardante i chiamati alla eredit� che, non essendo nel possesso dei beni, abbiano accettato col beneficio dell'inventario, ai sensi dell'art. 484, prima de1la formazione dell'inventario stesso. Orbene, se tale suggestiva limitazione sembra adattarsi coerentemente all'inciso del terzo comma dell'art. 39 succitato: � Per le eredit� accettate col beneficio dell'inventario �, considerando -in aggiunta che al legislatore fiscale non interesserebbe la situazione giuridica dei chiamati quanto al possesso o meno dei beni ereditari, tuttavia, una siffatta 'limitazione appare arbitraria nel silenzio della legge e nella interpretazione della sua ratio. Premesso che la denuncia di successione va presentata (art. 39 primo comma) entro sei mesi dalla morte del de cuius (coincidente con la data dell'apertura della successione), la legge fiscale nell'intento di consentire una precisa e non affrettata dichiarazione dei beni ereditari da parte di coloro che accettano col beneficio dell'inventario, ammette una proroga di tale termine fino a quello, ad essi concesso dalla legge civile, per la formazione dell'inventario. � intuitivo che l'eccezionalit� della norma non pu� non riflettere le situazioni giuridiche dei chiamati all'eredit�, che non procedono all'accettazione pura e semplice, di modo che i termini per la formazione del- l'inventario, direttamente collegati a tali situazioni giuridiche soggettive, devono ritenersi recepiti dalla norma tributaria (terzo comma art. 39) cos� come previsti dalla legge civile'. La conferma di quanto detto si rinviene nelle ulteriori limitazioni volute dal legislatore tributario, il quale consente la � proroga � del termine normale sempre che la dichiarazione di accettazione col beneficio PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUiARIA' dell'inventario sia fatta entro sei mesi dalla morte del de cuius e fissa, nel termine massimo di ,un anno da tale evento, la presentazione della domanda di successione. Queste disposizioni limitative se hanno lo scopo di restringere entro termini eguali per tutti i contribuenti quelli che sarebbero suscettibili di diventare pi� ampii in applicazione della legge civile (come ha osservato la ricorrente), per altro rafforzano il convincimento che il legislatore tributario mostra interesse alla sollecitudine con cui i contribuenti debbono apprestarsi alla denuncia di succession�, rispettando i termini della legge civile, informati alla disciplina dei casi particolari, e poi quelli generali della legge fiscale. Da quanto esposto discende che gli eredi Caola, essendo nel possesso dei beni ereditari, avrebbero dovuto presentare la denuncia di successione entro il termine di nove mesi (tre mesi per fa formazione dell'inventario ex art. 485 cod. proc. civ e 6 mesi a norma del terzo comma dell'art. 39 d.P.R. n. 637 del 1972) dall'apertura della successione (25 agosto 1974) e c10e entro il 25 maggio 1975. Essendo stati;t presentata invece il 22 agosto 1975 deve ritenersi tardiva. (omissis) SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 giugno 1983, n. 4259 -Pres. Gambogi -Est. Maltese -P. M. Fabi (conf.) -Ministero della difesa (Avv. Stato Del Greco) c. Panauto G. Conti S.a.s. (avv. Sciacca). Arbitrato -Arbitrato obbligatorio -Norma regolamentare che J.o prevede -Effetti � Vizio di nullit� del lodo per nullit� del compromesso. (Cost.; artt. 24 e 102; I. 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, art. 5; d.m. 26 ottobre 1938, n. 882, capitolato generale di oneri del ministero della difesa, art. 61; cod. proc. civ., artt. 806 e 808). La deduzione che la norma di capitolato generale configura un arbitrato obbligatorio ed � perci� illegittima per contrasto con gli artt. 24 e 102 Cost. si risolve nell'allegazione di un vizio di ,nullit� del lodo per nullit� della clausola compromissoria e non in quella di un'usurpazione di potere giurisdizionale per inesistenza :,giuridica della stessa clausola. Essa va pertanto dedotta come motivo dell'impugnazione per nullit� e non pu� essere fatta valere per la prima volta in cassazione (1). (omissis). Con l'unico motivo di censura il Ministero denuncia la violazione degli artt. 24 e 102 della Costituzione; 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E; 61 �capitolato generale d'oneri, approvato con d.m. 26 ottobre 1938, n. 882; 806 e 808 cod. proc. civ. nonch� il vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. Sostiene che l'art. 61 d.m. n. 882 del 1938, da considerare, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, norma di diritto oggettivo inquadrabile fra i regolamenti di organizzazione, dovrebbe essere disapplicato d'ufficio dal giudice, in qualunque stato e grado del processo, ai sensi (1) Cass. 14 maggio 1981, n. 3167, richiamata in motivazione, � pubblicata in questa Rassegna 1981, I, 421, in Arch. giur. op. pubbl. 1981, Il, 120; Foro it. 1981, I, 1552 con osserv. di C.M. BARONE, Giusi. civ. 1981, I, 2635 con nota di P. CARBONE, Natura giuridica dei capitolati generali, carattere dispositivo delle norme che prevedono l'arbitrato quale strumento di composizione delle controversie e tempestivit� della riserva in caso di sospensione, in Riv. giur. edilizia 1982, I, 42. Sull'argomento, cfr., altres�, Cass. 27 maggio 1981, n. 3474, in questa Rassegna 1981, I, 597 e in Arch. giur. op. pubbl. 1981, II, 405 e Cass. 28 gen PARTE I, SEZ. vu; GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 769 dell'art. 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, quale atto amministrativo illegittimo perch� istitutivo, in vio1azione degli artt. 24, primo comma e 102, primo comma, della Costituzione, di un arbitrato obbligatorio, mentre il conferimento agli arbitri del potere di decidere le controversie sarebbe rimesso, secondo gli artt. 806 e 808 cod. proc. civ., soltanto alla libera scelta delle parti. Il ricorrente cita in suffragio le sentenze della Corte Costituzionale 14 luglio 1977, n. 127 e della Cassazione 20 gennaio 1980, n. 658, che hanno ritenuto incostituzionali analoghe disposizioni contenute in decreti dell'esecutivo. L'impresa � Panauto � sostiene, invece, nel controricorso che il motivo sarebbe imammissibtle ,in considerazione della novit� della contestazione, involgente un giudizio sulla validit� della clausola arbitrale per asserita incostituzionalit� de1la sua fonte -eNoneamente ritenuta dal Ministero fonte normativa anzich� negoziale -mentre nei precedenti gradi del giudizio la stessa ,controparte si era Iimitata a contestare la legittimit� del lodo per difetto di giurisdizione degli arbitri e, nel merito, per errore in iudicando, dovuto a inesatta interpretazione di una clausola contrattuale, con violazione deHe ordinarie regole di ermeneutica. Ritiene il Collegio che il ricorso sia, in effetti, inammissibile, per la novit� della contestazione mossa dal Ministero, con l'unico motivo di censura, alla decisione impugnata. Bisogna premettere che la questione posta dal ricorrente non comporterebbe la necessit� di nuovi accertamenti di merito, ch� in tal caso sarebbe ovvia la � novit�� di essa, in questo giudizio di legittimit�. Per affrontare e risolvere la detta questione si tratterebbe, invero, non di accertare, in punto di fatto, se i contraenti avessero inteso recepire '1e disposizioni dei capitoli generali con atto di volont� negoziale, ma, in base 'alla circostanza, presupposta dalla stessa sentenza d'appello, deLla menzione di tali disposizioni nell'avviso di Hcitazione privata a norma deill'articolo 99 reg. 23 maggio 1924, n. 827, per l'esecuzione deHa legge sulla contabilit� generale dello Stato, di stabilire in diritto il foro eventuale valore normativo di regolamenti integranti ipso iure il contratto, ovvero di clausole tipo, di volta in volta richiamate, con fa detta �menzione �, dalle parti. Riconosciuta, in ipotesi, la foro natura normativa -pre naio 1980, n. 658, in questa Rasseg11a 1980, I, 209 e in Arch. giur. op. pubbl. 1980, II, 14; Foro it. 1980, I, 543 con osserv. di C.M. BARONE e Giust. civ. 1980, I, 821. Sulla distinzione tra nullit� del lodo per nullit� del compromesso e difetto di giurisdizione per essere stata devoluta agli arbitri la cognizione di controversia che esula dalla competenza giurisdizionale del giudice ordinario, cfr. Cass., 24 settembre 1982, n. 4934, Giust. civ. Rep> 1982, compromesso ed arbitrato, 58; Cass. 27 luglio 1982, n. 4317, ivi, 59. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO vio riscontro, trattandosi di regolamento ministeriale,� dell'esistenza di una fonte legisfativa primaria, attributiva del corrispondente potere al Ministro -si tratterebbe, quindi, di discuterne la legittimit� costituzionale, alla '1uce della giurisprudenza sopra citata delle due Corti. Indagine, dunque, in ogni suo aspetto, di legittimit�, non di merito, perch� attinente alla qualificazione e definizione giuridica dei detti capitoli generali, sulla base dei dati di fatto acquisiti, concernenti la formazione del consenso contrattuale. Sotto un diverso profilo, tuttavia, una siffatta indagine � preclusa al Collegio. Gi� con sentenza del 14 maggio 1981, n. 3167, la prima Sezione di questa Corte ha affrontato e risolto lo stesso problema, affermando che � la dedotta illegittimit� della norma del capitolato che predispone l'arbitrato, risolvendosi nella invalidit� del titolo di investitura degli arbitri, d� luogo ad una ipotesi riconducibile alla previsione dell'art. 829, n. l, cod. proc. civ., cio� ad un motivo di nullit� della sentenza arbitrale, che avrebbe dovuto essere dedotto avanti alla Corte d'appello come motivo d'impugnazione della sentenza stessa �. Anche nel caso deciso dalla prima sezione, il Ministero della Difesa si era limitato a contestare nel giudizio d'appello la configurabilit� di una valida rinuncia all'impugnazione per violazione delle regole di diritto � al fine di dare ingresso a motivi di censura per error in iudicando �. Da cui, appunto, la dichiarazione di inammissibilit� del motivo del ricorso per cassazione. La soluzione appare corretta, perch� adottata in conformit� alle regole di diritto processuale e sostanziale vigenti in materia. Per il disposto, invero, dell'art. 829, n. 1, cod. proc. civ., � ammessa l'impugnazione per nullit� del lodo se il compromesso � nullo. E il compromesso � nullo se contrario alle regole degli artt. 806, 807, 808, 809 cod. proc. civ., e, in genere, a norme imperative, secondo il principio sancito dall'art. 1418 cod. civ. � nullo, inoltre, se imposto -come oggi il ricorrente afferma -con norma regolamentare di approvazione dei capitolati generali d'appalto, in violazione del precetto costituzionale dell'art. 24 Cost., dettato a presidio del diritto alla difesa del cittadino. In entrambe le ipotesi -contrariamente a quanto il ricorrente sostiene -si tratta di nullit� in senso tecnico, non di inesistenza giuridica del titolo di investitura arbitrale, che si ha quando � devoluta agli arbitri la cognizione di una controversia non rientrante neppure nella giurisdizione del giudice ordinario rispetto alla pubblica amministrazione e rispetto al giudice amministrativo, mentre in ciascuno dei casi sopra accennati la controversia appartiene virtualmente alla competenza dell'autorit� giudiziaria ordinaria. Ne consegue che, mentre l'inesistenza giuridica della clausola comporterebbe una vera e propria usurpazione di potere, e sarebbe rilevabile PARTE I, SEZ. VII, �GIURIS. � IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI d'ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass., 22 aprile 1963, n. 1026; 17 aprile 1963, n. 945), per la nullit� in senso tecnico vige la regola processuale della conversione dei motivi di nullit� in motivi di gravame, per cui, in applicazione dell'art. 161, primo comma, cod. proc. civ., i vizi dirimenti la pronuncia arbitrale devono essere fatti valere nell'atto di impugnazione (Cass., 12 giugno 1963, n. 1593; 12 febbraio 1968, n. 470). Vige, inoltre, la norma sulla specificit� dei motivi, ancor pi� rigorosa -data la particolare nat�ra del procedimento di impugnazione del lodo -della regola dell'art. 342, cod. proc. civ., che disciplina la forma dell'atto d'appello (Cass., 26 marzo 1975, n. 1148). Nel caso in esame, mentre da~anti alla Corte d'appello il Ministero, per accreditare la proponibilit� dei motivi di merito, aveva chiesto la disapplicazione dell'art. 61, ultimo comma, del decreto ministeriale del 26 ottobre 1938, contenente Ia rinuncia al gravame ed al ricorso per cassazione, oggi, per infirmare la validit� della fonte istitutiva della competenza arbitrale, chiede la disapplicazione (pur senza un esplicito riferimento) dell'art. 55 dello stesso decreto, contenente il titolo dell'investitura degli arbitri. Oggetto del ricorso �, pertanto, una disposizione del decreto ministeriale diversa da quella impugnata in appello. Il preteso motivo di nullit� non � stato, quirndi, dedotto davanti alla Corte d'appello come specifico motivo di gravame. E non potrebbe, pertanto, conoscerne oggi questo Collegio se non in difformit� dalle norme citate e dalla stessa giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale � i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammisibilit�, statuizioni e questioni che hanno formato oggetto di gravame con l'atto d'appello, talch� nel giudizio di cassazione non possono essere proposte per la prima volta questioni nuove, implicanti un rilevante mutamento nel sistema difensivo� (sent. 8 marzo !978, 1170), �n� sono ammissibili tesi difensive che, per la loro novit�, siano tali da sconvolgere il precedente tema difensivo della controparte � (26 aprile 1978, n. 1953). Il ricorso iproposto dal Ministero deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 luglio 1983, n. 4759 -Pres. Santosuosso -Est. Contu -P. M. La Valva (conf.) -Giudici (avv. Pallottino) c. Assessorato ai lavori pubblici della regione siciliana (Avv. Stato Vittoria). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Compensi per danni da forza maggiore -Onere della riserva -Sussiste -Tempo della iscrizione. (r.d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 25, 36, 37, 53, 54, 64 e 89; d.m. 28 maggio 1895, art. 28). RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO Appalto � Appalto di opere pubbliche � Decadenza dal diritto per intem pestivit� della riserva � Rinunzia della P.A. � Ammissibilit� -Pro posta di transazione � Non equivale a rinunzia. (cod. civ., art. 1965). Anche i compensi dovuti all'appaltatore per danni cagionati da forza maggiore, in quanto incidenti sulla spesa complessiva dell'opera, ~ono soggetti' alla disciplina generale relativa all'onere della riserva che va osservato inserendo la riserva a contestazione delle registrazioni contabili immediatamente successive all'esecuzione dei lavori di riparazione, ove queste non ne contengano la contabilizzazione (1). Se .la p. a. pu� rinunciare ad opporre la decadenza nella quale sia incorso l'appaltatore per non avere inserito nel registro di contabilit� le riserve, accertare se il comportamento della p.a. integri una rinuncia spetta al giudice di merito e non � censurabile in sede di legittimit� l'affermazione che non implichi rinuncia il comportamento estrinsecatosi non nel puro e semplice riconoscimento del diritto della decadenza del quale si discuteva, ma nella proposta di una transazione riguardante tutte le pretese dell'appaltatore (2). (omissis) Con il primo motivo del ricorso principale il Giudici deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 25, 36, 37, 53, 54, 64 e 89 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, e dell'art. 348 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 All. F, nonch� omessa e insufficiente motiva (1) Sull'onere della riserva e la sua estensione, cfr., da ultimo, Cass. 15 dicembre 1982, n. 6911 in questa Rassegna 1983, I, 191 e Cass. 1� aprile 1982, n. 2006, ivi, 1982, I, 2758. Non consta che abbia precedenti l'affermazione per cui soggiace all'onere della riserva la pretesa dell'appaltatore al pagamento di compensi per danni da forza maggiore. La decisione � da condividere, giacch� il procedimento delineato dagli artt. 25 r.d. 25 maggio 1895, n. 350, 28 d..m. 28 maggio 1895 e 24 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063; procedimento che si apre con la denuncia dell'appaltatore, tende a verificare che dei danni si siano prodotti e ad accertarne le cause. Ma n� la denuncia contiene l'indicazione della somma spesa per riparare i guasti n� il verbale di constatazione dei danni � la sede per stabilire, avuto anche riguardo a quanto disposto dal capitolato speciale, se spetti o no all'appaltatore il compenso ed in che misura. Ne deriva che, eseguita la riparazione dei guasti, se i lavori non siano contabilizzati, sorge per l'appaltatore l'onere di affermare il suo diritto al compenso impugnando con la riserva la mancata registrazione e quindi il mancato pagamento del compenso cui ritiene di aver diritto. (2) Sull'ammissibilit� della rinuncia a far valere la decadenza in cui l'appaltatore sia incorso per aver formulato le riserve tardivamente, cfr. Cass. 18 maggio 1977; n. 2015 in Arch. giur. op. pubbl. 1977, II, 195 e la giurisprudenza richiamata nella annotazione a Trib. Roma 14 marzo 1977, n. 2338 in questa Rassegna 1977, I, 576. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 773 zione su punti decisivi della controversia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e 5 cod. proc. civ. Il ricorrente si duole che la corte del merito abbia ritenuto erroneamente che il danno da forza maggiore sia stato produttivo di un aumento di spesa complessiva riconducibile al contratto d'appalto e che sia conseguentemente assoggettabile alle disposizioni relative all'onere della riserva immediata, senza tener conto che la pretesa dell'appaltatore sorge e pu� essere fatta valere solo dopo l'esecuzione dei lavori occorrenti per la riparazione dei guasti ed in precedenza non � assoggettabile al regime delle riserve. Con riferimento alla fattispecie sostiene che i danni da lui subiti in conseguenza di causa di forza maggiore erano stati tempestivamente denunciati e sostanzialmente riconosciuti, tant'� che era stata disposta l'effettuazione di una perizia suppletiva per valutarli, ma, non essendo stata la stessa approvata, non si era provveduto al pagamento; la lesione del suo diritto al compenso si era perci� verificata dopo l'ultimazione dell'opera costituente oggetto dell'appalto ed era stata accertata solo al momento della contabilit� finale, allorquando la Pubblica Amministrazione aveva omesso di contabilizzare i lavori necessari per la riparazione dei danni, e solo allora era sorto l'onere della riserva, cui era stato ritualmente e tempestivamente ottemperato. Tali censure non sono fondate. Da pi� di un decennio, dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 1960 del 20 giugno 1972, questa Suprema Corte ha affermato e ribadito il carattere generale deLl'istituto della riserva, nel senso che la necessit� della relativa formulazione, e della successiva quantificazione nel registro di contabilit�, sussiste per tutte le pretese che siano tali da incidere sul compenso complessivo spettante all'appaltatore, quali che siano le componenti ed i titoli delle medesime. Le norme che disciplinano l'istituto della i:iserva sono ispirate ad una duplice finalit�, in quanto da un lato sono dirette a consentire all'amministrazione appaltante la verifica di tutti i fatti producenti spesa con l'immediatezza che rende pi� sicuro e meno dispendioso l'accertamento, e dall'altro rispondono all'esigenza della continua evidenza della spesa dell'opera, in relazione alla corretta utilizzazione ed eventuale tempestiva integrazione dei mezzi finanziari all'uopo predisposti, nonch� alle possibili determinazioni dell'amministrazione appaltante di fronte ad un notevole superamento delle previsioni originarie di spesa, le quali possono condurre anche all'esercizio della potest� di risoluzione unilaterale, quando l'onere della costruzione dell'opera rischi di divenire troppo pesante per la collettivit� in relazione alla sua utilit�. � indubbio perci�, che la necessit� della riserva sorge ogni qualvolta si verifichi una situazione suscettibile di risolversi in danno, o di provocare, comunque, un aumento di spesa. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO E poich� i � fatti producenti spesa � non si esauriscono, ovviamente, negli allibramenti delle partite dei lavori e delle somministrazioni dell'appaltatore, ma riguardano anche richieste di ulteriori compensi e indennizzi per i lavori eseguiti, qualunque ne sia il titolo, la necessit� dell'immediata riserva va collegata all'inerenza di quei fatti all'esecuzione dell'opera, rimanendone esclusi solo quelli che siano il prodotto di un'attivit� del tutto scissa e contraria ai fini della gestione dell'appalto, o quelli che, costituendo fatti illeciti, abbiano con l'esecuzione dell'opera un legame puramente occasionale ed in definitiva siano fonte di responsabilit� non contrattuale ma aquiliana. Da tali premesse discende l'ineluttabile conseguenza che il verificarsi di un evento obiettivamente atipico rispetto all'economia dell'appalto faccia scattare l'onere della denuncia dell'appaltatore, concretantesi, poi, all'atto della prima firma successiva dei documenti di contabilit� presentatigli dall'amministrazione appaltante, nella specifica riserva delle sue pretese. I Anche i compensi dovuti all'appaltatore per danni cagionati da forza maggiore, in quanto incidenti sulla spesa complessiva dell'opera, sono pertanto soggetti alla disciplina generale relativa all'onere della riserva e, del resto,� 10 stesso appaltatore ritenne di essere tenuto a formularla, l ! � tant'� che vi provvide all'atto della firma della contabilit� finale. La questione attiene, perci�, non tanto alla sussistenza in concreto di tale onere, quanto al momento del suo sorgere. I ~ Al riguardo non pu� prescindersi dal considerare che, secondo quanto disposto dagli artt. 36 e 37 del regolamento per la direzione, contabilit� e collaudazione dei lavori dello Stato di competenza del Ministero dei lavori pubblici (r.d. 25 maggio 1895, n. 350), pacificamente applicabile anche agli appalti conclusi dalla Regione siciliana (Cass. n. 1962 del i 1971), la contabilit� di un'opera ha per oggetto l'accertamento e la registrazione di tutti i fatti producenti spesa, la cui contabilit� deve proce I dere di pari passo al loro avvenimento (artt. 36 e 37). � quindi da escludere che possa sorgere il diritto a compensi non risultanti dal registro di contabilit�, e, argomentando a contrario, deve affermarsi che in relazione alle pretese estranee alla contabilizzazione formale sorge l'onere della riserva immediata, la quale non pu� essere differita al momento della firma del conto finale poich�, per espressa disposizione dell'art. 64 del citato decreto, in esso l'appaltatore non pu� iscrivere domande per oggetto o per importo diverse da que1le formulate nel registro di contabilit� durante lo svolgimento dei lavori. N� pu� avere rilevanza che nella fattispecie l'appaltatore avesse provveduto alla denunzia dei danni, come previsto dall'art. 25 del citato regolamento e dall'art. 28 del capitolato generale (d.m. 28 maggio 1895), poich� tale denunzia, non contenendo gli elementi necessari per quanti( :: f ficare la pretesa al compenso, non poteva sostituire la riserva da inserire I. f: j: f: I: PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI in contabilit�, n� assolvere alla funzione ad essa attribuita dalla normativa sugli appalti pubblici. La sentenza appellata si � attenuta puntualmente a tali princ1p1 e, partendo dall'affermazione del carattere generale dell'istituto della riserva, ha giustamente asserito che le registrazioni contabili relative ai lavori di riparazione conseguenti ai danni di cui trattasi dovevano essere effettuate 1subito dopo l'esecuzione delle opere, con la conseguenza che l'onere della riserva sorgeva per il fatto che mancasse la relativa contabilizzazione ovvero che su di essa fossero sorte delle contestazioni. La decisione della Corte del merito � dunque corretta sotto il profilo giuridico ed, avendo preso in considerazione tutte le circostanze di fatto influenti sulla decisione, appare incensurabile anche sotto il profilo della motivazione. Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce difetto assoluto di motivazione su elemento !decisivo della controversia nonch� violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 e seguenti cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e 5 cod. proc. civ. Sostiene, al riguardo, che nella �sentenza impugnata si sia frettolosamente negato il riconoscimento dell'avvenuta rinuncia, da parte dell'Assessorato committente, all'eccezione di tardivit� della riserva per i danni da forza maggiore, contenuta nella nota del maggio 1974, relativa a <liquidazione parziale della riserva, e si duole che il documento sia stato qualificato, in modo del tutto insufficiente e superficiale, come � offerta di transazione �, laddove esso conteneva una valutazione nel merito delle richieste dell'appaltatore. Anche tale censura � del tutto infondata. La corte del merito ha portato la sua indagine sulla natura del documento citato dal ricorrente e, ponendo in evidenza che esso conteneva una proposta di transazione su tutte le pretese avanzate dall'appaltatore e non un puro e semplice riconoscimento del diritto ai maggiori compensi rper i danni da forza maggiore, ha escluso che implicasse una rinunzia ad avvalersi della decadenza conseguente alla intempestiva formulazione della riserva rela tiva alle pretese in oggetto. In tal modo la sentenza impugnata si � uniformata alla giurisprudenza di questa oorte che, pur riconoscendo la possibilit� di rinunzia della pubblica amministrazione appaltante al diritto di far valere la decadenza nella quale sia incorso l'appaltatore per non avere inserito nel registro di contabilit� le riserve che intendeva formulare, ha affermato che il relativo accertamento spetta al giudice del merito ed � incensurabile in sede di cassazione se sorretto da congrua motivazione, immune da vizi logici e gi�ridici ~Cass. n. 677 del 1973; 2015 del 1977). Nella fattispecie l'accertamento della corte palermitana sulla natura giuridica del documento suindicato � sorretto da motivazione ineccepibile ~ul piano logico giuridico ed � perci� incensurabile in questa sede, tanto 776 RASSF.GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pi� che gi� in precedenza questa corte, pronunziandosi su una fattispecie analoga, aveva affennato che non � ravvisabile un riconoscimento del diritto, efficace ad impedire la decadenza, nelil'offerta di una somma da parte della pubblica amministrazione, al solo scopo transattivo ed in un momento successivo a quello in cui la decadenza dai diritti vantati dall'appaltatore si sia gi� verificata (Cass. n. 677 del 1973). Con il terzo motivo il ricorrente principale denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., 40 del capitolato generale 28 maggio 1895 e 35 del capitolato generale 16 luglio 1962, n. 1063, nonch� contraddittoria e insufficiente motivazione, con riferimento all'art. 360, prim.o comma, n. 3 e 5, cod. proc. civ. Deduce, sotto un primo profilo, che 111el determinare la rivalutazione degli importi riconosciuti ed originati dai ritardi colpevoli dell'Amministrazione, la sentenza d'appello ha fatto erroneamente ricorso, per di pi� immotivatamente, all'equit�, senza considerare che tale criterio non � consentito quando esistono, come nel caso, dati seri, reali e concreti di valutazione e quantificazione, quali, ad esempio, gli indici ISTAT dotati di notoriet� e caratterizzati da runa applicazione ormai generailizzata. I Tale censura � fondata, nei limiti di cui alle considerazioni che @ seguono. � da premettere, illl punto di fatto, che la rata di saldo fu pagata ~ all'appaltatore il 7 aprile 1971, anzich� alla regolare scadenza del 2 ago I sto 1963. La Corte del merito, dopo avere accertato e ritenuto che tale ritardo era imputabile a colpa grave dell'Amministrazione, ha riconosciuto il diritto dello stesso appaltatore ad ottenere il risarcimento del danno derivatogliene, da liquidarsi nella misura della svalutazione monetaria nel frattempo verificatasi. Ha poi considerato che, essendo inter Ivenuta in quel periodo, per nozioni di comune esperienza, una svaluta ffi zione del 15 %, la somma originariamente dovuta, pari a lire 3.632.000, aveva subito una svalutazione ammontante a lire 544.680, che costituiva il danno verificatosi fino alla data di pagamento della rata cli saldo; ha infine rivalutato detta somma per adeguarla al deprezzamento subito dalla moneta fino alla data della sentenza e, ponendo a base del calcolo un indice di svalutazione del 60 %, ha liquidato il danno in complessive Hre 871.680. Altra fonte di danno � stata individuata nel fatto che, in considerazione del protrarsi del collaudo, l'appaltatore aveva dovuto rinnovare fino al 7 aprile 1971 la fideiussione sostitutiva della cauzione, subendo l'onere del pagamento dei relativi premi. Anche a tale riguardo � stata attribuita rilevanza alla svalutazione monetaria verificatasi dopo il 2 agosto 1963, ed � stato riconosciuto l'obbligo dell'Amministrazione cli rimborsare detti premi, con la rivalutazione in misura pari al 100 % della somma complessiva dovuta. PARTB I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE BD APPALTI PUBBLICI � facile rilevare che la corte del merito ha rivalutato i due crediti con criteri diversi, pur prendendo in considerazione la svalutazione relativa allo stesso periodo di tempo e riferendosi ad indici di svalutazione indicati come notori. La dififerenza inerente al procedimento adottato �, infatti, irrilevante, poich� in entrambi i casi l'indice finale coin[>lessivo sarebbe dovuto essere identico, anche se per il primo credito si � proceduto applicando prima gli indici relativi a due periodi contigui e pervenendo poi ad una sintesi unitaria complessiva con un'operazione aritmetica effettuata sui risultati parziali cos� ottenuti, mentre per il secondo si � proceduto ad una rivalutazione complessiva mediante un indice unico. Tale divergenza di risultato non ha una spiegazione logica poich� l'indice finale di svalutazione riferito ad una determinata quantit� di moneta non pu� che essere identico, se riferito allo stesso periodo, sia considerando la diminuzione complessiva di potere d'acquisto mediante un'unica operazione aritmetica, sia calcolandola separatamente per periodi diversi e componendo alla fine i risultati delle due operazioni. La corte del merito � pervenuta, invece, a conclusioni non accettabili poich� ha rivalutato U secondo credito applicando un indice del 100 %, che � nettamente superiore a quello risultante dalla composizione dei due indici aipplicati in relazione al primo credito. In tale incongruenza � ravvisabile il vizio di contradditoriet� di motivazione poich�, se � vero che la Inisura della svalutazione monetaria e la relativa determinazione attengono all'esercizio di un potere discrezionale del giudice del merito, il quale, nell'avvalersene, non � tenuto ad indicare gli elementi sui quali esse si fondano, avendo egli la facolt� e non l'obbligo di riferirsi ai coefficienti dell'istituto di �statistica e potendo, discrezionalmente, limitarsi ad utilizzarli orientativamente, per una valutazione globale e forfettaria alla stregua delle nozioni di comune esperienza (Cass. n. 899, 1084 e 4568 del 1982), � altrettanto vero che pecca di illogicit�, e diventa conseguentemente censurabile in sede di legittimit�, l'applicazione di indici di svalutazione diversi con riferimento allo stesso periodo di tempo. Nell'ambito dello stesso motivo di gravame, la sentenza impugnata viene censurata sotto un altro profilo, in quanto si sostiene che sia stato erroneamente applicato, per gli interessi, il tasso del 5 %, anzich� quello del 12 %, dovuto in virt� del nuovo capitolato approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, avente valore dichiarativo e non costitutivo. Tale doglianza non � fondata. La corte del merito ha giustamente rilevato che alla fattispecie sono applicabili le disposizioni del vecchio capitolato generale del 1895, il cui art. 40 prevede il diritto dell'appaltatore a percepire l'interesse del 5 % per i ritardi nei pagamenti delle somme dovutegli, ed ha correttamente determinato il tasso di interesse in tale misura. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il richiamo al nuovo capitolato generale � del tutto arbitrario poich� il contratto d'appalto venne concluso prima della sua entrata in vigore e non poteva perci� disciplinarlo in alcun modo. Occorre infatti considerare che le clausole del capitolato generale hanno natura contrattuale quando siano richiamate ed applicate in contratti riguardanti Enti diversi dello Stato, ed in tal caso, essendo oggetto di un rinvio non formale ma recettizio, ,diventano parte integrante del contenuto del contratto e restano insensibili allo jus superveniens. Tali principi sono applicabili anche nei confronti della Regione siciliana, essendo essa un Ente �diverso dallo Stato, e sono ormai pacifici nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, la quale si � gi� pronunziata nel senso che le norme del capitolato generale per le opere pubbliche si applicano ai contratti di appalto stipulati dalla Regione siciliana solo lin quanto i contraenti le abbiano richiamate. Dal carattere negoziale del richiamo deriva che, sopravvenuta l'emanazione di un nuovo capitolato, le disposizioni innovative �di questo non si applicano ai contratti stipulati dall� Regione con riferimento al vecchio capitolato (Cass. n. 1274 del 1970, n. 528 del 1967; n. 710 del 1969). Sulla base di tale orientamento, dal quale non vi � motivo per discostarsi, va 'approvata la conclusione della corte del merito, secondo cui l'appaltatore non poteva pretendere un interesse superiore al tasso del 5 %. Passando ora all'esame del ricorso <incidentale, deve rilevarsi che con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 1277 e 1224 cod. civ. e dei principi in tema di inadempimento di obbligazioni pecuniare. Si sostiene, al riguardo, che la corte del merito sarebbe caduta in errore nel pronunziare condanna al pagamento degli interessi sulle somme liquidate a titolo di danni da svalutazione monetaria, in quanto gli stessi, avendo natura di interessi corrispettivi, possono competere solo dalla data della pronuncia della sentenza e non da quella della mora o della domanda. Tale censura non � fondata. La doglianza non tiene conto del fatto che trattavasi di interessi compensativi, i quali -come � noto -sono dovuti per indennizzare il creditore della mancata disponibilit� della somma dovutagli, di per s� idonea a determinare un incremento patrimoniale, ed hanno una funzione diversa dalla rivalutazione della somma da liquidarsi a titolo di risarcimento del danno, la quale mira unicamente a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale essa era prima del fatto generatore del danno ed a porlo nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l'evento dannoso non si fosse verificato. Nella fattispecie non pu� perci� farsi riferimento ai principi che regolano gli interessi moratori o corrispettivi ed occorre invece riaffermare il pincipio, ormai consolidato in giurisprudenza, secondo cui sulla somma liquidata a titolo di PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI danno sia da inadempimento (contrattuale) che da illecito (extracontrattuale) -determinata tenendo conto della svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta -'spettano di pieno diritto gli interessi, aventi natura compensativa .(v. per tutte Cass. n. 303 del 1982, m F. lt. 1983, I, 427; 2579 del 1981). La sentenza impugnata, che ha qualificato espressamente come compensativi gli interessi liquidati a favore del Giudici sulle somme attribuitegli a titolo di danni da svalutazione monetaria, appare perci� giuridicamente corretta e non merita censura. Con il secondo motivo, condizionato all'accoglimento del terzo motivo del ricorso principale, il ricorrente incidentale denunzia mancanza e contraddittoriet� di motivazione su un punto decisivo (art. 360 n. 5, cod. proc. civ.), deducendo che nel calcolo del danno conseguente al ritardo nella restituzione dei premi di rinnovo della fideiussiohe non poteva essere considerata !!.'intera somma gi� dovuta alla data del 2 agosto 1963, e avrebbe dovuto essere invece accertata la data di pagamento di ogni rata del premio, per le conseguenze da trarsene in ordine alla determinazione del coefficiente di svalutazione monetaria. Tale censura � fondata. La Corte del merito, dopo aver accertato che i� Giudici aveva subito danni da svalutazione monetaria a causa del mancato rimborso dei maggiori premi di rinnovo de1la polizza fideiussoria erogati a causa del ritardo nel collaudo, ha ritenuto che per Ia loro liquidazione dovesse calcolarsi il tasso di svalutazione verificatosi tra il 2 agosto 1963 e la data della sentenza e lo ha determinato nel 100 %. Siffatto ragionamento non sfugge alle critiche formulate con il motivo in esame poich� non tiene conto della circostanza determinante che non si � accertato se il rinnovo della fideiussione sia avvenuto nel 1963 con effetti fino al 1971 (come appare poco probabile), o se vi siano stati successivi rinnovi in concomitanza col passare degli anni senza che la fideiussione fosse stata svincolata. Con riferimento a tale seconda ipotesi � ovvio che il danno si sarebbe verificato non rinstantaneamente ma in tempi diversi e success~vi, con evidente influenza sulla liquidazione poich�, trattandosi di danno da svalutazione monetaria, avrebbe dovuto proceders.i all'accertamento della data di pagamento d'ogni rata di premio, per calcolare poi la svalutazione vericatasi fra le singole scadenze e la data della sentenza. I giudici del merito hanno omesso l'inda~ine necessaria per addivenire ad una liquidazione del danno di cui trattasi secondo corretti criteri giuridici, e sono perci� incorsi nel denunziato vizio di motivazione. (omissis). SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III pen., 19 maggio 1983, n. 390 � Pres. Radaelli � Est. Visalli -Imp. Carlo Ponti ed altri � Rie. P.G. e parti civili Ministero del Tesoro e Ufficio Italiano Cambi (avv. dello Stato Ugo Fienga). Reato -Reati valutari � Delitto previsto dal primo comma dell'art. 1 d.1. 4 marzo 1976, n. 31 e succ. mod. � Reato comune a soggetto indif ferente. Reato � Reati valutari. � Delitti previsti dal secondo e dal terzo comma dell'art. 1 d.I. 4 marzo 1976, n. 31 e succ. mod. � Reati a soggetto qualificato. Reato � Reati vab:(tari � Nozione di residenza delle persone fisiche ai fini valutari � � quella di cui all'art. 1 d.I. 6 giugno 1956, n. 576. Il delitto previsto dal primo 1comma dell'art. 1 d.l. 4 marzo 1976, n. 31 e succ. mod. � un reato a soggetto indifferente, in quanto punisce colui che esporta fuori del territorio dello Stato valuta italiana o estera, titoli azionari o obbligazionari, titoli di credito o altri mezzi di pagamento, senza la prescritta autorizzazione oppure con putorizzazione illegalmente ottenuta, sia esso residente o non residente nel territorio dello Stato, con cittadinanza italiana o straniera (1). Gli autori dei delitti previsti dal secondo comma (illecita costituzione all'estero di disponibilit� valutarie o di attivit� di qualsiasi genere) e dal terzo comma (omessa cessione di valuta estera all'Ufficio Italiano dei Cambi) dell'art. 1 d.l. 4 marza 1976 n. 31 e succ. mod. devono essere � residenti � nel territorio italiano ai fini valutari, essendo irrilevante la presenza nella norma del pronome indefinito �chiunque� (2). La figura giuridica di� � residente � ai fini valutari trova la sua specificazione differenziata all'art. 1 d.l. 6 giugno 1956 n. 476 conv. nella legge 25 luglio 1956 n. 786, il quale, nell'ambito delle persone fisiche, fa coinci (1-3) Sulla prima massima v. in giurisprudenza Cass. pen. III, 11 mar� zo 1982, n. 2710, rie. Dottor, e n. 27H rie. Zeiske, in Riv. pen. 1982, 1024; Cass. pen. Ili, 18 febbraio 1981, rie. Giacomini, in Giust. pen. 1983, Il, 29; Cass. pen. Ili, 12 novembre 1980, n. 11912, rie. Vivaldi, in Riv. pen. 1981, 182. In dottrina sui principi di cui alle tre massime v. A. DI AMATO, La disciplina penale delle infrazioni valutarie, in Giust. pen. 1977, 1, 289; PERRUCCI, Il diritto valutario, ed. Zanichelli, 1980; DI STEFANO, Lineamenti del sistema valutario, ed. Giuffr�, 1980). PARTB I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE dere la residenza in senso civilistico (art. 43 cod. civ.) con la residenza ai fini valutari solo nel caso di cui al n. 1 (italiano residente in Patria) ed in quello di cui al n. 3 (straniero o apolide residente in Italia, limitatamente all'attivit� produttrice di redditi quivi esercitata), mentre tale coincidenza non prevede nel caso di cui al n. 4 (persona fisica di nazionalit� italiana avente la residenza all'estero, limitatamente all'attivit� produttrice di redditi esercitata nel territorio della Repubblica) {3). (omissis). Ritiene opportuno questo Supremo Collegio accennare brevemente alla disciplina vigente in materia valutaria, fa quale, prima dell'attuale riordinamento, si presentava m modo frammentario, disorgalll�CO e contraddittorio, risentendo della profonda diversit� d'impostazione della politica economica, ispirata nel periodo prebellico ad un modello di tipo autarchico ed in quello postbellico ad un modello di tipo Uberale nei rapporti tra � residenti � e � non residenti � e nell.e transazioni internazionali. Molto importanti sono al riguardo le disposizioni emanate col d.l. 28 luglio 1955 n. 586 sulla negoziazione e cessione di valuta estera allo Stato, convertito nella legge 26 settembre 1955 n. 852, e col d.l. 6 giugno 1956 n. 476 recante � nuove norme valutarie e istituzione di un mercato libero di biglietti di Stato e di banca esteri �, convertito nella fogge 25 luglio 1956 n. 786, integrati da numerosi decreti ministeriali, tutte dirette a consentire ai competenti organi della Pubblica amministrazione di attuare, mediante il controllo valutario, il blocco dell'esportazione illegittima delle valute e degli aUri mezzi di pagamento, il monopolio dei cambi, i monopolio dei mezzi di pagamento internazionali. Per le relative violazioni sono previste sanzioni di natura amministrativa, che vengono inflitte dal Ministro del Tesoro ovvero, nel caso di connessione con un i!llecito penale, dal giudice ordinario. I noti eventi verificatisi agli inizi degli anni settanta (inconvertibilit� del dolllaro U.S.A., progressivo aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi, ecc.) hanno determinato una grave crisi nel campo internazionale ed hanno inciso negativamente in modo ancor pi� grave sull'economia italiana, che da alcuni anni stava attraversando un periodo di forte recessione, caratterizzato da .un rapido aumento del disavanzo con l'estero e da un altrettanto rapido processo inflattivo. Si � resa, perci�, necessaria ['adozione di mezzi di lotta pi� efficaci contro l'esportazione olandestina di capitali ed ogni altra forma di possibile depauperamento del patrimonio nazionale, ripristinando le sanzioni penali gi� abrogate da oltre un trentennio (legge 18 ottobre 1949 n. 769) ed uniformando la legislazione interna a quella gi� esistente neUa maggioranza dei Paesi della Comunit� Economica Europea. Di conseguenza, nell'arco di circa dieci mesi, sono stati emanati il decreto legge 4 marzo 1976 n. 31, contenente disposizioni penali, con 782 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vertito con modificazioni nella legge 30 aprile 1976 n. 159; il decreto legge 10 agosto 1976 n. 543, contenente la fissazione di un termine di proroga, convertito con modificazioni nella legge 8 ottobre 1976 n. 689; il decreto legge 19 novembre 1976 n. 759, contenente la fissazione di un ulteriore termine di proroga, convertito con modificazioni nella legge 23 dicembre 1976 n. 863. Gli obiettivi essenziali che il Legislatore si � prefisso mediante questo regime repressivo � quello di scoraggiare l'illegale esportazione di capitali e l'illecita costituzione all'estero di disponibilit� o di attivit� di qualsiasi genere; di inventariare i beni situati all'estero ed appartenenti direttamente o a mezzo inte:riposte persone a � residenti � !in Italia; di acquisire alla bilancia valutaria italiana i redditi ,di tali beni e, in prospettiva, H corrispettivo di eventuali loro alienazioni. E per raggiungere codesti obiettivi ha introdotto nell'ordinamento positivo numerose ipotesi di reato, le cui figure pi� gravi (delitti) sono: -l'esportazione, senza autorizzazione o con autorizzazione indebitamente ottenuta, da parte di � residenti � e di � non residenti � di valuta a!1l'estero ovvero di titoli vari traslativi di valuta (art. l, primo comma); -la costituzione all'estero, senza autorizzazione o con autorizzazione indebitamente ottenuta, da parte di � residenti � di disponibilit� o di attivit� di qualsiasi genere (art. l, secondo comma); -l'omessa cessione da parte del �residente� all'Ufficio Italiano dei Cambi della valuta estera comunque acquisita o detenuta nel territorio deHo Stato entro fil termine _di 30 giorni (art. l, terzo comma); -la costituzione da parte del � residente � 'di persone giuridiche o enti esteri, ovvero l'assunzione di partecipazioni, per far apparire beni situati o attivit� realizzate in territorio italiano come appartenenti a soggetti �non residenti� (art. 1bis introdotto con l'art. 2 della legge di conversione 23 dicembre 1976 n. 863, modificatrice dell'art. 2 della legge 8 ottobre 1976 n. 689); -l'omessa dichiarazione e la mancata cessione con le modalit� e nei termini fissati dalla legge delle disponibilit� valutarie e delle attivit� costituite all'estero. anteriormente a!l 6 marzo 1976, in violazione delle norme valutarie vigenti al momento del fatto, da parte del �residente� avente la cittadinanza italiana fino a tale data (art. 2 introdotto con l'art. 3 della legge di conversione 8 ottobre 1976 n. 689, parzialmente modificato dall'art. 3-della legge 23 dicembre 1976 n. 863). Ci� premesso e passando all'esame dei motivi di ricorso del Procuratore Generale e delle Parti civili, che per la sostanziale identit� di contenuto possono essere trattati in un unico, comune contesto, rilevasi che i predetti ricorrenti, contro l'opinione espressa dai giudici di primo e di secondo grado, hanno affermato che le ipotesi delittuose previste dai PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE primi tre commi dell'art. 1 del d.l. 4 marzo 1976 n. 31 e succ. mod. non rientrano nella categoria dei reati propri o a soggetto qualificato, bensi in quella dei reati comuni a soggetto indifferente, cio� di quegli illeciti penali che possono essere commessi da qualsiasi persona, a prescindere dalla sua nazionalit� o dalla sua residenza. Osserva questa Corte Suprema che tale assunto pu� essere considerato esatto soltanto per il delitto previsto dal primo comma in quanto punisce in modo indiscr�iminato colui che esporta fuori del territorio dello Stato valuta italiana o estera, titoli azionari o obbligazionari, titoli di credito o altri mezzi di pagamento, senza la prescritta autorizzazione oppure con un'autorizzazione ottenuta illegalmente. Ma per i delitti previsti dal secondo comma (illecita costituzione all'estero di disponibilit� valutarie o di attivit� di qualsiasi genere) e dal terzo comma (omessa cessione di valuta estera all'Ufficio italiano dei cambi) esso � del tutto privo di fondamento, poich� gli autori degli stessi devono essere � .residenti � nel territorio italiano ai fini valutari a norma dell'art. 1 del d.l. 6 giugno 1956 n. 476, essendo irrilevante l'uso improprio (del resto non infrequente) del pronome indefinito �chiunque �. Rileva in proposito che la legge valutaria pena[e, anche se non pu� essere ritenuta -come da taluno si sostiene -un sistema di norme sanzionatorie dei precetti contenuti nella legge valutaria amministrativa, �, tuttavia, intimamente collegata con quest'ultima, da cui mutua i principi e le fattispecie pi� importanti, donde la necessit� di farvi -riferimento per la determinazione del fatto-tipico e, in particolare, per la nozione della qualifica di �residente� e di �non residente� nel territorio nazionale degli agenti. Infatti, per �l'esatta configurazione giuridica dei due reati in esame devesi far ricorso alla suddetta normativa, secondo la quale le restrizioni valutarie riguardano soltanto i �residenti �. E proprio codesta figura giuridica di � residente � ai fini valutari -destinatario di gran parte degli obblighi imposti dalla particolare materia -trova fa sua specificazione differenziata nell'art. 1 del d.l. 6 giugno 1956 n. 476, convertito nella legge 25 luglio 1956 n. 786, il quale nell'ambito delle persone fisiche, ne fa coincidere la residenza in senso civilistico (art. 43 cod. civ.) con Ja residenza ai fini valutari solo nel caso di cui ail n. 1 (italiano residente in Patria) ed in quello di cui al n. 3 (straniero o apolide residente in Italia, limitatamente all'attivit� produttrice di .redditi quivi esercitata), mentre la esclude nel caso di cui al n. 4 (italiano residente all'estero limitatamente all'attivit� produttrice dei redditi esercitata nel territorio della Repubblica). All'odierna pubblica udienza il concludente Procuratore Generale ha acutamente sostenuto la tesi, meritevole di ogni considerazione, della diversit� di posizione espressamente stabilita dall'art. 1 n. 3 del decreto in questione delle persone fisiche di nazionalit� straniera e degli apolidi, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tutti naturalmente in quanto esercenti una attivit� produttrice di redditi in Italia, assumendo che l'ulteriore requisito della � residenza� nel territorio dello Stato � richiesto soltanto per gli apolidi e non anche per i primi, illustrando con ampi riferimenti legislativi la fondatezza di tale interpretazione. Questo Supremo Collegio non ritiene, per�, di poterne condividere l'opinione, posto che la � ratio � della norma e l'armonia del sistema non lo consentono, attesa l'esigenza di equiparare entrambe le suddette categorie di persone di nazionalit� non italiana, limitapdo l'attribuzione ad esse della residenza valutaria in Italia in relazione ad un fatto ben pi� rilevante per l'assunzione di oneri ed obblighi valutari che non la semplice e, talvolta, solo occasionale produzione di un reddito in Italia. Lo prova ulteriormente la circostanza che, accogliendo la tesi contraria, verrebbe meno ogni differenza, sempre ai fini della � residenza valutaria � nel territorio dello Stato, tra la persona .fisica di nazionalit� straniera, di cui all'art. 1 n. 3, e la persona fisica di nazionalit� italiana aivente la residenza a!ll'estero, di cui all'art. 1 n. 4 del decreto n. 476/56. Ritornando alla nozione di � residenza �, osservasi che, poich� l'art. 1 n. 3 di quest'ultimo provvedimento, al fine di delimitare convenzionalmente la cosiddetta residenza valutaria dello straniero, si richiama alla � residenza� intesa manifestamente come concetto 1gi� acquisito all'ordinamento, non v'ha dubbio che esso intenda riferirsi a quella accolta dall'art. 43 cod. civ., cos� come � stato correttamente ritenuto da entrambi i giudici di merito. Tuttavia ;proprio nella materia valutaria, una volta stabilito tale principio, occorre determinare per la valutazione dei fatti e della situazione dell'imputato Carlo Ponti i criteri generali da seguire in sede di merito, criteri dei quali, invece, la sentenza impugnata non ha tenuto conto, pur essendo i medesimi gi� recepiti dalla giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte in tema, appunto, di residenza. Si osserva iin primo luogo che, come � pacifico in causa, il Ponti, gi� cittadino italiano, ha acquistato la cittadinanza francese nell'anno 1965, continuando a mantenere la propria abitazione a Marino, localit� posta nei pressi di Roma, dalla quale. -secondo le sue dichiarazioni si sarebbe successivamente allontanato trasferendo all'estero la residenza per sottrarsi a concrete intimidazioni ricattatorie. Orbene, se ci� � �vero, bisogna in ogni modo tener presente che l'aver abbandonato come persona fisica, unitamente ai �suoi due familiari (la moglie ed il figlio), l'abitazione di Marino, non comporta ancora, di per s�, che egli abbia trasferito �all'estero la propria residenza, posto che abbia mantenuto in Italia il centro effettivo delle sue attivit�, delle sue relazioni, dei suoi interessi. tt dato, anzi, desumere in linea di diritto dall'art. 44 cod. civ. un criterio presuntivo e probatorio, che tale norma detta bens� per i i fo ~= f.: I 1: f: PARTE I, SEZ, VIII, GIURISPRUDENZA PENALE rapporti privatistici coi terzi di buona fede, ma che ha una portata ed una ispirazione di carattere pi� generale, la quale cosi si pu� sinteticamente esprimere: la residenza precedentemente possedut� e provata va ritenuta anche per il tempo successivo, se non si dimostri, con un rigore cui si sottraggono le semplici dichiarazioni e fo documentazioni anagrafiche, che i precedenti elementi costitutivi di essa -quelli che la motivano anche da un punto di vista intenzionale -siano sensibilmente mutati. Inoltre, stante la rilevanza amministrativa e penale della residenza, unitamente alla cittadinanza, nella materia valutaria -cosi come questa Corte Suprema ha gi� ritenuto anche in altre materie (cfr.: Sez. I civ., sentenza 28 ottobre 1978 n. 4926; Sez. I, sentenza 13 dicembre 1978 n. 5919; Sez. I, sentenza 22 dicembre 1978 n. 6152) -comprensibili ragioni di sospetto che si tratti di uno stratagemma per eludere la normativa valutaria del 1956 e quella del 1976, inducono a richiedere la prova rigorosa che il trasferimento affermato sia serio, duraturo ed effettivo; pertanto il giudice di merito deve dare conto di essa con adeguata motivazione, la quale, nella specie, � manchevole per quanto riguarda le dichiarazioni dei testimoni addotti dalla parte. Al riguardo questo Collegio ha sempre affermato in sede civile la scarsa o nulla rilevanza di assenze reiterate e prolungate dal luogo di residenza ipotizzato, che vanno valutate nella situazione concreta e poste in relazione con talune esigenze della vita moderna; nel caso in esame non si pu� non tenere nel debito conto .la probabile pluralit� delle sedi di produzione e di gestione degli affari, che emerge dalla stessa sentenza censurata, cos� che H requisito della abitualit� non pu� essere valutato solo in base all'elemento fisico e temporale, ma deve essere considerato soprattutto in relazione agli altri elementi che concorrono a provare la permanenza dell'elemento soggettivo ed il rinnovato rapporto di fatto con il luogo della precedente dimora abitu~e {cfr.: Sez. I civ., sentenza 26 ottobre 1%8 n. 3586). La Corte di merito, poi, nel ritenere provata la residenza del Ponti all'estero, hon ha considerato, oltre ai criteri suesposti, anche altre circostanze rilevanti, che emergono dalla sentenza stessa, fra cui: l'aver il Ponti mantenuto in Italia cospicue relazioni d'affari e notevoli interessi economici; l'aver -a quanto sembra -conservato, nonostante tutto, una ben efficiente organizzazione abitativa a Marino (dipendente dalla S.p.A. �Immobiliare Villa Sara�, eon sede in Roma) e non semplicemente dei vani spogli e disabitati; l'aver data eccessiva �importanza, in relazione agli altri elementi di localizzazione della dimora, alle non prolungate sue permanenze al Grand Hotel di Roma. Ancora in relazione alla materia valutaria va pure rilevato che, per provare la residenza in Italia ovvero il suo avvenuto ed effettivo trasferimento all'estero, non costituisce � luogo della dimora abituale �, ai RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO sensi e per gli effetti del citato art. 43 cod. c~v., il comune singolo (per esempio quello di Marino o quello di Roma), bens� l'intero ambito locale in cui una persona dotata di particolare mobilit� per varie ragioni pu� aver in periodi diversi dimorato, cos� da dover considerare, di fatto, detto ambito in modo unitario, indifferente essendo, in situazioni di tal genere, anche la mancanza di una vera e propria abitazione fissa. Devesi ultel'iormente osservare, nella presente materia valutaria e con riferimento anche ai criteri di valutazione da valere nella specie, che, in linea puramente teorica ed astratta, non sarebbe necessario dare prova compiuta e positiva del luogo in cui lo straniero o l'apolide risiede, ove si potesse comunque esoludere con certezza che egli risieda in Italia; tuttavia, in difetto di codesta certezza, come nella presente fattispecie, e nella esigenza di dover partire dalla presunzione legata per il passato ad una opposta certezza, occorre dimostrare che il soggetto ha realmente spostato in altro luogo determinato il centro delle sue relazioni e dei suoi interessi (cfr. da ultimo: Sez. I, sentenza 23 febbraio 1977 n. 792). Va ancora tenuto presente che indubbiamente il luogo in cui dimorano il coniuge ed i pi� stretti familiari dev'essere considerato in tutta la sua efficacia probatoria ai fini, appunto, della individuazione della dimora abituale dell'interessato; ci� non toglie, per�, che per le ricordate particolarissime esigenze della vita moderna, come la complessit� degli affari del Ponti e l'attivit� artistica ben nota di sua moglie (in arte Sophia Loren), fa sede della famiglia possa perdere molto della sua pur normale importanza ed assumere un carattere del tutto secondario, sia in linea di fatto che sul piano della prova, rispetto alla sede o alle sedi effettive di svolgimento personale delle rispettive attivit� professionali e lavorative. In definitiva, posto il primo e precipuo criterio presuntivo sopra richiamato con riguardo al luogo certo e pacifico della precedente residenza del Ponti, non pu� escludersi che non si abbia prova altrettanto certa dell'avvenuto trasferimento del luogo (preferenziale) in cui egli coltiva le proprie relazioni ed i propri interessi: in tal caso appare evidente che in realt� nessun trasferimento si � verificato, con tutte le conseguenze che da questa circostanza devono essere tratte. Tutto ci� premesso e precisato, pur non meritando censura la sentenza impugnata sul punto di diritto concernente H concetto di � residenza ai fini valutari �, il primo motivo denunciato nel ricorso del Procuratore Generale merita, tuttavia, accoglimento, se non negli stessi termini come sviluppati dal ricorrente, per aver comunque trascurato !i sopra esposti criteri valutativi del preteso trasferimento di residenza del Ponti all'estero, particolarmente rilevanti in relazione alle violazioni valutarie contestate, e per vizio conseguente della motivazione. A tali criteri la Corte di rinvio dovr� attenersi ai sensi dell'art. 544 cod. proc. pen. nel valutare il pi� che abbondante materiale probatorio PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE gi� acquisito, con queHa urgenza richiesta daH'opportunit� di giungere ad una rapida decisione definitiva di merito. Analogo rinvio va disposto, altres�, per le censure mosse dal Pubblico miri.istero e dalle Parti civili alla sentenza de qua sul punto relativo all'esercizio dell'attivit� produttrice di redditi in Italia, che vengono pienamente condivise. Nel corso dell'odierna pubblica discussione i difensori hanno sostenuto che il Ponti non era un socio di rango o socio sovrano della S.p.A. � Champion '" giacch� questa aveva sempre operato nelle forme statutarie ed attraverso la sua organizzazione: a tale rilievo si oppone la considerazione che nel processo si discute, invece, se l'impresa societaria fosse, al di l� delle sue strutture organizzative, interamente gestita di fatto dal predetto imputato. Appare, perci�, necessario che al riguardo il giudice conduca un'opportuna ed approfondita indagine sulle relative emergenze processuali, indagine per nulla affatto espletata dal giudice di appello, avendo ritenuto che l'attivit� produttrice di reddito esercitata in Italia facesse capo esclusivamente al soggetto formalmente operante, senza alcun legame con il Ponti. Assieme alla posizione di quest'ultimo vanno riesaminate quelle degli imputati concorrenti Van Daalen Robert e Baldini Giorgio nei limiti delle rispettive imputazioni, tenendo presente che il solo Baldini � stato assolto in sede di appello dal delitto d'illecita costituzione all'estero della somma �di L. 75.059.468 per insussistenza del fatto e che tale decisione � divenuta irrevocabile non essendo stata gravata di ricorso per cassazione. Va, infine, posta in evidenza l'esattezza sul piano giuridico delle argomentazioni svolte con i relativi motiv�i di impugnazione in ordine agli obblighi derivanti dal rapporto di avallo cambiario (e non di girata) sottoscritto dal Ponti, nel caso ne venisse riconosciuta la sua qualit� di � residente " nel territorio dello Stato ai fini valutari. Concludendo, in accoglimento dei ricorsi del Procuratore Generale della Repubblica di Roma e delle due Parti civili limitatamente ai denunciati vizi di motivazione, la sentenza impugnata deve essere annullata per difetto di motivazione con rinvio degli atti relativi ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma per un nuovo giudizio. (omissis) PARTE SECONDA LEGISLAZIONE I � NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice di procedura civile, art. 419 (sub art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533), nella parte in cui, ove un terzo spieghi intervento volontario, non attri� buisce al giudice il potere dovere fissare -con il rispetto del termine di cui all'art. 415, quinto comma (elevabile a quaranta giorni allorquando la notificazione ad alcuna delle parti originarie contumaci debba effettuarsi all'estero) una nuova udienza, non meno di dieci giorni prima della quale potranno le parti originarie depositare memoria, e di disporre che, entro cinque giorni, siano notificati alle parti originarie il provvedimento di fissazione e la memoria dell'interveniente, e che sia notificato a quest'ultimo il provvedimento di fissa� zione della nuova udienza. Sentenza 29 giugno 1983, n. 193, 'G. U. 6 luglio 1983, n. 184. codice penale, artt. 204, secondo comma e 219, primo comma, nella parte in cui non subordinano il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell'imputato condannato per delitto non colposo ad una pena diminuita per cagione di infermit� psichica al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosit� sociale derivante dall'infermit� medesima, al tempo dell'applicazione della misura di sicurezza. Sentenza 28 luglio 1983, n. 249, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. codice penale, art. 219, secondo comma, nella parte in cui non subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell'imputato condannato ad una pena diminuita per cagione di infermit� psichica per un delitto per il quale � stabilita dalla legge la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a dieci anni, al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosit� sociale derivante dall'infermit� medesima, al tempo dell'applicazione della misura di sicurezza. Sentenza 28 luglio 1983, n. 249, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. codice di procedura penale, art. 387, terzo comma, nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, codice di procedura penale, avverso la sentenza del giudice istruttore, che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o prescrizione. Sentenza 21 luglio 1983, n. 224, G. U. 21 luglio 1983, n. 205. codice di procedura penale, art. 399, primo comma, nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'articolo 152, comma secondo, codice di procedura penale, avverso la sentenza del pretore, che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o prescrizione. Sentenza 21 luglio 1983, n. 224, G. U. 27 luglio, 1983, n. 205. 14 78 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di procedura penale, artt. 512, n. 2, e 513, n. 2 [come sostituiti dagli artt. 134 e 135 legge 24 novembre 1981, n. 689], nelle parti in cui escludono il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, codice di procedura penale, avverso la sentenza del pretore, del tribunale e della corte di assise che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o prescrizione. Sentenza 21 luglio .1983, n. 224, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. r.d.I. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9 [convertito con modif. in legge 27 maggi0> 1935, n. 835] nella parte in cui sottrae alla competenza del tribunale per i minorenni i procedimenti penali a carico di minori coimputati con maggiorenni per concorso nello stesso reato. Sentenza 19 luglio 1983, n. 222, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. ordinamento della Cassa di previdenza per le �pensioni agli impiegati degli enti locali, approvato con r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, art. 61, quarto comma [convertito in legge 9 gennaio 1939, n. 41], nella seconda parte, che inizia con le parole � Il provvedimento di cessazione � e termina con le parole � presente ordinamento �. Sentenza 5 ottobre 1983, n. 288, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 53, nella parte in cui consente di scegliere nei procedimenti penali davanti ai tribunali militari territoriali i difensori tra gli ufficiali inferiori in servizio. Sentenza 20 ottobre 1983, n. 320, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. legge 26 gennaio 1942, n. 37, art. 1, nella parte in cui non comprende nel personale addetto ai servizi delle imposte di fabbricazione e dei laboratori chimici delle dogane e delle imposte indirette, avente diritto alla iscrizione al Fondo di previdenza, anche gli impiegati non di ruolo. Sentenza 18 ottobre 1983, n. 308, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. legge 17 luglio 1942, n. 907, art. 108, primo comma, relativamente alle parole: � ovvero quando si tratta di straniero che non d� idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle multe o delle ammende �. Sentenza 18 luglio 1983, n. 215, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 17 luglio 1942, n. 907, art. 108, secondo comma, relativamente alle parole: � o, trattandosi di straniero, fino a che questi non ha prestato la cauzione o la malleveria �. Sentenza 18 luglio 1983, n. 215, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 5 dice:rnbre 1959, n. 1077, art. 18, primo comma. Sentenza 10 ottobre 1983, n. 302, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332, primo comma, relativamente alle pa~ role: � ovvero quando si tratta di straniero che non d� idonea cauzione o malleveria per il pagamento delle multe e delle ammende �. Sentenza 18 luglio 1983, n. 215, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. INDICE DELLA LEGISLAZIONE d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332, secondo comma, relativamente alle parole: � o, trattandosi di straniero, fino a che questi non ha pagato la cauzione o la malleveria�, Sentenza 18 luglio 1983, n. 215, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma, nella parte in cui comporta che l'accertamento dell'imposta divenuto definitivo in conseguenza della decisione di una commissione tributaria vincoli il giudice penale, nella cognizione dei reati previsti in materia di imposte sui redditi, contestati a chi sia rimasto estraneo al giudizio tributario, perch� non posto in condizioni di intervenirvi o di parteciparvi. Sentenza 28 luglio 1983, n, 247, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54, nella parte in cui non prevede la possi" bilit� di concedere anche al condannato all'ergastolo la riduzione di pena, ai soli fini del computo della quantit� di pena cos� detratta nella quantit� scontata, richiesta per l'ammissione alla liberazione condizionale. Sentenza 27 settembre 1983, n. 274, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge 2 maggio 1976, n. 183, art. 6, quinto, ottavo e nono comma, nella parte in cui prevede il trasferimento alle regioni Sicilia e Sardegna del personale periferico della Cassa per il Mezzogiorno con decreto del Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno. Sentenza 25 luglio 11983, n. 237, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 15, settimo comma [come sostituito dal� l'art. 18 legge 24 dicembre 1979, n. 650] nella parte in cui non prevede che il Laboratorio provinciale di igiene e profilassi dia avviso al titolare dello scarico affinch� possa presenziare, eventualmente con l'assistenza di un consulente tecnico, all'esecuzione delle analisi. Sentenza 28 luglio 1983, n. 248, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 27 luglio 1978, n. 392, combinato disposto degli artt. 58, 59 nn. 2, 3, 6 e 8, nonch� 65, nella parte in cui esclude il diritto di recesso del locatore, per i motivi indicati nel citato art. 59 nn. 2, 3, 6 e 8, dai contratti in corso alla data del 30 luglio 1978 e non soggetti a proroga. Sentenza 28 luglio 1983, n. 250, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 27 luglio 1978, n. 392, combinato disposto degli artt. 58, 59 nn. 4, 5 e 7 nonch� 65, nella parte in cui esclude il diritto di recesso del locatore per i motivi indicati nel cit. art. 59 nn. 4, 5 e 7, dai contratti in corso alla data del 30 luglio 1978 e non soggetti a proroga. Sentenza 28 luglio 1983, n. 250, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 27 luglio 1978, n. 392, combinato disposto art. 69, settimo comma e art. 73 stessa legge (quale modificato dall'art. 1-bis del decreto-legge 30 gen� naio 1979, n. 21, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 93), nella parte in cui -relativamente alle ipotesi di recesso del locatore dai RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DllLLO STATO contratti disciplinati dall'art. 67 stessa legge, motivate con la sopravvenuta necessit� di adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti in linea retta entro il secondo grado -prevede che l'indennit� per l'avviamento commerciale dovuta al conduttore sia determinata sulla base del canone corrente di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche, anzich� con riferimento all'ultimo canone corrisposto. Sentenza 6 ottobre 1983, n. 300, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1, primo e secondo comma, e 2. Sentenza 19 luglio 1983, n. 223, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 29 luglio 1980, n. 385, artt. 1, terzo, quarto e quinto comma, e 3. Sentenza 19 luglio 1983, n. 223, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 25 settembre 1981, n. 535. Sentenza 119 luglio 1983, n. 223, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. d.-1. 22 dicembre 1981, n. 786 [convertito, con modificazioni, in legge 28 febbraio 1982, n. 51], art. 26, secondo e terzo comma (divenuti primo e secondo per effetto della soppressione del primo comma, operata in sede di conversione in legge). � Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1963, n. 288. legge 29 luglio 1982, n. 481. Sentenza 19 luglio 1983, n. 223, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 23 dicembre 1982, n. 943. Sentenza 19 luglio 1983, n. 223, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. d.-1. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 31, primo comma [convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131], nella parte in cui prevede che, per il definitivo equilibrio delle gestioni delle aziende locali di trasporto, le regioni sono tenute -anzich� facoltizzate -a provvedere mediante l'integrazione della eventuale differenza tra la quota regionale derivante dalla ripartizione del Fondo nazionale trasporti per l'anno 1983 e la somma delle erogazioni effettuate allo stesso titolo alle aziende nel 1982, nonch� nella parte in cui prevede che a questa integrazione le regioni devono necessariamente fare fronte con il maggiore gettito dei tributi propri. Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 26 aprile 1983, n. 130, art. 4, quinto e sesto comma. Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 26 aprile 1983, n. 130, art. 9, quarto comma, nella parte in cui non prevede che siano le regioni -anzich� il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministro del INDICE DELLA LEGISLAZIONE 81. tesoro -a determinare, valutate le eventuali necessit�, i singoli casi in cui sia indispensabile procedere ad assunzione di personale nelle unit� sanitarie locali esistenti nell'ambito territoriale di rispettiva competenza, ferme restando le funzioni di indirizzo e coordinamento previste dall'art. 5 della legge 23 dicembre 1978, n. 833. Sentenza 11 ottobre 1983, n. 3CJ1, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 26 aprile 1983, n. 130, art. 20, terzo comma. Sentenza 11 ottobre 1983, n. 3CJ1, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 26 aprile 1983, n. 131, articolo unico, ultimo comma, nella parte in cui prevede che �restano validi gli atti e i provvedimenti adottati ed hanno efficacia i rapporti giuridici sorti in applicazione � dell'art. 45, primo comma, lett. a), del decreto-legge n. 952 del 1982. Sentenza 11 ottobre 1983, n. 3CJ1, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 480 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 29 giugno 1983, n. 19.1, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. combinato disposto codice civile, art. 2697, legge 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1, e codice di procedura civie, art. 414, n. 4 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 29 giugno 1983, n. 192, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. codice di procedura civile, artt. 41 e 367 (artt. 3, 24, 103, 111, terzo comma, 113 e 125 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1983, n. 246, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. combinato disposto codice di procedura civile, art. 414, n. 4, legge 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1, e codice civile, art. 2697 (artt. 3 e 24 della Costi� tuzione). Sentenza 29 giugno 1983, n. 192, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. codice di procedura civile, artt. 657 e seguenti (artt. 2, 3, 31, 41, 42 e 47 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1983, n. 252, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. codice penale, artt. 519 e 539 (artt. 2, 3, 27 della Costituzione). Sentenza 6 luglio 1983, n. 209, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. codice penale, art. 539 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Sentenza 6 luglio 1983, n. 209, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 82 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO codice di procedura penale, art. 503, terzo comma (art. 24 della Costituzione). Sentenza 6 luglio 1983, n. 206, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 228, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 26 settembre 1983, n. 263, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 228, terzo comma, seconda parte (art. 36 della Costituzione). Sentenza 26 settembre 11983, n. 264, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. d.l.lgt. 19 ottobre 1944, n. 279 (artt. 3, 24, 42, 43, 44, 97 e 113 della Costituzione). Sentenza 10 ottobre 1983, n. 301, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 19 marzo 1955, n. 160, artt. 9, 10 e 15 (artt. 3, 32 e 97 della Costituzione). Sentenza 18 luglio 1983, n. 212, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. combinato disposto art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, codice di procedura civile, art. 414, n. 4, e codice civile, art. 2697 {artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 29 giugno 1983, n. 192, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 27 febbraio 1963, n. 260, art. 5 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 21 luglio 1983, n. 230, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 8 e 9 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Sentenza 29 settembre 1983, n. 279, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge 22 dicembre 1969, n. 967 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 21 luglio 1983, n. 229, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 28 ottobre 1970, n. 775, art. 26 (art. 36 della Costituzione). Sentenza 26 settembre 1983, n. 264, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge 23 dicembre 1970, n. 1054, art. 1 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 21 luglio 1983, n. 229, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 6, n. 4 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 26 settembre 1983, n. 262, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge 6 dicembre 1971, n. 1034, artt. 30, terzo comma, e 37 (artt. 3, 24, 103, 111, terzo comma, 113 e 125 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1983, n. 246, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. INDICE DELLA LEGISLAZIONE legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 42, quinto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 25 luglio 1983, n. 238, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 6 dicembre 1971, n. 1044, art. 6 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 20 ottobre 1983, n. 319, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, combinato disposto artt. 42 e 44 (artt. 24 e 76 della Costituzione). Sentenza 6 luglio 1983, n. 210, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 1, 2, 3 e 6 (artt. 3, 42 e 53 della Costituzione). Sentenza 25 luglio 1983, n. 239, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6 (art. 76 della Costituzione). Sentenza 25 luglio 1983, n. 239, G. U. 3 agosto :1983, n. 212. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6, secondo comma, penultimo periodo (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 26 settembre 1983, n. 262, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274, legge reg. Emilia� Romagna 20 luglio 1973, n. 25, art. 109 e tabella B allegata [cos� come sostituito dall'art. 36 della legge regionale 20 luglio 1973, n. 26] (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 29 settembre 1983, n. 278, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge reg. Abruzzo 2 agosto 1973, n. 32, artt. 1, 2 e 72 (artt. 37, 97, e 117 della Costituzione). Sentenza 29 settembre 1983, n. 277, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge reg. Abruzzo 2 agosto 1973, n. 32, artt. 1, primo comma, 2 e 72, primo e quarto comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 29 settembre 1983, n. 277, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge 27 ottobre 1973, n. 628, art. 8 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 21 luglio 1983, n. 229, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41 [cos� come modificata dalla legge reg. Lazio 26 gennaio 1977, n. 12] (art. 117 della Costituzione). Sentenza 20 ottobre 1983, n. 319, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. legge reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, artt. 3, 4, 8, 13 e 14 (artt. 97 e 128 della Costituzione). Sentenza 20 ottobre 1983, n. 319, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 14 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 21 luglio 1983, n. 225, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge reg. Lombardia 19 agosto 1974, n. 48, art. 15 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 21 luglio 1983, n. 225, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 28 aprile 1975, n. 135, art. 2 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 21 luglio 1983, n. 229, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge teg. Campania 16 maggio 1975, n. 30, art. 39 (art. 118 della Costituzione). Sentenza 20 ottobre 1983, n. 319, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. legge reg. Emilia-Romagna 30 maggio 1975, n. 39, art. 1 (artt. 3, 117 e 123 della Costituzione). Sentenza 26 settembre 1983, n. 265, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 82 (art. 24 della Costituzione). Sentenza 5 ottobre 1983, n. 290, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. legge 2 maggio 1976, n. 183, artt. 3, 15 e 16, primo, secondo e terzo comma (artt. 14 statuto siciliano, 3 statuto sardo e 4 statuto Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 25 luglio 1983, n. 237, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 10 maggio 1976, n. 319, artt. 15, secondo, ottavo e nono comma; 25, ultimo comma e 26, primo comma (artt. 2, 3, 9 e 32 della Costituzione). Sentenza 21 luglio 1983, n. 226, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 25, ultimo comma (artt. 32 e 101 della Costituzione). Sentenza 18 ottobre 1983, n. 313, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 26, primo comma (art. 32 della Costituzione). Sentenza 18 ottobre 1983, n. 313, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. d.P.R. 9 novembre 1976, n. 902, artt. 9 e 28 (artt. 14 statuto siciliano, 3 statuto sardo e 4 statuto Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 25 luglio 1983, n. 237, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 3 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 26 settembre 1983, n. 266, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge 27 maggio 1977, n. 284, art. 1 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 21 luglio 1983, n. 229, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. INDICE DELLA LEGISLAZIONE 8.f legge 3 gennaio 1978, n. 1, artt. 1 e 3 (art. 97 della Costituzione). Sentenza 20 ottobre 1983, n. 319, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 48 (artt. 14 statuto siciliano, 3 statuto sardo e 4 statuto Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 25 luglio 1983, n. 237, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1, 3, 58 e 65 (artt. 2, 3, 31, 41, 42 e 47 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1983, n. 252, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 4, primo e secondo comma (art.. 3 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1983, n. 251, G. V. 3 agosto 1983, n. 212. legge 27 luglio 1978, n. 392, combinato disposto art. 69, settimo comma e arti� colo 73 stessa legge [quale modif. dall'art. 1 bis del decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 21, convertito nella legge 31 marzo 1979, n. 93] (artt. 3, 41, 42, e 47 della Costituzione). Sentenza 6 �ottobre 1983, n. 300, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. legge 5 agosto 1978, n. 505, art. 1 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 21 luglio 1983, n. 229, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge provincia aut. di Bolzano 3 settembre 1979, n. 12, art. 1 (artt. 3, 6 e 41 della Costituzione). Sentenza 18 ottobre 1983, n. 312, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. d.P.R. 18 dicembre 1981, n. 744 (artt. 73 e 79 della Costituzione). Sentenza 20 ottobre 1983, n. 321, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, artt. 28, primo comma, e 29 [convertito in legge n. 51 del 1982] (art. 119 della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. dJ. 22 dicembre 1981, n. 786, art. 34 [convertito in legge 51 del 1982] (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, artt. 8, primo e secondo comma e 8 bis [con� vertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 117, 119 e 81 della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n: 288. 86 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 9, primo, quarto, sesto, nono e decimo comma [convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 117 e 119 della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 3fJ7, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 11 [convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 3fJ7, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 16, secondo comma [convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 117 e 119 della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 27, quarto comma [convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] (art. 117 della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. d.1. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 28, quinto comma [convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] (art. 119 della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 2~8. dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 29, terzo, quarto e quinto comma [convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 31, secondo, terzo, quarto e quinto comma [convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] (art. 117 della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 3fJ7, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. d.I. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 31, comma 5.1, 5.2 e 5.3 [convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 117, 118 e 119, nonch� 81, della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 26 aprile 1983, n. 130, art. 9, terzo comma (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 26 aprile 1983, n. 130, art. 9, quinto comma (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 26 aprile 1983, n. 130, art. 10, primo comma (art. 119, nonch� 81, della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. I !: legge 26 aprile 1983, n. 131, articolo unico, ultimo comma (artt. 117, 118 e 119 I ~ della Costituzione). Sentenza 11 ottobre 1983, n. 307, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. I: ~ . !' INDICE DELLA LEGISLAZIONE III -QUESTIONI PROPOSTE codice civile, artt. 556, 564, secondo comma e 751 (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 12 ottobre 1982, n. 340/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. codice civile, art. 565 (artt. 3 e 30 della Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 122/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. codice di procedura civile, artt. 8 e 9 (artt. 24 e 97 della Costituzione). Giudice istruttore presso Tribunale di Firenze, ordinanza 31 dicembre 1982, n. 370/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. codice di procedura civile, art. 9 (art. 97 della Costituzione). Presidente Tribunale di Firenze, ordinanza 21 gennaio 1983, n. 369, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. codice di procedura civile, art. 51 (artt. 3 e 111 della Costituzione). Pretore di Taranto, ordinanza 18 marzo 1983, n. 425, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. codice di procedura civile, artt. 75 e 300 (art. 24 della Costituzione). Pretore di S. Margherita di Belice, ordinanza 7 febbraio 1983, n. 277, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. codice di procedura civile, art. 187 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Giudice istruttore Tribunale di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 371/83, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. codice di procedura civile, art. 189 (art. 101 della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale di Firenze, ordinanza 17 luglio 1982, n. 372/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. codice di procedura civile, art. 395, prima parte e n. 4 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 30 settembre 1982, n. 234/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. codice di procedura civile, art. 429, terzo comma (artt. 1, 3, 4, 34, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 16 marzo 1981, n. 374/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 88 codice di procedura civile, art. 657 e seguenti (artt. 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanze (quattro) 20 dicembre 1982, nn. 296-299/83, G. U. 31 agosto .1983, n. 239. codice di procedura civile, art. 660 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 11 luglio 1982, n. 166/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. codice di procedura civile, artt. 663 e 668 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 11 luglio 1982, n. 166/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. codice di procedura civile, art. 663, primo comma (artt. 3, 24 e 111 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 11 luglio 1982, n. 166/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. codice di procedura civile, capo II, titolo I, libro IV (artt. 3, 24, 31 e 41 della Costituzione). Pretore di Mestre, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 109/83, G. U. 13 luglio 1983, n. ,191. codice penale, art. 81 cpv. (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Lanusei, ordinanza 26 novembre 1982, n. 230/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. Tribunale di Vasto, ordinanza 2 dicembre 1980, n. 162/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. c~dice penale, art. 102 (art. 27 della Costituzione). Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Roma, ordinanze (sette) 24 gennaio 1983, nn. 396-400, 409 e 423, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Roma, ordinanza 10 febbraio 1983, n. 401, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Roma, ordinanza 23 febbraio 1983, n. 402, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Roma, ordinanza 26 mar� zo 1983, n. 424, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. codice penale, art. 136 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Foligno, ordinanza 14 dicembre 1982, n. 112/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. codice penale, art. 162 bis [introdotto dall'art. 126 legge 24 novembre 1981, n. 689] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 25 novembre 1982, n. 128/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. INDICE DELLA LEGISLAZIONE codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Soave, ordinanza 29 ottobre 1982, n. 74/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. codice penale, art. 542, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 10 gennaio 1983, n. 443, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. codice penale, art. 567 cpv. (art. 3 della Costituzione). Giudice istruttore Tribunale di Pisa, ordinanza 118 giugno 1982, n. 150/83, � G. U. 13 luglio 1983, n. 191. codice penale, art. 630 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 14 marzo 1983, n. 440, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. codice penale, art. 699 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Teano, ordinanza 28 gennaio 1983, n. 164, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. codice di procedura penale, art. 41 bis (artt. 3, 24 e 97 della Costituzione). Giudice istruttore presso Tribunale di Belluno, ordinanza 26 gennaio 1983, n. 273, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. codice di procedura penale, art. 41 bis (artt. 3, 97 e 101 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanze (tre) 29 maggio 1982, nn. 114-116/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 1191. Corte di cassazione, ordinanza 7 ottobre 1982, n. 188/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. codice di procedura penale, art. 90 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Lanusei, ordinanza 26 novembre 1982, n. 230/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. codice di procedura penale, artt. 263 bis e 263 ter (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale militare di Bari, ordinanza 8 gennaio 1983, n. 334, G. U. 21 settembre 1983, n. 260). codice di procedura penale, art. 586 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Foligno, ordinanza 14 dicembre 1982, n. 112/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. codice penale militare di pace, artt. 58, ultimo comma, e 230, terzo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale militare di Bari, ordinanza 19 gennaio 11983, n. 333, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. Corte dei conti, ordinanza 22 febbraio 1980, n. 219/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. Corte dei conti, ordinanza 22 febbraio 1980, n. 219/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice penale militare di pace, art. 122 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 4 novembre 1982, n. " 221/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. Tribunale militare di Padova, ordinanza 1� dicembre 1982, n. 222/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. codice penale militare di pace, art. 195 (art. 3 della Costituzione). Tribunale militare di Napoli, ordinanza 3 dicembre 1982, n. 72/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. codice penale militare di pace, art. 195, primo comma (art. 3 della Costi� tuzione). II Tribunale militare di Padova, ordinanza 13 ottobre 1982, n. 223/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. legge 13 giugno 1912, n. 555, artt. 10, secondo comma, e 4, n. 3 (artt. 2, 3, 22 e 29 della Costituzione). Corte costituzionale, ordinanza 22 dicembre 1982, n. 95/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 16 febbraio 1913, n. 89, artt. 146, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 6 novembre 1982, n. 76/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. I legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 7 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Pinerolo, ordinanza 11 marzo 1983, n. 472, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, art. 22 [come sostituito dall'art. XI del protocollo dell'Aja del 28 settembre 1955, resi esecutivi in Italia con le leggi 19 maggio 1932, n. 81 e 3 dicembre 1962, n. 1832] (artt. 2, 3 e 32 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 404, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. r.dJ. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 5 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale per i minorenni di Roma, ordinanza 21 dicembre 1982, n. 137/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. r.d. 20 settembre 1934, n. 2011, art. 53 (art. 23 della Costituzione). Tribunale di Bologna, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 395, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. r.d.l. 2 giugno 1936, n. 1172, art. 1 [convertito in legge 26 dicembre 1936, n. 2439) (art. 3 della Costituzione). INDICE DELLA LEGISLAZIONE contratto collettivo nazionale per gli operai metalmeccanici, stipulato il 30 luglio 1936, art. 19 (art. 52 della Costituzione). Pretore di Legnano, ordinanze (due) 1� febbraio 1983, nn. 192 e 193, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, art. 33, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 23 novembre 1982, n. 393/83, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. r.d. 3 marzo 1938, n. 680, art. 67, lett. f) (artt. 3 e 36 della Costituzione). Corte dei conti -sezione terza giurisdizionale -ordinanza 5 novembre 1980, n. 196/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 48 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Giudice istruttore Tribunale di Firenze, ordinanza 25 maggio 1982, n. 371/83, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 43 (artt. 13 e 24 della Costituzione). Tribunale di Rimini, ordinanza 18 marzo 1983, n. 406, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 9, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bologna, ordinanza 20 ottobre 1982, n. 121/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 10 agosto 1950, n. 648, art. 73 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 413, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge 2 luiliO 1952, n. 703, art. 39 (artt. 70 e 72 della Costituzione). Tribunale di Lucca, ordinanze (tre) 10 novembre 1982, nn. 201-203/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. legge 25 luglio 1952, n. 991, art. 8, seconda parte (artt. 3 e 44 della Costituzione). Pretore di Foggia, ordinanza 1� ottobre 1982, n. 136/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, art. 31, numeri 4 e 5 (art. 33 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 92/83, G. U. 6 luglio 1983, n, ,184. legge 22 giugno 1954, n. 523, art. 1 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Corte dei conti -sezione terza giurisdizionale -ordinanza 5 novembre 1980, n. 196/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. 92 RASSF.GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 11 aprile 1955, n. 379, art. 7, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 23 novembre 1982, n. 393/83, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. legge 'J:1 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di. Roma, ordimmze 1� aprile 1983, nn. 456 e 457, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. d.P.It. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 85, 87, primo comma e 140, ultimo comma [mantenuto in vita dall'art. 83 d.P.lt. 29 settembre 1973, n. 597] (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Rieti, ordinanza 29 aprile 1982, n. 281/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. � legge 4 febbraio 1958, n. 87, art. 11, primo comma (art. 3 e 53 della Costi� tuzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 febbraio 1982, n. 291/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. I d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis (art. 3 della Costituzione). I Pretore di Padova, ordinanza 20 novembre 1982, n. 100/83, G. U. 6 luglio Iit1983, n. 184. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis [introdotto dall'art. 142 legge 24 novembre 1981, n. 689] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Caltanissetta, ordinanza 19 gennaio 1983, n. 384, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis [introdotto dall'art. 142, legge I 24 novembre 1981, n. 689] (art. 3 della Costituzione). { Pretore di Caltanissetta, ordinanza 22 settembre 1982, n. 379/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80-bis, secondo comma (art. 27 della Costituzione). Pretore di Padova, ordinanza 20 novembre 1982, n. 99/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, artt. 80-bis e 80-ter (art. 3 della Costituzione). Pretore di Caltanissetta, ordinanza 23 giugno 1982, n. 380/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. Pretore di Caltanissetta, ordinanze (tre) 31 gennaio 1983, nn. 381-383, G. U. liJ settembre 1983, n .253. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 91 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza 3 dicembre 1982, n. 200/83, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. INDICE DELLA LEGISLAZIONE legge 27 aprile 1962, n. 231, art. 8, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 208/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. legge 12 agosto, 1962, n. 1338, art. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Brescia, ordinanza 15 ottobre 1982, n. 67/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 cpv., lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 294, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 cpv., lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 293, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanza 17 marzo 1983, n. 435, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Bologna, ordinanza 16 aprile 1982, n. 233/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 11 e 41 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 17 novembre 1982, n. 175/83, G. U. 17 ago� sto 1983, n. 225. d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (artt. 3, 76 e 17 della Costituzione). Tribunale di Velletri, ordinanza 29 ottobre 1982, n. 290/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 10 e n (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Verona, ordinanza 14 dicembre 1982, n. 161/83, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 134, primo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Tribunale di Alessandria, ordinanza 29 gennaio 1983, n. 158, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 215 (artt. 3, 35 e 38 della Costituzione). Tribunale di Frosinone, ordinanza 9 gennaio 1974, n. 283/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. 94 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 3 maggio 1966, n. 437 (artt. 3, 68, 112 e 138 della Costituzione). Giudice istruttore del tribunale di Venezia, ordinanza 16 aprile 1982, n. 286/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. legge 3 maggio 1966, n. 437, artt. 1 e 2 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanza 18 dicembre 1982, n. 174/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. legge 3 maggio 1967, n. 315, art. 13 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 feb� braio 1982, n. 291/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. legge 6 agosto 1967, n. 699, art. 10, settimo comma (artt. 3, 29 e 36 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 2 marzo 1981, n. 218/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. lgge 2 ottobre 1967, n. 695, artt. 2 e 7 [sostituiti dagli artt. 10 e 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Trento, ordinanza 14 febbraio 1983, n. 237, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. Tribunale di Bologna, ordinanza 11 maggio 1981, n. 231/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 9 ottobre 1967, n. 973, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanze (due) 13 dicembre 1979, n. 243 e 244/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, lett. c) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 5 gennaio 1983; n. 127, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3 (artt. 3, 29 e 38 della Costituzione). Pretore di Como, ordinanza 25 gennaio 1983, n. 154, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanza 22 gennaio 1983, n. 241, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. a) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Chieti, ordinanza 26 gennaio 1983, n. 155, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. INDICE DELLA LEGISLAZIONE 9f legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 29 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 9 novembre 1982, n. 240/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 67 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 413, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5 (artt. 3, 4, 35 e 38 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza B gennaio 1983, n. 410, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 5 (artt. 3, 4 e 38 della Costituzione). Tribunale di Cuneo, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 474/83, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 13, quinto comma (artt. 4, 27, 32, 35 e 41 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 2 giugno 1980, n. 295/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. d.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639, art. 111 (artt. 3, 35 e 41 della Costituzione). Pretore di Ancona, ordinanza 8 marzo 1983, n. 319, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 cpv. (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 293, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 25 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Oristano, ordinanza 28 gennaio 1983, n. 229, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 22 dicembre 1969, n. 967, art. 2 [modificato dalla legge 23 dicembre 1970, n. 1054, art. l] (artt. 3, 31 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 123/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 25 maggio 1970, n. 364, artt. 19, secondo comma, n. 2, e 20, secondo comma, lett. b) (art. 81 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 28 settembre 1982, n. 385/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. d.l. 19 giugno 1970, n. 370, art. 8 [convertito con modif. in legge 26 luglio 1970, n. 576] (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 3 novembre 1981, n. 151/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. RASSF.GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 96 legge 28 ottobre 1970, n. 775, art. 16-ter (artt. 3, 36, 103, 104 e 107 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 16 febbraio 1977, n. 394/83, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (artt. 2, 3, 5 e 117 della Costituzione). Tribun..ale di Torino, ordinanza 19 gennaio 1983, n. 184, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6 (art. 81 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 30 novembre 1982, n. 102/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. Pretore di Lecce, ordinanza 10 dicembre 1982, n. 111/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. Pretore di Roma, ordinanza 10 febbraio 1983, n. 317, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. Pretore di Lecce, ordinanza 10 marzo 1983, n. 378, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. legge 9 ottobre 1971, n. 824, art. 6, secondo comma (art. 81 della Costituzione). Pretore di Macerata, ordinanza 9 marzo 1983, n. 338, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. Pretore di Roma, ordinanza 2 marzo 1983, n. 377, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. Pretore di Macerata, ordinanza 9 marzo 1983, n. 339, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. Pretore di Roma, ordinanza 10 gennaio 1983, n. 463, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanze (due) 13 dicembre 1979, nn. 243 e 244/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, primo comma, n. 11 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di 1� grado di Reggio Calabria, ordinanza 27 marzo 1979, n. 149/83, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 9 ottobre 1971, n. 825, punto 6, n. 4 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 24 settembre 1981, n. 387/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. legge 22 ottobre 1971, n. 865 (artt. 64 e 72 della Costituzione). Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 10 giugno 1977, n. 467, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. INDICE DELLA LEGISLAZIONE legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 16 (artt. 3, 42 e 53 della Costituzione) e 20 (artt. 24 e 3 della Costituzione). Corte d'appello di Cagliari, ordinanza 10 giugno 1977, n. 467, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzioile). Corte d'appello di Bologna, ordinanza 21 gennaio 1983, n. 266, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. d.I. 25 maggio 1972, n. 202 [convertito in legge 24 luglio 1972, n. 321] (artt. 70, 72, 76 e 77 della Costituzione). Pretore di Cosenza, ordinanza 10 febbraio 1983, n. 285, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. d.I. 30 giugno 1972, n. 267, art. 7 [convertito in legge 11 agosto 1972, n. 485] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 febbraio 1982, n. 291/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 50 (art. 3 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ordinanza 10 dicembre 1982, n. 458/83, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. legge prov. di Bolzano, 20 agosto 1972, n. 15, art. 12, primo e terzo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 23 novembre 1982, n. 93/83, G. U. 6 luglio 1983, Il. 184. Corte d'appello di Trento, ordinanza 25 gennaio 1983, n. 242, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. Corte d'appello di Trento, ordinanza 21 dicembre 1982, n. 210/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo e secondo periodo, e 24, primo e secondo periodo (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 18 gennaio 1983, n. 209, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. Corte d'appello di Trento, ordinanza 25 gennaio 1983, n. 310, G. U. 7 set� tembre 1983, n. 246. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, artt. 12, primo comma, primo e secondo periodo, e 24, primo comma, primo e secondo periodo (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 14 dicembre 1982, n. :170/83, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. Corte d'appello di Trento, ordinanza 11 gennaio 1983, n. 171, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. 98 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Emilia� Romagna 11 ottobre 1972, n. 9, art. 4, secondo comma (artt. 117, 118, 123 e 127 della Costituzione e 25 e 57 dello statuto regionale). Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia� Romagna, ordinanza 19 novembre 1980, n. 407/83, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 462, art�.2, primo e secondo comma, n. 1 (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 11 luglio 1982, n. 165/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. da 41 a 50 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di 1� grado di Reggio Calabria, ordinanza 27 marzo 1979, n. 149/83, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51 (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Venezia, ordinanza 25 i�iarzo 1982, n. 126/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 58, primo, secondo, terzo e quarto comma (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 6 novembre 1981, n. 388/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 4 (art. 102 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Ragusa, ordinanze (quattro) 26 ottobre 1981, nn. 475-478/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. Commissione tributaria di primo grado di Ragusa, ordinanze 26 ottobre 1981, nn. 311 e 312/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 30 [modificato dal d.P .R. 3 novembre 1981, n. 739] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commisione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 14 febbraio 1983, n. 344, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 39, primo comma (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Modena, ordinanza 19 febbraio 1982, n. 318/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 24 settembre 1981, n. 387/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 648, art. 10 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 3 febbraio 1983, n. 180, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. r ~ i� r/ll@l:�lllr@11~11i=1ri;11i:=i:1r1=i=1�=~=====t:~�lll~l~�rr~;lli!%%r#:1!irfl@fiirilif!ill%lriiri3:rir~ffi1rlwilfliftEllillflileil INDICE DELLA LEGISLAZIONE legge prov. di Trento 30 dicembre 1972, n. 31, art. 28, primo e quinto comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Trento, ordinanza 8 febbraio 1983, n. 288, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332 (artt. 3, 13 e 27 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 5 novembre 1982, n. 280/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di Napoli, ordinanza 24 marzo 1983, n. 467, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. legge 22 febbraio 1973, n. 27, art. 3 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 6 settembre 1982, h. 145/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 6, 28, 48 e 93 (artt. 3; 28 e 113 della Costituzione). , Pretore di Roma, ordinanza 3 marzo 1983, n. 337, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 195 [modificati dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Modena, ordinanza 19 gennaio 1983, n. 268, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 [modif. dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Castelfranco Veneto, ordinanza 3 dicembre 1982, n. 194/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, primo comma, u. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Morbegno, ordinanza 13 g~nnaio �1983, n. 143, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195, 334, primo comma, n. 2 [modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Adria, ordinanza 1� febbraio 1983, n. 278, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334, secondo comma, n. 2 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Verona, ordinanza 2 marzo 1983, n. 386, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. 100 RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DELLO STATO d.l. 24 luglio 1973, n. 426, art. 1, quarto comma [convertito nella legge 4 agosto 1973, n. 495] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Thiene, ordinanza 4 marzo 1983, n. 342, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. legge 30 luglio 1973, n. 477, art. 17 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 novembre 1979, n. 284/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 5 (artt. 3 e 52 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Reggio Emilia, ordinanza 18 novembre 1981, n. 144/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 12, lett. e) (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 22 luglio 1981, n. 418/83, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 12 e 14 (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Rieti, ordinanza 29 aprile 1982, n. 281/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 46 cpv. (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Como, ordinanza 10 dicembre 1982, n. 187/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 48 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 28 gennaio 1983, n. 405, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74, secondo e terzo comma (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Grosseto, ordinanza 18 dicembre 1981, n. 124/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 82 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanze (due) 13 dicembre 1979, nn. 243 e 244/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Reggio Emilia, ordinanza 10 ottobre 1981, n. 330/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 35 (artt. 3, 53 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Venezia, ordinanza 25 marzo 1982, n. 126/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. I . I ~ Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 novembre 1979, n. 284/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 16 Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 19 novembre 1979, n. 284/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 16 INDICE DELLA LEGISLAZIONE 1..01 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 44 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 28 gennaio 1983, n. 405, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92 (artt. 3, 53, 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di 1� grado di Genova, ordinanza 30 giugno 1980, n. 259/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 98, sesto comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 14 febbraio 1983, n. 344, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. d.l. 1� ottobre 1973, n. 580, art. 4, primo comma [conv. con mod. in legge 30 novembre 1973, n. 766] (artt. 3, 51 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 265/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 65, secondo comma (art. 3 della Co� stituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 30 novembre 1981, n. 153/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 85, secondo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Corte dei1 conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 5 giugno 1981, n. 195/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. Corte dei conti, ordinanza 7 giugno 1982, n. 217/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 113 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordin,anza 5 novembre 1980, n. 196/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 147, primo comma (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Corte dei Conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 22 aprile 1981, n. 152/83, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 14 giugno 1974, n. 270, art. 1 (art. 42 della Costituzione). Pretore di Francavilla Fontana, ordinanza 118 marzo 1983, n. 367, G. U. 14 set� tembre 1983, n. 253. legge 14 agosto 1974, n. 391 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 1.02 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 17 agosto 1974, n. 386, art. 7, terzo comma (artt. 70, 76, 77, 97 e 113 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione quinta, ordinanza 14 maggio 1982, n. 117/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 10 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Vasto, ordinanza 5 maggio 1981, n. 190/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. Tribunale di Novara, ordinanza 8 marzo 1983, n. 471, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 10 e 14 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Vasto, ordinanza 2 dicembre 1980, n. 162/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. Tribunale di Vasto, ordinanza 30 marzo 1982, n. 163/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. Tribunale di Bologna, ordinanza 5 maggio 1981, n. 232/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. Tribunale di Bassano del Grappa, ordinanza 20 gennaio 1983, n. 182, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 40, primo e secondo comma, e 44, secondo comma (artt. 3, 21 e 41 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ordinanza 12 novembre 1982, n. 376/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2 secondo cpv. (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanza 31 marzo 1982, n. 212/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. Tribunale di Agrigento, ordinanza 11 gennaio 1982, n. 211/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. Tribunale di Agrigento, ordinanza 7 giugno 1982, n. 213/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. Tribunale di Agrigento, ordinanza 18 giugno 1982, n. 214/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. Tribunale di Agrigento, ordinanza 18 ottobre 1982, n. 215/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. Tribunale di Agrigento, ordinanza 24 settembre 1982, n. 216/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, secondo cpv. (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Agrigento, ordinanza 31 marzo 1982, n. 212/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. Tribunale di Agrigento, ordinanza 11 gennaio 1982, n. 211/83, (;. U. 24 agosto 1983, n. 232. Tribunale di Agrigento, ordinanza 7 giugno' 1982, n. 213/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. Tribunale di Agrigento, ordinanza 18 giugno 1982, n. 214/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. INDICE DELLA LEGISLAZIONE 10J legge 18 aprile 1975; n. 110, art. 2, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Sondrio, ordinanza 27 febbraio 1981, n. 197/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. legge 18 aprile 1975 n. 110, art. 23, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Novara, ordinanza 8 marzo ,1983, n. 471, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. legge reg. Emilia-Romagna 14 maggio 1975, n. 30, art. 15, quarto comma (art. 117 della Costituzione). Pretore di Forll, ordinanze 7 marzo 1983, nn. 414 e 415, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. legge reg. Laiio 3 giugno 1975, n. 42, art. 10 (art. 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 6 maggio 1981. n. 263/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 3 giugno 1975, n. 160, artt. 9 e 10 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanza 16 ottobre 1982, n. 84/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 (artt. 3, 13 e 27 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 7 febbraio 1981, n. 104/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 90 (artt. 13 e 101 della Costituzione). Magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Avellino, ordinanza 11 dicembre 1982, n. 206/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. legge 29 luglio 1975, n. 426, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 20 ottobre 1982, n. 432/83, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 12, 26, 28, primo comma e 71, primo ed ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Venezia ordinanza 16 febbraio 1983, n. 276, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. legge 22 dicembre 1975, n. 685, art. 71 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 12 luglio 1982, n. 140/83, G. U. B luglio 1983, n. 191. d.l. 4 marzo 1976, n. 31, art. 7 (artt. 2 e 41 della Costituzione). Tribunale di Como, ordinanza 8 febbraio ,1983, n. 459, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. 104 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 30 aprile 1976, n. 159, art. 2-bis [introdotto con l'art. 3 della legge 8 ottobre 1976, n. 689] (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 6 novembre 1981, n. 313/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanze (tre), 6 novembre 1981, nn. 419, 421 e 433/83, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 9, primo comma e nota in calce alla tab. A [come modificata dall'art. 22, ultimo comma, legge 24 dicembre 1979, n. 650] (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Cremona, ordinanza 14 dicembre 1982, n. 110/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 15, sesto e settimo comma (art. 24 della Costituzione). Tribunale di Cremona, ordinanza 14 dicembre 1982, n. 110/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 8 ottobre 1976, n. 689, art. 3 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Sondrio, ordinanza 1� aprile 1980, n. 329/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 15, terzo comma (art. 42 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Campania, ordinanza 10 febbraio 1982, n. 183/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b) (art. 3 della Costituzione). Vice pretore di Laurenzana, ordinanze 13 dicembbre 1981, nn. 335 e 336/83, G. U. 14 settembbre 1983, n. 253. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b (artt. 3, 25 e 27 della Costituzione). Pretore di Piombino, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 82/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. b) (artt. 42 e 43 della Costituzione). Pretore di Trecastagni, ordinanza 17 marzo 1980, n. 139/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. Pretore di Trecastagni, ordinanza 23 ottobre 1981, n. 271/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234, art. 3, primo comma (art. 116 della Costituzione). Tribunale di Trento, ordinanza 24 febbraio 1983, n. 449, G.U. 19 ottobre 1983, n. 288. Tribunale di Trento, ordinanza 20 gennaio 1983, n. 448, G.U. 26 otto� bre 1983, n. 295. ' - INDICE DELLA LEGISLAZIONE 1.0f legge 6 aprile 1977, n. 150, artt. 1 e 2 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanza .18 dicembre 1982, n. 174/83, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 5 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 28 gennaio 1983, n. 405, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. legge 8 agosto 1977, n. 513, artt. 27 e 28 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 208/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. legge 27 febbraio 1978, n. 41, art. 7 (artt. 3 e 44 della Costituzione). Pretore di Foggia, ordinanza 1� ottobre 1982, n. 136/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1, primo e secondo comma (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Siracusa, ordinanza 3 giugno 1981, n. 90/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 10 maggio 1978, n. 176, art. 1, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Napoli, ordinanza 17 febbraio 1983, n. 267, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. legge reg. Veneto 14 luglio 1978, n. 30, art. 57, quarto comma (artt. 117 e H9 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanza 9 dicembre 1982, n. 225/83, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. legge 27 luglio 1978, n. 392 (artt. 3, 24, 31 e 41 della Costituzione). Pretore di Mestre, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 109/83, G. U. 13 lu� glio 1983 n. 191. legge 27 luglio 1978, n. 392 (artt. 3, 42 e 47 della Costituzione). Giudice conciliatore di Roma ordinanza 19 febbraio 1983, n. 331, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. Giudice conciliatore di Roma, ordinanza 21 febbrado .1983, n. 3Je, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1 e 58 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanze (quattro) 20 dicembre 1982, nn. 296-299/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. 106 RASSP.GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 1, 3 e 58 (artt. 2, 3, 32, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanze (due) 4 dicembre 1982, n. 460 e 461/83, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 3, 30, 31, 32, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Crema, ordinanza 23 novembre 1982, n. 157/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 3, 30, 31 e 41 della Costituzione). Pretore di Menaggio, ordinanza 10 dicembre 1982, n. 80/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 3, 32 e 42 della Costituzione). Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 26 gennaio 1983, n. 176, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 2 febbraio 1983, n. 177, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Ruvo di Puglia, ordinanza 7 gennaio 1983, n. 129, G.,U. 13 luglio 1983, n. .191. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 3, 31 e 42 della Costituzione). Pretore di Molfetta, ordinanza 7 dicembre 1982, n. 77/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 3, 31, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Iglesias, ordinanza 15 febbraio 1983, n. 282, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 3 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Ciri�, ordinanza 29 gennaio 1983, n. 260, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. Pretore di Ciri�, ordinanza 3 febbraio 1983, n. 261, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. Pretore di Ciri�, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 167/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. Pretore di Ciri�, ordinanza 17 dicembre 1982, n. 168/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. :Pretore di Ciri�, ordinanza 30 novembre 1982, n. 169/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212.� legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 30, 31, 32, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Torre Annunziata, ordinanza 3 marzo 1983, n. 417, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. INDICE DELLA LEGISLAZIONE 107 legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 32 e 42 della Costituzione). Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 159/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 2 febbraio 1983, n. 178, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 10 gennaio 1983, n. 204, G.U. 17 agosto 1983, n. 225. Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 2 febbraio 1983, n. 207, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 10 gennaio 1983, n. 205, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Ruvo di Puglia, ordinanza 10 marzo 1983, n. 306, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Gallarate, ordinanze (quattro) 20 dicembre 1982, n. 296-299/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 2, 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Sestri Ponente, ordinanza 14 gennaio 1983, n. 138, G. U. 13 luglio 1983, D. 191. Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 2 febbraio 1983, n. 179, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Carrara, ordinanze (cinque) 15 febbraio 1983, nn. 239 e 322-325, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. Pretore di Carrara, ordinanza 11 febbraio 1983, n. 238, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. Pretore di Ruvo di Puglia, ordinanza 28 febbraio ,1983, n. 262, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. Pretore di Carrara, ordinanza 20 gennaio '1983, n. 279, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. �Pretore di Carrara, ordinanza 8 marzo 1983, n. 326, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. Pretore di Carrara, ordinanza 5 marzo 1983, n. 327, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Torre del Greco, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 343, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 58 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanze (due) 18 aprile 1983, nn. 454 e 455, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. Pretore di Bari, ordinanza 18 aprile 1983, n. 437, G. U. 119. ottobre 1983, n. 288. 108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3, 58 e 65 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Carrara, ordinanza 5 marzo 1983, n. 403, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 3 e 65 (artt. 2, 3, 30, 31, 32, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Maddaloni, ordinanza 31 gennaio 1983, n. 186, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 6, ultimo comma (artt. 2, 3 e 30 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 6 ottobre 1982, n. 368/83, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 30, 46 e segg. e 84 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Pizzo, ordinanze 11 aprile 1983, n. 468 e 469, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. Pretore di Pizzo, ordinanza 20 aprile 1983, n. 470, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. Pretore di Pizzo Calabro, ordinanza 8 aprile 1983, n. 427, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 58 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 27 ottobre 1982, n. 289/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239 Pretore di Milano, ordinanza 20 gennaio 1983, n. 328, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 58 e 65 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Palermo, ordinanza 24 gennaio 1983, n. 224, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 60, primo comma (art. 24 della Costituzione) .. Pretore di Firenze, ordinanza 29 novembre 1982, n. 373/83, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 65, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 29 settembre 1982, n. 103/83, G. U. 6 luglio 1983, n . .184. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3, 24 e 42 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 23 novembre 1982, n. 101/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 133/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. INDICE DEIJ.A LEGISLAZIONE 109 legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo comma (art. 42 della Costitu� zione). Pretore di Milano, ordinanza 20 maggio 1982, n. 431/83, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo e nono comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Misilmeri, ordinanza 20 dicembre 1982, n. 272/83, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 69 e 73 (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Canosa di Puglia, ordinanza 5 dicembre 1981, n. 199/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, settimo coinma e 73 (artt. 3, 41, 42 e 47 della Costituzione). Pretore di Sala Consilina, .ordinanza 24 novembre 1982, n. 81/83, G. U. 6 lu� glio 1983, n. 184. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Pomigliano d'Arco, ordinanza 15 dicembre 1982, n. 65/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 [come modif. dalla legge 31 marzo 1979, n. 93] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 28 ottobre 1982, n. 133/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. d.l. 23 dicembre 1978, n. 815, articolo unico, sedicesimo comma [conv. con modif. in legge 19 febbraio 1979, n. 54] (artt. 3, 51 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, ordinanza 22 ottobre 1982, n. 265/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, artt. 58, 70 e 86, ultimo comma (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 413, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge reg. Sicilia 27 dicembre 1978, n. 71, art. 49 (artt. 42 e 43 della Costituzione). Pretore di Trecastagni, ordinanza 23 ottobre 1981, n. 271/83, G. U. 20 lu� glio 1983, n. 198. legge 27 dicembre 1978, n. 833, art. 48 (artt. 5, 39, 97, 117 e 128 della Costi� tuzione). Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 2 dicembre 1982, n. 189/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. legge 24 dicembre 1979, n. 650, artt. 6 e 17, ultima parte (artt. 25 e 77 della Costituzione). Pretore di Saluzzo, ordinanza 19 febbraio 1983, n. 236, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. i� �&?�11�~r111111Jrfatr*:::1~1wtt11r11111r1&1m111111r1111111,trr1.111111 110 RASSF.GNA DELL'AVVOCATURA Dl!LLO STATO Pretore di Saluzzo, ordinanza 8 marzo 1983, n. 392, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. dJ. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 2 [come sostituito dalla legge 29 felJ.. braio 1980, n. 33]. Pretore di Rimini, ordinanze 23 dicembre 1981, n. 130 e 131/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. Pretore di Rimini, ordinanza 21 luglio 1982, n. 132/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. legge. 21 febbraio 1980, n. 28, art. 7, lett. h) (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 16 giugno 11982, n. 316/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 3, lett. b) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Verona, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 146/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6 (artt. 3, 25 e 103 della Costituzione). Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 15 maggio 1981, n. 270/83, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. legge 29 marzo 1980, n. 33, art. 3 (artt. 3, 32 e 53 della Costituzione). Pretore di Como, ordinanza 30 novembre 1982, n. 89/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. Tariffa allegata alla legge reg. Veneto 8 maggio 1980, n. 50 (art. 119 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanza .13 gennaio 1983, n. 389, G. U. 14 settembre .1983, n. 253. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 58, lett. i) (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 16 giugno 1982, n. 316/83, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. legge 29 luglio 1980, n. 385 (artt. 24 e 42 della Costituzione). Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte d'appello di Na~ poli, ordinanze (sei) 15 novembre 1982, n. 300.305/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2, sesto comma, e 10, terzo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Ravenna, ordinanza 30 novembre 1982, n. 83/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. Pretore di Modena, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 442, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 22 (artt. 2, 3, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 31 dicembre 1982, n. 314/83, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. INDICE DELLA LEGISLAZIONE d.P.It. 18 gennaio 1981, n. 834, art. 12 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 22 febbraio 1983, n. 413, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 9 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Perugia, ordinanza 17 gennaio 1983, n. 172, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. Tribunale di Perugia, ordinanza 7 marzo 1983, n. 411, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 28 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Todi, ordinanza 24 marzo 1983, n. 416, G. U. 5 ottobre 1983, n. 274. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, 54 e 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Sal�, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 97/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Portogruaro, ordinanza 23 novembre 1982, n. 69/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 20 ottobre 1982, n. 125/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77 (artt. 3 della Costituzione). Pretore di Domodossola, ordinanza 14 aprile 1983, n. 464, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. Pretore di Torino, ordinanza 16 marzo 1983, n. 428, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53, primo comma, e 77, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Dolo, ordinanza 20 gennaio 1983, n. 220, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. Pretore di La Spezia, ordinanza 16 febbraio 1983, n. 292, G. U. 24 agosto 1983, n. 232. Pretore di Dolo, ordinanza 24 febbraio 1983, n. 321, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. Pretore di Lugo, ordinanza 17 marzo 1983, n. 390, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. Pretore di Dolo, ordinanza 24 febbraio 1983, n. 441, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60, ultimo comma (art. 3 della Costi� tuzione). Pretore di Napoli-Barra, ordinanza 16 dicembre 1982, n. 134/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. 1.12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Piazza Armerina, ordinanza 10 dicembre 1982, n. 78/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 1184. Pretore di Padova, ordinanze (due) 10 dicembre 1982, nn. 96 e 106/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. Pretore di Piazza Armerina, ordinanze (due) 10 dicembre 1982, nn. 141 e 142/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. Pretore di Cant�, ordinanza 9 dicembre 1982, n. 198/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. Pretore di Torino, ordinanza 23 marzo 1983, n. 429, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Fermo, ordinanza 1� dicembre 1982, n. 68/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. Pretore di Ancona, ordinanza 2 aprile 1982, n. 173/83, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. Pretore di Thiene, ordinanza 11 gennaio 1983, n. 181, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. Pretore di Monza, ordinanza 11 gennaio 1983, n. 185, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. Pretore di Genova, ordinanza ,17 gennaio 1983, n. 309, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. Pretore di Genova, ordinanza 21 gennaio 1983, n. 308, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. Pretore di Portogruaro, ordinanza 11 gennaio 1983, n. 341, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77 (artt. 3 e 101 della Costituzione). Pretore di Legnano, ordinanza 21 marzo 1983, n. 408, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 77, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Recanati, ordinanza 22 dicembre 1982, n. 156/83, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. � Pretore di Recanati, ordinanza 12 gennaio 1983, n. 235, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 77 e 78 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). Pretore di Latina, ordinanza 19 novembre 1982, n. 107/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 92 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bassano del Grappa, ordinanza. 3 dicembbre 1982, n. 200/83, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. INDICE DELLA LEGISLAZIONE 1.H legge 24 novembre 1981, n. 689, artt. 101, 102, 103, 105, 106 e 107 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Foligno, ordinanza 14 dicembre 1982, n. 112/83, G. U. 13 luglio 1983, n. 191. legge 24 novembbre 1981, n. 689, art. 142 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Voltri, ordinanza 26 aprile 1982, n. 108/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. legge 10 dicembre 1981, n. 741, art. 20 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 3 gennaio 1983, n. 422, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 14, quh1to comma, lett. b) [convertito nella legge 25 marzo 1982, n. 94] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Milano ordinanza 25 ottobre 1982, n. 75/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. dJ. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 14, quinto comma, lett. b), prima parte [con� vertito in legge 25 marzo 1982, n. 94] .(art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 18 aprile 1983, n. 473, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, art. 15-bis [convertito in legge 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 4 marzo 1983, n. 430, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 10 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Viterbo, ordinanza 29 aprile 1983, n. 465, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 21 dicembre 1982, n. 160/83, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. Pretore di Bergamo, ordinanza 1� febbraio 1983, n. 274, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. Pretore di Bergamo, ordinanza 4 febbraio 1983, n. 275, G. U. 3 agosto 1983, n. 212. Pretore di Bergamo, ordinanza 3 marzo 1983, n. 320, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. Tribunale di Bassano del Grappa, ordinanza 18 febbraio 1983, n. 462, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. legge 25 marzo 1982, n. 94, art. 15-bis (artt. 3, 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 10 dicembre 1982, n. 98/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. Pretore di Roma, ordinanza 23 dicembre 1982, n. 118/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DBLLO STATO d.P.lt. 29 aprile 1982, n. 240, artt. 1, 2, primo comma, lett. c) e d) e 11, secon� do comma (artt. 3 e 76 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 3 novembre 1982, n. 566/83, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. d.P.lt. 29 aprile 1982, n. 240, art. 5 (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 3 novembre 1982, n. 566/83, G. U. 19 ottobre 1983, n. 288. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 9, secondo e terzo comma, e 15, primo e secondo comma (artt. 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Ancona, ordinanza 26 ottobre 1982, n. 191/83, G. U. 17 agosto 1983, n. 225. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25 e 26 (artt. 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanze (ventidue) 1� febbraio 1983, nn. 345-366, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28 e 30 (artt. 3, 4, 41 e 44 della Costi� tuzione). Tribunale di Siena, undici ordinanze 3 maggio 1983, nn. da 540 a 550, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28, 30 e 31 (artt. 3, 4, 41, 42 e 44 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 20 gennaio 1983, n. 228, G. U. 10 agosto 1983, n. 219. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26, 28, 30 e 31 (artt. 3, 4, 41 e 44 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanze (due) 20 gennaio 1983, n. 226 e 227, G. U. 20 luglio 11983, n. 198. legge 3 maggio 1982, n. 203, artt. 25, 26 e 31 (artt. 3 e 41 della Costituzione). Tribunale di Ancona, ordinanza 9 aprile 1983, n. 466, G. U. 28 settembre 1983, n. 267. legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 40, primo comma (artt. 41 e 44 della Costi� tuzione). Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza 3 marzo 1983, n. 307, G. U. 7 settembre 1983, n. 246. legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 40 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ordinanza 17 dicembre 1982, n. 375/83, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. INDICE DELLA LEGISLAZIONE legge 29 maggio 1982, n. 297; art. 5, terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 29 marzo 1983, n. 444, G. U. 26 ottobre 1983, n. 295. d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525 (artt. 73 e 79 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 11 novembre 1982, n. 120/83, G. U. 6 lu.. glio 1983, n. 184. d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Ravenna, ordinanza 30 novembre 1982, n. 86/83, G. U. 6 lu� glio 1983, n. 184. Tribunale di Ravenna, ordinanza 1� dicembre 1982, n. 119/83, G. U. 6 lu� glio 1983, n. 184. Corte d'appello di Lecce, ordinanza 7 gennaio 1983, n. 135, G. U. 13 lu� glio 1983, n. 191. Tribunale di Prato, ordinanza 3 febbraio 1983, n. 264, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. legge 12 agosto 1982, n. 532, art. 25 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale militare di Bari, ordinanza 8 gennaio 1983, n. 334, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. d.P.R. 30 settembre 1982, n. 688, art. 9 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Nereto, ordinanza 16 novembre 1982, n. 105/83, G. U. 6 luglio 1983, n. 184. dJ. 30 settembre 1982, n. 688, art. 9 (artt. 3, 77 e 79 della Costituzione). Pretore di S. Don� di Piave, ordinanza 18 marzo 1983, n. 391, G. U. 14 settembre 1983, n. 253. d.l. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [conv. nella legge 27 novembre 1982, n. 873] (art. 24, 101, 102 e 104 della Costituzione). Tribunale di Trieste, ordinanza 26 gennaio 1983, n. 287, G. U. 31 agosto 1983, n. 239. d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [convertito in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 11, 23 e 24 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 18 marzo 1983, n. 412, G. U. 26 ottobre -1983, n. 295. legge reg. Sicilia 15 novembre 1982, n. 135 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 3 gennaio 1983, n. 422, G. U. 12 ottobre 1983, n. 281. 116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge approvata dal consiglio regionale d'Abruzzo il 4 maggio 1983 e riapprovata il 27 luglio 1983 (art. 'l7 della Costituzione). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 30 agosto 1983, n. 36, G. U. 'I 7 settembre 1983, n. 246. legge 17 maggio 1983, n. 217 (art. 4, n. 1 e n. 10, statuto speciale regione Friuli-Venezia Giulia). Regione Friuli-Venezia Giulia, ricorso 2 luglio 1983, n. 32, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. legge 17 maggio 1983, n. 217 nel suo complesso e, in particolare, artt. 1, ultimo comma, 2, 3, 4, primo, sesto ed ultimo comma, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 e 15 (artt. 3, terzo comma, 8, n. l, n. 5, n. 19, n. 20, 9, n. 7, 16, primo comma, 78 e 79 statuto regione Trentino-Alto Adige). Provincia autonoma di Bolzano, ricorso 30 giugno 1983, n. 29, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. legge 17 maggio 1983, n. 217, artt. 1, 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 15 (artt. 116 della Costituzione e 3, lett. a), lett. f) e lett. p), 4, lett. a), 6 e 56 dello statuto speciale della Sardegna). Regione Sardegna, ricorso 30 giugno 1983, n. 30, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. legge 17 maggio 1983, n. 217, artt. 1, primo comma, 5, secondo, terzo, quarto e quinto comma, 10, primo comma, 11, dodicesimo comma, 13, 14 e 15 (artt. 5, 117, 118 e 119 della Costituzione e art. 21 legge n. 335 del 11'176). Regione Emilia-Romagna, ricorso 2 luglio 1983, n. 31, G. U. 27 luglio 1983, n. 205. " legge 17 maggio 1983, n. 217, art. 1, quarto comma, 4, primo comma, 13, primo comma, 14, primo e quarto comma, 15, secondo comma (artt. 8, n. 1 e n. 20, 16 e 78 statuto regione Trentino-Alto Adige. Provincia autonoma di Trento, ricorso 30 giugno 1983, n. 28, G. U. 20 luglio 1983, n. 198. d.I. 11 luglio 1983, n. 317, art. 12, secondo comma (artt. 117 e 119 della Costituzione). Presidente regione Lombardia, ricorso 12 agosto 1983, n. 35, G. U. 21 settembre 1983, n. 260. d.I. 11 luglio 1983, n. 317, artt. 12, secondo comma, e 17 (artt. il17 e 119 della Costituzione). �~ Presidente regione Toscana, ricorso 10 agosto 1983, n. 34, G. U. 21 settembre 1983,n. 260. disegno di legge riapprovato dal consiglio provinciale di Bolzano il 13 luglio 1983 (art. 100 statuto reg. Trentino-Alto Adige). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 5 agosto 1983, n. 33, G. U. 7 settembre 1983, n. 246.