ANNO XXXII N. 4/5 LUGLIO-OTTOBRE 1980 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTlTUTC POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

ROMA 1980 



ABBONAMENTI ANNO 1980 

ANNO ............................. L. 20.000 
UN NUMERO SEPARATO � 3.500 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


(2219047) Roma, 1980 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura 

del/'avv. Franco Favara) � pag. 687 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
ZIONALE (a. cura 
COMUNITARIA 
del/'avv. Oscar 
E INTERNA-
Fiumara) � � 71 s 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Carlo Carbone, 
Carlo Sica e Antonio Cingolo) � � � 751 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura degli avvo�ati 
Adriano Rossi e Antonio Catrical�) � 773 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 
del/'avv. Raffaele Tamiozzo) � 
(a cura 
� 800 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 
vocato Carlo Baf�le) . 
(a cura dell'av� 
� � 809 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
La Porta, Piergiorgio Ferri e Paolo Vittoria) . � � 847 
Se:z:ione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura del/'avv. Paolo 
Di Tarsia Di Be/monte) � � 869 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 


LEGISLAZIONE � . . � . . . . . � . . . . . . . . . pag. 107 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 


G�auco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPACE, Bologna; 
Giovanni CONTU, Cagliari; Francesco GUICCIARDI, Genova; Marcello DELLA 
VALLE, Milano; Carlo BAFILE, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; 
Nicasio MANCUSO, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, 
Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MANn�, Venezia. 



ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

P. 
DI TARSIA DI BELMONTE, L'applicabilit� dell'obbligo della denuncia 
degli infortuni sul lavoro al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco . I, 871 
P. 
DI TARSIA DI BELMONTE, Un reato d'omissione d'atti di ufficio colposo 
o addirittura contravvenzionale? . I, 874 

tutela � Motivazione -Riferimento a Giurisdizione sul mevito del giudice tutela � Motivazione -Riferimento a Giurisdizione sul mevito del giudice 
PARTE PRIMA 
INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
ACQUE PUBBLICHE ED ELETTRI� 
CITA 
-Competenza e giurisdizione -Tribunale 
superiore delle acque, giudice 
ragioni di pubblico interesse -Attualit� 
e concretezza dell'interesse -Necessit� 
� Sussiste -Effetti, 800. 
amministrativo o giudice ordinario � 
Requisizione di utenza -Provvedimento 
in materia di acque pubbliche 
� Giurisdizione del Tribunale superiore 
� Sussiste -Inesistenza giuridica 
dell'atto e giurisdizione del giudice 
ordinario -Non sussiste � Potere 
esercitato -Individuazione, 847. 

-Competenza e giurisdizione -Tribunali 
delle acque e tribunali ordinari Linea 
di demarcazione tra propriet� 
privata e bacino lacuale -Controversia 
~� Competenza � Tribunali delle 
acque, 862. 

-Concessione e derivazione -Ammissione 
ad istruttoria . Ricorso � Presentatori 
di domande concorrenti � 
Interesse � Sussiste -Titolari di concessione 
-Non sussiste, 861. 

-Giudizio e procedimento -Composizione 
del Tribunale superiore delle 
acque � Partecipazione di funzionari 
tecnici dipendenti dalla P .A. -Questioni 
di legittimit� costituzionale Manifesta 
infondatezza, 847. 

-Giudizio e procedimento -Ricorso avverso 
provvedimenti in materia di 
acque pubbliche -Requisizione di 
acque e impianti di eduz4one -Interesse 
ad agire -Individuazione, 848. 

-Laghi -Limiti dell'alveo -Individuazione 
-Criterio -Livello naturale, 862. 

-Requisi2fone di utenza -Imprevedibilit� 
della carenza di acqua -Mancanza 
-Illegittimit�, 849. 

-Requisizione di utenza � Potere del 
prefetto ex art. 7 legge 20 marzo 1865, 

n. 2248, ali. E, e del ministro dei lavori 
pubblici ex art. 43, t.u. 11 dicembre 
1933, n. 1775 � Rapporti, 849. 
ANNULLAMENTO E REVOCA 

- 
Annullamento d'ufficio in via di auto


ATTO AMMINISTRATIVO 

-Sopravvenienza di leggi -� Tempus 
regit actum � � Criteri di applicazione 
del principio, 804. 

COMPETENZA E GIURISDIZIONE 

-Amministrazione straordinaria delle 
grandi imprese in crisi -Liquidazione 
coatta amministrativa � Mancanza 
dei presupposti -Dichiarazione 
di fallimento � Giurisdizione dell'A.
G.O., 754. 

-Giurisdizione amministrativa � Al� 
loggi delle cooperative per edilizia 
popolare ed economica -Controversie 
� Prima della stipulazione del 
mutuo individuale -Sussiste la giurisd�zione 
amministrativa, 806. 

-Giuri'5dizione ordinaria e ammini� 
strativa -Contratti di guerra -Sistemazione 
e liquidazione -Situazione 
soggettiva connessa alla titolarit� 
di contratti non definiti -Anteviormente 
alla pronuncia del commissario 
-Interesse legittimo � Silenzio 
sulla domanda di sistemazione 
-Azione giudiziaria � Improponibilit� 
-Silenzio rifiuto � Rimedi, 

857. 
-Giurisdizione ordinaria ed amministrativa 
� Controversie relative alla 
violazione di doveri assistenziali e 
previdenziali da parte della P.A. Giurisdizione 
del giudice amministrativo, 
753. 
-Giurisdizione ordinaria ed amrmmstrativa 
� Disapplicazione di atti amministrativi 
-Contravvenzioni depenalizzate 
-Poteri ed obblighi dell'A.
G.O., 751. 
- 
Giurisdizione ordinaria ed amministrativa 
� Provvedimenti d'urgenza 



INDI<:a DELLE 

amministrativo -Giurisdizione dell'A.
G.O. in via d'urgenza -Esclusione, 
760. 

-Giurisdizione ordinaria ed amministrativa 
-Televisione -Teletrasmissione 
-Necessit� di autorizzazione 
ministeriale -Difetto -Posizione giuridica 
soggettiva di interesse legittimo 
-Tutela delia banda di frequenza 
-Difetto di giurisdizione del1'
A.G.O., 760. 

COMUNIT�: EUROPEE 

~ 
Agricoltura -Organizzazione comune 
dei mercati -Settore dello zucchero Divieto 
totale o parziale di aiuti � 
Infrazione -Procedura d'accertamento, 
715. 

-Agricoltura -Organizzazione comune 
di mercato nel settore dello zucchero 
-Riporto del prodotto alla 
campagna successiva -Spese di magazzinaggio 
-Aiuti vietati, 715. 

-Agricoltura -Organizzazione comune 
di mercato nel settore dello zucchero 
-Spese di magazzinaggio Rimborso 
parziale -Ulteriori indennit� 
compensative stabilite dagli stati 
membri -Divieto, 715. 

-Libera circolazione delle merci -Disposizioni 
fiscali interne -Muti con� 
cessi dagli Stati -Compatibilit� con 
le norme del Trattato -Procedure 
d'accertamento, 716. 

-Libera circolazione delle merci Disposizioni 
fiscali interne -Aiuti 
concessi dagli Stati -Sovrapprezzo 
sullo zucchero -Destinazione del 
gettito -Effetti discriminatori, 716. 

-Libera circolazione delle persone Limitazioni 
per motivi di ordine 
pubblico, di pubblica sicurezza e di 
sanit� pubblico -Garanzie -Obblighi 
degli Stati, 729. 

-Libera circolazione delle persone � 
Limitazioni per moti'Vi di ordine 
pubblico, di pubblica sicurezza e di 
sanit� pubblica -Provvedimento amministrativo 
di espulsione dello straniero 
-Parere di altra autorit� pubblica 
indipendente -Necessit�, 729. 

-Libera circolazione delle persone � 
Limitazioni per motivi di ordine 
pubblico, di pubblica sicurezza e di 
sanit� pubblica -Provvedimento amministrativo 
di espulsione dello straniero 
-Parere di altra autorit� pubblica 
indipendente -Requisiti, 729. 

CONSULTAZIONI 

-Unione doganale -Licenza d'esportazione 
con restituzione prefissata � 
Furto del titolo -Conseguenze, 736. 

-Unione doganale -Tariffa doganale 
comune -Voce 07.04 -Preferenze 
generalizzate in favore dei paesi in 
via di sviluppo � Funghi tagliati in 
fette o in pezzi, 747. 

-Unione doganale -Tasse all'importazione 
indebitamente percepite -Traslazione 
della tassa liUll'acquirente 
della merce -Richiesta di rimborso 
da parte dell'importatore -Limiti 
derivanti dal diritto interno -Compatibilit� 
con il diritto comunitario, 
743. 

-Unione doganale -Tasse di effetto 
equivalente a dazi doganali -Diritti 
di visita sanitaria non dovuti -Richiesta 
di rimborso -Rinvio all'ordinamento 
giuridico nazionale -Limiti, 
743. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Conflitto di attribuzione tra Stato 
e Regione -Sospensione dell'atto per 
cui � conflitto -Sentenza di giudice 
penale -Incidenza sul funzionamento 
dell'assemblea regionale siciliana, 
704. 

-Giudizio in via incidentale -Giudice 
istruttore civile -Legittimazione a 
sollevare questione di legittimit� costituzionale 
-Limiti, 710. 

-Sopravvenienza di legge modificatrii::
e di disposizione � sub judice � Nuovo 
esame circa la rilevanza -Rimessione 
al giudice � a quo � -Condizioni, 
707. 

DEMANIO E PATRIMONIO 

-Demanio marittimo -Arenili -Classificazione 
tacita -Inammissibilit�, 795. 
-Demanio marittimo -Arenile -Natura 
demaniale, 795. 

EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE 

-Cessione in propriet� degli alloggi � 
Prezzo di cessione -Modifica dei 
criteri di determinazione -Legittimit� 
costituzionale, 707. 

-Piani di zona per edilizia economica 
e popolare -Modifiche di scarso 
rilievo intervenute dopo la pubblicazione 
-Nuova pubblicazione -Necessit� 
-Esclusione, 805. 


vm 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-Piani di zona -Preesistenza di un 
programma di fabbricazione -Esigenza 
di previa variante � Non sussiste 
-Applicabilit� dell'art. 3 legge 
167/1962 � Effetti, 804. 

EDILIZIA E URBANISTICA 

-Annullamento delle licenze di costruzione 
-Poteri �del Sindaco e della 
Regione -Rapporto -Effetti, 800. 

-Licenza di costruzione -Rilascio Condizioni 
� Piano di lottizzazione Criteri 
-Effetti, 800. 

-Licenza di costruzione -Violazioni � 
Accertamento -Potere di annullamento 
regionale -Criteri, 800. 

-Misure di salvaguardia -Applicabilit� 
-Atto �formale di adozione di 
nuove previsioni urbanistiche -Necessit� 
-Piano di edilizia popolare 
ed economica -Estensione, 804. 

-Strumenti urbanistici prim�ri -Articolo 
4 L. 291/1971 -Piani regolatori 
-Efficacia -Inclusione dei comuni 
negli elenchi -Effetti, 800. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Azione per risarcimento danni! per 
occupazione abusiva -Emissione del 
decreto di esproprio dopo la pronunzia 
della Corte d'appello -Esibizione 
in cassazione -Legittimit� Effetti, 
788. 

-Indennit� di esproprio -Debito di 
valuta -Rivalutazione -Esclusione Interessi 
legali, 779. I 

-Indennit� di esproprio -Determinazione 
-Criteri, 779. 

-Indennit� di esproprio -Momento 
di riferimento, 779. 

GIUDIZIO AMMINISTRATIVO 

-Appello -Applicabilit� art. 327 cod. 
proc. civ. � Sussiste -Sospensione 
feriale, 806. 

-Appello -Decisione sulla proposizione 
del giudizio -Avvocatura dello 
Stato -Autonomia e indipendenza 
rispetto alle Amministrazioni patrocinate 
-Sussistono � Effetti, 807. 

-Appello -Decorrenza del termine 
per la proposizione -Notificazione 
della sentenza del T.A.R. -Amministrazione 
statale costituita a mezzo 
dell'Avvocatura dello Stato -Notificazione 
presso l'Avvocatura -Necessit� 
-Sussiste, 807. 

-Appello -Deducibilit� di motivi di 
ricorso diversi rispetto al ricorso 
di primo grado -Preclusione, 804. 

-Appello -Forma -Mera riproduzione 
generica dei modvi di primo 
grado � Effetto devolutivo dell'appello 
-Limiti -Conseguenze, 803. 

-Appello � Principio devolutivo -Ripetizione 
di doglianze gi� proposte 
in primo grado -Ammissibilit�, 

800. 
-Appello -Principio devolutivo -Riproposizione 
con diverso contenuto 
di doglianza gi� proposta in primo 
gr�do � Ulteriori deduzioni come 
mere difese -Ammissibilit�, 804. 


- 
Ricorso � Nuovi motivi dedotti in 
memoria -Memoria non notificata Effetti 
-Inammissibilit� -Sussiste, 

800. 
-Ricorso -Proponibilit� -Tardivit� . 
Eccezione -Effetti � Prova della pie.
na conoscenza dell'atto -Onere incombente 
sul soggetto che propone 
l'eccezione di tardivit�, 802. 


IMPIEGO PUBBLICO 

-Trasferimenti -Trasferimento da un 
ufficio ad un altro della stessa localit� 
� Obbligo di motivazione Non 
sussiste, 808. 

-Sciopero � Misure per supplire i lavoratori 
scioperanti -Legittimit� costituzionale, 
710. 

IMPOSTE E TASSE 

-Contributi di miglioria specifica Principio 
della capacit� contributiva 
-Applicabilit� -Carattere attuale 
della capacit� contributiva -Necessit�, 
687 

IMPOSTE IN GENERE 

-Definizione agevolata delle pendenze 
-Data di notifica di decisione di 

I 

commissione tributaria -Rilevanza -)'.: 
Legittimit� costituzionale, 695. 

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-1 


INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

-Definizione agevolata delle pendenze 
-Disparit� di trattamento fra 
contribuenti � Insussistenza, 694. 

-Definizione agevolata delle pendenze 
-Pendenze concernenti solamente 
sopratasse � Esclusione dalla definizione 
agevolata � Legittimit� costituzionale, 
695. 

-Definizione agevolata delle pendenze 
� Riliquidazione separata delle 
imposte sui redditi nei confronti di 
coniugi -Esclusione � Legittimit� costituzionale, 
694. 

LOCAZIONI 

-Convivente moro uxorio con conduttore 
defunto -Diseguaglianza rispetto 
a coniuge superstite ed ai figli 
naturali -Legittimit� costituzionale, 

687. . 
-Immobili urbani adibiti ad uso di 
abitazione -Proroga dei contratti Parametro 
del reddito -Non consideraziJone 
degli oneri familiari -Legittimit� 
costituzionale, 713. 

MILITARE 

-Competenza e giurisdizione penale Concorso 
formale tra reato comune 
e reato militare -Simultaneus 
processus -Esclusione -Legittimit� 
costituzionale, 691. 

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 

-FideiussiJone -Diffida al debitore Termine 
di sei mesi -Proroga pattizia 
-Decadenza -Non sussiste, 791. 

-Fideiussione -Surrogazione del fi. 
deiussiore -Inerzia del creditore 
Estinzione -Non sussiste, 791. 

OPERE PUBBLICHE 

-Artt. 29 e 31 legge 17 agosto 1942, 

n. 1150 � Rapporto fra progetti di 
opere pubbliche e norme urbanistiche 
locali -Effetti, 803. 
PENA 

-Misure alternative alla detenzione Esclusione 
per alcuni delitti -Legittimit� 
costituzionale, 705. 

PIANO REGOLATORE 

-Pubblicazione del progetto dopo la 
delibera comunale di adozione -Provvedimento 
finale di approvazione � 
Non comporta nuova pubblicazione, 

803. 
PRESCRIZIONE E DECADENZA 

-Eccezione di interruzione -Eccezione 
in senso proprio -Non rilevabilit� 
d'ufficio, 773. 

-Produzione del documento � Prova 
dell'eccezione -Inammissibilit� in 
Cassazione, 773. 

PROCEDIMENTO PENALE 

-Impugnazione -Assoluzione perch� 
il fatto non costituisce reato -Richiesta 
di assoluzione con la formula 
� perch� il fatto non �. preveduto 
dalla legge come reato � -Ammissibilit�, 
nota di TARSIA DI BELMONTE, 
870. 

-Impugnazioni penali � Cassazione Declaratoria 
immediata di cause di 
non punibilit�, di improcedibilit�, di 
estinzione del reato o della pena Evidenza 
della non colpevolezza Requisiti, 
873. 

-Impugnazioni penali -Soggetti del 

, diritto di impugnazione -Parte civile 
-Procedimento pretorile -Notificazione 
al Pubblico Ministero o 
al Procuratore della Repubblica � 
Esclusione, 869. 

-Parte civile -Impugnazioni -Limiti, 

869. 
REATO 

-Obbligo di denunzia di infortuni sul 
lavoro all'autorit� di P.S. -Corpo 
nazionale dei vigili del fuoco -Applicabilit�, 
con nota di P. DI TARSIA 
DI BELMONTE, 870. 

-Omissione d'atti d'ufficio -Dolo generico 
-Si identifica con la coscienza 
di violare l'obbligo, con nota di 

P. DI TARSIA DI BELMONTE, 874. 
RICORSO GIURISDIZIONALE 

-Atto basato su pluralit� di motivi � 
Esigenza di censurare tutti i motivi 
-Sussiste -Effetti, 800. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

X 

SANITARIO 

-Sanitario ospedaliero -Requisiti di 
idoneit� -"Valutazione del servizio 
di ruolo -Criteri, 807. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Accertamento � Accertamento induttivo 
-Onere della prova, 819. 

-Imposta di ricchezza mobile -Lotterie 
e concorsi a premio -Distinzione 
-Obbligo di ritenuta, 836. 

-Imposta di ricchezza mobile -Plusvalenza 
� Valore di riferimento -Ac" 
certamento sintetico non contenente 
riferimento ai beni -Rilevanza del 
valore dichiarato, 833. 

-Soggetti passivi � Organizzazione di 
beni e di persone senza personalit� 
giuridica � Fondo di previdenza del 
personale dell'I.N.A.I.L. -Appartiene 
all'I.N.A.I.L. -Esclusione di soggetti� 
vit� tributaria autonoma, 815. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di registro -Regime anteriore 
alla riforma -Enfiteusi -Base 
imponibile � Accertamento secondo 
il valore del bene -Esclusione, 843. 

-Imposta sull'entrata -Condono � 
Pagamento del tributo nel termine . 
Omissione � Decadenza, 823. 

-Imposta sull'entrata -om lubrificanti 
soggetti all'imposta di fabbricazione 
-Potere del Ministero delle 
Finanze di determinare aliquote 
condensate -Legittimit� -Potere� di 
determinare il prezzo medio -Esclusione, 
809. ' 

-Imposta sull'entrata -Vendita di 
opere d'arte tra non commercianti . 
Esercizio di attivit� economica occasionale 
-Configurabilit�, 841. 

-Imposte doganali -Revisione dell'accertamento 
-Termine -Questioni 
di qualificazione, valore e origine 
-Termine semestrale di decadenza 
-Altre questioni -Termine 
quinquennale di prescrizione, 830. 

-Riscossione � Ingiunzfone -Emissione 
ai soli fini interruttivi o per la 
prosecuzione dell'esecuzione -Validit� 
come ingiunzione . Esclusione, 

826. 
TRIBUTI IN GENERE 

-Dichiarazione � Condono � Decadenza 
� Effetti della dichiarazione . 
Permangono, 823. 

-Dichiarazione dei redditi � Effetti ' 
Dichiarazione condizionata � Ammissibilit�, 
815. 

-Potest� tributaria di imposizione � 
Riserva di legge relativa � Normativa 
rimessa al Ministero delle Finanze 
� Impugnazione -Giurisdizione 
ordinaria, 809. 



INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

14 aprile 1980, n 45 . . pag. 

))

22 aprile 1980, n. 54 . . 
20 maggio 1980, n. 73 . 

)) 

11 giugno 1980, n. 80 . . � 
19 giugno 1980, n. 94 (ordinanza) . 

)) 

))

25 giugno 1980, n. 96 . 

,.

7 luglio 1980, n. 107 . 
23 luglio 1980, n. 119 . 

� 

))

23 luglio 1980, n. 122 . 
25 luglio 1980, n. 125 . � 
30 luglio 1980, n. 132 . � 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 


24 aprile 1980, nella causa 72/79 . . . pag. 
21 maggio 1980, nella causa 73/79 . . 


)) 

22 maggio 1980, nella causa 131/79 . � 
26 giugno 1980, nella causa 808/79 . � 
311 sezione, 10 luglio 1980, nella causa 826/79 . � 
2� sezione, 16 ott�bre 1980, nelle cause riunite 824 e 825/79 . 

)) 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. Un., 17 novembre 1978, n. 5327 . pag. 
Sez. I, 12 novembre 1979, n. 800 . . . � 
Sez. I, 14 novembre 1979, n. 1511 . . � 
Sez. Un., 19 novembre 1979, n. 6020. � 
Sez. I, 24 gennaio 1980, n. 579 ... � 
Sez I, 4 febbraio 1980, n. 774 . . . 

)) 

Sez Un., 15 febbraio 1980, n. 1125 . � 

Sez. I, 19 febbraio 1980, n. 1218 . 

)) 

Sez. I, 21 febbraio 1980, n. 1245 . � 
Sez. I, 26 febbraio 1980, n. 1330 . � 
Sez. I, 4 marzo 1980, n 1432 . . � 
Sez. I, 11 marzo 1980, n. 1612 . � 
Sez. I, 11 marzo 1980, n. 1618 . � 

687 
687 
691 
694 
704 
694 
705 
695 
707 
710 
713 

715 
716 
729 
736 
743 
747 

847 
773 
779 
809 
815 
819 
857 
823 
826 
830 
833 
836 
841 


I ~ 

XlI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Sez. I, 13 marzo 19801 n. 1691 . . . � 843 ili 

!:'

Sez. Un., 25 marzo 1980 n. 1990 . � 848 ':: 
Sez. Un., 12 aprile 1980, n. 2324 . )) 751 ~:: 

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Sez. I, 26 aprile 1980, n. 2010 .. � 788 

~:: 

;.-.:

Sez. I, 28 aprile 1980, n. 2899 . . . )) 791 ~:: 
Sez. I, 6 maggio 1980, n. 2995 . . )) 795 ~'.: 
Sez. Un., 7 maggio 1980, n. 2997 . )) 753 ~ 
Sez. Un., 18 luglio 1980, n. 4681 . )) 754 
Sez. Un., l 0 ottobre 1980, n. 5336 . )) 766 


TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE 

20 �narzo 1980 n. 4 . . pag. 849 
6 m~ggio 1980 n. 10 . )) 861 
6 maggio 1980, n. 13 . � 862 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., 6 maggio 1980, n. 12 . pag. 807 
Ad. PI. 20 maggio 1980, n. 18 .. � 800 
Sez. IV, 1� aprile 1980, n. 321 . )) 802 
Sez. IV, 1� aprile 1980, n. 326 . )) 803 
Sez. IV, 1� aprile 1980, n. 330. )) 804 
Sez. IV, 1� aprile 1980, n. 332. � 806 
Sez. IV, 6 maggio 1980, n. 502. )) 807 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. III, ud. 13 marzo 1979, n. 669. pag. 869 
Sez. II, 25 maggio 1979, n. 896 .. )) 869 
Sez. VI, 3 luglio 1979, n. 1306 . . � 873 
Sez. III, 5 giugno 1980, n. 1119 . )) 870 

PRETURA 

Roma, Sez. IV, 30 ottobre 1980, n. 14976 . )) 87+ 

I 

I 


PARTE SECONDA 
INDICE DELLA LEGISLAZIONE 
LEGISLAZIONE 
I . Norme dichiarate incostituzionali. 
II . Questioni dichiarate non fondate . 
III � Questioni proposte . . . . . . . . . 
pag. 
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107 
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PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 aprile 1980, n. 45 -Pres. Amadei -Rel. 
Rossano -De Piccoli ed altri (n.p.) e Presidente Consiglio Ministri 
(avv. Stato Azzariti). 

Locazioni -Convivente �more uxorio � con conduttore defunto � Diseguaglianza 
rispetto a coniuge superstite ed a figli naturali -Legittimit� 
costituzionale. 
(Cost., art. 3; legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 1; legge 12 agosto 1974, n. 351, 

art. 2-bis). 

La situazione del convivente more uxorio con il conduttore defunto 
� nettamente diversa da quella del coniuge e degli altri soggetti indicati, 
in modo tassativo, dall'art. 2-bis comma primo, parte prima, legge 12 
agosto 1974, n. 351 e dall'art. l, comma quarto, parte prima, legge 23 
maggio 1950, n. 253; pertanto, tali disposizioni non contrastano con l'art. 
3, Cast. 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 aprile 1980, n. 54 -Pres. Amadei -Rel. 
Elia -Soc. generale immobiliare .(n.p.) e Presidente Consigilo dei 
Ministri (avv. Stato Azzariti). 

Imposte e �tasse -Contributi di miglioria specifica -Principio della capacit� 
contributiva � Applicabilit� -Carattere attuale della capacit� 
contributiva -Necessit�. 
(Cost., artt. 3 e 53; d.l. 18 novembre 1965, n. 976, art. 80; d.!. 11 dicembre 1967, 

n. 1132; legge 28 ottobre 1970, n. 801, artt. 6 e 9). 
L'art. 53 Cast. si applica anche ai contributi di miglioria specifica 
e in genere ai tributi caratterizzati dalla coincidenza del presupposto con 
un vantaggio individualizzato acquisito in un bene immobile per effetto 
di un intervento pubblico di utilit� generale: gli incrementi di valore 

o plusvalori patrimoniali di beni immobili costituiscono tipica espressione 
di nuova ricchezza, e si presentano dunque come indici diretti o 
immediati di capacit� contributiva. Contrastano con gli artt. 3 e 53, 
Cast., l'art. 80, primo comma, n. 2, del d.l. 18 novembre 1966, n. 976 (testo 
2 



688 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

modificato dalla legge 23 dicembre 1966, n. 1142), nella parte in cui, per 
l'applicazione dell'addizionale ai contributi di miglioria, fa riferimento 
all'anno di esazione dei contributi stessi o di un loro rateo, ed il d.l. 
11 dicembre 1%7, n. 1132 (conv. con legge 7 febbraio 1968, n. 27) e degli 
artt. 6 e 9 della legge 28 ottobre 1970, n. 801, nelle parti in cui si riferiscono, 
per gli stessi fini, ai contributi di miglioria (1). 

(omissis) I contributi di miglioria specifica (la cui abolizione, prescritta 
al legislatore delegato dall'art. 1, n. III, legge 9 ottobre 1971, 

n. 825, si � poi realizzata con l'art. 32 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643) 
eran0 un tipo di tributo caratterizzato dalla coincidenza del presupposto 
con un vantaggio individualizzato, acquisito in ordine ad un bene immobile, 
per effetto di un intervento pubblico di utilit� generale (incremento 
di valore del bene dovuto, nella maggior parte dei casi, alla esecuzione 
di un'opera da parte dello Stato, del Comune, della Provincia). (omissis) 
� pacificamente riconosciuta, in giurisprudenza ed in dottrina, la 
natura tributaria di tali contributi, anche se pi� controversa � la loro 
caratterizzazione nei confronti delle imposte e delle tasse. Non emergono, 
comunque, valide ragioni per escludere che ad essi si applichino 
i principi di cui all'articolo 53, primo comma, Cost. ed in particolare 
quelli relativi alla capacit� contributiva, sia per l'ampiezza della formula 
costituzionale (�concorrere alle spese pubbliche�) sia perch� l'esclusione 
gi� affermata in ordine a prestazioni di servizi il cui costo si possa determinare 
divisibilmente (sentenza n. 30 del 1964) va riferita alla particolare 
fattispecie delle spese processuali previste dagli artt. 488 e 613 cod. 
proc. pen. In effetti, � da ritenere che gli incrementi di valore o plusvalori 
patrimoniali di beni immobili costituiscano tipica espressione 
di nuova ricchezza, e. si presentino dunque come indici diretti o immediati 
di capacit� contributiva. Se � vero che i contributi o tributi speciali 
sono conformati dal legislatore sul modello dell'imposta, poich� 
dal realizzarsi del presupposto sorge l'obbligo del pagamento del tributo, 

(1) Dopo aver ribadito che gli incrementi di valore o plusvalori patrimoniali 
di beni immobili costituiscono tipica espressione di nuova ricchezza e si 
presentano dunque .come indici diretti o immediati d capacit� contributiva, la 
Corte costituzionale ha distinto tra � presupposto di legittima imposizione � 
costituito dalla � esistenza di un indice di capacit�� contributiva) e � parametro 
della misura della imposizione �. La distinzione appare strumento concettuale 
utile per molte applicazioni. 
Nella sentenza si afferma inoltre che il "carattere attuale" sarebbe, per 
cos� dire naturaliter, � proprio della capacit� contributiva�. Nella sentenza 
11 aprile 1969, n. 75 (in questa Rassegna, 1969, 415, con indicazioni di dottrina) 
si era osservato come � la stessa dottrina tributaristica pi� sensibile ai limiti 
derivanti alJa legis'1azione ordinaria daJ principio della capacit� contributiva 
non abbia mancato di rilevare che una legge pu� colpire una capacit� contributiva 
esistente in un momento anteriore e rivelata da fatti passati, senza 
per ci� solo violare l'art. 53, purch� vi sia una ragionevole presunzione che, 


PARTl1 I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 689 

deve del pari riconoscersi che, a differenza che nelle imposte, il vantaggio 
dell'obbligato rileva come elemento costitutivo del presupposto 
stesso. Anzi, la specifica natura di questo elemento essenziale del presupposto 
garantisce di per s� l'effettivit� del rapporto tra presupposto 
del tributo e capacit� contributiva. 

I principi di capacit� contributiva, inoltre, debbono farsi valere, per 
logica derivazione, anche nei confronti della addizionale straordinaria 
prevista dal citato art. 80 del d.I. 18 novembre 1966, n. 976, come emendato 
nella legge di conversione e negli atti legislativi di proroga e di 
aumento. 

Se dunque l'art. 53, .primo comma, si applica all'imposizione di carattere 
additivo prevista in via straordinaria, ha una importanza minore 
chiedersi se anche ai contributi di miglioria (e di conseguenza alla connessa 
addizionale) possa riferirsi la nozione di �periodo di imposta�; 
e se s�, con quale significato, almeno in parte diverso da quello di solito 
attribuito. � evidente infatti che, sia pure con differenze rispetto aUe 
imposte sul reddito {nel quale il presupposto ha carattere ricorrente, 
dando luogo ogni anno ad autonome obbligazioni) anche per i contributi 
di miglioria assume specifico rilievo una delimitazione temporale, e cio� 
l'individuazione del tempo in cui sia venuto in essere una tantum l'incremento 
di valore del bene. Ma ci� che pi� importa, dal punto di vista 
del sindacato di costituzionalit�, � l'accertare se la imposizione dell'addizionale 
� stata o meno collegata dal legislatore al presupposto dell'originario 
contributo o ad una autonoma e diversa manifestazione di 
capacit� contributiva. 

In realt�, sia dall'ordinanza che dagli atti delle parti emerge, anche 

se non � enucleata in modo esplicito come per il principio di egua


glianza tributaria, la questione logicamente preliminare in ordine al 

principio di capacit� contributiva: quella cio� che attiene all'esistenza 

di un indice di capacit� come presupposto di legittima imposizione. Solo 

se il presupposto � presente, la capacit� contributiva potr� poi farsi 

valere come limite e come parametro della misura dell'imposizione. 

nella normalit� dei casi, quella capacit� contributiva permanga al momento 

della imposizione �. 

Ora, mentre risulta corretto esigere che un � indice di capacit� contribu


tiva � sia o sia stato effettivamente � esistente � (con esclusione quindi delle 

supposizioni sul futuro), non pare possa ravvisarsi nella �attualit�� un con


notato necessario o anche solo naturale della capacit� contributiva. 

La nozione di � attualit� � � stata utilizzata dal giurista per indicare la 

� persistenza >>, in un determinato momento assunto come presente, di un :in


teresse o di una situazione giuridica; non sembra che la stessa nozione possa 

essere utilizzata anche con riferimento ad un fatto (o ad una situazione di 

fatto), posto che -eccettuati i casi previsti dalla Costituzione (cos�, all'art. 25 

Cost.) -non pu� escludersi la valorizzabilit� da parte del legislatore di fatti 

pur compiutamente realizzatisi. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Orbene, nella fattispecie dell'art. 80 manca il collegamento con un autentico 
indice di capacit�, in quanto si fa riferimento, per l'imposizione 
dell'addizionale, non gi� ad un fatto relativo all'incremento del reddito, 
ma puramente e semplicemente alla iscrizione a ruolo del rateo annuale 
del contributo di miglioria. Non � necessario in questa sede precisare 
se il fatto presupposto si realizzi con la ultimazione dell'opera eseguita 
dal Comune di Roma, con il suo collaudo, o 'invece con la delibera 
di giunta municipale nella quale si dichiarano gli incrementi di valore 
post opus e si formano le relative matricole. Certo � che la disciplina 
dell'addizionale prescinde da ogni correlazione con questi eventi (tutti 
anteriori, nella fattispecie sottoposta al giudice a quo, all'anno 1967). 
N� pu� dirsi che le particolari caratteristiche dei contributi di miglioria 
comportino la coincidenza tra � periodo di imposta � (nel senso sopra 
accolto) e periodo di iscrizione a ruolo: come chiaramente si legge nella 
ordinanza del Tribunale di Roma, non si pu� confondere il presupposto 
del contributo, cui si collega il sorgere della obbligazione tributaria, con 
la fase della esazione del contributo stesso o dei suoi ratei, condizionata 
come essa �, anche nel tempo, ad una serie di vicende che non toccano 
il venir in essere dell'incremento di valore del bene. Si p�trebbe eccepire 
a quanto si � affermato fin qui che tra le caratteristiche dei contributi 
di miglioria va ravvisata la difficolt� di delimitare temporalmente 
il vantaggio consistente �nell'aumento effettivo di valore� {art. 7 

r.d.I. 6 luglio 1931, n. 981), maturato post opus. Ma -si pu� rispondere 
-se il legislatore avesse voluto colpire con l'addizionale la proiezione 
della sopravvenuta utilit� in una certa fascia di anni, avrebbe 
dovuto raggiungere con l'imposizione additiva anche q4ei soggetti che 
avessero realizzato un incremento di valore post opus negli anni immediatamente 
precedenti al 1967, adempiendo poi all'obbligazione tributaria 
con il versamento diretto in tesoreria. In fatto il legislatore si � riferito 
esclusivamente al momento della riscossione, a partire dal 1967... 
N� � dato rinvenire un collegamento dell'addizionale con una nuova 
manifestazione di capacit� contributiva: tale non pu� sicuramente considerarsi 
l'iscrizione a ruolo (ed il conseguente pagamento) del rateo 
annuale, come ha gi� affermato questa Corte nella sentenza n. 219 del 
1976, precisando che l'iscrizione del tributo nei ruoli (addizionale pro 
Calabria) �non rivela... un'autonoma e diversa capacit� contributiva �. 
Se davvero l'iscrizione a ruolo di un tributo fosse un elemento dal quale 
pu� dedursi l'idoneit� dei contribuenti a sopportare l'ulteriore prelievo 
di una percentuale sull'importo del tributo stesso, potrebbe legittimarsi 
una serie ad infinitum di addizionali (o, in genere, di maggiorazioni d'imposte 
o di sovraimposte) con la completa vanificazione del principio di 
capacit� contributiva in quanto presupposto di legittima imposizione. 

� poi da presumere che l'art. 53, primo comma, possa essere indirettamente 
violato sotto il profilo della retroattivit� della legge tribu



PARTEj I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE ()91 

taria quando quest'ultima (senza tener conto del periodo di tempo in 
ipotesi assai lungo intercorrente tra realizzazione del presupposto e 
riscossione del tributo) collega a questo secondo momento l'imposizione 
dell'addizionale e trascura cos� il carattere attuale, proprio della capacit� 
contributiva. Innegabilmente, la dissociazione temporale tra il realizzarsi 
del presupposto e l'iscrizione a ruolo dei ratei annuali di pagamento, 
tipica dei contributi di miglioria, accentuava (a differenza che per le 
imposte c.d. periodiche) il pericolo che le imposizioni additive contrastassero 
con l'art. 53, primo comma, Cost. 

Ci� non toglie per� che, con diversa' disciplina, si possano preveder7 
� addizionali � a tributi di questa natura in tutto conformi ai precetti 
degli artt. 53 e 3 Cost. 

Le violazioni dell'art. 3, Cost. e dell'art. 53, primo comma, Cost., 
sotto il profilo della eguaglianza del trattamento tributario, si presentano 
con carattere conseguenziale rispetto all'inosservanza del principio 
di capacit� contributiva inteso in senso stretto. Infatti, da ci� discendono 
disparit� di trattamento tra obbligati ai contributi, anche a parit� 
di situazioni quanto al tempo in cui sono venuti in essere i presupposti 
dei contributi stessi. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 20 maggio 1980, n. 73 -Pres. Amadei -Rel. 
Paladin -Ravizza ed altri (n.p.) e Presidente �consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Azzariti). 

Militare � Comp~tenza e giurisdizione penale � Concorso formale tra 
reato comune e reato militare -� Simultaneus processus � -Esclu� 
sione � Legittimit� costituzionale. 
(Cast., art. 3; cod. pen. mil. pace, art. 264). 

Entro i limiti della ragionevolezza, appartiene alla discrezionalit� 
legislativa circoscrivere l'ambito di operativit� del simultaneus processus; 
non contrasta con l'art. 3 Cost. l'art. 264 c.p.m.p. nella parte in cui 
non prevede la riunione dei procedimenti nei casi di concorso formale 
fra reati comuni e reati militari (1). 

(omissis) Tanto le tre ordinanze emesse dalla Corte di cassazione 
quanto l'unica ordinanza del tribunale militare territoriale di Padova, 
hanno riguardo a casi di concorso formale fra reati militari e reati 

(1) La legittimit� costituzionale dell'art. 264 cod. pen. mii. pace � stata affermata 
anche dalla sentenza Corte Cost., 11 giugno 1980, n. 81, dalla quale si 
traggono i brani che seguono. 
� Nel corso di un procedimento in cui si profilavano, a carico di un soggetto 
appartenente alle forze armate, indizi di reati sia comuni sia militari 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

comuni: in ordine ai quali non opera la connessione oggettiva prevista 
dall'art. 264 del codice penale militare di pace, sicch� le due specie di 
procedimenti non ricadono tutte nella competenza dell'autorit� giudiziaria 
ordinaria, ma vanno suddivise fra i giudici ordinari e quelli militari. 
Rendendo impossibile il simultaneus processus, ci� discriminerebbe 
gli imputati -in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza 
-rispetto a coloro che invece sono in grado di beneficiare della 
regola dettata dal primo comma dell'attuale art. 81 cod. pen. 
Ne deriva un'unica questione di legittimit� costituzionale, concernente 
l'art. 264 cod. pen. mil. pace nella parte in cui esclude il caso del 
concorso formale fra reati militari e reati comuni dalle ipotesi di connessione 
e di conseguente competenza dell'autorit� giudiziaria ordinaria. 
Pertanto, i quattro giudizi vanno riuniti e congiuntamente decisi. 
L'impugnativa non pu� essere accolta. 
Gi� con la sentenza 28 luglio 1976, n. 196, la Corte ha dichiarato 
infondata l'analoga questione di legittimit� costituzionale dello stesso 
art. 264 cod. pen. mil. pace, in riferimento al primo comma dell'art. 3 
Cost., sollevata dal tribunale di Trani: argomentando �che la situazione 
in cui viene a trovarsi il militare che, in concorso formale, compie reati 
militari e reati non militari � peculiare a lui solo�; aggiungendo -sia 
pure con riguardo ad un'altra ordinanza di rimessione -che le disposizioni 
dell'art. 264 hanno coordinato la norma costituzionale dell'art. 
103, ultimo comma, con i principi generali del processo penale; e concludendo 
che il legislatore ha cos� � fatto uso della sua discrezionalit� 
in modo... tale da non meritare censure �. 
A questa stregua dev'essere risolto anche il caso in esame, sebbene 
l'impugnativa non sia ora prospettata in termini del tutto identici a 
quelli su cui si form� la precedente pronuncia della Corte. Fermo 
rimane, comunque, che l'art. 264, pr\mo comma. ha inteso attuare la 
parte finale dell'art. 103 Cost. (�I tribunali militari... !r1 tempo di pace 
(simulazione di reato e violata consegna), il giudice a quo ha rilevato che ... deve 
oggi ritenersi reato militare "ogni violazione della legge penale militare", 
secondo un criterio puramente "formalistico", affidato alla pi� ampia discrezionalit� 
legislativa, e non integrabile con altri criteri "di ordine sostanziale"; 
sicch� non � tale la simulazione di reato, quand'anche commessa -come 
nella specie -"da un militare, in luogo militare, durante un servizio militare, 
e a danno del servizio militare" ... 
(Omissis) ... il giudice a quo trascura che la ricordata decisione della (Corte 
Cost., 8 aprile 1958, n. 29) concludeva nel senso dell'infondatezza della questione 
di Jegittimit� costituzionale 1concernente J'art. 264 cod. pen. mili. pace (nel 
nuovo testo introdotto dalla legge 167 del 1956), in riferimento al terzo comma 
dell'art. 103 Cost.; e da tale norma non traeva affatto la garanzia della giurisdizione 
militare, nella sua configurazione precostituzionale, ma invece desumeva 
i limiti massimi entro i quali pu� legittimamente svolgersi la giurisdizione 
stessa, come risulta dall'avverbio "soltanto" ... �. 
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PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 693 

hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti 
alle Forze armate�): statuendo la competenza dell'autorit� giudiziaria 
ordinaria anzich� di quella militare (come gi� disponeva, per tutte 
le ipotesi di connessione tra procedimenti relativi a reati militari e 
comuni, il terzo comma dell'art. 49 cod. proc. pen.), quanto ai giudizi 
riguardanti delitti commessi �da pi� persone�, le une soggette alla legge 
penale comune, le altre alla legge penale militare. Per contro, la norma 
si regge sul criterio di escludere la connessione, l� dove si tratti dei 
soli soggetti attivi di reati militari: come appunto si verifica per fa 
connessione soggettiva prevista dall'art. 45 n. 3 cod. proc. pen. ( � se 
una persona � imputata di pi�._reati �), ivi compreso �chi con una 
sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero 
commette pi� violazioni della medesima disposizione di legge �, secondo 
la definizione del ~oncorso formale contenuta nel vigente testo de�l'art. 
81, primo comma, cod. pen. Non a caso, la stessa connessione 
soggettiva cessa di operare agli effetti dell'art. 264 cod pen. mil. pace, 
qualora si tratti di reati commessi gli uni � in occasione � di altri. 

Tali scelte legislative, che pur formarono oggetto di discussioni nel 
corso dei lavori preparatori della legge 23 marzo 1956, n. 167, non 
appaiono in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza. 
Non diversamente che in tutte le altre ipotesi di connessione di procedimenti, 
anche l'art. 8 della legge n. 167, dettando il nuovo testo 
dell'art. 264 cod. pen. mil. pace, ha dovuto contemperare esigenze diverse 
ed opposte, ma entrambe presenti nell'ordinamento giuridico: assicurando, 
da un lato, la congiunta cognizione dei casi per i quali 
risultava impossibile o comunque inopportuno mantenere separati i 
procedimenti; ma anche garantendo, d'altro lato, la competenza del giudice 
normalmente ritenuto pi� idoneo a risolvere determinate specie 
di controversie. 

Ora, in vista di un tale bilanciamento si giustifica che l'art. 264 
cod. pen. mil. pace non consideri alcune fra le ipotesi previste nell'art. 
45 cod. proc. -pen., per cui la connessione si presenta meno stringente 
o di grado meno elevato: qual �, senza dubbio, la connessione 
soggettiva disposta dall'art. 45 n. 3. N� la conclusione muta nell'ipotesi 
del concorso formale, sebbene l'interferenza fra i relativi procedimenti 
sia maggiore che negli altri casi di persone imputate di pi� reati. 
Entro i limiti della ragionevolezza, appartiene infatti alla discrezionalit� 
legislativa stabilire e circoscrivere l'ambito di operativit� del simultaneus 
processus, senza che il diritto processuale debba fare applicazione 
-a pena d'illegittimit� costituzionale -di alcun criterio rigidamente 
prefissato; e per averne una recente conferma basti ricordare, 
al di l� degli esempi citati dall'Avvocatura dello Stato, l'art. 48-bis 
cod. proc. pen. (in tema di rilevanza della connessione), aggiunto dall'art. 
2 della legge 8 agosto 1977, n. 534. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Del resto, giova notare come la riunione dei procedimenti, relativi 
a reati comuni � e militari che si assumano commessi da una stessa 
persona in concorso formale, non rappresenti la strada obbligata per 
raggiungere lo scopo cui mirano i giudici a quibus, cio� per consentire 
che si applichi l'art. 81 cod. pen. La costante giurisprudenza della 
Corte di cassazione � orientata nel senso che tale applicazione sia 
comunque possibile, purch� i reati successivamente giudicati risultino 
meno gravi di quelli per i quali sia stata gi� inflitta una condanna. 
E parallelamente, quand'anche non sia dato ricorrere senz'altro al cosidetto 
giudizio suppletivo, pu� soccorrere il rimedio del rinvio del dibattimento 
a tempo indeterminato, ordinato dal giudice secondo l'art. 
432 cod. proc. pen., al fine di attendere il passaggio in giudicato della 
sentenza destinata ad infliggere la pena-base per la violazione pi� grave 
fra quelle commesse in concorso formale. (omissis) 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 11 giugno 1980, n. 80 -Pres. Amadei -Rel. 
Elia -Ambrosio (n.p.) e Presidente del Consiglio dei Ministri (vice 
avvocato gen. Stato Albisinni). 

Imposte in genere -Definizione agevolata delle pendenze -Rillquidazione 
separata delle imposte sui redditi nei confronti di coniugi -Esclusione 
-Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 31 e 53; legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 4). 

La definizione dei redditi ai sensi del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, 
determina � esaurimento � dei relativi rapporti tributari; pertanto, non 
contrasta con gli artt. 3, 31 e 53 Cost. la disposizione che esclude la 
riliquidazione separata delle imposte sui redditi nei confronti dei coniugi 
quando � intervenuta definizione ai sensi del predetto decreto 
legge. 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 giugno 1980, n. 96 -Pres. Amadei � Rel. 
Elia -Giumarra ed altri (n.p.) e Presidente del Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Angelini Rota). 

Imposte in gen,ere -Definizione agevolata delle pendenze -Disparit� di 
. trattamento fra contribuenti -Insussistenza. 
(Cost., art. 3; d.!. 5 novembre 1973, n. 660, art. 6). 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 695 

Imposte in genere � Definizione agevolata delle pendenze � Data di no


tifica di decisione di conu:nissione tributaria � Rilevanza � Legittbnit� 

costit1,1Zlonale. 

(Cost., art. 3; d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 2). 

L'art. 6 del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, come convertito nella legge 
19 dicembre 1973, n. 823, non esclude alcun contribuente che abbia 
presentato la richiesta domanda dall'ambito di applicabilit� delle disposizioni 
per la definizione delle pendenze; non sussiste quindi contrasto 
con il principio di eguaglianza. 

L'art. 2, lettera a), del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, come convertito 
nella legge 19 dicembre 1973 n. 823, nella parte in cui dispone che, se 
alla data del 31 ottobre 1973 non sia stata notificata decisione della 
commissione tributaria di primo grado, le imposte sono determinate 
operando la riduzione in relazione all'imponibile accertato dall'ufficio, 
non contrasta con il principio di eguaglianza. 

III 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 luglio 1980, n. 119 -Pres. Amadei -Rel. 
Elia -s.r.l. Immobiliare Vicoforte ed altri (avv. Carboni Corner) 
e Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Angelini Rota). 

Imposte lin genere � Definizione agevolata delle pendenze � Pendenze con� 
cero.enti solamente, sopratasse � Esclusione dalla definizione agevolata 
� Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 3; d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 6). 

Sussiste diversit� oggettiva tra le situazioni di pendenza o di controversia 
aventi per oggetto obbligazioni tributarie e quelle riferentesi 
solamente a sopratasse; non contrastano pertanto con il principio di 
eguaglianza le disposizioni che, ai fini della definizione agevolata delle 
pendenze, discriminano tra dette situazioni. 

I 

(omissis) La questione non � fondata. 

La Commissione tributaria di secondo grado di Padova denunzia 

l'ultimo comma dell'art. 4 della legge 12 novembre 1976, n. 751, �in 

quanto la preclusione legislativo� in esso disposta �introduce una 

ingiustificata eccezione al principio della separazione dei redditi in 

contrasto quindi con gli artt. 3, 31 e 53 della Costituzione, la cui viola


zione � stata assunta come fondamento della sentenza della Corte co



RASSEGNA DEll'AWOCATURA DEllO STATO 

stituzionale 15 luglio 1976, n. 179 �. Come � agevole dedurre dalla legge 

n. 751 del 1976 la �preclusione legislativo� si concreterebbe nella impossibilit� 
di procedere ad una separata liquidazione della imposta 
complementare per i redditi a suo tempo definiti con la procedura 
del c.d. condono (d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito con modificazioni 
nella legge 19 dicembre 1973, n. 823). 
Si pu� innanzitutto osservare che I'� esaurimento � dei rapporti 
tributari definiti da chi ha richiesto il condono emerge gi� con chiarezza 
dal testo del primo comma dell'art. 11 del d.l. 5 novembre 1973, 

n. 660 (non modificato, per ci� che qui interessa, dalla legge di conversione), 
secondo cui i giudizi in corso alla data di entrata in vigore del 
decreto sono sospesi in seguito alla comunicazione della domanda del 
contribuente da parte del competente ufficio o all'esibizione della domanda 
del contribuente da parte del competente ufficio o all'esibizione 
della domanda di definizione vistata dall'ufficio finanziario a cui � stata. 
presentata � e si estinguono per effetto dell'iscrizione a ruolo, della 
liquidazione o del pagamento dei tributi dovuti �. � evidente, dunque, 
che nella fattispecie sottoposta al giudice a quo l'iscrizione a ruolo del 
tributo nella misura prescritta dal Provvedimento di condono estingueva 
a fortiori il rapporto fino allora pendente, restando aperta la 
possibilit� di modifica da parte dell'ufficio o di contestazione del contribuente 
solo per errore materiale o per violazione delle norme del 
decreto sul condono. L'equivoco della parte privata pu� spiegarsi con 
la circostanza che talvolta la formula legislativa del primo comma � 
stata citata sostituendo erroneamente le parole � o del pagamento � con 
le altre �e del pagamento�, ingenerando la convinzione che solo il pagamento 
integrale del tributo determinato secondo condono producesse 
l'estinzione del rapporto: mentre � chiaro, anche secondo sistema, 
che la iscrizione a ruolo (per le imposte riscosse mediante ruoli) o la 
liquidazione erano poste in alternativa ,...-con il risultato di equipararle 
negli effetti estintivi -rispetto al pagamento. Pertanto l'art. 4, ultimo 
comma, della legge 12 novembre 1976, n. 751, non ,fa che prendere 
atto -lodevolmente esplicitandola -di una risultanza ben presente 
nel sistema normativo vigente, che comporta appunto la integrale assimilazione 
alla decisione o sentenza passata in giudicato (o alla determinazione 
sintetica del reddito complessivo) della definizione del reddito 
stesso con le procedure del condono. 
N� si pu� ritenere arbitrario il collegamento stabilito dal legislatore 
tra la domanda � irrevocabile � � presentata dal contribuente per 
ottenere la definizione o regolarizzazione delle situazioni pendenti secondo 
i moduli predisposti dal provvedimento di condono e I'� esaudm,
entq � del rapporto cui la definizione si riferisce. In realt�, quale 
che sia la figura giuridica dell'atto provocato dalla �positiva manifestazione 
conciliativa� (sent. n. 32 del 1976) richiesta da parte del contri



PART!l I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

buente (natura di transazione, secondo la relazione ministeriale; di riconoscimento 
del debito, esclusa peraltro dalla giurisprudenza della Cassazione; 
di atto unilaterale di accertamento della pubblica amministrazione 
con adesione del contribuente, come si � sostenuto per il concordato 
tributario), � certo che la domanda di condono comporta la sostituzione 
della vecchia disciplina per la definizione dell'accertamento 
con quella predisposta dal d.l. 5 novembre 1973, n. 660: cos� al sistema 
di determinazione del debito di imposta previsto dalla legge precedente 
subentra il sistema previsto dalla normativa sul condono. Non si pu� 
dunque, in questo caso, tener conto della sequenza: disciplina del cumulo 
-sentenza della Corte costituzionale -legge n. 751 del 1976, 
perch� le norme sul cumulo hanno perduto ogni capacit� di incidere 
sulla situazione sottoposta al giudice a quo, a seguito dell'intervento 
del legislatore che ha regolato il condono. 

Conclusivamente, ii legislatore del 1976 non ha considerato esauriti 
rapporti che tali non erano (sent. n. 16 del 1960 e sent. n. 88 del 
1966) n� ha confermato, conservandone il vigore (o addirittura facendole 
rivivere), norme o disposizioni dichiarate illegittime da questa 
Corte. (omissis). 

II 

(omissis) La Corte � chiamata innanzitutto ad accertare se l'art. 6 
del decreto-legge, nel testo risultante dalla legge di conversione, non 
contrasti con l'art. 3 Cost. nella parte in cui limita la definizione agevolata 
delle controversie per l'applicazione delle imposte di registro ed 
ipotecarie, dei diritti catastali e delle relative addizionali per atti formati 
anteriormente al 1� gennaio 1973, alle sole controversie pendenti 
alla data di entrata in vigore ciel decreto. Pi� in particolare, questa norma 
produrebbe disparit� di trattamento tra contribuenti che si trovano 
nella stessa situazione (quanto ad inosservanza in uno stesso periodo 
di tempo dei precetti fiscali), a seconda che abbiano o meno ricevuto 
notifica dagli uffici delle imposte di accertamento di valore o ingiunzioni 
di pagamento. (omissis). 

� necessario premettere che il c.d. condono previsto negli atti legislativi 
gi� citati si differenzia profondamente (come precisato da questa 
Corte con la sentenza n. 32 del 1976) dai condoni in materia tributaria 
per sanzioni di natura non penale disposti con d.lgs. 31 gennaio '48, 

n. 109, legge 30 luglio 1959, n. 559, legge 31 ottobre 1963, n. 1458 e legge 
23 dicembre 1966, n. 1139. Si tratta infatti, nel caso in esame, di un provvedimento 
che intende creare le migliori condizioni per l'avvio della 
riforma tributaria,' agevolando, p;rima ancora che la regolarizzazione mediante 
sanatoria di situazioni contra legem, la definizione con metodo 
semplificato delle controversie e pendenze esistenti al momento della 
entrata in vigore del decreto legge. A tal fin (e a differenza di quanto 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

era preveduto negli atti di condono sopra menzionati) non si condiziona 
l'abbandono delle sanzioni alla definizione, in regime ordinario, dei 
redditi imponibili e dei debiti d'imposta, definizione da conseguirsi mediante 
l'opera dell'amministrazione e del contribuente entro un periodo 
di alcuni mesi, talvolta di un anno. Ci� era incompatibile con gli obbiettivi 
di rapidit�, anzi di automaticit�, che intendeva raggiungere il legio


.slatore del 1973; il vecchio metodo sarebbe stato poi in contrasto con lo 
spirito della riforma, che aveva eliminato l'istituto del concordato tributario 
anche nella forma dell'adesione del contribuente all'accertamento 
dell'ufficio (artt. 42 e 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). Il contribuente 
pu� soltanto presentare domanda irrevocabile per l'applicazione 
del provvedimento, quando ritiene che la definizione cos� realizzata 
sia pi� conveniente di quella conseguibile in regime ordinario. L'amministrazione, 
dal canto suo, deve limitarsi ad applicare gli schemi di definizione, 
analiticamente predisposti dal legislatore, con riduzioni e maggiorazioni 
forfettariamente previste per le diverse imposte. 

D'altra parte il vecchio metodo, dopo le sentenze di questa Corte 

n. 85 del 1965 e 121 del 1967, comportava ormai un periodo �aperto� 
(e cio� senza termini di chiusura) per la definizione in via ammini� 
strativa dell'accertamento, come si trae, del resto, dalla disciplina c011tenuta 
nell'ultimo comma dell'art. 2 della legge 23 dicembre 1966, 
n. 1139. 
:Pertanto il legislatore del 1973, per ottenere una rapida elimina 
zione del contenzioso pendente e per realizzare un sollecito introito 
nelle casse dello Stato, durante la delicata fase di avvio della riforma, 
doveva stabilire un punctum temporis, cui riferire rigidamente la pos


. sibilit� 
di utilizzare le norme del provvedimento di condono. In altre 
parole, in questo quadro di esigenze eccezionali, il principio di eguaglianza 
non poteva essere attuato realizzando la parit� di trattamento in 
ordine alle situazioni iniziali che avevano provocato la controversia 

o la pendenza tributaria, ma solo estendendo al massimo la possibilit� 
per tutti i contribuenti -quale che fosse la fase della loro vicenda 
tributaria -di chiedere l'applicazione, con modalit� e risultati parzialmente 
,differenziati, del provvedimento agevolativo. 
:B quanto � stato realizzato, con indubbia coerenza nelle varie dispo� 
sizioni del decreto legge, conseguendo J'obiettivo di non escludere dall'ambito 
di applicabilit� del provvedimento nessun contribuente a causa di 
ritardi nell'attivit� degli uffici competenti ad accertare i redditi o a 
liquidare le imposte. 

Non interessa, ovviamente, verificare qui se alle speranze del legislatore 
siano stati pari i risultati (le operazioni per sistemare le vecchie 
pendenze essendosi concluse soltanto nel corso del 1977). Preme 
solo. rilevare che l'art. 3 Cost., inteso come divieto di disparit� di trattamento 
di situazioni simili e come esclusione di discriminazioni irragionevoli, 
non pu� ritenersi violato nella fattispecie, perch�. il provvedi



PARTE I, SEZ. I, 'GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

mento esclude dalla sfera di applicazione soltanto i contribuenti' che 
abbiano gi� definito le controversie o pendenze in ordine alle imposte 
considerate. Per tutti gli altri, si ripete, nessuna preclusione discende 
dalla normativa adottata, giacch� il concetto di �controversia� � stato 
sempre affiancato da quello di situazione non definita, anche in difetto 
.di procedimento contenzioso, di notifica dell'accertamento di valore o di 
ingiunzione di pagamento. 

Questi dati normativi non sono stati tenuti presenti dalle Commissioni 
di Ragusa e di Ravenna, che hanno del tutto trascurato la pos� 
sibilit� di definizione delle pendenze offerta dall'art. 6, primo comma, 
ultima parte, anche ai contribuenti per i quali non fosse in corso una 
� controversia�, essendo mancata nei loro riguardi una notifica di 
accertamento di valore e una ingiunzione di pagamento. � vero che le 
norme in proposito erano pi� chiaramente formulate nel testo del de� 
creto legge, mentre le modifiche in sede di legge di conversione, coinvolgendo 
nelle stesse proposizioni la disciplina per le imposte successorie, 
hanno reso meno limpido il collegamento alternativo tra le situazioni 
di �controversia� e le situazioni non caratterizzate da accertamenti 
dell'amministrazione. Tuttavia le due fattispecie sono ben presenti nel 
primo comma dell'art. 6, indicandosi la definizione della controversia 
nella riduzione del 50% della imposta liquidata sulla base dell'accerta� 
mento compiuto dall'amministrazione; e successivamente (ultima par� 
te del comma) indicandosi l'eliminazione della pendenza, in difetto di 
notifica dell'accertamento di maggior valore, nella liquidazione della 
imposta sulla base del valore dichiarato dal contribuente, aumentato 
forfettariamente del 20% (in entrambi i casi senza applicazione di sopratasse 
e pene pecuniarie). 

La considerazione di queste premesse avrebbe forse potuto indurre 
le due Commissioni, ma anche, da altro punto di vista, quella di Na� 
poli, a ravvisare nelle fattispecie sottoposte al loro giudizio piuttosto 
che elementi per enucleare una questione di legittimit� costituzionale, 
problemi di carattere interpretativo-applicativo dell'art. 6 del provvedimento 
in esame. Ma ci� non fa venir meno la rilevanza delle questioni, 
che devono' essere esaminate nei termini proposti dalle ordinanze. 

La Commissione di Ragusa motiva l'eccezione di incostituzionalit� 
dell'art. 6 con il rilievo che esso �non prevede l'applicazione del con-. 
dono tributario per gli atti formati anteriormente al 1� gennaio 1973 
ma sui quali la richiesta di imposta suppletiva di registro � stata avanzata 
dall'Amministrazione finanziaria in epoca successiva alla scadenza 
del termine del 28 febbraio 1974 �. In proposito si citano anche le sentenze 
di questa Corte del 22 dicembre 1965, n. 85 e 23 novembre 1967, 

n. 121, che dichiaravano la illegittimit� costituzionale dell'art. 2, comma 
terzo, legge 30 luglio 1959, n. 559 e dell'art. 2, comma terzo, fogge 
31 ottobre 1963, n. 1458. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Com'� noto, queste disposizioni condizionavano l'applicazione del 
condono tributario in senso proprio. al verificarsi della definizione amminisstrativa 
dell'accertamento degli imponibili per le imposte dirette 
rispettivamente entro un anno ed entro sei mesi dall'entrata in vigore 
della legge: e la Corte le ritenne illegittime, in quanto facevano dipendere 
dalla maggiore o minore diligenza dell'amministrazione, dal maggiore 
o minor carico del suo lavoro, la possibilit� per i contribuenti 
di beneficiare del condono. 

Ma la fattispecie disciplinata dal denunziato primo comma dello 
art. 6 � profondamente diversa. Infatti, nel quadro di questa normativa, 
il ritardo dell'amministrazione nel notificare la revoca di un beneficio 
gi� concesso , e nel. richiedere una imposta suppletiva di registro 
pu� costituire semplicemente un motivo che spiega perch� il contribuente 
non abbia presentato in termini la domanda prevista nell'ultima 
parte del primo comma dell'art. 6. Tuttavia, non essendo il rapporto 
tributario ancora concluso, nulla impediva al contribuente stesso 
di tutelarsi rispetto ad ulteriori vicende del rapporto, chiedendo che 
l'imposta dovuta fosse liquidata sulla base del valore da lui dichiarato, 
aumentato del 20%, senza applicazione di sopratasse e pene pecuniarie. 
(omissis) 

La Corte � infine chiamata ad accertare se contrasti con l'art. 3 Cost. 
l'art. 2, lett. a) del d.l. 5 novembre 1973, n. 660 convertito nella legge 
19 dicembre 1973, n. 823. L'eccezione � sollevata dalla Commissione tributaria 
di primo grado di Bolzano, su ricorso proposto da un professionista 
che non aveva potuto usufruire delle modalit� di determinazione delle 
imposte di ricchezza mobile e complementare secondo l'art. 2, lett. d).Tale 
impossibilit�, derivata dalla tardiva notifica di una decisione della Commissione 
distrettuale imposte dirette di Bolzano dopo il 31 ottobre 1973, 
aveva fatto s� che il contribuente vedesse determinate le sue imposte con r 
la riduzione dell'imponibile accertato dall'ufficio di un importo pari al 40 
per cento della differenza tra l'imponibile stesso e quello dichiarato dal 
professionista e di un ulteriore importo pari al 25 per cento di quest'ul 
timo; se la notifica della decisione adottata dalla Commissione distrettuale 
fosse avvenuta in tempo utile, la liquidazione dell'imposta si sarebbe 
realizzata in condizioni pi� vantaggiose per il contribuente, cio� riducendo 
cio� riducendo l'imponibile risultato non dall'accertamento dell'ufficio, 
ma dalla decisione della Commissione di un importo pari al 40 per cento 
della differenza tra l'imponibile stesso e quello dichiarato dal professionista, 
e di un ulteriore importo pari al 25 per cento di quest'ultimo. 

Il contrasto dell'art. 2, lett. a) con l'art. 3 cost., deriverebbe appunto 
dalla circostanza che tale metodo meno favorevole di determinaziooe 'dclla 
imposta si imporrebbe anche a quei contribuenti che, ove non ricorressero 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

eventi ad essi non attribuibili, potrebbero fruire della pi� vantaggiosa 
soluzione prevista dall'art. 2, lett. d). 

La questione non � fondata. 

Si tratta invero di una normativa ,strettamente collegata alle finalit� 
di massima semplificazione degli accertamenti e delle operazioni per la 
liquidazione delle imposte (v. supra n. 2), sulla base degli elementi acquisiti 
anteriormente all'entrata in vigore del provvedimento legislativo, inteso 
ad agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria. Il 
termine del 31 ottobre 1973, fissato per l'acquisizione di tali elementi (tra 
cui rientrano le decisioni delle Commissioni tributarie), appare del tutto 
ragionevole e tale da non discriminare le situazioni dei contribuenti, che 
vanno necessariamente riferite alle divrse fasi del rapporto tributario (amministrativ,
e e contenziose), come risultavano venute in essere alla data 
prescelta: a nulla rilevando, anche dail punto cli vista del sindacato di 
costituzionalit�, le ragioni per le quali al 31 otobre 1973 doveva considerarsi 
raggiunto l'uno e l'altro stadio dell'iter di accertamento. (omissis) 

III 

(omissis) Con ordinanza emessa il 18 marzo 1977 la Commissione 
tributaria di 1 � grado di Milano sollevava questione di costituzionalit� 
dell'art. 6 ,del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito, con modificazioni, 
nella legge 19 dicembre 1973, n. 823 -Norme per agevolare la definizione 
delle pendenze in materia tributaria -per contrasto con gli 
artt. 3 e 53 della Costituzione. Tale norma prevede il beneficio della 
riduzione al 50% dell'imposta richiesta solo quando sono controversi 
il tributo e gli accessori e non anche quando, difettando una controversia 
sul tributo, risulta contestato solo il pagamento della soprattassa. 
La norma non consentirebbe di applicare il beneficio anche ,a questa 
seconda ipotesf non tanto in considerazione della diversa natura del 
credito per accessori rispetto al credito tributario quanto perch� non 
prevede un meccanismo di riduzione degli accessori in genere e della 
soprattassa in ispecie, quando la controversia verte solo su di essi, analogo 
a quello previsto quando la controversia investe anche il debito di 
imposta. Non � possibile d'altra parte, nel silenzio della legge, ritenere 
gli accessori del tutto eliminabili in seguito a richiesta di beneficiare 
dei vantaggi previsti da tale normativa. (omissis) 

La questone di legittimit� costituzionale sollevata dalla Commissione 
tributaria di 1 � grado di Milano � stata ritenuta non fondata da 
questa Corte allorch� venne proposta in ordine ad altro provvedimento 
di condono (sent. n. 148 del 1967). 

Si tratta ora di esaminare i nuovi argomenti addotti a sostegno della 
fondatezza e la diversa prospettazione che emerge dall'ordinanza 
del giudice a quo. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA-DELLO STATO

702 

Conviene anzitutto eliminare un equivoco che si ravvisa nella memoria 
di parte privata, allorch� sul thema decidendum si contrappongono 
i precedenti provvedimenti di condono a quello del 1973. Come � 
stato messo in rilievo anche di recente (sent. n. 96 del 1980 di questa 
Corte, ma prima ancora sent. n. 32 del 1976), veramente nuove sono le 
caratteristiche strutturali e le finalit� funzionali della normativa adottata 
con il d.l. 5 novembre 1973, n. 660, (convertita, con modificazioni, 
nella legge 19 dicembre 1973, n. 823), intesa ad agevolare la definizione 
delle pendenze in materia tributaria. Ma la originalit� del provvedimento, 
collegata storicamente all'avvio della riforma tributaria, non 
tocca l'assoluta identit� della soluzione accolta a proposito di pendenze 
e di controversie in ordine a sanzioni accessorie, quando l'accertamento 
della obbligazione tributaria sia stato definito. 

A partire dal 1959, i testi normativi sul condono in materia tributaria 
per sanzioni non aventi natura penale contengono una disposizione 
del seguente tenore: il condono �non si applica inoltre per le 
soprattasse e le pene pecuniarie dovute per accertamenti gi� definiti 
alla data di �ntrata in vigore della presente legge � {art. 2, ultimo comma, 
ultima parte, legge 30 luglio 1959, n. 559; art. 2, terzo comma, ultima 
parte, legge 31 ottobre 1963, n. 1458; e art. 2, secondo comma, ultima 
parte, legge 23 dicembre 1966, n. 1139). Il decreto legge n. 660 del 
1973 non contiene questa disposizione, ma, per generale riconoscimento, 
adotta tacitamente la stessa soluzione, in quanto collega l'abbandono da 
parte del fisco delle proprie pretese circa le sanzioni accessorie o allo 
accertamento da definirsi di un imponibile o alla liquidazione o al pagamento 
di un'imposta (eccettuate le penalit� derivanti da violazioni 
di norme sulle imposte dirette che non si riferiscono all'assolvimento 
del debito d'imposta -art. 5, ultimo comma -). 

Orbene, ritenere che nei provvedimenti di condono del passato si 
discriminasse razionalmente tra situazioni pendenti e situazioni definite, 
mentre il decreto legge del 1973 discriminerebbe tra situazioni tutte 
pendenti, ammettendo ed escludendo irragionevolmente dal condono 
� assunto privo di fondamento: anche in passato (e la presenza di apposite
� disposizioni rendeva pi� evidente questo aspetto) era possibile 
riscontrare pendenze relative ad accertamenti di imponibili o a liquidazioni 
di iimposte, tutte suscettibili di applicazione del condono, e 
pendenze concernenti soltanto soprattasse e pene pecuniarie, sottratte 
invece ad ogni incidenza dello stesso provvedimento. Anzi, nel decretolegge 
del 1973, l'avvio della riforma tributaria fornisce una giustificazione 
specifica alla soluzione che limita il condono alle controversie e 
pendenze relative a tributi soppressi o comunque riformati. 

� In definitiva, la difesa di parte privata ha esattamente identificato 
nella sentenza n. 148 del 1967 il precedente giurisprudenziale pi� significativo 
sul thema decidendum, in ci� concordando con l'Avvocatura 



~ARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

generale dello Stato; ma ha tentato invano di delimitarne la portata, 
ritenendo tale pronuncia non influente per la normativa del 1973. 
Nessuno pu� negare la diversit� tra le situazioni di �pendenza � 

o di controversia che abbiano per oggetto I'an e il quantum di una 
obbligazione tributaria e quelle che si riferiscano alle conseguenze sanzionatorie 
derivanti dalla infrazione di norme relative al tempestivo 
assolvimento dell'obbligazione stessa. In realt� le ragioni avanzate dalla 
Commissione tributaria di Milano non superano l'affermazione di fondo 
contenuta nella sentenza n. 148 del 1967 (non menzionata nell'ordinanza) 
e cos� formulata: �Al fine della decisione della presente causa 
occorre considerare che la disposizione in esame conferisce rilievo ad 
una diversa condizione in cui il rapporto tributario viene a trovarsi 
secondo che esso si colleghi o meno ad un accertamento gi� definito: di 
tal che appare certo che la legge, escludendo il condono nel primo caso 
ed ammettendolo nel secondo, regola situazioni che al momento della 
sua entrata in vigore si presentavano obiettivamente diverse �. 
La diversit� di situazioni in cui viene a trovarsi !il contribuente � 
del resto sottolineata dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza 

n. 109 del 1973), che nega l'applicabilit� alle prestazioni pecuniarie, 
previste a titolo sanzionatorio, del principio della capacit� contributiva 
ex art. �53, primo comma, Cost. Il tentativo della Commissione tributaria 
di Milano si fonda sulla messa in ombra delle diversit� che distinguono 
pendenze e controversie sul debito d'imposta e pendenze e 
controversie sulle sanzioni accessorie: e pi� ancora fa leva su identit� 
e analogie, che peraltro non appaiono decisive. Certamente, in entrambi 
i casi si tratta di pendenze e di controversie nelle quali sono interessati 
soggetti presi in considerazione dall'ordinamento in quanto contribuenti: 
ma ci� non toglie che il legislatore possa valorizzare differenze 
specifiche che emergono anche sotto altri aspetti. 
N� si potrebbe correttamente ricorrere alla ratio generale del provvedimento, 
per recuperare sul piano delle sue finalit� una analogia tra 
situazioni gi� riscontrate diverse da altri punti di vista: invero il legislatore 
ha s� voluto che potesse definirsi al pi� presto il maggior numero 
possibile di controversie e di pendenze, ma era ben consapevole 
che un obbiettivo globale era a priori irraggiungibile dal momento che, 
a torto o a ragione, alcuni contribuenti potevano ritenere per essi non 
conveniente la soluzione offerta dal decreto-legge n. 660 del 1973. �Soprattutto, 
le controversie in tema di soprattasse rimanevano fuori del-� 
l'altro obiettivo perseguito dal legislatore, consistente nell'acquisire all'erario 
(meglio se soHecitamente) tutto l'ammontare di imposte corri


spondenti a decisioni o a sentenze non impugnate o non impugnabili in 
via principale dal contribuente (art. 2, ultimo comma): in realt� era 
facile assimilare in vista di questo obbiettivo le soprattasse ai debiti 


�RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

704 

d'imposta gi� d�filtiiti, in quanto, di regola, si fa valere l'automaticit� 
del meccanismo di applicazione delle sanzioni {quando cio� non sia pi� 
possibile eccepire l'insussistenza della stessa obbligazione tributaria, di 
carattere pregiudiziale rispetto all'obbligazione subordinata o dipendente, 
che consiste nella prestazione pecuniaria accessoria). 

� cos� valorizzata una differenza che non � di mero fatto, ma si 
ricollega anche al diverso grado di incertezza cui possono dar luogo, 
di solito, le controversie sulla obbligazione subordinata rispetto a quella, 
ben maggiore, delle controversie sulla obbligazione tributaria principale. 

La riprova della non fondatezza della questione � data anche dal 
tipo di pronuncia, del tutto abnorme, che viene :in sostanza 1sollecitato 
alla Corte: questa dovrebbe estendere alle controversie sulle soprattasse 
la normativa emanata per quelle sull'imposta di registro, fissando 
a suo benevolo arbitrio un quantum di riduzione modellato possibilmente 
sugli abbuoni previsti dall'art. 6. Prospettare l'ipotesi significa 
pure respingerla senza necessit� di ulteriori considerazioni. Alle esigenze 
di un trattamento pi� equo, anche per questi casi marginali di 
controversia, pu� eventualmente provvedere soltanto il legislatore. 

(omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 giugno 1980, n. 94 (ordinanza) -Pres. 
Gionfrida -Rel. Paladin -Regione Sicilia (avv. De Pina) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (non costituito). 

Corte costituzionale -Conflitto di attribuzione tra Stato e Regione � 
Sospensione dell'atto per cui � conflitto � Sentenza di giudice penale � 
Incidenza sul funzionamento dell'as~mblea regionale siciliana. 

Sussistono gravi ragioni, inerenti al funzionamento dell'assemblea 
regionale siciliana, per sospendere l'esecuzione di una sentenza penale 
che impedisca l'esercizio delle funzioni di deputato regionale. 

(omissis) ... ritenuto che il pretore idi Augusta, con sentenza datata 
18 febbraio 1980, ha condannato Salvatore Piacenti (assessore regionale 
alla sanit� e deputato dell'Assemblea regionale siciliana) alla 
pena di mesi nove e giorni quindici di reclusione, nonch� all'interdizione 
dai pubblici uffici per la durata di un anno; ed ha ordinato altres� in 
applicazione degli artt. 140 cod. pen; e 485 cod. proc. pen. -. che il 
Piacenti venisse immediatamente e provvisoriamente privato dell'esercizio 
dei pubblici uffici, comunicando pertanto la sentenza -�ai sensi 
e per gli effetti dell'art. 587 cod. proc. pen. � -sia al Presidente della 
Assemblea regionale sia al Presidente della Regione siciliana, con lettera 
pervenuta alla Regione stessa il 28 febbraio 1980; 

che la Regione ha quindi sollevato, con ricorso notificato il 24 apri


le 1980, conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Con



. 

� � � � ;::;:::: X 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 705 

siglio dei ministri: adducendo che la predetta sentenza, l� dove ordina 
l'applicazione provvisoria della sospensione cautelare nei confronti di 
un componente della Giunta e dell'Assemblea regionale, violerebbe gli 
artt'. l, 3, 8, 9, 20 del relativo Statuto speciale, nonch� il principio della 
divisione dei poteri tra la giurisdizione penale dello Stato e la funzione 
governativa e legislativa spettante alla Sicilia; 

che la ricorrente chiede inoltre la sospensione dell'esecuzione della 
sentenza del pretore di Augusta, nella parte impugnata per regolamento 
di competenza, sostenendo che essa comprometterebbe �'gravemente e 
irreparabilmente � prerogative costituzionali attribuite alla Regione siciliana, 
alterando � la legittima composizione � degli organi regionali di 
governo ed � esponendo al rischio di annullamento giurisdizionale � i 
provvedimenti governativi e legislativi della Regione medesima; 

che nel giudizio non si � costituito il Presidente del Consiglio dei 
ministri; 

considerato che Salvatore Placenti � stato sostituito quale componente
� della Giunta (come la difesa regionale ha portato a conoscenza 
della Corte, nella camera di consiglio del 5 giugno 1980); sicch�, sotto 
questo profilo, la misura provvisori�mente disposta dal pretore di Augusta 
non determina un concreto ed attuale pregiudizio per la Regione siciliana, 
cui la Corte debba porre rimedio pronunciandone la sospensione; 

che invece sussistono gravi ragioni, inerenti al funzionamento della 
Assemblea regionale siciliana, per sospendere l'esecuzione dell'atto impugnato, 
�in quanto esso preclude provvisoriamente a Salvatore Placenti 
l'esercizio delle funzioni di deputato regionale. 

p.q.m. 
riserva ogni pronuncia sull'ammissibilit� e sul merito del ricorso indicato 
in epigrafe, sospende l'esecuzione della sentenza pronunciata il 
18 febbraio 1980 dal pretore di Augusta, nella parte in cui. ordina che 
Salvatore Placenti sia provvisoriamente privato dell'esercizio del pubblico 
ufficio di deputato regionale. 

CORTE COSTITUZIONALE, 7 luglio 1980, n. 107 -Pres. Amadei -Rel. 
Paladin � Agostini e altro (n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Azzariti). 

Pena -Misure alternative alla detenzione � Esclusione per alcuni delitti � 
Leg:ittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 27; legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47 e 48). 

Accanto alla rieducazione del condannato la pena persegue altri scopi 
di dissuazione, prevenzione e difesa sociale; d'altro canto, appartiene 
alla discrezionalit� del legislatore ordinario stabilire i limiti di applica



706 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

bilit� delle misure alternative alla detenzione. Pertanto non contrastano 
con gli artt. 3 e 21 Cast. gli artt. 41, secondo comma, e 48, ultimo comma, 
della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte concernente i delitti di rapina, 
rapina aggravata, estorsione, estorsione aggravata, sequestro di persona 
a scopo di rapina o di estorsione (1). 

(omissis) Le innovazioni apportate dalla legge n. 1 del 1977 non alterano 
invece i termini della questione di legittimit� degli artt. 47, secondo 
comma, e 48, ultimo comma, quanto al divieto di affidamento in prova 
al servizio socia~e e di concessione del regime di semilibert�, per i condannati 
(o per gli internati) che abbiano commesso determinati delitti, tra 
cui figura appunto la rapina aggravata: divieto che la sezione di sorveglianza 
di Bologna considera incostituzionale, sia perch� implicante una 
arbitraria disparit� di trattamento ed una pi� gravosa emarginazione 
sociale degli interessati rispetto ai condannati per altri delitti egualmente 
o maggiormente gravi (che possono pur sempre beneficiare delle 
misure in esame), sia perch� tale da rendere impossibile il conseguimento 
di quel fine deducativo cui deve tendere l'espiazione di qualsiasi pena. 
Ma la questione non � fondata, n� in riferimento all'art. 3, primo e secondo 
comma, n� in vista dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione. 

Da un lato, i lavori preparatori della legge n. 354 del 1975 dimostrano 
che il legislatore, rendendo inapplicabile ad una data serie di delitti le 
�misure alternative alla detenzione�, ha inteso fronteggiare pi� efficacemente 
condotte criminose che possono considerarsi di particolare pericolosit�, 
per la loro frequenza e per i loro effetti, e che danno luogo ad accentuati 
allarmi nella societ� contemporanea. Dis1>0sizioni del genere 
sono naturalmente opinabili, sia per ci� che riguardano in modo esplicito, 
sia per ci� che escludono dalla loro previsione. Ma si tratta di scelte 
che non si prestano a venire censurate e, meno ancora, modificate da 
parte della Corte, nei termini indicati dal giudice a quo: allo stesso modo 
che di. regola appartengono alla discrezionalit� legislativa, tanto la definizione 
delle varie figure di reato, quanto il ricorso ai relativi provvedimenti 
di clemenza (come ha precisato, in quest'ultimo senso, la sentenza 

n. 175 del 1971). Ci� basta a far concludere, con riferimento ad entrambi 
i commi dell'art. 3, che le norme impugnate non ledono il principio costituzionale 
di eguaglianza. 
D'altro lato, le ordinanze di rimessione forzano il significato della 
statuizione contenuta nell'art. 27, terzo comma, Cost., conducendo alle 

(1) Cfr. DI GENNARO, BoNOMO BREDA, Ordinamento penitenziario e misure 
alternative alla detenzione, 1978, 208; GIOSTRA, Un limite non giustificato in tema 
di misure alternative, Pol. dir., 1978, 435; Cass., 15 maggio 1979, in Foro lt., 
1980, II, 105; Cass., 24 ottobre 1979, ivi, 1980, II, 164. 

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I


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PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

estreme conseguenze la tesi che �il fine rieducativo inerisce ad ogni pena 
�; ed in.utilmente ricercano conferme nella precedente giurisprudenza 
della Corte. Vero � che la sentenza n. 204 del 1974 afferma �il diritto per 
il condannato a che... il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva 
venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantit� di pena 
espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo�. 
Ma un tale diritto vien fatto dipendere dal verificarsi delle condizioni 
previste dalla legge penale. E la frase richiamata dal giudice a quo va 
comunque intesa collegandola al problema specifico, che la Corte era 
allora chiamata a risolvere, delle rispettive attribuzioni del potere giudiziario 
(ovvero del giudice di sorveglianza) e del. potere esecutivo (ovvero 
del Ministro della giustizia). 

Del resto, la Corte ha chiarito, nella sentenza n. 12 del 1966, che 
accanto alla rieducazione del condannato la pena persegue altri scopi, 
�essenziali alla tutela .dei cittadini e dell'ordine giuridico �contro la delinquenza
�; e, nella sentenza n. 264 del 1974, ha quindi ribadito che la fun. 
zione ed il fine della pena stessa non si esauriscono nella � sperata emenda 
� del reo, ma hanno, di mira esigenze irrinunciabili di � dissuasione, 
prevenzione, difesa sociale �. Se oltre a ci� si considera che ormai la 
misura alternativa della liberazione anticipata pu� essere disposta anche 
per i gravi delitti tassativamente menzionati nell'art. 47, secondo comma, 
della legge n. 354 del 1975, ne segue a pi� forte ragione che le limitazioni 
tuttora concernenti l'affidamento in prova al servizio sociale ed il beneficio 
della semilibert� non contrastano neppure con l'art. 27, terzo comma, 
della Costituzione. (Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 luglio 1980, n. 122 -Pres. Amadei -Rel. 
Maccarone -Cioli (avv. La China), Misiano (avv. Barile). I.A.C.P. Genova 
(avv. Acquarone), I.A.C.P. Venezia (avv. Pototsching) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Mataloni). 

Corte Costituzionale -Sopravvenienza di legge modificatric,e di disposi


zione � sub judice � -Nuovo esame circa la rilevanza -Rlniessione 

al giudice � a quo � -Condizioni. 

Edilizia economica e popolare -Cessione in propriet� degli alloggi � 
Pr~ZZQ di cessione -Modifica dei criteri di determinazione -Legittimit� 
costituzionale. 
(Cost., art. 3; legge 8 agosto 1977, n. 153, artt. 27 e 28). 

Quando una modifica legislativa sopravviene nel corso del processo 
costituzionale, la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo 
esame della rilevanza di una questione di legittimit� costituzionale, si 
rende necessaria solo se la nuova legge comporta sostanziale diversit� 
di disciplina. 


708 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Non � irrazionale ricollegare l'applicabilit� di una nuova (e pzu gravosa) 
disciplina .legislativa per la determinazione del prezza di alloggi 
economici e popolari alla data della stipula del relativo contratto (1). 
(omissis). Poste tali premesse, si osserva in merito alla contestazione 
che, secondo quanto emerge dalle ordinanze di rinvio, le controversie 
sono state tutte promosse da pretesi titolari del diritto alla cessione 
degli alloggi in questione reclamanti i benefici derivanti dalle norme 
di favore sopra richiamate e poi abrogate. 
Le censure lamentano che l'applicazione della nuova disciplina dei 
prezzi sancita dal combinato disposto degli artt. 27, secondo comma e 
28 della legge n. 513 del 1977 istituirebbe una disparit� di trattamento a 
danno degli aventi diritto che, pur avendo presentato a suo tempo regolare 
domanda sono esclusi dal regime pi� favorevole, unicamente in 
dipendenza della mancata stiJ?ula del contratto, cio�, secondo quanto 
affermato dai giudici a quibus, in dipendenza di una condizione rimessa 
alla discrezionalit� degli Enti interessati dalla cui inerzia sarebbe dipesa 
la mancata stipula dei contratti prima della modifica del sistema normativo. 
Si tratterebbe quindi di una disparit� di trattamento istituita irrazionalmente 
fra categorie omogenee di .soggetti, e come tale in contrasto 
con l'art. 3 Cost. 
Ci� premesso passando all'esame delle eccezioni di irrilevanza formulate 
nei giudizi provenienti dai tribunali di Venezia, Genova e Roma, 
che hanno emesso le ordina~ze di rinvio prima dell'entrata in vigore 
della citata legge n. 457 del 1978, deve escludersene la fondatezza. 
Se infatti � vero che, nel cas<;> in cui sopravvenga una nuova legge 
che regoli la stessa materia oggetto della norma sottoposta a giudizio di 
legittimit� costituzionale, il giudice del merito, cui spetta il giudizio circa 
la sussistenza del nesso di pregiudizialit� fra la questione sollevata e la 
decisione del giudizio principale, deve essere posto in condizioni di rivalutare 
la situazione alla luce delle nuove norme, attraverso la restituzione 
degli atti da parte della Corte, per un nuovo esame della rilevanza, deve 
anche affermarsi c;he tale criterio � valido soltanto nel caso in cui la 
nuova legge comporti una sostanziale diversit� di disciplina rispetto a 
quella inizialmente impugnata, almeno per quanto riguarda i punti sottoposti 
a giudizio di legittimit�. 
Nella specie, come si � detto, la censura si incentra su quella parte 
degli artt. 27 e 28 della legge n. 513 del 1977 che collega la diversit� 
del regime di cessione all'elemento dell'avvenuta stipula del contratto di 
cessione dell'alloggio, ritenuta casuale perch� rimessa alla discrezionalit� 
dell'Ente. La legge sopravvenuta, peraltro, pur precisando alcuni elementi 
708 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Non � irrazionale ricollegare l'applicabilit� di una nuova (e pzu gravosa) 
disciplina .legislativa per la determinazione del prezza di alloggi 
economici e popolari alla data della stipula del relativo contratto (1). 
(omissis). Poste tali premesse, si osserva in merito alla contestazione 
che, secondo quanto emerge dalle ordinanze di rinvio, le controversie 
sono state tutte promosse da pretesi titolari del diritto alla cessione 
degli alloggi in questione reclamanti i benefici derivanti dalle norme 
di favore sopra richiamate e poi abrogate. 
Le censure lamentano che l'applicazione della nuova disciplina dei 
prezzi sancita dal combinato disposto degli artt. 27, secondo comma e 
28 della legge n. 513 del 1977 istituirebbe una disparit� di trattamento a 
danno degli aventi diritto che, pur avendo presentato a suo tempo regolare 
domanda sono esclusi dal regime pi� favorevole, unicamente in 
dipendenza della mancata stiJ?ula del contratto, cio�, secondo quanto 
affermato dai giudici a quibus, in dipendenza di una condizione rimessa 
alla discrezionalit� degli Enti interessati dalla cui inerzia sarebbe dipesa 
la mancata stipula dei contratti prima della modifica del sistema normativo. 
Si tratterebbe quindi di una disparit� di trattamento istituita irrazionalmente 
fra categorie omogenee di .soggetti, e come tale in contrasto 
con l'art. 3 Cost. 
Ci� premesso passando all'esame delle eccezioni di irrilevanza formulate 
nei giudizi provenienti dai tribunali di Venezia, Genova e Roma, 
che hanno emesso le ordina~ze di rinvio prima dell'entrata in vigore 
della citata legge n. 457 del 1978, deve escludersene la fondatezza. 
Se infatti � vero che, nel cas<;> in cui sopravvenga una nuova legge 
che regoli la stessa materia oggetto della norma sottoposta a giudizio di 
legittimit� costituzionale, il giudice del merito, cui spetta il giudizio circa 
la sussistenza del nesso di pregiudizialit� fra la questione sollevata e la 
decisione del giudizio principale, deve essere posto in condizioni di rivalutare 
la situazione alla luce delle nuove norme, attraverso la restituzione 
degli atti da parte della Corte, per un nuovo esame della rilevanza, deve 
anche affermarsi c;he tale criterio � valido soltanto nel caso in cui la 
nuova legge comporti una sostanziale diversit� di disciplina rispetto a 
quella inizialmente impugnata, almeno per quanto riguarda i punti sottoposti 
a giudizio di legittimit�. 
Nella specie, come si � detto, la censura si incentra su quella parte 
degli artt. 27 e 28 della legge n. 513 del 1977 che collega la diversit� 
del regime di cessione all'elemento dell'avvenuta stipula del contratto di 
cessione dell'alloggio, ritenuta casuale perch� rimessa alla discrezionalit� 
dell'Ente. La legge sopravvenuta, peraltro, pur precisando alcuni elementi 
(1) La sentenza � pubblicata integralmente in Foro It., 1980, I, 2371. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

di fatto ai fini dell'identificazione del momento della stipula del cpntratto, 
non ha innovato su tale punto essenziale prospettato in giudizio 
�come viziato di illegittimit�, n� ha �sostanzialmente modificato il regime 
di cessione in relazione ai profili di illegittimit�� dedotti salvo che per 
aspetti secondari che non attengono in nessun modo alla essenza dei 
criteri stabiliti in precedenza. Manca quindi la condizione fondamentale 
per far luogo al rinvio degli atti ai giudici a quibus che hanno emesso 
le ordinanze prima dell'entrata in vigore della nuova legge. (Omissis). 

Quanto alla fondatezza delle censure, la Corte ritiene che la pretesa 

violazione dell'art. 3 Cost. non sussista. 

Come si � detto, la nuova disciplina, dettata dalle norme impugnate, 

� la risultante di una scelta legislativa di politica economica e come tale 

rientrante nella discrezionalit� del legislatore; n�, d'altra parte, come pure 

si � detto, la censura investe la scelta in s�, bens� la suo operativit� per 

::;_:!::::::o riguarda il momento indicato ai fini di stabilire l'applicabilit� 

delle due diverse discipline. 

Ma a tal diguardo occorre rilevare che la determinazione del legisla


tore risponde a criteri di razionalit�. Va considerato infatti che essa fa 

riferimento al momento in cui la volont� delle parti (assegnatari ed 

Enti) aveva dato vita ad un rapporto obbligatorio avente ad oggetto 

appunto il trasferimento delle propriet� dell'alloggio, cio� ad una cir


costanza fondamentaie nello svolgimento del rapporto fra le parti, idonea 

a mutare la loro situazione giuridica e tale da costituire un oggettivo 

~unto di riferimento per l'applicazione della nuova disciplina. E ad un 

criterio parallelo risponde altres� l'obbligo imposto di confermare le 

domande gi� presentate per i casi in cui il contratto non fosse ancora 

intervenuto, offrendo cos� in sostanza una possibilit� di tutela di situa


zioni non ancora definitive, ma ritenute meritevoli di considerazione per 

l'avvenuta manifestazione di volont� della parte privata di acquisire la 

propriet� dell'alloggio. 

Devono d'altra parte respingersi le considerazioni diffusamente svol


te nelle ordinanze di rinvio e dalla difesa delle parti private circa la prete� 

sa casualit� del verificarsi della condizione dell'avvenuta stipula del con� 

tratto. Ed infatti � da escludere che la stipula possa considerarsi un atto 

rimesso alla discrezionalit� dell'Ente poich�, come pure si � detto, in 

~ase alla precedente legislazione era ric�nosciu~o all'assegnatario un vero 

e proprio diritto soggettivo alla cessi�ne in propriet� dell'alloggio, e tale 

natura indubbiamente permane anche sotto l'impero della nuova legge, 

sia :rure nel rispetto delle nuove condizioni che ne regolano il contenuto 

e I'c.sercizio. 

Pertanto gli Enti si trovavano e si trovano a dovere svolgere un'atti


vit� non meramente discrezionale ma legata alla realizzazione di un di


ritto soggettivo ad essi affidata e suscettibile, come tale, di ogni controllo 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO

710 

e tutela ammessi: dall'ordinamento, ivi compreso il risarcimento del danno 
eventualmente arrecato. 

Le disfunzioni in relazione alle quali si sarebbero verificate le censurate 
disparit� di trattamento, d'altra parte, non possono ovviamente collegarsi 
con nesso di conseguenzialit� alla normativa impugnata, per cui 
anche in questo caso deve escludersi ogni loro influenza sul giudizio di 
costituzionalit�, in conformit� di quanto ripetutamente affermato dalla 
giurisprudenza di questa Corte in analoghe fattispecie (v. sent. 40/1970, 
167/1973, 54 e 110/1974). 

Deve aggiungersi che,' secondo la giurisprudenza costante di questa 
Corte, non pu� ritenersi contrastante con il principio di eguaglianza un 
differenziato . trattamento applicato ad una stessa categoria di soggetti, 
ma in momenti diversi nel tempo, in relazione al verificarsi di circostanze 
di fatto che debbono ritenersi una inevitabile conseguenza della successione 
delle norme (v. sentt. nn. 109/71; 69/75; 63/77). 

N� pu� condurre a diverse conclusioni l'osservare, come fa la difesa 
delle parti private Misian� ed altre, che le norme impugnate introdurrebbero 
r�troattivamente una discriminazione ingiustificata in contrasto 
con l'esigenza di rispettare gli impegni precedentemente assunti verso gli 
assegnatari. Invero, a parte la considerazione che la Costituzione non 
esclude la retroattivit� delle leggi non penali (v. sentenze nn. 118/57; 
19/70; 194/76; 13/77 ed altre), � evidente che, nella specie, la legge 
impugnata non riveste tale natura. Essa invero, operando con effetto dalla 
sua entrata in vigore (18 agosto 1977), non incide sui rapporti gi� perfezionati 
e, con la regolamentazione del regime transitorio, sottopone a 
nuova disciplina le situazioni pendenti, lasciando intatti i rapporti gi� 
esauriti, con l'effetto normale della successione delle leggi nel tempo. 
E d'altra parte la gi� dimostrata razionalit� della detta regolamentazione 
l~ rende valida, anche se pu� avere lese talune posizioni soggettive correlate 
al precedente regime. (Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 luglio 1980~ n. 125 -� Pres. Amadei -Rel. 
Malagugini -Celozzi ed altri {n.p.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Carafa). 

Corte Costituzionale -Giudizio hl via incidentale -Giudice istruttore civile Legittimazione 
a sollevare questione di legittimit� costituzionale Limiti. 


Impiego pubblico -Sciopero -Misure per supplire i lavoratori sciope


ranti Legittimit� costituzionale. 

(Cost., artt. 3 e 40; d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 34; legge 23 ottobre 1960, 

n. 1196, art. 74). 
Il giudice istruttore civile � legittimato a sollevare la questione di 
legittimit� costituzionale di una disposizione di cui egli stesso, e non il 
collegio, sia chiamato a fare indirettp. applicazione (1). 



PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 711 

Le misure normative e organizzative volte a contenere gli effetti 
dannosi derivanti dall'esercizio del diritto di sciopero, mediante l'offerta 
di possibilit� alternative agli utenti dei servizi interessati, assicurando 
la supplenza dei lavoratori scioperanti, non incidono direttamente sul 
predetto diritto, e quindi non contrastano con l'art. 40 Cost. (2). 

(Omissis). Le ordinanze del giudice istruttore del tribunale di Lucera 
e del pretore di Catania, pur riguardando due norme diverse, propongono 
la medesima questione di legittimit� costituzione, circa il rapporto 
fra il diritto di sciopero (degli ufficiali giudiziari o dei cancellieri) tutelato 
dall'art. 40 Cost. e la possibilit�, prevista dalle norme denunciate, di 
sostituzione dei funzionari scioperanti con altro personale. Le cause vanno 
pertanto riunite e decise con unica sentenza. � 

Preliminarmente va disattesa l'eccezione sollevata dall'Avvocatura dello 
Stato, circa il preteso difetto di legittimazione del giudice istruttore 
civile. Secondo il costante orientamento di questa Corte, la legittimazione 
del giudice istruttore civile a sollevare questioni di legittimit� costituzionale 
va affermata o negata, secondo .che la questione concerna o non 
concerna disposizioni di legge che il giudice istruttore debba applicare 
per provvedimenti di competenza sua propria (sentenza n. 62/66; ed 
anche le sentenze n. 109/62 e n. 90/68, citate dall'Avvocatura dello Stato, 
che hanno escluso la legittimazione del giudice istruttore nei casi concreti, 
ma non in via di principio). Nella specie, la questione prospettata 
dal giudice istruttore del tribunale di Lucera attiene ad un presupposto 
(regolarit� della notificazione, in quanto eseguita o meno da organo a 
ci� competente) della dichiarazione di contumacia del convenuto, vale 
a dire di un provvedimento di competenza dello stesso giudice istrut


(1) Al giudice istruttore, in quanto organo giurisdizionale esercente potest� 
giurisdizion�li, deve essere riconosciuta, in astratto, la legittimazione a sollevare 
una questione di legittimit� costituzionale. Problematico �, invece, quando 
m concreto .il.a questione influisca su una decisione di competenza deLl'istruttore 
anzich� del Collegio. Sull'argomento, cfr. Cass., Sez. un. pen., 11 dicembre 
1965, in Foro It., 1966, Il, 65, con nota di P1zz0Russo. 
(2) Di grande rilievo l'affermazione secondo cui l'organizzazione di servizi 
sostitutivi per fronteggiare la situazione determinata da uno sciopero 
del personale non costituisce �intervento sul diritto di sciopero� (e quindi 
neppure comportamento antisindacale); e ci� indipendentemente dal carattere 
� essenziale � o meno dei servizi coinvolti nello sciopero. La Corte non pare 
distinguere tra ricorso al � crumiraggio interno � (ossia diversa utHtzzazione 
del personale non scioperante) ed organizzazione di servizi sostitutivi mediante 
sirunure alternative o addirittura mediante l'assunzione di personale temporaneo. 
� a;ppena il caso di osservare che la pronuncia appare suscettibile di 
molti sviluppi. 



712 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tore, ex artt. 291 e 171 cod.. proc. civ. Da ci� la legittimazione del giudice 
istruttore civile a sollevare la questione di legittimit� costituzionale di 
una disposizione di cui egli stesso {e non il collegio) era chiamato a fare 
(indiretta) applicazione. 

Nel merito le questioni non sono fondate. L'art. 34 del d.P.R. 15 dicembre 
1959, n. 1229 (ordinamento degli uffich;tli giudiziari e degli aiutanti 
ufficiali giudiziari) prevede che � ove manchino o siano impediti l'uffi. 
ciale giudiziario e l'aiutante ufficiale giudiziario e ricorrano motivi di 
urgenza il capo dell'ufficio dispone... che le notificazioni siano eseguite 
dal messo di conciliazione�. L'art. 74 delle legge 23 ottobre 1960, n. 1196 
(ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie) prevede 
a sua volta che � in mancanza di cancelliere e segretario il capo dell'ufficio 
dispone che ne assuma le funzioni un notaio esercente o il 
segretario o il vice segretario comunale �. Di entrambe le disposizioni si 
assume il contrasto con l'art. 40 Cost., nella parte in cui si applicano al 
caso di assenza per sciopero. Il pretore di Catania prospetta inoltre una 
lesione del principio d'uguaglianza, in quanto dalla disposizione denunciata 
la situazione dei cancellieri verrebbe resa deteriore rispetto a quella 
degli altri pubblici dipendenti, in ordine agli effetti dell'esercizio del 
diritto di sciopero. 

Questa Corte, pronunciando su norme positivamente incidenti sull'esercizio 
dello sciopero dei dipendenti pubblici, nel riconoscere anche a 
questi ultimi il diritto di sciopero (Sentenze rr. 31/69 e n. 2~2/76) ne ha 
peraltro messo in rilievo le possibili interferenze con interessi e servizi 
�essenziali�, e le conseguenti delimitazioni in ordine all'esercizio del 
diritto stesso. A maggior ragione, non pu� contestarsi la legittimit� di 
misure (dettate, in via generale, per supplire alla mancanza o all'impedimento 
degli ufficiali giudiziari, degli aiutanti ufficiali giudizari, dei 
cancellieri o dei segretari) che, senza in nulla coartare la libert� del favoratore 
il quale abbia inteso scioperare, tendano a contenere gli effetti dannosi 
dello sciopero stesso, specie ove ricadano su servizi pubblici � essenziali 
�, come, nel caso delle disposizioni denunciate, la funzione giurisdi-, 
zionale. La tutela di interessi coinvolti dallo sciopero viene ricercata 
mediante misure {normative e organizzative) diverse dall'intervento sul 
diritto stesso; una volazione dell'art. 40 Cost. appare perci� esclusa 
in radice. 

Parimenti infondata � la censura di violazione del principio d'uguaglianza, 
mossa dal pretore di Catania con riguardo all'ordinamento dei 
cancellieri. La possibilit� �di sostituire i cancellieri in sciopero (ma non 
solo essi, come mostra la parallela disciplina delle attivit� degli uffciali 
giudiziari) � infatti fondata sulla particolare importanza delle loro fun� 
zioni e l'indifferibilit� del loro espletamento, che bene giustificano una 
disciplina particolare. (Omissis). 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

713 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 luglio 1980, n. 132 -Pres. Amadei -Rel. De 
Stefano -Criscuoli ed altri. (n.p.) e Presidente Consiglio Ministri 
(avv. Stato Carafa). 

Locazione -Immobili urba.i adibiti ad uso di abitazione -Proroga dei 

contratti -Parametro del reddito -Non considerazione degli oneri 

familiari � Legittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 3; d.!. 25 giugno 1975, n. 255, art. 1; d.!. 23 dicembre 1976, n. 849, art. 1; 

d.!. 17 giugno 1977, n. 326, art. 1; d.l. 28 ottobre 1977, n. 778, art. 1; d.!. 30 marzo 1978, 

n. 77, art. 1). 
Non oltrepassano i limiti della discrezionalit� legislativa le disposizioni 
in tema di proroga di contratti di locazione che, per esigenza di semplicit� 
e di speditezza, riconoscono rilevanza unicamente al reddito del 
conduttore e non anche agli oneri su di lui gravanti per il sostentamento 
della famiglia (1). 

(Omissis). Con le ordinanze in epigrafe sono state sottoposte alla 
Corte le seguenti questioni: 

A) se siano costituzionalmente illegittime -per contrasto con 
l'art. 3 della Costituzione -le sottoindicate norme, nella parte in cui, 
disponendo la proroga dei contratti di locazione degli immobili urbani 
adibiti ad uso di abitazione, stipulati da conduttori aventi un reddito 
complessivo annuo non superiore, al netto, a determinati limiti (secondo 
le varie norme, succedutesi nel tempo, lire 4.000.000 o lire 5.500.000 o 
lire 8.000.000), non tengono conto della composizione del nucleo familiare 
a carico del conduttore, non distinguendo, cio�, tra conduttori con familiari 
a carico e conduttori che, pur fruendo dello stesso reddito, non 
abbiano famiglia: (omissis). 

Le ordinanze sono state tutte emesse anteriormente all'entrata in 
vigore (30 luglio 1978) della legge 27 luglio 1978, n. 392, che ha dettato 
nuova disciplina delle locazioni di immobili urbani. Peraltro, la Corte 
rileva che, in virt� dell'art. 82 della sopravvenuta legge, ai giudizi in corso 
alla data anzidetta continuano ad applicarsi ad ogni effetto le norme precedenti, 
come quelle denunciate, sulle quali, quindi, ritiene di portare 
il suo esame, senza richiedere ai giudici a quibus conferma della rilevanza 
della sollevata questione. 

La questione puntualizzata alla lettera A) del precedente n. 1, non 
� fondata. 
La Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimit� costituizionale di 
norme operanti nell'ambito del regime vincolistico delle locazioni di im


(1) Il princ1p10 affermato nella sentenza in rassegna appare significativo 
anche dopo l'entrata in vigore della legge 27 luglio 1978, n. 392. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mobili urbani adibiti ad uso di abitazione, ha posto in evidenza lo scopo 
sociale di intervento in favore delle classi meno abbienti, cui � appunto 
preordinata la disciplina all'uopo apprestata con i noti caratteri cli straordinariet� 
e temporaneit�: e in siffatta prospettiva ha ritenuto giustificata 
la disparit� di trattamento tra conduttori meritevoli di paricolare 
tutela, ed aventi perci� diritto alla proroga, e� conduttori ai quali non v'� 
motivo di attribuire tale diritto (sent. n. 225 del 1976). La scelta degl'indici 
di differenziazione tra conduttori, purch� non palesemente irragionevoli, 
rientra certamente nell'ambito di quella discrezionale valutazione della 
situazione economica e di mercato, che in subiecta materia la Corte, 
da ultimo con la sentenza n. 120 del 1980 ha riconosciuto riservata al 
legislatore. Il quale, di volta in volta, ha fatto riferimento, in ragione 
dello scopo perseguito, a4. una variet� di parametri (data di stipula del 
contratto, caratteristiche non di lusso dell'immobile, superficie dello 
stesso, numero dei vani abitabili, indice di affollamento, ecc.), cui, per�, 
ha accompagnato, a far tempo dal 1967, il requisi~o del reddito annuo del 
conduttore, prescrivendo che lo stesso non dovesse superare un determinato 
ammontare, progressivamente lievitato nel succedersi temporale dei 
provvedimenti vincolistici. 

Con ci� si � voluto -come giustamente ha posto in rilievo l'Avvocatura 
dello Stato -ancorare la linea di demarcazione a un dato obiettivo 
(il reddito percetto), che evitasse difficolt� di accertamento e rendesse 
facile e spedita la risoluzione delle possibili controversie (sent. n. 132 del 
1972): esigenze di semplicit� e speditezza, queste, che si � temuto di 
sacrificare ove si fosse, invece, conferito � rilievo al dato soggettivo degli 
oneri gravanti sul conduttore per il sos~ntamento proprio e dei suoi pi� 

o meno numerosi familiari. 
La Corte ritiene che il legislatore, cos� operando, non abbia oltrepassato 
i limiti di quella discrezionalit� che indubbiamente gli spetta nell'individuazione 
di categorie e di situazioni: pertanto Ja questione, prospettata 
in riferimento all'art. 3 della Costituzione, non � fondata. (Omissis). 

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SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


I 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� :EUROPEE, 24 aprile 1980, 
nella causa 72/79 -Pres. Kutscher -Avv. Gen. Mayras -Commissione 
delle Comunit� europee (ag. Campogrande) c. Repubblica Italiana 
(avv. Stato Braguglia). 

Comunit� ,europee -Agricoltura -Organizzazione comune� dei mercati Settore 
dello zucchero.� Divieto totale o parziale di aiuti -Infrazione Procedura 
d'accertamento. 
(Trattato CEE, artt. 40, 92, 93, 169; regolamento CEE del Consiglio 19 dicembre 1974, 

n. 3330, artt. 8, 31, 38, 41). 
Comunit� europee -Agricoltura -Organizzazione comune di mercato nel 
settore dello zucchero -Spese di magazzinaggio -Rimborso parziale Ulteriori 
indennit� compensative stabilite dagli Stati membri -Divieto. 
(Regolamento CEE del Consiglio 19 dicembre 1974, n. 3330, art. 8). 

Comunit� europee -Agri.coltura -Organizzazione comune di mercato nel 
settore dello zucchero � Riporto del prodotto alla campagna successiva 
-Spese di magazzinaggio -Aiuti vietati. 
(Regolamento CEE del Consiglio 18 �giugno 1968, n. 748, art. 2; e 19 dicembre 1974, 

n. 3330, art. 31). 
L'infrazione al divieto totale o parziale di determinate forme di aiuti 
nazionali alla produzione o alla commercializzazione di prodotti agricoli, 
sancito dai regolamenti recanti organizzazione comune dei mercati (nella 
specie nel settore dello zucchero), pu� essere perseguita nell'ambito proprio 
di tale organizzazione, al di fuori della procedura stabilita dall'articolo 
93 del Trattatp (1). 

L'art. 8 del regolamento CEE del Consiglio 19 dicembre 1974, n. 3330, 
definisce in maniera esauriente il regime applicabile al rimborso delle spe


(1-5) In entrambe le cause, il rigetto dell'eccezione di irricevibilit� sollevata 
dal Governo italiano sembra essere scaturito dalla decisione che la Corte 
ha adottato nel merito dei ricorsi proposti da parte della Commissione. Pare 
infatti che la Corte abbia ptima deciso che le misure nazionali di aiuto erano 
contrarie a specifiche disposizioni comunitarie (rispettivamente: all'art. 8 del 
regolamento n. 3330/74 ed all'art. 95, primo comma, del Trattato CEE) e soltanto 
dopo abbia stabilito che, cos� stando le cose, la Commissione poteva 



716 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

se di magazzinaggio per lo zucchero e non consente che uno Stato membro 
accordi ai produttori di zucchero nazionali un'indennit� compensativa 
delle stess� spese al di l� del rimborso previsto dalla normativa comunitaria 
(fattispecie relativa ad un'indennit� compensativa corrisposta 
in Italia per le campagne saccarifere 1976-77 e 1977-78) -(2). 

Un rimborso parziale delle spese di magazzinaggio dello zucchero riportato 
alla campagna saccarifera successiva costituisce un metodo particolare 
di aiuto non consentito dall'art. 31 n. 2 del regolamento CEE del 
Consiglio 19 dicembre 1974 n. 3330, pur se effettuato con risorse non provenienti 
dal bilancio dello Stato, ma da un fonda speciale alimentato 
dai prelievi sugli aiuti di adattamento accordati ai produttori di barbabietole, 
se tale meccanismo non sia il frutto di un libero accordo inteprof 
essionale fra organizzazioni private (fattispecie relativa a rimborsi 
corrisposti in Italia per le campagne saccarifere 1976-77 e 1977-78) (3). 

II 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 21 maggio 1980, 
nella causa 73/79 -Pres. Kutscher -Avv. Gen. Mayras -Commissione 
delle Comunit� europee (ag. Abate) c. Repubblica Italiana (avv. Stato 
Braguglia). 

Comunit� europee � Libera circolazione delle merci � Disposizioni fiscali 

,mteme � Aiuti concessi dagli Stati � Compatibilit� con le norme del 

Trattato � Procedure d'accertamento. 

(Trattato CEE, artt. 92, 93, .95, 169; regolamento CEE del Consiglio 19 dicembre 1974, 

n. 3330, art. 38). 
Comunit� europee � Libera circolazione delle merci � Disposizioni fiscali 
interne � Aiuti concessi dagli Stati � Sovrapprezzo sullo zucchero � 
Destinazione del gettito � Effetti discriminatori. 
(Trattato CEE, artt. 92, 93, 95; regolamento CEE 1 del Consiglio 19 dicembre 1974, 

n. 3330, art. 38). 
Le imposizioni fiscali interne discriminatorie non sono sottratte alla 
applicazione dell'art. 95 del Trattato CEE per il fatto di poter ~sere 
qualificate nello stesso tempo come modo di finanziamento di un aiuto 


perseguire le infrazioni mediante la proceduta di cui all'art. 169 e a prescin


dere dalla circostanza che avesse o meno iniziato anche la procedura ex art. 93. 

Potrebbe ritenersi, per vero, che -quando trattasi di aiuti nazionali -la 
procedura appropriata per accertarne l'eventuale incompatibilit� con � il mercato 
comune� (e quindi anche con ogni disposizione del Trattato CEE o del 
diritto derivato) sia quella prevista nell'art. 93, che si pone in rapporto di 
specialit� con la procedura di cui all'art. 169. 

A tale conclusione non sembra di ostacolo il rilievo che, in sede di esame 

della misura di aiuto, n� la Commissione n� il Consiglio potrebbero ritenere 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 717 

statale,' e possono quindi divenire oggetto di una procedura di infrazione 
ai sensi dell'art. 169 del Trattato, anche se, parallelamente, per le stesse 
pratiche la Commissione abbia avviato la procedura di cui agli artt. 92 
e 93 del Trattato medesimo (4). 

L'imposizione interna di un sovrapprezzo che grava per lo stesso importo 
sullo zucchero prodotto in Italia e su quello importato dagli Stati 
membri costituisce una misura discriminatoria vietata dall'art. 95 del 
Trattato in quanto il suo gettito � destinato a finanziare in modo specifico 
gli aiuti al prodotto nazionale tassato, pur autorizzati dalla normativa 
comunitaria (5). 

I 

(omissis). 1. -Con istanza registrata in cancelleria il 2 maggio 1979, 
la Commissione ha proposto alla Corte, ai sensi dell'art.. 169 del Trattato 
CEE, un ricorso :inteso a far dichiarare che fa Repubblica italiana 
� venuta meno ad obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato decidendo 
di rimborsare ai produttori di zucchero determinate spese di 
magazzinaggio per le campagne saccarifere 1976-1977 e 1977-1978, !in violazione 
degli artt. 8 e 31, n. 2, del regolamento del Consiglio 19 dicembre 
1974, n. 3330, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore 
dello zucchero (G. U. n. L 359, pag. 1). 

compatibile una misura contraria a specifiche disposizioni comunitarie. Tale 
aspetto, invero, pare pi� pertinente al merito dell'esame (che quindi si concluder� 
con una decisione negativa di incompatibilit�), non alla procedura, 
che dovrebbe pur sempre restar quella prevista dal citato art. 93. 

Di specie (ed in pratica superate dal regolamento del Consiglio 24 giugno 
1980, n. 1592) sono le questioni decise con la sentenza in data 24 aprile 1980. 

Maggior interesse, invece, desta la seconda sentenza (in data 21 maggio 
1980), con la quale la Corte ha dichi�rato contrario all'art. 95, 1� comma, del 
Trattato CEE il sovrapprezzo riscosso sullo zucchero importato dagli altri Stati 
membri, nella misura in cui il suo gettito � destinato al finanziamento degli 
aiuti allo zucchero nazionale. 

Tale decisione infatti, pur se appare condizionata dal particolare sistema 
di finanziamento di detti aiuti, contiene affermazioni che sembrerebbero pregiudicare 
la possibilit� stessa, per gli Stati membri, di concedere aiuti (compatibili 
per il resto con il mercato comune o addirittura autorizzati) mediante 
la manovra fiscale. Siffatto tipo di aiuti, invero, non potrebbe, per sua natura, 
non esser sempre discriminatorio, nel senso accolto dalla sentenza in rassegna. 

Per qualche riferimento ai rapporti, anche dal punto di vista. della proce


dura, tra gli artt. 95 e 92 segg. del Trattato CEE, appare utile la consultazione 

delle sentenze 25 giugno 1970, in causa 47/69, COMMISSIONE c. REPUBBLICA FRAN


CESE in Racc., 1970, 487, e 13 marzo 1979, in causa 91/78, HANSEN, in Racc., 1979, 

935 (citate nella motivazione della sentenza 21 maggio 1980), nonch� 22 marzo 

1977, in causa 74/76, JANNELLI E VOLPI (in questa Rassegna, 1977, I, 604) e 26 

giugno 1979, in causa 177/78, PIGS AND BACON (in Racc., 1979, 2161). 

I.M.B. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

718 

2. -La Commissione contesta alla Repubblica italiana due distinte 
infrazioni del regolamento n. 3330/74: da un lato, l'aver preso ed applicato 
un provvedimento di rimborso complementare dalle spese di magazzinaggio 
dello zucchero prodotto in Italia, violando l'art. 8 del regolamento, 
e, dall'altro, l'aver preso ed applicato un provvedimento di 
rimborso parziale delle spese di magazzinaggio per lo zucchero riportato 
alla campagna saccarifera successiva, violando l'art. 31, n. 2, del regolamento. 
3. -L'art. 8, n. 1, del regolamento n. 3330/74 dispone che, fatto salvo 
l'art. 31, n. 2, le spese di magazzinaggio dello zucchero bianco, dello 
zucchero greggio e di taluni sciroppi prodotti prima della fase zucchero 
allo stato solido, fabbricati con barbabietole o canne raccolte nella Comunit�, 
sono rimborsate forfettariamente dagli Stati membri e che l'ammontare 
del rimborso � lo stesso per tutta la Comunit�. Il n. 2 dell'art. 8 
aggiunge che l'importo del rimborso � fissato annualmente secondo la 
procedura di cui all'art. 36 del regolamento, procedura detta � del comitato 
di gestione�. 
4. -La Commissione fa valere che, con provvedimento n. 24/1976 del 
Comitato interministeriale prezzi -in prosieguo: C.I.P. -(Gazzetta Ufficiale 
della Repubblica italiana del 4 ottobre 1976, n. 264, pag. 7201), il 
Governo italiano attribuiva all'industria trasformatrice dello zucchero 
una indennit� compensativa corrispondente alla differenza fra gli oneri 
finanziari a carico di detta industria a titolo di spese di magazzinaggio 
dello zucchero prodotto in Italia e l'importo del rimborso stabilito dalla 
normativa comunitaria. Il provvedimento succitato preciserebbe che 
qualsiasi modifica di quest'ultimo importo comporterebbe una corrispondente 
modifica dell'indennit� compensativa. Tale provvedimento, valido 
per la campagna saccarifera 1976-1977, sarebbe stato sostituito da un 
provvedimento analogo per la campagna saccarifera 1977-1978 (provvedic 
mento del C.I.P. n. 37/1977, Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 
del 29 luglio 1977, n. 207, pag. 5678). 
5. -Secondo la Commissione i menzionati provvedimenti costituiscono 
violazione dell'art. 8 del regolamento n. 3330/74. Da un lato, essi 
non rispetterebbero il principio del rimborso forfettario, essendo l'indennit� 
compensativa da essi prevista calcolata in funzione delle variazioni 
degli oneri finanziari dell'industria di trasformazione. Dall'altro, essi sarebbero 
contrari al principio dell'egual misura del rimborso per tutta la 
Comunit�, poich� l'indennit� c�mpensativa si aggiungerebbe al rimborso 
comunitario. 
6. -Ai sensi dell'art. 31, n. l, del regolamento n. 3330/74, le imprese 
possono, in taluni casi, riportare alla campagna saccarifera successiva, in 
conto della produzione di tale campagna, una parte determinata della loro 

PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

produzione che supera la quota di base. Ai sensi del n. 2 dello stesso 
articolo la quantit� riportata deve essere immagazzinata durante il periodo 
dal 1� febbraio al 31 gennaio dell'anno seguente e, per tale periodo, 
le spese di magazzinaggio non sono rimborsate ai termini dell'art. 8. 

7. -La Commissione ritiene che quest'ultima disposizione vieti 
espressamente qualsiasi rimborso delle spese di magazzinaggio dello 
zucchero riportato. Essa addebita al Governo italiano l'aver stabilito di 
concedere agli zuccherifici interessati, tramite la Cassa conguaglio zucchero, 
a titolo di spese di magazzinaggio per le quantit� tolali di zucchero 
riportate alle campagne successive, un importo corrispondente al 60 % 
del rimborso mensile comunitario previsto soltanto per il caso in cui non 
vi sia riporto. 
8. -La citata delibera del C.I.P. n. 24/1976 stabilisce che la Cassa 
conguaglio conceda detto importo agli zuccherifici interessati nei limiti 
di un credito che la Cassa � autorizzata a far valere sugli aiuti di adattamento 
attribuiti ai produttori di barbabietole conformemente all'art. 38 
del regolamento n. 3330/74. Per la campagna 1977-78 la delibera del C.I.P. 
n. 37/1977 autorizza la Cassa conguaglio ad accantonar~ un fondo speciale 
a valere sugli aiuti di adattamento riconosciuti ai produttori di 
barbabietole ed a porre il rimborso parziale delle spese di magazzinaggio 
dello zucchero riportato a carico di tale fondo speciale. 
'9. -Il Governo italiano non contesta i fatti dedotti dalla Commissione. 
A sua difesa fa valere anzitutto !'irricevibilit� del ricorso, in quanto 
esso riguardi l'infrazione dell'art. 8 del regolamento di base. In subordine, 
e nel merilto, esso d� alle disposizioni comunitarie applicabili una 
interpretazione diversa, condudendo su tale base per la conformit� delle 
misure litigiose al diritto comunitario. Per quanto riguarda il rimborso 
delle spese di magazzinaggio dello zucchero riportato, fa valere che detto 
indennizzo parziale non � effettuato dallo Stato italiano, ma dalla Cassa 
conguaglio, che agisce quale gerente di un fondo costituito da risorse 
private. 

Sulla ricevibilit�. 

10. -Secondo il Governo italiano il rimborso complementare delle 
spese di magazzinaggio dello zucchero prodotto in Italia, deliberato dal 
CJ.P., ha lo scopo di compensare la differenza fra gli oneri finanziari 
relativi al magazzinaggio sostenuti dall'industria trasformatrice in Italia 
e quelli presi in considerazione nell'ambito dei provvedimenti di rimborso 
a livello comunitario. I provvedimenti nazionali complementari dovrebbero 
quindi essere qualificati aiuti ai sensi degli artt. 92 e 93 del Trattato 
CEE. In tale situazione, la compatibilit� di questi provvedimenti nazionali 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELW STATO 

con le norme del Trattato e con quelle emanate per la messa in opera 
della politica agricola comune pu� essere valutata soltanto tramite la 
procedura prevista agli aitt. 92 e 93 del Trattato e conformemente ai 
criteri ivi stabiliti. 

11. -Il Governo italiano sostiene inoltre che la Commissione ha riconosciuto, 
tanto durante la procedura precontenziosa, quanto nell'istanza 
introduttiva del ricorso, che le misure nazionali litigiose costituiscono 
aiuti nel senso del Trattato. Perch� I.a Commissione non ha instaurato il 
procedimento di cui all'art. 93 del Trattato, il presente ricorso fondato 
sull'art. 169 del Trattato sarebbe prematuro e quindi irricevibile. 
12. -Questi due argomenti non possono essere accolti. Giustamente 
la Commissione sostiene che il Consiglio � libero di stabilire, nel quadro 
dei regolamenti recanti organizzazione comune dei mercati dei prodotti 
agricoli, norme di divieto totale o parziale di determinate forme di aiuti 
nazionali alla produzione od alla commercializzazione dei prodotti interessati 
e che l'infrazione di un divieto del genere pu� essere perseguita 
nell'ambito proprio di tale organizzazione. In effetti, l'esistenza della particolare 
procedura di cui all'art. 93 del Trattato, al fine di valutare la compatibilit� 
col mercato comune dei regimi nazionali di aiuti, non pu� 
modificare gli obblighi derivanti per gli Stati membri dal rispetto delle 
norme relative all'organizzazione comune dei mercati. 
13. -Il regolamento n. 3330/74 contiene diverse disposizioni relative 
agli aiuti nel settore dello zucchero. Tale � il caso per esempio dell'art. 8, 
riguardante il rimborso forfettario delle spese di� magazzinaggio, nonch� 
dell'art. 38 che prevede la concessione di aiuti di adattamento da parte 
della Repubblica italiana. Se l'art. 41 del regolamento dispone che gli 
artt. 92 e 93 del Trattato si applicano alla produzione ed al commercio 
dei prodotti soggetti all'organizzazione comune dei mercati nel settore 
dello zucchero, lo fa con riserva espressa di contrarie disposizioni dello 
st.esso regolamento. La questione se l'art. 8 del regolamento debba essere 
considerato una disposizione contraria del genere indicato riguarda il 
merito della controversia, che � opportuno prendere in esame ora, 
Sull'infrazione dell'art. 8 del regolamento n. 3330/74. 

14. -Il Governo italiano ammette che l'art. 8 del regolamento 
n. 3330/74 prevede il rimborso forfettario ed uniforme delle spese di 
magazzinaggio. Tuttavia questa disposizione dovrebbe essere interpretata 
alla luce della sua finalit�, che sarebbe quella di stabilizzare il mercato. 
In mancanza di un rimborso delle spese di magazzinaggio, i prodotti interessati 
verrebbero in effetti messi immediatamente sul mercato o venduti 
agli organismi d'intervento, e con ci� si potrebbe verificare uno squilibrio 
~I 


i: 

PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

del mercato. Il regolamento.di base avrebbe lo scopo di prevedere misure 
atte a stabilizzare il mercato. Il Governo italiano ricorda che, secondo la 
motivazione del regolamento, tale finalit� pu� essere conseguita sia mediante 
un dispositivo d'intervento, sia mediante un sistema di compensazione 
delle spese di magazzinaggio. La concessione di un'indennit� 
compensativa complementare da parte delle autorit� italiane perseguirebbe 
lo stesso scopo. Lungi dall'essere contraria alla normativa comunitaria, 
tale concessione contribuirebbe invece al suo buon funzionamento. 

15. -La Commissione contesta il riferito punto di vista. Essa ritiene 
che l'indennit� compensativa litigiosa abbia natura e finalit� identiche a 
quelle del rimborso effettuato in base all'art. 8 del regolamento. Tale 
disposizione dovrebbe essere interpretata in senso stretto, poich� deroga 
al divieto generale degli aiuti; essa avrebbe per scopo di disciplinare il 
modo esauriente tutto il sistema dei contributi alle spese di magazzinaggio. 
16. -� vero che il sistema di compensazione delle spese di magazzinaggio 
dello zucchero, previsto dal regolamento n. 3330/74, � stato concepito 
al fine di conseguire gli obiettivi del regolamento, fra i quali figura 
in particolare la stabilizzazione qel mercato dello zucchero. Con l'istituire 
un rimborso forfettario ed uniforme per tutta la Comunit�, il cui importo 
� stabilito annualmente dalle istituzioni comunitarie, il regolamento indica 
tuttavia che i suoi obiettivi debbono essere realizzati nello stesso modo 
in tutti gli Stati membri. 
17. -La tesi della Commissione secondo cui l'art. 8 del regolamento 
definisce in maniera esauriente il regime applicabile al rimborso deHe 
spese di magazzinaggio deve quindi e~sere accolta. 
18. -Il Governo italiano allega ancora che le misure nazionali italiane 
sono rese necessarie dagli oneri finanziari particolarmente gravi cui 
sono soggette in Italia le imprese che immagazzinano zucchero, dato il 
tasso d'interesse, in questo Stato molto pi� elevato che negli altri Stati 
membri della Comunit�. Tale circostanza, la cui importanza � stata del 
resto riconosciuta dalla Commissione, non pu� tuttavia giustificare un'interpretazione 
dell'art. 8 del regolamento n. 3330/74 contraria alla lettera 
ed allo spirito dello stesso. Spetta al Consiglio valutare, nell'ambito dell'organizzazione 
comune dei mercati nel settore dello zucchero, se le 
circostanze economiche particolari dominanti in uno degli Stati membri 
giustifichino adattamenti del regime comunitario. 
19. -� quindi d'uopo constatare che la Repubblica italiana, accordando 
ai produttori di zucchero, per le campagne saccarifere 1976-1977 e 
1977-1978, un'indennit� compensativa delle spese di magazzinaggio deUo 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zucchero prodotto in Italia, al di l� del rimborso previsto dalla normativa 
comunitaria applicabile, � venuta meno ad un obbligo ad essa incombente 
in forza del Trattato. 

Sull'infrazione dell'art. 31, n. 2, del regolamento n. 3330/74. 

�'20. -Secondo il Governo italiano i succitati provvedimenti del C.I.P., 

n. 24/1976 e n. 37 /1977, non hanno istituito un rimborso parziale delle 
spese di magazzinaggio dello zucchero riportato, ha hanno autorizzato la 
Cassa COI).guaglio zucchero, che � un ente pubblico, ad accantonare, sotto 
forma di credito o di fondo speciale, una quota degli aiuti di adattamento 
accordati ai produttori di barbabietole e ad assegnare in seguito un rimborso 
agli zuccherifici interessati, per conto dei produttori. Il prelievo 
sugli aiuti destinat.i ai produttori di barbabietole, la costituzione del 
fondo speciale ed � rimborso parziale agli zuccherifici delle spese di 
magazzinaggio dello zucchero riportato non sarebbero disposti dai provve<
l~menti del, C.I.P., bens� da accordi interprofessionali fra le organizzazioni 
rappresentative dell'industria dello zucchero e dei coltivatori di 
ba.rbabietole. Il Governo italiano ricorda in proposito che l'art. 2 del 
rego~amento del Consiglio 18 giugno 1968, n. 748, relativo alle norme generali 
per il riporto di una parte della produzione di zucchero alla campagna 
saccarifera successiva (G.U. n. L 137, pag. 1) consente ai fabbricanti 
di .~uc�hero, nel caso del riporto di zucchero alla campagna saccarifera 
successiva, di far partecipare alle spese di magazzinaggio i produttori di 
barbabietola o di canna. 
21. ---' La Commissione ammette che le risorse necessarie per il rimborso 
in questione non provengono dal bilancio dello Stato. Essa sostiene 
tuttavia che il fondo speciale creato per il finanziamento del rimborso 
� alimentato da un'imposizione specifica, istituita in esecuzione dei provvedimenti 
presi dal C.I.P. i richiamati accordi interprofessionali farebbero 
parte di un sistema di procedimenti amministrativi conducente ad un 
insieme di provvedimenti obbligatori per tutti i fabbricanti di zucchero 
e per tutti i produttori di barbabietole. Cos� stando le cose, la partecipazion� 
dei pr�duttori di barbabietole non sarebbe volontaria, poich� l'onere 
finanziario in questione sarebbe loro imposto. 
22. -Su richiesta della Corte il Governo italiano ha prodotto i testi 
degli accordi interprofessionali per le campagne saccarifere 1976-1977 e 
1977-1978. 
23. -L'esame di questi documenti ha permesso di constatare che 
in realt� l'intervento delle autorit� italiane non si � limitato ad autorizzare 
la Cassa conguaglio ad agire quale mandataria delle parti degli 
accordi interprofessionali. Infatti gli accordi contengono diversi elementi 

PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

estranei ad una convocazione liberamente conclusa fra organizzazioni 
private. Cos�, � il Ministro dell'agricoltura che ha constatato la conclusione 
dell'accordo e, per le condizioni in cui esso � intervenuto, la sua 
efficacia obbligatoria �erga omnes �; per l'accordo relativo alla campagna 
1977-1978 tale constatazione � preceduta da un preambolo, che il Ministro 
dichiara parte integrante dell'accordo stesso; gli accordi entrano in vigore 
al momento dell'adozione dei provvedimenti di esecuzione da parte del 
C.I.P.; inoltre gli accordi istituiscono una �commissione paritetica�, presieduta 
da un rappresentante del Ministro, che deve facilitare la messa 
in opera delle disposizioni dell'accordo, nonch� emanare determinate 
norme di esecuzione. 

24. -Ne risulta che la conclusione e la messa in opera degli accordi 
interprofessionali, le operazioni della Cassa conguaglio zucchero e gli 
atti adottati dal C.I.P. e dal Ministro dell'agricoltura sono fra loro connessi 
in modo tanto stretto da renderne impossibile la dissociazione. Non 
si pu� quindi fare a meno di constatare che gli accordi interprofessionali 
fanno parte di un insieme di misure, la cui responsabilit� ricade sul 
Governo italiano, tendenti a sostenere l'industria saccarifera italiana. 
25. -In tale situazione il rimborso parziale delle spese di magazzinaggio 
dello zucchero riportato non pu� essere considerato libera partecipazione 
dei produttori di barbabietole alle spese di magazzinaggio, ai 
sensi dell'art. 2 del succitato regolamento n. 748/68. Per contro, detto 
rimborso deve essere qualificato come metodo particolare di aiuto nel 
settore dello zucchero istituito dalle autorit� pubbliche italiane e contrario 
all'art. 31, n. 2, del regolamento, n. 3330/74, che deve essere inteso 
nel senso del divieto per gli Stati membri di rimborsare le spese di 
magazzinaggio nel caso del riporto dello zucchero alla campagna successiva. 
� 26. -� quindi d'uopo constatare che la Repubblica italiana, acco_r~ 
dando ai produttori di zucchero per le campagne saccarifere 1976-1977 e 
1977-1978 un rimborso parziale delle spese di magazzinaggio dello zucchero 
riportato alla campagna saccarifera successiva, � venuta meno ad un 
obbligo ad essa incombente in forza del Trattato. (omissis) 

II 

(omissis) 1. -Con istanza registrata in cancelleria il 2 maggio 1979, 
la Commissione ha proposto alla Corte, ai sensi dell'art. 169 del Trattato 
CEE, un ricorso inteso a far dichiarare �che la Repubblica italiana, gravando 
lo zucchero di produzione nazionale e lo zucchero importato dagli 
altri Stati membri di un'imposta speciale non uniforme, � venuta meno 
agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 95 del Trattato. 


724 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

2. -Risulta dal fascicolo che il tributo nazionale oggetto della presente 
controversia, detto �sovrapprezzo�, � un'imposta sullo zucchero 
bianco immesso in consumo in Italia. Esso grava di un importo eguale 
per chilogrammo netto di zucchero bianco di ogni tipo e qualit� sia 
lo zucchero di produzione nazionale sia quello proveniente dagli altri 
Stati membri. L'imposta � versata alla Cassa conguaglio zucchero, ente 
pubblico istituito per effettuare le operazioni di perequazion� connesse 
all'inserimento dell'economia saccarifera italiana nell'organizzazione comune 
di mercato per lo zucchero, in funzione dal 1968. Il gettito del 
sovrapprezzo � destinato principalmente al finanziamento degli aiuti di 
adattamento di cui fruiscono, in Italia, l'industria saccarifera e i produttori 
di barbabietole, conformemente alla normativa comunitaria applicabile. 
La concessione di questi aiuti di adattamento si basa attualmente 
sull'art. 38 del regolamento del Consiglio 19 dicembre 1974, n. 3330, 
relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero 
(G.U. n. L 359, pag. 1). 
3. -La Commissione ritiene l'imposizione del sovrapprezzo c�ntraria 
all'art. 95, l 0 comma, del Trattato, nella misura in cui tale tributo 
� destinato a finanziarie aiuti che avvantaggiano i prodotti nazionali e 
da cui sono esclusi i prodotti provenienti dagli altri Stati membri. Seb~ 
bene l'imposta colpisca lo zucchero nazionale e lo zucchero importato 
sulla base di identici criteri, l'onere fiscale gravante sullo zucchero nazionale 
sarebbe parzialmente neutralizzato dalla concessione degli aiuti in 
tal modo finanziati. Detta neutralizzazione sarebbe ancor pi� evidente 
per il fatto che i produttori di zucchero stabiliti in Italia potrebbero 
versare l'importo del sovrapprezzo dovuto previa deduzione degli aiuti 
cui hanno diritto. 
4. -Il Governo italiano ammette che il gettito del sovrapprezzo � 
destinato principalmente, ma non esclusivamente, al finanziamento degli 
aiuti di adattamento autorizzati dalla normativa comunitaria, ma precisa 
che, dal 1976, la compensazione effettuata dalla cassa conguaglio 
fra l'ammontare dell'imposta e l'ammontare dell'aiuto a vantaggio dei 
produttori italiani � soltanto parziale. 
5. -Il Governo italiano sostiene che il ricorso non � ricevibile e 
nega inoltre che il sistema in tal modo instaurato sia incompatibile con 
l'art. 95 del Trattato. 
Sulla ricevibilit�. 

6. -Il Governo italiano, dopo aver ricordato che il sovrapprezzo 
si applica in modo uniforme ai prodotti nazionali e ai prodotti impor� . 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

tati, constata �he la Commissione non considera l'imposizione interna 
in questione discriminatoria dal punto di vista fiscale, ma soltanto in 
quanto essa serva a finanziare i prodotti nazionali. Secondo il Governo 
italiano, il sindacato di legittimit� del regime di finanziamento di un 
aiuto si pu� per� compiere soltanto nel quadro della procedura particolare 
prevista a tale scopo dall'art. 93 del Trattato. La giurisprude;nza 
della Corte, quale risulta in particolare dalla sentenza del 25 giugno 1970 
(causa 47/69, Repubblica francese c. Commissione, Racc. pag. 487), avrebbe 
in effetti posto in luce che il modo di finanziamento di un aiuto non 
pu� essere isolato dall'esame dell'aiuto propriamente detto. Di conseguenza, 
i provvedimenti nazionali cui si riferisce la Commissione non 
potrebbero essere valutati nell'ambito di un ricorso ex art. 169 del Trattato, 
bens� soltanto secondo la procedura di cui all'art. 93 del Trattato. 

7. -Il Governo italiano dedu'ce inoltre che la Commissione ha gi� 
avviato la procedura di cui all'art. 93 per esaminare il sistema di finanziamento 
dell'insieme degli aiuti accordati ai produttori di barbabietole 
ed ai trasformatori di zucchero e che detta procedura riguarda anche il 
finanziamento degli aiuti di adattamento mediante l'imposizione del sovrapprezzo. 
La procedura cos� instaurata potrebbe condurre alla modifica 
o alla soppressione del sistema di finanziamento attuale e rendere cos� 
privo di oggetto il ricorso ex art. 169, ricorso che sarebbe pertanto irricevibile. 
8. -La prima eccezione di irricevibilit� � da respingersi. Il confronto 
ravvicinato fra, da un lato, gli artt. 92 e 93 del Trattato e, dall'altro, 
l'art. 95, primo comma, indica che queste disposizioni perseguono una 
stessa finalit�, consistente nell'evitare che i due tipi di interventi di uno 
Stato membro -cio� la concessione di aiuti, da una parte, e l'imposizione 
di un tributo discriminatorio, dall'altra -abbiano l'effetto di falsare le 
condizioni di concorrenza nel mercato comune. Tuttavia, come la Corte 
ha gi� precisato per un caso comparabile nella sentenza del 13 marzo 1979 
(causa 91/78, Hansen, Racc. pag. 935), queste disposizioni hanno presupposti 
d'applicazione differenti, peculiari ai due ordini di provvedimenti 
statali ch'esse hanno rispettivamente lo scopo di disciplinare, e differiscono 
per di pi� quanto alle conseguenze giuridiche, soprattutto perch�, 
diversamente da quanto si verifica per l'art. 95, primo comma, per l'attuazione 
degli artt. 92 e 93 � lasciato ampio spazio all'intervento della Commissione. 
9. -Le constatazioni sopra esposte non impediscono che un provvedimento 
attuato per il tramite di un'imposizione discriminatoria, e 
che possa essere . nello stesso tempo considerato come aiuto ai sensi 
dell'art. 92, rientri nella sfera d'applicazione sia dell'art. 95, primo comma, 

726 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
sia delle norme relative agli aiuti statali. Ne consegue che le pratiche 
fiscali discriminatorie non sono sottratte all'applicazione dell'art. 95 per 
il fatto di poter essere qualificate nello stesso tempo come modo di 
finanziamento di un aiuto statale e che possono quindi divenire l'oggetto 
di una distinta procedura ex art. 169. 
10. -Cos� stando le cose, � da respingersi anche la seconda eccezione 
di irricevibilit�. Se la Commissione addebita ad uno Stato membro 
pratiche costituenti violazione dell'art. 95 e se essa instaura al riguardo 
la procedura ex art. 169, detta procedura non diviene priva di oggetto 
per il fatto che la Commissione, ritenendo che le stesse pratiche facciano 
parte di un regime di aiuti incompatibile col mercato comune, avvii la 
procedura di cui agli artt. 92 e 93. 
11. -Si deve del resto osservare che, se la procedura di cui agli 
artt. 92 e 93 lascia alla Commissione, e, a determinate condizioni, al Consiglio, 
un ampio margine di apprezzamento per sindacare la compatibilit� 
di un regime di aiuti statali con le esigenze del mercato comune, dall'economia 
generale del Trattato si ricava che tale procedura non deve 
mai pervenire ad un risultato contrario alle norme specifiche del Trattato, 
concernenti, per esempio, le imposizioni interne. Nel caso in cui la Corte 
fosse indotta a dichiarare l'imposizione del sovrapprezzo contraria al 
disposto dell'art. 95, risultato della procedura avviata dalla Commissione 
ai sensi degli artt. 92 e 93 non potrebbe, di conseguenza, essere il mantenimento 
di tale imposizione nella forma attuale. Il ricorso proposto 
ex art. 169 contro uno Stato membro non pu� quindi essere tale da 
nuocere all'eventuale interesse di tale Stato al mantenimento di un 
regime di aiuti riconosciuto compatibile con le esigenze del mercato 
comune in esito ad una procedura instaurata in forza degli artt. 92 e 93. 
Sulla violazione dell'art. 95 del Trattato. 
12. -L'art. 95, primo comma, del Trattato vieta agli Stati membri 
di applicare direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati 
membri imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle 
applicate �lirettamente o indiretti;imente ai prodotti nazionali similari. 
13. -Il Governo italiano sostiene anzitutto che il sovrapprezzo grava 
in misura identica sullo zucchero prodotto in Italia e sullo zucchero 
importato e che la discriminazione addotta dalla Commissione risiede 
nell'importo dell'aiuto concesso allo zucchero nazionale. Ora, tale aiuto 
sarebbe autorizzato dall'art. 38 del regolamento n. 3330/74 ed avrebbe la 
i: 
I' 
i: 
i: 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 727 

finalit� di colmare il divario economico nel settore dello zucchero fra 
l'Italia e gli altri Stati membri, per garantire il pieno inserimento dell'economia 
saccarifera italiana nell'economia comunitaria. L'aiuto in questione 
dovrebbe quindi costituire una differenza netta e costante a vantaggio 
dello zucchero italiano. 

14. -Se quest'ultimo punto � d'uopo ricordare che la Corte ha g1a 
statuito, nella sentenza del 25 maggio 1977 (causa 105/76, Interzuccheri, 
Racc. pag. 1029), che l'autorizzazione, di cui all'art. 38 del regolamento 
n. 3330/74, a concedere gli aiuti ivi contemplati non pu� intendersi nel 
senso che essa implichi la conformit� al diritto comunitario di qualsiasi 
sistema di finanziamento di detti aiuti, qu;:tlunque ne siano la natura o le 
modalit�, e che, nel finanziarie l'aiuto concesso, le autorit� nazionali 
restano in particolare soggette agli obblighi imposti dal Trattato. 
15. -� vero che il sovrapprezzo costituisce un tributo gravante i 
prodotti nazionali e quelli importati in base a identici criteri. Tuttavia, 
nell'interpretare la nozione di � imposizioni interne �, di cui all'art. 95, 
pu� esservi ragione di tener conto della destinazione del gettito dell'imposizione. 
In effetti, quando il gettito di un'imposizione del genere � 
destinato a finanziare attivit� che giovano in modo specifico ai prodotti 
nazionali tassati, pu� derivarne che il tributo riscosso secondo gli stessi 
criteri costituisca nondimeno tassazione discriminatoria, nella misura in 
cui l'onere fiscale gravante sui prodotti nazionali sia neutralizzato da 
vantaggi finanziati per mezzo di esso, mentre quello gravante sui prodotti 
importati rappresenti itn onere netto. 
16. -Ne risulta che un'imposizione interna � tale da colpire indirettamente 
i prodotti provenienti dagli altri Stati membri in modo pi� 
pesante dei prodotti nazionali, qualora essa serva esclusivamente o principalmente 
al finanziamento di aiuti a vantaggio dei soli prodotti nazionali. 
17. -Il Governo italiano obietta che un tale punto di vista condurrebbe, 
nella fattispecie, ad una visione formalistica dell'art. 95. In effetti, 
alla Repubblica italiana rimarrebbe aperta la possibilit� di mantenere il 
sovrapprezzo quale � applicato attualmente ~e il suo gettito venisse versato 
al tesoro italiano per entrare a far parte del bilancio generale dello 
Stato; il Governo potrebbe allora trarre da tale bilancio i fondi destinati 
al finanziamento degli aiuti autorizzati dall'art. 38 del regolamento 
n. 3330/74. Anche in questo caso il prodotto importato non fruirebbe di 
alcun vantaggio rispetto alla situazione esistente, poich� continuerebbe 
ad essere soggetto al sovrapprezzo, senza beneficiare degli aiuti concessi 
al prodotto nazionale. 

728 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

18. -Conviene rilevare che la situazione prospettata dal Governo 
italiano non � paragonabile a quella oggetto del presente ricorso. Questo 
riguarda il sovrapprezzo quale imposizione interna che, sebbene gravante 
per lo stesso importo sullo zucchero nazionale e sullo zucchero importato, 
� destinata al finanziamento degli aiuti a vantaggio dello zucchero nazionale. 
Se il sovrapprezzo non rivestisse il carattere di imposta destinata 
al finanziamento degli aiuti alla produzione nazionale, non si avrebbero 
i presupposti per l'applicazione dell'art. 95. In tal caso, tuttavia, la con� 
cessione degli aiuti di adattamento non sarebbe pi� il risultato automatico 
di un sistema di perequazione gravante il solo settore della produzione 
e dell'importazione dello zucchero, bens� avrebbe origine in decisioni 
a livello legislativo o governativo, ove sarebbero ponderati i diversi 
interessi professionali in questione. 
19. -Il Governo italiano sottolinea infine che il sovrapprezzo � prelevato 
sullo zucchero immesso in consumo e che l'onere da esso rappresentato 
� parte integrante del prezzo di vendita dello zucchero. Ne risulta 
a suo avviso che l'imposta in questione ricade in definitiva sul consumatore 
del prodotto e che i produttori e gli importatori di zucchero, 
versandone l'ammontare, agiscono per conto del consumatore. 
20. -Tuttavia, come nota giustamente la Commissione, il fatto che 
gli oneri finanziari risultanti da un'imposizione si ripercuotano sui consumatori 
non modifica la natura giuridica dell'imposizione stessa. Il 
Governo italiano non ha del resto contestato che il sovrapprezzo � riscosso 
a carico 'dei produttori e degli importatori di zucchero. Il fatto, addotto 
dal Governo italiano, che i prezzi di vendita dello zucchero in Italia, ai 
diversi stadi di commercializzazione, includano l'importo del sovrapprezzo 
non � pertinente ai fini della qualificazione del tributo riguardo all'art. 95 
del Trattato. 
21. -Da quanto precede risulta che non si possono accogliere gli 
argomenti dedotti dal Governo italiano. 
' 

22. -Il � sovrapprezzo � deve quindi essere considerato come un'im� 
posta che, sebbene riscossa nella stessa aliquota sullo zucchero prodotto 
in Italia e su quello proveniente dagli altri Stati membri, non grava in 
modo uniforme sui due prodotti, poich� costituisce un onere ineguale per 
i prodotti nazionali, che traggono beneficio dalla sua riscossione, e per i 
prodotti importati, che ne sopportano l'onere senza ricavarne i vantaggi. 
23. -Si deve quindi constatare che la Repubblica italiana, gravando 
lo zucchero di un'imposizione interna il cui onere ricade inegualmente 
sullo zucchero prodotto in Italia e su quello importato dagli altri Stati 
membri, � venuta meno ad un obbligo ad essa incombente in forza dell'art. 
95 del Trattato. (omissis) 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 7'],9 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 22 maggio 1980, 
nella causa 131/79 -Pres. f.f. O' Keeffe -Avv. Gen. Warner -Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice of 
England and Wales -Queen's Bench Division -Divisional Court nella 
causa Regina e Secretary of State for Home Affairs, su ricorso di 
Mario Santillo. Interv.: Governo del Regno unito (ag. Brown e 
Dagtoglou) e Commissione Comunit� europee (ag'. McClellan). 

Comunit� europee -Libera circolazione delle persone � Limitazioni per 
motivi di ordine ,pubblico, di pubblica sicurezza e di sanit� pubblica � 
Garanzie -Obblighi degli Stati. 
(Trattato, art. 48; direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, n. 64/221/CEE, art. 9). 

Comunit� europee -Libera circolazione delle persone -Lhnitazioni per 
motivi di ordine pubblico, di pubblica sic1,1rezza e di sanit� pubblica � 
Provvedimento amministrativo di ~spulsione dello straniero � Parere 
di altra autorit� pubbli�a indipendente -Necessit�. 
(Trattato, art. 48; direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, n. 64/221/CEE, art. 9). 

Comunit� europee -Libera circolazione delle persone � Lhnitazioni per 
motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanit� pubblica � 
Provvedimento amministrativo di espulsione dello straniero -Parere 
di altra autorit� pubblica indipendente -Requisiti. 
(Trattato, art. 48; direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, n. 64/221/CEE, artt. 3, 6 e 9). 

L'art. 9 della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, n. 64/221/CEE 
(per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento 
e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, 
di pubblica sicurezza e di sanit� pubblica) impone agli Stati membri 
degli obblighi che possono esser fatti valere dagli amministrati dinanzi 
ai giudici nazionali (1). 

(1-3) La Corte di Giustizia si � occupata numerose volte di questioni relative 
all'interpretazione della direttiva CEE del Consiglio 25 febbraio 1964, 

n. 64/221, affermando che l'art. 3 n. 1 di essa crea in capo ai singoli diritti 
soggettivi che i medesimi possono far valere direttamente e che la nozione 
di ordine pubblico varia da un Paese ad un altro e da un'epoca ad un'altra, 
pur dovendo essere intesa in senso 'stretto (sentenza 4 dicembre 1974, nella 
causa 41/74, VAN DuYN, in Racc., 1974, 1337; sulla possibilit� di un'efficacia diretta 
delle direttive, in generale, cfr., fra le pi� recenti, le sentenze 1� febbraio 1977, 
nella causa Sl/76, VERBOND VAN NEDERLANDESSE, in Racc., 11977, 113; 23 novembre 
1977, nella causa 38/77, ENKA, in Racc., 1977, 2203; 5 aprile 1979, nella causa 
148/78, RATTI, in Racc., 1979, 1629); che un provvedimento di espulsione pu� 
essere adottato solo in :funzione.. di un � comportamento personale � e non 
a fini �di prevenzione generale {sentenza 26 febbraio 1975, in causa 67/74, BoNSIGNORE, 
in Racc. 1975, 297); che l'espulsione non pu� essere ordinata solo 
perch� non sono state regolarmente espletate le formalit� di ingresso, trasferimento 
e soggiorno e il provvedimento non pu� essere eseguito, salvo l'urgenza, 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

73-0 

Pu� essere considerata � autorit� competente� ai sensi e per gli effetti 
dell'art. 9 della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, n. 64/221/CEE, 
qualsiasi autorit� pubblica indipendente dall'autorit� amministrativa cui 
spetta l'adozione di uno dei provvedimenti contemplati dalla direttiva, 
organizzata in modo che l'interessato abbia il diritto di farsi rappresentare 
e di far valere i propri mezzi di difesa dinanzi ad essa (2). 

La proposta di espulsione fatta da un giudice penale nell'emettere una 
sentenza di condanna in forza della legislazione britannica pu� costituire 
un parere ai sensi dell'art. 9 della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 

n. 64/221/CEE, purch� siano soddisfatte tutte le altre condizioni poste 
dallo stesso articolo. La sola esistenza di condanne penali non pu� automaticamente 
giustificare provvedimenti di allontanamento dal territorio 
dello Stato. Il parere deve essere motivato -salvo che vi si oppongano 
motivi inerenti alla sicurezza dello Stato -e deve essere abbastanza 
vicino nel tempo al provvedimento di espulsione, si che si possa presumere 
che non siano intervenuti nuovi elementi di valutazione da prendere 
in esame (3). 
(omissis) i. -Con ordinanza 30 luglio 1979, pervenuta in cancelleria 
il 10 agosto successivo, la � High Court of Justice, Queen's Bench Division, 
Divisional Court � ha sottoposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del 
Trattato CEE, varie questioni vertenti sull'interpretazione, in particolare, 
dell'art. 9, n. l, della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, n. 64/221/CEE, 
�per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento 
e il soggiorno degli stranieri, giustificati da. motivi di ordine pub-

prima che l'interessato sia stato in grado di esperire i ricorsi consentitigli 
dagli artt. 8 e 9 della direttiva (sentenza 8 aprile 1976, in causa 48/75, RoYER, 
in Racc. 1976, 497), secondo una tutela che, pur potendo essere diversa da 
Stato a Stato, non pu� essere meno favorevole, in ciascuno Stato, di quella 
accordata ai cittadini in materia di ricorsi contro atti amministrativi, con la 
possibilit�, se del caso, di ottenere la sospensione dei provvedimenti oggetto 
del ricorso (sentenza 5 marzo 1980, nella causa 98/79, PECASTAING); che la raccomandazione 
di espulsione formulata dal giudice inglese. ai sensi dell'art. 3 
dell'lmmigration Act del 1971, � essa stessa un �provvedimento� nel senso 
voluto dalla dir.ettiva (la natura di �provvedimento� non esclude, secondo 
l'Avv. Gen. Warner nelle conclusioni della causa di cui alla sentenza annotata, 
che possa parlarsi ad altri effetti anche di �parere�), e che l'esistenza di 
condanne penali pu� essere presa in considerazione solo in quanto le circostanze 
che hanno portato a tali condanne� provino un comportamento personale 
c�stituente una minaccia � attuaile � per l'ordine pubblico, intendendosi tale 
una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali 
della comunit� (sentenza 27 ottobre 1977, nella causa 30/77, BoucHE� 
REAU, in Racc. 1977, 1999). Cfr. anche i principi similari contenuti nelle sentenze 
28 ottobre 1975, nella causa 37/75, RUTILI, in Racc. 1975, 1219, in questa Rassegna, 
1975, I, 838, con nota di BRAGUGLIA, e 7 luglio 1976, nella causa 118/75, WATSON, 

in Racc. 1976, 1185, e in questa Rassegna, 1976, I, 730, con nota di MARZANO. 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

blico, di pubblica sicurezza e di sanit� pubblica� (G.U. 1964, pag. 850), 
ai fini dell'esercizio del proprio sindacato giurisdizionale in un procedimento 
relativo all'istanza di un cittadino italiano, stabilitosi nel Regno 
Unito come lavoratore dipendente, intesa all'annullamento di un decreto 
di espulsione emesso nei confronti dell'interessato in seguito a condanna 
penale. 

� 2. �-Dal fascicolo di causa e dalle osservazioni presentate nella fase 
orale del procedimento risulta che il Regno Unito non ha adottato specifiche 
disposizioni legislative per l'attuazione della direttiva 64/221. La 
l�gge da applicare nella fattispecie, e cio� quella che disciplina l'immigrazione 
(� Immigration Act �), risale al 1971. Essa stabilisce che le persone 
qualificate �non patrials � (stranieri) sono soggette, nel Regno Unito, a 
controlli che implicano la possibilit� di espulsione nei seguenti casi: 

-a norma dell'art. 3, n. 5, di tale legge, 

�a) se [l'interessato], autorizzato solo ad entrare nel paese e a soggiornarvi 
temporaneamente, non rispetta una delle condizioni poste per 
il soggiorno o si trattiene oltre la scadenza prescritta nell'autorizzazione, 

o 
inoltre 
b) se il ministro giudica che la sua espulsione � necessaria nel pubblico
� interesse, o inoltre 
e) se un decreto di espulsione � o � stato adottato contro un altro 
membro 
della sua famiglia�; 
-a norma dell'art. 3, Il. 6, 

�se [l'interessato] � condannato per un'infrazione per cui � prevista 
una pena detentiva e se, a seguito della condanna, un giudice ne 
propone l'espulsione... �. 

�11 sistema di impugnazione � diverso a seconda dei casi: 

-in caso di applicazione del n. 5 di cui sopra, la decisione del .ministro 
di espellere lo straniero pu� venir impugnata dinanzi ad un � Adjudicator 
�, la cui pronunzia a sua volta � impugnabile dinanzi a11'� Immigrati011 
Appeal Tribuna!�; 

-nell'ipotesi in cui venga applicato il n. 6, la proposta di espulsione 
avanzata da �un� giudice pu� venir impugnata, mentre non � impugnabile 
feventuale successivo decreto di espulsione, n� si possono presentare 
osservazioni prima che venga adottata la decisione di emanare il provvedimento. 


3. -Dall'ordinanza di rinvio e dagli atti del fascicolo risulta che, il 
13 dicembre 1973, il ricorrente nella causa principale veniva dichiarato, 
dalla �Centra! Criminal Court �, reo di sodomia (� buggery �) e violenza 
carnale nei confronti di una prostituta (reati commessi il 18 dicembre 1972), 
nonch� d� atti di libidine violenti e lesioni nei confronti di un'altra prostituta 
(reati commessi il 14 aprile 1973). Il 21 gennaio 1974 egli veniva 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

condannato ad una pena detentiva di 8 anni complessivi per questi quattro 
reati. Nel pronunziare la sentenza, la � Central Criminal Court � proponeva 
l'espulsione dell'interessato in forza dell' � Immigration Act '" 

4. -Il 10 ottobre 1974, la � Court of Appeal (Criminal Division) � 
rifiutava al �ricorrente l'autorizzazione ad interporre appello sia avverso 
la condanna alla pena detentiva, sia avverso la proposta di espulsione. 
Il 28 settembre 1978, il Ministro dell'interno adottava nei confronti dell'interessato 
un decreto di espulsione, che doveva essere eseguito al termine 
del periodo di detenzione. Il 3 aprile 1979, dopo che aveva scontato 
la pena detentiva, ridotta di un terzo per buona condotta, il ricorrente 
avrebbe dovuto esser posto in libert�, ma, in ragione dell' � Immigration 
Act >>, non veniva rilasciato. Il 10 aprile 1979, egli proponeva alla � High 
Court � un ricorso inteso all'annullamento del decreto di espulsione e 
motivato nel senso che questo atto, emanato oltre quattro anni dopo la 
proposta di espulsione formulata dalla �Centrai Criminal Court �, avrebbe 
leso i suoi diritti soggettivi, in quanto incompatibile con l'art. 9, n. 1, 
della direttiva n. 64/221. 
5. -L'art. 48 del Trattato garantisce la libera circolazione dei lavoratori 
nell'ambito della Comunit�. Tale libert� implica, per tutti i cittadini 
degli Stati membri, fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di 
ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanit� pubblica, il diritto di 
spostarsi liberamente nel territorio degli Stati membri e di prendere 
dimora in uno Stato membro al fine di svolgervi un'attivit� di lavoro, 
conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministra~ 
tive che disciplinano l'occupazione per i lavoratori nazionali. 
6. -A termini del terzo punto del suo preambolo, la direttiva 
n. 64/221 persegue fra l'altro lo scopo di �offrire in ogni Stato membro, 
ai cittadini degli altri Stati membri, idonei mezzi di ricorso avverso gli 
atti amministrativi � nel settore dell'ordine pubblico, della pubblica sicurezza 
e della sanit� pubblica. 
7. -Secondo l'art. 8 della stessa direttiva, l'interessato deve poter 
esperire, avverso i provvedimenti adottati nei suoi confronti, �i ricorsi 
consentiti ai cittadini avverso gli atti amministrativi�; se ci� non � ammesso, 
l'interessato deve avere quanto meno, ai sensi dell'art. 9, la possibilit� 
di far valere i propri mezzi di difesa dinanzi ad un'autorit� competente 
diversa da quella cui spetta l'adozione del provvedimento di allonta� 
namento dal territorio dello Stato. 
8. -L'art. 9, n. 1, della direttiva dispone che: 
� Se non sono ammessi ricorsi giurisdizionali o se tali ricorsi sono 
intesi ad accertare soltanto la legittimit� dei provvedimenti impugnati 

o se essi non hanno effetto sospensivo, il provvediment� di. diniego del 
rinnovo del permesso di soggiorno o quello di allontanamento dal terri-,. 
I= 

f:j 
i= 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

733 

torio del titolare del permesso di soggiorno � adottato dall'autorit� amministrativa, 
tranne in casi di urgenza, solo dopo aver sentito il parere di 
un'autorit� competente del paese ospitante, dinanzi alla quale l'interessato 
deve poter far valere i propri mezzi di difesa e farsi assistere o rappresentare 
secondo la procedura prevista dalla legislazione di detto paese. 

La suddetta autorit� deve essere diversa da quella cui spetta l'adozione 
dei provvedimenti di diniego del rinnovo del permesso o di allontanamento 
dal territorio �, 

9. -~ noto che, nel diritto inglese, le impugnazioni ammesse contro 
un provvedimento di allontanamento riguardano unicamente la legittimit� 
dell'atto. Ne consegue che lo stesso .provvedimento di allontanamento 
dev'essere necessariamente emanato in conformit� a quanto disposto 
dall'art. 9 della direttiva, che prevede espressamente tale ipotesi. 
10. -Stando cos� le cose, la � High Court of England and Wales, 
Queen's Bench Division � � stata indotta a formulare le seguenti questioni: 
1) Se l'art. 9, n. 1, della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 

n. 64/221, conferisca ai singoli diritti che possono essere fatti valere 
dinanzi ai giudici nazionali e che questi devono tutelare. 
2) a) Quale sia il significato della frase � dopo aver sentito il parere 
di un'autorit� competente del paese ospitante� di cui all'art. 9, n. 1, della 
direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, n. 64/221 (�parere�); 

b) e, in particolare, se una proposta d'espulsione fatta da un 
giudice penale nell'emettere una sentenza di condanna (�proposta �) possa 
costituire un �parere�. 

3) In caso di soluzione affermativa della questione su 2 b): 

a) Se la � proposta � debba essere motivata in ogni sua parte. 

b) In quali circostanze, eventualmente, il lasso di tempo inter


corrente tra la formulazione della � proposta � e l'adozione di un provvedimento 
di espulsione escluda che la� proposta� costituisca un� parere�. 

e) In particolare, se il lasso di tempo trascorso scontando una 
pena detentiva abbia l'effetto di privare la �proposta� del carattere di 
�parere�. 

11. -L'art. 9, n. 1, della direttiva s'inquadra in un complesso di norme 
intese a garantire il rispetto dei diritti dei cittadini di uno Stato membro 
in materia di libera circolazione e di soggiorno nel territorio degli altri 
Stati membri. Gli artt. 3 e 4 della direttiva limitano le ragioni che possono 
giustificare l'espulsione del lavoratore o il rifiuto d'ingresso nei suoi 
confronti. L'art. 6 stabilisce che i motivi di ordine pubblico, di pubblica 
sicurezza o di sanit� pubblica sui quali si basa un dato provvedimento' � 
sono portati a conoscenza dell'interessato, salvo il caso che vi si oppongano 
motivi inerenti alla sicurezza dello Stato. L'art. 7 dispone fra l'altro 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

che il provvedimento di diniego del rilascio o del rinnovo del permesso 
di soggiorno o il provvedimento di allontanamento dal territorio � notificato 
all'interessato. L'art. 8 garantisce all'interessato la possibilit� di 
esperire i ricorsi consentiti ai cittadini avverso gli atti amministrativi. 

12. -Le disposizioni dell'art. 9 sono complementari rispetto a quelle 
dell'art. 8. Esse hanno lo scopo di offrire un minimo di garanzie procedurali 
alle persone colpite da uno dei provvedimenti corrispondenti alle 
tre ipotesi definite nel n. 1 dello stesso art. 9. Qualora i ricorsi giurisdizionali 
riguardino unicamente la legittimit� del provvedimento impugnato, 
l'intervento dell'� autorit� competente� di cui all'art. 9, n. l, deve consentire 
un esame esauriente di tutti i fatti e di tutte le circostanze, ivi 
.compresa l'opportunit� del provvedimento considerato, prima che questo 
venga definitivamente adottato. Inoltre, l'interessato deve poter far valere 
i propri mezzi di difesa e farsi assistere o rappresentare secondo la procedura 
prevista dalla legislazione nazionale. 
13. -In complesso, si tratta di norme precise e concrete, tali da 
poter esser fatte valere da qualsiasi persona interessata e quindi atte ad 
essere applicate da qualsiasi organo giurisdizionale. Questa constatazione 
induce a risolvere affermativamente la prima questione formulata dal 
giudice nazionale. 
14. -L'esigenza sancita dall'art. 9, n. 1, con 'lo stabilire che qualsiasi 
provvedimento di allontanamento dev'essere preceduto dal parere del1'
� autorit� competente� e che l'interessato deve poter far valere i propri 
mezzi di difesa e farsi rappresentare dinanzi a detta autorit� secondo la 
procedura prevista dalla legislazione nazionale, non pu� costituire una 
reale garanzia se non qualora tutti� gli elementi che l'autorit� amministrativa 
deve prendere in considerazione siano sottoposti alla valutazione 
dell'� autorit� competente�, il parere di questa sia abbastanza vicino nel 
tempo al provvedimento di allontanamento, s� da far presumere che non 
esistano nuovi elementi da prendere in considerazione, e tanto l'autorit� 
amministrativa quanto la persona interessata siano poste in grado -sempre 
salva l'ipotesi, contemplata dall'art. 6, in cui vi si oppongano motivi 
inerenti alla sicurezza dello Stato -di conoscere i motivi che hanno 
indotto I'� autorit� competente � ad emettere il parere. 
15. -Circa la questione relativa al significato dell'espressione � pa� 
rere di un'autorit� competente del paese ospitante� ed al se la proposta 
d'espulsione fatta da un giudice penale nell'emettere una sentenza 
di condanna costituisca un parere del genere, va rilevato che la direttiva 
non precisa la natura dell'� autorit� competente�, Essa fa riferimento ad 
organi indipendenti dall'autorit� amministrativa, ma lascia agli Stati membri 
un certo margine di valutazione discrezionale quanto alla natura di 
tali organi. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

16. -� pacifico che i giudici penali del Regno Unito sono organi 
indipendenti dall'autorit� amministrativa cui spetta l'adozione del decreto 
di espulsione, e che l'interessato ha il diritto di farsi rappresentare 
e di far valere i propri mezzi di difesa dinanzi a detti giudici. 
17. -La proposta d'espulsione fatta da un giudice penale nell'emettere 
una sentenza di condanna in forza della legislazione britannica 
pu�, quindi, costituire un parere ai sensi dell'art. 9 della direttiva, purch� 
siano soddisfatte tutte le altre condizioni poste dallo stesso articolo. 
Il giudice penale deve fra l'altro tener conto -com'� stato gi� 
sottolineato da questa Corte nella sentenza 27 ottobre 1977 (causa 
30/77, Boucherau, Racc. 1977, pag. 1999) -di quanto disposto dall'articolo 
3 della direttiva, nel senso che la sola esistenza di condanne penali 
non pu� automaticamente giustificare provvedimenti di allontanamento 
dal territorio dello Stato. 
18. -Quanto al momento in cui deve intervenire il parere della 
� autorit� competente �, si deve rilevare che un lasso di tempo di vari 
anni fra la proposta di espulsione e il provvedimento dell'autorit� amministrativa 
� atto a privare la proposta della sua funzione di parere 
ai sensi dell'art. 9.. � importante, infatti, che il danno sociale derivante 
dalla presenza di uno straniero sia valutato nel momento stesso in cui, 
nei confronti di questo, viene adottato il provvedimento di allontanamento, 
poich� i fattori di valutazione, in particolare quelli relativi al 
comportamento personale dell'interessato, possono mutare �con l'andar 
del tempo. 
19. -Queste considerazioni inducono a risolvere la seconda e la 
terza questione della � High Court of Justice � nel seguente modo: 
La direttiva lascia agli Stati membri un certo margine di valutazione 
discrezionale per la designazione dell' � autorit� competente�. Pu� 
essere considerata tale qualsiasi autorit� pubblica indipendente dalla 
autorit� amministrativa cui spetta l'adozione di uno dei provvedimenti 
contemplati dalla direttiva, organizzata in modo che l'interessato abbia 
il diritto di farsi rappresentare e di far valere i propri mezzi di difesa 
dinanzi ad essa. 

La proposta di espulsione fatta da un giudice penale nell'emettere 
una sentenza di condarma in forza della legislazione britannica pu� 
costituire un parere ai sensi dell'art. 9 della direttiva, purch� siano soddisfatte 
tutte le altre condizioni poste dallo stesso articolo. Il giudice 
penale deve fra l'altro tener conto di quanto disposto dall'art. 3 della 
direttiva, nel senso che la sola esistenza di condanne penali non pu� 
automaticamente giustificare provvedimenti di allontanamento dal territorio 
dello Stato. 

Il parere dell'� autorit� competente � dev'essere abbastanza vicino 
nel tempo al provvedimento di allontanamento, s� da far presumere 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ..O STATO

736 

che non esistano nuovi elementi da prendere in considerazione, e tant<> 
l'autorit� amministrativa quanto la persona interessata devono essere 
poste in grado -sempre salva l'ipotesi, contemplata dall'art. 6, in cui 
vi si oppongano motivi inerenti alla sicurezza dello Stato -di conoscere 
i motivi che hanno indotto I'� autorit� competente � ad emettere� 
il parere. 

Un lasso di tempo di vari anni fra la proposta di espulsione e il. 
provvedimento dell'autorit� amministrativa � atto a privare la proposta 
della sua funzione di parere ai sensi dell'art. 9. � importante, infatti, 
che il danno sociale derivante dalla presenza di uno straniero sia valutato 
nel momento stesso in cui, nei confronti di questo, viene adottato 
il provvedimento di allontanamento, poich� i fattori di valutazione, in 
particolare quelli relativi al comportamento personale dell'interessato,. 
possono mutare con l'andar del tempo. (omissis) 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 26 giugno 1980,. 
nella causa 808/79 -Pres. Kutscher -Avv. Gen. Reischl -Domanda di 
pronuncia pregiudiziale proposta dal Presidente del Tribunale di 
Lucca in procedimento per ammortamento di titolo nominativo promossa 
dalla Ditta F.lli Pardini S.p.A. (avv.ti Ubertazzi e Capelli). 
lnterv.: Governo italiano (avv. Stato Marzano) e Commissione delle� 

C.E. (ag. Berardis). 
Comunit� europee � Unione doganale � Licenza d'esportazione con restituzione 
prefissata � Furto del tifolo � Conseguenze. 

(Regolamento CEE del Consiglio 29 ottobre 1975, n. 2727, artt. 9, 12, 15 e 16; regola-mento 
CEE della Commissione 17 gennaio 1975, n. 193, artt. 17 e 20). 

L'art. 17 n. 7 del regolamento della Commissione 17 gennaio 1975,. 

n. 193, che stabilisce le modalit� comuni d'applicazione del regime dei 
titoli d'importazione, d'esportazione e di fissazione anticipata relativi ai 
prodotti agricoli, va interpretato nel senso che l'esportatore cui sia stato� 
rubato un titolo di esportazione o di prefissazione non pu� ottenere un 
nuovo titolo, o un documento equivalente, che gli consenta di effettuare 
le operazioni di esportazione alle condizioni previste dal titolo rubato. 
Il rischio sopportato dagli operatori a causa della disposizione suddet-�. 
ta non � sproporzionato in rapporto alle esigenze di controllo. 
(1) La sentenza 30 gennaio 1974, nella causa 158/73, KAMPFFMEYER, citata 
al punto n. 6 della sentenza annotata, -con la quale la Corte si � occupata 
delle conseguenze dello smarrimento della licenza d'importazione riguardo alla 
cauzione prestata (sotto il regime dei regolamenti CEE 13 giugno 1967 n. 120' 
del Consiglio e 10 luglio 1970 n. 1373 della Commissione) -, � pubblicata in 
questa Rassegna, 1974, I, 132, con nota. Ancora in tema di perdita della licenza 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

737 

(omissis) IN DIRITTO. 1. -Con ordinanza del 28 novembre 1979, pervenuta 
alla Corte il 3 dicembre seguente, il Presidente del Tribunale di 
Lucca ha posto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni 
relative all'interpretazione ed alla validit� dell'art. 17, n. 7, del regolamento 
della Commissione 17 gennaio 1975, n. 193, che stabilisce le modalit� 
comuni d'applicazione del regime dei titoli d'importazione, di esportazione 
e di fissazione anticipata relativi ai prodotti agricoli (G. U. 

n. �L 25, pag. 10). Detto n. 7 prevede che i duplicati eventualmente rilasciati 
nel caso di perdita di titoli non possono essere presenti al fine 
di effettuare operazioni d'importazione o di esportazione. 
2. -Le questioni sono poste nell'ambito di un procedimento pro� 
mosso da un'impresa italiana che si dichiara vittima del furto, fra 
l'altro, di un titolo d'esportazione con restituzione prefissata relativo 
a 12.500 tonnellate di semola di grano duro ed intende ottenere l'annul� 
lamento e la sostituzione del titolo rubato per poter effettuare l'esportazione 
sulla base del nuovo documento richiesto alle stesse condizioni 
previste dal titolo rubato. 
3. -Ai termini dell'art. 12 del regolamento del Consiglio 29 ottobre 
1975, n. 2727, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel 
settore dei cereali (G. U. n. L 281, pag. 1), tutte le importazioni o esportazioni 
comunitarie dei prodotti oggetto del regolamento sono subordinate 
alla presentazione di un titolo valido in tutta la Comunit�, per 
il cui rilascio � necessaria la costituzione di una cauzione a garanzia dell'impegno 
di importare o di esportare durante il periodo di validit� del 
titolo. Dal 12� � considerando � del regolamento risulta che il sistema di 
emissione dei titoli deve consentire alle autorit� competenti "di seguire 
in permanenza il movimento degli scambi per poter valutare l'evoluzione 
del mercato e applicare eventualmente le misure necessarie previste dal... 
regolamento �. Inoltre, qualora il prelievo o la restituzione siano fissati 
in anticipo, la fissazione, ai sensi dell'art. 12 del regolamento, � indicata 
sul titolo che vale giustificazione della prefissazione. Ne consegue che 
i titoli di prefissazione possono essere di estrema importanza qualora 
d'importazione, cfr. la sentenza della Corte di Giustizia 27 marzo 1980, nella 
causa 133/79, SUCRIMEX. 

Per alcune applicazioni del principio di proporzionalit�, principio generale 
di diritto comunitario, v., fra le pi� recenti, le sentenze della Corte di Giustizia 
26 giugno 1980, nella causa NATIONAL PANASONIC; 19 giugno 1980, nelle cause 
41-121-796/79, TESTA-MAGGIO-VITALE; 12 luglio 1979, nella causa 166/78, ITALIA c. 
CONSIGLIO C.E., in Racc. 1979, 2575 e in Foro it., 1980, IV, 174; 28 giugno 1980, 
nelle cause 233-234-235/78, BENEDIKT, in Racc. 1919, 2305; 21 giugno 1979, nella 
causa 240/78, ATALANTA, in Racc. 1979, 2137; 5 aprile 1979, nella causa 157/78, 
TRAWIGO, in Racc. 1919, 1657, e in Foro it., 1980, IV, 78; 28 marzo 1979, nella 
causa 179/78, RIVOIRA, in Racc. 1979, 1147; 20 febbraio 1979, nella causa 122/78, 
BUITONI, in Racc. 1979, 677, e in Foro it. 1980, IV, 184. 



738 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'aliquota del prelievo o della restituzione che si applica il giorno dell'operazione 
differisca sensibilmente da quella prefissata. 

4. -Il n. 2 dell'art. 12 prevede che il periodo di validit� dei titoli 
e le altre modalit� di applicazione dell'articolo stesso siano stabilite 
secondo la procedura detta � del comitato di gestione �. Sulla base di 
detta disposizione, e di quelle corrispondenti dei regolamenti relativi 
ad altri prodotti agricoli, la Commissione ha adottato il citato regolamento 
n. 193/75, il cui art. 17, n. 7, recita: 
� In caso di perdita del titolo o dell'estratto, gli organismi emittenti 
possono, a titolo eccezionale, rilasciare all'interessato un duplicato 
di detti documenti, compilato e vistato come i documenti originali 
e recante chiaramente la dicitura "duplicato" su ciascun esemplare. 

I duplicati non possono essere presentati per le operazioni d'importazione 
o di esportazione �. 

5. -Accanto a detta disposizione litigiosa, � opportuno richiamare, 
per gli scopi della presente causa, l'art. 20, n. l, dello stesso regolamento, 
il quale recita: 
�Se, per causa di forza maggiore, l'importazione o l'esportazione 
non pu� essere effettuata nel periodo di validit� del titolo, lo Stato 
membro emittente decide, su domanda del titolare, l'annullamento dell'obbligo 
di importare o di esportare e quindi lo svincolo della cauzione, 
oppure la proroga della validit� del titolo per il periodo ritenuto necessario 
in relazione alla circostanza addotta. 

In caso di proroga del titolo, l'organismo emittente appone il 
proprio visto sullo stesso e, se del caso, sui relativi estratti e vi procede 
agli adattamenti necessari �. 

6. -In proposito � anche opportuno richiamare la sentenza del 
30 gennaio 1974 in causa 158/73, Kampffmeyer c. Einfuhr-und Vorratsstelle 
fiir Getreide und Futtermittel (Racc. pag. 101), ove, risolvendo 
questioni pregiudiziali poste nell'ambito di una controversia concernente 
la liberazione della cauzione nel caso di perdite del titolo, la Corte ha 
statuito che � lo smarrimento della licenza d'importazione rappresenta 
un caso di forza maggiore ai sensi dell'art. 18 del regolamento n. 1373/70 
(disposizione corrispondente all'art. 20 del regolamento n. 193/75) se 
tale evento si � verificato nonostante le precauzioni prese dal titolare 
della licenza, il cui comportamento pu� considerarsi improntato a normali 
criteri di prudenza e di diligenza �. � quindi assodato che, se il 
titolare non pu� eseguire l'operazione a causa della perdita del certi� 
ficato :avvenuta in circostanze del .genere, pu� ottenere fa liberazione 
della cauzione. Egli pu� inoltre, secondo le norme generali, ottenere un 
nuovo titolo, eventualmente con nuova prefissazione, ma, in tal caso, 
con l'aliquota che si applica il giorno della presentazione della domanda 
di nuovo titolo. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Sull'interpretazione dell'art. 17, n. 7. 

7. -La prima questione del giudice di rinvio � la seguente: 
�Se l'art. 17, par. 7, 1� e 2� comma, del regolamento n. 193/75 
debba essere interpretato nel senso che un esportatore al quale sia stato 
rubato un titolo di esportazione, valido per l'intera Comunit�, con prefissazione 
di restituzione, non possa pi� chiedere ed ottenere un nuovo titolo 

o documento equipollente rilasciato da un'autorit� nazionale, che gli consenta 
di eseguire le operazioni di esportazione prima o dopo la scadenza 
del termine di validit� del titolo rubato, subendo cos� la perdita integrale 
delle restitUzioni prefissate in base a detto titolo�. 
8. -La ricorrente nel procedimento principale sostiene che l'art. 17, 
n. 7, del regolamento n. 193/75 disciplina esclusivamente la situazione 
dell'operatore che, avendo perduto il titolo, non intende adempiere gli 
obblighi da esso derivanti, pur volendo ottenere la liberazione della cauzione. 
L'ipotesi, invece, dell'operatore che voglia effettuare l'operazione 
nonostante la perdita del titolo sarebbe prevista soltanto all'art. 20 del 
regolamento, e solo in generale, mancando una disciplina specifica per 
tale caso. 
9. -Lo stesso tenore letterale degli articoli in questione consente 
di scartare questo argomento. Dall'art. 20 risulta in effetti chiaramente 
che esso non riguarda il rilascio di un duplicato o di un nuovo titolo 
che possa essere presentato� per l'esecuzione dell'operazione alle stesse 
condizioni previste nel titolo perduto. La sola disposizione concernente 
l'emissione di documenti del genere � invece l'art. 17, n. 7, il cui secondo 
comma prevede espressamente che i duplicati, rilasciati ai termini del 
primo comma, non possono essere presentati per le operazioni d'importazione 
o di esportazione. 
10. -La ricorrente nel procedimento principale sostiene poi che 
l'art. 17, n. 7, non contempla il caso del furto. Il diritto italiano opererebbe 
una distinzione fra la perdita, la sottrazione -compreso il furto -e 
la distribuzione e, in tale ottica, il diritto italiano concorderebbe con 
quello degli altri Stati membri. Poich� tutti gli ordinamenti giuridici 
contemplerebbero la riproduzione di documenti e riconoscerebbero alle 
copie efficacia sostanzialmente uguale a quella dell'originale, l'art. 17, n. 7, 
presenterebbe carattere derogatorio e dovrebbe pertanto essere interpretato 
restrittivamente. Per di pi�, dal punto di vista dl controllo, il caso 
del furto non comporterebbe lo stesso rischio della perdita propriamente 
detta, poich� il furto verrebbe portato a conoscenza della polizia mediante 
denuncia, che darebbe luogo, a sua volta, ad un'indagine. 
11. -Il termine �perdita� ai sensi dell'art. 17, par. �1, deve essere 
interpretato tenendo conto della funzione che tale paragrafo assolve nel 
sistema comunitario dei titoli.. Secondo tale sistema, la presentazione ef

740 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fettiva del certificato � richiesta non solo per il compimento di qualsiasi 
operazione, ma anche per la liberazione della cauzione (art. 17, nn. 2 e 3). 
Se il certificato � stato perduto dopo il compimento dell'operazione, il 
duplicato rilasciato ai sensi dell'art. 17, n. 7, e vistato dall'ufficio ove 
sono state espletate le formalit� doganali consente di ottenere la liberazione 
della cauzione. Parimenti, nel caso di furto avvenuto dopo il compimento 
dell'operazione, il possesso di un duplicato � necessario per 
svincolare la cauzione. Non v'� quindi ragione di non ricomprendere tale 
caso nel campo d'applicazione dell'art. 17, n. 7, 1� comma. Se il rilascio 
di un duplicato, che serve unicamente allo svincolo della cauzione, non 
pu� dar luogo a doppio uso, la situazione sarebbe tutt'altra nel caso di 
un duplicato che potesse servire al compimento dell'operazione stessa. 
Non � escluso che l'operazione sia gi� stata effettuata sulla base del 
titolo perduto. Se l'operazione non � ancora stata eseguita, e se il periodo 
di validit� non � ancora spirato, il titolo perduto pu� ancora, in linea di 
principio, essere presentato, in tutta la Comunit�, per l'effettuazione dell'operazione. 
Per tal motivo il 2� comma del paragrafo litigioso vieta di 
procedere all'operazione sulla base di un duplicato. Il problema si presenta 
allo stesso modo per un titolo rubato. Il 2� comma, vista la sua 
finalit�, va quindi interpretato come comprendente il caso del furto. 

12. -La soluzione da dare alla prima questione � quindi che l'art. 17, 
n. 7, del regolamento n. 193/75 deve essere interpretato nel senso che 
l'esportatore cui sia stato rubato un titolo di esportazione o di prefissazione 
non pu� ottenere un nuovo titolo, od un documento equivalente, 
che gli consenta di effettuare le operazioni d'esportazione alle condizioni 
previste dal titolo rubato. 
Sulla validit� dell'art. 17, n. 7. 

13. -Per il caso di soluzione affermativa della prima questione, 
il giudice di rinvio chiede che la Corte si pronunzi sulla questione seguente: 
�Se l'art. 17, par. 7, del regolamento CEE n. 193/75 sopra citato, 
che applica una sanzione gravissima a un operatore il quale senza sua 
colpa sia stato derubato di un titolo di esportazione, sia compatibile con 
il principio di proporzionalit� alla luce della giurisprudenza della Corte 
di giustizia, tenendo presente che il regolamento contestato � un regolamento 
della Commissione e non un regolamento del Consiglio dei Ministri 
CEE�. 

14. -� opportuno rilevare, in via preliminare, che le disposizioni di 
regolamento in parola non possono essere intese come comminanti all'operatore, 
in caso di perdita del titolo, una �sanzione� in senso proprio. 
Si tratta, in realt�, di valutare le conseguenze che il legislatore comu

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

nitario ha collegato al fatto della perdita del titolo, qualunque ne sia 
la causa in ciascuna fattispecie ed indipendentemente dall'eventuale responsabilit� 
dell'operatore interessato. In proposito, il giudice a quo 
indica, col tenore stesso della sua questione, le due considerazioni che 
l'hanno indotto a dubitare della validit� della disposizione litigiosa: il 
-problema della proporzionalit� e quello dei limiti eventuali del potere 
�che il regolamento attribuisce alla Commissione. 

15. -Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, la ricorrente nel pro-
cedimento principale distingue fra il diritto a compiere un'operazione di 
importazione o d'esportazione ed il documento che tale diritto attesta. 
Il primo sarebbe disciplinato dai regolamenti del Consiglio, che abiliterebbe 
poi, a loro volta, la Commissione a regolare le questioni di forma 
e le modalit� d'applicazione relative al documento. Al riguardo sarebbe 
significativa la constatazione che, per delegare alla Commissione la competenza 
a disciplinare la durata della validit� dei certificati, � stata ritenuta 
necessaria una formulazione in termini espressi. La Commissione non 
sarebbe quindi abilitata a stabilire che la perdita del documento comporti 
l'estinzione del diritto. 
16. -Il secondo paragrafo dell'art. 12 del regolamento del Consi� 
:glio n. 2727/75 prevede che � il periodo di validit� dei titoli e le altre 
modalit� d'applicazione del presente articolo sono stabiliti secondo la 
-procedura di cui all'art. 26 � (procedura detta � del comitato di gestione
�). Da questo testo discende che il Consiglio ha attribuito alla Commissione 
un ampio potere di messa in opera del sistema di titoli istituito dal 
.citato art. 12. Ne risulta, soprattutto, che la durata del periodo di validit� 
dei certificati � solo un esempio delle modalit� che possono essere stabilite 
dalla Commisisone. D'altronde, la funzione assegnata ai titoli nel primo 
paragrafo dell'art. 12 non consente di distinguere fra il diritto ad 
effettuare l'operazione ed il documento che costituirebbe semplicemente 
:supporto del diritto. Il primo paragrafo subordina, in linea di principio, 
tutte le operazioni con i paesi terzi alla presentazione di un titolo, per 
porre le autorit� competenti in condizioni di seguire in permanenza il movimento 
degli scambi. Per di pi�, in caso di prefissazione, lo stesso paragrafo 
assegna al titolo la funzione di valere giustificazione della prefissazione. 
Tenuto conto di tale ruolo essenziale del documento stesso, il controllo 
del suo impiego acquista importanza particolare. Se la norma litigiosa 
appare necessaria ad assicurare un controllo efficace, non si pu� 
.quindi supporre che la Commissione, nell'adottarla, abbia oltrepassato 
le proprie competenze. 
17. -Per stabilire se la disposizione litigiosa sia compatibile con 
il principio di proporzionalit�, si debbono anzitutto ricercare gli obiettivi 
della normativa in questione. Come la Corte ha gi� avuto occasione di 
sottolineare per il regime della cauzione, � necessario che le autorit� 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

742 

incaricate di gestire l'organizzazione comune dei mercati dispongano di 
previsioni precise sulle importazioni ed esportazioni future. Se tale finalit� 
esige che venga assicurata con mezzi appropriati l'osservanza dell'impegno 
di esportare o di importare conformemente ai titoli rilasciati, 
essa comporta anche la necessit� di vegliare a che i titoli siano usati soltanto 
per le operazioni cui si riferiscono. Nel caso di titoli con prefissazione, 
questa necessit� � ancor pi� imperiosa, poich� il doppio uso di 
titoli del genere pu� comportare vantaggi ingiustificati per gli operatori 
e pertanto pesanti oneri finanziari per la Comunit�. 

18. -Al riguardo, il divieto disposto dall'art. 17, n. 7, di procedere 
all'operazione sulla base di semplici duplicati, rappresenta una misura 
nello stesso tempo semplice ed efficace. D'altro lato, il divieto comporta 
per gli operatori li rischio di perdere, anche senza colpa da parte loro, i 
vantaggi connessi ai titoli originari. 
19. � evidente che gi� la semplice possibilit� dell'esistenza simultanea 
di pi� documenti relativi ad una st�ssa operazione e suscettibili di 
essere presentati per la sua esecuzione deve essere accompagnata da un 
sistema di controllo. Se � vero che tutte le legislazioni nazionali contemplano, 
come sottolinea la ricorrente nel procedimento principale, sanzioni 
penali molto severe in caso di frode, l'efficacia di tali sanzioni dipende 
proprio dall'efficacia del controllo che consenta di accertare la frode. 
Per di pi�, il doppio uso di un titolo non � sempre necessariamente l'effetto 
di un'intenzione fraudolenta, ma pu� anche essere causato da manchevolezze 
nel sistema di controllo interno della societ� detentrice del 
titolo. Parimenti, nemmeno l'imposizione di una cauzione supplementare 
alla societ� che chiede un duplicato del certificato smarrito o rubato, 
come propone la richiedente nel procedimento principale, eliminerebbe la 
necessit� di un controllo preliminare allo svincolo di tale cauzione. 
20. -Per quanto riguarda i metodi di controllo, la Commissione 
rileva che, in ogni caso in cui fosse stato rilasciato un duplicato utilizzabile 
per l'esecuzione dell'operazione, si dovrebbe procedere a verifiche 
riguardanti, in quasi tutti gli Stati membri, decine di migliaia di pratiche 
e, . in ogni caso, un periodo di tempo che va dal giorno di emissione del 
certificato fino a sei mesi dopo la sua data di scadenza. Da dieci anni la 
Commissione e gli Stati membri discuterebbero la possibilit� di istituire 
altri metodi di controllo, senza aver trovato un sistema che offra garanzie 
sufficienti contro il rischio di doppio uso. 
21. -Cos� stando le cose, si deve esaminare la situazione degli operatori 
alla luce della normativa in vigore. Il rischio da loro sopportato 
deriva, in primo luogo, dal sistema di prefissazione creato nell'interesse 
del commercio e che, normalmente, fornisce agli operatori vantaggi considerevoli. 
Se, richiedendo la prefissazione, gli operatori fruiscono di detti 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 743 

vantaggi, si giustifica quindi che sopportino gli inconvenienti derivanti 
dalla necessit�, per la Comunit�, di evitare qualsiasi abuso. Si giustifica 
soprattutto che dai detentori dei certificati ci si attenda che essi ne abbiano 
la massima cura possibile e che si assicurino contro i rischi che non 
possono essere esclusi, nella stessa misura in cui si assicurano contro 
altri rischi commerciali. 

22. -Per questi motivi, il rischio sopportato dagli operatori a causa 
della disposizione di cui all'art. 17, n. 7, del regolamento n. 193/75 non � 
sproporzionato in rapporto alle esigenze di controllo. 
Si deve quindi risolvere la seconda questione nel senso che l'esame 
della disposizione criticata non ha posto in luce alcun elemento tale da 
inficiarne la validit�. (omissis) 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 3� sezione, 10 luglio 
1980, nella causa 826/79 -Pres. Kutscher -Avv. Gen. Warner Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di Cassazione 
italiana nella causa Amministrazione delle Finanze c. s.a.s. Mireco 
(avv. Catalano). Interv.: Governo italiano (avv. Stato Marzano 
e Braguglia) e Commissione delle Comunit� europee (ag. Fabro). 

Comunit� europee -Unione doganale -Tasse di effetto ,equivalente a 
dazi doganali -Diritti di visita sanitaria non dovuti -Richiesta di 
rimborso -Rinvio all'ordinamento giuridico nazionale -Limiti. 
(Trattato CEE, artt. 12 e segg.; regolamenti CEE del Consiglio 5 febbraio 1964, n. 14, 

art. 12, e 27 giugno 1968, n. 805, art. 20). 

Comunit� europee -Unione doganale -Tasse all'importazione indebitamente 
p,ercepite -Traslazione della tassa sull'acquirente della merce Richiesta 
di rimborso da parte dell'importatore -Limiti derivanti 
dal diritto interno -Compatibilit� con il diritto comunitario. 
(Trattato CEE, artt. 12 e segg.). 

In mancanza di una normativa comunitaria in materia di contestazione 
o di recupero di tasse nazionali pretese illegittimamente o riscosse 
indebitamente, poich� incompatibili col diritto comunitario, � l'ordinamento 
giuridico interno di ciascuno Stato membro che designa il giudice 
competente e stabilisce le modalit� procedurali delle azioni giudiziali intese 
a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme 
comunitarie aventi efficacia diretta, modalit� che non possono, benin


(1-2) Con la sentenza sopra riportata (e con quella coeva, quasi identica, 
emessa nella causa 811/79, su domanda di pronuncia pregiudiziale proposta 
dalla Corte d'Appello di Torino nella causa AMMINISTRAZIONE FINANZE c. Soc. 
ARIETE) la Corte di Giustizia ha ribadito quanto gi� deciso con la sentenza 27 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO .STATO

744 

teso, essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghe azioni del sistema 
processuale nazionale, n�, in alcun caso, possono essere strutturate 
in modo da rendere praticamente impossibile l'esercizio dei diritti che i 
giudici nazionali sono tenuti a tutelare (l). 

Nulla impedisce, dal punto di vista del diritto comunitario, che i giudici 
nazionali tengano conto, conformemente al proprio diritto interno, 
del fatto che tasse indebitamente percepite abbiano potuto essere incorporate 
nei prezzi dell'impresa assoggettata alla tassa e trasferite sugli 
acquirenti (2). 

(omissis) 4. -Le questioni poste riguardano in sostanza il punto se 
il diritto comunitario e, fra l'altro, le norme relative alla libera circolazione 
delle merci, i principi relativi al corretto svolgersi della concorrenza 
nel mercato comune ed, infine, il sistema di garanzia giurisdizionale dei 
diritti discendente, in particolare, dagli artt. 171, 177 e 189 del Trattato 
consentano o facciano obbligo, od eventualmente vietino -e, in tal caso, 
a quali condizioni -agli Stati membri di accogliere domande di rimborso 
di imposizioni nazionali del genere di quelle oggetto della controversia 
principale o se, al contrario, la disciplina della materia sia di competenza 
dell'ordinamento interno di ciascuno Stato membro. 

5. -La motivazione dell'ordinanza di rinvio indica che le questioni 
di cui la Corte � investita sono poste in vista di una soluzione che si 
applichi all'ipotesi in cui le imposizioni litigiose siano state, per un lungo 
periodo, versate volontariamente e senza riserva dagli operatori economici 
interessati, nella convinzione, comune ad essi ed all'amministrazione 
nazionale, che tali imposizioni non fossero criticabili quanto alla compatibilit� 
col diritto comunitario. L'incompatibilit� sarebbe apparsa solo 
pi� tardi e progressivamente, in seguito all'interpretazione, data dalla 
marzo 1980, nella causa 61/79, DENKAVIT (in questa Rassegna, retro, I, 534, con 
nota di MARZANO, La restituzione di somme indebitamente riscosse come forma 
di risarcimento rilevante nell'ambito dell'ordinamento comunitario), confermando 
che, in mancanza di una normativa comunitaria in materia, la soluzione 
del problema va ricercata nell'ambito di ciascun ordinamento giuridico nazionale. 
Nello stesso solco la Corte con sentenza 12 giugno 1980, nella causa 
130/79, EXPRESS DAIRY Fooos LIMITED, aveva gi� deciso che spetta pur sempre 
alle autorit� nazionali provvedere alla restituzione delle somme indebitamente 
percepite anche in forza di regolamenti comunitari dichiarati invalidi, ed � 
<:ompito di dette autorit� disciplinare tutte le questioni accessorie, come la 
presa in considerazione dell'eventuale trasferimento su altri operatori economici 

o sui consumatori dell'onere dell'indebito pagamento, e come il pagamento di 
interessi, in funzione del diritto interno vigente in materia, fermo sempre che 
deve avvenire in modo non discriminatorio rispetto ai procedimenti puramente 
nazionali, intesi alla definizione di controverise dello stesso tipo, e le formalit� 
procedurali non devono risolversi nel rendere praticamente insuperabile l'esercizio 
dei diritti conferiti dall'ordinamento comunitario. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Corte di giustizia, della nozione di tassa di effetto equivalente a dazio do_
ganale, interpretazione che portava la Corte a riconoscere detta qualifica.
zione alle tasse di controllo sanitario per la-prima volta nella sentenza 
14 dicembre 1972 (causa 29/72, Marimex c. Amministrazione delle finanze 
.dello Stato, Racc. pag. 1309). 

6. -Secondo la costante giurisprudenza della Corte, il divieto di 
riscuotere tasse di effetto equivalente a dazi doganali, fondato sia sulla 
.norma generale di cui all'art. 13 del Trattato, con efficacia dal 1� gennaio 
1970, cio� dal termine del periodo transitorio, sia sulla disposizione spe
�ciale di cui all'art. 12 del regolamento n. 14/64, con efficacia -per 
-quanto riguarda i prodotti oggetto di tale regolamento -dal 1� novembre 
1964, produce effetti diretti nelle relazioni fra gli Stati membri ed i 
singoli nell'intera Comunit� a partire dalla data prevista per la messa 
in opera delle disposizioni in questione. Come la Corte ha affermato nella 
sentenza 3 marzo 1978 (causa 106/77, Amministrazione delle finanze dello 
Stato c. Simmenthal, Racc. pag. 643), le norme di diritto comunitario 
devono esplicare la pienezza dei loro effetti, in maniera uniforme in tutti 
gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la 
<il.urata della loro validit�. 
7. -Del resto, l'interpretazione di una norma di diritto comunitario 
data dalla Corte nell'esercizio della competenza ad essa attribuita dall'art. 
177 chiarisce e precisa, quando ve ne sia il bisogno, il significato e 
la portata della norma, quale deve, o avrebbe dovuto, essere intesa ed 
applicata dal momento della sua entrata in vigore. Ne risulta che la norma 
cos� interpre~ata pu�, e deve, essere applicata dal giudice anche a rapporti 
giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa, se, 
per il resto, sono soddisfatte le condizioni che consentono di portare alla 
cognizione dei giudici competenti una controversia relativa all'applicazione 
di detta norma. 
8. -Soltanto in via eccezionale la Corte di giustizia, come ha essa 
stessa riconosciuto nella sentenza 8 aprile 1976 (causa 43/75, Defrenne c. 
Sabena, Racc. pag. 455), potrebbe essere indotta, in base ad un principio 
generale di certezza del diritto, inerente all'ordinamento giuridico comunitario, 
e tenuto conto dei gravi sconvolgimenti che la sentenza potrebbe 
provocare per il passato nei rapporti giuridici stabiliti in buona fede, a 
limitare la possibilit� degli interessati di far valere la disposizione cosi 
interpretata per rimettere in questione tali rapporti giuridici. 
9. -Una limitazione del genere pu� tuttavia essere ammessa soltanto 
nella sentenza stessa relativa all'interpretazione richiesta. L'esigenza 
fondamentale dell'applicazione uniforme e generale del diritto comunitario 
implica Ja competenza esclusiva della Corte di giustizia a decidere 
sulla delimitazione temporale degli effetti dell'interpretazione da essa data. 

746 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

10. -Si deve tuttavia osservare che, qualora la conseguenza di una 
norma di diritto comunitario consista nel divieto, con gli effetti e alle 
date sopra indicati, di riscuotere tasse od oneri nazionali, la tutela dei 
diritti che l'efficacia diretta di tale divieto attribuisce ai singoli non 
richiede necessariamente che le condizioni di forma e di sostanza, al cui 
rispetto sono subordinati la contestazione o il recupero di dette tasse 
nazionali, molto varie, si ispirino ad un principio uniforme e comune 
agli Stati membri. 
11. -Dall'esame comparativo dei sistemi nazionali risulta che il 
problema della contestazione di tasse illegittimamente pretese, o della 
restituzione di tasse indebitamente pagate, � risolto in modi diversi nei 
diversi Stati membri e, persino, all'interno di uno stesso Stato, a seconda 
dei diversi tipi di imposte e di tasse in questione. In determinati casi, 
contestazioni o richieste del genere sono assoggettate dalla lagge a condizioni 
precise di forma e di termine, per quanto riguarda sia i reclami 
rivolti all'amministrazione fiscale, sia i ricorsi giurisdizionali. 
12. -In altri casi, i ricorsi diretti ad ottenere il rimborso di tasse 
non dovute devono essere proposti dinanzi alle giurisdizioni ordinarie, 
sotto la forma, in particolare, di azioni di restituzione dell'indebito. Tale 
diritto d'agire si esercita entro termini pi� o meno lunghi, in determinati 
casi entro il termine di prescrizione ordinaria, cosicch� gli Stati membri, 
in caso di constatazione dell'incompatibilit� con le esigenze del diritto 
comunitario di disposizioni fiscali nazionali, possono trovarsi di fronte 
ad un rilevante cumulo di reclami. 
13. -Dalle sentenze del 16 dicembre 1976 (Rewe e Carnet, cause 33 
e 45/76, Racc. pag. 1989 e pag. 2043) risulta che, secondo il principio della 
collaborazione, enunciato dall'art. 5 del Trattato CEE, � compito dei giudici 
degli Stati membri garantire la tutela. giurisdizionale spettante ai 
singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta. 
Allo stato attuale del diritto comunitario ed in mancanza di una normativa 
comunitaria in materia di contestazione o di recupero di tasse nazionali 
pretese illegittimamente o riscosse indebitamente, � l'ordinamento 
giuridico interno di ciascuno Stato membro che designa il giudice competente 
e stabilisce le modalit� procedurali delle azioni giudiziali intese 
a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme 
comunitarie aventi efficacia diretta, modalit� che non possono, beninteso, 
essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghe azioni del sistema 
processuale nazionale, n�, in alcun caso, possono essere strutturate in 
modo da rendere praticamente impossibile l'esercizio dei diritti che i 
giudici nazionali sono tenuti a tutelare. 
14. -� necessario precisare in proposito che la tutela dei diritti 
garantiti in materia dall'ordinamento giuridico comunitario non esige 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA t! INTERNAZIONALE 747 

che si conceda la restituzione di tasse indebitamente percepite a condizioni 
tali da causare un indebito arricchimento degli aventi diritto. 

15. -Il sistema di garanzie cos� risultante, per i singoli, dalla combinazione 
dell'efficacia diretta delle disposizioni del diritto comunitario 
con le particolarit� delle legislazioni nazionali, che, nei diversi Stati membri, 
disciplinano le condizioni di forma e di sostanza relative alla contestazione 
di imposizioni nazionali od al recupero di quelle versate indebitamente, 
non pu� essere considerato incompatibile n� con gli artt. 9, 12, 
13, 92, 93 e 95 del Trattato CEE, n� pi� in generale, con i principi di diritto 
comunitario relativi alla libera circolazione delle merci, alla creazione 
di un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel 
'mercato comune e al divieto di discriminazione in materia fiscale. Le 
disposizioni cui si riferisce l'ordinanza di rinvio non sono di ostacolo 
alle differenze di trattamento risultanti dalle disparit� fra le legislazioni 
fiscali interne relative, in particolare, alla contestazione di imposizioni 
nazionali. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 2" sezione, 16 ottobre 
1980, nelle cause riunite 824 e 825/79 -Pres. Pescatore -Avv. 
Gen. Warner -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla 
Corte di Cassazione nella causa s.a.s. Prodotti Alimentari Folci c. 
Amm.ne Finanziaria -Interv.: Governo italiano {avv. Stato Fiumara) 

c. Commissione Comunit� europee (ag. Prozzillo). 
Comunit� europee -Unione doganale -Tariffa doganale comune -Voce 

07.04 -Preferenze generalizzate in favore dei paesi in via di sviluppo 
-Funghi tagliati in fette o in peUJi. 
(Tariffa doganale comune: reg. CEE del Consiglio 28 giugno 1968, n. 950, mod. con reg. 
15 ottobre 1974, n. 2658, e 17 novembre 1975, n. 3000, voce 07.04; reg. CEE del Consiglio 
2 dicembre 1974, n. 3055, e 17 novembre 1975, n. 3011). 

La voce 07.04 �ex E-altri>>, di cui all'allegato A dei regolamenti del 
Consiglio 2 dicembre 1974, n. 3055, e 17 novembre 1975, n. 3011, che attuano, 
per gli anni 1975 e 1976, un sistema di preferenze generalizzate in 
favo re dei paesi in via di sviluppo per taluni prodotti dei capitoli da 1 a 
24 della tariffa doganale comune, va interpretata nel senso che l'aliquota 
ridotta non si applica ai funghi tagliati in pezzi o in fette, nemmeno se 
sono completi in tutte le loro parti (1). 

(1) La questione risolta dalla Corte -che interessa numerose controversie 
pendenti davanti ai giudici italiani -riguarda solo le importazioni avvenute 
negli anni 1975 e 1976. Per gli anni anteriori e successivi, invece, le norme 
comunitarie, che hanno attuato -anno per anno -il sistema di preferenze 
generalizzate in favore dei paesi in via di sviluppo per taluni prodotti della 

748 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) 2. -Le questioni sono poste nell'ambito di due controversie 
fra la S.a.s. Prodotti Alimentari Folci e l'Amministrazione delle Finanze 
dello Stato, relative all'applicazione a funghi selvatici tagliati a fette e 
disseccati, ma comprendenti gambo e cappello, importati per due volte 
in Italia dalla Jugoslavia negli anni 1975 e 1976, del dazio doganale nella 
aliquota normale del 16 %, prevista dalla tariffa doganale comune, oppure 
del 10 % , stabilita per i paesi in via di sviluppo. 

3. -� pacifico che il prodotto in questione � da classificare nella 
sottovoce 07.04 B della tariffa doganale comune, che, nelle versioni diverse 
dall'inglese, ha il seguente tenore: 
� L�gumes et plantes potag�res dess�ch�s, d�shydrat�s ou �vapor�s, 
meme coup�s en morceaux ou en tranches ou bien broy�s ou 
pulv�ris�s, mais non autrement pr�par�s: 

ex B. autres: 
-Champignons entiers dess�ch�s, d�shydrat�s ou �vapor�s, � 
l'exclusion des champignons de couche �; 

� Gonsager, torrede, ogsao snittede, knuste eller pulveriserede, men 
ikke yderligers tilberedte: 
ex B. andre Varen: 

-Svampe, hele, torrede, undtagen dyrket champignon �; 

� Gemlise und Klichenkrauter, getrocknet, auch in Stilcke oder 
Scheiben geschnitten, als Pulver oder sonst zerkleinert, aber nicht weiter 
zubereitet: 

ex b. andere: 

-ganze Pilze, getrocknet, ausgenommen Zuchtpilze �; 

�Ortaggi e piante mangerecce, disseccati, disidratati o evaporati, 

anche tagliati in pezzi o in fette oppure macinati o polverizzati, ma non 
altrimenti preparati: 

ex B. altri: 

-Funghi interi disseccati, disidratati o evaporati, esclusi funghi 

di coltivazione �; 

Tariffa doganale comune, non limitano l'applicazione dell'aliquota di favore 
al solo prodotto �intero�: cfr. per il 1973 il reg. 19 dicembre 1972 n. 2767/72; 
per il 1974 il reg. 18 dicembre 1973 n. 3506/73; per il 1977 il reg. 13 dicembre 
11976 n. 3026/76; per il 1978 i1l reg. 28 novembre ,1977, n. 27'10/77; per il 1979 :hl 
reg. 29 dicembre 1978 n. 3161/78; per il 1980 fil reg. 10 dicembre '1979 n. 2792/79. 
La questione stessa era stata gi� esaminata in sede comunitaria dal Comi


tato della nomenclatura della tariffa doganale comune, in seno al quale era 

stato detto che � tutte le delegazioni convengono che il termine interi non 

permette che i prodotti inclusi in questa linea tariffaria siano tagliati in 

pezzi o a fette�: sull'efficacia dei pareri del Comitato -nel senso che essi 

non sono giuridicamente vincolanti, ma rappresentano un'importante sussidio 

interpretativo -cfr. le sentenze della Corte 26 febbraio 1980, nella causa 54/79, 

HAKo-ScHUH; 4 ottobre 1979, nella causa 11/79, CLETON, in Racc. 1979, 3069; 15 

febbraio 1977, nelle cause 69 e 70/76, DITTMEYER, in Racc. 1977, 231. Cfr. anche, 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 749 

� Groenten en moeskruiden, gedroogd, gedehydreerd of geevaporeerd, 
ook indien in stukken of in schijven gesneden, dan wel fijngemaakt 
of in poedervorm, doch niet op andere wijze bereid: 

ex B. andere: 
-gehele paddestoelen, gedroogd, gedehydreerd of goevaporeerd, 
met uitzondering van gekweekte paddestoelen �. 

Queste formule si basano chiaramente sul testo francese della nomenclatura 
del Consiglio di cooperazione doganale, di cui fanno fede 
soltanto i testi francese ed inglese. Quanto alla versione inglese, fondata 
sul testo inglese della menzionata nomenclatura, essa suona: 

� Dried, dehydrated or evaporated vegetables, whole, cut, sliced, 
broken or in powder but not further prepared: 

B. Other: 
Whole mushrooms, dried, dehydrated or evaporated, excluding 
cultivated mushrooms �. 

4. -I regolamenti che disciplinano, di anno in anno, il sistema di 
preferenze generalizzate in favore dei paesi in via di sviluppo, fra i quali 
� compresa la Jugoslavia, enumerano, all'allegato A, i prodotti cui si 
applica il sistema. Per quanto riguarda i prodotti compresi nella voce 
07.04, gli allegati riproducono l'intestazione, sopra citata, della voce, ma, 
alla sottovoce B, indicano soltanto due prodotti, fra i quali i funghi, con 
esclusione dei funghi coltivati. Il disaccordo fra le parti del procedimento 
principale deriva dal fatto che, per gli anni in questione, e soltanto 
per quelli, la descrizione del prodotto contenuta nell'allegato contempla 
una condizione supplementare, e cio� che i funghi debbono essere � interi �. 
5. -La societ� Folci sostiene che la parola � intero � non deve 
essere intesa necessariamente nel senso di � pezzo unico non diviso � e 
pu� comprendere anche funghi tagliati a fe~te, purch� siano intatti in 
tutte le loro parti. 
6. -Tuttavia, se le versioni linguistiche modellate sul testo francese 
della nomenclatura del Consiglio di cooperazione doganale consentono 
di prospettare l'interpretazione proposta dalla societ�, cos� non � 
per la versione inglese. Da questa risulta chiaramente che la parola 
� intero � si applica soltanto ai prodotti che non sono � tagliati in pezzi 
in questa Rassegna 1976, I, 33, la nota alla sentenza 25 settembre 1975, nella 
causa 28/75, BAUPLA. Nel caso di specie la Corte ha risolto il quesito, senza 
alcun accenno all'opinione anteriormente espressa dal Comitato, avendo ritenuto 
gi� sufficientemente chiara la norma, letteralmente e logicamente interpretata 
nel combinato disposto dei testi inglese e francese, che, come � noto~ 
sono i soli testi facenti fede della nomenclatura del Consiglio di cooperazione 
doganale. 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

o in fette oppure macinati o polverizzati �. Tale qualit� si pu� conside� 
rare indicata implicitamente nella espressione � anche tagliati in pezzi... � 
delle altre versioni linguistiche. 
7. -Dinanzi alla Corte la societ� ha poi sostenuto che non ci si 
deve accontentare di un'interpretazione letterale e che il testo deve 
essere interpretato in modo ragionevole e pragmatico. Poich� i funghi sel� 
vatici provenienti dalla Jugoslavia e da altri paesi in via di sviluppo 
sono, nella quasi totalit�, porcini, e poich� i porcini non possono essere 
essiccati senza essere stati prima tagliati a fette, si dovrebbe accogliere 
l'interpretazione della societ�; altrimenti, riguardo ai funghi selvatici il 
regime preferenziale sarebbe illusorio. 
8. -Rispondendo ad un quesito posto dalla Corte, la Commissione 
ha fornito spiegazioni sui motivi per cui la parola � intero � era stata 
inserita nei due regolamenti in questione, poi tolta nei regolamenti disciplinanti 
il sistema preferenziale per gli anni successivi: tale� condizione 
avrebbe la funzione di evitare che le conserve di funghi contengano anche 
funghi coltivati, che non sarebbe possibile identificare nelle conserve di 
funghi tagliati a pezzi. Tuttavia, avendo constatato che certi paesi in via 
di sviluppo producevano soltanto conserve di funghi tagliati a pezzi, si 
sarebbe ritenuto che il consentire la loro partecipazione al regime pre� 
ferenziale fosse pi� importante che l'escludere, con sicurezza assoluta, 
le conserve contenenti, illegalmente, funghi coltivati. Per tale motivo la 
condizione suddetta sarebbe stata abolita per gli anni 1977 e seguenti. 
9. -In effetti, la riproduzione pure e semplice dell'intestazione della 
voce tariffaria 07.04 -comprendente non soltanto i prodotti tagliati in 
pezzi o in fette, ma anche i prodotti macinati o polverizzati -e l'esclusione 
concomitante dei funghi coltivati possono far sorgere problemi di 
controllo. La questione se problemi di tal genere debbano avere il sopravvento 
sugli interessi di determinati paesi in via di sviluppo � di competenza 
delle istituzioni politiche della Comunit�. 
10. -Di conseguenza, � d'uopo accogliere la soluzione che figura 
espressamente in una delle versioni linguistiche, non � affatto contrad� 
detta dalle altre versioni e risponde per di pi� perfettamente ad esi� 
genze di controllo. 
11. -La questione posta dalla Suprema Corte di Cassazione va quin� 
di risolta nel senso che la voce 07.04 �ex B. altri�, di cui all'allegato A 
dei regolamenti del Consiglio 2 dicembre 1974, n. 3055, e 17 novembre 
1975, n. 3011, che attuano, per gli anni 1975 e 1976, un sistema di prefe� 
renze generalizzate in favore dei paesi in via di sviluppo per taluni prodotti 
dei capitoli da 1 a 24 della tariffa doganale comune, va ~nterpretata 
nel senso che l'aliquota ridotta non si applica ai funghi tagliati in pezzi 
o in fette, nemmeno se sono completi in tutte le loro parti. (omissis) 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 12 aprile 1980, n. 2324 -Pres. Rossi 


Est. Gra.nata -P. M. Silocchi (Concl. diff.) -Prefettura. Viterbo (avv. 

Stato Fienga) c. Natali Leonida (n.c.). 

Competenza e giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa � 

Disapplicazione di atti amministrativi � Contravvenzioni depenaliz


zate -Poteri ed obblighi dell'A.G.O. 

(Legge 3 maggio 1967, n. 317, artt. 3 e segg.; t.u. 15 giugno 1959, n. 399, art. 33). 

In sede di opposizione contro l'ordinanza con la quale il Prefetto ingiunge 
il pagamento di somme a titolo di sanzione amministrativa, 
l'A.G.O. non pu� indagare autonomamente sui fatti costitutivi della violazione 
attribuita al privato, ma deve limitarsi: al controllo della legittimit� 
del provvedimento� ai fini della sua eventuale disapplicazione; ad 
accertare la ricorrenza dei requisiti per la validit� formale df esso -ivi 
compreso quella della motivazione -; successivamente, in caso di riconosciuta 
validit� formale, a controllare l'esistenza dei presupposti di fatto 
posti dal Prefetto a fondamento dell'ingiunzione e la qualificazione giuridica 
della violazione attribuita al privato (1). 

(omissis) -Con il primo motivo la Prefettura (denunziando violazione 
degli artt. 9 e ss. legge 3 maggio 1967, n. 317; art. 33 t.u. 15 giugno 
1959, n. 393, in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) addebita al Pretore 
di avere ecceduto i limiti della sua giurisdizione perch�, invece di 
attenersi come avrebbe dovuto, ai fatti accertati nel verbale di contravvenzione 
e riportati nel provvedimento che ha irrogato la sanzione, ha 
ritenuto di poter procedere ad un accertamento autonomo dei fatti stessi, 
e di poter cos� pervenire alla conclusione che l'infrazione contestata non 
sussisteva, basandosi su una circostanza da lui accertata ex novo a mezzo 
di un esperimento giudiziale, consistito nella pesatura di una pignatta 
ritenuta uguale a quelle trasportate e nella moltiplicazione del suo peso, 

(1) Giurisprudenza costante (v. per tutte Cass., Sez. un., 5 ottobre 1978, 
n. 4426, in Giust. civ. Mass., 1978, fase. 10) cui non corrisponde, nella pratica 
attuazione, la limitazione del principio relativo alla inammissibilit� dell'accertamento 
autonomo del fatto contravvenzionale. 
6 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

pari a kg 7, per il numero di 750, assunto pari a quello degli uguali esemplari 
trasportati nel giorno di accertamento della contravvenzione. 

La censura � infondata. 

Secondo l'indirizzo ormai consolidato della giurisprudenza di questa 
,Corte Suprema (Cass., n. 641 del 1979; Cass., Sez. Un., n. 44.26 del 1978; 
Cass., n. 2086 del 1977; Cass., nn. 3154, 1708 e 636 del 1976; Cass., Sez � 
.un., 2618 del 1975; Cass., nn. 3097 e 2747 del 1973; Cass., Sez. un., n. 1387 
del 1973; Cass., Sez. un., n. 1646 del 1972), l'opposizione avverso l'ordinanza, 
con la quale viene ingiunto il pagamento di somme a titolo di 
sanzione amministrativa per violazioni depenalizzate del codice stradale,. 
configura una domanda di accertamento dell'illegittimit� dell'atto amministrativo, 
ai fini della sua eventuale disapplicazione. Dalla natura tipi� 
camente impugnatoria dell'azione discende che il giudice deve, in primo 
luogo, saggiare la validit� dell'atto come tale, cio� sotto il profilo form�le, 
ivi ''�ompre~a l'esistenza di uri'ad'eg;U.a:ta' 'esp�i�:azi�he d��le ragioni 
poste dall'autorit� decidente a base delle determinazioni adottate circa la 
irrogazione e la quantificazione della pena. Solo all'esito positivo di tale 
prima indagine, il giudice deve passare a. controllare la validit� sostanziale 
dell'ordinanza opposta, verificando la sussistenza in concreto dei 
suoi presupposti di fatto, senza peraltro procedere ad accertarli in modo 
autonomo. 

Quest'ultima precisazione -pure corrente nella giurisprudenza ricor-� 
data: cfr. ai.tate sentenze n. 1646 del 1972; n. 26-18 del 1975; n. 3154 del 
1976; n. 2086 del 1977 -va peraltro intesa (cfr. gi� sentenza n. 2447 del 
1973 citata) nel senso che il fatto contravvenzionale, quale risulta delineato 
nel provvedimento, costituisce il limite invalicabile della contestazione. 


Ci� perch� (conviene precisare, anche per dissipare l'equivoco in cui 
il ricorrente sembra al riguardo essere incorso) non � possibile -ancora 
in ragione della natura autoritativa dell'atto, e della sua immodificabilit� 
nella sede giurisdizionale dove pu� soltanto dichiararsene o negarsene 
la legittimit� -che la sanzione con essa inflitta rimanga ferma in 
relazione ad un fatto contravvenzionale diverso da quello assunto nel 
provvedimento stesso come proprio presupposto. In altri termini il giudice 
non pu� accertare ex novo -cio�, appunto � autonomamente � dal 
provvedimento -il fatto contravvenzionale, ma ha solo il compito, rimanendo 
all'interno dei limiti tracciati dall'accertamento autoritativo� 
posto in essere con il provvedimento di verificare, compiendo i relativi 
accertamenti istruttori, se i fatti in questo affermati siano, oppur no, 
storicamente veri; se essi sostanzino, oppur no, la fattispecie contravvenzionale 
contestatata; se sussistono ragioni che escludano la addebitabilit� 
al preteso contravventore o la punibilit� del fatto accertato. 

Esattamente in questi limiti si � mantenuto il giudice a quo, quando 
il punto di fatto, ed in base alle prove acquisite al processo, ha escluso 


PARIB I, SEZ. III, GH,JRIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

753 

che il carico trasportato eccedesse il limite massimo consentito, sicch� 
il denunziato difetto di giurisdizione non sussiste. 

A quest'ultimo apprezzamento di fatto del giudice a quo si riferisce 
il secondo motivo, con il quale la Prefettura, denunziando difetto di motivazione 
in relazione all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deduce che il Pretore 
ha omesso di motivare in ordine agli elementi dai quali egli ha tratto il 
convincimento con la pignatta pesata in istruttoria fosse identica a 
quelle che formavano il carico, cui si riferisce la trasgressione, nonch� 
H convincimento che il carico stesso fosse composto esattamente di 750 
pignatte, tutte di pari peso. 

Anche tale censura, peraltro, � infondata, dovendosi escludere che, 
circa la rispondenza dell'uno e dell'altro dato di fatto al vero, il giudice 
di merito fosse tenuto a motivare, una volta che entrambi erano da considerarsi 
pacifici, non essendosi il rappresentante della Prefettura opposto 
(cfr. verbale dell'udienza 13 maggio 1975) i;i,ll'esperimento di pesatura,, 
richiesto dall'opponente sul dichiarato presupposto proprio dell'identit� 
di peso unitario e del numero complessivo degli esemplari trasportati. 

Il ricorso � quindi infondato e va respinto... (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 maggio 1980, n. 2997 -Pres. Rossi; 
Est. Fanelli; P. M. Berri (concl. conf.). Ministero della P.I. (avv. Stato 
Corti) c. Storazzi Ernesto (n.c.). 

Competenza e giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa Controversie 
relative alla violazione di doveri assistenziali e previdenziali 
da parte della P.A. -Giurisdizione del giudice amministrativo. 


La domanda con la quale il dipendente di un ente pubblico non 
economico deduca la violazione di doveri previdenziali ed assistenziali 
da parte dell'ente medesimo e ne chieda la condanna al risarcimento 
del danno, � devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
in quanto coinvolge diritti ed obblighi che si ricollegano direttamente 
e trovano la loro fonte nel rapporto di pubblico impiego (1). 

-(Omissis). Deduce l'Amministrazione istante che l'azione risarcitoria 
ex art. 2116 cod. civ., intentata contro ente pubblico sulla base di 
rapporto di impiego avente natura pubblica d� luogo ad una controversia 
che attiene a detto rapporto e che quindi rientra nell'ambito della giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo. 

(1) Giurisprudenza costante; v. per tutte Cass., Sez. un., 1977, n. 1924, in 
Foro it., 1977, I, 1358. 

754 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Per giurisprudenza ormai costante che fa capo, dopo iniziali contrasti, 
alla sentenza di queste Sezioni unite 18 settembre 1970, n. 1570, e le 
cui pi� recenti espressioni sono costituite dalle sent. 14 maggio 1977, 

n. 1924; 6 agosto 1977, n. 3573-3577, 14 ottobre 1977, n. 4373; 17 febbraio 
1978, n. 774; 17 novembre 1978, n. 5336; 17 maggio 1979, n. 2805; appartiene 
alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione della 
domanda proposta dal pubblico impiegato nei confronti della amministrazione 
datrice di lavoro per il risarcimento dei danni conseguenti alla 
violazione degli obblighi degli impiegati previdenziali, dato che la obbligazione 
risarcitoria discende da un illegittimo comportamento omissiva 
della .p.A., direttamente o strettamente ricollegantesi, al rapporto di 
impiego. 
Va dunque dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo 

(omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 luglio 1980, n. 4681; Pres. G. 
Rossi; Rel. Granata; P. M. Saja (conci. conf.). Soc. Andreae e C. (avv. 
De Ruggieri, Caselli, Sorrentino) c. Fall. Soc. Andreae e C. (avv. Bellardoni, 
Tarzia) c. Prefetto di Milano (avv. dello Stato Cevaro). 
(Regolamento di giurisdizione). 

Competenza e giurisdizione -Amministrazione straordinaria delle grandi 
imprese in crisi -Liquidazione coatta a:mmtm.strativa -Mancanza 
dei presupposti -Dichiarazione di fallimento -Giurisdhione dell'A.
G.O. 

(D.l. 30 gennaio 1979, n. 26, conv. in legge 3 aprile 1979, n. 95, art. unico). 
La pubblica amministrazione pu� ammettere con proprio provvedimento 
le grandi imprese in. crisi alla procedura di amministrazione straordinaria 
solo quando i relativi presupposti vengano accertati dall'A.G.O.; 
quando tali presupposti risultino mancare il giudice ordinario pu� pronunziare 
il fallimento dell'imprenditore: infatti tale pronuncia non trova 
ostacolo nelle attribuzioni della pubblica amministrazione (1). 

(omissis) 1. -Il ricorso per regolamento preventivo della giurisdizione 
proposto dalla societ� Andreae ed il regolamento straordinario ad 

(1) Non risultano precedenti in termini. Con recente legge interpretativa 
13 agosto 1980, n. 445 (v. G.U., 19 agosto 1980, n. 228) � stato precisato che 
!l'esposizione debitol'ia si nitiene esistente ��anche per le societ� che controllano 
da almeno un anno altre Societ� in relazione ai finanziamenti agevolati ottenute 
da queste ultime�. 

PARTI! I, SEZ. III, GIURIS. Sl! Ol!ESTIONI DI Gll!RISDIZIONE 

iniziativa ad oggetto il medesimo procedimento fallimentare aperto dal 
Tribunale di Milano nei confronti della societ� Andreae con la sentenza 
6 luglio 1979, che quella societ� ha dichiarato fallita. 

2. -In quanto avanzato successivamente alla pronuncia di detta 
sentenza, il ricorso per regolamento preventivo della giurisdizione proposto 
dalla societ� Andreae � inammissibile, secondo la costante giurisprudenza 
di queste sezioni unite (sent. n. 2991 del 1975, id., Rep. 1975, voce 
Giurisdizione civile, n. 161; n. 2376 del 1973, id., Rep. 1973, voce !it., n. 201), 
perch� precluso da tale sentenza, che integra una decisione di merito a 
s� stante e non una pronunzia avente carattere meramente interinale e 
strumentale rispetto a quella da emettere sulla opposizione. 
3. -Nessuna preclusione invece sussiste nei confronti del regolamento 
straordinario chiesto dal prefetto di Milano, l'esperibilit� di tale 
mezzo potendo trovare ostacolo soltanto nel sopravvenire di un giudicato 
sulla giurisdizione. Occorre dunque passare al suo esame. 
Il quesito che con esso si pone � se possa configurarsi un � difetto 
di giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri attribuiti dalla 
legge all'amministrazione�, in relazione al provvedimento con cui quel 
giudice, negata la ricorrenza in concreto delle condizioni richieste per 
farsi luogo, nei confronti di un determinato imprenditore, alla procedura 
di amministrazione straordinaria prevista dal d.l. 30 gennaio 1979, n. 26; 
convertito con modifiche con legge 3 aprile 1979, n. 95, di esso invece 
dichiari il fallimento. 

La risposta deve essere negativa. 

4. -Ai sensi della normativa menzionata, le imprese, che in astratto 
sarebbero suscettibili di essere dichiarate fallite, sono invece escluse dal 
fallimento ed assoggettate alla speciale procedura in discorso � qualora 
abbiano una esposizione debitoria, verso istituti o aziende di credito o 
istituti di previdenza e di assistenza sociale, superiore a cinque volte 
il capitale versato ed esistente secondo l'ultimo bilancio approvato nonch� 
a venti miliardi di lire, di cui almeno uno per finanziamenti agevolati
�, (art. 1, primo comma). Invero, quando sia stato accertato giudiziariamente... 
lo stato di insolvenza dell'impresa ovver� l'omesso pagamento 
di almeno tre mensilit� di retribuzione, il ministro dell'industria... dispone 
con proprio decreto... la procedura di amministrazione straordinaria
� (art. l, secondo comma). 
La dottrina, che ha gi� avuto occasione di studiare il nuovo istituto, 
e le pronunzie di merito che ne hanno fatto finora applicazione, non dubitano 
che il potere-dovere della pubblica amministrazione, di dare corso 
con proprio provvedimento alla procedura di amministrazione straordinaria 
configurata in astratto secondo il descritto modello legale, sorga 
soltanto dopo ed in forza dell'accertamento giurisdizionale dei suoi presupposti, 
e neppure dubitano che oggetto di tale accertamento sia non 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

756 

soltanto la � insolvenza �, intesa come incapacit� dell'imprenditore di 
soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (oppure, per equiparare 
normativa degli effetti, l'omesso pagamento di almeno tre mensilit� di 
retribuzione), ma anche il requisito della c.d. esposizione debitoria qualificata 
(per dimensione, caratteristiche e specialit� dei creditori). 

L'esattezza di entrambe le proposizioni non pu� essere messa seriamente 
in discussione. 

Quanto alla seconda, infatti, va per un verso considerato, sotto 
l'aspetto lett�rale, che l'identificazione dell'oggetto dell'accertamento giudiziario, 
da parte del citato art. 1, secondo comma, con la locuzione �sta� 
to di insolvenza� si spiega con la preoccupazione del legislatore speciale 
di conformare il nuovo istituti, per quanto possibile, al modello della 
liquidazione coatta amministrativa, ove oppunto l'accertamento del giudice 
� dall'art. 195 legge fall. -specificamente menzionato dal citato 
art. 1, secondo comma, insieme all'art. 5 della stessa legge fall. -riferito 
allo stato di insolvenza, che peraltro, nel sistema normativo cos� richiamato, 
sta a significare, sia nella sede specifica della liquidazione 
coatta amministrativa, che in quella generale della procedura fallimentare, 
la situazione patrimoniale propria del particolare soggetto passivamente 
legittimato alle procedure concorsuali di cui trattasi, sicch� il suo 
accertamento richiama per relationem anche (la necessit� di) quello 
afferente al profilo soggettivo. Per altro verso, alla medesima conclusione 
si perviene sotto l'aspetto sistematico, coordinandosi la lettura del 
citato art. 1 con quella degli art. 3 e 4. Nei quali, l'accertamento giudizia� 
rio dello stato di insolvenza (come testualmente si esprime ancora l'art. 
3, secondo comma) della societ�, che, in forza del particolare collegamento 
con l'altra gi� per suo conto sottoposta ad amministrazione 
straordinaria, viene a sua volta assoggettata alla speciale procedura 

(art. 3, primo comma), certamente comprende anche la ricorrenza in con


creto di tale speciale collegamento, che qui funge da connotato soggetti� 

vo dell'impresa passivamente legittimata alla procedura stessa in sosti-. 

tuzione di quello in via generale previsto dall'art. 1, come inequivocabil


mente dimostra il rilievo che nell'ipotesi di � conversione � dal fallimen


to all'amministrazione straordinaria, considerata dall'art. 4, ci� che il tri� 

bunale � chiamato ad accertare non pu� essere l'incapacit� patrimoniale 

dell'imprenditore -gi� ravvisata esistente dalla pregressa sentenza di


chiarativa del fallimento -bens� proprio la sussistenza di uno dei par


ticolari tipi di collegamento con la societ� gi� posta in amministrazione 

straordinaria, nei quali, ripetesi, � fatto dalla legge consistere lo speciale 

connotato soggettivo, che, in luogo di quello previsto in via ordinaria dal-

l'art. l, individua la categoria di imprese nei cui confronti la procedura 

pu� essere disposta in via di astensione. 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI, DI GIURISDIZIONE 

Quanto alla prima proposizione sopra enunziata, poi, la formulazione 
positiva delle norme (art. 1, secondo comma; art. 3, secondo comma; 
art. 4, primo e secondo comma), inequivocabilmente attesta, da un lato, 
che l'amministrazione pu� disporre la procedura di amministrazione 
straordinaria soltanto dopo ed in forza della pronunzia con cui il giudice 
ha positivamente accertato la sussistenza di tutti gli elementi, oggettivi 
e soggettivi, richiesti dalla fattispecie legale e, dall'altro, che, una volta 
intervenuta tale pronunzia, il provvedimento amministrativo di apertura 
� � dovuto � dall'amministrazione. Infatti, la consecuzione fra pronunzia 
giudiziaria e decreto ministeriale � descritta in termini non solo di 
mera automaticit� (art. 1, secondo comma), ma anche di doverosit� 
(art. 3, secondo comma, seconda parte), con la precisazione, nell'ipotesi 
dell'art. 4 dell'immediata esecutivit� della pronunzia stessa; inoltre, il 
richiamo -nell'art. l, secondo comma -al solo art. 195 (oltre che 5) 
della legge fallimentare, e non anche all'art. 202, conferma ancora una 
volta che, qui, l'1accertamento giudiziario dei presupposti della procedura 
concorsuale pu� soltanto precedere, mai seguire, il provvedimento amministrativo 
di apertura della procedura. Donde la non pertinenza al caso 
di precedenti relativi a ben diverse ipotesi di interferenza fra l'esercizio 
del potere giurisdizionale e la sfe11a di attribuzioni riservate alla pubblica 
amministrazione, nelle quali il potere di questa comprendeva, come del 
resto � la norma, anche l'accertamento dei presupposti della sua esistenza 
in concreto, con esclusione quindi di un riserva esclusiva sul punto 
in favore del giudice (Cass., Sez. un., 13 marzo 1965, n. 425, id., 1965, 
618), o, addirittura, era all'esercizio di esso condizionato il potere del 
giudice, e non viceversa (Cass., Sez. un., 30 settembre 1968, n. 3029, id., 
1969, I, 962). 

Orbene, se il potere, astrattamente riconosciuto dalla legge alla 
pubblica amministrazione, di fare luogo alla procedura nei confronti 
di un determinato imprenditore in ragione di certi presupposti soggettiti 
sorge nel concreto in capo ad essa soltanto in forza di una pronunzia, 
demandata in via esclusiva al giudice, con cui si accerti la sussistenza di 
quei presupposti, non � configurabile, in relazione a tale pronunzia, una 
sfera di attribuzioni riservata alla pubblica amministrazione dalla legge, 
di cui la stessa pessa costituire violazione. 

Con riguardo tanto al compimento, quanto al contenuto dell'accertamento, 
proprio per l'affidamento di esso alla competenza esclusiva del 
giudice, non pu� profilarsi, per il principio di (non contraddizione, un 
antagonista potere della pubblica amministrazione, in funzione del quale 
sia fondatamente prospettabile una questione di attribuzione, perch� il 
giudice, quando accerta la esistenza o l'inesistenza di quei presupposti, 
e per l'effetto dichiara nel concreto esperibile nei confronti di quel determinato 
soggetto la procedura di amministrazione controllata o quella 


758 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fallimentare, esercita un potere riconosciuto proprio ed esclusivamente 
a lui, 

E se il potere-dovere della pubblica amministrazione, di disporre la 
amministrazione straordinaria, sorge nel concreto soltanto nei confronti 
di soggetti, la cui' identificazione � riservata al giudice, non pu� dirsi 
che la sfera di attribuzione correlata a quel potere sia violata, nel momento 
in cui il giudice accerta una situazione rispetto alla quale quel 
potere non sussiste. 

L'eventuale erroneit� dell'accertamento attiene al merito della pronunzia, 
non al potere del giudice di emanarla, cio� alla giurisdizione. E la 
conferma viene dal rilievo che il propriwn della questione di giurisdizione 
sta, in tesi, nel fatto che sia possibile configurarla e ravvisarla 
�prima� che il giudice renda il provvedimento domandatogli: nell'ipotesi 
invece, � certo che la riserva di competenza in favore del magistrato 
ordinario impedisce alla pubblica amministrazione di adire il giudice 
della giurisdizione per chiedergli di compiere lui quell'accertamento, almeno 
fino a quando ad esso non abbia provveduto il giudice del merito. 
Il che appunto dimostra che, una volta da questo emessa la pronuncia, 
la questione circa l'esatezza di essa � di merito e non di giurisdizione. 

Opinare diversamente significherebbe espandere l'ambito del regolamento 
di giurisdizione -in s� eccezionale, perch� volto ad investire della 
decisione per saltum le sezioni unite, spogliando i giudici di merito della 
loro ordinaria competenza, ed ancor colorato di eccezionalit� nel suo 
atteggiarsi come straordinario privilegio della pubblica amministrazione 
-ben oltre i limiti segnatigli dalla legge, esasperando gli inconvenienti 
non di poco conto, ai quali, secondo la denunzia della dottrina e 
della stessa giurisprudenza, il suo uso, che spesso trasmoda in abuso, 
d� luogo, e che in sede di riforma stanno ispirando precise iniziative 
volte a restringerne la esperibilit�. 

5. -Per contro, la soluzione raggiunta non offre quelle disfunzioni 
operative, che si sono volute denunziare come indice della sua inattendibilit�, 
rappresentandosi una pretesa impossibilit� per la pubblica amministrazione, 
una volta esclusa la proponibilit� del regolamento straordinario, 
di attivarsi in altro modo in sede giurisdizionale per far valere 
la tutela di quegli interessi pubblici, alla cui realizzazione mira, almeno 
nelle intenzioni del legislatore, la nuova procedura. 
Da un lato, invero, la labilit� degli strumenti operativi, dalla legge 
apprestati alla pubblica amministrazione per dare autonomamente impulso 
alla concreta utilizzazione del peculiare istituto introdotto per fare 
fronte alla crisi delle grandi imprese, � un connotato intrinseco del 
nuovo sistema, se � vero che la pubblica amministrazione -pur riconosciuta 
titolare del potere di assumere informazioni di propria iniziativa 
circa la sussistenza dei requisiti di legge per fare luogo alla procedura, 
almeno nei casi di sua estensione alle societ� collegate (art. 3, ottavo 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

comma), non � per� compresa fra i soggetti legittimati a promuovere 
l'accertamento giudiziario relativo (art. 1, secondo comma, che rinvia 
all'art. 6 legge fall.), n�, in caso di esito negativo dello stesso, � legittimata 
al reclamo in corte di appello contro il decreto del tribunale (art. l, 
secondo e terzo comma, che rinviano all'art. 195 legge fall., il quale a 
sua volta, nel comma sesto, seconda parte, rinvia al precedente art. 22, 
che attribuisce la legittimazione al reclamo al solo creditore istante). 
Per altro verso, poi, non � vero che la pubblica amministrazione difetti 
di uno strumento processuaule idoneo a consentirle di denunziare in sede 
giurisdizionale l'errore eventuale, in cui il giudice possa incorrere nell'accertamento 
a lui riservato. Invero, non pu� non esserle riconosciuta 
la titolarit� di un interesse giuridicamente rilevante alla (possibilit� 
di) esplicazione della sua posizione funzionale, e strumentalmente, all'accertamento 
dell'esistenza dei presupposti, cui quella (possibilit� di) 
esplicazione � per legge subordinata: l'interesse, cio�, a non risentire 
ripercussioni negative nella propria sfera giuridica, in dipendenza di 
errori in quell'accertamento verificatisi. In conseguenza non pu� negarsi 
che ad essa spetti la legittimazione, riconosciuta a � qualunque interes


sato'" a promuovere sia l'opposizione alla pronunzia dichiarativa dello 

stato di insolvenza (ai sensi dell'art. 195, quarto comma, legge fall. ri


chiamato dalla normativa in esame), sia l'istanza di conversione (art. 4, 

primo comma, parte seconda, decreto legge citato), sicch� rimane inin


fluente, ai fini che qui interessano, stabilire i rispettivi ambiti di appli


cazione dei due rimedi. 

Viceversa, gravi inconvenienti pratici deriverebbero dalla soluzione 
qui rifiutata, per la quale le sezioni unite potrebbero venire chiamate, 
come giudici della giurisdizione, a conoscere, per saltum ed in unico 
grado non solo lineari questioni di diritto, quale � quella, in discussione 
nella specie, se l'esposizione debitoria qualificata richiesta dalla c.d. legge 
Prodi possa scaturire anche da fidejussioni prestate per crediti agevol�ti 
concessi a terzi, ma anche complicati problemi connessi alla sussistenza 
in punto di mero fatto, dei requisiti necessari per farsi luogo alla aper� 
tura della speciale procedura: cio� all'esistenza, per esempio, dei mutui 
agevolati per l'ammontare voluto dalla legge sia in assoluto che in rap� 
porto al capitale, o dell'incapacit� dell'imprenditore di soddisfare rego� 
larmente le proprie obbligazioni, o, ancor�, dei sofisticati collegamenti 
tra societ� comportanti l'estensione della procedura nei confronti anche 
di soggetti carenti della c.d. esposizione debitoria qualificata; apprezzamenti 
-questi -tutti squisitamente di merito, i quali, per la loro complessit� 
e delicatezza, non potrebbero essere compiuti con sufficiente 
completezza senza una adeguata istruttoria, che peraltro spesso il giudice 
a quo si troverebbe a non avere ancora compiuto in modo convenientemente 
approfondito al momento della proposizione del regolamento. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA -DELLO STATO

760 


6. -In definitiva, riuniti i ricorsi, e dichiarazioni inammissibile il 
regolamento preventivo della societ� Andreae, va affermata, pronunciandosi 
sul regolamento straordinario ad istanza del prefetto, la giurisdizione 
del giudice ordinario (omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 1� ottobre 1980, n. 5336 -Pres. Rossi Est. 
D'Orsi -P. M. Berri (conci. conf.) -R.A.I. Radiotelevisione Italiana 
s.p.a. (avv.ti Pace, Basile, Zoccoli, Esposito, Guarino) c. Ministero 
Poste e Telecomunicazioni (Avv. Stato Caramazza) e Radio Televisione 
Peloritana (avv. Corrado). 

(Regolamento di giurisdizione). 

Competenza e giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa Televisione 
-Teletrasmissione -Necessit� di autorizzazione ministeriale 
-Difetto -Posmone giuridica soggett!iva di interesse legittimo 
-Tutela deHa banda di frequenza -Difetto di giurisdizione 
dell'A.G.O. 
(Legge 14 aprile 1975, n. 103, artt. 25, 26, 27, 38, 41, 43 e 45). 

Competenza e giurisdizione -Giurisdiiione ordinaria ed amministrativa Provvedimenti 
d'urgenza -Giurisdizione sul merito del giudice amministrativo 
-Giurisdizione dell'A.G.O. in via d'urgenza -Esclusione. 
(Cod. proc. civ., art. 700). 

Il privato che abbia realizzato e gestisca un impianto di teletrasmissione 
senza aver ottenuto la relativa autorizzazione ministeriale pu� soltanto 
vantare, nei confronti della P.A., una posizione giuridica soggettiva 
di interesse legittimo con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo 
(1). 

Il potere cautelare generale attribuito all'A.G.0. dall'art. 700 cod. proc. 

civ. non � esperibile rispetto a situazioni giuridiche la cui tutela spetta 
al giudice amministrativo (2). 
(omissis) II ricorso proposto dalla R.T.P. al pretore di Roma, pur se 
richiama nell'intestazione gli art. 689 ss. cod. proc. civ., tende ad ottenere 
l'emanazione di un provvedimento d'urgenza ai sensi dell'art. 790 cod. 

(1) Sulla prima massima v. l'ampia nota di richiami dottrinari e giurisprudenziali 
in Giust. civ., 1980, I, 2066; v. altres� l'osservazione di R. PARDOLESI, in 
Foro it., 1980, I, 2391. 
(2) Cfr. Cass., 2 novembre 1979, n. 5689, in Giust. civ. mass., 1979, 2500; 
Cass., i25 ottobre 1979, n. 5575, in Giust. civ., '1980, I, 1672 (note di PATRONI 
GRIFFI); Cass., 6 ottobre 1979, n. 5172, ivi, 1980, I, 358 (nota di F. PIGA). 

PARTE I, SEZ~ III, GIURIS. SU QUESTIONI DI 'GIURISDIZIONE 

proc. civ., data anche la difficolt� di far rientrare nella previsione dell'art. 
1172 cod. civ. la situazione di �na trasmittente televisiva. 

La formulazione del ricorso -dal cui contenuto esula ogni richiesta 
di tutela possessoria -comporta l'esigenza di un'analisi delle varie questioni, 
e in ordine alla posizione giuridica addotta alla sua effettiva configurabilit� 
come diritto soggettivo e, comunque, alla possibilit� di richiedere 
al giudice ordinario un provvedimento d'urgenza nei confronti 
della p.a. 

Siccome la R.T.P., esercente una trasmittente televisiva privata fonda 
la sua richiesta su alcune recenti sentenze della Corte Costituzionale, � 
necessario individuare la portata precettiva di tali sentenze, le quali, com'� 
noto, hanno riesaminato, in relazione al principio costituzionale della 
libert� di manifestazione del pensiero, l'uso del mezzo radiotelevisivo. 

E tali decisioni, nella parte in cui interpretando un principio costituzionale, 
ne fissano il contenuto e i limiti, sono particolarmente vincolanti 
per l'interprete, perch� � proprio la Corte Costituzionale la suprema 
garante dei valori della Carta costituzionale, anche in relazione alle sopravvenute 
esigenze, pure di ordine tecnico, della nostra societ� in trasformazione. 
Ci� spiega la diversit� di portata precettiva tra la lontana sentenza 
13 luglio 1960 n. 59 e quelle pi� recenti, pur se identica appare la 
visione del problema di fondo. 

Gi� nella sentenza n. 59 del 1960 -che pur ritenne costituzionalmente 
legittimi gli artt. 1 e 168 n. 5 dell'allora vigente codice postale (r.d.lgt. 
27 febbraio 1936, n. 645) relativi rispettivamente all'esclusiva appartenenza 
allo Stato dei servizi di telecomunicazione e alla concessione dell'impianto 
e l'esercizio dei servizi di radiodiffusione e di televisione -fu, infatti, 
precisato che il monopolio statale, in tanto appariva legittimo, in quanto 
posto come alternativa �al monopolio all'oligopolio privato. 

Con le successive sentenze n. 225 e 226 del 10 luglio 1974 la Corte 
Costituzionale dichiar�, invece, l'illegittimit� costituzionale dei suddetti 
articoli, oltre a quella degli artt. 166 e 178 dello stesso decreto nella 
parte relativa ai servizi di radiodiffusione circolare, nel senso che l'esclusiva 
statale non pu� riguardare anche i cosiddetti ripetitori di stazioni 
trasmittenti estere (che non operano sulle bande di trasmissione assegnate 
all'Italia), nonch� degli artt. 1, 183, 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, 

n. 152, nella parte relativa alla riserva allo Stato dei servizi radiotelevisivi 
via cavo. 
Infime con la sentenza !Il. 202 del 23 luglio 1976 ha dichiarato l'illegittimit� 
costituzionale degli artt. 1, 2 e 45 I. 14 aprile 1975, n. 103, nella 
parte in cui erano consentiti, previa autorizzazione statale, l'installazione 
e l'esercizio di impianti di diffusione. 

La portata precettiva di queste decisioni, sia pure nelle differenti 
applicazioni (trasmissioni via cavo, ripetitori di stazioni estere, impianti 


762 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente 
l'ambito locale) � sempre la medesima e cio�: 

a) il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con ogni 
mezzo di diffusione non comprende anche quello di disporre di tutti i 
possibili mezzi di diffusione, ma solo la giuridica possibilit� di usarne 
con le modalit� ed entro i limiti resi eventualmente necessari dalle peculiari 
caratteristiche dei singoli mezzi; 

b) se il mezzo di diffusione del pensiero � tale che per la sua limitatezza 
o per il costo eccessivo darebbe luogo a monopolio o oligopolio 
privato, � legittimo il monopolio dello Stato esercitato attraverso un'attivit� 
di impresa avente carattere di servizio pubblico essenziale e di preminente 
interesse generale. 

Nell'ultima di tali decisioni -su cui la R.T.P. ha fondato il suo 
ricorso al pretore -� stato anche precisato che su scala locale, in base 
alle cognizioni tecniche esistenti, non vi � limitatezza delle frequenze 
utilizzabili, per cui non sussistono le premesse necessarie per la giustificazione 
dell'esistenza di un monopolio statale. � stata avvertita, per�, 
la necessit� di una disciplina del settore, essendo indispensabile un organo 
dell'amministrazione centrale dello Stato competente a provvedere alla 
assegnazione delle frequenze ed all'effettuazione dei conseguenti controlli 
ed essendo necessaria, altres�, un'autorizzazione che deve rispondere a 
condizioni oggettive (nel senso che l'esercizio privato si armonizzi e non 
contrasti con il preminente interesse generale, si svolga sempre nel reciproco 
rispetto di doveri ed obblighi anche internazionali e non dia luogo 
a forme di concentrazione o situazioni di monopolio od oligopolio), a 
requisiti soggettivi (relativi alla persona del richiedente e ai suoi collaboratori), 
a determinate caratteristiche tecniche (relative alla potenza 
degli impianti, alla specificazione delle frequenze e dei canali utilizzabili, 
all'�mbito della zona locale di esercizio, all'eventuale fissazione di turni). 

Com'� noto alla sentenza n. 202 del 1976 il legislatore non ha fatto 
seguire alcun provvedimento legislativo e sulla base di tale situazione 
sono state prospettate due tesi estreme: 

a) che il diritto di effettuare trasmissioni televisive via etere in 
ambito locale -come sostiene la R.T.P. -� allo stato assolutamente 
incondizionato e non �, quindi, soggetto a limiti; s� da poter essere esercitato 
indiscriminatamente, anche senza l'autorizzazione di cui la sentenza 
della Corte Costituzionale ha espressamente sottolineato la necessit�; 


b) che per contro -come oppone la R.A.I. -pur non sussistendo 
insuperabili difficolt� sotto il profilo procedimentale e per quanto concerne 
la competenza a concedere l'autorizzazione, la posizione soggettiva 
del privato che intenda svolgere la detta attivit� � del tutto priva di 
tutela e sussiste, quindi, l'ipotesi del difetto assoluto di giurisdizione, 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

data la mancanza di norme sostanziali in ordine ai requisiti soggettivi 
ed alle condizioni oggettive per ottenere l'autorizzazione ed ai criteri da 
seguirsi in aderenza alle indicazioni contenute nella sentenza della Corte 
Costituzionale, per determinare in concreto il contenuto ed i limiti. 

Entrambe queste tesi sono inattendibili. 

A prescindere dalle considerazioni che saranno in seguito esposte, in 
ordine alla tesi sub b) va osservato che essa porta all'inaccettabile conclu� 
sione che il principio enunciato dalla Corte Costituzionale assumerebbe 
una portata meramente programmatica e il suo contenuto precettivo 
risulterebbe vano e mistific;;Ltore se fosse consentito al legislatore ordi� 
nario di rinviarne indefinitamente l'attuazione. 

Quanto alla tesi sub a) � decisivo notare che, secondo i rilievi, for� 
mulati dalla Corte Costituzionale, la preventiva autorizzazione statale 
quale presupposto condizionante per l'esercizio della libert� di iniziativa 
privata nel settore delle trasmissioni radio televisive risponde ad un'esi� 
genza che attiene alla stessa essenza e funzione del diritto garantito dalla 
Costituzione ed ai limiti ad esso intimamente inerenti e che si coordina 
altres� alla natura, alla peculiarit� dei mezzi di comunicazione e diffusione 
del pensiero di cui si tratta (anche perch� le possibilit� della loro utiliz� 
zazione -tenuto conto delle relative modalit� e caratteristiche tecniche sono 
bens� sufficienti -per riconoscere la libert� di iniziativa privata ma 
non illimitate). E si potrebbe aggiungere che le stesse indicazioni 
come sopra formulate dalla Corte Costituzionale sono state in sostanza 
desunte dall'intima essenza e dai limiti connaturali del diritto in questione; 
sicch�, anche sotto questo aspetto, non ha decisiva rilevanza il 
fatto che i criteri contemplati da quelle indicazioni non siano stati 
recepiti e puntualizzati in norme giuridiche sostanziali, giacch� si tratta 
in definitiva di corollari della portata precettiva della pronunzia costi� 
tuzionale. 

Peraltro, anche la premessa da cui muovono le due contrapposte tesi 
non pu� essere condivisa, giacch� non � esatto che in ordine alla materia 
in esame si registri la carenza di un'adeguata normativa. 

In realt� l'ordinamento giuridico, per i suoi caratteri di tendenziale 
unit� ed organicit�, ha un'intima forza di espansione che consente al 
giudice, ed in genere, all'interprete, di individuare -merc� l'ausilio dei 
princ�pi sanciti dall'art. 12 delle preleggi e l'impiego dei vari canoni ermeneutici, 
ed in particolare di quelli pi� penetranti e sofisticati -la regola 
di diritto applicabile al caso concreto, ancorch� si tratti di fattispecie 
non contemplate affatto o di fattispecie rispetto alle quali si riscontra 
l'indeterminatezza di alcuni elementi. E nell'assolvere questo compito, il 
giudice non provvede a colmare vuoti legislativi con autonome scelte e 
non assume un ruolo (senza dubbio inammissibile) di supplenza, come 
talora da alcuni si chiede, o si paventa; ma esercita il suo normale ruolo 
istituzionale, anche se a volte esso risulta pi� arduo, pi� delicato ed 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

764 

incisivo e, quindi, sotto certi aspetti, pi� impegnativo e rilevante, ai .fini 
della certezza del diritto. 

Queste considerazioni valgono anche e soprattutto con riferimento 
alle situazioni che si determinano in seguito a pronunce di illegittimit� 
costituzionale parziale o totale di norme, qualora -nella perdurante 
inerzia del legislatore -occorra trarre le necessarie conseguenze giuridiche 
delle dette pronunce. 

Infatti, conviene ripeterlo, la conseguenza cui danno luogo tali pronunce 
non � quella che, caduta la norma, il caso ad essa regolato resta 
avulso dall'ordinamento giuridico. Ci� pu� avvenire per le leggi penali e 
per quelle eccezionali, la cui applicazione � limitata ai casi e ai tempi 
considerati (art. 1 disp. sulla legge in generale), ma non vale per le norme 
a carattere generale dettate per J'ordinato viver civile. 

Ora nella specie � ben possibile enucleare dall'ordinamento disposizioni 
che,� seboene dettate con riferimento a fattispecie distinte (ma non 
del tutto dissimili) da �quella in esame, sono anche ad essa applicabili 
per la loro portata ampia, per la loro ratio e per i princ�pi generali da 
esse sottesi. 

E tali disposizioni, opportunamente interpretate e coordinate, integrano 
in sostanza un quadro normativo che risulta in armonia con i 
princ�pi ed i criteri applicativi formulati dalla Corte Costituzionale e che 
permette di dare una esauriente soluzione ai problemi suscitati da quella 
pronuncia ed in parte dibattuti nella presente controversia. 

All'uopo va anzitutto richiamato l'art. 2 c. post. {d.P.R. 29 marzo 1973, 

n. 156), non inficiato da pronuncia di incostituzionalit�; il quale, con una 
norma di carattere generale, dispone che, qualora la legge non prescriva 
diversamente, i provvedimenti in materia di telecomunicazioni rientrano 
nella competenza del Ministro delle poste e telecomunicazioni. ~ chiaro, 
quindi, che in mancanza di altre disposizioni � a questa norma che occorre 
rifarsi, anche per l'individuazione dell'organo cui spetta il potere di autorizzazione 
nella materia in esame. E di ci� offre testuale conferma l'art. 38 
della legge n. 103 del 1975 che, sia pure in occasione della disciplina degli 
impianti ripetitori privati, enuncia in termini generali e tassativi il principio 
eh al Ministero delle poste e telecomunicazioni (cui � appunto demandato 
il parere di autorizzare tali impianti) spetta altres� � di coordinare 
tutti i sistemi di radiocomunicazioni nel rispetto delle esigenze prioritarie 
dei servizi pubblici nazionali e del loro sviluppo e, in particolare, l'assegnazione 
della frequenza di funzionamento degli impianti�. E di questo 
principio costituiscono altrettante applicazioni gli artt. 25, 26, 27, 41 e 43 
della citata legge n. 103 del 1975 relativi anch'essi ai potei;i di autorizzazione, 
di vigilanza e di intervento spettanti pur sempre al Ministero 
rispetto agli impianti di diffusione sonora e televisiva via cavo ed ai 
predetti impianti di ripetizione. 
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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 765 

D'altra parte, il principio di diritto fissato dalla pronuncia costituzionale, 
specie se. coordinato con i princ�pi cui si ispirano le predette 
disposizioni, offre una nuova chiave di lettura del disposto dell'art. 1, 
comma secondo, c. post. -cos� come modificato dall'art. 45 della legge 

n. 103 del 1975 -, nel senso che all'autorizzazione prescritta per gli impianti 
di diffusione via cavo e per i ripetitori privati .(lett. a) e b) deve 
ora intendersi soggetta, per identit� di ratio ed in funzione del criterio 
dell'analogia, anche l'esercizio di emittenti private in ambito locale. Ed 
in conseguenza la stessa chiave di lettura vale per il nuovo testo (ex 
art. 45 cit.) . dell'art. 183, comma primo, in base al quale � da ritenere 
che anche per l'installazione di impianti relativi a tali emittenti � necessaria 
la preventiva autorizzazione ministeriale; e vale anche e soprattutto 
per il quarto ed ultimo comma dello stesso articolo, tuttora in vigore, 
il quale in termini tassativi sancisce il principio generale -indubbiament�'
�valido anche risj:)etfo aHa' "faftisp�d'e che qui int�i:'essa -secondo 
cui �sono di competenza dell'amministrazione, nell'ambito del regolamento 
internazionale delle radiocomunicazioni, l'assegnazione di frequenze 
radioelettriche per tutte le radiocomunicazioni, e la notificazione al comitato 
internazionale di registrazione delle frequenze dell'avvenuta assegnazione
�. 
Infine, a completare il quadro normativo fin qui delineato concorrono: 
l'art. 185 c. post., funzionalmente collegato all'art. 183, comma 
quarto (e anch'esso non contemplato da alcuna pronuncia di incostituzionalit�), 
secondo cui i progetti per impianti di teletrasmissioni non 
possono essere eseguiti -e quindi tanto meno gestiti -se non siano 
stati preventivamente approvati dall'amministrazione; l'art. 18 del regol. 
amm. internaz. di Ginevra .del 1959 (reso esecutivo in Italia con il d.P.R. 

n. 1525 del 1967) che vincola gli Stati aderenti a prescrivere la necessit� 
di una �licenza governativa� per l'installazione e l'esercizio di stazioni 
di emissione, e le norme della Convenzione di Torremolinos .(ratificata 
con la legge n. 790 del 1977) che ha eccepito il predetto regolamento, 
ribadendo l'obbligo degli stati membri di provvedere alla corretta distribuzione 
delle frequenze; e da ultimo il d.m. 3 dicembre 1976 (successivo 
alla sentenza della Corte Costituzionale) che ha approvato il. piano nazionale 
delle radiofrequenze, ed all'art. 5 ha ribadito che � l'assegnazione 
di frequenze ai diversi utilizzatori (quindi anche ai privati, ormai legittimati 
all'esercizio delle teletrasmissioni in sede locale) � di competenza 
del Ministero delle poste�, e che allo stesso compete il potere-dovere di 
accertare la compatibilit� dell'utilizzazione di frequenze da parte dei privati 
con le esigenze del pubblico servizio. 
I dati normativi test�. richiamati, oltre a ribadire la indeclinabile 
necessit� di autorizzazione, permettono di puntualizzare la natura, la portata 
e la funzione di essa ed i conseguenti riflessi sulla qualificazione della 
situazione soggettiva dell'interessato. 


RASSEGNA DEIJ.'AVVOCATURA DELLO STATO 

Com'� noto, l'autorizzazione amministrativa � un istituto che, pur se 
essenzialmente rivolto all'eliminazione di un ostacolo giuridico, non presenta 
nelle varie ipotesi caratteri uniformi ed univocamente definiti e si 
atteggia variamente in relazione al tipo di ostacolo da rimuovere, all'oggetto 
(e cio� all'attivit� cui si coordina) ed alla sua specifica portata e 
funzione nell'ambito di una fattispecie complessa a formazione successiva. 

Ora, l'autorizzazione di cui si discute, non consiste nel mero accerta� 
mento della sussistenza di certi requisiti e dell'osservanza di pred~terminate 
condizioni. Di essa, invero, costituisce elemento essenziale ed improcedibile 
e parte integrante, se non addirittura presupposto condizionante, 
l'assegnazione di una banda di frequenza, la quale, insieme ad altre 
eventuali prescrizioni concorre ad identificare i limiti e le modalit� dell'attivit� 
autorizzata. 

Infatti, l'esercizio di un'impresa di teletrasmissioni postula necessariamente 
la possibilit� di avvalersi di una determinata frequenza; ma. la 
scelta o individuazione di tale frequenza, pure tra quelle disponibili, non 
rientra tra le facolt� riconosciute al privato: il provvedimento di assegnazione, 
quindi, inserisce un quid novi nella sfera giuridica del medesimo 
con l'attribuzione di una specifica potest� (facultas agendi,. di cui 
egli era privo e che attiene alle modalit� di utilizzazione dell'� etere�, 
inteso come �un bene comune�; rispetto al quale compete appunto allo 
Stato -anche in base alle citate norme di diritto interno ed internazionale 
-il potere-dovere di prescrivere e gestire le correlative utilit� e di 
disciplinarne e controllarne la fruizione per le esigenze dei pubblici servizi 
e per quelle dei privati, affinch� -nell'interesse generale -essa 
risulti ordinata, corretta e proficua. 

Dai suesposti rilievi si deduce che nel caso in esame l'autorizzazione, 
per quanto concerne uno dei suoi momenti (l'assegnazione della banda 
di frequenza), ha carattere costitutivo, e sotto questo profilo -come � 
stato autorevolmente osservato -presenta elementi tipicamente � con.
cessori �. 

Inoltre � innegabile che, pur nel concorso delle condizioni prescritte, 
il provvedimento autorizzativo -ammesso che possa considerarsi vincolato 
in ordine all'an (in tal senso va forse intesa la notazione fatta a 
�questo proposito dalla Corte Costituzionale) -� peraltro sicuramente 
discrezionale, sotto vari profili e in larga misura, per quanto concerne 
il quo modo: ossia l'effettiva consistenza delle facolt� che dovrebbe inte� 
grare il contenuto del diritto. 

L'individuazione, con riferimento al piano di ripartizione delle bande 
di frequenza a disposizione dell'Italia, di quella da assegnarsi nel caso 
concreto, la delimitazione del cosiddetto �ambito locale�, la determinazione 
delle caratteristiche e della potenza dell'impianto (la quale deve 
.essere tale da non interferire sull'attivit� di emittenti che gi� si avvalgono 
della stessa frequenza in altro ambito, o di frequenze molto simili 

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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

nello stesso ambito) -la eventuale prescrizione di turni o di altre limitazioni 
costituiscono scelte interdipendenti che debbono essere opportunamente 
coordinate; ed a questo fine si deve tener conto delle situazioni 
precostituite, della disponibilit� di frequenze nella zona di cui si tratta, 
nonch� delle caratteristiche geografiche o socio-economiche della somma 
stessa, ed occorre poi aver cura di contemperare convenientemente le 
esigenze, definite �prioritarie�, del servizio pubblico televisivo, nazionale 
e locale, con quella esigenza di pluralismo, altrettanto fondamentale, che 
deve pur essere salvaguardata attraverso il potere demandato dalla pubblica 
amministrazione. 

Ora, alla discrezionalit� tecnica insit� in siffatte valutazioni e determinazioni 
si associano senza dubbio elementi molteplici e cospicui di 
discrezionalit� amministrativa; i quali ineriscono sia alla valutazione dei 
requisiti personali del soggetto da autorizzare e dei collaboratori (che 
-secondo l'indicazione della Corte Costituzionale -debbono dare affidamento 
di corretta gestione delle trasmissioni), sia alla delimitazione della 
zona, sia a tutte le altre eventuali prescrizioni e limitazioni che si rivelino 
opportune e necessarie in relazione ai suindicati fini di interesse generale 
ed alla funzione che � propria dell'autorizzazione. 

Anzi, tale discrezionalit�, proprio in mancanza di specifiche norme 
ad hoc, si profila in un certo senso pi� ampia e rilevante, anche se non 
pu� mai sconfinare nell'arbitrio, dal momento che deve pur sempre essere 
esercitata in aderenza a quei criteri di adeguatezza e di razionalit� che 
sono stati ,suggeriti dalla stessa Corte Costituzionale e che in sostanza 
sono consoni alla peculiarit� della materia. 

A questo punto � agevole qualificare la situazione giuridica del soggetto 
che, avvalendosi della libert� di iniziativa garantita dall'art. 21 e 
dall'art. 41 cost., intenda svolgere nei limiti consentiti un'attivit� di teletrasmissioni 
via etere, ma non abbia ancora conseguito il provvedimento 
di assegnazione della banda di frequenza o di autorizzazione del Ministero 
delle Poste. 

Data la indeclinabile necessit� di tale momento pubblicistico della 
fattispecie e tenuto conto degli elementi concessori e discrezionali che 
caratterizzano -come si � visto -il provvedimento dell'amministrazione, 
� evidente che la menzionata situazione giuridica non � configurabile 
come diritto soggettivo perfetto, giacch� tale natura essa assume 
solo in seguito all'emanazione del provvedimento amministrativo che 
integra o completa la fattispecie complessa. Si tratta, invece, fino a 
quando ci� non si verifichi, di una situazione che si inquadra tra quelle 
che sono variamente definite in dottrina come diritti fievoli in origine, 

o come diritti condizionati o in attesa di espansione, e che nei confronti 
della P.A. ed ai fini della tutela giurisdizionale, si atteggiano come interessi 
legittimi. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

768 

Naturalmente, con riferimento alla fattispecie, di cui si tratta, affinch� 
possa ravvisarsi la situazione come sopra configurata, occorre che l'interessato 
abbia manifestato il suo proposito merc� l'istanza di autorizzazione 
ed abbia elaborato e magari gi� predisposto un progetto di impianto 
destinato all'esercizio dell'attivit� di teletrasmissione televisiva. 

Ci� posto, devesi anche, ed a maggior ragione escludere che sia configurabile 
e tutelabile come diritto soggettivo la situazione di colui che 
-come nella specie -eserciti de facto la predetta attivit� con impianto 
realizzato e gestito senza la preventiva autorizzazione e, quindi, senza 
aver ottenuto dalla P.A. l'assegnazione di una banda di frequenza. Tuttavia, 
la posizione di tale soggetto, che ormai non pu� pi� essere considerata 
penalmente illecita, � equiparabile in un certo senso a quella di 
chi, attraverso l'istanza di autorizzazione ed assegnazione di frequenza, 
abbia manifestato in modo attuoso ed univoco l'intento di avvalersi della 
libert� di iniziativa garantita dalla Costituzione. Ed invero l'esplicazione 
di fatto dell'attivit� in questione, bench� sia senza dubbio anomala ed 
irregolare sotto il profilo giuridico e quindi non implichi esercizio (legittimo) 
di un diritto, � peraltro idonea a dare risalto in modo c�ncreto ed 
attuale allo specifico interesse del soggetto, imprimendo ad esso un carattere 
differenziato, rispetto a quello astrattamente riferibile a qualsiasi 
cittadino, e qualificandolo in tal guisa -nei confronti della P.A. -come 
interesse legittimo, sia al fine del conseguimento ad opera della stessa 
amministrazione dei provvedimenti necessari affinch� si verifichi il completamento 
della fattispecie e l'interesse stesso si espanda per assumere 
la consistenza del diritto soggettivo, sia per opporsi eventualmente a provvedimenti 
che possano comunque ostacolare l'attivit� come sopra intrapresa. 


Nella specie la situazione della R.T.P. � ulteriormente caratterizzata 
dal fatto che essa -come si assume nel ricorso al pretore -nel 1978 
fu sollecitata dal Circostel di Messina a non pi� avvalersi del canale 32 
e da parte dello stesso Circostel ebbe invito nel 1979 a spostare le proprie 
emissioni dal canale 33 (assegnato dal Ministero alla R.A.I. per la rete 2) 
su altra frequenza; circostanze queste che valgono, senza dubbio, a differenziare 
la posizione della R.T.P. rispetto a quella di un qualsiasi altro 
soggetto e a riconoscerle una posizione di interesse qualificato, anche 
perch� specificatamente contemplata da provvedimenti amministrativi. 

Stabilire poi, sempre con riferimento all'ipotesi test� considerata, se 
l'interesse del soggetto sia tutelabile nei confronti di altri soggetti, ed a 
quale titolo, con quali mezzi ed in quali forme la tutela sia possibile � 
questione che non pu� essere qui esaminata, perch� trascende l'oggetto, 
ed i termini della presente controversia. 

La conclusione che si trae dai rilievi che precedono �. che l'interesse 

di cui si lamenta la lesione ad opera dei provvedimenti con cui � stato 

assegnato alla R.A.I., per la seconda rete nella zona di Messina, il canale 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 769 

33 utilizzato dalla soc. R.T.P., in quanto configurabile come interesse 
legittimo, � tutelabile dinanzi al giudice amministrativo, cui spetta, quindi, 
la giurisdizione rispetto alla presente controversia. 

In base a tale conclusione si deve anche negare che possa farsi luogo 
in questa sede alla adozione di misure cautelari ex art. 700 cod. proc. civ. 

La questione relativa alla possibilit� per il giudice ordinario di adottare 
provvedimenti di urgenza, pur nei casi in cui la controversia rientri 
nella giurisdizione del giudice amministrativo (o comunque di un giudice 
speciale) -� stata oggetto di contrastanti soluzioni in sede pretorile. 

L'indirizzo che riconosce la possibilit� di concessione si fonda principalmente 
sull'asserito carattere generale della tutela cautelare estensibile 
ad ogni ipotesi di possibile irreparabile pregiudizio, sulla minore efficacia 
della tutela cautelare amministrativa -del tutto inesistente quando si 
tenda ad anticipare un adempimento ne~ato dalla P.A. -, sull'esigenza di 
raggiungere una posizione di uguaglianza in ogni tipo di processo, e vede 
come unico limite il potere del giudice ordinario il divieto di revocare 

o modificare l'atto amministrativo, posto dall'ari. 4 della legge n. 2248 
del 1865, ali. E. 
L'altro indirizzo, che limita l'ambito di applicazione dell'art. 700 cod. 
proc. civ. ai soli casi in cui la giurisdizione spetti al giudice ordinario, 
parte dell'art. 1 cod. proc. civ., secondo cui le norme del processo civile 
sono dettate per lo svolgimento della giurisdizione civile esercitata dai 
giudici ordinari, attribuisce carattere eccezionale alla possibilit� di concessione 
del sequestro da parte del giudice ordinario in cause in cui egli 
non sia competente a conoscere del merito (art. 672 cod. proc. civ.); richiama 
la stretta connessione tra fase cautelare e giudizio di merito nena 
procedura ex art. 700 cod proc. civ. e nega che la mancanza di una tutela 
cautelare davanti al giudice amministrativo nei confronti dei comportamenti 
omissivi della P.A. possa comportare in tali casi pel giudice ordinario 
il potere di emettere provvedimento di urgenza. 

Queste sezioni unite, con la sentenza n. 5575 del 25 ottobre 1979, si 
sono occupate della questione con riferimento all'ipotesi della giurisdizione 
esclusiva del gh,1.dice amministrativo ed hanno negato che in tali 
casi il pretore abbia potest� giurisdizionale per emettere provvedimenti 
d'urgenza ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ. Hanno in proposito affermato; 
che la coincidenza della tutela giuridica perseguita in via provvisoria 
e cautelare con quella perseguita in via definitiva attraverso il 
giudizio di merito viene a tradursi inevitabilmente nella revoca, sia pur 
temporanea, di un atto amministrativo e nella imposizione di un facere 
alla P.A., contro il divieto sancito dall'art. 4 della legge 20 marzo 1865, 

n. 2248, all. E; e che d'altra parte nessuna rilevanza pu� attribuirsi ana 
mancanza in sede di giurisdizione amministrativa di provvedimenti cautelari 
del tipo di quelli previsti dall'art. 700 cod. proc. civ. costituendo ci� 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

una naturale conseguenza delle peculiari caratteristiche della giurisdizione 
amministrativa rispetto a quella civile. 

A queste considerazioni di indubbia esattezza possono aggiungersi 
ulteriori rilievi che dimostrano l'assoluta inammissibilit� dell'adozione di 
provvedimenti ex art. 700 cod. proc. civ., allorch� la giurisdizione sia del 
giudice amministrativo. 

Tutti i casi in cui i giudici di merito hanno riconosciuto la possibilit� 
di emanare un provvedimento d'urgenza, pur in carenza di giurisdizione 
del giudice ordinario, riguardano ipotesi di giurisdizione amministrativa 
esclusiva, in cui nella posizione soggettiva dedotta in giudizio 
poteva ravvisarsi un diritto soggettivo. Per contro, con riferimento alla 
fattispecie qui esaminata, in cui la posizione dedotta � sicuramente di 
interesse legittimo, potrebbe osservarsi che la concessione di un provvedimento 
ex art. 700 cod. proc. civ. incontrerebbe ostacolo, oltre che nel 
menzionato divieto di 'cui all'art. 4 legge 1865, ali. E, nella formula stessa 
dell'articolo, che, parlando di possibile pregiudizio al �diritto� durante 
il tempo necessario per farlo valere, si riferisce al diritto soggettivo in 
senso tecnico e non ad una qualunque posizione tutelata. 

Ma a prescindere da questo argomento (non esauriente e risolutivo, 
giacch� non tocca i punti cruciali della questione) pi� puntuale, e senza 
dubbio decisiva ed assorbente � la considerazione che tutela giurisdizionale 
davanti al giudice ordinario e tutela davanti al giudice amministrativo 
sopo sistemi che si muovono su piani diversi e le differenze tra l'uno 
e l'altro vanno ricercate in una scelta del legislatore rispondente a precise 
esigenze giuridiche e sociali. 

N� trova riscontro nel sistema la previsione di una giurisdizione cautelare 
a s� stante, astrattamente considerata, giacch� la tutela cautelare, 
abbia essa in concreto contenuto anticipatorio o meramente conservativo, 
non � fine a se stessa, ma per la sua intima essenza -ha carattere strumentale 
ed � quindi in funzione del giudizio di merito al quale il procedimento 
cautelare � inscindibilmente collegato, anche sotto il profilo 
strutturale. 

-Pertanto, la portata integratrice (rispetto ai provvedimenti cautelari 
nominati e tipici) attribuita ai provvedimenti di urgenza previsti e disciplinati 
dall'art. 700 si muove sempre entro l'ambito della giurisdizione 
civile. 

E non �, perci�, configurabile anche come una fase preliminare del 
provvedimento giurisdizionale amministrativo. 

Questo .peraltro, prevede misure cautelari sue proprie: e la diversit� 
di. tali misure si spiega con la diversa struttura dei giudizi, senza che 
possa parlarsi di violazione del principio di uguaglianza. 

N� la previsione eccezionale, del potere del giudice ordinario (pretore 

o presidente del tribunale) di disporre il sequestro anche nei casi in cui 
il detto giudice non sia competente a conoscere del merito pu� essere 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

assunta quale regola generale per tutti i procedimenti cautelari in senso 
lato .(art. 672, comma terzo e 680, ultimo comma, cod. proc. civ.). 

Gli � che il procedimento di sequestro ha una sua, se pur limitata, 
autonomia, in quanto alla concessione del provvedimento fa seguito in 
ogni caso il giudizio di convalida, laddove il provvedimento ex art. 700 
cod. proc. civ. pur se implica l'anticipazione degli effetti della probabile 
decisione sul merito, non ha alcuna autonomia, non deve avere una propria 
convalida, dipendendo questa dall'accoglimento o dal rigetto della 
domanda di merito, per cui il giudice che non ha giurisdizione sulla pronuncia 
di merito non ha giurisdizione neppure per assicurarne provvisoriamente 
gli effetti. 

Ma l'impossibilit� di condividere l'indirizzo qui criticato risulta anche 
da un altro decisivo rilievo: il sistema dei provvedimenti di urgenza 
prevede che competente a provvedere sia il pretore, prima del giudizio o 
il giudice istruttore, a giudizio di merito in corso (art. 701 cod. proc. civ.). 
In realt�, con riferimento all'ipotesi che un provvedimento di urgenza 
possa essere adottato dal pretore anche nei casi in cui la giurisdizione 
spetta al giudice amministrativo, bisognerebbe domandarsi a chi dovrebbe 
essere rivolta la richiesta, in caso di giudizio amministrativo pendente. 
Non al pretore perch� gi� il giudizio � in corso; n�, allo stato, potrebbe 
ritenersi che il procedimento ex art. 700 ss. sia suscettibile di applicazione 
anche dinanzi al giudice amministrativo, nonostante la mancanza 
di qualsiasi previsione normativa in tal senso. E se cos� � non si vede 
come e in base ai quali presupposti dovrebbe essere possibile richiederlo 
prima del giudizio stesso. 

La notazione che il giudice ordinario, emettendo un provvedimento 
ex art. 700 cod. proc. civ. in materia rientrante nella giurisdizione del 
giudice amministrativo finirebbe non di rado col violare (il che si verificherebbe 
appunto nella specie) il divieto posto dall'art. 4 della legge 

n. 2248 del 1865, all. E, � indubbiamente esatta; ed �, d'altro canto innegabile 
che anche in materia cautelare, tale divieto costituisce un limite 
inevalicabile del potere del giudice ordinario rispetto alle controversie, 
relative a diritti, devolut� alla sua giurisdizione. Ma in ordine alle controversie 
che sono invece devolute al giudice amministrativo la preclusione 
per il giudice ordinario di emettere i provvedimenti di cui si discute 
va individuata, come si � detto, in una ragione di fondo, di portata generale 
-e come tale radicale ed assorbente -che si colloca, dal punto 
di vista ontologico e sistematico, in una visione, pi� ampia, ed inerisce 
al tema dell'intrinseca portata e dei limiti esterni della giurisdizione. 
In conclusione, il potere cautelare generale attribuito al giudice ordinario 
dall'art. 700 cod. proc. civ. non � esperibile rispetto a situazioni 
giuridiche tutelabili dinanzi al giudice amministrativo. Tale potere che 
-come gi� accen_nato -ha carattere meramente strumentale, spetta ai 
giudici di ciascun ordine giurisdizionale soltanto rispetto alle controversie 


772 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

devolute alla loro giurisdizione e pu� esercitarsi nelle forme e nei limiti 
previsti dalle norme regolatrici dei rispettivi procedimenti. 

La riconosciuta esistenza in capo alla soc. R.T.P. di una posizione di 
interesse legittimo, stante anche l'impossibilit� sopra specificata di richiedere 
al giudice ordinario un provvedimento d'urgenza, porta, come si � 
detto, a concludere per la giurisdizione del giudice amministrativo e in 
tal senso va risolto il regolamento di giurisdizione. (omissis) 



SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 novembre 1979, n. 800 -Pres. Mirabelli. 
-Est. Fa.Icone -P. M. Grossi (concl. conf.). -Morra (avv. Sciac�a, 
Scarpa) c. Ministero delle Finanze '(avv. Sfato Baccari). 

Prescrizione e decadenza -Eccezione di interruzione -Eccezlone in senso 
;proprio -Non rllevabllit� d'ufficio. 
(Cod. proc. civ., art. 112). 

Prescrhllone e decadenza -Produzione del documento -Prova dell'eccezione 
-Jnammfssibilit� lin Cassazione. 
(Cod. proc. civ., art. 372). 

Non comporta deduzione dell'eccezione di prescrizione la sola produzione 
di documenti dai quali si desuma la prova dell'eccezione (1). 

Non pu� essere sollevata per la prima volta in Cassazione l'eccezione 
di interruzione della prescrizione ancorch� basata su documento esistente 
agli atti di causa, ma non rilevata dalla parte nel giudizio di merito (2). 

(omissis) Il ricorso principale e quello incidentale devono essere 
riuriiti sotto il pi� antico numero di ruolo, siccome proposti contro la 
stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.). 

Il primo motivo del ricorso incidentale, attinente alla statuizione 
sulla legittimazione processuale dell'attuale ricorrente, quale titolare dei 
benefici parrocchiali di S. Eufemia e di S. Antonio in Carinare, ed avente 
carattere pregiudiziale, deve essere esaminato con precedenza. 

(1-2) Sulla prima massima cfr. in senso conforme: Cass., 16 gennaio 1951, 

n. 96, in Mass. Giur. It., 1951, c. 540; Cass., 10 agosto 1953, n. 2699, ibidem, 
<:. 598; Cass., 13 ottobre 1954, n. 3657, ibidem, c. 819. (Nella specie la Cassazione 
ha ritenuto che rientrano nel novero delle eccezioni in senso proprio quei 
mezzi di difesa che, pur essendo diretti al rigetto della domanda, mirano a 
conseguire tale risultato attraverso l'annullamento dell'azione esercitata, contrapponendo 
al fatto costitutivo dedotto dall'attore, un altro fatto modificativo 
o estintivo degli effetti di esso. Cfr. infine, Cass., 14 giugno 1962, n. 1480, in 
Mass. Giur. It., 1%2, c. 553. {La Cassazione ha precisato che ile cause di interruzione 
della prescrizione devono essere dedotte da colui contro il quale la 
prescrizione � stata invocata e non possono essere rilevate d'ufficio dal giudice). 
Per la seconda massima cfr. esattamente in termini Cass., 22 giugno 1957, 

n. 2394, in Mass. Giur. lt., 1957, c. 540. (La produzione di un documento dal 
quale potrebbe ravvisarsi la prova di un'eccezione non rilevabile d'ufficio, non 

774 

RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DELLO STATO 

La censura � diretta a contestare l'esattezza della decisione impugnata, 
con l'assunto che il certificato della Curia Vescovile non era sufficiente 
per affermare la legittimazione del ricorrente, nella qualit� di 
rappresentante del beneficio di S. Antonio, poich� da esso non era dato 
stabilire se egli � abbia potuto far valere la pretesa di un diritto trasmessogli 
dal precedente titolare o, putacaso, gi� estinto in precedenza�, considerato 
che l'immemorabile non costituisce prova della successione avvenuta 
nell'azione personale di rilascio. 

La doglianza � priva di fondamento. 
�Il certificato della Curia Vescovile esibito dall'attuale ricorrente, il 
quale ha agito in giudizio nella qualit� di Parroco della Parrocchia di 

S. Eufemia in Carinaro attesta che ab immemorabili il beneficio di S. Antonio 
� unificato con quello di S. Eufemia in Carinaro, per cui Mons. Gennaro 
Morra, quale titolare del beneficio di S. Eufemia, � anche titolare 
del beneficio di S. Antonio �. 
La certificazione, al cui esame diretto questa Corte pu� procedere, 
trattandosi di indagine riguardante la legittimazione precessuale, attesta 
che nella vita dei due benefici ecclesiastici si � verificata una vicenda 
consistente nel mutamento permanente di uno degli elementi di essi; 
vicenda che nell'ordinamento canonico � qualificata come unione, e che, 
nella specie, non ha avuto carattere estintivo, poich� il beneficio di 

S. Antonio non ha cessato di esistere (canone 1419 n. 1), ma si � attuata 
in una delle forme che danno luogo ad una unificazione operante soltanto 
nel senso di attribuire ai due benefici un solo titolare. Anche, se 
come sembra doversi ritenere, l'unione non ha lasciato i due benefici in 
posizione di autonomia (come si verifica quando essa sia aeque principalis, 
Can. 1419 n. 2; 1420, 2), ma ha posto il beneficio di S. Antonio in posizione 
subordinata rispetto a quello di S. Eufemia (unione minus prinCipalis: 
can. 1419 n. 3, 1420, 3), � certo che, comunque, la vicenda non riguarda 
l'esistenza e la distinta personalit� dei benefici, ma soltanto la 
comporta la deduzione dell'eccezione medesima e non solleva la parte cui 
spetta proporla, dell'onere di affermazione). La Cassazione ha dunque ritenuto� 
anche nella sentenza da ultimo cit. che la difesa basata sull'interruzione 
della prescrizione costituisca eccezione in senso proprio. Cfr. anche, Cass., 
5 novembre 1978, n. 4038, in Foro It. Rep., 1978, c. 2089. (Nella specie la S.C. 
ha ritenuto che un'eccezione in senso proprio non pu� essere rilevata d'ufficio 
dal giudice, ma essendo diretta ad impugnare il diritto dell'attore pu� essere 
proposta soltanto dal convenuto con l'osservanza del principio del contraddit� 
torio e quindi non oltre l'udienza di precisazione delle conclusioni. V. infine,. 
cass., lo dicembre 1978, n. 5682, in Mass. Foro It., 1978, c. 1118, secondo cui 
l'accertare se il contenuto di un atto abbai o meno efficacia interruttiva della 
prescrizione, costituisce indagine riservata al giudice di merito, non sindacabile 
in Cassazione). 

In dottrina, cfr. NATOLI, Eccezioni e questioni di merito, preliminari di. 
merito e pregiudiziali di rito, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1978, 417. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

loro titolarit� e rappresentanza, le quali spettano, come risu,lta dal cer� 
tificato esibito, al titolare del beneficio di S. Eufemia, anche per quello 
di S. Antonio. 

E poich� non ha formato oggetto di discussione il principio che il 
titolare del beneficio secondo il diritto canonico � amministratore e rappresentante 
di esso anche nei confronti del diritto statuale (principio ricavato 
dal sistema posto in essere dall'art. 31 del Concordato), non resta 
che concludere nel senso che, non risultando verificatasi alcuna vicenda 
di estinzione di soggetti e di conseguente trasferimento di diritti, l'argomentazione 
critica della ricorrente amministrazione� appare priva di giuridica 
consistenza e che bene � stata riconosciuta la titolarit� e la rappresentanza 
del beneficio di S. Antonio in Carinaro al titolare del beneficio 
di S. Eufemia e quindi la legittimazione processuale di Mons. Gennario 
Morra. 

Passando all'esame del ricorso prindpale, occorre rilevare che i giudici 
di appello hanno respinto la domanda diretta ad ottenere la restituzione 
del fondo di cui trattasi, senza proporsi e decidere la questione della 
qualificazione giuridica del rapporto costituitosi con il rogito in data 
24_ luglio 1769 tra i titolari dei benefici parrocchiali di S. Eufemia e di 

S. Antonio e la Real Corte di Napoli, ritenendola -implicitamente superflua 
ai fini della decisione. 
Ed infatti, dopo avere considerato che il diritto alla restituzione 
per scadenza della locazione doveva ritenersi prescritto, perch� non 
esercitato entro il trentennio dalla fine del contratto (stipulato senza determinazione 
di tempo, e quindi da ritenersi di durata trentennale dal 
1865, a norma degli art. 1571 del cod. civ. del 1865), cio� durante il decor� 
so del termine di prescrizione trentennale (art. 2135 cod. civ. 1865) corrente 
dal 1895 al 1925, detti giudici hanno ritenuto che alla stessa conclusione 
di infondatezza della pretesa, per intervenuta prescrizione del 
diritto alla restituzione, doveva pervenirsi anche ammettendo che l'atto 
del 1769 contenesse un provvedimento di natura pubblicistica assimilabile 
alla requisizione. 

Hanno, infatti, affermato che, anche muovendo da un tale presupposto, 
il diritto fatto valere doveva dichiararsi prescritto, poich� non 
era stato esercitato nel termine di prescrizione, termine che, iniziato a 
decorrere dal 1937 (anno in cui era cessata la destinazione -campo mi� 
litare di manovra -per cui il fondo era stato requisito), ed interrotto 
in data 1� dicembre 1941, e che aveva la durata di un decennio a decor� 
rere dal 21 aprile 1942 (a norma dell'art.� 252 delle disp. artt. del cod. civ. 
1942), era ampiamente decorso, pur calcolando le sospensioni disposte 
per lo stato di guerra, al momento della introduzione del giudizio (22 gen� 
naio 1970). 

In questa situazione, il rispetto dell'ordine logico-giuridico delle questioni 
prospettate dal ricorrente, e cio� la precedenza dell'esame del pri



-
.�: m �=� 
. 
X 
776 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
mo motivo, tendente a risolvere l'alternativa lasciata aperta dai giudici 
del merito sulla qualificazione del rapporto a favore della tesi della 
natura pubblicistica di esso, per i principi di economia e di conservazione 
dell'attivit� processuale non pu� essere seguito e deve, quindi, essere 
data precedenza all'esame del secondo motivo di ricorso, con il quale si 
sostiene che il termine di prescrizione del diritto alla restituzione nascente 
dall'avvenuta cessazione del � rapporto di requisizione � non si era 
compiuto, perch� interrotto con atti di cui i giudici di appello hanno 
omesso l'esame. 
Ed invero, � evidente che, ove l'esame di questo secondo motivo 
avesse un risultato sfavorevole per la tesi prospettata, il processo troverebbe 
la sua fine con il rigetto del ricorso, rimanendo superata l'esigenza 
di stabilire la natura del rapporto che, pure nella configurazione 
propugnata dal ricorrente, non costituirebbe presupposto sufficiente per 
l'accoglimento della pretesa di restituzione dell'immobile. 
Il ricorrente (con il secondo motivo) premesso che un qualsiasi atto 
che manif�sti la chiara volont� del creditore di ottenere il soddisfacimento 
del suo diritto, � idoneo ad interrompere la prescrizione estintiva, 
lamenta l'omesso esame della nota dell'Intendente di Finanza in 
data 30 luglio 1966 in cui si d� atto che �risultano agli atti della scrivente 
le sottoelencate richieste di restituzione del terreno in questione 
prodotte dal beneficio parrocchiale di S. Eufemia in data 3 marzo 1937, 
17 agosto 1938, 22 maggio 1941, 28 luglio 1941, 1� dicembre 1941, 14 ottobre 
1950, 10 maggio 1960, 9 novembre 1964 �. Tali richieste, egli sostiene, 
erano idonee ad interrompere la prescrizione decennale decorrente dall'entrata 
in vigore del codice civile vigente, sicch� tale prescrizione non 
poteva considerarsi compiuta. 
La censura non pu� trovare accoglimento. 
Prima ancora di affrontare il problema, sollevato nel controricorso, 
se il documento invocato possa considerarsi di portata decisiva, posto 
che esso contiene la mera notizia che, inviate dal titolare del beneficio 
di S. Eufemia pervennero all'amministrazione � altre generiche richieste 
di restituzione �, quindi � non di rilascio in relazione al contratto del 
1769 �, le quali �non rappresentano atti di costituzione in mora a norma 
dell'art. 1219 cod. civ.�, deve essere rilevato che la questione dell'interruzione 
della prescrizione e della portata interruttiva degli atti di richiesta 
di restituzione del fondo indicati nella nota dell'Intendente di Finanza 
non ha formato oggetto di discussione nelle fasi di merito, n� in primo 
n� in secondo grado. 
. L'attuale ricorrente, pervero, fece cenno delle richieste di restituzione 
inoltrate alla competente autori~� amministrativa limitatamente a quelle 
formulate negli anni 1950 e 1964, ma lo fece nell'atto di citazione, nella 
parte dedicata alla esposizione dei fatti per sottolineare che, nonostante 
le ripetute sollecitazioni, non era stata eseguita la restituzione che da 
-
.�: m �=� 
. 
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776 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
mo motivo, tendente a risolvere l'alternativa lasciata aperta dai giudici 
del merito sulla qualificazione del rapporto a favore della tesi della 
natura pubblicistica di esso, per i principi di economia e di conservazione 
dell'attivit� processuale non pu� essere seguito e deve, quindi, essere 
data precedenza all'esame del secondo motivo di ricorso, con il quale si 
sostiene che il termine di prescrizione del diritto alla restituzione nascente 
dall'avvenuta cessazione del � rapporto di requisizione � non si era 
compiuto, perch� interrotto con atti di cui i giudici di appello hanno 
omesso l'esame. 
Ed invero, � evidente che, ove l'esame di questo secondo motivo 
avesse un risultato sfavorevole per la tesi prospettata, il processo troverebbe 
la sua fine con il rigetto del ricorso, rimanendo superata l'esigenza 
di stabilire la natura del rapporto che, pure nella configurazione 
propugnata dal ricorrente, non costituirebbe presupposto sufficiente per 
l'accoglimento della pretesa di restituzione dell'immobile. 
Il ricorrente (con il secondo motivo) premesso che un qualsiasi atto 
che manif�sti la chiara volont� del creditore di ottenere il soddisfacimento 
del suo diritto, � idoneo ad interrompere la prescrizione estintiva, 
lamenta l'omesso esame della nota dell'Intendente di Finanza in 
data 30 luglio 1966 in cui si d� atto che �risultano agli atti della scrivente 
le sottoelencate richieste di restituzione del terreno in questione 
prodotte dal beneficio parrocchiale di S. Eufemia in data 3 marzo 1937, 
17 agosto 1938, 22 maggio 1941, 28 luglio 1941, 1� dicembre 1941, 14 ottobre 
1950, 10 maggio 1960, 9 novembre 1964 �. Tali richieste, egli sostiene, 
erano idonee ad interrompere la prescrizione decennale decorrente dall'entrata 
in vigore del codice civile vigente, sicch� tale prescrizione non 
poteva considerarsi compiuta. 
La censura non pu� trovare accoglimento. 
Prima ancora di affrontare il problema, sollevato nel controricorso, 
se il documento invocato possa considerarsi di portata decisiva, posto 
che esso contiene la mera notizia che, inviate dal titolare del beneficio 
di S. Eufemia pervennero all'amministrazione � altre generiche richieste 
di restituzione �, quindi � non di rilascio in relazione al contratto del 
1769 �, le quali �non rappresentano atti di costituzione in mora a norma 
dell'art. 1219 cod. civ.�, deve essere rilevato che la questione dell'interruzione 
della prescrizione e della portata interruttiva degli atti di richiesta 
di restituzione del fondo indicati nella nota dell'Intendente di Finanza 
non ha formato oggetto di discussione nelle fasi di merito, n� in primo 
n� in secondo grado. 
. L'attuale ricorrente, pervero, fece cenno delle richieste di restituzione 
inoltrate alla competente autori~� amministrativa limitatamente a quelle 
formulate negli anni 1950 e 1964, ma lo fece nell'atto di citazione, nella 
parte dedicata alla esposizione dei fatti per sottolineare che, nonostante 
le ripetute sollecitazioni, non era stata eseguita la restituzione che da 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

lungo tempo la stessa amministrazione aveva riconosciuto di dovere 
effettuare. E che non intendesse, con tale riferimento, far valere atti di 
natura interruttiva della prescrizione, del resto non ancora eccepita dalla 
convenuta, risulta evidente considerando che all'eccezione di prescrizione 
di ogni diritto sollevata dall'amministrazione nella comparsa di risposta, 
replic� sostenendo soltanto, con le conclusioni, illustrate nella comparsa 
(conclusionale) in data 7 gennaio 1974, che non aveva senso parlare di 
prescrizione estintiva, perch� la domanda di rilascio del fondo era basata 
sul diritto di propriet� di esso attore e che, comunque, la locazione era 
rimasta in vita per tacita riconduzione, fino a quando l'Amministrazione, 
nel 1936 aveva manifestato la volont� di restituire il fondo. 

Il tribunale, individuando nella domanda formulata due distinte 
causae petendi, respinse sia la pretesa di restituzione per essere venuto 
meno il titolo in base al quale il bene era stato consegnato, sia la domanda 
di revindica. Ritenuto che con l'entrata in vigore del codice civile del 
1865 le locazione sewa' determinazione di durata, quale quella in oggetto, 
erano divenute nulle, osserv� che in tale data (1865) il diritto alla restituzione 
si era prescritto; rigett�, poi, la domanda di revindica per essere 
mancata la prova della propriet� da parte dell'attore. 

Nel proporre appello contro questa sentenza, l'attuale ricorrente, non 
impugn� il capo di rigetto dell'azione di rivendicazione, ma sostenne che 
il rapporto posto in essere nel 1769 doveva ritenersi quanto meno in parte 
natura pubblicistica � e che l'azione di restituzione, avendo avuto fine 
tale rapporto, assimilabile ad una requisizione, era diretta contro l'Amministrazione 
delle Finanze quale occupatrice del fondo senza titolo. 

-Subordinatamente dedusse che, ove si fosse configurato il rapporto stesso 
come avente natura locatizia, il diritto alla restituzione non poteva ritenersi 
prescritto perch� era intervenuto il riconoscimento di tale diritto da 
parte dell'amministrazione conduttrice, con il dispaccio in data 27 agosto 
1937 del Ministero della Guerra. 

L'interruzione della prescrizione da parte dell'appellante, attuale ricorrente, 
fu, pertanto, eccepita soltanto con riferimento al diritto alla restituzione 
nascente dal i:apporto qualificato -come aveva fatto il tribunale 
-come locazione, invocando soltanto il riconoscimento del diritto 
da parte dell'amministrazione. tenuta alla restituzione. 

Orbene, anche ove si ritenesse tale richiamo al riconoscimento del 
diritto, compiuto con riferimento alla prescrizione del diritto alla restituzione, 
quale che fosse il titolo da cui nasceva, tratterebbesi pur sempre 
di riferimento ad evento interruttivo verificatosi in momento anteriore 
alla data� da cui � stata fatta decorrere la prescrizione applicata, e quindi 
privo di rilevanza ai fini delia statuizione che viene criticata in questa 
sede, la quale, infatti, riposa sull'accertato compimento della prescrizione 
decennale con decorrenza dal 21 ap;rile 1942 (data di entrata in vigore del 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

778 

vigente codice civile, in relazione alle norme degli art. 2946 di detto codice 
e dell'art. 252 delle relative disposizioni transitorie). 

Nessuna eccezione d'interruzione del diritto alla restituzione del fondo 
fu espressamente formulata con riferimento al periodo di tempo successivo 
al 1942, e nessun fatto od atto interruttivo riferibile a detto periodo 
fu comunque prodotto od invocato dall'attuale ricorrente. 

Nessun vizio di attivit� pu� essere, pertanto, addebitato ai giudici 
di appello, per non avere preso in esame un'eccezione, quale deve certamente 
ritenersi quella di interruzione della prescrizione (controeccezione 
all'eccezione di prescrizione: Cass. 16 gennaio 1951 n. 96; 13 ottobre 1954 

n. 3657; 5 luglio 1957 n. 2625; 6 agosto 1962 n. 2386) che non era stata 
sollevata in relazione al diritto fatto valere in giudizio con riferimento 
al tempo in cui la prescrizione stessa era in corso e per avere, in conseguenza, 
omesso ogni motivazione su tale punto e sulla portata del documento 
che oggi viene invocato, cio� su questioni e su documenti che non 
formarono oggetto di discussione tra le parti. 
Il richiamo alla nota dell'Intendente di Finanza in data 30 luglio 
1966, esibita dall'amministrazione convenuta, ed all'efficacia interruttiva 
della prescrizione, attribuita agli atti di richiesta di restituzione formulati 
dall'attuale ricorrente ricordati in tale nota, fa emergere per la prima 
volta in questa sede una questione che, involgendo evidenti indagini 
ed accertamenti di merito, non pu� essere presa in esame per i limiti propri 
del giudizio di legittimit�. 

Ed infatti, � stato altre volte precisato, con specifico riferimento a 
documenti nei quali, in ipotesi, poteva ravvisarsi la prova dell'eccezione 
(non rilevabile d'ufficio) dell'interruzione della prescrizione a favore di 
chi li esibiva (ed occorre ricordare come nella specie il documento invocato 
non � stato nemmeno prodotto dall'attuale ricorrente, ma -come 
si � detto -dall'Amministrazione delle Finanze che eccepiva la prescrizione), 
che tale produzione non comporta la deduzione dell'eccezione medesima 
e non solleva la parte cui spetta di proporla dal relativo onere di 
formulazione, e che non pu� essere sollevata per la prima volta nel giudizio 
di cassazione un'eccezione c�n la quale si faccia valere una circostanza 
interruttiva della prescrizione, ancorch� basantesi su un documento 
esistente negli atti di causa, ma non mai strumentalmente invocato 
dalla parte nei precedenti gradi al fine di sorreggere tale eccezione 
(Cass., 22 giugno 1957, n. 2394). 

Il motivo di ricorso deve, pertanto, essere respinto. 
Al rigetto di esso segue, per le considerazioni innanzi esposte l'assorbimento 
del primo motivo. 

Anche il sec;:ondo motivo del ricorso incidentale dell'Amministrazione 
delle Finanze, con il quale viene �riproposta>>, condizionatamente all'accoglimento 
del ricorso principale, l'eccezione di usucapione sollevata nei 
gradi di merito, rimane assorbito. (omissis) 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 779 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 novembre 1979, n. 1511 -Pres. Granata Est. 
Borruso -P. M. Cammarota (concl. conf.) -Ministero dei Lavori 
Pubblici (avv. Stato Cevaro) c. Di Stefano Di Leo (avv. Cacopardo). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Indennit� di esproprio -Momento 
di riferimento. 
(Legge 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 39 e 50). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Indennit� di esproprio -Debito di 
valuta -Rivalutazione -Esclusione -Interessi legali.. 
(Cod. civ. art. 1282). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Indennit� di esproprio -Determi


nazione -Criteri. 

(Legge 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39). 

L'indennit� di espropriazione dev'essere ragguagliata al valore effettivo 
ed integrale del bene espropriato al momento del decreto di esproproprio. 
Tale principio non trova per� applicazione nell'ipotesi prevista 
dall'art. 22-quater della legge 18 marzo 1968, n. 241. In tal caso l'indennit� 
va calcolata C(Jn riferimento alla data del sisma, ma rivalutata fino alla 
data dell'espropriazione (1). 

L'ammontare di un'indennit� di esproprio gi� determinata costituisce 
debito di vaZUta e quindi � soggetta al principio nominalistico. Il 
ritardo nell'adempimento comporta l'obbligo dell'espropriante di corrispondere 
gli interessi legali (2). 

L'art. 39 della legge n. 2359/1865 nel disporre che l'indennit� debba 
consistere nel giusto prezzo che l'immobile avrebbe avuto in una libera 
contrattazione di vendita, adotta un criterio di valutazione economico e 
non giuridico nel senso che occorre avere riguardo soltanto al prezza 
effettivo del bene quale emerge dal libero gioco di mercato. A tal fine 
il metodo di stima sintetico-comparativo � quello che pi� di ogni altro 
corrisponde al criterio di legge (3). 

(1) Questione nuova. In generale\ sull'indennit� di esproprio cfr. Cass., 
Sez. un., 11 ottobre 1979, n. 5275, in Mass. Giur. lt., 1979, c. 1310. (L'indennit� 
di espropriazione per pubblica utilit� va determinata con riferimento al momento 
in cui, con il decreto di espropriazione si verifica il trasferimento della 
propriet� del bene a favore dell'espropriante). 
(2) Giurisprudenza costante nel senso della massima: cfr. Cass., 6 ottobre 
1976, n. 3290, in Mass. Giur. lt., 1976, c. 813; Cass., 30 maggio 1978, n. 2733, 
ibidem, c. 625. (Il debito relativo all'indennit� di espropriazione costituisce 
debito di valuta anche per la parte liquidata nel giudizio di opposizione alla 
stima e, come tale non � suscettibile di essere rivalutato in relazione alla 
sopravvenuta svalutazione monetaria. Il ritardo nell'adempimento anche per 
l'indicata parte, comporta l'obbligo dell'espropria'nte di corrispondere all'espro� 
priato i soli interessi legali). 
(3) Cfr. esattamente in termini Cass., Sez. un., 8 aprile 1975, n. 1271, in 
Mass. Giur. lt., 1975, c. 341. (Nella specie la S.C. sulla base dell'enunciato 
principio ha ritenuto che esattamente i giudici di merito avevano qualificato 
il fondo come edificatorio, valutandone il valore in relazione ai prezzi di mer� 
cato dei . beni aventi le stesse caratteristiche). 

780 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Riuniti i due ricorsi ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ perch� 
diretti entrambi all'impugnazione della medesima sentenza, va, innanzitutto, 
esaminato il primo motivo del ricorso incidentale, in quanto 
in esso si prospetta la questione del momento in relazione al quale si 
sarebbe dovuto accertare il valore venale dei terreni in questione e la 
soluzione di essa appare preliminare rispetto anche a quella di tutte le 
altre questioni prospettate nel ricorso principale. 

Col predetto primo motivo del ricorso incidentale Giuseppe Di Stefano 
Di Leo, deducendo la violazione degli artt. 22-quater e 13 della legge 
18 marzo 1968, n. 241, in relazione all'art. 14 delle preleggi, sostiene che 
l'indennit� di esproprio avrebbe dovuta essere calcolata in riferimento 
alla data del decreto di esproprio, secondo i principi generali vigenti in 
materia e non alla data del terremoto. E cio� perch� la disciplina giuridica 
dettata dal legislatore per il trasferimento degli abitati, che fa riferimento 
a quest'ultima data, differirebbe profondamente per struttura, 
per ratio ispiratrice e per il modo di finanziamento da quella prevista per 
la sistemazione delle baraccopoli. Nella espropriazione per baraccamenti, 
invero, mancherebbero adempimenti di importanza fondamentale nel 
procedimento generale (quali ad esempio, la dichiarazione di pubblica 
utilit� e la compilazione del progetto) e l'indennit� di esproprio sarebbe 
fissata, anzich� a mezzo di perizia giudiziale, direttamente dall'ufficio 
tecnico erariale. D'altra parte, ancorare il valore dei terreni alla data del 
sisma sarebbe stata un'esigenza per il caso di trasferimento di abitati, 
in quanto i lunghi studi e i progetti necessari per l'attuazione consentivano 
altrimenti facili speculazioni sui terreni scelti per il trasferimento: ma 
ci� non sarebbe potuto verificarsi per i baraccamenti, per insediare i 
quali le scelte dei terreni occorrenti erano state immediate, improvvise 
e rapidissime. 

Il motivo � infondato per le seguenti ragioni che si integrano a vicenda 
e che appaiono prevalenti su ogni altra eventualmente contraria: 

1) la norma con cui il legislatore prese in considerazione particolare 
l'indennit� di esproprio delle 'aree necessarie alla sistemazione dei 
baraccamenti nel Belice a seguito dei terremoti del gennaio 1968 fu dallo 
stesso legislatore concepita, dal punto di vista formale, in maniera non 
autonoma, bens� integrata con quelle di una legge precedente. Recita, infatti, 
l'art. 2 della legge 29 luglio J968, n. 858: �Dopo l'art. 22 del d.1. 27 
febbraio 1968, n. 79 (convertito con modificazioni nella legge 18 marzo 
1968, n. 241) sono inseriti i seguenti articoli...�. E tra di essi vi � proprio 
l'art. 22-quater, che concerne, in particolare, l'indennit� di esproprio per 
le aree destinate ai ba:raccamenti e che il ricorrente invoca a sostegno della 
sua tesi. Orbene, se il legislatore ha voluto espressamente inserire tale 
norma nel contesto di una legge precedente, venendo cos� a modificare 
quest'ultima, � segno evidente che, per esplicita volont� del legislatore 
stesso, l'una e l'altra formano ormai un corpo unico, sicch� non solo ' 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

possibile, ma addirittura doveroso � presumere che tra di esse non vi sia 
alcuna contraddizione, che anzi si integrino a vicenda e che, comunque, 
debbano essere interpretate alla luce di un identico principio ispiratore. 
Pertanto, non essendovi n� nel predetto art. 22-quater, n� in qualsiasi 
altra norma della legge 29 luglio 1968, n. 858, alcuna disposizione relativa 
al momento cui riferire il valore delle aree espropriate per i baraccam:
enti, si deve necessariamente ritenere che integrandosi il citato art. 22quater 
con l'art. 13 ormai entrambi facenti parte del d.l. 27 febbraio 1968, 

n. 79, tale momento debba essere riferito -come espressamente specificato 
in quest'ultima norma -alla data dell'evento sismico; 
2) se cos� non fosse, si dovrebbe concludere che il legislatore, nel 
disciplinare la misura della indennit� di esproprio delle aree destinate alle 
baracche, si sarebbe preoccupato di determinare nel citato art. 22-quater 
soltanto talune modalit� di procedura, omettendo del tutto la statuizione 
pi� importante: e cio� quella relativa al criterio da seguire per la determinazione 
dell'indennit�, criterio che in tutte le leggi di espropriazione 
�, invece, sempre specificato, quanto meno con un richiamo generico alla 
legge 25 giugno 1865, n. 2359 (che costituisce ancora oggi la legge generale 
sulle espropriazioni quando non ci si vuol discostare dai principi 
con essa stabiliti). Ed � significativo al riguardo notare che, mentre un 
siffatto richiamo c'� nell'art. 13 del d.l. 27 febbraio 1968, n. 79, non ci sia 
invcece in tutta la legge 29 luglio 1968, n. 858: ci� trova, infatti, la sua 
pi� plausibile spiegazione nel ritenere che il legislatore abbia voluto 
inserire espressamente l'art. 22-quater nel contesto del d.l. 27 febbraio 
1968, n. 79, proprio al fine di rendere applicabili -senza ripeterne 
l'enunciazione -anche per l'espropriazione delle aree destinate alle baracche 
quegli stessi criteri di determinazione della indennit� stabiliti per 
tutte le altre aree espropriate nel Belice a seguito dei terremoti del gennaio 
1968; 

3) se l'assunto del ricorrente incidentale fosse fondato, si arriverebbe 
ad una disparit� di trattamento tra espropriati in conseguenza di uno 
stesso evento calamitoso, assurda perch� non giustificabile in alcuna 
ragionevole maniera e che, pertanto, -come esattamente rilevarono i 
primi giudici -deve essere quanto pi� possibile evitata: e che, cio�, 
le espropriazioni necessarie in dipendenza del trasferimento degli abitati 
verrebbero effettuate con la corresponsione di una indennit� pari 
al valore venale del bene nel gennaio 1968 anche se la relativa occupazione 
sia avvenuta molti anni dopo; mentre, per la espropriazione delle 
aree necessarie all'insediamento delle baracche che -come � noto sono 
state occupate con provvedimento urgente nell'immediatezza del 
sisma, si dovrebbe corrispondere una indennit� di gran lunga maggiore, 
perch� riferita al momento del decreto di esproprio. 

Una volta stabilito -a confutazione. del primo motivo del ricorso 
incidentale -che anche per l'espropriazione di aree d�stinate alla siste



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mazione delle baracche la relativa indennit� va determinata secondo 
quanto stabilito nell'art. 13 del d.l. 27 febbraio 1968, n. 79 (cos� come mo� 
dificato con legge 18 marzo 1968, n. 241) e cio�: �nei modi previsti dalla 
legge 25 giugno 1865, n. 2359, con riferimento al valore venale di mercato 
delle aree alla data dell'evento sismico�, devesi subito dopo, per stretta 
ed evidente connessione logica, esaminare il primo motivo del ricorso 
principale con cui il Ministero dei Lavori Pubblici sostiene che la Corte 
d'appello non avrebbe potuto rivalutare -come in sostanza avrebbe 
fatto anche se lo ha negato -al momento del decreto di esproprio (cio� 
al febbraio 1970) le indennit� dovute al Di Stefano Di Leo calcolate sulla 
base dei prezzi correnti due anni prima (cio� al momento del terremoto), 
perch� il principio generale, posto dall'art. 39 della legge 25 giugno 1865, 

n. 2359, secondo cui l'indennit� � liquidata con riguardo alla data del 
decreto di espropriazione, sarebbe stato derogato dal legislatore con 
l'art. 13 sopramenzionato per essere stato in esso espressamente stabi� 
lito che l'indennit� di espropriazione fosse liquidata con riferimento � al 
valore venale di mercato delle aree alla data dell'evento sismico�. In 
tal modo, infatti, chiaramente il legislatore avrebbe voluto che tale mo� 
mento fosse l'unico da prendersi in considerazione per determinare sia 
il valore delle aree espropriate, sia il quantum in valuta dell'espropriazione 
stessa, senza alcuna possibilit� di distinguere tra l'uno e l'altro, 
come arbitrariamente fatto nell'impugnata sentenza. 
Anche tale motivo � infondato. 

Costituisce, invero, principio generale in materia di espropriazione 
per pubblica utilit� che l'indennit� spettante all'espropriato debba essere 
ragguagliata al valore effettivo ed integrale posseduto dal bene espropriato 
al momento del decreto di esproprio. E ci� per effetto sia dell'art. 39 
della gi� ricordata legge 25 giugno 1865, n. 2359, secondo cui � l'indennit� 
dovuta consister� nel giusto prezzo che, a giudizio dei periti, avrebbe 
avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita � sia del� 
l'art. 50 della medesima legge secondo cui �la propriet� dei beni sog� 
getti ad espropriazione... passa nell'espropriante alla data del decreto... 
che pronuncia l'espropriazione�. 

Invero, se -come sembra chiaramente trasparire dal citato art. 39 il 
patrimonio dell'espropriato deve essere completamente ristorato del� 
l'espropriazione subita (come appunto avviene quando ad un bene se ne 
sostituisca il prezzo di vendita ri�avabile in regime di libero mercato, 
rimanendo cos�, in definitiva, senza indennizzo soltanto la perdita della 
facolt� di conservare il bene stesso), tale pienezza di effetti si consegue 
soltanto qualora si valuti il bene espropriato in riferimento al tempo in 
cui la propriet� � perduta, cio� alla data del decreto di esproprio. 

Valutarlo in riferimento ad una data diversa significa, infatti, creare 
la possibilit� che il soggetto espropriato consegua di pi� o di meno 
rispetto a quanto avrebbe potuto realizzare sul libero mercato se, anzi� 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

ch� subire l'espropriazione del bene avesse potuto, in quello stesso momento, 
venderlo. 

� ben vero che al principio di carattere generale come sopra ricavato 
il legislatore pu� anche, almeno in parte, derogare senza per questo 
violare il precetto dell'art. 42 della vigente Costituzione che prevede il 
diritto dell'espropriato all'indennizzo (cfr. in tal senso sent. Corte Costituzionale 
n. 63 del 28 aprile 1970; n. 22 del 5 aprile 1965; n. 91 del 18 giugno 
1963; n. 5 del 18 febbraio 1960) e che pertanto il legislatore pu� imporre, 
in occasione dell'esproprio, anche una certa perdita economica al 
soggetto espropriato (purch� essa non sia, ovviamente, totale, come 
avviene anche nel caso di un'indennit� simbolica o irrisoria), ma � certo 
che un'imposizione del genere che ha carattere assolutamente eccezionale, 
perch� nel nostro ordinamento l'espropriazione appare preordinata 
in linea generale -come torna a ripetersi -soltanto allo scopo 
di togliere al proprietario la facolt� di disporre di un bene e di destinarlo 
in tal modo a fini di utilit� pubblica, non gi� anche a quello di 
provocare, sia pure per il bene pubblico, una diminuzione quantitativa 
del patrimonio del soggetto espropriato, diminuzione che, invece, si 
vuole quanto pi� � possibile evitare. 

Altro principio generale in materia di espropriazione per pubblica 
utilit� -con cui il primo si integra -� che per nessuna ragione debba 
essere consentito all'espropriato di arricchirsi a causa della espropriazione 
stessa e dei fatti per i quali � stata voluta. Dispone, infatti, l'art. 41 
della legge del 1865: �Qualora dall'esecuzione dell'opera pubblica derivi 
un vantaggio speciale e immediato alla parte del fondo non espropriata, 
questo vantaggio sar� stimato e detratto dall'indennit�... � e l'art. 42: 
�L'aumento di valore che dall'esecuzione dell'opera di pubblica utilit� 
sarebbe derivato alla parte del fondo compresa nella espropriazione non 
pu� tenersi a calcolo per aumentare l'indennit� dovuta al proprietario �. 

Alla luce dei sovraesposti due principi di carattere generale deve essere 
interpretato l'art. 13 pi� avanti riportato, l� ove dispone che l'indennit� 
di espropriazione deve essere determinata� nei modi previsti dalla legge 
25 giugno 1865, n. 2359, con riferimento al valore venale di mercato delle 
aree alla data dell'evento sismico �. 

Di siffatta disposizione astrattamente sono possibili due interpretazioni 
diverse: in base alla prima ci si riporta al momento del terremoto 
(rectius: al momento immediatamente precedente al terremoto stesso) 
soltanto per evitare che nella stima dei terreni espropriati si possa tener 
conto delle fluttuazioni di valore causate da tale evento calamitoso (e che 
taluno .possa cos� esserne particolarmente avvantaggiato o svantaggiato), 
ferma rimanendo, quindi, la necessit� di esprimere il valore cos� depurato 
in termini monetari adeguati alla svalutazione verificatasi, per tutt'altre 
ragioni assolutamente indipendenti dal terremoto, nell'intervallo di tempo 
intercorrente tra il terremoto e il decreto di espropriazione; in base alla 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

seconda interpretazione, invece, si risale al momento del terremoto (cio� 
ad un momento precedente l'esproprio) anche per un'altra finalit�: quella 
di pagare all'espropriato l'indennit� spettantegli in moneta gi� valutata 
rispetto al momento del decreto di esproprio e, quindi, in tal modo non 
gi� per privarlo di un lucro indebito, ma per addossaTgli in definitiva 
una perdita patrimoniale secca. 

Orbene delle due suesposte possibilit� di interpretazione del citato 
art. 13 non pu� non essere preferita la prima, perch� � la sola in armonia 
con entrambi i due principi di carattere generale gi� esaminati che regolano, 
nel nostro ordinamento, il diritto alla indennit� per espropriazione 
per pubblica utilit�: cio�, sia con il principio secondo cui l'indennit� 
spettante all'espropriato debba essere ragguagliata al valore posseduto 
dal bene espropriato al momento del decreto di esproprio, sia con l'altro, 
secondo cui per nessuna ragione pu� essere consentito all'espropriato 
di arricchirsi a causa dell'espropriazione stessa e dei fatti per i quali � 
stata voluta. 

In base a quest'ultimo principio, infatti, si deve stabilire il valore dei 
terreni di cui trattasi in relazione al gennaio 1968 senza tener alcun conto 
delle oscillazioni che rispetto ad esso si verificarono per effetto dei terremoti 
avutisi in quel mese che furono causa delle espropriazioni. 

Soltanto cos�, infatti, si impedisce agli espropriati di profittare degli 
aumenti di valore avuti dai. loro terreni agricoli o comunque extraurbani 
per essere divenuti improvvisamente .necessari alla ricostruzione su di 
essi dei centri urbani viciniori ormai distrutti dal sisma: obiettivo questo 
sicuramente voluto dal legislatore nel formulare il citato art. 13. 

Una volta, per�, che tale valore sia stato determinato in riferimento � 
al gennaio '68, esso deve essere espresso nella corrispondente valuta calcolata 
in riferimento all'epoca della espropriazione (gennaio 1970 e, quindi, 
tenendosi conto della svalutazione monetaria nel frattempo eventualmente 
verificatasi. In caso contrario, esprimendo il valore del bene 
espropriato in termini monetari corrispondenti ad epoca anteriore a quella 
dell'esproprio, si strumentalizzerebbe la svalutazione intervenuta nel 
frattempo per corrispondere all'espropriato una indennit� inferiore al 
valore reale posseduto dal bene al momento della causa dell'esproprio 
(cio�, nella specie, del terremoto): ma in nessuna delle citate leggi, delle 
quali qui trattasi, v'� il pi� piccolo indizio per presumere che il legislatore 
abbia voluto conseguire una siffatta finalit�, finalit� che avendo -come 
gi� prima posto in rilievo -natura eccezionale nel nostro ordinamento, 
per essere ritenuta sussistente avrebbe dovuto essere espressa in termini 
assolutamente inequivoci. 

Come esattamente avvertito nella sentenza impugnata, non si tratta, 
in tal caso, di adeguare automaticamente alla svalutazione monetaria, 
l'ammontare di un'indennit� di esproprio gi� determinata (che, per costante 
giuri,sprudenza di questa stessa Corte � stata sempre ritenuta debi


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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 785 

to di valuta e quindi soggetta al principio nominalistico: cfr. in tal senso 
Cass., sent. nn. 5275 e 1255 del 1979, 2733 e 2038 del 1978, 3482 del 1977, 
3290 del 1976, etc.), bens� soltanto� di chied!'!rsi quale obiettivo voglia conseguire 
il legislatore quando riferisce il valore dei beni espropriati ad un 
determinato momento precedente all'esproprio: se cio� -come si � 
gi� detto -un tale riferimento venga fissato solo allo scopo di depurare 
tale valore dell'incidenza della causa per la quale si ebbe l'espropriazione 
ed impedire cos� che gli espropriati conseguano scandalosi arricchimenti 
(quali nella specie quelli che sarebbero derivati dal terremoto ed 
alla conseguente necessit� di nuovi terreni su cui ricostruire) ovvero 
anche allo scopo di pagare loro tale indennit� in moneta svalutata chiamandoli 
in tal modo a sopportare un sacrificio patrimoniale ulteriore 
senza corrispettivo. Ed � chiaro che, qualora l'intento del legislatore debbasi 
ritenere il primo e non il secondo, non rimane altro che esprimere 
il valore originario riferito al tempo legislativamente indicato per la 
stima nella quantit� di moneta corrispondente al momento del decreto 

di esproprio. 

Col secondo motivo del suo ricorso l'Amministrazione dei Lavori 

Pubblici, denunciando la violazione degli artt. 41 quinquies lett. a) della 

legge 17 agosto 1942, n. 1150 e 17 legge 16 agosto 1967, n. 765 -sostiene 

che la Corte palermitana avrebbe disatteso i precisi criteri di stima anali


tica seguiti dai consulenti proff.ri Lo Bianco e Villa e preferito ad essi il 

sistema sintetico comparativo adducendo in proposito una motivazione 

insufficiente e antigiuridica: 

A) insufficiente, perch� non si sarebbe data carico di considerare 
che: 1) se nella zona mancavano strumenti urbanistici, era pur sempre 
applicabile l'art. 41-quinquies, lett. a) sopracitato; 2) il Comune nel 1967 
aveva effettuata la perimetrazione del centro abitato e solo mq. 7.350 
degli 80.000 espropriati ricadevano in tale perimetro; 3) se era innegabile 
l'incertezza della previsione concernente l'aumento dell'indice di 
edificabilit� sulle due aree delle quali trattasi, era per� vero che si sarebbe 
potuto pur sempre procedere alla valutazione in base all'indice di 
edificabilit� certo perch� legale, previsto dal citato art. 41-quinquies, 
lett. a) mc/mq. 0,10); 

B) antigiuridica, perch� la perimetrazione dei centri abitati, prevista 
sempre nel citato art. 41-quinquies lett. a), e di fatto eseguita, ha 
-contq1riamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata -natura 
e portata di norma regolamentare integrativa o sostitutiva del regolamento 
edilizio, sicch� le zone escluse dal perimetro del centro abitato 
(nella specie, in tutto, mq. 72.650) venivano a trovarsi in condizioni obiettive 
di notevole disfavore -di cui non poteva non tenersi conto ai fini 
dell'indennit� -sia per quel che concerneva la volumetria (limitata a 
1/10 di mc. per mq. di superficie) sia per quanto riguardava la distanza 
delle strade. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

786 

Non era affatto �strano � quindi -come invece era apparso alla 
Corte palermitana -che due terreni distanti appena un metro l'uno 
dall'altro potessero avere valore sensibilmente diverso. 

Il suesposto motivo non pu� essere accolto perch� le censure nelle 
quali si articola concernono non il criterio di valutazione � sintetico-comparativo 
� effettivamente posto dalla Corte palermitana a base delle sue 
determinazioni, bens� il criterio �analitico -ricostruttivo �, che avrebbe, 
s�, potuto applicare al posto del primo, ma che invece non applic�. Pertanto, 
a dimostrare l'assoluta irrilevanza delle surriportate censure cui � 
sufficiente ricordare che: 

1) l'art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, nel disporre che l'indennit� 
di espropriazione debba consistere nel giusto prezzo che l'immobile 
avrebbe avuto in una libera contrattazione di vendita, non adotta 
un criterio di valutazione economico e non giuridico, nel senso che 
occorre aver riguardo soltanto al prezzo effettivo del bene quale emerge 
dal libero giuoco del mercato. A tal fine, non solo pu� farsi ricors� al 
metodo di stima �sintetico-comparativo�, ma esso � quello che certamente 
pi� di ogni altro risponde al criterio di legge {cfr. in tal senso Cass., 
Sez. Un., n. 1271 del 1975) perch� -in conformit� di quanto premesso quel 
che qui unicamente preme � accertare a quanto detto prezzo avrebbe 
presumibilmente potuto ammontare in base a quello che, in quel momento, 
fu il punto d'incontro (quali che ne fossero le ragioni) della domanda e 
dell'offerta di beni similari: una volta accertato ci�, infatti, non pu� avere 
pi� alcun rilievo indagare se le spinte del mercato, quali in effetti si determinarono, 
fossero dovute, per avventura, pi� ad una temporanea suggestione 
collettiva sulle possibilit� di sfruttamento futuro edilizio dei 
terreni in questione che non a quelle che corrisposero poi effettivamente 
alla realt� nel rispetto delle leggi urbanistiche allora vigenti ed effettivamente 
poi sopravvenute. 

Di fronte alla realt� del mercato diventa del tutto irrilevante, quindi, 
accertare -come si verifica facendo uso del criterio � analitico -ricostruttivo 
� -il prezzo che -indipendentemente dall'andamento concreto 
del mercato -l'acquirente sarebbe stato disposto a spendere 
per l'acquisto del terreno sulla base di quel che in esso avrebbe potuto 
costruirvi entro un certo periodo di tempo e nel rispetto della legge; 

2) stante il carattere assorbente del criterio � sintetico-comparativo 
�, il giudice di merito che lo adotti non � neppure tenuto a motivare 
le ragioni della sua preferenza rispetto a quello, del tutto sussidiario, 
� analitico-ricostruttivo �. Pertanto, avendo la Corte palermitana adottato 
il criterio � sintetico-comparativo >>, devono considerarsi, in ogni caso, 
irrilevanti gli eventuali errori di fatto o di diritto da essa compiuti per 
confrontare la considerazione, fatta �ad abundantiam >>, che il metodo di 
stima � analitico-ricostruttivo � nella specie non poteva essere approvato 
perch� esso appariva fondato pi� su ipotesi che su dati concreti. 



PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Col terzo motivo del ricorso principale il Ministero dei Lavori Pub


blici lamenta che la Corte di merito abbia motivato l'adozione del crite


rio di stima � sintetico-comparativo � gi� seguito dai due primi consulenti 

tecnici nominati dal Trib�nale (cio� dagli ingegneri Failla e Cusmano) 

\limitandosi ad affermare che condivideva pienamente le valutazioni da 

essi effettuate, senza darsi minimamente carico delle obiezioni che erano 

state sollevate in relazione all'adozione di tale criterio sia per la radicale 

diversit� dei beni comparati, sia per la sporadicit� delle contrattazioni 

confrontate, tutte, peraltro, influenzate da motivi specula,tivi peculiari. 
Quanto esposto nel motivo di cui sopra, innanzitutto, non corrisponde 
alla realt�. Non � affatto vero, infatti, che la Corte palermitana si sia 
limitata a recepire acriticamente le conclusioni alle quali erano pervenuti 
in primo grado i due consulenti tecnici Failla e Cusmano, perch�, 
se da un lato, le approva definendole � basate su dati certi e sorrette 
da ineccepibili valutazioni�, dall'altro lato non solo apporta ad esse 
talune rettifiche (tra le quali la rivalutazione dal 1968 al 1970), ma, soprattutto, 
ne ricostruisce ragionatamente tutto I'� iter � di formazione, 
soffermandosi a considerare i quattro atti di compravendita conclusi 
tra il 1955 e il 1971 e una sua stessa sentenza del 1965 in materia di inden.
nit� di espropriazione, concernenti tutti aree viciniori a quella de qua 

(una appena 200 metri da essa), presi a base per la determinazione della 

indennit� col metodo sintetico comparativo. 

Quanto, poi, alla pretesa radicale diversit� dei beni. comparati, alla 

sufficienza o meno del numero delle contrattazioni confrontate e alla 

presenza di fattori speculativi particolari presenti soltanto in quelle con


trattazioni, devesi rilevare che trattasi di accertamenti di fatto rimessi 

all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito e, come tali, asso


lutamente insindacabili in sede di legittimit� quando, come nella specie, 

la motivazione addotta per suffragarli non sia inficiata da illogicit� o 

contraddizioni. 

Non rimane ora da esaminare che il secondo motivo del ricorso del 

Di Stefano, con cui egli lamenta che la Corte d'appello, in violazione del


l'art..1282 cod. civ., non abbia accolto la sua domanda, volta ad ottenere 

gli interessi per il ritardo di quattro mesi circa con cui l'Amministrazione 

dei Lavori Pubblici aveva provveduto a depositare le indennit� fissate 

con i due decreti di esproprio emessi nei suoi confronti, indennit� che, 

invece, ai sensi dell'art. 22 quater della legge 241 del 1968 avrebbero dovu


to essere versate nel termine massimo di quindici giorni dall'esproprio. 

Il motivo � fondato. 

Dispone infatti il citato art. 22-quater che: � ... l'indennit� � corri


sposta dal Provveditorato delle opere pubbliche di Palermo entro 15 

giorni dalla data del decreto prefettizio di espropriazione... �. 

Sembra pacifico, invece, che nella specie l'indennit� fu corrisposta 

con quattro mesi circa di ritardo rispetto al termine come sopra stabilito. 


788 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Se cos� �, non v'� dubbio che il Di Stefano avesse il diritto di percepire 
sulla somma dovutagli gli interessi di mora per il ritardo con cui gli 
fu pagata e la Corte di merito non potesse negarglieli in quanto il Di 
Stefano, nel punto 4� dell'appello, aveva particolarmente censurato la 
sentenza del Tribunale per aver omesso di pronunciare su tale sua specifica 
domanda. In tale situazione, l'essersi la Corte limitata a rigettare la 
domanda di tali interessi (peraltro indicati genericamente attraverso un 
semplice richiamo �ai punti 3 e 4 dell'atto di appello�) sul rilievo che 
altrimenti si sarebbe violato il divieto di anatocismo posto dall'art. 1283 
cod. civ. non potendosi cumulare altri interessi a quelli dovuti al Di Stefano 
dalla data dei decreti di espropriazione sull'indennit� di espropriazione 
e dall'occupazione sulle indennit� di occupazione, non pu� che 
essere ascritto ad una mera svista della Corte medesima sulla vera natura 
degli interessi � di cui al punto 4� �, cio� all'esserle puramente e semplicemente 
sfuggito che essi avevano una causa del tutto particolare e distinta 
rispetto a quella di ogni altra specie di interesse di cui nella presente 
causa si era trattato. 

Poich� il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale del Di Stefano 
sono stati proposti subordinatamente all'accoglimento rispettivamente 
del secondo e del terzo motivo del ricorso principale che invece 
sono stati respinti, i motivi detti devono essere dichiarati assorbiti. 

L'impugnata sentenza, quindi, va cassata e la causa rimessa ad altra 
sezione della stessa Corte di appello unicamente per il conteggio degli 
interessi di mora spettanti al Di Stefano per il ri.tardo con cui gli fu 
versata l'indennit� di espropriazione che, invece -ai sensi del citato 
art. 22-quater avrebbe dovuto essergli corrisposta entro quindici giorni 
dalla data del decreto prefettizio di esproprio. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE( Sez. I, 26 aprile 1980, n. 2010 -Pres. Vigorita Est. 
Bologna -P. M. Cantagalli (diff.). ANAS (avv. Stato Camerini) 

c. Ada Pedio (avv. D. Angelini). 
Espropriazione per pubblica utilit� -Azione per risarcimento danni per 
occupazione abusiva -Emissione del decreto di esproprio dopo la 
pronunzia della Corte d'appello -Esibizione in cassazione -Legittimit� 
-Effetti. 

Sopravvenuto il decreto di espropriazione dopo la pronunzia del 
giudice d'appello nel giudizio per risarcimento danni per abusiva occupazione 
delle aree poi espropriate, legittimamente l'espropriante esibisce 
il decreto stesso avanti il S.C., il quale in tal caso deve cassare la sentenza 
e rimettere la causa al giudice di rinvio che dovr� decidere sulla 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 789 

opposizione alla stima in cui si converte il giudizio di risarcimento del 
danno (1). 

, (omissis) La questione sollevata nel corso della discussione orale 
comporta l'esame della rilevanza giuridica di un factum superveniens 
(equiparabile allo ius superveniens nel contesto e per l'effetto delle norme 
che lo disciplinano), intervenuto nel periodo successivo alla pubblicazione 
della sentenza di secondo grado, ed idoneo ad incidere direttamente ed 
immediatamente sul diritto soggettivo fatto valere nel giudizio di merito 
e sull'oggetto dibattuto nel giudizio stesso. 

Nella fattispecie, la sopravvenuta emanazione del decreto di espropriazione 
ha determinato la verificazione di una situazione giuridica caratterizzata 
dalla sopravvenienza di un provvedimento amministrativo 
legittimo ed efficace, confliggente con la pretesa del privato diretta ad 
ottenere il risarcimento del danno, consistente nell'ablazione senza titolo 
del bene oggetto dell'espropriazione successiva. 

A giudizio di questa Corte, il giudice ordinario, in ogni stato e grado 
del procedimento, deve tener conto di tale situazione per non cadere nella 
violazione del principio dettato dagli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 
1865, n. 2248, all. E, sull'abolizione del contenzioso amministrativo, che 
esige l'intangibilit� dell'atto amministrativo da parte dell'autorit� giudiziaria 
ordinaria (che non pu� procedere a revoca o modificazione dell'atto 
medesimo) e l'applicazione da parte della stessa autorit� giudiziaria dell'atto 
amministrativo conforme a legge. 

(1) L'esattezza del princ1p10 affermato dalla sentenza che si annota non 
sembra discutibile, e si inserisce perfettamente nell'elaborazione giurispruden� 
ziale dello stesso S.C. il quale, come ricorda la suestesa sentenza, gi� nella 
decisione n. 1389 del 27 maggio 1963 (in Foro it., 1963, I, 1392) ebbe ad affermare 
che la sopravvenienza del decreto di esproprio � deducibile anche davanti 
al giudice di rinvio, avanti al quale sia tuttora aperta la questione in ordine 
al risarcimento del danno per abusiva occupazione. 
Convincente appare pure l'argomento addotto per giustificare l'esame da 
parte del S.C. di un documento, (decreto di espropriazione) esibito nel giudizio 
di cassazione per la prima volta in sede di discussione. 

Si rileva che se si riconosce � l'applicabilit� immediata nel giudizio di 
-cassazione del jus superveniens cos� deve ammettersi analoga decisione per 
il factum superveniens idoneo ad incidere sull'oggetto della causa sottoposta 
all'esame del giudice e a modificare i poteri stessi di quest'ultimo sulla base 
di una definitivamente diversa -per forza di legge -qualificazione giuridica 
del rapporto controverso�. 

Ed in effetti allorquando la legge attribuisce alla P.A. il potere di prov� 
vedere in ordine ad una situazione giuridica modificandone il contenuto, la 
situazione che si determina con l'emanazione del provvedimento costituisce 
jus superveniens, di cui il �provvedimento costituisce documentazione, e deve, 
pertanto, essere t�nuto presente un qualsiasi stato e grado del giudizio, specie 
se incide, come nella specie, sulla giurisdizione del giudice. 



790 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In particolare, per quanto concerne la deducibilit� di tale situazione 
davanti a questa Corte di Cassazione, si deve rilevare che come si am� 
mette l'applicabilit� immediata nel giudizio di cassazione dello ius superveniens, 
cos� devesi adottare analoga decisione per il f actum superveniens 
idoneo ad incidere sull'oggetto della causa sottoposta all'esame del giu� 
dice ed a modificare i poteri stessi di quest'ultimo '(artt. 4 e 5 della sopra 
richiamata legge abolitiva del contenzioso amministrativo) sulla base di 
una definitivamente diversa -per forza di legge -qualificazionegiuridica 
del rapporto controverso. 

Ci� consente di accumunare i casi in cui il factum superveniens sia 
stato dedotto in ricorso ovvero sollevato nel corso della discussione orale 
(come nella specie). 

E sembra opportuno in proposito ricordare che questa Corte ha altres� 
ritenuto che la sopravvenienza di un decreto di espropril:IZione in pendenza 
del giudizio risarcitorio in sede di rinvio per i danni da occupazione 
senza titolo, deve ritenersi deducibile anche davanti al giudice di 
rinvio e rilevante quale fatto estintivo del diritto dopo la sentenza cassata 
(Cass., 1%3, n. 1389). 

Alla situazione sopravvenuta sopra delineata, e deducibile anche in 
questa sede di cassazione, deve essere applicato (conformemente a recentissima 
decisione pronunciata in fattispecie uguale da questa stessa 
Corte con il n. 2050 del 1979) il criterio pi� volte formulato, secondo cui, 
quando interviene -in pendenza del giudizio di risarcimento del danno 
da occupazione illegittima di immobile da parte di una pubblica amministrazione 
-il decreto di espropriazione dell'immobile stesso con la 
determinazione della relativa indennit�, l'azione risarcitoria si converte 
automaticamente nell'azione di opposizione alla stima di cui all'art. 51 
della legge 25 giugno 1865, n. 2359, sulle espropriazioni per pubblica 
utilit� (Cass., 1977, n. 2234 e numerose altre decisioni). 

�In tale contesto di considerazioni si deve ritenere che la prova 
della sopravvenuta pronunzia del decreto di espropriazione non costituisce 
atto istruttorio del giudizio di cassazione, valutabile s.econdo i �noti 
limiti di ammissibilit� (art. 372 cod. proc. civ.) ma deve essere collocata 
sul piano della conoscenza che il giudice di legittimit� pu� avere sia della 
norma giuridica sopravvenuta sia del fatto sopravvenuto, equiparabile 
alla prima nei sensi sopra delineati. 

Conseguentemente questa Corte ritiene di potere esaminare i documenti 
esibiti dalla Pubblica Amministrazione ricorrente, dai quali risulta 
che dopo la pubblicazione della sentenza impugnata � stata pronunziata 
l'espropriazione dei beni la cui illegittima occupazione era stata dedotta 
davanti ai giudici di merito quale causa petendi dell'azione risarcitoria 
(copia del decreto di espropriazione del Prefetto di Potenza n. 10665 


PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 791 

del 24 novembre 1977: copia del decreto di rettifica del medesimo Prefet� 
to di Potenza n. 10676 del 21 dicembre 1977). 

E traendo le �necessarie conclusioni dall'affermato principio che il 
factum superveniens, equiparabile ad ius superveniens, � applicabile anche 
nel giudizio di cassazione, questa Corte ritiene di dover cassare 
la sentenza impugnata con rinvio della causa ad altro giudice, il quale 
dovr� accertare quali siano gli effetti giuridici che la riconosciuta rilevanza 
in causa del fatto sopravvenuto determina in relazione alla fatti� 
specie concreta (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 aprile 1980, n. 2899; Pres. Mirabelli; 
Est. Zappulli; P. M. Grossi (conf.). Firs Italiana di Assicurazioni (avv. 
Russo). Regione Siciliana (avv. Stato Cevaro). 

Obbligazioni e contratti � Fideiussione � Surrogaziione del fideiussore � 
Inerzia del creditore � Estinzione � Non sussiste. 
(Cod. civ., art. 1955). 

Obbligazioni e contratti � Fideiussione � Diffida al debitore � Termine 
di sei m.esil. � Proroga patti7Jl:a � Decadenza � Non sussiste. 
(Cod. civ., art. 1957). 

Non produce estinzione dell'obbligazione del fideiussore, �l'inerzia 
del creditore che omette di utilizzare strumenti facoltativi di tutela, 
pur se con ci� si pregiudica la possibilit� di surrogazione del fideiussore 
in tali diritti (1). 

La decadenza del creditore dalla fideiussione che non abbia agito 
entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligo principale non si verifica ove 
sia stato espressamente pattuito che l'obbligo del fideiussore si estingue 
solo con l'adempimento dell'obbligazione principale (2). 

{omissis) La societ� FIRS, con il primo motivo del ricorso, ha censurato 
la sentenza impugnata per violazione ed erronea applicazione 
degli artt. 350, 351 e 356 della legge 20 marzo 1865, ali. F, nonch� dello 
art. 1955 cod. civ., e per omessa motivazione per non avere la corte di 

(1-2) Sulla� prima massima in senso' conforme Cass., 11 ottobre 1978, n. 4546, 
in Mass. Giur. Jt., 1978, 1084; Cass., 5 ottobre 1978, n. 4433, ibidem, 1058. (Nella 
specie, il giudice del merito aveva ritenuto l'estinzione di una fideiussione 
avente per oggetto la garanzia dell'adempimento dell'obbligo del venditore di 
un autoveicolo di iscrivere il trasferimento della propriet� dell'autoveicolo nel 
Pubblico Registro Automobilistico, per non avere il compratore-creditore resistito 
nella procedura di sequestro del veicolo promossa da un terzo contro il 
venditore-debitore. La Corte ha cassato, enunciando il principio di cui in mas




RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

792 

merito considerato che l'Amministrazione regionale aveva colposamente 
aggravato la posizione della fideiubente con il proprio comportamento, 
e cio� con l'effettuare i pagamenti per gli stati di avanzamento a favore 
dell'impresa sebbene la stessa fosse gi� inadempiente e in stato di 
decozione, con l'avere abbandonato alla curatela fallimentare i beni e 
i materiali approvviggionati nel cantiere, con l'avere omesso l'esperimento 
delle procedure previste dagli artt. 340 e 341 della citata legge del 
1865, come gi� dedotto nell'atto di opposizione. Ha anche lamentato che 
la stessa corte aveva omesso di applicare l'art. 29 della legge regionale 
2 agosto 1954, n. 32, la quale concedeva privilegio all'Amministrazione 
appaltante per i materiali contabilizzati a favore della stessa. 

Il motivo � infondato. 

Invero, in linea generale, va posto in rilievo che, come ripetutamente 
affermato da questa Suprema Corte, il fatto del creditore al quale il 
citato art. 1955 cod. civ. riconosce effetto estintivo dell'obbligazione del 
fid�iussore, ove pregiudichi la surrogazione di quest'ultimo nel diritto 
del creditore medesimo verso il debitore principale, pu� ravvisarsi esclusivamente 
nella colposa violazione di un dovere giuridico imposto da 
norma di legge o da contratto, e cio� di un obbligo espresso di agire, e, 
pertanto, non per la sola mancata utilizzazione di strumenti 'di autotutela 
facoltativa (Cass., 10 febbraio 1977, n. 595; 5 ottobre 1978, n.-4433; 11 ottobre 
1978, n. 4546). 

Giova osservare, al riguardo, che la estinzione della garanzia prevista 
dall'art. 1955 ha un carattere eccezionale e di particolare rigore, onde 
sarebbe contrario ai principi giuridici generali e agli stessi motivi ispir�tivi 
delle norme sulle fideiussoni estendere l'applicazione di quella 
norma a ogni comportamento omissivo del creditore, pur se non vietato 
da alcuna norma o pattuizione, imponendogli quelle azioni giudiziali, 
anche se non meramente esecutive, con valutazioni preventive che non 
possono essere sempre esatte, e con i relativi oneri, come per i creditori 
non garantiti, invece � da presumere che proprio per evitare queste 
alee e spese � stata preferita la maggiore e pi� sicura garanzia della 
fideiussione. 

N� � da trascurare che, comunque, nell'atto d'appello della FIRS era 
stato lamentato, esclusivamente e genericamente, che l'amministrazione 

sima e comunque osservando che il compratore-creditore non era venuto necessariamente 
a conoscenza della detta procedura e che non si rawisavano diritti 
del medesimo in cui il fideiussore avrebbe potuto surrogarsi). 

Cfr. infine Cass., 10 febbraio 1977, n. 595, in Mass. Giust. lt., 1977, c. 139. 
(Nella specie la Cassazione ha ritenuto che l'omessa ritenzione da parte del 
creditore di somma riscossa per conto del debitore principale, risolvendosi 
nella mancata utilizzazione di uno stmmento facoltativo di autotutela, non 
costituisca �fatto del creditore� pregiudizievole ai sensi dell'art. 1955 cod. civ.). 

Per la seconda massima cfr. esattamente in termini e in senso conforme 
Cass., 9 marzo 1976, n. 794, in Mass. Giur. It., 1976, c. 207). 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

regionale aveva lasciato vendere al curatore �tutte le attivit� dell'impresa 
fallita, senza esercitare il proprio diritto di ritenzione e prelazione 
su tutto il materiale, attrezzature e beni esistenti iri cantiere, come 
tassativamente prescrive la legge sui lavori pubblici del 1865... �, senza 
alcuna menzione n� dei pagamenti effettuati n� delle altre omissioni lamentate 
in questa sede, le quali, per tale carattere di novit� non sono 
deducibili nel ricorso per cassazione. 

Inoltre, non sussiste n� � stata indicata alcuna norma che consenta 
all'amministrazione appaltante ,di opporsi a quelle vendite nella procedura 
fallimentare, perch� l'art. 351 della citata legge del 1865 prevede 
solo l'insequestrabilit� del � prezzo di appalto � da parte dei creditori 
e l'art. 356 esclude la rivendicazione da parte dei venditori del materiale 
e degli attrezzi gi� introdotti nel cantiere e non pagati, senza nulla disporre 
a favore dello appaltante. Infine, come rilevato nella sentenza 
impugnata, la societ� fideiubente non ha provato che potesse trovare 
applicazione lo speciale pro�edimento di cui all'art. 29 della citata legge 
regionale del 1954, mancando ogni elemento dimostrativo della accettazione 
del materiale a pi� d'opera da parte del direttore dei lavori prevista 
dall'art. 18 della stessa legge in esso richiamato. 

Con il secondo motivo la FIRS ha censurato la sentenza impugnata 
per violazione dell'art. 1957 cod. civ. in relazione all'art. 55 della legge 
fallimentare e per difetto di motivazione per avere la corte di merito 
affermato che la fideiussione era stata assunta senza limiti di tempo e 
di ammontare fino all'esaurimento di ogni obbligazione dell'impresa verso 
l'amministrazione creditrice, e ci� contro i patti contrattuali e le 
norme in tal materia, senza esaminare gli effetti dell'intervento fallimento. 
Ha sostenuto la ricorrente che, secondo l'art. 1 delle condizioni 
generali delle fideiussioni, la garanzia era stata assunta per gli obblighi 
dell'impresa derivanti dalle anticipazioni del corrispettivo concesse ai 
sensi dell'art. 15 della legge regionale 2 agosto 1954, n. 32 e, quindi, con 
particolari caratteri connessi al contratto di appalto non a tempo indeterminato, 
essendo, anzi, stato previsto dall'art. 4 che, verificandosi un 
fatto e un inadempimento dell'impresa in virt� dei quali le anticipazioni 
non potessero essere concesse, l'amministrazione appaltante doveva 
farne richiesta di restituzione all'assicuratore...fideiussore tenuto al pagamento 
entro trenta giorni. Pertanto, secondo la ricorrente, l'amministrazione 
regionale era decaduta dai diritti verso la societ�, ai sensi 
dell'art. 1957 cod. civ., per non aver proposto l'azione entro il termine 
di sei mesi e per avere presentato l'istanza per l'ammissione del proprio 
credito nel passivo fallimentare ad oltre cinque anni dalla dichiarazione 
di fallimento. 

Anche questo motivo � infondato. Infatti, come posto in rilievo nella 
sentenza impugnata con motivazione adeguata e precisa, quella norma 
era inapplicabile nella specie a causa della clausola 3 delle condizioni 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

generali della polizza sulla durata ed efficacia della garanzia, contenente 
un espressa deroga per libera volont� delle parti a quel limite di cui 
all'art. 1957, con la pattuizione secondo la quale la garanzia era assunta 
sino alla completa liberazione del debitore �principale, e cio� � fino al momento 
della liberazione della ditta obbligata dagli obblighi, principali 
ed accessori derivanti dall'anticipazione�. 

Circa l'efficacia di tale clausola, la societ� ricorrente non ha contestato 
il principio affermato da questa Suprema Corte per il quale la 
disposizione del citato art. 1957 sulla decadenza del creditore della fi. 
deiussione quando non abbia agito contro il debitore principale entro sei 
mesi dalla scadenza dell'obbligo principale non si applica se sia espressa� 
mente pattuito che l'obbligo del fideiussore si estingue solo con l'estinzione 
dell'obbligazione principale, per la derogabilit� di quella norma 
(Cass., 9 marzo 1976, n. 794; 23 settembre 1966, n . .2387). 

Ma, una volta riconosciuta la Jegittimit� di quella clausola derogatrice, 
sono conseguentemente irrilevanti le deduzioni della societ� ricorrente 
su una diversa decorrenza del termine per la natura delle obbligazioni 
garantite perch�, quali esse siano, non vi � stata, certamente, 
la prevista � liberazione � del debitore principale dagli obblighi assunti, 
posta come unica condizione e termine per la estinzione degli obblighi del 
fideiussore. 

N� pu� trarsi alcun elemento contrario dall'art. 55 della legge fallimentare 
perch� il suo secondo comma statuisce che i debiti pecuniari 
del fallito �si considerano scaduti, agli effetti del concorso, dalla data 
di dichiarazione del fallimento �, ma, indubbiamente, la scadenza di un 
debito � cosa diversa, e anzi addirittura contrapposta, rispetto alla liberazione 
del medesimo, perch� proprio essa, determinandone la esigibilit�, 
importa l'obbligo del pagamento. 

Il fallimento, pertanto, non produce n� la estinzione del debito n� 
alcuna forma di liberazione per alcuno dei soggetti, dando luogo solo ad 
una particolare disciplina concorsuale con preclusione di ogni azione 
nei confronti del debitore (salve le eccezioni di legge), con persistenza 
dei connessi obblighi di terzi. 

Infine, circa il dedotto contrasto con l'art. 4 delle stesse condizioni 
generali , che prevedeva l'obbligo di comunicazione scritta del creditore 
alla fideiussione in caso di inadempimento della impresa o di altro fatto 
impeditivo, tali da determinare il recupero delle anticipazioni ai sensi 
dell'art. 15 della legge regionale del 1954, � facile osservare, indipt;ndentemente 
da ogni altra questione e dalla sua decisivit� o meno, che nessuna 
menzione di quella clausola vi era stata nell'atto d'appello, e pertanto, 
ogni censura al riguardo, come nuova, � inammissibile in questa 
sede. 

Conseguentemente, poich� unico elemento necessario ed essenziale 

per la estinzione� dell'obbligazione fideiussoria � stato legittimamente 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 795 

considerato quello della liberazione del debitore principale dell'obbligo 
di restituzione delle anticipazioni, per la derogabilit� dell'art. 1957 cod. 
civ., senza che la stessa possa ritenersi avvenuta, il ricorso va rigettato 
(omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 maggio 1980, n. 2995; Pres. Marchetti; 
Est. Caturani; P. M. Leo (conf.). Somma Francesco (avv. Nicol�) c. 
Ministero delle Finanze (avv. Stato' D'Avanzo). 

Demanio e patrimonio -Demanio marittimo � Arenile � Natura demaniale. 
Demanio e patrimonio � Demanio marittimo � Arenili. � Classificazione 
tacita � Inammissibllt�. 

Le aree relitte dal mare, o arenili, costituiscono un ampliamento della 
spiaggia ed appartengono perci� al demanio marittimo .(1). 

I beni appartenenti al demanio marittimo sia in base all'art. 157 
del codice della marina mercantile del 1877 sia in base all'art. 35 del codice 
4i navigazione vigente perdono tale qualit� soltanto in forza di un form�.
le provvedimento costitutivo dell'autorit� marittima (2). 

(omissis) Con i tre motivi del ricorso che per la loro connessione � 
opportuno esaminare congiuntamente i ricorrenti sostengono che la senten.
za impugnata sarebbe caduta in errore ed omesso esame di punto 
decisivo della controversia: a) allorch� ha ritenuto la natura demaniale 
del .terreno in contestazione, non considerando che in loco esistevano 
piantagi9ni, vigneti e. pascoli che escludevano potersi trattare di spiaggia; 
b) nel non aver ravvisato una sclassifkazione tacita dell'area, ai fini 

(1-2) Con la decisione in rassegna, di cui non sembra neppure il caso di 
sottolineare l'importanza, il S.C. pone un punto fermo contro la continua 
�ggtessione alle nostre coste che in questi anni si � andata sempre pi� estendendo 
ed affinando negli strumenti usati e verso cui anche in questa Rassegna 
non si � mancato di sottolineare i cedimenti (v. nota a sent. 2 giugno 
1978; n: 2756, in questa Rassegna, 1979, I, 32). 

�Con argomentare lineare il S.C. ha messo in evidenza come nel concetto 
di 'spiaggia, quale contenuto negli artt. 427 cod. civ. avv. 1865 e 822 cod. civ. 
vigente nonch� nell'art. 28 cod. nav. rientrino anche gli arenili, cio� quei terreni 
di � s�lito sabbiosi, �ma non necessariamente tali�, relitti del mare a seguito 
di lenti movimenti della crosta terrestre. 

Ed, infatti, l'arenile costituisce l'antica (e spesso non tanto antica, posto 
che i bradismi terrestri sono purtroppo meno lenti di quanto si sia abituati 
a ritenere) spiaggia, cio� il terreno bagnato dal mare, quando questo si � 
ritirato. 

Ora � evidente come tali terreni anche se non pi� bagnati dal mare non 
perdono la loro originaria natura di spiaggia, non potendosi limitare tale 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

796 

della usucapione, ai sensi della legislazione anteriore; e) nell'aver ritenuto 
una potenziale idoneit� del terreno ad usi del mare, giacch� gli stabilimenti 
balneari erano stati ubicati in zona diversa da quella in contestazione. 


Il ricorso non � fondato, anche se in base a considerazioni che in 
parte divengono da quelle cui si � riferita la denunziata sentenza nella 
decisione della controversia. 

La Corte del merito, ponendosi il preliminare problema della qualitas 
soli, non ha avuto alcun dubbio nel riconoscere -contrariamente 
a quanto deducono i ricorrenti in questa sede -che l'area controversa, 
compresa fra il margine della spiaggia e la contigua propriet� degli eredi 
Somma lungo il mare Jonio nella Plaia di Catania, debba considerarsi 
relitto del mare o arenile e come tale inclusa tra i beni del demanio 
marittimo, cos� come generalmente ritenevano dottrina o giurisprudenza 
gi� sotto l'impero della precedente legislazione, applicabile alla fattispecie. 


Vero � che i testi normativi non hanno mai espressamente compreso 
gli arenili tra i beni demaniali, ma l'interpretazione generalmente accolta 
poneva in evidenza che essi costituivano un ampliamento dello stesso 
concetto di spiaggia, inteso come tratto di terra che si estende oltre 
il lido verso la terra ferma senza certi confini, di modo che, a seconda 
che il mare si avanzi o si ritiri, la sua estensione diminuisce o cresce; 
in quest'ultimo caso si determina la formazione di un relitto del mare o 
arenile. 

Poich� esso costituisce una espansione del concetto stesso di spiaggia 
lungo il suo interno confine, non si � derogato al carattere tassativo 
della elencazione dei beni appartenenti al demanio marittimo, gi� messo 
in luce da questa Corte con la sentenza 2 giugno 1978, n. 2756. 

nozione al solo terreno bagnato attualmente dal mare, ma dovendosi ricomprendere 
in essa anche tutte le aree che siano state comunque bagnate dal 
mare. Anche perch�, sembra opportuno ricordarlo, spesso il mare nel tempo 
si riprende i terreni emersi ed � logico che il legislatore si preoccupi di tali 
fenomeni conservando gli arenili alla loro naturale destinazione. 

Del tutto conseguenziale a tale interpretazione � l'affermazione, contenuta 
nella seconda massima, con cui il S.C., superando il contrasto giurisprudenziale 
preesistente, ha riaffermato il principio che sia sotto il vigore del codice 
della marina mercantile del 1877 sia in base alla legislazione vigente solo il 
provvedimento formale di sclassificazione della autorit� marittima fa perdere 
la qualit� di bene demaniale agli arenili. 

La soluzione accolta � conforme, all'opinione della dottrina formatasi sia 
in relazione al cod. mar. mercantile (v. E. PANZAROSA, Arenili, in Digesto it., 
Torino, 1896, voi. IV, p. 551 e segg. e spec. 563) sia in relazione alla legisla:r;l�;>J:le 
vigente (v. D. GAETA, Lido e spiaggia, in Nuovissimo dig. it., Torino 1963, voi. IX, 


p. 918 e spec. 927 e seg.; F.A. QuERCI, Demanio marittimo, in Enc. dir., Milano, 
1964, p. 94 ove ulteriori richiami). 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Cos� come la spiaggia (art. 427 cod. civ. 1865, art. 822 cod. civ. vigente; 
art. 28 cod. nav.), l'arenile � quindi caratterizzato da tre requisiti essenziali: 
a) deve trattarsi di un'area contigua alla spiaggia che una volta 
era toccata dal mare; il che importa che essa, come del resto la spiaggia, 
non ha confini fissi ma variabili in relazione alla natura dei luoghi; b) 
il terreno pu� essere dalla pi� diversa natura geologica; e) esso deve 
essere idoneo per la realizzazione dei pubblici usi del mare. 

Nella fattispecie la Corte del merito con un apprezzamento di fatto 
ispirato alla pi� assoluta correttezza e quindi non sindacabile in questa 
sede (Cass., 23 ottobre 1974, n. 3065; 21 aprile 1976, n. 1406) ha accertato 
la natura demaniale dell'area in contestazione, avendo rilevato, sulle 
orme del.la consulenza di ufficio espletata in primo grado ed in conformit� 
al giudizio espresso dal tribunale, che essa deve considerarsi un 
relitto del mare (areni�e) conseguente al naturale ritrarsi delle acque 
nel corso dei secoli. 

A conforto di questa valutazione la Corte ha tenuto presente non 
soltanto la natura sabbiosa del terreno del tutto identica alla restante 
parte fino alla battigia e oltre verso il mare, ma altres� ha valorizzato 
come indizio (Cass., 8 settembre 1978, n. 4056) le risultanze catastali, 
poich� l'area fin dal 1880 era iscritta in catasto come demaniale, n� -la 
Corte ha osservato -si era data alcuna prova in giudizio circa la erroneit� 
di tale iscrizione. Infine ha tenuto presente l'idoneit� del terreno 
al pubblico uso del mare, ed ha giustamente osservato che l'esistenza 
della duna al limite della spiaggia -che i ricorrenti intendevano indicare 
come confine della propriet� demaniale -non impediva in concreto 
gli usi pubblici del mare, poich� questi vanno riguardati nella loro 
potenzialit� e non nella loro concreta verificazione. Una conferma di 
una tale attitudine del terreno la Corte ha tratto dalla esistenza di concessioni 
ad uso balneare che la stessa autorit� amministrativa aveva consentito 
nella zona. Sul punto i ricorrenti deducono che tale giudizio 
costituirebbe frutto di un errore, per essere l'area controversa da essi 
detenuta, ma appare evidente che la Corte, nell'esprimere la suddetta 
valutazione, ha tenuto conto della destinazione del terreno nelle immediate 
adiacenze della parte controversa di cui costituiva una prosecuzione, 
tanto vero che ha menzionato un uso pubblico soltanto potenziale 
in relazione all'area di cui si contende. 

La Corte d'appello, dopo di aver rettamente risolta la prima questio


ne in senso favorevole alla natura demaniale dell'area, ha affrontato 

l'ulteriore problema che attiene alla dedotta sclassificazione tacita dello 

arenile eccepita dagli eredi Somma, risolvendola negativamente attra


verso una ampia indagine di merito. 

Senonch� la suddetta indagine avrebbe dovuto essere preceduta dal


l'esame di un quesito di carattere preliminare, consistente nel decidere 

se, in base alla legislazione anteriore al vigente codice della naviga



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

798 

zione, si potesse ammettere una sclassificazione tacita della demanialit� 
per i beni del demanio marittimo cos� come, vigente il codice civile del 
1865 la si ammetteva in via generale per tutti gli altri beni demaniali, 
secondo un principio rimasto immutato nel diritto vigente {art. 829 
cod. civ.). 

Questa Corte ha avuto occasione di occuparsi sia pure in epoca non 
recente (sent. 5 agosto 1949, n. 2231) del problema riflettente la cessazione 
della demanialit� degli arenili e l'ha risolto -con esplicito riferimento 
all'art. 157 del codice della marina mercantile del 1877 ed allo 
art. 35 cod. nav. -nel senso che in tal caso la sdemanializzazione si 
verifica soltanto in seguito ad un formale provvedimento di carattere 
costitutivo proveniente dall'autorit� amministrativa. 

Non pu� costituire invece un precedente in senso contrario la sentertza 
24 luglio 1965, n. 1729, che soltanto in via incidentale nella motivazione 
afferm� il principio contrario (cio� la possibilit� di una sclassificazione 
tacita dei terreni abbandonati dal mare), giacch� l'affermazione 
del tutto estranea alla ratio decidendi di quella sentenza che in effetti 
applic� la legislazione anteriore al 1800 per la decisione della controversia 
che r1guardava i demani universali dei comuni. 

Riesaminato il problema, ritiene il collegio di dover confermare la 
esclusione di una sclassificazione tacita dei beni appartenenti al dema� 
nio marittimo, vigente il codice della marina mercantile del 1877. 

�, A norma dell'art. 429 cod. civ. 1865 i beni demaniali � che cessano di 
essere destinati all'uso pubblico ed alla difesa nazionale, passano dal demanio 
pubhli:co al patrimonio dello Stato �. Nella interpretazione di 
questa norma dottrina e giurisprudenza erano concordi nel ritenere che. 
il provvedimento di sclassificazione avesse valore pienamente dichiara� 
tivo e che pertanto la cessazione della demanialit� potesse avvenire anche 
tacitamente con efficacia sin dal momento in cui il bene avesse 
perduto le sue originarie attitudini a servire agli usi pubblici del mare. 

Diversamente si presentava il problema per i beni del demanio marittimo, 
riguardo ai quali l'art. 157 cpv. cod. mar. mere. del 1877 dispo� 
neva che la: spiaggia e le altre zone demaniali marittime �che per dichiarazione 
dell'amministrazione marittima fossero riconosciute non pi� necessaria 
all'uso pubblico, potranno fare passaggio dei beni del pubblico 
demanio al patrimonio dello Stato �. 

Per quanto fino all'inizio del secolo sia stato vivamente dibattuto 
il problema se possa ammettersi una sclassificazione tacita dei beni dema� 
niali marittimi, l'indirizzo allora dominante, richiedeva sempre una manifestazione 
espressa di volont� che la autorit� marittima emetteva secondo 
il suo apprezzamento discrezionale del mantenimento o meno 
dell'attitudine del bene e servire allo scopo in considerazione del quale 
si �era ritenuto opportuno sotoporlo ad un particolare regime giuridico. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Poich� la legge richiedeva un provvedimento amministrativo discrezionale 
circa la persistente idoneit� del bene a soddisfare le esigenze 
connesse ai pubblici usi del ~are; non � dubbio che, per la legislazione 
anteriore, la sdemanializzazione dei beni appartenenti al demanio marittimo 
non potesse che essere espressa. 

Infatti, occorreva necessariamente che l'autorit� amministrativa desse 
ragione in ciascun caso concreto dei motivi in base ai quali la dichiarazione 
di volont� avente effetto modificativo di una precedente situazione 
giuridica, si era determinata anche agli effetti del controilo di 
legittimit� sull'azione d~lla pubblica amministrazione. E d.i motivazione 
pu� correttamente discorrersi soltanto nei confronti della dichiarazione 
di volont�, e non certamente con riguardo ad un mero comportamento. 

L'art. 35 cod. nav. ha infine definitivamente troncato ogni questione 
sulla forma della esclusione dal demanio ��marittimo, non solo stabilendo 
-come la precedente legislazione -le necessit� di un provvedimento, 
ma deteqninandone anche la forma: decreto del ministro pe,r la marina 
mercantile di concerto con quello per le finanze. 

In base alle considerazioni che precedono appare evidente che tutta 
l'indagine svolta dalla Corte del merito al fine di stabilire se in concreto 
dal comportamento della pubblica amministrazione si potesse ricavare 
una implicita volont� di sclassificazione tacita della demanialit� 
della zona deve ritenersi non pertinente alla fattispecie. 

Cadono in tal modo le censure che i ricorrenti hanno mosso alla 
sentenza-impugnata allorch� questa ha escluso in fatto che ricorresse una 
ipotesi di sclassificazione tacita della demanialit�. 

Da quanto precede consegue altres� che, non essendo giammai intervenuto 
un provvedimento amministrativo di esclusione della zona dal 
demanio marittimo, il regime giuridico originario dell'area controversa, 
in quanto relitto del mare o arenile, � rimasto immutato e pertanto 
non � stato mai suscettibile di possesso a favore di privati (artt. 690 
cod. civ. 1865 e 1145 primo comma cod. civ. vigente). Non deve quindi 
procedersi al controllo circa la legittimit� di quella parte di motivazione 
della denunziata sentenza che ha escluso fosse interamente decorso il 
periodo di tempo idoneo ai fini della usucapione vantata dai ricorrenti 

(omissis). 


. �SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

C.ONSIGLIO DI STATO -Ad. Pl. 20 maggio 1980, n. 18 -Pres. (f.f.) Imperatrice 
-Est. Catallozzi -Soc. SASAM (avv. Ricci) c. Regione Abruzzo 
(avv, Cochetti), Soc. Marinella (avv. Moscarini, Guarino e Sandulli) 
e Comune di S. Salvo ed altro (n.c.) -Appello avverso decisione T AR 

. Abruzzo, L'Aquila, 11 ottobre 1978, n. 402. 

Giudizio amministrativo � Appello � �Principi() devolutivo i' JPpetizione 
di doglianze gi� proposte in primo grado � Ammissibilit�. 

Edilizia urbanistica � Licenza di costruzione � Rilascio � Condizioni � 
Piano di lottizzazione � Criteri � Effetti. 

Editiz.ia e urbanistica � Strumentfurbanistici primari � Art. 4 L. 291/1971 � 
Piani regolatori � Efficacia � Inclusione dei comuni negli elenchi � 
Effetti. , 

Ricorso giurisdizionale � Atto basato su :pluralit� di motivi � Esigenza 
di censurare tutti i motivi � .Sussiste � Effetti. 

Edilizia e urbanistica � � Licenza di costruzione . � Violazioni � Accerta� 
mento � Potere di annullamento regionale -Criteri. 

,\nnullamento e revoca � Annullamento d'ufficio in ria .di autotutela � 
Motivazione � Riferimento a ragioni di pubblico interesse � Attualit� 
e concretezza dell'interesse � Necessit� � Sussiste � Effetti. 

Edilizia e urbanistica � Annullamento delle licenze di costruzione � Po.
teri del Sindaco e della Regione � Rapporto � Effetti. 

Giudizio amministrativo � Ricorso � Nuovi motivi dedotti in memoria � 
Memoria non notificata � Effetti � Inammissibilit� � Sussiste. 

Fermo il principio che nel processo amministrativo di annullamento 
il giudizio di appello -preordinato alla correzione della eventuale ingiustizia 
della sentenza di primo grado -ha per oggetto diretto e immediato 
quest'ultima e non l'atto impugnato in prime cure, al giudice dell'impugnazione, 
tuttavia, non � precluso un nuovo esame dei motivi proposti 
nel ricorso di primo grado e riprodotti in appello, allorquando la 
critica dell'appellante risult~ basata sulla allegazione di errori commessi 
dal giudice nella ricostruzione dei fatti o nella interpretazione delle norme 
giuridiche con riferimento alle doglianze ad esso sottoposte (1). 

� precluso il rilascio della licenza di costruzione in difetto di piano 
di lottizzazione ogni qualvolta sia prevista la realizzazione di pi� edifici ~: 

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PARTE' 11 �SEZ� �V)' GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 801 

(o anche d,i uno solo); la cui 'costruzione debba raccordarsi con l'assetto 
abitativo preesistente e :risultino carenti i servizi e le infrastrutture indispensabili 
a detta integrazione urbanistica in quanto necessari a soddisfare 
taluni bisogni della collettivit� {es. strade, spazi, rete di distribuzione 
acqua, fognature, luce); l'onere finanziario per l'esecuzione delle 
relative opere dovr� far carico -in relazione alla prevalente incidenza 
pubblica e privata -all'Ente territorialmente competente o all'imprenditore 
privato (2). 

Ai sensi dell'art. 4 della legge 1� giugno 1971, n. 291, in sede di disciplina 
della materia relativa agli effetti preliminari degli strumenti urbanistici 
primari (piano regolatore generale e programma di fabbricazione) 
debbono ritenersi inapplicabili le limitazioni di cui all'art. 17 della legge 
6 agosto 1967, n. 765, sia per la generalit� dei comuni (con decorrenza 
della data di presentazione del piano o del programma all'autorit� competente 
ad approvarlo) sia per i comuni iscritti in particolari elenchi 
(con decorrenza dalla data di approvazione degli atti di pianificazione 
urbanistica, ci� in base al principio generale della operativit� di questi 
ultimi solo dopo la conclusione dei sottostanti procedimenti formativi); 
conseguentemente fino� al superamento della fase costitutiva e integrativa 
dell'efficacia, al Comune incluso nei particolari elenchi, in quanto sprovvisto 
di una disciplina di pianificazione, si applicano le limitazioni all'edificabilit� 
previste dal citato art. 17 legge 765/1967 (3). 

V a pronunciata la inammissibilit� del ricorso diretto contro un atto 

basato su una pluralit� di motivi fra loro reciprocamente autonomi, qua


lora detto ricorso investa solo alcuni e non tutti i motivi dell'atto, consi


derato che l'eventuale riconoscimento della fondatezza d~lla censura for


mulata contro un motivo non esclude l'esistenza e permanenza degli altri 

motivi autonomi, come tali idonei a sorreggere la legittimit� dell'atto (4). 

Ai sensi dell'art. 27 legge 17 agosto 1942, n. 1150, come sostituito dal


l'art. 7 della legge 6 agosto 1967, n. 765, l'esercizio del potere di annulla


(1-8) Sulla prima massima cfr. nota di richiami alla decisione sez. IV, 

n. 330, massimata a pag. 804. 
Sulla esistenza di una impugnativa che censuri tutti i motivi su cui si 
basa l'atto amministrativo impugnato cfr. Sez. V, 17 marzo 1978, n. 327, in 
Il Consiglio di Stato, 1978, I, 419. � 

Sui criteri da adottare da parte dell'Amministrazione in sede di esercizio 
del potere di annullamento d'ufficio in via di autotutela cfr. Sez. V, 
8 marzo 1974, n. 222, ivi; 1974, I, 437; Sez. V, 22 febbraio 1974, n. 191, ivi 1974, 
I, 275; Sez. V, 30 novembre 1973, n. 958, ivi, 1973, I, 1712; Sez. IV, 14 novem� 
bre 1972, n. 1088 ivi, 1972, I, 1969; Sez. VI, 5 giugno 1979 n. 428, ivi 1979, I, 1094; 
Sez. IV, 8 luglio 1980 n. 743, ivi, 1980, I, 927; quest'ultima ha, in _particolare, 
chiarito, a proposito del provvedimento di annullamento d'ufficio di una licenza 
di costruzione, che i concreti motivi di pubblico interesse debbono essere 
specificatamente esternati nel relativo provvedimento, ovvero negli atti in questo 
richiamati. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

802 

mento (spettante prima all'autorit� governativa e ora alle singole regioni 

ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8) delle licenze di costru� 

zioni illegittime � sottoposto al termine di decadenza di diciotto mesi 

dalla data dell'accertamento delle violazioni, inteso quest'ultimo non solo 

come presa di cognizione -da parte della regione -dei necessari ele


menti di fatto, ma altres� come svolgimento -sia pure in modo som


mario e a carattere deliberativo -tanto dell'esame ragionato dei mede


simi, quanto delle pertinenti valutazioni tecniche e giuridiche (5). 

�Ai fini dell'adozione di un provvedimento di annullamento d'ufficio, 

in via di autotutela, di un provvedimento illegittimo debbono sussistere 

valide ragioni di pubblico interesse, da indicare in mqtivazione, riferibili 

non solo alla esigenza di ripristino della legalit� violata, ma altres� alle 

prevalenti caratteristiche di attualit� e concretezza dell'interesse all'an


nullamento, valutate ponderalmente in relazione a tutti gli altri interessi 

coinvolti nell'adottanda provvedimento (6). 

Sussiste diversit� fra il potere di annullamento d'ufficio delle licenze 
(oggi concessioni) di costruzioni illegittime attribuito al Sindaco dagli 
artt. 10 legge 6 agosto 1967, n. 765 e 1 legge 28 gennaio 1977, n. 10 e l'ana� 
logo potere riconosciuto alla Regione dagli artt. 7 della citata legge 765 
e 1 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, posto che, mentre la Regione deve 
limitarsi a valutare l'interesse pubblico con riferimento esclusivo all'in� 
teresse alla conservazione della situazione esistente (avendo essa in su� 
biecta materia solo poteri di indirizzo, di impulso, di vigilanza, di coordi� 
namento e di controllo, non gi� la facolt� di sostituirsi all'ente locale nel� 
l'adozione di una concreta scelta circa i modi e le forme di utilizzazione 
urbanistico-edilizia di una parte del territorio), il Comune, invece, in sede 
di autotutela, valuta l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto invalido 
anche con riferimento diretto alla possibilit� alternativa di eliminare il 
vizio riscontrato mediante la modifica dello strumento urbanistico gene.
rale, la formazione di un piano particolareggiato, l'invito ai soggetti inte� 
ressati a presentare un progetto di lottizzazione, esecuzione o integrazione 
a carico dell'Amministrazione di talune opere di urbanizzazione, etc . .(7). 

I nuovi motivi -ampliativi della materia del contendere -dedotti 

in memoria semplicemente depositata in Segreteria e non notificata alle 

altre parti in causa debbono essere dichiarati inammissibili (8). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 1� aprile 1980, n. 321 � Pres. Mezzanotte � 
Est. Giovannini -Scalia (avv. Santonocito e Tafari) e Sindaco di Acicastello 
(avv. Sciuto e Tafuri) c. Ministero lavori pubblici ed altro 
(avv. Stato Ciardulli) e Comune di Catania ed altro (n.c.). 

Giudizio amministrativo -Ricorso -Proponibilit� � Ta:rdivf.t� . Eccezione 
� Effetti � Prova della piena conoscenza delPatto -Onere mcombente 
sul soggetto che propone ,l'eccezione di tardivit�. 

I 

i~ 

I


~~ 

-



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 803 

Opere pubbliche � Artt. 29 e 31 legge 17 agosto 1942, n. 1150 � Rapporto 
fra progetti di opere pubbliche e nonne urbanistiche locali � Effetti. 

Nel giudizio a111ministrativo � la parte che propone eccezione di tardivit� 
del ricorso per scadenza del termine di impugnativa in sede giurisdizionale 
a dover fornire la prova che l'altra aveva avuto piena conoscenza 
dell'atto impugnato (1). 

Poich� l'esigenza di conformarsi alle norme urbanistiche locali si 
estende -ai sensi degli artt. 29 e 31, secondo comma, della legge 17 agosto 
1942, n. 1150 -anche ai progetti di opere pubbliche, va pronunciata 
la illegittimit� di un provvedimento di approvazione di un progetto concernente 
un'opera pubblica contrastante con un piano regolatore generale 
(2). 

(1-2) La prima massima costituisce principio consolidato: cfr., ad es., 
Sez. V, 7 dicembre 1979, n. 772, in Il Consiglio di Stato, 1979, I, 1830; 3 febbraio 
1978, n. 175, ivi 1978, I, 235; Sez. VI, 25 ottobre 1977, n. 826, ivi 1977, I, 1515; 
Sez. V, 8 luglio 1977, n. 761, ivi 1977, I, 1200; Sez. IV, 5 aprile 1977, n. 337, ivi 
1977, I, 496; Sez. IV, 10 giugno 1980, n. 643, ivi, 1980, I, 865. 

Anche per quanto concerne la seconda massima, la giurisprudenza .amministrativa 
pu� ritenersi concorde: cfr. ad es. Sez. IV, 9 novembre 1971, n. 964, 
ivi, 1971, I, 2083; 30 novembre 1971, n. 1087, ivi, 1971, I, 2135; 14 luglio 1972, n. 29, 
ivi, 1972, I, 1357; 6 novembre 1973, n. 983, ivi, 1973, I, 1549; 10 febbraio 1976, 

n. 65, ivi, 1976, I, 128. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 1� aprile 1980, n. 326 -Pres. Mezzanotte Est. 
Imperatrice -Comotto ed altri (avv. Santoro) c. Regione Toscana 
(avv. Cheli e Clarizia) e Comune di Sesto Fiorentino (avv. Stancanelli) 
-Appello avverso decisione T.A.R. Toscana, 7 luglio 1977, n. 327. 

Giudizio amministrativo -Appello -Forma -Mera riproduzione generica 
dei motivi di primo grado -Effetto devolutivo dell'appello -Limiti � 
Conseguenze. 

Piano regolatore -Pllbblicazione del progetto dopo la delibera comunale 
di adozione � Provvedimento finale di approvazione � Non comporta 
nuova pubblicazione. 

In sede di appello avverso una decisione del giudice amministrativo 
ai primo grado � necessario censurare espressamente i capi della sentenza 
impugnata con i quali sono stati ritenuti infondati o inammissibili i 
motivi del ricorso introduttivo del giudizio; non �, infatti, sufficiente la 
mera riproduzione generica dei motivi stessi, �he comporta inammissibilit� 
dell'appello in quanto le censure originarie, ove non accolte nella 



RASSEGNA OOLL'AWOCATURA DELLO STATO � 

sentenza di primo grado, se fondate si convertbno .in� vizi della sentenza 
stessa, rilevanti solo ove ne sia� espressamente dato conto nell'atto di 
appello attraverso un chiaro raffronto tra la soluzione adottata e quella 
che sarebbe scaturita da una corretta valutai.ione delle censure stesse (1). 

Successivament� alla adozione, con delibera del consiglio comunale, 
del progetto di piano regolatore generale deve essere effettuata la pubblicazione 
ai sensi della legge 17 agosto 1942, n. 1150, onde consentire che 
i soggetti interessati possano presentare le Z�ro osservazioni in merito al 
cui eventuale accoglimento si decider� poi in sede di emanazione del 
provvedimento di approvazione del piano_ stesso, senza che l'approvazione 
stessa comporti reiterazione della pubblicazione .(2). 

{1-2) La prima massima contrasta con la decisione della sez. V, 25 gennaio 
1980, n. 67, in Il Consiglio di Stato, 1980, I, .59, che .ha ritenuto pienamente 
ammissibile anche l'appello le cui censure cons~stano in una mera riproduzione 
di quelle gi� proposte e disattese in primo grado, senza che sia formulata 
alcuna esplicita critica alla sentenza appellata, ci� in quanto la natura stessa 
dell'appello importa -il riesame della sentenza impugnata da parte del giudice 
di secondo grado. 

Sulla seconda massima cfr. C. si. 18 maggio 1972, n. 366, ivi, 1972, I, 1250. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 1� aprile 1980, n. 330 -Pres. Mezzanotte Est. 
Giovannini -Crova ed altro (avv. Gallo, Germano e Scoca) c. 
Regione Piemonte (avv. Gallo e Romanelli) e Comune di Santhi� 
(n.c.) -Appello avverso decisione T.A.R. Piemonte, 17 gennaio 1978, n. 13. 

Giudizio amministrativo -Appello -Deducibilit� di motivi di ricorso 
diversi rispetto al ricorso di primo �grado -Preclusione. 

Giudizio amministrativo -Appello -Principio devolutivo -Riproposizione 
con diverso contenuto di doglianza gi� ;proposta in primo 
grado -Ulteriori deduzioni come mere difese.� Ammissibilit�. 

Atto amministrativo -Sopravvenienza di leggi ~ � Tempus regit actwn � Criteri 
di applica2ll.one del prlnoirpio. 

Edilizia popolare ed economica -Piani di zona -Preesistenza di un programma 
di fabbricazione -Esigenza di rprevia variante -Non sussiste 
-Applicabilit� dell'art. 3 legge 167/1962 -Effetti, 

Edilizia urbanistica -Misure di salvaguardia -Applii.cabilit� -Atto formale 
di adozione di nuove previsioni urbanistiche -N~essit� Piano 
cli edilizia popolare ed economica -Estensione. � 

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PARTE I;. SEZ. V, GIURISP!lUDENiZA AMMIN'ISTRATIVA 

Edilizia popolmre ed economi.ca � Pi�ni di zona per edilizia eoonoml.ca 
e 1popolare: � -Modifiche di scarso -.rili.evo intervenute dopo ~a _pu~ 
bllcazion~..~ N;uo'l?'a pubblicazio~e � Necessit� � Esclusione. 

Va pronunciata la inammissibilit� in appello dei. motivi. ,di ric9rsq 
nuovi o diversi rispetto a quelli dedott.i nel ricorso di 1� grado {1).. 

Qualora il ricorrente in appello nel giudizio amministrativo, allo. scopo 
di contrastare le argomentazioni poste dal giudice di primo grado a, fon-, 
damento della pronuncia. di rigetto del ricorso, riproponga le medesime. 
doglianze di primo grado formulando ulteriori deduzioni con nuovi, seP.pur 
corrispondenti, argomenti difensivi, non si configura �in tal CQ.$0 
alcuna violazione del principio devolutivo essendo le ulteriori dedu,z,foni. 
mere difese, come tali inidonee a spostare i termini della controversia (2). 

Qualora in pendenza di un procedimento amministr~tivo sopravvenga 
una nuova disposizione normativa, .in applicazione del principio� tempus 
regit actum la legittimit� dei singoli atti del procedimento medesimo, �in 
relazione, specificamente, alla loro essenza e struttura e ai lor� requisiti, 
andr� saggiata alla stregua della sit.uazione di fatto e di diritto esistente 
al momento del loro rispettivo venire in essere (3). 

Il principio previsto dall'art. 3 della legge 18 aprile 1962, n. 167, secondo 
cui il piano per l'edilizia economica e popolare costituisce variante 
al piano regolatore, esclude la necessit� di operare varianti al programma 
di fabbricazione per adeguarlo al piano delle zone per l'edilizia economica 
e popolare; la necessit� di detta previa variante � altres� esclusa in relazione 
alle precipue finalit� (volte semplicemente a soddisfare esigenze di 
coordinamento urbanistico) della norma di cui al quinto comma del citato 
art. 3 -secondo il quale, in difetto di un piano regolatore approvato, le 
zane riservate all'edilizia economica e popolare debb.ono essere comprese 
in un programma di fabbricazione (4). 

(1-6) Sulla inammissibilit� di nuovi motivi in appello cfr. Sez. V, 17. giu� 
gno 1977, n. 612, in Il Consiglio di Stato 1977, I, 1008; Sez. IV, 20 dicembre 1977, 

n. 1284, ivi, 1977, I, 1928; Sez. IV, 17 gennaio 1978, n. 17, ivi, 1978, I, 29; sez. IV, 
28 novembre 1978, n. 1102, ivi, 1978, I, 1651; sez. V, 15 dicembre 1978, n. 1543, ivi, 
1978, I, 1883; sez. IV, 25 gennaio 1980, n. 24 (che ha ritenuto inammissibile, 
in appello, anche il motivo di ricorso, non dedotto in primo grado, concernente 
il vizio di incompetenza dell'autorit� amministrativa che ha emanato il prov-� 
vedimento impugnato, non trattandosi di vizio rilevabile d'ufficio), ivi, 1980, I, 
31; sez. V, 25 gennaio 1980, n. 67, ivi, 1980, 'I, 59. 
Sulla riproposizione in appello di una analoga doglianza proposta in I 
grado coq diverso. contenuto, senza che ci� comporti violazione del principio 

devolutivo cfr. Sez.. IV, 6 luglio 1976, n. 522; ivi, 1976, I. 735; ha escluso la 
ammissibilit� � della mera riproduzione dei motivi di I grado in appello I:i 
sez. VI, con dee. 10 aprile 1979, n. 265, ivi 1979, I, 571. 

Sui criteri di applicazione nel procedimento amministrativo del principio 
tempus regit actum cfr. sez. IV, 4 marzo 1960, n .. 245, ivi, 1960, I, 357; Sez. IV,, 



806 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO .STATO 


Anche il piano di edilizia popolare ed economica, adottato ai sensi 
della legge 18 aprile 1962, n. 167, rientra nella categoria delle nuove previsioni 
urbanistiche la cui formale adozione costituisce� condizione imprescindibile 
per l'applicabilit� delle misure di salvaguardia sulle domande 
di licenze edilizie (5). 

pualora, in sede di procedimento d� formazione di un piano di zone 
da destinare all'edilizia economica e popolare e dopo la pubblicazione 
effettuata ai sensi dell'art. 6 legge 18 aprile 1962, n. 167, intervengano 
modifiche di scarso rilievo, non � necessaria alcuna nuova pubblicazione, 
la quale potrebbe comportare solo la reiterazione delle opposizioni gi� 
presentate (6). 

26 novembre 1974, n. 895, ivi, 1974, I, 1441; e.si 30 novembre 1977, n. 191, ivi, 
1977, I, 1764. 

L'idoneit� di un piano di zona per l'edilizia economica e popolare a costi� 
tuire variante al programma di fabbricazione � stata pi� volte ribadita dal Consiglio 
di Stato (cfr. ad es. Sez. IV, 1� dicembre 1970, n. 954, ivi, 1970, I, 2174; 
Sez. IV, 25 febbraio 1975, n. 207, ivi, 1975, I, 106; Sez. IV, 20 dicembre 1977, n. 1292, 
ivi, 1977, I, 1929; Sez. IV, 6 aprile 1979, n. 254, ivi, 1979, I, 497). 

Sulle prime due massime cfr. rispettivamente sez. V, 14 dicembre 1976, 
n., 1489, ivi, 1976, I, 1387 e e.si 18 maggio 1972, n. 366, ivi, 1972, J, 1250, gi� richiamata 
in nota a sez. IV, 326/1980 sopra massimata in questo fascicolo della 
presente Rassegna. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 1� aprile 1980, n. 332 -Pres. Mezzanotte Est. 
Agresti -De Bianchi (avv. Scarnati) c. Giorgiantoni {avv. Riccardi), 
Commissione centrale vigilanza edilizia economica e popolare 
(Avv. Stato) e Soc. coop. edil. Vitruvio (n.c.) -Appello avverso decisione 
TAR Lazio, Sez. I, 27 aprile 1977, n. 416. 

Giudizio amministrativo -Appello � Applicabilit� art. 327 cod. proc. civ. Sussiste 
-Sospensione feriale. 

Competenza e giurisdizione -Giurisdizione amministrati.va -Alloggi delle 
cooperative per edilizia popolate ed economica � Controversie -Prima 
della stipulazione del mutuo individuale � Sussiste ila giUrisdizione 
amministrativa. 

II termine di decadenza annuale fissato dall'art. 327 del codice di 
procedura civile, che trova applicazione anche in tema di appello avverso 
le sentenze del T.A.R., va calcolata tenendo conto della sospensione dei 
termini durante il periodo feriale (1). 

Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, in ordine alle 
controversie concernenti la consistenza degli alloggi di cooperative per 

(1) Riaffermazion� di un esatto principio, estensivo al giudizio amministrativo 
del noto termine fissato per il processo civile. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 807 

l'edilizia popolare ed economica e le loro relative pertinenze, fino al momento 
in cui intervenga la stipulazione del mutuo individuale che determina 
il momento iniziale della acquisizione in propriet� degli alloggi 
stessi. 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 6 maggio 1980, n. 12 -Pres. Levi Sandri 
-Est. Agresti -Ministero sanit� (avv. Stato Freni) c. Angioni 
(avv. Musio) -Appello avverso decisione T.A.R. Lazio, Sez. I, 25 gennaio 
1978, n. 103. 

Giudizio ammini�strativo � Appello � Decorrenza del termine per la prorposi7Jlone 
� Notificazione della sentenza del T.A.R. � Amministrazione 
stata.le costituita a mezzo dell'Avvocatura dello Stato -Notificazione 
presso l'Avvocatura � Necessit� -Sussiste. 

Sami.tarlo � Sanitario osped�liero � Requisiti di idoneit� � Valutazione del 
servizio di ruolo � Criteri. 

Qualora l'Amministrazione statale risulti costituita nel giudizio amministrativo 
a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, la decorrenza del termine 
per la proposizione dell'appello avverso la sentenza del T.A.R. che ha 
accolto il ricorso inizia a decorrere dal giorno di notifica della sentenza 
stessa presso l'Avvocatura, essendo irrilevante a tale scopo la notifica 
fatta direttamente presso l'Amministrazione (1). 

Va ritenuta l'equiparazione al servizio di ruolo, ai sensi dell'art. 4Bi 
legge 18 aprile 1975, n. 148, del servizio non di ruolo prestato dai sanitari� 
ospedalieri in qualit� di incaricati, straordinari 9 volontari, indip~ndentemente 
da ogni indagine sull'epoca in cui il servizio stesso � stato prestato, 
a nulla rilevando, in particolare, se esso risulti prestato anteriormente o 
posteriormente all'entrata in vigore del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130 (2). 

(1-2) Con la prima massima l'Adunanza Plenaria conferma un principio 
gi� enunciato con decisione della stessa 7 dicembre 1979, n. 32, in Il Consiglio 
di Stato, 1979, I, 1761; il problema della decorrenza del termine era stato prospettato 
con ordinanza della Sez. IV, 13 luglio 1979, n. 642, ivi, 1979, I, 990. 

Sulla seconda massima cfr. Sez. IV, 24 novembre 1978, n. 1083, ivi 1978, I, 1632. 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 6 maggio 1980, n. 502 -Pres. Mezzanotte Est. 
Giovannini -Ministero finanze (avv. Stato Onufrio) c. Libertini 
(avv. Bellini e La Schina) e La Loggia (n.c.) -Appello avverso decisione 
T.A.R. Liguria, 6 aprile 1978, n. 141. 

Giudizio amministrativo � Appello � Decisione sulla proposizione del giudizio 
� Avvocatura dello Stato -Autonomia e indipendenza rispetto 
alle Amministrazioni patrocinate � Sussistono � Effetti. 



808 RASSEGNA �DELL.'AVVOCA.TURA. DELLO STATO 
Impiego pubblico. �� Trasferimenti -Trasfe11imento da un. ufficio ad un 
altro della stessa localit� -Obbli.go. di motivapone., � Non sussiste. 
Pur non disponendo della titolarit� dell'interesse dedotto �n giudtzio, 
l'Avvocatura dello Stato gode di piena autonomia e indipendenza nel decidere 
la condotta della causa e pertanto non si pone alcuna esigenza di 
apposita deliberazione da parte delle Amministr:azioni patrocinate ai fini 
della proposizione degli appelli,' sussistendo in subiecta materia la� sola 
preclusione alla adozione di iniziative processuali che possano incidere 
su interessi politico-amministrativi di particolare rilievo, la cui valutazione 
� peraltro rimessa in via esclusiva alla Presidenza del Consiglio dei 
Ministri, non gi� qlle singole Amministrazioni _interessate (1). 
In materia di pubblici dipendenti i provvedimenti di m_ero mutamento 
di mansioni o di spostamento tra uffici siti nella stessa localit� 
non debbono, di norma, essere motivati, e ci� in quanto l'art. 31, secondo 
comma, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, nell'attribuire all'Amministrazione 
la facolt� di emanare simili provvedimenti, 'non pone limite o vincolo 
alcuno, salvo il dovuto rispetto della corrispondenza fra nuove mansioni 
affidate e qualifica rivestita dall'interessato (2). 
(1-2) Con la prima massima, di indubbia esattezza, la Sez. IV, con motivazione 
chiara e limpida, ha ribadito il principio della piena autonomia e indipendenza 
dell'Avvocatura dello Stato nel � decid�re � la condotta di causa e, 
conseguentemente, nel � prescegliere � ogni e pi� opportuno mezzo processuale 
a difesa dell'Amministrazione, ivi compresa, quindi, anche la decisione sulla 
proponibilit� o meno dell'appello. Tali principi si ricollegano alla analoga 
decisione della Sez. IV, 7 marzo 1978, n. 178 (in Il Consiglio di Stato, 1978, I, 353), 
scaturita da una esatta valutazione delle considerazioni a .suo tempo svolte 
dall'Adunanza Generale nel parere 23 novembre 1967, n. 1237, in tema di interpretazione 
della speciale normativa stabilita dal r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611; 
n� siffatta interpretazione soffre alcuna limitazione, ma anzi viene vieppi� rafforzata 
proprio per effetto dell'entrata in vigore della legge 3 aprile 1979, 
n. 103, il cui art. 12 � stato infatti, e giustamente, richiamato esplicitamente 
nella motivazione della decisione in rassegna, la quale chiarisce in particolare 
�he la proposizione dell'appello (beninteso ove non incida nell'unico limite degli 
interessi po1itico-amm1nistratiivi di particolare im?Portanza, rimessi alla � esclusiva
� valutazione del Presidente del Consiglio dei Ministri) rientra pienamente 
nella sfera di autonomia riconosciuta all'Avvocatura, posto che tale iniziativa 
processuale va ricompresa � tra le mere potest� difensive spettanti alle parti 
del giudizio: da un lato, infatti, con l'appello non si introduce un processo 
nuovo ma si resta nell'ambito di quello gi� iniziato, unicamente proseguendone 
lo svolgimento in una ulteriore fase...; d'altro lato la sua esperibilit� tipicamente 
risponde ad una �.esigenza in effetti prettamente difensiva � della parte rimasta 
soccombente in prime cure, quale quella di ottenere, pel tramite di un rie� 
same della controversia e della eventuale acquisizione di nuovi elementi di giudizio, 
una pronuncia difforme sostitutiva della precedente ritenuta errata o 
viziata� (cos� testualmente in motivazione). 
La seconda massima conferma u:il principio consolidato: cfr. ad es., Sez .. Vii 
28 settembre 1971, 11. 712, ivi, 1971. I,�� 1627; Sez. IV, 22 novembre 1967, n. 625, 
ivi 1967, I, 2195; Sez, VI, 3lottobre: 1962, n. 747, ivi, 1962, I, 1681. ~: 
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SEZIONE SESTA . ~ 

G IURISPRUDEN�ZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 novembre 1979, n. 6.020 .� Pres. Rossi � 

Est. Carnevale � P. M. Gambogi (conf.) � M.inistero delle Finanze 

(avv. Stato Gargiulo) c. Fallimento SAICIL. 

Tributi. in genere � Potest� tributarla di imposhll.one � Riserva di legge 
relati.va � Normativa �rimessa al Ministero delle Finanze � I.mpugnazilone 
� Giurlsdizilone ordinaria. 
(Cost., art. 23; d.l. 19 ottobre 1944, n. 348, art. 10). 

Tributi. erariali indiretti � Imposta sull'entrata � Olii lubrificanti soggetti 
all'imposta di fabbricazione � Potere del Ministero d.elle Flinanze di 
determmare aliquote condensate � Legittimit� � Potere di detenmnare 
il prezzo medio � Esclusione. 

(D.l. 19 ottobre 1944, n. 348, art. 10; d.l. 27 dicembre 1946, n. 469, art. 12). 
L'atto di normazione secondaria pronunciato dal Ministero delle Finanze 
in base ad una previsione di legge ,(nella specie determinazione delle 
aliquote o quote condensate dell'I.G.E. a norma dell'art� 10 del d.l. 19 ottobre 
1944, n. 348 e dell'art. 12 del d.l. 27 dicembre 1946, n. 469) pu� essere 
impugnato, unitamente al provvedimento che liquida l'imposta, innanzi 
al giudice ordinario avente giurisdizione sul rapporto di imposta di diritto 
soggettivo (1). 

Il potere conferito al Ministero delle Finanze dall'art . .lQ del d.l. 
19 ottobre 1944, n. 348 e dall'art. 12 del d.l. 27 dicembre 1946, n. 469 concerne 
soltanto la determinazione delle aliquote o quote condensate dell' 
l.G.E., ma non comprende la determinazione della base imponibile 
(prezza medio) che doveva essere stabilita nei modi ordinari (2). 

(omissis) L'art. 10 del d.l.lgt. 19 ottobre 1944, n. 348, attribuiva al 
Ministro per le Finanze il potere di disporre -in relazione all'imposta 
generale sull'entrata dovuta per alcune merci, tra le quali l'art. )2 del 
d,l.C.p.S. 27 dicembre 1946, n. 469, comprendeva anche quelle soggette 
all'imposta di fabbricazione -che l'imposta fosse corrisposta � mediante 

(1-2) Ancora una pronunzia �he riafferma senza esitazione la giurisdizione 
del giudice del rapporto di imposta sull'impugnazione dell'atto 'di normazione 
secondaria. Sull'argomento si veda da� ultimo Cass., 8 giugno 1979, n. 3249, in 
questa Rassegna, 1980, I, 156, con ampi riferimenti. e rilievi critici. La sentenza 
ora intervenuta non nega che il provvedimento amministrativo generale, costituisca 
esercizio di. un potere d� fronte al quale i� destinatari hanno una posizio




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

il pagamento di canoni ragguagliati al volume degli affari in base alla 
dichiarazione del soggetto ovvero mediante l'applicazione di aliquote e 
quote condensate fo rapporto al presunto numero degli atti economici 
imponibili �. 

Con l'art. 14 dei decreti del 24 dicembre 1956, del 23 dicembre 1957' 
e del 15 dicembre 1958 il Ministero per le Finanze disponeva che l'imposta 
generale sull'entrata sugli olii lubrificanti dovesse essere pagata, per gli 
anni 1957, 1958, 1959, in base ad un'aliquota condensata ragguagliata al. 
prezzo di L. 300 al chilogrammo. 

Con citazione del 5 dicembre 1965 la societ� per azioni Commercifr 
Industria Lubrificanti (S.A.l.C.1.L.) conveniva in giudizio davanti al Tribunale 
di Milano l'Amministrazione delle Finanze dello Stato, chiedendone 
la condanna al rimborso dell'imposta pagata in pi� del dovuto, tra gli 
altri, per gli anni 1957, 1958 e 1959, in quanto dall'imposta liquidata in 
conformit� alle disposizioni contenute nei decreti ministeriali suindicati 
non era stato detratto l'importo dell'imposta di fabbricazione eventualmente 
non dovuta e della relativa imposta sull'entrata. 

L'Amministrazione finanziaria si costituiva e resisteva alla domanda.. 

Dichiarata dalla Corte costituzionale, con sentenza 11 luglio 1969, 

n. 129, l'infondatezza della questione di legittimit� costituzionale degli 
artt. 10 del d.l.lgt. 19 ottobre 1944, n. 348 e 12 del d.l.l.p.s. 27 dicembre 1946, 
n. 469, sollevata nel corso del giudizio in relazione all'art. 23 della Costituzione, 
il Tribunale, con sentenza 3 luglio-21 settembre 1970, rigettava 
la domanda. 
Su <j.ppello del curatore del fallimento della S.A.l.C.I.L. (frattanto� 
dichiarato dal Tribunale di �Milano), la Corte d'appello della stessa citt�, 
con sentenza non definitiva 21 ottobre-19 dicembre 1975, dichiarava. l'illegittimit� 
dell'art. 14 dei decreti ministeriali pi� sopra citati; e, con sen


ne di interesse legittimo, ma tuttavia ammette che la mancata impugnazione� 
del provvedimento generale innanzi al giudice amministrativo non preclude� 
nella successiva fase della concreta imposizione del tributo la possibilit� di 
far valere innanzi al giudice del rapporto tributario l'illegittimit� dell'atto generale 
insieme con queLla, dal primo derivata, dehl'atto .di accertamento. !;:. 
cos� aperta la via aLla doppia tutela suLl'!identico atto? 

La seconda massima, se esatta nel merito, sarebbe coerente con la prima: 
se il Ministro non ha il potere di determinare il prezzo medio, potrebbe essere 
in effetti denunciata innanzi al giudice ordinario la inesistenza del provvedimento 
emesso con totale carenza di potere; ma se questo potere spettasse al 
Ministro non sembra che la semplice illegittimit� possa essere accertata dal 
giudice ordinario in via di disapplicazione. Sulla sostanza della questione si 
ricorda che, con la legge 31 ottobre 1966, n. 941 � stato esplicitamente attribuito 
�al Ministro e su delega di questo agli intendenti di finanza, di stabilirei! 
prezzo medio di vendita delle acque minerali (v. sentenza citata); probabilmente 
questa norma ha soltanto chiarito quel che era gi� implicito nell'art. 1(), 
.del d.l. n. 343 del 1944: un sistema .rapido e presuntivo per liquidare l'imposta 
su taluni prodotti di largo consumo il cui prezzo � livellato sul mercato. 


PARTE I, SEZ. vi; GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 

tenza definitiv� 28 gennaio-22 aprile 1977, condannava l'Amministrazione 
finanziaria a pagare al medesimo curatore la somma di L. 15.309.661, con 
_gli interessi sulla misura del 3 % semestrale. 

La Corte d'appello ha ritenuto che il Ministro per le Finanze, nel 
:fissare i criteri per la determinazione della base imponibile, avesse esorbitato 
dal potere attribuitogli dall'art. 10 del citato d.l.lgt. 19 ottobre 1944, 

n. 348; e che l'appellante avesse provato il prezzo di vendita degli olii 
lubrificanti negli anni 1957, 1958 e 1959. 
Avverso entrambe le sentenze della Corte di appello di Milano l'Aro� 
ministrazione delle Finanze dello Stato ha proposto ricorso per cassazione 
.sulla base di tre motivi. 

Il curatore del fallimento della S.A.LC.I.L., nel resistere al detto 
ricorso ha proposto, a sua volta, ricorso incidentale �ondizionato con un 
unico motivo ed ha depositato una memoria. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Il ricorso principale .dell'Amministrazione delle Finanze dello Stato 
ed il ricorso incidentale condizionato del fallimento della S.A.I.C.l.L. 
--essendo stati proposti contro la medesima sentenza -debbono anzitutto, 
essere riuniti, in conformit� a quanto dispone l'art. 335 cod. 
-proc. civ. 

r

Con il primo motivo del suo ricorso l'Amministrazione finanziaria 
�denunciando la violazione dell'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, 
all. E e dell'art. 112 cod. proc. civ., si duole che la Corte del merito 
abbia disapplicato i decreti ministeriali ai fini di una diversa determina� 
2ione del valore imponibile senza alcun riferimento al prezzo medio degli 
olii lubrificanti, nonostante che la S.A.I.C.l.L. ne avesse dedotta l'illegit� 
timit� solo in correlazi�ne con la pretesa che il prezzo medio, da essi 
fissato, dovesse essere decurtato dell'importo dell'imposta di fabbricazione; 
abbia ritenuto, come. riflesso della disapplicazione dei detti decreti 
ministeriali costituenti provvedimenti di carattere generale, di poter pro
�cedere. autonomamente a sostituire gli atti impositivi concreti; e non 
abbia considerato che l'illegittimit� di questi ultimi, derivata dall'illegit� 
timit�. dei decreti ministeriali ai quali e.ssi si er,ano adeguati, avrebbe 
-potuto essere fatta valere nel rispetto delle condizioni, delle forme e dei 
termini di cui ai decreti legislativi 27 �dicembre 1946, n. 469 e 3 mag-
gio 1948, n. 799. 

La censura � infondata sotto tutti i profili in cui viene prospettata. 

La posizione soggettiva del soggetto passivo del rapporto tributario di 
fronte al potere di accertamento e di imposizione dell'ente impositore 
~ concretandosi nell'interesse, costituzionalmente garantito, a non essere 
sottoposto ad imposizione se non nei casi, nella misura e con le modalit� 
stabilit� dalla legge -si configura non gi� come interesse legittimo, ma 


.RASSJlGN4 .DELL'AVVOCATURA .DELLO STATO, , , 

come .diritto soggettivo, .per cui la relativa tutela giurisdizionale � devo.
Iuta al giudice ordinario. 

Nell'ipotesi in cui sia proposta una domanda di ripetizione di una 
somma che si assuma oggettivamente non dovuta perch� corrisposta in 
adempimento di un'obbligazione tributaria inesistente o illegittimamente 
determinata nel suo contenuto, la giurisdizione del giudice ordinario sussiste 
anche quando l'atto di accertamento e di riscossione del tributo 
venga contestato in base alla dedotta illegittimit� del provvedimento amministrativo 
di carattere generale che abbia fissato, in via generale, i criteri 
per la determinazione della base imponibile. Di tale illegittimit� 
-che, se sussistente, comporta la lesione del diritto soggettivo del soggetto 
passivo del rapporto tributario a non essere assoggettato ad un 
tributo avente una misura diversa di quella consentita dalla legge in 
quanto si riflette sulla legittimit� dell'atto di imposizione, che, realizzatisi 
in concreto i fatti integrativi della fattispecie impositiva, ha reso 
effettivo ed attuale l'obbligo di eseguire la prestazione tributaria di cui 
il provvedimento amministrativo generale ha fissato, in astratto, i criteri 
per la determinazione del contenuto -deve conoscere infatti il giudice 
ordinario, il quale -in base al principio sancito dall'art. 5 della 
legge 20 marzo 1965, n. 2248, ali. E -ha il potere-dovere di disapplicare 
i provvedimenti amministrativi, sia particolari che generali, incidenti, 
senza degradarle ad interesse legittimo, su posizioni di diritto soggettivo, 
quando essi siano non conformi alla legge. 

Oggetto della domanda �, in tale ipotesi, non gi� l'accertamento 

dell'i�legittimit� del provvedimento amministrativo, ma la tutela . del 

diritto soggettivo che si pretende leso dal provvedimento, del quale il 

giudice ordinario ha il potere-dovere di accertare, incidenter tantum, 

l'illegittimit� ai limitati fini di quella tutela, dovendo considerarlo, ove 

ne riconosca la non conformit� alla legge, tanquam non esset e decidere 

quindi la controversia come se non fosse stato mai adottato. 

� ben vero che il provvedimento amministrativo di carattere generale 

con cui siano stati fissati i criteri per la determinazione della base impo


nibile costituisce esercizio di un pot'ere di fronte al quale i destinatari 

(da individuarsi tra i soggetti che, in quanto investiti di speciali status 

o qualit� o posti in determinate situazioni normativamente determinate, 
si trovirio in una posizione collegata con l'interesse pubblico in vista del 
quale l'ordinamento attribuisce alla P.A. il potere di provvedere) hanno 
una posizione soggettiva che si configura, anche prima ed indipendente. 
mente dall'adozione dei singoli provvedimenti impositivi, come interesse 
legittimo. Ma, data l'autonoma e diversa consistenza di questa posizione 
soggettiva, la mancata impugnazione del detto provvedimento generale 
dinanzi al giudice investito della giurisdizione e nei termini e modi sta-.. 
biliti dalla legge non preclude al soggetto passivo del rapporto tributario 
-il quale nella fase successiva della concreta imposizione del tributo � '~j

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PAR'l'B :I; SE7'. Vl,,�GTIJRISPR�DENIZA �TRIBUTARIAt 

: 
titolare di una posizfone �soggettiva avente consistenza di diritto soggettivo 
-la possibilit� 'di far valere davanti al giudice ordinario l'illegitti� 
mit� del detto provvedimento di carattere generale insieme con quella, 
derivata d�lFillegittimit� del ' prinio, del provvedimento impositivo, ai 

-fini della loro disapplicazione ai sensi del citato art. 5 della legge 20 mar.
z.o 1965, n. 2248, all. E. 

Alla stregua dei principi suesposti deve ritenersi che la Corte del merito, 
al fine di stabilire se le somme corrisposte dalla S.A.I.C.I.L. a titolo 
di imposta fossero state di importo superiore al dovuto, abbia legittimamente 
disapplicato, anche se non erano stati impugnati nei modi e 
nei termini stabiliti �dalla legge, i decreti ministeriali del 24 dicembre 
1956, del 23 dicembre 1957 e del 15 dicembre 1958 ed i conseguenti atti 
impositivi, in quanto non conformi alla legge nella parte in cui avevano 
fissato il prezzo degli olii lubrificanti, agli effetti dell'applicazione dell'imposta 
generale sull'entrata, in L. 300 al chilogrammo, e provveduto, 
conseguentemente, alla determinazione dell'imposta in una misura conforme 
alla legge. 

Nessuna preclusione all'esperibilit� dell'azione di ripetizione di indebito 
oggettivo poteva, d'altra parte,� derivare, contrariamente a quanto 
sostiene l'Amministrazione finanziaria, dalla mancata proposizione da 
parte della S.A.I.C.I.L., dei ricorsi davanti alla commissione distrettuale 
contro gli atti di accertamento, ai sensi degli artt. 15 del d.I. 27 dicembre 
1946, n. 469 e 17 e 20 del d.l. 3 maggio 1948, n. 799. 

L'autonomia dell'azione giudiziaria rispetto all'accertamento tributa� 
rio importa infatti la possibilit� che sia proposta davanti al giudice ordi� 
nario la questione relativa all'esistenza ed al contenuto dell'obbligazione 
tribut�ria indipendentemente dall'esperimento dei ricorsi amministrativi 
e di quelli alle commissioni tributarie. 

Il principio si desume dagli artt. 113 della Costituzione e 2 e 6 della 
legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, i quali ammettono in via generale 
l'azione davanti al giudice ordinario per la tutela dei diritti soggettivi 
contro gli atti della P.A., quale � appunto l'accertamento tributario. 
Norme contenute in leggi speciali possono disporre che l'azione giudizia� 
ria non possa essere promossa prima dell'espletamento del procedimento 
amministrativo: ma, quando, come nel caso dell'imposta generale sul� 
l'entrata, una norma di questo tipo manchi, come non -sussistono preclu� 
sioni alla proponibilit� immediata dell'azione giudiziaria, �os� non � di 
ostacolo alla sua proposizione la definitivit� dell'accertamento, sia che 
essa derivi dal �rigetto dei ricorsi proposti dall'interessato, sia che essa 
consegua al mancato esperimento degli stessi ricorsi nei termini prescritti 
dalla legge. (omissis) 

Con il secondo motivo del suo ricorso l'Amministrazione finanziaria 
denunciando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 12 del d.1. 
27 dicembre 1946, n. 469, in relazione all'art. 10 del d.I. 19 ottobre 1944, 


814 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

n. 348 -si duole che la Corte del merito abbia ritenuto che il Ministm 
per le Finanze, nel fissare con i citati decreti del 1956, del 1957 e del 1958 
il prezzo medio degli olii minerali lubrificanti da assumere a base per 
� 1a determinazione del valore imponibile, abbia ecceduto dai poteri conferitigli 
dall'art. 12 del� d.l. n. 469 del 1946 in correlazione con l'art. 10 
del d.l. n. 348 del 1944, non considerando che a differenza che nei decreti 
ministeriali concernenti l'i.g.e. dovuta per il �commercio delle acque e 
bevande gassate, ai quali si riferiscono le sentenze di questa Corte Sttpre
�in� richiamate nella sentenza non definitiva impugnata -nei decreti in 
questione l'operazione di fissazione del prezzo medio era in�orporata ed 
insindacabilmente connessa c�n la disposizione del particolare regime 
'.impositivo secondo l'aliquota condensata. 

Anche questa censura non coglie nel segno. 

L'art. 10 del d.l. lgt. 19 ottobre 1944, n. 348 -applicabile anche all'im


.posta generale sull'entrata relativa al commercio dei prodotti soggetti, 

come gli olii minerali lubrificanti, all'imposta di fabbricazione, in virt� 

della norma contenuta nell'art. 12 del d.I. C.p.s. 27 dicembre 1946, n. 469 


attribuiva al Ministero per le Fin�nze il potere di disporre, rispetto alle 

entrate derivanti dal commercio dei prodotti ivi elencati, che l'imposta 

generale sull'entrata fosse corrisposta mediante il pagamento di canoni 

ragguagliati al volume degli affari, in base a dichiarazione del soggetto, 

ovvero mediante l'applicazione di aliquote o quote condensate in rapporto 

al numero' presunto degli atti economici imponibili. 

Come emerge dall'interpretazione letterale e logica della norma attri


butiva, il potere conferito al Ministro aveva per oggetto esclusivo la 
determinazione delle modalit� di pagamento della imposta o delle aliquote 
o q~ote condensate, mentre esulava dalla sua area, rimanendo riservata 
alle norme contenute nella legge istitutiva dell'imposta generale 
. sull'entrata (r.d.1. 9 gennaio 1940, n. 2, convertito nella legge 19 giugno 
1940, n. 762) e successive modificazioni la disciplina dei criteri per la 

determinazione della base imponibile. 

Il Ministro per le Finanze -nell'emanare i decreti 24 dicembre 

1956, 23 dicembre 1957 e 15 dicembre 1958, relativi all'imposta generale 

sull'entrata sul commercio degli olii minerali lubrificanti -, mentre aveva 

�esercitato il potere attribuitogli dall'art. 10 del citato d.l. lgt. 19 ottobre 

1944, n. 348 in relazione alla determinazione dell'aliquota condensata, 

aveva quindi indubbiamente ecceduto da esso in relazione alla fissazione 

del prezzo di L. 300 al chilogrammo. 

Delle due anzidette disposizioni contenute nei citati decreti ministe


riali soltanto quella relativa alla determinazione dell'aliquota condensata 

poteva perci� ritenersi adottata nell'esercizio del potere attribuito al 

ministro dalla norma, mentre l'altra disposizione era illegittima, perch� 

emanata in carenza di potere ed in violazione del principio sancito dal


, l'art. 23 della Costituzione, secondo cui nessuna prestazione. patrimoniale 1 

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PARTE I; SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIAl 815� 

pu� essere �imposta se non in base ad una legge, la qua.le, anche se non 

deve contenere tutti gli �elementi necessari per la determinazione della 

prestazione imposta, deve fissar� i criteri ed i limiti idonei a cir~osc�iver~. 

il potere delegato alla P.A., laddove nella specie, mancando addirittura .iL 

conferimento della delega, si .riscoptra un assoluto .difetto di criteri e. Q.i 

limiti per l'esercizio del potere. 

L'illegittimit� della disposizione concernente la filssazione del prezzo 
medio ai fini della determinazione della base imponibile, pur se fosse 
dimostrato l'asserito inscindibile collegamento della ' disposizione illegittima 
c�n quella adottata dal ministro _nell'esercizio del potere attribuito� 
gli dalle pi� volte citato art. 10 del d.l. lgt. n1 348 del 1944, non pu� quindi 
essere contestata;� con la conseguenza che� la Corte del merito non merita 
alcuna 'censura per aver disapplicato i decreti ministeriali nelle parti in 
cui contenevano disposizioni illegittime. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, �24 gennaio 1980, n. 579 -Pres. D'Orsi � 
Est. Battimelli � P. M. Catalani (conf.) .. Ministero delle Finanze r(avv. 
��Stato Soprano) c. l.N.A.I.L. (avv. Bolletti)., 

Tributi lin genere -Dichiarazione dei redditi -Effetti -Dichiaraziane 
condizionata Ammissibilit�. 

(T.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 17, 31 e 188). 
Tributi erariali �direttl. -Soggetti passivi � Organizzazione di beni e di 
persone senza personalit� giuridica � Fondo �di previdenza del personale 
dell'INAIL -Appartiene aH'INAIL -Esclusione di soggettivit� 
tributaria autonoma. 

(T.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 8). 
Se ordinariamente la dichiarazione dei redditi comporta il riconoscimento 
dell'obbligazione� tributaria e consente l;iscrizione a ruolo non pi� 
contestabile dell'imposta dovuta sui redditi dichiarati, � tuttavia consentito 
al contribuente presentare una dichiarazione contenente l'indicazione 
del fatto generatore del reddito e contemporaneamente affermare 
che quel provento non � tassabile; in tal caso l'ufficio non pu� procedere 
direttamente all'iscrizione a ruolo, ma, se ritiene dovuto l'imposta, deve 
notificare l'accertamento (1). 

(1-2) La prima massima � di notevole interesse per il chiarimento della 
natura giuridica della dichiarazione. Ad essa si riconosce ordinariamente l'ef� 
fetto di �accettazione� (riconoscimento) dell'obbligazione con la conseguente 
impossibilit� di contestare l'iscrizione a ruolo. Con questa pronunzia, e con 

!O 



816 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 
La soggettivit� passiva di diritto tributario pu� essere riconosciuta a 
organizzazioni di persone o di beni prive di personalit� giuridica, ma soltanto 
se queste non appartengono ad altri soggetti; il fondo di previdenza 
del personale dell'I.N.A.I.L. non ha soggettivit� giuridica perch� � ricom� 
-preso nello stesso I.N.A.I.L. che lo amministra sia pure con il vincolo df 
destinazione (2). 
(omissis) Il primo motivo di ricorso, con cui si sostiene l'inammissibilit�, 
nel caso di specie, di un ricorso contro il ruolo a sensi dell'art. 188del 
t.u. n. 645 del 1958, �. infondato, essendo errata la premessa da cui 
parte la tesi difensiva dell'amministrazione, la premessa, cio�, di una 
legittima iscrizione definitiva a ruolo a sensi dell'art. 174 del suddetto 
t.u. 
Detta norma, infatti, presuppone una normale dichiarazione dei redditi, 
accettata dall'amministrazione, con fa conseguente possibilit� dell'immediata 
riscossione delle imposte dovute, la cui applicazione non � contestabile 
dal contribuente, che, implicitamente, con la dichiarazione dei red-� 
diti,� ha accettato, senza contestazioni, l'obbligazione tributaria a suo carico. 
Ma il caso di specie esula da tale ipotesi normale e costituisce una fatti-specie 
anomala, in funzione della quale va esaminata ,l'ammissibilit� del 
ricorso contro iii ruolo. 
Come � stato in precedenza esposto, infatti, l'I.N.A.I.L. non si limit�� 
a dichiarare puramente e semplicemente, nella denunzia dei redditi, il 
versamento degli interessi sul fondo di quiescenza al personale, come 
fatto generatore di una pretesa tributaria; ma, trattandosi di un entetassabile 
in base a bilancio, e risultando dal bilancio tale movimento di 
I 
l'altra 19 febbraio 1980, n. 1218 (in questo fascicolo pag. 823) la S.C. comincia 
a -prendere le distanze dall'indirizzo che vedeva nella dichiarazione una semp�ice 
comunicazione informativa (24 aprile-1978, n. 2318, in questa Rassegna,. 
1980, I, 361, con nota di C. BAFILE). Ora non solo si d� alla dichiarazione valore, 
vincolante, di negozio di ricognizione del debito, ma si precisa anche che 
questo negozio, che -potr� essere impugnabile in quanto tale, preclude la 
prqponibilit� del ricorso contro il ruolo; non potr� cio� utilizzarsi il ricorsoqmtro 
il ruolo forni�t�' per la riscossione del tributo dovuto sui redditi dichiarati 
per contestare la dichiarazione. 
La sentenza affronta una ulteriore questione: come deve comportarsi 
il contribuente che dubita della imponibilit� di un cespite? Ci� presuppone l'ulteriore 
quesito se la dichiarazione debba contenere soltanto nudi fatti o anche 
il riconoscimento degli effetti giuridici di questi (v. nota alla sentenza n. 2318. 
cit.); la risposta che d� fa sentenza � afferma~iva giacch� .in caso di dichiarazione 
pura e semplice del reddito, .iJ contribuente rende definitivo il rapporto di imposta 
ad sensi dell'art. 174 del t.u. del 1958. Tuttavia si ammette che nel dubbio il 
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I: 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 817 

somme, che non poteva essere tenuto nascosto all'ufficio impositore, 
espose la situazione, chiarendo peraltro la propria interpretazione del rapporto 
e negando, contemporaneamente alla dichiarazione, che si trattasse 
di somme imponibili, il che tolse ogni valore alla dichiarazione come 
confessione dell'esistenza di un reddito soggetto ad imposta, a sensi 
dell'art. 17 del t.u. del 1958. 

In altri termini, l'Istituto, ritenendo che gli interessi versati sul fondo 
non fossero suscettibili di imposizione, si trovava nell'alternativa o di 
non effettuare la dichiarazione ai"dette somme, correndo l'alea dell'applicazione 
delle sanzioni previste per l'omessa denuncia (nel caso che l'Ufficio, 
rilevando dal bilancio l'esistenza delle somme suddette, le avesse 
ritenute tassabili), o di effettuare la denuncia; ma in tal caso se non 
avesse, contemporaneamente, espresso la propl."ia convinzione dell'intassabilit� 
delle'1"somme,�stesse, ,a:vrebbe reso definitivo il rapporto di imposta, 
a '~ensi d�ll'art. 174 del t.u., e non avrebbe pi� potuto agire per far 
riconoscere l'inesistenza della pretesa fiscale. Di fronte ad una simile 
alternativa si deve riconoscere che a torto la difesa dell'amministrazione 
afferma che non sono possibili dichiarazioni �con riserva�, quando in� 
vece una dichiarazione del genere appare l'unico mezzo a disposizione 
del contribuente (o del sostituto di imposta, il che non cambia la sostanza 
del problema) per la piena tutela dei propri diritti. 

Ci� comporta che l'ufficio, in possesso della dichiarazione, non poteva 
interpretarla, come ha fatto, come una denuncia pure e semplice, 
ignorando l'espressa dichiarazione di volont� del denunciante, ma avrebbe 
dovuto procedere ad accertamento a sensi dell'art. 31 del t.u., provocando 
in tal modo o l'acquiescenza del contribuente, o l'insorgere di una conte� 

dichiarante possa esporre il nudo fatto produttivo di reddito e esprimere il 
suo dissenso sulla imponibilit�; in tal caso non vi � riconoscimento e non 
pu� quindi procedersi direttamente alla iscrizio~ a ruolo. 

Su quest'ultimo punto si deve invero dissentire. Se il soggetto passivo deve 
presentare una dichiarazione contenente tutti ,gli elementi necessari per la determinazione 
dell'imponibile e dell'imposta, deve per l'appunto assumere la responsabilit� 
della definizione degli effetti giuridici che lo concernono e correre 
H rischio di riconoscere un'obbligazione forse incerta o di subire le sanzioni. 
Una dichiarazione a met� che non� produce ~�effetto del riconoscimento deH'obbligazione 
dovrebbe ritenersi equivailente alla dichiarazione omessa e certamente 
non sottrarrebbe il contribuente dalla irrogazione di sanzioni. Oggi � ancor 
pi� marcata la differenza di effetti tra la dichiarazione pura e semplice che 
d� luogo al versamento contestuale della relativa imposta e la dichiarazione 
con riserva a seguito della quale l'imposta potr� essere dovuta solo per effetto 
dell'accertamento. E non sarebbe difficile a chiunque ritardare l'adempimento 
affermando la non imponibilit� anche nelle ipotesi assolutamente incontrovertibili, 
dichiarando intanto il fatto per mettersi a riparo delle sanzioni. 

Sulla seconda massima la S.C. si era gi� pronunciata nello stesso senso 

con la sent. 18 ottobre 1978, n. 4668 (in Riv. leg. fisc., 1979, 596). 



RASSEG'.:lllA DEtL'AWOCATURA DELLO STATO.

818 

stazione innanzi alle commissioni tributarie; ma non poteva,� purainerite 
e semplicemente, � is�crivere a ruolo l'imposta, ponendo il� c�nfribtiente 
di fronte al fatto compiuto. Agendo corrie ha fatto, l'ufficio� ha violato 
il disposto dell'art. 31 del t.u. e si � venuta quindi a creare la situazione 
disciplinata dall'art. 188, di cui, prima ancora che l'ipotesi della lettera 
e) (che disciplina una questione di merito), deve riconoscersi sussistente, 
nel caso di specie, quella della lettera a), riconoscendosi, di conseguenza, 
immune da censura la decisione della commissione centr8:1e su tale punto. 

Quanto al secondo motivo di ricorso, va osservato che � pacifico 
che possano essere soggetti di imposizione, oltre alle persone fisiche e 
giuridiche, anche determinate organizzazioni di beni o di persbne aven'ti 
autonomia patrimoniale, �la cui capacit� tributaria non co�ncida con 
quella di diritto comune, il che � �espressamente sancito, d'altr�nde, 'dal 
primo comma dell'art. 8 del t.u. del 1958, n. 645, vigente all'epoca della 
dichiarazione; peraltro, ia stessa nonna 'pone la condizione 'che tali organizzazioni 
non appartengano a s�ggetti tassabili in base al bilancio, il che 
non si verifica nel caso in esame. 

Come gi� questa Corte ha avuto occasione di affermare, giudicando 
sull'identica questiOne in relazione a' rapporti tributari di ann1;1te diverse 
(Sez. un., sent. n. 4668 del 18 ottobre 1978), fotte le somme versate sul 
fondo di previdenza del personale, ivi C0lnpresi I gli interessi sulle soi:ri~ 
me in precedenza versate, appartengono all'I.N.A.I.L., � che le amministra 
autonomamente, sia pure sotto il�vincolo della loro destinazione particolare; 
e tale appartenenza esclude che il fondo di previdenza possa consi~ 
derarsi come un autonomo soggetto di imJoste, rappresentando esso, 
nella particolare regolamentazione dell'ente, l'equi\ralente dei fondi previsti, 
per le persone giuridiche di diritto privato, dall'art. 2429 cod.. civ., 
il che esclude che possa configurarsi una situazione intersoggettiva, presupposto 
della configurabilit� degli interessi versati sul � fondo come 
reddito vero e proprio di capitale percepito dal fondo, nei cui confronti 
l'I.N.A.I.L. si porrebbe, agli effetti fiscali, come sostituto di imposta. 

In altri termini, posto che � sempre l'I.N.A.I.L. a rispondere, diretta-� 
mente, nei confronti dei propri dipendenti, di quanto ad essi spettant� 
per il trattamento di quiescenza al cessare del rapporto di lavoro, l'organizzazione 
del fondo non rappresenta altro che un vincolo normativo 
alla libera disponibilit� delle somme a ci� destinate, e l'accreditamento 
annuale di interessi del 5 % non rappresenta il pagamento di quanto 
dovuto dall'ente al fondo a titolo di godimento di ricchezza altrui, ma un 
ulteriore apporto alla formazione del capitale .destinato ad un determinato 
scopo, giustificato dalla presunzione della redditivit� delle somme 
�accumulate, indipendentemente dall'effettiva percezione di un utile e 
dalla misura dell'utile medesimo, per cui manca comunque il presupposto 
per l'imposizione. (omissis) 


PARTE I; SEZ. VI, CIURISPRUDE)i[ZA TRIBUTARIA 819 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 febbraio 1980, n. 774 -Pres. Marchetti 


Est. Sgroi -P. M. Dettori (conf,). Ministero delle Finanze (avv. Stato 

Cevaro) c. Donati. 

Tributi erariali diretti -Accertamento -Accertamento induttivo -Onere 
della prova. 

(T.u. 29 gennaio 1958, n.. 645, artt. 37 e 117). 
Nell'ipotesi in cui l'ufficio possa legittimamente ricorrere all'accertamento 
induttivo contro soggetto non tassabile in base a bilancio e che 
non sia imprenditore commerciale � pur sempre necessario che sussistano 
mezzi di prova idonei, anche se presuntivi, a sostenere l'accertamento, 
di cui il giudice pu� verificare la sufficienza, indipendentemente 
qalle prove contrarie prodotte dal contribuente (1). 

(omissis) Col primo motivo l'Amministrazione Finanziaria deduce 
violazione degli artt. 37, terzo comma; 117, primo comma, t.u. 29 gennaio 
1958, n. 645 e 2797, 2729 cod. civ., nonch� dei principi che regolano l'onere 
della prova nel processo tributario {art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) ed omessa 

o insufficiente motivazione sulla distribuzione di tale onere fra le parti 
(art. 360 n. 5 cod. proc. civ.). 
Afferma l'Amministrazione che l'obbligo della motivazione a?alitica 
dell'accertamento tributario � correlativo all'onere per il contribuente di 
dichiarare analiticamente il reddito e che tale motivazione non � richiesta 
,per l'accertamento dei redditi che il contribuente abbia omesso di 
dichiarare (art. 37, terzo comma, del t.u. n. 645 del 1958), come nel caso 
in esame. L'avviso di accertamento notificato il 27 dicembre 1958 � del 
tipo sintetico (fondato su elementi indiziari e cio� sulla certezza che il 
Donati aveva pres~ato al Giuffr� somme per lire 35.360.000 ed .aveva 

(1) La decisione, di notevole interesse, non contraddice al princ1p10 della 
inversione dell'onere della prova nei riguardi di un accertamento induttivo, 
quando afferma che questo tipo di accertamento deve pur sempre essere sorretto 
da un minimo di motivazione e di dimostrazione che, in ragione della 
particolarit� del rapporto, diano un idoneo sostegno alla pretesa dell'Amministrazione 
che non potrebbe mai essere arbitraria. Gi� in passato si era chiarito 
che la inversione dell'onere non consente al giudice di� rigettare la domanda 
sol perch� nessuna prova contraria � stata proposta, perch� il giudice � sempre 
tenuto a verificare se gli indizi e le presunzioni siano sufficienti a soste� 
nere l'accertamento. 
Naturalmente la posizione di inferiorit� del soggetto su cui grava l'onere 
della prova sar� aggravata quando risulteranno violati altri doveri specifici 
che la legge impone a contribuenti . qualificati, quali l'imprenditore cqmmerposteciale 
e il soggetto tassabile in base a bilancio (art. 1U8 del t.u. delle im)
Joste dirette). 

Sull'argomento v. BAFILE, Presunzione di legittimit� dell'accertamento tributario 
e onere della prova,. in. questa Rassegna, 1980, I, 377; 



820 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

riscosso interessi per lire 1.000.000 in data 10 febbraio 1958, lire 144.000 in 
data 12 luglio 1958, Jfre 4.500.000 in data 28 agosto 1957) ed il contribuente 
aveva pertanto l'onere di produrre altri elementi indiziari capaci di neutraHzzare 
quelli addotti dall'ufficio. 

Secondo la ricorrente, l'obbligo della dichiarazione analitica {art. 24 

t.u. n. 645 del 1958) impone al contribuente di fornire la prova delle sue 
attestazioni, se egli adempie tale obbligo, l'ufficio � tenuto a superare la 
presunzione di veridicit� delle risultanze dei libri e dei documenti 
esibiti. 
Se il soggetto passivo non fornisce alcuna prova delle sue allegazioni, 
dovr� produrla nel processo giurisdizionale tributario (dinanzi alle commissioni 
prima, ed all'autorit� giudiziaria poi, a norma dell'art. 22 del 

r.d.l. n. 1630 del 1936 vigente prima della riforma del 1972) ed, ove si 
tratti di imprenditore commerciale, senza l'ausilio dei libri non esibiti. 
In tal caso si tratta di un onere, la cui inosservanza d� per dimostrate le 
affermazioni dell'ufficio (art. 118, secondo. camma, del t.u. n. 645 del 
1958). Quando si tratta, come per il Donati, di soggetti che non hanno 
l'obbligo della tenuta di scritture contabili, il procedimento indiziario � 
il solo di cui l'ufficio possa fare uso, perch� in assenza di qualsiasi dichia:~ 
razione l'ufficio non pu� addossarsi un impossibile onere della prova: affermazioni 
ed elementi comunque raccolti da1l'ufficio, purch� idonei alla 
determinazione dei redditi, generano nel contribuente l'onere di opporre 
propri elementi o dati in grado di inficiare l'efficacia indi1liaria degli atti, 
in ordine alla sussistenza della situazione-base del tributo. In tema 
di accertamento dei redditi di capitale � legittimo l'accertamento per 
mezzo di i.ndizi non solo della fruttuosit�, ma anche dell'esistenza dei 
finanziamenti. 
Dai suddetti elementi certi raccolti dall'ufficio, unitamente all'inchiesta 
parlamentare da cui era emerso che il Giuffr� corrispondeva ai depositanti 
interessi pari al 50-60 % annuo, non era irragionevole dedurre che 
i prestiti fossero stati effettuati dal Donati �assai prima della fine del 
1957, sia perch� era notorio che il rastrellamento dei capitali era stato 
iniziato dal Giuffr� fin dal 1954, sia perch� l'esazione di interessi il 10 ed 
il 12 febbraio 1958 era incompatibile con un prestito effettuato poco pi� 
di un mese prima, tenuto conto che gli interessi nel mutuo feneratizio 
decorrono dal~a stipulazione del contratto e si pagano di regola periodicamente 
ad anno, ex art. 2948, n. 4 cod. civ. Di fronte al suddetto �consistente 
complesso indiziario, raccolto dall'Amministrazione a norma dell'art. 117, 
primo comma, del t.u. n. 645 del 1958, il contributo del Donati era stato 
nullo, essendosi egli limitato a negare. 

La C~e d'appello, secondo l'Amministrazione, ha completamente 
omesso :di prendere im -.esame la suddetta condotta processuale del contribuente, 
�Hmit-andosi a �verifie3're se negli elementi raccolti dall'Amministrazione 
si potessero ravvisare i caratteri della gravit�, previsione e con



PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

<:ordanza prescritti dall'art. 2729 cod. civ. come se, risolta la questione 
in senso negativo, potesse applicarsi il principio actore non probante reus 
absolvitur, commettendo un errore di diritto, giacch� la valutazione degli 
elementi della Finanza non pu� compiersi prescindendo dall'attivit� 
istruttoria del contribuente la quale, se meramente negativa, pu� colorare 
il complesso indiziario sulla situazione-base del tributo di un significato 
ben pi� intenso di quello consentito dalle comuni regole sull'onere della 
prova nel processo civile. Tale omissione � per di pi� non motivata, per 
.cui sussiste anche il vizio .di cui all�art. 360, n. 5 cod. proc. civ. 

Il motivo � infondato, sotto il primo aspetto; ed inammissibile, sotto 
il secondo. 

L'art. 37, comma 3, del t.u. del 1958, di cui l'Amministrazione ha denun� 
dato la violazione, dispone che non � richiesta la motivazione analitica 
.dell'accertamento, nei casi ivi indicati (tra i q�ali senza dubbio rientrava 
.quello di cui � causa, stante che si trattava redditi non dichfarati). La 
.Corte d'appello ha: fatto esatta appljt~zione di tale �norma, perch� h�. 
affermato. che non v'� d�bbio che l'ufficio abbia legiU�rnamenfe fatto us� 
<lei procedimento logico che regefa le . presunzioni, proprio del metodo 
~duttivo o sintetico. Nessuna violazione della norma citata � stata q.iri
�di commessa dalla Corte del merito, la quale ha esattamente ritenuto 
legittima l'applicabilit� nella specie della norma stessa. 

L'art. 117, primo comma, del suddetto testo unico dispone: �Per 
l'accertamento l'amminis)razione si avvale di tutti gli elementi .e. dati, 
indicati dal contraent~ raccolti d'ufficio, idonei alla determinazione dei 
redditi�. 

Il riferimento alle norme successive del capo� IV del . titolo V del 
testo unico, fatto dalla ricorrente, non � conferente, in quanto le norme 
successive riguardano le imprese commerciali ed . i soggetti tassabili in 
base a bilancio, e cio� categorie fra le quali non rientrava il Donati. 
L'unica norma applicabile a costui era dunque quella citata, con esclusione 
del secondo comma, in quanto egli non aveva fornito i dati ivi 
-previsti. 

Per risolvere il problema della legittimit� dell'accertamento, po~to 
<lall'Am1Uinistraziope dinanzi. al ,giqdice ::ordjnai;:i0,. dopo che le ,_�p~ss;i~ni,
ra:v:evatto., anltull~to,~ OCCGI"r~v:;t.vemficare. se,. gli .elementi ,e dati :ra~cohi 
.dall'ufficio erano idonei alla determinazione del reddito nei limiti, nei 
.quali detta indagine era proponibile in sede giudiziaria, sotto il profilo 
dell'estimazione complessa. 

Trattandosi di verificare l'idoneit� della prova, sono oggetto di estimazione 
complessa le .questioni sull'onere della prova, sull'applicazione 
di una norma che stabilisca mezzi di prova particolari o limitati e .sull'efficacia 
giuridica che debba essere attribuita al mezzo di prova dedotto 
(cfr. Cass., n. 1271 e Cass., n. 3141 del 1971). 


82.Z RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
�Il giudice di merito ha risolto detto problema con esatta applicazione 
dei principi giuridici riferibili alla specie. 

� In primo luogo, ha affermato esattamente che l'accertamento sintetico 
di cui all'art. 37 del t.u. doveva necessariamente poggiarsi su� presunzioni, 
ma ha avvertito che le presunzioni non dovevano essere arbitrarie, 
gratuite o prive di logica consistenza. 

La razionalit6, fogicit�, seriet� e controllabilit� degli elementi di prova 
� un requisito previsto dalla legge, quando questa li qualifica � idonei
� e cio� atti allo scopo di determinare i redditi. La Corte ha negato 
detta qualifica agli elementi raccolti ed indicati dall'Amministrazione, 
perch� essi riguardavano la prova di rapporti intercorsi tra il Donati 
ed il Giuffr� alla fine del 1957 e durante il corso del .1958, mentre nella 
specie si trattava di determinare redditi presunti degli anni 1954, 1955, 
1956 e 1957. La Corte di merito ha osservato che l'unica circostanza intesa 
a far risalire a quegli anni i depositi fruttiferi di denaro presso il 
Giuffr� er_a quella che il Giuffr� aveva cominciato ad operare dal 1954, 
ma ha tj.levato che tale circostanza non poteva definirsi una prova presuntiva, 
perch� non riguardava direttamente il Donati ma solo il Giuffr�. 
Questo giudizio � logico e rispettoso dei requisiti di �gravit�, precisione 
e concordanza � che le presunzioni devono contenere, per dare 
la prova del fatto ignorato (art. 2727 e 2729 cod. civ.). 

L'Amministrazione lamenta che non si sfa dato rilievo al fatto certo 
della percezione di interessi nei primi mesi del 1958, che avrebbe provato 
che ti mutui dovevano risalire almeno ad �un anno prima, argomentandosi 
dall'art. 2948, n. 4 cod. civ. con conseguente prova della falsit� 
della dichiarazione del Donati, secondo cui i mutui erano stati stipulati 
solo a partire dalla fine del 1957. Sotto il profilo logico-giuridico (e non 
dell'apprezzamento concreto della prova, che non pu� ovviamente essere 
compiuto in questa sede) il rilievo � infondato. In primo l~ogo, gli 
interessi nel m�tuo maturano giorno per giorno (art. 821, terzo comma, 
cod. civ.}, ma la loro scadenza � commisurata ad una frazione di tempo 
che solo presuntivamente pu� equivalere all'anno, con riferimento allo 
art. 1284 che determina il saggio in ragione dell'anno ed all'art. 2948, n. 4, 
in tema di prescrizione. Ma gi� questa norma equipara ci� che deve pagarsi 
periodicamente ad anno a ci� che deve pagarsi in termini pi� brevi, 
di modo che non � assoluta la presunzione di scadenza annuale dell'obbligo 
di pagare gli interessi nel mutuo. Pertanto, la prova dell'avvenuto 
pagamento di somme a titolo di interessi in una certa data non equivale 
a prova che la somma capitale sia stata mutuata un anno prima, potendo 
quegli interessi corrispondere ad un rateo pagabile a scadenze inferiori 
all'anno. In secondo luogo, nella specie il reddito da accertare riguardava 
appunto gli interessi e le prove indicate si riferivano a pagamenti 
di un anno successivo a quelli ai quali si riferiva l'accertamento 
fiscale, di modo che restava sempre aperto il problema dell'accerta



PARTI:! I, SEZ. VI, GlUIHSPRUDENZA TRIBUTARIA 823 

mento degli anni precedenti, dato che anche retrodatando di un anno, 
rispetto al primo rateo di interessi riscosso, la dazione delle somme a 
mutuo, il reddito (secondo lo stesso assunto dell'amministrazione) � si 
sarebbe prodotto alla scadenza annuale e cio� nel 1958, anno estraneo 
all'accertamento di cui � causa. 

Una volta portato l'esame del giudice sulla �idoneit�� degli elementi 
e dati, e risolta in senso .negativo la questione, non si poneva neppure 
il problema dell'assenza di prove contrarie da parte del Donati, 
perch� costui non doveva dare una prova contraria, rispetto ad un accertamento 
basato su elementi e dati non idonei a fondare un accertamento 
induttivo. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 febbraio 1980, n. 1218;. Pres. Sandulli; 
Est. Virgilio; P. M. Cammarota (conf.). Fallimento Geloso (avv. 
Uckmar) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Rossi). 

Tributi erariali. indiretti -Imposta sull'entrata -Condono -Pagamento 
del tributo nel tenmne -Omissione -Decadenza. 

(D.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 8). 
Tributi in genere -Dichiarazione -, Condono -Decadenza � Effetti della 
dichiarazione -Permangono. 

Il condono in materia di imposta sull'entrata � condizionato, sia nel 
caso di violazioni acc_ertate sia nel caso di violazioni non ancora accertate, 
al pagamento dell'imposta. nel termine, che produce la decadenza 
anche nei .caso di fallimento del contribuente (1). . 

La ,d{chiarazione del contribuente costituisce legittima fonte di accertamento 
tributario e i suoi effetti (di riconoscimento) si conservano 
anche se la di�hiarazione ~ stata presentata in vista del condono rimasto 
poi inoperante (2). 

(omissis) Con il primo motivo il ricorrente deduce che erroneamente 
la Corte di appello ha ritenuto l� ;, inoperativit� � del condono 

(1-2). Sulla prima massima � interessante la precisazione che la decadenza 
dal condono dell'i.g.e. si verifica per il mancato pagamento dell'imposta anche 
nei confronti del contribuente fallito. Al contrario non si verifica decadenza 
per il mancato pagamento per le altre imposte indirette e per le imposte dirette 
(Cass., 6 dicembre 1978, n. 5764, in Riv. leg. fisc., 1979, 808). 

Di notevole interesse � la secon.da massima per il valore attribuito alla 
dichiarazione altre volte ritenuta non vincolante (v. Cass., 24 aprile 1979, 

n. 23118, in questa Rassegna, 1980, I, 361, con nota di C. BAFILE). � vero che fa 
legge di condono definisce la domanda irrevocabile, ma questa, secondo la 
sentenza, � una caratteristica naturale di ogni .dichiarazione. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di cui all'art. 8 della legge 19 dicembre 1973, n. 823, mentre il condono delle 
sopratasse e delle pene pecuniarie costituisce una conseguenza � automatica 
� della istanza o dichiarazione proposta dalla parte, indipendentemente 
dal versamento, nel termine prescritto, dell'imposta dovuta. 

La censura non ha fondamento. 

L'art. 8 del d.l. 5 novembre 1973, n. 660 (convertito nella legge 19 dicembre 
1973, n. 823) prevede, per le violazioni in materia di imposta generale 
sull'entrata, due fattispecie agevolative che� comportano l'esonero 
dal versamento delle sopratasse, delle pene pecuniarie e delle altre 

sanzioni non penali. 

La prima riguarda le violazioni � anche� se definitivamente accerta� 
te�, e la seconda riguarda le medesime violazioni �non ancora accertate
�, con la sola variante -nella struttura anche letterale delle due 
disposizioni -che nell'un caso erano indispensabili la presentazione della 
� domanda � di condono al competente ufficio, entro il termine prescritto, 
e il pagamento dell'imposta dovuta con le modalit� previste 
dal quarto comma, mentre nell'altro caso erano necessari la � dichiarazione 
� del contribuente, da presentare� entro lo stesso termine, sull'ammontare 
complessivo delle entrate non assoggettate al tributo, nqnch� 
il versamento della relativa imposta con eguali modalit�. 

Dunque l'unica differenza tra le due ipotesi consiste in un elemento 
(domanda di condono ovvero dichiarazione delle somme non assoggettate 
a tributo) che attiene chiaramente alla sola situazione �di fatto� 
sulla quale il provvedimento legislativo del 1973 avrebbe potuto operare, 
in quanto sia nel caso di imposte gi� accertate, sia nell'altro di imposte 
non �accertate, fu concessa la possibilit� del condono (delle sopratasse, 
delle pene pecuniarie e delle altre sanzioni non penali) a condizione 
per� -e tale condizione � disciplinata in modo identico anche dal punto 
di vista delle espressioni letterali usate dal legislatore -che fosse 
effettuato il pagamento del tributo entro il termine indicato nel comma 
quarto dell'art. 8 citato. 

Perch� si perfezionasse, e fosse perci� produttiva dei suoi effetti, la 
fattispecie agevolativa di cui al secondo comma della norma (che qui 
interessa) era dunque necessaria non soltanto la � dichiarazione � sull'ammontare 
complessivo sottratto al tributo (tale dichiarazione, a causa 
della diversit� della s.itu~ione obbiettiva, sos.tituiva la ..�.d.om~a.�.del� 
contribuente per la ipotesi di violazioni accertate), ma era altres� necessario 
il versamento dell'imposta dovuta, nei modi e nei termini stabiliti. 

Lo scopo per cui fu emanato il provvedimento sul cosiddetto con~ 
dono fiscale fu principalmente quello di promuovere la eliminazione delle 
controversie tributarie e di procurare, nello stesso tempo, .Ja immediata 
riscossione dei tributi, anche se in misura ridotta (v., da ultimo, Cass., 
6 marzo 1979, n. 1401), per cui � evidente che la tesi sostenuta dal ricorrente 
non tiene conto di questo secondo �aspetto della concreta finalit� 


PARTI! I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 

-che il legislatore intendeva perseguire, e che indusse il legislatore stesso 
-per quanto concerne specificamente la fattispecie in esame -a con� 
<:edere l'esonero dal pagamento delle sopratasse, delle pene pecuniarie� 
e delle altre sanzioni non penali, pur di promuovere il rapido affluire 
nelle casse dell'erario delle somme dovute dai contribuenti. 

Quindi anche sul piano logico, oltre che su quello letterale (la nor.
ma richiede entrambi i requisiti suddetti e non lascia adito a dubbi), 
la interpretazione sostenuta dal ricorrente.� non pu� essere condivisa. 

Peraltro, gli inconvenienti segnalati (autodenuncia effettuata dal contribuente 
senza che ne fossero derivati gli effetti sperati) non possono 
.comportare una diversa conclusione perch� il contribuente, inducen
�dosi alla dichiarazione delle � violazioni commesse, era consapevole che 
il conseguimento del beneficio in ordine all'esonero dalle sopratasse, 
dalle pene pecuniarie e dalle altre sanzioni non penali, era subordinato 
.alla condizione del pagamento del tributo in un termine preciso, la cui 

perentoriet� � non pu� essere posta in dubbio. 

Che la finanza, poi, verificandosi l'inadempimento del contribuente, 
<:0n conseguente inoperativit� del � condono, si trovi ad aver acquisito 
.elementi utili, forniti dallo stesso contribuente, sulla violazione di disposizioni 
�in materia di I~G.E. (violazioni che erano state confessate sol� 
tanto nella prospettiva di ottenere il beneficio del condono) � circostanza 
inidonea, dal punto di vista giuridico, a conferire fondamento 
.alla tesi del ricorrente. 

�Nella situazione prospettata, infatti, la dichiarazione-denuncia del 
.contribuente costituisce legittima fonte . di accertamento tributario, ad 
.ogni effetto, in quanto il sistema dell'� autoaccertamento � � espressamente 
ammesso ai fini della sussistenza del presupposto essenziale per 
il perfezionamento del rapporto trlbutario (cfr. Cass., 5 settembre 1968, 

n. 2867). 
Non � quindi esatto che, nella fattispecie p�rticolare, la dichiara:
zione-denuncia del contribuente non potesse costituire titolo valido per 
il pagamento dell'imposta evasa. 

Tale dichiarazione, infatti, ancorch� resa per una diversa finalit�, 
.aveva pur sempre carattere sostitutivo rispetto all'accertamento d'ufficio, 
nei limiti del �dichiarato�. 

Nella discussione orale il difensore del ricorrente ha .aJ'.lche..a"�ennato 
-che la riscossione delle sanzioni pecuniarie, conseguenti �lla non �operativit� 
del condono, sarebbe illegittima perch� le dette sanzioni risulterebbero 
cos� sottratte al procedimento speciale, di irrogazione e di determinazione 
della misura, previsto dall'art. 52 della legge 19 giugno 1940, 

n. 762. 
Questa deduzione non p.� essere presa in esame, sia perch� non 
risulta proposta dinanzi alla Corte di appello (tanto che nessuna statui:
zione � stata �emessa su tale punto, n� il ricorrente ha in proposito 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA J)ELLQ STATO� 

prospettato alcuna censura), sia perch� in questa �sede la deduzione mede


. sima � stata adeguatamente sviluppata unicamente nella discussione 
orale, perch� nel ricorso e nella memoria � contenuto soltanto un vago 
accenno al non avvenuto accertamento delle sanzioni, ai sensi della legge 
del 1929, certamente non idoneo a prospettare con la dovuta specificit� 
la questione, la quale, peraltro, � anche � nuova '" come si � detto, perch� 
non proposta alla Corte di appello. 

Neppure il secondo motivo � fondato. 

Si sostiene che, essendo stata la dichiarazione-denuncia effettuata dal 
fallimento, in riferimento alle evasioni''~commesse dalla Societ� Geloso 
(fallita), non � applicabile la norma che subordina la operativit� del 
condono al pagamento dell'imposta evasa in un termine perentorio, in 
quanto i pagamenti nel corso della procedura concorsuale sono assoggettati 
ad un regime particolare, nei modi e nei tempi, che non consente ij 
rispetto della condizione prevista dal quarto comma dell'art. 8 della legge 

n. 823 del 1973. 
La censura non � fondata perch� la tesi sostenuta dal ricorrente mira. 
ad introdurre una deroga alla disposizione contenuta nel detto comma, 
che all'interprete non � consentita. 

Il fallimento, come ha esatt�mente ritenuto la Corte di� appello, 
avrebbe dovuto valutare autonomamente la possibilit� -in relazione allo 
stadio della procedura concorsuale -di disporre della somma necessaria 
per effettuare tempestivamente il pagamento necessario per usufruire 
delle agevolazioni previste dalla norma sul condono, ma non pu� pretendere 
di considerarsi svincolato dall'osserv~za di un precetto che non 
ammette alcuna eccezione o deroga. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 febbraio 1980, n. 1245 -Pres. Mirabelli 
-Est. Granata -P. M. Morozzo della Rocca (conf.). Banca del 
Lavoro (avv. Gargiulo) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Tamioz.
zo). 

Tributi erariailtl. indiretti � Riscossione � Ingiunzione � Emissione ai soli 
fini interruttiv�i o per la prosecuzione dell'esecuzione -Validit� c01ne 
ingiunzione -Esclusione. � 

Non pu� con~iderarsi a nessun effetto ingiunzione un atto che, bench� 
compilato sui moduli per ci� predisposti, contenga la dichiarazione che 
l'atto viene emanato ai soli fini interruttivi o. ai fini della prosecuzione 
dell'azione esecutiva (1). 

(1) Decisione di notevole interesse specialmente dopo che in quasi tutti 
i tributi indiretti � istituito un termine di decadenza per proporre ricorso contro 
l'ingiunzione. 
Premesso che, in generale, gli uffici dovrebbero evitare l'uso anomalo di 
stampati, si deve condividere l'affermazione che un atto dichiaratamente in' 


PARTE I,� SEZ. VI, GIUR�SPRUDENZA TRIBUTARIA: 827 

(omissis) Carattere pregiudiziale, rispetto al primo ed al terzo motivo 
di ricorso, con i quali si fanno �valere censure di merito reJ.ative all�' 
non esperibilit� del procedimento� per ingiunzione fiscale nei confronti 
del mero giratario per l'incasso delle bollette. di .eslJort�?!:ione, ed aUa 
inesistenza ed alla prescrizione del diritto alla restituzione delle somme 
rimborsate, riveste il secondo motivo, che investe� la dichiarazione di 
inammissibilit� �dell'opposizione, resa dai giudici di merito sul rilievo 
della sua ritenuta tardivit�. 

Con esso la Banca dell'Agricoltura -denunziando in relazione 
all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ., errata applicazione delJ'art.' 21 d.l.d.p.s. 
3 gennaio 1947, n. 1 -ricorda che la � cosidetta � ingiunzione opposta 
era stata emessa dal Ricevitore Capo della Dogana in data 16 gennaio 1965 
e recava nel frontespizio la testuale avvertenza che l'atto veniva �emesso� 
ai soli fini interruttivi della prescrizione �. Analoga annotazione era stata 
inserita dal Ricevitore nella richiesta di rinotificazione formulata nel� 
maggio del 1969, mentre in occasione della richiesta di ulteriore rinotifioa 
in data 12 novembre 1970, successiva alla defulizione del processo penale 
in cui era rimasta accertata la falsit�, ad opera degli originari intestatari, 
delle bollette di esportazione girata alla Banca, il Ricevitore aveva precisato 
doversi la medesima effettuare \, ai fini della prosecuzione dell'azione 
esecutiva�. Su tali premesse di fatto, la ricorrente nega potersi consi~ 
derarsi ingiunzione fiscale, malgrado l'apposizione del visto. pretorile, .un 
atto ,qualificato dallo stesso Ricevitore, che lo ha .emesso, meramente interruttivo 
della prescrizione. In esso inoltre mancava l'indicazione pre


timato al solo scopo di' interrompere� la prescrizione non pu�, quale che sia l� 
stampato, far decorrere� il termine per l'impugnazione dell'ingiunzione; si d�vrebbe. 
per� coerentemente affermare che un tale atto non � di ingiunzione a 
nessun effetto e quindi anche che la domanda a seguito di esso proposta non � 
una opposizione contro l'ingiunzione ma una azione di accertamento negativo, 
se proponibile, o una ingiustificata reazione contro una innocua diffida. 

Diverso � il. problema per ~�atto che si dichiara emesso ai fini della �prose� 
cuzione dell'esecuzione. Un tale atto, �he dovrebbe avere solo valore di pre' 
cetto, � legittimo e necessario quando sia stata intimata una precedente 
ingiunzione e questa abbia perduto l'efficacia di precetto ex art. 481 cod. proc. 
civ., conservando la validit� di titolo esecutivo; in tali ipotesi si � a volte inesattamente 
parlato di duplicazione del titolo, ma in generale si riconosce 
legittima l'intimazione di una seconda ingiunzione (Cass., 1� febbraio 1974, 

n. 260, in questa Rassegna, 1974, I, 686). In questo caso la precisazione dell'uffi. 
cio che la ingiunzione (o pi� propriamente la rinnovazione della notifica di 
precedente ingiunzione) viene intimata ai fini della prosecuzione dell'esecu� 
zione, ed ha pertanto valore solo di precetto, � senz'altro utile e non snatura, 
come nel precedente caso, l'ingiunzione anche se ne riduce la portata ad uno 
solo dei suoi effetti. Naturalmente una tale ingiunzione non potr� essere im� 
pugnata per ragioni di merito �he avrebbero dovuto apporsi contro la precedente 
ingiunzione; se per�, come nel caso deciso, l'ingiunzione intimata ai 
soli fini dell'esecuzione non � preceduta da una ingiunzione vera e propria, 
essa non ha alcun valore n� come titolo esecutivo, n� come precetto. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

cisa della causa debendi e difettava pure la provocatio ad opponendum~ 
Aggiunge che in realt� si � trattato non di �tre ingiunzioni �fiscali �~ 
come erroneamente scritto nella sentenza impugnata, ma di un unico atto� 
interruttivo della prescrizione in data 16 gennaio 1965 (e non di una 
vera ingiunzione) �tre volte notificato�, in data 22 febbraio 1965 e poi 
in data 22 maggio 1969 e da ultimo in data 26 novembre 1970. Ma se 
anche, osservava ancora la ricorrente, volesse riconoscersi all'atto notificato 
il 26 novembre 1970 autonoma individualit� ed attribuirgli, a differenza 
dei primi due, carattere di vera ingiunzione, per esso dovrebbe 
ritenersi mancante il visto pretorile, al medesimo .non essendo riferibile,. 
proprio per la postulata individualit�, il visto relativo al primo atto del 
26 gennaio 1965. In definitiva, conclude la ricorrente, �la pretesa ingiunzione 
impugnata non aveva affatto la natura dell'ingiunzione fiscale ma 
solo quella di atto interruttivo della . prescrizione, con l'ulteriore conseguenza 
che l'azione instaurata dalla Banca non potel'a essere dichiarata 
inammissibile perch� proposta dopo i 15 giorni dalla notifica�. 

La censura � sostanzialmente fondata. 

In primo luogo va precisato che, sebbene nella sentenza impugnata 
si parli, contraddittoriamente, ora di � tre ingiunzioni � fiscali (pp. 10' 
l'! 14), ora di �atto�, al singolare, � ... inizialmente autolimitato all'accertamento 
�, � tuttayia certo -come questa Corte Suprema ha il potere 
di accertare, trattandosi di qualificazione giuridica degli elementi di fattorisultanti 
dalla stessa narrativa della vicenda processuale riferita dalla 
Corte di appello -che in realt� si � trattato di un unico atto, formatoil 
16 gennaio 1965 e corredato di coevo visto pretorile, notificato per tre 
volte su richiesta del suo autore, il Ricevitore Capo della Dogana di. 
Milano, e recante sul frontespizio l'annotazione essere la .ingiunzione� 

�emessa ai soli fini interruttivi �. E poich� la Corte d'appello ha giudicatol'opposizione 
della Banca tardiva, perch� proposta oltre il termine perentorio 
di 15 giorni fisato dall'art. 21, comma secondo, dJ.C.P.S. 3 gennaio 
1947, n. 1, con riferimento tanto alla prima notificazione in data 
22 febbraio 1965, q�anto -e comunque -alla terza in data 26 novembre 
1970, essendo stata la citazione in opposizione notificata soltanto il 
5 aprile 1971, la questione che si pone � duplice, dovendosi stabilire: 

a) se un atto formato sul modello della ingi�nzione fiscale, ma 
recante la espressa avvertenza essere la sua formazione ed emissione 
finalizzata alla sola interruzione della prescrizione, sia idoneo a realizzare 
H tipo di atto, dalla cui notificazione l'art. 21, secondo comma, del d.l. 
1947, n. 1 citato fa decorere il termine pereritorio utile per proporre 
opposizione; 

b) se comunque l'effetto di decadenza possa ricollegarsi alla notifica 
di un atto siffatto, rinnovata a distanza di anni dalla emissione, sulla base 
di una richiesta del suo autore nella quale si dichiara essere tale (nuova) 

~; 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 829 

notifica finalizzata alla �prosecuzione dell'azione esecutiva�, peraltro, in 
concreto, mai iniziata. 

Sulla seconda questione esiste un recente precedente in termini di 
questa stessa� Sezione, che l'ha risolta in senso negativo (sent. del 1977 

n. 3182). Invece la prima -anche se gi� valutata dalla citata decisione 
nel quadro dell'altra -non ha formato oggetto di statuizione puntuale, 
perch� nella causa con quella sentenza definita il giudice del merito (la 
medesima corte milanese) aveva -in una fattispecie identica all'attuale 
-negato la idoneit� della prima notifica a far decorrere il termine 
di decadenza, mentre in altra vicenda analoga, successivamente venuta 
all'esame di questa Corte Suprema, la questione, pur trattata davanti alla 
Corte di merito <(ancora quella di Milano) e da questa risolta in senso 
opposto alla decisione ora impugnata, � stata in sede di cassazione dove 
era stata riproposta in via incidentale condizionata dall'Amministra:
zii�ne, riuscita vincitrice nel merito_ nel giudizio a quo -dichiarata assor-' 
bita a seguito del rigetto del ricorso principale, interposto dal privato 
(sent. del 1978 n. 1190). 
Entrambe le questioni, peraltro, vanno decise in senso contrario alla 
Amministrazione delle� Finanze. 

Quanto alla prima, invero, tale soluzione si impone in base alla considerazione 
che le disposizioni, con cui il legislatore, come nel caso dell'art. 
21, secondo comma, d.l.c.p.a. del 1947, n. l, sancisce una decadenza, 
sono di stretta interpretazione, e che pertanto la relativa fattispecie legale 
pu� in principio ritenersi realizzata solo in presenza di una fattispecie 
concreta perfettamente ad essa corrispondente. 

Ora, non � dubbio che nel suo modello tipico l'ingiunzione amministrativa 
pevista dal r.d. 14 aprile 1910, n. 639, al quale il citato art. 21 
rinvia, sia esatamente quella cumulante in s� la natura di titolo esecutivo, 
e quindi di accertamento della pretesa fatta vi;ilere, e di precetto, onde 
ad essa non corrisponde un atto in concreto emesso con la esplicita dichiarazione, 
inserita nel suo testo, di tendere ad una risultato diverso, o 
quanto meno minore, di quello proprio del suo modello legale. Sicch� 
un atto emesso sullo schema della ingiunzione fiscale, ma da questo difforme 
perch� recante la espressa avvertenza di essere rivolto all'unico 
fine di interrompere la prescrizione, e quindi di porre in mora il destinatario, 
e non anche di concretare l'intimazione del precetto come atto 
propedeutico della successiva, eventuale esecuzione forzata, non pu� in 
principio realizzare -a prescindere dalla sua idoneit�, o meno, a fun� 
gere da autoaccertamento della pretesa con esso dichiarata -la fatti� 
specie legale dell'atto, alla cui notificazione l'art. 21 citato ricollega la 
(decorrenza del termine di) decadenza della potest� di proporre opposizione. 


N� la conclusione pu� mutare -e con ci� si passa a dar ragione 
della soluzione negativa che si ritiene di dover� dare anche per la seconda 

1111111111;111111111~11Mril~lflllllltllllllllllllllllllllll�llil 



830� ., RASSEGN� DELL'AWOCATURA DELLO STATO "' 

questione -quando la notificazione di uri atto siffatto sia effettuata con 
l'espressa dichiarazione che�essa viene eseguita al fine della' � prosecuzione 
dell'azione esecutiva�, per la decisiva. ed assorbente considerazione 
che l'atto notificato � pur sempre, per i motivi sopra visti, non corrispcmdente 
a quello considerato dall'art. 21 citato, n� alla sua connotazione 
cpme ingi:unzione fiscale tipica pu� condurre l'esplicita menzione 
dello scopo esecutivo, cui la notifica tende, attesa la contraddittoriet� di 
quest'ultima notazione con la compresente. attestazi~ne � della sua limitazione 
. funzionale alla sola interruzione della prescrizione, e, insieme, ia 
equivocit� del riferimento alla prosecuzione, e qu�1di alla pendenza in 
atto, di una esecuzione, per contro -in tesi -mai iniziata (cfr. sentenza 

n. 3182 citata). (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 febbraio 1980, n.1330 -Pres. Vigarita �. 
Est. M~rtinelli -P. M. Salemi .(diff.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Fiumara) c. Ditta Crik�Crik. 

Tributi erariali indiretti � Imposte doganali -Revlisione dell'accerta� 
mento � Termine � Questioni di qualfficMi.one, valore e origine . 
,Termine semestrale di decadenza -Altre questioni � T,ermin~ quinquennale 
di prescrizione. 

(D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 74 e 8<!). 
Il term�ne semestrale di decadenza stabilito nell'art. 74 del d.P.R. 
23 gennaio 1973, n. 43, per la revisione dell'accertamento diven~to definitivo 
� riferito alle questioni che richiedono indagini tecnich� e merceologiche 
quali la qualificazione, il valore e l'origine delle merci" nonch� il 
regime di tara .e il trattamento degli ~mballaggi. Le altre questioni che 
non richiedono indagini di fatto ma� riguardano la determinazione del tri� 
buto in relazione all'inqividuazione della voce della tariffa o all'esattezza 
del calcolo possono essere sollevate nel termine quinquennale di prescrizione 
dell'art. 84 :(1). 

{omissis) Con l'unico motivo del ricorso l'Amministrazione ricorrente, 
lamentando la violazione dell'ultimo comma degli artt. 84, 74 d.P;R. 23 gennaio 
1973, n. 43, in r~lazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ., censura l'impugnata 
sentenza per aver, erroneamente, affermato che la decadenza 
prevista dal citato art. 74 riguarda anche l'erroneo inquadramento della 
merce, ben determinata, in una voce di tariffa diversa da quella che le 
sarebbe propria. In proposito la ricorrente assume che in tale ipotesi 

(1) Questione nuova di evidente interesse, risolta con ineccepibile moti� 
vazione. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

sarebbe, esclusivamente, applicabile la prescrizione di cui all'art. 84 legge 
cit., e non quindi la decadenza di cui all'art. 74 che riguarda soltanto 
gli errori inerenti alla qualit�, quantit�, valore ed origine della merce. 

La censura � fondata. 
Invero, la decadenza semestrale, per l'esercizio del potere di revisione 
dell'accertamento doganale (divenuto definitivo), � prevista dall'art. 74 

d.P.R. 23 gnnaio 1973, n. 43, in modo esclusivo per ogni questione che 
riguarda la �qualificazione, il valore e l'origine della merce dichiarata�, 
nonch� il regime di tara o il trattamento degLi imballaggi. Da tale decadenza 
esula, quindi, ogni altra questione, che riguarda la determinazione 
del tributo, la sua quantificazione, sorgente da erronea individuazione 
della tariffa o della relativa voce ed inoltre da errore di calcolo nella 
quantificazione dell'imposta. 
In detta ultima ipotesi il potere di accertamento in rettifica della 
Finanza non � soggetto a tale decadenza ma alla prescrizione quinquennale, 
prevista dall'art. 84 d.P.R. cit. Da ci� consegue che pure l'erroneo 
inquadramento della merce, �ben determinata nella sua qualit� merceologica 
e nella sua reale quantificazione>>, nella voce della tariffa costituisce 
una fattispecie in ordine alla quale il potere di revisione della Finanza 
non � soggetto alla decadenza prevista dall'art. 74, ma alla prescrizione 
di cui all'art. 84. 

Molteplici sono gli argomenti ermeneutici di carattere grammaticale, 
logico e sistematico, che comportano tale conclusione, che possono, cos�, 
riassumersi: 

a) dalla stessa formulazione letterale dell'art. 74, ma, soprattutto, 
dell'ultimo comma dell'art. 84, anche con riferimento all'abrogata legislazione 
(art. 27, 29 legge 25 settembre 1940, n. 1424), si desume, con evidente 
chiarezza, l'intento legislativo di escludere dalla decadenza, prevista dall'art. 
74, ogni questione che non attenga alla mera qualificazione merceologica 
o quantificazione della merce all'origine della medesima, nonch� al 
regime di tara o degli imballaggi. In proposito l'art. 84 mentre, espressamente, 
nel numero 1) fa riferimento all'errore incorso nell'individuazione 
delle tariffe come ipotesi che legittima la Finanza a procedere alla riscossione 
del tributo realmente dovuto per legge, nell'ultimo comma nel 
prevedere i casi eccettuati da1l'anzidetta previsione normativa fa chiaro 
riferimento all'ipotesi di errore od inesatto ac�certamento �della qualit�, 
della quantit�, del valore o dell'origine della merce �, manifestando con 
ci� l'evidente intento di limitare a dette fattispecie la decadenza prevista 
dall'art. 74; 

b) la ratio legis su cu.i si fonda l'art. 74 � del tutto evidente, essendo 
preordinata, con riferimento alle controversie che possono insorgere 
a seguito degli accertamenti contemplati dall'art. 65 d.P.R. cit. (riguardanti 
la qualificazione, il valore o l'origine della merce dichiarata, il regime 
di tara o il trattamento degli imballaggi) ad investire la Finanza di un 


832 . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
potere di revisione in ordine ad accertamenti, ormai divenuti definitivi,. 
in quanto non pi� soggetti ai ricorsi gerarchici (ex. art. 68 e seg. d.P.R. 
cit.) e ai quali pu� essere seguita la libera pratica della merce (arg. ex 
art. 74). 
� indubbio, infatti, anche considerando la collocazione dell'art. 74 nel 
capo IV 1(impugnazione o revisione dell'accertamento), che detta norma 
rappresenta il necessario corollario del sistema predisposto dalla legge 
doganale in materia di questioni attinenti all'accertamento o alla risoluzione 
di contestazioni riguardanti la qualificazione, il valore, l'origine 
della merce, il regime di tara o il trattamento degli imballaggi, rimanendo 
con ci� esclusa da tale sistema ogni altra questione attinente alla 
determinazione del tributo, all'individuazione della tariffa o della relativa 
voce, nonch� alla quantificazione dell'imposta; 

e) la stessa particolare natura della controversia, prevista nell'art. 
65, in quanto richiedono indagini tecniche e merceologiche sulle 
merci, ha imposto, come necessit�, la preordinazione di un breve termine� 
di decadenza per l'esercizio del potere di revisione da parte della Finanza. 

Infatti, la predisposizione di un pi� lungo decorso di tempo avrebbe 
potuto pregiudicare ogni necessario accertamento sulle qualit� e condizioni 
merceologiche della merce, o, comunque, avrebbe potuto renderlo� 
pi� difficoltoso. 

� indubbio che una tale esigenza non si riscontra nell'ipotesi di mero 
erroneo inquadramento della merce (ben definita e determinata nella sua. 
qualit� e quantit� merceologica) nella tariffa doganale, non richiedendo 
ci�, accertamenti tecnici o valutazioni di fatti non pi� possibili o, comunque, 
resi difficoltosi dal lungo decorso del tempo. In detta evenienza 
trattasi di questione strettamente connessa alla soluzione di problemi 
giuridici, che pu� essere agevolmente risolta in qualunque tempo, salva 
l'intervenuta prescrizione della pretesa tributaria -ex art. 84 d.P.R. cit.; 

d) alcuna rilevanza assume infine la considerazione che il contribuente 
-per obbligo di legge sanzionato (ex art. 303) -, deve far procedere 
ogni operazione doganale da una dichiarazione, la quale, oltre che 
contenere le indicazioni previste negli artt. 36, 37 deve far riferimento� 
alla qualit� merceologica, alla quantit�, provenienza della merce, al suo 
valore �nonch� alla voce di tariffa dalla quale ,� contemplata�. Infatti,. 
detto obbligo di indicazione della tariffa risponde esclusivamente all'esigenza 
di facilitare l'operato della Finanza nell'individuazione del tributo 
e non �, affatto, espressione della volont� legislativa di far rientrare ogni 
questione attinente all'individuazione della tariffa e della relativa voce 
(questione di stretto diritto) in un mero sistema di accertamenti tecnici 
nel quale rientrano soltanto le ipotesi previste nell'art. 65. La poca rilevanza 
che il legislatore riconosce all'eventuale erronea indicazione della 
voce di tariffa nella dichiarazione di cui all'art. 57 ai fini dell'accertamento 
della base imponibile del tributo si ricava dalla previsione della 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARitt 833 

particolare causa della punibilit� contenuta nell'art. 303, lett. a, d.P.R. 
cit. Detta norma invero esclude la punibilit� nel caso di erronea indicazione 
della tariffa, qualora sia stata indicata con precisione la denominazione 
commerciale della merce in modo da rendere possibile l'applicazione 
del tributo. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 marzo 1980, n. 1432 -Pres. Vigorita Est. 
Cantillo -P. M. Ferraiolo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Rossi) c. Soc. Iowa (avv. Cochetti). 

Tributi erariali. diretti -Imposta di ricchezza mobile � Plusvalenza � Va� 
fore di riferimento � Accertamento smtetlico non contenente riferi� 
mento ai beni � Rilevanza del valore dichiarato. 

(T.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 100 e 106). 
Poich� nella determinazione della plusvalenza il valore iniziale di 
riferimento � costituito dal costo non ammortizzato o dall'ultimo valore 
fiscalmente riconosciuto, ove il reddito sia stato accertato sinteticamente 
senza un riferimento specifico al valore dei beni, il maggior reddito resta 
ininfluente sulla plusvalenza che andr� riferita al valore dichiarato (1). 

(omissis) Con l'unico motivo di ricorso, denunziando la violazione 
degli artt. 100 e 106 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, nonch� vizi della motivazione, 
l'Amministrazione d�nanziaria critica la decisione della Commissione 
tributaria centrale per avere escluso che la plusvalenza di un 
cespite aziendale possa essere accertata ponendo a raffronto i valori ad 
esso attribuiti in periodi di imposta in cui il reddito sia stato determinato 
con criteri di tassazione non omogenei, cio�, in particolare, per un periodo 
con metodo induttivo e per altro con metodo analitico. Sostiene che l'opinione 
non ha fondamento normativo ed � chiaramente inaccettabile, 
giacch�, se fosse preclusa l'evidenziazione di plusvalenze nei periodi di 
imposta oggetto di accertamento sintetico, il contribuente verrebbe a 
giovarsi di un criterio reso necessario per fatti a lui imputabili. 

La censura � fondata. 

Gli artt. 100 e 106 del t.u. n. 645 del 1958, identificano le plusvalenze 

dei beni relativi all'impresa nel maggior valore realizzato, distribuito ai 

soci o iscritto in bilancio rispetto al costo non ammortizzato dei beni 

(1) Decisione di evidente esattezza. La tesi che non possa calcolarsi affatto 
la plusvalenza quando il raffronto tra i valori debba farsi tra due esercizi definiti 
l'uno sinteticamente e l'altro analiticamente, � evidentemente insostenibile. 
Se l'accertamento sintetico non ha rettificato il valore dei beni, pur stabilendo 
nel complesso un aumento del reddito, il termine di raffronto della plusvalenza 
non potr� essere che il costo indicato dal contribuente non toccato dall'accertamento. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

medesimi oppure � se diverso, all'ultimo valore riconosciuto ai fini della 
determinazione del reddito �. La normativa, cio�, individua i parametri 
per determinare la differenza di valore, nella quale consiste il cespite 
imponibile, con riferimento a due valori concreti conseguiti dall'impresa, 
da un lato il prezzo di realizzo del bene (oppure, nelle altre fattispecie 
di acquisizione della plusvalenza, il valore ad esso attribuito nell'atto 
dispositivo o in bilancio) e, dall'altro, il prezzo di acquisto o costo del 
bene plusvalente. Tuttavia, poich� l'imposizione delle plusvalenze � diretta 
a colpire un incremento di ricchezza in precedenza non tassato con il 
tributo mobiliare (incremento che deve considerarsi prodotto quando da 
elemento economico potenziale e ipotetico, soggetto al fenomeno della 
fluttuazione dei valori, diventa concreto per effetto degli atti o fatti giuridici 
anzidetti, che ne evidenziano la stabile acquisizione aH'imprenditore), 
� previsto che quando al bene sia stato riconosciuto dall'Amministrazione, 
inizialmente o in esercizi successivi, un valore maggiore (o anche inferiore) 
ai fini della determinazione del reddito, il secondo parametro � 
dato da tale valore, il quale, quindi, deve essere portato in detrazione da 
quello di realizzo, in luogo del costo. 

Poich� l'aggettivo � riconosciuto � sta a significare, manifestamente, 
che il diverso valore del bene deve essere diventato incontestabile per la 
finanza e per il contribuente, il presupposto che consente di prescindere 
dal costo iniziale si riscontra quando il maggior valore risultante dalle 
(successive) scritture contabili del contribuente sia stato accertato dall'Amministrazione 
ed altres� quando questa, procedendo a rettifica della 
dichiarazione, abbia attribuito al bene un maggior valore, con accertamento 
diventato definitivo. 

Alla stregua di tale disciplina, il quesito che nella specie occorre porsi 
� se una rettifica eseguita dall'Amministrazione con metodo sintetico, 
senza che il maggior reddito venga accertato con specifico riferimento al 
valore dei singoli beni aziendali, imponga di prescindere, ai fini del successivo 
accertamento di plusvalenza relative a tali beni, dal costo dei medesimi 
indicato dal contribuente nell'esercizio oggetto della rettifica. 

Enunciare il problema equivale a risolverlo, giacch�, non venendo 
attribuito ai beni, con siffatto accertamento, un �valore diverso � da 
quello di costo, non si riscontra la fattispecie di cui alla seconda ipotesi 
dell'alternativa prevista dall'art. 100 cit. 

Quando la finanza, in presenza dei presupposti di legge (cio� delle 
irregolarit�, inesattezze o infedelt� di cui agli artt. 118 e 120 t.u. n. 645 
del 1958) provvede a determinare il reddito complessivo d'impresa con 
metodo sintetico, prescindendo dai dati della contabilit� o del bilancio, 
manca qualsiasi possibilit� di riferire il maggior reddito accertato ad un 
corrispondente maggior valore di cespiti aziendali rispetto al costo indicato 
dal contribuente; ci� pu� verificarsi solo con un a�certamento analitico, 
attraverso la specifica contrapposizione, da parte dell'amministra


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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

zione, del �diverso valore� che essa attribuisce al bene (oppure, al limite, 
quando l'accertamento induttivo venga motivato con riguardo anche al 
diverso valore del bene). 

In effetti, alla stregua dell'art. 100, nell'ipotesi in considerazione non 
� possibile sfuggire all'alternativa di ritenere o che la finanza abbia accettato 
il costo del bene indicato dal contribuente, per non averlo specificamente 
rettificato, oppure che non l'abbia accettato, per avere eseguito 
l'accertamento prescindendo dalle scritture. 

Se si accoglie la prima soluzione, il costo del bene deve ritenersi definitivamente 
stabilito e perci�, in sede di accertamento della plusvalenza, 
non � possibile dare una diversa definizione a tale elemento; se si accoglie 
la seconda soluzione, non essendo diventato definitivo il dato contabile, 
occorre procedere alla definizione del costo ai fini del calcolo della plusvalenza 
e pertanto, ove si aderisca all'orientamento prevalente che nega 
l'irretrattabilit� della dichiarazione del contribuente, questi pu� essere 
ammesso a fornire la prova di un costo diverso da quello risultante dalla 
contabilizzazione. 

Nella specie, non � tuttavia necessario scegliere fra le due soluzioni, 
giacch� -come risulta dalla decisione impugnata -la societ� ricorrente 
non ha mai dedotto, e tanto meno provato, un costo diverso da quello 
indicato nella contabilit� dell'accomandita semplice, essendosi limitata a 
sostenere la tesi poi accolta, con evidente errore di diritto, dalla commissione 
centrale, cio� l'impossibilit� di accertare e, quindi, di tassare 
la plusvalenza per mancanza del dato iniziale di riferimento. 

In definitiva, in accoglimento del ricorso, la decisione impugnata 
deve ,essere cassata con rinvio alla stessa commissione centrale, la quale 
proceder� a nuovo esame della controversia attenendosi al seguente principio 
di diritto: � L'accertamento e la tassabilit� della plusvalenza di un 
bene aziendale, per effetto della sua iscrizione in bilancio, non � preclusa 
dalla circostanza che l'Amministrazione abbia proceduto ad accertamento 
sintetico del reddito dell'impresa nell'esercizio in cui � stato indicato il 
costo del bene medesimo. L'art. 100 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, stabilendo 
che il plusvalore dei beni relativi all'impresa deve essere accertato 
con riferimento � al costo non ammortizzato o, se diverso, dall'ultimo 
valore riconosciuto ai fini della determinazione del reddito �, consente di 
prescindere dal costo solo quando sia stato fiscalmente definito un diverso 
valore del bene, purch� la finanza abbia accertato quello successivamente 
contabilizzato dall'impresa o lo abbia rettificato con accertamento definitivo. 


Pertanto, ove -come di regola accade -con l'accertamento sintetico 
non sia stato attribuito dall'Amministrazione un diverso valore al bene, 
resta operante la prima alternativa della disposizione, con la conseguenza 
che la plusvalenza va accertata e tassata in relazione al costo contabilizzato 
dall'impresa. (omissis) 


836 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 marzo 1980, n. 1612 -Pres. Mirabelli Est. 
Corda -P. M. Grossi (conf.). -Soc. Fernero (avv. Uckmar) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Soprano). 

Tributi erariali diretti -Imposta di ricchezza mobile -Lotterie e concorsi 
a premio -Distinzione -Obbligo di ritenuta. 

(T.u. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 85 e 127). 
Bench� le vincite sia delle lotterie che dei concorsi a premio costituiscono 
reddito di categoria A a norma dell'art. 87 del t.u. delle imposte 
dirette, solo per le lotterie e non anche per i concorsi a premio � previsto 
dall'art. 127 l'obbligo di ritenuta (1). 

(omissis) 1. -Con l'unico motivo di ricorso, la ricorrente Amministrazione 
finanziaria dello Stato denuncia, con riferimento all'art. 360, n. 3 
e 5 cod. proc. civ., la violazione delle seguenti disposizioni di legge: 
� artt. 39, 43 e 44 del r.d.l. 19 ottobre 1938, n. 1033; artt. 85 e 127 del t.u. 
delle leggi sulle imposte dirette (d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645); art. 12 
delle disposizioni sulla legge in generale; art. 30 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 600 >>. 

Sostiene che la commissione tributaria centrale sarebbe incorsa in 
errore, allorch� ha affermato che l'obbligo (di cui all'art. 127, terzo comma, 
del t.u. n. 645 del 1958) posto a carico degli organizzatori di �lotterie in 
genere�, di pagare �quali sostituti� l'imposta di ricchezza mobile per le 
vincite da essi dovute non � estensibile agli organizzatori dei concorsi a 
premio. 

Secondo la ricorrente, la comm1ss1one sarebbe incorsa nell'errore 
predetto, per non avere saputo coordinare esattamente la disposizione 
di cui alla norma citata con quella contenuta nel precedente art. 85, il 
quale indica, come �redditi� soggetti all'imposta di ricchezza mobile 
(tassabile in cat. A), i premi su prestiti e vincite delle lotterie, dei concorsi 
a premio, dei giuochi e delle scommesse. L'errore, cio�, sarebbe 
consistito nel non avere inteso che, con l'espressione �lotterie in genere�, 
il legislatore aveva voluto riferirsi non solo a tutte le singole specie di 
lotterie, bens� a tutte le � figure �, indicate nel citato art. 85. 

In tale errore, secondo la ricorrente, la commissione non sarebbe 
incorsa se avesse tenuto conto del disposto degli artt. 39, 43 e 44 del 

r.d.l. 19 ottobre 1938, n. 1933, dal cui contenuto dovrebbe ricavarsi l'esistenza 
di un ampio genus che comprende � le lotterie, i concorsi a premio, 
i giochi e le scommesse�, contrapposto solo a quello comprensivo dei 
(1) Interessante e dotta trattazione su argomenti inconsueti. Il problema 
tributario � oggi legislativamente risolto dall'art. 30 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 600. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

'<< premi su prestiti �, Si sarebbe dovuto, cio�, ricavare che le lotterie e 
<Concorsi a premio hanno identica natura giuridica e, pertanto, quando la 

legge parla di lotterie �in genere�, intenderebbe riferirsi anche ai con.
corsi a premio. 

2. -La censura � priva di fondamento. 
Com'� noto, nel vigore della passata legislazione si era discusso se i 
premi di lotterie e, in genere, i proventi derivanti da un evento aleatorio, 
potessero assumere la natura di �reddito� mobiliare e potessero, perci�, 
in quanto tali, essere assoggettati ad imposta. 

Il problema trov� in parte soluzione, allorch� l'art. 11 del t.u. 24 ago.
sto 1877, n. 4021, dichiar� espressamente tassabili mediante ritenuta diretta 
le vincite del Lotto. Tale norma sub� la critica della dottrina, la 
�quale trov� modo di osservare che la stessa tendeva a colpire un � guadagno
� non avente la natura giuridica di �reddito�; n� a tale critica si 
mostr� insensibile la stessa commissione centrale, la quale ritenne che 
la disposizione dettata per il Lotto avesse natura eccezionale e non potesse, 
perci�, estendersi alle vincite di altre lotterie i cui premi non 
avevano natura di � reddito �. E se era vero, da un lato, che l'art. 15 del 
.detto t.u. disponeva la tassabilit� dei premi dei prestiti, non era men 
vero, dall'altro, che la tassazione predetta appariva giustificata dalla con.
siderazione che il premio costituiva una integrazione degli interessi del 
:finanziamento, ossia il frutto dell'impiego del capitale. Si ritenne per�, 
paciificamente, che da tale norma non potesse ricavarsi un principio di 
tassabilit� dei premi in ogni caso. 

Per assoggettare ad imposta i premi delle lotterie di ogni specie, fu 
emanata la legge 22 luglio 1894, n. 339 (art. 2), ma rimasero sempre 
esenti le vincite del Lotto. 

Tale legislazione rest� immutata fino all'emanazione della legge 8 giugno 
1936, n. 1231, che modificando il secondo comma dell'art. 15 del citato 

t.u. del 1877, assimilava ai premi dei prestiti, da chiunque emessi, i premi 
.delle lotterie di ogni genere che non fossero esenti per disposizioni spedali. 
In virt� della predetta legge, pertanto, furono ritenuti tassabili tutti 
i premi di lotteria non dichiarati esenti; e la tassazione si ritenne disposta 
col sistema della rivalsa. Col r.d.l. 1� luglio 1938, n. 1265, poi, vennero 
.dichiarati esenti i premi di alcune lotterie (Tripoli, Merano, ecc.). 
Con l'entrata in vigore del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645, la 
materia ha trovato regolamentazione nell'art. 81, il quale, nel primo 
�comma, ha definito il � presupposto � dell'imposta di ricchezze mobile, 
indicandolo nel � reddito �, secondo il concetto tradizionalmente accolto 
�dalla dottrina e dalla giurisprudenza; e, nel secondo, � ha fatto rientrare � 

nella materia imponibile anche � somme � prive del carattere del � reddito
�. Tra quest'ultime, infatti, sono stati ricompresi �i premi su prestiti 
e le vincite di lotterie, concorsi a premio, giochi e scommesse�; e non 
v'� dubbio che si tratta di � somme � non aventi natura di � r~ddito �, 


838 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

giacch� le stesse non sono collegate ad alcun processo produttivo, ma che 
tuttavia, si � inteso rendere tassabili, pur senza apportare alterazione 
alcuna al concetto giuridico di �reddito fiscale�. 

3. -Esaurito l'escursus storico, resta ora da considerare che, in 
ordine alla classificazione di tali � somme � (assimilate al � reddito � solo 
ai fini della tassabilit�), l'art. 85 del citato t.u. n. 645 del 1958 le ha fatte 
rientrare tutte nella categoria che poteva presentare maggiori affinit� di 
natura, cio� nella cat. A: nessun dubbio perd�, pu� (rectius: poteva, 
nel vigore di quella legislazione, che � poi qu~lla ancora applicabile al 
caso di specie, tenuto conto del momento in cui sarebbe sorta l'obbligazione 
tributaria) nascere circa l'identificazione del �presupposto � della 
imposizione. 
Il problema, se mai, sorge riguardo alla formulazione dell'art. 127, con 
riferimento al sistema di tassazione: ed � proprio il problema la cui risoluzione 
viene sollecitata col motivo di ricorso in esame. 

Tale norma disciplina il caso in cui ad assolvere l'obbligazione tributaria 
� tenuto, in veste di � sostituto d'imposta � (secondo la definizione 
datane dall'art. 14 del t.u.) un soggetto diverso dal percipiente il � reddito
� (o somma assimilata al reddito), ferma restando la facolt� di 
rivalsa. Essa dispone, cio�, che sono sostituti di imposta � gli organizzatori 
di lotterie in genere per le vincite da essi dovute �: e gi� appaiono 
chiari; dalla detta formulazione, i termini del problema, solo che si noti 
che nei precedenti artt. 81 e 85 erano state menzionate, a fianco delle 
vincite delle lotterie, quelle dei concorsi, dei giochi e delle scommesse; 
mentre, nell'articolo in esame, il riferimento � fatto unicamente agli organizzatori 
delle sole lotterie (�in genere�). 

Proprio a causa di questa limitata indicazione, la norma � stata 
oggetto di errate critiche, essendosi osservato che se, da un lato, appare 
determinante l'elemento letterale (collegato al fatto che sono da considerarsi 
� eccezionali � e, quindi, non integrabili col mezzo dell'analogia le 
norme disponenti una � sostituzione tributaria �), dall'altro appare difficilmente 
comprensibile che non sia voluta una parit� di trattamento per 
le fattispecie concernenti i concorsi a premio, i gioch\ e le scommesse. 
N� a queste critiche si � mostrato insensibile lo stesso legislatore, il quale, 
in sede di riforma, con l'art. 30 del d.P.R. 29 settembre 1973; n. 600, ha 
assoggettato a ritenuta alla fonte le �vincite derivanti dalla sorte, da 
giochi di abilit�, da concorsi a premi, da pronostici e da scommesse�. 

4. -Quest'ultima disciplina (che, come si � accennato, non si applica 
al caso di specie, il quale resta regolato dalla normativa anteriore) non 
aiuta, per�, a risolvere il problema in esame, apparendo sempre di scarsa 
consistenza l'argomento giuridico che pretende di chiarire il significato 
di una norma alla luce di quella emanata successivamente (che, ovviamente, 
non contenga un'interpretazione autentica della precedente). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

La sola via possibile, perci�, � quella dell'analisi sistematica degli 
istituti giuridici coinvolti nel problema esaminato; e, quindi, in definitiva, 
occorre stabilire se la dizione � lotterie in genere�, contenuuta nell'art. 127 
del t.u. � possa� ritenersi comprensiva anche delle altre � figure � contemplate 
negli artt. 81 e 85; e fra esse, in particolare, i concorsi e premio. 

In questa prospettiva, per�, va subito escluso che la norma in esame 
abbia inteso adoperare un'espressione generica avente valore di rinvio al 
contenuto di detti artt. 81 e 85, perch�, cos� opinando, dovrebbero ritenersi 
in essa compresi anche i giochi e le scommesse che, invece, ne restano 
esclusi. � pacifico, infatti, che, per il pagamento delle relative vincite, 
non era, nel sistema considerato, prevista la sostituzione tributaria. 

La stessa ricorrente, del resto, neppure prospetta una siffatta possibilit� 
di interpretazione e fonda, invece, il proprio assunto -come si � 
riferito -sull'osservazione che le lotterie e i concorsi a premio avrebbero 
identica natura giuridica (di modo' che, con l'espressione �lotterie "in 
genere " '" il legislatore avrebbe inteso indicare non solo le varie specie 
di lotterie, ma anche i concorsi a premio). Ma una tale tesi � priva di 
fondamento. 

Dottrina e giurisprudenza infatti, sono assolutamente concordi nell'escludere 
quell'indentit� di natura, osservando, anzitutto, che differente 
� la struttura delle due figure, perch� mentre nelle lotterie la partecipazione 
all'estrazione a sorte � subordinata all'esecuzione di una determinata 
prestazione patrimoniale (la quale deve � necessariamente " essere effettuata, 
per poter essere ammessi all'assegnazione del premio), i concorsi 
sono caratterizzati dalla gratuit�, giacch� sussiste l'assoluto divieto legislativo 
(sancito proprio da quel decreto del 1938 che la ricorrente assume 
essere stato violato) dalla maggiorazione dei prezzi dei prodotti il cui 
a'"quisto costituisce condizione per la partecipazione al concorso. In altri 
termini, mentre la lotteria � da definirsi come il contratto con cui in 
cambio dell'esecuzione di una determinata prestazione patrimoniale si 
acquista il diritto a partecipare a un'estrazione a sorte, nei concorsi a 
premio manca la bilateralit� dell'alea, n� si � di fronte a un contratto 
avente causa di gioco, ossia a un contratto in cui la vincita o la perdita 
dipende da un rischio creato artificialmente dalle parti, in quanto alla 
speranza di un guadagno non fa riscontro la possibilit� di una perdita. 
N� in contrario rileva che anche il concorso ha un suo costo che finisce 
per incidere su quello del prodotto; infatti, di fronte al divieto di legge 
di aumentare i prezzi a causa del concorso, quell'incidenza finisce per 
avere rilevanza solo nel campo economico (rientrando, in definitiva, fra 
i costi di pubblicit� dell'azienda), non anche in quello giuridico. 

Un'ulteriore differenza, poi, � da ravvisare nella diversa funzione 
delle due �figure predette, ossia nello scopo perseguito dall'organizzatore, 
il quale in un caso, si propone di ricavare un guadagno dalla stessa 
� gestione� della lotteria (e cio� di speculare sul rischio artificialmente 


840 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

creato dalle parti): mentre, nei concorsi a premio, mira unicamente, 
sostenendone l'onere economico, a favorire la diffusione di un determinato 
prodotto. 

N� ha pregio l'assunto dell'Amministrazione ricorrente, secondo cui 
l'identit� di natura fra le lotterie e i concorsi a premio dovrebbe desu� 
mersi dal fatto che le due figure, per il modo della rispettiva collocazione 
nella legge n. 1933 del 1938, sarebbero egualmente equidistanti dai �premi 
su prestiti �. Questo, infatti, non � un valido argomento giuridico, poich� 
non scalfisce minimamente la bont� dei rilievi cui prima si � fatto cenno 
e sui quali concordano pacificamente, come si � detto, dottrina e giu� 
risprudenza. 

5. -Stabilita, quindi, la diversa natura dei due istituti giuridici 
esaminati ed escluso, conseguentemente, che l'art. 127 possa avere rife� 
rimento anche ai concorsi a premio, resta solo da spiegare perch�, in 
detta norma, il legislatore abbia adoperato l'espressione �lotterie "in 
genere " �. Escluso, cio�, che lotterie e concorsi appartengano a un unico 
I

genus sembrerebbe priva di significato l'espressione �in genere� riferita 
alle sole lotterie (nel senso, cio�, che � lotterie � e �lotterie in genere � 
sarebbero espressioni sinonime, tanto che sarebbe bastato dire semplice� 

I 

mente �lotterie�). 

I

L'osservazione per la verit�, non � del tutto priva di significato; ma 

fil 

~

poich� le norme giuridiche devono essere interpretate nel senso di attri� 
buire � sempre � alle svesse un possibile significato (non essendo consen� 
tito all'interprete la disapplicazione della norma stessa, o l'applicazione 
aberrante, dietro il trinceramento di una semplice imperfezione sintattica 

o di stile, ovvero di un inutile pleonasmo), puntualmente la dottrina ha 
suggerito una plausibile soluzione del problema, osservando che quell'espressione, 
nel dettato della norma, pu� intendersi come � rafforzativa � 
della volont� di assoggettare a quel particolare sistema di tassazione e 
(<< sostituzione� con facolt� di rivalsa) � ogni " tipo " di lotteria �. � noto, & 
infatti, che numerosi sono i tipi di lotteria (basti pensare a quelle in cui 
~ 
l'assegnazione del premio discende direttamente da una pura e semplice 
estrazione e a quelle in cui l'estrazione stessa � collegata a una � competizione
�, sportiva o di �altro genere); di modo che il termine �lotteria� 
pu� anche essere inteso come indicativo, di un genus, ma non tanto 
ampio da farvi rientrare anche quei concorsi a premio, che, come si � 
detto, appartengono a un genus diverso. La species che in tale genere 
rientrano, cio�, sono unicamente le operazioni di sorte che hanno natura @ 
di lotteria, ossia quelle caratterizzate dall'onerosit� della partecipazione 
& 

e del fine speculativo che ne ha giustificato l'organizzazione. 

1:
L'unica conclusione possibile, pertanto, � che solo per il caso di vincite 
delle lotterie � prevista la sostituzione tributaria, con facolt� di !\ 

i:
,.

rivalsa: mentre per quanto attiene alle vincite dei concorsi a premio, 
~: 
l'obbligo del pagamento dell'imposta ricade unicamente sul soggetto che 

I 
I
!i 
�~ 
& 

f: 
& 

~ 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 841 

ha realizzato la vincita. E se, nella compilazione della norma del 1958, 
il legislatore non ha tenuto presenti le difficolt� concrete di attuare un 
tale tipo di tassazione (come, invece, ha fatto il legislatore del 1973) 
questo elemento marginale non pu�, certo, orientare l'interprete a disattendere 
una ben pi� chiara voluntas legis. N� pu� suggerire una diversa 
interpretazione della norma la diversit� di regolamentazione delle due 
fattispecie che, in definitiva, sono analoghe, giacch� la sostituzione tributaria 
(e solo di questa si tratta) si ricollega a una valutazione di natura 
strettamente tecnica, e, perci�, ad una scelta assolutamente discrezionale 
del legislatore, della quale l'interprete non pu� che prendere atto; la 
norma che attua una tale sostituzione, infatti, ha natura tipicamente 
eccezionale e, perci�, secondo i vigenti canoni ermeneutici, va intesa come 
norma di stretta interpretazione, insuscettibile di integrazione analogica. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 marzo 1980, n. 1618 -Pres. Vigorita Est. 
Bologna -P. M. Cantagalli (conf.) -Oliva e Giacobone (avv. 
Guidi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Gargiulo). 

Tributi erariali indiretti � Imposta .sull'entrata � Vendita di opere d'arte 
tra non �commercianti � Esercizio di attivit� economica occasionale � 
Configurabilit�. 

(L. 19 giugno 1940, n. 762, art. 2, Jett. b); reg. 26 gennaio 1940, n. 10, art. 1). 
La vendita di opere d'arte intercorsa tra due soggetti che non rive.
stono la qualit� di commercianti, pu� bene configurarsi come attivit� 
.economica occasionale che d� luogo ad entrata imponibile (1). 

(omissis) Con il ricorso Oliva Paolo e Giacobone Ambrogio impugnavano 
la sentenza della Corte di appello di Torino, 

a) per non avere pronunziato sulla esistenza o meno della qualit� 
di commercianti nei confronti dei ricorrenti (qualit� che rappresenta il 
presupposto per la soggezione all'imposta I.G.E. ai sensi dell'art. 1 regolamento 
approvato il 26 gennaio 1940 con il n. 10, e che aveva formato 
�oggetto di contestazione in causa); 

b) per avere (in subordine) ritenuto che la cessione dei quadri di 
.cui in controversia rientrava tra gli atti occasionali di commercio ai 
sensi dell'art. 2, lett. b) della legge istitutiva dell'I.G.E., non rilevando 
.che detti atti per costituire entrata imponibile avrebbero dovuto essere 
in rapporto con l'attivit� commerciale esercitata; 

(1) Decisione di evidente esattezza. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

842 


e) per non avere comunque considerato che la cessione dei quadri 
in questione non costituiva entrata imponibile, essendosi trattato di atto 
estintivo di preesistenti debiti dell'Oliva nei confronti del Giacobone 
(art. 1, lett. a) legge istitutiva); 

d) per avere sanzionato, sulla base dell'erroneo pre-supposto che 
l'Oliva era commerciante di quadri, l'obbligo del medesimo di corrispondere 
la relativa tassa di concessione governativa ai sensi dell'art. 176 t.u. 
delle leggi di pubblica sicurezza. 

Il ricorso � infondato in tutti i suoi profili e connessioni. 
Le censure sub a) e b) debbono essere congiuntamente esaminate in 
ragione della stretta connessione esistente tra le medesime. 

Si deve premettere che costituiscono entrate, soggette all'I.G.E. ai 
sensi dell'art. 2, lett. b) del r.d.l. 9 gennaio 1940, n. 2 (convertito con modificazioni 
nella legge 19 giugno 1940 n. 762), i corrispettivi dipendenti 
dagli atti economici compiuti nel contesto di un'apprezzabile sistemati


cit� da ditte, societ�, aziende commerciali ed industriali, e da persone 
ed enti, ed anche i corrispettivi dovuti per effetto dell'esercizio occasionale 
di un'attivit� (lato sensu) commerciale. 

In tale concetto non rientrano i corrispettivi percepiti per singoli 
atti non riconducibili ad attivit� d'impresa da soggetti non commercianti 
(lato sensu). AI riguardo si esprime con chiarezza l'art. 1 del r.d. 26 gennaio 
1940, n. 10 (regolamento per l'esecuzione del r.dJ. n. 2 del 1940), 
secondo il quale non danno luogo ad entrata imponibile le vendite di cose 
mobili poste in essere tra persone fisiche ed enti in genere che non siano 
commercianti, purch� non costituiscano atti occasionali di commercio 
previsti dall'art. 2, lett. b) del r.d.l. n. 2 del 1940. 

Ci� premesso, questa Corte non individua nella motivazione dei giudici 
di appello i vizi denunciati dai ricorrenti n� sotto il profilo giuridico 
n� sotto quello logico. 

Invero in argomento detti giudici hanno espresso il loro convincimento 
con ampia e corretta motivazione, che pu� essere sintetizzata nelle 
seguenti proposizioni che vanno esenti da censura in questa sede di 
legittimit�: 

1) in relazione all'art. 2 lett. b) della legge istitutiva dell'I.G.E. � 
sufficiente ai fini impositivi il compimento di atti economici che diano 
luogo ad entrate, pur se costituenti atti occasionali di commercio non 
rientranti nell'attivit� abitualmente esercitata da colui che li ha compiuti; 

2) � quindi irrilevante che nella specie gli atti economici tassati 
consistessero nel trasferimento di quadri e dipinti tra soggetti non esercenti 
il commercio di cose artistiche, essendo l'Oliva un petroliere ed il 
Giacobone un banchiere; 

3) risulta provato in causa (accertamenti della Polizia tributaria, 
dichiarazioni degli interessati, testimonianze, documenti) che l'Oliva ed 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

il Giacobone posero in essere negli anni 1964-1965 una serie notevole di 
compravendite di quadri di autore (Raffaello, Tintoretto, Duhrer) lucrando 
la differenza tra i pezzi di acquisto e di vendita ed esercitando a 
scopo speculativo un'attivit� commerciale collaterale od occasionale soggetta 
all'I.G.E. ai sensi delle norme richiamate. 

Per quanto concerne la censura sub e) i giudici di appello, con accertamento 
di merito fondato su motivazione adeguata e corretta che va 
esente da censura in questa sede di legittimit�, hanno ritenuto priva di 
fondamento la tesi secondo cui le alienazioni dei dipinti poste in essere 
tra l'Oliva ed il Giacobone sarebbero state in realt� modi di estinzione 
di preesistenti debiti del primo nei confronti del secondo; al riguardo la 
motivazione della sentenza impugnata ha messo in evidenza l'inesistenza 
di prove in tal senso ed il contrasto evidente con fatti gi� accertati e relativi 
anche a vendite speculative a favore di terzi (Credito Generale di Bologna) 
collegate con finanziamenti ed aperture di credito a favore dell'Oliva. 


Avendo poi riguardo alla censura sub d) ed alla contestata soggezione 
dell'Oliva all'obbligo di versare la tassa di concessione governativa e la 
pena pecuniaria conseguente all'infrazione relativa in relazione all'art. 126 

t.u. leggi di P.S., si deve rilevare che la statuizione della Corte di Torino 
appare fondata sull'accertato presupposto che l'Oliva aveva esercitato, 
sia pure collateralmente ed occcasionalmente, il commercio di quadri e 
dipinti antichi negli anni 1964-1965; pertanto corrette risultano essere le 
osservazioni secondo cui, vietando il citato art. 126 il commercio di cose 
antiche senza la preventiva dichiarazione all'autorit� di P.S., le alienazioni 
di quadri antichi effettuate dall'Oliva senza la prescritta dichiara" 
zione avevano comportato l'infrazione addebitatagli ed avevano conseguentemente 
legittimato le sanzioni pecuniarie inflittegli. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, S�z. I, 13 marzo 1980, n. 1691 -Pres. Mirabelli � 
Est. Zappulli � P. M. Grimaldi (conf.) � Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Baccari) c. Pavoncelli. 

Tributi e:i:-ariali indiretti � Imposta di registro � Regime anteriore alla 

riforma � Enfiteusi � Base imponibile � Accertamento secondo il 

valore del bene � Esclusione. 

(R.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, artt. 28 e 30). 
Nel vigore dell'abrogata legge di registro all'enfiteusi non � riferibile 
la norma dell'art. 30 sulla commisurazione dell'imposta di trasferimento 


.RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

844 

al valore venale dei beni in comune commercio, dovendosi fare applicazione 
soltanto dell'art. 28 (1). 

(Omissis) L'Amministrazione finanziaria ha censurato la sentenza impugnata, 
con il primo motivo del ricorso, per violazione degli artt. 28 e 
30 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 e degli artt. 15 e seg. del r.d.l. 7 agosto 
1936, n. 1639, nonch� per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, 
sostenendo che di regola nel sistema tributario italiano le impo� 
ste di registro e di successione vengono commisurate all'effettivo valore 
venale dei beni o diritti reali trasferiti senza che il citato art. 28 deroghi 
al riguardo in quanto esso disciplina solo la fase dell'individuazione della 
base imponibile al momento della registrazione e non esclude la distinta 
maggiore valutazione nel successivo cosiddetto giudizio di congruit� dell'imponibile 
dichiarato. Ha addotto la ricorrente che ci� risulta dal raffronto 
letterale della dizione usata in quella norma �la tassa proporzionale 
� applicata ... � in contrapposizione a quella del successivo art. 30 dello 
stesso decreto dell'art. 15 della citata legge del 1936, secondo i quali 
le tasse � sono commisurate�, nonch� dall'appartenenza di quella norma 
a un unico gruppo di disposizioni e dall'esigenza di evitare che con la cessione 
successiva, anche di un solo giorno, del rimanente diritto di p�ropriet� 
allo stesso enfiteuta, si realizzi il trasferimento totale dell'immobile 
con tassazione notevolmente inferiore. Ha, infine, dedotto che il canone 
enfiteutico non � che il corrispettivo della costituzione di enfiteusi e, come 
tale, non pu� sottrarsi alla regola generale della commisurazione dell'impobile 
al valore effettivo del diritto trasferito. 

Il motivo, concernente una questione che ha dato luogo a remote� 
pronunzie tra loro contrastanti di questa Suprema Corte e a pi� recenti 
e ugualmente contrastanti decisioni della commissione tributaria centrale, 
� infondato. � 

Invero, -a prescindere dalla questione se la concessione dell'enfiteusi 
sia atto costitutivo di un diritto reale di contenuto diverso da 
quello gi� compreso nel diritto di propriet� o se sia atto traslativo di 
facolt� gi� sussistenti per il proprietario -, va osservato che l'art. 28 
della precedente cosidetta legge organica dell'imposta di registro del 
1923 contiene effettivamente una speciale disciplina tributaria per l'enfiteusi, 
e particolarmente per la sua �concessione�, contrapposta, o 
comunque distinta, nei confronti di quella per gli atti di trasferimento 
di cui al successivo art. 30. N� le citate distinzioni letterali sull' � applicazione 
� e sulla � commissurazione � dell'imposta attraverso la determinazione 
rispettiva dell'imponibile possono indicare� una volont� del legi


(1) La decisione, con ampia motivazione ,che merita di essere ricordata, 
chiude definitivamente un problema ormai risolto dal legislatore (art. 44, 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634; art. 20, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 

slatore diretta ad inserire le enfiteusi nella disciplina degli atti traslativi 
in genere; ed invero l' � applicazione � di una imposta non pu� non comprendere 
in s� .Ja commisurazione secondo determinati criteri dell'imponibile 
e non pu� limitarsi alla generica indicazione non quantitativa del 
bene o reddito che ne deve formare oggetto, senza distinzioni e separazioni 
temporali tra la registrazione e valutazioni posteriori, rimanendo 
diversamente un'astratta e parziale operazione contraria al senso di 
effettivit� proprio di quella parola. D'altronde l'indicazione espressa dell'imponibile 
quale decuplo � dell'annua prestazione � . si riferisce ad un 
preciso elemento quantitativo che gi� rientra nella commisurazione dell'imposta. 


N� � esatto che l'art. 30 contenga una regola generale sull'imponibilit� 
secondo il valore effettivo dei beni che formano oggetto dell'atto; 
quella norma, in assenza di espresse disposizioni, � applicabile solo ai 
casi da essa previsti ed � incompatibile con altre di formula e di contenuto 
differenti, come quella relativa alla concessione di enfiteusi, di cui 
al primo comma del citato art. 28. 

Giova pure osservare che il canone dell'enfiteusi non costituisce, in 
effetti, l'unico corrispettivo del diritto attribuito all'enfiteuta, sul quale 
grava pure l'obbligo del miglioramento, il quale sul piano economico 
non pu� essere trascurato quando si tratti di enfiteusi temporanea; quel 
canone � soggetto, in tali casi, a diversa valutazione, avvicinandosi, senza 
identificarcisi, ai canoni locativi. 

N� � da trascurare che, come posto in rilievo con ampia indagine� 
anche storica nella sentenza impugnata, la particolare regolamentazione 
degli atti di concessione dell'enfiteusi non soltanto appare corrispondente 
alla legislazione anteriore, ma trova giustificazione nelle condizioni economiche 
e sociali ancora sussistenti all'entrata in vigore della citata 
legge organica del 1923 e nel conseguente favore per quella forma di 
contratto; sulla cui persistenza nella preparazione dell'attuale codice 
civile sorsero successivamente controversie per i sopravvenuti mutamenti 
economico-sociali. Infatti, attraverso l'enfiteusi, che allora, pur in assen�� 
za di norme limitatrici, veniva costituita quasi esclusivamente per i 
fondi rustici, erano incrementate quelle attivit� di bonifica e di miglioramento 
fondiario, delle quali vi era grave necessit�, particolarmente in 
alcune regioni d'Italia, mentre erano scarse le forme di finanziamento 
e di assistenza per esse, n� erano fre'quenti gli interventi dello Stato� 
e di altri enti pubblici. A causa di queste esigenze appare giustificata la 
menzionata forma di favore e va pure considerato che la stabilit� del 
canone periodico, soggetto solo a parziali revisioni a lunga scadenza, e la 
sua immutabilit� nei trasferimenti dell'enfiteusi e nel variare delle condizioni, 
fuori delle ipotesi previste per la revisione attribuivano al medesimo 
caratteristiche di autonomia e di persistenza, che lo sottraevano in 
parte alle incertezze e oscillazioni del valore del fondo, onde era giusti�� 


846 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
ficata quella particolare disciplina anche sotto questo aspetto. Una conferma 
delle caratteristiche di ordine sociale del rapporto enfiteutico per 
i beni agricoli si � avuta pur nei decenni pi� recenti, nei quali il legislatore 
ha stabilito speciali adempimenti e limitazioni nella revisione del 
canone e nelle affrancazioni, limitando in tal modo, anche in questa 
materia, il gioco libero del mercato e accentuando il carattere sociale 
dell'istituto. 
� pur vero che, poi, nella evoluzione dei tempi, la diffusione e l'importanza 
delle enfiteusi nell'agricoltura sono diminuite per le migliori forme 
di finanziamento e di assistenza per gli imprenditori pi� attivi e che 
quell'istituto giuridico ha trovato un'applicazione non indifferente agli 
immobili urbani ed a quelle forme di edilizia semiurbana, proprio dell'epoca 
pi� recente, le quali, pur non essendo incompatibili con la disciplina 
legislativa, non avevano avuto rilevante diffusione in precedenza. 
N� pu� disconoscersi, come dedotto dall'Amministrazione ricorrente, che 
si � avuta un'artificiosa applicazione dell'istituto stesso per sfuggire a 
maggiori oneri tributari. Tuttavia, non pu� ugualmente negarsi, nella 
materia tributaria, in genere e in particolare per le enfiteusi, l'applicazione 
della legislazione vigente, respingendo interpretazioni contrastanti 
con le espressioni letterali e il contenuto delle relative norme. Anche in 
tal materia il giudice non pu� sostituirsi al legislatore nell'adeguamento 
tempestivo delle norme legislative. 
E l'inidoneit� della precedente disciplina tributaria ad una pi� rigorosa 
sua applicazione alle nuove situazioni menzionate, gi� riconosciuta, 
come accennato dalla difesa dei Pavoncelli, dagli stessi appartenenti all'Amministrazione 
Finanziaria, risulta manifestamente dalla ben diversa 
e pi� ampia formulazione dell'art. 44 del D.P. 26 ottobre 1972, n. 634, e 
cio� della nuova legge organica di registro nell'ambito della cosidetta 
riforma tributaria, secondo la quale norma � per la costituzione di enfiteusi... 
la base imponibile � costituita dal ventuplo del canone annuo o, 
se maggiore, dal valore del dirit~o dell'enfiteuta� con evidente innovazione. 
Conseguentemente, la stretta dipendenza della determinazione dell'imponibile 
dall'ammontare del canone dichiarato nell'atto esclude l'ammissibilit�, 
sotto la precedente disciplina legislativa, di un successivo 
giudizio di congruit�, cos� come del resto il medesimo � escluso per i 
canoni degli affitti, aventi analoghi effetti economici, e per altri contratti 
non previsti nella menzionata disposizione dell'art. 30 citato. 
{omissis) 
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SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 novembre 1978, n. 5327 -Pres. 
Trimarchi -Est. Carotenuto -P. M. Gambogi (conf.) -Comune di 
Giarre (avv. Silvestri) c. Soc. n. coll. Acquedotti Garraffo e Scilio 
(avv. M. Conte) e Prefetto di Catania (avv. Stato Albisinni). 

Acque pubbliche ed elettricit� -Giudizio e procedimento -Composizione 
del Tribunale superiore delle acque -Parte,cipazii.one di funziionari 
tecnici dipendenti dalla P.A. � Questione di .Jegittimit� costituzionale Manifesta 
infondatezza. 

(T.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 139; Cost., art. 108, secondo comma). 
Acque pubbliche ed elettricit� -Competenza e 'giurisdizione -Tribunale 
superiore delle acque, 'giudice ammim.strativo o .giudice ordinatio Requisizione 
di utenza � Provvedimento m materia di acque pubbM.
che -Giurisdizione del Tribunale superiore -Sussiste -Inesistenza 
giuridica dell'atto e giurisdizione del giudice ordinario -Non sussiste 
� Potere esercitato � Individuazione. 

(T.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 43 e 143, Iett. a); r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 19, 
mod. dalla legge 8 marzo 1949, n. 277). 
� manifestamente infondata l'eccezione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 139, secondo comma, r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, che disciplina 
la composizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, prospettata 
sotto il profilo del contrasto con l'art. 108 Cast. in quanto non assicurerebbe 
l'indipendenza dei tecnici membri effettivi del Consiglio superiore 
dei lavori pubblici (1). 

Il ricorso, con cui il concessionario di un'acqua impugna il decreto 
del prefetto che proroga l'efficacia di un precedente atto di requisizione, 
� rivolto contro un provvedimento in materia di acque pubbliche e come 
tale appartiene alla giurisdizione del Tribun�le superiore delle acque e 
non a quella del Consiglio di Stato; non sussiste d'altro canto la giurisdizione 
del giudice ordinario per supposta carenza di potere nell'emanazione 

(1) Nello stesso senso, Cass., 10 giugno 1968, n. 1769, in Giust. civ. rep., 
1968, acque pubblic. priv. 147; Cass., 22 dicembre :1964, n. 2950, in questa 
Rassegna, 1965, I, 128. Sempre in questa Rassegna, 1976, I, 628 e 631, si veda 
sul punto l'annotazione redazionale a Trib. sup. acque, 8 novembre 1975, n. 22, 
che dichiarava manifestamente infondata la stessa questione proposta con 
riguardo alla composizione dei tribunali regionali. 
12 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

848 

del provvedimento di requisizione, perch� il prefetto, nei casi di urgenza, 
pu� sostituirsi ad ogni altra autorit� e l'Amministrazione dei lavori pubblici, 
a norma dell'art. 43 del t.u. sulle acque, pu� imporre temporanee 
limitazioni all'uso delle derivazioni che siano ritenute necessarie per specifici 
motivi di pubblico interesse o quando si verifichino eccezionali deficienze 
dell'acqua disponibil� (2). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 marzo 1980, n. 1990 -Pres. Rossi Est. 
Fanelli -P. M. Raja (conf.) -Azienda municipalizzata acquedottodi 
Palermo (avv. Angelini, Sunseri e De Franchis) c. Prefetto di Palermo 
(avv. Stato Albisinni) e altri (n.c.). 

Acque pubbliche ed elettricit� -Giudizio e ,procedimento -Ricorso avverso 
provvedimenti in materia di acque pubbliche � Requisizione di acque 
e impianti di eduzione � Interesse ad agire � Individuazione. 

(Cod. proc. civ., art. 100). 

L'interesse ad agire consiste nell'utile, giuridicamente apprezzabile, 
che la parte si propone di conseguire mediante l'azione giudiziaria e ad 
integrarlo � sufficiente la speranza di un tale vantaggio anche se, a 
seguito del suo esame nel merito, la pretesa avanzata possa risultare infondata. 
(Nella specie � stato ritenuto erroneamente negato l'interesse a 
ricorrere contro provvedimenti che disponevano la requisizione di un 
pozzo e relativi impianti e la successiva ripartizione dell'acqua requisita, 
prospettandosi il ricorrente il vantaggio di conseguire l'eliminazione di 
interferenze sull'uso di impianti rimasti nella sua disponibilt�) (3). 

(2-5) Le sentenze in rassegna tornano a riproporre il tema della requisi-zione 
delle utenze d'acqua pubblica, sul quale ci si era soffermati in sede di 
commento a Cass., Sez. un., 7 dicembre 1974, n. 4089 e 25 gennaio 1975, n. 286, 
con la nota Requisizione e limitazioni temporanee dell'uso di acque pubbliche 
oggetto di concessione, in questa Rassegna, 1975, I, 428, e nella redazionale a 
Trib. sup. acque, 10 luglio 1975, n. 18 e 8 novembre 1975, n. 22, ivi, 1976, I, 628. 

Anche nel caso deciso da Trib. sup. acque, 20 marzo 1980, n. 4, come nei 
precedenti richiamati nella anzidetta nota al punto 1, il provvedimento � stato 
annullato perch� viziato da eccesso di potere, essendosi riconosciuto che l'uso 
dell'acqua consentito per la requisizione veniva a sopperire ad un'esigenza non 
straordinaria, ma stabile, perci� prevedibile, perch� da tempo manifestatasi.. 

Cass., 17 novembre 1978, n. 5327, riprendendo le considerazioni svolte da 
Cass., 7 dicembre 1974, n. 4089, ha ora rinvenuto nell'art. 43 del t. u. 11 dicembre 
1933, n. 1775, la fonte del potere dell'amministrazione di imporre limitazioni 
temporanee all'uso delle derivazioni concesse, nell'esercizio del quale il 
prefetto pu� sostituirsi a norma dell'art. 19 della legge comunale e provinciale 
(sul punto, cfr. Requisizione e limitazioni, cit., in questa Rassegna, 1975, I,. 
439 ss.). 


PARTE� I, SEZ. VII, GIURIS, IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 849 

III 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 20 marzo 1980, n. 4 -Pres. Tamburrino 
-Rel. Jannotta -Azienda municipalizzata acquedotto di Palermo 
(avv. Accardi, Sunseri e De Franchis) c. Prefetto di Palermo (Avv. 
Gen. Stato). 

Acque pubbliche ed elettricit� -Requisizione di utenza " Potere del prefetto 
ex art. 7 legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, e del ministro 
dei favori pubblici ex art. 43, t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 -Rapporti. 

(Legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. E, art. 7; t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 43). 

Acque pubbliche ed elettricit� -Requ!isizione di utenza -lmp�revedibilit� 
della carenza di acqua -Mancanza -lllegitthnit�. 

Il prefetto, in vista del soddisfacimento di un interesse pubblico 
suscettibile di pregiudizio a causa di una evenienza contingente rispetto 
alla quale � necessario decidere senza indugio, pu�, in base all'art. 7 
della legge 20 marza 1865, n. 2248, all. E, adottare provvedimenti di requisizione 
di acque pubbliche in confronto di concessionari. Tale potere non 
� sussidiario rispetto a' quello che l'art. 43 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, 
accorda al Ministero dei lavori pubblici e che lo abilita a disporre limitazioni 
alle utenze d'acqua pubblica, in vista di esigenze pubbliche o di altri 
utenti, qualora si verifichino deficienze di acqua, potere quest'ultimo che 
non esclude quello del prefetto e dalla cui previsione si evince la possibilit� 
di disporre dell'acqua pubblica per esigenze sopravvenute (4). 

Il provvedimento di -requisizione di un'utenza d'acqua pubblica a 
favore di un comune � illegittimo se adottato per sopperire ad una carenza 
non imprevedibile, ma derivante da ricorrente deficienza della 
quantit� d'acqua normalmente disponibile, rispetto ai bisogni, sia pure 
stagionali, dello stesso comune (5). 

Trib. sup. acque, 20 marzo 1980, n. 4, andando in contrario avviso rispetto 
a Trib. sup. acque, 17 maggio 1973, n. 19, in Cons. Stato, 1973, Il, 824 ed all'affermazione 
contenuta in Cass., 7 dicembre 1974, n. 4089, cit., ma muovendosi 
nello stesso solco del riconoscere nell'amministrazione il potere di disporre 
in caso di urgenza dell'acqua gi� concessa, attribuendovi la destinazione ritenuta 
all'uopo necessaria fuori per� dell'ordinario procedimento concessorio 
(sul punto, cfr. anche Trib. sup. acque, 10 Juglio '.1975, n. 1�8, cit.), ha riconosciuto 
la legittimit� del ricorso all'uso del potere di requisizione e, in ordine 
alla possibilit� che questo incida sull'acqua pubblica, ha tratto argomento 
in senso affermativo dallo stesso art. 43 del t.u., ma, in negativo, ha anche 
osservato che il potere ex art. 7 della legge 20 mrzo 1865, n. 2248, all. E, non � 
limitato n� dal potere accordato dall'art. 43 de1 t.u. a1l'amministrazione dei favori 
pubblici n� all'esplicarsi in concreto i suoi effetti in relazione a beni 
demaniali (su questo aspetto, cfr. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 
Napoli, 1969, 488). 

In argomento, cfr. ancora, MoRSILLO G., Sorgente d'acqua in concessione 
per scopi irrigui e potere di requisizione del prefetto, in Giur. agr., 1976, 214. 

P.V. 

850 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

(omissis) Deve preliminarmente essere esaminato il secondo motivo 
col quale, denunciandosi la nullit� della sentenza impugnata, viene sollevata 
la questione di legittimit� costituzionale detl"art. 139 del t.u. 11 dicembre 
1933, n. 1775, in relazione all'art. 108 Cost. 

Deduce il ricorrente che la norma predetta -la quale stabilisce che 
il Tribunale superiore delle acque pubbliche � composto, oltre che da 
magistrati, da tre tecnici, membri effettivi del Consiglio superiore dei 
lavori pubblici -� non prevede alcuna garanzia allo scopo di salvaguardare 
l'indipendenza dei detti membri tecnici rispetto alla P.A. da cui 
provengono �. 

Queste Sezioni unite hanno gi� ritenuto, in precedenti pronunce, la 
manifesta infondatezza della questione osservando che la Corte costituzionale, 
nel prendere in esame casi analoghi -come quello della partecipazione 
alle commissioni tributarie dei funzionari dell'Ufficio tecnico 
erariale -ha rilevato: 

a) che i tecnici sono chiamati a portare negli organi giudicanti un 
contributo di conoscenza ed esperienza che difficilmente potrebbe essere 
dato da estranei all'amministrazione da cui provengono; 

b) che, allorquando partecipano all'attivit� di organi giudicanti, 
i tecnici sono liberi da vincoli, d'ordine gerarchico o simili, che possano 
far pensare a una limitazione della loro autonomia di decisione (sent. 10 
giugno 1968, n. 1769). � stato altres� precisato (sent. 22 dicembre 1964, 

n. 2950) che sia il procedimento di nomina dei tecnici (art. 139 del t.u. 
sulle acque pubbliche), sia la durata della carica, sia la predisposizione 
di strumenti processuali a tutela dell'imparzialit� dei giudici (come l'istituto 
della ricusazione) costituiscono elementi idonei a garantire l'indipendenza 
dei tecnici rispetto all'amministrazione da cui provengono. 
Poich� il ricorrente si limita a prospettare la questione senza introdurre 
argomenti in contrasto con quanto gi� ritenuto da questa Corte, 
non esistono ragioni per discostarsi dalle precedenti pronunce. 

Col primo motivo di ricorso si denuncia il difetto di giurisdizione 
del Tribunale superiore delle acque in base al rilievo che, potendo la 
requisizione avere ad oggetto solo beni di privati, la controversia doveva 
essere portata all'esame o dei tribunali amministrativi -non venendo 
in discussione la natura pubblica dell'acqua requisita alla societ� Garraffo 
e Scilio -o del giudice ordinario, in quanto il decreto prefettizio 
di requisizione, se aveva ad oggetto un bene demaniale (acque pubbliche), 
era stato emanato in assoluta carenza di potere. 

Anche questo motivo � infondato. 

Con sentenza 7 dicembre 1974, n. 4089, queste Sezioni unite si sono gi� 
occupate della prospettata questione di giurisdizione in relazione alla 
precedente sentenza 16 novembre 1972 del Tribunale superiore delle 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

acque con cui vennero accolti i ricorsi contro l'originario decreto di 
requisizione della sorgente Cavagrande in data 16 giugno 1970 e contro 
il primo provvedimento di proroga in data 20 aprile 1971. 

Con quella pronuncia fu rilevato che il Tribunale superiore delle 
acque non difettava di giurisdizione nei confronti del giudice dotato di 
giurisdizione generale in materia d'interessi legittimi. Dal testo dell'art. 
143, lett. a), del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, emergeva infatti che 
al Tribunale superiore sono deferiti i ricorsi contro i provvedimenti che 
comunque incidono sul regime e sull'utilizzazione delle acque pubbliche 
e non poteva negarsi che la requisizione della sorgente Cavagrande aveva 
disposto dell'utilizzazione dell'acqua mediante la �temporanea sospensione 
dei poteri su di essa conferiti al privato dalla pregressa concessione�. 

Fu inoltre precisato che non poteva essere ritenuta la giurisdizione 
del giudice ordinario, per supposta carenza di potere nel.l'emanazione del 
provvedimento di requisizione, dal momento che: a) la P.A., in relazione 
ai beni demaniali su cui ha rilasciato delle concessioni, conserva il potere 
di disciplinarne l'utilizzazione in vista del miglior perseguimento dell'interesse 
pubblico; b) il prefetto, nei casi d'urgenza, ha il generale potere 
di sostituire ogni altra autorit� (art. 19 della legge com. e prov. del 1934). 

� solo da aggiungere, a completamento di quanto precisato nella 
predetta pronuncia, che il potere dell'Amministrazione dei Lavori Pubblici 
di imporre � temporanee limitazioni all'uso delle derivazioni che 
siano ritenute necessarie per speciali motivi di pubblico interesse o quando 
si verifichino eccezionali deficienze dell'acqua disponibile� � espressamente 
previsto dall'art. 43 del t.u. sulle acque pubbliche. 

Le conclusioni predette sono valevoli anche per il caso che forma 
oggetto del presente giudizio, relativo alla seconda proroga della stessa 
requisizione, disposta con provvedimento 28 dicembre 1971. 

Il ricorso deve pertanto essere rigettato. (omissis) 

II 

(omissis) Il Prefetto di Palermo, con decreto del 29 gennaio 1971, 

disponeva la requisizione, a favore dell'Ente Acquedotti Siciliani, del poz


zo �e dei relativi impianti, siti in territorio di Bagheria di propriet� del 

signor Giovanni Speciale, disponendo, altres�, che la requisizione avrebbe 

avuto la durata di sei mesi, a decorrere dalla data di notifica del pirovve


dimento. 

Con successivo decreto del 26 luglio 1971 il Prefetto provvedeva alla 

ripartizione dell'acqua requisita con il detto provvedimento. 

Con un primo ricorso notificato, in data 22 marzo 1971, l'azienda mu


nicipalizzata acquedotto di Palermo impugnava davanti al Tribunale 

superiore delle acque pubbliche il provvedimento di requisizione, dedu


cendo fra l'altro che questo operava in maniera surrettizia la requisi



852 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione non consentita di. un bene demaniale, quale il canale di Scillato, 
e tendeva ad istituzionalizzare una interferenza su detto canale da parte 
dell'Ente acquedotti siciliani, gestore della rete idrica di Bagheria e di 
altri comuni, in danno del sistema di approvvigionamento idrico della 
citt� di Palermo. 

L'azienda impugnava altres�, con un secondo ricorso, il provvedimento 
di ripartizione delle acque requisite, sostenendone l'illegittimit� derivata 
dalla illegittimit� della 1requisizione fatta valere col primo ricorso, in particolare 
sostenendo che veniva cos� a determinarsi, oltre ad una ingerenza 
sul canale demaniale di Scillato, una riduzione della sua portata 
e quindi dell'approvigionamento idrico di Palermo. 

Il Prefetto e l'E.A.S., costituitisi, eccepivano il difetto di giurisdizione 
del Tribunale superiore, incidendo la requisizione su acque non 
pubbliche. 

Il Tribunale superiore, riuniti i due ricorsi, affermava la propria giurisdizione. 
Riteneva, peraltro, inammissibile il primo ricorso (e, deriivatamente, 
anche il secondo) per difetto di interesse processuale. (omissis) 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Col primo motivo del ricorso principale, denunciandosi violazione 
dell'art. 100 cod. proc. civ. e vizi di motivazione, si deduce che ogni interferenza 
sul canale di Scillato -costruito, acquistato e tuttora gestito 
dalla A.M.A.P. ad esclusivo servizio dell'approvigionamento idrico della 
citt� di Palermo -da chiunque e sotto qualunque profilo perpetrata, 
colpisce direttamente essa Azienda municipalizzata, che, conseguentemente, 
ha il massimo interesse a tutelare i propri diritti sul canale e a contrastare 
ogni ingerenza sullo stesso. 

Trattasi, quindi, di un interesse immediato e concreto, dato che 
i provvedimenti prefettizi hanno costituito in favore dell'Ente acquedotti 
siciliani e in danno della ricorrente Azienda le lamentate ingerenze e interferenze, 
anche a prescindere dalla riduzione della portata del canale. 

Col secondo motivo, denunciandosi gli stessi vizi sotto diverso profilo, 
si deduce che l'immissione, consentita da decreti prefettizi, nel 
canale di Scillato, di acque destinate all'approvvigionamento idrico di 
comuni diversi da quello di Palermo, riduce -contrariamente a quanto 
ritenuto dal Tribunale superiore -la portata del canale, ove la si consideri 
non in astratto, bens� in relazione alle effettive possibilit� di convogliare 
acqua in favore del comune di Palermo. 

Infatti, l'immissione degli ulteriori quantitativi di acqua tratti dal 
pozzo Speciale, impedisce alla ricorrente azienda di immettere, nei periodi 
di maggiore resa delle sorgenti di Scillato, l'intero quantitativo da esso 
deducibile, ed impedisce inoltre l'immissione nel canale di altri quanti




PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

tativi di acqua reperibili presso altre fonti, con evidente pregiudizio e 
lesione degli interessi della ricorrente, della quale � dunque evidente l'in� 
teresse a ricorrere. 

Per di pi�, poich�, come risulta dal decreto prefettizio di riparti� 
zione del 28 maggio 1971, la quantit� di acqua del pozzo Speciale riservata 
al Comune di Palermo � il 31 % della portata educibile di litri 66,30 al 
secondo, e, cio�, in concreto, di 20,55 litri al secondo, essa � di gran lunga 
inferiore a quella presunta dal Tribunale superiore; e ci� ulteriormente 
conferma l'interesse dell'azienda municipalizzata all'annullamento dei 
decreti impugnati, rimanendo il volume d'acqua destinato all'acquedotto 
palermitano ridotto di 15 litri al secondo. 

I motivi, che conviene esaminare congiuntamente, sono fondati. 

Il Tribunale superiore ha negato l'interesse a ricorrere limitandosi a 
considerare che la portata delle acque da immettere nel canale Scillato 
era identica a quella delle acque escluse; ma non ha considerato che, a 
parte la contestazione, da parte dell'A.M.A.P., di tale identit�, l'azienda 
municipalizzata aveva, in entrambi i suoi ricorsi, soprattutto fatto leva 
sulla incidenza che, comunque, dalla immissione (e correlativa eduzione) 
veniva a verificarsi sul regime e sugli impianti del canale demaniale. 

Orbene, consistendo l'interesse ad agire nell'utile, giuridicamente 
apprezzabile, che la parte si propone di conseguire mediante l'azione 
giudiziaria, ed essendo sufficiente la speranza di un tale vantaggio, anche 
se poi, a seguito del suo esame nel merito, la pretesa avanzata risulti 
infondata (Cass., 16 ottobre 1969, n. 3361; 1� marzo 1967, n. 453; 9 maggio 
1967, n. 927; 6 dicembre 1979, n. 6338), non pu� revocarsi in dubbio che una 
siffatta utilit� potesse e dovesse ravvisarsi anche nel solo intento di 
evitare un asservimento del canale per scopi diversi da quelli per i quali 
era stato costruito ed era gestito dall'A.M.A.P. 

Il Tribunale superiore ha del tutto omesso di considerare che i decre� 
ti impugnati, oltre e pi� che disporre la requisizione del pozzo Speciale, 
imponevano all'azienda municipalizzata obblighi di subire (l'immissione 
di acque non destinate al suo istituzionale scopo di rifornimento idrico 
della citt� di Palermo), di non fare (l'eduzione delle acque dal pozzo Due 
Torri) e di fare (la ripartizione e la consegna delle nuove acque fra i 
comuni interessati), tutti estranei alla sua propria precipua funzione, 
onde, a prescindere dalla pretesa invarianza della quantit� d'acqua disponibile 
per Palermo, gi� ci� chiaramente incideva su interessi dell'azienda. 

Se poi si fosse soffermato sulle osservazioni, sostanzialmente non contestate 
dalle controparti, della ricorrente, secondo cui il volume d'acqua 
destinato al capoluogo in realt� veniva a diminuire perch�, in periodi di 
piena, il canale non poteva essere utilizzato per tutta la sua portata, in 
favore di un pi� abbondante approvvigionamento della citt� di Palermo, 
per essere una parte di essa occupata dalle acque diversamente destinate, 
e perch�, per analoghe ragioni, poteva restare compromessa l'educibi



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

854 

lit� di acqua da altre fonti, il semplicistico computo aritmetico che costituiva 
l'unico argomento posto a base della decisione si sarebbe in gran 
parte svuotato di significato e di rilevanza in quanto avulso dalla considerazione 
delle essenziali circostanze di fatto addotte dall'A.M.A.P. e, 

addirittura, avrebbe potuto risultare erroneo alla stregua del calcolo 
effettuato dall'azienda. 

Onde, nel ritenere che questa fosse carente di interesse a ricorrere, 
il Tribunale superiore per un verso si � discostato dall'anzidetto principio, 
nonch� da quelli, non dissimili, seguiti dalla giurisprudenza amministrativa 
(per la quale basta anche un semplice interesse morale a fondare 
la tutela giurisdizionale nei confronti di atti amministrativi illegittimi); 
e per altro verso ha trascurato decisive circostanze emergenti dalla documentazione 
in atti e dalle difese delle parti. 

Il ricorso va dunque accolto, e cassata in conseguenza la sentenza 
impugnata, la causa va rimessa allo stesso Tribunale superiore delle 
acque, cui si commette di provvedere anche sulle spese relative alla 
presente fase. (omissis) 

III 

(omissis) 1. -Il primo motivo di ricorso � fondato. Infatti nessuna 
dimostrazione � stata offerta dall'Amministrazione �resistente circa la 
fondatezza dell'affermazione, espressa nella motivazione del provvedimento 
censurato, secondo la quale l'Azienda municipalizzata preleverebbe 
dalla sorgente di Risalaimi un quantitativo d'acqua superiore a quello 
ceduto, a titolo di permuta, ai Comuni controinteressati, e prelevato 
dall'acquedotto di Scillato. Doveva essere precisata l'entit� del maggiore 
quantitativo d'acqua, che si assume prelevato, e non poteva difettare 
l'indicazione dei � motivi tecnici �, che permetterebbe tale maggior prelievo. 

2. -Infondato � il secondo motivo di ricorso; infatti il provvedimento 
impugnato � privo di apprezzamenti in ordine al fatto che l'Azienda 
sia in grado di fronteggiare le esigenze della citt� di Palermo. 
Il provvedimento risulta fondato, tra l'altro, sul rilievo della maggiore 
disponibilit� d'acqua per circostanze favorevoli riguardanti gli invasi di 
Piana degli Albanesi e dello Scanzano. Su questo specifico rilievo, testualmente 
menzionato nelle premesse del provvedimento, difettano censure 
da parte della ricorrente. 

3. -Infondata � la censura di incompetenza del Prefetto ad adottare 
il provvedimento di requisizione. Invero quest'ultimo risulta adottato 
allegando l'esistenza di esigenze indilazionabili (motivi di necessit� e 
urgenza), quali sono quelle connesse all'approvvigionamento idrico di 
Comuni, specialmente nel periodo estivo. M 

J 

PARTE�I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 855 

Proprio in rapporto a tali esigenze, specificamente dedotte nella 
motivazione a giustificazione della requisizione, fu menzionato, nelle premesse 
del provvedimento impugnato, l'art. 7 della legge 20 marzo 1865, 

n. 2248, all. E. 
In base a tale norma il Prefetto pu� adottare qualsiasi provvedimento, 
anche atipico, pur nel rispetto dei principii del vigente ordinamento 
costituzionale (Corte cost., sent. n. 26 del 1961), in vista del soddisfacimento 
di un interesse pubblico suscettibile di pregiudizio a causa di 
una evenienza contingente, rispetto alla quale � necessario decidere senza 
indugio. Questa competenza non trova un limite nella pubblicit� delle 
acque. Infatti il testo dell'art. 7, citato sopra, coerentemente al fatto che 
i poteri conferiti con la stessa norma all'Amministrazione concernono 
situazioni impreviste e tali da richiedere interventi urgenti e atipici, � 
privo di limitazioni circa le competenze della stessa Amministrazione 
relativamente a specifici settori. 

Peraltro verso nessuna norma permette di concludere nel senso della 
sussidiariet� della competenza del Prefetto rispetto a quella del Ministro 
dei lavori pubblici. Invero l'art. 7 non fissa una scala di priorit� fra i vari 
organi dell'Amministrazione relativamente agli interventi rispetto a situazioni 
contigibili e urgenti. Inoltre non si pu� trascurare di rilevare che le 
esigenze, da soddisfare con la requisizione censurata, avevano dimensione 
tipicamente locale, per cui l'autorit� pi� idonea, dal punto di vista 
dell'efficenza dell'azione Amministrativa, era da identificare nell'autorit� 
locale, titolare della competenza ad adottare provvedimenti contigibili 
e urgenti, ossia il Prefetto della provincia di Palermo. 

4. -Infondato � il motivo relativo all'esclusivit� della competenza 
del Ministro dei lavori pubblici. Invero � indubbio che l'art. 43 t.u. 11 
dicembre 1933, n. 1775, attribuisce al Ministro la competenza a disporre 
limitazioni alle utenze d'acqua pubblica, in vista di esigenze pubbliche o 
di quelle di altri utenti, qualora si verifichino deficienze di acqua. Tuttavia 
questa competenza non esclude quella del Prefetto relativamente alla 
adozione di provvedimenti contigibili e urgenti; questi in quanto preordinati, 
come nel caso in esame, al soddisfacimento di esigenze locali rientrano 
nell'ambito di competenza dell'Autorit� statale, operante in sede 
locale. Peraltro verso la necessit� di adottare tempestivamente misure, 
rispetto a situazioni che non permettono indugio, importa che non possono 
essere seguiti i procedimenti previsti per i provvedimenti tipici. 
L'osservanza delle norme� procedimentali ordinarie sarebbe causa di 
ritardo e quindi di pregiudizio all'efficienza del provvedimento contigibile 
e urgente. 
5. -Infondato � il motivo relativo alla natura pubblica dell'acqua, 
oggetto di requisizione. 

856 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Non pu� ravvisarsi uno ostacolo alla legittima adottabilit� di provve


I 

I 
I�dimenti contigibili ed urgenti nel fatto della natura demaniale del bene, f. 
oggetti degli stessi provvedimenti. Infatti la contigibilit� e urgenza possono 
giustificare anche il ricorso ad una misura concernente un bene 
demaniale, quale � l'acqua pubblica. 

Nessun argomento contrario a questa conclusione pu� essere dedotto 
dal testo dell'art. 7 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. 
Infatti tale norma, pur menzionando testualmente i beni privati, � da 

I 

interpretare come una norma espressiva del principio di adottabilit� di 

I

provvedimenti atipici, nel rispetto di principii costituzionali, per esigenze 
pubbliche, in presenza di situazioni contingibili e tali da non permettere 
rinvii. La finalit� prevista dall'art. 7, legge citata, � il soddisfacimento di 
� una grave necessit� pubblica �. 

Non pu� fondatamente escludersi che tale soddisfacimento pu� essere 
assicurato anche mediante l'adozione di provvedimenti contingibili e 
urgenti aventi ad oggetto beni pubblici. 

Del resto l'art. 7 legge citata deve essere ricollegato all'art. 43 t.u. 
11 dicembre 1933, n. 1775, che prevede la possibilit� di disporre di acqua 
pubblica, gi� oggetto di concessione; questo legame dimostra che � possibile 
disporre, per esigenze sopravvenute, dell'acqua pubblica, che d'altra 
parte � un bene a destinazione collettiva necessaria. 

Pertanto non � possibile affermare l'inutilizzabilit� dell'acqua pubblica 
per il soddisfacimento di esigenze collettive sopravvenienti ed indilazionabili; 
esigenze che normalmente vengono soddisfatte mediante procedimenti 
di concessione. 

6. -Fondate sono le censure di carenza di imprevedibilit� della carenza 
d'acqua nei Comuni beneficiari del provvedimento di requisizione 
infatti dal testo di tale provvedimento si deduce che anche in anni precedenti 
fu constatata la carenza di acqua. Quindi � da escludere che il 
provvedimento censurato sia stato adottato sul presupposto di una effettiva 
imprevedibilit� delle carenze idriche dei Comuni controinteressati. 
La situazione, in vista della quale fu emesso il provvedimento impu


gnato, era suscettibile di previsioni e derivava da� una ricorrente defi


cienza delle quantit� d'acqua disponibili normalmente, rispetto ai bisogni 

sia pure stagionali, dei Comuni controinteressati. 

L'esclusione dell'imprevedibilit�, nel senso sopra precisato, _importa 

l'illegittimit� del provvedimento censurato (Trib. sup. acque, 12 maggio 

1972, n. 17). 

� ininfluente al riguardo il rilievo circa l'impossibilit�, dedotta dal


l'Amministrazione resistente, per il Prefetto di decidere diversamente. 

La legittimit� o meno di un provvedimento Amministrativo discende 
dalla conformit� o meno di criteri fissati dalla normativa sovraordinata 
all'azione amministrativa; nella specie tale conformit� � da escludere per 
le ragioni suindicate. 


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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 857 

La soluzione del problema, in presenza del quale fu emesso il provvedimento 
impugnato, esorbitando dall'ambito della competenza del Prefetto, 
imponeva l'intervento di altre autorit�. 

7. -Fondati sono i motivi concernenti il difetto di istruttoria; infatti 
non risulta che il provvedimento impugnato sia stato preceduto da 
un'istruttoria, sia pure sommaria, circa la compatibilit� della misura della 
requisizione con le esigenze idriche imprescindibili del Comune di Palermo 
e se eventuali disponibilit� d'acqua fossero individuabili nei confronti 
di altri concessionari. 
8. -Fondato � anche l'ultimo motivo di ricorso circa la disponibilit�, 
da parte dell'Azienda ricorrente, all'adottabilit� del provvedime1to o 
di requisizione. 
Invero nessuna prova � stata offerta dall'Amministrazione resistente 
circa la mmi.ifestazione di tali disponibilit�. 

9. -Il ricorso deve essere accolto; sussistono giusti motivi per com� 
pensare tra le parti le spese del giudizio. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 febbraio 1980, n. 1125 -Pres. Rossi Est. 
D'Orsi -P. M. Grimaldi (diff.) -S.p.A. E.I.E.R. Elettrificazione 
impianti elettrici riuniti (avv. Micolitti) c. Amministrazione della difesa 
(avv. Stato Freni). 

Competenza e giurisdizione -Giurisdblione ordinaria e amministrativa Contratti 
di guerra -Sistemazione e liqmdazione -Situazione soggettiva 
connessa alla titolarit� di contratti non definiti -Anteriormente 
alla pronuncia del commissario -Interesse legittimo -Silenzio 
sulla domanda dri. sistemazione -Azione giudiziaria -Improponibilit� Silenzio 
rifiuto � Rimedi. 
(D.l.vo 25 marzo 1948, n. 674, artt. S ed 8; r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. S; legge 

6 dicembre 1971, n. 1034, art. 20). 

Con l'emanazione del d.l.vo 25 marzo 1948, n. 674, le posizioni soggettive 
di coloro che erano titolari di contratti di guerra con lo Stato, non 
ancora definiti, sono state poste sul piano dell'interesse legittimo e solo 
dopo il provvedimento del comm_issario possono conseguire tutela giurisdizionale, 
con impugnativa del provvedimento davanti al giudice amministrativo 
per motivi di illegittimit� o con azione giudiziaria in caso di 
violazione di diritti in dipendenza dello stesso provvedimento. Pertanto, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

in caso di silenzio mantenuto sulla richiesta degli interessati, questi non 
hanno azione davanti al giudice ordinario, ma debbono sperimentare i 
gravami contro il silenzio rifiuto davanti al giudice amministrativo (1). 

(omissis) La societ� EIER sostiene che il giudice ordinario abbia la 
giurisdizione per decidere sulla sua domanda diretta ad ottenere il corrispettivo 
(opportunamente rivalutato) di due contratti d'appalto stipulato 
in tempo di guerra con l'allora Ministero della Guerra, in quanto 
il Commissario per la liquidazione e sistemazione dei contratti di guerra 
(al quale il credito era stato regolarmente denunciato fin dal 1948) nonostante 
solleciti e diffide non ha finora emessa alcuna decisione. 

L'amministrazione della Difesa, condividendo la tesi del tribunale,. 
sostiene che nel caso in esame ci si trova di fronte ad un'ipotesi di giurisdizione 
condizionata, talch�, fino a quando non intervenga la pronuncia 
del Commissario, la domanda � oggettivamente improponibile. L'improponibilit� 
appare -secondo l'Amministrazione -ancora pi� palese ove 
si consideri che solo a seguito della pronuncia del Commissario, � possibile 
individuare la consistenza della posizione soggettiva fatta valere, se 
di diritto soggettivo o di interesse legittimo. 

Queste Sezioni unite ritengono che la decisione del Tribunale di 
difetto di giurisdizione dell'autorit� giudiziaria ordinaria sia esatta e che 
debba essere dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo. 

Indispensabile ai fini delfindividuazione della giurisdizione � pur sempre 
la consistenza della posizione soggettiva fatta valere valutata nella 
sua intima essenza, al di fuori di ogni opinione o prospettazione della 
parte. 

, E non pu� esservi dubbio che con l'emanazione del decreto legislativo 
25 marzo 1948, n. 674, le posizioni soggettive di coloro che erano titolari 
di contratti di guerra con lo Stato, non ancora definiti, anche se, in relazione 
alla natura del rapporto e al suo svolgimento avrebbero potuto 
essere considerate di diritto soggettivo, furono poste sul piano dell'interesse 
legittimo. Divennero, cio�, posizioni che se pur definite in modo 
non del tutto concorde come diritti condizionati o diritti in attesa di 
espansione, fino a quando non interviene il provvedimento della P.A. che 
li pone al rango di interessi meritevoli di tutela piena e completa, cio� di 

(1) Sulla nozione di contratto di guerra definito, cfr. Cass., 9 febbraio 1979,. 
n. 897, in Giust. civ. Mass. 1979, 391; Cass., 18 ottobre 1966, n. 2500, in questa 
Rassegna, 1967, I, 78; in tema di giurisdizione, cfr. Cass., 21 aprile 1977, n. 1473, 
in questa Rassegna, 1977, I, 460 e Cons. Stato, Sez. IV, 15 febbraio 1977, n. 115,. 
ivi, 1977, I, 558, con note di richiami. 
Sul silenzio rifiuto, cfr. Cons. Stato, Ad. plen. 10 marzo 1978, n. 10, in. 
Cons. Stato, 1978, I, 335. 

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PARTE�I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

diritti soggettivi, si comportano come interessi legittimi e come tali sono 
considerati. 

Su ci� non pu� esservi dubbio, ove si considerino i poteri largamente 
discrezionali, conferiti dalla legge al Commissario, che gli consentano di 
adottare tutti i provvedimenti che ritenga necessari ed opportuni per la 
sistemazione e la liquidazione dei contratti tra cui la loro sospensione, 
proroga o rescissione totale o parziale, la loro risoluzione per sopravvenuta 
impossibilit� di esecuzione, la loro riduzione o trasformazione, modificando 
prezzi e condizioni c9ntrattuali, la loro liquidazione generale e 
la determinazione degli indennizzi, con esclusione di qualsiasi pretesa fondata 
sul ritardo della liquidazione ... e del mancato utile (art. 56). 

I criteri, cui il Commissario deve ispirarsi sono quelli dell'equo contemperamento 
dei contrapposti interessi (del privato e dalla P.A.), in relazione 
a tutti gli elementi e situazioni di fatto e di diritto che egli ritiene 
opportuno valutare caso per caso. 

Solo dopo il provvedimento del Commissario sussiste pel privato la 
possibilit� di ottenere la tutela giurisdizionale, con impugnativa del provvedimento 
stesso davanti al Giudice amministrativo per motivi di illegittimit�; 
ovvero merc� azione dinanzi al Giudice ordinario, in contraddittorio 
col Ministero del Tesoro, per la violazione di diritti in dipendenza 
dei provvedimenti adottati dal Commissario (art. 8; e pi� specificamente, 
sia per l'attuazione delle determinazioni del Commissario ed 
il conseguimento delle indennit� o di altre somme e prestazioni dallo 
stesso attribuite sia -come � stato pur precisato dalla costante giurisprudenza 
di questa Corte -nei casi in cui il Commissario, senza punto 
avvalersi dei poteri discrezionali di cui � investito; siasi espressamente 
richiamato alle norme generali sui contratti e a quelle dettate dalla legge 
speciale e di tali norme si deduca la violazione .(cfr. Sez. un., n. 1712 del 
1962, n. 2030 del 1964, n. 2881 del 1969). 

Una conferma dell'esattezza di tale ragionamento pu� ricavarsi dalle 

disposizioni degli articoli deUa legge secondo cui la mancata denuncia 

del contratto al Commissario entro il termine di 180 giorni comportava 

la decadenza di diritti, azioni e ragioni del privato contraente e i giu


dizi in corso dovevano essere dichiarati estinti dal giudice con decor


renza del suddetto termine di 180 giorni dalla data della relativa 

ordinanza. 

Del resto la ratio della normativa � agevolmente comprensibile ove si 

consideri che, cessata la guerra, era venuto meno l'interesse pubblico 

che aveva portato l'allora Ministero della Guerra alla stipulazione dei 

vari contratti diretti al potenziamento delle strutture e degli apparati 

militari. 

Ci� posto, il quesito che si presenta nel caso in esame consiste nello 

stabilire se il silenzio del Commissario, nonostante sollecitazioni e diffi


de abbia di per s� solo operato un mutamento nella posizione soggettiva 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

860 

del privato contraente, s� da darle (o ridarle) la consistenza di diritto 

soggettivo. 

Ma questa stessa impostazione del problema ne facilita la soluzione, 
in quanto la posizione soggettiva del privato nei rapporti con la P.A. � 
pur sempre quella che r!sulta dall'ordinamento normativo e dai provvedimenti 
legittimamente emessi dalla P.A. e non pu� mutare pel semplice 
decorso del tempo. 


In altre parole la mancata emissione di un provvedimento e, cio�, 
il silenzio della P.A. (cui il legislatore attribuisce valore di provvedimento 
negativo, al fine di consentire la tutela giurisdizionale amministrativa) 
non pu� dare alla posizione del privato quel riconoscimento 
indispensabile per la sua riconducibilit� al diritt;o soggettivo e, soprattutto, 
non pu� essere equiparato al provvedimento positivo, quale deve 
essere quello del Co.mmissario di liquidazione di somme. 

L'affermazione della ricorrente circa il fatto che la pronuncia del 
Tribunale di declinatoria della giurisdizione avrebbe Ja conseguenza 
di negarle ogni tutela, stante il persistente silenzio del Commissario durato 
oltre trent'anni � a prima vista suggestiva, ma non � in realt�, convincente 
in linea di diritto. 

Pur dovendosi deplorare la lentezza delle procedure di organi pubblici, 
i quali, sorti per esigenze di carattere temporaneo avrebbero gi� da 
tempo dovuto ultimare le loro incombenze,' deve riconoscersi che nell'ordinamento 
sussiste il rimedio a tale inerzia. 

Accanto alla fattispecie del silenzio-rigetto elaborata dalla giurisprudenza 
gi� prima dell'apparire dell'art. 5 del r.d. 3 marzo 1934, n. 383 ed 
ora contemplata dall'art. 20 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la giurisprudenza 
amministrativa ha individuato l'ipotesi del � silenzio-inadempimento 
'" configurato come inosservanza all'obbligo di provvedere (non 
importa se positivamente o negativamente) su un'istanza su cui l'organo 
pubblico sia tenuto a pronunciarsi. 

E in proposito autorevole dottrina ritiene che la nuova disciplina 
data dall'art. 20 della legge n. 1034 del 1971 al silenzio-rigetto non possa 
valere anche pel silenzio-inadempimento per la cui constatazione dovrebbe 
essere ancora attuale la procedura prevista dall'art. 5 del r.d. n. 383 
del 1934. 

Ma quale che sia la soluzione da darsi a questa ultima questione, � 
certo che la posizione del privato � di interesse legittimo, per cui il giudice 
istituzionalmente competente a sindacare il comportamento negativo 

o di inerzia, del Commissario e quindi a stabilire se esso sia eventualmente 
giustificato -come assume la difesa del Ministero -dalla omessa 
esibizione di documenti indispensabili, � quello amministrativo. 
In tal senso va risolto il presente regolamento, le cui spese appare 
equo compensare tra le parti, data la difficolt� delle questioni trattate. 

(omissis) f. 

~ 
�~ 

f: 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 861 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 6 maggio 1980, n. 10 -Pres. Tamburrino 
-Rel. Delfino -Soc. Immobiliare Castel di Pietra ed altri (avv. 
Barile e Clarizia) c. Ministero dei Lavori pubblici (Avv. Gen. Stato) 
e Soc. Solmine (avv. Ricci). 

Acque pubbliche ed elettricit� � Concessione e derivazione -Ammisslione 
ad istruttoria -Ricorso � Presentatori di domande concorrenti -Interesse 
� Sussiste � Titolari di concessione -Non sussiste. 

(T.u. 11 dicembre 1933, n. 1775". artt. 7 e 10; r.d. 14 agosto 1920, n. 1285, art. 12). 
L'ordinanza di ammissione ad istruttoria d'una domanda per nuova 
concessione ed utilizzazione d'acqua pubblica non produce se non effetti 
intraprocedimentali di preparazione del provvedimento concessorio, sicch� 
mentre � immediatamente impugnabile da chi, vantando un interesse 
alla concessione, si dolga dell'uso fatto del potere di ammissione ad istruttoria, 
non lo � da chi vanti un interesse al suo diniego, il quale potr� 
risultare leso solo se il procedimento si chiuda con il provvedimento di 
concessione (1). 

(omissis) Ai sensi dell'art. 7 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, le domande 
per nuove concessioni di derivazione di acque pubbliche, che non 
siano state ritenute senz'altro inammissibili dal Ministro per i lavori pubblici, 
vengono, previa pubblicazione mediante avviso sul foglio annunzi 
legali e sulla Gazzetta ufficiale, ammesse ad istruttoria con ordinanza 
dell'ufficio del Genio civile competente per territorio (o dello stesso Ministro, 
se le opere di derivazione riguardino pi� province). Se, entro 
trenta giorni dalla pubblicazione della prima (o salvo i casi di cui all'ultimo 
comma dello stesso art. 7 e al successivo art. 10), siano state presentate 
ulteriori domande di derivazione con essa tecnicamente incompatibili, 
queste sono dichiarate concorrenti con la stessa, e di tutte � disposta 
l'ammissione a istruttoria congiunta. Nel caso che le domande abbiano ad 
oggetto una grande derivazione, l'ordinanza costituisce altres�, ai sensi 

dell'art. 12 r.d. 14 agosto 1920, n. 1285, atto iniziale del concorrente pro


cedimento di dichiarazione di pubblica utilit� (a sua volta da pronun


ciarsi, secondo l'art. 33 cit. r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, con lo stesso 

atto di assentimento della concessione) delle opere o impianti occorrenti 

per la derivazione. 

L'atto in esame, pertanto, oltre alle determinazioni sulla sussistenza 

delle condizioni di ammissibilit� ad istruttoria della prima domanda 

(1) Trib. sup. acque, 19 gennaio 1974, n . .1, in questa Rassegna, 1974, I, 499, 
aveva gi� avvertito che il principio della impugnabilit� immediata del provvedimento 
di ammissione ad istruttoria va riferito a ricorsi proposti da soggetti 
concorrenti alla stessa concessione. 

862 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(quarto comma del cit. art. 7) ed, eventualmente, sull'ammissibilit� ad 
istruttoria congiunta di quelle sopravvenute, non produce altri effetti se 
non quelli intraprocedimentali di preparazione del provvedimento con� 
cessorio. 

Sicch�, mentre � immediatamente impugnabile da chi, vantando un 
interesse alla concessione, si dolga dell'uso fatto del potere di ammissione 
ad istruttoria, lamentando, ad esempio, l'ammissione dell'altrui domanda 
ovvero la esclusione della propria, esso non lo � invece da chi vanti un 
interesse di segno opposto, quello, cio�, al diniego della concessione, deri� 
vando infatti per lui gli eventuali effetti lesivi di tale interesse solo dal� 
l'atto conclusivo del procedimento, ossia appunto dal decreto di assenti� 
mento della concessione. 

Precisamente in questa seconda posizione si trovano, nel caso in 
esame, i �ricorrenti, prop:rfotari di un'azienda agricola che -secondo il 
loro assunto -verrebbe sommersa dall'invaso progettato dalla Solmine, 
e gi� titolari -a quanto affermato -di una concessione di derivazione 
che, a sua volta, verrebbe ad essere assorbita da quella in corso di esame. 
Essi, infatti, non si pongono in concorrenza con la Solmine relativamente 
alla concessione richiesta da quest'ultima, ma, al contrario, si oppongono 
al rilascio della stessa, in vista dei pregiudizi che ne potranno derivare 
loro. In siffatto modo � evidente che essi denunciano una lesione non 
ancora attuale, e che potr� eventualmente divenirlo solo quando, e soprat� 
tutto se, la concessione sar� stata assentita. 

Consegue da ci� la carenza dell'interesse a ricorrere; ed �, quindi, 
inammissibile la impugnativa in esame. (omissis) 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 6 maggio 1980, n. 13 � Pres. Tambur


�rino -Rel. Sgroi -Vergine (avv. Stoia) �c. Ministero deJ.le finanze (Avv. 
Gen. Stato). 
Acque pubbliche ed elettricit� � Competenza e giurisdizione � Tribunali 
delle acque e tribunali ordinari � Linea di demarcazione tra propriet� 
privata ~ bacino lacuale � Controversia -Competenza � Tribunali. 
delle acque. 

(T.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140, lett. b). 
Acque pubbliche ed elettricit� � Laghi � Limiti dell'alveo . �lndividuazi~me 


Criterio -Livello naturale. 

(Cod. civ., art. 943). 

La controversia avente ad oggetto la individuazione della linea di de� 
marcazione tra la propriet~ privata ed il bacino lacuale, in quanto attiene 
alla qualificazione di una certa zona di terreno come alveo, rientra nella 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA rii ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 863 

competenza dei Tribunali delle acque pubbliche prevista dall'art. 140, 
lett. b), del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 (1). 

I limiti dell'alveo di un lago appartenente al demanio idrico sono 
identificati dal livello che le acque lacuali raggiungono nelle piene ordinarie 
all'altezza dello sbocco, con la conseguenza che i terreni giacenti al 
di sotto di tale quota costituiscono alveo del lago e ne seguono il regime 
giuridico (2). 

(omissis) Seguendo l'ordine logico deve precedere l'esame del secondo 
motivo dell'appello principale, col quale si eccepisce l'incompetenza del 
Tribunale regionale sotto il riflesso che l'art. 140, lettera b), del t.u. 11 dicembre 
1933, n. 1775, devolve alla cognizione del giudice specializzato le 
controversie concernenti la determinazione dell'alveo e delle sponde dei 
corsi e dei bacini, escludendo, perci� stesso, quelle relative alle spiagge 
dei laghi, che non si identificano con l'alveo n� con le sponde. 

L'eccezione deve essere respinta. Essa procede dalla premessa aprioristica 
che le spiagge lacuali non fanno parte del demanio idrico, aderendo 
acj, una concezione che -assolutamente minoritaria in dottrina non 
ha il suffragio dell'unanime giurisprudenza (per il Trib. sup. si vedano 
le sentenze .n. 14 e .n. 22 del 1955): e per di pi�, d� per scontata l'ulteriore 
presupposto .che la controversia abbia ad oggetto esclusivo l'indagine sul 
punto se lf! zona di terreno, rivendicata dalla Vergine, abbia oppur no la 
natura di spjaggia lacuale, mentre � sicuramente preliminare rispetto a 
tale indagine, che potrebbe perci� risultare superflua, l'identificazione dei 
limiti dell'invaso del lago. 

Lasciando impregiudicata, in sede di delibazione del tema controverso 
ai fini della questione di� competenza, questa serie di interrogativi (ai 
quali l'appellante principale sostituisce puri e semplici enunciati) � decisivo 
il rilievo che la citata disposizione della lettera b) dell'art. 140 attribuisce 
alla cognizione 'dei Tribunali delle acque pubbliche � le controversie 
circa i limiti dei corsi o bacini, loro alveo e sponde�; poich� 

(1-2) La controversia decisa dalla sentenza in rassegna -come emerge 
dalla motivazione della decisione -era stata impostata dalla parte privata 
in termini di ricomprensione d�lla zona rivendicata nella spiaggia del lago, e, 
sul presupposto che la spiaggia non faccia parte del lago e non appartenga 
quindi al demanio idrico, s'era affermata la estraneit� della controversia alla 
competenza dei tribunali delle acque. 

Il Tribunale superiore, considerato che emergeva un problema preliminare, 
se cio� la zona rivendicata era o meno ricompresa da un punto di vista fisico 
nell'alveo del lago, ha affermato la competenza dei tribunali delle acque ed 
ha poi risolto la controversia facendo uso, nell'individuazione della � cosa � 
lago, del criterio di delimitazione dell'alveo in base alla regola del livello 
della piena ordinaria. 

La decisione, dunque, non deve essere considerata quale �precedente� 

sul tema delle � spiagge lacuali >>, se cio� le spiagge lacuali siano o no da 

considerare parte del lago e comunque bene demaniale in quanto inserviente 

13 



'

864 ,, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nella specie viene in. discussione la qualificazione come . alveo di una certa 
zona di terreno e, comunque, l'individuazione della linea di demarcazione 
tra la propriet� privata e il bacino lacuale, costituente demanio idrico, 
risultano perfettamente integrati gli estremi che ai sensi del disposto 
della citata lettera b) dell'art. 140 (da leggersi in relazione al complessivo 
contesto della disciplina del testo unico) configurano la competenza per 
materia del giudice specializzato (cfr. Cass., 2 ottobre 1974, n. 2670; Cass.,. 
5 settembre 1974, n. 2417; e gi� Cass., 16 aprile 1942, n. 992; nonch� Trib. 
sup., 16 marzo 1977, n. 7). 

Il primo, il terzo e il quarto motivo del gravame principale riguardano 
il problema centrale della causa e, date le connessioni degli argomenti 
che vi si svolgono, richiedono un esame congiunto. 

Innanzi tutto, la Vergine nega che il lago debba avere necessariamente 
una spiaggia tutta demaniale e invoca a sostegno il disposto dell'art. 
822 cod. civ. che, nell'includere la spiaggia tra i beni de;maniali, la. 
ricollega al mare, mentre i laghi sono elencati soltanto succe~sivamente 
e separatamente, assieme ai fiumi e ai torrenti. 

In secondo luogo, l'appellante accusa il tribunale regioqale di avere 
abbandonato l'impostazione data dalle parti alla trattazione cfella causa; 
e di essersi rifatto, nel delimitare il confine fra propriet� privata 1e demanio, 
con riferimento al lago di Garda, alla quota di m..65,59 sul livello 
del mare, che -a suo avviso -� stata fissata dal d.11). 20 agosto 1948 
tenendo conto non solo delle piene ordinarie, ma an.che di quelle straordinarie. 


ai pubblici usi di cui il lago � suscettibile; problema che il Tribunale superiore 
ha deliberatamente omesso di affrontare perch� J:lon necessario ai fini del 
decidere. 

Sul tema dei laghi e delle spiagge lacuali, cfr. in dottrina, ZECCA, Fiumi e 
Laghi (dir. amm.), in Enciclopedia del diritto, iMiJano, �1%8, XVII, pag. 686 e 696s.
s.; MARZANO, In tema di delimitazione dei l(Jghi demdniali e delle spiagge, 
in questa Rassegna, 1965, I, 830; SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 
Napoli, 11969, .pag. 459; e, .in giurisprudenza, Trib. sup. acqua, 8 giugno 1965, n. 14~ 
in Giust. civ., 1965, I, 2117 e in questa Rassegna, 1965, I, 830. 

Sulla regola del livello massimo della piena ordinaria quale criterio di delimitazione 
dell'alveo, cfr. Trib. sup. acque, lO ottobre 1977, n. 30, in Giust. civ. 
Rep., 1978, acque pubbliche priv. 3; Trib. sup. acque, 28 maggio 1977, n. 14, ivi,. 
1977, voce cit. 7; Cass., 29 marzo 1976, n. 1127, in Giur. it., 1977, I, 1, 472; Trib. 
sup. acque, 7 marzo 1974, n. 4, in questa .{?.assegna, 1974, I, 737. 

Sulla regola del livello delle acque di piena ordinaria all'altezza dello� 
sbocco, quale criterio di delimitazione dell'alveo del Jago, cfr. Trib. sup. acquer 
8 giugno 1965, n. 14, in questa Rassegna, 1965, I, 830; e sulla competenza dei 
tribunali delle acque in materia. di controversie concernenti la ricomprensione� 

o meno di zone di terreno nell'alveo, cfr. Trib. sup. acque, 30 giugno 1978, n. 22, 
in questa Rassegna, 1979, I, 336; Cass., 4 gennaio 1978 n. 13, ivi, 1978, I, 130 con. 
richiamo di altri precedenti; Trib. sup. acque, 16 marzo 1977, n. 7, in Cass. 
Giur. Enel, 1979, 131. 
P.V. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Secondo l'appellante, il Tribunale avrebbe dovuto, invece, ritenere 
valido il criterio seguito dal consulente tecnico d'ufficio, che ha determinato 
l'altezza di piena ordinaria in m. 65,07, sulla scorta del princ~pio 
adottato dal 1Serv:izio Idrografico Italiano, che si basa sul livello raggiunto 
nei tre quarti degli anni di osservazione. 

Nella comparsa conclusionale l'appellante svolge una serie di considerazioni 
volte a denunciare l'illegittimit� del d.m. 20 agosto 1948; ma si 
tratta di un motivo di gravame che viene ad aggiungersi a quelli tempestivamente 
dedotti di appello e che, pertanto, non pu� essere preso in 
esame. 

La sua irrilevanza �, pertanto, evidente giacch� -quale che sia propriamente 
l'oggetto e l'efficacia di tale decreto -� certo che il Tribunale 
regionale non vi si � affatto adeguato, ma � pervenuto per via autonoma 
all'identificazione della quota che segna il limite della zona demaniale del 
lago di Garda. Inoltre, questo Tribunale superiore ha in precedenti occasioni 
negato rilievo alla circostanza che nella specie non sia intervenuto 
il provvedimento prefettizio previsto dall'art. 3 del regolamento l0 dicembre 
1895, n. 726, la cui emanazione e la �ui mancanza -attesa la finalit� 
di tale provvedimento che attiene esclusivamente alla polizia idraulica non 
interferisce sulla competenza del giudice specializzato a stabilire il 
limite fra la propriet� demaniale e la propriet� privata, allorch� insorgono 
contestazioni al riguardo (cfr. Trib. sup., 8 giugno 1965, n. 14; nonch� 
Cass., 17 ottobre 1959, n. 2920). 

Se nella nozione giuridica di lago ricada anche la relativa spiaggia � 
problema che -come si � prima avvertito -� inutile affrontare ove si 
appuri in concreto che il terreno de quo soggiace al livello raggiunto dalle 
piene ordinarie del Garda: per vero, se a questo �ccertamento dovesse 
pervenirsi bisognerebbe coerentemente concludere che tale terreno fa 
parte a pieno� titolo dell'alveo del lago (cio� del perimetro dell'invaso che� 
ne contiene le acque la cui demanialit� � fuori discussione, trattandosi 
del pi� esteso lago italiano. 

' Questo Tribunale superiore ha gi� ritenuto che, ai. fini dell'identifica


zione dei limiti dell'alveo di un lago, possa farsi utilmente capo alla 

norma dell'art. 943 cod. civ., la quale -sebbene diretta principalmente 

ad escludere che i movimenti dell'acqua lacuale importino accessione a 

favore o a danno del proprietario del lago -consente tuttavia di desu


mere quali siano secondo il legislatore quei limiti e di determinare 

coerentemente l'ambito entro il quale va contenuta la propriet� del lago, 

sia esso demaniale o privato (cfr. Trib. sup., 8 giugno 1965, n. 14). 

Alla luce di questa premessa la citata decisione ha ritenuto che i pre


detti si identificano mediante il riferimento al livello naturale del lago, 

il quale � quello che il lago stesso raggiunge nelle sue piene ordinarie 

all'altezza dello sbocco, con il corollario che i terreni giacenti ad un livello 

inferiore costituiscono alveo del lago e ne seguono il regime giuridico. 


866 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il d.m. 20.agosto 1948 nel delimitare a fini di polizia idraulica i confini 

dell'alveo, ha .fissato a quota 65,59 sul livello del mare la linea della zona 

demaniale del Garda. 

La richiamata decisione di questo Tribunale superiore ha affermato 
la piena utilizzabilit� del criterio della quota per delimitare il bacino del 
lago, giacch� sulle sponde vi possono essere zone di terreno non permanentemente 
sommerse dalle acque, ma sicuramente invase e coperte nel 
corso e per effetto delle piene ordinarie, che come tali fanno parte del 
lago e ne condividono il carattere demaniale; e si � poi adeguato, giudicandola 
esattamente individuata, alla quota fissata nel decreto ministeriale. 


L'importanza di questo precedente non pu� essere disconosciuta 
(anche se l'appellante principale non si d� cura di discuterne le conclusioni); 
ma ci� non esclude che le indagini debbano essere qui ripetute al 
fine di stabilire se il terreno contestato sia posto al disotto o al di sopra 
della quota da assumere come limite dell'invaso. 

In proposito un dato � emerso dalla relazione del consulente tecnico 
d'ufficio e non ha formato oggetto di dibattito: ed � quello che riguarda 
la quota media del terreno de quo sul livello del mare, quota che va fissata 
a m. 65,10. 

A tale determinazione il consulente � pervenuto, operando una congrua 
serie di sondaggi e calcolando il cedimento del suolo per effetto dei 
rinterri artificiali, sicch�, anche in assenza di esplicite contestazioni, la 
predetta quota pu� assumersi come esattamente fissata. 

Tale quota � superiore a quella di m. 65, riportata, quale livello medio 
del lago di Garda, dalle carte dell'Istituto geografico militare e dell'Istituto 
idrografico della Marina. Ma questa indicazione non � significativa, 
e comunque non apporta un argomento decisivo, in considerazione degli 
scopi per i quali tali carte sono formate e dell'approssimazione alla quale 
i due Istituti si sono attenuti, rivelata dall'adozione di un� cifra tonda. 

Altrettanto insoddisfacente � il criterio postulato dal consulente d'uffido, 
che -sulla scorta della definizione di � piena ordinaria � accolta dal 
Servizio idrografico -si � riferito al livello superato od uguagliato dalle 
massime altezze annuali verificatesi nella sezione in tre quarti degli anni 
di osservazione. Per vero, a parte l'impressione, suscitata dal riferimento 
alla � sezione �, che la definizione si attagli con maggiore puntualit� alla 
piena ordinaria delle acque fluenti e a parte la pi� accentuata stabilit� 
tendenziale del livello di un lago, rispetto a quello di un fiume, specie 
quando si tratti di un lago di grandi dimensioni con emissario avente 
una portata relativamente modesta (qual'� il lago di Garda), l'obiezione 
che a questo criterio muovono le Amministrazioni statali appare ragionevole 
e degna di essere condivisa. Queste, infatti, mettono in luce come 
l'adozione di tale criterio -dotato di indubbia validit� sul piano statistico 
e, perci�, perfettamente rispondente agli scopi perseguiti dal Servizio 


PARm I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

idrografico -equivalga alla determinazione della quota dell'alveo al livello 
pi� basso raggiunto in 75 anni su 100, livello che perci� potrebbe essere 
stato superato fino a 74 volte. 

Ci� posto, se il livello di piena ordinaria, mentre esclude la rilevanza 
di eventi eccezionali, � quello raggiunto per effetto di fenomeni naturali 
rientranti nella norma; se il terreno de quo, nella sua conformazione e 
quota originaria di m. 65,10 sul livello del mare, risulta raggiunto e coperto 
dalle acque del lago, allorch� il livello di piena tocchi la misura di 

m. 1,02, considerato che lo zero dello Idrometro di Desenzano � pari a 
m. 64,08 sul livello del mare, la conclusione che se ne trae � quella che 
il predetto terreno deve considerarsi facente parte dell'alveo e, perci�, del 
demanio idrico. 
Per vero, i dati idrometrici allegati alla perizia di parte Vergine e 
relativi agli anni 1878-1947 (l'inizio della regolazione del lago con la diga 
di Salionze � del 1949), ove si neghi rilevanza ai dati degli anni 1915-18 
(nei quali furono operati interventi artificiali sul regime idraulico da parte 
del Genio militare), dimostrano che su 61 anni osservati le acque del 
lago hanno raggiunto il livello di m. 1,02 sullo zero idrometrico in 47 
anni, e cio� in oltre tre quarti degli anni di osservazione. Questo livello 
che � pari alla quota del terreno, non pu� dirsi straordinario, attesa anche 
la costante frequenza del suo verificarsi. 

La conclusione � convalida dai dati rilevati, secondo lo stesso con


sulente di parte, all'Idrometro di Peschiera (m. 64,03 sul livello del mare), 

posto che il livello di m. 1,07 (65,10-64,03) � stato raggiunto 44 volte su 

62 anni di osservazione. 

Ulteriore conferma si trae dalla tabella 1 allegata alla relazione del 

consulente d'ufficio, ove si attesta che il livello di m. 1,07 � stato raggiunto 

negli anni che vanno dal 1882 al 1948 (escludendo, per il motivo gi� spie


gato, gli anni 1915-18) 45 volte su 63 anni di osservazione. 

In definitiva, il terreno in contestazione, adiacente al lago di Garda, 
�ricade entro il perimetro dell'alveo, in quanto giace sicuramente al di 

sotto della quota di piena ordinaria, mentre non interessa l'ulteriore inda


gine diretta a stabilire se tale quota debba essere fissata specificamente 

a m. 65,59; e viene, altres�, meno l'esigenza di verificare se il predetto 

terreno costituisca spiaggia e se le spiagge lacuali appartengano al de


manio idrico. 

Gli ultimi due motivi dell'appello principale sono imperniati sull'asse


rito superamento della presunzione di demanialit� del terreno' de quo, 

siccome appartengono ab immemoraoili a privati, come dimostrerebbero 

la documentazione prodotta e le prove assunte. 

A queste generiche doglianze � agevole replica.re che: 1) secondo 
un'opinione largamente ricevuta l'istituto dell'immemorabile non trova 
spazio in materia di demanio naturale; 2) le risultanze probatorie -le 
quali, ove si eccettui l'atto notarile di acquisto, che � tuttavia soltanto 


868 

i RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

del 1885, si riferiscono ~d episodi svoltisi nell'ultimo cinquantennio non 
attestano affatto un possesso, da parte di privati, esercitato a partire 
da un'epoca della quale si sia perduto il ricordo. 

Pur volendo, infine, ammettere che si possa correttamente discutere 
in chiave di idoneit� dell'immemorabile a superare la presunzio:qe di demanialit�, 
questa, lungi dal risultare vinta, esce rafforzata dalle emergenze 
istruttorie relative alla natura paludosa del terreno de quo e alla 
caratteristica vegetazione lacustre, che vi si era spontaneamente impiantata, 
prima che ne fosse rialzato il livello mediante terra di riporto. E gli 
operati � imbonimenti � confermano ch_e veniva perseguito l'obiettivo di 
sottrarre il terreno alle ricorrenti invasioni da parte delle acque del lago. 

Con l'unico motivo dell'appello incidentale i Ministeri censurano l'integrale 
compensazione delle spese, disposta dalla sentenza impugnata, 
giudicando incongrua e contraddittoria la ragione giustificativa addotta 
dal Tribunale regionale a sostegno di tale statuizione. 

Anche questo gravame non pu� essere accolto', giacch� il riferimento 
alla peculiarit� della situazione controversia e alla natura delle questioni 
dibattute non merita le critiche che sul piano logico gli appellanti gli 
muovono, essendo manifesto che il Tribunale regionale non ha inteso 
affermare l'atipicit� della causa di accertamento della demanialit� idrica, 
ma sottolineare che la fattispecie esaminata presentava in fatto qualche 
connotato di incertezza, idoneo ad attribuire un'apparenza di fondatezza 
alla pretesa fatta valere dalla ricorrente, tanto � vero (si pu� aggiungere) 
che lo stesso consulente tecnico d'ufficio era pervenuto ad una conclusione 
che la convalidava. 

Neppure � esatto in via generale che la complessit� delle questioni 
risolte, lungi dal giustificare la compensazione, somministri un �ulteriore 
argomento per la condanna della parte soccombente, giacch� � del pari 
evidente che non si pu� confondere la difficolt� dei temi trattati, come 
criterio di commisurazione degli onorari, con le peculiarit� delle questioni 
dibattute, come dato caratteristico della controversia, suscettibile 
di ingenerare nella parte che la promuove un fumus boni iuris, poi rivelatosi, 
all'esito del giudizio, insussistente. 

Quanto alle spese del giudizio di appello, esse debbono porsi integralmente 
a carico dell'appellante principale, essendo uscita confermata la 
decisione di merito pronunciata dal Tribunale regionale, le cui argomentazioni 
avrebbero ben potuto sciogliere i dubbi nutriti dalla Vergine 
all'atto in cui introdusse la controversia (da ritenersi di valore indeterminato). 
(omissis) 



SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, ud. 13 marzo 1979, n. 669 -Pres. Clemente 
di S. Luca -Rel. Nardi -P. M. Lombardi (conf.). Rie. La Rocca. 

Procedimento penale. 

Parte �iVlile � Impugnazioni � Limiti. 

(Cod. proc. pen., artt. 23 e 195). 

La parte civile ha facolt� di impugnare la sentenza del giudice penale 
per i soli interessi civili, cio� solo per quanto attiene alle pretese di diritto 
privato che essa abbia fatto valere mediante l'esercizio dell'azione di cui 
all'art. 23 cod. proc. pen. e che, in tutto o in parte, non siano' state accolte; 
non pu�, invece, invadendo il campo riservato al P.M., proporre impugnazione 
contro le statuizioni che attengono alla penale responsabilit� dell'imputato, 
anche se l'impugnazione sia limitata alle conseguenze di carattere 
civile, cio� tenda ad ottenere un maggiore risarcimento. Alla stregua 
.di tale principio, la parte civile non pu� dolersi della qualificazione giuri.
dica del fatto, tanto pi� quando la formula adottata dal giudice non esclu.
da di per s� la riproposizione dell'azione civile nella sede competente (1). 

(1) La Suprema Corte � tassativa nel richiedere che la impugnazione della 
parte civile debba concernere direttamente ed esclusivamente i soli interessi 
dviii e nel dichiarare conseguentemente inammissibile l'impugnazione proposta 
contro statuizioni penali, dalla riforma delle quali la parte Givile pur tragga 
vantaggio. 
E' stato anche affermato che la scelta della formula assolutoria attiene 
.alla decisione sull'azione penale e la parte civile, nella persecuzione delle sue 
pretese ;privatistiche, non � legittimata a fare istanze al riguardo, in quanto non 
� necessaria alcuna pronunzia di annullamento o di riforma, relativa alla 
formula, per rimuovere gli ostacoli che il giudicato penale pu� frapporre 
a!Ja prosecuzione dell'azione riparatoria (Cass., 12 novembre 1974, n. 107, in Cass. 
Pen. Mass. Ann., 1976, p. 211). 

CORTE DI CASSAZIONE -Sez. II, 25 maggio 1979, n. 896 -Pres. De Pascalis 
-Rel. Patroni-Griffi -P. M. Pagliarulo (conf.). Rie. Leonardi. 

,Procedimento penale -Impugnazioni penali -Soggetti del diritto di 
impugnazione -Parte civile -Procedimento pretorile -Notificazione 
al PubbMco Ministero o al Procuratore della Repubblica -Esclusione. 


(Cod. proc. pen., art. 202). 

L'impugnazione della parte civile contro una sentenza del pretore non 
.deve essere notificata al Pubblico Ministero perch� presso la .Pretura non 



870 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� costituito un ufficio suo proprio, n� al procuratore della Repubblica, in 
quanto la facolt� concessa a tale organo di impugnare le sentenze del 
pretore non implica la qualit� di parte nel processo pretorile (1). 

(1) La sentenza risolve a favore della parte civile, gi� oberata, ove voglia 
proporre impugnazione, da termini brevissimi, un dubbio pi� che legittimo, 
visto che l'art. 202 cod. proc. pen. impone l'obbligo della notifica �alle altre 
parti� e visto che il P.M. � indubbiamente parte nel giudizio pretorile, anche 
se sfornito di un proprio ufficio. Dubbio tuttavia positivamente risolto dalla 
Suprema Corte, che ha evidentemente tenuto conto dell'inutilit� di una notifi� 
ca ad una parte che si dissolve con la fine del giudizio innanzi al P.retore. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 5 giugno 1980, n. 1119 -Pres. De Martino 
-Rel. Gambino -P. M. Valeri (conf.). Rie. Miggiano (avv. Di 
Tarsia). 

Procedimento penale -Impugnazione -Assoluzione perch� U fatto non 
costituisce reato -Richiesta di assoluzione con la formul� � perch� 
il fatto non � pr,eveduto dalla legge come reato � -Ammissibilit�. 
(Cod. proc. pen., artt. 190 e� 192). 

Reato -ObbMgo di denunzia di infortuni sul lavoro all'autorit� di P.S. Corpo 
nazionale dei vigili del fuoco � Applicabilit�. 

(D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 1, 9, 54 e 195). 
� ammissibile il ricorso per �Cassazione dell'imputato contro una sentenza 
di assoluzione con la formula � perch� il fatto non costituisce reato � 
per ottenere l'assoluzione con la formula �perch� il fatto non � preveduto 
dalla legge come reato � essendo questa pi� favorevole della 
prima '(1). 

(1) La sentenza � indubbiamente apprezzabile per la valutazione sostanziale 
dei diritti dell'imputato, valutazione che � stata il presupposto della 
dichiarazione di ammissibilit� del ricorso: il diritto dell'imputato a veder 
valutato il proprio comportamento come obbiettivamente conforme a legge 
contro una decisione che ha soltanto es�luso l'antigiuridicit� della sua azione 
per un motivo soggettivo va ben al di l� della tutela del mero jus libertatis 
e cordsponde ad un interesse sostanziale pi� alto, secondo principi tradotti 
in precise disposizioni legislative nel nostro codice di rito come quella, ben 
nota, di cui� all'art. 152 cod. proc. pen. (v., da ultimo, in questa Rassegna, 
1980, I, 873). 
La giurisprudenza ha, altre volte, limitato l'interesse all'impugnazione alla 
possibilit� di ottenere una utilit� pratica, un risultato cio� che gli consenta di 
evitare un pregiudizio ai propri diritti soggettivi di qualsiasi natura (Cass., 
9 marzo 1960, Fireo ed altri) con affermazioni quindi pi� restrittive di quelle 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PEN.ALE 871 

Al Corpo nazionale dei vigili del fuoco � applicabile la norma prevista 
dall'art. 54 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che impone l'obbligo della denuncia 
all'autorit� locale di P.S. di ogni infortunio sul lavoro che abbia 
come conseguenza la morte o l'inabilit� al lavoro per pi� di tre giorni, 
essendo il suddetto Corpo escluso soltanto dall'obbligo dell'assicurazione 
infortuni (2). 

(omissis) Va rilevato preliminarmente, per quanto riguarda l'ammissibilit� 
del ricorso, che l'imputato, assolto dalla contravvenzione a lui 
ascritta con la formula �perch� il fatto non costituisce reato� per carenza 
dell'elemento psicologico, ha interesse a ricorrere allo scopo di ottenere 
l'assoluzione con la formula �perch� il fatto non � preveduto dalla legge 
come reato �. Quest'ultima formula deve essere infatti considerata pi� 
favorevole dell'altra in quanto con essa viene riconosciuta la conformit� 
alla legge del comportamento dell'agente, mentre quella �perch� il fatto 
non costituisce reato � fa riferirr.iento ad un comportamento oggettivamente 
contrario alla legge, la cui antigiuridicit� viene esclusa unicamente 
per un motivo di carattere soggettivo. 

adottate nel -caso di specie in cui, pur se � evidente l'utilit� pratica in ordine 
alla pretesa risarcitoria civile che, dall'accoglimento del ricorso dell'imputato, 
potrebbe essere bloccata (art. 25 cod. proc. pen.), sembrerebbe che la Suprema 
Corte abbia fatto riferimento ad un interesse morale. 

L'applicabilit� dell'obbligo della denuncia degli infortuni sul lavoro al 
Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. 

(2) Nonostante il tentativo difensivo la Suprema Corte � andata in contrario 
avviso con una sentenza che, ispirata come sembra a ragioni di tutela 
sostanziale, appare difficilmente modificabile. 
Iil d.PJR. 1\124/65 intitolato �Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione 
obbligatoria contro gli infortuni ~ul lavoro e le malattie professionaili � all'art. 1 
disciplina le attivit� per le quali � prevista l'assicurazione e, dopo avere delineato 
nei primi due commi i caratteri di tali attivit�, contiene un lungo elenco 
dehle stesse. 

Ail n. 22 � previsto che �L'assicurazione � inoltre obbligatoria per ile persone 
che, nelle condizioni :previste dal presente titolo, siano addette a lavori 
per J'estinzione degli incendi, eccettuato il personale del Corpo nazionale dei 
vigili del fuoco �. e pertanto esplicitamente esoluso l'obWigo di assicurazione 
per hl personale in oggetto. 

L'art. 54 (sempre del titolo I) disciplina invece il'obbJigo di denuncia degli 
infortuni sul lavoro e detta testualmente: � Il datore di lavoro, anche se non 
soggetto ag1i obblighi del presente Ht�lo, deve, nel term~ne di due giorni, 
dare notizia all'autorit� locaile di .P.S. di ogni infortunio sul lavoro che abbia 
per conseguenza la morte o l'inabilit� al lavoro per pi� di tre giorni �. 

L'articolo 9 a sua volta stabilisce che: � I datori di lavoro (soggetti alle 
disposizioni del presente titolo C/I) sono le persone e gli enti privati o pubblici 
compresi lo Stato e gli Enti locali che, nell'esercizio delle attivit� previste 



RASSEGNA DELL'AWOCATVRA DELLO STAT�'. 

Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia affermato il 
principio che anche per gli infortuni sul lavoro degli appartenenti al Corpo 
nazionale dei vigili del fuoco deve essere effettuata la denunzia all'autorit� 
locale di pubblica �sicurezza prevista dal primo comma dell'art. 54 del 
testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli 
infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con d.P.R. 30 giugno 
1965, n. 1124. Assume al riguardo, ponendo a confronto fra di loro 
l'art. 9 e l'art. 54 del suddetto testo unico, che vi sono tre categorie di 
datori di lavoro, quelli soggetti all'obbligo di assicurazione contro gli infortuni 
sul lavoro e le malattie professionali, quelli soggetti alle disposizioni 
del primo titolo del testo unico ma non all'obbligo dell'assicurazione 
ed infine quelli non soggetti neppure a tali disposizioni. In quest'ultima 
categoria rientrerebbe lo Stato per quanto riguarda il Corpo nazionale 
dei vigili del fuoco cosicch� non vi sarebbe alcun obbligo di denunziare 
gli infortuni sul lavoro subiti dagli appartenenti al Corpo stesso 
all'autorit� locale di pubblica sicurezza, a norma del primo comma dell'art. 
54 del testo unico. 

L'assunto non � fondato poich� i datori di lavoro soggetti alle disposizioni 
del primo titolo del testo unico, dei quali si parla nel primo 
comma dell'art. 9, si identificano con i datori di lavoro soggetti all'obbligo 
dell'assicurazione, come risulta chiaramente dai successivi artt. 12 e 20. 

dall'art. 1 occupano persone tra quelle indicate nell'art. 4 � (quest'ultimo prevede 
le categorie di lavoratori compresi nell'assicurazione). 

Il pretore, nella sentenza impugnata, aveva affermato che l'art. 54 individua 
una categoria di destinatari de1l'obbligo di denuncia molto pi� ampia di quella 
dell'art. 1, perch� la norma impone l'obbligo a �tutti� i datori di lavoro, 
anche a quelli non tenuti ad assicurare i propri d1pendenti contro gli infortuni 
sul ilavoro. Ci� sarebbe confermato daLI'ultimo comma dell'art. 54, il quale, 
affermando che �Per i datori di lavoro soggetti all'obbligo dell'assicurazione 
fa denuncia deve essere fatta secondo un modulo stabilito dal Ministero �del 
Lavoro e della Previdenza Sociale >>, dimostrerebbe implicitamente che vi sono 
altri datori di favoro i quali, ancorch� non soggetti ai1I'obbligo dell'assicurazione, 
sarebbero per� tenuti a denunciare gli infortuni, anche se possono usare moduli 
differenti per effettuare la denuncia. 

L'affermazione del pretore �, come si vede, un po' semplicistica, perch� 
il problema consisteva proprio nell'esaminare se nella locuzione � soggetti alle 
disposizioni della legge � usata nell'art. 9 e che il primo giudice ha totalmente 
ignorato potesse esservi spazio per affermare che a taluni datori di lavoro 
la legge, � nella sua totalit� '" non poteva essere applicata. 

Il dubbio, in realt�, era . abbastanza fondato poich� l'art. !J fa riferimento 
� alle persone indicate nell'art. 4 � e questa norma non prevede esplicitamente 
il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. 

La Suprema Corte tuttavia ha statuito altrimenti, condividendo probabilmente 
-anche se non lo dice -l'affermazione pretorile sulla necessit� della 
denuncia in funzione di una sorta di controllo sull'applicazione della normativa 
antiinfortunistica. 

PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE !. 

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PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 873 

Non esistono pertanto le tre categorie indicate dal ricorrente, ma. ne 
esistono soltanto due, quella dei datori di lavoro soggetti all'obbligo 
dell'assicurazione e quella dei datori di lavoro non soggetti a tale obbligo. 
Di conseguen:z;a, il primo comma dell'art. 54 del testo unico non pu� . 
essere interpretato se non nel senso che alla denunzia all'autorit� locale 
di pubblica sicurezza, nel termine di due giorni, di ogni infortunio sul 
lavoro che abbia per conseguenza la morte o l'invalidit� al lavoro per 
pi� di tre giorni sono tenuti tutti i datori di lavoro per qualsiasi tipo 
di attivit� lavorativa, comprese quelle per le quali non � prevista l'assi<:
urazione obbligatoria, come � per il personale del Corpo nazionale dei 
vigili del fuoco (art. 1 n. 22 del testo unico). Non appare quindi conforme 
alla legge la prassi invocata dal ricorrente, secondo la quale per gli infor


tuni sul lavoro subiti dagli appartenenti al suddetto Corpo non sarebbe 
stata mai fatta la denunzia in questione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE -Sez. VI, 3 luglio 1979, n. 1306 -Pres. Tafuri -, 
Rel. Marvasi -P. M. Capecelatro (conf.). Rie. Spassa ed altro. 

Procedimento penale � Impugnazioni penali -Cassazione -Declaratoria 

immediata dii cause di non pW11ibiMt�, di improcedibilit�, 'di estin


zione del reato o della :pena -Evidenza della non colpevolezza � 

Requisiti. 

(Cod. proc. pen., artt. 152, secondo comma, e 524). 

La normativa dettata dall'art. 152 cpv. cod. pen., � espressa in termini 
tassativi, esigendo che l'evidenza della non colpevolezza, anche se non 
debba essere di tale portata da scaturire immediatamente dagli atti, deve 
tuttavia essere di facile ed agevole acquisizione, senza che si richieda 

(1) La giurisprudenza della Suprema Corte aveva gi�, ancor prima della 
sentenza della Cort~ costituzionale n. 5 del 16 gennaio 1975 che ha sostan.
zialmente esteso il campo d'applicazione dell'art. 152, secondo comma, cod. 
proc. pen. (ritenendo che il proscioglimento in merito dovesse essere concesso 
anche quando manchi del tutto la prova che l'imputato ha commesso 
il fatto: v. I giudizi di costituzionalit� e il contenzioso dello Stato negli 
anni 1971, 1975, vol. III, p. 890), affermato che la disposizione normativa in 
esame non era incompatibile con una approfondita discussione delle prove 
gi� acquisite e quindi con l'esame delle stesse da farsi � in dibattimento e 
non in sede di atti preliminari�, unico limite essendo costituito, in presenza 
di una causa estintiva del reato, dal divieto di assunzione di nuove prove 
(v. Cass., 8 giugno 1960, Norda ed altri e contra: Cass., 13 maggio 1946, Hencher, 
entrambe citate in commento all'art. 152 cod. proc. pen., in Codice di procedura 
penale commentato. Iandi Sapi). L'orientamento della Cassazione dovrebbe 
ormai decisamente prevalere nel senso della massima. � 
Per quanto concerne i poteri della Cassazione in sede di impugnazione 
della sentenza che abbia applicato il primo anzich� il secondo comma del




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'opportunit� e la necessit� di nuove indagini. Ci� vale in ogni stato e 
grado del procedimento, nel giudizio di merito ed in quello di cassa� 
zione (1). 

l'art. 152 cod. proc. pen., � stato prevalentemente sostenuto che la sentenza 
impugnata non pu� essere sindacata sotto il profiJo del difetto di motivazione. 
Ci� perch� -secondo questa giurisprudenza -se fosse accolta la 
censura, ne deriverebbe la necessit� di un annullamento con rinvio il quale 
� incompatibile con il sistema adottato dal legislatore, secondo cui non pu� 
ritardarsi l'applicazione della causa estintiva del reato e si ha l'obbligo della 
immediata declaratoria di essa, a meno che non risulti e:vidente la prova della 
insussistenza del fatto o dell'innocenza dell'imputato ovvero non manchi del 
tutto la prova che l'imputato abbia commesso il fatto. Pertanto in caso di 
ricorso contro una sentenza del giudice di merito che abbia applicato una 
causa estintiva del reato, la Corte di cassazione pu� solo esaminare se ricorra 
una delle ipotesi previste dal comma 2� dell'art. 152 c.p.p., attraverso l'esclusivo 
controllo della motivazione della sentenza impugnata, cio� valutando gli stessi 
elementi di fatto esaminati dai giudici di merito, per annullare senza rinvio 
la sentenza impugnata e pronunciare l'assoluzione dell'imputato con formula 
piena in caso affermativo. (Cass., 4 marzo 1977, n. 706, in Cass. Pen. Mass. Ann., 
1978, p. 723; 22 aprile 1975, p. 418 e sentenze ivi richiamate). Questa giurisprudenza 
� peraltro contrastata da un indirizzo minoritario (Cass., 21 giugno 1972, 

n. 448, in Cass. Pen. Mass. Annn., 1974, p. 338) e da parte della dottrina (AMODIO, 
in Enciclopedia dir., voce Motivazione sentenza penale, p. 222-223) ed in effetti 
sembrerebbe che l'affermazione della Suprema Corte sia eccessivamente severa, 
sia con riferimento al testo della norma che impone soltanto di non assumere 
prove nuove, sia in riferimento al dovere del giudice di motivare i provvedimenti, 
come nota l'AMODIO (op. loc. cit.). 
PRETURA DI ROMA, Sez. IV, 30 ottobre 1980, n. 14976 -Pret. VardaroReali 
(avv. Stato Di Tarsia). 

Reato -Omissione d'atti d'ufficio � Dolo generico -Si identifica con la 
coscienza di viiolare l'obbligo. 
(Cod. pen., artt. 2, 43 e 328). 

Per il reato di omissione di atti d'ufficio non � richiesto alcun dolo 
specifico: � cio� sufficiente che l'agente consapevolmente ometta o ritardi 
l'atto, il che comporta: la conoscenza dell'obbligo di compiere un determinato 
atto; la consapevolezza che l'adempimento dell'obbligo non trova 
impedimento n� nella legge n� nell'ordine dell'autorit� superiore; la volont�, 
non necessariamente diretta ad uno specifico scopo, e quindi pi� 
esattamente qualificabile come coscienza, di violare l'9bbligo (1). 

Un 
reato d'omissione d'atti d'ufficio colposo o addirittura contravvenzionale. 


(1) A leggere questa sentenza, c'� da domandarsi se il legislatore abbia 
per caso previsto anche il reato di omissioni d'atti d'ufficio colposo o se sia 
lecito fare un tutt'uno degli articoli 42 e 43 del codice penale. ! 
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PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRl:!DENZA PENALE 875 

(omissis) Con nota 18 luglio 1979 il procura'.tore della Repubblica di 
Rovereto trasmetteva a questo pretore copia di atti relativi al procedimento 
per adeguamento dell'assegno mensile tra Virti Bruna e Valcanover 
Renzo pendente dinanzi a quel tribunale. 

Da tali atti risultava che all'udienza del 17 gennaio 1979 il presidente 
del tribunale aveva disposto che venissero richieste al Ministero degli 
affari esteri informazioni relative all'ammontare degli emolumenti annui 
goduti dal 1972 da Valcanover, assistente commerciale capo dipendente 
da quel Ministero, comprensivi sia dello stipendio che delle indennit� specia)
i; il procedimento era stato rinviato all'udienza dell'll aprile 1979. 

Con nota 19 gennaio 1979 erano state richieste al Ministero degli affari 
esteri le suddette notizie; era stato precisato il motivo della richiesta; 
era stato fissato il termine (�entro la fine di marzo 1979 �) nel quale le 
notizie sarebbero dovute pervenire al presidente del tribunale. 

All'udienza dell'll aprile 1979 il procedimento era stato rinviato a 
quella del 18 luglio 1979. 

In tale data, non essendo ancora pervenuta risposta alcuna alla 
richiesta in data 19 gennaio 1979, il giudice istruttore aveva disposto che 
venisse inviato un sollecito al Ministero per gli affari esteri e che copia 
del verbale venisse trasmessa al P.M. per quanto di sua competenza in 
ordine alla omissione ingiustificata di atti di ufficio. 

Con nota 18 luglio 1979 il presidente del tribunale aveva sollecitato 
al Ministero degli affari esteri la risposta alla precedente nota che veniva 
integralmente riportata. 

Con nota 10 novembre 1979 il pretore di Roma chiedeva al direttore 
generale del personale presso il Ministero degli affari esteri di far conoscere, 
al fine di procedere eventualmente per il reato di cui all'art. 328 
cod. pen., i motivi della omissione, Ja data in cui era stata fornita la 
risposta al presidente del tribunale di Rovereto, nonch� le complete 
generalit� del funzionario o dei funzionari � responsabili del servizio �. 

Si prescinde in questa sede dalla valutazione degli errori di fatto in cui 
� caduto� il giudicante, poich� interessa soltanto esaminare se il decorso di 
dieci mesi fra la richiesta del Tribunale e la risposta del Ministero possa 
di� per s�, alla luce delle norme che dovevano essere applicate, far configurare 
un reato di omissione d'atti d'ufficio, delitto punibile come � noto soltanto 
se commesso con dolo (art. 42, secondo commfi, cod. pen.). Poich� � proprio 
questo il punto: dato e non .. concesso che sia esatta la ricostruzione storica 
dei fatti, il Pretore ha disinvoltamente concluso, come si legge nella� motivazione 
che non vi sono dubbi sulla sussistenza del dolo in quanto, non essendo 
necessario il dolo specifico, bastava, per la sussistenza delil:'elemento psicologico 
richiesto dalla legge, la volont�, pi� esattamente quaLificabiJe come 
coscienza, di violare l'obbligo (sic!). rsastano queste rc1Uermazioni per riconoscere 
che la sentenza � criticabile per i gravi errori di diritto in cui � caduta, 
ignorando interi caposaldi del nostro ordinamento penale: quando infatti 
l'art. 42 cod. pen. stabilisce che nessuno pu� essere punito per un'azione 
od omissione preveduta dalla legge come reato se non l'ha commessa con 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA 'DELLO STATO�

876 

Con nota 6 dicembre 1979 il direttore generale del personale e dell'amministrazione 
del Ministero affari esteri faceva conoscere che i dati 
richiesti erano stati forniti al tribunale di Rovereto � solo in data novembre 
�; che il competente ufficio XII della D.G.P.A. era stato costretto 
a procedere allo spoglio di numerose e ponderose raccolte di documentazione 
nello sforzo di recuperare, sparse o isolate, e singole carte afferenti 
al caso di cui trattasi; che al personale incaricato e responsabile di tali 
ricerche era stata imposta �una attivit� estremamente protratta e anche 
fisicamente onerosa�, tanto da costringerli a rivolgersi all'archivio della 
Ragioneria centrale per rintracciare �larghe parti del carteggio stesso�; 
che tutto ci� era stato complicato da �ragioni di tecnica archivistica�; 
seguiva l'elenco del personale in servizio �alla data attuale� presso 
� l'ufficio in argomento con incarichi di gestione per il settore che qui 
interessa (quello delle indennit� personali di servizio all'estero) �. 

A seguit� di ulteriore richiesta del pretore la DGPA precisava che 
la risposta al tribunale di Rovereto era stata fornita con telegramma 
29 novembre 1979 e che la documentazione richiesta era stata inviata con 
nota 4 dicembre 1979 (entrambe quindi successive alla nota 10 novembre 
1979 con la quale il pretore informava del procedimento penale in 
corso); inoltre, che il personale effettivamente e continuativamente in 
servizio presso l'ufficio responsabile dal gennaio al dicembre 1979 si riduceva 
(per vari motivi che portavano ad escludere tutti gli altri dipendenti) 
al cancelliere Alfredo Reali, che era stato gi� espressamente indicato 
come �responsabile del reparto�, ed alla coadiutrice Enza Palesati. 

Il Reali e la Palesati venivano pertanto imputati come in epigrafe. 

All'odierno dibattimento il Reali affermava che all'epoca della richie


sta da parte del tribunale di Rovereto egli non era addetto all'ammini


strazione della Grecia (il Valcanover era stato indicato come assistente 

commerciale in servizio all'ambasciata d'Italia in Atene) bens� dell'Au


stralia, Brasile, Canada, Eritrea ed Etiopia; che pertanto non sapeva spie-

coscienza e volont�, dice una cosa di fondamentale importanza, ma che sta 
a monte ed � profondamente diversa da quelle specificazioni dell'elemento 
psicologico del reato che vanno sotto il nome di dolo, di preterintenzione e 
di colpa (art. 43 cod. pen.). Stabilisce cio� l'art. 42 �semplicemente ed esclusivamente 
� che in ogni reato vi deve essere necessariamente il nesso psichico 
cio�, come si esprimeva l'ANTOLISEI (Manuale di dir. pen., parte generale, :1%3, 

n. 253) quell'attribuibilit� al volere, quella suitas, ch'� fattore indispensabile 
dell'elemento soggettivo del reato. Ma questo non basta, o meglio basterebbe 
se l'art. 42 contenesse il solo primo comma o se l'art. 43 non fosse mai 
stato scritto: come dire che la sentenza che. si annota sarebbe fedele ad 
un codice irriconoscibile come codice penale italiano, nel quale � invece 
anche statuito che nessuno pu� essere punito per un fatto preveduto dalla 
legge come delitto se non lo ha commesso con dolo, salvo le eccezioni espressamente 
previste. Ci� significa che il dolo � qualcosa di ulteriore e di diverso 
dalla coscienza e volont� del fatto, come del resto � fatto palese dalla norma 
di cui all'ultimo comma dell'art. 42 in cui, avendo il legislatore statuito l'indif� 

PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 877 

gare perch� il Direttore Generale de.I Personale lo avesse .indicato come 
funzionario responsabile del reparto, che comunque. aveva avuto notizia 
della richiesta del tribunale di Rovereto solo nel novembre 1979 (confermando 
peraltro di avere prestato continuativamente servizio quale cancelliere 
contabile presso l'ufficio XII della DGPA nel corso del 1979, ad� 
eccezione del periodo feriale ordinario fruito dal 17 agosto al 10 settembre); 
che nel novembre 1979 aveva predisposto la nota di risposta al 
tribunale di Rovereto collaborando� alla ricerca dei dati ed alla formazione 
del prospetto contabile (precisando che la funzione del cancelliere 
nel MAE consiste appunto ne1la ricerca dei dati e nella presdisposizione 
delle. risposte che vengono poi firmate dal direttore dell'ufficio); concludeva 
poi accennando alla scarsezza di personale ed alla complessit� dei 
dati richiesti dal tribunale e depositando alcuni documenti. 

Palesati Enza, premesso di avere prestato effettivamente servizio 
quale coadiutrice presso l'ufficio XII de,lla DGPA nel corso del 1979, sia 
pure con varie interruzioni dovute a concorsi e ad altre cause, affermava 
che nessuno le aveva mai richiesto di ricercare i dati occorrenti per fornire 
la risposta al tribunale di Rovereto, tanto che era venuta a cono� 
scenza di tutto l'episodio, e della stessa richiesta, solo a seguito della 
notifica del decreto di citazione a giudizio dinanzi al pretore. Confermava 
peraltro che il Reali aveva prestato servizio ininterrotto nel corso dell'anno 
1979 presso lo stesso ufficio XII della DGPA che avrebbe dovuto 
fornire la risposta, con il compito, tra l'altro, di controllare ed organizzare 
tecnicamente il lavoro del personale dipendente. 

Perugini Emiliano, teste a discarico, premesso di essere addetto alla 
apertura di tutta la cor'rispondenza diretta al MAE, e presa visione della 
copia della nota del tribunale di Rovereto in data 9 gennaio 1979 depositata 
dal difensore, affermava che i numeri di codice apposti in alto 
sotto la dicitura �raccomandata� (entrambe le note erano� state infatti 

ferenza della forma della volont� colpevole nelle contravvenzioni, ha richiesto 
� azione od omissione cosciente e volontaria "� � evidente pertanto l'allarmante 
scardinamento dei principi contenuto nell'affermazione di chi qualifica 
il dolo come mera coscienza di violare l'obbligo penalmente sanzionato: e il 
momento volitivo, cos� tipicamente caratterizzante il dolo, inteso come sforzo 
del volere diretto alla realizzazione del fatto che il reo si � previamente 
rappresentato, sicch� deve necessariamente affermarsi che il dolo comprende 
s� la suitas (la coscienza e la volont� che per il pretore bastano) �ma soltanto 
come il pi� comprende il meno>>, dove va a finire? In sostanza, cos� 
motivando, si finisce col punire un delitto, come se si trattasse di una 
contravvenzione. 

Altrettanto grave � un altro, implicito errore contenuto nella sentenza, 
laddove si afferma che, non richiedendosi dolo specifico e cio� una volont� 
diretta ad uno specifico scopo, basterebbe appunto la coscienza di violare 
l'obbligo, quasi che l'elemento intenzionale debba essere presente solo nel 
dolo specifico o quasi che il dolo generico non sia, anch'esso e soprattutto, 
volont� diretta a �realizzare il fatto-reato! In fondo, questo secondo errore 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

878 

spedite da Rovereto a mezzo raccomandata) stavano ad indicare la provenienza 
{ufficio giudiziario di Rovereto) e l'ufficio destinatario (emigrazione); 
non era in grado di chiarire se tale destinazione fosse stata apposta 
per errore. 

Infine il teste a discarico De Meo Michele, funzionario direttivo in 
servizio presso l'ufficio XII della DGPA, affermava che all'epoca non 
esisteva un protocollo particolare per la corrispondenza in arrivo all'ufficio 
XII, al quale essa veniva consegnata direttamente dal protocollo 
centrale; che, pur accadendo talora che una nota sia consegnata per errore 
ad un ufficio non competente a riceverla, questo provvede ad inviarla 
all'ufficio competente nel giro di pochi giorni; infine, che il trasferimento 
dell'ufficio XII in nuovi locali era stato operato nel 1979 ed aveva 
avuto termine nel febbraio di quell'anno. 

La richiesta del pretore forniva alcune indicazioni circa la identit� 
dei funzionari della DGPA le cui sigle apparivano su una nota pervenuta 
a tale Direzione Generale del Personale il 24 agosto 1979: con tale 
nota la D.G. dell'emigrazione trasmetteva copia della richiesta 18 luglio 
1979 del tribunale di Rovereto; un funzionario della D.G.P.A. aveva annotato 
su di essa che la nota doveva essere � riassegnata � all'ufficio XII; in 
alto era infatti annotato il nome del responsabile dell'ufficio che avrebbe 
dovuto fornire la risposta: � Reali �. 

Indi il P.M. ed il difensore concludevano come dal verbale. 

Al fine di accertare la sussistenza della penale respons�bilit� degli 
imputati occorre in primo luogo esaminare le argomentazfoni difensive 
opposte. 

Il Reali ha affermato che all'epoca della richiesta di notizie da parte 
del tribunale di Rovereto egli non era addetto alla � amministr�Zione � 
della Grecia bens� di altri paesi. 

Premesso che l'epoca cui si fa riferimento va dal gennaio 1979 (data 
della richiesta contenente anche la indicazione del termine entro il quale 
la risposta sarebbe dovuta pervenire) al novembre dello stesso anno (la 
risposta venne fornita, seppure in modo sommario, con telegramma in 
data 29 novembre), va subito rilevato che la obiezione, ancorch� fondata 
sulla esibizione di atti che sembrano formalmente convalidarla, � sostanzialmente 
priva di fondamento e di rilevanza; indipendentemente infatti 
dalla ripartizione interna del lavoro quale risultante dagli atti ufficiali, � 

non � che un aspetto della prima, fondamentale, distorsione dei princ1p1 
sopra richiamati e che purtuttavia sono chiaramente indicati dalla giurisprudenza 
della Suprema Corte che esattamente richiede, per la sussistenza del 
reato, che vi s~a il � venir meno intenzionalmente � ai doveri d'ufficio (Cass., 
11 marzo 1974, n. 1462, in Cass. Pen. Mass. Ann., 1974, p. 1105) e lo esclude, 
quando il ritardo sia riferibile a negligenza, trascuratezza o indolenza (Cass., 
16 gennaio 1978, n. 2704, m. 137665). 

PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE 

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B 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

rimasto provato con assoluta certezza che l'obbligo di fornire i dati richiesti 
al tribunale di Rovereto incombeva all'ufficio XII della DGPA; che 
presso tale ufficio solo il Reali e la Palesati hanno prestato continuativamente 
la loro opera nel periodo menzionato; che il Reali, in particolare, 
era responsabile del reparto che avrebbe dovuto fornire i dati necessari 
alla risposta, come si evince chiaramente sia dalla nota 6 dicembre 1979 
indirizzata al pretore di Roma, sia darle dichiarazioni degli imputati: il 
Reali ha infatti ammesso di avere predisposto la risposta sia pure nel 
novembre 1979, cosa che evidentemente non avrebbe fatto qualora non 
fosse spettato a lui farlo; ha chiarito che la funzione del cancelliere contabile 
presso il M.A.E. consiste appunto nella ricerca dei dati e nella 
predisposizione delle risposte; la Palesati ha poi confermato che al Reali 
spettava il compito di controllare ed organizzare tecnicamente il lavoro 
del restante personale; significativo poi � il fatto che in risposta alla 
richiesta del pretore, che chiedeva tra l'altro di indicare le generalit� dei 
funzionari responsabili della omissione, il direttore generale del personale 
e dell'amministrazione abbia segnalato senza mezzi termini il Reali 
quale �responsabile del reparto�; e che sulla copia della seconda nota 
proveniente dal tribunale di Rovereto, esibita al dibattimento dalla difesa, 
si legge la indicazione del Reali quale incaricato della risposta, risposta 
che venne poi fornita sulla base dei dati da costui raccolti. 

Il Reali ha poi affermato di aver avuto notizia della richiesta del 
Tribunale di Rovereto solo nel novembre 1979 e di essersi affrettato a 
predisporre la risposta. 

Anche tale obiezione non appare credibile. La nota del Tribunale di 
Rovereto venne spedita il 19 gennaio 1979 a mezzo raccomandata indirizzata 
al MAE, ail quale giunse puntualmente entro il gennaiio (come 
del resto sembra potersi rilevare anche dalla fotocopia prodotta dalla 
difesa al dibattimento); essa venne assegnata con il numero di codice 
� 099 �, corrispondente all'ufficio IX della DGEAS, da tale circostanza 
l'imputata vorrebbe far ritenere conseguentemente provato che gli ebbe 
conoscenza della richiesta solo 10 mesi dopo e che pertanto non avrebbe 
potuto fornire prima la risposta. 

Premesso che l'assegnazione all'ufficio suddetto potrebbe essere stata 
frutto di errore, ma potrebbe altres� essere conseguente a normative interne 
che al pretore non � dato di conoscere (le stesse teste Perugini, 
che pure � da anni addetto all'apertura della corrispondenza diretta al 
M.A.E., e cio� al protocollo centrale presso il Ministero, non � stato in 
grado di chiarirlo, o non ha ritenuto opportuno farlo; n� del resto sembra 
credibile una richiasta tanto chiaramente indicata quale era quella 
formulata dal tribunale di Rovereto che possa essere stata oggetto di 
errore di assegnazione, e ci�, si badi, per essere state consevutive: il che 
potrebbe indurre a credere che l'assegnazione all'ufficio IX del DGEAS 
non sia stata frutto di errore ma abbia invece corrisposto a direttive 


jlASSEQN{\ DEU,'AWOC,<\TURA, DE!},O SlhTO

880 

interne _precedenti, per le richieste di quel tipo,_ uno smistamento da 
-parte di un ufficio ai vari uffici competenti); .tanto premesso, e pur volendo 
accedere all'ipotesi dell'errore di assegnazione, tale circostanza 
non potrebbe comunque scagionare il Reali: va infatti rilevato che come 
avviene normalmente, e come � stato del 'resto oggi confermato dal teste 
a .discarico De Meo, qualora una nota venga consegnata per errore 
ad un ufficio non competente, questo provvede a farla pervenire a quello 
competente normalmente nel giro di pochi giorni: n� la circostanza che 
all'epoca non esistesse un protocollo particolare per l'ufficio VII della 
DGPA appare particolarmente significativa, dato che �essa non prova 
.assolutamente nulla segnatamente, non prova un fatto che sarebbe 
contrario a quanto normalmente accade, e che pertanto � lecito dare per 
scontato_ in difetto di prova contraria, e cio� che una nota diretta da un 
ufficio ad un altro nell'ambito del medesimo Ministero ed edificio non 
venga regolarmente recapitata in un termine pi� o meno breve. 

Ne consegu� che pu� ritenersi provato quanto segue: sia che l'assegnazione 
all'ufficio IX della DGEAS fosse avvenuta per errore, sia che 
fosse stata fatta a ragion veduta, la richiesta del Presidente del Tribunale 
di Rovereto pervenne all'ufficio competente a formulare la risposta 
(e cio� l'ufficio XII della DGPA, affidato, per il settore che ci interessa, 
alla responsabilit� del Reali) in tempo utile perch� il termine fissato 
(fine marzo 1979) fosse comodamente rispettato. 

Tale convincimento trova del resto definitiva conferma nella circostanza, 
risultante dagli atti, che la successiva nota del Tribunale di Rovereto, 
pur recando annotata la medesima assegnazione, pervenne alla 
DGPA il 24 agosto 1979; e su di essa venne posto l'appunto �riassegnare 
all'ufficio XII � (il che significa logicamente che gi� la prima richiesta 
era stata �assegnata� a tale ufficio) ed il nome del funzionario che avrebbe 
dovuto provvedere al �seguito del caso� (�Reali�). Tanto appare sufficiente 
a provare che pur senza voler tenere conto del fatto che nei mesi 
di luglio ed agosto gli uffici pubblici funzionano in modo anomalo rispetto 
ai periodi normali), nel giro di un mese o poco pi� la nota venne 
recapitata al destinatario competente. A questo punto si impone una 
ulteriore e significativa considerazione: il Reali riprese regolare servizio 
il 10 o 1'11 settembre 1979 e cio� quindici giorni dopo che la seconda 
richiesta era pervenuta alla DGPA e questa venne fornita dopo due mesi 
e mezzo (29 novembre 1979), e cio� solo dopo che il tribunale ebbe richiesta 
di notizie in data 10 novembre 1979, aveva reso noto che per i fatti era 
in corso un procedimento penale. 

Va invece rilevato che, nell'articolata risposta a tale nota pretorile, 
non vi � traccia delle presentazioni addotte dalla difesa: si fa appello alla 
presunta difficolt� delle ricerche necessarie ed alla scarsezza di personale, 
ma non si accenna minimamente ad errori di organizzazione e a 
responsabilit� da parte di altri uffici del Ministero: il giudicante non � 


PARTE I, SBZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

autorizzato a pensare che il Direttore Gen.erale <:!-bbia vol4to in tal modo 
coprire altri responsabili, e comunque tale ipotesi non sarebbe suffragata 
da alcuna prova. 

Va ipotizzata la consistenza delle giustificazioni addotte in ordine alla 
necessit� delle notizie richieste ed alla difficolt� delle ricerche necessarie: 
in proposito appare sufficiente rilevare che per fornire i dati richiesti 
non occorsero pi� di quindici giorni (e presumibilmente ne furono� 
ne�essari anche meno) se � vero che il lavoro di ricerca iniziata solo a 
seguito della nota del . Pretore, e che lo stesso Reali ha sostanzialmente 
ammesso di avere � avuto notizia � della richiesta solo nel novembre 
1979 e di essersi �affrettato� a fornire i dati richiesti. 

Va comunque rilevato che, qualora il ritardo (peraltro inammissibile, 
considerato che tra la nota del Tribunale e la risposta del MAE trascorsero, 
nonostante il sollecito di luglio, oltre dieci mesi) fosse dipeso 
dalle allegate difficolt� di ricerca, di ci� sarebbe stato doveroso informare 
in ogni caso l'organo richiedente nel termine da questo fissato. 

Tutte le considerazioni sopra riportate inducono il pretore a ritenere 
sufficientemente provata la reale responsabilit� del Reali, che omise di 
fornire la risposta (quale diretto responsabile del reparto noncI:i� incaricato 
del controllo e della organizzazione del lavoro nell'ufficio competente), 
pur essendone venuto a conoscenza in tempo e pur avendone 
ogni possibilit�, nel termine indicato chiaramente nella nota del Tribunale 
richiedente; che omise di fornire risposta alla nota di sollecito 
del luglio 1979, della quale venne sicuramente a conoscenza nella prima 
quindicina di settembre; che ritard� la risposta sino alla fine del novembre 
1979, e cio� sino a quando non apprese che nei suoi confronti era 
stato iniziato un procedimento penale. 

Quanto alla imputata Palesati, che pure prestava servizio nel medesimo 
ufficio alle dipendenze suddette che ha ammesso), e che stata indicata 
quale unica dipendente che avrebbe prestato servizio in maniera continua 
tra iil gennaio ed i1 novembre 1979 (cosa, questa, che esiste in archivio), 
ritiene il Pretore che nei suoi confronti non sia stata raggiunto fa prova 
complesa della colpevolezza: ed infatti ella ha dichiarato di non essere mai 
venuta a conoscenza della richiesta e delle conseguenze di essa sino alla notifica 
del decreto di citazione; di non essere mai stata richiesta di ricercare 
i dati occorrenti alla risposta; n� � in effetti risultato che ella abbia collaborato 
alla ricerca dei dati suddetti. 

Tali affermazioni non possono essere completamente ritenute infon


date, tenuto conto della posizione sostanzialmente subordinata della Pa


lesati nei confronti del Reali, il quale era in concreto responsabile del 

reparto: in altri termini, mentre nei confronti di quest'ultimo � stata 

raggiunta pienamente la prova della conoscenza delle richieste molto 

tempo prima che venisse fornita la risposta, e quindi della colpevolezza 

della omissione, non altrettanto pu� affermarsi nei confronti della Pa



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

lesati, quanto meno sotto il profilo strettamente probatorio, in quanto 
non � rimasto provato (pur essendo in concreto credibile) che ella avesse 
avuto conoscenza della richiesta del Tribunale di Rovereto dal Reali o 
da altri, n�, in ogni caso, che incombesse a lei la responsabilit� della 
risposta: pur non potendosi sottovalutare la circostanza che in effetti il 
Reali, qualora avesse delegato l'incarico di predisporre i dati necessari 
ad altro impiegato dell'ufficio, non avrebbe potuto rivolgersi ad altri che 
alla Palesati dato che. il restante personale risulta essere stato assegnato 
in epoche successive (maggio, luglio, ottobre 1979), ed aver prestato servizio 
in maniera discontinua e saltuaria. 

L'impossibilit� di approfondire le indagini su tali punti (dovuta anche 
alla comprensibile reticenza del Reali, al quale l'accertata corresponsabilit� 
della coimputata non avrebbe arrecato alcun vantaggio processuale) 
induce il Pretore a mandare assolta l'imputata con formula dubitativa. 

Va da ultimo evidenziato come l'accertata condotta integri in tutti 
gli elementi a carico del Reali il reato contestato. 

Questo si sostanzia nel comportamento del pubblico ufficiale o dell'incaricato 
del pubblico servizio che �indebitamente rifiuta, omette o 
ritarda un atto dell'ufficio o del servizio �. Nessun dubbio deriva dalla 
qualifica di cancelliere contabile dell'imputato. 

Analogamente � fuor di dubbio che la risposta alla richiesta di un 
ufficio giudiriario sia un atto di ufficio rientrante nella previsione della 
norma in esame. 

Tale atto � stato omesso in quanto non � stato campiuto nel termine 
assegnato; ed � stato ritardato in quanto non � stato compiuto a seguito 
del sollecito fatto pervenire dal Tribunale dopo la scadenza del termine 
originario, n� successivamente se non dopo che erano trascorsi alcuni 
mesi (ed era stata resa nota l'esistenza di un procedimento penale). 

Che l'omissione ed� il ritardo siano stati indebiti risulta dalla considerazione 
che il legislatore, nell'usare la locuzione � indebitamente �, � 
ha inteso soltanto significare �che il fatto non deve trovare alcuna giustificazione 
nella legge � in una disposizione dell'.autorit� � (Cass., 31 maggio 
1933, sino alla pi� recente giurisprudenza): nessuna legge vietava 
ovviamente di fornire i dati richiesti al Tribunale di Rovereto, n� � stato 
.addotto che tale divieto o comunque un qualsiasi ostacolo derivasse da 
una disposizione di altre autorit� o di superiori dell'imputato: le argomentazioni 
relative alla divisione interna del lavoro sono, come sopra � 
stato gi� analizzato, destituite di fondamento e prive di rilevanza. 

Quanto all'elemento intenzionale, v:a rilevato che il reato in esame 
non � richiesto alcun dolo specifico: � cio� sufficiente che l'agente consapevolmente 
ometta o ritardi l'atto, il che comporta: la conoscenza dell'obbligo 
di compiere un determinato atto; la conoscenza, nel caso di 
specie, del termine entro il quale tale atto deve essere compiuto; la consapevolezza 
che l'adempimento dell'obbligo non trova impedimento n� 

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PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

nella legge n� nell'ordine dell'autorit� superiore; la volont�, non necessariamente 
diretta ad uno specifico scopo, e quindi pi� esattamente qualificabile 
come coscienza, di violare l'obbligo omettendo di fornire la risposta 
nel termine fissato e ritardandola, nonostante il sollecito, indebitamente 
per alcuni mesi. 

Non appare fuor di luogo riportare di seguito la sostanza di alcune 
decisioni adottate al riguardo: per la sussistenza del reato previsto dall'art. 
328 � sufficiente il dolo generico (Cass., Sez. VI, 29 novembre 1%7, 
Guastadisegni) cio� la coscienza e la volont� di rifiutare, omettere e ritardare 
indebitamente l'atto che il pubblico ufficiale e l'incaricato di �un 
pubblico servizio sapeva di dover compiere (cos� MANZINI, trattato di Dir. 
Pen. Ital. ed ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale); in altre parole, occorre 
che il pubblico ufficiale non solo abbia la consapevolezza di omettere o 
ritardare un atto del proprio ufficio; ma abbia la consapevole volont�, 
cos� operando, di agire indebitamente, e cio� in violazione dei doveri 
impostigli dall'ordinamento giuridico (Cass., Sez. VI, 21 febbraio 1968, 
3 dicembre 1968, 14 gennaio 1969, 12 giugno 1969). 

Infine, e con particolare riferimento all'ipotesi di ritardo dell'atto, 
� sufficiente che tale ritardo sia intenzionale e illegittimo (cio� non trovi 
giustificazione nella legge e nelle disposizioni della pubblica autorit�) a 
nulla rilevando che l'atto compiuto tardivamente, in seguito ad un qualsiasi 
impulso esterno, produca i suoi effetti (Cass., Sez. VI, gennaio 1967, 
Cicchirillo). 

Va anche tenuto conto degli elementi indicati dall'art. 133 Cod. pen., e tra 
l'altro delle modalit� di previsione e del ritardo, della gravit�� del danno 
conseguente al reato, della intensit� del dolo (sia pure inteso nei termini 
come sopra specificati: il Reali non tenne alcun conto n� della prima 
richiesta, n� del termine ivi indicato, n� della seconda richiesta, sino a 
quando non apprese, presumibilmente, l'esistenza di un procedimento 
penale), pu� essere inflitta nella misura di mesi uno, giorni quindici di 
reclusione, ed aumentata, per il disposto di cui all'art. 81 C.p.v. Cod. pen. a 
mesi due di reclusione. 

Le spese del processo vanno poste a carico del condannato, al quale 
peraltro, ricorrendone i presupposti indicati dal legislatore, possono concedersi 
i benefici di cui agli artt. 163 segg., 175 codice penale. (omissis) 


PARTE SECONDA 



LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

R.d. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 86, primo comma. 
Sentenza 25 giugno 1980, n. 97, G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 

1egge lU agosto 1950, n. 648, art. 114, nella parte in cui prescrive, per 
la proposizione dei ricorsi in materia di pensioni, assegni o indennit� di 
guerra, da parte degli aventi diritto, il termine perentorio di novanta giorni 
dalla data di notificazione o consegna del provvedimento impugnato. 

Sentenza 25 giugno 1980, n. 97, G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 

d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, art. 3, primo comma, nella parte in cui 
non dispone che gli assegni . familiari, spettanti per i figli a carico, possano 
essere corrisposti in alternativa alla donna lavoratrice alle stesse condizioni 
e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore. 
Sentenza 7 luglio 1980, n. 105, G. U. 116 luglio 1980, n. 194. 

d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, art. 6, nella parte in cui non dispone che 
gli assegni familiari spettanti per il coniuge a carico possano essere corrisposti 
alla moglie lavoratrice alle stesse condizioni previste per il marito 
lavoratore. 
Sentenza 7 luglio 1980, n. 105, G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 

d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 102, ultimo comma. 
Sentenza 23 luglio 1980, n. 121, G. U. 30 luglio 1980, n. 208. 

legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 109, nella parte in cui prescrive, per 
la promozione di ricorsi in materia di pensioni, assegni o indennit� di guerra, 
da parte degli aventi diritto, al termine perentorio di novanta giorni dalla 
data di notificazione o consegne del provvedimento impugnato. 

Sentenza 25 giugno 1980, n. 97, G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 

legA}e,l.O dicembre 1971, n. 1204, art. 17, secondo comma, nella parte in cui 
non esclude dal computo dei sessanta giorni irmr1ectiatamente' antecedenti 
all'inizio del periodo di astensione obbligatorio dal lavoro l'assenza facoltativa 
non retribuita di cui la lavoratrice gestante abbia fruito in seguito ad una 
precedente maternit�, ai sensi dell'art. 7, primo e secondo comma, della 
stessa legge. 

Sentenza 7 luglio �1980, n. 106, G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 

legge 22 dicembre 1973, n. 841, art. 1, primo comma, nella parte in cui 
non assoggetta alla medesima proroga ivi prevista per i contratti gi� prorogati 
con il d.l. 24 luglio 1973, n. 426, come nella legge 4 agosto 1973, n. 495, 



108 

RA$SEGN'A DELL'AWOCATURA DELLO STA'l'O 

i contratti aventi gli stessi requisiti ed egualmente in corso alla data di 
entrata in vigore di tale decreto, ma non prorogati per suo effetto in ragione 
della loro scadenza successiva al 31 gennaio 1974. 

Sentenza 16 luglio 1980, n. 110, G. U. 23 luglio 1980, n. 201. 

d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, art. 116. 
Sentenza 25 giugno 1980, n. 97, G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

Codice civile, art. 155, terzo comma (artt. 3, primo comma, e 25, primo 
comma, della Costituzione). 

Sentenza 30 luglio 1980, n. 135, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 

codice penale, art. 164, secondo comma, n. 1, e ultimo comma (art. 3 
della Costituzione). 

I 

. Sentenza 30 luglio 1980, n. 133, G. U. 6 agosto 1980, Il. 215. 

d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1.229, art. 34 (art. 40 della Costituzione). 
Sentenza 23 luglio 1980, n. 125, G. U. 30 luglio 1980, n. 208. 
legge 23 ottobre 1960, n. 1196, art. 74 (artt. 3 e 40 della Costituzione). 
Sentenza 23 luglio 1980, n. 125, G. U. 30 luglio 1980, n. 208. 

legge 26 febbraio 1963, n. 329, art. 2 (artt. 3 e 29 della Costituzione). 
Sentenza 7 luglio 1980, n. 105, G. U. 16 luglio 11980, n. 194. 

legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 15, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Sentenza 30 luglio 1980, n. 140, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 

legge 26 novembre 1969, n. 833, art. 1 [modif. da d.I. 26 ottobre 1970, 

n. 745, art. 56, conv. in legge 18 dicembre 1970, n. 1034] (art. 3 della 
Costituzion�). 
Sentenza 23 luglio 1980, n. 120, G. U. 30 luglio 1980, n. 208. 

legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 6 (artt. 2, 3, 13 e 41, secondo comma, 
della Costituzione). 

Sentenza 25 giugno 1980, n. 99, G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 

legge 30 dicembr.e 1971, .n. 1204, a.rtt. 15 e 1_6 (artt. 3,. primo e. s.econdo 
comma, 31, secondo comma, e 37, primo comma, della Costituzione). 

Sentenza 7 luglio 1980, n. 106, G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 


PARTE' II, LEGISLAZIONE 

d.I. 5 novembre 1973, n. 660, �artt. 2, lettera a) e 6 [conv. in Jegge 
19 dicembre 1973, n. 823] �(art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 25 giugno 1980, n. 96, G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 

d.I. 5 '.novembre� 1973, n. 660, art. 6 [conv. con modif. in legge 19 di� 
cembre 1973, n. 823] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 23 luglio 1980, n. 119, G. U. 30 luglio 1980, n. 208. 

d.I. 19 giugno 1974, n. 236, art. l�bis, primo comma [conv. in legge 12� ago� 
sto 1974, n. 3511 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 16 luglio 1980, n. 111, G. U. 23 luglio 1980, n. 201. 

d.I. 25 giugno 1975, n. 255, art. 1 [conv. in legge 31 luglio 1975, n. 363] 
(art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 30 luglio 1980, n. 132, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 47, secondo comma, e 48, ultimo 
comma (artt. 3, primo e secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione). 


Sentenza 7 luglio 1980, n. 107, G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 79, secondo comma [sost. da legge 
12 gennaio 1977, n. 1, art. 121 (artt. 3 e 25, primo comma, della Costituzione). 


Sentenza 30 luglio 1980, n. 137, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 

d.I. 13 maggio 1976, n. 228, art. [conv. in legge 22 maggio 1976, 
n. 349] (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 30 luglio 1980, n. 132, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 

d.I. 11 ottobre 1976, n. 699, artt. 1, 2, 3 e 4 [conv. in legge 1 O no� 
vembre 1976, n. 797] (artt. 3, 4, 36, 38, 39, 45 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 30 luglio 1980, n. 142, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 

legge� 10 dicembre 1976, n. 797 (artt. 1, 3, 4, 23, 36, 39 e 53 della Costituzione). 


Sentenza 30 luglio 1980, n. 141, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 

d.I. 23 dicembre 1976, n. 849, art. 1 [conv. in legge 21 febbraio 1977, 
n. 281 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 30 luglio 1980, n. 132, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 

d.I. 1� febbraio 1977, n. 12, artt. 1, 2 e 3 [conv. in legge' 31 marzo'� 1977, 
n. 91 l (artt. 3, 4, 36, 38, 39, 45 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 30 luglio 1980, n. 142, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 


1.10 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.I. 1� febbraio 1977, n. 12, artt. 1, 2, 4 e 6 [conv. in legge 31 marzo 1977. 
n. 
91l (artt. l, 3, 4, 23, 36, 39 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 30 luglio 1980, n. 141, G. V. 6 agosto 1980, n. 215. 
d.I. 17 giugno 1977, n. 326, art. 1, secondo comma [conv. in legge 8 ago� 
sto 1977, n. 510] (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 30 luglio 1980, n. 132, G. V. 6 agosto 1980, n. 215. 

legge 8 agosto 1977, n. 513, artt. 27, secondo comma, e 28 (art. 3 della 
Costituzione). 

Sentenza 23 luglio 1980, n. 122, G. V. 30 luglio 1980, n. 208. 

d.I. 28 ottobre 1977, n. 778, art. 1, secondo comma [conv. in legge 
23 dicembre 1977, n. 928] (art. 3 della Costituzione). 
(Sentenza 30 luglio 1980, n.. 132, G. V. 6 agosto .1980, n. 215. 

d.I. 30 marzo 1978, n. 77, art. 1, secondo comma [conv. In legge 24 maggio 
1978, n. 220] (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 30 luglio 1980, n. 132, G. V. 6 agosto 1980, n. 215. 

legge 26 maggio 1978, n. 215, art. 1, primo e terzo comma (artt. 1, 2, 3, 4 
primo comma, 35, 36, primo comma, e 41. secondo comma, della Costituzione)'. 

Sentenza 30 luglio 1980, n. 143, G. V. 6 agosto 1980, n. 215. 

III -QUESTIONI PROPOSTE 

Codice civile art. 252, ultimo comma (artt. 2, 3 e 30 della Costituzione). 
Tribunale per i minorenni di Firenze, ordinanza 22 aprile 1977, n. 412/1980, 

G. V. 16 luglio 1980, n. 194. 
codice civile, art. 751 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Tribunale di Napoli, ordinanza 7 gennaio 1980, n. 479, G. V. 17 settembre 1980, 


n. 256. 
codice civile, art. 1595 (art. 24 della Costituzione). 
Tribunale di Asti, ordinanza 30 aprile 1980, n. 579, G. V. 29 ottobre 1980, 


n. 298. 
codice civile, art. 1901, seco11do comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 15 febbraio 1980, n. 444, G. V. 6 agosto 1980, 

n. 215. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

codice civile, art. 1901, secondo e terzo comma (artt. 3 e 42, secondo 
comma, della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 5 febbraio 1980, n. 480, G. U. 17 settembre 1980, 

n. 256. 
codice civile, art. 2096, terzo e quarto comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). 


Pretore di Milano, ordinanza 21 febbraio 1980, n. 420, G. U. 3 settembre 1980, 

n. 242. 
codice civile, art. 2601 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 7 febbraio 1980, n. 477, G. U. 17 settembre 
1980, n. 256. 

codice civile, artt. 2751 bis, n. 2, 2758, 2778, n. 7 (art. 53 della Costituzione). 


Giudice delegato del Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 14 maggio 1980, 

n. 521, G. U. 1� ottobre 1980, n. 270. 
codice civile, art. 2758 (art. 3 della Costituzione). 

Giudice delegato del Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 14 maggio 1980, 

n. 521, G. U. 1� ottobre 1980, n. 270. 
codice di procedura civile, art. 5 (artt. 25, primo comma, e 24, primo 
comma, della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 28 maggio ,1980, n. 568, G. U. 22 ottobre 1980, 

n. 291. 
codice di procedura civile, art. 513, n. 3 (artt. 3, primo comma, e 24, 
secondo comma, della Costituzione). 

Corte d'appello de l'Aquila, ordinanza 2 maggio 1980, n. 461, G. U. 27 agosto 
1980, n. 235. 

codice di procedura civile, art. 605, primo comma (art. 3 della Costituzione). 


Corte di cassazione, ordinanza 29 dicembre 1979, n. 562, G. U. 15 ottobre 
1980, n. 284. 

codice penale, art. 222 (artt. 2, 3, primo comma, 27, terzo comma e 32 
della Costituzione). 

Giudice istruttore del Tribunale di Milano, ordinanza 27 maggio 1980, 

n. 519, G. U. 24 settembre 1980, n. 263. 
codice penale, artt. 204, ultimo comma, 215 e 222 (artt. 3, 24 e 32 della 
Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 25 febbraio 1980, n. 367, G. U. 9 luglio 1980. 

n. 187. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA O.ELLO STATO 

codice penale, art. 366 (artt. 3, 8 e 19 della Costituzione). 

Pretore di Ragusa, ordinanza 27 marzo 1980, n. 463, G. U. 16 luglio 1980, 

n. 194. 
codice penale, art. 583, primo comma, n. 2 e secondo comma (artt. 3 e 24, 
della Costituzione). 

Pretore di Morbegno, ordinanza 15 maggio 1980, n. 498, G. U. 24 settebre 
1980, n. 263. 

codice penale, art. 688 (artt. 3 e 32 della Costituzione). 

Tribunale di Como, ordinanza 10 marzo 1980, n. 515, G. U. 10 settembre 1980, 

n. 
249. 
Pretore di Saronno, ordinanza 23 maggio 1980, n. 518, G. U. 17 settembre 1980, 
n. 256. 
codice di proc�dura penale, artt. 142 e 449 (artt. 2, parte prima, 8, 19, 
2, 3, primo e secondo comma, seconda parte, 24, primo e secondo comma, 
112 e intero titolo IV, parte II della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 19 maggio 1980, n. 508, G. U. 10 settembre 1980, 

n. 249. 
codice di procedura penale, art. 169, primo e quinto comma (art. 24, 
secondo comma, della Costituzione). 

Pretore di Piacenza, ordinanza 24 marzo 1980, n. 425, G. U. 16 luglio 1980, 

n. 194. 
codice di procedura penale, art. 323, ultimo comma (artt. 3, primo comma, 
e 24, secondo comma, della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 2 maggio 1980, n. 522, G. U. 1� ottobre 1980, 

n. 270. 
codice di procedura penale, art. 387 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 13 dicembre 1979, n. 469/1980, G. U. 3 settembre 
1980, n. 242. 

codice di procedura penale, art. 449 (artt. 3, 8, e 19 della Costituzine). 

Pretore di Ragusa, ordinanza 27 marzo 1980, .n. 463, G. U. 16 luglio 1980, 
Il. 194. 

codice di procedura penale, art. 512, n. 2 (artt. 3, primo comma, e 24, 
secondo comma, della Costituzione). 

Corte di Cassazione, ordinanza 7 novembre 1979, n. 526/1980, G. U. 1� ottobre 
1980, n. 270. 

codice penale militare di pace, art. 26 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale militare territoriale di Torino, ordinanza 19 marzo 1980, n. 361. 

G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 
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1: 

PARTI; II, I.pG,ISLAZIONE 
;J.13 

codice penale milit~re di pace, art. .189, pri~o comma (art. 3 della 
Costituzione). 

Tribumde militare territoriale di Padova, ordinanza 5 marzo 1980, n. 399, 

G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 
codice di procedura militare penale, art. 189 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale militare territoriale di Padova, ordinanza 22 febbraio 1980, n. 338, 

G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 
r.d. 17 novembre 1924, n. 2367, art. 130 (artt. 3 e 98 della Costituzione). 
Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 18 dicembre 1979, n. 342/1980, 

G. U. 2 luglio 1980; n. 180. 
Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 18 dicembre 1979, Il. 343/1980, 
G. U. i luglio 1980, n. 180. 
legge 5 luglio 1928, n. 1760, art. 11 (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di Rho, ordinanza 20 settembre 1979, n. 560/1980, G. U. 8 ottobre 1980, 
Il. 277. 

legqe 7 gennaio 1929, n. 4, art. 21, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 


Tribunale di Genova, ordinanza 10 marzo 1980, n. 499, G. U. 1� ottobre 1980, 
Il. 270. 

concordato 11 febbraio 1929 fra S. Sede e Stato Italiano art. 34, commi 
quarto, quinto e sesto immesso nell'ord. giur. italiano con legge 27 maggio 1929, 

n. 810, art. 1 e ripr. nella legge 27 maggio 1929, n. 847, art. 17l (artt. 2, 3, 7, 
24, 25, 101, 102 e 29 della Costituzione). 
Corte di appello di Milano, ordinanza 25 gennaio 1980, n. 527, G. U. 1 ottobre 
1980, n. 270. 
Corte d'appello di Milano, ordinanza 15 febbraio 1980, n. 419, G. U. 16 luglio 
1980, n. 194. 

r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731, art. 9 {art. 8, commi secondo e terzo, della Costituzione). 
Corte d'appello di Firenze, ordinanza 8 febbraio 1980, n. 374, ASO, G. U. 9 luglio 
1980, n. 187. 

r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, art. 10 Cmodif. da legge 24 luglio 1957, n. 633] 
(artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 13 maggio 1980, n. 468, G. U. 20 agosto 1980, 
Il. 228. 
Pretore di Roma, ordinanza 18 aprile 1980, n. 429, G. U. 20 agosto 1980, 

n. 
228. 
Pretore di Roma, ordinanza 18 aprile 1980, n. 452, G. U. 27 agosto 1980, n. 235. 
n. 235. 

114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

r.d. 18 giugno 1931, n. 773, art. 62 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Cortina d'Ampezzo, ordinanza 24 aprile 1980, n. 571, G. U. 22 ottobre 
1980, n. 291. 

r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 116 (art. 25, cpv., della Costituzione). 
Pretore di Omegna, ordinanza 29 maggio 1980, n. 491, G. U. 8 luglio 1980, 

n. 277. 
r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 116, n. 2 (artt. 25, secondo comma, 24, 
secondo comma, 13, 55 e seguenti, 70 e seguenti, 101 e seguenti, e 3 della Costituzione). 
Pretore di Nard�, ordinanza 16 febbraio 1980, n. 445, G. U. 6 agosto 1980, 

n. 215. 
r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 260 (artt. 32, 21 e 33 della Costituzione). 
Pretore di Alba, ordinanza 14 aprile 1980, n. 456, G. U. 13 agosto 1980, n. 222. 

legge 1 marzo 1938, n. 141, art. 1 e 25 (art. 47 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 20 febbraio 1980, n. 451, G. U. 6 agosto 1980, 

n. 215. 
legge 1 marzo 1938, n. 141, art. 25 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 20 febbraio 1980, n. 451, G. U. 6 agosto 1980, 

n. 215. 
r.d.I. 19 gennaio 1939, n. 295, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 
Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, ordinanza 11 gennaio 1980, n. 307, 

G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 
r.d.I. 14 aprile 1939, n. 636, tabelle A e B (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Brescia, ordinanza J.2 febbraio 1980, n. 317, G. U. 2 luglio 1980, 

n. 180. 
legge 1� giugno 1939, n. 1089, art. 21 (art. 42 della Costituzione). 

Tribunale di Catanzaro, ordinanza 26 maggio 1980, n. 402, G. U. 6 agosto 1980, 

n. 215. 
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legge 3 giugno 1940, n. 1078, artt. 6 e 1 (artt. 24 e 3 della Costituzione). �: 

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Tribunale di Civitavecchia, ordinanza 17 giugno 1980, n. 565, G. U. 8 ottobre 
1980, n. 277. 

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r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 20, 21, 22 (artt. 3, 36, 101, 104, 2 e 52 della 1:, 
~�:


Costituzione). ;::

i:: 

Giudice conciliatore di Casavatore, ordinanza 24 novembre 1979, n. 438/1980, ~:: 

G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 
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PARTE II, LEGISLAZIONE 
11f 

r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, artt. 21 e 24, secondo comma (artt. 3, 35, 101, 
107 e 108 della Costituzione). 
Giudice conciliatore di Genova, ordinanza 17 marzo 1980, n. 341, G. U. 9 luglio 
1980, n. 187. 

r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 34 (artt. 25, primo comma e 101, secondo 
comma, della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 26 marzo 1980, n. 591, G. U. 29 ottobre 1980, 

n. 298. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 201 (art. 24, primo comma, della Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanza 24 maggio 1980, n. 500, G. U. 10 settembre 
1980, n. 249. 

d.I. luogoten. 21 novembre 1945, n. 722, art. 3 (artt. 3, 29, secondo comma, 
e 37 della Costituzione). 
Corte dei Conti, sezioni riunite, ordinanza 23 gennaio 1980, n. 465, G. U. 20 agosto 
1980, n. 228. � 

d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 21 aprile 1980, n. 414, G. U. 9 luglio 1980, 

n. 187. 
d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 1 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Pozzuoli, ordinanza 7 marzo 1980, n. 352, G. U. 16 luglio 1980, 

n. 194. 
legge 8 aprile 1952, n. 212, art. 8 (artt. 3, 29, secondo comma, e 37 della 
Costituzione). 

Corte dei Conti, sezioni riunite, ordinanza 23 gennaio 1980, n. 465, G. U. 20 
agosto ,1980, n. 228. 

legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 15 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Parma, ordinanza 6 maggio 11980, n. 428, G. U. 23 luglio 1980, 

n. 201. 
legge prov. Bolzano 29 marzo 1954, 1n. 1, art. 30 [modif. da legge prov. Bol� 
:zano 25 dicembre 1959, n. 10, art. 36] (artt. 3, 42 e 44 della Costituzione). 

Tribunale di Bolzano, ordinanza 21 marzo 1980, n. 520, G. U. 8 ottobre 1980, 

n. 277. 
legge 20 dicembre 1954, n. 1181, art. 7 (artt. 3 e 98 della Costituzione). 

Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 18 dicembre 1979, n. 342/1980, 

G. U. 
2 luglio 1980, n. 180. 
Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 18 dicembre 1979, n. 342/1980, 
G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 

116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, artt. 3 e 6 (artt. 3, 29, 37 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Arezzo, ordinanza 8 aprile 1980, n. 373, G. U. 9 luglio 1980, 
n. 187. 
d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 24 (artt. 3, 25 e 70 della Costituzione). 
Tribunale di Siena, ordinanza 29 aprile 1980, n. 448, G. U. 20 agosto 1980, 

n. 228. 
legge 14 ottobre 1957, n. 1203, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Padova, ordinanza 20 maggio 11980, n. 504, G. U. 10 settembre 
1980, n. 249. 

legge 3 aprile 1958, n. 460, art. 32, comma quarto (art. 3 della Costituzione). 


Corte dei Conti, sezione terza giurisdizionale, ordinanza 11 giugno 1979, 

n. 401/1980, G. U. 30 luglio 1980, n. 208. 
d.P.R. 15 luglio l959, n. 343, art. 80, c:ommi nono e tredic:eslmo [modlf. da 
legge 14 febbraio 1974, n. 62, art. 21 (art. 3, comma primo, della Costituzione). 
Pretore di Mestre, ordinanza 14 febbraio 1980, n. 561, G. U. 15 ottobre 1980, 

n. 284. 
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 80, c:omml tredic:eslmo e qulndlc:eslmo, e 
94 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Chieri, ordinanza 18 marzo 1980, n. 457, G. U. 3 settembre 11980, 

n. 242. 
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 [modif. da legge 5 maggio 1976, 
n. 313, art. 51 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Avigliana, ordinanza 11 aprile 1980, n. 405, G. U. 6 agosto 1980, 

n. 
215. 
Pretore di Bressanone, ordinanza 10 aprile 1980, n. 422, G. U. 16 luglio 1980, 
n. 
194. 
Pretore di Pistoia, ordinanza 2 aprile 1980, n. 603, G. U. 8 ottobre 1980, 
n. 
277. 
Tribunale di Potenza, ordinanza 19 maggio 1980, n. 663, G. U. 8 ottobre 1980, 
n. 
277. 
Pretore di Iglesias, ordinanza 17 aprile 1980, n. 684, G. U. 8 ottobre 1980, 
n. 
277. 
Tribunale di Sassari, ordinanza 25 febbraio 1980, n. 589, G. U. 8 ottobre 1980, 
n. 
277. 
Tribunale di Napoli, ordinanza 11 febbraio 1980, n. 611, G. U. 8 ottobre 1980, 
n. 
277. 
Tribunale di Potenza, ordinanza 14 luglio 1980, n. 705, G. U. 8 ottobre 1980, 
n. 277. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 [modif. da legge 5 maggio 1976, 
n. 313, art. 5J (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Tribunale di Treviso, ordinanza 23 aprile 1980, n. 404, G. U. 6 agosto 1980, 

n. 215. 
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121 [modif. da legge 5 maggio 1976, 
n. 313, art. 5] (artt. 3 e 27, primo e terzo comma, dela Costituzione. 
Tribunale di Pisa, ordinanza 6 febbraio 1980, n. 581, G. V. 8 ottobre 1980, 

n. 277. 
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, terzo comma [modif. da legge 5 mag� 
gio 1976, n. 313, art. 5] ((art. 3, primo comma, della Costituzione). 
Pretore di Finale Ligure, ordinanza 25 settembre 1979, n. 450/1980, G. U. 
13 agosto 1980, n. 222. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 3.93, art. 121, terzo comma [modif. da legge 5 maggio 
1976, n. 313, art. 5] (artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione). 
Pretore di Palma di Montechiaro, ordinanza 23 gennaio 1980 ,n. 590, G. U. 8 
ottobre 1980, n. 277. 
Pretore di Voltri, ordinanze (trentuno) 14 dicembre 1979, nn. da 612 a 642/ 
1980, G. U. 8 ottobre 1980, n. 2~7. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121; terzo comma [modif. da legge 5 mag� 
gio 1976, n. ? art. 5] (artt. 3 e, 27 della Costituzione). 
Pretore di Belluno, ordinanza 5 febbraio 1980, n. 403, G. U. 27 agosto 1980, 

n. 235. 
d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 121, comma terzo, quqrta ipotesi (art. 3 
della Costituzione). 
Pretore di Iglesias, ordinanze (due) 21 febbraio 1980, nn. 417 e 418, G. V. 16 
luglio 1980, n. 194. 
Pretore di Iglesias, ordinanze (due) 13 marzo e 21 febbraio 1980, nn. 426 e 
427, G. V. 13 agosto 1980, n. 222. 

legge 23 ottobre 1960, n. 1349, artt. 1 e 2 (artt. 3 della Costituzione). 

Pretore di Chiusa, ordinanza 18 aprile 1980, n. 432, G. V. 30 luglio 1980, 

n. 208. 
d.p. giunta provinciale di Bolzano 7 febbraio 1962, n. 8, art. 30 (artt. 3, 42 e 44 
della Costituzione). 
Tribunale di Bolzano, ordinanza 21 marzo 1980, n. 520, G. U. 8 ottobre 1980, 

n. 277. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Reggio Emilia, ordinanza 27 febbraio 1980, n. 494, G. U. 1� ottobre 
1980, n. 270. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, leHera a) (art. 3 
della Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 25 marzo 1980, n. 337, G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 
Pretore di Lanciano, ordinanza 8 maggio 1980, n. 435, G.U. 16 luglio 1980, 

n. 
194. 
Pretore di Lanciano, ordinanza 8 maggio 1940, n. 434, G. U. 23 luglio 1980, 
n. 201. 
Pretore di Bergamo, ordinanza 2 maggio 1980, n. 516, G. U. 17 settembre 
1980, n. 256. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, comma secondo, lettera a) (artt. 3, 
5 e 38 della Costituzione). 

Tribunale di Salerno, ordinanza 29 aprile 1980,. n. 578, G. U. 29 ottobre 1980, 

n. 298. 
tegge 18 agosto 1962, n. 1357, art. 23, comma quarto (artt. 3, 38, comma 
secondo e 29, comma secondo, della Costituzione). 

Pretore di Genova, ordinanza 8 gennaio 1980, n. 377, G. U. 23 luglio 1980, 

n. 201. 
d.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525, art. unico, n. 51 (artt. 3 e 33 della Costi� 
tuzione). 
Tribunale di Avellino, ordinanza 13 maggio 1980, n. 471, G. U. 13 agosto 1980, 

n. 222. 
d.I. 23 ottobre 1964, n. 989, tabella A, punto 4, lettera HJ e punto 3, 
lettera IJ [conv. in le9ge 18 dicembre 1964, n. 1350] (artt. 3, primo comma e 32, 
primo comma, della Costituzione). 
Tribunale di Genova, ordinanze (tre) 21 aprile 1980, nn. 487, 488 e 489, 

G. U. 24 settembre 1980, n. 263. 
d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162, art. 76 (art. 3 della Costituzione). 
Corte di appello di Bologna, ordinanza 20 maggio 1980, n. 476, G. U. 3 set� 
tembre 1980, n. 242. 

Corte di appello di Torino, ordinanza 7 maggio 1980, n. 492, G. U. 24 settembre 
1980, n. 263. 

Corte di appello di Lecce, ordinanza 13 maggio 1980, n. 564, G. U. 15 ottobre 
1980, n. 284. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, n. 22 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanza 23 aprile 1980, n. 398, G. U. 30 luglio 1980, 

n. 208. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 3 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Macerata, ordinanza 29 maggio 1980, n. 573, G. U. 22 ottobre 
1980, n. ,291. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 11!f 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Tribunale di L'Aquila, ordinanza 4 giugno 1980, n. 563, G. U. 22 ottobre 
1980, n. 291. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 211 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Reggio Emilia, ordinanza 20 febbraio 1980, n. 411, G. U. 16 luglio 
1980, n. 194. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 213, primo comma (artt. 3, primo 
comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). 
Pretore di Ancona, ordinanza 27 febbraio 1980, n. 365, G. U. 9 luglio 1980, 

n. 187. 
legge 4 febbraio 1966, n. 51, art. 3 (artt. 32, 21 e 33 della Costituziorte). 

Pretore di Alba, ordinanza 14 aprile 1980, n. 456, G. U. 13 agosto 1980, n. 222. 

legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 11 (artt. 3, primo e secondo comma, 21-. 
primo e secondo comma, 35, secondo comma, 37, primo comma e 38, secondo 
comma della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 9 maggio 1980, n. 509, G. U. 1� ottobre 1980, 

n. 270. 
legge 15 lug.lio 1966, n. 604, artt. 11 e 18 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Sal�, ordinanza 21 giugno 1980, n. 592, G. U. 29 ottobre 1980, 

n. 298. 
legge 6 agosto 1967, n. 765, artt. 31 e 41 (artt. 3, 79, 83 e seguenti, 101 e 
seguenti; 42, primo, secondo eterzo comma, della Costituzione). 

Pretore di Nard�, ordinanza 22 febbraio 1980, n. 505, G. U. 17 settembre 
1980, n. 256. 

legge 12 febbraio 1968, n. 132, art. 40, ultimo comma (art. 39, primo e quarto 
comma, della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 11 dicembre 
1979, n. 459/1980, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, primo comma (artt. 3, primo comma, e 36, 
primo comma, della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 17 marzo 1980, n. 413, G. U. 6 agosto 1980 

n. 215. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2, lettera C> (artt. 36, comma primo, e 3, 
comma primo, della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanze (due) 22 novembre 
1979, nn. 439 e 440/1980, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, secondo comma, lettera b) (art. 3 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 16 aprile 1980, n. 372, G. U. 9 luglio 1980, 

n. 187. 
legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, comma secondo, lettera b) (art. 3, 
primo comma, della Costituzione). 

Pretore di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza 6 maggio .1980, n. 546, 

G. U. 15 ottobre 1980, n. 284. 
legge 20 marzo 1968, n. 419, art. 3 (artt. 32, 21 e 33 della Costituzione). 

Pretore di Alba, ordinanza 14 aprile 1980, n. 456, G. U. 13 agosto 1980, 

n. 222. 
d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 5 (artt. 3, 36, 38 e 53 della Costi� 
tuzione). 
Pretore di Brescia, ordinanza 12 febbraio 1980, n. 317, G. U. 2 luglio 1980, 

n. 180. 
d.P.R. 29 marzo 1969, n. 130, art. 33 (art. 39, primo e quarto comma, della 
Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 11 dicembre 
1979, n. 459/1980, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Reggio Emilia, ordinanza 27 febbraio 1980, n. 494, G. U. 1� ot� 
tobre 1980, n. 270. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 23 (artt. 3, 5 e 38 della Costituzione). 

Tribunale di Salerno, ordinanza 29 aprile 1980, n. 578, G. U. 29 ottobre 
1980, n. 298. 

legge 30 aprile 1969, n�. 153, art. 14, sesto comma (art. 3, 36, 38 e 53 della 
Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 12 f�bbraio 1980, n. 317, G. U. 2 luglio 1980, 

n. 180. 
legge 3o aprile 1969, n. 153, art. 24, ultimo comma, (art. 3 della Costi� 
tuzione). 

~orte di cassazione, ordinanza 4 dicembre 1979, n. 400/1980, G. U. 6 agos~ 
1980, n. 215. 

legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 28, terzo comma [modif. da legge 8 no� 
vembre 1977, n. 847l (artt. 25, primo comma e 101, secondo comma, della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 26 marzo 1980, n. 591, G. U. 29 ottobre 1980, 

n. 298. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 12'1. 

legge 20 maggio 1970, n. 300, art+. 35 e 18 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Sal�, ordinanza 21 giugno 1980, n. 592, G. U. 29 ottobre 1980, 

n. 298. 
d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432, art. 14 (artt. 3, comma primo e 38, comma 
secondo, della Costituzione). 
Tribunale di Parma, ordinanza 25 giugno 1980, n. 677, G. U. 24 settembre 
1980, n. 263. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 21 (artt. 3, 76 e 97 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Roma, ordinanza 21 novembre 
1979, n. 329/1980, G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 (art. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria centrale, ordinanza 21 febbraio 1980, n. 493, G. U. 
24 settembre 1980, n. 263. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 44 {art. 24 della Costituzione). 
Commissione tribut�ria di primo grado di Pescara, ordinanze (due) 24 
marzo 1979, n. 558 e 559/1980, G. U. 8 ottobre 1980, n. 277. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 13, terzo e quarto c:omma (art. 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Rovigo, ordinanza 6 marzo 1980, 

n. 446, G. U. 6 agosto 1980, n. 215 
d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 332 (art. 3 della Costituzione). 
Giudice istruttore presso il tribunale di Napoli, ordinanza 5 maggio 1980, 

n. 467, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 
legge 30 luglio 1973, n. 477, art. 15, c:ommi I e lii (artt. 3, comma primo, 
35 e 38, comma secondo, della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Calabria, ordinanza 16 gennaio 
1980, n. 397, G. U. 30 luglio 1980, n. 208. 

legge reg. Abruzzo 2 agosto 1973, n. 32, art. 1, 2, 39, 72 e 75 (artt. 3, 36, 
97 e 117 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanze (sette) 22 marzo 
1978, nn. 380, 381, 382, 383, 384, 385 e 386) 1980, G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 
Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanze (sette) 8 marzo 
1978, nn. 387, 388, 389, 390, 391, 392 e 393/1980, G. U. 23 luglio 1980, n. 201. 
Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanze (Tre) 7 giugno 
1978, n. 394, 395 e 396/1980, G. U. 30 luglio 1980, n. 208. 


122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 7 (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Padova, ordinanza 28 settembre 
1979, n. 437/1980, G. U. 3 settembre 1980, n. 242. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10/c [modif. da leg9e 13 aprile 1977, 
n. 114, art. 51 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Lucera, ordinanza 4 marzo 1980, 

n. 496, G. U. 24 settembre 1980, n. 263. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 3 (artt. 53 e 77 della Costituzione. 
Commissione tributaria di secondo grado di Milano, ordinanza 25 giugno 
1979, n. 430/1980, G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 
Commissione tributaria di secondo grado di Milano, ordinanza 25 giugno 
1979, n. 462, G. U 27 agosto 1980, n 235 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis (artt 3, 24, 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Padova, ordinanza 28 settembre 
1979, n. 437/1980, G. U. 3 settembre -1980, n. 242. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 11, sesto comma e 39 (artt. 24, 53 e 113 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Sanremo, ordinanza 6 luglio 1977, 

n. 378/1980, G. U. 30 luglio 1980, n. 208. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 37 e 38 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Udine, ordinanza 7 maggio 
1980, n. 569, G. U. 22 ottobre 1980, n. 291. 

d.I. 1� ottobre 1973, n. 580, art. 3 [conv. con mod. in legge 30 novembre 1933, 
n. 7661 (artt. 3, primo comma, 97, primo e terzo comma, e 33 della Costituzione). 
Corte Costituzionale, ordinanza 18 giugno )980, n. 501, G. U. 9 luglio .1980, 

n. 187. 
legge 27 ottobre 1973, n. 628 (art. 3, primo comma, della Costituzione). 

Corte dei Conti, sezione quarta giurisdizionale, ordinanza 29 novembre 1979, 
n; 442/1980, G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 

legge 18 dicembre 1973, n. 836, art. 27 (artt. 36 e 3 della Costituzione). 

Corte dei Conti, sezioni riunite, ordinanze 20 febbraio 1980, n. 464, G. U. 13 
agosto 1980, n. 222. 


PARTE Il, LEGISLAZIONE 

legge 18 dicembre 1973, n. 877, (artt. 70, 72 e 73 della Costituzione). 

Pretore di Monsummano Terme, ordinanza 5 marzo 1980, n. 447, G. U. 6 agosto 
1980, n. 215. 
Pretore di Monsummano Terme, ordinanza 10 marzo 1980, n. 379, G. U. 13 agosto 
1980, n. 222. 
Corte di Cassazione, ordinanza, 14 aprile 1980, n. 417, G. U. 3 settembre 1980, 

n. 242. 
Pretore di Monsummano Terme, ordinanza 13 maggio 1980, n. 566, G. U. 15 ottobre 
1980, n. 284. 

legge 18 dicembre 1973, n. 877 (artt. 27, 70, 72 e 73 della Costituzione). 


Pretore di Pistoia, ordinanza 18 febbraio 1980, n. 601, G. U. 29 ottobre 1980, 

n. 298. 
d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, art. 92, settimo comma (artt. 3 e 98 della Costituzione). 
Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 18 dicembre 1979, n. 342/ 
1980, G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 
Consiglio nazionale dei geometri, ordinanza 18 dicembre 1979, n. 343/ 
1980, G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 

d.I. 8 luglio 1974, n. 261, art. 6 Cconv. in legge 14 agosto 1974, n. 3533 
(art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Caltanissetta, ordinanza 18 aprile 1980, n. 517, G. U. 10 settembre 
1980, n. 249. 

d.I. 8 luglio 1974, n. 264, art. 7 (art. 39 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, 
ordinanza 20 dicembre 1979, n. 580/1980, G. U. 29 ottobre 1980, n. 298. 

legge 12 agosto 1974, n. 351, art. 2 bis, primo comma (art. 3, comma primo, 
della Costituzione). 

Tribunale di Salerno, ordinanza 11 aprile 1980, n. 577, G. U. 29 ottobre 1980, 

n. 298. 
legge 17 agosto 1974, n. 386, art. 7, terzo comma (art. 39, primo e quarto 
comma, della Costituzione). 

Tribunale amministrativo per il Piemonte, ordinanza 11 dicembre 1979, 

n. 459/1980, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 
legge reg. Lazio 17 agosto 1974, n. 41, artt. 8, 13 (art. 97 della Costituzione). 


�Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, 
ordinanza 9 novembre 1979, n. 431/1980, G. U. 23 luglio 1980, n. 201: 


124 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 14 ottobre 1974, n. 497, artt. 14 e 10 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Teramo, ordinanza 5 maggio 1980, n. 524, G. U. 1� ottobre 1980, 

n. 
270. 
Tribunale di Roma, ordinanza 28 maggio 1980, n. 525, G. U. 1� ottobre 1980, 
n. 270. 
legge 18 aprile 1975, n. 11 O, art. 2, comma terzo (artt. 3, 25, comma secondo 
e 101 della Costituzione. 

Tribunale di Milano, ordinanza 23 aprile 1980, n. 490, G. U. 24 settembre 
1980, n. 263. 

legge 18 aprile 1975, n. 110, art. 2, comma terzo (artt. 70 e 25, comma secondo, 
della Costituzione). 

Tribunale di Ivrea, ordinanza 13 maggio 1980, n. 443, G. U. 20 agosto 1980, 

n. 228. 
legge 18 aprile 1975, ri. 110, art. 19 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 5 febbraio 1980, n. 416, G. U. 9 luglio 1980, 

n. 187. 
legge 3 giugno 1975, n. 160, artt. 2 e 9 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Ferrara, ordinanza 20 maggio 1980, n. 495, G. U. 24 settembre 
1980, n. 263. 

legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 27, terzo comma (artt. 3, 36, 38 e 53 della 
Costituzione). 

Pretore di Brescia, ordinanza 12 febbraio 1980, n. 317, G. U. 2 luglio 1980, 

n. 180. 
legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 48, comma terzo. 

Sezione di sorveglianza per il distretto della Corte d'appello di� Genova, 
ordinanza 20 febbraio 1980, n. 311, G. U. 2 luglio 1980, n. 180. 

legge 29 luglio 1975, n. 426, art. 5 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Giudice delegato del Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 14 maggio 1980, 

n. 521, G. U. 1� ottobre 1980, n. 270. 
legge 29 aprile 1976, n. 177, art. 7, primo comma (art. 3, primo comma, 
della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 17 marzo 1980, n. 413, G. U. 6 agosto 1980, 

n. 215. 
legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Adria, ordinanza 15 aprile 1980, n. 436, G. U. 23 luglio . 1980, 

n. 201. 

PARTE II, LEGISLAZIONE 
12f 

Pretore di Treviglio, ordinanza 26 marzo 11980, n. 466, G. U. 3 settembre 
1980, n. 242. 

Pretore di Caserta, ordinanza 20 maggio 1980, n. 610, G. U. 8 ottobre 1980, 

n. rn. 
legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (artt. 3 e 10 della Costituzione). 

Pretore di Belluno, ordinanza 29 gennaio 1980, n. 406, G. U. 30 luglio 1980, 

n. 
208. 
legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Feltre, ordinanze (due) 31 gennaio 1980, nn. 545 e 455, G. U. 
13 agosto 1980, n. 222. 

legge 5 maggio 1976, n. 313, art. 5 (artt. 3 e 27, terzo comma, della Costi� 
tuzione). 

'

'

Pretore di Cervignano del Friuli, ordinanze (dieci) 26 gennaio 1980, nn. da 
547 a 556, C. U. 8 ottobre 1980, nn. 277. 

legge 1 O mag9io 1976, n. 319, art. 25 (art. 27 della Costituzione). 

Tribunale di Como, ordinanza 3 marzo 1980, n. 345, G. U. 2 luglio 1980, 

n. 
180. 
Tribunale di Como, ordinanza 11 febbraio 1980, n. 344, G. U. 16 luglio 1980, 
n. 
194. 
Tribunale di Como, ordinanza 3 marzo 1980, n. 399, G. U. 30 luglio 1980, 
n. 
208. 
Tribunale di Como, ordinanza 7 febbraio 1980, n. 433, G. U. 13 agosto 1980, 
n. 
222. 
Tribunale di Como, ordinanze (cinque) 10 marzo, 26 marzo e 27 marzo 
1980, nn. da 510 � 514, G. U. 1� ottobre 1980, n. 270. 

leg9e 10 maggio 1976, n. 319, artt. 15, 21, 25 e 26 (artt. 2, 3, 9, comma 
secondo, e 32 della Costituzione). 

Corte di Cassazione, ordinanza 25 ottobre 1979, n. 497/1980, G. U. 24 settembre 
1980, n. 263. 

legge re9. Lombardia 20 agosto 1976, n. 28, art. 13, ultimo comma (art. 117 
della Costituzione). 

Tribunale di Sondrio, ordinanza 12 febbraio 1980, n. 331, G. U. 2 luglio 1980, 

n. 
180. 
legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 1, ultimo comma, e 3, ultimo comma 

(artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria' di primo grado di Lanciano, ordinanza 12 febbraio 
1980, n. 486, G. U. 24 settembre 1980, n. 263. 
Commissione tributaria di primo grado di Lanciano, ordinanza 20 marzo 
1980, n. 485, G. U. 24 settembre 1980, n. 263. 


126 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 12 novembre 1976, n. 751, artt. 4 e 5 (artt. 3, 31 e 53 della Costituzione). 


Commissione tributaria di secondo grado di Genova, ordinanza 2 maggio 
1979, n. 424/1980, G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 
Commissione tributaria di secondo grado di Genova, ordinanza 2 maggio 
1979, n, 423/1980, G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 

legge 28 gennaio 1977, n. 1O, artt. 1 e 17 (art. 42 della Costituzione), 

Pretore di Firenze, ordinanza 21 aprile 1980, n. 414, G. U. 9 luglio 1980, 

n. 187. 
legge 28 gennaio 1977, n. 1O, artt. 5 e 17 (artt. 3, 79, 83 e seguenti, 101 e 
seguenti, 42 primo, secondo e terzo comma, della Costituzione). 

Pretore di Nard�, ordinanza 22 febbraio 1980, n. 505, G. U. 17 settembre 
1980, n. 256. 

legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lettera bJ (artt. 42 e 43 della 
Costituzione). 

Pretore di Trecastagni, ordinanze (diciassette) 1, 11, 15, 22, 29 febbraio e 
14 marzo 1980, nn. da 528 a 544, G. U. 1� ottobre 1980, n. 270. 

legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 5 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Pisa, ordinanze (due) 20 marzo 1980, 
nn. 582 e 583, G. U. 29 ottobre 1980, n. 298. 

legge 29 giugno 1977, n. 349, art. 8 (artt. 39 e 18 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 29 ottobre 1979, 

n. 570/1980, G. U. 15 ottobre 1980, n. 284. 
legge 29 giugno 1977, n. 349, art. 9, secondo comma, n. 6 (artt. 3, 32 e 36 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 29 ottobre 1979, 

n. 570/1980, G. U. 15 ottobre 1980, n. 284. 
legge 29 giugno 1977, n. 349, art. 11, secondo comma, primo periodo 
(art. 23 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 29 ottobre 1979, 

n. 570/1980, G. U. 15 ottobre 1980, n. 284. 
legge 8 agosto 1977, n. 513, artt. 27, secondo comma, e 28 (artt. 3 e 47 
della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanze (due) 10 gennaio e 14 febbraio 1980, n. 506 
e 507, G. U. 10 setembre 1980, n. 249. 

legge 25 ottobre 1977, n. 808, art. 11, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna, sezione di Parma, 
ordinanza 20 maggio 1980, n. 584, G. U. 29 ottobre 1980, n. 298. 



PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge reg. Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56, art. 56 (artt. 25, secondo 
comma, e 117 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 10 aprile 1980, n. 572, G. U. 22 ottobre 1980, 
Il. 291. 

leg9e reg. Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56, art. 72, primo comma (artt. 121 
e 123 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 22 gennaio 
1980, n. 40, G. U. 13 agosto 1980, n. 222. 

legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 4 (artt. 3 e 5 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, ordinanza 30 luglio 1979, 

n. 332/1980, G. U. 9 luglio 1980, n. 187. 
legge 3 gennaio 1978, n. 1, artt. 1, primo comma, e 3 (art. 97 della Costi� 
tuzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, �sezione staccata di Latina, 
ordinanza 9 novembre 1979, n. 431/1980, G. U. 23 luglio 1980, n. 201. 

legge 1 O maggio 1978, n. 176, art. 1, primo e secondo comma (artt. 3, 42, 
44 e 136 della Costituzione). 
Corte d'appello di Genova, ordinanza 23 gennaio 1980, n. 410, G. U. 30 luglio 
1980, n. 208. 

legge 5 luglio 1978, n. 457, art. 52 (artt. 3 e 47 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanze (due) 10 gennaio e 14 febbraio 1980, n. 506 
e 507, G. U. 10 settembre 1980, n. 249. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 41 (artt. 3, 35, primo comma, della Costi� 
tuzione). 
Tribunale di Bassano del Grappa, ordinanza 6 giugno 1980, n. 585, G. U. 
22 ottobre 1980, n. 291. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 56 (artt. 24, 25, 47 e 1101 della Costitu� 
zione). 
Giudice conciliatore di Casavatore, ordinanza 24 novembre 1979, n. 438/1980, 

G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59 (artt. 3 e 47 della Costituzione). 
Giudice conciliatore di Casavatore, ordinanza 24 novembre 1979, n. 438/1980, 

G. U. 16 luglio 1980, n. 194. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, primo comma, n. 1 (artt. 3, commi 
primo, prima e seconda parte, e secondo, e 2 della Costituzione). 
Giudice conciliatore di Trieste, ordinanza 21 aprile 1980, n. 366, G. U. 
27 agosto 1980, n. 235. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, n. 1J e penultimo comma (art. 3 della 
Costituzione). 
Pretore di Andria, ordinanza 29 aprile 1980, n. 449, G. U. 13 agosto 1980, 

n. 222. 

128 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 59, n. 6 e 29 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Giudice conciliatore di Lanciano, ordinanza 1� aprile 1980, n. 371, G. U. 
9 luglio 1980, n. 187. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 73 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Bassano del Grappa, ordinanza 22 ottobre 1980, n. 585, G. U. 
22 ottobre 1980, n. 291. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 73 e 29, lettera b)} (art. 3 della Costituzione. 


Pretore di Bergamo, ordinanza 28 maggio 1980, n. 502, G. U. 3 settembre 1980, 

n. 242. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 73, 29 e 59 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 


Giudice conciliatore di Cuneo, ordinanza 9 maggio 1980, n. 523, G. U. 1� ottobre 
1980, n. 270. 

d.P. giunta provinciale di Bolzano 18 dicembre 1978, n. 32, art. 29 (artt. 3, 
42 e 44 della Costituzione). 
Tribunale di Bolzano, ordinanza 21 marzo 1980, n. 520, G. U. 8 ottobre 1980, 

n. 277. 
legge reg. siciliana 27 dicembre 1978, n. 71, art. 36 (art. 42 della Costituzione). 


Pretore di Firenze, ordinanza 21 aprile 1980, n.-414, G. U. 9 luglio 1980, 

n. 187. 
legge reg. Lombardia 31 luglio 1978, n. 47, art. 42, n. 1 (art. 117 della 
Costituzione). 

Tribunale di Sondrio, ordinanza 12 febbraio 1980, n. 31, G. U. 2 luglio 1980, 

n. 180. 
d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 2 (artt. 3 e 24, cpv, della Costituzione). 
Pretore di Belluno, ordinanza 26 febbraio 1980, n. 407, G. U. 10 settebre 1980, 

n. 249. 
d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 2, lettera aJ (artt. 3 e 24, secondo comma 
della Costituzione). 
Pretore di San Don� di Piave, ordinanza 2 aprile 1980, n. 478, G. U. 17 set


f:
tembre 1980, n. 256. 

~ 

1f 

d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, art. 2, lettera cl (artt. 3, 79, 83 e seguenti, 
101 e seguenti, 42, primo, secondo e terzo comma, della Costituzione). ~;
i 

Pretore di Nard�, ordinanza 22 febbraio 1980, n. 505, G. U. 17 settembre 1980, ~-' 

n. 256. ,,i 
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PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge reg. Piemonte 22 novembre 1978, n. 69, art. 3, ultimo comma (art. 128 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo per il Piemonte, ordinanza 4 dicembre 1979, n. 458 
1980, G. U. 13 agosto 11980, n. 222. 

legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 20 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Parma, ordinanza 6 maggio 1980, n. 428, G. U. 23 luglio 1980, n. 201. 

d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, art. 3, quarto comma (artt. 76, 25 e 3 della 
Costituzione). � 
Commissione tributaria di primo grado di Trento, ordinanza 13 marzo 1980, 

n. 441, G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 
d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, art. 58, quarto comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione Tributaria di secondo grado di Matera, ordinanza 13 novembre 
1979, n. 567, G. U. 15 ottobre 1980, n. 284. 

d.P.R. 31 marzo 1979, n. 74, art. 8 (artt. 3, 23 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Alessandria, ordinanza 12 marzo 
1980, n. 503, G:U. 10 settembre 1980, n. 249. 

legge 23 novembre 1979, n. 595 (artt. 3, 42, 44 e 136 della Costituzione). 

Corte d'appello di Genova, ordinanza 23 gennaio 1980, n. 410, G. U. 30 luglio 
1980, n. 208. 

d.I. 15 dicembre 1979, n. 625, art. 11 [modif. da legge 6 febbraio 1980, 
n. 15] (artt. 3, primo comma, 13, primo, secondo e quinto comma, 25, secondo 
comma, e 27, secondo comma, della Costituzione). 
Giudice istruttore del tribunale di Padova, ordinanza 3 maggio ~980, n. 453, 

G. U. 6 agosto 1980, n. 215. 
legge reg. Lazio 12 febbraio 1980, riapp. il 2.2 aprile 1980 (artt. 117, 3, 
97 e 119 della Costituzione). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 4 luglio 1980, n. 14, G. U. 
16 luglio 1980, n. 194. 

legge 20 marzo 1980, n. 75, artt. 3, ultimo comma e 6, secondo comma 
(artt. 3, 24, 38 e 104 della Costituzione). 

Tribunale di Avellino, ordinanza (quattro) 29 aprile 1980, nn. 472, 473, 474 
e 475, G. U. agosto 1980, n. 215. 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo comma (artt. 3, primo comma, 
e 24, primo comma, della Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanza 28 maggio 1980, n. 568, G. U. 22 ottobre 1980, 

n. 291. 

130 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo comma (art. 25, primo comma, 
della Costituzione). 

Pretore di Livorno, ordinanze (tre) 12 maggio 1980, nn. 574, 575 e 576, G. U. 
29 ottobre 1980, n. 298. 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo e secondo comma (artt. 3, 24 e 

1.13 della Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanza 23 aprile 1980, n. 421, G. U. 16 luglio 1980, 

n. 194. 
legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, secondo comma (artt. 3, 24, primo 
comma, 38 e 102, primo comma, della Costituzione). 

Pretore di Siena, ordinanze (quattro) 2 maggio 1980, nn. da 481 a 484, G. U. 
17 settembre 1980, n. 256. 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, secondo comma (art. 3, primo comma, 
38, primo e secondo comma, 24, primo e secondo comma, e 102, primo comma, 
della Costituzione). 

Pretore di Santa Maria Capua Vetere, ordinanza 31 marzo 1980, n. 545, G. U. 
8 ottobre 1980, n. 277. 
Pretore di Benevento, ordinanza 20 giugno 1980, n. 557, G. U. 8 luglio 1980, 

n. 277. 
d.I. 9 luglio 1980, n. 301, artt. 54 e 55 (artt. 1 e seguenti, 7 e seguenti, 3, 
lettera a) dello Statuto della regione Sardegna). 
Presidente della regione autonoma della Sardegna, ricorso 8 agosto 1980, 

n. 15, G. U. 3 settembre 1980, n. 242. 
legge reg. Friuli-Venezia Giulia 23 luglio 1980, riapp. il 16 settembre 1980 

(art. 97 della Costituzione e artt. 5, n. 4 dello Statuto speciale regione FriuliVenezia 
Giulia). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 13 ottobre 1980, n. 21, G. U. 
22 ottobre 1980, n. 291. 

legge reg. Sicilia 31 luglio 1980, artt. 9, lettera a) e b), e 48 (artt. 65, 
51 e 97 della Costituzione). 

Commissario dello Stato per la regione Sicilia, ricorso 8 agosto 1980, n. 16, 

G. U. 3 settembre .1980, n. 242. 
legge 13 agosto 1980, n. 463, art. 2 (art. 9, n. 10, dello statuto speciale del 
Trentino Alto-Adige). 

Presidente della giunta provinciale della provincia autonoma di Bolzano, 
ricorso 26 settembre 1980, n. 18, G. U. 8 ottobre 1980, n. 277. 

Presidente della giunta provinciale della provincia autonoma di Trento, 
ricorso 26 settembre 1980, n. 19, G. U. 8 ottobre 1980, n. 277. 

d.I. 30 agosto 1980, n. 503, artt. 85 e 86 (artt. 1 e seguenti, 7 e seguenti, 
3, lettera a) legge 26 febbraio 1948, n. 3). 
Presidente della giunta regionale della regione autonoma della Sardegna, 
ricorso 9 ottobre 1980, n. 20, G. U. 22 ottobre 1980, n. 291.