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ANNO Ll -N 3-4 LUGLIO-DICEMBRE 1999 


ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
ROMA2000 




Progetto grafico dell'architetto CAROLINA VACCARO. 



ANNO LI -N. 3-4 LUGLIO-DICEMBRE 1999 


RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DEJLLO STATO 


PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
ROMA2000 




ABBONAMENTI ANNO 2000 


ABBONAMENTO ANNUO . . . . . . � . . . . . . . . . . . . � . . . . . . L. 80.000 
UN NUMERO SEPARATO .�......................�... � 23.000 
UN NUMERO DOPPIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 46.000 

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Autorizzazione Tribunale di Roma-Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 
(3219011) Roma, 2000 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. 



INDICE 


Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura di Ignazio 
Francesco Caramazza) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 277 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura di Oscar Fiumara) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 321 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA DI 
(a cura di Sergio Laporta) 
DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 377 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura di Raffaele 
Tamiozzo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 439 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura di Giancarlo Mand�) � 467 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura di Paolo di Tarsia 
di Be/monte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 515 

Parte seconda: DOTTRINA -OSSERVATORIO LEGISLATIVO 
OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET 
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA -CONSULTAZIONI 


DOTTRINA pag. 69 
OSSERVATORIO LEGISLATIVO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 101 
OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 119 
CONSULTAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 121 

Comitato di redazione: C. Aiello -F. Basilica -R. de Felice 


P. Gentili -D. Giacobbe -G. Mangia -G. Palmieri P. 
Palmieri -G.P. Palizzi -F. Quadri -F. Sclafani -L. Ventrella 
Hanno collaborato inoltre al presente numero: Giuseppe Albenzio Giacomo 
Arena -Tommaso Capezzane -Roberta Guizzi Aldo 
Linguiti -Luigi Mazzella -Lionello Orca/i -Carmela Pluchino 


La pubblicazione � diretta da 
OSCAR FIUMARA 



ARTICOLI, NOTE, DOTTRINA, RECENSIONI 


G. ALBENZIO, L'esecuzione delle sentenze del giudice del lavoro nei confronti della 
Pubblica Amministrazione ...................... , ................. . 
G. ARENA, R. GUIZZI, L'occupazione appropriativa. Un istituto fuori legge? ..... . 
l.F. CARAMAZZA, L'informe creatura cambia ancora volto ................... . 
R. DE FELICE, Aspetti e.problemi della valutazione automatica degli immobili non 
censiti ai fini delle imposte di registro e successioni ...................... . 
P. 
DI TARSIA DI BELMONTE, Procura speciale agli Avvocati dello Stato ex art. 122 
c.p.p.? ............................................................ . 
O. FIUMARA, L'amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi e il diritto 
comunitario ......................................................... . 
O. FIUMARA, Diritti d'autore e diritti connessi: armonizzazione della durata di protezione 
e salvezza dei diritti acquisiti da terzi ........................... . 
O. F'IDMARA, Il luogo di esecuzione dell'obbligazione nella convenzione 4i Bruxelles 
del 1968 sulla competenza giudiziaria in materia civile e commerciale ...... . 
O. FIUMARA, La notificazione del decreto ingiuntivo all'estero: una normativa obsoleta 
. ......................................................... . 
O. FiuMARA, Le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� europee dell'anno 
1999 in cause cui ha partecipato l'Italia ............................. . 
A 
LINGUITI, Attivit� amministrativa e risarcimento del danno ................ . 


L. MAzZELLA, Il patrocinio autorizzato dell'Avvocatura dello Stato ............ . 
L. ORCALI, Questioni sulla natura -recettizia o meno -dell'istanza di rimborso di 
cui all'art. 13, secondo comma, d.P.R. 641/72 . ......................... . 
G. PALMIERI, La prova di preselezione informatica nel concorso per uditore giudiziario. 
P. 
PALMIERI, Lo svolgimento di mansioni superiori da parte dei pubblici dipendenti 
prima della c.d. privatizzazione del pubblico impiego: la parola fine dell'Adunanza 
Plenaria n. 22 del 1999 ........................................ . 
C. PLUCHINO, Compensi ai militari della Guardia di Finanza: �regalie d'uso� o oggetto 
materiale di �Corruzione� ? ................................... . 
II, 69 
I, 279 
II, 87 
I, 508 
I, 526 
I, 327 
I, 351 
I, 365 
I, 345 
I, 321 

I, 
409 

II, 98 
I, 501 
I, 460 

I, 448 
I, 515 


PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ATIO AMMINISTRATIVO 

-Avviso di procedimento -Art. 7 legge n. 241 
del 1990 -Finalit�, 441. � 

-Ordinanze extra ordinem di necessit� ed 
urgenza -Effetti attributivi di diritti soggettivi 
-Configurabilit� -Controversie Giurisdizione 
A.O.O., 430. 

-Ordinanze extra ordinem di necessit� ed 
urgenza -Loro natura e sindacabilit�, 430. 

CALAMIT� NATURALI 

-Terremoto in Campania e Basilicata Opere 
realizzate dallo Stato ex lege 

n. 219/1981 -Trasferimento ad altri Enti Giudizi 
pendenti -Legittimazione dell' Amministrazione 
statale -Permane, 377. 
COMUNIT� EUROPEE 

-Aiuti concessi dagli Stati -Nozione Vantaggio 
concesso senza trasferimento di 
risorse proprie -Amministrazione straordinaria 
di grandi imprese in crisi -Settore 
siderurgico, con nota di O. FluMARA, 327. 

-Aiuti concessi dagli Stati -Nozione Vantaggio 
concesso senza trasferimento di 
risorse proprie -Aiuto nuovo -Notifica 
previa -Amministrazione straordinaria di 
grandi imprese in crisi, con nota di O. 
FluMARA, 328. 

-Concorrenza -Applicazione d'ufficio dell'art. 
81 CE (ex art. 85) -Poteri del giudice 
nazionale in sede di impugnazione dei lodi 
arbitrali, 341. 

-Convenzione di Bruxelles -Competenza in 
materia contrattuale -Luogo di esecuzione 
dell'obbligazione, con nota di O. FluMARA, 

364. 
-Convenzione di Bruxelles -Competenza in 
materia contrattuale -Luogo di esecuzione 
dell'obbligazione -Domanda fondata su 
differenti obbligazioni equivalenti, con 
nota di O. FIUMARA, 365. 

-Diritti di autore e diritti connessi -Armonizzazione 
della durata di protezione, con 
nota di O. FIUMARA, 351. 

- 
Libera circolazione delle merci -Libera 
circolazione dei servizi -Libera circolazione 
dei capitali -Disposizione nazionale che 

vieta l'emissione di decreto ingiuntivo da 
notificare fuori dal territorio nazionale Compatibilit�, 
con nota di O. FIUMARA, 

345. 
- 
Libera circolazione delle merci -Misure di 
effetto equivalente -Brevetto europeo privato 
di efficacia per mancanza di traduzione 
-Regime linguistico del brevetto europeo, 
359. 

CONCORSO 

-Concorso per uditore giudiziario -Prova di 
preselezione informatica -Commissione di 
un solo errore -Domanda cautelare Ammissibilit� 
-Deferimento all'Adunanza 
Plenaria, con nota di G. PALMIERI, 457. 

-Concorso per uditore giudiziario -Prova di 
preselezione informatica -Commissione di 
un solo errore -Domanda cautelare Concessione 
come forma di controllo diffuso 
di costituzionalit�, con nota di G. 
PALMIERI, 458. 

CONTENZIOSO TRIBUTARIO 

-Cassazione -Ricorso -Notifica -Variazione 
del domicilio eletto -Effetti, 471. 

-Rimborso -Fattispecie di rimborso disposto 
ma non eseguito per smarrimento del 
vaglia cambiario della Banca d'Italia Azione 
di adempimento -Giurisdizione A.
O.O., 467. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Conflitto di attribuzione fra poteri dello 
Stato -Corte dei conti -Controllo sulla gestione 
finanziaria di enti di ricerca (Consiglio 
Nazionale delle Ricerche, Agenzia 
Spaziale Italiana, Ente per le nuove tecnologie, 
l'energia e l'ambiente) -Controllo 
successivo sui conti consuntivi e relazione 
annuale al Parlamento -Legittimit� costituzionale, 
312. 

-Conflitto di attribuzione fra poteri dello 
Stato -Corte dei conti -Lesione delle attribuzioni 
costituzionali che si assume derivare 
da decreti legislativi -Condizioni soggettive 
e oggettive per la proposizione del 
conflitto -Sussistenza, 312. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

VI 

-Conflitto fra Provincia autonoma e Stato 
per atto emesso da Procuratore della Repubblica 
-Determinazione di non intervento 
del Presidente del Consiglio non preceduta 
da intesa o richiesta di parere al Procuratore 
-Conflitto fra poteri dello Stato 
sollevato dal Procuratore della Repubblica 
nei confronti del Presidente del Consiglio Ammissibilit�, 
317. 

DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 


-Corruzione -Atto contrario ai doveri d'ufficio 
-Necessit� di specifica individuazione 
-Esclusione, con nota di C. PLUCHINO, 

515. 
-Corruzione -Atto contrario ai doveri d'ufficio 
-Specificazione in una pluralit� di 
singoli atti -Possibilit�, con nota di C. 
PLUCHINO, 515. 

- 
Corruzione -Pagamenti di somme a pubblici 
ufficiali: regalie d'uso -Esclusione, 
con nota di C. PLUCHINO, 515. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� 


- 
Comunicazione ai sensi dell'art. 7 legge 

n. 241 del 1990 -Necessit�, 441. 
- 
Occupazione temporanea e d'urgenza Comunicazione 
ai sensi dell'art. 7 legge 

n. 241del1990 -Non occorre, 441. 
-Occupazione temporanea e d'urgenza Risarcimento 
del danno -Occupazione acquisitiva 
-Diritto al risarcimento del danno 
-Prescrizione -Determinazione, offerta o 
deposito dell'indennit� di espropriazione Atti 
interruttivi ex art. 2944 cod. civ. Configurabilit�, 
401. 

-Occupazioni illegittime di suoli per causa 
di pubblica utilit� anteriori al 30 settembre 
1996 -Applicazione con correttivi dei criteri 
di determinazione dell'indennit� di 
espropriazione di cui al comma 1 dell'art. 5 
bis del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, 
conv., con modificazioni nella legge 5 agosto 
1992 n. 359 -Questioni di legittimit� 
costituzionale. Infondatezza, con nota di G. 
ARENA e R. GUIZZI, 277. 

- 
Occupazioni illegittime di suoli per causa 
di pubblica utilit� anteriori al 30 settembre 
1996 -Applicazione con correttivi dei criteri 
di determinazione dell'indennit� di 
esproprio di cui al comma 1 dell'art. 5 bis 
del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, 
conv., con modificazioni nella legge 5 agosto 
1992 n. 359 -Carenza di valida dichiarazione 
di pubblica utilit� -Questioni 

di legittimit� costituzionale. Manifesta 
inammissibilit�, con nota di G. ARENA e R. 
GUIZZI, 277. 

-Procedimento -Liquidazione dell'indennit� 
-Determinazine (stima) -In genere Area 
espropriata -Valore di mercato Determinazione 
-Vincoli fissati dagli strumenti 
urbanistici, e dalle relative varianti, 
nell'ambito della zonizzazione del territorio 
-Rilevanza, 379. 

GIUDIZIO PENALE 

-Competenza territoriale dell'Avvocatura 
dello Stato -Art. 9, III c01pma della legge 

n. 103 del 3 aprile 1979 -E disposizione a 
carattere interno -Art. 122 c.p.p., II comma 
-Procura speciale -Vale anche per l'Avvocato 
dello Stato, con nota di P. di TARSIA 
di BELMONTE, 526. 
-Costituzione di parte civile Ministero dei 
Lavori Pubblici -Procura speciale all' Avvocato 
dello Stato ex lege -Determinazione 
della costituzione di parte civile Produzione 
della documentazione relativa Non 
� richiesta, con nota di P. di TARSIA di 
BELMONTE, 526. 

- 
Ricorso per cassazione -Vizio di motivazione 
della sentenza -Comparazione fra 
sentenza impugnata e atti del processo Inammissibilit�, 
522. 

GIURISDIZIONE 

-Appalto di opera pubblica -Controversie 
su diritti soggettivi -Giurisdizione ordinaria 
-Sussistenza, con nota di G. ARENA, 

384. 
- 
Responsabilit� civile della P.A. per lesione 
di interessi legittimi -Regolamento Preventivo 
di giurisdizione -Inammissibilit�, 
con nota di A. LINGUITI, 408. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Applicabilit� ai giudizi pendenti alla data 
di entrata in vigore dell'art. 31 bis, cit., relativi 
ai diritti soggettivi derivanti esclusivamente 
da concessioni di sola costruzione 
-Sussistenza, con nota di G. ARENA, 383. 

- 
Art. 31 bis della legge 11 febbraio 1994 

n. 109 (introdotto dall'art. 9 del d.l. 3 aprile 
1995 n. 101, conv. con modif. nella legge 
2 giugno 1995 n. 216), con nota di G. 
ARENA, 383. 
- 
Concessione di lavori pubblici -Controversie 
relative a diritti soggettivi pendenti 
dinanzi al Giudice Amministrativo in 
sede di giurisdizione esclusiva -Art. 31 bis 



INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUD�NZA 

della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (introdotto 
dall'art. 9 del d.l. 3 aprile 1995, 

n. 101, convertito con modificazioni nella 
legge 2 giugno 1995, n. 216) -Giurisdizione 
ordinaria -Sussiste, con nota di G. 
ARENA, 381. 
- 
Concessione di sola costruzione -Art. 31 
bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109 
(introdotto dall'art. 9 del d.l. 3 aprile 1995, 

n. 101, convertito con modificazioni nella 
legge 2 giugno 1995, n. 216) -Controversie 
anteriori pendenti relative a diritti soggettivi 
-Giurisdizione ordinaria -Sussiste, 
con nota di G. ARENA, 382. 
- 
Nullit� delle clausole compromissorie relative 
a controversie su diritti soggettivi 
derivanti da concessioni di sola costruzione 
anteriori all'entrata in vigore dell'art. 31 bis, 
cit. -Esclusione, con nota di G. ARENA, 

383. 
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Esecuzione del giudicato -Legge sopravvenuta 
irretroattiva -Fattispecie, 439. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Impiegato dello Stato e pubblico -Qualifica 
e funzioni -Art. 2126 e art. 2103 e.e. 
-Applicabilit� -Limiti, con nota di P. PALMIERI, 
448. 

-Impiegato dello Stato e pubblico -Qualifica 
e funzioni -Funzioni superiori esercitate 
al di fuori di un provvedimento di 
nomina o di inquadramento -Eccezionalit� 
-Ragioni, con nota di P. PALMIERI, 448. 

-Impiegato dello Stato e pubblico Qualifica 
e funzioni -Retribuzione in virt� 
della diretta applicazione dell'art. 36 Cost. 
-Esclusione, con nota di P. PALMIERI, 448. 

-Stipendi, assegni ed indennit� -Allineamento 
stipendiale -Abrogazione -Questione 
di legittimit� costituzionale -Infondatezza, 
309. 

PRESCRIZIONE CIVILE 

-Interruzione -Atti interruttivi -In genere Occupazione 
acquisitiva -Diritto al risarcimento 
del danno -Prescrizione -Determinazione, 
offerta o deposito dell'indennit� 
di espropriazione -Atti interruttivi ex art. 
2944 cod. civ. -Configurabilit�, 402. 

RESPONSABILIT� PATRIMONIALE 

-Cause di prelazione -Confisca nei confronti 
di appartenenti ad associazioni mafiose 
-Diritti reali di garanzia di terzi Tutela 
-Giudice competente, 434. 

STATO CIVILE 

-Norme -Domanda di aggiunta di cognome 
-Provvedimento di diniego -Motivazione, 
con nota di G. PALMIERI, 454. 

TASSA CONCESSIONI GOVERNATIVE 

-Domanda di rimborso -Termine triennale 
di decadenza -Riferimento alla data di ricezione 
dell'istanza, con nota di L. ORCALI, 

502. 
- 
Domanda di rimborso -Termine triennale 
di decadenza -Riferimento alla data di spedizione 
dell'istanza, con nota di L. ORCALI, 

500. 
TRIBUTI (in generale) 

-Accertamento -Contabilit� non ufficiale 
del contribuente -Disconoscimento Esclusione, 
475. 

-Accertamento -Contabilit� non ufficiale del 
contribuente -Natura indiziaria -Riscontri 
con fatti di gestione -Necessit�, 475. 

-Accertamento -Dichiarazioni del legale 
rappresentante di una Societ� agli agenti 
accertatori, debitamente verbalizzate Natura 
confessoria, 477. 

-Accertamento -Documenti acquisti in sede 
di accesso dalla Guardia di Finanza -Successiva 
trasmissione al P.M. unitamente a 
notizia di reato -Utilizzabilit� in sede tributaria, 
485. 

-Accertamento -Giudicato penale -Irrilevanza 
-Condizioni, 478. 
-Accertamento -Imposte dirette -Indicazione 
dell'aliquota -Fattispecie, 483. 

-Condoni e sanatorie -Legge 516/82 -Soprattasse 
e sanzioni -Irrogate con provvedimento 
definitivo -Inammissibilit�, 469. 

-Condono ex d.I. 429/1982 -Notifica di avviso 
di accertamento durante il tempo utile 
per la presentazione della dichiarazione 
integrativa -Mancata impugnazione Inammissibilit� 
del condono, 487. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 
REGISTRO (imposta di) 

- 
IRPEF -Accertamento -Disponibilit� di 

-Rimborso di imposta -Istanza spedita a capitali di cui non sia dimostrata la perdita 
mezzo posta -Data della spedizione -Rileo 
l'impiego -Presunzione di impiego redvanza, 
con nota di L. 0RCALI, 503. ditizio degli stessi -Sussistenza, 495. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

VIII 

-IRPEF -Reddito d'impresa -Sopravvenienze 
attive -Riduzione dei crediti deliberata 
in sede di concordato fallimentare 


d.P.R. 597/73 -Inclusione, 480. 
-IRPEG e ILOR -Interessi sui crediti d'imposta 
-Imponibilit� -Limiti, 471. 
- 
Reddito d'impresa -Accertamento -Di 
maggiori ricavi -Costi corrispondenti Onere 
della prova -Spetta al contribuente, 

498. 
TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI (riforma 
tributaria del 1972) 

-Imposta di reg�stro -Determinazione della 
base imponibile -In genere, con nota di R. 
de FELICE, 508. 

-Imposta di successione -Beneficio della 
dilazione di pagamento -Interessi dovuti 

dal contribuente -Variazione del tasso Effetti, 
493. 

-IVA -Accertamento -Presunzione di cessione 
di merci rinvenute in luogo ove il 
contribuente non eserciti la sua attivit� Contestazione 
-Onere della prova, 490. 

-IVA -Accertamento -Presunzione di cessione 
di merci rinvenute in luogo ove il 
contribuente non eserciti la propria attivit� 
-Denunzia del luogo come pertinente 
all'impresa effettuata dopo l'accesso Irrilevanza, 
490. 

-IVA-Detrazione -Conferimento di bestiame 
in societ� di capitali -Esclusione Detrazione 
forfettaria -Esclusione, 481. 

-IVA -Sanzione a carico del cessionario 
inadempiente all'obbligo di autofatturazione 
-Condono ex d.1. 429/1982 art. 29 Applicabilit� 
-Condizioni, 492. 



INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

30 aprile 1999, n. 148 ................................................ pag. 277 
7 ottobre 1999, n. 379 ... ; . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 309 
14-23 dicembre 1999, n. 4S7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 312 
ordinanza lS-30 dicembre 1999, n. 470 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 317 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

Sez. sa, 1� dicembre 1998, nella causa C-200/97 ............................ pag. 327 
Plenum, 1� giugno 1999, nella causa C-126/97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 341 
Sez. sa, 17 giugno 1999, nella causa C-29S/97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 328 
Sez. sa, 22 giugno 1999, nella causa C-412/97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 34S 
Plenum, 29 giugno 1999, nella causa C-60/98 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 3Sl 
Sez. sa, 21settembre1999, nella causa C-44/98 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 3S9 
Plenum, 28 settembre 1999, nella causa C-440/97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 364 
Plenum, S ottobre 1999, nella causa C-420/97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 36S 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 22 gennaio 1999, n. SS9 ......................................... pag. S03 
Sez. Un., 27 gennaio 1999, n. 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 377 
Sez. Un., S febbraio 1999, n. 44 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 467 
Sez. I, lS febbraio 1999, n. 1228 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 469 
Sez. I, lS febbraio 1999, n. 12SS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 471 
Sez. I, 18 febbraio 1999, n. 1349 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 47S 
Sez. I, 22 febbraio 1999, n. 1481 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 477 
Sez. I, 23 febbraio 1999, n. 1S39 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 478 
Sez. I, 24 febbraio 1999, n. 1S8S . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 480 
Sez. I, 4 marzo 1999, n. 1806 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 481 
Sez. I, 4 marzo 1999, n. 1809 ............ \. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 483 
Sez. I, 6 marzo 1999, n. 1932 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 48S 
Sez. I, 18 marzo 1999, n. 2440 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 487 
Sez. I, 14 aprile 1999, n. 3691 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 490 
Sez. I, lS aprile 1999, n. 3736 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 492 
Sez. I, 17 aprile 1999, n. 3840 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 493 
Sez. I, 26 aprile 1999, n. 4127 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 49S 
Sez. I, 29 aprile 1999, n. 4320 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 379 
Sez. I, 29 aprile 1999, n. 4329 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 498 
Sez. Un., 2S maggio 1999, n. 287 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 381 
Sez. Un., 21 luglio 1999, n. 484 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 401 
Sez. Un., 22 luglio 1999, n. SOO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 408 
Sez. Un., 27 luglio 1999, n. S16 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 382 
Sez. Un., 29 luglio 1999, n. S66 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 430 
Sez. I, 2S ottobre 1999, n. 11973 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � SOO 
Sez. I, 26 ottobre 1999, n. 1202S . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � S02 
Sez. I, 12 novembre 1999, n. 12S3S . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 434 
Sez. I, 27 novembre 1999, n. 13243 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � S08 
Sez. Un., 18 maggio 2000, n. 366 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 383 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

X 


GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., 22 luglio 1999, n. 19 ......................................... pag. 439 
Ad. Plen., 15 settembre 1999, n. 14 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 441 
Ad. Plen., 18 novembre 1999, n. 22 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 448 
Ad. Plen., ordinanza 20 dicembre 1999, n. 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 458 
Sez. IV, 4 ottobre 1999, n. 1510 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 454 
Sez. IV, ordinanza 3-7 dicembre 1999, n. 2275 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 457 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. VI, 3 novembre 1998 -25 novembre 1998, n. 12357 ..................... pag. 515 
Sez. II, 6 maggio 1999, n. 5641 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 522 
Sez. V, 7 ottobre 1999, n. 11441 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 526 



PARTE SECONDA 

DOTIRINA ....................................................... pag. 69 
OSSERVATORIO LEGISLATIVO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 101 
OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 119 
CONSULTAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 121 


PER I LETTORI 

L'avvocato Plinio Sacchetto, nominato Avvocato Generale dello Stato, lascia la 
direzione della Rassegna ed affida a me tale incarico. 

Nell'accogliere con gratitudine questo compito, desidero rinnovare all'avvocato 
Sacchetto, a nome degli avvocati e procuratori dello Stato e del personale tutto 
dell'Avvocatura dello Stato, nonch� a nome mio personale, i migliori auguri per l'alta e 
prestigiosa carica conseguita, con la quale egli sapr� ancora una volta esprimere tutta la 
sua competenza e lo spirito di servizio che lo ha sempre guidato. Desidero altres� manifestargli 
il pi� vivo ringraziamento per l'autorevole contributo professionale ed umano 
apportato alla nostra Rivista ed il prezioso impegno profuso nel renderla strumento sempre 
pi� efficace di informazione ed approfondimento giurisprudenziale, nonch� espressione 
delle posizioni del nostro Istituto e del suo costante sviluppo. 

OSCAR FIUMARA 



PARTE PRIMA 



I


I 


If, 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 30 aprile 1999, n. 148 -Pres. Granata -Red. Chieppa 
-Martelli (avv. E. Romano), Cauli (avv. Piras), Siciliani (avv. Venturi), 
Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazioni illegittime di suoli per causa 
di pubblica utilit� anteriori ai 30 settembre 1996 -Applicazione con 
correttivi dei criteri di determinazione dell'indennit� di espropriazione di 
cui ai comma 1dell'art.5 bis del decreto legge 11luglio1992, n. 333, conv., 
con modificazioni nella legge 5 agosto 1992 n. 359 -Questioni di legittimit� 
costituzionale. Infondatezza. 

(Corte Cost., artt. 3, 10, comma 1, 24, comma 2, 28, 42, 53, 71, comma 1, 72, comma 2, 97, 
113, commi 1 e 2; art. 5 bis, comma 7 bis, del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, 
convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art. 3, 
comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazioni iUegittime di suoli per 
causa di pubblica utmt� anteriori al 30 settembre 1996 -Applicazioni con 
correttivi dei criteri di determinazione deU'indennit� di esproprio di cui 
al comma 1 dell'art. 5 bis del decreto legge H luglio 1992, n. 333, conv., 
con modificazioni, nella legge 5 agosto 1992 n. 359 -Carenza di valida 
dichiarazione di pubblica utmt� -Questioni di legittimit� costituzionale Manifesta 
inammissibilit�. 

(Cost. artt. 3, comma 1, e 42, comma 2, Cost.; art. 5 bis, comma 7 bis, del decreto legge 11 
luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359 
introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662). 

Sono infondate le questioni di legittimit� costituzionale del!' art. 5 bis, comma 
7 bis, del d. l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza 
pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, 
introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di 
razionalizzazione della finanza pubblica) in quanto la disposizione, che distingue in 
modo apprezzabile l'indennizzo per il risarcimento del danno dall'indennit� per la 
legittima procedura ablatoria, ha carattere eccezionale e temporaneo collegato alla 
emanazione di una nuova disciplina organica per tutte le espropriazioni preordinate 
alla realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilit� e alla necessit� di 
salvaguardare una ineludibile, e limitata nel tempo, manovra di finanza pubblica 
per il rispetto di impegni assunti in sede comunitaria. 



RASSEGNA AWOCATIJRA DELLO STATO � � � 

278 

Non sussiste disparit� di trattamento rispetto ai casi relativi a suoli agricoli o ad 
occupazioni destinate a soddisfare esigenze abitative -non essendo costituzionalmente 
preclusa la possibilit� di diversi regimi espropriativi in relazione alle differenti 
categorie di beni espropriati e alle diverse finalit� dell'intervento pubblico -n� 
contrasto con l'art. 53 Cost. poich� non pu� riconoscersi alcun connotato tributario 
alla determinazione dell'indenni;zzo nel caso di occupazione acquisitiva. 

� manifestamente inammissibile la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 5 bis citato, in riferimento agli artt. 3, comma 1, e 42, comma 2, Cost., in 
quanto la disposizione non disciplina le occupazioni illegittime dei suoli carenti di 
una valida dichiarazione di pubblica utilit� (nella fattispecie era stato annullato il 
decreto di dichiarazione di pubblica utilit�) (1). 

(omissis) 

1. -Le questioni sottoposte all'esame della Corte riguardano l'art. 5-bis comma 
7-bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza 
pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, 
introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di 
razionalizzazione della finanza pubblica), il quale prevede che �in caso di 
occupazione illegittima di suoli per causa di pubblica utilit�, intervenute 
anteriormente al 30 settembre 1996, si applicano, per la liquidazione del danno, i 
criteri di determinazione dell'indennit� di cui al comma 1� (quella, cio�, prevista per 
la espropriazione dei suoli edificatori: semisomma tra valore di mercato e reddito 
catastale rivalutato, decurtata del 40%) con esclusione della riduzione del 40 per 
cento, che �in tal caso l'importo del risarcimento � altres� aumentato del 10 per 
cento�, e che tale disposizione si applica anche ai procedimenti in corso non definiti 
con sentenza passata in giudicato. Si assume la illegittimit� costituzionale della 
disposizione denunciata per violazione: 
a) dell'art. 3 della Costituzione (invocato, in alcune ordinanze, limitatamente 
al primo comma, in altre nel suo complesso), sotto i diversi profili: 

a.1) del deteriore trattamento riservato a chi subisce danno da occupazione 
appropriativa, che non ottiene l'integrale ristoro dello stesso, rispetto a tutti gli 
altri soggetti ai quali viene arrecato danno da fatto illecito altrui e che, ai sensi 
dell'art. 2043 cod. civ., hanno diritto al risarcimento integrale del danno stesso; 

a.2) della sostanziale identit� di trattamento di situazioni diversificate, quali 
quella del soggetto sottoposto ad una legittima procedura espropriativa, e di quello 
illegittimamente privato della propriet� del suolo in virt� di c.d. occupazione 
acquisitiva da parte della pubblica amministrazione: identit� sostanziale di 

(1) La Corte Costituzionale interviene sulla tormentata materia delle occupazioni illegittime 
per causa di pubblica utilit� utilizzando in gran parte argomenti sviluppati in ambiti di riferimento 
diversi. 
Per un riesame del tema pubblichiamo, con il consenso del Consiglio dell'Ordine degli 
Avvocati e della Camera Civile di Palmi, la relazione di GIACOMO ARENA e ROBERTA GUIZZI al 
Convegno di Palmi del 20 e 21 novembre 1998, ora in L'occupazione acquisitiva, a cura di 
ALBERTO CALOGERO e CLAUDIO CARBONE, Reggio Calabria 2000. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

279 

trattamento che risulta dalla circostanza che, nel secondo caso, l'indennit� viene 
aumentata del solo 10 per cento, mentre la esclusione della decurtazione del 40 per 
cento, decurtazione prevista nei casi di espropriazione, viene in tali ipotesi ottenuta 
ugualmente attraverso la cessione volontaria dei beni, che non � possibile in caso di 
occupazione acquisitiva; 

a.3) della irragionevole disparit� di trattamento tra i proprietari assoggettati 
alla occupazione illegittima entro il 30 settembre 1996, cui si applicano, per il 

L'occupazione appropriativa. Un istituto fuori legge? 

1. L'occupazione appropriativa � un istituto giuridico (quasi) del tutto definito con poche 
tessere mancanti alla composizione del mosaico? O una costruzione da sottoporre a costanti prove 
di resistenza per verificarne la solidit� dell'impianto? Un istituto coerente al sistema formale delle 
leggi o alla dinamica di forze che si misurano sul campo dei rapporti di fatto? Questi ed altri 
interrogativi hanno suggerito il titolo della conversazione. Al relatore il compito di porre 
problemi, all'incontro la funzione di tentare di metterli a fuoco. 
2. Per introdurre il discorso pochi notissimi riferimenti alle norme e alle strutture che le 
hanno prodotte. 
1865: nello stesso anno vengono adottati il codice civile e la legge generale delle 
espropriazioni per pubblica utilit�. 
Al centro del sistema del codice il riconoscimento amplissimo dell'autonomia privata e del 

<<principio della propriet�, intesa come attributo della personalit� dell'uomo, e come momento 
finale dell'attivit� umana ... 

Le strutture economiche del nuovo Stato aderiscono alle categorie giuridiche gi� elaborate 
dal codice Napoleone, perch� anche quelle erano fondate sulla maggiore importanza della terra 
e in genere della propriet� immobiliare, e sulla libert� dei commerci� (1). 

Legge 25 giugno 1865, n. 2359: 

L'espropriazione dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili per l'esecuzione di opere 
di pubblica utilit� non pu� aver luogo che con l'osservanza delle forme stabilite dalla presente 
legge (art. 1). 

L'indennit� dovuta all'espropriato consister� nel giusto prezzo che a giudizio dei periti 
avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita (art. 39). 

La propriet� dei beni soggetti ad espropriazione per causa di pubblica utilit� passa 
nell'espropriante dalla data del decreto del prefetto che pronuncia l'espropriazione (art. 50) al 
termine di un procedimento amministrativo, disciplinato in tutte le fasi che distingue in 
particolare l'espropriazione dalle diverse forme di occupazione temporanea e di urgenza 
regolandone puntualmente le diverse sequenze e le loro relazioni (2). 

*Lo scritto riproduce, con integrazioni, il contenuto di una relazione al Convegno sull'Occupazione acquisitiva 
organizzato dal Consiglio dell'Ordine Avvocati e dalla Camera civile di Palmi -ai quali, unitamente a un sincero 
ringraziamento, va riconosciuto il merito di mantenere al centro delle loro iniziative delicati e discussi temi giuridici. 
Nel testo si � impiegata la locuzione occupazione appropriativa al posto della tranquillizzante occupazione 
acquisitiva perch� evoca pi� efficacemente i caratteri di illegittimit� dell'istituto. Si sono poi trascritti alcuni brani 
della legislazione, della giurisprudenza e della dottrina per offrire suggestioni sulle modalit� di svolgimento, nei diversi 
tempi, di un continuo dialogo. 

(1) R. NICOL�, Codice civile, in Enc. dir., VII, Milano 1960, 240 ss., spec. 242 s. 
(2) M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, II, Milano 1993, 3' ed., 714 s. Nello scorso secolo ilprocedimento 
amministrativo fu l'unico che il legislatore si preoccup� di disciplinare con cura, anzi con minuziosa pedanteria 
... e fu concepito come un procedimento, se non proprio strumentale (come si � talora detto), certamente condizionato 
rigidamente a un presupposto: che si dovesse realizzare un'opera pubblica. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO" e

280 

risarcimento dei danno, criteri sostanzialmente uguali a quelli previsti in caso di 
espropriazione, e quelli che subiscono tale occupazione in epoca successiva a 
quella data, i quali hanno diritto all'integrale risarcimento; nonch� tra coloro che 
non hanno visto ancora definiti i relativi rapporti al momento della entrata in 
vigore della disciplina di cui si tratta, che � ad essi applicabile, ed i titolari di 
situazioni ormai definite con sentenza passata in giudicato, che sfuggono alla 
disciplina stessa; 

a.4) della irragionevole disparit� di trattamento cui d� luogo la disciplina 
censurata rispetto a quella prevista per le occupazioni appropriative destinate al 
soddisfacimento di esigenze abitative, di cui all'art. 3 della legge n. 458 del 1988 
(come ampliato nella sua sfera oggettiva dalla pronuncia additiva della Corte 
costituzionale n. 486 del 1991, in Foro it, 1992, I, 1073), che prevede l'integrale 
risarcimento del danno subito (rilievo svolto dalla sola Corte d'appello di Reggio 
Calabria con ordinanza r.o. n. 292 del 1977); 

La normativa sull'espropriazione traccia un segno apparentemente indelebile del nuovo 
atteggiarsi dei rapporti tra le amministrazioni e il cittadino, tra il principio di autorit� e il principio 
di libert�. 

La legge generale ed astratta disciplina il potere di sottrarre, con atto autoritativo, (la propriet� 
di) beni immobili o diritti relativi a immobili per l'esecuzione di opere di pubblica utilit�; 
l'esercizio del potere � condizionato al rispetto delle forme stabilite dalla legge (principio di 
legalit� dell'azione amministrativa) e comporta il versamento di un'indennit� corrispondente al 
cosiddetto valore venale o di comune commercio, che, salvo talune limitazioni, accorda 
all'espropriato la massima riparazione con la trasformazione in moneta di tutte o parti delle utilit� 
economiche dei beni. 

Il criterio indennitario discende direttamente dal concetto di espropriazione come �vendita 
forzata� ed ha lo scopo di non riservare �al venditore coatto� un trattamento peggiore di quello 
cui pu� aspirare il venditore volontario (3). 

Ben presto l'art. 13 della legge n. 2892 del 1885 per il risanamento della citt� di Napoli 
deroga al criterio della legge generale sulle espropriazioni e prevede un'indennit� determinata 

sulla media del valore venale e dei fitti coacervati dell'ultimo decennio, purch� essi abbiano la 
data certa corrispondente al rispettivo anno di locazione. 

In difetto di tali fitti accertati l'indennit� � fissata sull'imponibile netto agli effetti 
dell'imposta sui terreni e sui fabbricati. 

La disposizione, come risulta dai lavori preparatori, non aveva lo scopo di ridurre l'indennit� 
ma di prevedere un criterio pi� favorevole ai proprietari perch� l'espropriazione aveva ad oggetto 
immobili fatiscenti e tuttavia produttivi di reddito in quanto locati per abitazione (4). 

(3) v., al riguardo, G. LANDI, Espropriazione per pubblica utilit�, in Enc. dir., XV, Milano 1966, 806 ss., spec. 
822. L'espropriazione � presentata come un'alienazione forzata (locuzione che del resto appare anche nell'art. 571. 
espr.) nei lavori preparatori e dai primi commentatori della legge del 1865. Contra M. S. GIANNINI, op. cit., 720 s., 
che, pur riconoscendo l'eleganza della descrizione dell'espropriazione come trasferimento coattivo, distingue l'aspetto 
privativo del provvedimento -cui corrisponde l'estinzione del diritto -da quello acquisitivo -cui corrisponde 
la costituzione di un nuovo diritto o la riespansione di un diritto. 
(4) Nel tempo ha finito per rappresentare una notevole falcidia dell'importo spettante sulla base del criterio del 
valore venale o di mercato sia per le difficolt�, per i proprietari, di provare lesistenza di fitti certi percepiti dai cespiti 
di loro propriet� assoggettati ad espropriazione, sia perch� la redditivit� dei beni andava calando (A. MAROTIA, in 
G. LEONE e A. MAROTIA, Espropriazione per pubblica utilit�, in Trattato di diritto amministrativo diretto da G. Santaniello, 
Padova 1997, 355). 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

281 

a.5) della irragionevole disparit� di trattamento rispetto all'ipotesi di 
occupazione ab initio illegittima, in quanto non assistita da dichiarazione di 
pubblica utilit� ovvero presidiata da dichiarazione poi venuta meno perch� 
illegittima, ipotesi estranee alla previsione normativa censurata, e nelle quali, 
pertanto, il privato potrebbe legittimamente aspirare all'integrale risarcimento dei 
danno (rilievo svolto dalla sola Corte d'appello di Reggio Calabria con l'ordinanza 
sopra citata); 

A distanza di qualche decennio il criterio indennitario previsto dall'art. 13 della legge 

n. 2892 del 1885 viene esteso a procedimenti ablativi aventi finalit� diverse e, anche in relazione 
al diverso contesto (temporale e spaziale) di operativit�, finisce per non aver alcun'altra ragione 
che quella puramente finanziaria del minore aggravio dell'espropriante, del minor costo 
dell'opera pubblica da realizzare (5). 
La tendenza si consolida fra le due guerre e dopo l'avvento della Costituzione Repubblicana. 

3. Nel nuovo assetto il criterio indennitario della legge sul risanamento della citt� di Napoli 
viene impiegato, oltre che per la realizzazione di opere destinate a soddisfare esigenze dell'intera 
collettivit�, per ridistribuire certi tipi di beni tra le diverse classi e come strumento per conseguire 
pi� ampi obiettivi di politica economica e finanziaria. 
Le prime decisioni della Corte Costituzionale si misurano sul terreno della legislazione 
speciale e tentano di costruire una serie coerente di argomenti per valutare l'operato del 
legislatore nel settore delle espropriazioni per pubblica utilit�. 

Particolarmente significativa la sentenza del 18 febbraio 1960 n. 5. La Corte affronta, con 
riguardo all'art. 23 della legge 28 febbraio 1949 n. 43 (concernente provvedimenti per 
incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori), problemi 
tuttavia irrisolti e sviluppa argomenti che impiegher� con vari dosaggi, e in altri contesti, per 
motivare le sue successive decisioni (6). 

Il punto centrale della questione � sostanzialmente quello di stabilire quali siano il significato 
e l'esatta portata della parola �indennizzo� usata nell'art. 42, 3� comma, Cast. In altri termini si 
tratta di precisare se l'indennizzo da corrispondere al proprietario espropriato per motivi di 
interesse generale debba o meno corrispondere al giusto prezzo dell'immobile espropriato. 

Con sentenza n. 61del25maggio1957 questa Corte ha in proposito statuito che non � dato 
attribuire alla parola �indennizzo� una interpretazione meramente letterale ed etimologica, in 
quanto il Costituente, tenuto anche conto di elementi storici, non ha inteso, relativamente 
all'indennizzo, adottare il solo criterio della effettiva corrispondenza al valore venale 
dell'immobile, fissato dall'art. 39 legge generale 25 giugno 1865 n. 2359 sulle espropriazioni 
forzate per causa di pubblica utilit�. Tale criterio leggi successive (legge 15 gennaio 1885 

(5) La legislazione speciale fiorisce ed emergono, sempre pi� frequentemente, interessi pubblici che condizionano 
la tradizionale ricostruzione del dirittto di propriet�. 
Sul problema in generale, e con riferimento alle diverse propriet�, si rinvia ai classici studi di S. PUGLIATII 
(raccolti nel volume La propriet� nel nuovo diritto, Milano 1954). Sul processo di industrializzazione a partire dal 
decennio 1878-1887 e sui rapporti tra sviluppo economico e legislazione speciale agli inizi del nuovo secolo, v. 

G. PESCOSOLIDO, Unit� nazionale e sviluppo economico, Bari 1998, Introduzione, spec. VIII e IX e 287 ss., con attente 
riflessioni sull'incidenza delle nuove normative che riguardavano, sin da allora, il problema di sempre: la questione 
meridionale. Imposta all'attenzione dei governanti da voti solenni di assemblee, divenne argomento di speciali 
e parziali atti legislativi; ma � giunto ormai il tempo di riguardarla nella sua interezza (cos� S. SONNINO, Discorsi 
parlamentari, voi. III, 190, cit. in G. CANDELORO, Storia dell'Italia moderna, VII, La crisi di fine secolo e l'et� 
giolittiana, 3a ed., Milano 1975, 214). 
(6) In Foro it., 1960, I, 356. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

282 

a.6) della irragionevolezza della scelta del legislatore, che avrebbe ridotto in 
misura eccessiva, nelle ipotesi di occupazione illegittima della pubblica 
amministrazione, il risarcimento rispetto al ristoro integrale del danno, ed in misura 
esigua rispetto all'indennit� di esproprio, per una preponderante valutazione del 
concorso dell'interesse pubblico, gi� considerato ampiamente ai fini della 
determinazione dell'effetto estintivo-acquisitivo della propriet�, e che, pertanto, in 
sede di liquidazione del danno, avrebbe dovuto essere oggetto di una minore 
valutazione; 

a.7) della disparit� di trattamento che la norma determinerebbe tra le ipotesi 
di espropriazione legittima dei suoli agricoli o non edificabili -rispetto ai quali 
l'indennizzo viene commisurato, ai sensi del comma 4 dell'art. 5-bis del d.l. 

n. 2892 per il risanamento della Citt� di Napoli, r. d. l. 6 luglio 1931 n. 981 per il piano 
regolatore della Citt� di Roma e numerosi altri provvedimenti legislativi) avevano gi� superato, 
nella considerazione che gli scopi di pubblica utilit� e le finalit� socia!~ per la stessa loro natura 
di superiori interessi, non possono essere subordinati a quelli privati e, sia pur contemperati e 
coordinati con questi ultimi, debbono essere realizzati. 
Ha, pertanto, ritenuto la Corte non ammissibile che proprio la Costituzione, informata ad 
ampie finalit� di progresso sociale, abbia inteso in ordine all'indennizzo ritornare esclusivamente 
al criterio della effettiva corrispondenza al valore venale dell'immobile; ed ha in conseguenza 
affermato che indennizzo non significa in ogni caso integrale ristoro del sacrificio per effetto 
dell'espropriazione, ma �il massimo di contributo e di riparazione che, nell'ambito degli scopi di 
generale interesse, la pubblica Amministrazione pu� garantire all'interesse privato. Ci� importa 
che la valutazione comparativa di tali interessi e il modo come pervenire al massimo della 
rispettiva soddisfazione devono essere il risultato di un complesso e vario esame di elementi 
tecnici, economici, finanziari, politici, che solo al legislatore pu� essere dato di compiere�. 

Al legislatore ordinario deve quindi riconoscersi, per le ragioni dette e ai fini indicati, un 
potere discrezionale; il quale trova pur sempre un limite, quello cio� che l'esigenza di un 
indennizzo non pu� ritenersi soddisfatta con disposizioni che vengano ad attuare un indennizzo 
apparente o puramente simbolico. 

Tali concetti, confermati nelle sentenze di questa Corte n. 33 del 1958, sono stati ribaditi 
nella recente sentenza n. 67 del 29 dicembre 1959. 

Alla stregua pertanto dei principi sopra enunciati deve concludersi che l'impugnato art. 23 
legge 28 febbraio 1949 n. 43 (concernente provvedimenti per incrementare l'occupazione 
operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori), il quale per la determinazione 
dell'indennizzo ai proprietari espropriati non stabilisce la corresponsione del valore venale delle 
aree di cui trattasi, ma recepisce dalla legge n. 2892 del 1885 per Napoli il criterio di 
determinare l'indennit� �sulla media sul valore venale e sui fitti coacervati dall'ultimo decennio 
e in difetto sull'imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e sui fabbricati�, non si pone 
in contrasto con l'art. 42 Costituzione. 

N� pu� ravvisarsi violazione degli artt. 3, 47 e 53 Cost. Infatti per quanto concerne l'art. 3, 
questa Corte ha stabilito che a situazioni diverse non pu� essere imposta identica disciplina e che 
una legge, che pareggiasse situazioni oggettivamente diverse, violerebbe del pari il principio 
dell'uguaglianza; per quanto poi riguarda gli artt. 47 e 53, essi hanno per oggetto 
rispettivamente la tutela del risparmio e il sistema tributario, e operano quindi in campi estranei 
a quello relativo al presente giudizio. 

Gli interessi in gioco sono chiari: esigenza di affrontare nel dopoguerra il problema delle 
case per lavoratori e di sviluppare l'occupazione operaia, di attuare una manovra di politica 
economica al minor costo compatibile con le risorse finanziarie e con l'esigenza di tutela della 
propriet� privata. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

283 

n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge n. 359 del 1992, al valore 
agricolo medio, e, quindi, secondo un criterio prossimo a quello del valore venale 
-ed i casi di occupazione illegittima degli stessi, in cui lammontare del 
risarcimento dovuto sarebbe quantificato ad un livello inferiore al valore venale 
del bene (rilievo svolto dal Tribunale di Potenza con le ordinanze nn. 735 del 1997 
e 408 del 1998). 
La Corte riconosce l'ampio potere discrezionale del legislatore nella valutazione del 
complesso di elementi tecnici, economici, finanziari, politici da tenere in conto nella disciplina 
del settore -con l'unico limite della previsione di indennizzi apparenti o puramente simbolici. 

Identificato come nodo fondamentale da sciogliere il problema della congruit� dell'indennizzo, 
la Corte lo risolve positivamente con argomenti ricavati dall'art. 42, 3� comma, Cost. 

Esclude, poi, ai fini della verifica di costituzionalit� il rilievo degli artt. 47 e 53 perch� essi 
hanno per oggetto rispettivamente la tutela del risparmio e ilsistema tributario, ed operano quindi 
in campi estranei a quello relativo al presente giudizio, nonch� dell'art. 3 Cost., legittimando con 
il principio richiamato: a situazioni diverse non pu� essere imposta identica disciplina criteri 
indennitari diversi a seconda delle finalit� legislativamente perseguite. 

A distanza di quarant'anni la semplicemente affermata, ma non dimostrata, irrilevanza degli 
artt. 47 e 53 si consolida unitamente al principio di conformit� al sistema di tipi di espropriazione 
differenti, per procedure e criteri indennitari. 

Alla fine del percorso potr� porsi l'interrogativo se la Corte non abbia, con antichi 
convincimenti e metodi, stabilizzato (o tentato di stabilizzare), quantomeno apparentemente, le 
�regole� delle sue decisioni contribuendo, nel suo dialogo con il legislatore e la Corte di 
Cassazione, a destrutturare il sistema definito dalla Costituzione oltre i limiti del normale 
adeguamento ai valori via via emergenti ed ai fatti, che dei primi costituiscono fondamento e 
attuazione in una incessante dialettica. 

Questa dinamica (non estranea ad altri ambiti normativi) � particolarmente evidente nel 
settore dell'espropriazione per la radicale ed accelerata trasformazione dei rapporti giuridici e di 
fatto tra le diverse classi sociali, per la scomparsa, in aree sempre pi� estese del paese, del 
latifondo dopo la seconda guerra mondiale e, nel periodo successivo al 1960, per l'affermarsi di 
un modello di sviluppo centrato sulla programmazione economica senza l'impiego di adeguate 
tecniche legislative. 

Il legislatore contemporaneo nel frammentarismo, nell'occasionalit�, nell'eccezionalit� dei 
suoi interventi riconosce le linee guida del suo agire, con effetti a cascata sull'operato della 
pubblica amministrazione e crisi di identit� dei gruppi e dei singoli che si misurano sul sempre 
pi� frastagliato terreno di una ormai impossibile (?) comunanza di vita in un ordinamento 
giuridico unitario. 

In considerazione del divario tra tempi di emersione delle nuove esigenze e tempi e modalit� 
dell'intervento legislativo, dell'inadeguata attenzione ai comportamenti dei soggetti coinvolti nel 
processo di attuazione delle riforme, la procedura espropriativa � stata interpretata dagli operatori 
giuridici come il luogo del conflitto tra antichi poteri -propriet� privata e potere pubblico di 
esprol?riarla: senza coscienza dei nuovi contenuti e funzioni dell'una e dell'altro (7). 

E difficile valutare l'incidenza del ruolo della Corte -e dei suoi metodi di trattamento dei dati 
-nelle varie stagioni che si sono susseguite con ritmo tumultuoso, degli effetti che avrebbe 
determinato un'ampia identificazione delle norme di riferimento in un tentativo di blocco del 
frammentarismo legislativo (allo scopo o con l'illusione di poter ridurre a razionalit� un troppo 

(7) La propriet� � una mentalit� (cos� P. GROSSI, Propriet� (diritto intermedio) in Enc. dir., voi. XXXVII, 
Milano 1988, 226 ss., spec., 251 ss. e lo stesso pu� dirsi del potere pubblico. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO �

284 

b) dell'art. 42 della Costituzione (invocato da alcuni giudici limitatamente al 
secondo ovvero al terzo comma, da altri nel suo complesso), in quanto la esigua 
misura riconosciuta per il risarcimento non costituirebbe adeguata tutela del diritto di 
propriet�, ed inoltre perch� l'indennizzo previsto dalla Costituzione in caso di 
esproprio presuppone una procedura legittima laddove un comportamento illegittimo 
sarebbe sempre fonte dell'obbligazione di ripristinare lo status quo ante direttamente 

o per equivalente; infine, in quanto la norma impugnata creerebbe il rischio di ricorso 
ad una forma anomala di espropriazione, svincolata dall'osservanza di garanzie 
procedurali (rilievo del Tribunale di S. Maria Capua Vetere); 
complesso sistema). Assecondare le esigenze del momento o stroncare, in prospettive di lungo 
periodo, interventi legislativi eccezionali e straordinari, imposti da continue emeigenze e giustificati 
con la loro temporaneit� ma poi prorogati, reiterati, sospesi, riproposti con lievi modifiche ... ? 

Certo, se la Consulta avesse compiuto le sue verifiche di costituzionalit� in un'ampia area 
di riferimenti normativi senza limitarsi a valorizzare parti o frammenti di disposizioni 
costituzionali, se avesse assegnato decisivo rilievo al rispetto del principio di legalit� dell'azione 
amministrativa nel suo armonico svolgersi in procedimenti riservati alla competenza del 
legislatore, il problema dell'espropriazione prima e dell'occupazione appropriativa poi non si 
sarebbe ridotto al problema della congruit� o irrisoriet� di indennizzi e risarcimenti. 

Quanto poi alla giurisprudenza della Cassazione, identificate le regole complessive del 
gioco dell'espropriazione e assunto come valore fondamentale da rispettare la legalit� del 
procedimento amministrativo -e, pi� in generale, il principio di legalit� (8) -, si pu� 
seriamente dubitare che la Suprema. Corte potesse inventare, in materia di espropriazione, 
procedimenti riservati alla competenza del legislatore ordinario, come sembra essere avvenuto 
con l'occupazione appropriativa. 

Le ipotesi acquistano particolare consistenza quando l'espropriazione si collega ad altre 
serie procedimentali per un pianificato intervento sul territorio. 

4. Agli inizi degli anni '60 l'espropriazione per assicurare la casa alle classi meno abbienti 
si inserisce nella pi� ampia prospettiva dei piani di utilizzazione razionale del territorio (l. 18 
aprile 1962 n. 167: disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili), sviluppando un 
collegamento gi� presente nella legge urbanistica del 1942. 
Le tensioni sottese alla nuova disciplina sembrano tuttavia svilupparsi lungo l'asse del 
confronto tra diritto di propriet� e interesse all'abitazione con riferimento ad un'indennit� pari al 
valore di mercato del bene da espropriare (che, a seguito di un intervento della Corte 
costituzionale, doveva rimanere sottratta a situazioni di incertezza determinata dall'intervento di 
eventi perturbatori tali da condurre ad una liquidazione dell'indennit� in misura irrisoria o 
addirittura simbolica). 

Con sentenza del 9 aprile 1965 n. 22 (9) la Corte dichiara l'illegittimit� costituzionale 
dell'art.12, comma 2, prima parte, della legge n. 167 del 1962 (secondo cui il valore venale, da 
determinarsi nella misura prevista dall'art. 39 della legge generale dell'espropriazione per pubblica 

(8) Specificazioni del principio si rinvengono nell'art. 23 Cost.: nessuna prestazione personale e patrimoniale 
pu� essere imposta se non in base a legge, negli artt. 13 ss. Cost., nella parte in cui prevedono che alcune libert� 
fondamentali dei cittadini possono essere limitate soltanto nei casi e modi previsti dalla legge o con le garanzie 
previste dalla legge e, comunque, sempre previo l'intervento del legislatore, nell'art. 42, 2� e 3� comma Cost., sulla 
propriet� privata e sull'espropriazione (per quanto in particolare riguarda il tema di indagine), nell'art. 97 Cost. Al 
riguardo T. MARTINES, Diritto costituzionale, Milano 1997, IX ed., aggiornata a cura di G. Silvestri, 440 s. 
(9) In Foro amm., 1965, 72 ss. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

285 

e) dell'art. 10, primo comma, della Costituzione, per il contrasto con gli artt. 7, 
8 e 17, secondo comma, della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, e con 
l'art. 13 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle 
libert�, che sanciscono il diritto di ogni persona al rispetto dei suoi beni (censura 
proposta dalla Corte d'appello di Cagliari con ord. r.o. n. 417 del 1997); 

utilit�, andava riferito a due anni precedenti alla delibera comunale di adozione del piano delle 
zone da destinare alla costruzione di alloggi di carattere economico o popolare, nonch� alle opere 
e servizi complementari, urbani e sociali ivi comprese le aree di verde pubblico) in riferimento agli 
artt. 42, terzo comma, e 3, primo comma, Cost., nonch� dell'art. 16 della stessa legge (in quanto 
riconosceva espressamente solo ai proprietari dei terreni gi� destinati a edilizia residenziale, ma 
non anche ai proprietari dei terreni con diversa destinazione inclusi nei piani, il diritto di costruire 
direttamente alloggi economici e popolari) in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. 

Ai fini della dichiarazione di incostituzionalit�, ancora una volta, non ritiene la Corte 
utilmente richiamati, nel caso in esame, i precetti contenuti negli artt. 23 e 53 Cast., trattandosi, 
come gi� questa Corte ha avuto occasione di rilevare (sentenza n. 5del1960), di istituti giuridici 
ricollegabili a presupposti diversi e diversamente disciplinati dalla Costituzione e dalla legge 
ordinaria. Essi, infatti, pongono in essere obbligazioni di carattere personale, che non possono 
equipararsi ai trasferimenti coattivi, regolati esclusivamente dagli artt. 42 e 43 Cast. 

La risposta del legislatore non si fa attendere. Il costo delle espropriazioni per l'edilizia 
economica e popolare � ridotto con l'applicazione del criterio indennitario della legge sul 
risanamento della citt� di Napoli (art. 1, legge 21 luglio 1965, n. 904). 

Negli anni successivi il discorso acquista maggior respiro: al suo centro non solo la misura 
dell'indennit� ma, nella dottrina pi� attenta, nuovi modi di concepire l'intervento pubblico, nuovi 
stili di vita, con significative riflessioni sui contenuti della propriet� e dell'interesse alla casa, delle 
tecniche per attuarli con l'interpretazione e con riforme legislative, orientate entrambe alla 
ridistribuzione di antichi beni modernamente concepiti. Quello della casa non era pi� il problema 
di assegnazione di un tetto a chi ne fosse sprovvisto. 

Troppi danni ha prodotto una visione del genere per poter essere ancora adottata. � chiaro 
che l'interesse alla casa s'intreccia con esigenze (e carenze) pi� profonde, attinenti a politiche 
del territorio e discipline urbanistiche ad ampio respiro, nonch� all'istituzione di servizi collettivi 
(pubblici e privati) efficienti e a basso prezzo. 1 tratti salienti della esperienza passata in materia 
sembrano essere invece: tolleranza di un'attivit� edilizia privata pressoch� indiscriminata, 
mancanza di piani regolatori nella maggior parte dei comuni medi e grandi, e, come fattori 
concorrenti di emarginazione sociale e morale, insufficienza di mezzi di trasporto, verde, scuole, 
centri sociali in genere; sul piano strettamente economico: soprattutto, fenomeni di speculazione, 
crescita spropositata delle rendite urbane, aumento vertiginoso dei canoni di locazione (pi� del 
50% nel decennio 1961171) e del prezzo degli alloggi, alto costo dei servizi collettivi. 

Il numero inadeguato e la scarsa qualit� della maggior parte delle abitazioni contraddicono 
nettamente a un'istanza ormai diffusa nel paese e -sembra -recepita a livello politico da un 
vasto schieramento di forze, quella di assegnare al bene 'casa' un significato nuovo, 
qualitativamente diverso dal significato che gli attribuisce un sistema neocapitalistico. 

Si allude, in maniera evidente, all'esigenza di subordinare il carattere dell'alloggio come 
oggetto d'investimento e fonte di rendita alla destinazione che gli � propria in relazione alla sua 
<<funzione sociale�. Tale formula va naturalmente precisata; ma gi� appare suggestiva non solo 
per il significato che esprime ma anche per l'istanza che porta nel mondo dei valori giuridici 
costituzionalmente rilevanti. 

L'abitazione costituisce punto di riferimento di un complesso sistema di garanzie 
costituzionali, e si specifica quale componente essenziale (oltre che presupposto logico) di una serie 
di �Valori� strettamente collegati a quel �pieno sviluppo della persona umana� che la Costituzione 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .

286 

d) dell'art. 24, primo comma, della Costituzione, per il contrasto con il 
principio della effettivit� della tutela giurisdizionale, che non sarebbe garantito dalla 
riduzione della entit� del risarcimento da fatto illecito consistente nella occupazione 
illegittima di un suolo ad opera della pubblica amministrazione (censura proposta 
dalla sola Corte d'appello di Cagliari, con l'ordinanza sopra indicata); 

e) dell'art. 28 della Costituzione, per il sostanziale esonero da responsabilit� per 
il pubblico funzionario in caso di occupazione illegittima, non potendo la causazione 
di un danno aggiuntivo limitato per la pubblica amministrazione, tra l'altro bilanciata 
dal soddisfacimento dell'interesse alla conservazione dell'opera pubblica, essergli 

pone a base (assieme all'istanza partecipativa) della democrazia sostanziale. La casa, in quanto 
dimensione spaziale della persona, acquista, per questo aspetto, rilevanza giuridica fondamentale. 
Da un punto di vista generale, il problema 'casa' s'inquadra nell'ambito del territorio, e delle 
esigenze umane che vi si proiettano: la tutela del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle 
zone montane, della piccola e media propriet� terriera, fornisce un ampio quadro di settori 
d'intervento nei quali le case occupano un posto indubbiamente di grande rilievo. In senso pi� 
specifico, l'abitazione appare come uno strumento per consentire l'effettiva realizzazione dei diritti 
dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalit� (art. 2 
Cast.); e in questa direzione assume un particolare significato la tutela del risparmio popolare, che 
la Costituzione indirizza all'acquisto della propriet� dell'abitazione (art. 47 Cast.) mentre il 
collegamento della esigenza primaria dell'abitare con i profili qualitativi che vi si riconnettono 
risulta in primo luogo dalla tutela costituzionale della scuola, della salute, del lavoro (10). 

Individuate le disposizioni costituzionali rilevanti per l'identificazione del diritto alla casa, 
si delinea un coerente quadro normativo cui rapportare l'interpretazione delle leggi ordinarie nel 
segno di una concezione dell'abitazione come punto di riferimento per l'effettivo esercizio di 
diritti fondamentali della persona umana, dell'interesse all'abitazione come valore giuridico 
essenziale per l'attuazione di uno stato ottimale di uguaglianza sostanziale. 

La legge 22 ottobre 1971 n. 865 veniva ritenuta l'iniziativa di maggiore rilievo non solo per 
l'entit� dei finanziamenti previsti a tal fine, ma soprattutto perch� lo strumento del['
espropriazione d� luogo, sul piano effettuale, a un fenomeno che tende a tradursi in una sorta di 
nazionalizzazione delle aree private occorrenti per l'edilizia economica e popolare. Da un punto 
di vista formale non sono riscontrabili particolari innovazioni rispetto al criterio adottato dalla 
legge n.167 del 1962; in realt�, per�, la previsione dell'espropriazione generalizzata ed obbligatoria 
comporta notevoli differenze. Mentre per la n.167 i Comuni erano solo autorizzati a 
espropriare (salva, peraltro, pure la facolt� per il privato di evitare il trasferimento coattivo 
dell'area con l'assunzione dell'obbligo di utilizzarla in proprio per fini edificatori) la nuova 
normativa prevede il dovere puntuale di acquisire le aree incluse nei piani. L'atto amministrativo, 
cio� in particolare il piano comunale, ha la funzione di circoscrivere i beni sui quali deve cadere 
la riserva di propriet� pubblica. La formazione dei piani � anch'essa doverosa: nel disegno 
legislativo riguardante il patrimonio pubblico di aree edificabili, la discrezionalit� del Comune ha 
per oggetto solo la determinazione dell'ambito di tale patrimonio. 

La recente normativa � dunque caratterizzata dal ricorso allo strumento della espropriazione, 
nei termini ora descritti, per favorire l'acquisizione delle aree fabbricabili; aree che, � bene 
sottolineare, vengono valutate solo in base alla loro destinazione agricola (rimuovendo forse cos� il 
maggior ostacolo allo sviluppo di una politica della casa) e per le quali non � prevista la retrocessione, 
anche in caso di mancata realizzazione del programma. Non si debbono tuttavia sottovalutare altri 
aspetti, anch'essi riferibili alla tematica del diritto alla casa, ed emergenti dalla legge n. 865. 

(10) T. MARTINES e un gruppo dell'Istituto di scienze giuridiche dell'Universit� di Messina, Il �diritto alla 
casa�, in Tecniche giuridiche e sviluppo della persona, a cura di N. Lipari, Bari 1974, spec. 392 s. 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

287 

addebitata a titolo di colpa grave e configurandosi i casi di dolo come ipotesi 
eccezionali (censura proposta dalla Corte d'appello di Cagliari con ord. r.o. n. 417 del 
1997, dalla Corte d'appello di Firenze con ordinanze r.o. nn. 788 e 789 del 1997, dal 
Tribunale di Lamezia Terme con le ordinanze r.o. nn. 423-426 del 1997); 

f) dell'art. 53 della Costituzione, in quanto porrebbe una notevole parte del 
costo dell'opera pubblica realizzata a seguito di occupazione illegittima a carico del 
proprietario dell'area occupata, in contrasto con il principio secondo il quale il 

L'inserimento della espropriazione in una previsione complessiva e organica dello 
sfruttamento delle aree edificabili denuncia in primo luogo la volont� di configurare un assetto 
urbanistico che tuteli in modo unitario l'interesse all'abitazione; interesse che pu� trovare 
realizzazione solo se vengono predisposte strutture che rendano il suolo accessibile a tutti e 
l' �ambiente� idoneo allo sviluppo della personalit� di ciascuno. 

In questo quadro l'interesse alla costruzione di alloggi economici e popolari si pone in una 
situazione di interdipendenza rispetto al pi� generale interesse a un organico e globale assetto 
urbanistico (per cui l'esigenza della casa non viene considerata soltanto sotto il profilo di 
bisogno elementare e imprescindibile dell'individuo ma anche in rapporto di strumentalit� 
rispetto ad altri valori); si comprende cos� la definizione dell'edilizia economica e popolare come 
servizio pubblico (11). 

La suggestiva ricostruzione sottolinea nel contempo le carenze della nuova legislazione. 

L'importanza del rapporto tra la politica d'incentivazione dell'edilizia economica e 
popolare e il pi� generale problema urbanistico ed edilizio non appare ancora adeguatamente 
recepita: infatti, se da un lato una idonea programmazione della politica della casa presuppone 
il coordinamento con il piano di sviluppo dell'assetto urbano, in tutte le sue specificazioni 
(comprese le infrastrutture, la scuola e i servizi), d'altro canto il nucleo della legge n. 865 � 
costituito dalla tutela di una cerchia di destinatari, i titolari di un �diritto alla casa�, rispetto ai 
quali la necessit� economica e sociale appare pi� pressante. 

Da questo punto di vista il disegno di un compiuto assetto urbanistico nella legge sulla casa 
appare appena abbozzato. � vero che si prescrive -sin dalla legge n. 167del1962 -che i piani 
delle zone da destinare a edilizia economica e popolare contengano la delimitazione degli spazi 
riservati a opere e impianti di interesse pubblico, nonch� a edifici pubblici e di culto, e abbiano 
una durata massima di dieci anni (prorogabile per altri due) (sicch�, in definitiva, la previsione 
delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria dovrebbe essere suscettibile di adattamento 
alle reali esigenze della collettivit�); ed � pure vero che nella legge n. 865 (art. 44) l'indicazione 
delle opere di urbanizzazione secondaria si arricchisce, cos� specificandosi ulteriormente: �a) 
asili nido e scuole materne; b) scuole dell'obbligo; c) mercati di quartiere; d) delegazioni 
comunali; e) chiese e altri edifici per servizi religiosi; t) impianti sportivi di quartiere; g) centri 
sociali e attrezzature culturali e sanitarie; h) aree verdi di quartiere�. Tuttavia queste previsioni 
riguardano soltanto le zone incluse nei piani, e non costituiscono, come invece dovrebbero, il 
collegamento tra aree di espansione destinate all'edilizia economica e popolare, aree di 
espansione lasciate all'edilizia libera e centri storici, zone di sviluppo industriale e agricolo. 

Mentre dunque non sono sufficienti a realizzare tutte le esigenze, tali previsioni rischiano di 
determinare un isolamento sociale, psicologico e culturale delle popolazioni inserite nelle aree 
del piano. Ma le deficienze sono ancora pi� gravi. 

Nella programmazione della spesa pubblica si possono riscontrare non solo limiti 
quantitativi, ma tali difetti di coordinamento da rendere praticamente illusoria la prospettiva di 
un'armonica attuazione dell'attivit� edilizia rispetto alla urbanizzazione del territorio. 

(11) T. MARTINES, op. ult. cit., 395 s. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

288 

concorso di ciascuno alla sfera pubblica � commisurato alla sua capacit� 
contributiva (censura proposta dalla Corte d'appello di Cagliari con l'ordinanza 
sopra menzionata); 

g) degli artt. 71, primo comma, e 72, primo comma, della Costituzione 
(invocati dalla Corte d'appello di Cagliari) in quanto la norma in questione, essendo 
inserita in una legge che raccoglie in soli tre articoli (ciascuno dei quali consistente 
in una lunghissima serie di commi) disposizioni del tutto eterogenee, sarebbe stata 
approvata, avuto anche riguardo alla circostanza che sulla legge di cui si tratta venne 
posta all'epoca la questione di fiducia, senza che ciascun parlamentare potesse 
liberamente manifestare, su ognuno degli articoli, la propria opinione e volont�; 

Le conseguenze della mancata urbanizzazione primaria -pure se posta a carico dei 
destinatari -sono talmente ovvie da non avere alcun bisogno di essere messe in luce; la 
costruzione di alloggi non coordinati con le infrastrutture determina tali e tanti problemi, da 
rendere praticamente inutile e anzi dannosa -in termini di costi sociali -la realizzazione di un 
programma edilizio che impegna in non lieve misura l'economia del paese. D'altro canto i 
meccanismi di finanziamento previsti dalla legge sulla casa si caratterizzano innanzi tutto per la 
limitazione quantitativa delle spese destinate alla realizzazione delle opere di urbanizzazione e 
per la diversificazione dei soggetti preposti a tali finanziamenti rispetto a quelli cui compete 
concedere le incentivazioni previste per la costruzione degli alloggi. Ne consegue un totale difetto 
di coordinamento (nonostante la competenza del CIPE e la istituzione di un nuovo comitato, il 
CER), che certamente non favorisce una soluzione globale dei problemi della casa (12). 

Per quanto in particolare riguarda i procedimenti espropriativi, tutto l'impianto del titolo II 
della legge 865 del 1971 lasciava a desiderare: con riguardo ai soggetti esproprianti, alla 
delimitazione delle rispettive competenze, ai criteri ed alla procedura di determinazione 
dell'indennit�... all'identificazione dei tipi di opere cui la normativa si applicava. 

I successivi interventi del legislatore non risolvono i numerosi problemi sollevati dalla 
nuova disciplina ma li amplificano anche per la mancata valutazione dell'incidenza che avrebbero 
avuto i decreti delegati di trasferimento di un primo robusto gruppo di materie (e relative 
competenze) dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario e, in particolare, il d.P.R. del 15 gennaio 
1972 n. 8 in materia di opere pubbliche regionali. 

Al di l� dei difetti di coordinamento, una volta introdotta la nuova disciplina, valeva forse la 
pena di tentare di rendere generale quanto meno il procedimento espropriativo da seguire per tutte 
le opere, ivi comprese quelle di interesse statale (o, quantomeno, non regionale). Il legislatore, per�, 
con la legge 27 giugno 1974 n. 247, si orienta, principalmente, a procedere all'equiparazione degli 
espropri statali a quelli regionali con riferimento all'indennit� di espropriazione -che per i primi 
veniva determinata sulla scorta del valore di mercato, ai sensi dell'art.39 della legge fondamentale 
delle espropriazioni per pubblica utilit�, e per i secondi con il pi� restrittivo criterio del valore 
agricolo medio -incidendo solo parzialmente sulle disposizioni attributive di competenze nel 
procedimento ablativo. 

Nell'intento di completare il decentramento, con il d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, viene 
trasferita alle Regioni la potest� espropriativa in tutte le materie di trasferimento o di delega (art. 
106, I comma), riservando allo Stato tale potest� solo per le opere pubbliche la cui esecuzione � 
di sua spettanza (art. 106, II comma); ai Comuni viene delegata la sola potest� in materia di 
procedimento di occupazione temporanea e di urgenza per le opere la cui esecuzione � di loro 
spettanza (art. 106, III comma) (13). 

(12) T. MARTINES, op. ult. cit., 396 s. 
(13) Sul difetto di coordinamento delle normative ricordate e sui problemi correlativi, G. LEONE, in op. cit., 3 ss. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

289 

h) dell'art. 97 della Costituzione (invocato da alcuni giudici con riferimento al 
solo primo com.ma, da altri nel suo complesso), in quanto la limitazione del risarcimento 
del danno arrecato dalla pubblica amministrazione contrasterebbe con le finalit� 
di buon andamento ed imparzialit� dell'azione amministrativa (censura proposta dalla 
Corte di appello di Reggio Calabria con ord. r.o. n. 292 del 1997, da quella di Cagliari 
con ord. r.o. n. 417 del 1997, da quella di Firenze con le ordinanze r.o. nn. 788 e 789 
del 1997, dal Tribunale di Lamezia Terme con le ordinanze r.o. nn. 423-426 del 1997, 
da quello di Potenza con le ordinanze r.o. nn. 735 del 1997 e 408 del 1998, dal giudice 
istmttore del Tribunale di Torino con ordinanza r.o. n. 571del1997); 

Nello stesso arco di tempo, con la legge 28 genm~io 1977 n. 10 sulla edificabilit� dei suoli, si 
apportano consistenti modifiche alla legge n. 865 del \1971 sotto il profilo procedimentale -per 
cercare di evitare l'evidente sperequazione tra il proprietario di un suolo costretto a subire, suo 
malgrado, l'espropriazione ed a percepire un indennizzo inadeguato rispetto al valore del bene 
(come risultava con particolare evidenza per le aree edificabili) e chi, invece, poteva liberamente 
disporre del proprio immobile alienandolo al prezzo di mercato -ma si alimentano potentemente 
i contrasti sul contenuto del diritto di propriet� e, con la legge n. 1del1978, si d� un colpo di maglio 
alla pianificazione programmata del territorio comunale (14). 

La forte accelerazione normativa, profondamente segnata da interventi frammentari e 
contraddittori, non si d� carico dei problemi interpretativi via via crescenti, puntualmente 
segnalati dalla dottrina, n� di quelli collegati alla sua attuazione -alla quale dovevano 
contribuire enti locali carenti sotto il profilo organizzativo e culturale in una (a volte pericolosa) 
vicinanza con gli interessi particolari alla disciplina del territorio e alle espropriazioni. 

Da qui la violazione ripetuta della miriade di regole in breve tempo introdotte e la 
costituzione di un illegittimo (o illecito) sistema di acquisizione dei beni privati per la 
realizzazione dei pi� vari tipi di opere (pubbliche o private di pubblica utilit�), l'esplosione di 
procedure ablative illegittime, l'ampliamento a dismisura del contenzioso, l'imponente 
dilatazione della spesa pubblica (15). 

L'inadeguato impiego delle tecniche giuridiche, l'incapacit� delle amministrazioni di attuare 
la nuova legislazione (anche per le incertezze interpretative dalla stessa determinate) conducono 
ad un confronto, in sede contenziosa, tra interessi pubblici e privati come se tuttavia esistessero le 
classi originarie del conflitto, come se l'intervento dello Stato nell'economia fosse estremamente 
contenuto (e orientato a realizzare solo opere destinate all'intera collettivit�), come se non fossero 
state introdotte miriadi di norme e procedimenti per tipi e occasioni di opere, per categorie di 
soggetti incisi. L'uso deviante dei modelli di attuazione della vasta gamma di interessi pubblici e 
privati coinvolti nelle diverse vicende si svolge, cos�, lungo l'asse della contrapposizione pubblicoprivato 
riguardo a indennizzi congrui o irrisori a seconda del riferimento della procedura 
espropriativa ad aree edificabili o ad aree agricole -dimenticando (?) che, quantomeno in vaste 
aree del paese, erano cambiati i proprietari delle une e delle altre, come erano cambiati i soggetti 
interessati alle diverse opere. 

Il vero problema da risolvere era quello del contenuto della propriet�, della inerenza ad essa 
dello ius aedificandi? O non piuttosto quello dell'attuazione della complessa rete di norme introdotte, 
dell'acquisizione preventiva delle aree di impianto delle opere pubbliche o private di pubblica utilit�, 
di una nuova cultura del territorio, del coordinato intervento degli apparati di garanzia giurisdizionale 
degli interessi pubblici e privati, della sicura identificazione del giudice competente a decidere? In 
una battuta: il problema del rispetto del principio di legalit�, valore e metodo dei comportamenti degli 
operatori pubblici e privati in un ordinamento democratico moderno. 

(14) G. LEONE, in op. cit., 71 ss, spec. 78. 
(15) G. LEONE, in op. cit., 7. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO""� 

290 

i) dell'art. 113, primo e secondo comma, della Costituzione, per la limitazione 
della tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della pubblica amministrazione 
(censura proposta dalla Corte d'appello di Cagliari con ordinanza r.o. n. 417 del 1997). 

2. -I giudizi devono essere riuniti in quanto riguardano la medesima 
disposizione di legge e propongono questioni in buona parte coincidenti o connesse 
per cui si impone una trattazione unitaria delle censure dedotte. 
Le tensioni si accumulano e la giurisprudenza (di legittimit� e di merito) tenta di identificare 
linee interpretative idonee a offrire tempestiva tutela alla propriet� privata illegittimamente 
sottratta al suo titolare, mentre nel 1980 la Corte costituzionale viene investita del problema della 
legittimit� dei criteri indennitari fissati nell'art. 16 della legge 22 ottobre 1971 n. 865 (come 
modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977 n. 10). 

La Consulta, in una decisione che ben si prestava a orientare i successivi interventi del 
legislatore, dichiara costituzionalmente illegittimi, per violazione degli art. 3, 1� comma e 43, 3� 

I

comma, Cost.: 
a) l'art. 16, 5�, 6� e 7� comma, legge 22 ottobre 1971 n.865 come modificati dall'art. 14 
legge 28 gennaio 1977 n. 10 che adotta il valore agricolo medio dei terreni secondo i tipi di 

I coltura praticati nella regione agraria quale criterio per la determinazione della misura 
dell'indennit� di esproprio, senza fare specifico riferimento al valore dei terreni .medesimi in 

I 

relazione alle caratteristiche essenziali e alla destinazione economica degli stessi; 
b) l'art. 19, 1� comma, legge 28 gennaio 1977 n. 10 che estende le disposizioni di cui al 

I

precedente art. 14 in materia di determinazione dell'indennit� di esproprio e di occupazione ai ~ 

I 
I 
filprocedimenti in corso se la liquidazione di tale indennit� non sia divenuta definitiva; 

c) l'art. 20, 3� comma, legge 22 ottobre 1971 n. 865 come modificato dall'art. 14, legge 28 
gennaio 1977 n. 10 che prevede l'applicazione dell'art. 16 stessa legge n. 865 del 1971 nel testo 
modificato dal ripetuto art.14 per la determinazione dell'indennit� di occupazione d'urgenza; 

d) l'art. unico legge 27 giugno 1974 n. 247 nella parte in cui, convertendo in legge, con ~ 
modificazioni, il d.l. 2maggio1974 n. 115, ne modifica l'art. 4, estendendo l'applicazione delle ~ 
disposizioni dell'art. 16, 5�, 6� e 7� comma, legge n. 865 del 1971 a tutte le espropriazioni 
comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato, delle 

I

r,

regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non ~= 
territoriali (16). 

La propriet�, nel suo pi� ampio e tradizionale contenuto, dopo quasi un decennio di 
normative penalizzanti, segna un punto a suo vantaggio: lo ius aedificandi fa parte del diritto di 
propriet�. 

La Corte non manca, per�, di offrire al legislatore preziosi suggerimenti in un ricco quadro 
di riflessioni sui rapporti fra procedimenti espropriativi, strumenti urbanistici ed esigenze di 
difesa della propriet� privata, sulle possibilit� di recupero di funzionalit� al sistema con 
l'applicazione rigorosa delle disposizioni vigenti. 

Il legislatore omette di adottare una disciplina organica delle espropriazioni. Con l'art. 1, 1� 
comma, della legge n. 385 del 1980 reintroduce gli stessi criteri di commisurazione dell'indennit� 
di esproprio dichiarati costituzionalmente illegittimi con la sentenza n. 5 del 1980 (giustificando, 
temerariamente come ha dimostrato la storia, il suo intervento con la natura provvisoria dello 
stesso nella prospettiva della riforma generale dell'espropriazione per pubblica utilit�). 

La Corte reagisce tempestivamente e ne dichiara la illegittimit� costituzionale per contrasto 
con gli art. 42, 3� comma, e 136, 1� comma, Cost. 

(16) Corte cost. 30 gennaio 1980 n. 5, in Foro it., 1980, I, 273, con nota di richiami di C. M. BARONE. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

291 

3. -Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilit� 
proposte dall'Avvocatura generale dello Stato. 
Al riguardo, va osservato che quelle proposte in relazione alle ordinanze r.o. 
nn. 292, 571e573 del 1997, per mancanza di rilevanza, sono prive di fondamento, 
in quanto le ordinanze di rimessione contengono una motivazione tutt'altro che 
implausibile sulla rilevanza delle questioni, che si impernia sulla considerazione che 
i giudici a quibus debbono fare applicazione della norma denunciata, di cui � 
evidente l'incidenza, in quanto il relativo giudizio riguarda il risarcimento e la 
liquidazione del danno per occupazione appropriativa. 

Con la nuova decisione la Consulta afferma il proprio �prestigio� di organo di giustizia 
costituzionale di fronte ai comportamenti lesivi di un legislatore trascurato e confusionario; in tal 
senso il richiamo all'art. 136 Cost. � apparso (politicamente) il pi� efficace. La Corte, inoltre, 
sollecita il Parlamento a concludere definitivamente la vicenda dell'indennizzo espropriativo in 
termini tali da evitare nuovi giudizi di costituzionalit� sulla futura legge da emanare (17). 

Ali'atto di prendere tali decisioni, la Corte � consapevole delle gravi difficolt�, di ordine 
politico, giuridico e finanziario, che hanno finora ostacolato il Parlamento nell'approvazione di 
una nuova e permanente disciplina delle indennit� per l'espropriazione di aree edificabili. Ma le 
difficolt� non vengono certo attenuate, ritardando a dismisura la necessaria soluzione del problema 
e lasciando intanto le pubbliche amministrazioni in una situazione di radicale incertezza, quanto ai 
costi da preventivare e da sopportare in materia. N� vale replicare che, a questo punto, i costi 
sarebbero comunque insostenibili. La Corte, infatti, non ha mai affermato che l'indennizzo richiesto 
dal comma 3 dell'art. 42 Cost. sia necessariamente pari al �giusto prezzo che ... avrebbe avuto 
l'immobile in una libera contrattazione di compravendita� (secondo il criterio fissato dall'art. 39 

l. n. 2359del1865); ma ha costantemente ripetuto (come si legge nella sentenza n. 5del1980) che 
basta allo scopo un ristoro serio e tale da non ledere il principio costituzionale di eguaglianza. 
Ai fini della pronuncia la Corte ritiene di assorbire, ancora una volta, i residui profili di 
incostituzionalit� dedotti con riferimento agli artt. 3, 24 e 53 Cost. 

5. Nello stesso arco di tempo le Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza del 26 febbraio 
1983 n. 1464 (18), tentano di comporre, nell'alveo della tradizione civilistica, i profondi contrasti 
interpretativi determinati dalla denunciata esplosione delle occupazioni illegittime. Il risultato 
perseguito: garanzia tempestiva del diritto di propriet� illegittimamente acquisito a un ente pubblico 
ma prevalenza (del valore) del bene �opera pubblica� rispetto al bene oggetto della propriet� privata. 
La decisione, che ha sollecitato una massa imponente di riflessioni, si fa apprezzare per il 
raffinato impiego dei pi� classici principi del diritto civile in una moderna prospettiva 
assiologica e i pi� attenti commentatori prevedono con estrema chiarezza i problemi che la 
Suprema Corte avrebbe dovuto risolvere nelle successive pronunce (19), identificando 
puntualmente prospettive e problemi dell'occupazione appropriativa (20). 

L'occupazione d'urgenza preordinata alla esecuzione di un'opera pubblica si caratterizza 
proprio per la sua preordinazione -per cos� dire, naturale -a tramutarsi in definitiva. Nella 

(17) Corte cost. 21 luglio 1983 n. 233, in Giur. cast., 1983, I, 1331 ss., spec. 1355 ss., con ampie note di 
richiami e osservazioni di G. LOMBARDI e G. MANGIAMELI. 
(18) In questa Rassegna, 1983, I, IV, 124 ss., con nota di S. LAPORTA, Occupazione �appropriativa�: puntualizzazione 
giurisprudenziale in tema di occupazione illegittima seguita da esproprio. 
(19) s. LAPORTA, op. cit., 123 ss. 
(20) S. LAPORTA, op. cit., 129, che identifica ilfulcro logico della sentenza nell'effetto sostanzialmente espropriativo 
del/' occupazione appropriativa e racchiude in una espressione fra parentesi (ma ilproblema richiede forse 
un intervento legislativo) il nodo non sciolto del nuovo modo di acquisto. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT� .�. 

292 

Ci� � sufficiente per respingere le eccezioni anzidette, non potendosi procedere 
in questa sede ad un sindacato (diverso dal controllo esterno) sul giudizio di 
rilevanza espresso dall'ordinanza di rimessione in modo, come appena chiarito, non 
implausibile (v. per tutte, sentenza n. 286 del 1997), e con motivazione tutt'altro che 
carente (v. ordinanza n. 62 del 1997). 

� invece fondata l'eccezione di inammissibilit� proposta sempre dall'Avvocatura 
generale dello Stato in riferimento all'ordinanza r.o. n. 191del1997 sotto il profilo che 
la fattispecie sarebbe palesemente non inscrivibile tra le occupazioni appropriative, 
atteso il pacifico intervenuto annullamento in sede giurisdizionale della dichiarazione 
di pubblica utilit�. infatti -secondo un indirizzo giurisprudenziale di legittimit� 

realt� economica, il bene interessato dalla dichiarazione di p. u. di un'opera e, poi, m via 
d'urgenza sottratto alla disponibilit� ed al godimento del proprietario �, per ci� solo, un bene 
che, in vista della sua trasformazione in entit� diversa, ha ormai perso l'intrinseca attitudine a 
formare oggetto di commercio giuridico, non essendo ipotizzabile realisticamente che esso trovi 
un acquirente o che lo stesso proprietario decida di utilizzarlo per nuove iniziative. 

E a chiedersi, allora, se veramente debba attendersi la definitiva trasformazione del bene 
privato in opera pubblica per ritenere verificato lo svuotamento del diritto dominicale del 
proprietario o se, invece (ma il problema richiede forse un intervento legislativo), simile effetto 
non possa riconnettersi gi� alla occupazione disposta per la realizzazione dell'opera, cos� 
ravvisando nel provvedimento che l'autorizza, sulla base di una intervenuta dichiarazione di p.u. 
dell'opera, l'effetto sostanzialmente espropriativo che �, in ultima analisi, il fulcro logico della 
costruzione prospettata dalla sentenza in rassegna. 

Malgrado gli innegabili meriti la sentenza, per il suo impianto, si prestava a penetranti 
critiche (21). 

Alcune delle affermazioni in essa contenute contribuiscono a mettere a fuoco il problema di 
fondo dell'istituto: sul versante pubblicistico -per quanto concerne i rapporti tra privati e pubblica 
amministrazione -mancano norme di diritto positivo cui agganciare la soluzione proposta cosicch� 
questa viene giustificata dal rilievo: nell'ipotesi in esame il conflitto sorge tra un soggetto privato e 
un ente pubblico, il quale ha agito per una soddisfazione di un interesse non proprio, ma della 
collettivit� dei cittadini cui l'opera pubblica � destinata: e, nella valutazione della coscienza 
collettiva interpretata dall'ordinamento nel momento attuale, la comparazione dei valori in conflitto 
vede perdente il primo e vincente il secondo. 

Se per� si ritiene che l'art. 42 Cost. -immediatamente (22) o in una lettura raccordata alle 
disposizioni costituzionali che impongono il rispetto del principio di legalit� (23) -riservi al 
legislatore la disciplina del procedimento espropriativo, la giurisprudenza non poteva inventare 
l'occupazione appropriativa, non poteva ricavare da principi del diritto civile suggestioni per la 
costruzione di istituti che in procedimenti legislativamente preregolati devono trovare il loro 
fondamento. 

La riflessione non mette in gioco la validit� sostanziale della soluzione ma la verifica dei limiti 
d'intervento della giurisprudenza in una materia coperta da riserva di legge, del ruolo della 
Magistratura nel definire, in modo non contraddittorio e in linea con i principi costituzionali, le 
modalit� di attuazione del sistema nel suo complesso. Pi� semplicemente, se il valore fondamentale 
da rispettare � quello della legalit� dell'azione degli operatori (pubblici e privati) e della sua coerenza 
logica e assiologica, la questione espropriazione prima e occupazione appropriativa poi non tollerano 

(21) v. A. MARorrA, in op. cit., 579 ss., con ampi riferimenti di dottrina. 
(22) M. S. GIANNINI, op. cit., 712. 
(23) v. retro nota 8. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

293 

(Cass., sez. I, n. 6515 del 16 luglio 1997; n. 7998/97) -le norme sul risarcimento in 
caso di occupazione appropriativa si applicano alle sole occupazioni illegittime dei 
suoli per causa di pubblica utilit�, per cui in mancanza di valida dichiarazione di 
pubblica utilit� (cui viene equiparata la dichiarazione annullata perch� illegittima) si � 
al di fuori delle ipotesi contemplate per il risarcimento dalla norma denunciata. La 
questione �, pertanto, manifestamente inammissibile sulla base degli stessi elementi 
contenuti nella ordinanza di rimessione. 

4. -Passando all'esame del merito delle questioni sollevate nelle altre ordinanze, 
giova premettere che con sentenza n. 369 del 1996 questa Corte ha dichiarato la 
illegittimit� costituzionale del comma 6 dell'art. 5-bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, 
la riduzione ai problemi di congruit� dell'indennizzo o del risarcimento dei danni ai fini del 
contenimento della spesa pubblica, essendo altri gli strumenti costituzionalmente previsti per la 
realizzazione di quella finalit� (nel rispetto di un'equa ripartizione dei costi dei diversi tipi di opere). 

In questa prospettiva la soluzione della Cassazione -centrata su una valutazione 
elementare di prevalenza dell'interesse alla costruzione, da parte di un ente pubblico, di un'opera 
pubblica destinata a beneficio dell'intera collettivit� sull'interesse del privato alla conservazione 
del suo bene nonch� sulla consapevolezza di tale prevalenza nella coscienza collettiva -non si 
prestava a regolare occupazioni illegittime in cui altri erano i soggetti, i beni e gli interessi 
coinvolti nelle diverse vicende ablative. Ed infatti, ad esempio, per risolvere i problemi delle 
occupazioni illegittime nei procedimenti per l'edilizia residenziale, convenzionata o agevolata, e 
per risanare gli imponenti deficit dei Comuni � dovuto intervenire il legislatore con la legge 27 
ottobre del 1988 n. 458. 

6. Gli anni Ottanta sono segnati da tentativi di identificare le norme da applicare ai profili 
pi� sensibili del nuovo istituto con pronunce ondivaghe sulla prescrizione dell'azione di 
risarcimento dei danni, sulla determinazione di questi, sui modi di calcolo di rivalutazione e 
interessi ... (24 ). 
L'ampiezza di perplessit� e contrasti costituisce la miglior conferma delle difficolt� di operare 
in modo affascinante, ma forse eccessivamente disinvolto, la costruzione dell'occupazione 
appropriativa con principi e tecniche argomentative del diritto civile. Questi, invero, mal si 
adeguano all'evoluzione legislativa nel settore considerato e alla sua attuazione secondo nuovi 
modelli dell'azione, ai vorticosi mutamenti di ruoli nel gioco di sempre: il controllo del territorio. 
In un siffatto contesto l'invenzione della Cassazione ha finito per sortire effetti paradossi: il 
legislatore ha omesso di intervenire con procedimenti funzionali alla realizzazione degli scopi 
perseguiti e sono esplosi i procedimenti ablatori illegittimi mentre � risultato inefficace l'intervento 
della Magistratura penale e contabile, paralizzato dall'impiego sempre pi� massiccio di proroghe 
e condoni e dalle interazioni con le pronunce dei Giudici amministrativi. 

Sul finire del decennio la disciplina delle occupazioni illegittime tende a stabilizzarsi (25). 
Ma il periodo, come � noto, � stato caratterizzato da una politica economica che sul disavanzo 
ha costruito il modello di sviluppo italiano. Da qui l'esigenza di un ritorno ad antichi rigori in 
un quadro disarticolato, innanzitutto, da un legislatore che aveva, da tempo, dimostrato la sua 
incapacit� a coniungare riforme e tecniche giuridiche. 

(24) Si rinvia al riguardo alla relazione di V. TUTINELLI, Acquisto della propriet� e prescrizione del diritto al 
risarcimento del danno, in L'occupazione e acquisitiva, cit., 175 ss., che segnala puntualmente le contraddizioni 
della Cassazione; v. gi� M. CALOGERO, L'occupazione acquisitiva, Milano 1996, spec. 37 ss. 
(25) A. MAROITA, in op. cit., 397 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'.f(J" 

294 

convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, come sostituito 
dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione 
della finanza pubblica), nella parte in cui applica al �risarcimento del danno� 
i criteri di determinazione stabiliti per �il prezzo, l'entit� dell'indennizzo�. 

Il legislatore, con la norma denunciata, � intervenuto modificando il precedente 
criterio applicato alle occupazioni acquisitive ed in particolare ha escluso, in caso di 
occupazioni illegittime dei suoli per causa di pubblica utilit�, la decurtazione del 40 
per cento prevista per l'indennit� di esproprio, aumentando inoltre l'importo del 
risarcimento del 10 per cento, e con previsione di applicabilit� alle occupazioni 
illegittime di suoll intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, anche in 
relazione ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in giudicato. 

A far tempo dal 1992 i criteri indennitari per l'espropriazione per pubblica utilit� vengono 
disciplinati in occasione della legge finanziaria. 

Il testo del d.l. 11luglio1992 n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) 
trasmesso alle Camere per la conversione non conteneva norme sulla disciplina del criterio 
indennitario per l'espropriazione delle aree edificabili, introdotte poi con l'articolo 5 bis che � 
risultato �aggiunto� nella legge di conversione del decreto, approvata non articolo per articolo ma 
a blocco, avendo il Governo posto la questione di fiducia. All'anomalia della procedura si � 
sommata la perdurante anomalia di una disciplina della materia ancora una volta transitoria (26). La 
proposizione di apertura del discorso normativo fino ali' emanazione di un'organica disciplina per 
tutte le espropriazioni... contiene infatti l'esplicita confessione della perdurante incapacit� del 
legislatore di provvedere in modo organico alla disciplina del settore. La sentenza della Corte 
Costituzionale n. 5 del 1980 e la successiva del 1983 non hanno lasciato alcuna traccia. 

I Giudici di merito sollevano tempestivamente, sotto diversi profili, una variegata e ricca 
messe di questioni di costituzionalit�. 

La risposta della Consulta (27) delude profondamente e la dottrina sottopone a penetrante 
analisi metodi argomentativi e ragioni di fondo della pronuncia in un quadro completo di 
riferimenti normativi di livello costituzionale e comunitario (28). La letteratura giuridica al 
riguardo � davvero imponente; solo qualche riflessione, dunque, sulla decisione della Corte. 

L'argomento pi� forte per dimostrare la sufficienza e congruit� dell'indennizzo previsto 
nell'articolo 5 bis � affidata alle esigenze della finanza pubblica all'inserimento della 
disposizione nel contesto di una pi� vasta ed organica manovra finanziaria dello Stato, al 
particolare rilievo di un contesto complessivo... caratterizzato da una sfavorevole congiuntura 
economica che il legislatore mira a contrastare con un'ampia manovra finanziaria, alla 
particolare congiuntura economica nella quale si inserisce la legge emanata avente carattere 
dichiaratamente temporaneo, in attesa di una organica disciplina dell'espropriazione per 
pubblica utilit�, alla funzione che l'indennizzo nel contesto dell'attuale situazione economica e 
finanziaria del paese � chiamato ad assolvere. Lo stesso argomento, sia pure con sfumature e 
varianti, appare insistentemente ripetuto in 60 righe. Ha, forse, nella ripetizione la Corte tentato 
di autoconvincersi della bont� della soluzione prescelta o ha voluto piuttosto convincere i suoi 
lettori? Un'elegante forma di giustificazione, un lapsus rivelatore (se si ritiene che la ragione 
enunciata conducesse a conclusioni opposte) o ... solo un tic linguistico? 

(26) A. MAROTTA, in op. cit., 401. 
(27) Corte cost., 16 giugno 1993 n. 283, in Giur. cast., 1993, 1981 ss. 
(28) F. G. ScocA, Espropriazione: l'indennizzo seriamente irrisorio, in Diritto amministrativo, Milano 1994, 
423 ss., spec. 454 ss. Sulla Funzione dell'indennit� di espropriazione si rinvia alla relazione di C. MAzz�, in L'occupazione 
acquisitiva, cit., 219 ss. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

295 

5. -Le questioni proposte sono prive di fondamento per una serie di ordini di 
considerazioni. 
Innanzitutto la regola generale di integralit� della riparazione e di equivalenza 
della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha copertura costituzionale 
(sentenze n. 369 del 1996; n. 132 del 1985). 

In casi eccezionali il legislatore pu� ritenere equa e conveniente una limitazione 
al risarcimento del danno: nel caso delle occupazioni appropriative �sussistono in 

Il collegamento tra misura dell'indennit� e congiuntura economica lascia perplessi in quanto 
comporta che tale misura, relativa allo stesso bene espropriato, possa oscillare nel tempo. Un 
tale collegamento contrasta di per s� con il comma 3 dell'art. 42, che commisura l'indennizzo al 
sacrificio imposto al proprietario; sacrificio che certamente non diminuisce, ed anzi 
normalmente cresce, in tempi di sfavorevole congiuntura economica. 

Peraltro, ove tale collegamento si rawisi, diventa contraddittorio affermare, come la Corte fa, 
l'irrilevanza, nella valutazione della legittimit� costituzionale della misura dell'indennizzo, 
dell'articolo 53 Cost. e del cd. principio di capacit� contributiva. In altri termini, se la misura 
dell'indennizzo resta sganciata dalla congiuntura economica e dalla manovra finanziaria diretta a 
correggerla, si pu� forse ritenere che il principio di capacit� contributiva non incida su di essa; ma 
ove si giustifichi la riduzione della misura proprio con riferimento a prowedimenti anticongiunturali 
si opera il collegamento della materia tipica delle spese pubbliche e dei modi di contribuzione a tali 
spese: diventa logicamente impossibile escludere l'applicabilit� dell'articolo 53 (29). 

Ma vi � forse di pi�. Il carattere (cripto) contributivo della normativa censurata, la sua 
sostanziale natura di prelievo fiscale escludeva che la Consulta potesse, con disinvoltura, dichiarare 
non fondata la questione di legittimit� costituzionale sollevata dalla Corte di Appello di Reggio 
Calabria con riferimento agli art. 3 e 53 Cost. in una particolare prospettiva. Quella Corte infatti segnalata 
l'introduzione, pochi mesi prima dell'inserimento dell'articolo 5 bis nella manovra 
finanziaria per l'anno 1992, di una ritenuta d'imposta del 20% sull'indennit� di espropriazione con 
l'art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 -aveva motivato l'ordinanza di rimessione 
avvertendo che la ritenuta rappresentava un ulteriore elemento di riduzione che portava 
l'indennizzo al di sotto del livello di congruit�. 

Del problema la Corte costituzionale si libera con autocitazioni decontestualizzate senza 
tener conto dell'interazione di interventi normativi (risultati) sovrapposti e funzionali all'unica 
esigenza di un recupero di risorse finanziarie. 

La motivazione tentata (tentativo o tentazione?), ridotti i problemi alle elementari alternative 
congruit�/incongruit�, seriet�/irrisoriet�, adeguatezza/inadeguatezza, apparenza/realt� dell'indennizzo, 
finisce per reggersi su poche sintetiche affermazioni: l'articolo 5 bis � censurato nella 
parte in cui il proprietario del bene espropriato, per effetto della riduttiva quantificazione 
dell'indennizzo spettantegli, sarebbe di fatto chiamato a concorrere alla spesa di realizzazione 
del/' opera pubblica con un contributo personale diretto in ragione della sua capacit� contributiva 
generale. E sufficiente per� rilevare -come gi� affermato da questa Corte (sent. n. 5 del 1960), 
seppur in epoca risalente -che la materia espropriativa � estranea ali' area di operativit� del/' art. 
53 Cost. Come appena evidenziato al paragrafo che precede, se l'esistenza di una differenza tra 
indennit� espropriativa e valore venale del bene espropriato non viola l'art. 42, comma 3, Cost., 
� nell'ambito dell'operativit� di tale parametro che va apprezzato il quid minoris non percepito 
dal proprietario e non � invece possibile attribuire a tale differenza la natura tributaria cos� da 
richiedere una seconda verifica della legittimit� della quantificazione dell'indennizzo sotto il 
diverso ed ulteriore profilo della capacit� contributiva del soggetto espropriato. 

(29) F. G. ScoCA, op. cit., 440. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO ...

296 

astratto gli estremi giustificativi di un intervento normativo ragionevolmente 
riduttivo della misura della riparazione dovuta dalla pubblica amministrazione al 
proprietario dell'immobile che sia venuto ad essere cos� incorporato nell'opera 
pubblica� (sentenza n. 369 del 1996). 

L'eccezionalit� del caso appare giustificata nella fattispecie soprattutto dal 
carattere temporaneo della norma denunciata, che rimane inserita in un testo 

normativo con le caratteristiche, da un lato, della dichiarata temporaneit�, collegata 
alla emanazione di una nuova disciplina organica per tutte le espropriazioni 

In realt� la verifica della adeguatezza dell'indennizzo si esaurisce nell'ambito dell'art. 42, 
comma 3, Cost.; ci si deve quindi arrestare alla considerazione che -una volta rispettato il 
canone di adeguatezza espresso da tale parametro -rientra nella discrezionalit� del legislatore 
fissare i criteri di determinazione dell'indennit� espropriativa secondo generali valutazioni di 
politica economico-finanziaria che possono tenere conto anche del fatto che la rendita di 
posizione, della quale � parzialmente privato il soggetto espropriato, � frutto in larga parte oggi 
pi� ancora che in passato -di investimenti della collettivit� (elemento questo peraltro 
preso in considerazione anche in occasione di precedenti iniziative legislative in tema di 
espropriazione -non pervenute per� a compimento -proprio per giustificare l'abbattimento 
percentuale della quantificazione dell'indennizzo). 

Escluso il rilievo degli artt. 53 e 3 Cost. era semplice mettere fuori gioco con poche battute 
la particolare prospettiva della Corte di Appello di Reggio Calabria. 

Nemmeno ha poi pregio il profilo di censura secondo cui la menzionata ritenuta d'imposta ITT 
del 20% rappresenterebbe un ulteriore elemento di riduzione e porterebbe l'indennizzo al di sotto 
del livello di congruit�. Va infatti sottolineato che l'illegittimit� denunziata riguarderebbe la 
norma impositiva mentre il trattamento tributario dell'indennit� � estraneo alla vicenda 

lespropriativa. 

La Corte rimane ferma alla radicale impostazione, negli anni '60, di un sistema di (micro) ! 
cellule normative mai o solo occasionalmente a contatto. Per la Corte il tempo si � fermato. I @ 
significanti conservano un valore indipendente dai significati. Le parole bloccano il fluire degli 
eventi descritti e assumono la consistenza delle cose. Le parole sono pietre? O le ragioni di fondo, 
non ancora del tutto messe a fuoco nella coscienza degli operatori giuridici e della stessa Corte, 

I

potrebbero identificarsi nella moderna tendenziale prevalenza delle ragioni del capitalismo 

~ 

finanziario? 
Il tema � troppo complesso per essere sviluppato, anche se lo meriterebbe: i comportamenti 
degli operatori giuridici coinvolti nel fenomeno acquisterebbero altri sapori e si potrebbe alla fine 

I 

pi� agevolmente verificarne la funzionalit� all'evoluzione dei rapporti giuridici e di fatto. 

I

7. A distanza di pochi mesi la Corte affronta una serie di questioni di legittimit� costituzionale 
dell'art. 5 bis del decreto legge 15 luglio 1992 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n. 359, 
con riferimento al risarcimento dei danni determinati da occupazione appropriativa (30). 
La decisione ha particolare rilievo perch� distingue nettamente le fattispecie dell'espropriazione 
per pubblica utilit� e dell'occupazione appropriativa, valorizzando, come elemento di 

differenziazione, il profilo della necessaria legalit� dell'azione amministrativa. 

Neppure � fondata la censura, mossa dalla sola Corte d'appello di Roma, al comma 1 
dell'art. 5 bis per disparit� di trattamento (art. 3 Cost.) tra la fattispecie dell'espropriazione di 
aree edificabili e quella dell'accessione invertita (o occupazione espropriativa) sotto ilprofilo che 
la prima assicura al proprietario espropriato solo una parte (circa un terzo) del valore venale del 

(30) Corte cost., 16 dicembre 1993 n. 442, in Giur. cast. 1993, 3624 ss. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITIJZIONALE 

297 

preordinate alla realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilit�, dall'altro, 
della finalit� egualmente temporanea e di emergenza, rivolta a regolare situazioni 
passate. 

6. -Alla stregua dei criteri riconfermati dalla citata sentenza n. 369 del 1996, 
deve ritenersi ragionevole la riduzione imposta dalla norma denunciata, essendosi 
realizzato un equilibrato componimento dei contrapposti interessi in gioco, con 
l'eliminazione della ingiustificata coincidenza della entit� dell'indennizzo per 
suo bene: l'altra, pur mancando un legittimo decreto d'esproprio, gli assicura invece il risarcimento 
del danno in misura pari al valore venale del bene. Le fattispecie a confronto sono infatti 
assolutamente divaricate e non comparabili. Nella prima c'� un procedimento espropriativo 
secundum legem (ossia nel rispetto dei presupposti formali e sostanziali che rappresentano 
altrettante garanzie per il proprietario espropriato) e quindi vengono in rilievo le opzioni 
(discrezionali) del legislatore in ordine al criterio di calcolo dell'indennit� di espropriazione; la 
seconda ipotesi si colloca fuori dai canoni di legalit� (perch� � la stessa realizzazione dell'opera 
pubblica sull'area occupata, ma non espropriata, ad impedire di fatto la retrocessione e a 
comportare l'effetto traslativo della propriet� del suolo per accessione all'opera stessa) e quindi 
ben pu� operare il diverso principio secondo cui chi ha subito un danno per effetto di un'attivit� 
illecita ha diritto ad un pieno ristoro. Per altro verso � giustificato che l'ente espropriante, il quale 
non faccia ricorso ad un legittimo procedimento espropriativo per acquisire l'area edificabile, 
subisca conseguenze pi� gravose di quelle previste ove invece sia rispettoso dei presupposti 
formali e sostanziali prescritti dalla legge perch� si determini l'effetto di ablazione dell'area. 

Ancora per poco si rispetter� il valore della necessaria contrapposizione tra procedimenti 
legalmente definiti e l'agire illegale dell'amministrazione. 

Il Parlamento �improvvisamente� scopre che gran parte dei costi delle procedure ablative � 
determinato dalle occupazioni illegittime e, con una disposizione quasi occultata tra gli innumerevoli 
articoli e commi di una legge di accompagnamento alla finanziaria per l'anno 1996 (31 ), 
sostituisce l'articolo 5 bis della legge 8 agosto 1992 n. 359 (che aveva disciplinato esclusivamente 
la determinazione dell'indennit� di espropriazione). 

Le disposizioni del presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora 
determinati in via definitiva il prezzo, l'entit� dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno, alla 
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (art. 1, comma 65, della 
legge 28 dicembre 1995 n. 549). 

Anche per una Corte sensibile alle esigenze finanziarie il nuovo testo (oltre che per la 
modifica introdotta in modo poco elegante) non poteva non risultare in contrasto con gli art. 3, 42 
secondo comma, 28 e 97 Cost. (32). 

Nella loro capillare e variegata articolazione, ha osservato la Consulta, le censure dei giudici 
remittenti convergono tutte nell'escludere che la disposizione denunciata abbia rispettato 
l'equilibrio tra i due interessi e ci� per l'abnormit� (che avrebbe appunto, plurime negative 
ricadute sul principio di eguaglianza, sulla tutela della propriet� e la legalit� dell'azione 
amministrativa) di una riduzione della misura della riparazione, per l'illecito della pubblica 
amministrazione fino al punto di farla coincidere con l'entit� dell'indennizzo dovuto in caso di 
legittima procedura ablatoria. 

� proprio questo, in definitiva, il filo logico che lega tra loro le varie impugnative, il nucleo 
comune di doglianza da cui muove ogni altro rilievo, il cuore -come gi� detto -del problema 
di costituzionalit� all'esame della Corte. 

(31) A. MAROTIA, in op. cit., 600. 
(32) Corte cost., 2 novembre 1996 n. 369, in Foro it., 1996, I, 3257 ss., con nota di S. BENIN!. 

RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO ,

298 

l'illecito della pubblica amministrazione con quello relativo al caso di legittima 
procedura ablatoria. 

La valutazione dell'incremento (non irrisorio, n� meramente apparente) a favore 
del privato danneggiato, risultante nella norma denunciata -nei termini sottolineati 
-rispetto alla previsione largamente riduttiva della precedente norma colpita da 

dichiarazione di illegittimit� costituzionale, vale ad escludere quella irragionevolezza 
ritenuta nella precedente formulazione normativa, e fondata essenzialmente sulla 
predetta coincidenza (ora eliminata con apprezzabile differenziazione) di indennit� in 
caso di illecito e diprocedura legittima dell'amministrazione. 

E l'equiparazione -cos� assunta in premessa -del risarcimento da illecita occupazione 
appropriativa all'indennizzo espropriativo �, a parere del collegio, esatta sia nella sua enunciazione 
sia nelle implicazioni che se ne traggono ... 

Quanto alle implicazioni sul piano della legittimit� costituzionale, della verificata 
sostanziale equiparazione dell'entit� del risarcimento del danno da accessione invertita a quella 
dell'indennizzo espropriativo, � innegabile, in primo luogo, la violazione che ne deriva del 
precetto di eguaglianza, stante la radicale diversit� strutturale (cfr. sentenza n. 188 del 1995 cit.) 
e funzionale delle obbligazioni cos� comparate. 

Infatti, mentre la misura dell'indennizzo -obbligazione ex lege per atto legittimo -costituisce 
il punto di equilibrio tra interesse pubblico alla realizzazione dell'opera e interesse del privato alla 

I 
I
fil

conservazione del bene, la misura del risarcimento -obbligazione ex delicto -deve realizzare il 
diverso equilibrio tra l'interesse pubblico al mantenimento dell'opera gi� realizzata e la reazione 
dell'ordinamento a tutela della legalit� violata per effetto della manipolazione-distruzione illecita del 
bene privato. E quindi sotto il profilo della ragionevolezza intrinseca (ex art. 3 Cost.), poich� nella 
occupazione appropriativa l'interesse pubblico � gi� essenzialmente soddisfatto dalla non 
restititibilit� del bene e dalla conservazione dell'opera pubblica, la parificazione del �quantum� 
risarcitorio alla misura dell'indennit� si prospetta come �un di pi�� che �sbilancia� eccessivamente 

I 

il contemperamento tra i contrapposti interessi, pubblico e privato, in eccessivo favore del primo. 
Con le ulteriori negative incidenze, ben poste in luce dalle varie autorit� remittenti, che un 

I

tale �privilegio� a favore dell'amministrazione pubblica pu� comportare, anche sul piano del 
buon andamento e legalit� dell'attivit� amministrativa e sul principio di responsabilit� dei 
pubblici dipendenti per i danni arrecati al privato. 

I 

Risulta contestualmente vulnerato anche l'art. 42, 2� comma, Cost., per la perdita di 
garanzia che al diritto di propriet� deriva da una cos� affievolita risposta all'atto illecito 
compiuto in sua violazione. 

La Corte, nonostante la marcata attenzione alle differenze esistenti tra fattispecie elementari 
di illecito e procedimenti amministrativi ablativi di rilievo costituzionale -e degli effetti 
correlati -, precisa: 

lo ius superveniens si risolve ... nella compressione del diritto al risarcimento del danno 
all'interno di una fattispecie di illecito aquiliano. Pertanto il primo quesito a cui dare risposta � 
se sia o non sia, in via di principio, consentito al legislatore ordinario di operare una siffatta 
compressione. 

Per tal profilo pu� convenirsi con l'Avvocatura che la regola generale di integralit� della 
riparazione ed equivalenza al pregiudizio cagionato dal danneggiato non ha -come del resto, 
evidenziato nella sentenza n.132del1985 (punto 4.3 della motivazione) -copertura costituzionale. 

Ed in realt� -in casi eccezionali (di cui non mancano in dottrina tentativi di ricognizione 
sistematica) -il legislatore pu� pure ritenere equa e conveniente una limitazione del risarcimento 
del danno. 

Tale limitazione pu� attuarsi sia nel campo della responsabilit� contrattuale (v., ad esempio, 
artt. 1784, 1786 e.e.; 275, 412, 423 cod. navig.), sia in materia di responsabilit� extracontrattuale 
in considerazione delle particolari condizioni dell'autore del danno. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

299 

Ci� soprattutto assume un significato, come sopra evidenziato, in correlazione 
alla natura e al carattere eccezionale e temporaneo della disposizione denunciata. 

N� la limitazione temporale della operativit� del regime risarcitorio in 
questione alle occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilit� 
intervenute anteriormente al 30 settembre 1996 -limitazione contenuta nell'art. 3, 
comma 65, della legge n. 662 del 1996 -pu� ritenersi in contrasto con il principio 
di ragionevolezza e con quello di uguaglianza, ove si consideri la coincidenza di 
detta data con quella di presentazione in Parlamento del disegno di legge collegato 
alla finanziaria per il 1997 (dal quale sarebbe scaturita la citata legge n. 662 del 

Ci� posto, non prive di rilievo risultano, a questi fini, le valutazioni dell'interveniente sulla 

"peculiare connotazione dell'illecito in esame, per il suo dispiegarsi tra i due estremi (iniziale) 
della dichiarazione di pubblica utilit� di un'opera e (finale) di concreta realizzazione, sia pur non 
jure, dell'opera stessa. 
Per cui pu�, in linea di principio, convenirsi con l'Avvocatura dello Stato, anche sulla 
conclusione, cui per tale via essa perviene, che nella fattispecie sussistano in astratto gli estremi 
giustificativi di un intervento normativo ragionevolmente riduttivo della misura della riparazione 
'-dovuta dalla pubblica amministrazione al proprietario dell'immobile che sia venuto ad essere 
cos� incorporato nell'opera pubblica. 
La ragionevolezza di una siffatta riduzione viene peraltro a dipendere -come pure 
precisato nella citata sentenza n. 132 del 1985 -dall'equilibrato componimento, che la norma 
di conformazione del danno risarcibile deve assicurare, degli opposti interessi in gioco. Interessi 
che, in questo caso sono, da un lato, quello riferibile all'amministrazione di conservazione 
dell'opera di pubblica utilit�, con contenimento dell'incremento di spesa correlativa; e, 
dall'altro, l'interesse del privato ad ottenere riparazione per l'illecito subito. 
Questi passaggi della decisione hanno finito per �tentare� il legislatore ad intervenire 
nuovamente sul tema. 
Ancora una volta in occasione di una finanziaria, quella per il 1997, il legislatore inserisce 
all'art. 3 della legge 23 dicembre 1996 n. 662 un �nuovo� comma 65 che nasce dalle ceneri della 
legge dichiarata illegittima (33): in caso di occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica 
utilit�, intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si applicano, per la liquidazione del 
danno, i criteri di determinazione dell'indennit� di cui al comma 1, con esclusione della riduzione 
del 40 per cento. In tal caso l'importo del risarcimento � altres� aumentato del 10 per cento. Le 
disposizioni di cui al presente comma si applicano anche ai procedimenti in corso non definiti con 
sentenza passata in giudicato. 
La dottrina, pazientemente, sottopone ad analisi la disposizione, riesamina la pi� recente . 
giurisprudenza della Corte costituzionale, sviluppa vecchi e nuovi argomenti a sostegno della tesi 
dell'incostituzionalit� del nuovo comma 65, denuncia il pericolo di un appiattimento del giudice 
delle leggi sulle ragioni di emergenza finanziaria che hanno ispirato il legislatore (34). 
Non � da meno la giurisprudenza di merito. Le ordinanze di rimessione si lasciano apprezzare 
per il sapiente impiego di antichi e moderni metodi di interpretazione formale e sostanziale del 
fenomeno considerato, per le puntuali segnalazioni degli effetti devastanti dell'occupazione 
appropriativa sui modi di agire dell'amministrazione (sotto i profili della legalit�, efficacia ed 
efficienza), sulla garanzia tempestiva del diritto di propriet� in un quadro di forme di tutela 
articolate tra competenze giurisdizionali diverse. 

(33) A. MAR.OTIA, in op. cit., 617. 
(34) A. MAROTIA, in op. cit., 623. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO��

300 

1996), e la esigenza, che se ne inferisce, di salvaguardare una ineludibile, e limitata 
nel tempo, manovra di risanamento della finanza pubblica, gi� predisposta, in vista 
-come sottolineato dall'Avvocatura generale dello Stato -degli impegni assunti 
in sede comunitaria. 

Nemmeno pu� condividersi il rilievo in ordine alla disparit� di trattamento cui 
darebbe luogo la disposta applicazione del regime risarcitorio di cui si tratta anche 

L'esame complessivo delle censure definisce una pericolosa situazione di crescente incertezza 
incrementata sia dall'ondivago procedere della giurisprudenza della Suprema Corte che dalle 
interazioni (inconsapevoli o non adeguatamente valutate quanto ai risultati) fra giurisprudenza di 
merito e di legittimit�, fra interventi del legislatore . ordinario e della Corte costituzionale, dalle 
profonde contraddizioni interne agli stessi interventi delle diverse Autorit�. Il risultato? Effetti 
moltiplicatori di dissonanze strutturate in un modello dodecafonico per pochi cultori. 

I giudizi di legittimit� costituzionale, previa riunione, vengono decisi il 26 aprile 1999 con 
sentenza depositata in cancelleria il 30 aprile 1999 con il n. 148 (35). 

La decisione si presta ad alimentare nuovi dibattiti per la sua struttura, per il rapporto tra 
esposizione delle questioni (con messa a fuoco dei punti nevralgici da affrontare) e la 
estremamente sintetica motivazione, per il suo impianto, ancora una volta affidato ad 
autocitazioni decontestualizzate, per il riferimento a precedenti in cui i problemi di fondo non 
erano stati affrontati e risolti (ma semplicemente affidati ad affermazioni di principio), per il 
rifiuto di assumere il sistema di valori (nazionale e sovranazionale di riferimento) come 

IIparametro della verifica di costituzionalit�. 

La pronuncia ha, per�, il merito di far emergere con chiarezza le sue ragioni e fa riflettere 
sul ruolo della Corte nella dinamica continua di interpretazione, attuazione, modifica del sistema. 
La motivazione sostanziale della Corte � tutta contenuta nei punti 5 e 6 della decisione. 
La Consulta sottolinea o, forse meglio, amplifica i caratteri di eccezionalit� e transitoriet� 

della normativa sottoposta al suo esame e, per questa via, ritiene eliminata l'ingiustificata ~ 
coincidenza dell'entit� dell'indennizzo per l'illecito della pubblica amministrazione con quello 
relativo al caso di legittima procedura ablatoria. 

I 

La ragione forte della decisione � per� contenuta in una frase accidentalmente o volutamente 
quasi nascosta: esigenza... di salvaguardare una ineludibile, e limitata nel tempo, manovra di 

I 

risanamento della finanza pubblica, gi� predisposta, in vista -come sottolineato 

~ 

dall'Avvocatura Generale dello Stato -degli impegni assunti in sede comunitaria. Il resto non 
conta. La Corte si fa carico dello stato di necessit� del legislatore (36). 

(35) In G. U. 5 maggio 1999, Serie speciale n. 18, 13 ss. Sulle questioni esaminate dalla Corte v. A. TOTARO 
(in M. CALOGERO e A. TOTARO, L'occupazione acquisitiva nel quadro del procedimento espropriativo, Padova 
1998, 433 ss.) che anticipa le soluzioni della Consulta. 
(36) Forse meglio lascia, come la Cassazione, che i suoi interventi siano determinati da uno stato di necessit� 
(v. Sezioni unite civili, 20 gennaio 1998 n. 493, in Foro it. 1998, I, 371 ss., spec. 376 s.). L'inadeguato impiego di 
tecniche legislative determina l'impossibilit� di attuarle e ne legittima la violazione. La Cassazione ritiene di dover 
intervenire costruendo un nuovo istituto con i principi a lei noti. Il legislatore omette di intervenire e, quando provvede, 
giustifica i caratteri anomali delle sue decisioni con l'assoluta necessit� del suo agire ... Reazioni a catena fuori 
controllo? Non era pi� semplice disciplinare i procedimenti, non era pi� semplice, per gli interpreti, tentare di 
operare con principi e tecniche del diritto pubblico in generale e amministrativo in particolare? Non era doveroso 
per legislatori e giudici agire con accurato dosaggio dei diversi valori e principi costituzionali nella loro gerarchia 
dopo attenta riflessione dell'impatto delle decisioni sulla funzionalit� del sistema? Forse era impossibile. Cfr. M. 
AINis, La legge oscura. Come e perch� non funziona, Bari 1997, spec. 60 e ss. Le leggi italiane sono intenzionalmente 
oscure, per effetto di un persistente scollamento tra le forze politiche che in ultimo viene superato soltanto 
per il tramite di compromessi verbali, nominali, e perci� fittizi; col risultato di spostare l'asse della decisione politica 
dalla sua sede naturale (il Parlamento) alla magistratura, costretta suo malgrado ad estrarre princ�pi e massime 
giuridiche dalle vuote formulazioni della legge ... 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

301 

ai giudizi pendenti. Al riguardo, la Corte ha ripetutamente affermato che il 
legislatore pu�, salvo il limite previsto in materia penale dall'art. 25 della 
Costituzione, nell'introdurre una nuova disciplina, prevederne la efficacia 
retroattiva, anche ove questa incida sfavorevolmente su posizioni di diritto 
soggettivo perfetto, purch� non risultino violati specifici canoni costituzionali, 
primo fra i quali quello della ragionevolezza (v., tra le altre, sentenze nn. 283 e 39 
del 1993). Nella fattispecie, non confligge con tale principio l'attribuzione di 
carattere retroattivo al criterio risarcitorio previsto per l'occupazione acquisitiva 
dalla norma impugnata, non potendo costituire limite invalicabile della 
discrezionalit� legislativa l'aspettativa dei titolari delle aree occupate a vedersi 
liquidato il danno secondo un criterio pi� favorevole di quello ragionevolmente 
adottato dal legislatore nell'attuale momento storico (v. sentenza n. 283 del 1993); 

In via di prima approssimazione -e trascurando l'ordine degli rugomenti, che si presta a 
consistenti rilievi (37) -si pu� avanzare l'ipotesi che eccezionalit�, straordinariet�, temporaneit� e, 
principalmente, ineludibilit� della normativa costituiscono ad un tempo giustificazione e limite 
dell'infondatezza delle questioni sollevate e del giudizio di congruit� dell'indennit� per risarcimento 
dei danni da occupazione appropriativa per altro verso messo fra parentesi nella decisione. 

Pi� semplicemente, se l'ipotesi � fondata, il legislatore, nell'ancora una volta promessa riforma 
organica delle espropriazioni avr� maggiori chance di superare indenne il giudizio della Corte (solo) 
elevando la misura dell'indennizzo per risarcimento dei danni e dandosi carico della possibilit� (ma 
forse meglio necessit�) di diversi regimi espropriativi e di calcolo dell'indennizzo in relazione alle 
differenti categorie di beni espropriati e alle diverse finalit� dell'intervento pubblico che pu� 
esigere un diverso bilanciamento dei contrapposti interessi pubblici e privati (38). 

8. La decisione non mancher� di suscitare vivaci reazioni nella comunit� scientifica che ha 
il controllo (oltrech� dell'attivit� legislativa anche) delle decisioni della Corte, specie quando i 
poteri esercitati eccedono i limiti dell'attivit� ermeneutica (39). 
Si � da tempo formato in dottrina un massiccio blocco di tesi contrario ad interventi legislativi 
con caratteri uguali a quelli presentati dalla disposizione esaminata, � dunque facile prevedere 
severe censure per la mancanza di un'adeguata ~iustificazione delle ragioni che hanno convinto la 
Consulta a forzare, ancora una volta, il blocco. E facile prevedere una �rivolta� contro metodi di 
recupero di risorse finanziarie pubbliche diversi da quelli costituzionalmente previsti -e senza 
tener conto delle altre normative di prelievo fiscale sulle somme comunque dovute a seguito di 
occupazione. � facile prevedere attacchi sempre pi� violenti all'istituto per la sua costruzione 
senza solidi fondamenti, per la sua carenza di regole di applicazione (tendenzialmente) certe, per 
le sue contraddizioni, per la sua negativa influenza sui principi fondamentali dell'agire 
dell'amministrazione e sullo stesso legislatore (40). Quest'ultimo, per altro, nell'ansia di provve


(37) La struttura della motivazione presenta infatti una inversione dell'ordine dei valori legittimanti la decisione 
che appare essenzialmente fondata su autocitazioni decontestualizzate -inidonee, secondo la dottrina, a giustificare 
il giudizio di congruit� e non irrisoriet� dell'indennizzo per l'illecito della pubblica amministrazione, v. F. G. ScoCA, 
op. cit., spec. 433 ss.; A. MAROTIA, in op. cit., spec. 411 ss. 
(38) Corte cosi., 14 aprile 1999 n. 148, loco cit. 
(39) v. A. RuGGERI e A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino 1988, 167 ss., spec. 178; A. 
RuGGERI, Note introduttive allo studio della motivazione, in AA. W., La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, 
Atti del seminario di Messina 7-8 maggio 1993 (a cura di A. RuGGERI), Torino 1994, 1 ss., spec. 23 ss. 
(40) La Corte vedr� cos� ulteriormente ridotto il consenso di cui ha particolarmente bisogno quando le sue 
pronunce appaiono in contrasto col sistema di cui � espressione (v. A. RUGGERI e A. SPADARO, op. loco cit.). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STXFO , , 

302 

ci� in special modo quando si tratti di normativa diretta a sostituire una disciplina 
dichiarata incostituzionale ed a regolare i rapporti pregressi in aderenza ai principi 
enunciati dalla Corte. 

Quanto alla lamentata disparit� di trattamento rispetto ad altri casi relativi a 
suoli agricoli o ad occupazioni destinate al soddisfacimento di esigenze abitative, � 
sufficiente rilevare che sotto il profilo costituzionale non � preclusa la possibilit� di 
diversi regimi espropriativi e di calcolo dell'indennizzo in relazione alle differenti 

dere, ancor prima della decisione della Corte, ha contribuito ad alimentare nuove incertezze sul 
giudice competente a decidere le controversie in materia di occupazione appropriativa (41). Se la 
Corte avesse nella decisione tenuto conto delle reazioni e dei suggerimenti della giurisprudenza e 
della dottrina il risultato sarebbe stato diverso con benefiche ricadute sull'attivit� legislativa (e 
l'indicazione di scelte pi� funzionali agli obiettivi perseguiti nel rispetto dei valori costituzionali). 
Se, poi, il criterio determinante di valutazione del fenomeno deve essere di tipo economico, quanto 
� costata e costa l'occupazione appropriativa in .assenza di un quadro di riferimenti normativi 
stabili e, per la loro chiarezza, idonei a trovare tempestiva attuazione? 

Gran parte degli interventi legislativi hanno comportato una spesa ben pi� consistente di 
quella che sarebbe stata erogata se gli espropri fossero stati indennizzati sulla scorta dell'art. 39 
della legge del 1865 (42). 

Per altro verso va osservato che la disciplina esaminata dalla Consulta non si applica a tutte le 
occupazioni appropriative. Non si applica, secondo la Cassazione ( 43), a quella disciplinata dalla 
legge 219/81, n�, secondo la Corte costituzionale, la Corte europea per i diritti dell'uomo, il 
difensore dello Stato nei giudizi dinanzi la Corte costituzionale e del Governo dinanzi la Corte di 
Strasburgo ( 44), in materia di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata. 

(41) A. TOTARO, Nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed occupazione acquisitiva 
(intervento alla giornata di studio sui nuovi problemi dell� giurisdizione, organizzata presso il Consiglio dell'Ordine 
degli Avvocati di Messina 1'11giugno1999), che, dopo aver affermato �il legislatore ne ha fatta un'altra 
delle sue�, al termine di una sintetica ma accurata analisi dei problemi determinati dalla nuova disciplina della giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo, conclude per la giurisdizione del giudice ordinario relativamente 
alle controversie per risarcimento danni da occupazione appropriativa. E le incertezze in ordine al giudice di tali 
controversie, probabilmente, risulteranno incrementate dalla decisione delle Sezioni unite della Cassazione (26 
marzo -22 luglio 1999 n. 500) che, affrontando l'antico problema della risarcibilit� degli interessi legittimi ripropone 
delicate questioni in ordine ai rapporti tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, nonch� sui pi� 
efficaci modi di una tempestiva tutela delle situazioni soggettive private. Per una lettura �a caldo� della decisione, 
che accrescer� significativamente la massa dei contenziosi, si rinvia agli articoli apparsi, il 23-24 luglio 1999, su �Il 
Sole 24 Ore�, osservando che i princ�pi enunciati dalla Cassazione, previa, accurata verifica della portata dei limiti 
della loro operativit�, nella interazione con la sentenza della Corte costituzionale, 20 maggio 1999 n. 179 (G.U., I 
Serie speciale, 26 maggio 1999 n. 21) -che ha dichiarato incostituzionale il combinato disposto degli artt. 7, nn. 2, 
3 e 4, e 40 l. 17 agosto 1942 n. 1150 e dell'art. 2, I comma, l. 19 novembre 1968 n. 1187, nella parte in cui consente, 
riguardo alla legge n. 865 del 1971, di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati alle espropriazioni o che 
comportino l'inedificabilit� senza previsione di indennizzo -sembrano prestarsi alla identificazione di nuove linee 
di attacco all'operato delle amministrazioni nella materia dell'espropriazione e dell'occupazione appropriativa. 
(42) Cos� G. LEONE, in op. cit., 154 in nota, che riporta l'incremento di spesa alle difficolt� operative e all'imponente 
contenzioso. 
(43) Cass. SS.UU., 10 novembre 1993, n. 11078, in Riv. giur. ed. 1994, I, 990 ss. 
(44) Corte cost., 31luglio1990 n. 384, in Giur. cost. 1990, 2343 ss.; 2 novembre 1996 n. 363, in Foro it., 1996, 
I, 3257 ss.; 14 aprile 1999 n. 148, in G. U. cit.; Corte europea dei diritti dell'uomo 7 agosto 1996 (Zubani c. Italia), in 
Urbanistica e appalti, 1998, 101 ss., spec. 104. In dottrina v. F. G. ScocA, op. cit, spec. 457 s.; A. MAROTTA, op. cit., 
605 e ss.; e, in un'ampia prospettiva di ricostruzione dell'occupazione acquisitiva, la relazione di M. CALOGERO, L'utilizzazione 
illegittima dei suoli privati in Francia e nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in 
L'occupazione acquisitiva, Reggio Calabria 2000, 79 ss., spec., 101 ss. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COStl.TUZJONALE 

303 

categorie di beni espropriati e alle diverse finalit� dell'intervento pubblico, che pu� 
esigere un diverso bilanciamento dei contrapposti interessi pubblici e privati. 

7. -Le osservazioni che precedono danno ragione della infondatezza delle 
censure sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione nelle diverse 
prospettazioni sopra riportate, e all'art. 42 della Costituzione (rispetto al quale la 
denunciata violazione dell'art. 10 della Costituzione nulla aggiunge). 
Quest'ultima tesi trova fondamento in una molteplicit� di argomenti che marcano 
indelebilmente il carattere speciale della� normativa contenuta nella legge 27 ottobre 1988 n.458 
in una interpretazione che valorizza le finalit� perseguite dal legislatore (quali risultano perfino 
dai lavori preparatori) e risulta coerente alle funzioni della normativa sull'edilizia residenziale 
pubblica agevolata o convenzionata, nella sua evoluzione e attuazione ( 45). 

La tipologia di interessi pubblici e privati a confronto, i soggetti coinvolti nel fenomeno, i 
beni da garantire, il ruolo dell'amministrazione ... ( 46) escludono, infatti, la sottoposizione delle 
occupazioni appropriative per opere di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, 
alle regole inventate per l'occupazione appropriativa finalizzata alla costruzione di opere 
destinate a soddisfare interessi dell'intera collettivit� (47). 

La Corte di Cassazione, per�, non tiene conto di queste diverse posizioni ( 48) e finisce per 
entrare in contrasto -oltre che con le disposizioni costituzionali ricordate quale parametro 
fondamentale di valutazione del fenomeno -con la giurisprudenza della Corte costituzionale e 
della Corte europea dei diritti dell'uomo, con le tesi del difensore dello Stato e del Governo, la 
giurisprudenza di merito (49), la dottrina (50) e, addirittura, con se stessa (51). 

Ci� conferma che le interpretazioni dei diversi operatori giuridici si sviluppano in un 
discorso complessivamente destrutturato -per lo scontro di particelle elementari di singole 
proposizioni a contenuto equivoco (e nei tempi variabile) che nega la possibilit� di una 
approssimativa identificazione dello stesso, disorienta i destinatari, pu� finire per giustificare 
l'ignoranza delle regole e la loro violazione, pregiudica irrimediabilmente quella tendenziale 
certezza cui gli ordinamenti giuridici moderni aspirano nel rispetto del principio di legalit� (52). 

Dunque i destinatari delle regole si disorientano, non riescono pi� a cogliere nei significanti 
un significato condiviso per le contrastanti decisioni dei diversi apparati giurisdizionali (chiusi in 
sistemi linguistici ed assiologici autoreferenziali) e per l'operare dell'amministrazione anzi, 
meglio, delle diverse amministrazioni secondo le rispettive culture, linguaggi e interessi. 

Il fenomeno pone radicalmente in discussione, ad un tempo, l'esistenza di un sistema giuridico 
unitario, pur nelle sue diverse articolazioni, e delle stesse Autorit�, ormai in contraddizione con il 

(45) v. Corte cost., 31 luglio 1990 n. 384, loco cit. 
(46) v. Corte cost., 14 aprile 1999 n. 148, loco cit. 
(47) Cass. SS. UU., 26 febbraio 1983, n. 1464, loco cit., spec. 135. 
(48) Cass. Sez. I, 21maggio1997 n. 4535, in questa Rassegna 1997, I, III, 147 ss. 
(49) Tribunale di Messina, 20 ottobre 1997, n.1024, in loco cit., in nota. 
(50) v. F. G. ScocA, op. loco ult. cit.; A. MAROTIA, op. loco ult.cit. 
(51) Cass. SS. UU. 26 Febbraio 1983 n.1464, loco cit., spec.135 dove si legge che l'occupazione appropriativa 
e il suo regime trovano giustificazione nel rilievo che il conflitto sorge tra un soggetto privato ed un ente pubblico, 
il quale ha agito per la soddisfazione di un interesse non proprio, ma della collettivit� dei cittadini cui l'opera 
pubblica � destinata: e, nella valutazione della coscienza collettiva interpretata dall'ordinamento nel momento attuale, 
la comparazione dei valori in conflitto vede perdente il primo e vincente il secondo. 
(52) M. AINis, op. cit., spec. 19 e ss. Il fenomeno per� (quale che sia il giudizio che se ne voglia dare) � al passo 
coi tempi ove si avverta che i giudici devono misurarsi con una miriade di leggi speciali che si sovrappongono e, perfino, 
si contraddicono, oltre che di una crisi, da alcuni ritenuta ormai irreversibile, della certezza del diritto. V., al riguardo, 
T. MARTINES, Motivazione e crisi della certezza del diritto, in AA.VV., La motivazione delle decisioni della 
Corte costituzionale, cit., 567. 

RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO" �

304 

8. -Deve escludersi, poi, che si possa profilare un contrasto con l'art. 53 della 
Costituzione in quanto il richiamo a detto precetto costituzionale risulta inconferente, 
poich� alla determinazione dell'indennizzo anche nel caso di occupazione acquisitiva 
non pu� riconoscersi alcun connotato tributario, per cui resta estraneo il principio 
della capacit� contributiva (cfr. ordinanza n. 395 del 1996). 
sistema di principi e regole di cui sono espressione e perfino con i contenuti a questo assegnati in 
via di interpretazione .evolutiva. Da qui la loro delegittimazione e nuove discriminazioni tra i 
soggetti incisi dai provvedimenti illegittimi: questi non hanno sempre (o ancora) la disponibilit� 
economica e la cultura necessaria per tentare di ottenere in tempi ragionevoli tutela effettiva dei 
propri diritti sperimentando tutti i rimedi messi a disposizione dall'ordinamento giuridico nazionale 
e da quello sovranazionale. In una battuta: negazione di una giustizia per tutti. 

Scompare dalla scena il soggetto giuridico, potenziale punto di riferimento di norme sulla 
cui attuazione, spontanea o in sede giurisdizionale, poteva contare. 

Il soggetto contemporaneo, se ancora esiste un soggetto, � paradossalmente caratterizzato da 
una illimitata possibilit� di fruire di tutti i beni della vita congiunta all'impossibilit� di fruire 
anche solo di uno di essi secondo linee di azione giuridicamente tracciate in modo chiaro; non 
pu� contare in statuti n� sulla appartenenza a gruppi definiti mentre nel mondo si afferma 
prepotentemente il capitalismo finanziario e la tecnologia. 

9. L'abbandono, nei fatti, del principio di legalit�, l'impossibilit� o l'estrema difficolt� di 
ottenere in giudizio tutela dei propri diritti sembrano riportare l'individuo all' Ancien R�gime, se 
non addirittura a condizioni prefeudali. L'individuo cerca allora di ritrovarsi in valori 
sovranazionali che riecheggiano i principi contenuti nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del 
Iicittadino. La partita � tutta da giocare, e non in relazione alla misura del risarcimento dei danni da 
occupazione appropriativa o dell'indennit� di espropriazione. Altri e pi� delicati problemi, come 
accennato, sono in discussione. 

L'individuo deve, in primo luogo, riscattarsi dalla sua riduzione a oggetto causata dal 

I

mercato, doppiato oggi dalla tecnologia (53). Questa, nella sua fase attuale, sviluppa un processo 
di deidentificazione in cui gli individui visualizzano se stessi come semplici titolari di prestazioni 
in vista del/' efficienza di un apparato che, a differenza di quello economico, non consente di 

I 

individuare l'autore, perch� l'autore � assente (54 ). 

!

Per ritrovare se stesso nel rapporto con gli altri, a questo punto, l'individuo deve interrogarsi 
sui significati delle proprie e altrui parole in un discorso continuo con tutti gli interlocutori I 
possibili. Infatti, nell'et� del capitalismo finanziario e della tecnologia costretta nel/' ambito I 
circoscritto della procedura tecnica, anche la parola ne segue il destino e diventa ripetizione 
tautologica, definizione ricorrente, dettato ipnotico che trova la sua giustificazione e il proprio 
significato in quella logica �non dialettica� (nel senso della dialettica della contraddizione) e 
�non simbolica� (per cui ogni significato rinvia ad un'ulteriorit� di senso) tipica dell'elementarit� 
del senso comune, per cui �questo � questo e non altro�. 

Sottesa a questa logica elementare � la persuasione che non si danno sensi al di l� dei �dati 
di fatto� che nel loro insieme compongono il �reale�, per cui: �S� al realismo� senza il minimo 
sospetto che, cos� dicendo, non si accredita la fedele rappresentazione del reale, ma semplicemente 
quella determinata <<presa di posizione� nei confronti del reale che � l'accettazione indiscussa 
dell'esistente. Unificando le aree linguistiche, dopo averle svuotate della loro pregnanza simbolica 

(53) Sul problema, in generale, U. GALIMBERTI, Psiche e techne. L'uomo nell'et� della tecnica, Milano 
1999, spec. 224 ss. 
(54) u. GALIMBERTI, op.cit., 564. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE �~' 

305 

9. -Quanto alla asserita violazione degli articoli 71, primo comma, e 72, primo 
comma, della Costituzione, va rilevato che la censura nulla aggiunge ai profili gi� 
decisi nel senso dell'infondatezza dalla sentenza n. 391 del 1995. 
10. -Deve, altres�, essere esclusa la pertinenza del richiamo agli artt. 24 e 113 
della Costituzione essendo estranea la norma a profili di tutela giurisdizionale, per 
la quale non sussiste alcuna limitazione o restrizione rispetto ai generali mezzi di 
ricorso. 
11. -Egualmente deve essere escluso che dalla norma denunciata possano 
derivare esoneri o limitazioni di responsabilit� per i pubblici funzionari, i quali 
continueranno a rispondere secondo le regole ordinarie per i danni che abbiano 
che le sostanzia, la razionalit� tecnica impedisce quel che P. Val�ry chiama: �il lavoro che fa vivere 
in noi ci� che non esiste� e, identificando il soggetto della proposizione con la funzione di volta in 
volta assunta, dissolve i �concetti� in �operazioni�, escludendo dal linguaggio tutto ci� che si 
oppone a tale risoluzione. 

L'abbreviazione del concetto nella sua traducibilit� operativa, l'arresto del pensiero in 
forme autovalidantisi, l'immunit� nei confronti della contraddizione, la riduzione della realt� a 
efficacia, l'identificazione della cosa e della persona con la loro funzione sono ad un tempo le 
�caratteristiche� del linguaggio messo a disposizione dalla razionalit� tecnica e i �mezzi� con 
cui essa si difende anticipatamente da qualsiasi ulteriorit� di senso che, in quanto trascendente 
il sistema, si pone come potenzialmente distruttiva. 

In questo modo ogni conflitto che dovesse nascere � gi� pre-risolto dal linguaggio 
funzionale che, pre-disponendo le modalit� della sua formulazione, gi� pre-contiene la soluzione 
nei termini attesi. Non esistono, infatti, soluzioni che oltrepassino l'altezza del problema, se il suo 
senso � immediatamente costretto nei limiti della formulazione linguistica che lo esprime. 

Messo a disposizione come strumento comunicativo, il linguaggio funzionale, crea quel 
�monologo collettivo�, come lo chiama G. Anders, che � uno scambio tautologico tra funzionari, 
i quali possiedono la stessa esperienza del mondo che la tecnica ha loro fornito, con le parole che 
fanno parte dello stesso patrimonio linguistico che deriva dalla funzionalizzazione del linguaggio. 
Questo monologo collettivo, pronunciato a ruoli distribuiti, � in realt� il modo in cui la tecnica 
parla nel suo insieme con se stessa. 

Partecipando a questo monologo e attingendo dal suo vocabolario le parole per poter 
parlare l'uno con l'altro, ciascuno provvede ad eliminare le differenze che ancora potrebbero 
sussistere nei confronti dell'altro e, insieme all'altro, aggiusta la propria conformit� per meglio 
accordarsi al mondo della tecnica. In questa orchestra regolata in modo che tutto suoni ben 
accordato, il parlare in prima persona pu� diventare superfluo, perch� l'abisso tra individuo ed 
individuo, se mai dell'individualit� rimane ancora un qualche residuo, pu� essere troppo ampio 

o troppo pericoloso per essere superato, mentre l'intervallo tra funzionario e funzionario pu� 
essere troppo esiguo perch� si senta la necessit� di gettare un ponte linguistico (55). 
L'analisi sembra potersi riferire a quanto detto in tema di occupazione appropriativa e, pi� 
in generale, a tutti i discorsi sull'interpretazione e attuazione della legislazione speciale, eccezionale, 
straordinaria dei nostri tempi. 

Nella ripartizione delle competenze tra pi� centri di decisione i discorsi si sviluppano con 
significanti solo apparentemente dotati dello stesso significato e si definiscono microsistemi di 
attuazione del diritto che, nel loro continuo concorso e conflitto, anche in considerazione del tempo 
corrente per le decisioni definitive, finiscono per negare la loro funzione e, dunque, se stessi. 

(55) u. GALIMBERTI, op. cit., 561 s. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO � ��

306 

arrecato alla pubblica amministrazione con il loro comportamento negligente che 
abbia determinato l'illegittimit� della procedura espropriativa, danno che non si 
esaurisce solo nelle somme maggiori che l'amministrazione � tenuta a corrispondere 
per gli indennizzi, ma anche per i ritardi nel compimento dell'opera pubblica e per 
l'aggravio di lavoro che il contenzioso arreca quasi sempre alla pubblica 
amministrazione. Del resto la vastit� del fenomeno delle occupazioni acquisitive e 
la abnorme frequenza di mancata conclusione regolare delle procedure espropriative 
in alcune zone e regioni deve indurre gli organi titolari delle azioni di responsabilit�, 
nelle diverse sedi, a verificare la sussistenza di ipotesi di dolo. 

Ci� induce a 'ritenere infondati, oltre ai profili relativi all'art. 28 della 
Costituzione, anche quelli riferiti all'art. 97 della Costituzione, in quanto non sono 
certamente l'entit� dell'indennizzo, o la responsabilit� conseguente, ad incidere sul 
buon .andamento dell'amministrazione. Questo non deriva, se non in misura 
marginale, dall'affermazione di responsabilit� patrimoniale pi� o meno estesa a 
carico dei funzionari, ma piuttosto dai sistemi di controlli sulla legalit� dell'azione 
dei singoli organi, dall'esercizio dei poteri disciplinari di fronte alla colpevole 
negligenza nel condurre le procedure di espropriazione e nell'esercizio dei poteridoveri 
di denuncia e di rapporto rispetto a comportamenti a carattere doloso, profili 
che nulla hanno in comune con la norma denunciata. 

10. Si pu� ora tentare una risposta ai quesiti iniziali. 
L'occupazione appropriativa, procedura di espropriazione sostanziale elaborata dalla 
giurisprudenza, � un istituto fuori legge? 
Se la legge di cui si parla � il sistema quale risulta anzitutto dai valori espliciti della 
Costituzione e impliciti al sistema costituzionale (se necessario inteso in senso �allargato�: verso 
l'alto, ai princ�pi inter e sovra-nazionali riconosciuti dal nostro ordinamento, verso il basso, alle 
fonti primarie interposte, direttamente alternative/esplicative della Carta) (56); se la costruzione 
dell'occupazione appropriativa si � sviluppata lungo un percorso diverso da quello segnato dalla 
Costituzione, che richiede per l'espropriazione procedimenti legislativamente preregolati e, pi� in 
generale, rispetto del principio di legalit�, con tutela effettiva delle situazioni giuridiche incise; se 
l'occupazione appropriativa (unitamente all'espropriazione) � stata piegata al conseguimento di 
scopi che il legislatore ordinario doveva perseguire, per espressa previsione costituzionale, con 
altri mezzi; se l'interazione legislazione, giurisprudenza della Corte costituzionale, giurisprudenza 
di legittimit� e di merito ha, nei fatti, contribuito a strutturare un sistema di relazioni complessivamente 
deviante dal modello costituzionale, la risposta non pu� che essere affermativa. 

A conclusioni diametralmente opposte si perviene ove si osservi che in tutti i diritti positivi 
il procedimento di espropriazione per pubblico interesse costituisce materia particolarmente 
tormentata. Nel nostro ha assunto dimensione parossistica (57) -del tutto coerente per� ad un 
sistema costruito sulla specialit�, eccezionalit�, straordinariet�, ineludibilit� degli interventi 
legislativi, giustificati il pi� delle volte con il loro carattere temporaneo, immediatamente con


(56) A. RuooERI e A. SPADARO, Lineamenti cit., 176, ai quali si rinvia per il riesame dei poteri e limiti della 
Corte costituzionale, delle tecniche di motivazione da essa impiegate e di quelle che la dottrina vorrebbe impiegasse. 
Per quanto riguarda il tema in esame il discorso della Corte costituzionale avrebbe avuto altri sviluppi se, ad 
esempio, non fossero stati ripetutamente assorbiti profili di costituzionalit� relativi ali' art. 53 Cost. e se nelle pronunce 
si fosse costruita una mappa dettagliata per orientare il legislatore nella sua navigazione in acque sempre pi� 
tempestose. Per i valori trascurati dalla Corte v. F. G. Scoca, op. loco cit. 
(57) M. S. GIANNINI, op. cit., 717. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

307 

PER QUESTI MOTNI 

LA CORTE COSTITUZIONALE 

Riuniti i giudizi: 

dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale dell'art. 5-bis 
comma 7-bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della 
finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, 
introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23dicembre1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione 
della finanza pubblica), sollevate in riferimento agli artt. 42, terzo comma, 
3 e 28 della Costituzione, dal giudice istruttore del Tribunale di Lecce; agli artt. 3, 
prinlo comma, 42, secondo comma, 28 e 97 della Costituzione, dalla Corte d'appello 
di Firenze; agli artt. 42, secondo comma, 3, primo comma, e 97, primo comma, della 
Costituzione, dalla Corte d'appello di Reggio Calabria; agli artt. 3 e 42 della Costituzione, 
dal Tribunale di Latina; agli artt. 3, 28, 42, 97, 10, primo comma, 24, primo 
comma, 53, 71, primo comma, 72, primo comma, 113, primo e secondo comma, della 
Costituzione, dalla Corte d'appello di Cagliari; agli artt. 3, 28, 42, secondo e terzo comma, 
e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Lamezia Terme; agli artt. 3, 
primo comma, 42, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribu


traddetto da reiterazioni e da pluriennali proroghe (58). Basti pensare all'Intervento Straordinario 
nel Mezzogiorno, alla legge 14 maggio 1981 n. 219 (adottate a seguito degli eventi sismici che 
colpirono la Campania e la Basilica nel novembre 1980 e nel febbraio 1981), alla disciplina delle 
locazioni ... (59). 

(58) Quando venne la prima guerra mondiale, le esigenze che prima si erano rivelate, si imposero con estrema 
urgenza al legislatore, che dovette emanare una serie copiosa di leggi speciali. I soliti tradizionalisti si affrettarono 
a mettere in luce le strane �deviazioni� rispetto alle linee classiche della propriet�, e preconizzarono la fine di 
una legislazione cos� apertamente contrastante alla �norma�, con la fine della guerra. 
Come era prevedibile, la storia fece giustizia dell'ingenua profezia: la legislazione di guerra rinsald� le proprie 
radici e divenne pi� rigogliosa ... Ad un certo punto la tutela degli interessi di natura sociale e dell'interesse 
pubblico, perdette il carattere di isolata ed episodica particolarit�, ed acquist�, nella molteplicit� degli aspetti sotto 
i quali la legislazione speciale l'aveva realizzata, un carattere sistematico ed una variet� di articolazioni ... 

(S. PUGLIATTI, La propriet� cit., Premessa, VI). 
Intervenuta la Costituzione, a distanza di oltre mezzo secolo, il giurista deve ancora misurarsi, con umilt� e rigore, 
sui delicati problemi relativi al mutamento dell'assetto costituzionale. Non pu� chiudere gli occhi dinanzi ai fenomeni 
di decostituzionalizzazione e rottura della costituzione; il primo, graduale e insensibile, il secondo, brusco e 
visibile. Deve fare i conti con la forza normativa del fatto in un processo che iniziatosi come contrasto tra norme costituzionali 
e fatto, e cio� come manifestazione di antigiuridicit�, derivante appunto dalla vigenza della norma, si 
svolge secondo una curva, seguendo la quale, giunto il processo al culmine, si ha un capovolgimento dei termini del 
problema; s� che il fatto acquista prevalenza di fronte alla norma che perde la sua forza qualificante; quindi viene 
meno l'antigiuridicit� del fatto e viceversa questo diventa fonte delle nuove valutazioni e abroga la norma ( cfr. 

S. PuGLIATTI, Continuo e discontinuo nel diritto, in Grammatica e diritto, Milano 1978, 81 ss. spec. 90 s.). 
(59) Interventi tutti al centro di pluriennali polemiche. Per quanto in particolare riguarda la legislazione sul 
Mezzogiorno e la I. 219/81 � ben noto che si � trattato di interventi che hanno sommato a carenza di sviluppo economico 
e sociale e disastri naturali, disastri istituzionali ed economici di cui non � stata ancora valutata la portata. 
Per le critiche alla legislazione speciale come tecnica di recupero delle arretratezze del Mezzogiorno d'Italia all'inizio 
del secolo, v. G. PESCOSOLIDO, op. cit., 269 ss., spec. 298. Quanto alla disciplina vincolistica delle locazioni si 
osserva che, in mancanza di accurati dosaggi delle tecniche impiegate, si sono formati sistemi paralleli: giuridici e 
di fatto -e ove dovesse dimostrarsi la prevalenza di un sistema di fatto costituito da pratiche illecite dovrebbe ritenersi 
che questo costituisce, sotto il profilo dell'effettivit�, il diritto del settore. 

RASSEGNA AWOCATIJRA DELLO STATO ....

308 

nale di Potenza; agli artt. 3, 42, secondo comma, e 97 della Costituzione, dal giudice 
istruttore del Tribunale di Torino; agli artt. 3, primo comma, e 42 secondo comma, della 
Costituzione, dai Tribunali di Bari e Udine; agli artt. 3 e 42, secondo comma, della Costituzione, 
dal Tribunale di Lagonegro; agli artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione 
dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con le ordinanze indicate in epigrafe; 

dichiara la manifesta inammissibilit� della questione di legittimit� 
costituzionale del predetto art. 5 bis, comma 7 bis, del d.l. n. 333 del 1992, 
convertito, con modificazioni, nella legge n. 359 del 1992, sollevata, in riferimento 
agli artt. 3, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte 
d'appello di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe. (omissis) 

Se poi il valore fondamentale da garantire � l'equilibrio economico, rispetto ad esso (alcuni) 
valori diversi non possono che risultare perdenti: devono cedere alle dinamiche imposte dal 
capitalismo finanziario, come hanno ceduto alle esigenze del capitalismo industriale (60). 

Le resistenze all'occupazione appropriativa e al suo trattamento nelle diverse sedi si sono 
sviluppate con riferimento ad un sistema di valori estinto o in via di estinzione? La Corte 
costituzionale ha forse applicato le regole del capitalismo finanziario?... L'istituto della 

I 

moratoria? Ha contribuito a destrutturare il sistema e in che misura? 
L'ipotesi di fondo richiederebbe rigorose verifiche in relazione ai segnali che affiorano dalla 

I

legislazione, dalla giurisprudenza e dalla dottrina, dai comportamenti dell'amministrazione e dei 
privati, analizzando attentamente le funzioni svolte, i metodi e le tecniche impiegati (61). 

I

Quanto all'occupazione appropriativa e all'espropriazione per pubblica utilit�, allo stato, 
non rimane che sperare, come la Consulta, che il legislatore proceda finalmente ad una riforma 
organica del settore mettendo a frutto le indicazioni della giurisprudenza e della dottrina. Per far 

I 

questo dovr� preliminarmente riconoscere che il suo universo � un sistema (?) di frammenti che 

IIconservano lo loro integrit� in virt� di un mutevole magnetismo bilanciato, limite agli scontri, 
nello spazio e nel tempo, fra invero assai povere masse; che il suo diritto � un diritto 
dell'episodicit�, dell'asistematicit� subita, un caleidoscopio di regole che si compongono come 
foglie agitate dalla Sibilla. Per far questo, prima di intervenire, dovr� fermarsi un istante per 
valutare le conseguenze delle proprie (e altrui) parole, tentare di penetrarne i reconditi significati 
nel discorso continuo in cui pretendono audacemente di inserirsi. 

In mancanza non potremo che, sconsolatamente, ripetere: 

I

Un segno noi siamo senza significato, 

senza dolore siamo, e abbiamo quasi 

perduto il linguaggio in terra straniera (62). 

GIACOMO ARENA 
ROBERTA GUIZZI 

(60) Sul fenomeno in generale, G. PESCOSOLIDO, op. cit.,passim; e G. CANDELORO, op. loco cit. 
(61) Ma in primo luogo va prestata attenzione al potere suggestivo della parola e alla necessit� di precisione 
di questa nel nucleo centrale della proposizione. Al riguardo si rinvia all'insegnamento di S. PuGLIAITI, La giurisprudenza 
come scienza pratica, in Grammatica e diritto, Milano 1978, 103 ss., spec. 145 s. Pi� in generale al linguaggio 
compete di scongiurare la tragedia della confusione delle lingue, cio� dell'incapacit� dei consociati dicomunicare 
tra di loro e di capirsi; al sistema giuridico di scongiurare la tragedia della irrazionalit�, cio� dello scatenamento 
delle forze umane, individuali e collettive (A. FALZEA, Introduzione generale a Cinquanta anni di esperienza 
giuridica in Italia, Messina-Taormina, 3-8 novembre 1981, Milano 1981, 17. In particolare, con riferimento 
alle decisioni della Corte costituzionale, v. A. RUGGERI e A. SPADARO, op. cit., spec. 139 e ss.; A. RUGGERI, La motivazione 
cit., loco cit. Sull'oscurit� della legge v. M. AINis, op. cit. spec. 73 e ss., 144 e ss., 186 e ss., 191 e ss. 
(62) F. HoLDERLIN, Mnemosyne, (seconda stesura) in Le liriche, trad. it., Milano 1977, 695. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

309 

CORTE COSTITUZIONALE, 7 ottobre 1999, n. 379 -Pres. Granata -Red. 
Mirabelli -Presidenza del Consiglio dei Ministri ( avv. Stato Cingolo). 

Impiego pubblico -Stipendi, assegni ed indennit� -Allineamento stipendiale Abrogazione 
-Questione di legittimit� costituzionale -Infondatezza. 

(d.l. 11 luglio 1992, n. 333, conv. in 1. 8 agosto 1992, n. 359, art. 2, comma 4; d.l. 19 
settembre 1992, n. 384, conv. in 1. 14 novembre 1992, n. 438, art. 7, comma 7). 
L'istituto del c.d. allineamento stipendiale, che pur era diretto ad eliminare 
diseguaglianze, creava a sua volta diseguaglianze ulteriori, alterava il principio 
secondo il quale la progressione nel trattamento economico deve corrispondere 
a criteri prefissati nella legge e nei contratti collettivi e finiva con il determinare 
effetti irrazionali che ne hanno giustificato la soppressione generalizzata; 
pertanto non � fondata la questione di legittimit� costituzionale -con riferimento 
agli artt. 3, 36 e 97 Cost. -delle norme abrogatrici dell'allineamento stipendiale 
(art. 2, comma 4, d.l. 11 luglio 1992, n. 333, conv. in l. 8 agosto 1992, n. 359 
ed art. 7, comma 7, d.l. 19 settembre 1992, n. 384, conv. in I. 14 novembre 1992, 

n. 438) (1). 
(omissis) 

La questione di legittimit� costituzionale investe le disposizioni che, nel 
contesto di misure adottate per il risanamento della finanza pubblica, hanno 
eliminato ogni allineamento automatico dei trattamenti retributivi nell'ambito del 
pubblico impiego. 

(1) L'istituto dell'allineamento stipendiale � stato introdotto per il personale militare 
dall'articolo 4, terzo comma, del decreto legge 27 settembre 1982 n. 681, convertito in legge 20 
novembre 1982 n. 869, con norma del seguente tenore: <<Al personale con stipendio inferiore a 
quello spettante al collega con pari o minore anzianit� di servizio, ma promosso 
successivamente, � attribuito lo stipendio di quest'ultimo�. 
� poi intervenuto il decreto legge n. 333 del 1992 che all'articolo 2, quarto comma, ha 
disposto la soppressione dell'allineamento stipendiale a decorrere dalla data di entrata in vigore 
dello stesso decreto (11 luglio 1992). Successivamente con l'art. 7, comma settimo, decreto legge 

n. 384/1992 il legislatore ha ulteriormente definito il contenuto di detta norma ed ha disposto un 
divieto assoluto e generalizzato di adottare provvedimenti di allineamento stipendiale 
�ancorch� aventi effetti anteriori ali' 11 luglio 1992� -precisando che la soppressione del 
�galleggiamento� esplica effetti generali e senza alcuna distinzione soggettiva o per categorie e 
prevedendo espressamente che dalla data di entrata in vigore del decreto legge citato �non 
possono essere pi� adottati provvedimenti di allineamento stipendiale�. 
La normativa appena esaminata � stata pi� volte sospettata di illegittimit� costituzionale per la 
parte in cui prevede che l'effetto abrogativo vada a colpire anche coloro che, pur avendo maturato 
il diritto all'allineamento, non ne hanno ottenuto il dovuto riconoscimento dall'amministrazione 
entro 1'11 luglio 1992. La Corte Costituzionale, pronunciandosi per la prima volta con sentenza n. 
6/1994, ha dichiarato infondata la questione sottolineando che la scelta compiuta dal legislatore non 
pu� ritenersi viziata da irragionevolezza essendo stata determinata dall'esigenza di impedire, con il 
massimo di efficacia generale, l'ulteriore applicazione di un istituto che, nella pratica, aveva 
determinato inconvenienti e distorsioni maggiori di quelli cui si intendeva ovviare. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT6 '

310 

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio denuncia, in riferimento agli 
artt. 3, 36 e 97 della Costituzione: 

a) l'art. 2, comma 4, del decreto-legge 11luglio1992, n. 333 (convertito, con 
modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359), che ha soppresso la disposizione 
che attribuiva a tutto il personale militare con trattamento stipendiale inferiore a 
quello spettante al pari grado, avente pari o minore anzianit� di servizio ma 
promosso successivamente, lo stesso trattamento stipendiale di quest'ultimo (art. 1, 
comma 7, secondo periodo, del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379, convertito, 
con modificazioni, nella legge 14 novembre 1987, n. 468); 

b) l'art. 7, coinma 7, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (convertito, 
con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438), che ha interpretato l'art. 
2, comma 4, del decreto-legge n. 333 del 1992 nel senso che dalla data della sua 
entrata in vigore (11 luglio 1992) non possono essere pi� adottati provvedimenti di 
allineamento stipendiale, anche se con effetti anteriori a tale data. 

Ad avviso del giudice rimettente, la soppressione del meccanismo di 
allineamento stipendiale automatico non avrebbe consentito di porre riparo a 
sperequazioni retributive che si sarebbero verificate nel Corpo della Guardia di 
finanza, in relazione al sistema di avanzamento ed all'applicazione del nuovo 
regime retributivo. Sottufficiali con minore anzianit� di grado e di servizio, 
promossi successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. 10 aprile 1987, n. 150, 
avrebbero percepito un trattamento economico pi� elevato di quelli pi� anziani. 
Questa situazione manifesterebbe la violazione dei principi costituzionali di 
eguaglianza (art. 3), di proporzionalit� della retribuzione al lavoro svolto (art. 36) e 
di buon andamento dell'amministrazione (art. 97). 

Preliminarmente deve essere dichiarata la inammissibilit� dell'intervento dei 
Presidente dei Consiglio dei ministri, in quanto il relativo atto � stato depositato 
oltre il termine stabilito dall'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, computato 
secondo quanto prevede l'art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti a questa 
Corte (da ultimo, ordinanze n. 177 e n. 143 del 1999). 

La questione di legittimit� costituzionale non � fondata. 

Il contesto nel quale essa sorge � costituito dalla disciplina del trattamento 
economico e dell'avanzamento di carriera del personale della Guardia di finanza. 
Ad esso si applica (in forza del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito, 
con modificazioni, nella legge 20 novembre 1987, n. 472) il d.P.R. 10 aprile 1987, 

n. 150, che recepisce l'accordo del 13 febbraio 1987 per il personale della Polizia. 
Tale orientamento � stato poi confermato con le ordinanze 105/1994; 394/1994; 40/1995 
e 523/1995 e recepito dal Consiglio di Stato a partire dalla sent. Sez. IV, n. 636/1996 in cui si 
afferma che l'istituto in questione Ǐ ormai scomparso dall'ordinamento giuridico� e quindi non 
pu� pi� essere posto a fondamento di una pronuncia del giudice. Nella sentenza in esame la Corte 
ribadisce il proprio orientamento sottolineando ancora una volta che l'allineamento stipendiale si 
� rivelato un rimedio peggiore del male. 

Tuttavia occorre segnalare che nel 1999 il Consiglio di Stato, pronunciandosi in sede di 
ricorso straordinario al Capo dello Stato, � andato in contrario avviso riconoscendo il galleggiamento 
ad alcuni consiglieri di Stato ai sensi dell'art. 4, nono comma, della legge n. 425/1984. 

F.S. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Apportando complessivi miglioramenti al trattamento economico, il d.P.R. n. 150 
del 1987 ha separato lo stipendio base previsto per i singoli livelli retributivi dalla 
progressione retributiva connessa all'anzianit� di servizio, che concorre a comporre 
la �retribuzione individuale di anzianit��. Quest'ultima � commisurata alle classi e 
agli scatti di stipendio in godimento al 31 dicembre 1986, con ulteriori 
aggiustamenti connessi all'applicazione del nuovo sistema (art. 3). Nei passaggi di 
qualifica, per le promozioni che comportano un livello retributivo superiore, viene 
attribuita, oltre al nuovo stipendio, la retribuzione individuale di anzianit� in 
godimento al 31 dicembre 1986; mentre per le promozioni alla qualifica superiore 
nell'ambito dello stesso livello retributivo viene riconosciuto uno scatto aggiuntivo 
dello stipendio in godimento (art. 4). 

La nuova disciplina, ed in particolare il calcolo della retribuzione individuale di 
anzianit� in caso di passaggio di qualifica, avrebbe determinato, ad avviso del 
giudice rimettente, evidenti sperequazioni, in quanto gli scatti gerarchici di carriera 
non sarebbero stati considerati ai fini della retribuzione individuale di anzianit�. 

Ma la questione di legittimit� costituzionale non viene proposta per le norme che 
determinerebbero nella prima applicazione del nuovo regime retributivo le ritenute 
sperequazioni, bens� per la mancanza di quel permanente meccanismo di 
adeguamento stipendiale automatico in precedenza previsto (art. 1, comma 7, secondo 
periodo, del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379), venuto meno con la generale 
soppressione dell'istituto dell'allineamento stipendiale, in quanto esso stesso causa di 
distorsioni. Difatti l'applicazione di tale istituto, che pur era diretto ad eliminare 
diseguaglianze, creava a sua volta diseguaglianze ulteriori, alterava il principio 
secondo il quale la progressione nel trattamento economico deve corrispondere a 
criteri prefissati nella legge e nei contratti collettivi e finiva con il determinare effetti 
irrazionali che ne hanno, appunto, giustificato la generalizzata soppressione (sentenza 

n. 6 del 1994; ordinanze n. 105 e n. 394 del 1994, n. 40 e n. 523 del 1995). 
Gli inconvenienti o le distorsioni che si verificano per effetto dell'eventuale 
irrazionalit� o inadeguatezza di meccanismi retributivi stabiliti o recepiti dal 
legislatore con un nuovo regime retributivo non possono, dunque, trovare rimedio 
consolidando quegli effetti mediante l'adozione di ulteriori meccanismi destinati, 
essi pure, a determinare irrazionalit� e diseguaglianze ( cfr. sentenze n. 57 del 1993, 

n. 146 del 1994 e n. 386 del 1997). 
PER QUESTI MOTIVI 

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 2, comma 
4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della 
finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, 
e dell'art. 7, comma 7, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti 
in materia di previdenza, di sanit� e di pubblico impiego, nonch� disposizioni 
fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, 
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, dal Tribunale 
amministrativo regionale del Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe. (omissis) 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 

312 

CORTE COSTITUZIONALE, 14 -23 dicembre 1999, n. 457 -Pres. Vassalli -Red. 
Zagrebelsky -Corte dei Conti c. Presidente Consiglio dei Ministri. (Avv. Stato 
Fiumara). 

Corte costituzionale -Conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato -Corte dei 

conti -Lesione delle attribuzioni costituzionali che si assume derivare da 
decreti legislativi -Condizioni soggettive e oggettive per la proposizione del 
conflitto -Sussistenza. 

(Costituzione, art. 134; legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 37). 

Corte costituzionale -Conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato -Corte dei 
conti -Controllo sulla gestione finanziaria di enti di ricerca (Consiglio 
Nazionale delle Ricerche, Agenzia Spaziale Italiana, Ente per le nuove 
tecnologie, l'energia e l'ambiente) -Controllo successivo sui conti 
consuntivi e relazione annuale al Parlamento -Legittimit� costituzionale. 

(Costituzione, art. 76-e 100; decreti legislativi 30 gennaio 1999 n. 19, n. 27 e n. 36). 

La Corte dei Conti, nella sua funzione di controllo sulla gestione finanziaria 
degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, � potere costituzionale 
legittimato alla proposizione del conflitto di attribuzione, esercitando tale funzione 
in piena autonomia dagli altri poteri, e pu� proporre il conflitto anche in relazione 

I

ad atti di natura legislativa per la difesa di attribuzioni costituzionali che assume 

~ 

lesi da tali atti (1). 
Non spetta alla Corte dei Conti, sezione del controllo sugli enti, il controllo 
della gestione finanziaria nei confronti del Consiglio nazionale delle ricerche 
.

I (CNR), dell'Agenzia spaziale Italiana (ASI) e dell'Ente per le nuove tecnologie, 
1 'energia e 1 'ambiente (ENEA) in forma diversa da quella prevista dagli artt. 9 co. 
3, 9 co. 5 e 11 co. 2, dei decreti legislativi n. 19, n. 27 e n. 36 del 30gennaio1999, 

I

secondo i quali esso va esercitato unicamente sui conti consuntivi degli enti con una 

~ 

relazione annuale al Parlamento e non sulla regolarit� contabile e sui singoli atti 
di gestione (2). 

(1-2) In sede di valutazione preliminare di ammissibilit� del conflitto dal punto di vista 
oggettivo, la Corte con l'ordinanza di ammissibilit� n. 323/99 aveva rilevato la necessit� 
dell'esplicazione di un pieno contraddittorio fra le parti, dopo la sua pronuncia di segno negativo 

n. 406/89, �anche alla luce degli sviluppi della successiva giurisprudenza costituzionale�. Invero 
con la suddetta sentenza del 1989 la Corte aveva negato la sperimentabilit� del conflitto da parte 
della Corte dei conti contro gli atti legislativi perch� altrimenti �Si finirebbe con il costituire un 
elemento di rottura del nostro sistema di garanzia costituzionale, sistema che, per quanto riguarda 
la legge (e gli atti equiparati) � incentrato nel sindacato incidentale�, precisando che l'indubbio 
inconveniente di una materiale impossibilit� tecnica di innescare quest'ultimo avrebbe potuto essere 
risolto solo in via di riforma costituzionale del sistema. Ma, come pur desumibile dalla successiva 
giurisprudenza della Corte, richiamata nella sentenza annotata, il rilievo costituzionale delle 
attribuzioni proprie di ciascun potere dello Stato, delle quali, la Corte � garante ai sensi dell'art. 134, 
secondo alinea, della Costituzione, e l'impossibilit� in certi casi di ricorrere altrimenti al giudizio 
incidentale di illegittimit� costituzionale, giustificavano un superamento della tesi originaria 




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

313 

(Omissis). 

1. -La Corte dei conti, con il ricorso in esame, rivendica, nel conflitto di 
attribuzione tra i poteri dello Stato, la competenza a esercitare il controllo sulla 
gestione finanziaria nei confronti del Consiglio nazionale delle ricerche, dell'Agenzia 
spaziale italiana e dell'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente, quale 
prevista dalla legge 21 marzo 1958, n. 259, per gli enti a cui lo Stato contribuisce in 
via ordinaria, controllo oggetto ora, rispettivamente, degli artt. 9, comma 3, 9, comma 
5 e 11, comma 2, dei decreti legislativi n. 19, n. 27 e n. 36 del 30 gennaio 1999, 
adottati dal Governo sulla base della delega contenuta negli artt. 11, comma 1, e 18, 
comma 1, della legge 15 marzo 1997, n. 59. 
Le disposizioni dei decreti legislativi indicati prevedono in tutti e tre i casi la 
riduzione dei poteri della Corte dei conti al controllo successivo, esercitato 
unicamente sui conti consuntivi degli enti e finalizzato alla relazione annuale al 
Parlamento, con l'esclusione del controllo amministrativo di regolarit� contabile e 
sui singoli atti di gestione (secondo le precisazioni esplicitamente contenute nei 
decreti nn. 19 e 27). 

Ritiene la ricorrente che tali disposizioni, derogando restrittivamente alla 
disciplina generale del controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce 
in via ordinaria -disciplina contenuta nella legge 21 marzo 1958, n. 259 violino 
gli artt. 76 e 100, secondo comma, della Costituzione, da tale violazione derivando 
la lesione della propria sfera di attribuzioni costituzionali, quale definita dal 
medesimo art. 100, secondo comma, della Costituzione. Viene poi rimesso alla valutazione 
di questa Corte quale possa essere il rilievo da attribuire alla circostanza che 
le norme in questione dei decreti legislativi menzionati siano state adottate ignorando 
l'art. 1 del r.d.l. 9 febbraio 1939, n. 273, il quale prevede che i provvedimenti 
legislativi che importino la soppressione o la modificazione delle attribuzioni della 
Corte dei conti siano preceduti dal parere delle sezioni riunite della Corte medesima. 

auspicato anche nelle difese del Presidente del Consiglio dei Ministri resistente -che consenta il 
ricorso anche nei confronti di atti normativi che l'organo di controllo assuma lesivi della sfera delle 
proprie competenze costituzionali. 

Nel merito, per�, il ricorso � stato ritenuto infondato sia con riferimento al preteso eccesso 
di delega, risultando rispettato -sia pure nei suoi minimi termini letterali e logici -il vincolo 
costituito dall'art. 3, co. 6, della legge 14 gennaio 1994 n. 20, richiamato dall'art. 14 della legge 
delega 15 marzo 1997 n. 59, che prevede solo che la Corte dei Conti �riferisce, almeno 
annualmente, al Parlamento e ai Consigli regionali sull'esito del controllo eseguito�; sia con 
riferimento alla dedotta violazione della riserva di legge dell'art. 100 della Costituzione, posto 
che il controllo a consuntivo � stato previsto proprio nella disposizione legislativa posta in 
discussione, la quale ha rango pari a quello della legge fondamentale della Corte dei conti 

n. 259/1958, cui non pu� certo riconoscersi una pur pretesa �costituzionalizzazione�. Del resto 
essendo la legge delega n. 59/1997 finalizzata ad un riordino, secondo criteri di programmazione, 
degli enti operanti nel settore della ricerca, della loro struttura e del funzionamento nell'intento 
di assicurare i lmassimo livello di flessibilit� e autonomia, non si poteva non tener conto, 
comparativamente e parallelamente, di quanto gi� disposto per le universit� con l'art. 5, co. 21, 
della legge 24 dicembre 1993 n. 537, che prevede, appunto, un mero controllo successivo della 
Corte dei conti esercitato ai soli fini della relazione al Parlamento, con l'esclusione del controllo 
amministrativo di regolarit� contabile e sui singoli atti della gestione. 
O.F. 

RASSEGNA AWOCATIJRA DELLO STATO 

314 

La Corte dei conti chiede pertanto che questa Corte, in accoglimento del 
ricorso, dichiari che le spetta l'esercizio del controllo previsto dalla legge n. 259 del 
1958 sugli enti cui i decreti legislativi nn. 19, 27 e 36 del 1999 si riferiscono, 
annullando le disposizioni di tali decreti che lo impediscono. 

2. -Sussistono, nella specie, le condizioni soggettive e oggettive per la 
proposizione del conflitto, a norma dell'art. 37 della legge 11marzo1953, n. 87. 
Sotto il profilo soggettivo, come gi� rilevato nell'ordinanza n. 323 del 1999 di 
questa Corte, resa in sede di valutazione preliminare di ammissibilit� del presente 
giudizio, la Corte dei conti, nella sua funzione di controllo sulla gestione finanziaria 
degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, � potere costituzionale 
legittimato alla proposizione del conflitto di attribuzione, esercitando tale funzione 
in piena autonomia dagli altri poteri (v. anche la sentenza n. 466 del 1993). D'altro 
canto, nessun dubbio pu� sussistere circa la legittimazione a resistere del Governo, 
essendo contestata la lesione delle attribuzioni costituzionali della Corte dei conti 
che si assume derivare da decreti legislativi da esso adottati nell'esercizio della 
funzione legislativa delegata. 

Anche sotto il profilo oggettivo, il conflitto � ammissibile. Conformemente a 
quanto previsto dall'art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, esso � 
promosso per la difesa di attribuzioni costituzionali che la ricorrente ritiene di 
propria spettanza a norma dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione. N� 
l'ammissibilit� del presente conflitto potrebbe essere negata in considerazione della 
natura legislativa degli atti ai quali � ascritta la pretesa lesione delle competenze 
costituzionali in questione. 

Il conflitto costituzionale � preordinato alla garanzia dell'integrit� �della sfera di 
attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali� (art. 37, primo 
comma, citato), senza che, n� dalla disciplina costituzionale n� da quella legislativa, 
si dia alcun rilievo alla natura degli atti da cui possa derivare la lesione all'anzidetta 
�sfera di attribuzioni�. A differenza della giurisdizione costituzionale sulla 
legittimit� delle leggi, il cui ambito � determinato in relazione ai tipi di atti 
assoggettabili al giudizio, la giurisdizione costituzionale sui conflitti � determinata in 
relazione alla natura dei soggetti che confliggono e delle loro competenze la cui 
integrit� essi difendono. E in effetti il giudizio per conflitto di attribuzioni non � 
giudizio sulla legittimit� di atti (anche se, a seconda dell'esito del giudizio stesso, pu� 
conseguire l'annullamento dell'atto lesivo) ma � garanzia dell'ordine costituzionale 
delle competenze (art. 38 della legge n. 87 del 1953), quale che possa essere la natura 
dell'atto cui, in ipotesi, sia ascrivibile la lesione delle competenze medesime. 

Resta peraltro fondamentalmente vera l'affermazione di questa Corte contenuta 
nella sentenza n. 406 del 1989 -essere il giudizio incidentale il mezzo che il nostro 
sistema di giustizia costituzionale prevede specificamente, nella generalit� dei casi, 
per sottoporre le leggi al controllo di costituzionalit� -. Da ci� non pu� peraltro 
derivare l'esclusione assoluta dell'ammissibilit� di conflitti di attribuzione 
prospettati in relazione alla definizione delle competenze operata con legge -con 
l'eventualit� che all'invalidazione di tale atto si possa giungere anche all'esito di un 
giudizio su conflitto di attribuzione -come del resto questa Corte ha riconosciuto, 
in relazione a casi ed esigenze particolari, con la sentenza n. 161 del 1995 e, pi� 
ampiamente, nella motivazione dell'ordinanza n. 480 del medesimo anno. Dal 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

valore, s� generale (rispetto alle leggi e agli atti equiparati), ma al contempo 
specifico (rispetto alla generalit� degli atti) del giudizio incidentale sulle leggi 
deriva invece soltanto che deve escludersi, nella normalit� dei casi, l'esperibilit� del 
conflitto tutte le volte che la legge, dalla quale, in ipotesi, deriva la lesione delle 
competenze, sia denunciabile dal soggetto interessato nel giudizio incidentale, come 
accade di norma quando l'usurpazione o la menomazione del potere costituzionale 
riguardi l'autorit� giudiziaria, nell'esercizio delle sue funzioni (ordinanza n. 278 del 
1997): ipotesi -quest'ultima -che non ricorre evidentemente nel caso presente. 

3. -Il ricorso -per i motivi anzidetti, ammissibile -� per� infondato. 
3.1. -Non esiste innanzitutto lesione dell'attribuzione prevista dall'art. 100, 
secondo comma, della Costituzione, nella forma della partecipazione al controllo 
sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, la 
determinazione dei casi e delle forme della quale � rimessa alla legge. 
Le norme dei decreti legislativi in questione -parallelamente a quanto 
previsto per le Universit� degli studi dall'art. 5, comma 21, della legge 24 dicembre 
1993, n. 537 -rappresentano per l'appunto una forma possibile della 
partecipazione al controllo che la Costituzione rimette alle discrezionali 
determinazioni legislative, una partecipazione che, configurata come controllo 
successivo, esercitato unicamente sui conti consuntivi degli enti, al fine della 
relazione annuale al Parlamento, costituisce un legittimo svolgimento del rinvio che 
l'art. 100, secondo comma, fa alla legge. 

N� potrebbe ritenersi lesa l'attribuzione costituzionale della Corte dei conti in 
conseguenza della riduzione, rispetto agli enti in questione, di quelle che, in passato, 
erano le sue competenze generali di controllo risultanti dalla legge n. 259 del 1958, 
ribadite nell'art. 3, comma 7, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Tali disposizioni 
di legge ordinaria -analogamente a quelle dei decreti legislativi in questione integrano 
la disposizione costituzionale e possono cos�, eventualmente, nei conflitti 
di attribuzione fungere da norme di riferimento per la determinazione delle 
competenze di controllo della Corte dei conti, quando -come nel caso deciso con 
la sentenza n. 466 del 1993 di questa Corte -si controverta sul mancato rispetto di 
tali competenze. Non possono invece valere a condizionare scelte legislative 
successive le quali, in attuazione anch'esse dell'art. 100, secondo comma, della 
Costituzione, in generale o con riferimento a casi particolari, ridefiniscano i casi e 
le forme del controllo. Si verrebbero altrimenti a configurare fonti legislative dotate 
di valore anomalo, non previste dalla Costituzione. 

3.2. -La lesione delle attribuzioni costituzionali della ricorrente � poi 
argomentata in relazione alla violazione dell'art. 76 della Costituzione, poich� le 
disposizioni dei decreti legislativi sarebbero state adottate -secondo la 
prospettazione della ricorrente -in violazione dei limiti di oggetto e dei principi e 
criteri direttivi della delega, determinati dagli artt. 11, comma 1, e 18, comma 1, 
della legge n. 59 del 1997. �La censura -ancorch� ammissibile, in quanto dalla 
pretesa violazione dell'art. 76 della Costituzione deriverebbe una compressione 
delle attribuzioni della ricorrente (analogamente, con riguardo al caso della difesa, 
nel giudizio costituzionale, delle attribuzioni regionali, la sentenza n. 408 del 1998), 
-� peraltro infondata. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT0� .

316 

L'art. 11, comma 1, lettere b) ed), della legge n. 59del1997 ha delegato il Governo 
a emanare decreti legislativi, tra l'altro, per �riordinare gli enti pubblici nazionali 
operanti in settori diversi dall'assistenza e previdenza� e per �riordinare e razionalizzare 

Ii 

gli interventi diretti a promuovere e sostenere il settore della ricerca scientifica e 
tecnologica nonch� gli organismi operanti nel settore stesso�. La stessa legge, nel dettare 
i principi e criteri direttivi per l'attuazione della delega -principi e criteri, nel settore della 
ricerca, particolarmente orientati alla razionalizzazione delle strutture esistenti, in vista 
di flessibilit�, autonomia ed efficienza (artt. 14 e 18) -ha puntualmente prescritto 
(art. 14) il rispetto dell'art. 3, comma 6, della legge n. 20 del 1994. 

Nell'ambito d�lla delega cos� disciplinata, per quanto concerne la pretesa 
violazione dei limiti di oggetto, � sufficiente osservare che il disegno di riforma 
delle amministrazioni e degli enti pubblici risultante dalla legge n. 59 del 1997 
comprende nell'insieme i loro aspetti organizzativi e che ci� � conforme alla 
profondit� dell'intervento riformatore in quella legge configurato. La riconsiderazione 
della disciplina dei controlli rappresenta un elemento di tale riforma, ci� che 
� del resto indirettamente ma chiaramente palesato dal rinvio che l'art. 14 della 
legge n. 59 del 1997 fa all'art. 3, comma 6, della legge n. 20 del 1994. 

La prospettata violazione dei principi e criteri direttivi, a sua volta, viene 
motivata con riferimento a quest'ultima disposizione, con la quale si stabilisce, per 
quanto qui interessa, che �la Corte dei conti riferisce, almeno annualmente, al 
Parlamento ... sull'esito del controllo eseguito. Le relazioni della Corte sono altres� 
inviate alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro 

I 

momento, le proprie osservazioni. Le amministrazioni comunicano alla Corte ... le 
misure conseguenzialmente adottate�. 

I

Il �controllo eseguito� � formula che non esprime un suo proprio contenuto circa 
i caratteri del controllo medesimo, ma che rinvia a quanto altrove previsto. Il controllo 
in questione � ora quello successivo, che si esercita unicamente sui conti consuntivi, 
con I'esclusione del controllo amministrativo di regolarit� contabile e sui singoli atti 
di gestione, secondo quanto previsto dalle norme dei decreti legislativi. Di tale 
controllo, secondo le norme che hanno dato origine al conflitto, la Corte dei conti 
�riferisce annualmente� al Parlamento, mentre, secondo il comma 6 dell'art. 3 della 
legge n. 20, la relazione al Parlamento � prevista con cadenza �almeno annuale� Ci� 
non comporta peraltro violazione di quest'ultima disposizione (e quindi indirettamente 
dell'art. 14 della legge n. 59 del 1997 che la richiama), poich� � chiaro ch'essa 
contiene la previsione di un adempimento minimo inderogabile, un limite che le 
norme delegate puntualmente rispettano. Quanto agli ulteriori rapporti di 
collaborazione da instaurarsi con le amministrazioni interessate secondo il comma 6 
dell'art. 3 della legge n. 20 (invio delle relazioni della Corte; formulazione in qualsiasi 
momento delle sue osservazioni; comunicazione alla Corte stessa delle misure 
conseguenzialmente adottate dalle amministrazioni), essi hanno una loro autonoma 

ragion d'essere rispetto alla relazione al Parlamento e configurano, nell'insieme, un 
sistema non privo di una propria logica (si v., per la Corte dei conti europea, I'analogo 
sistema previsto dall'art. 248, par. 4, del Trattato della Comunit� Europea). Non 
essendo incisi dalle norme dei decreti legislativi, tali rapporti restano pertanto salvi, in 
forza del richiamo fatto dall'art. 14 della legge n. 59 del 1997 allo stesso comma 6 
dell'art. 3 della legge n. 20, nella sua integralit�, senza per� che ci� necessariamente 
presupponga -contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, soprattutto con 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

317 

riferimento al potere di formulare osservazioni �in ogni momento� -I'esistenza di 
ulteriori poteri di controllo, diversi da quello previsto dalle norme legislative delegate. 

3.3. -Quanto infine al dubbio sollevato dalla ricorrente circa le conseguenze da 
trarre dal mancato rispetto dell'art. 1 del r.d.l. 9 febbraio 1939, n. 273, che prevede il 
previo parere della Corte dei conti a sezioni riunite sui provvedimenti legislativi che 
comportino la soppressione o la modificazione delle attribuzioni della Corte dei conti 
medesima -dubbio formulato in modo da non costituire propriamente motivo del 
ricorso, ma rimesso comunque alla valutazione di questa Corte -, � sufficiente rilevare 
che tale onere per il legislatore non � idoneo a istituire, in un sistema -come l'attuale 
-a costituzione rigida che totalmente l'ignora, un procedimento di normazione 
primaria speciale che possa pretendere di essere garantito costituzionalmente. 
PER QUESTI MOTIVI 

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara che non spetta alla Corte dei conti, sezione del controllo sugli enti, il 
controllo sulla gestione finanziaria nei confronti del Consiglio nazionale delle 
ricerche, dell'Agenzia spaziale italiana e dell'Ente per le nuove tecnologie, l'energia 
e l'ambiente, in forma diversa da quella prevista dagli artt. 9, comma 3, 9, comma 
5 e 11, comma 2, dei decreti legislativi n. 19, n. 27 e n. 36 del 30 gennaio 1999. 

CORTE COSTITUZIONALE, ordinanza 15 -30 dicembre 1999, n. 470 -Pres. 
Vassalli -Est. Zagrebelsky. 

Corte Costituzionale -Conflitto fra Provincia autonoma e Stato per atto emesso 
da Procuratore della Repubblica -Determinazione di non intervento del 
Presidente del Consiglio non preceduta da intesa o richiesta di parere al 
Procuratore -Conflitto fra poteri dello Stato sollevato dal Procuratore 
della Repubblica nei confronti del Presidente del Consiglio -Ammissibilit�. 

� ammissibile il conflitto fra poteri dello Stato promosso da un Procuratore 
della Repubblica nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri per mancata 
costituzione di quest'ultimo in un conflitto di attribuzione fra la Provincia autonoma 
di Bolzano e lo Stato nascente da atti emessi dal Procuratore della Repubblica 
stesso, nei limiti in cui la determinazione di non costituzione non � stata preceduta 
da un'intesa o da una richiesta di parere allo stesso pubblico ministero (1). 

(1) Giunge ex professo all'esame della Corte un problema di particolare delicatezza, solo di 
sfuggita toccato in passato dalla Corte stessa (sent. 20 marzo 1985 n. 70, in Foro it., 1986, I, 58) 
e molto discusso dalla dottrina (cfr. per tutti R. ROMBOLI, La Magistratura nei conflitti fra enti 
aventi ad oggetto atti giurisdizionali: un problema ancora in attesa di soluzione, in Giur. Cast., 
1997, 1701, ed autori ivi citati). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO� �

318 

(omissis) 

Ritenuto che con ricorso depositato il 3 giugno 1999 il Sostituto Procuratore 
della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano ha sollevato conflitto di 
attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio dei 
ministri, in relazione alla mancata costituzione di quest'ultimo nel giudizio per 
conflitto di attribuzione promosso dalla Provincia autonoma di Bolzano nei confronti 
dello Stato (giudizio iscritto al reg. conflitti n. 3 del 1999), a seguito di due atti 
adottati nell'ambito di un procedimento penale dal medesimo pubblico ministero; 

che il ricorrente precisa che, in base all'art. 112 della Costituzione, il pubblico 
ministero � il titolare diretto ed esclusivo dell'attivit� di indagine finalizzata 
all'esercizio dell'azione penale e che in riferimento a detta funzione esso deve 
pertanto considerarsi legittimato a sollevare il conflitto; 

che lo stesso ricorrente rileva che nei conflitti tra enti, in base al consolidato 
orientamento della Corte costituzionale, legittimati a costituirsi in giudizio sono 
soltanto il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Giunta 
regionale, essendo stata di recente esclusa la possibilit� di invocare l'art. 20, 
secondo comma, della legge 11marzo1953, n. 87, al fine di riconoscere il diritto di 

In effetti, quando il conflitto fra Stato e Regione si risolve in un conflitto fra potere esecutivo 
(di competenza regionale) e potere giudiziario, la controversia si atteggia, da un punto di vista 
sostanziale, pi� come conflitto fra poteri che come regolamento di competenza fra enti. 

Peraltro nella sua configurazione normativa astratta il problema non sembra dissimile da 
quello che sorge ogniqualvolta l'organo statale interessato al conflitto sia anche un qualunque 
potere dello Stato diverso dal legislativo. 

In tutti questi casi, indifferentemente, Presidente del Consiglio dei Ministri e Presidente 
della Regione rappresentano nel giudizio, unitariamente, gli ordinamenti, statale e regionale, di 
cui sono parti, non singole amministrazioni o singoli organi o poteri della relativa organizzazione. 

La scelta cos� netta operata dal legislatore (art. 39 legge 11 marzo 1953, n. 87) � d'altronde 
perfettamente congruente con tutto il sistema del processo costituzionale, cos� come delineato 
dalla Costituzione, dalle leggi costituzionali ed ordinarie e dalle norme integrative; un sistema che 
� ispirato ad una rigorosa limitazione della legittimazione processuale. 

Basti pensare, a tacer d'altro, al fatto che legittimato processuale nei giudizi incidentali di 
costituzionalit� delle leggi e nei giudizi di impugnazione diretta di leggi statali � il Presidente del 
Consiglio dei Ministri e non il Parlamento, che pure � indubbiamente il potere pi� direttamente 
interessato. 

La partecipazione al giudizio costituzionale di organi statali diversi da quello di vertice, che 
rappresenta unitariamente l'ordinamento, � dunque prevista, in via d'eccezione, solo nel caso di 
conflitto fra poteri dello Stato (art. 37, legge ult. cit. e art. 26, Norme integrative per i giudizi 
avanti la Corte Costituzionale approvate dalla Corte il 16 marzo 1956), nel quadro di una 
intrinseca logica e razionalit� del sistema e, se pu� convenirsi con un'autorevole corrente 
dottrinale sulle buone ragioni logiche che militerebbero in favore dell'apertura di uno spazio di 
interlocuzione al potere giudiziario in casi quale quello in esame per una pi� piena attuazione del 
principio del contraddittorio, deve per� riconoscersi che ci� non potrebbe che avvenire ad opera 
del legislatore costituzionale o di quello ordinario o della Corte Costituzionale in sede di adozione 
di norme integrative o di rev�rement giurisprudenziale in tema di ammissibilit� dell'intervento 
(con particolare riguardo alla sentenza 70/85). 

Allo stato, non rimane che attendere la decisione di merito. 

I.F.C. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

qualsiasi organo statale a intervenire in qualsiasi giudizio che sia pendente innanzi 
alla Corte costituzionale (sentenza n. 350 del 1998); 

che, in particolare, richiamando consolidati orientamenti della Corte 
costituzionale, il Sostituto Procuratore sottolinea che atti di giurisdizione possono 
essere a base di conflitti di attribuzione tanto tra Regioni e Stato che tra poteri dello 
Stato, ma soltanto in questa seconda eventualit� gli organi giudiziari sono legittimati 
a stare in giudizio, come soggetti sia attivi che passivi, mentre nel primo caso il 
potere di costituirsi in giudizio spetta unicamente al Presidente del Consiglio dei 
ministri, in rappresentanza dello Stato nella sua interezza; 

che peraltro questa funzione di rappresentanza unitaria non pu� far venire 
meno, secondo il ricorrente, l'istituzionale indipendenza che la Costituzione 
garantisce al pubblico ministero rispetto a ogni altro potere statale, cosicch� 
l'attribuzione della rappresentanza dello Stato al Presidente del Consiglio dei 
ministri, nei conflitti tra Stato e Regioni, �non esclude la coesistenza di alcuni poteri 
da riconoscere ad altri poteri autonomi dello Stato, con la relativa necessit� di 
coordinamento�, quando si tratti di tutelare esigenze che coinvolgono le attribuzioni 
del potere giudiziario; 

che, per evitare pregiudizio alla posizione del soggetto appartenente al 
medesimo potere e altres� per garantire un effettivo contraddittorio, la 
determinazione del Presidente del Consiglio dei ministri di costituirsi o non 
costituirsi in giudizio, qualora venga chiesto da parte di una Regione o di una 
Provincia autonoma l'annullamento di un atto dell'ordine giudiziario, dovrebbe secondo 
la prospettazione del ricorrente -essere presa a seguito di intesa, o 
comunque di consultazione con l'organo coinvolto (nel caso di specie: con la 
Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano), alla stregua 
del generale principio secondo il quale i rapporti tra Governo e Autorit� giudiziaria 
debbono essere ispirati a correttezza e lealt�, come la stessa Corte costituzionale ha 
pi� volte riconosciuto; 

che la Presidenza del Consiglio dei ministri, al contrario, ha proceduto alla 
determinazione di non costituirsi nel citato giudizio senza interessare in alcun modo 
la Procura della Repubblica, neppure attraverso la richiesta di un parere, con 
conseguente �lesione di attribuzioni riconosciute al ricorrente dal principio generale 
dell'intesa e dal principio di leale cooperazione tra poteri dello Stato�; 

che, infine, il Sostituto Procuratore rileva che nessun ostacolo pu� ravvisarsi nel 
fatto che una eventuale pronuncia di accoglimento della Corte nel conflitto tra poteri 
dello Stato non potrebbe ormai produrre effetto rispetto al separato giudizio per 
conflitto tra enti, poich� ci� non farebbe comunque venire meno l'interesse del 
ricorrente ad ottenere una decisione sulla spettanza delle attribuzioni in 
contestazione, che rappresenta l'oggetto principale del giudizio della Corte, in base 
all'art. 38 della legge n. 87 del 1953. 

Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto 
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte � chiamata a deliberare, 
senza contradditt�rio, se il ricorso sia ammissibile, esistendo i presupposti di un 
conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, restando impregiudicata ogni 
ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilit�; 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAm,

320 

che il Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di 
Bolzano � legittimato a sollevare il conflitto, in quanto lo stesso, titolare diretto ed 
esclusivo dell'attivit� di indagine finalizzata all'esercizio obbligatorio dell'azione 
penale, a norma dell'art. 112 della Costituzione (tra molte, sentenza n. 410 del 
1998), fa valere con il presente ricorso l'indipendenza nell'esercizio delle 
attribuzioni del potere giudiziario, in relazione alla difesa di esse nei giudizi sui 
conflitti tra Regioni o Province autonome e Stato; 

che anche la legittimazione del Presidente del Consiglio dei ministri a resistere 
nel conflitto deve essere riconosciuta, trattandosi dell'organo competente a 
dichiarare definitivamente la volont� del potere che esso rappresenta in ordine alla 
determinazione di costituirsi nei giudizi costituzionali per conflitto tra Stato e 
Regioni o Province autonome; 

che, quanto all'oggetto del conflitto, il ricorrente Sostituto Procuratore della 
Repubblica lamenta, conformemente a quanto richiesto dall'art. 37, primo comma, 
della legge n. 87 del 1953, la lesione di proprie attribuzioni costituzionalmente 
garantite; 

che dal ricorso si ricavano le �ragioni del conflitto� e sono indicate �le norme 
costituzionali che regolano la materia�, secondo quanto prescrive l'art. 26 delle 
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. 

PER QUESTI MOTIVI 

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il 
conflitto di attribuzione proposto dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso 
la Pretura circondariale di Bolzano con il ricorso indicato in epigrafe (omissis). 



SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA 
COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 


Le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� europee dell'anno 1999 in 
cause cui ha partecipato l'Italia. 

Nel corso dell'anno 1999 le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� 
europee in cause alle quali ha partecipato il Governo italiano sono state 30 (7 su 
ricorsi diretti della Commissione contro l'Italia e 3 viceversa; una su appello di 
decisione del Tribunale di primo grado e le altre 19 su rinvii pregiudiziali di giudici 
nazionali -11 -ovvero di altri Stati membri -8 -). 

Oltre quelle pubblicate nella Rassegna del corrente anno, le sentenze della 
Corte sono state le seguenti: 

-21gennaio1999, nella causa C-416/97, Commissione c. Italia, con la quale 
la Corte ha dichiarato che �non avendo emanato nei termini prescritti le disposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle direttive 
del Consiglio 27 luglio 1994, 94/42/CE, che modifica la direttiva 64/432/CEE 
relativa a problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di 
animali delle specie bovina e suina, e del Consiglio 22 dicembre 1993, 93/118/CE, 
che modifica la direttiva 85/73/CEE relativa al finanziamento delle ispezioni e dei 
controlli sanitari delle carni fresche e delle carni di volatili da cortile, la Repubblica 
italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza di tali direttive�. 

-11 febbraio 1999, nella causa C-390/95 P, Antillean Rice Mills c. Commissione, 
con intervento del Governo italiano in favore della Commissione, con la 
quale la Corte ha confermato la decisione del Tribunale di primo grado che, in 
ordine a misure di salvaguardia nel settore del riso originario delle Antille olandesi, 
aveva accolto il ricorso della Societ� olandese solo per un particolare aspetto, 
respingendolo per il resto. 

-23 febbraio 1999, nella causa C-63/97, Bayerische Motorenwerke (BMW), 
con la quale la Corte, in materia di marchi di impresa, ha dichiarato che: �l. -Fatto 
salvo l'obbligo del giudice a quo di interpretare il diritto nazionale per quanto � 
possibile conformemente al diritto comunitario, quest'ultimo non osta ad una norma 
nazionale transitoria secondo cui un ricorso proposto contro una decisione emessa 
prima della data della tardiva messa in vigore delle norme che recepiscono la prima 
direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle 
legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, nel diritto nazionale 
� risolto conformemente alle norme vigenti prima di detta data, anche se la sentenza 
� pronunciata dopo questa data; 2. -L'uso di un marchio, senza l'autorizzazione del 
titolare, al fine di annunciare al pubblico che un'impresa terza effettua la riparazione 
e la manutenzione di prodotti recanti detto marchio o che essa � specializzata o 
specialista in tali prodotti costituisce, in circostanze come quelle descritte nella 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO� 

322 


sentenza di rinvio, un uso del marchio ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della prima 
direttiva 89/104 ; 3. -Gli artt. 5-7 della prima direttiva 89/104 non consentono al 
titolare di un marchio di vietare ad un terzo l'uso del suo marchio al fine di 
annunziare al pubblico che egli effettua la riparazione e la manutenzione di prodotti 
contrassegnati da tale marchio messi in commercio col marchio dal suo titolare o 
con il suo consenso, o che egli � specializzato o specialista nella vendita o nella 
riparazione e nella manutenzione di detti prodotti, a meno che il marchio non sia 
utilizzato in modo tale da poter dare l'impressione che sussista un legame 
commerciale fra l'impresa terza e il titolare del marchio, e in particolare che 
l'impresa del rivenditore appartenga alla rete di distribuzione del titolare del 
marchio o che esista un rapporto speciale fra le due imprese�. 

-25 febbraio 1999, nella causa C-195/97, Commissione c. Italia, con la quale 
la Corte ha statuito che �la Repubblica italiana, non avendo adottato e non avendo 
comunicato alla Commissione, entro il termine previsto, le disposizioni legislative, 
regolamentari ed amministrative necessarie alla trasposizione della direttiva del 
Consiglio 12 dicembre 1991, 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque 
dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, e non avendo 
osservato, in particolare, l'obbligo sancito dal suo art. 3, n. 2, � venuta meno agli 
obblighi impostile dall'art. 12, n. 1, della direttiva stessa�. 

-18 marzo 1999, nella causa C-59/97, Italia c. Commissione, con la quale � 
stato respinto il ricorso italiano che contestava la mancata imputazione al FEOGA 
per il 1992 di una spesa sostenuta per aiuto al consumo dell'olio di oliva. 

-25 marzo 1999, nella causa C-112/97, Commissione c. Italia, dove la Corte 
ha statuito che �la Repubblica italiana, avendo istituito e mantenendo in vigore un 
regime che, nel caso di nuova installazione o di ristrutturazione di apparecchi a gas, 
prescrive l'utilizzazione nei locali abitati di generatori di calore esclusivamente di 
tipo �stagno�, con ci� vietando implicitamente l'installazione di generatori di calore 
di tipo diverso conforme alla direttiva del Consiglio 29 giugno 1990, 90/396/CEE, 
concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di 
apparecchi a gas, � venuta meno agli obblighi impostile da tale direttiva.�. 

-29 aprile 1999, nella causa C-288/97, Consorzio Caseifici Altopiano di 
Asiago c. Reg. Veneto, con la quale la Corte ha dichiarato che �l. -la nozione di 
acquirente ai sensi degli artt. 2, n. 2, e 9, lett. e), del regolamento (CEE) del 
Consiglio 28 dicembre 1992, n. 3950, che istituisce un prelievo supplementare nel 
settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, deve essere interpretata nel senso che 
rientra in essa ogni impresa intermediaria che proceda all'acquisto di latte presso un 
produttore nell'ambito di un rapporto contrattuale, quali che siano le modalit� di 
remunerazione di quest'ultimo, allo scopo di trattarlo o di trasformarlo essa stessa, 
oppure di cederlo ad un'impresa di trattamento o di trasformazione, e che, 
nell'ipotesi in cui una tale impresa raggruppi cooperative che siano anch'esse 
acquirenti, effettui per conto di queste ultime le operazioni di gestione 
amministrativa e contabile necessarie al versamento del prelievo, in particolare 
quelle di cui all'art. 7 del regolamento (CEE) della Commissione 9 marzo 1993, 

n. 536, che stabilisce le modalit� di applicazione del prelievo supplementare nel 
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PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari; 2. -L'art. 2, n. 2, del regolamento n. 
3950/92 deve essere interpretato nel senso che, pur avendo gli acquirenti la facolt� 
di trattenere sul prezzo del latte pagato al produttore l'importo dovuto da 
quest'ultimo a titolo di prelievo supplementare, tale disposizione non impone 
tuttavia loro alcun obbligo in tal senso�. 

-4 maggio 1999, nelle cause riunite C -108 e 109/97, Windsurfing Chiemsee 
Produktion, dove, in tema di marchi di impresa, la Corte ha dichiarato che: �1. L'art. 
3, n. 1, lett. e), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 
89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di 
marchi d'impresa dev'essere interpretato nel senso che: -tale norma non si limita a 
vietare la registrazione dei nomi geografici in quanto marchi nei soli casi in cui essi 
indichino i luoghi che presentano attualmente, agli occhi degli ambienti interessati, 
un nesso con la categoria di prodotti di cui si tratta, bens� si applica anche ai nomi 
geografici utilizzabili in futuro dalle imprese interessate in quanto indicazione di 
provenienza geografica della categoria di prodotti di cui si tratta; -nei casi in cui il 
nome geografico non presenti attualmente, agli occhi degli ambienti interessati, alcun 
nesso con la categoria di prodotti di cui si tratta, l'autorit� competente deve valutare 
se sia ragionevole presumere che un tale nome, agli occhi degli ambienti interessati, 
designi la provenienza geografica di tale categoria di prodotti; -nell'effettuare tale 
valutazione occorre prendere in considerazione, in particolare, la conoscenza pi� o 
meno ampia che gli ambienti interessati hanno del nome geografico nonch� le 
caratteristiche del luogo designato da quest'ultimo e della categoria di prodotti di cui 
si tratta; -il nesso tra il prodotto di cui trattasi e il luogo geografico non dipende 
necessariamente dalla fabbricazione del prodotto in tale luogo. 2. -L'art. 3, n. 3, 
prima frase, della prima direttiva 89/104 dev'essere interpretato nel senso che il 
carattere distintivo del marchio, acquisito a seguito dell'uso che ne � stato fatto, 
significa che il marchio � atto ad identificare il prodotto per il quale la 
registrazione viene richiesta come proveniente da un'impresa determinata e quindi 
a distinguere tale prodotto da quelli di altre imprese; -esso non ammette che la 
nozione di carattere distintivo differisca a seconda dell'interesse percepito a 
mantenere il nome geografico disponibile per l'uso di altre imprese; -per 
accertare se un marchio abbia acquisito un carattere distintivo a seguito dell'uso 
che ne � stato fatto, l'autorit� competente deve valutare globalmente i fattori che 
possono dimostrare che il marchio � divenuto atto ad identificare il prodotto di cui 
trattasi come proveniente da un'impresa determinata e quindi a distinguere tale 
prodotto da quelli di altre imprese; -qualora l'autorit� competente ritenga che 
una frazione significativa degli ambienti interessati identifica grazie al marchio il 
prodotto proveniente da un 'impresa determinata, essa deve in ogni caso 
concluderne che la condizione per la registrazione del marchio � soddisfatta; -il 
diritto comunitario non osta a che l'autorit� competente, che versi in difficolt� nel 
valutare il carattere distintivo del marchio di cui si richiede la registrazione, 
ricorra -alle condizioni previste dal suo diritto nazionale -a un sondaggio 
d'opinione destinato a chiarire il suo giudizio�. 

-19 maggio 1999, nella causa C-6/97, Italia c. Commissione, con la quale la 
Corte ha nuovamente respinto un ricorso italiano che mirava all'annullamento della 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAro�.

324 

decisione della Commissione che aveva ritenuto aiuti di Stato non compatibili col 
diritto comunitario il �bonus� fiscale attribuito agli autotrasportatori, quella volta 

per gli anni 1993 e 1994, disponendo il recupero. 
-17 giugno 1999, nella causa C-336/97, Commissione c. Italia, dove la Corte 
ha statuito che �non vigilando affinch� vengano predisposti piani di emergenza 
all'esterno degli impianti la cui attivit� industriale sia stata notificata ai sensi 
~ II' 
dell'art. 5 della direttiva del Consiglio 24 giugno 1982, 82/501/CEE, sui rischi di 
incidenti rilevanti connessi con determinate attivit� industriali, e non organizzando 
ispezioni o altre misure di controllo secondo il tipo di attivit� industriale, in 
violazione dell'art. 7, n. 1, terzo trattino, e n. 2, della predetta direttiva, la 
Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in virt� della 
detta direttiva�. 
-18 settembre 1999, nella causa C-108/98, Rl.SAN c. Comune d'Ischia, 
dove, in relazione ad una contestazione relativa all'organizzazione da parte del 
Comune del servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani, in cui una societ� italiana 
contestava l'affidamento del servizio ad una societ� a capitale misto, si � statuito che 
�l'art. 55 del Trattato CE (divenuto art. 45 CE) non si applica in una situazione come 
quella oggetto della causa a qua, i cui elementi sono tutti confinati all'interno di un 
solo Stato membro e che pertanto non presenta alcun nesso con una delle situazioni 
considerate dal diritto comunitario nel settore della libera circolazione delle persone 
e dei servizi�. 
-16 settembre 1999, nella causa C-475/97, WWF c. Provincia di Bolzano, 
con la quale in relazione alla valutazione dell'impatto ambientale per le opere di 
ristrutturazione dell'aeroporto di Bolzano la Corte ha dichiarato che: �1. -Gli 
artt. 4, n. 2, e 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, 
concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti 
pubblici e privati, vanno intesi nel senso che non conferiscono ad uno Stato 
membro n� il potere di dispensare, a priori e globalmente, dalla procedura di 
valutazione d'impatto ambientale istituita dalla direttiva determinate classi di 
progetti elencate nell'allegato II di quest'ultima, ivi comprese le modifiche di tali 
progetti, n� il potere di sottrarre a tale procedura uno specifico progetto, come la 
ristrutturazione di un aeroporto con pista di decollo e d'atterraggio lunga meno 
di 2.100 m, in forza d'un atto legislativo nazionale o sulla base d'un esame in 
concreto del progetto, a meno che l'insieme di tali classi di progetti o il progetto 
specifico possa essere ritenuto, sulla base d'una valutazione complessiva, 
inidoneo ad avere un impatto ambientale importante. Spetta al giudice nazionale 
verificare se le autorit� competenti, sulla base dell'esame in concreto da esse 
eseguito che le ha condotte ad esonerare il progetto dalla procedura di 
valutazione istituita dalla direttiva, abbiano correttamente valutato, in conformit� 
alla stessa, l'importanza dell'impatto ambientale dello specifico progetto in 
questione. 2. Nel 
caso di un progetto che richiede una valutazione ai sensi della 
direttiva 85/337, l'art. 2 nn. 1 e 2, della stessa va inteso nel senso che autorizza 
uno Stato membro a servirsi di una procedura di valutazione diversa da quella 
istituita dalla direttiva, ove detta procedura sia incorporata in una procedura 
nazionale esistente o da stabilire ai sensi del!' art. 2, n. 2, della direttiva. Tuttavia, 


PARTE I, SEZ. 11, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

detta procedura alternativa deve soddisfare i requisiti di cui agli artt. 3 e da 5 a 
10 della direttiva, tra i quali la partecipazione del pubblico ai sensi dell'art. 6 
della stessa. 3. -L'art. 1, n. 5, della direttiva 85/337 va inteso nel senso che non 
si applica ad un progetto, come quello in questione nella causa a qua, che, 
sebbene previsto da una norma legislativa programmatica, abbia costituito 
oggetto di un distinto procedimento amministrativo d'approvazione. Affinch� 
tale norma, nonch� la procedura con cui � stata adottata, siano conformi agli 
obiettivi della direttiva, incluso quello della disponibilit� delle informazioni, � 
necessario che il detto progetto sia adottato con un atto legislativo specifico 
contenente tutti gli elementi che possono essere rilevanti ai fini della valutazione 
d'impatto ambientale. 4. -L'art. 1, n. 4 della direttiva 85/337 va inteso nel senso 
che rientra nel campo di applicazione della stessa un aeroporto destinato ad usi 
civili quanto militari, ma il cui uso principale � di natura commerciale. 5. -Gli 
artt. 4, n. 2, e 2, n. 1, della direttiva 85/337 vanno intesi nel senso che, qualora le 
autorit� legislative o amministrative di uno Stato membro eccedano il margine di 
discrezionalit� riconosciuto da tali disposizioni, i singoli possono invocarle 
dinanzi al giudice nazionale per ottenere che le autorit� di detto Stato membro 
disapplichino le norme o misure interne con esse incompatibili. In un caso del 
genere, spetta alle autorit� dello Stato membro adottare, nell'ambito delle loro 
competenze, tutti i provvedimenti, generali o particolari, necessari affinch� 
venga condotto un esame sull'idoneit� dei progetti ad avere un notevole impatto 
ambientale e affinch�, in caso di esito positivo di detto esame, venga effettuato 
uno studio dell'impatto ambientale dei progetti�. 

-21 settembre 1999, nella causa C-362/98, Commissione c. Italia, dove si � 
statuito che �non avendo adottato entro il termine prescritto le disposizioni 
legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla 
direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/103/CE, riguardante le prescrizioni 
minime di sicurezza e di salute per il lavoro a bordo delle navi da pesca (tredicesima 
direttiva particolare ai sensi dell'art. 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), la 
Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 
13, n. 1, di questa direttiva�. 

-14 ottobre 1999, nella causa C-223/98, Adidas, in materia di libera 
circolazione delle merci (marchi contraffatti), la Corte ha dichiarato che �il 
regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3295, che fissa misure intese 
a vietare l'immissione in libera pratica, l'esportazione, la riesportazione e il vincolo 
ad un regime sospensivo di merci contraffatte e di merci usurpative, deve essere 
interpretato nel senso che si oppone ad una disposizione nazionale in forza della 
quale l'identit� del dichiarante o del destinatario di merci importate, merci che il 
titolare del diritto di marchio ha accertato essere contraffatte, non pu� essere 
comunicata a quest'ultimo�. 

-28 ottobre 1999, nella causa C-253/97, Italia c. Commissione, con la quale 
la Corte ha parzialmente accolto il ricorso italiano con il quale si era impugnata la 
decisione sui conti FEOGA per l'anno 1993, annullando la decisione riguardo al 
disconoscimento di alcune spese in tema di acquisti all'intervento di carni bovine, 
ma respingendo le tesi italiane relative al disconoscimento di spese in ordine al ritiro 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STA'.IU' <

326 

di seminativi dalla produzione, al rimborso delle spese di ammasso dello zucchero, 
all'aiuto al consumo di olio di oliva, alla distillazione obbligatoria dei vini da tavola, 
all'abbandono definitivo di superfici viticole, ed altro. 

-21 ottobre 1999, nella causa C-67/98, Zenatti, con la quale la Corte ha 
dichiarato che �le disposizioni del Trattato CE relative alla libera prestazione dei 
servizi non ostano a una normativa nazionale, come quella italiana, che riserva a 
determinati enti il diritto di esercitare scommesse sugli eventi sportivi, ove tale 
normativa sia effettivamente giustificata da obiettivi di politica sociale tendenti a 
limitare gli effetti nocivi di tali attivit� e ove le restrizioni da essa imposte non siano 
sproporzionate rispetto a tali obiettivi�. 

-9 novembre 1999, nella causa C -365/97, Commissione c. Italia, con la 
quale la Corte ha statuito, in tema di gestione dei rifiuti, che �non avendo adottato 
le misure necessarie per assicurare che i rifiuti scaricati nel corso d'acqua che 
attraversa il vallone San Rocco fossero eliminati senza pericolo per la salute 
dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente e non avendo adottato le misure 
necessarie affinch� i rifiuti raccolti in una discarica abusiva fossero consegnati ad un 
raccoglitore privato o pubblico o ad un'impresa di smaltimento, la Repubblica 
italiana � venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 4, 
primo comma, e 8, primo trattino, della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 
75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 
marzo 1991, 91/156/CEE�, ma ha nello stesso tempo respinto il ricorso della 

I

Commissione sotto numerosi altri aspetti della vicenda. 

I

-11 novembre 1999, nella causa C -315/98, Commissione c. Italia, nella 
quale la Corte ha ritenuto che �non avendo adottato nel termine prescritto le 
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi ; ~

~1~� alla direttiva del Consiglio 19 giugno 1995, 95/21/CE, relativa all'attuazione di 
norme internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell'inquinamento 
e le condizioni di vita e di lavoro a bordo, per le navi che approdano nei porti 

I

comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri 
(controllo dello Stato di approdo), la Repubblica italiana � venuta meno agli 
obblighi che le incombono in forza di detta direttiva.� 

-2 dicembre 1999, nella causa C -176/98, Holst Italia c. Comune di Cagliari, 
con la quale la Corte, in materia di appalti pubblici di servizi, ha dichiarato che �la 
direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di 
aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, va interpretata nel senso che 
consente ad un prestatore, per comprovare il possesso dei requisiti economici, 
finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara d'appalto ai fini dell'aggiudicazione 
di un appalto pubblico di servizi, di far riferimento alle capacit� di altri 
soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi, a condizione 
che sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti 
necessari all'esecuzione dell'appalto. Spetta al giudice nazionale valutare se tale 
prova sia fornita nella fattispecie di cui alla causa a qua.� 

OSCAR FIUMARA 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

327 

I 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. sa, 1� dicembre 
1998, nella causa C-200/97 -Pres. Puissochet -Rei. Wathelet -Avv. Gen. 
Fennelly. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di 
cassazione italiana nella causa Ecotrade srl. c/ Altiforni e Ferriere di Servola 
spa. Interv.: Governo italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. 
(ag. Nemitz e Stancanelli). 

Comunit� europee -Aiuti concessi dagli Stati -Nozione � Vantaggio concesso 

senza trasferimento di risorse proprie � Amministrazione straordinaria di 

grandi imprese in crisi � Settore siderurgico. 

(Trattato CECA, artt. 4 lett. C; decreto legge 30 gennaio 1979 n. 26, conv. con mod. in legge 

3 aprile 1979 n. 95). 

Si deve ritenere che l'applicazione ad un'impresa ai sensi dell'art. 80 del 
Trattato CECA di un regime quale quello introdotto dalla legge 3 aprile 1979, n. 
95/1979 e derogatorio alle regole normalmente vigenti in materia di fallimento d� 
luogo alla concessione di un aiuto di Stato, vietato dall'art. 4, lett. C), del Trattato 
CECA, allorch� � dimostrato che questa impresa: 

-� stata autorizzata a continuare la sua attivit� economica in circostanze in 
cui una tale eventualit� sarebbe stata esclusa nell'ambito dell'applicazione delle 
regole normalmente vigenti in materia di fallimento , o 

-ha beneficiato di uno o pi� vantaggi, quali una garanzia di Stato, 
un'aliquota d'imposta ridotta, un'esenzione dall'obbligo di pagamento di 
ammende e altre sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, 
ai crediti pubblici, dei quali non avrebbe potuto usufruire un'altra impresa 
insolvente nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in 
materia di fallimento (l). 

(1-2) L'amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi e il diritto 
comunitario. 
Si omette la motivazione della prima sentenza in quanto le argomentazioni di fondo sono 
ripetute sostanzialmente in quella della seconda sentenza. 

Invero la prima causa riguardava l'interpretazione di norme del trattato CECA, in quanto 
l'impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria operava nel campo siderurgico. E per la 
normativa CECA, come � noto, gli aiuti di Stato sono vietati in linea generale e senza necessit� 
di alcuna verifica della Commissione CE anche se preesistenti al Trattato. 

Nella seconda causa, invece, si discuteva in materia regolata dal Trattato CE, il quale detta 
una disciplina differenziata per gli aiuti preesistenti al Trattato e per quelli successivi. La 
Commissione delle C.E. aveva espressamente precisato in causa di aver aperto una procedura di 
infrazione (aiuto c 7/97, che assorbiva una pi� vecchia procedura di infrazione E 13/92) nei 
confronti dell'Italia relativamente alla legge 3 aprile 1979 n. 95 (la c.d. �legge Prodi�), 
ipotizzando cos� aiuti �preesistenti�, malgrado che essi fossero stati istituiti ben dopo il Trattato, 
e ci� perch� essa era venuta autonomamente a conoscenza della legge poco tempo dopo la sua 
approvazione e nel corso degli anni successivi essa l'aveva esaminata senza giungere ad alcuna 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 


328 

II 

I 

~ 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 5il, 17 giugno 1999, nella 
causa C-295/97 -Pres. Puissochet -Rei. Wathelet -Aw. Gen. Ruiz Jarabo 

,

I

Colomer -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di 

i.~ 

Genova, nella causa Industrie Aeronautiche e Meccaniche Piaggio s.p.a. contro mr-:-
International Factors Italia s.p.a. ed altri. lnterv.: Governo italiano (avv. Stato 
Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Rozet e Stancanelli). 
Comunit� europee -Aiuti concessi dagli Stati -Nozione -Vantaggio concesso 
senza trasferimento di risorse proprie -Aiuto nuovo -Notifica previa -
Amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi. 
(Trattato CE, artt. 87, 88 e 234; decreto legge 30 gennaio 1979 n. 26, conv. con mod. in legge 
3 aprile 1979 n. 95). 
Nell'ambito di un procedimento instaurato ai sensi dell'art. 234 CE (ex 
art. 177) la Corte non � competente ad interpretare il diritto nazionale o a statuire 
sulla compatibilit� di un prowedimento nazionale con l'art. 92 del Trattato CE 
(divenuto, in seguito a modifica, art. 87 CE). Tuttavia un giudice nazionale, qualora 
venga adito con una domanda diretta a fargli trarre le conseguenze dalla violazione 
dell'art. 88, n. 3, ultima frase, CE (ex art. 93, n. 3, ultima frase), pu� chiedere 
chiarimenti alla Commissione o, in conformit� all'art. 234, secondo e terzo comma, 
CE, pu� o deve sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull'interpretazione 
dell'art. 92 del Trattato al fine di determinare se i provvedimenti statali di cui trattasi 
costituiscano aiuti di Stato che avrebbero dovuto essere notificati alla Commissione. 
Si deve ritenere che l'applicazione ad un'impresa di un regime come quello 
istituito dalla legge italiana 3 aprile 1979, n. 95, e derogatorio alle regole 
normalmente vigenti in materia di fallimento d� luogo alla concessione di un 
conclusione circa la sua eventuale incompatibilit� con le esigenze del diritto comunitario e non 
aveva ricevuto reclami da chicchessia che ne denunciassero la incompatibilit�. Solo a partire dagli 
anni novanta, un pi� approfondito studio di tutte le forme di intervento statale nell'economia 
aveva indotto i servizi della Commissione a riconsiderare la normativa italiana e ad aprire la 
procedura di infrazione (ancora in corso in pendenza della causa). 
La presa di posizione della Commissione era stata pienamente condivisa dal Governo 
italiano. In caso di aiuto �esistente� finch�, infatti, non interviene una decisione della 
Commissione stessa che richieda allo Stato membro la sua soppressione o la sua modifica in un 
certo termine, l'aiuto continua ad operare: ci� avrebbe significato la piena salvezza degli effetti 
della legge Prodi fino ad una eventuale decisione sfavorevole della Commissione, che avrebbe 
avuto effetti solo per il futuro, consentendo cos� un passaggio morbido e non traumatico alla 
nuova disciplina in fieri dell'Istituto dell'amministrazione straordinaria (secondo i principi della 
legge delega 30 luglio 1998 n. 274, attuati poi con il decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270). 
La Corte non ha condiviso questa impostazione, ricorrendo ad una stretta e formalistica 
interpretazione del Trattato CE ( cfr. punti 44-49). Eppure si era rilevato che sono considerati aiuti 
�esistenti� non solo gli aiuti previsti o disposti anteriormente al Trattato di Roma, ma anche 
alcuni aiuti ad esso posteriori, a determinate condizioni. La definizione della nozione di aiuto 
esistente costantemente data dalla Commissione comprende non solo �gli aiuti istituiti prima 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

329 

aiuto di Stato, ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato allorch� � dimostrato che 
questa impresa: 

-� stata autorizzata a continuare la sua attivit� economica in circostanze in 
cui tale eventualit� sarebbe stata esclusa nell'ambito dell'applicazione delle regole 
normalmente vigenti in materia di fallimento, o 

-ha beneficiato di uno o pi� vantaggi, quali una garanzia di Stato, 
un'aliquota d'imposta ridotta, un'esenzione dall'obbligo di pagamento di ammende 
e altre sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti 
pubblici, dei quali non �avrebbe potuto usufruire un'altra impresa insolvente 
nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di 
fallimento. 

Qualora sia dimostrato che un regime come quello istituito dalla legge n. 95/79 
� idoneo, di per s�, a generare la concessione di aiuti di Stato ai sensi dell'art. 92, 

n. 1, del Trattato, il detto regime non pu� essere attuato se non � stato notificato alla 
Commissione e, in caso di notifica, prima di una decisione della Commissione che 
riconosca la compatibilit� del progetto di aiuto con il mercato comune o, se la 
Commissione non adotta alcuna decisione entro due mesi a decorrere dalla notifica, 
prima della scadenza di tale termine (2). 
II 

(omissis). 

1. -Con ordinanza 29 luglio 1997, pervenuta in cancelleria 1'11 agosto 
successivo, il Tribunale di Genova ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 234 
CE (ex art. 177), due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 92 
del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 87 CE). 
dell'entrata in vigore del Trattato�, ma altres� �quelli che hanno costituito oggetto di �una 
decisione di autorizzazione della Commissione o ai quali � gi� stata data legalmente esecuzione 
decorso il termine di due mesi di cui dispone la Commissione per il suo esame preliminare dei 
progetti di aiuto notificati�: se un aiuto, introdotto dopo il Trattato, � considerato compatibile per 
assenso o silenzio-assenso, una sua eventuale successiva rimozione deve necessariamente partire 
da una considerazione di �esistenza� e non di novit�, e il caso di un aiuto sul quale la Commissione 
abbia consapevolmente taciuto per lunghissimi anni ben avrebbe potuto essere 
assimilato ad un caso di silenzio-assenso. 

Nel merito si era sottolineato che la legge Prodi nel suo complesso non poteva considerarsi 
istitutiva di un �aiuto di Stato�. 

�Presupposto dell'apertura della procedura di amministrazione straordinaria -si era detto � 
esattamente il medesimo di quello per l'apertura del fallimento: lo stato di insolvenza. Se non 
esistesse o cadesse la procedura di amministrazione straordinaria, le imprese ad essa assoggettate 
sarebbero sottoposte alla procedura fallimentare. E le regole dell'amministrazione straordinaria 
sono esattamente quelle della procedura concorsuale ordinaria, cio� quelle del fallimento. 

�L'ordinamento giuridico italiano conosce, al pari di vari altri ordinamenti, una procedura 
concorsuale ordinaria di base -il fallimento -e alcune altre procedure concorsuali particolari, 
rese opportune da particolari posizioni: cos� sono sottoposte a procedura di liquidazione coatta 
amministrativa gli istituti di credito, le imprese fiduciarie, quelle di assicurazione, dove le norme 
di base sono pur sempre quelle fallimentari, mentre cambiano in parte gli organi, per una 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

330 0 

2. -Tali questioni sono state proposte nell'ambito di una controversia tra la 
societ� Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio SpA (in prosieguo: la 
�Piaggio�) e la societ� di diritto tedesco Dornier Luftfahrt GmbH (in prosieguo: la 
�Dornier�) a proposito del rimborso della somma di L. 30.028.894.382 versata 
come pagamento dalla Piaggio alla Dornier. 
3. -La Piaggio ha acquistato dalla Dornier tre aeromobili da destinare alle forze 
armate italiane. Per il pagamento la Piaggio, a partire dal dicembre 1992, ha 
effettuato a favore della Dornier vari versamenti, delegazioni di pagamento e 
cessioni di crediti. 
ingerenza della pubblica amministrazione -sempre per� sotto il controllo giurisdizionale -in 
considerazione del particolare interesse pubblico scaturente dall'attivit� svolta dall'impresa 
insolvente e in considerazione quindi di particolari esigenze di tutela dei terzi e della collettivit�. 

�In questo stesso spirito, e modellata secondo l'istituto della liquidazione coatta 
amministrativa, � stata creata la procedura concorsuale dell'amministrazione straordinaria. 

�Essa non si distingue significativamente dagli altri istituti concorsuali se non per il fatto che 
essenziale � la previsione di una continuazione dell'esercizio dell'impresa al fine di rimetterla per 
quanto possibile e nei limiti del possibile sul mercato. Ma attraverso la continuazione non si 
intende effettuare e garantire il salvataggio di un'impresa particolare e del suo imprenditore e 
tantomeno salvare l'impresa aiutandola a superare lo stato di insolvenza, ma si persegue il ben 
diverso scopo di tentare di salvare un patrimonio aziendale, cio� un complesso produttivo che di 
per s� � una ricchezza per l'economia nazionale, per l'occupazione e finanche, parallelamente, per 
gli stessi creditori. Cio�, in un'ordinaria procedura concorsuale i singoli beni dell'impresa vengono 
frammentati e si effettua un'operazione liquidatoria, che il pi� delle volte ottiene un risultato 
realizzativo molto modesto (non a caso si parla di �svendite fallimentari� per sottolineare gli 
scarsi ricavi che si realizzano): ad esempio in caso di fallimento di un'industria, i macchinari, 
ormai inutilizzati e svincolati dal processo produttivo, sono smobilizzati a valore bassissimo, 
sovente per essere addirittura rottamati. Con la legge Prodi si � inteso cercare di salvare le parti 
sane di un'impresa insolvente, rivitalizzando i comparti produttivi positivi con soppressione delle 
componenti negative. Per far ci�, � necessario tenere in vita l'attivit�, o pi� precisamente, 
continuando l'esercizio di impresa, quella parte di attivit� che presenta prospettive di salvezza. In 
tal modo, dopo un congruo periodo, si mette sul mercato un bene aziendale che pu� essere 
acquistato da terzi, non necessariamente per svolgere la stessa attivit� dell'imprenditore precedente 
(si parla infatti non solo di prosecuzione e riattivazione dell'esercizio, ma anche di riconversione 
dell'esercizio stesso, cio� con altra attivit� produttiva), con l'impegno di proseguire il rapporto di 
lavoro con almeno una parte dei precedenti addetti. Vengono salvaguardati in tal modo sia un bene 
produttivo (che � una ricchezza per l'intera economia), sia l'occupazione, con un possibile 
vantaggio degli stessi creditori, per l'affluenza, nell'attivo da ripartire, del valore di avviamento 
dell'azienda o parte d'azienda sopravvissuta o riconvertita. 

�Tutto ci� non ha nulla a che fare con la concorrenza e tanto meno con gli aiuti di Stato. 

�Realizzato il massimo profitto, con un salvataggio che il pi� delle volte � solo molto 
limitato (ma anche questo � meglio che niente), si passa all'ordinaria fase liquidatoria (che 
peraltro di regola accompagna, correndole parallelamente accanto, la fase gestionale), con 
beneficio anche per i creditori, considerato il maggior realizzo economico nella vendita. � 
possibile che questi risultati ottimali non si raggiungano, perch� ad esempio non riesce il piano 
di risanamento sia pur parziale che si era perseguito o perch� le condizioni di mercato non 
consentono di realizzare quanto sperato, ma � chiaro che ogni regola ha la sua eccezione e che 
ogni misura persegue una finalit� che pu� essere encomiabile ma non v'� la garanzia del successo 
in ogni caso. 



PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZION�LE 

331 

4. -Con decreto emanato il 28 novembre 1994 dal Ministro dell'Industria di 
concerto con il Ministro del Tesoro (GURI n. 281del1� dicembre 1994), la Piaggio 
� stata posta in amministrazione straordinaria ai sensi della legge 3 aprile 1979, 
n. 95 (GURI n. 94 del 4 aprile 1979; in prosieguo: la �legge n. 95/79�). Il detto 
provvedimento era stato adottato in seguito alla sentenza 29 ottobre 1994 con la 
quale il Tribunale di Genova ha dichiarato lo stato di insolvenza della Piaggio e la 
sua assoggettabilit� alla procedura di amministrazione straordinaria. 
5. -Con atto di citazione del 14 febbraio 1996, la Piaggio ha adito il Tribunale di 
Genova sia per far dichiarare l'inefficacia nei confronti della massa dei suoi creditori 
�Questo meccanismo di salvare il salvabile, del resto, non � estraneo neanche al fallimento. 
Anche nella procedura fallimentare � prevista la possibilit� di un esercizio provvisorio 
dell'impresa, e ci� avviene quando gli organi fallimentari ritengono che ci� sia conveniente per 
una migliore realizzazione dell'attivo. Orbene, nel fallimento tutto ci�'� un'eccezione, mentre 
nella procedura di amministrazione straordinaria � la regola: ma ci� proprio perch� in questa 
particolare procedura, che riguarda, automaticamente, tutte le grandi imprese, v'� una valutazione 
normativa di base che vuole appunto realizzare la salvaguardia di un bene produttivo di notevoli 
dimensioni (o quella parte di esso che si ritiene salvabile) e contemporaneamente l'occupazione, 
in un equo contemperamento degli interessi in giuoco. E comunque, il tutto avviene previa 
redazione di un programma operativo che, come dice la legge (art. 2, co. 5) "deve prevedere, in 
quanto possibile e tenendo conto dell'interesse dei creditori, un piano di risanamento coerente con 
gli indirizzi della politica industriale, con indicazione specifica degli impianti da riattivare e di 
quelli da completare, nonch� degli impianti o complessi aziendali da trasferire e degli eventuali 
nuovi assetti imprenditoriali; per quanto possibile deve essere preservata l'unit� dei complessi 
operativi, compresi quelli da trasferire". Se ci si avvede che un tal programma non pu� essere 
realizzato, l'autorizzazione all'esercizio d'impresa non viene concessa e se concessa viene 
revocata e si passa tout court alla fase liquidatoria, come in una normale procedura fallimentare.� 

Queste considerazioni non sono state condivise dalla Corte per negare in toto alla legge 
Prodi l'accusa di avere istituito un aiuto di Stato incompatibile, ma hanno indotto la Corte a 
rimettere al giudice nazionale la valutazione caso per caso della ricorrenza di una misura vietata, 
riscontrabile laddove le stesse misure non sarebbero state giustificate nell'ambito di una ordinaria 
procedura fallimentare. , 

Ben difficile appare il compito attribuito al giudice nazionale. 
Lo stesso avvocato generale della Corte Damaso Ruiz -Jarabo Colomer, nella seconda causa 
aveva rilevato: 

�30. Confesso, per�, che la soluzione cui perviene la Corte di giustizia nella sentenza 
Ecotrade non mi sembra scevra da inconvenienti, in quanto impernia la decisione sul binomio 
norme di diritto comune I norme di diritto speciale in materia di fallimento. Lasciando da parte 
la concessione di garanzie da parte dello Stato che, come gi� si � detto, la Repubblica italiana � 
disposta a notificare caso per caso alla Commissione (v. il paragrafo 11 supra), non sono certo 
del fatto che il criterio della specialit� rispetto al regime ordinario del fallimento sia sufficiente 
per risolvere il problema. In tale ipotesi, basterebbe includere nel regime ordinario del fallimento 
le altre misure della legge n. 95/79 (cio�, i precetti relativi all'esenzione da ammende, alla 
rinuncia di determinati crediti pubblici o alla detrazione dell'aliquota dell'imposta di 
trasferimenti) per privarle del carattere di aiuti statali ? 
�31. A mio parere, forse sarebbe stato preferibile dare non un giudizio globale sul complesso 
di misure previste dalla legge n. 95/79, ma una soluzione che indicasse al giudice a quo che solo 
alla luce delle circostanze di ogni singolo caso concreto sarebbe possibile valutare se, di fatto, sia 
sussistito un aiuto statale. Altrimenti, e forse inevitabilmente, dati i limiti del procedimento 
pregiudiziale, la Corte di giustizia si � trovata nella causa Ecotrade ad emanare una decisione 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO.

332 


di tutti i pagamenti, le cessioni di credito e le delegazioni di pagamento effettuati a 
favore della Dornier nel biennio anteriore al suo collocamento in amministrazione 
straordinaria, sia per far condannare quest'ultima a restituire le somme corrispondenti, 
oltre agli interessi. La Piaggio ha sostenuto in proposito che la Dornier aveva da essa 
ricevuto, per la vendita dei tre aeromobili, una serie di pagamenti preferenziali per un 
totale di L. 30.028.894.382 in spregio alla par condicio creditorum, pur sapendo che 
essa si trovava gia in situazione di dissesto finanziario. 

piuttosto ipotetica, trasferendo al giudice nazionale il compito di valutare se l'applicazione del 
regime speciale implichi per lo Stato "una perdita maggiore di quella prodotta, nel suo caso, dal 
regiine di diritto comune". Siffatta valutazione � estremamente difficile, se non impossibile, 
giacch� lo Stato, nell'ambito dei procedimenti ordinari di fallimento di grandi imprese, si vede 
pure costretto ad accettare normalmente soluzioni con costi per il pubblico erario, il cui 
ammontare � difficilmente valutabile a priori. 

�32. In termini economici, quindi, non � affatto facile affermare se il risultato finale di perdite 
per lo Stato -in altre parole, il saldo dell'intervento statale -sarebbe stato pi� positivo con 
l'applicazione del regime concorsuale ordinario che non con l'applicazione del regime di 
amministrazione straordinaria. Per sua natura, quest'ultimo implica una certa scommessa sul futuro, 
rinunciando all'immediata esazione di taluni crediti pubblici per cercare di mantenere l'attivit� 
dell'azienda e, con essa, la possibilit� di riscuotere in seguito non solo i crediti gi� scaduti, ma anche 
le entrate pubbliche (tributi, contributi sociali) che graveranno sulla futura attivit� aziendale. In 
realt�, non � molto diversa la posizione di un grande creditore privato (un ente finanziario, ad 
esempio) che pu� aver, talvolta, pi� interesse a mantenere l'attivit� dell'azienda debitrice, nel caso 
in cui fosse vitale, che liquidarne il patrimonio e riscuotere solo una parte del debito. In tal caso, 
sarebbe piuttosto l'assoluta mancanza di redditivit�, e non tanto le misure di amministrazione 
straordinaria, la chiave per valutare l'esistenza di aiuti statali incompatibili con il mercato comune.� 
La Corte di Cassazione, ricevuta la prima sentenza della Corte che rispondeva ai quesiti da 
essa posti, con sentenza 11 settembre 1999 n. 9681 ha rimesso gli atti al giudice di merito per le 
valutazioni di fatto indicate dal giudice comunitario. 

� fin troppo evidente il rischio che le valutazioni dei giudici di merito differiscano non solo 
a seconda delle varie procedure di amministrazione straordinaria ad essi sottoposte, ma anche in 
relazione alla medesima procedura. E tutt'altro che chiari ed univoci possono essere gli effetti di 
pronunce che individuino l'esistenza di un aiuto, disapplicando eventualmente il decreto 
ministeriale di apertura della procedura di amministrazione straordinaria che pur consegue ad una 
dichiarazione giurisdizionale dello stato di insolvenza. 

La �nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di 
insolvenza� contenuta nel decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270 non contiene (n� poteva 
contenere) disposizioni transitorie idonee a risolvere tali situazioni, del resto puramente eventuali. 
Essa ha per� ricondotto l'istituto dell'amministrazione straordinaria ad una dimensione che appare 
tale da escludere che possano essere nuovamente individuati aiuti di Stato incompatibili. Con essa, 
infatti, la legge Prodi, dopo un'esperienza applicativa di poco meno di venti anni, attraverso 
un'attenta riconsiderazione, non solo � stata messa al passo con il mutare del tempo e 
l'acquisizione delle esperienze, ma � stata resa immune (cos� almeno si spera) da ulteriori accuse 
di incompatibilit� con la normativa comunitaria. Essa ha infatti seguito alcune linee direttrici che, 
le pi� significative, possono cos� sintetizzarsi: -la apertura della procedura di amministrazione 
straordinaria in luogo del fallimento � rimessa alla valutazione del Tribunale che gi� pronunciava 
lo stato di insolvenza e che ora dovr� valutare la capacit� di riequilibrio dell'impresa; -la 
continuazione dell'esercizio sar� limitata a un tempo molto breve (un anno), decorso il quale senza 
risultati apprezzabili, si inizia la procedura liquidatoria; -occorre un progetto di ristrutturazione 
economico-finanziaria per il ritorno �in bonis� dell'impresa. 

OSCAR FIUMARA 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

6. -La Piaggio ha basato la sua azione sull'art. 67 della legge fallimentare, 
applicabile nella fattispecie in virt� dei richiami contenuti nell'art. 1 della legge 
n. 95179 e nell'art. 203 della stessa legge fallimentare, che prevede la revocabilit�, a 
favore della massa dei creditori dell'impresa insolvente, dei pagamenti effettuati nel 
biennio precedente alla dichiarazione dello stato di insolvenza e all'avvio della 
procedura di amministrazione straordinaria. 
7.-La Dornier ha eccepito in particolare, a sua difesa, l'incompatibilit� della 
legge n. 95179 con l'art. 92 del Trattato. 

8. -La legge n. 95179 ha istituito la procedura di amministrazione straordinaria 
delle grandi imprese in crisi. 
9. -Ai sensi dell'art. 1, primo comma, di tale legge, sono soggette alla detta 
procedura le imprese che abbiano da almeno un anno un numero di addetti non 
inferiore a 300 e che presentino un'esposizione debitoria nei confronti di aziende di 
credito, istituti di previdenza ed assistenza sociale o societ� a prevalente 
partecipazione pubblica non inferiore a L. 80.444 miliardi e superiore a cinque volte 
il capitale versato della societ�. 
10. -La procedura si applica, ai sensi dell'art. 1 bis della stessa legge, anche 
quando l'insolvenza deriva dall'obbligo di restituire somme non inferiori a L. 50 
miliardi, che rappresentano almeno il 51 % del capitale versato, allo Stato, ad enti 
pubblici o a societ� a prevalente partecipazione pubblica, nel contesto della restituzione 
di aiuti illegittimamente ricevuti o incompatibili con il mercato comune oppure 
nell'ambito di finanziamenti concessi per innovazioni tecnologiche e attivit� di ricerca. 
11. -Ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge n. 95/79, perch� si applichi 
la procedura di amministrazione straordinaria, l'impresa deve essere stata dichiarata 
insolvente in sede giudiziaria, in base alla legge fallimentare o a causa dell'omesso 
pagamento di almeno tre mensilit� di retribuzione. Il Ministro dell'Industria, di 
concerto con il Ministro del Tesoro, pu� in tal caso adottare un decreto con cui 
l'impresa viene posta in amministrazione straordinaria e autorizzare la stessa, 
tenendo conto dell'interesse dei creditori, a continuare la sua attivit� per un periodo 
non superiore a due anni, prorogabile per un periodo massimo di altri due anni su 
parere conforme del Comitato interministeriale per il coordinamento della politica 
industriale (in prosieguo: il �CIPI�). 
12. -Le imprese in amministrazione straordinaria sono assoggettate alle norme 
generali della legge fallimentare, salvo deroghe espresse previste dalla legge n. 95179 
o da leggi successive. Pertanto, nel caso dell'amministrazione straordinaria come in 
quello della procedura concorsuale ordinaria, il titolare dell'impresa insolvente non 
pu� disporre del suo patrimonio, che �, in via di principio, destinato a soddisfare le 
pretese dei creditori; gli interessi sui debiti esistenti sono sospesi; i pagamenti dei 
debiti effettuati durante un determinato periodo precedente la dichiarazione dello 
stato d'insolvenza sono revocabili; nessuna azione esecutiva individuale pu� essere 

RASSEGNA AVVOCXTURA DELLO STATIY<c

334 

iniziata o proseguita sui beni dell'impresa interessata. Tuttavia, a differenza della 
procedura concorsuale ordinaria, nel caso dell'amministrazione straordinaria la 
sospensione di qualsiasi azione esecutiva si estende, ai sensi dell'art. 4 della legge 

n. 544/81, ai debiti di natura fiscale nonch� alle penalit�, agli interessi e alle 
maggiorazioni in caso di ritardo nel pagamento dell'imposta sulle societ�. f' 

13. -Inoltre, ai sensi dell'art. 2 bis della legge n. 95179 lo Stato pu� garantire 
in tutto o in parte i debiti che le societ� in amministrazione straordinaria 
contraggono per il finanziamento della gestione corrente e per la riattivazione e il 
completamento degli impianti, immobili e attrezzature industriali, secondo le 
condizioni e le modalit� disciplinate con decreto del Ministro del Tesoro, su 
conforme delibera del CIPI. 
14. -Nell'ambito del processo di risanamento � consentito procedere alla 
vendita del complesso aziendale dell'impresa insolvente secondo le modalit� 
previste dalla legge n. 95/79. Ai sensi dell'art. 5 bis di quest'ultima, il trasferimento 
di propriet� in tutto o in parte dell'impresa � soggetto ad un'imposta fissa di 
registrazione di L. 1 milione. 
I

15. -Peraltro, ai sensi dell'art. 3, secondo comma, della legge 6 febbraio 1987, 
I 
~ 

n. 19 (GURI n. 32 del 9 febbraio 1987), le imprese in amministrazione straordinaria 
ij

beneficiano dell'esonero dal pagamento delle ammende e sanzioni pecuniarie 
inflitte in caso di mancato versamento dei contributi previdenziali obbligatori. 

16. -Ai sensi dell'art. 2, secondo trattino, della legge n. 95/79, allorch� l'impresa 
in amministrazione straordinaria � autorizzata a continuare la sua attivit�, il I 
commissario incaricato di gestirla deve predisporre un adeguato programma di 
gestione, la cui compatibilit� con le linee generali della politica industriale nazionale 
I 

viene accertata dal CIPI prima dell'approvazione da parte del Ministro dell'Industria. 
Le decisioni che riguardano questioni quali la ristrutturazione, la vendita del patri


I

monio, la liquidazione o la conclusione del periodo di amministrazione straordinaria 

~ 

devono essere approvate dallo stesso Ministro. 

17. -Solo alla fine del periodo di amministrazione straordinaria i creditori 
dell'impresa posta in tale regime possono essere soddisfatti, in tutto o in parte, 
mediante la liquidazione dei beni dell'impresa o grazie ai suoi nuovi utili. Inoltre, ai 
sensi degli artt. 111 e 212 della legge fallimentare, le spese per l'amministrazione 
straordinaria e per la continuazione dell'esercizio dell'impresa, ivi compresi i debiti 
contratti, vengono pagate prelevando le relative somme sul ricavato della massa e in 
via prioritaria rispetto ai crediti gi� esistenti al momento dell'avvio della procedura 
di amministrazione straordinaria. 
18. -La procedura di amministrazione straordinaria si chiude in seguito al 
concordato, alla ripartizione integrale dell'attivo e all'estinzione totale dei crediti o 
per insufficienza dell'attivo, ovvero in seguito al recupero da parte dell'impresa 
della capacit� di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, e quindi dopo il 
ritorno all'equilibrio finanziario. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZI6NALE 

19. -Occorre precisare, d'altronde, che con la lettera E 13/92(GU 1994, C 395, 
pag. 4), inviata al governo italiano ai sensi dell'art. 88, n. 1, CE (ex art. 93, n. 1, del 
Trattato CE), la Commissione ha rilevato che la legge n. 95179 le sembrava rientrare, 
sotto diversi profili, nell'ambito d'applicazione dell'art. 92 e seguenti del Trattato 
ed ha chiesto che le fossero notificati previamente tutti i casi di applicazione di tale 
legge, allo scopo di sottoporli ad esame in base alla disciplina applicabile agli aiuti 
alle imprese in difficolt�. 
20. -Dato che le autorit� italiane hanno risposto di essere disposte a notificare 
previamente soltanto i casi di concessione della garanzia dello Stato di cui all'art. 2 
bis della legge n. 95/79, la Commissione ha deciso di instaurare il procedimento 
previsto dall'art. 88, n. 2, CE. Non risulta dal fascicolo che tale procedimento abbia 
finora portato ad una decisione finale della Commissione. 
21. -Alla luce di quanto sopra il giudice a quo, dubitando della compatibilit� 
dell'art. 92 del Trattato con la legge n. 95/79, ha deciso di sospendere il 
procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni 
pregiudiziali: 
1) Se sia ammissibile da parte di un giudice nazionale domandare alla Corte 
di giustizia delle Comunit� europee una diretta pronuncia sulla compatibilit� di una 
norma della legislazione di uno Stato membro ai precetti di cui all'art. 92 del 
Trattato (aiuti concessi dagli Stati). 

2) In caso affermativo, se con la legge 3 aprile 1979, n. [95], istitutiva 
dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi -ed in particolare 
mediante le provvidenze enunciate in parte motiva contenute nella stessa legge -lo 
Stato italiano possa ritenersi aver concesso a talune imprese previste dal provvedimento 
medesimo (c.d. grandi imprese) aiuti contrastanti con l'art. 92 del Trattato�. 
Sulla ricevibilit� della domanda pregiudiziale 

22. -La Piaggio sostiene che la domanda pregiudiziale � irricevibile in quanto, 
in primo luogo, l'ordinanza di rinvio non definisce adeguatamente e chiaramente il 
contesto regolamentare entro il quale si inserisce l'interpretazione richiesta e, in 
secondo luogo, le questioni proposte sono irrilevanti ai fini della soluzione della 
causa a qua, dato che la sua azione revocatoria � basata su disposizioni ordinarie in 
materia di fallimento che prevedono la revocabilit� dei pagamenti effettuati nel 
corso del biennio anteriore alla dichiarazione dello stato di insolvenza. 
23. -A questo proposito, anche se l'ordinanza di rinvio presenta solo in modo 
succinto il contesto giuridico che sta alla base della domanda pregiudiziale, questa 
circostanza non � tuttavia idonea, nel caso di specie, a comportarne l'irricevibilit�. 
Infatti, tale presentazione � sufficiente giacch� consente di comprendere 
chiaramente le questioni proposte. 
24. -D'altra parte, occorre ricordare che spetta esclusivamente al giudice nazionale, 
cui � stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilit� 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO �

336 

dell' emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari 
circostanze di ciascuna causa, sia la necessit� di una pronuncia pregiudiziale per 
essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che 
sottopone alla Corte (v., in particolare, sentenza 1� dicembre 1998, causa C-200/97, 
Ecotrade, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 25). 

25. -Del resto, � sufficiente constatare che nel presente procedimento 
l'accertare se un regime come quello istituito dalla legge n. 95/79 debba essere 
qualificato aiuto nuovo o aiuto esistente -questione che la Corte esaminer� 
d'ufficio, in prosieguo, nell'ambito della stretta cooperazione che essa deve stabilire 
con i giudici nazionali -non � irrilevante ai fini della definizione della causa a qua, 
tenuto conto delle conseguenze che il giudice di rinvio pu� essere tenuto a trarre, 
alla luce degli artt. 92 del Trattato (divenuto, in seguito a modica, art. 87, CE) e 88 
CE (ex art. 93), dalla mancanza di previa notifica alla Commissione del regime di 
aiuto eventualmente in questione. 
26. -Inoltre, niente consente di affermare prima facie che, se la Piaggio fosse 
stata integralmente soggetta alla procedura concorsuale ordinaria, la situazione della 
Domier sarebbe stata identica sotto tutti i punti di vista, in particolare, per quanto 
riguarda le sue possibilit� di recuperare almeno parzialmente i suoi crediti, 
nonostante il fatto che la revocabilit� dei pagamenti effettuati nel corso del periodo 
sospetto anteriore alla dichiarazione di insolvenza sia prevista anche nell'ambito 
della procedura fallimentare ordinaria. Tale questione rientra nella valutazione del 
giudice nazionale. 
27. -Si devono quindi risolvere le questioni pregiudiziali. 
Sulla prima questione pregiudiziale 

28. -Con la prima questione il giudice a quo chiede se gli sia consentito 
domandare alla Corte di giustizia una pronuncia diretta sulla compatibilit� di� una 
misura nazionale con l'art. 92 del Trattato. 
29. -Occorre, anzitutto, ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, 
nell'ambito di un procedimento instaurato ai sensi dell'art. 234 CE la Corte non � 
competente ad interpretare il diritto nazionale o a statuire sulla compatibilit� di una 
misura nazionale con il diritto comunitario (v., in particolare, sentenza 21 gennaio 
1993, causa C-188/91, Deutsche Shell, Racc., I-363, punto 27). 
30. -Per quanto riguarda pi� in particolare il controllo del rispetto da parte 
degli Stati membri degli obblighi loro incombenti in forza degli artt. 92 del Trattato 
e 88 CE, occorre tener conto dei ruoli complementari e distinti svolti dai giudici 
nazionali e dalla Commissione, come ricordati dalla Corte nella sentenza 11 luglio 
1996, causa C-39/94, SFEI e a., Racc., I-3547, punti 41 e seguenti). 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

31. -Mentre la valutazione della compatibilit� di provvedimenti di aiuto con il 
mercato comune rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che agisce 
sotto il controllo della Corte, i giudici nazionali provvedono alla salvaguardia dei 
diritti de;gli amministrati in caso di inadempimento dell'obbligo di notifica previa 
degli aiuti di Stato alla Commissione previsto dall'art. 88, n. 3, CE. 
32. -In proposito, per essere in grado di determinare se un provvedimento statale 
adottato nell'inosservanza del procedimento di controllo previo stabilito dall'art. 88, 
n. 3, CE dovesse o meno esservi soggetto, un giudice nazionale pu� trovarsi ad 
interpretare la nozione di aiuto ai sensi dell'art. 92 del Trattato. Qualora, come nel caso 
di specie -secondo quanto risulta dall'ordinanza di rinvio -, nutra dubbi sulla 
qualifica di aiuto di Stato del provvedimento di cui trattasi, esso pu� chiedere alla 
Commissione chiarimenti su questo punto o, in conformit� all'art. 234, secondo e 
terzo comma, CE, pu� o deve sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale 
sull'interpretazione dell'art. 92 del Trattato (sentenza SFEI e a., cit., punti 49-51). 
33. -In questo senso, al fine di fornire una soluzione utile al giudice a quo, 
occorre esaminare se un regime come quello istituito dalla legge n. 95/79, che 
deroga alle norme del diritto ordinario in materia di fallimento, debba qualificarsi 
aiuto di Stato ai sensi dell'art. 92 del Trattato e avrebbe dovuto essere notificato alla 
Commissione previamente alla sua attuazione ai sensi dell'art. 88, n. 3, CE. 
Sulla qualifica di aiuto 

34. -Come la Corte ha gi� dichiarato, la nozione di aiuto � pi� ampia della 
nozione di sovvenzione poich� comprende non soltanto prestazioni positive come 
le sovvenzioni stesse, ma anche interventi che, in varie forme, alleviano gli oneri 
che di regola gravano sul bilancio di un'impresa e che di conseguenza, senza 
essere sovvenzioni in senso stretto, ne hanno la stessa natura e producono effetti 
identici (v. sentenze 15 marzo 1994, causa C-387/92, Banco Exterior de Espafi.a, 
Racc., I-877, punto 13, ed Ecotrade, cit., punto 34). 
35. -Il termine �aiuti�, ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato, implica 
necessariamente vantaggi concessi direttamente o indirettamente mediante risorse 
statali o che costituiscono un onere supplementare per lo Stato o per gli enti 
designati o istituiti a tal fine (v., in particolare, sentenza 7 maggio 1998, cause 
riunite da C-52/97 a C-54/97, Viscido e a., Racc., I-2629, punto 13). 
36. -Come la Corte ha affermato a proposito dell'art. 4, lett. c), del Trattato 
CECA nella citata sentenza Ecotrade, diverse caratteristiche del regime istituito 
dalla legge n. 95/79, in particolare con riguardo alle circostanze della fattispecie di 
cui alla causa a qua, potrebbero consentire di dimostrare, se la portata loro attribuita 
qui di seguito venisse confermata dal giudice a quo, l'esistenza di un aiuto ai sensi 
dell'art. 92, n. 1, del Trattato. 

RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO ST~'(J 0

338 

37. -Anzitutto, dal fascicolo di causa risulta che la legge n. 95/79 tende ad 
applicarsi in maniera selettiva a favore di grandi imprese industriali in difficolt� che 
hanno una posizione debitoria particolarmente elevata verso talune categorie di 
creditori, per la maggior parte di carattere pubblico. Come ha rilevato la Corte nel 
punto 38 della citata sentenza Ecotrade, � altamente probabile che lo Stato o enti 
pubblici figurino tra i principali creditori dell'impresa interessata. 
38. -Occorre anche sottolineare che le decisioni del Ministro dell'Industria di 
collocare l'impresa in difficolt� in amministrazione straordinaria e di autorizzarla a 
continuare la sua attivit�, anche supponendo che siano adottate tenendo conto al 
meglio degli interessi dei creditori e, in particolare, delle possibilit� di 
valorizzazione dell'attivo dell'impresa, sono del pari influenzate, come la Corte ha 
affermato nel punto 39 della citata sentenza Ecotrade, e come ha confermato il 
giudice di rinvio, dall'intento di salvaguardare, per considerazioni di politica 
industriale nazionale, l'attivit� economica dell'impresa. 
39. -Alla luce di queste considerazioni, tenuto conto della categoria delle 
imprese cui si riferisce la normativa controversa e dell'ampiezza del potere 
discrezionale di cui gode il Ministro, in particolare quando autorizza un'impresa 
insolvente in amministrazione straordinaria a continuare la sua attivit�, la normativa 
di cui trattasi soddisfa la condizione di specificit� che costituisce una delle 
caratteristiche della nozione di aiuto di Stato (v., in tal senso, sentenza 26 settembre 
1996, causa C-241/94, Francia/Commissione, Racc., I-4551, punti 23 e 24). 
40. -Inoltre, indipendentemente dall'obiettivo perseguito dal legislatore 
nazionale, risulta che la normativa di cui trattasi pu� collocare le imprese alle quali 
si applica in una situazione pi� favorevole rispetto ad altre in quanto consentirebbe 
la continuazione della loro attivit� economica in circostanze in cui tale eventualit� 
sarebbe esclusa nell'ambito dell'applicazione delle norme ordinarie in materia di 
fallimento, poich� queste ultime tengono conto in misura determinante della tutela 
degli interessi dei creditori. Ora, tenuto conto del rango prioritario dei crediti 
collegati alla continuazione dell'attivit� economica, l'autorizzazione a continuare 
quest'ultima, in tali circostanze, potrebbe comportare un onere supplementare per i 
pubblici poteri se fosse effettivamente dimostrato che lo Stato o enti pubblici 
figurano tra i principali creditori dell'impresa in difficolt�, dato che quest'ultima �, 
per ipotesi, debitrice di somme rilevanti. 
41.-Per il resto, oltre alla concessione della garanzia dello Stato ai sensi 
dell'art. 2 bis della legge n. 95/79, che le autorit� italiane hanno accettato di 
notificare previamente alla Commissione, la collocazione in amministrazione 
straordinaria comporta l'estensione del divieto e della sospensione di qualsiasi 
azione esecutiva individuale ai debiti di natura fiscale e alle penalit�, interessi e 
maggiorazioni in caso di ritardo nel pagamento dell'imposta sulle societ�, 
l'esenzione dall'obbligo di pagamento delle ammende e sanzioni pecuniarie in caso 
di mancato pagamento dei contributi previdenziali e l'applicazione di un'aliquota 
preferenziale in caso di trasferimento totale o parziale dell'impresa, in quanto il 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

trasferimento � soggetto all'imposta di registro nella misura fissa di L. 1 milione, 
mentre l'imposta di registro ordinaria ammonta al 3% del valore dei beni ceduti. 

42. -Tali vantaggi, concessi dal legislatore nazionale, possono comportare 
anche un onere supplementare per i pubblici poteri sotto forma di una garanzia di 
Stato, di una rinuncia effettiva ai crediti pubblici, di un'esenzione dall'obbligo di 
pagamento di ammende o altre sanzioni pecuniarie o di un'aliquota d'imposta ridotta. 
La situazione potrebbe essere diversa solo se fosse dimostrato che la collocazione in 
amministrazione straordinaria e la continuazione dell'attivit� economica dell'impresa 
non hanno effettivamente comportato, o non dovrebbero comportare, un onere 
supplementare per lo Stato rispetto a quanto sarebbe derivato dall'applicazione delle 
disposizioni ordinarie in materia di fallimento. Spetta al giudice a quo controllare tali 
elementi dopo aver, se del caso, chiesto delucidazioni alla Commissione. 
43. -Da quanto precede risulta che si deve ritenere che l'applicazione ad 
un'impresa di un regime come quello istituito dalla legge n. 95/79 e derogatorio alle 
regole normalmente vigenti in materia di fallimento d� luogo alla concessione di un aiuto 
di Stato, ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato, allorch� � dimostrato che questa impresa: 
-� stata autorizzata a continuare la sua attivit� economica in circostanze in 
cui tale eventualit� sarebbe stata esclusa nell'ambito dell'applicazione delle regole 
normalmente vigenti in materia di fallimento, o 

-ha beneficiato di uno o pi� vantaggi, quali una garanzia di Stato, un'aliquota 
d'imposta ridotta, un'esenzione dall'obbligo di pagamento di ammende e altre 
sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei 
quali non avrebbe potuto usufruire un'altra impresa insolvente nell'ambito 
dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento. 

Sulle conseguenze della mancanza di notifica previa 

44. -Il Trattato ha previsto e disciplinato, nell'art. 88 CE, l'esame permanente 
ed il controllo degli aiuti di Stato da parte della Commissione. Per quanto riguarda 
i nuovi aiuti che gli Stati membri intendono istituire, � previsto un procedimento 
preliminare senza il quale nessun aiuto pu� considerarsi legittimamente istituito. Ai 
sensi dell'art. 88, n. 3, prima frase, CE, i progetti intesi ad istituire o a modificare 
aiuti devono essere notificati alla Commissione prima di essere attuati. 
45. -La Commissione ha cionondimeno qualificato il regime della legge n. 
95179 �aiuto di Stato esistente�, pur riconoscendo che questa legge, bench� 
promulgata dopo l'entrata in vigore del Trattato, non le � stata notificata in 
conformit� alle disposizioni dell'art. 88, n. 3, CE. La sua posizione si basa su motivi 
di opportunit�, fra i quali figurano, in particolare, i propri dubbi, che si sono protratti 
per quattordici anni, quanto alla qualifica di aiuto di Stato che poteva assumere la 
legge n. 95/79, l'affidamento degli operatori economici soggetti a tale regime, 
l'applicazione poco frequente di quest'ultimo e l'impossibilit� pratica di ottenere il 
rimborso delle somme eventualmente recuperabili. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO cc

340 

46. -Questo modo di vedere non pu� essere accettato. 
47. -Infatti, l'accertamento se un aiuto sia nuovo e se la sua istituzione 
rkhieda, quindi, l'avvio del procedimento di esame preliminare, previsto dall'art. 
88, n. 3, CE, non pu� dipendere da una valutazione soggettiva della Commissione. 
48. -Come la Corte ha gi� affermato nella sentenza 9 agosto 1994, causa C44/
93, Namur-Les assurances du cr�dit (Racc., 1-3829, punto 13), risulta tanto dalla 
lettera quanto dalle finalit� delle disposizioni dell'art. 88 CE (ex art. 93) che devono 
essere considerati aiuti esistenti ai sensi del n. 1 del detto articolo gli aiuti che 
esistevano prima della data dell'entrata in vigore del Trattato e quelli che possono 
essere stati regolarmente attuati alle condizioni previste dall'art. 88, n. 3, CE, ivi 
compresi quelli risultanti dall'interpretazione data a tale articolo dalla Corte nella 
sentenza 11 dicembre 1973, causa 120/73, Lorenz (Racc., 1471, punti 4-6), mentre 
devono considerarsi aiuti nuovi, soggetti all'obbligo di notifica previsto da 
quest'ultima disposizione, i provvedimenti diretti ad istituire o modificare aiuti, 
fermo restando che le modifiche possono riguardare aiuti esistenti o progetti iniziali 
notificati alla Commissione. 
49. -Quindi, qualora sia dimostrato che un regime come quello istituito dalla 
legge n. 95/79 � idoneo, di per s�, a generare la concessione di aiuti di Stato ai sensi 
dell'art. 92, n. 1, del Trattato, il detto regime non pu� essere attuato se non � stato I 
notificato alla Commissione e, in caso di notifica, prima di una decisione della 
Commissione che riconosca la compatibilit� del progetto d'aiuto con il mercato 
I 
comune o, se la Commissione non adotta alcuna decisione entro due mesi a decorrere 
dalla notifica, prima della scadenza di tale termine (v. sentenza Lorenz, cit., punto 4). 

I 

50. -La prima questione va quindi risolta come segue: 
~ 
I 

Nell'ambito di un procedimento instaurato ai sensi dell'art. 234 CE la Corte non w 

� competente ad interpretare il diritto nazionale o a statuire sulla compatibilit� di un ~ 
provvedimento nazionale con l'art. 92 del Trattato. Tuttavia, un giudice nazionale, 
qualora venga adito con una domanda diretta a fargli trarre le conseguenze dalla 
violazione dell'art. 88, n. 3, ultima frase, CE, pu� chiedere chiarimenti alla 
Commissione o, in conformit� all'art. 234, secondo e terzo comma, CE, pu� o deve 
sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 92 del 
Trattato al fine di determinare se i provvedimenti statali di cui trattasi costituiscano 
aiuti di Stato che avrebbero dovuto essere notificati alla Commissione. 

Si deve ritenere che l'applicazione ad un'impresa di un regime come quello 

istituito dalla legge n. 95/79 e derogatorio alle regole normalmente vigenti in 
materia di fallimento d� luogo alla concessione di un aiuto di Stato, ai sensi dell'art. 
92, n. 1, del Trattato, allorch� � dimostrato che questa impresa 

-� stata autorizzata a continuare la sua attivit� economica in circostanze in 
cui tale eventualit� sarebbe stata esclusa nell'ambito dell'applicazione delle regole 
normalmente vigenti in materia di fallimento, o 

-ha beneficiato di uno o pi� vantaggi, quali una garanzia di Stato, un'aliquota 
d'imposta ridotta, un'esenzione dall'obbligo di pagamento di ammende e altre 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei 
quali non avrebbe potuto usufruire un'altra impresa insolvente nell'ambito 
dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento. 

Qualora sia dimostrato che un regime come quello istituito dalla legge n. 95179 
� idoneo, di per s�, a generare la concessione di aiuti di Stato ai sensi dell'art. 92, 

n. 1, del Trattato, il detto regime non pu� essere attuato se non � stato notificato alla 
Commissione e, in caso di notifica, prima di una decisione della Commissione che 
riconosca la compatibilit� del progetto di aiuto con il mercato comune o, se la 
Commissione non adotta alcuna decisione entro due mesi a decorrere dalla notifica, 
prima della scadenza di tale termine. 
Sulla seconda questione pregiudiziale 

51. -Tenuto conto della soluzione della prima questione, non vi � motivo di 
risolvere la seconda questione 
(omissis). 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 1� giugno 
1999, nella causa C-126/97 -Pres. Rodr�guez Iglesias -Rei. Moitinho de 
Almeida -Avv. Gen. Saggio -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta 
dallo Hoge Raad dei Paesi Bassi nella causa Eco Swiss China Time Ltd. contro 
Benetton International -Interv.: Governi olandese (ag. Fierstra), francese 
(ag. Rispal -Bellanger), italiano (avv. Stato Braguglia) e del Regno unito 
(ag. Collins) e Commissione delle C.E. (ag. Timmermans, Wils e van Vliet). 

Comunit� europee -Concorrenza -Applicazione d'ufficio dell'art. 81 CE (ex 
art. 85) -Poteri del giudice nazionale in sede di impugnazione dei lodi 
arbitrali. 

(Trattato CE, artt. 3 e 81). 

Un giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi su un 'impugnazione per nullit� di 
un lodo arbitrale, deve accoglierla se ritiene che il lodo sia effettivamente in contrasto 
con l'art. 81 CE, quando, ai sensi delle norme di procedura nazionali, deve accogliere 
un 'impugnazione per nullit� fondata sulla violazione di norme nazionali di ordine 
pubblico. In base al diritto comunitario non si devono disapplicare le norme di diritto 
processuale nazionale, ai sensi delle quali un lodo arbitrale interlocutorio avente 
natura di decisione definitiva che non ha fatto oggetto di un 'impugnazione per nullit� 
entro il termine di legge acquisisce l'autorit� della cosa giudicata e non pu� pi� 
essere rimesso in discussione da un lodo arbitrale successivo, anche se ci� � 
necessario per poter esaminare, nell'ambito del procedimento d'impugnazione per 
nullit� diretto contro il lodo arbitrale successivo, se un contratto, la cui validit� 
giuridica � stata stabilita dal lodo arbitrale interlocutorio, sia tuttavia nullo poich� in 
contrasto con l'art. 81 CE. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'�

342 

(omissis). 

Sulla seconda questione 

31. -Nella seconda questione, che occorre esaminare per prima, il giudice a 
quo chiede in sostanza se un giudice nazionale, al quale � sottoposta l'impugnazione 
per nullit� di un lodo arbitrale, debba accogliere tale ricorso qualora ritenga che tale 
decisione sia effettivamente contraria all'art. 81 CE, anche se, in base alle regole di 
procedura interne, non dovrebbe accogliere tale ricorso che per un numero limitato 
di motivi, tra i quali figura la contrariet� all'ordine pubblico, concetto nel quale non 
rientra, in linea generale, secondo il diritto nazionale applicabile, la semplice 
circostanza che il contenuto o l'esecuzione di un lodo arbitrale facciano venir meno 
lapplicazione di un divieto sancito dal diritto della concorrenza. 
32. -Innanzi tutto si deve richiamare l'attenzione sul fatto che, se un arbitrato 
convenzionale solleva questioni di diritto comunitario, il giudice ordinario pu� 
esaminarle, in particolare nell'ambito del controllo del lodo arbitrale, pi� o meno 
ampio a seconda dei casi, che spetta ad esso in caso di appello, di opposizione, di 
exequatur, o di qualsiasi altra impugnazione o altra forma di controllo contemplata 
dalla normativa nazionale applicabile (v. sentenza Nordsee, cit., punto 14). 
33. -La Corte ha aggiunto, al punto 15 della sentenza Nordsee, cit., che spetta 
ai detti giudici nazionali controllare se si debba rinviare alla Corte ai sensi dell'art. 
234 CE, per ottenere l'interpretazione o la valutazione della validit� delle 
disposizioni di diritto comunitario che essi debbano applicare in sede di controllo 
giurisdizionale di un lodo arbitrale. 
34. -A tale riguardo, la Corte ha considerato, ai punti da 10 a 12 della stessa 
sentenza, che un collegio arbitrale convenzionale non costituisce una "giurisdizione 
nazionale di uno Stato membro" ai sensi dell'art. 234 CE, perch� per le parti 
contraenti non vi � alcun obbligo, n� di diritto n� di fatto, di affidare la soluzione 
delle proprie liti a un arbitrato, e perch� le autorit� pubbliche dello Stato membro 
interessato non sono implicate nella scelta della via dell'arbitrato n� sono chiamate 
a intervenire d'ufficio nello svolgimento del procedimento dinanzi all'arbitro. 
35. -Occorre osservare poi che le esigenze di efficacia del procedimento 
arbitrale giustificano il fatto che il controllo dei lodi arbitrali rivesta un carattere 
limitato, e che un lodo arbitrale possa essere dichiarato nullo o vedersi negare il 
riconoscimento solo in casi eccezionali. 
36. -Tuttavia, l'art. 81 CE costituisce, ai sensi dell'art. 3, lett. g), del Trattato 
CE [divenuto, in seguito a modifica, art. 3, n. 1, lett. g), CE] una disposizione 
fondamentale indispensabile per l'adempimento dei compiti affidati alla Comunit� 
e, in particolare, per il funzionamento del mercato interno. L'importanza di una 
,,

disposizione siffatta ha indotto gli autori del Trattato a prevedere espressamente, al 

n. 2 dell'art. 81 CE, che gli accordi e le decisioni vietati in virt� di tale articolo sono 
~ 

nulli di pieno diritto. % 

'" 

1: 

r-c, 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

37. -Ne consegue che, nei limiti in cui un giudice nazionale debba, in base alle 
proprie regole di procedura interne, accogliere un'impugnazione per nullit� di un 
lodo arbitrale fondata sulla violazione delle norme nazionali di ordine pubblico, esso 
deve ugualmente accogliere una domanda fondata sulla violazione del divieto 
sancito dall'art. 81, n. 1, CE. 
38. -Questa conclusione non viene rimessa in discussione dal fatto che la 
Convenzione di New York 10 giugno 1958, sul riconoscimento e l'esecuzione dei 
lodi arbitrali stranieri, ratificata da tutti gli Stati membri, prevede che soltanto 
determinati vizi possono giustificare un rifiuto di riconoscimento e di esecuzione di 
un lodo arbitrale, vale a dire il mancato rispetto o il superamento, da parte del lodo, 
dei termini della clausola compromissoria, il carattere non vincolante della decisione 
per le parti o la contrariet� del riconoscimento o dell'esecuzione della stessa con 
l'ordine pubblico del paese nel quale tale riconoscimento o tale esecuzione sono 
richiesti [art. 5, n. 1, lett. e) ed e), e 2, lett. b), della Convenzione di New York]. 
39. -In effetti, per le ragioni menzionate al punto 36 di questa sentenza, l'art. 
81 CE pu� essere considerato una disposizione di ordine pubblico ai sensi di detta 
convenzione. 
40. -Infine � importante ricordare che, come � stato rilevato al punto 34 di 
questa sentenza, gli arbitri, diversamente da un giudice nazionale, non possono 
chiedere alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale su questioni relative 
all'interpretazione del diritto comunitario. Ora, l'ordinamento giuridico comunitario 
ha manifestamente interesse, per evitare future divergenze di interpretazione, a far s� 
che sia garantita un'interpretazione uniforme di tutte le norme di diritto comunitario, 
a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate (sentenza 25 giugno 1992, 
causa C-88/91, Federconsorzi, Racc., 1-4035, punto 7). Ne consegue che, nella 
situazione oggetto della presente causa e diversamente dalla sentenza Van Schijndel 
e Van Veen, cit., il diritto comunitario esige che questioni relative all'interpretazione 
del divieto sancito dall'art. 81, n. 1, CE, possano essere esaminate dai giudici 
nazionali chiamati a pronunciarsi sulla validit� di un lodo arbitrale e possano essere 
oggetto, all'occorrenza, di un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte. 
41. -Si deve pertanto risolvere la seconda questione nel senso che un giudice 
nazionale, chiamato a pronunciarsi su un'impugnazione per nullit� di un lodo 
arbitrale, deve accogliere tale domanda se ritiene che la decisione sia effettivamente 
in contrasto con l'art. 81 CE, quando, ai sensi delle norme di procedura nazionali, 
deve accogliere un'impugnazione per nullit� fondata sulla violazione di norme 
nazionali di ordine pubblico. 
(omissis). 

Sulla quarta e la quinta questione 

43. -Nella quarta e nella quinta questione, che occorre esaminare insieme, il 
giudice di rinvio chiede, in sostanza, se in base al diritto comunitario vadano 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 

344 

disapplicate le norme di diritto processuale nazionale, ai sensi delle quali un lodo 
arbitrale interlocutorio avente natura di decisione definitiva che non ha fatto oggetto 
di un'impugnazione per nullit� entro il termine di legge acquisisce l'autorit� della 
cosa giudicata e non pu� pi� essere rimesso in discussione da un lodo arbitrale 
successivo, anche se ci� � necessario per poter esaminare, nell'ambito 
dell'impugnazione per nullit� diretta contro il lodo arbitrale successivo, se un 
contratto, la cui validit� giuridica � stata stabilita dalla decisione arbitrale 
interlocutoria, sia tuttavia nullo poich� in contrasto con l'art. 81 CE. 

44. -Occorre ricordare che, ai sensi delle norme di procedura nazionali 
applicabili alla causa a qua, l'impugnazione per nullit� di un lodo arbitrale 
interlocutorio avente natura di decisione definitiva pu� essere proposta nel termine 
di tre mesi che decorre dal deposito di tale lodo presso la cancelleria del giudice 
competente. 
45. -Un termine siffatto, che non sembra troppo breve in rapporto a quelli 
fissati negli ordinamenti giuridici degli altri Stati membri, non � tale da rendere 
eccessivamente difficile o praticamente impossibile lesercizio dei diritti conferiti 
dall'ordinamento giuridico comunitario. 
46. -Inoltre si deve sottolineare che, allo spirare di tale termine, norme di 
procedura nazionali che limitano la possibilit� di impugnare per nullit� un lodo 
arbitrale successivo che sviluppa un lodo arbitrale interlocutorio avente natura di 
decisione definitiva, per il motivo che quest'ultimo � rivestito dell'autorit� di cosa 
giudicata, si giustificano in virt� dei principi che stanno alla base del sistema 
giurisdizionale nazionale, quali il principio della certezza del diritto e quello del 
rispetto della cosa giudicata che ne costituisce I'espressione. 
47. -In tali condizioni, il diritto comunitario non impone a un giudice nazionale 
di disapplicare siffatte norme, anche se ci� � necessario per poter esaminare, 
nell'ambito del procedimento d'impugnazione per nullit� diretto contro il lodo 
arbitrale successivo, se un contratto, la cui validit� giuridica � stata stabilita dal lodo 
arbitrale interlocutorio, sia tuttavia nullo poich� in contrasto con l'art. 81 CE. 
48. -Si deve pertanto risolvere la quarta e la quinta questione nel senso che in 
base al diritto comunitario non si devono disapplicare le norme di diritto processuale 
nazionale, ai sensi delle quali un lodo arbitrale interlocutorio avente natura di 
decisione definitiva che non ha fatto oggetto di un'impugnazione per nullit� entro il 
termine di legge acquisisce l'autorit� della cosa giudicata e non pu� pi� essere 
rimesso in discussione da un lodo arbitrale successivo, anche se ci� � necessario per 
poter esaminare, nell'ambito del procedimento d'impugnazione per nullit� diretto 
contro il lodo arbitrale successivo, se un contratto, la cui validit� giuridica � stata 
stabilita dal lodo arbitrale interlocutorio, sia tuttavia nullo poich� in contrasto con 
l'art. 81 CE. 
(omissis). 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

345 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 5il, 22 giugno 1999, 
nella causa C-412/97 -Pres. Puissochet -Rei. Jann -Avv. Gen. Cosmas. 
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di Bologna nella 
causa ED s.r.l. contro Italo Fenocchio. Interv.: Governi italiano (avv. Stato 
Fiumara), francese (ag. K. Rispal-Bellanger e G. Mignot) e austriaco (ag. C. 
Stix -Hackl) e Commissione delle C.E. ( ag. P. Stancanelli). 

Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Libera circolazione dei 
servizi -Libera circolazione dei capitali -Disposizione nazionale che vieta 
l'emissione di decreto ingiuntivo da notificare fuori dal territorio nazionale 
-Compatibilit�. 
(Trattato CE, artt. 29, 49 e 56; codice di procedura civile, art. 633). 

L'art. 34 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 29 CE) non osta 
ad una normativa nazionale -quale l'art. 633 del codice di procedura civile 
italiano -che non ammette il ricorso al procedimento di ingiunzione nel caso in 
cui la notificazione al debitore debba essere effettuata in un altro Stato membro 
della Comunit�. Una tale disposizione procedurale nazionale non costituisce 
neanche restrizione alla libert� dei pagamenti(l). 

(1) La notificazione del decreto ingiuntivo all'estero: una normativa obsoleta. 
1. -Secondo l'art. 633, terzo comma, cod. proc. civ. �l'ingiunzione non pu� essere 
pronunciata se la notificazione all'intimato di cui all'art. 643 deve avvenire fuori della 
Repubblica o dei territori soggetti alla sovranit� italiana�. L'ingiunzione, quindi, � ammessa solo 
se la notificazione debba essere eseguita nel territorio italiano (non sussistendo ora altri territori 
soggetti alla sovranit� italiana, a differenza di quanto si verificava -nel 1940 -all'atto 
dell'entrata in vigore del c.p.c.). Ma, disponendo ancora oggi il successivo art. 644 che �il decreto 
di ingiunzione diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di sessanta 
giorni dalla pronuncia, se deve avvenire nel territorio della Repubblica (escluse le province 
libiche), e di novanta giorni negli altri casi�, si � ritenuto -per dar ancora un significato alla 
norma -che � valida una notificazione all'estero nel caso che il debitore abbia trasferito la 
residenza all'estero dopo l'emissione del decreto ingiuntivo, legittimamente emesso alloch� la 
residenza figurava ancora nel territorio italiano. 
Il legislatore italiano aveva vietato l'emissione di un decreto ingiuntivo ove esso avesse 
dovuto essere notificato all'estero (e ci� a prescindere del tutto dalla cittadinanza del debitore 
stesso) in un tempo -oltre mezzo secolo fa -in cui una notificazione all'estero non garantiva 
adeguatamente della sua efficacia. Ma la norma � rimasta cos� come era e la giurisprudenza 
prevalente ritiene che l'eseguibilit� della notificazione in Italia costituisce una delle condizioni di 
ammissibilit� della domanda di ingiunzione (Cass. 22 giugno 1957, n. 2376, in Giust. civ. 1957, 
I, 1492; Cass. S.U. 1� agosto 1968, n. 2736, in Giur. it., 1969, I, 1538). 

Non manca, per�, chi pensa il contrario e ritiene la norma non solo priva di una attuale 
logica, ma addirittura superata e inapplicabile in forza delle norme comunitarie sulla libera 
circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali (cos� non solo una parte della dottrina, ma altres� 
alcuni giudici: cfr. Pretore di Torino, decreto 12 febbraio 1996, n. 1500, in Giur.it. 1996, I, 2, 822, 
nonch� il decreto del Presidente del Tribunale di Trani che diede origine, in occasione della sua 
esecuzione in Olanda, alla sentenza della Corte di Giustizia C.E. 13 luglio 1995, nella causa C474/
96, HENGHST IMPORT BV c. CAMPESE, inRacc., 2122, di cui parleremo in seguito). 

La Corte Costituzionale, partendo dalla interpretazione prevalente, gi� con ordinanza 
27 giugno 1989 n. 364 aveva dichiarato �manifestamente infondata� la questione di legittimit� 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO...

346 

(omissis). 

1. -Con ordinanza 29 novembre 1997, pervenuta alla Corte il 5 dicembre 
successivo, il Pretore di Bologna ha proposto, in applicazione dell'art. 234 CE (ex 
art. 177), una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione degli artt. 34 e 59 
del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 29 CE e 49 CE), nonch� 
dell'art. 56 CE (ex art. 75 B), al fine di valutare la compatibilit� con tali norme di 
una disposizione nazionale che vieta di emettere un decreto ingiuntivo da notificare 
fuori del territorio nazionale. 

costituzionale (sia pur sollevata con errato riferimento all'art. 10 della Costituzione italiana) della 
norma in questione, in ordine alla quale era stato prospettato un contrasto con i patti comunitari i 
quali comportano, fra l'altro, l'obbligo della Repubblica di garantire la liberalizzazione degli scambi 
commerciali all'interno della comunit�. Osservava la Corte che �nei patti comunitari non si 
configurano principi generali incidenti sulla materia del processo, lasciati alla disciplina del diritto 
interno degli Stati membri� e che �il divieto di notificazione del decreto ingiuntivo all'estero 
determina solo una causa di inammissibilit� della tutela monitoria, che � un procedimento speciale, 
e non un difetto di giurisdizione, potendosi agire in sede ordinaria�. Pi� recentemente la Corte ha 
ribadito questa posizione con ordinanza 26 marzo 1998 n. 80, osservando ancora che �la possibilit� 
per il creditore di utilizzare tutti gli altri strumenti processuali offertigli in sede ordinaria e cautelare 
-ivi compresi i provvedimenti anticipatori di condanna di cui agli artt. 186-bis e segg. cod. proc. 

ID

civ. -onde far valere il proprio diritto esclude la paventata menomazione del diritto di difesa e di 
azione dello stesso, nonch�, consegJ.!entemente e di riflesso, la restrizione della sua piena libert� di ~ 
iniziativa economica� e che �resta comunque affidata alla discrezionalit� del legislatore la ~ 
differenziazione delle condizioni di accesso alla tutela giurisdizionale�. Ma, proprio in ordine a ~ 
questa discrezionalit�, la Corte ha ritenuto opportuno precisare che, per�, �all'attenzione proprio e 
w 

solo del legislatore sarebbe semmai da segnalare la necessit� di rimuovere -cos� come hanno fatto @ 
altri Stati della Comunit� europea -il limite previsto dalla denunciata norma, ove si supponesse t 
ormai superata l'originaria ragione giustificativa di esso�. ffi 

Ed invero oggi il divieto posto dalla norma in questione non sembra trovare pi� alcuna I 
giustificazione e non resta che auspicare un intervento correttivo del legislatore, pi� volte 
sollecitato (anche dall'Avvocatura dello Stato in occasione della causa pregiudiziale dinanzi alla 
Corte conclusasi con la sentenza annotata). 

2. -Ma le critiche alla norma ancora vigente, a causa di una sua sostanziale obsolescenza, 
avevano (ed hanno) una valenza solo nell'ambito dell'ordinamento giuridico nazionale. Nessuna 
rilevanza comunitaria esse potevano invece avere, cos� come gi� rilevato dalla Corte 
costituzionale nelle ordinanze sopra indicate e come sostenuto dal Governo italiano nelle 
osservazioni presentate alla Corte di giustizia. 
I 

La Corte comunitaria (che ha pi� volte riconosciuto che il giudice nazionale che emette il 
decreto ingiuntivo �esercita una funzione giurisdizionale ai sensi dell'art. 177 del trattato -ora, 
dopo il Trattato di Amsterdam, art. 234 CE -e che questo articolo non fa dipendere la 
competenza della Corte dal carattere contraddittorio del procedimento� : cfr. la sentenza 17 

~ 

maggio 1994, nella causa C-18/93, CORSICA F'ERRIES c. CORPO PILOTI PORTO GENOVA, in Racc. 

~ 

(::

1812, e i precedenti ivi indicati al punto 12), aveva gi� esaminato, con la sentenza 13 luglio 1995, 
nella causa C-474/96, la portata di un decreto ingiuntivo emesso da giudice italiano sebbene la 
notificazione dovesse essere effettuata, come in effetti poi era stato, nel territorio di un altro Stato ~ membro, ma non aveva affrontato la problematica di cui alla causa decisa con la sentenza 

{:: 

annotata. Dovendo, infatti, esaminare solo la possibilit� di riconoscimento ai fini dell'esecuzione 

t.
del decreto ingiuntivo secondo l'art. 27, n. 2, della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, 

~ 

concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e @ 
commerciale, la Corte aveva affermato (punti 24 e 25) che il decreto ingiuntivo, unitamente al 

,, 

�~ 

f: 

PARTE I, SEZ. II, GIDRISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

347 

2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia relativa ad 
un procedimento d'ingiunzione intentato dalla ED Srl (in prosieguo: la �ED�), 
societ� di diritto italiano con sede in Funo di Argelato, contro il signor Fenocchio, 
residente a Berlino (Germania). 
3. -La ED aveva consegnato merci per un controvalore di L. 19.933.700 al 
signor Fenocchio. Poich� quest'ultimo aveva versato solo un acconto di L. 100.000 
senza pagare il saldo, il 6 ottobre 1997 la ED ha proposto dinanzi al Pretore di 
Bologna, ai sensi dell'art. 633 del codice di procedura civile italiano (in prosieguo: il 
�c.p.c.�), un ricorso per decreto ingiuntivo diretto ad ottenere il pagamento della 
somma ancora dovuta, oltre agli interessi e alle spese. 
ricorso introduttivo, deve essere considerato come una �domanda giudiziale o atto equivalente� 
ai sensi e per gli effetti della suddetta norma, ma che tale norma �ha per unico scopo quello di 
assicurare che una domanda giudiziale -o un atto equivalente -sia stata comunicata regolarmente 
e in tempo utile al convenuto, affinch� sia in condizioni di difendersi; essa non consente al giudice 
dello Stato richiesto di rifiutare il riconoscimento e l'esecuzione di una decisione a motivo di 
un'eventuale violazione di disposizioni di diritto dello Stato d'origine diverse da quelle relative 
alla regolarit� della comunicazione; ... in secondo luogo, l'eventuale mancata applicazione, da 
parte del giudice di origine, dell'art. 633, sub. 3, ultimo comma c.p.c., non costituisce n� una delle 
cause di rifiuto del riconoscimento previste dalle altre disposizioni dell'art. 27, n� una delle 
ipotesi tassativamente elencate all'art. 28 della convenzione, nelle quali il giudice dello Stato 
richiesto � autorizzato a verificare la competenza del giudice dello Stato d'origine�. 

Nel caso prospettato ora alla Corte � venuto proprio in discussione, prima della emissione 
del decreto, l'attuale vigore della norma, certamente esistente nell'ordinamento giuridico italiano, 
ma di dubbia compatibilit� -secondo il Pretore di Bologna -con la normativa comunitaria 
sulla libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali, in quanto potrebbe contribuire a 
compartimentare i mercati limitando la possibilit� degli operatori italiani di contrattare con 
operatori stranieri per il timore di non avere un efficace strumento di recupero del proprio credito 
in caso di inadempienza di questi ultimi, ponendo cos� un ostacolo essenzialmente alle 
esportazioni. 

In proposito il Governo italiano ha rilevato in causa -e la sua tesi � stata pienamente 
condivisa dalla Corte -che la norma limitativa nazionale non pu� costituire ostacolo, diretto o 
indiretto, attuale o potenziale, alla libera circolazione (di merci, servizi o capitali), posto che resta 
comunque assicurata la tutela giurisdizionale ordinaria e la limitazione, di carattere 
esclusivamente processuale, non � fondata assolutamente su ragioni di cittadinanza ma solo di 
localizzazione del debitore e tende ad assicurare a quest'ultimo una maggior tutela in 
considerazione dei dubbi sull'efficacia di notificazioni all'estero e di tempestivit� 
dell'approntamento di idonei mezzi di difesa (opposizione in Italia) da parte del medesimo. Non 
appare configurabile alcun �Vantaggio� per il mercato italiano n� un significativo limite a 
contrattare con residenti all'estero (potendo del resto sempre richiedersi al futuro debitore, come 
comunemente si fa, una domiciliazione in Italia per gli obblighi nascenti dal contratto). 

Non sono sembrate condivisibili le osservazioni contrarie della Commissione che, pur non 
ravvisando ostacoli alla libera circolazione delle merci e dei servizi, prospettavano un ostacolo alla 
libera circolazione dei capitali e in particolare dei crediti, essendo i crediti derivanti da contratti 
commerciali inclusi nei movimenti di capitale le cui restrizioni sono vietate dal Trattato. Esattamente 
la Corte ha rilevato che le garanzie offerte dalla normativa comunitaria al debitore di poter adempiere 
volontariamente le proprie obbligazioni contrattuali senza restrizioni indebite e al creditore di ricevere 
liberamente il pagamento non ineriscono �alle modalit� procedurali alle quali � soggetta l'azione di un 
creditore diretta ad ottenere da un debitore renitente il pagamento di una somma di denaro�. 



RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO .....

348 

4. -� pacifico che il ricorso soddisfaceva tutti i requisiti sostanziali a tal fine 
previsti. Tuttavia, poich� il debitore risiedeva in Germania, il decreto ingiuntivo 
avrebbe dovuto essergli notificato in tale Stato. Di conseguenza, il detto ricorso 
wniva ad essere in contrasto con l'art. 633, ultimo comma, del c.p.c. ai sensi del 
quale �l'ingiunzione non pu� essere pronunciata se la notificazione all'intimato di 
cui all'art. 643 deve avvenire fuori della Repubblica o dei territori soggetti alla 
sovranit� italiana�. 
5. -Il giudice a quo precisa che il procedimento speciale d'ingiunzione 
consente di ottenere in tempi rapidi e con poca spesa un titolo esecutivo contro il 
debitore inadempiente di una somma di danaro. Tale procedimento � caratterizzato 
da una cognizione sommaria che richiede soltanto che il ricorrente dimostri il 
fondamento del proprio credito mediante le prove documentali appropriate. Il 
decreto � emesso dal giudice �inaudita altera parte� e senza alcun contraddittorio. 
Il debitore ha il diritto di proporre opposizione contro il decreto ingiuntivo, il che d� 
luogo quindi ad un giudizio ordinario tra le parti. 
6. -Secondo il giudice a quo, all'origine, il divieto di ricorrere a tale 
procedimento qualora il debitore risieda all'estero era giustificato dalla 
preoccupazione di impedire il rischio che questi non venisse mai a conoscenza di 
un decreto ingiuntivo pronunciato contro di lui, oppure che ne venisse a 
conoscenza oltre i limiti previsti per l'opposizione, impedendo cos� l'esercizio 
del diritto di difesa. Tuttavia, se questa ragione era fondata nel 1940, quando la 
norma fu introdotta, essa non sarebbe pi� giustificata ai nostri giorni, in cui la 
notifica all'estero non pone pi� particolari problemi ed in cui i termini di 
opposizione sono sufficientemente ampi. Ci� si verificherebbe in particolare nel 
caso degli Stati firmatari della convenzione dell'Aia del 15 novembre 1965, 
relativa alla comunicazione e alla notificazione all'estero degli atti giudiziari e 
stragiudiziali in materia civile e commerciale, il cui art. 10, lett. a), permette la 
notifica a mezzo posta. 
Ben diversi erano i casi di altre normative nazionali, nei quali la Corte aveva rilevato 
effettive discriminazioni in base alla nazionalit�: cfr. la sentenza 7 marzo 1990, nella causa C69/
88, KRANTz, in Racc. 594, riguardante la possibilit� di pignorare beni presso il debitore anche 
se provenienti e appartenenti a fornitore estero; le sentenze 1� luglio 1993, nella causa C -20/92, 
HUBBARD, in Racc. 3790, e 26 settembre 1996, nella causa C -43/95, DATA DELECTA, in Racc. 
4671, riguardanti la �cautio judicatum solvi�, che costituisce un limite alla tutela giurisdizionale, 
discriminatorio in base alla nazionalit�; la sentenza 10 febbraio 1994, nella causa C -398/92, 
MuND e FESTER, inRacc. 474, riguardante una norma del diritto tedesco che, in tema di sequestro 
conservativo, stabiliva una presunzione di pericolo nel caso che la decisione dovesse essere 
seguita, e per la sola ragione di dover essere eseguita, all'estero. Nulla del genere � prospettabile 
nel nostro caso, dove, al contrario, non v'� una situazione di assoluto disfavore per chi � all'estero 
e per il solo fatto che � all'estero, ma solo una posizione di maggior tutela (forse eccessiva) per 
la parte che, essendo all'estero rispetto al giudice cui l'altra parte si rivolge, appare pi� bisognosa 
di protezione. 

OSCAR FIUMARA 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

7. -Pertanto, i] giudice a quo si chiede se il divieto di cui trattasi non sia 
incompatibile con gli artt. 34 e 59 del Trattato nonch� con l'art. 56 CE. Infatti, le 
imprese stabilite in Italia potrebbero essere indotte a preferire di intrattenere rapporti 
commerciali con clienti che esercitano la loro attivit� in tale Stato membro anzich� con 
clienti stranieri, in quanto solo nei confronti dei clienti italiani esse possono beneficiare 
della tutela particolare e delle spese ridotte derivanti dall'esperimento del procedimento 
di ingiunzione. Per questo motivo la libera circolazione delle merci potrebbe essere 
pregiudicata, cos� come la libera prestazione di servizi, poich� � possibile utilizzare il 
procedimento d'ingiunzione anche per i crediti derivanti da prestazioni di servizi. Nei 
limiti in cui i crediti vertono su somme di danaro, il divieto controverso potrebbe altres� 
costituire un pregiudizio alla libera circolazione dei capitali. 
8. -Il giudice a quo precisa inoltre che la disposizione controversa � gi� stata 
esaminata nell'ambito di un'eccezione di incostituzionalit� sollevata dinanzi alla 
Corte costituzionale. Nella sua ordinanza di rigetto (v. ordinanza 27 giugno 1989, 
n. 364, in Giurisprudenza costituzionale 1990, IV, 1661), quest'ultima ha affermato 
che nei patti comunitari non si configurano principi generali incidenti sulla materia 
del processo, lasciata alla disciplina del diritto interno degli Stati membri. Il divieto 
di emanare un decreto ingiuntivo da notificare all'estero determinerebbe solo una 
causa di inammissibilit� della tutela monitoria, e non un difetto di giurisdizione, 
potendosi sempre agire in via ordinaria. 
9. -Di conseguenza, il Pretore di Bologna ha deciso di sospendere il procedimento 
e di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale: 
�Se il divieto di pronunziare l'ingiunzione nel caso in cui la notificazione 
all'intimato debba avvenire fuori della Repubblica o dei territori soggetti alla sovranit� 
italiana, divieto previsto dall'art. 633, ultimo comma, c.p.c., sia da considerare una 
restrizione o misura ad essa equivalente, suscettibile di ostacolare direttamente o 
indirettamente, attualmente o potenzialmente, la libera circolazione delle merci, dei 
servizi e dei capitali, garantita dagli artt. 34, 59 e 73 B del Trattato di Roma�. 

Sull'art. 34 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 29 CE) 

10. -Si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza costante della Corte, 
l'art. 34 del Trattato riguarda i provvedimenti nazionali che abbiano l'oggetto o 
l'effetto di restringere specificamente le correnti d'esportazione e di determinare 
una differenza di trattamento fra il commercio interno di uno Stato membro ed il suo 
commercio d'esportazione, in modo da procurare un vantaggio particolare alla 
produzione nazionale o al mercato interno dello stesso Stato (v., in particolare, 
sentenza 7 febbraio 1984, causa 237/82, Jongeneel Kaas e a., Racc., 483, punto 22). 
11. -Vero � che la disposizione nazionale citata al punto 4 della presente 
sentenza porta a sottoporre l'operatore economico ad un regime processuale diverso 
a seconda che fornisca merci all'interno dello Stato membro interessato o le esporti 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STMO' �

350 


verso altri Stati membri. Occorre tuttavia rilevare che, come hanno giustamente fatto 
valere i governi francese e austriaco, la circostanza che i cittadini nazionali 
esiterebbero per questo motivo a vendere merci ad acquirenti stabiliti in altri Stati ~ 

membri � troppo aleatoria e indiretta perch� la detta disposizione nazionale possa ~ 
essere considerata atta ad ostacolare il commercio tra gli Stati membri (v., in altro 
contesto, sentenze 7 marzo 1990, causa C-69/88, Krantz, Racc., I-583, punto 11; 24 
gennaio 1991, causa C-339/89, Alsthom Atlantique, Racc., I-107, punti 14 e 15, e 
13 ottobre 1993, causa C-93/92, CMC Motorradcenter (Racc., I-5009, punto 12). 

12. -Occorre pertanto concludere su tale punto della questione nel senso che 
l'art. 34 del Trattato non osta ad una normativa nazionale che non ammette il ricorso 
al procedimento d'ingiunzione nel caso in cui la notificazione al debitore debba 
essere effettuata in un altro Stato membro della Comunit�. 
Sull'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE) 

13. -Al riguardo, basta constatare, come hanno rilevato la Commissione e la 
maggior parte degli Stati membri che hanno presentato osservazioni alla Corte, che 
la causa a qua non ha alcun nesso con una prestazione di servizi. 
14. -Di conseguenza, non occorre risolvere la questione pregiudiziale per 
quanto riguarda il punto di questa relativo all'art. 59 del Trattato. 
Sull'art. 56 CE (ex art. 73 B) 

15. -Ai sensi dell'art. 56, n. 2, CE: 
�Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le 
restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonch� tra Stati membri e paesi terzi�. 

16. -Ai fine di determinare la portata di tale disposizione, occorre raffrontare 
quest'ultima con l'ex art. 106, n. 1, del Trattato CEE [divenuto l'art. 73 H, n. 1, 
del Trattato CE (abrogato dal Trattato di Amsterdam)] che essa sostituisce e ai 
sensi del quale: 
�Ciascuno Stato membro s'impegna ad autorizzare che vengano effettuati, nella 
valuta dello Stato membro nel quale risiede il creditore o il beneficiario, i pagamenti 
relativi agli scambi di merci, di servizi e di capitali, come anche i trasferimenti di 
capitali e di salari, nella misura in cui la circolazione delle merci, dei servizi, dei 
capitali e delle persone � liberalizzata tra gli Stati membri in applicazione del 
presente trattato�. 

17. -Al pari dell'art. 106 del Trattato CEE, l'art. 56, n. 2, CE mira a consentire 
al debitore di una somma di danaro nell'ambito di una prestazione di beni o di 
servizi di adempiere volontariamente tale obbligazione contrattuale senza restrizioni 
indebite e al creditore di ricevere liberamente un pagamento del genere. Tuttavia, 

PARTE I, SEZ. li, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZION'ALE 

tale disposizione non � applicabile alle modalit� procedurali alle quali � soggetta 
I'azione di un creditore diretta ad ottenere da un debitore renitente il pagamento di 
una somma di danaro. 

18.-Si deve pertanto risolvere la questione proposta dal giudice a quo nel senso 
che una disposizione procedurale nazionale, come quella controversa nella causa a 
qua, non costituisce una restrizione alla libert� dei pagamenti. 

(omissis). 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 29 giugno 
1999, nella causa C-60/98 -Pres. Rodriguez Iglesias -Rei. Puissochet -Avv. 
Gen. Cosmas. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di 
Milano nella causa Butterfly Music s.r.l. contro CEMED e FIMI. Interv. 
Governo italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Banks 
e Pignataro ). 

Comunit� europee -Diritti di autore e diritti connessi -Armonizzazione della 

durata di protezione. 

(Trattato CE, art. 30; direttiva del Consiglio 29 ottobre 1993, n. 93/98/CEE, art. 10; legge 

22 aprile 1941 n. 633; legge 6 febbraio 1996, n. 52, e succ. mod., art. 17). 

L'art. 10, n. 3, della direttiva del Consiglio 29 ottobre 1993, 93/98/CEE, 
concernente l'armonizzazione della durata di protezione del diritto d'autore e di 
alcuni diritti connessi, non osta ad una disposizione nazionale come quella che, 
nella legge italiana 6 febbraio 1996, n. 52, come modificata con legge italiana 
23 dicembre 1996, n. 650, prevede un periodo limitato per consentire la 
distribuzione di supporti sonori da parte di coloro che, in ragione dell'estinzione 
dei diritti riguardanti tali supporti sotto la vigenza della normativa precedente, 
avevano potuto riprodurli e commercializzarli prima dell'entrata in vigore della 
detta legge.(1) 

(1) Diritti d'autore e diritti connessi: armonizzazione della durata di protezione e 
salvezza dei diritti acquisiti da terzi. 
Pacifico che gli Stati membri, in forza della direttiva 93/98/CEE, sono obbligati a 
ripristinare la protezione del diritto d'autore e dei diritti connessi che secondo il loro ordinamento 
precedente sono scaduti e ci� fino a garantire la durata armonizzata, si � discusso dell'ampiezza 
della tutela dei diritti acquisiti dai terzi anteriormente al ripristino della protezione. 

La Corte ha riconosciuto la piena conformit� alla direttiva della soluzione adottata dal 

legislatore italiano con l'art. 17 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, quale modificato dall'art. 1, 

co. 56, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 545, conv. con mod. dalla legge 23 dicembre 1996 n. 650. 

L'art. 10 n. 3 della direttiva dispone che resta �impregiudicata l'utilizzazione in qualsiasi 
forma, effettuata anteriormente� al 1 � luglio 1995 (data limite per l'attuazione della direttiva) e 
che �gli Stati membri adottano le misure necessarie al fine di proteggere segnatamente i diritti 
acquisiti dai terzi�. La direttiva, dunque, fa esplicitamente salva e impregiudicata solo la 
�utilizzazione� in qualsiasi forma, effettuata anteriormente al 1� luglio 1995, con un rinvio alla 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAID ��

352 

(omissis). 

1. -Con ordinanza 12 febbraio 1998, pervenuta in cancelleria il 2 marzo 
successivo, il Tribunale civile e penale di Milano ha sottoposto alla Corte, ai sensi 
ddl'art. 234 CE (ex art. 177). una questione pregiudiziale avente ad oggetto 
l'interpretazione dell'art. 10 della direttiva del Consiglio 29 ottobre 1993, 
93/98/CEE, concernente l'armonizzazione della durata di protezione del diritto 
d'autore e di alcuni diritti connessi (GU L 290, 9; in prosieguo: la �direttiva�). 
legislazione nazionale per la individuazione delle �misure necessarie al fine di proteggere 
segnatamente i. diritti acquisiti dai terzi�. Essa, parlando di salvezza dell' �utilizzazione anteriore� 
(ovviamente, sempre che sia stata legittima) intende far salvo solo lo sfruttamento dell'opera 
effettivamente avvenuto nel tempo consentito, evitando cos� che con il ripristino della protezione 
il titolare dell'esclusiva possa far valere un effetto retroattivo della nuova normativa, negando 
legittimit� all'utilizzazione fatta da terzi e pretendendo per essa un compenso. E al fine di rendere 
attuabile questa salvezza, la direttiva rimanda agli Stati membri il compito di indicare le �misure 
necessarie� allo scopo. 

Avvalora questa interpretazione della direttiva la motivazione adottata nei suoi 
�considerando�: il n. 26 prevede la facolt� degli Stati membri di �adottare disposizioni 
sull'interpretazione, l'adeguamento e l'ulteriore esecuzione dei contratti relativi all'utilizzazione 
... conclusi anteriormente�; e il n.' 27 richiama l'esigenza di proteggere i diritti quesiti, precisando 
che gli Stati membri possano prevedere che in determinate circostanze il ripristino della 
protezione non possa dar luogo al pagamento di alcun corrispettivo per lo sfruttamento anteriore 
intrapreso dai terzi. 

Tutto ci� mostra che la direttiva, in un'ottica di equo contemperamento di opposti interessi 
entrambi meritevoli di tutela, vuole da un lato ripristinare per intero la protezione del diritto 
d'autore e dei diritti connessi e nello stesso tempo vuole salvaguardare solo e soltanto lo 
sfruttamento di tali diritti ad opera di terzi, legittimamente avvenuto medio tempore (allorch� cio� 
non v'era protezione). Fissate queste linee direttrici, la direttiva lascia agli Stati membri il 
compito di regolamentare in dettaglio, entro i binari cos� tracciati, a seconda delle circostanze, 
questa duplice protezione dell'una e dell'altra parte. 

Una soluzione che, invece, facesse salvi non solo lo sfruttamento gi� eseguito dal terzo 
nel periodo di mancata protezione, ma anche lo sfruttamento operato dal medesimo terzo 
successivamente al ripristino della protezione, risulterebbe contraria non solo alla lettera 
della direttiva, ma altres� alla logica che la ispira. Contraria alla lettera, perch� la direttiva 
all'art. 10 n. 3 parla esplicitamente di �utilizzazione ... effettuata anteriormente�, il che 
significa che si vuol garantire lo sfruttamento passato e non quello futuro; contraria alla 
logica, perch� in tal modo si priverebbe il titolare del diritto d'autore o del diritto connesso 
di una protezione effettiva, non essendo essa pi� invocabile quantomeno nei confronti del 
terzo che ha utilizzato l'opera nel periodo consentito: e ci� per l'intera residua durata della 
protezione ripristinata. 

La legislazione italiana di attuazione si � perfettamente uniformata alla direttiva. 

Essa, innanzitutto, estende la protezione a tutto l'arco temporale indicato nella direttiva (nel 
caso di specie 50 anni, invece dei 30 precedenti), con una saldatura del periodo residuo a quello 
precedente, senza soluzione di continuit�, ripristinando cos� la protezione del diritto d'autore e dei 
diritti connessi. Nei confronti dei terzi che hanno �utilizzato l'opera medio tempore� essa 
espressamente garantisce la salvezza dei loro diritti disponendo, secondo la direttiva, che �restano 
pienamente salvi e impregiudicati gli atti e contratti fatti o stipulati anteriormente ... nonch� i 
diritti legittimamente acquisiti ed esercitati dai terzi�. Il riferimento all' �esercizio� del diritto � 
parallelo al riferimento fatto nella direttiva alla �utilizzazione effettuata anteriormente�, cio� allo 
�sfruttamento� operato nel tempo di inesistenza della protezione. 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

353 

2. -Tale questione � stata proposta nel contesto di una controversia tra la 
Butterfly Music Srl (in prosieguo: la �Butterfly�) e la Carosello Edizioni Musicali 
e Discografiche Srl (in prosieguo: la �CEMED�) sostenuta dalla Federazione 
Industria Musicale Italiana (in prosieguo: la �FIMI�). a proposito del diritto di 
riproduzione e di sfruttamento di registrazioni cadute in pubblico dominio sotto la 
vigenza della precedente normativa ed in seguito nuovamente protette per effetto 
delle disposizioni di trasposizione della direttiva nel diritto nazionale. 
3. -La direttiva intende porre termine alle disparit� esistenti tra le legislazioni 
nazionali che disciplinano le durate di protezione del diritto d'autore e dei diritti 
connessi ed armonizzare tali legislazioni prevedendo durate di protezione identiche 
in tutta la Comunit�. Cos�, ai sensi dell'art. 3 della detta direttiva. la durata di 
protezione dei diritti degli artisti interpreti od esecutori e dei produttori di 
fonogrammi � fissata a 50 anni. 
4. -Conformemente all'art. 10, n. 2. della direttiva, tale durata si applica a 
qualsiasi opera e soggetto che, alla data prevista per l'attuazione della direttiva. cio� 
entro il 1� luglio 1995, sia protetto almeno in uno Stato membro. Tuttavia. l'art. 10, 
n. 3, precisa che �la direttiva lascia impregiudicata l'utilizzazione in qualsiasi forma 
effettuata� anteriormente a tale data e che �gli Stati membri adottano le misure 
necessarie al fine di proteggere segnatamente i diritti acquisiti dei terzi�. 
Nelle precisazioni successive la norma italiana approfondisce e definisce questo limite, 
costituito appunto dallo �Sfruttamento gi� avvenuto�. Essa infatti dispone che �in particolare 
sono fatte salve� la distribuzione e la riproduzione delle opere grafiche effettuata dai terzi che le 
avevano intraprese prima della data di ripristino della protezione; nonch� la distribuzione dei 
dischi fonografici e simili �effettuata da coloro che hanno riprodotto e messo in commercio i 
predetti supporti anteriormente� alla data suddetta. 

In entrambi i casi viene salvaguardato solo ci� che � stato distribuito, riprodotto e messo in 
commercio anteriormente al ripristino della protezione: cio� viene garantito solo e soltanto lo 
sfruttamento anteriore. 

Entrambe le ipotesi, della grafica e dei supporti del suono, hanno per� una precisazione: 
sono garantiti, cio�, non solo lo sfruttamento, senza corrispettivo, gi� operato, ma altres� gli effetti 
naturali di questo sfruttamento, cio� in pratica l'esaurimento delle scorte. 

E a questo punto le condizioni fatte all'una e all'altra ipotesi divergono, secondo una 
valutazione fatta dal legislatore nazionale in forza del potere conferitogli dalla stessa direttiva, 
che gli consente di adottare le misure ritenute �necessarie� (art. 10 n. 3) a seconda di 
�determinare circostanze� (27� considerando). 

Per le opere grafiche il diritto acquisito dal terzo gli consente di vendere senza limite di tempo 
l'opera alla sola condizione dell'identit� della composizione grafica e della veste editoriale: il che 
significa, in pratica, che, date le notevolissime spese di stampa iniziali, si deve consentire la 
vendita -del resto normalmente piuttosto lenta -dell'intera edizione, senza limiti di tempo. 

Invece, per i supporti del suono, poich� le spese di mera riproduzione della matrice 
(uniche che il terzo ha affrontato) sono relativamente modeste, si � ritenuto sufficiente 
consentire lo smaltimento delle scorte in un tempo ragionevole: esso � stato fissato in tre mesi, 
ma in pratica, per via del succedersi (prima della legge 52/1996) di vari decreti legge non 
convertiti, il tempo di smaltimento � risultato di circa un anno. 

OSCAR FIUMARA 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO� 

354 

5. -In Italia la durata di protezione dei diritti dei produttori di dischi e di 
supporti analoghi come pure degli artisti interpreti od esecutori era stata fissata a 30 
anni dalla legge 22 aprile 1941, n. 633, sul diritto d'autore (GURJ n. 166 del 16 
luglio 1941). Le disposizioni di tale legge sono state modificate da una serie di 
decreti legge promulgati nel 1994 e nel 1995, che non sono stati convertiti in legge, 
e dalla legge 6 febbraio 1996, n. 52 (GURJ n. 34 del 10 febbraio 1996, Supplemento 
ordinario n. 24; in prosieguo la �legge n. 52/96� ), essa stessa modificata con legge 
23 dicembre 1996, n. 650 (GURI n. 300 del 23 dicembre 1996). che ha 
salvaguardato gli effetti dei detti decreti legge. 
6. -In virt� dell'art. 17, n. 1, della legge n. 52/96, la durata di protezione dei 
diritti delle persone sopra menzionate � stata portata da 30 a 50 anni. L'art. 17, n. 2, 
della legge n. 52/96, modificata, precisa che tale durata di protezione si applica 
anche alle opere e ai diritti non pi� protetti sulla base dei termini previgenti, 
semprech�, per effetto dell'applicazione dei nuovi termini, gli stessi siano 
nuovamente protetti alla data del 29 giugno 1995. Tuttavia, secondo l'art. 17, n. 4, 
della legge Il. 52/96, modificata, tali disposizioni si applicano lasciando 
impregiudicati gli atti e i contratti anteriori al 29 giugno 1995 nonch� i diritti 
legittimamente acquisiti ed esercitati dai terzi in conseguenza dei medesimi. In 
particolare sono fatte salve: 
�a) la distribuzione e la riproduzione delle edizioni di opere cadute in 
pubblico dominio secondo la disciplina previgente, limitatamente alla 
composizione grafica ed alla veste editoriale con le quali la pubblicazione � 
avvenuta, effettuata da coloro che avevano intrapreso detta distribuzione e 
riproduzione prima della data di entrata in vigore della presente legge. Tale 
distribuzione e produzione consentita senza corrispettivi si estende anche agli 
aggiornamenti futuri che la natura delle opere richiede; 

b) la distribuzione, limitatamente al periodo di tre mesi successivo alla data 
di entrata in vigore della presente legge, dei dischi fonografici ed apparecchi 
analoghi, i cui diritti di utilizzazione siano scaduti secondo la disciplina previgente, 
effettuata da coloro che hanno riprodotto e messo in commercio i predetti supporti 
prima della data di entrata in vigore della presente legge�. 

7. -La Buttertly, la quale svolge un'attivit� di produzione e distribuzione di 
supporti musicali, nel novembre 1992 ha prodotto con l'accordo della CEMED, 
produttrice di fonogrammi e detentrice dei diritti sulle registrazioni originali, e con 
l'autorizzazione della Societ� Italiana Autori ed Editori (in prosieguo: la �SIAE�) 
un compact disc intitolato �Briciole di baci� (in prosieguo: il �CD�) contenente 
sedici canzoni interpretate dalla cantante Mina, che erano state incise nel corso degli 
anni dal 1958 al 1962. 
8. -Tali registrazioni sono cadute in pubblico dominio alla fine del 1992, ma 
successivamente, i decreti legge menzionati al punto 5 della presente sentenza e la 
legge n. 52/96 hanno portato, in applicazione della direttiva, da 30 a 50 anni la 
durata di protezione dei diritti dei produttori di fonogrammi e degli artisti interpreti. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

9. -Alla fine del 1995 e all'inizio del 1996 la CEMED, basandosi sulla 
reviviscenza dei diritti che le derivavano dalla durata di protezione prevista dalla 
direttiva, ha intimato alla Butterfly di cessare la riproduzione e la distribuzione del 
CD. La Butterfly. allora, ha introdotto il 10 maggio 1996 un ricorso dinanzi al 
Tribunale civile e penale di Milano, diretto a far constatare il suo diritto di riprodurre 
le registrazioni figuranti sul CD. 
10. -Dinanzi al giudice nazionale, la Butterfly ha fatto valere, in particolare, che 
la direttiva vietava implicitamente il ripristino dei diritti esauriti e che, quand'anche 
si ammettesse la �reviviscenza� di tali diritti, la legge n. 52/96, modificata, non 
rispettava 1'obbligo .di tutelare i diritti acquisiti da terzi, che � espressamente previsto 
dall'art. 10, n. 3, della direttiva. Dal lato suo, la CEMED, sostenuta dalla FIMI, 
associazione di categoria rappresentativa dei produttori discografici italiani, ha 
chiesto, in via riconvenzionale, che alla Butterfly fosse vietata ogni ulteriore 
utilizzazione delle opere che beneficiano del nuovo termine di protezione. 
11. -Il Tribunale civile e penale di Milano ha considerato che dall'art. 10, n. 2, 
della direttiva emerge chiaramente che la tutela dei diritti poteva rivivere a seguito 
della proroga dei termini resa necessaria, in taluni Stati membri, 
dall'armonizzazione delle durate di protezione. Tuttavia si � interrogato sulla liceit�, 
con riferimento all'obbligo di tutela dei diritti acquisiti da terzi, dell'art. 17, n. 4, 
della legge n. 52/96, modificata. il quale prevede solo una possibilit� limitata di 
distribuzione dei supporti sonori i cui diritti di sfruttamento erano caduti in pubblico 
dominio prima dell'entrata in vigore della legge da parte di terzi che avevano 
acquisito, prima di questa data, il diritto di riprodurli e di commercializzarli. Di 
conseguenza ha deciso di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Se l'interpretazione dell'art. 10 della direttiva 93/98/CEE del 29 ottobre 1993, 
in particolare nella parte in cui prevede l'adozione delle "misure necessarie al fine 
di proteggere segnatamente i diritti acquisiti dai terzi" sia compatibile con la 
disposizione contenuta nell'art. 17, comma 4� della legge 6 febbraio 1996, n. 52, 
come successivamente modificata dalla legge 23 dicembre 1996, n. 650�. 

(omissis). 

La questione pregiudiziale 

15. -Con la sua questione il giudice a quo chiede alla Corte se l'art. 10, n. 3, 
della direttiva osti ad una disposizione nazionale quale quella di cui alla legge n. 
52/96 modificata, che prevede un periodo limitato per consentire la distribuzione di 
supporti sonori da parte di coloro che, in ragione dell'estinzione dei diritti relativi a 
tali supporti sotto la vigenza della precedente legislazione, avevano potuto riprodurli 
e commercializzarli prima dell'entrata in vigore della detta legge. 
16. -La Butterfly suggerisce alla Corte di risolvere la questione proposta nel 
senso che la legge n. 52/96 modificata non � conforme all'art. 10 della direttiva in 
quanto non conferisce un'adeguata protezione ai produttori discografici che hanno 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . 

intrapreso in buona fede lo sfruttamento di opere la cui protezione rivive in 
conseguenza del prolungamento della durata di protezione del diritto d'autore e dei 
diritti connessi. La ricorrente nel procedimento a quo sostiene. in particolare. che 
la limitazione a tre mesi del termine entro cui esercitare il diritto di distribuzione ili 
dei dischi da parte di coloro che li hanno riprodotti e commercializzati prima F 
dell'entrata in vigore della legge n. 52/96 modificata, limitazione prevista dall'art. I~ 
17, n. 4, lett. b), di questa stessa legge, � irragionevole ed in contraddizione con la 
mancanza di limitazione per la distribuzione delle edizioni di opere letterarie 


cadute in pubblico dominio, di cui all'art. 17, n. 4, lett. b), della medesima legge 
modificata. 

17. -La CEMED, la FIMI, il governo italiano e la Commissione suggeriscono, 
al contrario, di risolvere tale questione nel senso che l'art. 10 della direttiva non 
osta ad una normativa nazionale come quella di cui alla legge n. 52/96 modificata. 
Essi sostengono, in particolare, che le norme che limitano i diritti d'autore e i diritti 
connessi devono essere interpretate restrittivamente. La FIMI e il governo italiano 
sostengono, inoltre, che il trattamento pi� favorevole accordato dalla legge n. 52/96 
modificata agli editori di opere letterarie cadute nel pubblico dominio � giustificato 
dagli elevati investimenti che questi devono sostenere. Infine la Commissione, 
condividendo quest'ultimo punto di vista, ritiene che il termine previsto per la 
distribuzione delle giacenze di supporti fonografici, che � durato di fatto pressoch� 
un anno, tenuto conto dei decreti legge intervenuti nel 1994 e 1995, sia sufficiente 
a rispettare l'obbligo di protezione dei diritti acquisiti dai terzi previsto dalla 
direttiva. 
18. -Come rilevato dal giudice a quo, dall'art. 10, n. 2, della direttiva risulta 
chiaramente che l'applicazione delle durate di protezione da questa previste pu� 
avere la conseguenza negli Stati membri la cui legislazione prevedeva una durata di 
protezione meno lunga, di proteggere nuovamente opere ed oggetti caduti in 
pubblico dominio. 
19. -Si deve osservare che questa conseguenza risulta dall'espressa volont� del 
legislatore comunitario. Infatti, mentre la proposta iniziale di direttiva presentata 
dalla Commissione prevedeva che le sue disposizioni si applicavano �ai diritti che 
non sono scaduti al 31 dicembre 1994�. il Parlamento europeo ha modificato tale 
proposta introducendo una nuova formulazione che � stata ripresa. nelle linee 
essenziali. nella versione finale della direttiva. 
20. -Tale soluzione � stata accolta al fine di raggiungere il pi� rapidamente 
possibile l'obiettivo dell'armonizzazione delle normative nazionali che disciplinano 
le durate di protezione del diritto d'autore e dei diritti connessi, sancito, in 
particolare, nel secondo 'considerando' della direttiva, e di evitare che taluni diritti 
siano estinti in alcuni Stati membri mentre sono protetti in altri. 
21. -Tuttavia, dall'art. 10, n. 3, della direttiva risulta che con tale direttiva si 
vogliono lasciare impregiudicati gli atti di utilizzazione effettuati anteriormente alla 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

data prevista per l'attuazione della direttiva, cio� entro il 1� luglio 1995, e che gli 
Stati membri debbono prevedere le necessarie disposizioni per proteggere, in 
particolare, i diritti acquisiti dai terzi. 

22. -Questa disposizione � chiarita dalla formulazione degli ultimi due 
'considerando' della direttiva. A tenore del ventiseiesimo 'considerando', �gli Stati 
membri dovrebbero conservare la facolt� di adottare disposizioni sull'interpretazione, 
l'adeguamento e l'ulteriore esecuzione di contratti relativi all'utilizzazione di opere ed 
altri soggetti protetti, conclusi anteriormente all'estensione della durata di protezione 
risultante dalla presente direttiva�. Secondo il ventisettesimo 'considerando' �i diritti 
acquisiti e le lecite aspettative dei terzi sono tutelati nell'ambito dell'ordinamento 
giuridico comunitario: ( ... ) � opportuno che gli Stati membri possano segnatamente 
prevedere che in determinate circostanze i diritti d'autore e i diritti connessi ripristinati 
conformemente alla presente direttiva non possano dar luogo a pagamenti da parte di 
persone che avevano intrapreso in buona fede lo sfruttamento delle opere nel momento 
in cui dette opere erano di dominio pubblico�. 
23. -Dal raffronto di tali diverse disposizioni risulta che la direttiva ha sancito 
la possibilit� della reviviscenza dei diritti d'autore e dei diritti connessi estinti in 
forza di normative applicabili prima della data della sua attuazione, senza 
pregiudizio degli atti di utilizzazione svolti prima di tale data e ha lasciato agli Stati 
membri il compito di adottare misure destinate a proteggere i diritti acquisiti dai 
terzi. Queste ultime, tenuto conto del tenore delle disposizioni sopra menzionate, 
vanno considerate come misure che gli Stati membri debbono adottare, ma le cui 
modalit� sono rimesse alla loro discrezionalit�, semprech� non producano la 
conseguenza di impedire, in modo generale. l'applicazione delle nuove durate di 
protezione alla data prevista dalla direttiva. 
24. -Come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 25 delle sue 
conclusioni, tale soluzione � del resto conforme al principio secondo cui le leggi 
modificative di un'altra legge si applicano, salvo deroga, agli effetti futuri delle 
situazioni nate sotto l'impero della vecchia legge (v., in particolare, sentenze 14 
aprile 1970, causa 68/69, Brock, Racc., 171, punto 6, e 10 luglio 1986, causa 270/84, 
Licata/Comitato economico e sociale, Racc., 2305, punto 31). Infatti. dal momento 
che la reviviscenza dei diritti d'autore e dei diritti connessi non ha incidenza sugli 
atti di utilizzazione definitivamente compiuti da un terzo prima della data alla quale 
� intervenuta, essa non pu� essere considerata avere effetti retroattivi. La sua 
applicazione agli effetti futuri di situazioni non del tutto esaurite significa, per 
contro, che essa incide sui diritti di un terzo a continuare nello sfruttamento di un 
supporto sonoro i cui esemplari gi� fabbricati non sono stati ancora 
commercializzati e smerciati entro la detta data. 
25 -Si deve inoltre ricordare che, se � vero che il principio del rispetto del 
legittimo affidamento � uno dei principi fondamentali della Comunit�, tale 
principio. secondo la costante giurisprudenza, non pu� essere esteso fino a impedire, 
in generale, che una nuova disciplina si applichi agli effetti futuri di situazioni sorte 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ...

358 

sotto l'impero della disciplina anteriore (v., in particolare, sentenze 14 gennaio 
1987, causa 278/84, Germania/Commissione, Racc., 1, punto 36; 20 settembre 
1988, causa 203/86, Spagna/Consiglio, Racc., 4563, punto 19, e 22 febbraio 1990, 
causa C-221/88, Busseni, Racc., 1-495, punto 35). 

26. -Tenuto conto di tali considerazioni, una normativa nazionale, quale la 
legge n. 52/96 modificata, che autorizza chi riproduceva e commercializzava 
supporti sonori per i quali i diritti di utilizzazione erano scaduti in virt� della 
precedente normativa a distribuire tali supporti per un periodo limitato a partire dalla 
sua entrata in vigore soddisfa le prescrizioni della direttiva. 
27. -Da un lato, infatti, una siffatta normativa rispetta l'obbligo imposto agli 
Stati membri di adottare misure intese alla protezione dei diritti acquisiti dai terzi. 
Certamente. la legge n. 52/96 modificata accorda solo un periodo limitato di tre mesi 
per la distribuzione dei supporti sonori. Un tale termine. tuttavia. pu� essere 
considerato ragionevole alla luce dell'obiettivo perseguito. tanto pi� che. come 
rilevato dalla Commissione. tenuto conto delle condizioni nelle quali ha avuto luogo 
la trasposizione della direttiva, mediante i decreti legge menzionati al punto 5 della 
presente sentenza e la legge n. 52/96, il termine effettivo � stato, in realt�, pressoch� 
di un anno dalla data della sua attuazione. 
28 -Dall'altro, limitando in tal modo la protezione dei diritti acquisiti dai terzi 
per quanto riguarda fa distribuzione dei supporti sonori, una tale normativa soddisfa 
la necessit� di circoscrivere una siffatta disposizione, la quale deve necessariamente 
essere transitoria per non impedire l'applicazione delle nuove durate di protezione 
dei diritti d'autore e dei diritti connessi alla data prevista dalla direttiva, della quale 
questo � l'obiettivo principale. 

29. -Su tale interpretazione non influisce la circostanza che un'altra 
disposizione della legge n. 52/96 modificata, che non � applicabile nella 
controversia di cui al procedimento a quo prevede un regime di protezione 
diverso per i diritti acquisiti dai terzi per quanto riguarda la distribuzione delle 
opere letterarie. Infatti. Quest'ultima disposizione c.ontempla una categoria 
distinta di beneficiari, che non si trovano nella medesima situazione delle 
persone riguardate dalla prima. A prescindere dalla questione se il regime di 
protezione relativo a tale categoria soddisfi le prescrizioni della direttiva, esso 
non pu� avere influenza sulla valutazione di una misura che disciplina una 
situazione obiettivamente diversa. 
30. -La questione pregiudiziale pertanto va risolta nel senso che l'art. 10. n. 3, 
della direttiva non osta ad una disposizione nazionale come quella che, nella legge 
n. 52/96 modificata, prevede un periodo limitato per consentire la distribuzione di 
supporti sonori da parte di coloro che, in ragione dell'estinzione dei diritti 
riguardanti tali supporti sotto la vigenza della normativa precedente, avevano potuto 
riprodurli e commercializzarli prima dell'entrata in vigore della detta legge. 
(omissis). 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

359 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 5~, 21 settembre 
1999, nella causa C-44/98 -Pres. Puissochet -Rei. Gulmann -Avv. Gen. La 
Pergola Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal 
Bundespatentgericht (Germania) nella causa BASF AG c. Prasident des 
Deutschen Patentamts. Interv.: Governi tedesco, belga, danese, ellenico, 
spagnolo, francese, irlandese, olandese, austriaco, portoghese, finlandese, 
svedese, del Regno Unito e italiano ( avv. Stato Quadri) e Commissione delle 
Comunit� europee {ag. Wainwright). 

Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Misure di effetto 
equivalente -Brevetto europeo privato di efficacia per mancanza di 
traduzione -Regime linguistico del brevetto europeo. 

(Artt. 28 CE e 30 CE, gi� artt. 30 e 36 trattato CE). 

L'art. 30 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica l'art. 28 CE) non si 
oppone ali' applicazione di disposizioni quali quella dell'art. II, n. 3, del Gesetz uber 
internationale Patentubereinkommen, secondo il quale un brevetto concesso 
dall'Ufficio europeo dei brevetti con effetto in uno Stato membro e redatto in una 
lingua diversa dalla lingua ufficiale di tale Stato membro � fin dall'origine 
considerato privo di effetti, quando il titolare del brevetto non ha presentato 
all'Ufficio dei brevetti dello Stato membro interessato, entro tre mes{ a decorrere 
dalla data della pubblicazione nel bollettino europeo dei brevetti della menzione del 
rilascio del brevetto, una traduzione del fascicolo del brevetto nella lingua ufficiale 
di tale Stato membro (1). 

(omissis). 

1. -Con ordinanza 29 gennaio 1998 pervenuta alla Corte il 20 febbraio 
seguente, il Bundespatentgericht (Corte federale dei brevetti) ha sottoposto, ai sensi 
dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), una questione pregiudiziale 
relativa all'interpretazione degli artt. 30 e 36 del Trattato CE (divenuti, in seguito a 
modifica, artt. 28 CE e 30 CE). 
(1) La soluzione del caso concreto, relativamente alla normativa sul brevetto europeo e a 
quella nazionale conseguente (cfr. in Italia l'art. 3 d.P.R. 8 gennaio 1979 n. 32 e succ. mod.) 
poteva considerarsi scontata ed era stata in effetti patrocinata dalla totalit� degli Stati membri 
intervenuti e dalla Commissione de!le Comunit� europee. Ma l'eventualit� che la Corte potesse, 
anche incidentalmente, esprimere considerazioni estensibili in via di principio al regime 
linguistico attuale della Comunit� ha indotto ad intervenire in giudizio, forse per la prima volta, 
tutti gli Stati membri (con la sola eccezione del Lussemburgo), indirettamente a difesa della parit� 
della propria lingua con quelle di maggior diffusione. 
E noto, infatti, che la Comunit� non privilegia alcuna lingua, considerando soltanto, per 
prassi, sotto certi aspetti, quella francese come lingua �di lavoro�: nell'ambito giudiziario le 
�relazioni d'udienza� prima della discussione della causa sono redatte e distribuite nella lingua 
della causa (cio� quella del giudice di rinvio nelle cause pregiudiziali ovvero quella o quelle degli 
Stati ricorrenti o resistenti o delle parti ricorrenti nei ricorsi diretti, nella quale devono esprimersi, 
negli scritti e nelle difese orali, tutte le parti del processo, ma non gli Stati membri, che hanno il 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATff"

360 

2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia tra la BASF 
AG (in prosieguo: la �BASF� ), ed il Prasident des Deutschen Patentamts 
(presidente dell'Ufficio tedesco dei brevetti) relativamente alla decisione di 
quest'ultimo di considerare senza effetto in Germania un brevetto europeo 
appartenente alla BASF poich� il suo titolare non aveva presentato una traduzione 
tedesca del fascicolo del brevetto. 
3. -La convenzione sul rilascio di brevetti europei (in prosieguo: la 
�convenzione�) istituisce, in base ai suoi artt. 1 e 2, n. 1, un diritto comune agli Stati 
contraenti (gli Stati membri dell'Unione europea, la Confederazione elvetica, il 
principato di Liechtenstein, il principato di Monaco e la repubblica di Cipro) in 
materia di rilascio di brevetti per invenzioni, denominati �brevetti europei�. Questi 
brevetti vengono rilasciati dall'Ufficio europeo per i brevetti, le cui lingue ufficiali 
sono il tedesco, l'inglese ed il francese. Le domande di brevetto europee devono 
essere presentate in una di queste lingue. 
4. -Il rilascio di un brevetto europeo pu� essere richiesto per tutti gli Stati 
contraenti, per alcuni di essi e per uno di essi soltanto. Questo brevetto conferisce al 
suo titolare, a decorrere dal giorno della pubblicazione della menzione del suo 
rilascio e in ciascuno degli Stati contraenti per il quale � stato rilasciato, gli stessi 
diritti che conferirebbe ad esso un brevetto nazionale rilasciato in tale Stato. 
5. -L'art. 14, n. 7, della convenzione prevede che i fascicoli del brevetto 
europeo sono pubblicati nella lingua di procedura, cio� quella in cui la domanda di 
brevetto � stata presentata. Le rivendicazioni di un brevetto vengono tradotte nelle 
due altre lingue ufficiali dell'Ufficio europeo dei brevetti. 
6. -L'art. 65 della convenzione consente agli Stati contraenti di disporre che un 
brevetto europeo � considerato sin dall'origine privo di effetti nello Stato interessato 
se il titolare, qualora il testo del brevetto europeo per tale Stato non sia redatto nella 
sua lingua ufficiale, non presenta una traduzione di tale testo in questa lingua. 
diritto di usare comunque la propria lingua) e in lingua francese; e cos� le sentenze, non appena 
pubblicate, sono disponibili solo nella lingua della causa e in quella francese, salve poi le 
traduzioni in tutte le altre lingue. Considerato che, attualmente, con l'Unione formata da quindici 
Stati membri le lingue ufficiali sono dodici, ben si comprende quale mole di lavoro e di risorse 
umane e finanziarie � necessaria per far fronte alle traduzioni orali in simultanea e a quelle 
cartacee. E naturalmente il problema � destinato ad acuirsi con il prevedibile ingresso nel tempo 
di ben dieci altri Stati membri, quasi tutti con una propria nuova lingua ufficiale. Ci� -ad 
esempio -provocher� un aumento dei casi di traduzione indiretta (cio� per il tramite di una 
lingua intermedia maggiormente conosciuta), per la difficolt� di reperire traduttori -interpreti fra 
due lingue poco conosciute. 

Il problema non � di facile soluzione. Se da un lato � certamente vero e noto che vi sono 
alcune lingue che hanno raggiunto, per tanti motivi, una diffusione enormemente superiore alle 
altre, � d'altro lato altrettanto noto che nessuno Stato vuole abdicare all'uso ufficiale della 
propria lingua. 

O.F. 

.. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

7. -La Repubblica federale di Germania ha fatto uso di questa facolt� ed ha 
inserito nel Gesetz iiber internationale Patentiibereinkommen (legge sulle 
convenzioni internazionali in materia di brevetti, BGBl 1991 II, pag. 1354; in 
prosieguo: l'�lnt Pat UG� ), un articolo Il, n. 3, che stabilisce: 
�1) Quando l'Ufficio europeo dei brevetti prevede di concedere un brevetto 
europeo, con effetto per la Repubblica federale di Germania, il cui testo non � 
redatto in lingua tedesca, il richiedente o il titolare del brevetto � tenuto, al termine 
di tre mesi dalla pubblicazione dell'avviso di concessione del brevetto europeo sul 
bollettino europeo dei brevetti, a fornire all'Ufficio tedesco dei brevetti una 
traduzione in lingua tedesca del fascicolo del brevetto e a pagare una tassa secondo 
la tariffa stabilita. 

(...) 
2) Quando la traduzione non viene fornita nei termini o in una forma che ne 
consenta la pubblicazione regolare o la tassa non viene pagata nei termini, il brevetto 
europeo � ritenuto privo di effetto sin dall'origine nella Repubblica federale di 
Germania. 

( ... )�. 

8. -La BASF � titolare di un brevetto europeo relativo ad un �preparato per 
la metallizzazione di vernici per auto�, che le � stato ceduto con atto registrato nel 
registro tedesco il 26 agosto 1997 dal suo precedente titolare, BASF Corporation, 
societ� con sede negli Stati Uniti d'America. L'avviso di concessione del brevetto, 
redatto in lingua inglese e con effetto in Germania, � stato pubblicato il 24 luglio 
1996 nel bollettino europeo dei brevetti. 
9. -Con ordinanza 5 maggio 1997, l'Ufficio tedesco dei brevetti, in forza 
dell'art. II, n. 3, dell'IntPartUG, ha constatato che il brevetto di cui trattasi nella 
causa a qua era ritenuto sin dall'origine privo di effetti in Germania, in quanto il 
precedente titolare del brevetto non ha presentato la traduzione tedesca del fascicolo 
nel termine stabilito. 
10. -Il 27 maggio 1997, il precedente titolare del brevetto ha presentato un 
ricorso per annullamento contro questa decisione. In tale ricorso � subentrata la 
BASE A sostegno del suo ricorso, quest'ultima sostiene che l'art. Il, n. 3, 
dell'IntPatUG � incompatibile con gli artt. 30 e 36 del Trattato laddove la mancata 
presentazione entro i termini di una traduzione del brevetto europeo � sanzionata 
con l'inefficacia, fin dall'origine, del brevetto europeo in Germania. 
11. -Alla luce di queste considerazioni, il Bundespatentgericht ha deciso di 
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione 
pregiudiziale: 
�Se sia compatibile con i principi della libera circolazione delle merci 
(articoli 30 e 36 del Trattato CE) che un brevetto rilasciato dall'Ufficio europeo dei 
brevetti con effetto per uno Stato membro, e redatto in una lingua diversa da quello 


RASSEGNA AVVOCATURA DElLO STATO ''

362 

ufficiale dello stesso Stato membro, diventa inefficace ab initio nel caso in cui il 
titolare del brevetto non abbia depositato presso l'Ufficio dei brevetti dello Stato 
membro interessato una traduzione del fascicolo del brevetto nella lingua ufficiale 
dello Stato membro entro tre mesi dalla data di pubblicazione dell'indicazione del 
rilascio del brevetto nel bollettino europeo dei brevetti�. 

12. -La BASF fa valere in particolare che le spese di traduzione dei fascicoli 
sono molto elevate, di modo che numerosi titolari di brevetto sono costretti a non 
presentare una traduzione, e quindi a rinunciare alla tutela del brevetto in taluni Stati 
membri. L'obbligo di cui trattasi nella causa a qua impedirebbe cos� a questi titolari 
di beneficiare degli effetti dei brevetti rilasciati in tutti gli Stati membri della 
Comunit�. Secondo la BASF, questa limitazione comporta una ripartizione del 
mercato interno in quanto, in taluni Stati membri, il brevetto � tutelato (zona detta 
�protetta�) mentre in �ltri non lo � (zona detta �libera�). L'obbligo di cui � causa 
costituirebbe pertanto un ostacolo alla libera circolazione delle merci incompatibile 
con l'art. 30 del Trattato, che non sarebbe giustificato dall'art. 36. 
13. -La BASFfa valere a tal riguardo che il frazionamento del mercato in zone 
protette e zone libere ha in particolare due conseguenze. Innanzitutto diversamente 
dal titolare del brevetto, dal suo licenziatario e dai concorrenti con sede nella zona 
libera o in Stati terzi, gli operatori economici della zona protetta non potrebbero 
partecipare nella zona libera alla concorrenza commerciale nel mercato del prodotto 
di cui trattasi. A suo parere, questi ultimi si renderebbero responsabili di atti di 
contraffazione se esportassero il prodotto tutelato dal brevetto dalla zona protetta in 
quella libera. In secondo luogo, il titolare del brevetto potrebbe vedersi costretto a 
rinunciare all'immissione in commercio dell'invenzione nella zona libera per non 
compromettere il livello pi� alto dei prezzi nella zona protetta mediante il 
meccanismo delle reimportazioni parallele, e sarebbe perci� praticamente escluso 
dalla concorrenza nella zona libera. 
14. -Tutti i governi intervenienti e la Commissione ritengono invece che una 
normativa che obbliga i titolari di un brevetto a presentare una traduzione del 
fascicolo di tale brevetto nella lingua ufficiale dello Stato membro interessato 
non sia incompatibile con il Trattato, in quanto non costituisce una misura di 
effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione ai sensi 
dell'art. 30 del Trattato o che quantomeno essa sia giustificata ai sensi dell'art. 36 
del Trattato. 
15. -Occorre innanzi tutto esaminare la questione se uria normativa quale 
quella di cui trattasi nella causa a qua, che obbliga i titolari di un brevetto a 
presentare una traduzione del fascicolo di tale brevetto nella lingua ufficiale dello 
Stato membro interessato, costituisca una misura di effetto equivalente a restrizioni 
quantitative all'importazione ai sensi dell'art. 30 del Trattato. 
16. -A tal riguardo la Corte ha dichiarato che ogni normativa commerciale 
degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o 

�rr ~ 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

in potenza, gli scambi intracomunitari va considerata come una misura di effetto 
equivalente a restrizioni quantitative (v. sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, 
Dassonville, Racc., 837, punto 5). Tuttavia, gli effetti restrittivi che una 
normativa nazionale produce sulla libera circolazione delle merci possono essere 
troppo aleatori e indiretti perch� l'obbligo da essa sancito possa essere 
considerato atto a ostacolare il commercio tra Stati membri (v., in particolare, 
sentenza 18 giugno 1998, causa C-266/96, Corsica Ferries France, Racc., 1-3949, 
punto 31). 

17. -Per esaminare se una normativa quale quella di cui trattasi nella causa a 
qua ostacoli il commercio intracomunitario ai sensi di questa giurisprudenza, 
occorre, innanzi tutto, secondo la BASF, basarsi sulla premessa secondo cui un 
numero considerevole di titolari di un brevetto, a causa dei costi elevati di 
traduzione, decide di non chiedere la protezione delle proprie invenzioni a tutti gli 
Stati membri dell'Unione, ma di limitarsi ad una protezione in alcuni soltanto di 
questi Stati, creando cos� un frazionamento del mercato interno in �zone protette� 
e �Zone libere�, con le conseguenze menzionate al punto 13 della presente 
sentenza. 
18. -A tal riguardo occorre ricordare che, tra le scelte che si presentano a un 
inventore al momento in cui intende ottenere la protezione della sua invenzione con 
il rilascio di un brevetto, figura quella dell'estensione territoriale della protezione 
voluta, limitata ad un solo Stato o estesa a diversi Stati. Questa scelta � in via di 
principio la stessa, sia che l'inventore chieda il rilascio di un brevetto europeo sia 
che faccia uso dei sistemi di rilascio di brevetti nazionali attualmente vigenti negli 
Stati membri. La scelta avviene sulla base di una valutazione globale dei vantaggi e 
degli inconvenienti di ciascuna opzione, che comporta, in particolare, valutazioni 
economiche complesse relative all'interesse commerciale di una protezione nei 
diversi Stati rispetto all'importo totale delle spese collegate al rilascio di un brevetto 
in tali Stati, ivi comprese le spese di traduzione. 
19. -Inoltre, secondo la BASF, l'ostacolo di cui trattasi nella causa a qua 
deriva dal fatto che l'invenzione non � tutelata in tutti gli Stati membri 
dell'Unione. A suo parere, esiste un ostacolo al commercio intracomunitario 
poich� questo mercato � frazionato in due mercati distinti, uno sul quale il 
prodotto � tutelato e un altro sul quale esso non lo �, in altri termini una situazione, 
in cui l'inventore non ha ottenuto una protezione completa contro la concorrenza. 
di altri operatori economici i quali, negli Stati membri in cui esso non � stato 
tutelato con il rilascio di un brevetto, hanno il diritto di produrre e di 
commercializzare il prodotto di cui trattasi. 
20. -Ora, anche se si deve ritenere probabile che esisteranno differenze nei 
movimenti di merci a seconda che l'invenzione sar� tutelata in tutti gli Stati membri 
o solo in taluni di essi, ci� non significa che una tale conseguenza del frazionamento 
del mercato debba essere considerata un ostacolo ai sensi dell'art. 30 del Trattato. 
Infatti, le ripercussioni sul commercio intracomunitario di un'eventuale situazione 

RASSEGNA AWOCxruRA DELLO ST�T� .

364 

di concorrenza sui mercati non tutelati dipendono innanzi tutto dalle decisioni 
concrete e imprevedibili adottate da ciascuno degli operatori interessati alla luce 
delle condizioni economiche esistenti sui diversi mercati. 

21. -Alla luce di queste considerazioni, occorre constatare che, anche supponendo 
che, in talune circostanze, il frazionamento del mercato interno possa avere effetti 
restrittivi sulla libera circolazione delle merci, queste ripercussioni sono troppo 
aleatorie e troppo indirette per essere considerate un ostacolo ai sensi dell'art. 30 
del Trattato. 

22. -Occorre quindi risolvere la questione posta nel senso che l'art. 30 del 
Trattato non si oppone all'applicazione di disposizioni quali quelle dell'art. II, 
n. 3, dell'IntPat�G, secondo il quale un brevetto concesso dall'Ufficio europeo 
dei brevetti con effetto in uno Stato membro e redatto in una lingua diversa dalla 
lingua ufficiale di tale Stato membro � fin dall'origine considerato privo di 
effetti, quando il titolare del brevetto non ha presentato all'Ufficio dei brevetti 
dello Stato membro interessato, entro tre mesi a decorrere dalla data della 
pubblicazione nel bollettino europeo dei brevetti della menzione del rilascio del 
brevetto, una traduzione del fascicolo del brevetto nella lingua ufficiale di tale 
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Stato membro (omissis). 
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CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 28 settembre fil 
1999, nella causa C-440/97 -Pres. Rodriguez Iglesias -Rei. Jann -Avv. Gen. 

I

Ruiz -Jarabo Colomer. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla 

Corte di cassazione francese nella causa Groupe Concorde c/ Suhadiwarno 

Panjan. Interv.: Governi francese (ag. Rispal-Bellanger), tedesco (ag. Wagner), 

I 

italiano (avv. Stato Fiumara) e del Regno Unito (ag. Collins) e Commissione 

delle C.E. ( ag. Iglesias Buhigues ). 

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Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles -Competenza in materia ~ 
contrattuale -Luogo di esecuzione dell'obbligazione. 

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(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 e succ. mod., rat. in Italia con legge 21.6.1971 ~ 

n. 804 e succ., art. 5 n. 1 ). 
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L'art. 5, punto 1, della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la com-~ 

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petenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e ~' 
commerciale, come modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978 relativa !1 
all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran-!:.' 
Bretagna e d'Irlanda del Nord, dalla Convenzione 25 ottobre 1982 relativa 

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all'adesione della Repubblica ellenica e dalla Convenzione 26 maggio 1989 ~ 
relativa all'adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese, i 
dev'essere interpretato nel senso che il luogo in cui l'obbligazione � stata o 

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PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

365 

dev'essere eseguita, ai sensi di questa disposizione, dev'essere determinata in 
conformit� alla legge che disciplina l'obbligazione controversa secondo le norme di 
conflitto del giudice addito. (1) 

II 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 5 ottobre 1999, 
nella causa C-420/97 -Pres. Rodriguez Iglesias -Rei. Moitinho de Almeida -
Avv. Gen. L�ger. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di 
cassazione belga nella causa Leathertex Divisione Sintetici c. Bodetex. Interv.: 
Governi tedesco (ag. Wagner), italiano (avv. Stato Fiumara) e del Regno Unito 
(ag. Collins) e Commissione delle C.E. (ag. Iglesias Buhigues). 

Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles -Competenza in materia 
contrattuale -Luogo di esecuzione dell'obbligazione -Domanda fondata su 
differenti obbligazioni equivalenti. 

(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 e succ. mod., rat. in Italia con legge 21.6.1971 

n. 804 e succ., art. 5 n. 1). 
L'art. 5, punto 1, della Convenzione 27settembre1968, concernente la competenza 
giudiziaria e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, 
come modificata con la Convenzione 9 ottobre 1978, relativa all'adesione del 
Regno di Danimarca, del!' Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del 
Nord, dev'essere interpretato nel senso che lo stesso giudice non � competente a 
conoscere l'insieme di una domanda basata su due obbligazioni equivalenti 
derivanti da un medesimo contratto, nel caso in cui, secondo le norme di rinvio 
dello Stato di detto giudice, tali obbligazioni devono essere eseguite una in questo 
Stato e l'altra in un altro Stato contraente (2). 

(1-2) Il luogo di esecuzione dell'obbligazione nella convenzione di Bruxelles del 1968 
sulla competenza giudiziaria in materia civile e commerciale (*). 

�Un vero mercato interno fra i sei Stati -avvertiva una comunicazione della Commissione 
della Comunit� economica europea del 1959, nella prima fase di studio di quella che sarebbe stata 
la Convenzione di Bruxelles sulla competenza giudiziaria e l'esecuzione delle sentenze in materia 
civile e commerciale -potr� essere realizzato soltanto a condizione che venga garantita una 
sufficiente tutela giuridica. Sono da temersi perturbazioni e difficolt� nella vita economica della 
Comunit� qualora non si possa far accertare e realizzare, in via giudiziaria se del caso, i diritti 
individuali che sorgeranno dalle molteplici relazioni giuridiche . . . La tutela giuridica e, di 
conseguenza, la sicurezza giuridica nel Mercato comune dipendono essenzialmente dall'adozione 
da parte degli Stati membri in comune di una soluzione soddisfacente per quanto riguarda il 
riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni giudiziarie�. 

(*) Tratto dall'intervento svolto nel Seminario sul tema �Contratti internazionali. Tutela giudiziaria, arbitrale 
e amministrativa: problemi e soluzioni� a cura dell'IDLI -International Development Law Institute, svoltosi in 
Roma il 23 novembre 1999 presso la sede dell'Avvocatura Generale dello Stato. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'IU ' 

I 

(omissis). 

10. -Con tale questione, il giudice nazionale chiede in sostanza se l'espressione 
�luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio � stata o dev'essere eseguita�, che 
� utilizzata all'art. 5, punto 1 della Convenzione di Bruxelles per giustificare una 
competenza speciale in materia contrattuale, debba essere interpretata nel senso che 
rinvia al diritto sostanziale che si applica in forza delle norme di conflitto del giudice 
addito o debba ricevere un'interpretazione autonoma. 
Nacque cos� la Convenzione del 27 settembre 1968 fra i sei Stati membri originari delle 
Comunit� europee, pi� volte successivamente modificata e adattata con l'ingresso nelle Comunit� 
degli altri Stati, nel 1978, nel 1982, nel 1989 e infine nel 1996, con l'ingresso dell'Austria, della 
Finlandia e della Svezia. Una tale convenzione con norme di competenza diretta, tramite 
l'adozione di norme comuni di competenza, ha consentito una armonizzazione delle legislazioni 
pi� spinta, con una maggior certezza del diritto, evitando discriminazioni, cos� facilitando ci� che, 
sin dalla relazione Jenard alla convenzione originaria, � stata chiamata la "libera circolazione 
delle sentenze". E cos�, in materia di competenza giudiziaria, si � cercato di fissare criteri 
uniformi e semplici per l'intero territorio comunitario, di modo che il processo di unificazione 
potesse realizzarsi anche nel campo dell'amministrazione della giustizia. 

� naturale che nella materia civile e commerciale trattata dalla Convenzione spicchi la 
contrattualistica internazionale. E per essa la convenzione, in alternativa alla regola generale 
dell'art. 2 del foro del convenuto, ha consentito l'utilizzo del forum solutionis: dispone infatti 
l'art. 5 n. 1 della Convenzione (.con una regola che � stata estesa all'intero Spazio economico 
europeo dalla Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988) che in materia contrattuale il 
convenuto domiciliato in uno Stato contraente pu� essere citato in un altro Stato contraente 
�davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio � stata o deve essere 
eseguita�. 

Si intese cos� fissare una regola, ritenuta semplice e sicura, che offrisse una valida e 
sufficiente alternativa alla regola generale, per esigenze di praticit� ed efficacia, evitandosi il 
�foro in cui l'obbligazione � sorta� per il timore che fosse riconosciuta per vie traverse la 
competenza del giudice dell'attore. 

Si sa, per�, che �la strada dell'inferno � lastricata di buone intenzioni�. E i dubbi e le 
difficolt� sono ben presto affiorati. 

Non � un caso che la prima sentenza interpretativa della Corte di Giustizia sulla intera 
Convenzione sia intervenuta proprio su questa regola. Con la sentenza 6 ottobre 1976, nella 
causa 12/76 Tessili, la Corte afferm� che �il luogo in cui l'obbligazione � stata o deve essere 
eseguita� � determinato conformemente alla legge che regola l'obbligazione dedotta in giudizio 
secondo le n orme di diritto internazionale privato del giudice adito. E tale interpretazione � stata 
confermata dalla Corte nella sentenza 29 giugno 1994, nella causa C -288/92, Custom Made 
Commerciai. 

Questa soluzione � stata vivacemente criticata in dottrina. Sono stati rilevati molti 
inconvenienti: difficolt� di interpretazione, diversit� di applicazione, incertezze, possibilit� di 
conflitto di giudicati. Da pi� parti si � suggerita una riconsiderazione della problematica da parte della 
Corte, tale da affermare una nozione comunitaria autonoma del "luogo in cui l'obbligazione deve 
essere eseguita": in tal modo si avrebbe una interpretazione uniforme della nozione controversa e 
verrebbero in gran parte eliminati gli inconvenienti determinati dalla precedente soluzione. 

L'occasione � venuta con i due rinvii pregiudiziali della Corte di cassazione francese e della 

Corte di cassazione belga, che hanno dato origine alle due cause nelle quali la Corte si � 

pronunciata rispettivamente con le due sentenze annotate. 

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PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITAR�A E INTERNAZlONALE 

367 

11. -In via preliminare, occorre ricordare che la Corte si pronuncia, per quanto 
possibile, in senso favorevole ad una interpretazione autonoma, e non in riferimento 
al diritto nazionale, dei termini impiegati nella Convenzione di Bruxelles, in modo 
da garaIJtire a questa piena efficacia conformemente agli scopi dell'art. 220 del 
Trattato CE (divenuto art. 293 CE), ai sensi del quale la Convenzione � stata 
stipulata (sentenza 13 luglio 1993, Mulox IBC, C-125/92, Racc., 1-4075, punto 10). 
12. -Tuttavia, la Corte ha sottolineato che nessuna opzione pu� essere accettata 
in modo esclusivo, poich� la soluzione migliore va studiata di volta in volta per 
ciascuna norma della Convenzione di Bruxelles (sentenze Tessili, sopra menzionata, 
punto 11e8 dicembre 1987, Gubisch Maschinenfabrik, 144/96, Racc., 4861, punto 7). 
Nelle due cause, nelle quali hanno presentato osservazioni numerosi Governi, fra cui quello 
italiano, hanno trovato eco le varie tesi, in prevalenza, invero, sollecitanti un mutamento di indirizzo 
da parte della Corte. �� paradossale -ha affermato l'Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer 
nella prima causa -che una materia che necessita fondamentalmente di risposte pratiche e semplici 
che permettano ai giudici europei di sapere rapidamente se sono o non competenti 
internazionalmente sia stata caratterizzata, tanto nella giurisprudenza che nella dottrina, da un grado 
elevato di astrattezza, che ha fatto perdere di vista i problemi che devono essere affrontati dagli 
operatori abituali del commercio giuridico ... Non esistono in materia di competenza internazionale 
-come non esistono in materia di competenza interna -ragioni particolari che militino in favore 
di questo punto di vista astratto: la priorit� non deve spingere a trovare la soluzione interpretativa 
pi� perfetta in teoria, ma a fornire ai giudici e alle parti dei criteri operativi�. 

E cos� da una parte i due Avvocati Generali Ruiz-Jarabo Colomer e L�ger, i Governi 
britannico e tedesco e la Commissione delle Comunit� europee proponevano varie soluzioni 
innovative. Da un'altra parte i Governi francese e italiano ritenevano ancor preferibile, malgrado 
gli indubbi inconvenienti lamentati, la soluzione gi� data dalla Corte nella sua giurisprudenza: e 
questa conferma � arrivata con le due sentenze. 

Invero l'intento di pervenire ad una nozione autonoma del luogo di esecuzione era 
assolutamente lodevole, ma i criteri interpretativi proposti apparivano ben poco perseguibili e le 
soluzioni prospettate ben poco soddisfacenti. 

In verit� la Corte, nell'interpretare la convenzione di Bruxelles, ha sempre attentamente 
cercato di dare a ciascuna nozione di essa una portata autonoma: �un'interpretazione autonoma � 
la sola ad assicurare l'applicazione uniforme della convenzione, il cui obiettivo consiste 
innanzitutto nell'unificare le regole di competenza delle giurisdizioni degli Stati membri� (cos� 
nella sentenza 13 luglio 1993, nella causa C-125/82, Mulox). Ma la stessa Corte ha precisato 
(nella sentenza stessa) che tale soluzione va preferita �nei limiti del possibile�. 

Oggi la convenzione, nella sua attuale formulazione, consente di enucleare una nozione 
autonoma e comunitaria di �luogo in cui l'obbligazione deve essere eseguita�? Solo se si desse 
una risposta positiva, si potrebbe definire, al lume appunto della convenzione attualmente 
vigente, tale nozione uniforme. E che tutti dubitino della possibilit� di pervenire oggi ad una 
definizione comunitaria del luogo dell'esecuzione sulla base delle regole vigenti � dimostrato dal 
fatto che, proprio in sede di revisione della Convenzione, si discuta animatamente della necessit� 
di riformulare l'art. 5.1 in questione e che in tale sede non si sia affatto convinti, oltretutto, di 
poter pervenire ad una nozione uniforme soddisfacente. 

Nelle cause di cui si tratta i fautori di una soluzione uniforme attraverso una pronuncia 
interpretativa della Corte ritenevano di poter individuare il luogo dell'esecuzione nel �luogo di 
esecuzione dell'obbligazione che caratterizza il contratto�, e ci� sulla falsariga della sentenza 26 
maggio 1982, nella causa 133/81, !vene!, in relazione alle obbligazioni nascenti da un contratto 
di lavoro dipendente. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 

368 

13. -Per quanto riguarda l'espressione �luogo in cui l'obbligazione dedotta in 
giudizio � stata o dev'essere eseguita�, la Corte ha dichiarato pi� volte che essa 
dev'essere interpretata nel senso che rinvia alla legge che disciplina l'obbligazione 
di cui � causa secondo le norme di conflitto del giudice addito (v. sentenze Tessili, 
punto 13, e Custom Made Commerciai, punto 26, sopra menzionate). 
14. -� vero che, in materia di contratti di lavoro, la Corte ha dichiarato che 
occorre determinare il luogo di esecuzione dell'obbligazione pertinente non con 
riferimento alla legge nazionale da applicare in base alle norme di conflitto del 
giudice addito, ma, al contrario, secondo criteri uniformi che essa deve definire 
basandosi sul sistema e gli obiettivi della Convenzione di Bruxelles (sentenza 
Mulox IBC, sopra menzionata, punto 16), criteri che inducono a prendere in 
considerazione il luogo in cui il lavoratore esercita di fatto le attivit� convenute con 
il datore di lavoro (sentenza Mulox IBC, sopra menzionata, punto 20). 
Si pu� anche ammettere che una tale enunciazione di principio del luogo dell'esecuzione 
dell'obbligazione possa discendere dall'attuale formulazione della norma della convenzione, 
sempre che -beninteso -l'obbligazione caratterizzante sia essa stessa, da sola o con altre, 
dedotta specificamente in giudizio. Ma la soluzione -pur accettabile, cos� come era stata esposta 
in relazione ad una fattispecie relativamente semplice (il contratto di lavoro dipendente, in 
relazione al quale � stata poi codificata con le modifiche dell'art. 5 successivamente intervenute) 
-non appare affatto decisiva e pertanto soddisfacente in via generale. 

Invero il problema si sposta, senza essere risolto: quale � infatti <<l'obbligazione che 
caratterizza il contratto�? 

Ed ecco che alcuni rispondevano che tale obbligazione va determinata di caso in caso. E la 
Commissione, attraverso uno specifico esame delle varie soluzioni possibili nel contratto di 
trasporto, arrivava alla conclusione che il luogo dell'obbligazione che caratterizza il contratto � 
quello in cui deve essere consegnata la merce. 

Avrebbe dovuto, dunque, essere la Corte di giustizia a individuare di volta in volta 
quest'obbligazione caratteristica, con riferimento a ciascun tipo di contratto? Non � questo il 
compito attribuito alla Corte, perch� la legge -cio� la Convenzione -, che la Corte deve 
interpretare senza interventi di tipo �pretorio�, non lo prevede n� lo consente; e perch�, 
comunque, sarebbe quantomeno assurdo, dati il gran numero di contratti, contratti tipo e contratti 
atipici, semplici o composti, e la grande variet� di obbligazioni che possono essere dedotte in 
giudizio. 

Ecco perch� appariva pi� ragionevole, allo stato attuale della Convenzione (cos� come 
addirittura in sede di revisione della Convenzione stessa), mantenere l'enunciazione fatta dalla 
Corte nella causa Tessili: il luogo in cui l'obbligazione deve essere eseguita va determinato 
conformemente alla legge che regola l'obbligazione dedotta in giudizio secondo le norme di 
diritto internazionale privato del giudice adito. Del resto questi � ben aiutato oggi dalle 
convenzioni di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e 
dalla convenzione di Vienna dell'll aprile 1980 sulla vendita internazionale delle merci: molti 
dei paventati inconvenienti possono essere superati e quelli residui non sono certo superiori a 
quelli che deriverebbero dall'applicazione di una nozione uniforme ancorata all'obbligazione 
�che caratterizza� il contratto. 

La Corte con la prima delle sentenze annotate ha dunque ribadito che l'art. 5 n. 1 della 
convenzione �deve essere interpretato nel senso che il luogo in cui l'obbligazione � stata o deve 
essere eseguita deve essere determinato in conformit� alla legge che disciplina lobbligazione 
controversa secondo le norme di conflitto del giudice adito>>. 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZl�N'ALE 

369 

15. -I governi tedesco e del Regno Unito nonch� la Commissione auspicano 
una generalizzazione a tutti i tipi di contratto della tesi accolta nella sentenza Mulox 
IBC, sopra menzionata. A loro parere, gli obiettivi della Convenzione di Bruxelles, 
cio� la prevedibilit� del foro competente, la certezza del diritto e la parit� di 
trattamento dei singoli, militano a favore della determinazione di criteri uniformi 
che consentano, per ogni tipo di obbligazione contrattuale, o quanto meno per ogni 
tipo di contratto, una determinazione autonoma del luogo di esecuzione ai fini 
dell'applicazione dell'art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles. 
La Corte ha ricordato che va certamente ricercata, per quanto possibile, un'interpretazione 
autonoma dei termini della Convenzione, ma ha precisato che nessuna opzione pu� essere 
accettata in modo esclusivo, perch� la soluzione migliore va studiata di volta in volta per ciascuna 
norma. Non � possibile una estensione a tutti i tipi di contratto della regola espressamente 
formulata per i contratti di lavoro (luogo della prestazione lavorativa), data la specificit� di tali 
contratti, non riscontrabile invece nella generalit� dei contratti internazionali, che presentano una 
grandissima variet� di forme e di contenuti. 

Il principio della certezza del diritto impone che la norma (forum solutionis) che deroga ad 
un principio generale (foro del convenuto) deve essere interpretata �in modo da consentire ad un 
convenuto normalmente accorto di prevedere ragionevolmente dinanzi a quale giudice, diverso 
da quello dello Stato del proprio domicilio, potr� essere citato�. E una tal garanzia non appare 
assicurata ove l'identificazione dell'obbligazione contrattuale che � alla base dell'azione in 
giudizio dovesse avvenire senza far riferimento alla legge applicabile nella fattispecie concreta. 
Viceversa, essendo consentito alle parti del contratto di designare, senza particolari requisiti 
formali, il luogo in cui l'obbligazione va adempiuta, proprio l'accordo circa il luogo 
dell'adempimento � sufficiente a radicare nello stesso luogo la competenza giurisdizionale ai 
sensi dell'art. 5 n. 1 della convenzione, con la sola riserva che questo luogo presenti un 
collegamento effettivo con la materia del contratto. 

Corollario di questa pronuncia � la statuizione contenuta nella seconda sentenza annotata, 
con la quale � stato affermato che l'art. 5 n. 1 della Convenzione �deve essere interpretato nel 
senso che lo stesso giudice non � competente a conoscere l'insieme di una domanda basata su due 
obbligazioni equivalenti derivanti da un medesimo contratto, nel caso in cui, secondo le norme di 
rinvio dello Stato di detto giudice, tali obbligazioni devono essere eseguite una in questo Stato e 
l'altra in un altro Stato contraente�. � vero, ha precisato la Corte, che �il fatto che vari aspetti di 
una stessa lite siano giudicati da giudici diversi comporta inconvenienti�, ma il ricorso al forum 
solutionis � una facolt� della parte attrice, la quale, se vorr� preservare l'unicit� del giudizio potr� 
sempre rivolgersi al foro del convenuto secondo la regola generale. 

Naturalmente la pronuncia della Corte, confermativa della sua precedente giurisprudenza, 
come non sopir� le polemiche, cos� non vincoler� il legislatore comunitario in sede di revisione 
della Convenzione. Ma la ribadita difficolt� di trovare un criterio autonomo di interpretazione non 
potr� non condizionare i lavori. Sarebbe comunque da valutare l'opportunit� di una precisazione 
che ben pu� discendere dall'attuale formulazione della Convenzione (cfr. il punto 28 della prima 
sentenza, con richiamo alla sentenza 20 febbraio 1997, nella causa C -106/95, MSG) e che 
potrebbe essere codificata in sede di revisione della medesima (secondo la proposta del Governo 
italiano nei lavori in corso), secondo cui il "luogo in cui l'obbligazione deve essere eseguita" va 
s� determinato secondo la lex fori, ma, se ci� dovesse portare alla individuazione del forum 
actoris, deve essere altres� verificata da parte del giudice adito l'esistenza di un effettivo 
collegamento fra tale luogo e il luogo di esecuzione della prestazione dedotta in giudizio. E ci� a 
salvaguardia della regola fondamentale del rispetto del foro del convenuto, derogabile a favore 
del foro dell'attore solo in presenza di specifiche e ben determinate ragioni di opportunit�. 

OSCAR FIUMARA 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO' 

370 

16. -Il governo francese e italiano concludono invece per il mantenimento 
della giurisprudenza attuale della Corte. Pur riconoscendo che il ricorso alle norme 
di conflitto per determinare il luogo di esecuzione possa far sorgere difficolt� di 
attuazione e portare a risultati poco soddisfacenti, essi fanno osservare che 
un'interpretazione autonoma della nozione di luogo di esecuzione potrebbe essere 
operativa solo per alcuni contratti semplici, soluzione incompatibile con 
l'evoluzione costante della prassi contrattuale nel commercio internazionale. Essi 
aggiungono che, in considerazione della diversit� delle proposte alternative 
formulate, spetta agli Stati contraenti, se lo ritengono opportuno, effettuare una 
scelta nell'ambito dei lavori di revisione della Convenzione di Bruxelles. 
17. -A tal riguardo, occorre rilevare che, al punto 14 della sentenza Tessili, 
sopramenzionata, la Corte ha motivato il rinvio alla legge che si applica al contratto 
per la determinazione del luogo di esecuzione delle obbligazioni contrattuali con la 
constatazione che questa determinazione dipende dal contesto contrattuale al quale 
appartengono queste obbligazioni e con la circostanza che le normative nazionali dei 
vari Stati contraenti hanno, in materia di contratti, concezioni molto divergenti circa 
il luogo di esecuzione. 
18. -Per contro, l'abbandono, per il contratto di lavoro, del rinvio alla legge da 
applicare al contratto per la determinazione del luogo di esecuzione a favore della 
designazione del luogo in cui i fatti materiali che costituiscono l'esecuzione 
dell'obbligazione pertinente sono localizzati � stato giustificato con le specificit� di 
questo tipo di contratti (v., sentenza Mulox IBC, sopra menzionata, punto 15), 
specificit� che avevano gi� indotto la Corte a dichiarare che, per questi contratti, 
l'obbligazione da prendere in considerazione per l'applicazione dell'art. 5, punto 1, 
della Convenzione di Bruxelles � sempre quella che caratterizza tali contratti, vale a 
dire l'obbligazione del lavoratore di svolgere le attivit� convenute (v., in particolare, 
sentenza 26 maggio 1982, Ivenel, 133/81, Racc., 1891, punto 20, e Mulox IBC, 
sopra menzionato, punto 14). 
19. -Ora, la Corte ha confermato che, quando queste particolarit� specifiche 
mancano, non � n� necessario n� indicato identificare l'obbligazione che caratterizza 
il contratto e centralizzare nel suo luogo di esecuzione la competenza giudiziaria, a 
titolo di luogo di esecuzione, per le controversie relative a tutte le obbligazioni 
contrattuali (sentenza 15 gennaio 1987, Shenavai, 26/85, Racc., 239, punto 17). 
20. -Questa interpretazione, sia per quanto riguarda il mantenimento della regola 
generale che si applica a tutti i contratti, sia per quanto riguarda la regola speciale 
stabilita per i contratti di lavoro, ha trovato conferma in occasione della conclusione 
della Convenzione 26 maggio 1989 relativa all'adesione del Regno di Spagna e della 
Repubblica portoghese alla Convenzione di Bruxelles, che ha dato all'art. 5, punto 1, 
della Convenzione di Bruxelles la sua versione attualmente in vigore. 
21. -Del resto, sono in corso lavori di revisione della Convenzione di Bruxelles, 
nell'ambito dei quali sono state fatte valere difficolt� collegate all'applicazione 
dell'art. 5, punto 1, nella sua formulazione attuale come interpretata fino ad oggi 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE � 371 

dalla Corte. Numerose proposte di riforma di questa disposizione sono state 
successivamente presentate ed esaminate. 

22. -Inoltre, dalle discussioni dinanzi alla Corte nella presente causa sono 
risultate non solo posizioni contraddittorie tra, da un lato, due governi, che hanno 
presentato osservazioni a favore del mantenimento della giurisprudenza attuale, e, 
dall'altro, altri due governi e la Commissione, sostenitori di un nuovo approccio, ma 
anche divergenze sostanziali tra le proposte alternative formulate. 
23. -Alla luce di queste considerazioni, occorre sottolineare che il principio 
della certezza del diritto costituisce uno degli obiettivi della Convenzione di 
Bruxelles (v. sentenza 20 gennaio 1994, Owens Bank, C-129/92, 1-117, punto 32). 
24. -Questo principio richiede in particolare che le norme di competenza che 
derogano al principio generale della Convenzione di Bruxelles, quali l'art. 5, punto 1, 
siano interpretate in modo da consentire ad un convenuto normalmente accorto di 
prevedere ragionevolmente dinanzi a quale giudice, diverso da quello dello Stato del 
proprio domicilio, potr� essere citato (sentenza 17 giugno 1992, Handte, C-261/91, 
Racc., 1-3967, punto 18). 
25. -Ora risulta che la determinazione della nozione di luogo di esecuzione in 
funzione della natura del rapporto obbligatorio e delle circostanze della fattispecie, 
come � suggerita dal giudice nazionale, �, nella versione attuale dell'art. 5, punto 1, 
della Convenzione di Bruxelles, insufficiente per risolvere le questioni collegate 
all'applicazione di questa disposizione. 
26. -Infatti, talune delle questioni che possono sorgere in tale contesto, quali 
l'identificazione dell'obbligazione contrattuale che � alla base dell'azione in 
giudizio cos� come, in caso di pluralit� di obbligazioni, la ricerca dell'obbligazione 
principale, possono solo difficilmente essere risolte senza far riferimento alla legge 
applicabile. 
27. -Ne deriva che i criteri suggeriti dal giudice nazionale non possono del 
tutto dispensare il giudice addito dal determinare la legge che disciplina 
l'obbligazione controversa, al fine di pronunciarsi sulla sua competenza ai sensi 
dell'art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles 88. 
28. -Del resto, la Corte, traendo le conseguenze dall'importante collocazione 
generalmente accordata alla volont� delle parti dai diritti nazionali in materia di 
contratti, ha dichiarato che, qualora la legge da applicarsi consenta ai contraenti, alle 
condizioni che essa determina, di designare il luogo in cui l'obbligazione va 
adempiuta, senza imporre particolari requisiti formali, l'accordo circa il luogo 
dell'adempimento � sufficiente a radicare nello stesso luogo la competenza giurisdizionale 
ai sensi dell'art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles (sentenza 
Zelger sopra citata, punto 5), con riserva che questo luogo presenti un collegamento 
effettivo con la materia del contratto (sentenza 20 febbraio 1997, MSG, C-106/95, 
Racc., 1-911, punti 30 e 31). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STJUO�

372 

29. -Alla luce di queste considerazioni non sembra giustificato sostituire i criteri 
suggeriti dal giudice nazionale all'interpretazione precedentemente data dalla Corte, 
secondo la quale la determinazione del luogo di esecuzione dev'essere effettuata in 
hase alla legge che disciplina l'obbligazione controversa. Questa soluzione presenta 
inoltre il vantaggio di far coincidere il giudice competente con il luogo in cui 
l'obbligazione di cui trattasi dev'essere eseguita secondo la legge che ad essa applica. 
Ora, � la considerazione secondo cui il luogo di esecuzione costituisce normalmente 
un collegamento particolarmente stretto tra la controversia e il giudice competente 
che, ai fini dell'economia processuale, ha motivato la norma di competenza speciale 
prevista all'art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles in materia contrattuale 
(sentenza Shevavai, punto 18, e Custom Made Commerciai, punti 12 e 13). 
30. -Occorre aggiungere che la legge che si applica alla determinazione del 
luogo di esecuzione non rischia di variare a secondo del giudice addito, in quanto le 
norme di conflitto che consentono di determinare la legge che si applica al contratto 
sono state uniformate negli Stati contraenti con la Convenzione 19 giugno 1980 
sulla legge che si applica alle obbligazioni contrattuali (Gazzetta Ufficiale L 266, 1 ), 
come modificata dalla Convenzione 10 aprile 1984 relativa all'adesione della 
Repubblica ellenica (Gazzetta Ufficiale L 146, 1), dalla Convenzione 18 maggio 
1992 relativa all'adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese 
(Gazzetta Ufficiale L 333, 1) e dalla Convenzione 29 novembre 1996 relativa 
all'adesione della Repubblica d'Austria e della Repubblica di Finlandia e del Regno 
di Svezia (Gazzetta Ufficiale 1997, C 15, 10). 
31. -Spetta al legislatore nazionale, unico competente in tale settore, definire 
un luogo di esecuzione che tenga equamente conto al tempo stesso degli interessi di 
una buona amministrazione della giustizia e di quelli di una tutela sufficiente dei 
singoli. In quanto il diritto nazionale lo autorizza, il giudice pu� cos� essere 
chiamato a determinare il luogo di esecuzione tenendo conto dei criteri suggeriti dal 
giudice nazionale, cio� ricercando, in funzione della natura del rapporto obbligatorio 
e delle circostanze del caso di specie, il luogo in cui la prestazione � stata o doveva 
essere effettivamente fornita. 
32. -Da tutte le considerazioni che precedono risulta che l'art. 5, punto 1 della 
Convenzione di Bruxelles dev'essere interpretato nel senso che il luogo in cui 
l'obbligazione � stata o dev'essere eseguita, ai sensi di questa disposizione, 
dev'essere determinato in conformit� alla legge che disciplina l'obbligazione 
controversa secondo le norme di conflitto del giudice addito (omissis). 
II 

(omissis). 

19. -Con tale questione il giudice a quo chiede, in sostanza, se gli artt. 2 e 5, 
punto 1, della Convenzione debbano essere interpretati nel senso che lo stesso 
giudice � competente a conoscere l'insieme di una domanda basata su due 
obbligazioni equivalenti derivanti da un medesimo contratto, anche se, secondo le 
norme di rinvio dello Stato di questo giudice, le obbligazioni devono essere eseguite 
una in questo Stato e l'altra in un altro Stato contraente. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

20. -Il governo del Regno Unito fa valere, in via principale, che fra le due 
obbligazioni sulle quali si basa la domanda nella causa principale l'obbligazione di 
versare le commissioni costituisce lobbligazione che costituisce il fondamento 
principale dell'azione giudiziaria. Infatti, secondo la sentenza di rinvio, il mancato 
pagamento delle commissioni controverse sarebbe l'unico motivo per il quale la 
Bodetex avrebbe considerato che il contratto era stato rescisso senza preavviso. 
L'indennit� compensativa di preavviso dovrebbe quindi essere versata solo se fosse 
provato che le commissioni controverse erano effettivamente dovute. Il governo del 
Regno Unito propone pertanto di riformulare la questione pregiudiziale al fine di 
dichiarare che, in una fattispecie come quella della causa principale, l'obbligazione 
contrattuale che costituisce il fondamento principale dell'azione giudiziaria e in 
forza della quale la competenza pu� essere determinata in base all'art. 5, punto 1, 
della Convenzione � costituita dall'obbligazione di versare le commissioni. 
21. -A questo proposito, va rilevato, tenuto conto della ripartizione delle 
competenze nell'ambito del procedimento pregiudiziale previsto dal Protocollo, che 
� compito del giudice nazionale valutare l'importanza relativa delle obbligazioni 
contrattuali di cui trattasi nella causa principale e della Corte di interpretare la 
Convenzione alla luce delle considerazioni del giudice nazionale. 
22. -Inoltre, una modifica della sostanza della questione pregiudiziale sarebbe 
incompatibile con il ruolo assegnato alla Corte dal Protocollo, nonch� con il suo 
obbligo di dare ai governi degli Stati membri e alle parti interessate la possibilit� di 
presentare osservazioni ai sensi degli artt. 5 del Protocollo e 20 dello Statuto CE 
della Corte, tenuto conto del fatto che, a norma di quest'ultima disposizione, alle 
parti interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio [v., quanto al 
procedimento di cui ali' art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), sentenze 20 
marzo 1997, causa C-352/95, Phytheron International, Racc., 1-1729, punto 14, e 16 
luglio 1998, causa C-235/95, Dumon e Froment, Racc., 1-4531, punto 26]. 
23. -In tali circostanze si deve risolvere la questione pregiudiziale 
considerando, come emerge dalla sentenza di rinvio, che le due obbligazioni 
contrattuali sulle quali si basa la domanda sono equivalenti. 
24. -La Leathertex, il governo tedesco e, in subordine, il governo del Regno 
Unito sostengono che un giudice di uno Stato contraente non � competente in forza 
dell'art. 5, punto 1, della Convenzione a conoscere l'insieme di un'azione basata su 
pi� obbligazioni equivalenti derivanti da un medesimo contratto, quando il luogo di 
esecuzione di una di tali obbligazioni o di alcune di esse si trova in un altro Stato 
contraente. 
25. -L'art. 5, punto 1, della Convenzione dovrebbe essere interpretato restrittivamente. 
Dal momento che le due obbligazioni che costituiscono il fondamento 
della domanda sono considerate equivalenti dal giudice adito, occorrerebbe 
prendere in considerazione, per conoscere ciascuna di tali obbligazioni, la competenza 
del giudice del luogo in cui ciascuna di esse deve essere eseguita ed 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAID

374 

accettare il frazionamento delle competenze che potrebbe risultarne. Siffatta interpretazione 
dell'art. 5, punto 1, della Convenzione sarebbe conforme alla ratio di tale 
disposizione che � quella di dare a ciascuna parte, in materia contrattuale, la 
garanzia che la domanda sar� esaminata dal giudice del luogo in cui l'obbligazione 
controversa deve essere eseguita. 

26. -La Bodetex adduce, in primo luogo, che il contratto da cui derivano le due 
obbligazioni di cui trattasi nella causa principale � analogo ad un contratto di lavoro 
di rappresentante di commercio. Pertanto, per l'applicazione dell'art. 5, punto 1, 
della Convenzione in caso di domanda basata su obbligazioni diverse derivanti da 
un medesimo contratto di agenzia, si dovrebbe, al pari dei contratti di lavoro, 
prendere in considerazione l'obbligazione che caratterizza tale contratto, vale a dire, 
nella fattispecie, quella di trovare nuovi clienti e di distribuire i prodotti della 
Leathertex, in particolare, in Belgio. In pi� Stati contraenti la giurisprudenza e la 
dottrina avrebbero esteso tale soluzione al contratto di concessione, col quale il 
contratto d'agenzia commerciale avrebbe del pari analogie. 
27. -La Bodetex sostiene, in secondo luogo, che l'obbligazione di pagare le 
commissioni presenta un nesso con quella di versare un'indennit� compensativa di 
preavviso. Entrambe risulterebbero dal contratto d'agenzia. Per di pi�, la mancata 
esecuzione dell'obbligo di versare le commissioni costituirebbe il motivo per cui � stato 
posto fine al contratto, facendo cos� sorgere l'obbligazione di versare un'indennit� 
compensativa di preavviso. Tale connessione giustificherebbe il fatto che il giudice 
competente a statuire sull'obbligazione di versare l'indennit� compensativa di 
preavviso sia competente a statuire anche sull'obbligazione di pagare le commissioni. 
28. -Secondo la Bodetex siffatta interpretazione dell'art. 5, punto 1, della 
Convenzione consentirebbe di garantire un'organizzazione utile del processo 
evitando una frammentazione delle competenze. 
29. -Infine, la Commissione fa valere che, qualora un attore formuli due 
domande basate su due obbligazioni equivalenti, il giudice che � competente a 
conoscere una di esse a norma dell'art. 5, punto 1, della Convenzione, � competente 
a conoscere anche l'altra obbligazione se fra tali domande sussiste una relazione 
talmente stretta che vi � interesse a istruirle e a giudicarle contemporaneamente, al 
fine di evitare soluzioni che potrebbero essere inconciliabili se le cause fossero 
giudicate separatamente. 
30. -Secondo la Commissione, una soluzione del genere corrisponde nel modo 
migliore al sistema della Convenzione. Da un lato, essa sarebbe analoga, mutatis 
mutandis, alla soluzione enunciata dall'art. 6, punto 1, della Convenzione in caso di 
pluralit� di convenuti. Dall'altro lato, essa si imporrebbe alla luce dell'art. 22 della 
Convenzione. Infatti, in una controversia come quella di cui trattasi nella causa 
principale, se l'attore decidesse, in forza dell'art. 5, punto 1, della Convenzione, di 
presentare la domanda di pagamento dell'indennit� compensativa in uno Stato 
contraente e quella di versamento degli arretrati di commissione in un altro Stato 

PARTE I, SEZ.11, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

contraente, l'art. 22 della Convenzione si applicherebbe a causa della connessione 
fra queste due domande. Occorrerebbe pertanto interpretare l'art. 5, punto 1, della 
Convenzione in modo da evitare in anticipo situazioni alle quali l'art. 22 della 
Convenzione sarebbe applicabile. 

31. -Si deve ricordare anzitutto che, ai punti 8-10 della sentenza 6 ottobre 
1976, causa 14/76, De Bloos (Racc., 1497), la Corte, dopo aver ricordato che la 
Convenzione mira a determinare la competenza degli organi giurisdizionali degli 
Stati contraenti nell'ordinamento internazionale, a facilitare il riconoscimento delle 
rispettive decisioni giudiziarie e ad instaurare un procedimento rapido inteso a 
garantire l'esecuzione delle decisioni, ha affermato che detti obiettivi implicano la 
necessit� di evitare, nei limiti del possibile, la molteplicit� dei criteri di competenza 
giurisdizionale rispetto al medesimo contratto e che non si pu� quindi interpretare 
l'art. 5, punto 1, della Convenzione nel senso ch'esso faccia riferimento a 
qualsivoglia obbligazione derivante dal contratto considerato. La Corte ne ha 
desunto, ai punti 11 e 13 della stessa sentenza, che, per la determinazione del luogo 
di esecuzione ai sensi dell'art. 5, punto 1, della Convenzione, l'obbligazione di cui 
si deve tener conto � quella corrispondente al diritto del contratto sul quale si basa 
l'azione dell'attore. Essa ha precisato, al punto 14 di detta sentenza, che, 
nell'ipotesi in cui l'attore rivendichi il diritto al risarcimento del danno o chieda la 
risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, detta obbligazione 
� sempre quella derivante dal contratto ed il cui inadempimento � dedotto a 
sostegno di dette domande. 
32. -Siffatta interpretazione � stata confermata in occasione della conclusione 
della Convenzione 9 ottobre 1978, relativa all'adesione del Regno di Danimarca, 
dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, la quale ha 
modificato, in talune versioni linguistiche, l'art. 5, punto 1, della Convenzione, al 
fine di precisare che l'obbligazione il cui luogo di esecuzione determina il giudice 
competente in materia contrattuale � �l'obbligazione dedotta in giudizio�. 
33. -Occorre ricordare inoltre che la Corte ha ripetutamente affermato che il 
luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio � stato o deve essere eseguito va 
determinato conformemente al diritto sostanziale disciplinante l'obbligazione 
controversa secondo le norme di rinvio del giudice adito (sentenze 6 ottobre 1976, 
causa 12/76, Industrie tessili italiana/Dunlop AG, Racc., 1473, punto 13; 29 giugno 
1994, causa C-288/92, Custom Made Commercia!, Racc., 1-2913, punto 26, e 28 
settembre 1999, causa C-440/97, Groupe Concorde e a., Racc., I-0000, punto 32). 
34. -Al riguardo, va rilevato che, nella fattispecie, i giudici belgi hanno 
considerato, in base alla succitata giurisprudenza, che l'obbligazione di versare 
un'indennit� compensativa di preavviso doveva essere eseguita in Belgio, mentre 
l'obbligazione di pagare le commissioni doveva essere eseguita in Italia. 
35. -Peraltro, dalla sentenza di rinvio, nonch� dagli atti trasmessi dal giudice 
nazionale emerge che il contratto di cui trattasi nella causa principale, in base al 

RASSEGNA AVVOCATURA bELLO STATO

376 

quale sono state presentate le doman.de di pagamento delle comm1ss1oni e di 
un'indennit� compensativa di preavviso, non costituisce un contratto di lavoro. 

36. -Orbene, quando le particolarit� specifiche dei contratti di lavoro non 
sussistono, non � n� necessario n� opportuno identificare l'obbligazione che 
caratterizza il contratto, n� accentrare nel suo luogo di adempimento la competenza 
giurisdizionale, in quanto luogo di adempimento, per le liti relative a qualsiasi 
obbligazione contrattuale (precit. sentenza Shenavai, punto 17). 
37. -Pertanto, non si deve, nella causa principale, prendere in considerazione 
l'obbligazione che caratterizza il contratto di agenzia per determinare la competenza 
giudiziaria, in base al luogo di esecuzione. 
38. -Il giudice competente a conoscere la domanda di pagamento di 
un'indennit� compensativa di preavviso non pu� neanche basare la sua competenza 
quanto alla domanda di pagamento di commissioni su un'eventuale connessione fra 
queste due domande. Infatti, come ha precisato la Corte, l'art. 22 della Convenzione 
contempla l'ipotesi in cui cause connesse siano proposte dinanzi ai giudici di Stati 
contraenti diversi. Esso non attribuisce competenze; in particolare, non determina la 
competenza di un giudice di uno Stato contraente a statuire su una domanda connessa 
a un'altra domanda dinanzi ad esso proposta a norma della Convenzione (v. sentenze 
24 giugno 1981, causa 150/80, Elefanten Schuh, Racc., 1671, punto 19, e 27 ottobre 
1998, causa C-51/97, R�union Europ�enne e a., Racc., I-6511, punto 39). 
39. -Infine, nel caso in cui la lite verta su pi� obbligazioni equivalenti derivanti 
dallo stesso contratto, il giudice adito non pu� orientarsi, per determinare la propria 
competenza, sul principio affermato dalla Corte al punto 19 della sentenza Shenavai, 
secondo il quale I'accessorio segue il principale. 
40. -In tali circostanze, lo stesso giudice non � competente a conoscere 
l'insieme di una domanda basata su due obbligazioni equivalenti derivanti da un 
medesimo contratto, nel caso in cui, secondo le norme di rinvio dello Stato di detto 
giudice, tali obbligazioni devono essere eseguite una in questo Stato e l'altra in un 
altro Stato contraente. 
41. -Va ricordato che, anche se il fatto che vari aspetti di una stessa lite siano 
giudicati da giudici diversi comporta inconvenienti, l'attore ha sempre, 
conformemente all'art. 2 della Convenzione, la facolt� di proporre l'insieme della 
sua domanda dinanzi al giudice del domicilio del convenuto. 
42. -Si deve pertanto risolvere la questione pregiudiziale come segue: l'art. 5, 
punto 1, della Convenzione dev'essere interpretato nel senso che lo stesso giudice 
non � competente a conoscere l'insieme di una domanda basata su due obbligazioni 
equivalenti derivanti da un medesimo contratto, nel caso in cui, secondo le norme di 
rinvio dello Stato di detto giudice, tali obbligazioni devono essere eseguite una in 
questo Stato e l'altra in un altro Stato contraente (omissis). 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA DI DIRITIO 
E PROCEDURA CIVILE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 gennaio 1999, n. 2 -Pres. Favara -Rei. 
Criscuolo -P.M. Carnevali (conf.) -Nuova Mecfond S.p.A. (avv. Di Martino) 

c. Ragusa (avv. Iadanza) e Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
Di Pace). 
Calamit� naturali -Terremoto in Campania e Basilicata -Opere realizzate 
dallo Stato ex lege n. 219/1981 -Trasferimento ad altri Enti -Giudizi 
pendenti -Legittimazione dell'Amministrazione statale -Permane. 
(Legge 14 maggio 1981 n. 219, art. 80 segg.; legge 8 agosto 1995, n. 341, art. 22; cod. proc. 

civ. art. 111). 
L'art. 22 del d.l. 23giugno1995 n. 244, convertito in legge 8agosto1995 n. 
341, che ha disposto il trasferimento ai Comuni ed altri Enti delle opere di edilizia 
ed infrastrutturali realizzate dallo Stato, a sensi delle norme di cui al titolo VIII 
della legge 14 maggio 1981 n. 219, stabilendo altres� il subentro dei predetti enti 
nei rapporti giuridici attivi e passivi in atto, ha dato luogo ad una successione a 
titolo particolare, con la conseguenza che nei giudizi pendenti alla data del 
trasferimento permane la legittimazione dell'Amministrazione dello Stato, parte 
originaria del processo (1). 

(1) Prima pronuncia della Corte, in argomento, pervenuta a conclusioni da condividere. 
Con riferimento alla medesima vicenda successoria, sono state manifestate da taluni Organi 
amministrativi perplessit� in ordine alla competenza degli stessi ad emanare i provvedimenti 
conclusivi delle procedure, in particolare espropriative, il cui completamento � stato, dalla legge 
del 1995, rimesso alla cura dei Comuni e degli altri enti attributari delle opere realizzate o in corso 
di realizzazione alla data del loro trasferimento. Le accennate perplessit� peraltro -segnatamente 
in relazione alla competenza prefettizia ad emettere i decreti d'esproprio -non sembrerebbero 
potersi alimentare in modo risolutivo dal disposto trasferimento della propriet� delle opere e 
dall'accollo, agli enti trasferitari, del completamento delle operazioni in corso, una cosa essendo 
l'assetto dominicale legislativamente delineato per i beni, come pure l'obbligo di completamento 
delle operazioni in corso, ed altra l'attribuzione del potere espropriativo, la cui competenza (che 
per nulla riguarda gli atti d'impulso delle procedure, evocati dalla espressione di cui all'ultima 
parte del secondo comma dell'art. 22 d.l. n. 244/1995) dovrebbe ritenersi "riespansa" in capo agli 
ordinari titolari (secondo le norme comuni) una volta venuto a cessare, in via definitiva, 
l'eccezionale accentramento di attribuzioni in favore degli organi straordinari di amministrazione 
preposti all'intervento statale (che tale resta, indipendentemente dalla attribuzione della propriet� 
dei beni con detto intervento realizzati). 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

378 

(omissis) 

Prima di procedere all'esame del motivo come sopra articolato occorre farsi 
carico dell'eccezione d'inammissibilit� del ricorso nei confronti del funzionario 
CIPE, sollevata dalla resistente presidenza del Consiglio dei Ministri. 

Quest'ultima invoca l'art. 22 del d.l. 23 giugno 1995 n. 244, convertito con 
modificazioni dalla legge 8 agosto 1995 n. 341, per sostenere che detta norma ha 
disposto il trasferimento di tutte le opere sia di edilizia residenziale che 
infrastrutturali, di cui al titolo VIII della legge 14 maggio 1981 n. 219, al patrimonio 
dei comuni, enti o amministrazioni individuati negli elenchi allegati al decreto del 
Ministero del bilancio e della programmazione economica del 4 novembre 1994. La 
stessa norma aggiunge (ultima parte del comma secondo) che �I comuni, gli enti e 
le amministrazioni subentrano in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi in atto, 
procedono al completamento delle operazioni ancora in corso ed al collaudo 
definitivo delle opere ove non intervenuto entro il termine del 31 dicembre 1996�. 

Sulla scorta della citata disposizione normativa la resistente sostiene che le 
opere in questione sarebbero passate al patrimonio del Comune di Napoli, che il 
soggetto legittimato a stare nel giudizio di cassazione sarebbe stato il detto ente 
territoriale, nei cui confronti (quale ente proprietario) il ricorso si sarebbe dovuto 
proporre, che perci� l'impugnazione contro la P.C.M. (funzionario CIPE) sarebbe 
inammissibile essendosi formato sul punto il giudicato. 

L'eccezione non ha fondamento. 

La norina richiamata � intervenuta quando il processo de quo era gi� in corso, 
essendo iniziato con citazione notificata il 23 aprile 1993. La vicenda che essa 
contempla, per le caratteristiche delle situazioni giuridiche disciplinate, pu� essere 
ricondotta soltanto nello schema della successione (tra enti) a titolo particolare nel 
diritto controverso. �dunque applicabile l'art. 111 primo comma c.p.c., alla stregua del 
quale il processo prosegue tra le parti originarie, con la conseguenza che ritualmente il 
ricorso per cassazione � stato notificato alla presidenza del Consiglio dei Ministri funzionario 
delegato CIPE, che era stato parte nel primo (ed unico) grado di merito. 

N� a tale conclusione � di ostacolo il disposto del citato art. 22, comma nove 
bis, secondo il quale �Le controversie derivanti dai rapporti posti in essere ai sensi 
del titolo VIII della legge 14 maggio 1981 n. 219 e successive modificazioni, e 
pendenti alla data del 31 dicembre 1995, restano nella competenza dell'Avvocatura 
dello Stato che agisce in difesa degli enti proprietari�. 

Tale disposizione conserva il ministero difensivo in capo alla detta avvocatura 
la quale, qualora il successore a titolo particolare si avvalga della facolt� 
d'intervenire o sia chiamato nel processo (art. 111 comma terzo c.p.c.), ne assume 
la difesa, ma non implica deroga al principio generale stabilito nel primo comma 
dello stesso art. 111, principio rispetto al quale non si pone in rapporto 
d'incompatibilit�. (omissis) 

Pur attenendo a diverso profilo, ed enunciato ad altri effetti, il principio affermato dalla 
sentenza in rassegna parrebbe di conforto agli accennati rilievi, implicando l'inconfigurabilit� di 
una definitiva estraneazione dell'Amministrazione statale (e per effetto del trasferimento della 
propriet� delle opere) alle vicende dell'intervento straordinario realizzato. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA �MLE 

379 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 aprile 1999 n. 4320 -Pres. Sgroi -Rei. 
Vitrone -P.M. Golia (parz. diff) -Gulli Ziino, altri ( avv. Scoccini) c. Regione 
Lazio (avv. Stato Nunziata). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Procedimento -Liquidazione dell'indennit� 
-Determinazione (stima) -In genere -Area espropriata -Valore di 
mercato -Determinazione -Vincoli fissati dagli strumenti urbanistici, e 
dalle relative varianti, nell'ambito della zonizzazione del territorio Rilevanza. 


(Legge 8 agosto 1992 n. 359, art. 5 bis). 

In tema di espropriazione per pubblica utilit�, ai fini della determinazione del 
valore di mercato dell'area espropriata, deve tenersi conto dell'incidenza dei 
vincoli fissati dagli strumenti urbanistici, e dalle relative varianti, nell'ambito della 
zonizzazione del territorio, poich� essi afferiscono in via generale al regime 
giuridico di tutti i beni compresi in una medesima zona, i quali vengono assoggettati 
ad una preventiva conformazione e ad un particolare statuto urbanistico, che non 
costituisce espressione di un'attivit� discrezionale della pubblica amministrazione, 
ma attiene a tutti i suoli compresi in una determinata zona del piano regolatore 
(massima ufficiale) (1). 

(omissis) 

Con il primo motivo del ricorso n. 11913 e con il secondo motivo del ricorso n. 
13201, gli espropriati denunciano la violazione e la falsa applicazione dell'art. 5 bis 
della legge 8 agosto 1992, n. 359, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e 

(1) La sezione prima della Suprema Corte ribadisce il proprio orientamento in ordine al 
momento in cui deve essere valutata la potenzialit� edificatoria del fondo per la determinazione 
dell'indennit� di espropriazione. Tale individuazione, in particolare, deve tener conto dei vincoli 
di carattere generale che, riguardando tutte le aree aventi una determinata allocazione topografica, 
hanno carattere conformativo della propriet� (Cass. 10 febbraio 1999, n. 1113; Cass. 9 dicembre 
1998, n. 12383; Cass. 16 maggio 1998, n. 4921; Cass. 22 aprile 1998, n. 4091; Cass. 14 marzo 
1995, n. 2917; Cass. 12 aprile 1994, n. 3403, in Riv. Giur. edil., 1994, I, 2, 753). Si esclude, 
quindi, che possano avere a tal fine rilevanza i vincoli imposti dai piani di edilizia economica e 
popolare che sono preordinati all'espropriazione (Cass., 22 aprile 1999, n. 4328). Tuttavia, ove 
un suolo venga destinato dal piano regolatore generale a edilizia economica e popolare, esso deve 
considerarsi edificatorio a nulla rilevando che al proprietario sia sottratta la possibilit� di 
realizzare in proprio la prevista idoneit� edificatoria (Cass., 16 luglio 1998, n. 6949). Parte della 
giurisprudenza ha precisato che l'accertamento delle possibilit� legali ed effettive di edificazione 
deve essere effettuato al momento dell'emanazione del decreto di esproprio (Cass., 10 giugno 
1999, n. 5733; Cass., 15 marzo 1999 n. 2272). In senso contrario si � espressa parte della 
giurisprudenza, ritenendo rilevante, per la determinazione del valore dell'immobile, il vincolo 
derivante dal programma di fabbricazione, atteso che i vincoli fissati dagli strumenti urbanistici 
nell'ambito della zonizzazione del territorio hanno natura conformativa del diritto di propriet� ed 
influiscono, quindi, sulla destinazione del suolo indipendentemente dalla realizzazione delle 
opere che su di esso dovranno sorgere (Cass., 20 giugno 1997, n. 5554; Cass., 3 settembre 1994 
n. 7630, in Foro it., 1995, I, 1534 con nota di BENIN!, la quale ha escluso la rilevanza, ai fini in 
esame, dei vincoli archeologici). 
D.G. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ..

380 

censurano la sentenza impugnata per aver disatteso, nella individuazione degli indici 
di edificabilit� ai quali doveva commisurarsi il valore dell'area espropriata per la 
determinazione dell'indennit� di espropriazione, gli indici operanti nella zona a 
seguito della variante di piano regolatore generale che aveva mutato la destinazione 
urbanistica originaria da zona 1-1/2 a zona M-M/2. 

Sostengono i ricorrenti che non pu� condividersi l'affermazione secondo cui la 
variante di piano regolatore generale doveva ritenersi come introduzione di un 
vincolo preordinato all'espropriazione dell'area per la costruzione dell'ospedale 
�Sandro Pertini� e che, conseguentemente, nella determinazione del valore dell'area 
espropriata dovrebbe tenersi conto degli indici di fabbricabilit� preesistenti, che 
nella specie erano inferiori a quelli previsti dalla variante, che aveva aumentato la 
cubatura realizzabile. 

La censura merita accoglimento indipendentemente da una puntuale analisi 
delle argomentazioni addotte dai ricorrenti per confutare la motivazione della 
sentenza impugnata, la quale mostra di non aver recepito con sufficiente 
chiarezza la distinzione tra vincoli conformativi della propriet� privata e vincoli 
preordinati all'espropriazione, i quali, a differenza dei primi, non possono 
incidere sul valore di mercato delle aree destinate alla realizzazione di un'opera 
pubblica secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa 
Corte (Cass. 16 gennaio 1992, n. 496, ripresa sostanzialmente da SS.UU. 18 
novembre 1997, n. 11433). 

Va ricordato in proposito che i piani regolatori generali (e, in loro mancanza, i 
programmi di fabbricazione) hanno la funzione di ripartire l'intero territorio comunale 
in zone omogenee (c.d. zonizzazione), cos� come classificate nel D.M. 2 aprile 1967, 

n. 1444, ma non comportano alcuna dichiarazione di pubblica utilit� con riferimento 
alla previsione delle opere pubbliche in essi contenute, poich� questa deriva solo dalla 
successiva approvazione dei piani particolareggiati, com'� chiaramente stabilito 
dall'art. 16, co. 4� (co. 9� nel testo vigente) della legge urbanistica 17 agosto 1942, 
n. 1150, secondo cui �l'approvazione dei piani particolareggiati equivale a 
dichiarazione di pubblica utilit� delle opere in essi previste�. 
Nella determinazione del valore venale delle aree espropriate deve perci� 
tenersi conto dell'incidenza (ordinariamente negativa, ma, nella specie, 
inopinatamente positiva) dei vincoli fissati dagli strumenti urbanistici, e dalle 
relative varianti, nell'ambito della zonizzazione del territorio poich� essi afferiscono 
in via generale al regime giuridico di tutti i beni compresi in una medesima zona, i 
quali vengono assoggettati ad una preventiva conformazione e ad un particolare 
statuto urbanistico che non costituisce espressione di un'attivit� discrezionale della 
Pubblica Amministrazione, ma attiene a tutti i suoli compresi in una determinata 
zona del piano regolatore. 

Ne consegue che erroneamente la sentenza impugnata ha fatto riferimento, nel 
determinare il valore di mercato dell'area espropriata, agli indici di fabbricabilit� 
fissati originariamente in 1,6 mc/mq nel piano regolatore generale, invece che a 
quelli introdotti dalla successiva variante, che li ha portati a 2 mc/mq con 
riferimento a tutte le aree fabbricabili comprese nella zona M-M/l. 

(omissis) 


PARTE I, SEZ. ID, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIV�LE 

381 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25maggio1999, n. 287-Pres. Zucconi Galli 
Fonseca -Rei. Vella -P.M. Lo Cascio (conf.) -Impregilo S.p.A. (avv. 
Abbamonte. e Martuccelli) c. Ministero dei Lavori Pubblici e Provveditorato 
Regionale delle Opere Pubbliche per la Campania ( avv. Stato Cosentino). 

Giurisdizione civile -Concessione di lavori pubblici -Controversie relative a 

diritti soggettivi pendenti dinanzi al Giudice Amministrativo in sede di 

giurisdizione esclusiva -Art. 31 bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109 

(introdotto dall'art. 9 del d.I. 3 aprile 1995, n. 101, convertito con 

modificazioni nella legge 2 giugno 1995, n. 216) -Giurisdizione ordinaria 


Sussiste. 

(Legge 11 febbraio 1994 n. 109, art. 31 bis, cod. proc. civ., art. 5). 

A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 31 bis della legge 11febbraio1994, 

n. 109 (introdotto con d.l. 3 aprile 1995 n. 101, convertito, con modificazioni, con 
legge 2 giugno 1995, li. 216), commi quarto e quinto, le controversie relative a 
diritti soggettivi derivanti da concessioni di lavori pubblici pendenti dinanzi al 
giudice amministrativo spettano alla cognizione del giudice ordinario (1). 
(1-3) Come previsto (in questa Rassegna, 1999, I, 94, in nota) la Corte regolatrice non ha 
ritenuto di rivedere l'orientamento definito in precedenti pronunce malgrado le consistenti 
perplessit� derivanti dalle formule del legislatore del 1995 e dal nuovo testo dell'articolo 5 del 
codice di procedura civile. 

Nella decisione n. 287/99 le Sezioni Unite ricavano l'applicabilit� dell'art. 31 bis ai giudizi 
pendenti alla data di entrata in vigore dalla disposizione dalla lettera e dalla funzione della legge. 

�In proposito si � osservato che la parola controversie, adoperata dall'art. 31 bis � riferita nel 
linguaggio tecnico alle liti gi� pendenti davanti al giudice e non a situazioni conflittuali 
preprocessuali, e che la norma non avrebbe alcuna utilit� se concernesse soltanto le controversie 
insorte dopo la sua entrata in vigore in quanto la nuova disciplina si applicherebbe a queste ultime, 
anche in sua assenza, ai sensi dell'art. 5 del codice di procedura civile per il quale la giurisdizione 
si determina applicando la legge vigente al momento della proposizione della domanda�. 

La tesi non sembra ancora del tutto messa a punto. 

Il sostantivo controversie non viene sempre impiegato per designare liti pendenti davanti ad 
un giudice come risulta dagli articoli 806 e 808 c.p.c. sul compromesso e sulla clausola 
compromissoria; inoltre, se il legislatore avesse voluto davvero modificare le regole sul riparto di 
giurisdizione in ordine ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore dell'art. 31 bis avrebbe 
dovuto espressamente disporlo; in mancanza di una esplicita previsione sembra pi� coerente al 
sistema interpretare la disposizione come confermativa della regola contenuta nell'art. 5 c.p.c. 
secondo cui la giurisdizione si determina con riferimento alla legge vigente al momento della 
proposizione della domanda senza che assumano rilievo le successive modifiche legislative ( cfr. 
Cass., SS.UU., 1� luglio 1997, n. 5899, in Riv. Corte Conti, 1997). 

In definitiva la lettura parallela dei commi quarto e quinto dell'art. 31 bis e dell'art. 5 c.p.c. 
induce a ritenere che il legislatore del 1995 non abbia detto pi� di quanto avesse voluto dire: 
l'equiparazione ai fini della tutela giurisdizionale delle concessioni agli appalti opera sia per le 
concessioni stipulate in data successiva all'entrata in vigore della legge che per quelle stipulate 
in data precedente. 



RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO�

382 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 luglio 1999, n. 516 -Pres. Zucconi Galli 
Fonseca -Rei. Corona -P.M. Dettori (conf.) -Ente Autonomo Acquedotto I 

ili

Pugliese (avv. Stato Zotta) c. Associazione Temporanea di Imprese Dott. 
Domenico Dibattista Costruzioni S.r.l., Rubino Giuseppe e Pietro s.n.c., R.E.P. I S.p.A., Vianini Industria S.p.A. (avv. Colapinto). ' 

Giurisdizione civile -Concessione di sola costruzione -Art. 31 bis della legge 11 
febbraio 1994, n. 109 (introdotto dall'art. 9 del d.I. 3 aprile 1995, n. 101, 
convertito con modifiche nella legge 2 giugno 1995, n. 216). Controversie 
anteriori pendenti relative a diritti soggettivi -Giurisdizione ordinaria Sussiste. 
(Legge 11 febbraio 1994 n. 109, art. 31 bis, codice di procedura civile, art. 5). 

Per esigenze di economia processuale, avuto riguardo alla equiparazione, ai 
fini della tutela giurisdizionale delle concessioni di lavori pubblici, l'art. 31 bis, 
comma quarto legge 11febbraio1994 n. 109 (introdotto dall'art. 9 del d.l. 3 aprile 
1995 n. 101 conv. con modifiche nella legge 2 giugno 1995 n. 216) trova applicazione 
nei giudizi i quali, alla data di entrata in vigore della disposizione, pendono 
davanti al giudice ordinario, quante volte, controvertendosi su posizioni di diritto 

I 

soggettivo, la giurisdizione del giudice ordinario ne risulti confermata (2). 

I 

Per altro verso la soluzione sembra in contrasto con il principio di economia processuale ~ 
valorizzato altre volte dalla Corte in occasione della interpretazione delle stesse disposizioni. 

~ 

I ~

Infatti, nella decisione n. 516/99, le Sezioni Unite avvertono la necessit� di rendere coerente 
l'orientamento sull'applicabilit� dell'art. 31 bis ai giudizi in corso ai principi sulla determinazione 
delia giurisdizione contenuti nell'art. 5 c.p.c. e a tal fine attribuiscono un ruolo determinante alle 
esigenze di economia processuale. 

� �irrilevante lo jus superveniens se idoneo a privare il giudice adito della giurisdizione�, 
�rilevante�, solo �nell'ipotesi inversa�. 

In questa ottica, la Corte, puntando come in passato, ma di fronte ad una diversa formula 
dell'art. 5 c.p.c., sull'economia processuale, giustifica la conservazione dell'attivit� giudiziale 
svolta in assenza del potere di decidere la controversia e, correlativamente, si orienta a 
disconoscere l'applicabilit� dell'art. 31 bis alle controversie pendenti, alla data di entrata in 
vigore di tale disposizione, dinanzi ad un giudice carente di giurisdizione. 

In tal modo, per�, definisce un sistema di operativit� della norma che non risulta in linea con 
quello delineato nella prima vicenda. In quella infatti -controversia in materia di concessione 
di lavori pubblici -il TAR Campania, con sentenza emessa prima dell'entrata in vigore dell'art. 
31 bis, si era pronunciato nel merito e il Consiglio di Stato, ritenuta la giurisdizione esclusiva del 
Giudice amministrativo, aveva confermato la decisione di primo grado -ritenendo inapplicabile 
alla controversia l'art. 31 bis in quanto, per l'art. 5 del codice di procedura civile, la giurisdizione 
si determina in base alla legge vigente al momento della proposizione della domanda senza che 
possano assumere rilievo i mutamenti legislativi successivi. La Cassazione, per�, fondando la sua 
decisione sull'(apparente) inutilit� del comma quinto dell'art. 31 bis, se relativo esclusivamente 
alle controversie instaurate dopo la sua entrata in vigore, ha dichiarato la giurisdizione 
dell'Autorit� giudiziaria ordinaria e, cassando senza rinvio la sentenza impugnata, ha cancellato 
due gradi di giudizio senza darsi carico di quel principio di economia processuale che avrebbe, 
invece, posto a fondamento, nella sentenza n. 516/99, della tesi che esclude l'applicabilit� dello 
jus superveniens �Se idoneo a privare il giudice adito della giurisdizione che aveva al momento 
della proposizione della domanda�. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

383 

III 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 maggio 2000 n. 366 -Pres. Cantillo -Rei. 
Vittoria -P.M. Lo Cascio (conf.) -Presidente del Consiglio dei Ministri, 
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Funzionario delegato dal C.I.P.E. ex art. 
84, legge 219, Commissario Straordinario del Governo per il Coordinamento 
delle Attivit� del titolo VII della legge 14 maggio 1981 n. 19 (avv. Stato Lancia) 

c. Consorzio Ascosa, in proprio e nella qualit� di mandatario dell' A.T.I., fra 
esso Consorzio e le Imprese IMCA S.p.A., IMECO S.p.A. e SOGECA S.p.A. 
( avv. P. Minervini). 
Giurisdizione civile -Art. 31 bis della legge 11febbraio1994 n. 109 (introdotto 
dall'art. 9 del d.I. 3aprile1995 n.101, conv. con modif. nella legge 2 giugno 
1995 n. 216). 

Applicabilit� ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore dell'art. 31 bis, 
cit., relativi ai diritti soggettivi derivanti esclusivamente da concessioni di 
sola costruzione -Sussistenza. 

Nullit� delle clausole compromissorie relative a controversie su diritti 
soggettivi derivanti da concessioni di sola costruzione anteriori all'entrata 
in vigore dell'art. 31 bis, cit. -Esclusione. 

Neanche, per�, la versione moderata del rilievo dello jus superveniens per le ipotesi di 
riconoscimento di giurisdizione ad un giudice che precedentemente ne era sprovvisto sembra del 
tutto sottrarsi a perplessit�. 

In numerosi giudizi decisi dalla Corte le controversie in materia di concessione erano state 
sottoposte, in epoca anteriore all'entrata in vigore dell'art. 31 bis, all'esame di collegi arbitrali e 
da questi decise nel merito. 

Intervenuto l'art. 31 bis, dopo la pronuncia del lodo e, a volte, addirittura dopo la decisione 
della Corte di Appello a seguito di giudizio di impugnazione, si pu� davvero ritenere conservata, 
dall'art. 31 bis, l'attivit� svolta? 

La risposta non pu� che essere negativa ove si consideri la nullit� del compromesso stipulato 
in materia devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo e la conseguente nullit� insanabile . 
di un lodo pronunciato in materia non compromettibile in arbitri (Corte di Appello di Roma, 
23 settembre 1996, in Foro it., I, 2903 s.s., spec. 2907 e S. Boccagna, in tema di giurisdizione e 
competenza sopravvenute, anche con riferimento all'arbitrato, ivi, 2879 s.s., spec. 2839 s.s.). 

Pi� in generale, per�, la soluzione del complesso problema andrebbe ricercata non solo con 
riferimento alla materia oggetto del giudizio ma anche al diritto di difesa delle parti. Queste 
infatti, evocate dinanzi ad un giudice sprovvisto di giurisdizione secondo la legge del tempo, 
hanno diritto a difendersi limitandosi a dedurre la carenza, nel giudice, del potere di decidere la 
controversia -per nullit� del compromesso, della clausola compromissoria, per difetto di 
giurisdizione, senza svolgere difese di merito. 

In effetti, a ben vedere, in tale ipotesi, per carenza della giurisdizione, presupposto 
processuale della pronuncia di merito, il giudice non pu� che limitarsi ad emettere una pronuncia 
sul processo n� si potrebbe ritenere il convenuto o il resistente tenuto a difendersi in merito nella 
prospettiva di una modifica della giurisdizione. Questi, infatti, ha diritto a che la controversia sia 
esaminata e decisa dal giudice precostituito per legge al tempo dell'introduzione del giudizio e di 
riservarsi di svolgere dinanzi a quel giudice le proprie eccezioni e difese di merito. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e

384 

Giurisdizione -Appalto di opera pubblica -Controversie su diritti soggettivi Giurisdizione 
ordinaria -Sussistenza. 

(Legge 11 febbraio 1994 n. 109 e succ. modifiche, art. 31 bis; c.p.c., art. 5). 

L'equiparazione ai fini della tutela giurisdizionale delle concessioni degli 
appalti si applica alle controversie relative a diritti soggettivi derivanti 
esclusivamente da concessioni di sola costruzione, anche con riferimento ai giudizi 
pendenti alla data di entrata in vigore dell'art. 31 bis. 

Sopravvenuta la norma dettata con i commi quarto e quinto dell'art. 31 bis 
deve escludersi possa dichiararsi la nullit� di clausole compromissorie con cui gli 
arbitri siano stati precedentemente investiti del potere di decidere controversie che, 
alla stregua della stessa norma, sono ora da considerare essere sempre spettate alla 
competenza del giudice ordinario. Ha natura di appalto e non di concessione la 
convenzione per mezzo della quale il concessionario, oltre ad eseguire l'opera, deve 
redigere ilprogetto di massimd od esecutivo ed assumere l'iniziativa di promuovere 
per il concedente i procedimenti di occupazione e di espropriazione per pubblica 
utilit�; spetta pertanto al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie aventi 
ad oggetto diritti soggettivi derivanti da una tale concessione (3). 

Il profilo acquista particolare consistenza ove si avverta che l'impugnazione del lodo 
arbitrale � a critica vincolata cosicch� la parte che abbia dedotto, a ragione, la nullit� del 
compromesso o della clausola compromissoria e/o il difetto di giurisdizione, senza svolgere 
difese attinenti al merito della controversia, potrebbe, poi, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 
31 bis e della declaratoria della giurisdizione ordinaria, trovarsi preclusa la possibilit� di far 
valere le sue ragioni di merito, in ordine alla controversia. E ad analoghe conclusioni si perviene 
nell'ipotesi di controversie con caratteri analoghi a quelli descritti, pendenti dinanzi ad un giudice 
ordinario, in considerazione delle preclusioni introdotte nel giudizio civile. 

La sentenza delle Sezioni Unite, 18 maggio 2000 n. 366, pubblicata mentre la nota era in 
corso di stampa, sfrutta l'occasione di una controversia (ritenuta dalla Corte) attinente a questioni 
su diritti soggettivi derivanti da un contratto di appalto di opere pubbliche per un'articolata 
rassegna dei principi altre volte affermati in sede di interpretazione dell'art. 31 bis della legge 11 
febbraio 1994 n. 109. 

Anche se una tale rassegna poteva essere evitata in considerazione della natura della 
controversia, la Corte, avvertita del disagio che tuttavia suscita l'interpretazione in pi� occasioni 
proposta, ha giudicato �Utile soffermarsi ancora sull'argomento�, avvalorando l'opinione della 
necessit� di una ulteriore messa a punto delle tesi formulate. 

Le Sezioni Unite della Cassazione concludono per l'applicazione dell'art. 31 bis anche alle 
liti pendenti alla data di entrata in vigore di detta disposizione aventi ad oggetto diritti soggettivi 
derivanti esclusivamente da concessioni di sola costruzione, senza che possa ritenersi la nullit� di 
precedenti clausole compromissorie in ordine a controversie gi� sottratte alla cognizione del 
giudice ordinario. 

A ben vedere, la formula impiegata dal legislatore nel comma 5 dell'art. 31 bis: �Le 
disposizioni del presente articolo si applicano anche alle controversie relative ai lavori appaltati 
e concessi anteriormente alla data di entrata in vigore , della presente legge� � orientata ad 
assegnare validit� alle clausole compromissorie relative alle controversie prima indicate, non 
sembra, per�, consentire la conclusione di una volont� legislativa diretta ad attribuire anche 
effetto retroattivo all'equiparazione, ai fini della tutela giurisdizionale, delle concessioni di una 
sola costruzione agli appalti nei giudizi pendenti. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITI'O E PROCEDURA CIVILE 

385 

I 

(omissis) Con i tre connessi motivi del ricorso si denunzia la violazione degli 
art. 1comma3� della legge 8 agosto 1977 n. 584, 31 bis, commi 4� e 5� della legge 
11 febbraio 1994 n. 109 (come modificato dall'art. 9 del d.l. n. 101 del 1995 
convertito nella legge n. 216 del 1995), 43 del d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, 345 e 
349 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F e 35 del r.d. 25 maggio 1895 n. 350, e 
si censura la sentenza impugnata per avere il Consiglio di Stato dichiarato la 
giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo e conseguentemente la nullit� 
della clausola compromissoria con la quale la controversia era stata devoluta al 
Collegio arbitrale. In particolare si osserva che il Consiglio di Stato � pervenuto a 
questa conclusione erronea perch� ha ritenuto che il provvedimento di decadenza 
aveva avuto come suo oggetto una concessione traslativa di funzioni pubbliche 
(concessione di sola costruzione) alla quale era applicabile l'art. 5 della legge 

n. 1034 del 1971 vigente al momento della proposizione della domanda. Si doveva, 
invece, ritenere la fattispecie disciplinata dalle norme relative all'appalto essendo 
l'art. 31 bis della legge n. 109 del 1994 operante anche nei confronti delle 
controversie riguardanti le concessioni di data anteriore alla sua entrata in vigore. 
Pertanto, essendo sorta la causa dall'esecuzione della concessione di sola 
costruzione, si verteva in materia di diritti soggettivi, come pi� volte affermato dalla 
Corte di Cassazione per gli appalti, e si sarebbe dovuta riconoscere la giurisdizione 
dell'Autorit� giudiziaria ordinaria. 
Il ricorso � fondato. 

Queste Sezioni Unite hanno pi� volte affermato che qualora l'Amministrazione 
pubblica conferisca al privato l'incarico limitato alla costruzione di un'opera 
pubblica, si costituisce tra costoro un rapporto d'appalto anche se � definito 
erroneamente di concessione e che dall'appalto si distingue, invece, la concessione 
cd. di sola costruzione per la quale si richiede che il concessionario si sia obbligato 
ad eseguire oltre all'opera materiale anche una serie di attivit� (progettazione 
dell'opera, direzione dei lavori, sorveglianza, espletamento delle procedure 
espropriative, scelta degli appaltatori, ecc ....) il cui esercizio presuppone che gli 
siano state trasferite dall'Autorit� concedente le funzioni pubbliche necessarie per 
l'esecuzione dell'opera (sent. sez. 1a n. 2602 del 1983 e Sez. Un. nn. 12221 del 
1990, 12966 del 1991, 12166 del 1993). Tale precisazione ha determinato le stesse 

Come � noto, le formule tradizionali di diritto transitorio hanno normalmente contenuto 
diverso (cos�, ad esempio, la disposizione si applica ai giudizi pendenti alla data di entrata in 
vigore della legge). Peraltro una tale formula poteva, perfino, ritenersi imposta dal nuovo testo 
dell'art. 5 c.p.c. (arg. ex Cass., Sez. Un., 1� luglio 1997, n. 5899 cit. e Cass., Sez. Un., 10 maggio 
1995 n. 5117, in Foro it., I, 186 ss., 190 ss.). 

In estrema sintesi, gli elementi interpretativi impiegati dalla Corte, in una lettura coordinata 
degli artt. 31 bis e 5 c.p.c., non appaiono risolutivi per giustificare la sottrazione al Giudice 
amministrativo di controversie pendenti a questi riservate n� a confermare, al tempo stesso, 
l'attivit� di giudici ordinari svolte in ipotesi in cui questi, alla data di instaurazione del giudizio, 
erano sprovvisti del potere di decidere. 

GIACOMO ARENA 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT<:>

386 

Sezioni Unite a dichiarare la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo per 
le controversie in materia di concessioni di sola costruzione sul presupposto che, per 
identit� di ratio, l'art. 5 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 riguardi non solo le 
concessioni di servizi pubblici, alle quali espressamente si riferisce, ma anche le 
concessioni d! funzioni pubbliche. 

Con l'entrata in vigore della legge 11 febbraio 1994 n. 109 (introdotto dall'art. 
9 del d.1. 3 aprile 1995 n. 101, convertito con modificazioni nella legge 2 giugno 
1995 n. 206) la competenza giurisdizionale per le controversie insorte in tema di 
concessioni di sola costruzione � stata modificata perch� sono stati ad esse estesi i 
criteri ordinari di riparto della giurisdizione applicati agli appalti disponendosi che 
�Ai fini della tutela giurisdizionale, le concessioni in materia di lavori pubblici sono 
equiparate agli appalti�. 

Per il Consiglio di Stato la norma dell'art. 31 bis � inapplicabile alla controversia 
in esame giacch� per l'art. 5 del codice di procedura civile la giurisdizione 
si determina in base alla legge vigente al momento della proposizione della 
domanda (nella specie risalente a data precedente all'entrata in vigore della legge 

n. 109 del 1994), mentre non hanno alcuna rilevanza i successivi mutamenti 
legislativi. 
Tale tesi non pu� condividersi perch�, come questa Corte ha gi� altre volte 
deciso, l'unica interpretazione che giustifica la formulazione da parte del legislatore 
della norma dell'art. 31 bis � quella secondo cui con questa si � inteso derogare 
all'art. 5 del codice di procedura civile stabilendosi che anche per le controversie 
pendenti, in tema di concessioni, alla data di entrata in vigore della legge 11 febbraio 
1994 n. 109 la giurisdizione si determina con le medesime regole applicabili alle liti 
riguardanti gli appalti. E in proposito, si � osservato che la parola controversie, 
adoperata nell'art. 31 bis, � riferita nel linguaggio tecnico �a liti gi� pendenti davanti 
al giudice e non a situazioni conflittuali preprocessuali�, e che la norma non avrebbe 
alcuna utilit� se concernesse soltanto le controversie insorte dopo la sua entrata in 
vigore in quanto la nuova disciplina si applicherebbe a queste ultime, anche in sua 
assenza, ai sensi dell'art. 5 del codice di procedura civile per il quale, come si � 
detto, la giurisdizione si determina applicando la legge vigente al momento della 
proposizione della domanda (v. sent. Sez. Un. n. 9481 del 1997). 

Nel caso concreto tra l'Amministrazione pubblica e il raggruppamento di 
imprese si era costituito un rapporto di concessione di sola costruzione perch� 
a queste erano state trasferite funzioni pubbliche con il conferimento dell'incarico 
della direzione dei lavori e del compito di stipulare contratti d'appalto. 
Pertanto per la determinazione della giurisdizione deve applicarsi l'art. 31 bis 
della legge n. 109 del 1994 e accertarsi se la causa verta in materia di interessi 
legittimi o di diritti soggettivi. Al quesito si deve rispondere che la controversia 
ha per oggetto una questione di diritto soggettivo perch� con il decreto del 22 giugno 
1993 il Provveditore delle opere pubbliche per la Campania aveva pronunciato 
la decadenza della concessione-contratto non per ragioni sopravvenute di 
interesse generale, ma per l'inadempimento (notevole e ingiustificato ritardo nella 
presentazione del progetto e delle carenze del medesimo sotto gli aspetti economico 
e tecnico) da parte del raggruppamento di imprese degli obblighi derivanti 
dalla concessione. 


PARTE I, SEZ. lii, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CMLE 

La controversia insorta per effetto della domanda con la quale si � contestata la 
legittimit� del provvedimento di decadenza deve essere perci� decisa dal Giudice 
ordinario del quale si dichiara la giurisdizione. (omissis) 

II 

(omissis) 1. -A fondamento del primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce 
difetto di giurisdizione (art. 360 comma 1, n. 1 cod. proc. civ.); violazione dell'art. 
5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034. 

La Corte d'Appello ha sottovalutato il significato del conferimento 
all'Associazione temporanea di imprese dei poteri in materia di esproprio occorrenti 
per l'esecuzione dell'opera. Ci� configurava il trasferimento dei poteri di natura 
pubblicistica, ragion per cui l'operazione traslativa non poteva essere oggetto di un 
negozio di diritto privato e nella convenzione si doveva riconoscere un atto di tipo 
concessorio. Donde la giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi. 

D'altra parte, la disposizione di cui all'art. 31 bis, comma 4 della legge 11 
febbraio 1994, n. 109 -come interpretato dall'art 9 d.l. 3 aprile 1995, n. 101, 
convertito con modificazioni dalla legge 2 giugno 1995, n. 216 -non pu� non aver 
inciso sul principio processuale della perpetuatio jurisdictionis e, perci�, non si 
applica ai processi precedentemente pendenti. 

2. -Il primo motivo del ricorso deve essere rigettato e deve dichiararsi la 
giurisdizione del giudice ordinario. 
2.2-� risaputo che, a norma dell'art. 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034, erano 
devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi contro gli 
atti ed i provvedimenti relativi alla concessione di beni e pubblici servizi. 

A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 31 bis, comma 4 della legge 11 febbraio 
1994, n. 109 -introdotto dall'art. 3 d.l. 3 aprile 1995, n. 101, convertito, con 
modificazioni, in legge 2 giugno 1995, n. 206 -�ai fini della tutela giurisdizionale, 
le concessioni in materia di lavori pubblici sono equiparate agli appalti�. 

Secondo la interpretazione dominante, le controversie relative alle concessioni 
di costruzioni di opere pubbliche devono rimanere assoggettate agli ordinari criteri 
di riparto giurisdizionale in tema di appalto di opere pubbliche, con la conseguenza 
che tali controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo, ai sensi del ricordato art. 5 legge n. 1034 del 1971, soltanto in 
ordine ai profili riguardanti la vicenda traslativa delle pubbliche funzioni (Cass., 
Sez. Un., 26 settembre 1997, n. 9481). Vale a dire, qualora lo strumento concessorio 
attui il trasferimento di pubblici poteri (Cass., Sez. Un., 9 dicembre 1996, n. 10955); 
implichi, cio�, l'attribuzione e l'esercizio di poteri e di facolt� propri dell'ente 
pubblico concedente (Cass., Sez. Un., 9 dicembre 1996, n. 10559), ovvero abbia un 
oggetto pi� esteso e si riferisca anche alla progettazione ed alla gestione 
dell'impianto da costruire (Cass., Sez. Un., 11novembre1997, n. 11132). 

Per contro, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario (e parimenti quella 
arbitrale, se prevista dal rapporto) per le controversie che abbiano ad oggetto 
questioni relative a diritti soggettivi, perch� concernenti gli altri aspetti del rapporto 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

388 

tra la Pubblica Amministrazione ed il privato, tra cui quelli pi� specificamente 
attinenti 'all'attivit� di costruzione dell'opera pubblica, qualificabili in termini di 

l ili


appalto (Cass., Sez. Un., 13 giugno 1996, n. 5450; Cass., Sez. Un., 26 settembre 
1997, n. 9481, cit. ). 

2.3 -L'art. 31 bis della legge n. 109 del 1994 al quinto comma stabilisce che le 
disposizioni suddette �Si applicano anche alle controversie relative ai lavori 
appaltati o concessi anteriormente ali'entrata in vigore della presente legge� (cio� 
della legge 11 febbraio 1994, n. 109, pubblicata nel supplemento ordinario della 
I

G.U. n. 41 del 19 febbraio 1994). 
Tale disposizione trova applicazione non soltanto ai giudizi che alla data di 
entrata in vigore della legge pendevano innanzi ai giudici ordinari, ma anche ai 
giudizi instaurati a seguito della impugnativa di un lodo arbitrale, allorch� la � 
domanda sia stata introdotta innanzi agli arbitri prima della data suddetta: sempre 
che la controversia abbia ad oggetto posizioni di diritto soggettivo (Cass., Sez. Un., 
26 settembre 1997, n. 9481, cit.). 

Peraltro, la nuova formulazione dell'art. 5 cod. proc. civ. (�La giurisdizione e 
la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto 
esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza 
rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo�) non 
esclude che, nei giudizi pendenti, debbano trovare applicazione le norme 
sopravvenute, le quali, diversamente regolando la giurisdizione, la attribuiscano al 
giudice davanti al quale la domanda � stata proposta (Cass., Sez. Un., 8 luglio 1996, 

n. 6231). 
Secondo l'orientamento formatosi nel vigore del testo precedente dell'art. 5 
cod. proc. civ., il giudice, sfornito di giurisdizione al tempo della domanda, non 
poteva dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, ma doveva decidere la causa nel 
merito se, nel corso del processo, sopravveniva, per effetto di mutamenti legislativi 

o dello stato di fatto, un criterio di collegamento tra la controversia e l'ufficio 
giudiziario adito. La dottrina e la giurisprudenza, in sostanza, disattendevano la 
formula letterale della norma in favore di una lettura funzionale della stessa che, 
essendo diretta a favorire e non ad impedire la perpetuatio jurisdictionis, doveva 
interpretarsi nel senso di considerare irrilevante lo jus superveniens se idoneo a 
privare il giudice adito della giurisdizione che aveva al momento della proposizione 
della domanda, mentre doveva considerarsi rilevante nell'ipotesi inversa. 
Le medesime esigenze di economica dei giudizi suggeriscono la stessa 
interpretazione del testo vigente. La statuizione della giurisdizione sopravvenuta 
evita lo spreco delle energie processuali, che deriverebbe dalla declaratoria del 
difetto di giurisdizione del giudice adito e della successiva riproposizione della 
domanda davanti a lui, cui la giurisdizione viene attribuita dalla legge sopravvenuta. 
Tale lettura funzionale deve essere riproposta nel momento attuale in cui il 
legislatore, con una norma speciale, mostra di voler reagire ad una interpretazione 
formalistica dell'art. 5 cit., che talora ha portato alla caducazione di interi processi. 

Avuto riguardo alla equiparazione, ai fini della tutela giurisdizionale, delle 
concessioni agli appalti, deve concludersi che l'art. 31 bis comma 4 trova 
applicazione nei giudizi i quali, alla data della entrata in vigore della disposizione, 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA Cl\nLE 

pendono davanti al giudice ordinario, quante volte, controvertendosi su posizioni di 
diritto soggettivo, la giurisdizione del giudice ordinario ne risulti confermata. 

2.4 -Stando alla sentenza impugnata, tra le parti non vi fu trasferimento di 
pubblici poteri in materia di esproprio, come sostiene il ricorrente, ma soltanto 
l'attribuzione alla Associazione temporanea di imprese del compito di intraprendere 
gli atti occorrenti per le occupazioni di urgenza e per le espropriazioni �in nome e 
per conto� di esso Ente committente: il che significa i poteri di richiedere alle 
autorit� competenti i provvedimenti di autorizzazione alla occupazione d'urgenza e 
di espropriazione. 
Non essendo intervenuto trasferimento di poteri ed essendo oggetto della 
controversia questioni afferenti all'adempimento o no del contratto di appalto 
(ovverosia questioni di diritto soggettivo), sussiste la giurisdizione del giudice 
ordinario. (omissis) 

III 

(omissis) 1. -Il secondo motivo del ricorso, attinente alla giurisdizione, 
prospetta l'esistenza di vizi di violazione di norme di diritto e di norme sul 
procedimento, oltre che vizi di difetto di motivazione su punto decisivo della 
controversia (art. 360, nn. 1, 3, 4 e 5, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 5, 806, 
808 e 829 dello stesso codice, nonch� agli artt. 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e 
31 bis, legge 11febbraio1994, D. 109). / 

Vi si svolgono queste considerazioni. 

La controversia � sorta nel corso dell'esecuzione di un rapporto di concessione. 

La giurisdizione andava regolata sulla base dell'art. 5 della legge 1034 del 
1971, che, in materia. di concessioni, attribuisce al giudice ordinario e quindi agli 
arbitri le sole controversie che vertono su corrispettivi e non richiedono la soluzione 
di questioni che riguardano la legittimit� dell'atto di concessione, l'interpretazione 
dei patti che regolano il rapporto o lo scioglimento di questo. 

Le domande sottoposte alla cognizione del collegio arbitrale non avevano ad 
oggetto il pagamento di corrispettivi, od almeno non avevano solo questo oggetto, 
perch� implicavano appunto la soluzione di questioni del tipo prima detto: il 
Consorzio aveva infatti inteso, tra l'altro, sottrarsi ad obbligazioni assunte o rinunzie 
fatte negli atti aggiuntivi sostenendone l'invalidit�. 

Sulla disciplina della giurisdizione che deriva dall'art. 5 della legge 1034 del 
1971, non pu� incidere la disposizione introdotta, come art. 31 bis della legge 109 
del 1994, dall'art. 9 del d.l. 3 aprile 1995, n. 101. 

Questo perch� la disposizione non si applica alle controversie, in senso 
sostanziale, sorte prima della sua entrata in vigore. 

Che, se, al contrario, la disposizione dovesse riguardare anche le controversie 
in senso sostanziale sorte prima della sua entrata in vigore, tuttavia resterebbe il 
fatto che la clausola compromissoria inserita nella convenzione stipulata prima 
dell'entrata in vigore della legge avrebbe dovuto essere considerata nulla, per il fatto 
d'essere stata pattuita per controversie a quel tempo sottratte alla giurisdizione del 
giudice ordinario, o quantomeno non avrebbe potuto esservi applicata. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAT<Y"

390 

D'altra parte, agli artt. 31 bis e 32 della legge 109 del 1994, nel testo derivante 
dal d.l. 101del1995 e dalla legge di conversione 2 giugno 1995, n. 216, non si pu� 
prestare la portata d'avere configurato una competenza arbitrale in assenza di un 
accordo tra le parti per deferire la controversia agli arbitri. 

2. -Il motivo non � fondato. 
La questione di giurisdizione deve essere decisa mediante la statuizione che le 
domande su cui � stato pronunciato il lodo appartengono alla giurisdizione del 
giudice ordinario e costituivano possibile oggetto della clausola compromissoria in 
base alla quale gli arbitri ne hanno conosciuto. 

3. -La giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento 
della proposizione della domanda (art. 5 cod. proc. civ.). 

La domanda di arbitrato � stata notificata il 6 dicembre 1995. 

Il 3 aprile 1995 era entrato in vigore il d.l. 3 aprile 1995, n. 101, il cui art. 9, 
convertito in legge senza modifiche (con la legge 2 giugno 1995, n. 216), aveva 
introdotto nella legge 11 febbraio 1994, n. 109 l'art. 31 bis. 

Questo, al quarto comma, contiene la seguente disposizione: �Ai fini della 
tutela giurisdizionale le concessioni in materia di lavori pubblici sono equiparate 
agli appalti�. 

Per concludere nel senso che le domande su cui � stato pronunciato il lodo 
rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario potrebbe sembrare sufficiente il 
richiamo di tale disposizione. 

I 

E ci� per le seguenti considerazioni. 

I

La norma appena richiamata sta a significare che le concessioni in materia di 
lavori pubblici, quanto alla giurisdizione, sono considerate appalti e quindi sono 
soggette alla regola generale per cui le controversie su diritti soggettivi spettano al 

I 

giudice ordinario, quelle su interessi legittimi al giudice amministrativo. 
L'affermazione da cui parte il motivo, che la controversia � sorta nel corso 

Ir: 

dell'esecuzione di un rapporto di concessione, non vale per s� a sottrarla all'ambito 
di applicazione della norma: la concessione ha infatti riguardato l'esecuzione di 
lavori pubblici. 

Tutte le domande su cui � stato pronunciato il lodo concernono diritti soggettivi: 
l'oggetto ne � stato la condanna al pagamento di somme di denaro, come 
risarcimento di danni da inadempimento contrattuale; gli inadempimenti imputati al 
concedente sono stati di non avere cooperato a rendere possibile al concessionario 
di eseguire i lavori nel rispetto dei termini contrattuali e di avere ritardato le 
operazioni di collaudo e presa in consegna delle opere. 

Queste considerazioni, per�, esauriscono solo un aspetto del motivo, il primo, 
non anche il secondo, quello, in particolare, in cui si postula che gli arbitri non 
avrebbero potuto pronunciare sulle domande loro proposte, perch�, all'epoca della 
convenzione di concessione, vigeva una diversa norma sulla giurisdizione e quel 
tipo di domande rientrava nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 
sicch� la clausola compromissoria, a loro riguardo, avrebbe dovuto essere 
considerata nulla per impossibilit� dell'oggetto o inapplicabile. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 

Su tale aspetto della questione interferisce una seconda disposizione contenuta 
nell'art. 31 bis, dettata dal quinto comma, a termini della quale, tutte le disposizioni 
dello stesso articolo, e perci� quella del quarto comma prima considerata, �... si 
applicano anche alle controversie relative ai lavori appaltati o concessi 
anteriormente alla data di entrata in vigore� della legge 109 del 1994. 

Si tratta peraltro di un problema ormai pi� volte affrontato da queste sezioni 
unite e sempre risolto nel senso della validit� del lodo pronunciato sulla base di 
clausole compromissorie e concessioni anteriori all'entrata in vigore della legge 109 
del 1994 (ci� a partire dalla sentenza 13 ottobre 1996 n. 8647, sino alla sentenza 10 
agosto 1999 n. 580). 

Ritengono tuttavia le sezioni unite che sia utile soffermarsi ancora sull'argomento. 

Sembra alla Corte che la soluzione gi� attinta risulter� pi� chiaramente 
giustificata, una volta che sia ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale 
relativo alle concessioni in materia di lavori pubblici, che si � delineato nel torno di 
anni interessato dalla presente vicenda. 

4. -Nel 1981, epoca cui risale la convenzione di concessione che ha dato origine 
al rapporto ed alla controversia, mancava nell'ordinamento una disposizione espressa 
che regolasse in modo specifico la giurisdizione sulle controversie tra concedente e 
concessionario nel settore delle concessioni in materia di lavori pubblici. 
In quello delle concessioni di beni e servizi, invece, gi� da tempo, con l'art. 5 
della legge 1034 del 1971, tali controversie erano passate alla giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo, salvo quelle che riguardavano solo indennit�, 
canoni ed altri corrispettivi. 

Di questa disposizione, nella giurisprudenza, non s'era ancora prospettata 
l'interpretazione, pi� tardi accolta dalle sentenze di queste sezioni unite, 3 dicembre 
1991 n. 12966 e 10 dicembre 1993 n. 12166, che la norma dovesse applicarsi anche 
nel settore delle concessioni in materia di lavori pubblici. 

Perci�, in questo settore, poteva essere ritenuta applicabile la regola generale di 
riparto, risultando in tal modo un identico trattamento, dal punto di vista della 
giurisdizione, tra concessioni ed appalti. 

Ci� non stava naturalmente a significare che da una concessione o da un appalto 
non potessero sorgere se non le medesime controversie; significava, bens�, che le 
concrete controversie insorte si sarebbero ripartite tra giudice ordinario ed 
amministrativo in base al medesimo criterio, i diritti soggettivi all'uno, gli interessi 
legittimi all'altro. 

Ne derivava, che le convenzioni di concessione come i contratti di appalto 
potevano prevedere che le controversie nascenti dal rapporto sarebbero state deferite 
ad arbitri e che tale attribuzione di competenza sarebbe valsa per le controversie su 
diritti (essendo comunemente accettato, almeno in ambito giurisprudenziale, che 
agli arbitri non potesse attribuirsi l'ufficio di conoscere di controversie spettanti al 
giudice amministrativo, neppure quelle, rientranti nella sua giurisdizione esclusiva, 
ma vertenti su diritti). 

4.1. -Questo assetto della giurisdizione nel settore delle concessioni in materia 
di lavori pubblici poteva essere considerato trovare conforto in altri indici normativi, 
sia pure rappresentati da disposizioni ad applicazione non generale. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO,, 

392 

Il primo era costituito dall'art. 16 della legge 14 maggio 1981, n. 219, che 
conteneva la disciplina del tipo di concessione, di cui si � poi trattato nel caso in 
esame, quello per l'esecuzione degli interventi previsti nel quadro della ricostruzione 
dei territori colpiti dai terremoti del 1980 e 1981: il quarto comma dell'art. 16, 
alla lett. i), prevedeva che le convenzioni di concessione potessero contenere 
clausole compromissorie. 

Il secondo era rappresentato dall'art. 1, primo comma, della legge 8 agosto 
1977, n. 584 -con cui erano state dettate le norme di adeguamento delle procedure 
di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici alle direttive della Comunit� 
europea: il secondo comma dell'art. 1 della legge, ai fini dell'applicazione di questa, 
aveva equiparato la concessione di sola costruzione all'appalto, mentre il primo 
comma dell'art. 3 aveva sottratto all'applicazione della stessa legge gli appalti per i 
quali la controprestazione dei lavori da eseguire fosse consistita unicamente nel 
diritto di gestire l'opera oppure in tale diritto accompagnato da un prezzo. 

4.2. -Le disposizioni dettate dalla legge n. 584 del 1977 mostrano come, dal 
punto di vista dei procedimenti di aggiudicazione, anche se nei limiti di applicazione 
della legge, il meccanismo di realizzazione delle opere pubbliche rappresentato 
dalla concessione non si presta pi� ad una disciplina unitaria, perch� esso 
sottintende realt� economiche e giuridiche di tipo diverso. 
Per le opere da eseguire a spese o col sussidio dello Stato, la legge 24 giugno 
1929, n. 1137 aveva previsto che opere pubbliche di qualsiasi natura potessero 
essere concesse in esecuzione a enti locali, consorzi e privati, anche indipendentemente 
dal loro esercizio. 

Ma l'adeguamento alla disciplina comunitaria degli appalti impone di negare 
specificit� alla concessione, rispetto all'appalto, se il corrispettivo per l'esecuzione 
dell'opera non � la sua gestione e perci� di negare specificit� alle concessioni che, 
in questo senso e per contrapposizione alle altre, erano e sono chiamate di sola 
costruzione. 

Tuttavia l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale pone in rilievo che per il 
loro oggetto le concessioni di sola costruzione possono presentare un vario 
contenuto. 

Al concessionario, infatti, possono essere affidati solo compiti che sono bens� 
ulteriori rispetto a quello di eseguire l'opera, ma non estranei per s� al contratto di 
appalto (quali il redigere il progetto dell'opera od il richiedere le necessarie 
occupazioni ed espropriazioni, compiti l'uno e l'altro suscettibili di essere compresi 
nell'oggetto del contratto di appalto di opere pubbliche, come si desumeva, per la 
progettazione, dagli artt. 4, primo comma e 8 della legge 8 agosto 1978, n. 584 e, 
per le occupazioni ed espropriazioni, gi� dall'art. 324, primo comma, legge 20 
marzo 1865, n. 2248, all. F ). 

Ma possono anche essergli affidati compiti propri della pubblica 
amministrazione, s� da sostituire il concessionario al concedente, solo per alcune, 
ma anche per tutte le opere (Cons. St., Sez. III, parere, 30 novembre 1982, 

n. 703/82), nello svolgimento delle attivit� che consistono nel farle eseguire ad altri 
soggetti, aggiudicando loro i relativi appalti e sorvegliandone l'esecuzione. 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

Con il conseguente delinearsi, accanto a concessioni aventi ad oggetto la 
costruzione dell'opera, da realizzarsi anche, ma non esclusivamente dal concessionario, 
di concessioni in cui il concessionario assume l'obbligazione di svolgere 
per il concedente un servizio, sostituendosi a lui nel compito di porre in essere le 
attivit� giuridiche e tecniche che precedono e rendono possibile l'esecuzione 
dell'opera. 

Il secondo di questi due tipi di concessione pu� d'altra parte atteggiarsi in due 
modi. 

Nel primo, quella del concessionario si presenta come obbligazione di risultato, 
perch� dal concessionario il concedente si attende il risultato della costruzione 
dell'opera, sicch� si resta pur sempre nel campo della concessione, di sola costruzione, 
in materia di lavori pubblici (Cons. St., Sez. Il, parere, 16 gennaio 1991 

n. 1311; su tale fattispecie, in prosieguo, Cons. St., Sez. VI, 20 maggio 1997 n. 740). 
Nel secondo, quella del concessionario assume i connotati di un'obbligazione 
di mezzi, limitata al diligente espletamento delle attivit� necessarie a pervenire 
all'aggiudicazione dei lavori e a sovrintendere al suo svolgimento. 

Ma questo ultimo tipo, definito come concessione di committenza nel settore 
dei lavori pubblici, travalica il campo della concessione avente ad oggetto la 
costruzione dell'opera, per assumere i connotati di una concessione di servizi (Cons. 
St., Sez. III, parere, 4 dicembre 1990 n. 192). 

Non � il caso di ripercorrere qui anche l'itinerario lungo il quale si � snodata la 
questione del regime di aggiudicazione di queste concessioni di opere o di servizi. 

Basta segnalare che la giurisprudenza amministrativa � pervenuta ad affermare 
che il regime di aggiudicazione degli appalti si applica ad ogni tipo di concessione 
di opere (Cons. St., Sez. IV, 18 gennaio 1996 n. 54). 

4.3. -Sono casi di concessione che presentano la caratteristica d'avere s� ad 
oggetto la costruzione, ma di prevedere la sostituzione del concessionario al 
concedente in attivit� proprie del committente, a richiamare l'attenzione delle 
sezioni unite nelle occasioni in cui sono pronunciate le sentenze del 1991edel1993. 
Le sezioni unite pervengono alla conclusione che la disciplina della 
giurisdizione sulle controversie che sorgono da questo tipo di concessioni va tratta 
non dalla regola generale, ma da quella speciale dettata in materia di concessioni di 
beni e servizi dall'art. 5 della legge 1034 del 1971. 

Questa estensione dell'ambito di applicazione della norma speciale, nel 
pensiero delle sezioni unite, affonda la sua ragione d'essere, sostanzialmente, nella 
duplice considerazione per cui, quando il concedente sostituisce a s� il concessionario 
nello svolgimento delle attivit� di scelta del contraente e questa scelta deve 
avvenire nei modi dell'evidenza pubblica, mediante la concessione si realizza un 
assetto organizzativo che non si differenzia da quello che si ha nelle concessioni di 
servizi pubblici. 

Le sezioni unite sono indotte a preferire questa soluzione anche da esigenze di 
coerenza interna della propria giurisprudenza: da un lato, con la precedente sentenza 
29 dicembre 1990 n. 12221, � stato affermato che il concessionario, quando sceglie 
i contraenti cui affidare in appalto l'esecuzione delle opere e deve farlo seguendo le 
regole dell'evidenza pubblica, opera come organo indiretto dell'amministrazione 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT� .

394 

concedente, esercitando una funzione pubblica; dall'altro, alla giurisdizione 
esclusiva configurata dall'art. 5 della legge 1034 del 1971 � stata gi� ricondotta la 
concessione di riscossione delle imposte ed entrate pubbliche, che d� luogo ad un 
fenomeno di sostituzione nell'esercizio di funzioni pubbliche, sebbene la 
riscossione delle imposte sia qualificata normativamente come servizio pubblico. 

4.4. -Questo orientamento delle sezioni unite registra un'accoglienza critica. 
Esso si interseca, d'altra parte, con una rinnovata riaffermazione, sul piano 
sostanziale, della distinzione, nel settore delle opere pubbliche, tra concessioni di 
esecuzione e gestione e contratti che, per avere ad oggetto la costruzione, ma non la 
gestione, sono considerati appalti. 

Il d.lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, di attuazione della direttiva 89/440/CEE, in 
materia di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, sia pure 
anche qui ai fini della sua applicazione, introduce una distinta qualificazione degli 
appalti e delle concessioni di lavori pubblici. 

Sono appalti i contratti che hanno per oggetto �l'esecuzione di lavori pubblici 
oppure congiuntamente l'esecuzione e la progettazione di lavori pubblici, oppure 
l'esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un'opera pubblica� (art. 4.1.); sono concessioni 
i contratti aventi l'oggetto prima indicato, ma �caratterizzati dal fatto che la 
controprestazione a favore dell'impresa o dell'ente concessionario consiste unicamente 
nel diritto di gestire l'opera oppure in questo accompagnato da un prezzo�. 

4.5. -Lo stato della questione, prima che sia emanata la legge 11febbraio1994, 
n. 109, appare dunque il seguente. 
La concessione di opera pubblica non � un fenomeno giuridico unitario. 
Esso presenta connotati propri, che lo distinguono dall'appalto, quando chiesegue 
l'opera trova compenso alla sua attivit� nella successiva gestione della stessa 
opera, sola od accompagnata da un prezzo: � la concessione di esecuzione e gestione. 
La concessione che, per distinguerla dalla precedente � denominata di sola 
costruzione, presenta al suo interno due tipi. 

Il primo si connota per il fatto che all'obbligazione del concessionario di eseguire 
l'opera se ne accompagnano di accessorie, che normalmente non derivano 
dall'appalto, ma che se vi si aggiungono non modificano la causa del contratto di 
appalto. 

In questo caso si � in realt� in presenza di un appalto. 

Il secondo � caratterizzato dal fatto che, in tutto o in parte, la realizzazione 
dell'opera costituisce bens� un'obbligazione del concessionario, ma un'obbligazione 
che non deve essere da lui adempiuta direttamente e per il cui adempimento 
� previsto che egli si sostituisca al concedente nell'esercizio di attribuzioni di cui 
viene espressamente investito. 

La concessione di committenza si atteggerebbe invece come concessione non di 
opera, ma di servizi. 

Orbene, significherebbe tradirne il significato, se alle sentenze delle sezioni 
unite del 1991 e del 1993, si attribuisse la portata d'aver considerato rientrare nell'ambito 
di applicazione dell'art. 5 della legge 1034 del 1971 anche le controversie 
relative a concessioni che, per il loro contenuto, al di l� del nome, costituiscono 
appalti, pur se caratterizzati da obbligazioni accessorie. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDUR� ciV:u.E 

Nel pensiero delle sezioni unite, come si � visto, la ragione del dover 
assimilare alla concessione di servizi la convenzione per effetto della quale sono 
attribuiti al concessionario compiti propri del concedente estranei al momento esecutivo 
dell'opera sta nel fatto che, mediante questo tipo di concessione, 
l'amministrazione sostituisce il concessionario a s� nell'esercizio di un complesso 
di funzioni di natura amministrativa, sta dunque quasi in un temporaneo affidamento 
di un ufficio: non risiede invece nel fatto che l'appaltatore dell'opera � richiesto 
di compiti accessori. 

5. -La legge 11febbraio1994, n. 109 -all'art. 19 -escluder� che le amministrazioni 
aggiudicatrici possano affidare a soggetti pubblici o di diritto privato 
l'espletamento delle funzioni e delle attivit� di stazione appaltante di lavori pubblici 
(art. 19.3) e considerer� come sistemi di realizzazione dei lavori pubblici solo 
l'appalto (art. 19.1) e la concessione di costruzione e gestione (art. 19.2.) (l'art. 19 
ha subito modificazioni, per� non incidenti su tale struttura, da parte dell'art. 6 bis 
del d.L 3 aprile 1995, n. 101, conv. con modif. nella legge 2 giugno 1995, n. 216, e 
dall'art. 9.31. della legge 18 novembre 1998, n. 415). 
Nella legge 109 del 1994, dal decreto legge 101 del 1995, � stato inserito l'art. 
31 bis, di cui gi� si � detto. 

6. -Entrato in vigore l'art. 31 bis della legge 109 del 1994, la questione della 
giurisdizione sulle controversie in materia di concessione di lavori pubblici ha 
dovuto essere ripresa in esame. 
6.1.1. -Prima in ordine di tempo, la sentenza 13 giugno 1996 n. 5450, ha 
giudicato su un caso in cui la corte d'appello aveva annullato il lodo e pronunciato 
sul merito della controversia nella sede rescissoria. 
La concessione aveva avuto ad oggetto la progettazione e costruzione di un 
complesso di opere, anche mediante appalto a terzi. 

Dopo aver richiamato la precedente giurisprudenza, le sezioni unite hanno 
osservato che, in base al quarto comma dell'art. 31 bis, applicabile per il quinto 
comma anche nei giudizi iniziati prima dell'entrata in vigore della legge 109 del 
1994, la giurisdizione su controversie di diritto derivate da concessioni di sola 
costruzione restava devoluta al giudice ordinario. 

6.1.2. -La sentenza 13 ottobre 1996 n. 8647 ha giudicato su un caso in cui la 
corte d'appello aveva rigettato l'impugnazione di nullit� del lodo. 
La concessione aveva avuto ad oggetto la costruzione di un complesso di 
alloggi. 
Le sezioni unite, richiamano la giurisprudenza del 1991 e 1993, ma osservano 
che l'interpretazione che esse hanno dato dell'art. 5 della legge del 1971 concerne 
esclusivamente la vicenda traslativa delle pubbliche funzioni inerenti all'attivit� 
organizzativa e direttiva dell'opera pubblica, e non anche gli altri aspetti del 
rapporto fra la pubblica amministrazione ed il privato, ed in particolare quelli pi� 
specificamente concernenti l'attivit� di costruzione dell'opera pubblica, per i quali 
si impone la definizione in termini di appalto. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT(} � 

Concludono considerando che ci� trova del resto conferma nella disposizione 
introdotta dall'art. 31 bis. 
La giurisdizione del giudice ordinario viene affermata in base al rilievo che la 
controversia concerne proprio i rapporti inerenti all'appalto. 
Lo stesso schema di ragionamento � seguito dalla successiva sentenza 9 
dicembre 1996 n. 10955. 

La concessione aveva avuto ad oggetto la progettazione ed esecuzione di un 
complesso di opere; il lodo arbitrale era stato annullato dalla corte d'appello, che 
aveva poi pronunciato sul merito della controversia in sede rescissoria. 

Le sezioni unite osservano che nel caso si controverte unicamente circa la 
liquidazione di posizioni patrimoniali conseguenti alla semplice realizzazione 
dell'opera pubblica commissionata, intesa come mera attivit� materiale di 
costruzione, con esclusione di ogni riferimento a funzioni e attivit� diverse ed 
ulteriori implicanti l'attribuzione e l'esercizio di poteri e facolt� propri dell'ente 
pubblico concedente: perci�, sulla questione di giurisdizione non interferisce la 
giurisprudenza per cui appartengono alla giurisdizione esclusiva le controversie 
relative alla concessione di sola costruzione, qualora con lo strumento concessorio 
si attui una traslazione di pubblici poteri. 

All'art. 31 bis le sezioni unite si richiamano per osservare che la norma incide 
risolutivamente sulla qualificazione del rapporto, risolvendo ogni possibile dubbio 
sulla scelta giurisdizionale ed escludendo la giurisdizione del giudice 
amministrativo. 

6.1.3. -Delle tre decisioni appena richiamate, la prima e la terza sono 
pronunciate dopo sentenze della corte d'appello che hanno pronunciato sul merito 
della controversia a seguito di annullamento di lodo, la seconda dopo sentenza che 
ha rigettato la domanda di annullamento. 
La prima decisione appare resa sul presupposto di una concessione che 
prevedeva anche la possibilit� di affidare a terzi l'esecuzione delle opere, la seconda 
e la terza lo sono sulla base di concessioni che all'esecuzione hanno aggiunto la 
progettazione. 

Oggetto di tutte le controversie appaiono essere state pretese connesse ad attivit� 
di progettazione ed esecuzione dei lavori da parte del concessionario e non pretese 
connesse allo svolgimento di attivit� correlate all'affidamento di opere a terzi. 

La prima decisione fa direttamente leva sull'art. 31 bis, le altre richiamano la 
nuova norma come elemento di sostegno ad una soluzione attinta gi� sulla base del 
diritto preesistente. 

Su questo tratto si soffermano le sezioni unite nella successiva sentenza 12 
giugno 1997 n. 5299. 

La decisione � resa su sentenza della corte d'appello che ha annullato il lodo per 
difetto di giurisdizione; la controversia, su diritti soggettivi, � sorta nel corso 
dell'esecuzione di una concessione per la progettazione e realizzazione di un 
complesso di opere. 

Le sezioni unite affermano la giurisdizione del giudice ordinario e svolgono due 
argomenti. 
Il primo si raccorda all'impostazione data al problema dalle sentenze del 1996. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRIITO E PROCEDURA CIVILE 

Il secondo � inteso a mostrare come, per fondare la giurisdizione del giudice 
ordinario, non sia necessario postulare che l'art. 31 bis riguardi anche le cause 
iniziate prima dell'entrata in vigore della legge 104 del 1994, perch� quand'anche 
la norml! avesse attribuito al giudice ordinario una giurisdizione di cui in precedenza 
era privo, ci� basterebbe ad impedire che possa dichiararsene il difetto di 
giurisdizione rispetto a cause svoltesi davanti agli arbitri e poi davanti al giudice 
ordinario. 

Questo itinerario logico � riproposto dalla sentenza 29 ottobre 1997 n. 10634. 

Nel caso, peraltro, la concessione non aveva avuto come oggetto solo la 
progettazione ed esecuzione dei lavori; vi era stato previsto che il concessionario 
potesse appaltare i lavori a terzi e curare la direzione dei lavori; oggetto della 
controversia era stato il diritto del concessionario ad ottenere un risarcimento per 
aver dovuto subire una sospensione dei lavori a suo avviso disposta e protrattasi al 
di fuori dei limiti consentiti. 

6.1.4. -Tra le due decisioni appena richiamate si colloca la sentenza 26 
settembre 1997 n. 9481, resa in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, 
richiesto in giudizio iniziato davanti al tribunale prima dell'entrata in vigore dell'art. 
31 bis. 
La controversia � sorta in sede di esecuzione di una concessione per la progettazione 
e costruzione di un ospedale. 
Le sezioni unite si pongono espressamente il problema della portata del quinto 
comma dell'art. 31 bis. 

Lo risolvono nel senso che la disposizione � volta ad estendere anche ai giudizi 
gi� pendenti l'equiparazione, agli effetti della giurisdizione, delle concessioni agli 
appalti. 

Osservano che, diversamente, la disposizione non sarebbe stata necessaria. 

L'applicazione della norma sulla giurisdizione ai giudizi iniziati successivamente, 
sia pure relativi a contratti stipulati prima, sarebbe stata inevitabile conseguenza 
del principio per cui la giurisdizione si determina con riguardo alla legge in 
vigore alla data della domanda. 

Col quinto comma dell'art. 31 bis il legislatore ha inteso invece derogare all'altro 
principio, pure sancito nell'art. 5 cod. proc. civ., per cui i mutamenti della legge 
vigente alla data della domanda non sono influenti. 

6.1.5. -La sentenza 11 novembre 1997 n. 11132 affronta, per la prima volta 
in modo espresso, un problema che non riguarda il quinto, ma il quarto comma 
dell'art. 31 bis, ovverosia se l'equiparazione agli appalti delle concessioni in materia 
di lavori pubblici riguardi anche le concessioni di gestione. 
Nel caso, la controversia era sorta da una convenzione per la progettazione, 
costruzione e gestione di un impianto di distruzione di rifiuti urbani. 

L'ente concedente aveva ritenuto non conforme alla convenzione il progetto 
predisposto dal concessionario e la controversia portata davanti agli arbitri era stata 
decisa con lodo annullato per difetto di giurisdizione. 

Le sezioni unite rigettano il ricorso del concessionario osservando che sono 
equiparate agli appalti le concessioni di sola costruzione, mentre nel caso la conces



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO�. 

398 

sione aveva un oggetto pi� esteso, riferendosi anche alla progettazione e gestione 
dell'impianto. 

6.1.6. -Interessa insieme l'interpretazione del quarto comma e del quinto 
comma dell'art. 31 bis la sentenza 17 dicembre 1998 n. 12622. 
La controversia � sorta da una concessione per la realizzazione di interventi 
infrastrutturali nelle citt� di Palermo e Catania organicamente intesi al recupero 
socio-economico degli agglomerati urbani interessati ed al concessionario � stato 
affidato il compito di ricercare e valutare i precedenti studi e progetti, di fare i 
progetti di massima ed esecutivi e accertarne la fattibilit�, di gestire le attivit� 
necessarie alle procedure di affidamento dei lavori, di assicurare la direzione, 
contabilizzazione e collaudo dei lavori, di acquisire le aree e gli immobili necessari 
per realizzare gli interventi. 

Il concessionario aveva chiesto il risarcimento del danno derivatogli dal fatto 
che, per ritardi dovuti al concedente, gli era stato possibile realizzare solo una parte 
dell'ipotesi minima di interventi prevista dalla concessione. 

Il lodo, pronunciato su domanda proposta il 5 marzo 1992, era stato annullato 
dalla corte d'appello per difetto di giurisdizione. 

Le sezioni unite affermano la giurisdizione del giudice ordinario, annullano la 
sentenza della corte d'appello cui rinviano la causa. 

Soffermandosi sul quarto comma dell'art. 31 bis, le sezioni unite ritengono sia 
il caso di mettere in rilievo che all'equiparazione agli appalti non si sottraggono le 
concessioni in cui, come nel caso sottoposto al loro esame, al concessionario siano 
affidate, oltre alla realizzazione di una o pi� opere materiali, anche attivit� 
preparatorie, accessorie e connesse rispetto a tale realizzazione. 

Quanto all'applicazione del quarto comma dell'art. 31 bis nei giudizi svoltisi 
prima davanti agli arbitri e poi alla corte d'appello, le sezioni unite si richiamano al 
principio affermato nelle sentenze 10634 e 5299 del 1997. 

6.1.7. -La sentenza 25 maggio 1999 n. 287 � pronunciata su ricorso per motivi 
inerenti alla giurisdizione, proposto contro decisione del Consiglio di Stato. 

La giurisdizione del giudice ordinario � affermata su due presupposti. 

Il primo, attinente al quarto comma dell'art. 31 bis, consiste nel qualificare 
come concessione, di sola costruzione, e non di costruzione e gestione e quindi nel 
considerare equiparata ad appalto una convenzione con la quale al concessionario, 
oltre alla progettazione esecutiva ed alla materiale esecuzione dell'opera, era stato 
consentito di dare i lavori in appalto a terzi e di assicurare la direzione dei lavori. 

Il secondo, attinente al quinto comma dell'art. 31 bis, consiste nel richiamare 
quanto affermato nella sentenza 9481del1997, ovverosia che il legislatore del 1995, 
derogando all'art. 5 cod. proc. civ., ha inteso estendere la disciplina della 
giurisdizione dettata dal quarto comma dell'art. 31 bis anche ai giudizi iniziati prima 
dell'entrata in vigore della legge 109 del 1994. 

6.1.8. -La sentenza 27 luglio 1999 n. 516 torna a decidere a seguito di sentenza 
di corte d'appello resa su impugnazione di nullit� di lodo arbitrale, nel caso rigettata. 
Le sezioni unite enunciano due princ�pi. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

Attribuire al concessionario, oltre all'esecuzione dell'opera, il compito di intraprendere 
gli atti occorrenti per le occupazioni di urgenza e le espropriazioni in nome 
e per conto del concedente non significa commettergli l'esercizio di pubblici poteri 
in materia di esproprio. 

Rispetto ai giudizi svoltisi davanti ad un giudice la norma sopravvenuta che gli 
attribuisce la giurisdizione ha un'efficacia convalidante: quanto al giudice ordinario, 
ci� vale anche quando a domanda sia stata proposta inizialmente davanti agli arbitri. 

6.1.9. -Da ultimo, la sentenza 10 agosto 1999 n. 580 affronta in modo espresso 
l'aspetto dell'efficacia retroattiva dell'art. 31 bis, che interessa la validit� del processo 
svoltosi davanti agli arbitri, in materia attribuita alla giurisdizione del giudice ordinario 
secondo lo stesso art. 31 bis, ma sulla base di clausola compromissoria inclusa in 
convenzioni di concessione anteriori all'entrata in vigore della legge 109 del 1994. 
Che � il problema specificamente riproposto dal ricorso odierno. 

Il lodo era stato pronunciato in un caso che appare analogo al precedente (lo 
stesso ente aveva affidato al concessionario l'esecuzione di un'opera ed insieme i 
compiti inerenti all'occupazione ed all'espropriazione); il collegio arbitrale aveva 
considerato di trovarsi in presenza di un appalto, la corte di appello in presenza di 
una concessione, ma aveva fatto applicazione dell'art. 31 bis e respinto l'impugnazione 
di nullit�. 

Le sezioni unite, nel confermare la sentenza della corte d'appello, hanno svolto 
questi argomenti. 

La disposizione dettata dal quinto comma dell'art. 31 bis ha avuto la portata di 
rendere operante il quarto comma anche nei giudizi iniziati prima dell'entrata in 
vigore della legge 109 del 1994: al riguardo � fatto espresso richiamo alla sentenza 
26 settembre 1997 n. 9481 (qui sub 6.1.4). 

Peraltro, nei giudizi svoltisi davanti al giudice ordinario, varrebbe anche il 
principio per cui la sopravvenuta attribuzione di giurisdizione non consente di 
dichiararne il difetto: ed al riguardo sono richiamate le sentenze 12 giugno 1997 

n. 5299 e 29 ottobre 1997 n. 10634 (qui sub 6.1.3). 
Nel caso concreto, la convenzione, con cui oltre all'esecuzione dell'opera sono 
state trasferite al concessionario funzioni pubbliche (poteri relativi alla direzione dei 
lavori, all'adeguamento del progetto, alla sorveglianza dell'opera, etc.), d� luogo ad 
una concessione di sola costruzione, equiparata agli effetti della giurisdizione ad un 
appalto, in base al quarto comma dell'art. 31 bis. 

La prospettata nullit� della clausola compromissoria, non dipendendo da vizi 
intrinseci, ma dal fatto d'essere stata pattuita anche con riguardo a controversie 
sottratte all'epoca alla giurisdizione del giudice ordinario, cessa di poter essere 
pronunziata, una volta che la norma sopravvenuta ha disposto che, sin da quando era 
stata conclusa, le controversie da essa attribuite alla cognizione degli arbitri avrebbero 
potuto esserlo. 

7. -� possibile a questo punto tornare ad esporre in modo pi� approfondito le 
ragioni che sostengono la pronuncia adottata. 
7. 1. -La convenzione di concessione di opera pubblica, quando � stata stipulata 
la concessione da cui ha tratto origine la presente controversia, poteva contenere una 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

400 

valida clausola compromissoria ed efficacemente deferire ad arbitri controversie 
appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario. 

7.2. -Aveva natura di appalto e non di concessione la convenzione per effetto 
della quale il concessionario, oltre ad eseguire l'opera, dovesse formarne il progetto, 
di massima od esecutivo, ed assumere l'iniziativa di promuovere per il concedente 
i procedimenti di occupazione e di espropriazione per pubblica utilit�. 
Si � detto che si trattava di compiti suscettibili di aggiungersi a quello di 
costruire l'opera. 

Si deve aggiungere che costituisce esercizio di funzione pubblica l'approvazione 
del progetto in funzione della dichiarazione di pubblica utilit� dell'opera e 
la pronuncia dei provvedimenti di occupazione d'urgenza e di espropriazione per 
pubblica utilit�, ma non la redazione dei progetti n� domandare occupazioni ed 
espropriazioni o portare ad attuazione i relativi provvedimenti, perch� ci� spetta ad 
ogni soggetto in favore del quale sia dichiarata la pubblica utilit� di un'opera e la 
sua indifferibilit� ed urgenza (sentenza 27 luglio 1999 n. 516, sub 6.1.8). 

7.3. -Nel ricorso, e pi� in particolare nell'atto di impugnazione del lodo di cui 
nel ricorso � riprodotto il contenuto, non si indica che al concessionario siano stati 
affidati compiti ulteriori rispetto a quello di esecuzione dell'opera e perci� non si 
spiega in ragione di quali ulteriori compiti la convenzione avrebbe dovuto essere 
considerata una concessione e non un appalto. 
Nel controricorso � cenno di una progettazione approvata dall'autorit� 
concedente, ma si � veduto che anche se la progettazione fosse stata affidata al 
concessionario, ci� non varrebbe a fare di un appalto una concessione. 

7.4. -La norma di equiparazione tra concessioni in materia di opere pubbliche 
e appalti (art. 31 bis, quarto comma), nella sua proiezione verso il passato, vale evidentemente 
ad assoggettare le controversie in materia di concessione allo stesso 
regime di quelle in materia di appalto. 
� Ma, se la convenzione di concessione gi� prima era da riguardare dal punto di 
vista sostanziale come un appalto, non pu� sorgere alcuna questione circa il fatto che 
il giudizio iniziato davanti agli arbitri, sulla base di clausola compromissoria e per 
controversie su diritti, si sia svolto in modo valido. 

Al riguardo, come non avrebbe avuto modo di trovare applicazione l'indirizzo 
giurisprudenziale risalente alle sentenze di queste sezioni unite del 1991 e del 1993, 
cos� non si profila l'applicazione dell'art. 31 bis. 

7.5. -L'equiparazione disposta dal quarto comma dell'art. 31 bis ha riguardato 
dunque non gli appalti impropriamente ricondotti al novero delle concessioni di sola 
costruzione, ma le concessioni di sola costruzione, cos� definite per il fatto di non 
essere estese alla gestione, connotate dal fatto che al concessionario sono attribuiti 
il compito di realizzare la costruzione con ogni mezzo (secondo l'espressione 
contenuta nell'art. 4.1. del d.lgs 406 del 1991), anche perci� con l'affidamento delle 
opere in appalto mediante procedure di evidenza pubblica, nonch�, connesso al 
precedente, il compito eventuale della direzione dei lavori (come espressamente 
affermato dalla sentenza 17 dicembre 1998 n. 12622, sub 6.1.6., in sostanziale 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITfO E PROCEDURA CIVILE 

conformit� con le precedenti decisioni 13 giugno 1996 n. 5450, 29 ottobre 1997 

n. 10634 e 25 maggio 1999 n. 287, rispettivamente sub 6.1.1, 6.1.3. e 6.1.7). 
Da questa equiparazione restano escluse le concessioni di costruzione e 
gestione (sentenza 11 novembre 1997 n. 11132, sub 6.1.5), perch� in questo caso il 
rapporto in nessun modo � assimilabile all'appalto dal punto di vista economico e 
giuridico. 

Ci� mostra, per�, che l'espressione concessione in materia di lavori pubblici, 
impiegata nel quarto comma dell'art. 31 bis, introdotto nella legge 109 del 1994 dal 
decreto legge 101 del 1995, non ha la stessa valenza dell'espressione concessioni di 
lavori pubblici impiegata nell'art. 19.2. della stessa legge. 

Sembra agevole allora riconoscere alla norma che si desume dalla combinazione 
del quinto col quarto comma dell'art. 31 bis la portata di una norma di interpretazione 
autentica o comunque di una norma espressamente volta ad impedire le conseguenze 
che sarebbero derivate da un'ulteriore applicazione della disciplina della 
giurisdizione affermata dalle sentenze delle sezioni unite del 1991 e del 1993. 

Non si tratta perci� di ragionare come se l'interpretazione accolta dalle sentenze 
del 1991 e del 1993 di queste sezioni unite fosse l'unica possibile e sia stata tuttavia 
rigettata dal legislatore. 

Si tratta bens� di ragionare, con maggiore aderenza al reale, nel senso che delle 
diverse ricostruzioni possibili, il legislatore abbia preferito, per il futuro come per 
il passato (sentenze 29 settembre 1997 n. 9481e10 agosto 1999 n. 580, sub 6.1.4. 
e 6.1.9), quella per cui la disciplina della giurisdizione risultava conformata a 
misura di quella venutasi affermando sul piano sostanziale, in rapporto ai sistemi 
di aggiudicazione, nel senso dell'equiparazione di concessioni di sola costruzione 
e di appalti. 

Sicch�, come � stato ritenuto nella sentenza 10 agosto 1999 n. 580 (sub 6.1.9), 
a conferma di un orientamento espresso, almeno implicitamente, gi� dalla sentenza 
13 ottobre 1996 n. 8647 (sub 6.1.2), deve escludersi che, sopravvenuta la norma 
dettata con i commi quarto e quinto dell'art. 31 bis, possa dichiararsi la nullit� delle 
clausole compromissorie con cui gli arbitri sono stati all'epoca investiti del potere 
di decidere controversie che, alla stregua della stessa norma, sono ora da considerare 
essere sempre spettate al giudice ordinario. 

8. -Il ricorso deve essere restituito al primo presidente, per l'assegnazione ad 
una sezione semplice in vista dell'esame degli altri motivi. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 luglio 1999 n. 484 -Pres. Bile -Rei. 
Criscuolo -P.M. Lo Cascio (conf.) -A.N.A.S. (avv. Stato Laporta) c. Cosmina, 
altri. 

Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione temporanea e d'urgenza Risarcimento 
del danno -Occupazione acquisitiva -Diritto al risarcimento 
del danno -Prescrizione -Determinazione, offerta o deposito dell'indennit� 
di espropriazione -Atti interruttivi ex art. 2944 cod. civ. -Configurabilit�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO~

402 

Prescrizione civile -Interruzione -Atti interruttivi -In genere -Occupazione 
acquisitiva -Diritto al risarcimento del danno -Prescrizione Determinazione, 
offerta o deposito dell'indennit� di espropriazione -Atti 
interruttivi ex art. 2944 cod. civ. -Configurabilit�. 

(Artt. 2043 e 2944 cod. civ.; legge 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 71 e 73). 

In tema di espropriazione per pubblica utilit�, nell'ipotesi in cui, verificatasi 
l'occupazione acquisitiva in assenza di emissione del decreto di esproprio, 
l'espropriante proceda tuttavia alla determinazione dell'indennit� di esproprio, 
ovvero all'offerta e/o al deposito di essa, i suddetti atti, costituendo in ogni caso il 
riconoscimento del diritto dell'ex proprietario ad un ristoro patrimoniale, si 
configurano come atti interruttivi della prescrizione del diritto al risarcimento dei 
danni derivanti dalla perdita del diritto dominicale (massima ufficiale) (1). 

(omissis) 

Con il primo mezzo di cassazione il ricorrente principale denunzia violazione e 
falsa applicazione dell'art. 2944 e.e., nonch� insufficienza di motivazione, in 
relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e 5, c.p.c. 

Rilevando che la sentenza impugnata ha attribuito all'offerta dell'indennit� 
d'esproprio, formulata 1'11 febbraio 1977, valore ed effetto di un atto di riconoscimento 
del diritto dei proprietari al risarcimento dei danni, richiama l'orienta


(1) Le Sezioni Unite della Cassazione compongono il contrasto esistente tra le sezioni 
semplici in ordine all'idoneit�, o meno, dell'offerta dell'indennit� di espropriazione a comportare 
riconoscimento del debito risarcitorio, nascente dall'ablazione del bene per occupazione 
acquisitiva. 
Il Collegio ritiene, in sostanza, che ove si sia gi� verificata l'irreversibile trasformazione del 
fondo e, dunque, la fattispecie della c.d. accessione invertita -l'eventuale offerta 
dell'indennit� non sarebbe in alcun modo riferibile al procedimento di esproprio, ormai venuto 
meno. Tale offerta sarebbe, comunque, indice della consapevolezza, da parte della P.A., di essere 
obbligata a versare un corrispettivo a fronte dell'apprensione del bene. Di conseguenza, essa 
configurerebbe un atto di riconoscimento di debito idoneo, ai sensi dell'art. 2944 e.e., ad 
interrompere il termine quinquennale di prescrizione relativamente all'obbligazione risarcitoria 
derivante dall'acquisizione del bene da parte dell'Amministrazione. 

Il ragionamento seguito dal Collegio non appare condivisibile, non tanto sotto il profilo 
inerente al caso di specie -potendosi certamente convenire sulla necessit�, o quanto meno 
opportunit�, di agevolare l'interesse del privato ad ottenere un risarcimento per la privazione della 
propriet� di un bene conseguente ad un illegittimo comportamento dell'Amministrazione quanto 
piuttosto per quanto riguarda l'applicazione dei principi contenuti nel citato art. 2944. Ci� 
in quanto un simile orientamento potrebbe avere conseguenze che trascendono il caso esaminato 
incidendo sulla stessa attuazione dei rapporti obbligatori. 

Orbene, correttamente il Collegio ha invocato quell'indirizzo giurisprudenziale che 
qualifica l'atto di riconoscimento di debito come atto in senso stretto. Tale atto, in particolare, 
deve possedere i caratteri della volontariet� e della consapevolezza dell'esistenza del debito 
(Cass. 27 giugno 1996, n. 5939, in Notiziario di Giurisprudenza del lavoro, 1996, VI, 954; 
Cass., 16 aprile 1992, n. 4666). La giurisprudenza ha, in particolare, evidenziato che il 
riconoscimento di debito presuppone l'intenzione di riconoscere la sussistenza dell'obbligazione 
(Cass., 24 maggio 1984, n. 3102). 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRfITO E PROCEDURA �rV�LE. 

403 

mento di questa corte che nega agli atti della procedura di espropriazione (e, 
segnatamente, all'offerta e al deposito dell'indennit�) efficacia interruttiva della 
prescrizione del diritto -�ontologicamente e causalmente diverso� -al risarcimento 
dei danni da occupazione appropriativa di un immobile. 

Tale indirizzo dominante trarrebbe risolutivo avallo dalla pronuncia della Corte 
costituzionale n. 188/1995 e da quanto in essa posto in evidenza, circa l'irriducibilit� 
dell'occupazione appropriativa nel novero delle vicende (lato sensu) traslative della 
propriet� del bene, con conseguente diversit� tra un dover dare a guisa di 
corrispettivo, genericamente inteso, per un trasferimento di propriet� e un dover 
dare invece per la distruzione dell'altrui immobile. 

Andrebbe inoltre posto in luce il vizio logico annidato nel vago richiamo al 
principio di buona fede, operato dalla corte di merito, col quale si vorrebbe superare 
il ben pi� rigoroso indirizzo prevalente. 

In effetti, se un criterio di buona fede dovesse presiedere all'interpretazione 
dell'atto di offerta dell'indennit�, esso non potrebbe essere utilizzato in unica 
direzione, ossia con riguardo al solo stato soggettivo del creditore, cos� come, per 
altro verso, non sarebbe consentito far ricorso al principio di conservazione dell'atto 

� evidente la ratio della norma, che va letta in combinato disposto con le altre norme che 
disciplinano la prescrizione ed i relativi atti interruttivi. Invero, con il riconoscimento di debito il 
debitore sostanzialmente sopperisce all'inerzia del creditore nel far valere il proprio diritto, nel 
senso che -nell'ambito del principio di certezza del diritto -si � inteso attribuire specifici effetti 
all'atto con cui un soggetto riconosce sussistente un vincolo obbligatorio. 

�, tuttavia, evidente che tale riconoscimento intanto � idoneo ad interrompere la 
prescrizione in quanto sia posto in essere -come ha affermato la giurisprudenza -nella precisa 
consapevolezza di essere debitore a quel titolo e nei limiti espressamente riconosciuti. 

Tale conclusione �, del resto, condivisa dalla stessa giurisprudenza che, sul presupposto 
della diversit� delle fattispecie, ha, ad esempio, escluso la sussistenza del riconoscimento di un 
debito risarcitorio da occupazione acquisitjva nella notificazione di un decreto di proroga, emesso 
dopo la scadenza di un primo periodo di occupazione autorizzato (Cass., 10 aprile 1999, n. 3516) 
ed ha escluso che, nell'ipotesi di crediti relativi ad emolumenti per invalidit� civile, il pagamento 
dei soli ratei sia idoneo -ai sensi dell'art. 2944 e.e. -ad interrompere la prescrizione per 
quanto riguarda gli interessi (Cass., 17.4.1999, n. 3858; Cass., 25 giugno 1993, n. 7045; Cass., 5 
maggio 1992, n. 5335). 

Dalle esposte considerazioni deriva che l'atto di riconoscimento di debito non comporta il 
riconoscimento, in generale, dello status di debitore -naturalmente ai fini interruttivi della 
prescrizione -ma deve intendersi limitato al rapporto risultante dall'atto stesso, nei precisi limiti 
in esso indicati. 

Le argomentazioni prospettate dalle Sezioni Unite -le quali hanno invocato una pretesa 
erronea qualificazione che la P.A. avrebbe attribuito alla somma riconosciuta dovuta, come 
indennit� di espropriazione anzich� come risarcimento -non appaiono convincenti nella misura 
in cui una simile indagine non � stata, in concreto, effettuata ma soltanto desunta dalla situazione 
concretamente determinatasi a seguito dell'intervenuta irreversibile trasformazione del fondo. 

Una simile conclusione, oltre a richiedere, da parte dell'organo giudicante, un'indagine che 
va ben oltre l'interpretazione dell'atto di cui si discute, non appare conforme alla ratio della 
norma in quanto potrebbe attribuire alla manifestazione di volont� del soggetto degli effetti 
diversi da quelli che con tale atto si intendevano conseguire. 

D.G. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT�

404 

giuridico (pure evocato dalla sentenza impugnata) se non nella comprovata inutilit� 
dell'atto, per giunta tipico, concretamente compiuto. 

Sotto entrambi i profili l'indagine eseguita dalla corte triestina si dimostrerebbe 
carente e inappagante, considerando che, alla data d'offerta dell'indennit� (11 febbraio 
1977), il termine per il compimento delle espropriazioni sarebbe stato ancora in corso 
(siccome determinato in sette anni dal decreto 16 febbraio 1973 di approvazione della 
perizia di variante tecnica e suppletiva), onde l'azienda occupante non avrebbe avuto 
ragione di dubitare della legittima ed utile perfettibilit� del procedimento intrapreso (e 
della funzionalit� allo scopo dell'offerta d'indennit�), anche perch� nel 1977 non si 
sarebbe avuto neppure sentore della creazione giurisprudenziale dell'occupazione 
acquisitiva, con connessa consumazione del potere espropriativo. 

Da un lato, sarebbe quindi illogico il richiamo al principio di buona fede, perch� 
l'ANAS avrebbe inteso offrire, e riconoscere dovuta, soltanto un'indennit� di 
esproprio e gli stessi proprietari null'altro si sarebbero aspettati che questa; per altro 
verso, ad ordinamento vigente ed in ragione della (allora) ritenuta perfettibilit� del 
procedimento d'esproprio, l'offerta d'indennit� sarebbe stata pienamente utile ai fini 
dell'ulteriore corso della procedura espropriativa, onde non avrebbe senso logico il 
richiamo al principio di conservazione degli atti giuridici. 

In ordine a tali censure i resistenti eccepiscono l'improponibilit� (recte: 
inammissibilit�) del ricorso, sostenendo che l'accertamento diretto a stabilire se il 
contenuto di un atto abbia o meno efficacia interruttiva della prescrizione costituirebbe 
indagine di fatto riservata al giudice di merito e non sarebbe sindacabile in 
cassazione, in quanto il detto giudice avrebbe motivato il proprio convincimento. 
Ma il principio, peraltro corretto, non � pertinente nella fattispecie, perch� nel caso 
in esame non si tratta di condurre una indagine in concreto sul contenuto di un atto 
determinato, bens� di stabilire se l'atto (il cui contenuto non � in discussione) sia 
idoneo in via generale a produrre gli effetti di cui all'art. 2944 e.e.; e questa � 
questione di diritto rientrante nel sindacato di legittimit� di cui all'art. 360, primo 
comma, n. 3 c.p.c. Di qui l'infondatezza dell'eccezione. 

� dunque proposto all'esame delle sezioni unite il quesito relativo alla 
(eventuale) idoneit� dell'offerta, da parte dell'ente occupante, dell'indennit� di 
espropriazione (nella specie, provvisoria: v. pag. 13 della sentenza impugnata) a 
comportare riconoscimento del debito risarcitorio, nascente dall'ablazione del bene 
per occupazione appropriativa, con conseguente effetto interruttivo del corso della 
prescrizione, ai sensi dell'art. 2944 e.e. 

Sul tema nella giurisprudenza di questa corte si sono manifestati orientamenti 
diversi. 

Un indirizzo, che appare prevalente, ha negato tale idoneit�, sostenendo che il 
decorso del termine quinquennale di prescrizione resta insensibile all'eventuale 
successiva adozione del decreto espropriativo, o alla liquidazione, offerta e deposito 
dell'indennit� di espropriazione, perch� i relativi atti in quanto non inerenti al 
credito risarcitorio, non possono integrare n� riconoscimento del credito stesso, n� 
rinuncia ad opporne la prescrizione (Cass., 9 luglio 1989, n. 3253; 28 marzo 1990, 

n. 2532; 18 ottobre 1990, n. 10159; 11novembre1992, n. 12113; SU., 11 novembre 
1992, n. 12150; 25 settembre 1993, n. 9718; 4 maggio 1994, n. 4329; 4 maggio 
1995, n. 4862; 23 settembre 1997, n. 9368). 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CMLE 405 

Al contrario altre decisioni hanno attribuito alla richiesta di ristoro del pregiudizio 
economico o al riconoscimento da parte dell'amministrazione, individuabile 
nell'offerta dell'indennit�, il carattere interruttivo della prescrizione (Cass., 8 
febbraio 1992, n. 1715; 25 marzo 1995, n. 3572; 9 marzo 1996, n. 1887; 29 marzo 
1996, n. 2943; 23 luglio 1997, n. 6886; 26 agosto 1997, n. 8005). 

Il primo orientamento muove dalla differenza ontologica e quantitativa tra 
l'obbligazione indennitaria e quella risarcitoria. Facendosi valere un rapporto 
obbligatorio, la pretesa si qualificherebbe in relazione al fatto costitutivo del 
credito: la causa petendi sarebbe ben diversa nei due casi. La disciplina dei due 
rapporti resterebbe quindi distinta, anche a seguito della tendenziale equiparazione 
degli effetti economici dell'espropriazione rituale e del risarcimento da 
occupazione appropriativa. Anzi la diversit� sarebbe sottolineata dalla giurisprudenza 
costituzionale che ha dichiarato l'illegittimit� dell'art. 5 bis, sesto 
comma, della legge n. 359 del 1992, come modificato dall'art. 1, 65� comma, 
della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Corte cost., 2 novembre 1996, n. 369) e, pur 
ammettendo che il risarcimento del danno da illecito extracontrattuale possa non 
comportare la piena reintegrazione patrimoniale, essendone rimessa la misura alla 
discrezionalit� del legislatore, ha commisurato la compatibilit� dell'istituto 
appropriativo con i principi dell'ordinamento ad una necessaria differenziazione 
dall'indennit� di esproprio (Corte cost., 23 maggio 1995, n. 188). 

Il comportamento del creditore riferito ad un'obbligazione non sarebbe significativo 
di un eguale intento riguardo ad altri rapporti obbligatori con lo stesso 
debitore. 

Parallelamente, l'eventuale manifestazione della volont� di riconoscere il diritto 
all'indennizzo (o di rinunciare ad eccepire la relativa prescrizione) non potrebbe 
di per s� essere assunto come dato significativo dell'intento di riconoscere la 
maggior pretesa connessa al risarcimento. 

Sempre a proposito del contegno del debitore, l'offerta e il deposito dell'indennit�, 
peraltro determinata da organi tecnici senza rappresentanza esterna, costituirebbero 
atti vincolati nel procedimento espropriativo, siccome regolato dalla 
legge 22 ottobre 1971, n. 865. Oltre al fatto che il riconoscimento del diritto altrui o 
la rinuncia ad un diritto proprio da parte degli enti pubblici, sarebbero soggetti a 
particolari procedure e controlli. 

L'indirizzo contrario osserva invece che, in presenza di ragioni creditorie 
insuscettibili di fraintendimento, qualora il debitore riconosca di �dover dare�, 
muovendo da qualificazioni giuridiche errate, prive per� di efficacia vincolante, il 
dovere di correttezza comporterebbe la necessit� di valorizzare il significato 
sostanziale dell'ammissione, e dunque la recessivit� di comportamenti contraddittori. 
Nelle pronunce pi� recenti non si mette in discussione il principio secondo 
cui l'interruzione degli atti, cui il codice attribuisce tale effetto, presuppone la loro 
riferibilit� al diritto del quale � stata eccepita l'estinzione per inerzia del titolare. 
Qualora per� si sia consumata, con l'irreversibile trasformazione del fondo, la 
fattispecie appropriativa, il riconoscimento connesso all'offerta e al deposito 
dell'indennit�, non potendo avere ad oggetto lo specifico diritto al quale fanno 
riferimento, non potrebbe che incidere sull'unico diritto spettante al privato, cio� su 
quello risarcitorio. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

406 

In questo quadro, e prima di procedere all'esame del tema come sopra 
proposto, il collegio ritiene di dover affermare la propria adesione ai principi 
espressi nella sentenza 26 febbraio 1983, n. 1464, successivamente ribaditi (Cass., 
sez. un., 10 giugno 1988, n. 3940; 25 novembre 1992, n. 12546) e costituenti ormai 
orientamento consolidato (cfr. Cass., 2 ottobre 1993, n. 9826; 11ottobre1994, 

n. 8290; 4 maggio 1995, n. 4853; 5 agosto 1997, n. 7203; 26 gennaio 1998, n. 761). 
Neppure la sentenza impugnata, del resto, pone in discussione tale 
orientamento, cui anzi aderisce (v. pag. 10-12). E, peraltro, esso ha trovato riscontro, 
sia pure con riguardo all'edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, 
nell'art. 3 della legge 27 ottobre 1988, n. 458 (al riguardo v. Corte cost., 27 dicembre 
1991, n. 486, in motivazione). 

Resta quindi fermo il principio che, occupato dalla P.A. (o da un suo 
concessionario) illegittimamente, per mancanza del provvedimento autorizzativo o 
per decorrenza dei termini di occupazione legittima, un fondo di propriet� privata 
per la costruzione di un'opera pubblica, la radicale trasformazione del fondo irreversibilmente 
destinato alla realizzazione dell'opera pubblica produce l'acquisto a 
titolo originario della propriet� da parte della P.A. e l'insorgere del diritto del privato 
al risarcimento del danno derivante dalla perdita del diritto di propriet�, diritto soggetto 
al termine quinquennale di prescrizione stabilito dall'art. 2947, primo comma, 

e.e. (cos� Cass., sez. un., 25 novembre 1992, n. 12546; sez. un., 2 ottobre 1993, 
n. 9826). 
� opportuno precisare, per quanto si dir� in prosieguo, che non si tratta della 
creazione per via giurisprudenziale di un precetto prima inesistente. Si tratta invece 
di un principio enucleato per via interpretativa dal sistema nel quale era contenuto. 

Tanto premesso, si osserva che, secondo il tenore dell'art. 2944 e.e., �la 
prescrizione � interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il 
quale il diritto stesso pu� essere fatto valere�. 

L'atto di riconoscimento non � soggetto a requisiti formali e non ha carattere 
(almeno necessariamente) negoziale ma pu� qualificarsi come atto in senso 
stretto (Cass., 27 giugno 1996, n. 5939; 18 giugno 1992, n. 7548; 1� giugno 1991, 

n. 6203), essendo sufficiente che presenti i caratteri della volontariet� (Cass., 12 
luglio 1980, n. 4473) e della consapevolezza dell'esistenza del debito (Cass., 11 
ottobre 1973, n. 2559). 
Nel quadro di tali concetti, qualora si sia gi� realizzata, durante il periodo di 
occupazione illegittima ed in mancanza del decreto d'esproprio, l'irreversibile 
trasformazione del bene con acquisto della sua propriet� (a titolo originario) in capo 
all'ente pubblico, il procedimento espropriativo che sia ancora in corso non ha pi� 
ragion d'essere, essendosi prodotto l'effetto ablatorio cui esso era preordinato (tanto 
che il decreto di espropriazione, ove fosse successivamente emesso, sarebbe 
inutiliter datum ). 

All'ex proprietario, in presenza della perdita del bene per l'ablazione subita, 
rimane una sola situazione giuridica tutelabile, ossia il diritto al risarcimento del 
danno a lui cagionato. Pertanto l'offerta dell'indennit� (cui sono equiparabili la 
determinazione o il deposito della stessa), eseguita dopo l'occupazione 
appropriativa, non � in alcun modo riferibile al procedimento di esproprio ormai 
venuto meno. Essa, tuttavia, non pu� sol per questo ritenersi priva di ogni effetto, in 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 

quanto comunque esiste, non presenta vizi invalidanti e rivela nella P.A. (da cui 
promana) la consapevolezza di essere obbligata a versare un corrispettivo a fronte 
dell'apprensione del bene. In altre parole, resta idonea a manifestare che la P.A. (cui 
l'avvenuto fatto ablatorio � imputabile) si considera tenuta a versare una somma 
diretta a ristorare il privato per la perdita subita. 

Non ha rilevanza che l'offerta (o la determinazione o il deposito) sia qualificata 
come indennit� e non come risarcimento. Nel momento in cui d'indennit� non pu� 
pi� parlarsi essendo gi� integrata la fattispecie dell'illecito, l'erronea qualificazione 
attribuita alla somma che si riconosce di dover versare (nell'ambito di una procedura 
erroneamente ritenuta ancora in itinere) non vale a togliere significato a tale riconoscimento, 
non riferibile ad un diritto �ontologicamente e causalmente diverso� 
qual � il diritto all'indennit�, perch� tale diritto pi� non sussiste, residuando soltanto 
quello al risarcimento del danno. 

Non giova quindi rimarcare le indubbie differenze tra obbligazione indennitaria 
e obbligazione risarcitoria, che ovviamente non si pongono in discussione. Tali 
differenze sarebbero determinanti qualora le due obbligazioni concorressero. Ma 
quando la prima � definitivamente venuta meno e ad essa subentra la seconda, 
soltanto a questa possono essere riferiti gli ulteriori atti della P.A., neppur definibili 
peraltro come atti vincolati appunto perch� il procedimento espropriativo si � in 
sostanza esaurito con l'avvenuta ablazione di fatto. 

D'altro canto costituirebbe un'indubbia forzatura sostenere l'assenza di ogni 
collegamento tra l'offerta (o la determinazione o il deposito) della somma, sia pure 
a titolo d'indennit�, e la vicenda ablatoria conclusasi con l'irreversibile trasformazione 
del suolo destinato all'esecuzione dell'opera pubblica, in vista della quale 
il procedimento espropriativo era stato avviato. 

Tali collegamenti, invece, sussistono e risultano dall'inerenza allo stesso bene, 
dalla sua definitiva sottrazione al proprietario, dalla natura corrispettiva propria 
dell'indennizzo e del risarcimento, dal carattere pecuniario della prestazione dovuta 
dall'ente cui il fatto ablatorio � riferibile, dalla finalit� di detta prestazione, diretta 
comunque a ristorare lex proprietario per la diminuzione patrimoniale subita, 
riconoscendogli, quindi, il diritto a tale ristoro. Riconoscimento che non pu� non 
essere univoco nel momento in cui unica � la situazione giuridica del soggetto che 
ha sofferto l'ablazione. 

Conclusivamente, ed a composizione del contrasto sopra richiamato, deve 
affermarsi che, con riferimento all'art. 2944 e.e., nel caso in cui si sia verificata 
l'occupazione acquisitiva del fondo, ma non sia stato emesso il decreto di esproprio, 
l'offerta (come la determinazione e il deposito) dell'indennit� di espropriazione, 
costituendo atti di riconoscimento del diritto al ristoro patrimoniale dell'ex proprietario, 
integrano atti interruttivi della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni 
derivanti dalla perdita del diritto dominicale. 

Alla stregua di tale principio il primo motivo del ricorso principale deve essere 
respinto. 

Non giova, infatti, il rilievo che, alla data dell'offerta d'indennit� (11febbraio1977) 
il termine per il compimento delle espropriazioni fosse ancora in corso, essendo 
invece determinante l'accertamento della corte territoriale, secondo cui l'irreversibile 
trasformazione del suolo si realizz� alla data del 25 giugno 1974, sicch� allora 
l'effetto ablatorio si produsse. 

o 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'

408 

Neppure ha pregio l'argomento per il quale nel 1977 non si aveva sentore della 
�creazione giurisprudenziale dell'occupazione acquisitiva (con connessa 
consumazione del potere espropriativo)�, onde l'occupante non avrebbe avuto 
ragione di dubitare della legittima perfettibilit� del procedimento intrapreso. Si deve 
replicare che, come gi� notato, i princ�pi affermati con l'orientamento 

giurisprudenziale sull'occupazione acquisitiva non hanno creato un precetto 
normativo ex novo, ma hanno desunto dall'ordinamento, per via interpretativa, 
principi in esso gi� contenuti. 

� in definitiva corretta la pronunzia della corte territoriale che, attribuendo 
efficacia interruttiva all'offerta dell'indennit� provvisoria effettuata 1'11 febbraio 
1977, ha respinto l'eccezione di prescrizione sollevata dall' ANAS, considerando 
non compiuto il termine quinquennale di prescrizione alla data di notifica della 
citazione introduttiva del giudizio (11 dicembre 1981). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500 -Pres. Zucconi Galli 
Fonseca -Rei. Preden -P. G. Dettori ( diff.) -Comune di Fiesole c. Vitali. 

I

Giurisdizione -Responsabilit� civile della P.A. per lesione di interessi legittimi 
-Regolamento Preventivo di giurisdizione -Inammissibilit�. 

I

(Cod. civ. art. 2043; cod. proc. civ. artt. 37, 41). 

~ 

~ 

I 
~

Ai fini della configurabilit� della responsabilit� �aquiliana� non assume ~ 

~~ 

rilievo la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, re 
poich� la tutela risarcitoria di cui all'art. 2043 cod. civ. � assicurata con esclusivo 
riguardo alla ingiustizia del danno, ravvisabile in ogni caso di lesione d'un interesse 
giuricamente rilevante. Ne consegue che, fuori delle materie di giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo, non � configurabile una questione di giurisdizione 
quando sia proposta avanti all'A.G.0. una domanda di danni nei confronti 
della P A. in conseguenza di atti o provvedimenti illegittimi (1). 

(omissis) 

I

Con atto notificato il 1� aprile 1996, Giorgio Vitali conveniva davanti al 
Tribunale di Firenze il Comune di Fiesole per sentirlo condannare al 
risarcimento dei danni conseguenti al mancato inserimento, nel piano regolatore 
generale adottato dal Comune con deliberazione del 16 luglio 1971, tra le zone 

IIedificabili, dell'area di propriet� dell'istante oggetto di convenzione di lottizzazione 
stipulata con l'ente locale il 3 giugno 1964. Deduceva che il detto P.R.G. era stato 
annullato dal Consiglio di Stato, con decisione del 22 gennaio 1990, per difetto di w 

(1) In argomento, v. I. F. CARAMAZZA, L'informe creatura cambia ancora volto, in questa 
ili 

f 
r ,.,Rassegna, II, 88. Si riporta, di seguito, il testo della relazione dell'avvocato dello Stato A 
LINGUITI al "Convegno di studio" svoltosi, sul tema, il 10 dicembre 1999 presso la sede 

.

dell'Avvocatura Generale dello Stato. 

.

.

I
I
I 

~ ;, 

�=~;;=::w.tr+rs.:r:m===ffiff�"'''}1%F&m=~&=..z;:fw.N~===t:=??tw.V&~w.;===&.J.Wi�)=�?&fi�iwlwJJt=?f:KW7:~,~~=war=~'x'"~~t1
D;t#,fll841Ilfimr8'&71S:ll'&l=ilif&lflf+�'1&ttl.WM~KilBI 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

409 

motivazione circa le ragioni che avevano indotto l'amministrazione a disattendere 
la convenzione. Sosteneva che, pur essendo venuta meno, per effetto di successiva 
variante del P.R.G. adottata nel 1984, la possibilit� di realizzare la convenzione, 
dovevano essere risarciti i pregiudizi economici subiti nel periodo di vigenza 
del piano originario, che aveva illegittimamente impedito la realizzazione della 
lottizzazione. 

Il Comune resisteva ed eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. 

Nel corso del giudizio il Comune ha proposto regolamento preventivo di 
giurisdizione. 

Ha resistito con controricorso il Vitali. 

Entrambe le parti hanno depositato memoria. 

Attivit� amministrativa e risarcimento del danno. 

� indubbio l'impatto che la sentenza 500/99 ha su verit� che, almeno giurisprudenzialmente, 
erano o sembravano irrevocabili, anche se oggetto di critiche sin dal loro formarsi da parte della 
dottrina. 

Duplice � lo strappo contenuto nella sentenza: il primo, al dogma della irrisarcibilit� degli 
interessi legittimi; il secondo, costituito dall'affidamento al giudice ordinario di una cognizione 
in materia di interessi legittimi. 

Con ci� sembra esservi un ritorno al passato, un ritorno del pendolo della storia del diritto 
agli albori dello Stato unitario, alle leggi del 1865. 

La legge del 1865 sull'abolizione del contenzioso amministrativo volle un giudice unico, un 
giudice ordinario, e lo volle con riferirmento a tutti i diritti civili e politici, comunque vi potesse 
essere interessata la p.a., ancorch� fossero emanati provvedimenti amministrativi o delle 
pubbliche autorit�. V'� per� una differenza, rispetto ad allora, di non poco momento. Allora il 
giudice unico, quello ordinario, fu voluto dal legislatore ed interpret� riduttivamente il proprio 
ruolo, fino a confinarlo entro la misura dei diritti soggettivi. 

Ora, dopo oltre un secolo di interpretazione giurisprudenzialmente pacifica, dopo 
l'intervento cristallizzante in tema di riparto di giurisdizioni operato dalla Costituzione, dopo il 
rinvio -operato dalla medesima Costituzione -ad un sistema normativo rappresentato dalle 
leggi del 1865, del 1889, del 1923, dopo tutto questo, il ritorno alle origini � segnato non dal 
legislatore, ma dal giudice ordinario, che recupera una completezza di cognizione. 

Gi� questa impostazione suscita interrogativi. Era possibile questo ritorno ed era possibile 
operare questo ritorno con i motivi utilizzati dalla sentenza? 

Questo ritorno rispecchia la linea di tendenza del nostro ordinamento? 

Alla prima domanda ho gi� dato un inizio di risposta. In oltre un secolo, dal 1865, non sono 
sopravvenuti soltanto aggiustamenti interpretativi, ma anche esperienze, che hanno reso mobili i 
confini tra la materia dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi. Mobilit� di confini che ha 
consentito il trasmigrare di situazioni dall'uno all'altro versante. 

Circa la mobilit� dei confini, � emblematico il caso dei pubblico impiego, passato da 
un'impostazione di tipo pubblicistico ad una totalmente privatistica. 

� emblematico, in senso inverso, il regime delle acque pubbliche o, meglio, il regime 
dell'uso delle acque pubbliche: la generalizzazione della pubblicizzazione delle acque (o, meglio, 
del loro uso) � un fatto recentissimo. 

Vi sono poi fenomeni, quali quello della privatizzazione di enti gi� pubblici, che comporta 
conseguenze sul piano della distribuzione e dislocazione dei rapporti, che con questi enti si 
intrattengono. Vi � ancora un'ipotesi clamorosa ed importante, verificatasi nel corso degli anni, 
cio� la sostituzione di un esercizio di attivit� amministrativa di imperio con un esercizio di attivit� 
amministrativa contrattata. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATG�

410 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. -Con l'istanza di regolamento preventivo deduce il ricorrente che la 
domanda di risarcimento del danno conseguente al mancato inserimento nel P.RG. 
del Comune di Fiesole, adottato nel 1971, tra le zone edificabili, dell'area di 
propriet� del resistente oggetto di precedente convenzione di lottizzazione, stipulata 
nel 1964. � improponibile per difetto assoluto di giurisdizione. 
Vi sono numerosi casi di previsione di silenzio assenso, che dilatano l'esercizio del potere 
da parte del privato, confinando il potere dell'attivit� amministrativa soltanto in un momento 
successivo, come repressivo. 

Vi sono ancora delle zone grigie, al di l� di queste che, con una certa difficolt�, sono pure 
attribuibili all'uno o all'altro settore del pubblico o del privato; certamente questa mobilit� di 
confini � un dato caratteristico che si � sviluppato nel corso di questi ultimi decenni. 

Poi v'� stata la Costituzione, che prevede, all'art. 24, le due categorie degli interessi legittimi 
e dei diritti soggettivi, assicurando ad entrambi pari dignit� di tutela proprio giudiziaria. Alla luce 
di questa affermazione costituzionale, non mi sembra riproducibile quella indicazione 
provocatoria fatta anni fa e ricordata in uno scritto di Giacchetti, che ha definito �Oro� il diritto 
soggettivo e l'interesse legittimo �piombo�. 

Il diritto soggettivo e l'interesse legittimo hanno pari dignit� di tutela per la Costituzione. 
L'art. 103 Cost. fissa il riparto di giurisdizione, nel senso che all'autorit� giudiziaria ordinaria 
vanno i diritti soggettivi, all'autorit� giudiziaria amministrativa gli interessi legittimi ed all'autorit� 
giudiziaria amministrativa in sede esclusiva, oltre gli interessi legittimi, anche i diritti soggettivi. 
Infine, importantissimo, � l'art. 113 Cost., che rinvia al sistema delle leggi e conferma sia il 
riparto di giurisdizione, sia un certo modo di collocare le posizioni giuridiche soggettive dinanzi 
a ciascuna delle due autorit� giudiziarie ordinaria ed amministrativa, diversificate in relazione 
all'oggetto loro demandato dal riparto di giurisdizione. 

Si � cio� dato corpo ad un sistema misto, in cui convivono due fondamentali principi degli 
ordinamenti che si rifanno al concetto di Stato di diritto: quello della divisione dei poteri e quello 
della legalit� nell'amministrazione. 

Questo � il sistema vigente, un sistema che non si pu� ignorare e che, invece, sembra sia 
stato in qualche misura superato -da parte della sentenza n. 500 -senza la necessaria 
attenzione al fatto che, superandolo, si doveva modificare questo sistema. 

Con una seconda domanda, ci si pu� chiedere se erano sufficienti le motivazioni addotte 
dalla sentenza per poter arrivare a queste conclusioni, a questi due strappi. 
La sentenza contiene una serie di motivazioni: vi sono degli interessi legittimi nel settore 
privato che sono stati considerati, per poterne riconoscere la risarcibilt�, come diritti soggettivi. 
Ma cio' � stato fatto, dice la sentenza, in base a trasfigurazioni, perch� veri diritti soggettivi 
non erano. 

Col che mi sembra che si gettino a mare tutte quelle considerazioni che, invece, erano valse 

a qualificare come diritti soggettivi quelli che nuove sensibilit� portavano a considerare -direi 

doverosamente -come diritti soggettivi. 

Secondo la stessa sentenza 500/99, occorre tener presente che questi interessi legittimi 

trasfigurati da diritti soggettivi ed ammessi alla tutela risarcitoria, erano interessi legittimi pur 

sempre nell'ambito del diritto privato. La sentenza n. 500 � sensibile al possibile rilievo che il 

meccanismo che ammette l'interesse legittimo privato al risarcimento non sia sufficiente per poter 

pervenire alle stesse conclusioni con riferimento agli interessi legittimi nel settore pubblico. Si 

pone infatti il problema della individuazione degli interessi legittimi che possono accedere ad una 

tutela risarcitoria quale quella che la sentenza propone davanti al giudice ordinario. Si pongono 

cio� i problemi, cui prima accennavo, del riparto di giurisdizioni e delle tecniche di tutela. 


PARTE I, SEZ. III, GIDRISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 

411 

Premette il ricorrente, in punto di fatto, che, giusta variante al P.R.G. approvata 
nel 1984, per l'area di propriet� del Vitali era stata prevista destinazione 
incompatibile con l'attuazione della lottizzazione; che il P.R.G. del 1971 era stato 
riadottato dal Comune, per la parte annullata dal Consiglio di Stato, con 
deliberazione del 20 marzo 1990, con specifica motivazione relativa al mancato 
inserimento dell'area di propriet� del Vitali oggetto della convenzione di 
lottizzazione del 1964, in quanto destinata a verde agricolo; che il Consiglio di 
Stato, adito in sede di giudizio di ottemperanza della decisione del 22 gennaio 1990, 
con decisione n. 800/95, aveva respinto il ricorso, sul rilievo che l'annullamento del 

P.R.G. del 1971 per difetto di motivazione non precludeva all'Amministrazione la 
riproduzione dell'atto emendato del vizio accertato. 
Sul punto la sentenza afferma che, anche con riferimento agli interessi legittimi nel settore 
pubblico, vi sono state delle ipotesi di trasfigurazione di interessi legittimi in diritti soggettivi, e 
si rif� alle ipotesi di cosiddetti interessi legittimi oppositivi, cio� quelli che a lungo la giurisprudenza 
ha considerato diritti soggettivi originari conculcati, degradati da un intervento dell'amministrazione 
o diritti soggettivi di fonte amministrativa che, conculcati illegittimamente dall'amministrazione, 
risorgano a seguito dell'annullamento dell'atto compressivo, operato dall'amministrazione. 
Ma, anche qui, questa configurazione deve respingere come erronea tutta quella serie 
di sentenze che si sono affannante (in modo convincente) per dimostrare che non di interessi 
legittimi si trattava, ma appunto di un rigenerarsi, di un risorgere dei diritti soggettivi a seguito 
dell'annullamento dell'atto amministrativo compressivo. 

Poi c'� da considerare che questa operazione, quand'anche barocca, di maquillage giuridico, 
� servita comunque a salvare il sistema. 
Sistema che non ha subito strappi dalla progressiva erosione della sfera degli interessi 
legittimi a favore della sfera dei diritti soggettivi. 

Un altro elemento che la sentenza propone a base delle proprie conclusioni � che si sarebbe 
sviluppata una linea di tendenza normativa interna e di matrice comunitaria secondo cui ormai gli 
interessi legittimi hanno acquisito diritto di cittadinanza di fronte ad una tutela risarcitoria. 

Per quanto concerne il diritto interno, la sentenza si rif� a tentativi, abortiti quasi sul nascere, 
di ipotesi di risarcimento che comprenda gli interessi legittimi. Se una valutazione di questi casi 
abortiti bisogna fare, occorre tener presente che lo stesso legislatore, per ipotizzare casi di 
risarcimento di interessi legittimi, procede con estrema prudenza e, molto spesso, si � pentito dei 
passi che aveva compiuto in questa direzione. 

Per� vi sono, secondo la sentenza n. 500, ipotesi in cui questa linea di tendenza ha visto la 
luce, e sono le ipotesi del d.lgs. 80/98 che, nelle materie nuove di .giurisdizione esclusiva, 
attribuisce al giudice amministrativo, e non al giudice ordinario, la tutela risarcitoria. 

Dalla lettura degli artt. 33, 34 e, soprattutto, 35 del d.lgs. 80 si possono trarre alcune 
considerazioni. La linea seguita dal legislatore non � la linea che affida al giudice ordinario la 
tutela risarcitoria, bens� quella che affida tale tutela al giudice amministrativo in sede esclusiva. 
Non affida poi, una tutela risarcitoria vera e propria, ma si opera attraverso l'individuazione prima 
da parte del giudice amministrativo dei criteri in base ai quali l'amministrazione pu� individuare 
cosa possa essere dovuto a titolo di ristoro, quindi dei criteri in prima battuta e, poi, in seconda 
battuta, qualora l'accordo sull'utilizzazione di questi criteri indicati dal giudice amministrativo 
non intervenga, si prevede un giudizio di ottemperanza. In tale giudizio, si noti la prudenza del 
legislatore in un campo denso di pericoli di stravolgere il sistema -si tende non al risarcimento 
danni, ma alla determinazione di una somma a titolo di ristoro. 

Infine, non � il giudice che opera una riforma in questa direzione dell'ingresso degli interessi 
legittimi alla tutela risarcitoria, ma � appunto il legislatore, e lo fa settorialmente e con grande 
prudenza. 



RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO.

412 


Tanto precisato, osserva che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il 
privato che aspiri alla realizzazione di iniziative edificatorie � titolare, nei confronti 
della P.A., di una posizione di mero interesse legittimo, e non gi� di diritto 
soggettivo perfetto, poich� a fronte della posizione del privato vi sono le potest� 
pubblicistiche della P.A. in materia di disciplina dell'assetto del territorio. Tale 
posizione non muta neppure a seguito della stipula di convenzione di lottizzazione, 
poich� questa non determina la nascita di un diritto soggettivo nei confronti del 
Comune, che mantiene il potere di mutare la disciplina dell'assetto del territorio, e 
quindi di eliminare, con successive varianti dello strumento urbanistico generale, 
le possibilit� edificatorie previste dalla convenzione di lottizzazione. Consegue 

Questa � una scelta conforme alla Costituzione sia sul piano del riparto di giurisdizione sia, 
soprattutto, sul piano della possibilit� di attribuzione di certe materie alla giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo. Infatti la Costituzione chiede che l'attribuzione al giudice 
amministrativo in sede esclusiva di certe materie venga fatta per particolari materie, e qui la 
particolarit� � data dall'emergere di posizioni di diritto soggettivo, che sono pur sempre per� 
impastate con posizioni di interesse legittimo. 

Questa particolarit�, nei settori dei servizi, dell'edilizia e dell'urbanistica, ha consentito 
l'attribuzione al giudice esclusivo anche della tutela risarcitoria, se risarcitoria �, con tutte quelle 
specificazioni che sono state fatte. 

Passando ad altro aspetto della motivazione, la sentenza dice che c'� un'altra fonte di tutela 
risarcitoria degli interessi legittimi: quella derivante dalla normativa comunitaria. 
Non mi sembra probante neppure quest'indicazione, per un motivo che potrebbe dirsi 
formale ma soprattutto per ragioni che hanno spessore sostanziale. 

Non mi sembra probante sotto un profilo formale. Nei settori affidati ormai alla disciplina 
della sovranit� comunitaria, con l'abbandono della sovranit� in questa materia da parte dello Stato 
italiano, la Comunit�, che non conosce differenze tra posizioni di diritto soggettivo e di interesse 
legittimo (ma in proposito vi sarebbe molto da dire, se si legge con attenzione qualche sentenza 
della Corte di giustizia) non pu� trattare altro che di diritti soggettivi. Quindi la Comunit� 
reintrodurrebbe nel nostro ordinamento quelli che per noi sono interessi legittimi, avendoli 
ribattezzati e sostanziati come diritti soggettivi. 

Ma questa � una giustificazione formalistica, che probabilmente piacerebbe all'impostazione 
sempre molto formalistica degli studiosi di diritto internazionale. In realt� v'� un'altra 
giustificazione, assai pi� sostanziale, che opera nella direzione che anche in questa ipotesi si tratti 
di diritti soggettivi e non di interessi legittimi. 

La giustificazione deriva dal fatto che la disciplina comunitaria ha interesse per il mercato: 
come afferma il prof. Romano, la disciplina del mercato funziona da limite per la pubblica 
amministrazione. Il mercato non � pi� solo il settore in cui si esercita la pubblica amministrazione, 
in cui la pubblica amministrazione spende, esercita il proprio potere: il mercato � un 
limite all'esercizio del potere. 

Quello che si tutela attraverso il mercato sono i diritti delle imprese: una conferma, sempre 
tratta dalla esemplificazione fatta dal prof. Romano, viene offerta dal meccanismo della trattativa 
privata. Meccanismo che si pu� svolgere in caso di urgenza ma, si badi, per urgenze che non siano 
state provocate dall'amministrazione. Ci� conferma che il diritto comunitario intende tutelare la 
sostanza delle cose, il diritto delle imprese, il diritto soggettivo. 

Dunque si potrebbe concludere, ripetendo il titolo di un articolo di dottrina, �dove c'� 
risarcimento c'� diritto soggettivo�. 

Ma quel che pi� convince, in questa direzione che non nega n� gli sviluppi, i cambiamenti 
intervenuti, n� le forme e regole assolutamente inalterabili, � la prudente lettura della sentenza 
500, che sento di poter fare come Avvocato dello Stato, cio� difensore dell'amministrazione. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 

413 

che, anche dopo la stipula della convenzione di lottizzazione, l'aspettativa del 
privato ad edificare concretamente (previo rilascio della concessione edilizia) � 
sempre da qualificare in termini di interesse legittimo, sicch� l'eventuale 
illegittimo esercizio del potere di pianificazione del territorio deve essere 
denunciato davanti, al giudice amministrativo. In tal senso richiama le sentenze di 
questa S.C. n. 4587/76; n. 4833/80; n. 2951/81; n 442/88; n. 1589/90. 

Osserva ancora che non rileva l'avvenuto annullamento, da parte del Consiglio 
di Stato, del P.R.G. del 1971, nella parte in cui non recepiva la convenzione di 
lottizzazione, destinando la relativa area a verde agricolo, poich�, per giurispruden-

La sentenza, nonostante non lo dica o dica il contrario, come affermazione generale di 
principio intende proteggere situazioni di diritto soggettivo con tutela risarcitoria. Ci� si desume 
dai vari condizionamenti che la sentenza propone per l'applicazione delle sue generali e generalizzanti 
affermazioni di principio. 

Prima osservazione: la sentenza esige, perch� possa darsi corso alla tutela risarcitoria 
davanti al giudice ordinario: 

la comparazione dell'interesse pubblico (e qui non mi sembra che sia indicato quale 
interesse pubblico: se quello alla legalit� o alla realizzazione dell'interesse concreto di cui � 
titolare l'amministrazione); 

tra l'interesse pubblico e l'interesse del privato: se si opera in tal modo, la comparazione 
postula una equiordinazione dei due interessi, e dove vi sono equiordinazioni, non si pu� parlare 
di poteri amministrativi che mettono capo ad interessi legittimi. 

Seconda osservazione: non tutti gli interessi legittimi sono ammessi a questa tutela 
risarcitoria, ma soltanto quelli che sono collegati ad un bene sostanziale meritevole di tutela 
secondo l'ordinamento; inoltre, per poter accedere alla tutela, occorre che vi sia stata la rottura 
del giusto equilibrio tra le due posizioni in considerazione: ma ancora una volta un'indicazione 
di un equilibrio giusto postula una equiordinazione dei due punti di riferimento. 

Terza osservazione: la sentenza chiede ancora un controllo di legalit� e di buona amministrazione, 
la presenza di un rapporto di causalit�, il dolo o colpa della pubblica amministrazione 
intesa come apparato, ed infine un giudizio prognostico favorevole all'accoglimento dell'istanza 
dell'amministrazione. 

In relazione alla comparazione di due posizioni, all'individuazione del limite degli interessi 
legittimi risarciti, alla rottura del giusto equilibrio, si sta indicando un'indagine che volge su 
diritti soggettivi. Ma se invece questa indagine, come la sentenza propone con le sue affermazioni 
di principio, deve svolgersi su interessi legittimi, non mi sembra che si possa negare l'invasione 
della sfera della pubblica amministrazione anche nel merito. 

Pensiamo al giudizio prognostico condotto dal giudice ordinario sull'istanza fatta dal privato. 

Le conseguenze di questo ragionamento sono che l'ipotesi dell'esercizio della giurisdizione 
ordinaria senza il previo esperimento di un controllo di legittimit� da parte del giudice amministrativo 
� fonte non solo di conflitti teorici ma anche di possibili conflitti pratici di giudicato. Vi 
sono poi difficolt� di individuazione del nesso causale immediato e diretto tra il danno prodotto 
e l'attivit� dell'amministrazione, indagine che postula anch'essa un approfondimento sull'attivit� 
dell'amministrazione e quindi un'invadenza nella cittadella dell'amministrazione. 

La difficolt� di individuare l'elemento psicologico (che adesso si chiede) cio� il dolo o la 
colpa dell'amministrazione come apparato, � un'indagine che per la verit� pu� forse rappresentare 
una manifestazione di finale prudenza e di riduttiva violenza all'ampia e generalizzata 
volont� di aprire la tutela risarcitoria agli interessi legittimi quale si legge nella prima parte di 
questa sentenza. 

Da ultimo, va posto un ulteriore e pi� radicale problema. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATI)' 

za costante, l'annullamento dell'atto amministrativo, denunciato dal privato come 
lesivo di un interesse legittimo, non � di per s� idoneo a mutare la qualificazione della 
posizione del privato nei confronti del potere di cui l'atto � espressione, che, 
essendo all'origine di interesse legittimo, resta tale. In tal senso richiama le sentenze 

n. 4833/80; n. 2951/81; n. 442/98; n. 1589/90; n. 3963/94; n. 10800/94. 
Sostiene, conclusivamente, che, avendo incontestabilmente natura di interesse 
legittimo la posizione giuridica soggettiva dedotta dell'attore a fondamento della 
domanda di risarcimento dei danni, in applicazione del remoto e costante 
orientamento della S.C., che esclude la risarcibilit� degli interessi legittimi, deve 
negarsi la sussistenza di una posizione soggettiva tutelata dall'ordinamento e va 
dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione per improponibilit� della domanda. In 
tal senso richiama le sentenze n. 442/88; n. 7213/86; n. 4944/91; n. 3963/94. 

2. -Il ricorso ripropone la questione della risarcibilit� degli interessi legittimi, 
o meglio il problema della configurabilit� della responsabilit� civile, ai sensi 
I 

dell'art. 2043 e.e., della P.A. per il risarcimento dei danni derivanti ai soggetti privati 
dalla emanazione di atti o di provvedimenti amministrativi illegittimi, lesivi di 
situazioni di interesse legittimo. 

� noto che questa S.C. con giurisprudenza definita dalla dottrina �monolitica� 

o addirittura �pietrificata�, � costante da vari decenni nel fornire una risposta 
sostanzialmente negativa al quesito. 

Ritengono tuttavia queste S.U. di dover riconsiderare il proprio orientamento. 
Non possono infatti essere ignorati: a) il radicale dissenso sempre manifestato dalla 
quasi unanime dottrina, che ha criticato i presupposti dell'affermazione, individuati 
nella tradizionale lettura dell'art. 2043 e.e. e denunciato come iniqua la sostanziale 
immunit� della P.A. per l'esercizio illegittimo della funzione pubblica che essa 

Qui si parla di responsabilit� aquiliana: la vedo come postulata nella sentenza e per la verit� 
non dimostrata. Ma qui non si sta davanti ad un'incursione della pubblica amministrazione 
attraverso l'esercizio dei suoi poteri nell'ambito della sfera del privato, com'� nell'ipotesi degli 
interessi oppositivi, di matrice originaria o di matrice amministrativa o derivata che sia. Quando 
c'� un interesse oppositivo, c'� un'incursione, c'� l'amministrazione che toglie qualcosa, e quindi 
si pu� parlare di responsabilit� aquiliana. 

Ma se si postula l'esigenza di un giudizio prognostico a seguito del quale si dovrebbe dire 
che la soluzione dell'amministrazione doveva essere favorevole all'istanza del privato, si configura 
gi� l'esistenza di un rapporto che mette capo prevedibilmente o a una responsabilit� di tipo 
contrattuale o ad una responsabilit� di tipo precontrattuale, non ad una responsab�lit� aquiliana. 
Le conseguenze sono evidenti sul piano della prova e sull'entit� del danno risarcibile. 

A questo punto mi sembra che tutto lo sforzo condotto dalla sentenza sull'art. 2043, non sia 
poi tanto produttivo. 

La sentenza esprime uno stimolo verso il legislatore perch� concluda rapidamente i lavori 
attualmente in corso e detti le nuove regole in materia di tutela nei confronti della pubblica 
amministrazione di fronte ad interessi legittimi. Aspirazione che � manifesta nelle ultime considerazioni 
della sentenza. Se questa funzione stimolatoria verso il legislatore � condivisibile, mi 
sembra tuttavia che non potesse essere esercitata dal giudice verso se stesso. 

ALDO LINGUITI 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA.DI DIRITTO E PROCEDURA CfVILE 

determina; b) il progressivo formarsi di una giurisprudenza di legittimit� volta ad 
ampliare l'area della risarcibilit� ex art. 2043 e.e., sia nei rapporti tra privati, 
incrementando il novero delle posizioni tutelabili, che nei rapporti tra privati e P.A., 
valorizzando il nesso tra interesse legittimo ed interesse materiale sottostante 
(elevato ad interesse direttamente tutelato); c) le perplessit� pi� volte espresse dalla 
Corte costituzionale circa l'adeguatezza della tradizionale soluzione fornita 
all'arduo problema (sent. n. 35/1980; ord. n. 165/1998); d) gli interventi legislativi 
di segno opposto alla irrisarcibilit�, culminati nel d.lgs. n. 80 del 1998, che, 
nell'operare una cospicua ridistribuzione della competenza giurisdizionale tra 
giudice ordinario e giudice amministrativo in base al criterio della giurisdizione 
esclusiya per materia, ha attribuito in significativi settori al giudice amministrativo, 
investito di giurisdizione esclusiva (comprensiva, quindi, delle questioni 
concernenti interessi legittimi e diritti soggettivi), il potere di disporre, anche 
attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del �danno ingiusto�. 

3. -Ripercorrendo la giurisprudenza di questa S.C., pu� constatarsi che il 
principio della irrisarcibilit� degli interessi legittimi si � formato e consolidato con il 
Concorso di due elementi, l'uno di carattere formale (o meglio processuale), l'altro 
di carattere sostanziale: a) il peculiare assetto del sistema di riparto della giurisdizione 
nei confronti degli atti della P.A. tra giudice ordinario e giudice amministrativo, 
incentrato sulla dicotomia diritto soggettivo-interesse legittimo e caratterizzato 
dall'attribuzione ai due giudici di diverse tecniche di tutela (il giudice 
amministrativo, che conosce degli interessi legittimi, pu� soltanto annullare l'atto 
lesivo dell'interesse legittimo, ma non pu� pronunciare condanna al risarcimento in 
relazione alle eventuali conseguenze patrimoniali dannose dell'esercizio illegittimo 
della funzione pubblica, mentre il giudice ordinario, che pur dispone del potere di 
pronunciare sentenze di condanna al risarcimento dei danni, non pu� conoscere degli 
interessi legittimi); b) la tradizionale interpretazione dell'art. 2043 e.e., nel senso che 
costituisce �danno ingiusto� soltanto la lesione di un diritto soggettivo, sul rilievo 
che l'ingiustizia del danno, che l'art. 2043 e.e. assume quale componente essenziale 
della fattispecie della responsabilit� civile, va intesa nella duplice accezione di danno 
prodotto non iure e contra ius, non iure, nel senso che il fatto produttivo del danno 
non debba essere altrimenti giustificato dall'ordinamento giuridico; contra ius, 
nel senso che il fatto debba ledere una situazione soggettiva riconosciuta e garantita 
dall'ordinamento medesimo nella forma del diritto soggettivo perfetto (sentt. 
n. 4058/69; n. 2135/72; n. 1540/95; n. 5813/85; n. 8496/94). 
3.1. -Il tema della irrisarcibilita degli interessi legittimi � stato in primo luogo 
affrontato ed esaminato, da queste S.U., sotto il profilo del difetto di giurisdizione. 
In relazione a fattispecie in cui il privato, ottenuto dal giudice amministrativo 
l'annullamento dell'atto lesivo di una posizione avente la originaria consistenza di 
interesse legittimo, aveva proposto davanti al giudice ordinario domanda di risarcimento 
dei danni conseguenti alla lesione di detta posizione giuridica soggettiva 
(rimasta immutata nel suo originario spessore malgrado l'annullamento del 
provvedimento negativo, poich� questo si limita a ripristinare la situazione antecedente), 
le S.U., in sede di regolamento preventivo, hanno costantemente dichiarato 
il difetto assoluto di giurisdizione. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO� 

416 

Hanno invero tratto argomento dall'avvenuto esaurimento della tutela erogabile 
in virt� dell'ordinamento, poich� il giudice amministrativo aveva ormai fornito la 
tutela rimessa al suo potere, mentre davanti al giudice ordinario non poteva essere ffi 
proposta domanda di risarcimento del danno da lesione di posizione avente la 
consistenza dell'interesse legittimo, non essendo prevista dall'ordinamento, alla ~-'.. 

stregua del quale doveva essere vagliata la pretesa secondo il criterio del c.d. petitum lli 
sostanziale (costantemente applicato da questa S.C.), l'invocata tutela, perch� 
riservata, ai sensi dell'art. 2043 e.e., ai soli diritti soggettivi (in tal senso: sentt. 
n.1484/81; n. 4204/82; n. 6776/83; n. 5255/84; n. 436/88; n. 2723/91; n. 4944/91; 

n. 7550/91; n. 1186/97). 
In senso critico si � osservato, peraltro, che l'adozione di una pronuncia siffatta 
e cio� di una decisione che afferma l'inesistenza del diritto azionato, resa in 
sede di regolamento preventivo determina, di fatto, una anticipata decisione sfavorevole 
sul merito. 

Va ancora ricordato che, nella diversa ipotesi in cui la pretesa risarcitoria fosse 
stata azionata davanti al giudice ordinario prima di aver ottenuto dal giudice amministrativo 
I'annullamento dell'atto lesivo, la giurisprudenza di queste S.U. ha invece 
dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo, configurandosi di fronte al 
provvedimento autoritativo solo interessi legittimi (in tal senso, sent. n. 1917/90; 

n. 8586/91; n. 2857/92; n. 10800/94; n.5520/96; n.9478/97). 
I noti limiti della giurisdizione amministrativa determinavano tuttavia la necesI 
saria limitazione della successiva pronuncia del giudice amministrativo alla sola 

I I 
I 
pronuncia di annullamento, con conseguente riproposizione della situazione dianzi 
illustrata. 

3.2. -Secondo un diverso indirizzo di queste S.U., manifestatosi in tempi pi� 
recenti, la questione relativa alla risarcibilit� degli interessi legittimi non attiene 
propriamente alla giurisdizione, bens� costituisce questione di merito. 
Si � infatti affermato che con la proposizione di una domanda di risarcimento la 
parte istante fa valere un diritto soggettivo, sicch� bene la domanda � proposta 

~ 

davanti al giudice ordinario, che, in linea di principio, � giudice dei diritti (a parte i 
casi di giurisdizione esclusiva), al quale spetta stabilire, giudicando nel merito, sia I 
se tale diritto esista e sia configurabile, sia se la situazione giuridica soggettiva 
dalla cui lesione la parte sostenga esserle derivato danno sia tale da determinare, a 
carico dell'autore del comportamento illecito, l'insorgere di una obbligazione 
risarcitoria (in tal senso: sent. n. 10453/97; n. 1096/98; ma gi� in precedenza, per 
l'affermazione che si tratta di questione di merito e non di giurisdizione, sentt. 
n.6667/92; n. 8836/94; n. 5477/95; n. 1030/96). 

I

Va comunque rilevato che, in forza di tale indirizzo (che appare essenzialmente 
rivolto a delimitare, restringendoli, i confini del regolamento preventivo, e non gi� 
ad incidere sul tema di fondo della risarcibilit� degli interessi legittimi), la decisione 

i

rimessa al giudice di merito risulta comunque vincolata (e di segno negativo), in 
ragione della persistente vigenza del principio che vuole limitata la risarcibilit� ex 
art. 2043 e.e. al solo danno da lesione di diritti soggettivi (non espressamente 

I 

.

contrastato dalle dette decisioni). . 

I 
. 
. ,

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_,~~JWl~l~M-
~ 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIV�tE 

3.3. -Pu� constatarsi, quindi, che i due menzionati orientamenti approdano 
entrambi al medesimo risultato negativo circa la questione della risarcibilit� dei 
danni conseguenti alla lesione dell'interesse legittimo: a) nel primo caso, � la stessa 
S.C., in sede di regolamento preventivo, a negare (anticipatamente) l'accesso alla 
tutela; b) nel secondo, la decisione negativa � soltanto differita, essendo rimessa al 
giudice del merito l'adozione di una pronuncia dal contenuto gi� prefigurato. 
Ed in entrambi i casi, in definitiva, l'ostacolo insormontabile � costituito da una 
ragione di ordine sostanziale, e cio� dalla tradizionale lettura dell'art. 2043 e.e., che 
identifica il �danno ingiusto� con la lesione di un diritto soggettivo. 

Ora, non pu� negarsi che dal descritto stato della giurisprudenza deriva una 
notevole limitazione della responsabilit� della P.A. nel caso di esercizio illegittimo 
della funzione pubblica che abbia determinato diminuzioni o pregiudizi alla sfera 
patrimoniale del privato. Ma una siffatta isola di immunit� e di privilegio, va ancora 
rilevato, mal si concilia con le pi� elementari esigenze di giustizia. 

Queste S.U. ritengono quindi di dover affrontare alla radice il problema riconsiderando 
la tradizionale interpretazione dell'art. 2043 e.e., che identifica il �danno 
ingiusto� con la lesione di un diritto soggettivo. 

Interpretazione che, � bene precisarlo subito, pur costantemente riaffermata in 
termini di principio, � stata poi frequentemente disattesa (o meglio aggirata) da una 
cospicua giurisprudenza, che ha realizzato, di fatto, un notevole ampliamento 
dell'area della risarcibilit� dei danni ex art. 2043 e.e., ponendo cos� le premesse per 
il definitivo abbandono dell'interpretazione tradizionale. 

Di tale percorso � opportuno ripercorrere i punti salienti. 

4. -� noto che la giurisprudenza di questa S.C. ha compiuto una progressiva 
erosione dell'assolutezza del principio che vuole risarcibile, ai sensi dell'art. 2043 
e.e., soltanto la lesione del diritto soggettivo, procedendo ad un costante ampliamento 
dell'area della risarcibilit� del danno aquiliano, quantomeno nei rapporti tra 
privati. 
Un primo significativo passo in tale direzione � rappresentato dal riconoscimento 
della risarcibilit� non soltanto dei diritti assoluti, come si riteneva tradizionalmente, 
ma anche dei diritti relativi (va ricordata anzitutto la sent. n. 174/71, 
alla quale si deve la prima affermazione del principio; successivamente ribadita 
da varie pronunce, che esprimono un orientamento ormai consolidato: sentt. 
Il. 2105/80; Il. 555/84; Il. 5699/86; Il. 9407 /87). 

� quindi seguito il riconoscimento della risarcibilit� di varie posizioni giuridiche, 
che del diritto soggettivo non avevano la consistenza, ma che la giurisprudenza 
di volta in volta elevava alla dignit� di diritto soggettivo: � il caso del c.d. 
diritto all'integrit� del patrimonio o alla libera determinazione negoziale, che ha 
avuto frequenti applicazioni (sentt. n. 2765/82; n. 4755/86; n. 1147/92; n. 3903/95), 
ed in relazione al quale � stata affermata, tra l'altro, la risarcibilit� del danno da 
perdita di chance, intesa come probabilit� effettiva e congrua di conseguire un 
risultato utile, da accertare secondo il calcolo delle probabilit� o per presunzioni 
(sentt. n. 6506/85; n. 6657/91; n. 781/92; n. 4725/93). 

Ma ancor pi� significativo � stato il riconoscimento della risarcibilit� della 
lesione di legittime aspettative di natura patrimoniale nei rapporti familiari (sentt. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

418 

n. 4137/81; n. 6651/82; n. 1959/95), ed anche nell'ambito della famiglia di fatto 
(sent. n. 2988/94), purch� si tratti, appunto. di aspettative qualificabili come 
�legittime� (e non di mere aspettative semplici), in relazione sia a precetti normativi 
che a princ�pi etico-sociali di solidariet� familiare e di costume. 
Siffatta evoluzione giurisprudenziale � stata condivisa nella sostanza dalla 
dottrina, che ha apprezzato le ragioni di giustizia che la ispiravano, ma ha tuttavia 
avuto bu9n gioco nel rilevare che la S.C, pur riaffermando il principio dell'identificazione 
del �danno ingiusto� con la lesione del diritto soggettivo, in pratica lo 
disattendeva sempre pi� spesso, �mascherando� da diritto soggettivo situazioni che 
non avevano tale consistenza, come il preteso diritto all'integrit� del patrimonio, le 
aspettative, le situazioni possessorie. 

La via maestra che la dottrina suggeriva era invece quella di prendere atto che 
l'art. 2043 e.e. non costituisce norma secondaria (di sanzione) rispetto a norme 
primarie (di divieto), ma racchiude in s� una clausola generale primaria, espressa 
dalla formula �danno ingiusto�, in virt� della quale � risarcibile il danno che 
presenta le caratteristiche dell'ingiustizia, in quanto lesivo di interessi ai quali 
l'ordinamento, prendendoli in considerazione sotto vari profili (esulanti dalle tematiche 
del risarcimento), attribuisce rilevanza. 

5. -Maggior resistenza ha mostrato invece la giurisprudenza di questa S.C. in 
riferimento alla risarcibilit� degli interessi legittimi. 
Ma anche sotto tale profilo risulta che la soluzione negativa ha visto progressivamente 
ristretto il suo ambito di applicazione, grazie ad operazioni di trasfigurazione 
di alcune figure di interesse legittimo in diritti soggettivi, con conseguente 
apertura dell'accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 e.e., a questi ultimi tradizionalmente 
riservata. 

Ci� � stato possibile focalizzando l'attenzione sull'interesse materiale sotteso (o 
correlato) all'interesse legittimo. L'interesse legittimo non rileva infatti come situazione 
meramente processuale, quale titolo di legittimazione per la proposizione del 
ricorso al giudice amministrativo, del quale non sarebbe quindi neppure ipotizzabile 
lesione produttiva di danno patrimoniale, ma ha anche natura sostanziale, nel senso 
che si correla ad un interesse materiale del titolare ad un bene della vita, la cui 
lesione (in termini di sacrificio o di insoddisfazione) pu� concretizzare danno. 

Anche nei riguardi della situazione di interesse legittimo l'interesse effettivo 
che l'ordinamento intende proteggere � pur sempre l'interesse ad un bene della vita: 
ci� che caratterizza l'interesse legittimo e lo distingue dal diritto soggettivo � 
soltanto il modo o la misura con cui l'interesse sostanziale ottiene protezione. 

L'interesse legittimo va quindi inteso (ed ormai in tal senso viene comunemente 
inteso) come la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un 
bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente 
nell'attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del 
potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell'interesse al bene. 

In altri termini, l'interesse legittimo emerge nel momento in cui l'interesse del 
privato ad ottenere o a conservare un bene della vita viene a confronto con il 
potere amministrativo e cio� con il potere della P.A. di soddisfare l'interesse (con 
provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dell'istante), o di sacrificarlo (con 
provvedimenti ablatori). 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CMIB 

Si delinea cos�, in riferimento alle diverse forme della protezione, la distinzione 
ormai acquisita e di uso corrente, tra �interessi oppositivi� ed �interessi pretensivi�, 
secondo che la protezione sia conferita al fine di evitare un provvedimento sfavorevole 
ovvero per ottenere un provvedimento favorevole: i primi soddisfano istanze 
di conservazione della sfera giuridica personale e patrimoni�le del soggetto; i secondi 
istanze di sviluppo della sfera giuridica personale e patrimoniale del soggetto. 

Altre distinzioni sono certamente configurabili, in relazione a diversi profili atteso 
che la categoria dell'interesse legittimo si palesa unitaria solo con riferimento 
all'accesso alla giurisdizione generale di legittimit� del giudice amministrativo, e 
cio� ai fini dell'annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento illegittimo, 
mentre si diversifica ed assume varie configurazioni se considerata a fini diversi, ivi 
compreso quello della eventuale tutela risarcitoria -ma soltanto a quella suindicata 
ritiene il Collegio di limitare la sua attenzione, in ragione della rilevanza che ha 
assunto, come subito si vedr�, nel tema in esame. 

5.1. -Con riferimento agli interessi legittimi, la giurisprudenza di questa S.C., 
pur riaffermandone in linea di principio la irrisarcibilit� (non gi� per ragioni inerenti 
alla sua essenza, ma quale necessario corollario della lettura tradizionale dell'art. 
2043 e.e.) ha manifestato una tendenza progressivamente estensiva dell'area della 
risarcibilit� (dei danni derivanti dalla lesione di alcune figure di interesse legittimo) 
nel caso di esercizio illegittimo della funzione pubblica mediante attivit� giuridiche. 
Nessun limite � stato invece ravvisato, come � noto, in relazione ai comportamenti 
materiali della P.A., indiscussa fonte di responsabilit� aquiliana (possono 
ricordarsi le seguenti pronunce: sentt. n. 737/70; n. 2851/76; n. 9550/92; n. 3939/96). 

Ed ulteriore estensione del principio ha riguardato la violazione dei c.d. limiti 
esterni della discrezionalit�, ravvisata in ipotesi in cui la P.A., omettendo di svolgere 
attivit� di vigilanza o di informazione, o compiendo erroneamente attivit� di certificazione, 
aveva determinato danni a terzi (vanno menzionate in proposito: sentt. 

n. 6667/92; n. 8836/94; n. 9593/94; n. 5477/95; n. 1030/96). 
La tecnica � stata assai simile a quella, gi� descritta, utilizzata per ampliare 
1'area della risarcibilit� ex art. 2043 e.e. nei rapporti tra privati, e cio� 1'elevazione 
di determinate figure di interessi legittimi (diversificate per contenuto e forme di 
protezione) a diritti soggettivi. 

Ci� si verifica, infatti, quando si ammette la risarcibilit� del c.d. diritto affievolito, 
e cio� dell'originaria situazione di diritto soggettivo incisa da un provvedimento 
illegittimo che sia stato poi annullato dal giudice amministrativo con effetto ripristinatorio 
retroattivo (in tal senso, tra le pronunce risalenti: sentt. n. 543/69; n. 5428/79; 
tra quelle pi� recenti: sentt. n. 12316/92; n. 6542/95). La vicenda pu� invero essere 
anche intesa in termini di tutela di un �interesse legittimo oppositivo�, considerando 
che il provvedimento illegittimo estingue il diritto soggettivo, ed il privato riceve 
tutela grazie alla facolt� di reazione propria dell'interesse legittimo, prima davanti al 
giudice amministrativo, per l'eliminazione dell'atto, e successivamente davanti al 
giudice ordinario che dispone del potere di condanna al risarcimento, per la riparazione 
delle ulteriori conseguenze patrimoniali negative. 

L'esigenza di ravvisare un diritto soggettivo che rinasce � palesemente dettata 
dalla necessit� di muoversi nell'area tradizionale dell'art. 2043 e.e. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

420 

Ed analoga considerazione pu� valere in relazione all'ipotesi (che costituisce 
sviluppo di quella precedente) della c.d. riespansione della quale beneficia anche il 
diritto soggettivo (non originario ma) nascente da un provvedimento amministrativo, 
qualora sia stato annullato il successivo provvedimento caducatorio 
dell'atto fonte della posizione di vantaggio (tra le pi� rilevanti decisioni che accolgono 
tale ricostruzione, apparsa alla dottrina alquanto �barocca�, possono ricordarsi: 
sentt. n. 5145179; n. 5027/92; n. 2443/83; n. 656/86; n. 2436/97; n. 3384/98). 
Anche nell'ambito di tale vicenda pu� invero rilevarsi che il privato, una volta 
acquisita in forza del provvedimento amministrativo (di concessione, autorizzazione, 
licenza, ammissione, iscrizione e cos� via) la posizione di vantaggio, risulta titolare 
di un �interesse legittimo oppositivo� alla illegittima rimozione della detta 
situazione, del quale si avvale utilmente sia per eliminare l'atto, sia per ottenere la 
reintegrazione dell'eventuale pregiudizio patrimoniale sofferto (rivolgendosi in 
successione ai due diversi giudici, poich� nessuno dei due � titolare di giurisdizione 
piena: ed � palese la macchinosit� del sistema che, di regola, richiede tempi lunghissimi). 
Vale, anche in riferimento a tale ulteriore ipotesi, l'osservazione gi� svolta 
circa le ragioni che imponevano di ravvisare un diritto soggettivo. 

5.2. -Da quanto detto emerge un assetto giurisprudenziale caratterizzato dalla 
limitazione della tutela piena (di annullamento e, successivamente, risarcitoria, nelle 
due diverse sedi) ai soli �interessi legittimi oppositivi� (elevati a diritti soggettivi 
mediante operazioni di trasfigurazione), con esclusione, quindi, dei soli �interessi 
legittimi pretensivi� (che invece una autorevole dottrina avrebbe voluto �promuovere
�, considerandoli come �diritti in attesa di espansione�). � questo il caso, emblematico, 
della c.d. aspettativa edilizia: la giurisprudenza di questa S.C. dopo aver 
ravvisato nello ius aedificandi una posizione di diritto soggettivo (sentt. n. 1324/61; 
n. 800/63), ha infatti successivamente qualificato come interesse legittimo 
(pretensivo) la posizione del privato che aspiri al rilascio della licenza edilizia 
(possono ricordarsi, ad esempio: sentt. n. 1589/90; n. 2382/92, n. 3732/94). Posizione 
che non muta la sua originaria consistenza anche nel caso in cui il provvedimento 
di diniego venga annullato, poich� l'eliminazione dell'atto negativo riproduce la 
situazione preesistente, suscettiva di evolversi in senso favorevole o sfavorevole in 
relazione all'esercizio del potere amministrativo di accogliere o disattendere le 
istanze di sviluppo della sfera giuridica dell'istante. 
Ma anche l'affermazione test� enunciata, circa l'irrisarcibilit� degli interessi 
legittimi pretensivi va rettificata, per negarne l'assolutezza. Nella giurisprudenza di 

questa S.C. � dato infatti individuare anche ipotesi nelle quali � stata riconosciuta la 
risarcibilit� di interessi legittimi pretensivi: si tratta dei casi, puntualmente segnalati 
dalla dottrina, degli interessi legittimi pretensivi lesi da fatto-reato (sentt. n. 5813/85 
e n. 1540/95, entrambe relative ad ipotesi di aspettative di avanzamento di carriera 
o di assegnazione di funzioni superiori da parte di pubblici dipendenti, frustrate da 
procedure concorsuali irregolari nelle quali era stata ravvisata ipotesi di reato: in tal 
caso il limite tradizionale dell'art. 2043 e.e. � stato superato applicando l'art. 185 
c.p., che non richiede l'ingiustizia del danno). 
E va ancora ricordato che, ritenendosi configurabile una posizione di interesse 
legittimo (pretensivo) anche nei rapporti tra privati, questa S.C., va riconosciuto la 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

risarcibilit� della lesione di tale posizione per effetto dell'illegittimo esercizio di 
�poteri privati� (nella specie nell'ambito di un rapporto di lavoro con un ente pubblico 
economico) (sent. n. 5668/79). 

5.3. -Pu� quindi concludersi, in esito alla compiuta rassegna (meramente 
esemplificativa, e quindi senza pretese di completezza), che anche il principio della 
irrisarcibilit� degli interessi legittimi (pretensivi, in quanto per quelli oppositivi il 
limite � stato superato con le tecniche sopra descritte), malgrado sia tenacemente 
ribadito, risulta meno granitico di quanto comunemente si ritiene. 
Una nuova lettura della giurisprudenza di questa S.C., pi� attenta a coglierne la 
progressiva evoluzione, consente quindi di ritenere che il principio risulta ormai 
vacillante, che sono maturi i tempi per una sua radicale revisione, cogliendo l'intimo 
significato di una linea di tendenza gi� presente in singole pronunce di questa S.C. 
(nella quale non sono mancate espresse sollecitazioni a superare l'orientamento 
tradizionale: v., in tal senso, l'obiter della sentenza n. 4083/96, al quale la dottrina 
ha dato particolare risalto, leggendolo come sintomo di un disagio interno alla C.S. 
a fronte della perdurante riaffermazione del principio negativo). 

6. -Concorrono altres� a giustificare un ripensamento della soluzione negativa 
vari interventi di segno contrario all'affermato principio dell'irrisarcibilit� degli 
interessi legittimi che si rinvengono nella recente legislazione. 
6.1. -Va anzitutto ricordato il riconoscimento, sotto la spinta dell'ordinamento 
comunitario, dell'azione di risarcimento (davanti al giudice ordinario previo annullamento 
dell'atto ad opera del giudice amministrativo) ai soggetti che abbiano subito 
una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di 
appalti pubblici di lavori o di forniture (art. 13 della legge n. 142 del 1990, di 
recepimento della direttiva comunitaria n. 665/89, la cui disciplina � stata successivamente 
estesa agli appalti di servizi ed ai c.d. settori esclusi; la disposizione � stata 
peraltro abrogata dall'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 80 del 1998). 
Sul rilievo che il diritto comunitario non conosce la distinzione tra diritti 
soggettivi ed interessi legittimi e che nella suindicata materia il privato (secondo il 
nostro ordinamento) � titolare di posizioni di interesse legittimo, si � sostenuto che 
la menzionata normativa avrebbe introdotto nel nostro ordinamento una ipotesi di 
risarcibilit� di interessi legittimi, e si � suggerito di riconoscerle forza espansiva 
ultrasettoriale, cos� conformando l'ordinamento interno a quello comunitario (il cui 
primato � ormai incontroverso) ed evitando disparit� di trattamento, nell'ordinamento 
interno, nell'ambito della generale figura dell'interesse legittimo. 

Il suggerimento non � stato tuttavia accolto da questa S.C., che ha ritenuto di 
attribuire alla suindicata normativa carattere eccezionale, traendone conferma del 
principio, costantemente affermato, della irrisarcibilit�, non suscettivo di essere 
posto in discussione da una norma dettata con riferimento ad uno specifico settore 
(sentt. n. 2667/93; n. 3732/94; n. 10800/94). 

Si tratta tuttavia di un indirizzo formatosi in riferimento al contingente assetto 
del diritto positivo, suscettivo quindi di riconsiderazione a fronte di successive modifiche 
dell'ordinamento; e modifiche consistenti si sono in effetti verificate, come 
ora si vedr�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'

422 

6.2. -In contrapposizione al diniego, opposto da questa S.C. con le suindicate 
sentenze, di rivedere il tradizionale orientamento negativo, si rinvengono anzitutto, 
sul piano legislativo, ulteriori tentativi di ampliamento della responsabilit� civile 
della P.A per danni conseguenti all'esercizio illegittimo della funzione pubblica. 
Tra questi va menzionato, a titolo esemplificativo, quello perseguito dall'art. 32 
della legge n. 109 del 1994, recante la previsione del rimedio risarcitorio, nelle forme 
di cui al citato art. 13 della legge n. 142 del 1990, in materia di appalti pubblici, 
ma non realizzato, perch� la legge fu successivamente sospesa e la suindicata norma 
venne poi sostituita dall'art. 9-bis del d.l. n. 101 del 1995, introdotto dalla legge di 
conversione n. 216 del 1995, che non conferm� il rimedio. 

Merita un cenno anche l'art. 5, comma 8, del d.l. n. 101del1993, che prevedeva 
la responsabilit� del soggetto responsabile del procedimento per i danni arrecati al 
singolo per il ritardo nel rilascio della concessione edilizia, ma che non trov� 
conferma nella legge di conversione n. 493 del 1993 (un esauriente catalogo degli 
interventi legislativi, non approdati ad esito positivo, � racchiuso nell'ord. n. 165 del 
1998 della Corte costituzionale, che ne sottolinea comunque la natura �Settoriale�). 

Non vale opporre che si tratta di iniziative che, per varie ragioni, non hanno avuto 
realizzazione, poich� anche tali interventi, solo tentati, dimostrano l'esistenza di una 
situazione in via di evoluzione, contrassegnata dalla consapevolezza del legislatore 
circa l'inadeguatezza della soluzione offerta dalla giurisprudenza in materia di 
responsabilit� civile della P.A. per l'esercizio illegittimo della funzione pubblica. 

6.3. -In tale quadro evolutivo si inserisce appunto, con indubbia forza 
innovativa, introdotta dal d.lgs. n. 80 del 1998, con il quale � stata data attuazione 
alla delega contenuta nell'art. 11, comma 4, lettera g), della legge n. 59 del 1997, 
che aveva previsto la devoluzione al giudice ordinario di tutte le controversie 
relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti della P.A. (gi� attribuite alla giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo), e la contestuale estensione della giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto 
diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle concernenti il risarcimento 
dei danni, in materia di edilizia, urbanistica e servizi pubblici. 
L'art. 29 del d.lgs. n. 80 del 1998 (che ha sostituito l'art. 68 del d.lgs. n. 29 del 
1993) ha invero devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, la 
quasi totalit� delle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle 
pubbliche amministrazioni (gi� riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo), con potere di disapplicazione, in via incidentale, degli atti 
amministrativi presupposti, se illegittimi (con esclusione della c.d. pregiudizialit� 
amministrativa nel caso di contemporanea pendenza del giudizio di impugnazione 
dell'atto davanti al giudice amministrativo: art. 68, comma 1, nel nuovo testo), e di 
adozione di tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi, estintivi e di condanna 
(art. 68, comma 2, del nuovo testo). 

A loro volta gli artt. 33 e 34 hanno devoluto alla giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi (art. 33) 
nonch� quelle aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle 
amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia (art. 34), mentre l'art. 
35, comma 1, ha stabilito che il giudice amministrativo, nelle controversie devolute 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CMLE 

alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli artt. 33 e 34, dispone, anche attraverso 
la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del �danno ingiusto� (secondo 
modalit� disciplinate dal comma 2). 

Risulta in tal modo compiuta dal legislatore una decisa scelta nel senso del 
superamento del tradizionale sistema del riparto della giurisdizione in riferimento 
alla dicotomia diritto soggettivo-interesse legittimo, a favore della previsione di un 
riparto affidato al criterio della materia. In particolare, per quanto concerne il giudice 
amministrativo, viene delineata una nuova giurisdizione esclusiva su determinate 
materie (di rilevante interesse sociale ed economico): nuova (rispetto a quella preesistente) 
perch� nel contempo esclusiva, nel significato tradizionale di giurisdizione 
amministrativa indifferentemente estesa alla cognizione degli interessi legittimi e 
dei diritti, e piena, in quanto non pi� limitata all'eliminazione dell'atto illegittimo, 
ma estesa alla conseguenze patrimoniali dannose dell'atto, perch� comprensiva del 
potere di disporre il risarcimento del �danno ingiusto� (gi� precluso dall'art. 7, 
comma 3, della legge n. 1034 del 1971, che riservava al giudice ordinario, anche 
nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le 
questioni relative ai diritti patrimoniali conseguenziali, comunemente identificati 
con il risarcimento del danno, e che � stato abrogato in tale parte dall'art. 35, comma 
4, con conseguente estensione dei poteri del giudice amministrativo anche nelle 
ulteriori ipotesi di giurisdizione esclusiva previste da altre norme precedenti). 

Ora, non pu� negarsi che la suindicata disciplina incide in modo significativo 
sul tema della risarcibilit� degli interessi legittimi, sia sotto il profilo strettamente 
processuale, concernente il ripai to delle competenze giurisdizionali, sia sotto il 
profilo sostanziale, in quanto coinvolge il generale tema dell'ambito della responsabilit� 
civile ex art. 2043 e.e. 

Per quanto riguarda il primo profilo, va osservato, in primo luogo, che l'opzione 
a favore di una estensione delle ipotesi di giurisdizione esclusiva, per la cui individuazione 
rileva la materia e non gi� la qualificazione della posizione giuridica soggettiva 
in termini di interesse legittimo o di diritto soggettivo, determina una sensibile attenuazione 
della generale rilevanza della distinzione tra le due figure (che pur permane 
nei settori non coperti dalla giurisdizione esclusiva, sicch� la categoria dell'interesse 
legittimo continua a porsi come figura essenziale -ed unitaria -ai fini dell'accesso 
alla giurisdizione amministrativa di annullamento); in secondo luogo, che la scelta, 
compiuta dal legislatore, di realizzare davanti al giudice amministrativo, in sede di 
giurisdizione esclusiva, con cognizione estesa indifferentemente agli interessi legittimi 
ed ai diritti soggettivi, in riferimento a vasti e rilevanti settori della vita sociale ed 
economica (i pubblici servizi, l'urbanistica e l'edilizia), la concentrazione di una tutela 
potenzialmente esaustiva per la posizione soggettiva lesa dall'esercizio illegittimo 
della funzione pubblica, sembra implicare la volont� di equiparare, quanto a tutela 
giurisdizionale, le due posizioni (che, � bene ribadirlo, gli artt. 24 e 113 Cost. pongono 
su un piano di pari dignit�), e di assicurare effettivit� alla tutela giurisdizionale, evitando 
la necessit� del successivo �ricorso a due giudici diversi (che costituisce grave 
limitazione dell'effettivit� della tutela giurisdizionale, ed il cui abbandono, espressamente 
ribadito anche in relazione alla nuova giurisdizione del lavoro dall'art. 29 del 
d.lgs. n. 80 del 1998, non pu� che essere salutato con favore). Quanto al secondo 
profilo, va rilevato che di particolare interesse � il richiamo contenuto nell'art. 35, 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'� 

424 

comma 1, nella parte in cui estende la tutela anche al risarcimento dei danni, alla 
clausola �danno ingiusto�. � infatti inequivocabile il riferimento all'analoga 

espressione che si rinviene nell'art. 2043 e.e., ma non pu� negarsi che l'effettuato ~ 
richiamo si presta ad una duplice lettura: a) nel senso che il legislatore abbia avuto 
presente il �danno ingiusto� come inteso dalla giurisprudenza �pietrificata� della ~,� 
S.C., e quindi come lesione dei soli diritti soggettivi; b) nel senso che la formula ~ 
�danno ingiusto� sia stata consapevolmente impiegata nell'accezione pi� ampia, 
che pur vive nelle opinioni della generalit� della dottrina e che il legislatore aveva 
gi� in precedenza mostrato di voler fare propria, con tentativi di scarsa efficacia. 

Si conferma, quindi, la gi� avvertita esigenza di affrontare alla radice il 
problema, compiendo una scelta tra le due contrapposte letture dell'art. 2043 e.e., 
incentrate sulla diversa qualificazione del �danno ingiusto�. 

7. -Una indiretta sollecitazione nel suindicato senso si pu� cogliere, d'altra 
parte, anche nelle gi� ricordate pronunce con le quali la Corte costituzionale non ha 
mancato di rilevare come la tesi che vuole non risarcibili i danni patrimoniali 
cagionati dall'esercizio illegittimo della funzione pubblica a posizioni di interesse 
legittimo, in base ad una delle possibili interpretazioni dell'art. 2043 e.e., determina 
l'insorgere di un problema di indubbia gravit�, che richiede �prudenti soluzioni 
normative, non solo nella disciplina sostanziale ma anche nel regolamento delle 
competenze giurisdizionali� (sent. n. 35/80) �e nelle scelte tra misure risarcitorie, 
indennitarie, reintegrative in forma specifica e ripristinatorie, ed infine nella delimitazione 
delle utilit� economiche suscettibili di ristoro patrimoniale nei confronti 
della P.A.� ( ord. n. 165/98). 
Il monito, o l'invito, ancorch� riferito al legislatore, non puo infatti non coinvolgere 
anche questa S.C., poich� anche alla giurisprudenza di legittimit� � consentito 
di intervenire con.efficacia nella dibattuta questione, nell'esercizio del suo potere di 
interpretare le norme, procedendo a riconsiderare la tradizionale interpretazione del 
concetto di �danno ingiusto�. 

8. -� noto che l'opinione tradizionale, formatasi dopo l'entrata in vigore del 
codice civile del 1942, secondo la quale la responsabilit� aquiliana si configura 
come sanzione di un illecito, si fonda sulle seguenti affermazioni: l'art. 2043 e.e. 
prevede l'obbligo del risarcimento del danno quale sanzione per una condotta che si 
qualifica come illecita, sia perch� contrassegnata dalla colpa del suo autore sia 
perch� lesiva di una posizione giuridica della vittima tutelata erga omnes da altra 
norma primaria; l'ingiustizia menzionata dall'art. 2043 e.e. � male riferita al danno, 
dovendo piuttosto essere considerata attributo della condotta, ed identificata con 
l'illiceit�, da intendersi nel duplice senso suindicato; la responsabilit� aquiliana 
postula quindi che il danno inferto presenti la duplice caratteristica di essere contra 
ius, e cio� lesivo di un diritto soggettivo (assoluto) e non jure, e cio� derivante da 
un comportamento non giustificato da altra norma. 
In senso contrario, aderendo ai rilievi critici che la dottrina assolutamente 
prevalentamente ha mosso alle suindicate affermazioni, pu� tuttavia osservarsi, 
per un verso, che non emerge dal tenore letterale dell'art. 2043 e.e. che oggetto 
della tutela risarcitoria sia esclusivamente il diritto soggettivo (e tantomeno il 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRI1TO E PROCEDURA �IV�LE 

diritto assoluto, come ha convenuto la giurisprudenza di questa S.C. con sentenza 

n. 174/71, con orientamento divenuto poi costante); per altro verso, che la scissione 
della formula �danno ingiusto�, per riferire l'aggettivazione alla condotta, 
costituisce indubbia forzatura della lettera della norma, secondo la quale 
l'ingiustizia � requisito del danno. 
Non pu� negarsi che nella disposizione in esame risulta netta la centralit� del 
danno, del quale viene previsto il risarcimento qualora sia �ingiusto�, mentre la 
colpevolezza della condotta (in quanto contrassegnata da dolo o colpa) attiene 
all'imputabilita della responsabilit�. 

L'area della risarcibilit� non � quindi definita da altre norme recanti divieti e 
quindi costitutive di diritti (con conseguente tipicit� dell'illecito in quanto fatto 
lesivo di ben determinate situazioni ritenute dal legislatore meritevoli di tutela), 
bens� da una clausola generale, espressa dalla formula �danno ingiusto�, in virt� 
della quale � risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell'ingiustizia, e 
cio� il danno arrecato non jure, da ravvisarsi nel danno inferto in difetto di una causa 
di giustificazione (non jure) che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per 
l'ordinamento (altra opinione ricollega l'ingiustizia del danno alla violazione del 
limite costituzionale di solidariet�, desumibile dagli artt. 2 e 41, comma 2, Cost. in 
riferimento a preesistenti situazioni del soggetto danneggiato giuridicamente 
rilevanti, e sotto tale ultimo profilo le tesi sostanzialmente convergono). 

Ne consegue che la norma sulla responsabilit� aquiliana non � norma (secondaria), 
volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme (primarie), bens� 
norma (primaria) volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto 
da un soggetto per effetto dell'attivit� altrui. 

In definitiva, ai fini della configurabilit� della responsabilit� aquiliana non 
assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica 
vantata dal soggetto, poich� la tutela risarcitoria � assicurata solo in relazione alla 
ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla 
lesione di un interesse giuridicamente rilevante. 

Quali siano gli interessi meritevoli di tutela non � possibile stabilirlo a priori: 
caratteristiche del fatto illecito delineato dall'art. 2043 e.e., inteso nei sensi suindicati 
come norma primaria di protezione, � infatti la sua atipicit�. Compito del 
giudice, chiamato ad attuare la tutela ex art 2043 e.e., � quindi quello di procedere 
ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, poich�, solo la lesione di 
un interesse siffatto pu� dare luogo ad un �danno ingiusto�, ed a tanto provveder� 
istituendo un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cio� dell'interesse 
effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell'interesse che il 
comportamento lesivo dell'autore del fatto � volto a perseguire, al fine di accertare 
se il sacrificio dell'interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione 
nella realizzazione del contrapposto interesse dell'autore della condotta, in ragione 
della sua prevalenza. 

Comparazione e valutazione che, � bene precisarlo, non sono rimesse alla 
discrezionalit� del giudice, ma che vanno condotte alla stregua del diritto positivo, 
al fine di accertare se, e con quale consistenza ed intensit�, l'ordinamento assicura 
tutela all'interesse del danneggiato, con disposizioni specifiche (cos� risolvendo in 
radice il conflitto, come avviene nel caso di interesse protetto nella forma del diritto 


RASSEGNA AVVOCAT�RA DELLO STATO

426 

soggettivo, soprattutto quando si tratta di diritti costituzionalmente garantiti o di 
diritti della personalit�), ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri 
profili diversi dalla tutela risarcitoria, manifestando cos� una esigenza di protezione 
(nel qual caso la composizione del conflitto con il contrapposto interesse � 
affidata alla decisione del giudice, che dovr� stabilire se si � verificata una rottura 
del �giusto� equilibrio intersoggettivo, e provvedere a ristabilirlo mediante il 
risarcimento). 

In particolare, nel caso (che qui interessa) di conflitto tra interesse individuale 
perseguito dal privato ed interesse ultraindividuale perseguito dalla P.A., la 
soluzione non � senz'altro determinata dalla diversa qualit� dei contrapposti 
interessi, poich� la prevalenza dell'interesse ultraindividuale, con correlativo 
sacrificio di quello individuale, pu� verificarsi soltanto se lazione amministrativa � 
conforme ai principi di legalit� e di buona amministrazione, e non anche quando � 
contraria a tali principi (ed � contrassegnata, oltre che da illegittimit�, anche dal dolo 

o dalla colpa, come pi� avanti si vedr�). 
9. -Una volta stabilito che la normativa sulla responsabilit� aquiliana ha funzione 
di riparazione del �danno ingiusto�, e che � ingiusto il danno che l'ordinamento non 
pu� tollerare che rimanga a carico della vittima, ma che va trasferito sull'autore del 
fatto, in quanto lesivo di interessi giuridicamente rilevanti, quale che sia la loro 
qualificazione formale, ed in particolare senza che assuma rilievo determinante la loro 
qualificazione in termini di diritto soggettivo, risulta superata in radice, per il venir 
meno del suo presupposto formale, la tesi che nega la risarcibilit� degli interessi 
legittimi quale corollario della tradizionale lettura dell'art. 2043 e.e. 
La lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o 
di altro interesse (non di mero fatto ma) giuridicamente rilevante, rientra infatti nella 
fattispecie della responsabilit� aquiliana solo ai fini della qualificazione del danno 
come ingiusto. 

Ci� non equivale certamente ad affermare la indiscriminata risarcibilit� degli 
interessi legittimi come categoria generale. Potr� infatti pervenirsi al risarcimento 
soltanto se l'attivit� illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell'interesse 
al bene della vita al quale l'interesse legittimo secondo il concreto atteggiarsi del 
suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla 
stregua dell'ordinamento. In altri termini, la lesione dell'interesse legittimo � 
condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex 
art. 2043 e.e., poich� occorre altres� che risulti leso, per effetto dell'attivit� illegittima 
(e colpevole) della P.A., l'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo 
si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce 
dell'ordinamento positivo. 

Per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, potr� ravvisarsi danno 
ingiusto nel sacrificio dell'interesse alla conservazione del bene o della situazione 
di vantaggio conseguente all'illegittimo esercizio del potere; cos� confermando, nel 
risultato al quale si perviene, il precedente orientamento, qualora il detto interesse 
sia tutelato nelle forme del diritto soggettivo, ma ampliandone la portata nell'ipotesi 
in cui siffatta forma di tutela piena non sia ravvisabile e tuttavia l'interesse risulti 
giuridicamente rilevante nei sensi suindicati. 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITI'O E PROCEDURA CMLE 

Circa gli interessi pretensivi, la cui lesione si configura nel caso di illegittimo 
diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, 
dovr� invece vagliarsi la consistenza della protezione che l'ordinamento riserva alle 
istanze d� ampliamento della sfera giuridica del pretendente. 

Valutazione. che implica un giudizio prognostico, da condurre in riferimento 
alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il 
pretendente fosse titolare non gi� di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, 
bens� di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la 
sua conclusione positiva, e cio� di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, 
era destinata, secondo un criterio di normalit�, ad un esito favorevole, e risultava 
quindi giuridicamente protetta. 

10. -Occorre ora chiedersi ��quali conseguenze comporta la nuova lettura della 
normativa sulla responsabilit� aquiliana in tema di riparto di giurisdizione. 
La questione, dovendo la Corte pronunciarsi nell'ambito di un giudizio 
pendente alla data del 30 giugno 1998, va esaminata con riferimento alla disciplina 
vigente, in tema di riparo della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice 
amministrativo, anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1998, che ha 
introdotto le gi� richiamate significative innovazioni circa il criterio di riparto. La 
nuova normativa trova infatti applicazione, secondo quanto prevede la disciplina 
transitoria dettata dall'art. 45, comma 18, in relazione alle controversie di cui agli 
artt. 33 e 34 instaurate a partire dal 1� luglio 1998, mentre resta ferma la giurisdizione 
prevista dalla precedente normativa per i giudizi pendenti alla data del 30 
giugno 1998. 

Ora, ritengono queste S.U. che, alla stregua della nuova lettura dell'art. 2043 e.e., 
va senz'altro confermato, con le necessarie precisazioni, l'indirizzo secondo il quale 
non d� luogo a questione di giurisdizione, ma attiene al merito, la contestazione 
circa la risarcibilit� degli interessi legittimi. 

Deve infatti ribadirsi, ai fini del giudizio sulla giurisdizione, in relazione ai 
giudizi pendenti alla data del 30 giugno 1998: 
a) che l'azione di risarcimento del danno ex art. 2043 e.e. nei confronti della 

P.A. per esercizio illegittimo della funzione pubblica bene � proposta davanti al 
giudice ordinario quale giudice al quale spetta, in linea di principio (secondo il 
previgente ordinamento), la competenza giurisdizionale a conoscere di questioni di 
diritto soggettivo, poich� tale natura esibisce il diritto al risarcimento del danno, che 
� diritto distinto dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione � fonte di danno 
ingiusto (che puo avere, indifferentemente, natura di diritto soggettivo; di interesse 
legittimo, nelle sue varie configurazioni correlate alle diverse forme della 
protezione, o di interesse comunque rilevante per I'ordinamento); 
b) che stabilire se la fattispecie di responsabilit� della P.A. per atti o provvedimenti 
illegittimi dedotta in giudizio sia riconducibile nel paradigma dell'art. 2043 
e.e., secondo la nuova lettura, costituisce questione di merito, atteso che l'eventuale 
incidenza della lesione su una posizione di interesse legittimo non deve essere 
valutata ai fini della giurisdizione, bens� ai fini della qualificazione del danno come 
ingiusto, in quanto lesivo di un interesse giuridicamente rilevante; 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

428 

e) che una questione di giurisdizione � configurabile soltanto se sussiste, in 
relazione alla materia nella quale � sorta la fattispecie, una giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo, estesa alla cognizione dei diritti patrimoniali conseguenziali, 
e quindi delle questioni relative al risarcimento dei danni (ipotesi che non si ravvisa 
nel caso in esame, poich�, pur vigendo, ai sensi dell'art. 16 della legge n. 10 del 1977, 
la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di diniego di concessione 
edilizia, tale giurisdizione non � estesa ai diritti patrimoniali conseguenziali in 
ragione del limite posto dall'art. 7 della legge n. 1034 del 1971). 

11. -Per quanto concerne, invece, il merito della pretesa, la nuova lettura 
dell'art. 2043 e.e., alla quale queste S.U sono pervenute, impone di fornire alcune 
precisazioni circa i criteri ai quali deve attenersi il giudice di merito. 
Qualora sia stata dedotta davanti al giudice ordinario una domanda risarcitoria 
ex art. 2043 e.e. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio della funzione 
pubblica, il detto giudice, onde stabilire se la fattispecie concreta sia o meno riconducibile 
nello schema normativo delineato dall'art. 2043 e.e., dovr� procedere, in 
ordine successivo, a svolgere le seguenti indagini: 

a) in primo luogo, dovr� accertare la sussistenza di un evento dannoso; 
b) proceder� quindi a stabilire se l'accertato danno sia qualificabile come 
danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento, 
che pu� essere indifferentemente un interesse tutelato nelle forme del 
diritto soggettivo (assoluto o relativo), ovvero nelle forme dell'interesse legittimo 
(quando, cio�, questo risulti funzionale alla protezione di un determinato bene della 
vita, poich� � la lesione dell'interesse al bene che rileva ai fini in esame), o altro 
interesse (non elevato ad oggetto di immediata tutela, ma) giuridicamente rilevante 
(in quanto preso in considerazione dall'ordinamento a fini diversi da quelli 
risarcitori, e quindi non r~conducibile a mero interesse di fatto); 
e) dovr� inoltre accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei 
noti criteri generali, se levento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva o 
omissiva) della P.A.; 
d) provveder�, infine a stabilire se il detto evento dannoso sia imputabile a 
dolo o colpa della P.A.; la colpa (unitamente al dolo) costituisce infatti componente 
essenziale della fattispecie della responsabilit� aquiliana ex art. 2043 e.e.; e non sar� 
invocabile, ai fini dell'accertamento della colpa, il principio secondo il quale la 
colpa della struttura pubblica sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione volontaria di 
atto amministrativo illegittimo, poich� tale principio, enunciato dalla giunsprudenza 
di questa S.C. con riferimento all'ipotesi di attivit� illecita, per lesione di un diritto 
soggettivo, secondo la tradizionale interpretazione dell'art. 2043 e.e. (sentt. n. 884/61; 

n. 814/67; n. 16/78; n. 5361/84; n. 3293/94; n. 6542/95), non � conciliabile con la 
pi� ampia lettura della suindicata disposizione, svincolata dalla lesione di un diritto 
soggettivo; l'imputazione non potr� quindi avvenire sulla base del mero dato 
obiettivo della illegittimit� dell'azione amministrativa, ma il giudice ordinario dovr� 
svolgere una pi� penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimit� 
del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bens� 
estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai 
parametri della negligenza o imperizia), ma della P.A. intesa come apparato (in tal 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CMLE 

senso, v. sent. n. 5883/91) che sar� configurabile nel caso in cui l'adozione e 
l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta 
in violazione delle regole di imparzialit�, di correttezza e di buona amministrazione 
alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice 
ordinario pu� valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalit�. 

Rispetto al giudizio che, nei termini suindicati, pu� svolgersi davanti al giudice 
ordinario, non sembra ravvisabile la necessaria pregiudizialit� del giudizio di annullamento. 
Questa � stata infatti in passato costantemente affermata per l'evidente 
ragione che solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, e 
quindi all'accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 e.e., riservata ai soli diritti 
soggettivi, e non pu� quindi trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, 
che svincola la responsabilit� aquiliana dal necessario riferimento alla lesione di un 
diritto soggettivo. E l'autonomia tra le due giurisdizioni risulta ancor pi� netta ove 
si consideri il diverso ambito dei giudizi, ed in particolare l'applicazione, da parte 
del giudice ordinario, ai fini di cui all'art. 2043 e.e., di un criterio di mutazione della 
responsabilit� non correlato alla mera illegittimit� del provvedimento, bens� ad una 
pi� complessa valutazione, estesa all'accertamento della colpa, dell'azione amministrativa 
denunciata come fonte di danno ingiusto. 

Qualora (in relazione ad un giudizio in corso) l'illegittimit� dell'azione 
amministrativa (a differenza di quanto � avvenuto nel procedimento in esame) non 
sia stata previamente accertata e dichiarata dal giudice amministrativo, il giudice 
ordinario ben potr� quindi svolgere tale accertamento al fine di ritenere o meno 
sussistente l'illecito, poich� l'illegittimit� dell'azione amministrativa costituisce 
uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art 2043 e.e. 

12. -Esula dall'oggetto del presente giudizio vagliare la coerenza degli affermati 
princ�pi in relazione alle controversie instaurate a partire dal 1� luglio 1998, ma 
non pu� non rilevarsi, per completezza di esame, che la realizzata concentrazione 
davanti al giudice amministrativo della giurisdizione piena (di annullamento e di 
risarcimento) nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del detto giudice 
(sia essa �nuova� o �vecchia�, poich� la coerenza del sistema indurrebbe a ritenere 
che la tutela risarcitoria sia erogabile dal giudice amministrativo in entrambi i casi, 
superando il limite della lettera dell'art. 35, commi 1, 4 e 5) risolve in radice il 
problema di cui si � finora discusso. 
Qualora, peraltro, la fattispecie produttiva di danno sia insorta nell'ambito di 
materia non attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, dovrebbe 
ritenersi appicabile il principio affermato in riferimento ai giudizi pendenti, 
anche per quanto concerne l'accertamento diretto, da parte del giudice ordinario, 
dell'illegittimit� dell'atto amministrativo quale elemento costitutivo della fattispecie 
dell'illecito civile nei sensi definiti dalla presente decisione, cos� realizzandosi anche 
su tale versante una sorta di concentrazione di tutela (come del resto espressamente 
prevede l'art. 68, comma 1, del d.lgs n. 29 del 1993, nel testo sostituito 
dall'art. 29, comma 1, del d. lgs. n. 80 del 1998, per la materia del lavoro). 

Si tratta, tuttavia, con ogni evidenza, di questione che riguarda una disciplina 
ancora in evoluzione (risulta alla Corte che � all'esame del Parlamento un disegno 
di legge, n 2934 del Senato, recante disposizioni in materia di giustizia amministrativa, 
che sembra volto ad ampliare i poteri di tutela risarcitoria del giudice 


RASSEGNA AWOCATIJRA DELLO STATO 

430 

amministrativo), e comunque meritevole di approfondimento, sulla quale queste S.U. 
si riservano di intervenire non appena se ne presenter� l'occasione. 

13. -In conclusione, il ricorso per regolamento di giurisdizione va dichiarato 
inammissibile: la questione con esso proposta, alla stregua delle suesposte considerazioni, 
non configura questione di giurisdizione, bens� questione di merito. 
14. -Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese 
del giudizio di cassazione. 
P.Q.M. 
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 29 luglio 1999, n. 566 -Pres. ff Favara -Rel. 
Corona -P.M. Carnevale (conf.) -Amm.ne 11.pp. (avv. Stato Di Pace) c. Nuova 

I 

Saip s.p.a. (avv. Giacobbe). 

I 

Atto amministrativo -Ordinanze extra ordinem di necessit� ed urgenza -Loro _j 
natura e sindacabilit�. 

I

Atto amministrativo -Ordinanze extra ordinem di necessit� ed urgenza -Effetti 

~ 

attributivi di diritti soggettivi -Configurabilit� -Controversie 


~

Giurisdizione A.G.O. r: 

Le ordinanze di necessit� c.d. extra-ordinem, che non costituiscono espressione I 

~ 

del comune potere amministrativo e -per ci� stesso -si diversificano dalla 

~ 

categoria concettuale degli atti amministrativi bench� emesse da organi della P A., 
si connotano in ragione della funzione normativa assolta, con carattere di generalit� 
ed astrattezza, anche in deroga delle leggi ordinarie, si sottraggono alla 

I disciplina concernente le forme di esercizio dei poteri e ben possono risultare 
attributive di diritti soggettivi. (Nella specie, simile effetto � stato riconosciuto, ai 
fini della giurisdizione dell'A.G.0., all'ordinanza del Commissario straordinario 
del Governo per le zone terremotate della Calabria e della Basilicata, che prevedeva 
la corresponsione d'un premio di accelerazione in caso di ultimazione, entro 
un prestabilito termine, della fornitura di alloggi prefabbricati oggetto dei contratti 
stipulati con la PA.) (1). 

(1) Da condividere nella parte riguardante natura, e parametri di relativa sindacabilit�, delle 
ordinanze considerate, la riprodotta sentenza sembra destare qualche perplessit� per quanto attiene 
alla operata riconduzione della previsione -sostanzialmente normativa -contenuta nel 
provvedimento commissariale negli schemi di una �promessa al pubblico� di cui all'art. 1989 cod. 
civ. Ma l'apparente antinomia concettuale si stempera alla luce delle cautele con le quali la Corte 
ha proceduto all'accostamento, tanto pi� in quanto l'assimilazione prefigurata dubitativamente non 
sembra aver rivestito ruolo determinante ai fini della pronuncia sulla giurisdizione. 
! 


,,,,.,,.,,,.............4'I 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CMLE 

(omissis) 

Con citazione 14 febbraio 1992, il Provveditorato regionale alle opere pubbliche 
della Campania convenne, davanti alla Corte d'Appello di Roma, la societ� p.a. 
Nuova Saip, esponendo quanto segue. 

Con atto 27 giugno 1988, la societ� Nuova Saip aveva chiesto il deferimento 
ad arbitri della controversia insorta con l'Amministrazione, avente ad oggetto il 
mancato pagamento del cosiddetto premio di accelerazione, che assumeva spettarle 
in forza dell'ordinanza 28 maggio 1981, n. 293, del Commissario Straordinario 
di Governo (secondo cui nei contratti di vendita di alloggi prefabbricati da 
destinarsi ai terremotati sarebbe stato corrisposto al venditore un premio di lire 

40.000 per mq di prefabbricato se entro il 20 agosto 1981 fosse stato ultimato il 
100% degli alloggi previsti). In relazione al contratto stipulato con il Comune di 
Morra De Sanctis aveva maturato il diritto al premio, che le era stato negato. 
Il Collegio arbitrale, con il lodo sottoscritto il 3 aprile 1991, depositato il 10 settembre 
1991 e reso esecutivo dal Pretore di Roma con decreto n. 89 del 14 settembre 
1991, aveva dichiarato dovuto alla Nuova Saip il premio di accelerazione nella misura 
di lire 188.258.000, con gli interessi legali. 

Domand� la dichiarazione di nullit� del lodo. 

La societ� Nuova Saip si costitu� e dedusse l'infondatezza dell'impugnativa. 
Chiedeva il rigetto di ogni avversa pretesa; in via riconvenzionale, domand� la 
condanna al risarcimento del danno da svalutazione monetaria ex art. 1224 cod. civ. 

La Corte d'Appello di Roma, con sentenza 24 ottobre 1995 -8 gennaio 1996, 
rigett� ambedue le domande e condann� l'Amministrazione alla rifusione delle spese. 
Ricorre per cassazione il Provveditorato Regionale alle opere pubbliche della 
Campania; resiste con controricorso e propone ricorso incidentale la Nuova Saip 

s.p.a. in liquidazione. La causa viene rimessa alle Sezioni Unite per la decisione 
della sola questione di giurisdizione. 
MOTNI DELLA DECISIONE 

1.-Con il secondo motivo di ricorso, l'Amministrazione ricorrente deduce 
difetto di giurisdizione sia del collegio arbitrale che del giudice ordinario (art. 360 

n. 1 cod. proc. civ.). 
L'ordinanza commissariale n. 293 del 1981 non pu� considerarsi fonte di diritti 
soggettivi. Detta ordinanza si rivolgeva all'Amministrazione, non era stata richiamata 
nel contratto, pur essendo stato stipulato in data successiva. Ammesso che 
l'ordinanza fosse valida ed efficace, poteva considerarsi solo come disposizione 
assunta nell'esercizio discrezionale dei poteri conferiti per l'attuazione dell'interesse 
pubblico alla celerit� della ricostruzione: quindi, come atto amministrativo 
volto a disciplinare l'azione dell'Amministrazione, in relazione al quale il collegio 
arbitrale ed il giudice ordinario difettano di giurisdizione. Il fatto che l'ordinanza 
prevedesse un contributo aggiuntivo al prezzo di fornitura non comporta, di per s�, 
il diritto soggettivo del privato ad ottenere tale premio, che era condizionato al 
verificarsi di numerose condizioni, sulla cui esistenza l'Amministrazione doveva 
formulare una valutazione di merito e, perci�, discrezionale. Come era avvenuto 
nella fattispecie con il provvedimento di rigetto. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

432 
"'


2.-Il motivo non pu� essere accolto. 

2.1. -Le ordinanze amministrative di necessit� e/o urgenza si comprendono 
nella categoria delle ordinanze necessitate extra ordinem, in quanto presentano il 
carattere precipuo della necessit� che, verificandosi all'infuori di ogni previsione, 
sfugge alle norme concernenti le forme di esercizio dei poteri. 
Queste ordinanze hanno un contenuto, che non � rigidamente predeterminato 
dalle norme, poich� il loro presupposto � costituito dalla impossibilit� di fare fronte 
alle situazioni imprevedibili con le disposizioni e con i procedimenti esistenti. Il 
potere sotteso alle ordinanze, perci�, si distingue dal comune potere amministrativo 

ed esse si diversificano dalla categoria concettuale degli atti amministrativi. Le 
ordinanze rappresentano atti sui generis, essendo la loro funzione quella di colmare 
le lacune dell'ordinamento. Pur essendo emesse da organi della pubblica amministrazione, 
le ordinanze extra ordinem pongono in essere normative destinate a 
regolare fattispecie non altrimenti disciplinabili. 

Nell'ambito dei fini predeterminati in modo rigoroso dalle norme ordinarie 
attributive dei poteri, il contenuto viene volta per volta determinato dalle stesse 
ordinanze extra ordinem, restando in qualche misura il relativo potere libero di 
scegliere gli strumenti entro la materia ed i fini. Proprio dai fini, il contenuto viene 
ad essere predeterminato. Pi� che per la libert� del contenuto, le ordinanze si con~ 


~ 

trassegnano per la specifica individuazione dei fini da raggiungere, cui il contenuto 
congruamente si adegua. I 

~ 

Per altro verso, le ordinanze si contrassegnano per il carattere generale ed @ 
astratto, in quanto riguardano indistintamente tutte le categorie dei soggetti, i quali f;j 

I ~ 

si trovano nelle condizioni previste, e non soltanto dei singoli soggetti 
individualmente determinati. 

2.2. -Le ordinanze del Commissario straordinario per le zone terremotate delle 
Regioni Basilicata e Campania, previsto dall'art. 1 del d.l. 26 novembre 1980, n. 776 
(convertito in legge con modificazioni dalla legge 22 dicembre 1980, n. 874), come, ' 
i 
. 
pi� in generale, quello delle ordinanze di necessit� attribuito ad altri organi della 

I

P.A. ai sensi degli artt. 2 e 216 del t.u. di P.S., 20 del t.u. della legge comunale e 
provinciale e 129-201 del t.u. sulle leggi sanitarie, aventi come presupposto la 
necessit� di far fronte a situazioni gravi di emergenza.con tempestivit� ed efficienza, 
e caratterizzate, oltre che dalla generalit� ed astrattezza, dal loro possibile contenuto 
normativo derogatorio delle norme di legge, incontrano limiti soltanto nelle esigenze 
del rispetto dei precetti della Costituzione e dei principi generali dell'ordinamento 
giuridico e nel divieto di interferenze nelle materie esclusivamente 
I

~ 

riservate alla legge (Cass., Sez. II, 19 marzo 1994, n. 2610). �

�
Alla luce dei principi esposti, non eccede i limiti del potere previsto dalla legge 

l'ordinanza del Commissario Straordinario per le zone terremotate delle Regioni 

1::

'},

Basilicata e Campania, con la quale si promette di corrispondere alle imprese !~~ 
costruttrici un premio di lire 40.000 per mq. se entro un congruo anticipo rispetto ai 

I lii ,, 

termini fissati per contratto fosse stato ultimato il 100% degli alloggi previsti nei 
negozi stipulati dal Comune di Morra De Sanctis con le imprese, cui erano stati 
appaltati i lavori di ricostruzione. 

" 

'

I

.,.,,,,.,��,���,,.;,.:::=:::.:::=::=:.,�=�:=:~:114'lfl 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CMLE 

2.3. -La legittimit� costituzionale di dette ordinanze � fuori discussione. 
L'art. 4 d.l. 27 febbraio 1982, n. 57, convertito nella legge 29 aprile 1982, n. 
187, che prevede la sanatoria di atti illegittimi emanati per far fronte alle eccezionali 
necessit� determinate dai terremoti della Campania e della Calabria del 1980, � 
costituzionalmente legittimo. La tutela del cittadino verso gli atti illegittimi della 

P.A. non � illimitata ed invariabile, potendo il legislatore ordinario regolare i modi 
e l'efficacia di tale tutela con criteri di ragionevolezza e di adeguatezza. Pertanto, 
non contrasta con gli artt. 24 e 113 Cost. una legge che, sanando gli atti amministrativi 
illegittimi, li sottragga al controllo di legittimit�, per quanto attiene ai vizi 
sanati, sempre che la sostituzione della norma eccezionale alla disciplina generale 
sia giustificata da eventi eccezionali, nessun principio costituzionale sia vulnerato e 
sia comunque assicurata la tutela giurisdizionale in ordine all'accertamento della 
sussistenza dei presupposti della sanatoria (Corte Cost., 3 aprile 1987, n. 100; Corte 
Cost., 26 novembre 1987, n. 429). 
2.4. -In difetto di espressa previsione della pubblicit� legale, non contemplata 
dalle norme concernenti i poteri del Commissario straordinario del Governo, l'esistenza 
in concreto e la notoriet� dell'ordinanza 28 maggio 1981, n. 293 della Corte 
d'Appello viene ritenuta con un giudizio di fatto. Essendo la motivazione logicamente 
corretta e sufficiente -posto che la pubblicazione e la notoriet� del provvedimento 
viene ricavata dalla pluralit� delle richieste da parte delle imprese, che ne reclamavano 
l'applicazione -l'accertamento risulta insindacabile in questa sede. 
2.5. -Come � noto, la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, 
ai fini del suo riparto tra giudice ordinario ed amministrativo, rileva non gi� la 
prospettazione delle parti, bens� il cosiddetto <<petitum sostanziale�, il quale va 
identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione richiesta al 
giudice, ma soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca 
natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice 
stesso con riguardo alla sostanziale protezione accordata in astratto a quest'ultima 
dal diritto positivo. 
La promessa di un premio alle imprese, che avrebbero consegnato gli appartamenti 
in un termine pi� breve di quello contrattuale, prevista nella suddetta ordinanza 
sembra raffigurare una sorta di promessa al pubblico. 

L'ordinanza contempla un impegno, in conformit� con l'interesse dell' Amministrazione 
promittente a conseguire il risultato in termini pi� brevi di quelli pattuiti. 
La promessa dell'Amministrazione si distingue dall'offerta, che ha bisogno dell'accettazione, 
in quanto l'impegno non pare aver bisogno dell'accettazione, essendo vincolante 
solo per l'Amministrazione. Relativamente alla promessa dell'Amministrazione, 
infatti, non si rinvengono norme che facciano pensare alla necessit� dell'accettazione 
da parte delle imprese. Il rapporto tra il premio promesso dall' Amministrazione 
e l'azione, che essa richiede alle imprese (l'esecuzione delle costruzioni in 
termini pi� brevi di quelli pattuiti) non riproduce lo schema dei contratti onerosi. 

D'altra parte, l'attivit� delle imprese, in astratto, di per s� � negoziabile, ma dal 
promittente, sembra assunta soltanto come risultato. La costruzione degli edifici in 
termini pi� brevi si pone come evento, cui l'impegno dell'Amministrazione committente 
� condizionato. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'

434 

Se l'ordinanza di cui si discute � valida e produce effetti, agli imprenditori pu� 
attribuire dei diritti soggettivi, e non dei meri interessi legittimi, in quanto i premi 
per l'acceleramento delle opere risultano previsti non gi� sulla scorta dell'esercizio 
di poteri discrezionali da parte della Pubblica Amministrazione, ma sulla base di 
precise circostanze di fatto espressamente enunciate, che richiedono un mero 
accertamento contabile. 

3.-Riuniti i ricorsi, deve essere rigettato il secondo motivo del ricorso 
principale e dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, rimettendo gli atti al 
Primo Presidente per l'assegnazione alle sezioni semplici. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 novembre 1999, n. 12535 -Pres. Cantillo Est. 
Reale -P.M. Buonajuto -Ministero delle Finanze ( avv. Stato Fiumara e 
Laporta). 

Responsabilit� patrimoniale -Cause di prelazione -Confisca nei confronti di 
appartenenti ad associazioni mafiose -Diritti reali di garanzia di terzi Tutela 
-Giudice competente. 

(Cod. pen., art. 240; cod. proc. pen., art. 665 e segg. e 676; legge 31 maggio 1965, n. 575, 
e succ. mod., art. 2 ter). 

Il provvedimento di confisca, pronunciato ai sensi dell'art. 2 ter della legge 
31maggio1965 n. 575 e succ. mod. nei confronti dell'indiziato di appartenenza 
ad associazione mafiosa, non pu� pregiudicare i diritti reali di garanzia, 
costituiti sui beni confiscati in epoca anteriore al procedimento di prevenzione a 
favore di terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo a detto provvedimento. 
Costoro, per�, potranno far valere le loro pretese soltanto davanti al giudice 
dell'esecuzione penale nelle forme e secondo le modalit� previste dagli artt. 665 
e segg. cod. proc. pen., norme che attribuiscono al giudice dell'esecuzione 
competenza a decidere in ordine alla confisca e, pertanto, sui diritti che i terzi 
rimasti estranei al procedimento penale possano vantare sul bene confiscato (1). 

(1) Disposta una confisca ai sensi dell'art. 2 ter, comma terzo, della legge 31 maggio 1965 
n. 575 e succ. mod., la Sicilcassa aveva cionondimeno promosso esecuzione immobiliare sull'immobile 
confiscato per la realizzazione del suo credito assistito da garanzia reale. L'Amministrazione 
finanziaria aveva proposto opposizione all'esecuzione e questa era stata respinta dai 
giudici di merito. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell'Amministrazione, fatto 
salvo -come espressamente riconosciuto dalla difesa statale in giudizio -il diritto del creditore 
ipotecario preesistente alla confisca, ha precisato che, non essendo chiamati ad intervenire nel 
procedimento di prevenzione di cui all'art. 2 ter della legge n. 575/1965 i terzi �in senso relativo� 
titolari di diritti connessi con la posizione giuridica della persona proposta per la misura di 
prevenzione ma non titolari di diritti autonomi incompatibili con la pretesa dello Stato alla 
confisca dei beni, questi terzi -fra i quali appunto il titolare di diritto reale di garanzia possono 
(e devono) per� far riconoscere la salvezza del loro diritto solo davanti al giudice 
dell'esecuzione penale (che � lo stesso giudice del provvedimento di prevenzione). 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 

435 

(omissis) 

Con un unico motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione 
degli artt. 2 ter legge 31 maggio 1965 n. 575 e succ. mod., 240 c.p.c, 665 e segg. 

c.p.p. (art. 360 n. 3 c.p.c.), il Ministero sostiene che il diritto del terzo deve essere 
fatto valere solo nell'ambito del procedimento di prevenzione; che la Sicilcassa 
non pu� far valere il diritto reale di garanzia vantato se non previo accertamento 
della sua esistenza da parte del giudice dell'esecuzione penale che ha adottato il 
provvedimento di confisca del bene immobile su cui grava l'ipoteca. Conclude 
affermando che in questi limiti intende chiedere l'annullamento della sentenza 
della Corte d'Appello, fermo che potr� sempre il titolare del diritto reale o di 
garanzia, rivolgersi (ancora) al giudice dell'esecuzione penale per il riconoscimento 
del suo diritto. 
L'Amministrazione ricorrente non ha contestato le considerazioni relative al 
carattere derivativo dell'acquisto da parte dello Stato dei beni confiscati -con 
conseguente salvezza dei diritti dei terzi estranei che potranno essere fatti valere nei 
confronti dello Stato -esplicitamente riconoscendo che la confisca di cui alla 
suddetta normativa, alla pari della confisca penale (art. 240 c.p.c), di regola non 
pregiudica i diritti dei terzi che, senza alcun collegamento con l'attivit� dell'indiziato 
o collusione con esso, sono sorti legittimamente sulla cosa. Ha, quindi, 
abbandonato la tesi principale sostenuta in sede di merito e, riprendendo quella 
secondaria (il diritto del terzo non viene pregiudicato dalla confisca ma pu� essere 
esercitato solo nell'ambito del giudizio di prevenzione), sostiene che il diritto reale 
di garanzia non pu� farsi valere se non previo accertamento del giudice penale. 

Il motivo di ricorso � fondato. 

� opportuno premettere (a) che nella lotta alla criminalit� organizzata, assumono 
ruolo fondamentale le misure repressive e sanzionatorie di carattere patrimoniale 
con le quali viene sottratta alle organizzazioni criminali almeno una parte della 

Tale pronuncia (conforme all'indirizzo, pur segnalato nel ricorso per cassazione del 
Ministero, di cui a Cass., Sez. I pen., 21gennaio1992, Sanseverino, in relazione all'art. 2 ter della 
legge n. 575/1965, ma non aderente alla giurisprudenza della stessa Corte, Sez. I pen., 8 luglio 
1991, Mende/la, in relazione all'art. 240, comma terzo, cod. pen.) riconduce opportunamente ed 
esattamente la verifica della sussistenza effettiva del diritto reale di garanzia alla competenza del 
giudice penale, ma sembra confinarla al solo procedimento di opposizione ex artt. 665 e segg. 
cod. proc. pen., non prevedendo che il titolare di tale diritto sia chiamato o intervenga, ove a 
conoscenza, gi� a monte nel corso del procedimento di prevenzione, dove, nel pieno rispetto di 
tutte le posizioni, potrebbero essere chiariti i limiti eventuali della confisca, senza attendere 
l'esito di un successivo e pi� complesso giudizio di opposizione. 

Sembra quindi che possano pur sempre essere consentiti -anche se non specificamente 
previsti dalla norma e al di fuori di ogni obbligo legale, in tale senso interpretando la sentenza 
trasmessa -la chiamata o l'intervento volontario nel giudizio di prevenzione del terzo che 
appaia o sostenga essere titolare di un diritto reale di garanzia sul bene confiscando, per la 
verifica, gi� in tale sede, della sua reale consistenza ed opponibilit�: in mancanza di tale verifica 
preventiva (o di rigetto della sua istanza) potrebbe il terzo attivarsi per far valere le sue ragioni 
soltanto nelle forme dell'opposizione all'esecuzione penale, come espressamente statuito dalla 
Corte Suprema. 

O.F. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO<<

436 

loro ricchezza riducendone il potere economico; (b) che i relativi provvedimenti non 
possono, tuttavia, pregiudicare i diritti dei terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo 
ai procedimenti di sequestro e confisca (Cass. 5988/97, Cass. pen. 21gennaio1992 
n. 250 Sanseverino, S.U. pen. 18 maggio 1994 COMIT Leasing, 11gennaio1994 
Andricciolo ). Osservasi ancora che i terzi �in senso relativo� -titolari di diritti 
connessi con la posizione giuridica della persona proposta per la misura di 
prevenzione, diversi dai terzi titolari di diritti autonomi e incompatibili con la 
pretesa dello Stato alla confisca dei beni -non sono chiamati ad intervenire �per 
svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni� (Cass. pen. n. 250/92 cit. e C. 
Cast. n. 190/94). Ai sensi del 5� comma del cit. art. 2 ter legge 575/65 e succ. mod. 
solo �se risulta che i beni sequestrati appartengono a terzi, questi sono chiamati ... 
ad intervenire�. La nozione di �appartenenza� implica un rapporto formale e 
sostanziale col bene idoneo ad escludere la disponibilit� in capo ad altri; il 
provvedimento di confisca, traslativo del diritto di propriet� del bene in favore dello 
Stato, non opera alcuna trasformazione della natura dei diritti dei creditori donde 
non si verifica la situazione di �appartenenza� richiesta dall'art. 2 ter cit. In base a 
tale condivisibile orientamento pu� ben essere confiscato un bene immobile che si 


I

trovi nella �disponibilit�� dell'interessato, anche se il bene sia vincolato con ipoteca 
a favore di un terzo estraneo, non precludendo la misura di garanzia reale la sua 

I 

circolazione giuridica (2860/94 imp. Moriggi). 
L'esigenza di assicurare al terzo di buona fede la facolt� di soddisfare le 

I

ragioni creditorie facendo valere nei confronti dello Stato, nuovo proprietario del 
bene staggito, la garanzia reale gravante sull'immobile -principio costanteI 
mente affermato da questa Corte con riferimento alla disposizione dell'art. 240 ~ 

Iili 

c.p.c (Cass. S.U. 2635/89, 11095/90) ma ancor pi� applicabile (Cass. pen. 250/92 
cit.), alla confisca disposta ai sensi dell'art. 2 ter citata legge -non pu� ostacolare 
l'impegno dello Stato di colpire il prodotto economico-patrimoniale di attivit� 
illecite. 
� necessario impedire che il soggetto indiziato possa procurarsi -mediante 
prestiti bancari e con il sistema di precostituirsi una schiera di creditori di 
comodo muniti di titoli con data certa -denaro di provenienza lecita sottraendo 
poi alla confisca i beni vincolati a garanzia di terzi creditori. 

L'esigenza di non vanificare l'intervento sanzionatorio dello Stato induce a 
dubitare e quindi ad escludere che l'accertamento della legittimit� del diritto di sequela 
vantato dal terzo creditore privilegiato possa consistere nel mero controllo 
della data di iscrizione della formalit� ipotecaria e nell'astratta verifica dell'esistenza 
di un credito, peraltro agevolmente documentabile nell'ipotesi di illecito 
accordo. L'accertamento del diritto del terzo impone un'indagine pi� estesa ed approfondita 
che, per intuibili ragioni, pu� essere svolta solo dal giudice penale, con 
garanzia del contraddittorio, in sede di procedimento di esecuzione. 

Conformemente all'orientamento espresso dalla corte penale di legittimit� 
(2885/96 imp. Tretto, 12 giugno 1991 imp. Pini), i terzi rimasti estranei al procedimento 
regolato dal citato art. 2 ter potranno far valere le loro pretese davanti al 
giudice dell'esecuzione nelle forme e secondo le modalit� previste dagli artt. 665 
e segg. c.p.p., norme che attribuiscono al giudice dell'esecuzione competenza a 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

decidere in ordine alla confisca e, pertanto, sui diritti che i terzi rimasti estranei al 
procedimento penale possano vantare sul bene assoggettato a confisca. 

La Sicilcassa dovr� rivolgere al giudice dell'esecuzione penale, ai sensi 
dell'art. 676 c.p.p., la richiesta di riconoscimento della garanzia reale che assiste 
il proprio credito sul bene ormai di pertinenza dello Stato, successore a titolo 
particolare nel diritto di propriet�, per il rilievo che il riconoscimento di diritti 
reali sul bene -che limitano o riducono il suo contenuto -rientrano, come si 
� detto, nella competenza del giudice della confisca. (omissis) 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 22 luglio 1999 n. 19 -Pres. Laschena -Est. 
Baccarini -Pascasio ( avv. Pascasio) c. Ministero di Grazia e Giustizia ( avv. 
Stato Nucaro ). 

Giustizia amministrativa -Esecuzione del giudicato -Legge sopravvenuta 
irretroattiva -Fattispecie. 

Nelle situazioni giuridiche di durata il tratto dell'interesse che si svolge 
successivamente al giudicato resta soggetto alla disciplina delle eventuali leggi 
sopravvenienti, qualunque sia il contenuto qualificatorio del giudicato medesimo (1). 

(omissis) 

1. -Con il primo motivo il ricorrente censura la decisione di ottemperanza nella 
parte in cui ha disposto il riassorbimento degli importi corrispondenti agli aumenti 
periodici. 
Il motivo, oltre che inammissibile, � infondato. 

Inammissibile perch� denuncia dinanzi al Consiglio di Stato una sentenza del 
medesimo giudice, resa in un giudizio in cui il ricorrente � stato parte, non per vizi 
revocatori ma per un preteso errore di giudizio. 

Infondato, perch� muove da una inesatta rappresentazione della realt� 
processuale. 

La �non riassorbibilit�� del beneficio degli aumenti periodici, cui si riferiva la 
sentenza del TAR del Lazio, sez. I, 4luglio1984, n. 607, confermata dalla sentenza del 
Consiglio di Stato, sez. IV, 29 dicembre 1987, n. 849, giudicato per la cui esecuzione il 
ricorrente ha agito in giudizio, indicava che lo stesso spettava ai magistrati di ogni 
qualifica, in applicazione dell'art. 5, u. c. del d.P.R. n. 1080/1970, ed era quindi non 
riassorbibile nella progressione del magistrato alle qualifiche superiori. 

La �riassorbibilit�� stabilita dalla sentenza di ottemperanza di cui trattasi consiste, 
invece, nel riassorbimento con i futuri miglioramenti economici di un trattamento 
economico fissato nel giudicato ma non pi� riconosciuto dalla legge sopravvenuta. 

(1) L'Adunanza Plenaria, con la sentenza in esame, ribadisce il principio in base al quale la 
legge irretroattiva sopravvenuta al giudicato incide sulle situazioni durevoli riguardo la parte 
dell'interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto ma una 
successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica: cfr., in termini, Cons. 
Stato, Ad. Plenaria, 11maggio1998 n. 2, in Giur. it., 1998, 1936. Sull'argomento, cfr., in dottrina, 
FRANCARIO, Osservazioni in tema di giudicato amministrativo e legge interpretativa, in Dir. proc. 
amm., 1995, I, 277; A.NzoN, Questioni sulla misura dei trattamenti pensionistici e variet� di 
tecniche di decisione, in Giur. Cost., 1993, 310. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO� 

440 

� evidente, quindi, che la �non riassorbibilit�� garantita dal giudicato era, al di 
l� dell'equivoco semantico, una nozione completamente diversa dal 
�riassorbimento� stabilito dalla sentenza di ottemperanza in applicazione delle leggi 

n. 425/84 e n. 265/91. 
Tale considerazione risolve la questione in fatto ed esime dal ricordare che nelle 
situazioni giuridiche di durata il tratto dell'interesse che si svolge successivamente 
al giudicato resta soggetto alla disciplina delle eventuali leggi sopravvenienti, 
qualunque sia il contenuto qualificatorio del giudicato medesimo. 

2. -Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che il provvedimento emanato 
dal commissario ad acta non disponga lattribuzione degli aumenti periodici nelle 
qualifiche di magistrato d'appello e di magistrato di cassazione, ma soltanto nella 
qualifica di appartenenza -al momento del collocamento a riposo -di magistrato 
di cassazione con funzioni direttive superiori. 
Il motivo � fondato. 
Dal testo del provvedimento del commissario ad acta del 18 gennaio 1999, in 
atti, risulta che l'importo corrispondente ai sei aumenti biennali del 2,50% � stato 

Icomputato nella sola qualifica -in atto al momento del collocamento a riposo di 
magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori. 

I

Il commissario ad acta, con nota del 16 aprile 1999, ha spiegato il criterio posto 
a base del provvedimento adottato, che consisterebbe nella coerenza con il sistema I di determinazione degli stipendi dei magistrati nella legge n. 425/84, nel quale la P., 

I ili

valutazione economica delle anzianit� pregresse � legata all'effettiva permanenza 
nelle qualifiche. 

Se cos� �, appare evidente che il commissario ad acta ha frainteso il suo ' 
incarico, che era quello di dare esecuzione ad un giudicato secondo le indicazioni 
della sentenza di ottemperanza. 

I 

Il precetto complesso risultante dal primo e dalla seconda era il seguente: 
includere nella base pensionabile del ricorrente gli importi corrispondenti a sei 
aumenti periodici del 2,50% sullo stipendio in godimento a partire dalla qualifica di 
magistrato d'appello, da conservare a titolo personale e salvo riassorbimento con i 
futuri miglioramenti economici. 

Il provvedimento andr� pertanto integrato con l'inclusione degli importi 
corrispondenti ai predetti aumenti periodici anche nelle qualifiche di magistrato 

d'appello e di magistrato di cassazione. 

La clausola del riassorbimento dei predetti importi -essa s� -attua il 
coordinamento tra il trattamento economico spettante in base al giudicato e il 
sistema della legge n. 425/84. 

3. -Con il quarto motivo il ricorrente lamenta che ai fini della determinazione 
dello stipendio dell'ultima qualifica rivestita prima del 1� luglio 1983 non siano stati 
computati i 15 anni di servizio prestati nella qualifica di magistrato di cassazione 
con funzioni direttive superiori. 

Il motivo � infondato. 

Ai sensi dell'art. 4 comma 5 della legge 6 agosto 1984, n. 425, infatti, il 
beneficio della valutazione percentuale di ogni anno di servizio spetta per i servizi 
prestati dai magistrati nelle qualifiche inferiori a quelle di appartenenza. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

441 

La pretesa di attribuzione del beneficio nella qualifica di appartenenza 
(magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori) non pu� pertanto avere 
ingresso. 

4. -Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la mancata corresponsione di 
interessi e rivalutazione monetaria. 
Il motivo � fondato. 
Interessi e rivalutazione monetaria sono dovuti secondo i criteri per la 

corresponsione e le modalit� di calcolo di cui al d.m. 1 settembre 1998, n. 352. 

(omissis) 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 15 settembre 1999 n. 14 -Pres. Laschena -Est. 
Baccarini-Impresa Pizzarotti & C. s.p.a. (avv. Sanino e Cugurra) c. Artelli (avv.ti 
Bianchini, Moze e Romanelli), Prefetto di Udine (avv. Stato Arena E.) e altri (n.c.). 

Atto amministrativo -Avviso di procedimento -Art. 7 legge n. 241 del 1990 Finalit�. 


Espropriazione per pubblica utilit� -Comunicazione ai sensi dell'art. 7 legge 

n. 241del1990 -Necessit�. 
Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione temporanea e d'urgenza Comunicazione 
ai sensi dell'art. 7 legge n. 241del1990 -Non occorre. 

L'avviso di procedimento, di cui ali' art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, che 
l'autorit� procedente � tenuta a dare ai soggetti nei cui confronti il provvedimento 
finale � destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono 
intervenirvi, ha comportato l'innesto nel procedimento amministrativo della cultura 
della dialettica processuale: di conseguenza, alla prassi della definizione 
unilaterale del pubblico interesse, � subentrato il sistema della democraticit� delle 
decisioni e della accessibilit� dei documenti amministrativi, in cui l'adeguatezza 
dell'istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi 
in condizione di contraddire (1). 

(1-3) L'Adunanza Plenaria, con la sentenza in esame, ha esaminato il problema dei rapporti 
tra l'art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, sulla comunicazione di avvio del procedimento 
amministrativo, e gli istituti della dichiarazione di pubblica utilit� e di occupazione d'urgenza nei 
procedimenti espropriativi. 

In particolare, il Consiglio di Stato ha affermato che la dichiarazione di pubblica utilit� � 
soggetta alla norma sull'avviso di procedimento, di cui all'art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, 
rilevato che, se ci� non fosse, il risultato sarebbe quello di espungere dall'ambito del giusto 
procedimento, fuori dei casi previsti dalla legge, un procedimento amministrativo autonomo (1). 

(1) Si erano gi� pronunciati sull'argomento, in senso conforme alla sentenza in esame, Tar Lombardia, 
sez. II, 2 febbraio 1998 n. 144, in Giust. civ. 1998, I, 2372; Tar Lombardia, Brescia, 9 marzo 1998, n. 153, in Foro 
amm., 1999, 431; Tar Campania, sez. Salerno, 15 aprile 1999, n. 103, in Tar, 1999, I, 2122. 

RASSEGNA AVVOCATlJRA DELLO STATO.

442 

La dichiarazione di pubblica utilit�, che ha come effetto quello di sottoporre il 
bene al regime di espropriabilit�, incide direttamente sulla sfera giuridica del 
proprietario, � immediatamente lesiva e autonomamente impugnabile: pertanto, 

tale dichiarazione � soggetta alla norma sull'avviso di procedimento, di cui 
all'art. 7 della legge 7agosto1990 n. 241, rilevato che, se ci� non fosse, il risultato 

sarebbe quello di espungere dall'ambito del giusto procedimento, fuori dei casi 
previsti dalla legge, un procedimento amministrativo autonomo (2). 

La norma sull'avviso di procedimento, di cui all'art. 7 della legge 7 agosto 
1990 n. 241, non ha ragion d'essere per i procedimenti di occupazione d'urgenza 
rilevato che, mentre la dichiarazione di pubblica utilit� conserva momenti di scelte 
discrezionali, l'occupazione d'urgenza si caratterizza per essere meramente 
attuativa dei provvedimenti presupposti (3). 

(omissis) 

1. -Con il primo motivo l'appellante principale censura la sentenza di primo 
grado nella parte in cui ha ritenuto l'impugnato provvedimento di approvazione del 
progetto illegittimo perch� emanato in carenza del relativo avviso di procedimento. 
In ordine alla relativa questione la IV sezione ha rimesso il ricorso a questa 
Adunanza plenaria. 
Il motivo � infondato. 

II

2. -Il regime del procedimento di dichiarazione di pubblica utilit� ha sempre 
oscillato tra i due poli contrapposti delle garanzie e della celerit�. 
Nella conformazione originaria di cui alla legge n. 2359/1865, la dichiarazione 
di pubblica utilit� �esplicita� si articolava in due procedimenti distinti. 

In primo luogo si svolgeva il procedimento attinente alla dichiarazione di 
pubblica utilit� in senso proprio, i cui snodi procedimentali erano: presentazione 
della domanda (art. 3), pubblicazione della stessa presso gli uffici comunali (art. 4), 
presentazione di eventuali osservazioni da parte di chiunque vi avesse interesse 
(art. 5), emanazione del decreto di dichiarazione di pubblica utilit� (artt. 9, 10 e 11). 

� stata cos� riesaminata la posizione assunta in precedenza dalla stessa Adunanza Plenaria 
del Consiglio di Stato con la decisione 18 giugno 1986 n. 6 (2), con la quale, nell'ipotesi di 
dichiarazione di pubblica utilit� implicita, si era ritenuto legittimo un provvedimento di 
approvazione definitiva dell'opera non preceduta, ma soltanto seguita, dalla partecipazione degli 
interessati, purch� anteriormente al provvedimento di espropriazione. 

Con la sentenza in esame l'Adunanza Plenaria ha poi precisato che la norma sull'avviso di 

procedimento, di cui all'art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, non ha ragion d'essere per i 

procedimenti di occupazione d'urgenza rilevato che, mentre la dichiarazione di pubblica utilit� 

conserva momenti di scelte discrezionali, l'occupazione d'urgenza si caratterizza per essere 

meramente attuativa dei provvedimenti presupposti (3). 

G.M. 
(2) Cons. Stato, Ad. Plenaria, 18 giugno 1986 n. 6, in Cons. Stato, 1986, I, 747. 
(3) Sulla natura del procedimento d'occupazione d'urgenza cfr. R. DAMANIB, in Urbanistica e Appalti, 1999, 
1203; sull'esclusione, in presenza di atti vincolati, della necessit� di partecipazione degli interessati al 
procedimento amministrativo cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 ottobre 1996, n. 1223, in Foro amm., 1996, 2882; idem, 
24 novembre 1997, n. 1365, in Cons. Stato, 1997, 1563. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

In secondo luogo, si svolgeva il procedimento attinente alla �designazione dei 
beni da espropriarsi�, i cui snodi procedimentali erano: formazione del piano 
particolareggiato di esecuzione (art. 16), pubblicazione del medesimo presso gli 
uffici comunali (art. 17), presentazione di eventuali osservazioni da parte degli 
interessati (art. 18), ordine di esecuzione del piano da parte del prefetto, il quale 
decideva sulle osservazioni e, se queste erano attinenti al tracciato o al modo di 
esecuzione dell'opera, o le respingeva o provvedeva a modificare il progetto, se 
competente, o altrimenti rinviava quest'ultimo all'autorit� competente (art. 19). 

Questi schemi realizzavano un sistema di giusto procedimento, articolato su 
pubblicit� degli atti e contraddittorio degli interessati in ordine prima all' an, poi al 
quomodo dell'opera pubblica. 

3. -Successivamente, sopravvenute la Costituzione repubblicana che stabilisce 
il principio del buon andamento dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.) e leggi 
ordinarie, statali (art. 9 della legge n. 1150/42) e regionali, che attuano i princ�pi 
della pubblicit� e della partecipazione (o del contraddittorio) degli interessati gi� 
nella formazione degli strumenti urbanistici generali, il legislatore si � dato carico 
nella disciplina dei procedimenti ablatori delle esigenze di celerit� dell'azione 
amministrativa, che il precedente assetto sacrificava in vista di una pi� completa 
realizzazione delle garanzie dei proprietari espropriandi. 
In un primo tempo, veniva eliminata la strutturazione �bifasica� della 
dichiarazione di pubblica utilit� esplicita, prevedendo la presentazione in limine da 
parte dell'espropriante di una relazione esplicativa dell'opera, gi� corredata dalle 
mappe catastali illustrative delle aree da espropriare e dall'elenco dei proprietari 
iscritti negli atti catastali (art. 10, comma 1, legge n. 865/71). 

Per contro, un rafforzamento delle garanzie veniva disposto quanto alle misure 
di partecipazione, elevando il deposito degli atti presso gli uffici comunali ad oggetto 
di notifica individuale ai proprietari espropriandi (art. 10, comma 2, legge cit.). 

In un secondo tempo, veniva adottata una disposizione generale sulla 
dichiarazione di pubblica utilit� implicita, secondo la quale l'approvazione dei 
progetti di opere pubbliche da parte dei competenti organi delle amministrazioni 
statali, regionali, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti 
territoriali equivale a dichiarazione di pubblica utilit� e di urgenza ed indifferibilit� 
delle opere stesse (art. 1, comma 1, legge n. 1/78). 

Veniva altres� disposta un'inversione dell'ordine degli atti del procedimento, 
differendo la redazione dello stato di consistenza del fondo, per l'innanzi 
necessariamente antecedente all'occupazione d'urgenza (art. 71 legge n. 2359/1865), 
al momento dell'immissione in possesso (art. 3, comma 2, legge n. 1/78). 

Il tutto, per�, senza un raccordo con le norme che prevedevano il giusto 
procedimento per le dichiarazioni di pubblica utilit� esplicite. 

In questa logica acceleratoria si � calata la decisione Ad. plen, n. 6 del 1986, che 
ha segnalato come, in presenza di una dichiarazione di pubblica utilit� implicita, il 
giusto procedimento di cui agli artt. 10 e 11 legge n. 865/1971 non fosse soppresso, 
ma soltanto differito ad un momento successivo all'approvazione del progetto 
dell'opera pubblica, purch� anteriore alla pronuncia del provvedimento 
espropriativo. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

444 

4. -In tale contesto normativo, � sopravvenuta la legge n. 241/90, che, in 
quanto legge �breve�, � legge sul procedimento amministrativo, non legge del 
procedimento amministrativo. 
Tale legge, tra l'altro, ha esteso il giusto procedimento, anzi la partecipazione, 
perch� applicabile anche ai procedimenti diversi da quelli restrittivi della sfera 

giuridica degli interessati, per l'innanzi adottata soltanto per singoli procedimenti, alla 
generalit� dei procedimenti amministrativi, fatta eccezione per alcuni tipi, per i quali 
quel modello � escluso o in senso assoluto o perch� essi sono disciplinati in maniera 
speciale: i procedimenti per l'emanazione di atti normativi o amministrativi generali, 
di pianificazione e di programmazione, tributari (art. 13 legge n. 241/90 cit.). 

Perch� i soggetti legittimati possano partecipare o intervenire, � necessario che 
essi siano resi edotti della pendenza del procedimento. 

A ci� provvede l'avviso di procedimento, che l'autorit� procedente � tenuta a 
dare personalmente ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale � destinato a 
produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi (art. 7 legge cit.). 

I 

Tale disposizione ha una duplice valenza. 

Per un verso, il giusto procedimento amministrativo, pur non essendo, allo 
stato, un principio costituzionale (Corte cost., sentt. n. 23 del 1978, 103 del 1993 e 
210 del 1995), � pur sempre un criterio di orientamento per il legislatore e per 
l'interprete (Corte cost., sent. n. 57 del 1995). 

I

L'applicabilit� di tale disposizione � divenuta per la Corte costituzionale il 

w

presupposto interpretativo per negare con sentenza interpretativa di rigetto la 
illegittimit� costituzionale di disposizioni che disciplinano determinati procedimenti I 
senza prevedere il contraddittorio con gli interessati (Corte cost., sent. n. 383 del 
1996, in materia di procedimenti di secondo grado per il riconoscimento della 
dipendenza di infermit� da causa di servizio del personale del Ministero della difesa; 
sent. n. 57 del 1995, in materia di procedimenti sanzionatori -di competenza della 
Commissione di garanzia per lo sciopero nei pubblici servizi -nei confronti dei 
sindacati che hanno violato le norme sullo sciopero). 

Allo stesso modo, l'inapplicabilit� della medesima disposizione � divenuta, a 
dispetto della ritenuta non costituzionalizzazione del giusto procedimento, il 
presupposto interpretativo per affermare con sentenza di accoglimento l'illegittimit� 
costituzionale delle disposizioni che non prevedono la partecipazione degli 

interessati, per contrasto con il fondamentale canone di razionalit� normativa e con 
il principio di buon andamento dell'amministrazione [Corte cost., in materia di 
dispensa dal servizio permanente per scarso rendimento di sottufficiali dei 
carabinieri (sent. n. 240 del 1997) e dell'esercito, marina ed aeronautica (sent. n. 126 
del 1995); in materia di cessazione dal servizio continuativo per perdita del grado 
conseguente alla pena accessoria della rimozione dei vice brigadieri e dei militari 
dell'Arma dei carabinieri: sent. n. 363 del 1996]. .

I

Per altro verso, tale disposizione introduce, nell'attivit� amministrativa del 
Paese, un elemento di riqualificazione di grande rilievo civile: l'innesto nel 

1:
procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale, fatto pi� 
eversivo di quanto non fosse stato, alla fine degli anni '60, l'inserimento della ~~ 
comunicazione giudiziaria all'indiziato e delle altre garanzie di difesa nel processo 
penale inquisitorio del codice di procedura penale abrogato. 

I

2 

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~ 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei 
confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad excludendum 
gi� ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela 
giurisdizionale, subentra cos� il sistema della democraticit� delle decisioni e della 
accessibilit� dei documenti amministrativi, in cui l'adeguatezza dell'istruttoria si 
valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di 
contraddire. 

5. -Riferire i princ�pi e le forme della partecipazione alla dichiarazione di 
pubblica utilit� presuppone chiarirne effetti e natura giuridica. 
Orbene, la dichiarazione di pubblica utilit�, secondo il pi� comune sentire, ha 
come effetto quello di sottoporre il bene al regime di espropriabilit�, determinando 
l'affievolimento del diritto di propriet� e ponendosi come presupposto 
dell'espropriazione. 

Essa, pertanto, incidendo direttamente sulla sfera giuridica del proprietario, � 
immediatamente lesiva e, come tale, viene comunemente ritenuta autonomamente 
impugnabile. 

In termini procedimentali, pertanto, la dichiarazione di pubblica utilit� non � un 
subprocedimento del procedimento espropriativo, ma � un procedimento autonomo, 
che si conclude con un atto di natura provvedimentale, immediatamente impugnabile. 

6. -Pertanto, la tesi secondo cui la norma sull'avviso di procedimento non si 
applicherebbe alla dichiarazione di pubblica utilit� implicita equivale ad espungere 
dall'ambito del giusto procedimento, fuori dai casi previsti dalla legge, un 
procedimento amministrativo autonomo. 
N� ora, nell'attuale contesto normativo diretto a garantire la partecipazione, 
potrebbe valere a tal fine una partecipazione differita, successiva alla dichiarazione 
di pubblica utilit� ed all'occupazione d'urgenza. 

Questa, infatti, oltre a intervenire in una situazione di fatto irreversibile, 
resterebbe comunque esterna allo sviluppo procedimentale della dichiarazione di 
pubblica utilit�, che risulterebbe priva di garanzia partecipativa. 

7. -Non giova in contrario richiamare l'esclusione della partecipazione prevista 
per i procedimenti di pianificazione, quali quelli per l'approvazione degli strumenti 
urbanistici generali. 
Se il giusto procedimento, infatti, � un criterio di orientamento per il legislatore 
e l'interprete, non � dato comprendere come un'esclusione riferita ai procedimenti 
di pianificazione possa essere riferita ai procedimenti ablatori, ed in particolare alla 
dichiarazione di pubblica utilit�, da essi del tutto autonomi, anche se attuativi delle 
previsioni degli strumenti urbanistici generali. 

Vero � che la partecipazione che si attua nei procedimenti di pianificazione in 
ordine alla destinazione urbanistica delle singole aree involge la parte essenziale 
della potestas decidendi degli enti territoriali competenti, ma � altrettanto certo che 
non la esaurisce. 

Se la destinazione urbanistica dell'area � questione gi� definita in sede di 
pianificazione urbanistica, il progetto dell'opera pubblica, che nel suo fieri � 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO. 

446 

preliminare e poi definitivo prima di divenire esecutivo, e la sua localizzazione di 
dettaglio sono altrettanti oggetti di potere amministrativo sui quali il contraddittorio ~ 
degli interessati pu� apportare elementi di valutazione non marginali ai fini della i~ 
Proporzionalit� e del buon andamento dell'azione amministrativa, specialmente ove ili 

esistano situazioni di interesse qualificato nelle quali una determinata ma non .

~.=,:�

ineluttabile compressione del diritto di propriet� pu� implicare un sacrificio 
sproporzionato all'interesse pubblico. 

8. -N�, attesi i profili generali implicati, il fatto che la partecipazione dei 
privati espropriandi sia talora strumentalmente diretta a fini meramente dilatori 
ovvero a conseguire un ristoro di tipo risarcitorio anzich� meramente indennitario 
pu� contrastare l'esattezza dei rilievi ora svolti in linea teorica. 
Sul piano effettuale, invece, considerato che il progetto dell'opera pubblica non 
scaturisce automaticamente dalle previsioni degli strumenti urbanistici generali (o 
attuativi), ma dipende da scelte progettuali discrezionali che si articolano, ora, in tre 
successivi livelli di approfondimenti tecnici, ci� che pi� da vicino concerne la civilt� 
giuridica � il fatto che, indipendentemente dall'eventuale informatio ad aures, il 

proprietario espropriando viene formalmente reso edotto dell'approvazione del 
progetto dell'opera pubblica soltanto al momento dello spossessamento del bene. 

La reazione dell'ordinamento a tale stato della questione � dimostrato, del resto, 
anche dal disegno di legge n. 1388a A.S., in seguito definitivamente approvato, il 
cui articolato contiene una disposizione (art. 3) che aggiunge al disposto dell'art. 6, 

Icomma 2, della legge n. 142/90 (�Nel procedimento relativo all'adozione di atti che 
incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di 
partecipazione degli interessati secondo le modalit� stabilite dallo statuto�), con le 

I 

I 
I
w.

parole: �nell'osservanza dei principi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241�, un 
contenuto precettivo pi� penetrante. 

9. -La disposizione sull'avviso di procedimento ha un duplice contenuto 
precettivo: diretto o indiretto, come criterio orientativo, a seconda del tipo di lacuna 
I

che i singoli procedimenti presentano circa la disciplina della partecipazione. 
Nel caso della dichiarazione di pubblica utilit� implicita, il paradigma generale I 
di cui all'art. 1 della legge n. 1/78 � stato modificato dall'art. 4, comma 3, della legge 

n. 415/98, che ha precisato, per i casi di progetti di opere pubbliche non conformi a 
specifiche destinazioni di piano o relative ad opere ricadenti su aree non destinate a 
pubblici servizi o destinate a tipologie di servizi diverse da quelle cui si riferiscono 
le opere medesime e regolamentate con standard minimi da norme nazionali o 
regionali, la competenza del consiglio comunale per il progetto preliminare e quella 
della giunta comunale per il progetto definitivo e per quello esecutivo. 
Inoltre, l'art. 14, comma 13, della legge n. 109/94, nel testo modificato 
dall'art. 4, comma 1, legge n. 415/98, ha stabilito che � l'approvazione del progetto 
definitivo da parte di una amministrazione aggiudicatrice che equivale a 
dichiarazione di pubblica utilit�, indifferibilit� ed urgenza dei lavori. 

Ci� posto, va richiamato che il procedimento di dichiarazione di pubblica utilit� 
non � del tutto carente di disciplina di partecipazione, in quanto gli artt. 10 e 11 della 
legge n. 865/71 ne regolano la forma esplicita secondo il consueto modulo: deposito 
atti -osservazioni -decisione sulle stesse. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

In presenza del criterio orientativo del �giusto procedimento�, non par dubbio 
che le norme previste per la dichiarazione di pubblica utilit� esplicita debbano 
valere, in quanto compatibili, per la dichiarazione implicita. 

La disposizione dell'art. 11, pertanto, � inapplicabile nella parte in cui postula 
la pronuncia di uno specifico decreto di dichiarazione di pubblica utilit� da parte di 
un'autorit� -il presidente della giunta regionale -diversa da quella 
istituzionalmente competente alla realizzazione dell'opera pubblica. 

A parte ci�, non vi sono ostacoli a che, prima dell'approvazione del progetto 
definitivo, che equivale a dichiarazione di pubblica utilit�, urgenza ed 
indifferibilit�, si svolga dinanzi all'organo competente, secondo la sequenza: 
deposito atti -osservazioni -decisione sulle stesse, il giusto procedimento: 
quest'ultimo, infatti, resiste alla sostituzione di una decisione pluristrutturata con 
una monostrutturata, come gi� nella vicenda della soppressione dell'approvazione 
regionale sugli strumenti urbanistici attuativi (art. 24 legge n. 4 7 /85), che ha 
devoluto all'organo comunale la competenza a decidere le osservazioni degli 
interessati. 

A questi fini, la disposizione sull'avviso di procedimento ha l'effetto non di 
imporre la sua disciplina generica, ma di orientare all'applicazione analogica di una 
disciplina specifica. 

Per contro, nel caso di procedimenti di massa � applicabile in materia l'art. 8, 
comma 3, legge n. 241/90, secondo cui �qualora per il numero dei destinatari la 
comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, 
l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante 
forme di pubblicit� idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione 
medesima�: norma di chiusura dell'ordinamento, che, in presenza di ipotesi 
marginali di procedimenti di massa, ove sussista un pericolo concreto di pregiudizio 
all'interesse pubblico, rende possibile lo svolgimento sollecito del procedimento 
indipendentemente dalla comunicazione personale, con applicazione soggetta al 
controllo giurisdizionale. 

10. -Ci� detto, appare conseguente affermare che il giusto procedimento, ove 
attuatosi nell'ambito della dichiarazione di pubblica utilit�, non ha ragion d'essere 
nell'occupazione d'urgenza. 
Ci� non tanto perch� vi osti il presupposto dell'urgenza: ogni approvazione del 
progetto di un'opera pubblica equivale ope legis a dichiarazione di urgenza ed 
indifferibilit�, mentre l'urgenza che costituisce impedimento alla comunicazione 
dell'avviso dei procedimento � un'urgenza qualificata. 

Ma piuttosto perch� il giusto procedimento ha ragion d'essere nell'ambito della 
dichiarazione di pubblica utilit�, che conserva momenti di scelte discrezionali, ma 
non pi� nell'ambito dell'occupazione d'urgenza, meramente attuativa dei 
provvedimenti presupposti. 

Dal rigetto del primo motivo, attinente ad un capo autonomo della sentenza, 
restano conseguentemente assorbiti i motivi secondo e terzo, il cui accoglimento 
non potrebbe impedire l'annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado. 

Privo di pregio � il quarto motivo, con cui l'appellante principale lamenta la 
condanna alle spese in primo grado. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

448 

La condanna alle spese, infatti, si giustifica in base alla soccombenza nei 
confronti di entrambi i provvedimenti impugnati, di cui l'appellante principale 
aveva sostenuto in giudizio la legittimit� e che la sentenza di primo grado ha 
annullato: l'occupazione d'urgenza, che era stata disposta per l'appunto a favore 
dell'appellante, e la dichiarazione di pubblica utilit�, che ne era il presupposto. 

Per le suesposte considerazioni, l'appello principale va respinto. 
Resta conseguentemente assorbito l'appello incidentale. (omissis) 


CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 18 novembre 1999 n. 22 -Pres. Laschena -Est. 
Di Napoli -D'Andrea e Sambati (avv. Campagnola) c. Ministero di Grazia e 
Giustizia ( avv. Stato Sclafani). 

Impiego pubblico -Impiegato dello Stato e pubblico -Qualifica e funzioni Funzioni 
superiori esercitate al di fuori di un provvedimento di nomina o 
di inquadramento -Eccezionalit� -Ragioni. 

Impiego pubblico -Impiegato dello Stato e pubblico -Qualifica e funzioni � 
Art. 2126 e art. 2103 e.e. -Applicabilit� -Limiti. 

Impiego pubblico � Impiegato dello Stato e pubblico � Qualifica e funzioni Retribuzione 
in virt� della diretta applicazione dell'art. 36 Cost. Esclusione. 


Le mansioni svolte dal dipendente e superiori rispetto a quelle attribuite con il 
provvedimento di nomina e di inquadramento sono del tutto irrilevanti sia ai fini 
economici sia di progressione in carriera, salvo che in presenza di una legge 
speciale che disponga diversamente. 

Non � invocabile, al fine di rendere rilevanti le mansioni svolte da un pubblico 
dipendente, l'art. 2126 e.e. che riguarda il diverso caso di svolgimento di attivit� 
lavorativa da parte di chi non � qualificabile come pubblico dipendente ed afferma il 
principio della retribuibilit� del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato; n�, 
tanto meno, l'art. 2103 e.e. come modificato dall'art. 13 dello Statuto dei Lavoratori, 
in quanto l'obbligo di adeguare il trattamento economico alle mansioni esercitate si 
applica al settore del pubblico impiego solo nei limiti previsti da norme speciali. 

Il riconoscimento ai fini economici delle mansioni superiori svolte in via di mero 
fatto non pu� trovare fondamento nell'art. 36 Cost. che sancisce il principio della 
corrispondenza della retribuzione alla qualit� e quantit� del lavoro prestato, n� pu� 
trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo 
in detto ambito principi di pari rilevanza costituzionale (artt. 97 e 98 Cost.) (1). 

(1) Lo svolgimento di mansioni superiori da parte dei pubblici dipendenti prima della c.d. 
privatizzazione del pubblico impiego: la parola fine dell'Adunanza Plenaria n. 22 del 1999. 
Con la sentenza qui annotata il Consiglio di Stato riunito in Adunanza Plenaria, tornando a 
pronunciarsi sulla vexata quaestio delle mansioni superiori svolte dal pubblico dipendente in via 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

449 

(omissis) 

La sentenza appellata ha disconosciuto il diritto dei ricorrenti, impiegati di ruolo 
del Ministero di Grazia e Giustizia, ad una retribuzione corrispondente alle mansioni 
superiori esercitate per l'inapplicabilit� al pubblico impiego dell'art. 13 dello Statuto 
dei lavoratori e dell'art. 2126 codice civile. Ha altres� escluso l'applicabilit� diretta al 
pubblico impiego dell'art. 36 Costituzione. 

di mero fatto, ovvero al di fuori di un formale provvedimento di nomina o di inquadramento, 
sancisce il definitivo consolidarsi dell'orientamento giurisprudenziale volto ad affermare, con 
riferimento ai dipendenti statali, il principio della irrilevanza, anche ai fini economici, dello 
svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza. 

La sentenza, che riguarda le fattispecie insorte nel periodo precedente la riforma operata dal 
d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 -la cui applicazione � stata comunque rinviata dal Legislatore 
all'approvazione dei contratti collettivi riguardanti i singoli ordinamenti -segna comunque uno 
spartiacque tra il periodo precedente e quello successivo alla c.d. privatizzazione del pubblico 
impiego la quale, dunque, reca tra le principali novit� anche il riconoscimento in via di principio, 
del diritto del dipendente alla retribuzione propria della qualifica nella quale si sono svolte le 
mansioni, seppure nei limiti e con i presupposti previsti dalla nuova normativa. 

Secondo i princ�pi generali sul pubblico impiego la possibilit� per il dipendente di conseguire 
un migliore trattamento economico collegato alle mansioni effettivamente svolte, trovava il 
principale ostacolo nel dettato normativo di cui all'art. 31 del T.u. n. 3 del 1957, disposizione in 
base alla quale l'esercizio di mansioni superiori non comporta la corresponsione del trattamento 
economico superiore a quello spettante al prestatore nella qualifica di appartenenza. In virt� di tale 
disposizione, la giurisprudenza amministrativa era pressocch� unanime, fino agli anni '80, nel 
negare il preteso riconoscimento delle mansioni individuando ulteriori ragioni di diniego anche in 
diversi argomenti, di volta in volta individuati: 

-nell'indisponibilit� degli interessi pubblici coinvolti; 

-nel carattere formale da cui � caratterizzata l'organizzazione della P.A.; 

-nella necessaria osservanza della regola del pubblico concorso nell'assunzione dei 
dipendenti. 

Tra le sentenze pi� significative a sostegno dell'orientamento tradizionale si segnalano: 
Cons. Stato, Sez. IV, 15 ottobre 1990 n. 768; Cons. Stato, Sez. V, 18 gennaio 1995 n. 89; Cons. 
Stato, Sez. V, 22 marzo 1995 n. 452; Cons. Stato, Sez. VI, 27 gennaio 1996 n. 134; Cons. Stato, 
Sez. IV, n. 28 ottobre 1996 n. 1157; Cons. Stato, Sez. IV, 17 giugno 1997 n. 647. 

Tale principio, in tempi pi� recenti, si � sempre pi� andato incrinando sotto i colpi decisivi 
di una serie di statuizioni della Corte costituzionale che, sebbene intervenuta su casi specifici e 
relativi alla legittimit� di disposizioni applicabili nei soli confronti del personale sanitario, 
sanciva per la prima volta la possibilit� di applicare l'art. 36 Cost., primo comma, al rapporto di 
lavoro affermando che, ove l'assegnazione temporanea a mansioni superiori ecceda il periodo 
previsto dalla legge in materia (60 gg. ex art. 29, secondo comma, d.P.R. n. 761 del 1979) spetta 
al prestatore di lavoro -in via di applicazione diretta della disposizione costituzionale sopra 
richiamata e sulla base dell'art. 2126, primo comma, e.e. -il trattamento economico 
corrispondente all'attivit� svolta (Corte Cost. 23 febbraio 1989 n. 57; ordinanza 26 luglio 1988 

n. 908 e 19 giugno 1990 n. 296; ma si veda, pi� di recente, e con riferimento all'art. 97 Cost., 
anche Corte Cost. 20 luglio 1994 n. 313 ove si legge che �anche il passaggio ad una fascia 
funzionale superiore, comportando l'accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a 
funzioni pi� elevate � una figura di reclutamento soggetta alla regola del pubblico concorso�). 
Il pensiero evolutivo della Corte verr�, pertanto, immediatamente seguito dalla 
giurisprudenza amministrativa che, in particolare con l'Adunanza plenaria n. 2 del 16 maggio 
1991, mutando parzialmente l'orientamento espresso proprio in sede di remissione alla Corte 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

450 

Gli appellanti hanno riproposto la domanda di adeguamento della retribuzione 
alle superiori mansioni esercitate. Deducono al riguardo la violazione dell'art. 13 
dello Statuto dei lavoratori, dell'art. 2126 cod. civ., dell'art. 36 della Costituzione, 
nonch� di note decisioni della Corte costituzionale (nn. 57/1989 e 296/1990) e del 
Consiglio di Stato (A.P. n. 2/1991). 

La Quarta Sezione reputa condivisibile in via di principio la tesi difensiva 
dell'Amministrazione, che adduce l'impossibilit� di attribuire il maggior 
trattamento economico corrispondente alle funzioni superiori svolte in ipotesi 
diverse da quelle stabilite dal legislatore e riconosciute dalla giurisprudenza della 
Corte costituzionale e di questo Consiglio. Tuttavia, ha deferito la questione 
all'Adunanza Plenaria sul presupposto che potrebbe esservi spazio per una diversa 
interpretazione, anche per la peculiare situazione degli appellanti, giacch� nella 
fattispecie lo svolgimento di mansioni superiori, assegnate con atto formale su posto 
vacante e disponibile, si � protratto nel tempo. 

Costituzionale -essendo venuto meno l'apparente contrasto tra l'art. 29 della legge n. 761/ 1979 
e l'art. 36 Cost. -finisce col riconoscere il trattamento economico corrispondente alla qualit� 
del lavoro svolto (per il successivo r�virement dello stesso Consiglio di Stato anche con 
riferimento ai dipendenti del S.S.NN. si veda Cons. Stato, Sez. V, 19 marzo 1999 n. 290 in questa 
Rassegna, nn. 1-2/1999, 140 ss.). 

Bench� le considerazioni della Corte Costituzionale fossero riferite a ben altre situazioni 
regolate da norme speciali, successivamente alle decisioni sopra richiamate, la giurisprudenza 
amministrativa tenter� pi� volte di incrinare il principio di cui all'art. 31 del t.u. imp. civ. arrivando 
anche ad affermare l'inesistenza, nell'ambito del pubblico impiego in generale, di un principio che 
impedisca di riconoscere la maggiorazione retributiva delle prestazioni che eccedano la qualifica 
formalmente rivestita e ritenendo che, diversamente opinando, si violerebbe il principio della 
corrispondenza del trattamento economico ad una attivit� concretamente svolta (in tal senso v. 

I

Cons. Stato, Sez. VI, 18 luglio 1997 n. 1123; Cons. Stato, Sez VI, 22 aprile 1997 n. 655). Peraltro, 
pur nella estremit� di tali affermazioni la giurisprudenza amministrativa, affinch� lo svolgimento 
di fatto di mansioni superiori potesse assumere rilevanza, ai fini economici, tendeva comunque a 

I subordinare il dedotto riconoscimento alla sussistenza di un atto formale di incarico, il rapporto di 
pubblico impiego nascendo, modificandosi ed estinguendosi attraverso atti dell'Amministrazione 
e ci� anche nel caso in cui le mansioni superiori venissero attribuite in relazione ad esigenze 
temporanee (tra le tante, Cons. Stato, 4 novembre 1992 n. 351, ma v. anche: Cons. Stato, Sez. V, 
18 maggio 1998 n. 611, ove il riconoscimento delle differenze retributive viene comunque ad 
essere subordinato alla indefettibile condizione, non derogabile a causa del carattere formale della 
P.A., che le mansioni medesime corrispondano ad un posto previsto nella pianta organica dell'ente 
e che sussista l'obbligo per il dipendente di esercitarle). A prescindere dall'orientamento, 
comunque minoritario, tendente al riconoscimento tout court delle mansioni di fatto anche al di 
fuori di una espressa previsione normativa restava, comunque, nel sistema previgente 
l'emanazione del d.lgs. n. 29/93, la difficolt� di ritenere direttamente applicabile l'art. 36 della 
Costituzione, nascendo l'impiego pubblico da un atto autoritativo, il provvedimento di nomina, 
essendo tale rapporto regolato in ogni sua fase dalla legge, e mancando, oltretutto, in tale sistema, 
una norma analoga a quella di cui all'art. 2099 e.e. che consente al solo Pretore del lavoro (odierno 
Tribunale) -a differenza del giudice amministrativo -di integrare la disciplina normativa al fine 
di garantire il rispetto del principio della giusta retribuzione (in dottrina, sulla problematica delle 
mansioni superiori nell'ambito generale del pubblico impiego: La riforma del pubblico impiego, 
di O. FORLENZA, G. TERRACCIANO, I. VoLPE; SALA: Ancora sulle mansioni di fatto degli impiegati 
pubblici alla luce dello Statuto dei Lavoratori, in Giur. Amm., 1983, 52). 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

451 

La Sezione rimettente pone in risalto -� questo l'argomento centrale 
dell'ordinanza -che l'assegnazione del dipendente a mansioni superiori non 
confligge con principi basilari dell'ordinamento, ma solo con la stretta legalit�, e 
con l'organizzazione, che �ncora la retribuzione del dipendente al suo 
incardinamento nell'ente ed ai corrispondenti meccanismi di erogazione della spesa, 
basati su ruoli di spesa fissa. L'insieme dei predetti criteri non attiene a principi 
giuridici o etici fondamentali dell'ordinamento, ma a disposizioni normative 
soggette all'evoluzione della struttura del pubblico impiego. 

Il problema sottoposto a questa Adunanza consiste dunque nel verificare la 
retribuibilit� o meno del servizio prestato dal pubblico dipendente per adempiere 
compiti di una superiore qualifica. 

Al riguardo vanno richiamate alcune recenti decisioni, sintomatiche della 
soluzione negativa del problema, emergente in modo sempre pi� netto nella 
giurisprudenza di questo Consiglio. Tale orientamento, con le puntuali ed esaurienti 
motivazioni che lo sorreggono, merita di essere condiviso in questa sede, perch� 
nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento consente la 
retribuibilit� in via di principio delle mansioni superiori comunque svolte nel campo 
del pubblico impiego. 

Si � anzitutto affermato che nel relativo ambito le mansioni svolte dal 
dipendente, superiori a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di 
inquadramento, sono del tutto irrilevanti ai fini sia economici sia di progressione in 
carriera, salvo che la legge non disponga altrimenti. Ci� in quanto il rapporto di 
pubblico impiego non � assimilabile al rapporto di lavoro privato, perch� gli 

La decisione qui annotata, dunque, si segnala per la chiarezza con cui sgombra il campo 
dalle suggestioni derivanti sia dalle statuizioni della Corte regolatrice sia dagli orientamenti 
giurisprudenziali sopra richiamati e via via consolidatisi con riferimento, in particolare, al 
personale sanitario (Cons. Stato, Sez. IV, 4luglio1996 n. 817; Cons. Stato, Sez. V, 12 marzo 1996 

n. 265; Cons. Stato, Sez. V, 18maggio1998 n. 608; Cons. Stato, Sez. V, 18 maggio 1998, n. 611), 
eliminando ogni possibilit� di fondare il riconoscimento delle superiori mansioni tanto 
sull'art. 2103 e.e. quanto sull'art. 2126 e.e. 
Se la prima norma, per la verit�, non aveva mai conseguito particolare successo nel campo 
del pubblico impiego, specie nella parte che prevede il diritto alla promozione automatica, ben 
diverso favore aveva riscontrato il richiamo, operato dai ricorrenti interessati, alla disposizione 
civilistica. L'Adunanza plenaria, tuttavia, riprendendo argomenti gi� enunciati in Cons. Stato, 
Sez. V, 17 maggio 1987 n. 515, riconduce l'art. 2126 e.e. nell'alveo che gli appartiene ovvero al 
caso di lavoro prestato sulla base di un atto nullo o annullato ricordando che, in ogni caso, non � 
possibile in sede amministrativa disapplicare gli atti di nomina o di inquadramento emanati in 
conformit� di leggi e di regolamenti o, comunque, divenuti inoppugnabili. 

La previsione, ad opera del d.lgs. n. 29 del 1993, di una disciplina generale dello svolgimento 
di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza che sostanzialmente recepisce i principi 
gi� affermati dalla giurisprudenza in materia dovrebbe, dunque, segnare la fine del dibattito 
giurisprudenziale segnalato in materia negli ultimi anni, trovando nelle previsioni degli artt. 56 e 57 
(come modificati dai successivi interventi normativi di cui all'art. 25 d. lgs. n. 80 del 1998 e dal d. 
lgs. n. 387 del 1998) -sebbene rinviate nella loro applicazione alla emanazione dei contratti 
collettivi nei singoli ordinamenti di settore -la sua definitiva sistemazione. 

PAOLA PALMIERI 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO� 

452 

interessi coinvolti hanno natura indisponibile ed anche perch� l'attribuzione delle 
mansioni e del correlativo trattamento economico devono avere il loro presupposto 
indefettibile nel provvedimento di nomina o di inquadramento, non potendo tali 
elementi costituire oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi (V 
Sezione, 30 ottobre 1997 n. 1219). 

Questo Consesso ha pure chiarito che, al fine di rendere rilevanti le mansioni 
superiori adempiute da un pubblico dipendente, non � invocabile l'art. 2126 cod. 
civ., il quale oltre a non dare rilievo alle mansioni svolte in difformit� dal titolo 
invalido, riguarda un fenomeno del tutto diverso (lo svolgimento di attivit� 
lavorativa da parte di chi non � qualificabile pubblico dipendente) ed afferma il 
principio della retribuibilit� del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato. 
Esso, pertanto, non incide in alcun modo sui principi concernenti la portata dei 
provvedimenti che individuano il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti 
pubblici e non consente di disapplicare gli atti di nomina o di inquadramento, 
emanati in conformit� delle leggi e dei regolamenti, specie se divenuti inoppugnabili 
(V Sezione, 17 maggio 1997 n. 515). 

Il carattere supplementare ed integrativo dell'art. 2103 cod. civ., come sostituito 
dall'art. 13 legge 20 maggio 1970 n. 300 (cd. Statuto dei lavoratori), per quanto 
riguarda l'obbligo di adeguare il trattamento economico alle mansioni esercitate, � 
da tempo pacifico nella giurisprudenza di questo Consiglio. Sicch� tale norma pu� 
essere applicata al settore dell'impiego pubblico soltanto nei limiti previsti da norme 
speciali (V Sezione, 11 maggio 1989 n. 274). 

Il principio della irrilevanza giuridica ed economica dello svolgimento, in tutte 
le sue forme, di mansioni superiori nell'ambito del pubblico impiego -salvo che tali 
effetti derivino da un'espressa previsione normativa -� un dato acquisito alla 
giurisprudenza di questo Consiglio (vedi, tra le recenti: IV Sezione, 17 maggio 1997 

n. 647; C.G.A.R.S. 27 maggio 1997 n. 197; V Sezione, 30 aprile 1997 n. 429, 24 
marzo 1997 n. 290, 28 gennaio 1997 n. 99; VI Sezione, 26 giugno 1996 n. 860 e 10 
febbraio 1996 n. 189). L'Adunanza Plenaria intende confermare il predetto 
orientamento e le argomentazioni che lo sostengono nella controversia deferitale (a 
cui resta estranea, come alla fine si vedr�, la pi� recente normativa), limitandosi a 
constatare che per i dipendenti dello Stato il principio � stato accolto dall'art. 33 del 
d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, laddove afferma che l'impiegato ha diritto allo 
stipendio ed agli assegni per carichi di famiglia �nella misura stabilita dalla legge�. 
Qualche ulteriore considerazione merita, a causa del continuo richiamo che ne 
fanno i ricorrenti quando agiscono per vedersi compensato l'espletamento di 
mansioni superiori, l'interrogativo se tale pretesa possa rinvenire il suo diretto 
fondamento nell'art. 36 Costituzione, che sancisce il principio di corrispondenza 
della retribuzione alla qualit� e quantit� del lavoro prestato. La norma, ad avviso del 
Collegio, non pu� trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico 
impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale. 

Non solo l'art. 98 della Costituzione, nel disporre che �i pubblici impiegati 
sono al servizio esclusivo della Nazione�, vieta che la valutazione del rapporto di 
pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio, ma 
l'operativit� dell'art. 36 nell'ambito del pubblico impiego trova un limite 
invalicabile nell'art. 97 della Carta fondamentale. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

L'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita, infatti, contrasta 
con il buon andamento e l'imparzialit� dell'Amministrazione nonch� con la rigida 
determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilit� proprie dei 
funzionari (regola di organizzazione necessaria all'applicazione dell'art. 28). 

Riguardo al buon andamento, � agevole osservare che l'opera di chi svolge 
mansioni superiori non pu� identificarsi con quella di chi appartiene ad un ruolo 
diverso e la cui maggiore qualificazione professionale, significativa di una pi� 
elevata qualit� del lavoro prestato, � stata oggettivamente accertata con apposita 
selezione concorsuale (che, a norma del terzo comma del citato art. 97, rappresenta 
la regola per l'accesso a pubblici impieghi). 

L'affidamento di mansioni superiori a pubblici dipendenti avviene spesso con 
criteri che non garantiscono l'imparzialit� dell'Amministrazione. 

L'art. 97, primo comma, autorizza al limite norme di organizzazione dei 
pubblici uffici che, per esigenze eccezionali di buon andamento dei servizi, 
consentono l'assegnazione temporanea di dipendenti a mansioni superiori alla loro 
qualifica senza diritto a variazioni del trattamento economico ( cfr. A.P., decisione 4 
settembre 1997 n. 20). 

In conclusione, nell'ambito del pubblico impiego � la qualifica e non le 
mansioni il parametro al quale la retribuzione � inderogabilmente riferita, 
considerato anche l'assetto rigido della Pubblica Amministrazione sotto il profilo 
organizzatorio, collegato anch'esso, secondo il paradigma dell'articolo 97, ad 
esigenze primarie di controllo e contenimento della spese pubblica. 

Ci� comporta che l'Amministrazione sia tenuta ad erogare la retribuzione 
corrispondente alle mansioni superiori solo quando una norma speciale consenta 
tale assegnazione e la maggiorazione retributiva, circostanza che manca nella 
fattispecie. 

Ovviamente, lo si rileva per completezza, il dipendente pu� reagire 
all'utilizzazione illegittima da parte della P.A. in mansioni superiori alla qualifica 
rivestita, utilizzando i rimedi anche giurisdizionali che l'ordinamento gli consente (ma 
senza poter accampare alcun diritto ad una indennit� aggiuntiva).ln tempi recenti 
l'art. 57 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 ha introdotto (in attuazione della delega 
legislativa contenuta nell'art. 2, lett. n), della legge 23 ottobre 1992, n. 421) una nuova, 
completa disciplina dell'attribuzione temporanea di mansioni superiori, riconoscendo 
entro certi limiti rilevanza economica a detta attribuzione, con disposizioni peraltro 
innovative del pregresso sistema nel quadro di �privatizzazione� del pubblico impiego 
(conforme Quarta Sezione, 12 novembre 1996 n. 1205). La norma, tuttavia, � stata 
abrogata dall'art. 43 del d.lgs. 31marzo1998 n. 80 senza avere avuto mai applicazione 
(la sua operativit� � stata pi� volte differita: da ultimo, al 31 dicembre 1998 con l'art. 
39, comma 17, della legge 27 dicembre 1997 n. 449). 

La materia � ora disciplinata dall'art. 56 del d.lgs. n. 29/1993 (nel testo 
sostituito con l'art. 25 del d.lgs. n. 80/1998), che (come gi� l'art. 56, comma 2, nel 
testo originario) sembra confermare l'indirizzo elaborato dal Consiglio di Stato. 

Detta norma prevede espressamente la retribuibilit� dello svolgimento delle 
mansioni superiori, ma (6� comma) ne rinvia l'applicazione in sede di attuazione 
della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi 
e con la decorrenza da questi stabilita. �Fino a tale data, in nessun caso lo 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAT-0 

454 

svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza pu� 
comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici 
n"ell'inquadramento professionale del lavoratore� (art. 56 cit., 6� comma). 


Le parole �a differenze retributive O� sono state soppresse dall'art. 15 del d.lgs. 
29 ottobre 1998 n. 387 (pubblicato sulla G.U. 7 novembre 1998 n. 261), ma 
ovviamente con effetto dalla sua entrata in vigore, sicch� l'innovazione, esulando 
dall'ambito temporale coinvolto dalla presente vertenza, non esplica su di essa 
alcuna efficacia. 

Per le considerazioni sin qui esposte gli appelli sono infondati e devono essere 
respinti. (omissis) 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 4 ottobre 1999, n.1510 -Pres. de Lise -Rel. La 
Medica -Brambilla e Colnago ( avv. Quadri, Berti, Lirosi) c. Ministero della 
Giustizia (avv. Stato G. Palmieri). 

Stato civile -Nome -Domanda di aggiunta di cognome -Provvedimento di 
diniego -Motivazione. 

Nel caso di richiesta di aggiunta di cognome il provvedimento che autorizza o 
nega l'aggiunta ha carattere discrezionale, ma � necessario che sia corredato di I 

i ~ 

una motivazione congrua e logica dalla quale si evincano le ragioni che hanno 
indotto l'Amministrazione a determinarsi. 

Pertanto, � illegittimo il provvedimento di diniego di aggiunta di cognome 
materno motivato sul rilievo che la medesima richiesta non si basa sull'intento di 
evitare l'estinzione del cognome materno e che la salvaguardia del patrimonio 
morale e di tradizioni mirava in effetti a consentire la continuazione dell'azienda di 

I 

cui il nonno materno � titolare (1). 

I 

I

(1) La sentenza applica i principi elaborati dal costante indirizzo giurisprudenziale, secondo ;; 
il quale il diniego di autorizzazione al mutamento (o all'aggiunta di cognome) costituisce 
provvedimento eminentemente discrezionale (Cons. Stato, Sez. IV, 9 dicembre 1989, n. 906, in 
Cons. Stato, 1989, I, 1490; id., 6maggio1995, n.145, inForolt., 1995, III, con nota di richiami); 
discrezionalit� ancorata -secondo la dottrina -alla valutazione della meritevolezza della 
domanda di cui agli artt. 155 e 159 r.d. 9 luglio 1939, n. 1238, sull'ordinamento dello stato 
civile. Il sindacato giurisdizionale pu� essere, quindi, esercitato solo con riferimento al difetto di 
motivazione ed ai criteri seguiti nei relativi provvedimenti sotto il prof�o della loro idoneit� a 
perseguire e a tutelare gli interessi pubblici e privati in gioco (Cons. Stato, Sez. IY, 3.6.1997, 

n. 615, in Cons. Stato, 1997, I, 672; id., 25 gennaio 1999, n. 63, iv~ 1999, I, 38) ; soprattutto 
quando vi sia dissenso dagli atti istruttori (id., 6 ottobre 1984, n. 750, ivi, 1984, 1141). 
Il titolo VIII del r.d. n.1238/1939 cit., che disciplina �i cambiamenti e le aggiunte di nomi 
e cognomi�, distingue, al Capo I (artt. 153-157) il procedimento per i cambiamenti e le 
aggiunte di cognome che si conclude con il decreto del Ministro di Grazia e Giustizia, previa 
acquisizione dei prescritti pareri (Procuratore Generale e Consiglio di Stato); ed, al Capo II 
(artt. 158-162), il procedimento per i cambiamenti e le aggiunte di nomi e di cognomi in casi 
speciali, che si conclude con il decreto del Procuratore Generale della Corte d'Appello 
competente per territorio con riferimento all'atto di nascita. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

455 

(omissis) 

1. -L'appello � fondato. 
Il provvedimento che autorizza o nega l'aggiunta di cognome ha carattere 
discrezionale, dovendo lo stesso valutare e contemperare gli interessi pubblici e 
privati in materia; tale carattere non esclude, tuttavia, la necessit� di una 
motivazione congrua e logica da cui si evincano le ragioni che hanno indotto 
l'Amministrazione a determinarsi nel senso dell'accoglimento ovvero del rigetto 
dell'istanza di aggiunta di cognome. 

Come pi� volte affermato dalla giurisprudenza (v. le note sentenze del Tribunale di Firenze 
in data 8 aprile 1971, inGiur. It., 1971, I, 2, 968, con nota di E. BRUNORI, Diritto al completamento 
del cognome, e del Tribunale di Roma in data 18gennaio1984, inForolt., 1984, I, 2347), in ordine 
all'integrazione o al cambiamento di cognome si possono distinguere tre distinte procedure, due 
corrispondenti ai procedimenti summenzionati di cui al titolo VIII del r.d. n.1238/1939 cit., 
rispettivamente, agli artt. 153-164 ed avente natura di procedimento amministrativo, ed agli artt. 
165-178, ed avente natura di procedimento camerale che si conclude con sentenza; mentre la terza 
assume le forme del procedimento ordinario di cognizione ogniqualvolta si debba procedere, come 
accade appunto nel caso di specie, ad accertamenti costitutivi influenti sullo stato delle persone (su 
tale distinzione cfr. TAR Lazio, Sez. I, 2 marzo 2000, n. 2075; in ordine al riparto di giurisdizione, 
Cass., Sezioni Unite Civili, 16 ottobre 1971, n. 2925, ivi, 1971, I, 2924; in dottrina i provvedimenti 
presidenziali in materia non sono ritenuti assimilabili agli atti di volontaria giurisdizione a causa 
di netti divari di disciplina, E. FAZZALARI, Giurisdizione volontaria, EdD, voi. XIX, 378). 

Si tratta di un'azione di tutela del diritto al nome, pi� esattamente di accertamento 
giudiziario del nome ed � proponibile con riferimento alla tutela di un diritto soggettivo perfetto 
dell'individuo a vedersi esattamente identificato e tutelato (artt. 6 e7 e.e.). 

Tale azione non � connessa soltanto all'uso del proprio nome o all'abuso che altri 
indebitamente ne facciano, ma pu� essere fatta valere in assoluto per una puntuale ricognizione 
della propria identit�. 

Nel vigente ordinamento costituzionale non trova alcuna tutela l'interesse a vedersi riconosciuta 
l'appartenenza, attraverso la famiglia, ad una determinata classe sociale o ad un determinato attributo 
nobiliare, ma trova piena tutela il diritto al nome completo, servendo ad individuare uno specifico 
gruppo familiare che pu� anche avere tradizioni storicamente e socialmente rilevanti. 

Se, infatti, la domanda pur prospettata come aggiunta di cognome, nascondesse in realt� 
un'azione di cognomizzazione di un predicato nobiliare, essa sarebbe inammissibile nel nostro 
ordinamento giuridico positivo, essendo precluso il riconoscimento del titolo nobiliare, al quale 
il predicato � connesso, per la dichiarata incostituzionalit� di tutta la legislazione araldiconobiliare 
del periodo monarchico (Corte Cost., 8 luglio 1967, n. 101, ivi, 1967, I, 1980). 

Va ricordato che secondo l'orientamento espresso in sede consultiva dal Consiglio di Stato 
e menzionato nella motivazione della sentenza in epigrafe, gli artt. 153 e 155 cit. non subordinano 
l'accoglimento delle domande di aggiunta al proprio cognome di quello materno alla circostanza 
che quest'ultimo sia in via di estinzione, essendo sufficienti ragioni di ordine affettivo e di 
convenienza economica (oltre al parere della Sez. III, indicato in sentenza, 4 dicembre 1984, 

n. 1492, in Cons. Stato, 1984, I, 1992, cfr., id., 2 giugno 1998, n. 134, ivi, 1999, I, 1048; id., 9 
febbraio 1999, n.1056, ibidem, 1282). 
Infine, va rilevato che la sentenza del Consiglio di Stato che si annota ha risolto la questione 
in modo diametralmente opposto al TAR Lazio (sentenza 16 ottobre 1995, n. 1710, in 1'AR, 1995, 
I, 4436), annullandone la decisione, solo perch� ha dato una diversa valenza, pi� morale che 
economica, al profilo del collegamento dell'attivit� imprenditoriale del nonno che il nipote sarebbe 
destinato a continuare e che giustificherebbe in termini di �meritevolezza� l'aggiunta del cognome 
materno ed in tale prospettiva ha ritenuto illegittima la motivazione del provvedimento di diniego. 

GABRIELLA PALMIERI 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT(Y

456 

I criteri su cui deve basarsi l'Amministrazione, ancorch� discrezionali, devono, 
invero, essere idonei a salvaguardare e contemperare gli interessi coinvolti; da un 
lato, quello pubblico a che i cognomi siano tendenzialmente stabili nel tempo; 
dall'altro, una pluralit� di interessi privati e, in particolare, quello del richiedente 
l'aggiunta del cognome, che pu� fondarsi sulle pi� svariate ragioni di ordine morale, 
economico, familiare, affettivo, ecc., e quello di chi � gi� portatore del cognome di 
cui altro soggetto chiede l'aggiunta, che potrebbe opporsi a quest'ultima. 

Deve, pertanto, ritenersi possibile il sindacato, da parte del giudice 
amministrativo, sui criteri seguiti nei provvedimenti che accordano o negano 
l'aggiunta di cognome, sotto il profilo della loro idoneit� a perseguire e tutelare gli 
interessi pubblici e privati sottesi (Cons. Stato, sez. IV, 25 gennaio 1999, n. 63 e 3 
giugno 1997, n. 615). 

2. -Nella specie, l'Amministrazione non ha accolto la domanda dei coniugi 
Brambilla di aggiungere il cognome materno di Colnago a quello del loro figlio 
Alessandro, sul rilievo che la medesima richiesta non si basava nell'intento di 
evitare l'estinzione del cognome materno e che la indicata salvaguardia del 
patrimonio morale e di tradizioni rappresentato dal cognome materno mirava in 
effetti a consentire la continuazione dell'azienda di cui il nonno materno � titolare. 
Siffatte ragioni non si appalesano idonee a sorreggere il contestato 
provvedimento di diniego. 

Anzitutto, il Collegio deve osservare che, allorquando, come nella specie, 
venga chiesta non la sostituzione del cognome originario del soggetto, bens� 
l'aggiunta allo stesso di un altro, l'Amministrazione deve considerare che, in linea 
di principio, tale aggiunta non incide negativamente sulla identificazione della 
persona nel contesto sociale e non ingenera pericolo di confusione, mantenendo, 
comunque, il soggetto anche l'originario cognome. 

Del resto, il divieto posto dall'art. 158 del r.d. 9 luglio 1939, n. 1238, di 
aggiungere al proprio cognome quello di un altro, non potrebbe applicarsi al caso in 
esame, perch� la norma riguarda la diversa ipotesi che il cognome richiesto abbia 
importanza storica o appartenga a famiglia illustre o nota, con la quale il richiedente 
non abbia alcun rapporto (Cons. Stato, sez. III, 13 novembre 1984, n. 1374). 

3. -La circostanza, poi, che il cognome materno sia in via di estinzione non 
sembra che costituisca presupposto indispensabile per l'accoglimento della domanda 
di aggiunta di cognome, in quanto gli artt. 153 e 155 del citato r.d. n. 1238 del 1939 
non fanno riferimento a tale requisito (Cons. Stato, sez. III, 4 dicembre 1984, n. 1492). 
�, comunque, evidente che il figlio degli appellanti � l'unico erede maschio e, 
quindi, in grado di tramandare il cognome di Colnago che, a causa dell'attivit� 
svolta dal nonno materno, ha una propria singolare validit� sotto il profilo storico 
familiare e nella tradizione locale; l'affectio nei confronti del nonno materno deve, 
perci�, ritenersi fuori di discussione, emergendo dalla stessa domanda di aggiunta 
del cognome l'intento di �godere delle tradizioni e del patrimonio morale attraverso 
l'uso del cognome della famiglia materna�. 

� appena il caso di aggiungere che il cognome che si illustra con una attivit� 
aziendale, come quello di Colnago, si giova necessariamente della continuit� nel 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

457 

tempo della stessa attivit�; ma l'attivit� aziendale -nella specie, condotta in stretta 
aderenza a valore di agonismo sportivo -trascende la vicenda economica e 
costituisce idoneo motivo di una sua valorizzazione ideale, apprezzabile appunto 
nella sintesi tra il nome e lattivit� aziendale stessa. 

Tali ragioni andavano opportunamente valutate dall'Amministrazione e 
contemperate con il principio pubblico della stabilit� dei cognomi, considerando 
anche che il caso in esame riguarda l'aggiunta e non la sostituzione di cognome. 

Torna, pertanto, ad emergere l'illegittimit� del contestato provvedimento di 
diniego di aggiunta di cognome, sicch� il medesimo provvedimento deve essere 
annullato. 

4. -In base alle pregresse considerazioni l'appello deve essere accolto e, per 
l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza del TAR del Lazio (sez. I) 18 ottobre 
1995, n. 1710, va annullato l'atto dei Ministero di grazia e giustizia -direzione 
generale affari civili e libere professioni 7 giugno 1991, prot. n. 1/43-214 (90) 975, 
impugnato con l'atto introduttivo del giudizio. (omissis) 
I 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, ordinanza 3-7 dicembre 1999, n. 2275 -Pres. 
Catallozzi -Rei. Lamberti -Costa Enrico (avv. Dalla Corte, Costa) c. Min. di 
Grazia e Giustizia ( avv. Stato Volpe). 

Concorso -Concorso per uditore giudiziario -Prova di preselezione 
informatica -Commissione di un solo errore -Domanda cautelare Ammissibilit� 
-Deferimento ali' Adunanza Plenaria. 

Va rimessa all'Adunanza Plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di 
Stato la decisione del!' appello cautelare avverso l'ordinanza del 'IAR, che ha 
negato l'istanza cautelare per mancanza del �fumus boni iuris�, proposto dal 
candidato che aveva commesso un solo errore nella prova di preselezione 
informatica, nella considerazione di un possibile contrasto di decisioni della IV 
Sezione e dell'opportunit� che sulla questione -di massima importanza -si 
pronunci l'Adunanza Plenaria ai sensi degli artt. 45, comma 12 del r.d. 26 giugno 
1924, n. 1054 e 71 e ss. r. d. 17.8.1907, n. 642. (1) 

(1) Va ricordato che con una serie di ordinanze in data 26 agosto 1999, il TAR Lazio, Sez. I, 
aveva rigettato, con motivazione sulla carenza di �fumus� e sull'insussistenza di vizi di legittimit� 
costituzionale, le istanze cautelari proposte da candidati, che avendo commesso solo errore nella 
prova di preselezione informatica, non erano stati ammessi a sostenere le prove del concorso. 
Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con 16 coeve ordinanze in data 28 agosto 1999 e con altre in 
data 12 novembre 1999, ha accolto gli appelli, motivando, a prescindere da ogni rilievo di 
razionalit� del sistema ed alla legittimit� della relativa normativa, sulla sussistenza del �fumus 
boni iuris� quanto all'oggetto dei quesiti ed alle modalit� di espletamento della prova 
preliminare; dubitando, altres�, del conseguimento dell'obiettivo prefigurato in sede normativa 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STPJO ..

458 

II 


CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., ordinanza 20 dicembre 1999, n. 2 -Pres. 
Laschena -Rei. C. Salvatore -Costa Enrico (avv. Dalla Corte, Costa) c. 
Ministero di Grazia e Giustizia (avv. Stato G. Palmieri) con gli interventi ad 
adiuvandum di Poerio Antonio e Bertuletti Marisa ( avv. Scoca, Gagliardi La 
Gala) e ad opponendum di Vecchi Francesca (avv. C. laccarino). 

Concorso -Concorso per uditore giudiziario -Prova di preselezione 
informatica -Commissione di un solo errore -Domanda cautelare Concessione 
come forma di controllo diffuso di costituzionalit�. 

Al fine di conciliare il carattere accentrato del controllo di costituzionalit� delle 
leggi con il principio di effettivit� della tutela giurisdizionale, non pu� escludersi, 
quando gli interessi in gioco lo richiedano, una forma limitata di controllo diffuso 
che consente la concessione del provvedimento di sospensione, rinviando alla fase di 
merito, alla quale il provvedimento cautelare � strumentalmente collegato, il 
controllo della Corte Costituzionale, con effetti erga omnes (2). 

consistente nell'accertamento dei requisiti culturali dei candidati e, soprattutto, affermando che le 
predette considerazioni �assumono decisivo rilievo in relazione alla circostanza che il candidato 
ha commesso un solo errore�. 

�appena il caso di rilevare che il criterio cos� enunciato dal Consiglio di Stato non � contenuto 
in alcuna norma di disciplina della materia, n� � sorretto da alcuna motivazione che dia conto del 
ragionamento seguito, tanto che alcuni TAR, ad esempio il TAR Calabria -Sezione Staccata di 
Reggio Calabria (cfr. per tutte, ordinanza 13 ottobre 1999, n. 918), non l'hanno seguito ed hanno 
ammesso tutti i ricorrenti con riserva indipendentemente dal numero degli errori commessi. 

Pertanto, in tutte le difese per le udienze camerali, � stato sottolineato da parte 
dell'Avvocatura dello Stato, come fosse opportuna una rimeditazione dell'intera vicenda, in base 
ad alcune considerazioni, fatte, poi, proprie dal giudice rimettente, sia con riferimento al numero 
esiguo dei casi all'epoca esaminati in appello (16) rispetto al numero dei ricorsi pendenti (circa 
500); sia con riferimento al fatto che non sembravano ipotizzabili disparit� di trattamento tra 
candidati collocati nella stessa posizione, atteso che, comunque, non tutti gli esclusi con un errore 
hanno proposto ricorso giurisdizionale e che l'Amministrazione, in base al chiaro disposto 
normativo di cui all'art. 123 bis r.d. 30 gennaio 1941, all'art. 6 d.m. 1� giugno 1998, n. 228 e 
all'art. 7 d.m. 9 dicembre 1998 non � tenuta ad ammettere con riserva tutti coloro i quali versano 
nella stessa situazione di fatto. 

L'ordinanza in epigrafe si segnala non solo per la puntuale ricognizione dell'intera vicenda 
processuale, ma anche per il lodevole intento di rendere pi� chiaro il nebuloso quadro di 
riferimento disegnato dal giudice amministrativo d'appello. 

(2) Se l'ordinanza di remissione n. 2275/99 aveva lo scopo di chiarire in modo definitivo la 
complessa vicenda e fornire un univoco punto di riferimento, pu� dirsi senza dubbio che lo scopo 
non � stato raggiunto (sul profilo della rilevanza della contestazione della legittimit� 
costituzionale della legge applicata dall'Amministrazione ai fini della tutela cautelare cfr., A.M." 
SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, Napoli, 1989, 1423; A. ROMANO, 
Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, 635 ); tanto che, successivamente 
alcuni TAR (Campania, Lombardia, Calabria) non si sono uniformati ed hanno continuato a 
concedere provvedimenti cautelari senza distinguere quanto al numero degli errori. 

PARTE I, SEZ. IY, GIURISPRUDENZA AMMINIS1RATIVA 

459 

I 

(omissis) 

Vista l'ordinanza di reiezione della domanda incidentale di sospensione della 
esecuzione del provvedimento impugnato in primo grado; 

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero di grazia e giustizia; 

Udito il relatore Cons. Cesare Lamberti e uditi altres� per le parti gli avvocati 
Romanelli su delega dell'Avv. Dalla Corte e l'avvocato dello Stato Volpe. 

Tenuto conto che il ricorrente non � stato ammesso a partecipare alle prove 
scritte_ del concorso, avendo sbagliato una sola risposta �difficile� alla preselezione 
mediante quiz; 

preso atto che il ricorso si basa sulla circostanza che la fattispecie � perfettamente 
sovrapponibile a quella decisa (per lo stesso concorso e per l'identit� della situazione 

Va, infatti, sottolineato che � rimasto irrisolto non solo e non tanto il punto essenziale 
attinente alla rilevanza dell'unico errore sul quale l'A.P. si � espressa in definitiva soltanto �de 
relato�, ritenendo �di dovere confermare l'orientamento espresso con le ordinanze richiamate in 
premessa�, e, cio�, quelle in data 28 settembre 1999 e 12 novembre 1999 gi� ricordate, ma anche 
e soprattutto quello -sollevato dall'Avvocatura dello Stato -riguardante la mancata notifica 
dei ricorsi di primo grado ad almeno uno dei controinteressati, rappresentati dai candidati 
utilmente collocati nella graduatoria stilata all'esito della prova di preselezione, essendo evidente 
che questi ultimi hanno un interesse qualificato e non di mero fatto al mantenimento di una 
partecipazione al concorso in questione numericamente limitata, come previsto dalla legge e dal 
bando di concorso, e, comunque, alla conservazione della procedura (sul profilo della rilevanza 
anche nel procedimento cautelare del principio del contraddittorio, cfr. F. LUBRANO, Il giudizio 
cautelare amministrativo, IERI, Roma, 1997, 67 e ss. ). 

Occorre, perci�, menzionare due significative circostanze: la prima che il TAR Lazio ha 
accolto la tesi sopra illustrata ed ha dichiarato inammissibili le istanze cautelari proposte da chi 
non aveva notificato il ricorso di primo grado ad almeno un controinteressato; la seconda che al 
giudizio innanzi all'Adunanza Plenaria ha partecipato in qualit� di interventore ad opponendum 
una delle candidate utilmente classificatasi all'esito della prova di preselezione informatica, 
anche al fine di far valere tale eccezione e l'inammissibilit� per tardivit� delle censure proposte 
nel ricorso di primo grado, attesa l'immediata lesivit� dei provvedimenti impugnati. 

Successivamente il Consiglio di Stato ha ribadito che l'ammissione con riserva andava 
circoscritta ai soli candidati che hanno commesso un errore (Sez. IV, 25 gennaio 2000, n. 264; 
7 marzo 2000, n. 1178) e che la mancata notifica al controinteressato determina la reiezione 
dell'istanza cautelare (id., n. 255/00). 

Infine, il Consiglio di Stato ha accolto la tesi secondo la quale permane l'interesse 
dell'Amministrazione alla decisione dei ricorsi in appello avverso le ordinanze dei TAR diversi 
dal TAR Lazio, pur dopo l'espletamento delle prove scritte del concorso in questione, svoltesi 
il 23, 24 e 25 febbraio 2000, ed anche se l'appellato ha partecipato alle prove scritte, portandole 
a termine. 

Infatti, accolto l'appello dell'Amministrazione, da un lato, la tutela cautelare non si 
estender� sino all'ammissione con riserva alle prove orali del candidato stesso; dall'altro, si sar� 
ripristinata la <<par condicio� fra i candidati, atteso che il candidato non avrebbe dovuto, in 
ossequio all'orientamento ormai consolidato in materia del Consiglio di Stato, proprio 
partecipare alle prove scritte in considerazione del numero di errori commessi nella prova di 
preselezione informatica ( cfr. per tutte, decisioni cautelari del Consiglio di Stato, Sez. IV, nn. 
1121, 1122, 1123, 1124, 1125 in data 29 febbraio 2000, nn. 1178 e 1179 in data 7 marzo 2000 e 

n. 1290 in data 14 marzo 2000). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO�

460 

dei ricorrente a quella della dottoressa Teresa Cofano) da questo Consiglio con 
ordinanza n. 1920 del 28 settembre 1999; che nello stesso senso si sono pronunciate, 
in pari data, anche le ordinanze nn. 1769, 1784, da 1902 a 1910, da 1912 a 1915, 1917, 
1921, nonch�, in data 12 novembre 1999, le ordinanze da n. 2111 a n. 2114; 

rilevato -in ordine al fumus boni iuris -che il Collegio non reputa di poter 
far proprio l'orientamento espresso nei citati provvedimenti cautelari, specialmente 
in considerazione di quanto dispongono l'art. 123 bis, 4 comma, del r.d. 30 gennaio 
1941, n. 12 (ordinamento giudiziario), nel testo novellato dall'art. 2 del decreto 
legislativo 17 novembre 1997, n. 398, nonch� l'art. 17 del medesimo decreto; 

rilevato che in senso diverso, rispetto alle citate ordinanze, si era espressa la 
Sezione consultiva per gli atti normativi nel parere n. 71 del 1998; 
rilevato che, nella fase transitoria e sino all'emanazione del decreto ministeriale 
attestante la avvenuta formazione della banca dati ad opera della commissione 

La prova di preselezione informatica nel concorso per uditore giudiziario 

1. Nella nota di commento alle pronunce cautelari del TAR e del Consiglio di Stato in tema 
di prova preselettiva al concorso da notaio (in questa Rassegna, 1999, I, IV, 194 e ss.) si era gi� 
anticipato che lo stesso strumento di preselezione a quiz sarebbe stato poi utilizzato anche per il 
concorso da uditore giudiziario maggiormente caratterizzato da una partecipazione oceanica di 
candidati e dove, per ci�, eventuali decisioni cautelari favorevoli ai ricorrenti avrebbero avuto 
l'effetto di alterare gravemente l'esito della prova di preselezione stessa. 
Va ricordato che la prova di preselezione per il concorso di uditore � modellata sull'analoga 
prova prevista per il concorso da notaio. 

Infatti, l'art. 123 bis, 4� comma, del r.d. 30 gennaio 1941, come modificato dall'art. 2 del 
d.lvo 17 novembre 1997 n. 398, che ha introdotto la prova di selezione informatica nel concorso 
per uditore giudiziario, prevede che, oltre ai candidati contemplati nel successivo comma 5� che 
sono esonerati dalla prova di preselezione, � ammesso a sostenere le prove scritte un numero di 
candidati pari a cinque volte i posti messi a concorso, secondo la graduatoria formata in base al 
punteggio conseguito da ciascun candidato nella prova di preselezione. 

Nel caso di specie il concorso � stato bandito con d.m. 9 dicembre 1998 per 350 posti e, 
quindi, il numero di candidati ammesso doveva essere pari a 1750 unit�. 

All'esito delle prove di preselezione � risultato che 3024 candidati hanno riportato il punteggio 
massimo di 75,00 e, pertanto, sono stati tutti ammessi a sostenere le prove scritte, pur essendo stato 
superato il numero di 1150, perch� il 4� comma dell'art. 123 bis citato prevede espressamente che 
sono comunque ammessi alle prove scritte i candidati classificati �ex aequo� rispetto all'ultimo che 
risulterebbe ammesso in base al punteggio conseguito nella prova di preselezione. 

Come era gi� accaduto nel caso della prova di preselezione al concorso da notaio, ne deriva, 
perci�, che anche il candidato che ha sbagliato una sola domanda non ha potuto comunque essere 
collocato utilmente nella graduatoria, perch� preceduto da ben oltre 3000 candidati con punteggio 
maggiore che hanno esaurito il contingente da ammettere alle prove scritte. 

Il meccanismo introdotto dalla legge n. 398/97 � stato completato dai regolamenti di 

attuazione ( d.m. 1 � giugno 1998, n. 228 emanato ex art. 17, 3 � comma, legge n. 400/88 e d.m. 16 

ottobre 1998) e dal bando di concorso. 

Peraltro, con parere n. 71/98, il Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli atti normativi, 
nell'adunanza del 4 maggio 1998, aveva condiviso espressamente la scelta dell'Amministrazione 
di disciplinare con tali modalit� la prova di preselezione e soprattutto di utilizzare l'archivio 
provvisorio dei quesiti di cui all'art. 17, 3� comma, d.lvo n. 398/97, gi� predisposto per il 
concorso da notaio, attesa la necessit� di assicurare il buon andamento dell'amministrazione 
garantendo in tempi brevi la copertura dei posti vacanti nell'organico della Magistratura. 


PARTE I, SEZ. IY, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

461 

permanente per la creazione e l'aggiornamento dell'archivio informatico delle 
domande per la prova preliminare, l'art. 17, comma 4, del su menzionato decreto 
legislativo n. 398, autorizza la creazione di un archivio provvisorio delle domande, 
utilizzando archivi di domande gi� predisposti per l'accesso ad altri concorsi, anche 
se aventi ad oggetto una sola delle materie della prova scritta, eventualmente 
modificandole per adattarle ai criteri contenuti nel decreto ministeriale 1 � giugno 
1998, n. 228, che prevede la suddivisione dei quesiti in gruppi distinti per materia e 
per grado di difficolt�; 

2. In concreto le modalit� di svolgimento della prova di preselezione sono state dettate allo 
scopo di dotare il sistema di meccanismi che impediscano l'individuazione della sequenza dei 
quesiti e delle chiavi di accesso al sistema stesso. 
Come gi� era avvenuto per la prova preselettiva notarile, i quesiti sono stati generati 
randomicamente solo al momento dell'inserimento della card da parte del singolo candidato per 
il quale la postazione � stata sorteggiata al momento dell'ingresso del candidato nella sala, 
assicurando cos� non solo parit� di trattamento, ma soprattutto rendendo impossibile qualsiasi 
manipolazione. 

Riguardo al numero di sessioni con le quali si � svolta la prova di preselezione, sul quale si 
sono dirette le censure di quasi tutti i ricorsi, va osservato che l'art. 3 del d.l. 21 settembre 1998, 

n. 328, convertito con modificazioni dalla legge 19 novembre 1998, n. 399, a modifica del citato 
art. 123 bis, dispone che per i primi tre anni la prova preliminare ha luogo a Roma o in sedi 
decentrate. 
L'art. 4, 2� comma, del d.m. 1� giugno 1998, n. 228 citato prevede che la prova si svolga per 
gruppi di candidati in numero non superiore a 660 per ciascuna sessione, divise, previo sorteggio 
ed in base al calendario secondo l'ordine alfabetico del loro cognome, (nel caso di specie � stata 
sorteggiata la lettera I). 

Su tale presupposto normativo � stato emanato il d.m. 1� aprile 1999 che ha stabilito il diario 
della prova preliminare. 
Per evidenti ragioni di capienza dell'aula informatica sede di svolgimento della prova sono 
stati convocati 160 candidati per ogni sessione con la previsione di tre sessioni al giorno. 

La suddivisione degli oltre 25.500 candidati in gruppi distribuiti in due mesi di prove � 
pertanto la diretta conseguenza dell'applicazione delle norme surrichiamate e dell'elevatissimo 
numero di partecipanti. 

Inoltre, il numero delle sedute espletate nel predetto arco temporale ha tenuto conto della 
necessit� di rielaborare le postazioni informatiche attribuite proprio per evitare sequenze di 
quesiti simili. 

In ogni caso, l'archivio dei quesiti � stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 12 gennaio 
1999 e le ulteriori modifiche ad esso apportate nella Gazzetta Ufficiale del 23 febbraio e del 16 
aprile 1999. Se si considera che le prove hanno avuto inizio nel maggio 1999, si pu� 
ragionevolmente sostenere che tutti i candidati abbiano avuto un lasso di tempo pi� che adeguato 
per approfondire i quesiti in esso contenuti, nel pieno rispetto del principio di uguaglianza e a 
salvaguardia della �par condicio� fra tutti i candidati. 

3. La soluzione adottata dal giudice amministrativo di secondo grado appare pi� che altro 
dettata dall'intento di risolvere in via equitativa con l'adozione di un criterio empirico la vicenda 
e forse anche dallo scopo di inviare un segnale di generale �sfavore� nei confronti di tale 
meccanismo informatico, rendendosi interprete sia della prevenzione concettuale nutrita da una 
parte degli stessi operatori del settore, sia della sfiducia e del sentimento di �impotenza� dei 
candidati che, pur avendo studiato anche per anni, non possono, poi, partecipare al concorso per 
aver sbagliato una sola domanda nella prova di preselezione. 

RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO. 

rilevato, inoltre, che l'art. 10 consente l'utilizzo dell'archivio provvisorio dei 
quesiti di cui all'art. 9 del predetto decreto, le cui prescrizioni circa la pluralit� di 
materie, per lo svolgimento della prova preliminare, trovano applicazione in quanto 

compatibili; 

rilevato che a tali disposizioni si � conformato, in modo pressoch� vincolato, il 
decreto del Ministro di grazia e giustizia del 10 novembre 1998, che dispone 
l'utilizzo, per lo svolgimento della prova preliminare del concorso a 
trecentocinquanta posti di uditore giudiziario, dell'archivio provvisorio avente ad 
oggetto prove di diritto civile; 

rilevato che le censure di irrazionalit� del sistema preselettivo informatico si 
appuntano, nella sostanza, contro la fonte primaria (decreto legislativo n. 398 del 
1997), che gli atti aventi forza di legge non possono essere disapplicati dal giudice, 
essendo il controllo sugli stessi accentrato nella Corte costituzionale, sicch� � 
abnorme la misura cautelare che si traduca nella pratica disapplicazione della norma 
di legge sospettata di incostituzionalit� ( cfr. Cass. sez. un., 12 dicembre 1991, 

n. 13415; 1� dicembre 1978, n. 5678), specie allorquando, come nel caso di specie, 
non sia stata sollevata dal Giudice la questione di costituzionalit�; 
considerato -in ordine al periculum in mora -che, pur prescindendo da ogni 
rilievo di razionalit� circa le caratteristiche del sistema transitorio e da ogni 

I 

considerazione circa la sua idoneit� a dimostrare I'effettiva preparazione del 
candidato per essere ammesso a sostenere le prove, non appare irrilevante il 

I

superamento della preselezione da parte di un numero di candidati largamente 
superiore alla proporzione prevista per i posti messi a concorso, come sostenuto 
dalla difesa erariale nella memoria depositata all'odierna udienza, dove si deduce 
che � � ... molto pi� grave il pregiudizio che subirebbe l'Amministrazione da 
un'eventuale ammissione con riserva che, seppur limitata ai soli ricorrenti che 
hanno beneficiato di un provvedimento cautelare favorevole, finisce comunque per 

Tuttavia, tali considerazioni, oltre ad aver innescato in concreto un meccanismo distorsivo ~:: 

I 
I
ru 

della finalit� della prova preselettiva, rischiano di rallentare un ineludibile processo di radicale 
cambiamento delle modalit� di reclutamento dei magistrati; modalit� che, invece, tendono ad 
assicurare con incisivit� l'urgente copertura dei posti vacanti, data la ben nota carenza di 
organico, riducendo drasticamente i tempi di svolgimento delle procedure concorsuali, e 
riconducendo le procedure stesse nel quadro pi� ampio delle scuole di specializzazione a numero 
chiuso significativamente previste dalla stessa legge n. 398/97. 

II

Il punto nodale � costituito dalla considerazione assorbente che la prova di preselezione 
informatica non ha valenza di prova d'esame, tant'� che l'ultimo comma dell'art. 123 bis citato 
prevede espressamente che il mancato superamento della prova preliminare non d� luogo ad 

~ 

i:;

inidoneit� ai fini del successivo articolo 126 e, quindi, non pu� essere inserita in un sistema 

�

valutativo del tutto estraneo alle finalit� della prova stessa. 
In conclusione, come peraltro � auspicato anche dai commentatori delle decisioni cautelari 
in epigrafe, � necessario che il giudice amministrativo si pronunci con celerit� sul merito dei li 

i::

ricorsi in questione, non solo per rendere effettiva la tutela cautelare accordata, ma soprattutto per 
consentire la conclusione senza rinvii della procedura concorsuale e l'immissione immediata in 1:: 
servizio dei vincitori. 

' 

' 

GABRIELLA PALMIERI 

l.
1. 
i; 
~ 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

scardinare il sistema che invece ha funzionato ottimamente ... che il numero esiguo 
dei casi esaminati in appello rispetto al numero dei ricorsi attualmente pendenti 
(oltre 500) non � di ostacolo ad una rimeditazione della vicenda� e che ci� non 
sarebbe peraltro foriero di � ... disparit� di trattamento ... atteso che, comunque, non 
tutti gli esclusi hanno proposto ricorso giurisdizionale�; 

rilevato che il verificarsi di tale circostanza induce il Collegio a dubitare della 
sussistenza dei presupposti della tutela cautelare nei confronti del candidato che 
abbia commesso un solo errore, anche in relazione al pregiudizio derivante 
all'amministrazione dall'accresciuto numero dei candidati; 

nella considerazione di un possibile contrasto di decisioni della medesima 
Sezione del Consiglio di Stato e dell'opportunit� che sulla questione -di massima 
importanza -si pronunzi l'Adunanza plenaria di questo Consiglio ai sensi degli 
art. 45, comma 2, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, e 71 e ss., r.d. 17 agosto 1907, 

n. 642 (cfr. Ad. Plen. 20 gennaio 1978, n. 1); 
P.Q.M. 
Rimette la decisione del presente appello cautelare all'Adunanza plenaria delle 
sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. (omissis) 

II 

(omissis) 

Vista l'ordinanza di re1ez1one della domanda incidentale di sospensione 
dell'esecuzione del provvedimento impugnato in primo grado; 

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero di grazia e giustizia; 

Vista l'ordinanza della Sezione quarta n. 2275/99 del 7 dicembre 1999; 

Visti l'intervento ad adiuvandum proposto da POERIO Antonio e BERTULETII 
Marisa e quello ad opponendum proposto da VECCHI Francesca; 

Udito il relatore Consigliere Costantino Salvatore e uditi altres� per le part� gli 
avvocati Dalla Corte, Scoca, Gagliardi La Gala, laccarino e l'avvocato dello Stato 
Sandulli; 

Vista l'ordinanza con la quale la Sezione quarta -pur dando atto che la 
posizione del ricorrente (il quale non � stato ammesso a partecipare alle prove 
scritte del concorso, avendo sbagliato una sola risposta �difficile� alla preselezione 
mediante quiz) � perfettamente identica a quella decisa (per lo stesso concorso e 
per l'identit� della situazione del ricorrente a quella della dottoressa Teresa 
Cofano) dalla stessa Sezione con ordinanza n. 1920 del 28 settembre 1999, e che 
nello stesso senso si sono pronunciate anche le ordinanze nn. 1769, 1784, da 1902 
a 1910, da 1912 a 1915, 1917, 1921, tutte del 28 settembre 1999, nonch� le 
ordinanze da n. 2111 a n. 2114 del 12 novembre 1999 -dubita che sussistano i 
presupposti della tutela cautelare nei confronti del candidato che abbia commesso 
un solo errore, anche in relazione al pregiudizio derivante all'amministrazione 
dall'accresciuto numero dei candidati e, non reputando di poter far proprio 
l'orientamento espresso nei citati provvedimenti cautelari, ha deferito la questione 
all'Adunanza plenaria di questo Consiglio ai sensi degli artt. 45, comma 2, del r.d. 
26 giugno 1924, n. 1054, e 71 e ss., r.d. 17 agosto 1907, n. 642, nella 


RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO"

464 

considerazione di un possibile contrasto di decisioni della medesima Sezione del 
Consiglio di Stato e dell'opportunit� che sulla questione -di massima importanza 
-si pronunzi lAdunanza Plenaria; 

rilevato che le considerazioni poste a base dell'ordinanza di rimessione sono 
individuate 

A) per quanto attiene al fumus boni iuris, nella circostanza che 
-il decreto del Ministro di grazia e giustizia del 10 novembre 1998 che 
dispone l'utilizzo, per lo svolgimento della prova preliminare� del concorso a 
trecentocinquanta posti di uditore giudiziario, dell'archivio provvisorio avente ad 
oggetto prove di diritto civile -si � pienamente conformato, in modo pressoch� 
vincolato, al contenuto dell'art. 123 bis, 4 comma, del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 
(ordinamento giudiziario), nel testo novellato dall'art. 2 del decreto legislativo 17 
novembre 1997, n. 398, nonch� dell'art. 17 del medesimo decreto, in base al quale, 
nella fase transitoria e sino all'emanazione del decreto ministeriale attestante 
l'avvenuta formazione della banca dati ad opera della commissione permanente per 
la creazione e l'aggiornamento dell'archivio informatico delle domande per la prova 
preliminare, � autorizzata la creazione di un archivio provvisorio delle domande, 
utilizzando archivi di domande gi� predisposti per l'accesso ad altri concorsi, anche 
se aventi ad oggetto una sola delle materie della prova scritta, eventualmente 
modificandole per adattarle ai criteri contenuti nel decreto ministeriale 1 � giugno 
1998, n. 228, che prevede la suddivisione dei quesiti in gruppi distinti per materia e 
per grado di difficolt�; 
-le censure di irrazionalit� del sistema preselettivo informatico si appuntano, 
nella sostanza, contro la fonte primaria (decreto legislativo n. 398 del 1997), la 
quale, essendo atto avente forza di legge, non pu� essere disapplicata dal giudice, 
essendo il controllo su tali atti accentrato nella Corte costituzionale, sicch� appare 
abnorme la misura cautelare che si traduca nella pratica disapplicazione della norma 
di legge sospettata di incostituzionalit� (cfr. Cass. Sez. Lav., 12 dicembre 1991, 

n. 13415; SS.UU. 1� dicembre 1978, n. 5678), specie allorquando, come nel caso di 
specie, non sia stata sollevata dal Giudice la questione di costituzionalit�; I 
B) per quanto riguarda il periculum in mora, nel rilievo che -pur 

I 

prescindendo da ogni rilievo di razionalit� circa le caratteristiche del sistema 
transitorio e da ogni considerazione circa la sua idoneit� a dimostrare l'effettiva 
preparazione del candidato per essere ammesso a sostenere le prove -non appare 
irrilevante il superamento della preselezione da parte di un numero di candidati 
largamente superiore alla proporzione prevista per i posti messi a concorso; 

CONSIDERATO: 

che, nella presente fase cautelare, al fine di conciliare il carattere accentrato del 
controllo di costituzionalit� delle leggi, ove ne ricorrano i presupposti con il 
principio di effettivit� della tutela giurisdizionale, non pu� escludersi quando gli 
interessi in gioco lo richiedano, una forma limitata di controllo diffuso che consente 
la concessione del provvedimento di sospensione, rinviando alla fase di merito, al 
quale il provvedimento cautelare � strumentalmente collegato, il controllo della 
Corte costituzionale, con effetti erga omnes; 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

che, in tale contesto, la concessione della misura cautelare (ammissione con 
riserva), non comporta la disapplicazione di una norma vigente, ma tende a 
conciliare la tutela immediata e reale, ancorch� interinale, degli interessi in gioco 
con il carattere accentrato del controllo di costituzionalit� delle leggi, e si presenta 
ad un tempo misura idonea ad evitare il danno grave e irreparabile del ricorrente, 
consentendogli di partecipare alle prove concorsuali a parit� di condizioni con gli 
altri concorrenti, ed a scongiurare il rischio per l'amministrazione di una 
invalidazione totale dell'intera procedura concorsuale, rispetto al quale il 
prospettato pregiudizio organizzativo appare recessivo; 

ritenuto, per le considerazioni che precedono, di dovere confermare 
l'orientamento espresso con le ordinanze richiamate in premessa; 

P.Q.M. 
accoglie l'appello, e, per l'effetto, in riforma dell'ordinanza appellata, ammette. 
con riserva l'appellante al concorso di cui sopra. (omissis) 


SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 febbraio 1999 n. 44 -Pres. Favara -Est. 
Corona -P.G. (conf.) Carnevali -Ministero delle Finanze (avv. Stato Lancia) 

c. Bova. 
Contenzioso tributario -Rimborso -Fattispecie di rimborso disposto ma non 
eseguito per smarrimento del vaglia cambiario della Banca d'Italia Azione 
di adempimento -Giurisdizione -A.G.O. 

(d.P.R. 29 ottobre 1972 n. 636, artt. 1, 16, 20). 
Rientra nella giurisdizione dell'A.G.O., e non in quella delle Commissioni 
tributarie, l'azione del contribuente volta ali' adempimento di un provvedimento di 
rimborso, non eseguito per smarrimento del vaglia cambiario della Banca d'Italia 
emesso su disposizione dell'Ufficio (1). 

(omissis) 

1. -Con il secondo motivo di ricorso, il Ministero deduce violazione e falsa 
applicazione degli artt. 1, 16 e 20 d.P.R. 636 del 1972; 1, 9, 3, 38 e 637 cod. proc. 
civ.; motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su punto decisivo della 
controversia. 
L'azione proposta, in quanto diretta ad ottenere il rimborso di somme versate in 
eccesso a titolo di IRPEF, rientra nella giurisdizione delle commissioni tributarie. 
Essendo stata esercitata davanti al Pretore carente di giurisdizione, il Tribunale 
avrebbe dovuto rigettare la domanda. 

(1) La giurisdizione delle Commissioni tributarie, nel rito ex d.P.R. 636/72, oltre ad essere 
limitata ratione materiae in base al tipo di tributo, lo � in base al tipo di atti del procedimento incluso 
il diniego parziale o totale del rimborso ed il silenzio rifiuto sulla relativa istanza. 
Non diversamente accade nel rito ex d.lgs. 546/92, laddove, in tema di rimborso, si definisce 
(art. 19, lett. G) impugnabile il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi. Ne consegue, 
pianamente, che ove l'Ufficio abbia disposto il rimborso, non vi � rifiuto impugnabile e non pu� 
esservi giurisdizione delle Commissioni stesse e, vertendo la lite su diritti soggettivi, spetta 
all'A.G.0. conoscerne. 

� in tale prospettiva che deve condividersi la soluzione della sentenza in commento, 
essendo, invece, meno convincente il sottolineato profilo della separazione del credito risultante 
dalla disposizione di accoglimento del rimborso dal rapporto tributario. Invero, l'adempimento di 
un debito non � una vicenda separabile dal rapporto sostanziale che lo origina, e la controversia 
descritta resta una lite tributaria affidata ali' A.G.O. per mera carenza di potere -nei termini 
indicati -del suo giudice naturale. Ci� comporter� l'applicazione, ad esempio, dell'art. 9 c.p.c., 
che non sarebbe possibile affermando la separazione de qua. 

R.d.F. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

468 

Quanto meno, il Tribunale doveva ritenere l'esistenza di causa in materia di 
imposte e tasse e quindi riconoscere che la domanda apparteneva alla competenza 
per materia del Tribunale: donde la necessit� di dichiarare nulla la sentenza del 
Pretore, siccome resa da giudice funzionalmente incompetente. 

I 


2. -Il motivo non pu� essere accolto. 
I 

Nel meccanismo del rimborso delle imposte, tramite la procedura automatizzata 
(art. 42 bis del d.P.R. n. 602 del 1973 cit. e successive modificazioni), non si 
rinviene una deroga alla regola generale della permanenza dell'azione causale 
scaturente dal rapporto, che diede origine alla emissione della cambiale (art. 66 del 

r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669, applicabile al vaglia cambiario della Banca d'Italia 
in base all'art. 90 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736). L'ordinativo di pagamento 
dell'Amministrazione Finanziaria e la successiva emissione del vaglia cambiario da 
parte della Banca d'Italia non novano, oggettivamente n� soggettivamente, 
l'obbligazione di rimborso, sostituendole un rapporto meramente cambiario 
imputato passivamente solo alla Banca d'Italia. Donde la legittimazione 
dell'Amministrazione medesima a contraddire nel giudizio concernente il 
pagamento del credito, cos� come ogni debitore puo essere chiamato a rispondere in 
giudizio del mancato adempimento. 
Ci� premesso, sempre secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, una 
volta che l'Amministrazione abbia disposto il rimborso delle imposte, anche tramite 
la procedura automatizzata -artt. 42 e 42 bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel 
testo risultante dalle modifiche e dalle integrazioni introdotte con legge 31 maggio 
1977, n. 247 (art. 1) e con d.l. 30 dicembre 1979, n. 660 (art. 10), convertito con 
legge 29 febbraio 1980, n. 31 -il corrispondente credito del beneficiario viene 
separato dal rapporto tributario. La distinzione del credito suddetto rispetto al 
rapporto tributario opera in virt� non dell'emissione del titolo cambiario della Banca 
d'Italia, sibbene del provvedimento di rimborso, che prende atto di una sostanziale 
carenza iniziale del rapporto di imposta. Pertanto, il credito diventa estraneo rispetto 
alla materia di imposte, che l'art. 1 lett. a-i, del d.P.R. 26 ottobre 1962, n. 636 

devolve alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie. Quindi, la lite che insorga 
sulla vicenda estintiva di quel credito, e non sul fondamento del credito medesimo, 
non presenta il momento essenziale di collegamento con la giurisdizione delle 
commissioni tributarie, in vista del quale viene sottratta al giudice ordinario dei 
diritti (art. 102 Cost.). Poich� attiene ad un credito ormai estraneo alla materia di 
imposta devoluta alle commissioni tributarie, la relativa domanda non si comprende 
nella giurisdizione di queste commissioni e rientra nella cognizione del giudice 
ordinario (Cass., Sez. Un., 4 luglio 1991, n. 7331). 

3. -Al Pretore di Termini lmerese l'attore ebbe a richiedere il pagamento del 
vaglia cambiario: pi� precisamente, oggetto della domanda proposta in prime cure 
fu la responsabilit� per inadempimento della Amministrazione. La controversia, 
quindi, non riguardava e tuttora non riguarda la sussistenza o non del rapporto 
tributario, vale dire la sussistenza o no dell'obbligo di rimborsare imposte 
eventualmente non dovute, poich� la questione del debito fiscale era stata gi� 
definita dall'Amministrazione con l'emissione dell'ordinativo di pagamento. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

469 

Affermato che la controversia rientra nella cognizione del giudice ordinario, 
perch� attiene ad un credito estraneo alla materia di imposta, la Suprema Corte deve 
rigettare il secondo motivo di ricorso e rimettere la causa al Primo Presidente per la 
assegnazione alle sezioni semplici. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 febbraio 1999 n. 1228 -Pres. De Musis -Rel. 
Graziadei -P.G. (conf.) Gambardella -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Mangia) c. Luongo. 

Tributi in generale -Condoni e sanatorie -Legge 516/82 -Soprattasse e 
sanzioni -Irrogate con provvedimento definitivo -Inammissibilit�. 

(d.l. 10 luglio 1982 n. 429, conv. in legge 7 agosto 1982 n. 516, art. 31, IV comma). 
Il condono delle soprattasse e sanzioni irrogate con provvedimento definitivo 
non � ammissibile, ai sensi dell'art. 31, quarto comma, d.l. 429/82 (1). 

(omissis) 

La Corte, considerato: 

-che l'Ufficio del registro di Benevento, con riguardo ai beni lasciati dal 
defunto Luigi Tresca alla moglie Anna Luongo, nel 1980 ha liquidato le somme 
dovute per imposta di successione ed INVIM, reclamandone il pagamento, e poi, 
con avvisi notificati il 24 giugno 1985, ha richiesto anche il versamento di 
soprattasse, pene pecuniarie ed interessi; 

-che questi ultimi atti sono stati impugnati dalla Luongo, la quale ha 
sostenuto la non debenza delle ulteriori somme pretese dall'Ufficio, a seguito di 
anteriore presentazione d'istanza di condono secondo le previsioni del d.l. 10 luglio 
1982 n. 429 (convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 1982 n. 516), e, in via 
subordinata, il verificarsi di decadenza, trattandosi di credito esercitato oltre il 
termine perentorio di tre anni; 

-che la tesi principale della contribuente � stata accolta dalla Commissione 
tributaria di primo grado; 

-che la relativa pronuncia � stata condivisa dalla Commissione di secondo 
grado, e poi dalla Commissione centrale, sul rilievo che l'art. 31, quarto comma della 
citata normativa contempla l'abbuono di dette spettanze accessorie indipendentemente 
dalla circostanza che sia pendente o possa insorgere controversia con riguardo non 
all'obbligazione tributaria ma agli effetti del suo mancato o tardivo adempimento; 

-che l'Amministrazione finanziaria, con ricorso notificato il 17 marzo 1997 
ad Antonio Portoghese, in qualit� di curatore della scomparsa Anna Luongo, ha 
chiesto la cassazione della decisione della Commissione centrale, tornando a 
sostenere l'inapplicabilit� della menzionata disposizione rispetto a violazioni gi� 
definitivamente accertate; 

(1) Conclusione ineccepibile: il fine del condono essendo quello di ridurre le liti su elementi 
incerti del rapporto tributario, non quello di rinunziare alla riscossione di somme definitivamente 
dovute in base a provvedimenti non impugnati. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

470 

-che il Portoghese, replicando con controricorso, e richiamando la nuova 
disciplina del processo tributario, ha sostenuto l'inammissibilit� ed improcedibilit� del 
ricorso, perch� notificato posteriormente al decorso di sessanta giorni dalla 
notificazione della pronuncia della Commissione centrale all'Ufficio del registro di 
Benevento (il 14 maggio 1996), nonch� alla Commissione di secondo grado alla stessa 
Commissione centrale (il 14 ed il 27 maggio 1996), ed inoltre perch� depositato oltre 
il ventesimo giorno dopo la scadenza di detto termine (13 luglio 1996); 

-che le norme del d.l. 31 dicembre 1992 n. 546 e successive modificazioni, 
sull'attribuzione della qualit� di parte dinanzi alle commissioni tributarie provinciali 
e regionali agli uffici del Ministero delle finanze che hanno emesso gli atti 
impugnati ( artt. 10 ed 11), non sono invocabili nella fattispecie, in quanto il 
procedimento di merito � stato celebrato e si � concluso nel vigore del d.P.R. 26 
ottobre 1972 n. 636 (operante fino al 1� aprile 1996); 

-che in detta precedente disciplina mancano disposizioni derogative dei 
principi generali sull'identificazione della controparte del contribuente, di modo che 
la notificazione della decisione della Commissione centrale non pu� far decorrere il 
termine breve per proporre ricorso per cassazione se effettuata all'ufficio, anzich� 
all'Amministrazione finanziaria presso l'Avvocatura generale, in base alle comuni 
regole poste dall'art. 326 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 170 e 285 cod. proc. 
civ., e dalla normativa sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato; 

-che, in tema (fra l'altro) d'imposta sulle successioni e d'INVIM, i primi due 
commi dell'art. 31 del d.l. n. 429 del 1982 si occupano delle controversie di 
valutazione, che siano in corso o possano insorgere, e ne contemplano la definizione 
agevolata, rispettivamente, mediante il pagamento del tributo corrispondente alla 
met� del valore accertato od al valore dichiarato aumentato del 20%, con 
l'esclusione, in entrambi i casi, di soprattasse e pene pecuniarie; 

-che il quarto comma della stessa disposizione, ove stabilisce per le altre 
controversie pendenti e per le altre violazioni commesse fino al 31 dicembre 1981 
l'abbuono di soprattasse e sanzioni non ancora corrisposte se il contribuente abbia 
provveduto o provveda al versamento dell'imposta dovuta ed all'adempimento 
delle formalit� omesse, deve essere coordinato con le norme che lo precedono, e 
quindi circoscritto, quando fa riferimento alle �altre violazioni�, a quelle non 
ancora definitivamente accertate, in ordine ai cui presupposti sussista o possa 
nascere contesa; 

-che questa interpretazione, con cui si aderisce a consolidato indirizzo 
giurisprudenziale (v., ex pluribus, Cass. n. 3779 del 14 aprile 1998, n. 2805 del 
28 marzo 1997 e n. 1964 del 6 marzo 1997), trova conferma nella ratio del condono, 
il quale mira ad elidere o prevenire cause attuali o potenziali, assicurando all'erario 
incassi immediati, e non sarebbe conciliabile con una semplice dismissione di 
crediti certi ed incontestabili; 

-che, nella vicenda in esame, alla prevista data di riferimento, erano gi� 
divenuti definitivi i precedenti atti di accertamento e di liquidazione (in carenza 
d'impugnazione nei termini), e quindi incontestabili gli elementi costitutivi delle 
infrazioni implicanti i debiti accessori in discorso; 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

471 

-che, pertanto, previa affermazione dell'ammissibilit� e procedibilit� del 
ricorso, in quanto notificato entro il termine annuale di cui all'art. 327 cod. proc. 
civ., e poi depositato entro venti giorni dalla notificazione nell'osservanza dell'art. 
369 cod. proc. civ,, si deve accogliere il ricorso medesimo, con l'annullamento della 
pronuncia impugnata e la rimessione della causa in sede di rinvio per l'applicazione 
del riportato principio e per l'esame della deduzione subordinata della contribuente 
(riproposta nella precedente fase processuale); 

-che al Giudice di rinvio, da designarsi nella Commissione tributaria 
regionale della Campania, si affida anche la statuizione sulle spese di questo 
procedimento; 

p.q.m. 
-accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia la causa, anche per 
le spese del presente giudizio, alla Commissione regionale della Campania. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 febbraio 1999 n. 1255 -Pres. De Musis -Rel. 
Forte -P.G. (parz. diff.) Gambardella -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Salimei) c. AGIP (avv.ti Trumino, Coviello). 

Contenzioso tributario -Cassazione � Rkm."so � Notifica " Va:rfazione del 
dm:nid.Uo eletto g Effetti. 
(d.lgs. 31dicembre1992 n. 546, art. 17). 

Tributi erariaU diretti -IRPEG e ILOR -Interessi sui crediti d'imposta Im.
ponfbmt� -Limiti. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597; TUIR, art. 56; d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42, art. 36). 
Anche ai fini della notifica del ricorso per Cassazione le variazioni del 
domicilio eletto dal contribuente, per avere efficacia, devono essere notificate alle 
altre parti ed alla Segreteria ed hanno effetto dal decimo giorno successivo al 
compimento di tali formalit�, in difetto potendo il ricorrente notificare nel 
precedente domicilio (1). 

(1) Nel previgente rito tributario, era sufficiente il semplice deposito in segreteria della 
comunicazione di variazione, ancorch� gli effetti decorressero dal decimo giorno successivo 
(art. 32 bis d.P.R. 636/72, aggiunto all'art. 20 d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739). Invero, nel vecchio 
rito, la quasi totalit� delle notifiche (in particolare, dell'appello e del ricorso alla Commissione 
Centrale) erano onere della Segreteria, n� era prevista la notifica della sentenza ex art. 327 c.p.c. 
L'innovazione, che vuole che la variazione di domicilio si comunichi anche alle parti, � 
giustificata in un rito che, avvicinandosi a quello ordinario, prevede in particolare la notifica delle 
impugnazioni e delle sentenze ad istanza di parte. 

Ci� vale anche per la notifica del ricorso per Cassazione, autonomamente disciplinata. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAT<Y

472 

Nel vigore del d.P.R. 597/73, gli interessi sui crediti d'imposta, avendo natura 
risarcitoria, non erano imponibili, mentre lo sono in base al nuovo TUIR; pertanto, 
il contribuente che abbia versato l'imposta ritenuta dovuta sui medesimi, 
precedentemente al 1 gennaio 1988, non pu� richiederne il rimborso se la sua 
dichiarazione � conforme alla sopravvenuta normativa (2). 

(omissis) 

1. -La notifica del ricorso per cassazione � avvenuta nel luogo che, nella 
memoria depositata in appello dalla S.p.A. Agip, � indicato come sede sociale e nel 
domicilio eletto dal legale rappresentante della societ� presso i dr. Aldo Trumino e 
Letizia Coviello che nella stessa memoria sono qualificati come delegati o 
procuratori �domiciliatari; dall'intestazione della sentenza impugnata risulta invece 
che la societ� era rappresentata dal dr. Salvatore Portaluri, mentre non vi � 
indicazione sui due domiciliatari ai quali � stata notificata l'impugnativa e sulla 
richiamata sede sociale, che peraltro risultano dagli atti processuali per cui irrilevante 
� l'erronea indicazione della sentenza (in tal senso Cass. 16 gennaio 1987 n. 286). Per 
l'art. 49 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 �Alle impugnazioni delle sentenze si 
applicano le disposizioni del titolo III, capo I del libro II del codice di procedura 
civile, escluso l'art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto� e quindi 
I 
la notifica del ricorso poteva farsi, in difetto della notificazione della decisione al 
�procuratore costituito� o alla parte �nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto 

I 

per il giudizio� (art. 330 c.p.c.); per l'art. 62 del d.lgs. 546/92: �Al ricorso per 
cassazione e al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di 
procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto� e quindi in 
base all'art. 330 c.p.c. per cui corretta � da ritenersi la notificazione alla stregua anche 

iIdell'art. 17 del nuovo contenzioso tributario per il quale �le notificazioni sono fatte, 
salvo la consegna a mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza 

o nella sede dichiarata dalla parte all'atto della sua costituzione in giudizio. Le 
variazioni del domicilio o della residenza o della sede hanno effetto dal decimo 
giorno successivo a quello in cui sia stata notificata alla segreteria della commissione 
e alle parti costituite la denunzia di variazione. L'indicazione della residenza o della 
I

lli

sede e l'elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del 
processo�. Poich� tale ultima norma � da ritenersi applicabile, � chiara la ritualit� 
della notifica presso i domiciliatari che risultano tali, a variazione della precedente 
dichiarazione di residenza ancora emergente dall'intestazione della sentenza, nella 
memoria depositata ex art. 32 d.lgs. 546/92 oltre dieci giorni prima della discussione 
in pubblica udienza dell'appello alla quale intervenne anche uno dei due domiciliatari 
presso il quale il ricorso � stato notificato. Pertanto, poich� agli atti risulta l'elezione 
di domicilio di cui alla notifica, successiva e modificativa della residenza dichiarata 
di cui alla intestazione della sentenza impugnata, la notifica deve ritenersi corretta e 
il ricorso deve qualificarsi ammissibile. 

(2) Ulteriore esempio di applicazione in pejus dell'art. 36 d.P.R. 42/88. Cfr. nota a Cassazione, 
sez. I, 11 settembre 1998 n. 9023, in questa Rassegna, 1 -2/99, 207. Qui la �conformit� della 
dichiarazione� si riferisce alla dichiarazione stricto sensu intesa. 
R.d.F. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

2. -Con il primo motivo di ricorso, le Finanze deducono la violazione degli artt. 
41, 44, 52, 74 e 80 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 ex art. 360 n. 3 c.p.c., in 
quanto erroneamente nella decisione impugnata si � affermata la natura risarcitoriacompensativa 
degli interessi sui crediti di imposta, dato che la funzione reintegratoria 
del patrimonio compete al capitale rimborsato, di cui gli interessi sono solo utile o 
frutto trattandosi di crediti certi, liquidi ed esigibili che producono interessi di pieno 
diritto, intervenendo la legge solo a disciplinare la decorrenza e il tasso di essi. 
Esclusc:t anche una natura compensativa, alla luce della nozione normativa degli 
interessi di cui all'art. 41 lett. i del d.P.R. 597/73 (attuale 41 lett. h d.P.R. 917 del 22 
dicembre 1986) comunque la ricorrente afferma che essi nella previgente normativa 
o erano da considerare frutto del capitale versato, come imposta non dovuta ovvero 
maggiore di quella dovuta, o erano parte del reddito di impresa, violandosi altrimenti 
gli artt. 74 e 80 del d.P.R. 597/73. Erroneamente dai giudici di merito si era escluso 
ogni rilievo al fatto che gli interessi erano inseriti nel conto profitti e perdite 
dell'impresa, qualificando la circostanza mero artificio contabile, in assenza di norme 
fiscali che consentissero la esclusione dall'imponibile degli stessi. 
In effetti, l'art. 41 d.P.R. 597/73 ai fini Irpef, inserisce tra i redditi di capitale, gli 
�interessi non compensativi�, cos� qualificando, quelli derivati �da capitali dati a 
mutuo o altrimenti impiegati� (lett. a), �da depositi e conti correnti� (lett. b), da 
�obbligazioni e titoli similari� (lett. d) e gli �interessi moratori anche se compresi in 
somme spettanti a titolo di risarcimento di danni� (lett. e), chiarendo che redditi di 
capitali devono ritenersi pure �gli altri interessi non aventi natura compensativa e 
ogni altra rendita ... derivante dall'impiego di capitale�. Per l'art. 44 del detto d.P.R. 
�non costituiscono reddito di capitale, in quanto componenti del reddito di impresa 
gli interessi di cui all'art. 41 non soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, 
conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali... o mediante stabili organizzazioni� 
nel territorio dello Stato. In conclusione alla stregua del d.P.R. 597/73 gli interessi 
sono classificabili come redditi di capitale solo se aventi funzione corrispettiva cio� 
quando siano frutti civili della somma dovuta, ritraendosi in �corrispettivo del 
godimento che altri... abbia ... dei capitali" (art. 820 e.e.) e producendosi di pieno 
diritto nei crediti liquidi ed esigibili (art. 1282 e.e.); essi, se derivino da attivit� 
commerciali devono denunziarsi come redditi di impresa. La caratteristica degli 
interessi �compensativi� di cui all'art.1499 e.e. � reintegrare il creditore dei frutti dei 
beni consegnati nello scambio per cui decorrono anche se i crediti non sono esigibili, 
a differenza dei corrispettivi. Funzione diversa hanno gli interessi quando 
intervengano dopo �il giorno della mora� (1219 e.e.) essendo dovuti a titolo di 
risarcimento del danno (art. 1223 e.e.) anche se di quest'ultimo non vi sia prova. 

Con il d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 � stata disciplinata la materia dei 
rimborsi per i crediti d'imposta (art. 41), derivati da pagamenti di somme maggiori 
di quelle dovute per la lettera della legge e da ritenersi applicabile per l'ipotesi di 
esborsi non dovuti assolutamente (Cass. 2 ottobre 1996 n. 8638), fissandosi uno 
speciale tasso �per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data 
del versamento o della scadenza dell'ultima rata del ruolo� (art. 44) dell'imposta 
pagata e da restituire. Tale disciplina, speciale rispetto a quella del e.e. (Cass. 6 
dicembre 1991 n. 13137), dimostra il carattere compensativo-risarcitorio degli 
interessi sui crediti d'imposta previgente sistema delle imposte dirette; essi, in 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

474 

quanto connessi ad un ritardo nell'adempimento, hanno funzione reintegratoria del 
capitale indebitamente pagato allo Stato in deroga all'art. 2033 e.e. e sono dovuti, 
senza necessit� di domanda specifica del creditore e indipendentemente da ogni 
malafede del debitore. La norma determina infatti una decorrenza degli interessi non 
coincidente con la data del pagamento non dovuto n� con quella della domanda di 
rimborso e fissa nel termine di un semestre dal pagamento non dovuto o dall'ultima 
data del ruolo, una mora ex re dell'Amministrazione. L'art. 44 d� luogo al 
pagamento di interessi moratori con funzione compensativa del mancato godimento 
del capitale indebitamente pagato e risarcitoria per il ritardo rispetto al termine di 
cui sopra. Alcuna responsabilit� vi � a carico dell' ~Amministrazione per la ricezione 
di pagamenti non dovuti o eccedenti il dovuto da parte del contribuente, derivando 
gli stessi dall'applicazione della legge; ci� non esclude peraltro, ai sensi delle norme 
citate del d.P.R. n. 602, che l'Amministrazione nel caso ha il termine di un semestre 
intero dalle date riportate sopra, per emettere l'ordinativo di pagamento o l'elenco 
dei rimborsi senza pagare interessi. Prima del semestre si verifica l'ipotesi di un 
credito liquido ed esigibile che per la legge non d� luogo ad interessi corrispettivi ex 
art. 1282 e.e.; solo se l'Amministrazione non provvede nel termine di legge agli 
indicati atti presupposti del rimborso, essa dovr� corrispondere gli interessi che 
sanzionano in sostanza un ritardo presumibilmente colpevole per cui il carattere 
moratorio e compensativo degli interessi appare nel caso innegabile (per la natura 
compensativa risarcitoria di questi interessi, Cass. 6 aprile 1995 n. 4037). 

Se si afferma la natura risarcitoria e/o compensativa degli interessi sui crediti 
d'imposta nel senso sopra indicato, deve escludersi che essi possano qualificarsi 
come �non compensativi� ai sensi dell'art. 41 d.P.R. 597/73 e corrispettivi e quindi 
che essi siano redditi nella previgente disciplina delle imposte dirette. Solo a seguito 
della mora fissata dal legislatore fiscale per l'Amministrazione, questa � da 
presumersi in colpa e dovr� gli interessi, che, in quanto compensativi delle somme 
fruite indebitamente e sanzionanti l'inadempimento oltre il termine di legge, 
reintegrano il creditore dei frutti delle somme indebitamente versate e non sono 
inquadrabili come redditi. Pertanto il primo motivo di ricorso � infondato, dovendo 
escludersi che in base alla previgente disciplina delle imposte dirette gli interessi sui 
crediti di imposta possano costituire redditi di capitale o di impresa. 

2. -Con il secondo motivo, si � dedotta la violazione dell'art. 56 del t.u. 22 
dicembre 1986 n. 917 e dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42 in rapporto 
sempre all'art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto il citato art. 36 prevede che il T.U.LR. 
retroagisce ai periodi d'imposta anteriori al 1987, se le dichiarazioni del 
contribuente siano conformi alle nuove disposizioni. Il d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 
917 sancisce che sono redditi di capitale gli interessi derivanti da mutui, depositi e 
conti correnti e quelli da titoli obbligazionari (art. 51 lett. a, b e h); stabilisce poi, 
all'art. 56, che gli interessi concorrono a formare redditi di impresa dell'esercizio in 
cui sono percepiti indipendentemente dalla loro natura, compensativa o 
corrispettiva, per cui gli stessi anche se prodotti da crediti di imposta sono 
imponibili ai fini ILOR dalla data di entrata in vigore della nuova disciplina delle 
imposte dirette cio� dal 1� gennaio 1988. L'art. 36 d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 2 ha 
peraltro sancito: �Le disposizioni del Testo unico non considerate nei precedenti 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

475 

articoli di questo capo hanno effetto anche per i periodi di imposta antecedenti al 
primo periodo di imposta successivo al 31 dicembre 1987, se le relative 
dichiarazioni, validamente presentate, risultano ad esse conformi�. Gli artt. 41 e 
44 del d.P.R. 597/73 sono stati modificati dall'art. 56 del d.P.R. 22 dicembre 1986 

n. 917 per il quale tutti gli interessi rientrano tra i redditi di impresa. Tale situazione 
comporta che anche le somme ricevute quali interessi prima del 1988 devono 
qualificarsi imponibili ILOR, perch� l'innovazione di cui al T.U.I.R. opera 
retroattivamente per i precedenti periodi d'imposta ai sensi deH'art. 36 del d.P.R. 
4 febbraio 1988 n. 42, purch� la loro dichiarazione sia stata conforme al richiamato 
art. 56 del d.P.R. 917 del 1986 (Cass. 7 maggio 1996 e la Cass. n. 4037/95 gi� citata 
sulla scia di altre decisioni a decorrere da Cass. 5 luglio 1990 n. 7091). (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 febbraio 1999 n. 1349 -Pres. De Musis -Rei. 
Forte -P.G. (conf.) Gambardella -Ministero delle Finanze (avv. Stato Figliolia) 

c. Soc. SUPER COMMA. 
Tributi in generale � Accertamento ~ Contabnit� non ufi'idale del cont:rfouente .,. 

Dfaconosdmento ~ Esclusione, 

(c.p.c., art. 214; d.P.R. 29 settembre 1972 n. 633, art. 54). 

Tdbuti in genera!e � Accertamento ~ Contabmt� non uf:l:kia~e dei con.t:ribuente 


Natura imiiziarfa ~ lliscontri con :fatti cU gestfone ~ Necessit�. 

(art. 2729 e.e.). 

Il contribuente non pu� disconoscere la provenienza della contabilit� ufficiosa 
acquisita in sede di accesso, presso la sede sociale, in quanto il luogo di 
ritrovamento ne fa presumere la pertinenza all'impresa (1). 

Il giudice tributario deve valutare i dati della contabilit� ufficiosa di un 
contribuente come indizio della rappresentazione di operazioni sociali, e deve 
verificarne la corrispondenza con i fatti di gestione regolarmente contabilizzati e 
con l'esame della situazione di fatto emergente dai risultati dell'accesso (2). 

(1) La questione verte sull'utilizzabilit� della contabilit� �nera�, ove la stessa sia poi 
disconosciuta dal contribuente. Propriamente, devesi affermare comunque la possibilit� di tale 
�disconoscimento�, salvo valutarne l'infondatezza, qui affermata, nel merito, dalla Corte sulla 
base di massime di comune esperienza. 
(2) La contabilit� nera � un elemento che concorre ad inficiare, nel procedimento analitico 
extracontabile, le risultanze della contabilit� ufficiale, purch� la stessa abbia riscontri nei fatti di 
gestione comunque risultanti e non sia frutto di fantasia. Tuttavia, essa pu� non formare piena 
prova dei fatti ivi rappresentati, essendo necessario sempre il concorrere in concreto dei requisiti 
di gravit�, precisione e concordanza di cui all'art. 54 d.P.R. IVA. Ci� se essa -come nella 
normalit� dei casi -non sia sottoscritta, diversamente valendo i principi sulla scrittura privata e 
la sua efficacia di prova semplice dei fatti ivi rappresentati (artt. 2702 e.e. e 215 c.p.c.). 
R.d.F. 

RASSEGNA AVVOCA'.IURA DELLO STATO.

476 

(omissis) 

1.-Con l'unico motivo di ricorso l'Amministrazione deduce la violazione e 
falsa applicazione degli artt. 53 e 54 del d.P.R. n. 633/72 e l'omessa, insufficiente e 
contraddittoria autorizzazione su un punto decisivo della controversia, in rapporto 
all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. e all'art. 62 d.lgs. 546/92. Erroneamente la decisione 
impugnata ha ritenuto inutilizzabili i documenti manoscritti di cui al processo 
verbale di constatazione della Polizia Tributaria e ha annullato l'accertamento, pur 
essendo consentito usare, per l'art. 54, 2� comma, d.P.R. n. 633/72, altre scritture 
oltre le ufficiali, per riscontrare falsit� o inesattezze nella dichiarazione I.V.A., 
costituendo indizio grave di queste l'esistenza di una contabilit� non ufficiale; 
illogico era. stato nella decisione di merito ritenere inutilizzabili i manoscritti non 
ufficiali in quanto da quelli non emergeva l'altra parte contraente e corresponsabile 
dell'evasione. La decisione impugnata doveva annullarsi, sia per la violazione 
dell'art. 54 citato, che per vizio di motivazione, fondato sul predetto errore di diritto. 

Ritiene la Corte anzitutto la legittimit� dell'utilizzazione, per l'art. 54 del d.P.R. 
633/92, dei �documenti� rinvenuti nel corso dell'ispezione di cui al processo 
verbale di constatazione dalla Polizia tributaria e quindi dei fogli manoscritti, che la 
Commissione regionale ha ritenuto irrilevanti, omettendo di esaminare un fatto 
decisivo per la risoluzione della controversia, quale era la contabilit� non ufficiale 
(Cass. 7 agosto 1996 n. 7372). In base alle massime di comune esperienza, cui il 
giudice di merito non si � attenuto (Cass. 16 gennaio 1991 n. 357) emerge certo il 
collegamento tra fogli manoscritti e societ� intimata per il rinvenimento dei primi 
nella sede della seconda: tale circostanza da sola avrebbe consentito di trarre dalle 
scritture ufficiose elementi di prova a carico della societ�. Il fatto che da tali 
manoscritti siano stati dedotti imponibili I.V.A. per acquisti di merce da fornitori 
non conosciuti e vendite a clienti ignoti, non � mero indizio dei richiamati 
imponibili da un punto di vista sia giuridico che logico, dovendo i giudici di merito 
evidenziare gli elementi della contabilit� ufficiale che confermavano o escludevano 
la rilevanza di detta documentazione ufficiosa rinvenuta, considerando anche che 
nell'impugnazione stessa non era escluso che i fogli manoscritti potessero 
riguardare proposte di vendite e acquisti non perfezionate. Deve quindi ritenersi 
violativa dell'art. 54 d.P.R. 633/72 la sentenza impugnata, per la parte in cui esclude 
la riferibilit� alla societ� intimata dei detti scritti ufficiosi solo perch� il legale 
rappresentante della contribuente ne ha disconosciuto la provenienza da se stesso, 
deducendo che essi potevano essere stati scritti da una ragioniera o consulente della 
ricorrente. Il collegamento tra fogli manoscritti e la societ�, logicamente desumibile 
dai luoghi ove i detti documenti furono rinvenuti determina, per l'art. 53 del d.P.R. 
633/72, che il mancato riscontro delle merci cui i manoscritti si riferiscono come 
oggetto di acquisti fa presumere la loro cessione e l'esistenza del relativo 
imponibile. La violazione delle norme indicate e l'insufficiente motivazione sulla 
loro applicabilit� attraverso un esame del fatturato e delle giacenze di cui alle 
scritture contabili ufficiali e la valutazione di eventuali riscontri contrastanti o di 
conferma delle operazioni di cui ai manoscritti non ufficiali, comporta che la 
decisione impugnata deve annullarsi per violazione di legge per la mancata 
rilevanza data ai documenti non ufficiali, da valutare in rapporto agli acquisti e alle 
vendite di cui alle scritture contabili regolari e tenendo conto delle merci di cui agli 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

inventari. Il raffronto tra scritti non ufficiali e scritture contabili comprese le 
risultanze dei conti cassa e soci prevalenti, e l'esame della situazione di fatto dei 
depositi della societ� emergente dagli inventari e dal processo verbale di 
constatazione potranno determinare la conferma o la smentita degli acquisti e delle 
vendite di cui all'accertamento induttivo. Solo con tale valutazione comparata potr� 
determinarsi la eventuale sufficienza o insufficienza logica e testuale delle 
deduzioni dell'Amministrazione in ordine alle lettere puntate N., C. ed R., riportate 
nei detti documenti e che la polizia Tributaria ha ricavato, in contrapposto alle 
regolari scritture contabili riportanti le operazioni �in chiaro�, potessero significare 
Nero, e, per la situazione geografica della societ� e alle sue due filiali, potessero 
indicare rispettivamente Civitanova e Recanati. Pertanto deve ritenersi non 
sufficientemente motivata la decisione impugnata pure per la parte in cui nega che 
le lettere iniziali di cui ai manoscritti ufficiosi N., C. ed R. abbiano il significato loro 
attribuito in sede di accertamento, senza precisare quale senso logico e testuale 
alternativo esse possano avere avuto anche alla luce del gravame che giustificava i 
detti documenti, come proposte di acquisto o di vendita rivolte a terzi comunque 
ignoti. Deve quindi annullarsi la decisione impugnata con rinvio ad altra sezione 
della medesima Commissione regionale anche per la disciplina delle spese di causa, 
ivi comprese quelle del presente giudizio di cassazione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 febbraio 1999 n. 1481 -Pres. Cantillo -Rei. 
Bonomo -P.G. (conf.) Morozzo della Rocca -Soc. Alexander Nicolette p.a. 
(avv. Lais) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palizzi). 

Tributi in generale � Accertamento � Dichiarazioni del legale rappresentante di 
una Societ� agli agenti accertatori, debitamente verbalizzate -Natura 
confessoria. \ 
(art. 2735 e.e.). 

Le dichiarazioni del legale rappresentante di una Societ� alla Guardia di 
Finanza, debitamente verbalizzate nel corso di un accesso, non costituiscono 
semplici presunzioni ma possono essere apprezzate come una con/ essione 
stragiudiziale e costituire prova diretta e non indiziaria del maggior imponibile 
accertato nei confronti della societ�. 

(omissis) 

La Corte di merito ha precisato che la rettifica delle dichiarazioni annuali era 
stata operata in esito all'accertamento analitico disciplinato dall'art. 54 d.P.R. n. 633 
del 1972, e cio� sulla base di dati obiettivi desunti dalle scritture contabili tenute 
dalla societ� (libro degli inventari, fatture di acquisto e di vendita, bolle di 
accompagnamento ecc.) nonch� delle dichiarazione rese dall'amministratore della 
societ� in ordine ai quantitativi di pellame, compresi sfridi e scarti di lavorazione, 
occorrenti mediamente per la produzione di ciascun articolo (sono stati pure indicati 
i fogli del verbale di constatazione, sottoscritti dall'amministratore, dove sono 
riportati i parametri forniti dalla societ�). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 

478 

Ora, rileva il Collegio che l'ufficio non ha fatto in via autonoma ricorso a valori 
percentuali medi, quali risultato della estrapolazione statistica di una pluralit� di dati 
che fissa una regola d'esperienza, secondo le espressioni richiamate dal ricorrente, 
ma ha utilizzato dati forniti dallo stesso contribuente collegandoli con gH elementi 
risultanti dalle scritture contabili. 

Le dichiarazioni dell'amministratore della societ� sui quantitativi di pellame 
mediamente occorrenti per la produzione delle calzature non costituiscono 
semplici presunzioni, ma possono essere apprezzati come una confessione 
stragiudiziale, quando siano state rese in contraddittorio con i verbalizzanti e 
risultino dal verbale di constatazione, sottoscritto dal medesimo amministratore. 
Ne consegue che tali dichiarazioni possono legittimare l'accertamento dell'ufficio 
per infedelt� della dichiarazione annuale, tanto come elemento da valutare ai sensi 
del secondo comma dell'art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, quanto come prova 
diretta, ai sensi del terzo comma del medesimo articolo ( cfr. Cass. 9 giugno 1990 

n. 5628). 
Correttamente, quindi, la decisione impugnata ha fatto applicazione dell'art. 54 
del d.P.R. n. 633 del 1972, escludendo che ricorresse nella specie J.a diversa ipotesi 
di accertamento induttivo, di cui al successivo art. 55. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 febbraio 1999 n. 1539 -Pres. Cantillo -Rel. 
Bonomo -P.G. (parz. diff.) Morozzo della Rocca -Dionisi (avv. Scognamiglio) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Criscuoli). 
Tr-ibuti in genera~e " Accertamento " Giudicato penale ~ Ir:dJevanza N Condh::kmt 
(art. 654 c.p.p.; legge 7 luglio 1982 n. 516, art. 12, primo comma). 

Il giudicato penale di assoluzione del contribuente, imputato in reato tributario, 
non � dal medesimo opponibile all'Amministrazione non costituitasi parte civile nel 
processo penale, attesa la intervenuta abrogazione ad opera del nuovo c.p.p. 
dell'art. 12, legge 516/82 (1). 

(omissis) 

1. -Con il primo mezzo d'impugnazione il ricorrente lamenta violazione dell' 
art. 12, comma I, legge 7 luglio 1982 n. 516, dell'art. 654 cod. proc. pen. e art. 15 
delle disp. sulla legge in generale. 
Avrebbe dovuto farsi applicazione del principio in base al quale �lex posterior 
generalis non derogat priori speciali�, tenuto conto che la citata norma del codice 
di procedura penale, indi.rizzata alla generalit� dei soggetti, non pu� porsi in diretto 
rapporto con la norma speciale dell'art. 12 della legge n. 516 del 1982, appartenente 
alla materia impositiva in cui lo Stato appare in posizione di supremazia rispetto a 
tutti gli altri soggetti. 

(1) Massima ineccepibile che supera, ancora una volta, contrasti sull'abrogazione 
dell'art. 12 della legge 516/82. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Inoltre, l'inflazione legislativa estende le situazioni di dubbio e rende precaria 
l'automaticit� d~He regole relative all'abrogazione tacita, cui si era erroneamente 
ispirato il giudice di appello. 

Dovrebbe poi tenersi conto della discrezionalit� riservata allo Stato rispetto alla 
partecipazione o meno al processo penale in qualit� di parte civile e di quanto deciso 
dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 120 del 23 marzo 1992, secondo la 
quale pem1ane lobbligo dell'Amministrazione finanziaria di uniformarsi alla 
sentenza penale definitiva allorch� appaiano fiscalmente rilevanti i fatti in essa 
accertati, in applicazione del principio desumibile in via generale dall'art. 4 della 
legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E. 

2. -nmotivo non � fondato. 
Secondo l'orientamento gi� espresso da questa Corte, l'art. 654 dell'attuale 
cod. proc. pen., che stabilisce l'efficacia vincolante del giudicato penale nel 
giudizio civile ed amministrativo nei confronti di coloro che abbiano partecipato al 
processo penale, opera anche per i reati previsti da leggi speciali in base all'art. 207 
disp. att. ed ha, quindi, portata modificativa dell'art. 12 del d.l. 10 luglio 1982 

n. 429, convertito i.n legge 7 agosto 1982 n. 516 che regola l'autorit� del giudicato 
penale in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (Cass. 10 giugno 1998 
n. 5730, 5 luglio 1995 n. 7403). 
In particolare, la sentenza n. 7403 del 1995 ha sottolineato: a) che la parte 
dell'art. 12 del d.L 10 luglio 1982 n. 429 (convertito in legge 7 agosto 1982 n. 516, 
e modificato dal d.l. 15 dicembre 1982 n. 916, convertito in legge 12 febbraio 1983 

n. 27) relativa all'autorit� vincolante della sentenza penale irrevocabile di condanna 
o di assoluzione (a differenza della parte del medesimo articolo che esclude la 
sospensione del processo tributario in pendenza del processo penale per reati 
finanziari), nel raffronto con la disciplina dettata dal codice di procedura penale 
al!' epoca vigente, non pu� considerarsi speciale, in quanto, facendo proprie, e 
sostanzialmente trascrivendo, con identiche espressioni, le regole dell'art. 28 del 
codice stesso, sull'autorit� del giudicato penale nel giudizio civile od 
amministrativo, resta sul piano della conferma e riproduzione di principi generali; 
b) che la disposizione contenuta nell'art. 12, in quanto meramente ricettizia di 
canoni codicistici, sul rapporto fra giudizio penale e giudizio civile od 
amministrativo, non pu� restare insensibile ad una successiva revisione dei canoni 
stessi, revisione che � intervenuta con l'entrata in vigore dell'attuale codice di 
procedura penale (d.P.R. 22 settembre 1988 n. 447), il cui art. 654, mentre 
sostanzialmente ripropone l'art. 28 del codice precedente sui limiti oggettivi 
dell'efficacia vincolante del giudicato penale, accentua i limiti soggettivi, stabilendo 
che detta efficacia si produce soltanto nei confronti di coloro che abbiano 
concretamente partecipato al processo penale in veste d'imputato, di parte civile o 
di responsabile civile.; e) che l'art. 207 delle disposizioni di attuazione del nuovo 
codice di procedura penale ne estende l'applicazione ai reati previsti da leggi 
speciali, in difetto di espressa deroga posta dalle disposizioni stesse (quale quella 
dell'art. 235). 
Correttamente, quindi, la Corte di appello ha ritenuto che il giudicato penale 
non � opponibile all'Amministrazione delle finanze, la quale non ha partecipato al 
giudizio penale nei confronti del Dionisi. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATI'l 

Quanto al richiamato obbligo dell'amministrazione di conformarsi al giudicato, 
esso pu� valere esclusivamente nell'ambito dei limiti del giudicato, compresi quelli 
soggettivi, in base ai quali l'efficacia vincolante del giudicato si produce solo nei 
confronti di coloro che abbiano concretamente partecipato al processo penale in 
veste d'imputato, di parte civile o di responsabile civile. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 febbraio 1999 n. 1585 -Pres. Papa -Rel. 
Proto -P.G. (conf.) Lo Cascio -Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei) c. 
Zuin (avv.ti Buran, Cetoli). 

'Iributi erariali diretti � IRPEF � Reddito d'impresa � Sopravvenienze attive Riduzione 
dei crediti deliberata in sede di concordato fallimentare -d.P.R. 
597 /73 � Inclusione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1973 n. 597, artt. 55 e 73; TUIR, art. 55; d.P.R. 4febbraio1988 n. 42, art. 36). 
Costituiscono sopravvenienza attiva, e sono perci� componente positiva del 
reddito d'impresa, le riduzioni dei crediti deliberate in sede di concordato 
fallimentare, nel vigore del d.P.R. 597173, in quanto la norma di cui all'art. 55 TUIR 
non � retroattiva se non alle condizioni previste dall'art. 36 del d.P.R. 42/88. (1) 

(omissis) 

3. -Il primo motivo del ricorso principale � infondato. 
Questa Corte ha gi� avuto occasione di precisare che l'art. 55, quarto comma, 
del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, testo unico delle imposte sui redditi -nella 

(1) Nel caso di specie, la pretesa fiscale derivava dalla stessa dichiarazione di tale posta 
quale componente dell'attivo ad opera del Curatore del fallimento; non si poteva pertanto parlare 
di conformit� della stessa alle nuove norme del TUIR, che espressamente escludono dall'attivo 
la riduzione dei crediti in sede di concordato fallimentare. Deve premettersi che con il concordato 
remissorio effettivamente i creditori rinunziano definitivamente alla <<portio� delle loro ragioni di 
credito, a nulla rilevando la cessazione della procedura ed il ritorno in bonis del fallito. Ci� si 
inquadrava pienamente nella definizione di sopravvenienza attiva di cui all'art. 55 d.P.R. 597: 
�Sopravvenuta insussistenza ... di passivit� iscritte in bilancio in precedenti periodi di imposta�. 
Di qui la posizione dell'Amministrazione finanziaria, favorevole all'imposizione ( r.m. 2 
dicembre 1977 n. 9/407). La tesi � corretta, in quanto il concordato endofallimentare in esame 
equivale in tutto e per tutto ad una remissione di crediti; infondate sono dunque le critiche mosse 
da chi vedeva nell'interpretazione data un monstrum giuridico (Tribunale di Reggio Emilia, 
decreto del G.D. 20 febbraio 1981; Tribunale di Firenze, 4 luglio 1979; Tribunale di Biella, 16 
giugno 1982), in quanto nessun vero accrescimento del patrimonio si verifica nel caso di specie. 
Pi� serie, invece, le critiche relative all'opportunit� pratica di tale interpretazione, posto che il 
credito fiscale, successivo al concordato, non vi � soggetto e deve essere integralmente 
adempiuto, con rischio di inadempimento del concordato stesso, che comporterebbe il definitivo 
fallimento del soggetto ammessovi (artt. 135 e 137 legge fallimentare). 
Di notevole portata, perci�, il nuovo art. 55 TUIR, di cui in effetti era opportuna, ma non 
costituzionalmente imposta; la retroattivit�. 

R.d.F. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

481 

parte in cui dispone che non si considera sopravvenienza attiva la riduzione dei 
debiti dell'impresa in sede di concordato fallimentare -non ha natura 
interpretativa, e pu� trovare, quindi, applicazione, con riguardo alle situazioni 
tributari~ pendenti al 31 dicembre 1987, soltanto in quanto operi l'art. 36 del d.P.R. 
4 febbraio 1988, n. 42 e alle condizioni ivi previste (Cass. 20 marzo 1998, n. 2949). 

La retroattivit� delle norme del d.P.R. 917/86, sancita dall'art. 36 d.P.R. 42/88, 
� subordinata, quindi, alla circostanza che le relative dichiarazioni dei redditi siano 
conformi alle nuove disposizioni. 

Poich� nella fattispecie � incontroverso che, come risulta dallo svolgimento del 
processo, il curatore del fallimento ha, a suo tempo, dichiarato regolarmente le 
sopravvenienze, includendole nel reddito imponibile, le dichiarazioni dei redditi da 
lui presentate sono, dunque, conformi alla disciplina dettata dal d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 597, vigente anteriormente. 

Le statuizioni della decisione impugnata sono, pertanto, coerenti all' indirizzo 
stabilito da questa Corte. 

N�, a sostegno della tesi dei ricorrenti, vale richiamare la sentenza n. 7800 del 
1995, in quanto (come � gi� stato chiarito nella pi� recente sentenza 2949/98, cit.), 
secondo il precedente invocato, la riduzione dei debiti dell'impresa in sede di 
concordato fallimentare o preventivo doveva trovare applicazione anche per i 
concordati anteriori all'entrata in vigore del testo unico, non per effetto di 
un'interpretazione autentica del legisiatore, dotata di intrinseco effetto retroattivo, � 
ma in forza della disposizione transitoria contenuta nell'art. 36 del d.P.R. 42/88. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 marzo 1999 n. 1806 -Pres. Corda -Est. De 
Musis -P.G. Apice -(concl. conf.) -Soc. Le Roncole (avv. Gallo) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Laporta). 

Thibuti erariali indiretti m I.V.A. Detrazione -Conferimento di bestiame in

a 

societ� di capitali -Esclusione -Detrazione forfettaria -Esclusione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, artt. 19 e 34). 
Il conferimento di bestiame in azienda agricola non costituisce operazione 
soggetta ad I. VA. ma ad imposta proporzionale di registro: conseguentemente alla 
successiva vendita di tale bestiame non � applicabile la disciplina agevolativa di cui 
all'art. 34 del d.P.R. n. 633del1972, in quanto -secondo il principio di cui all'art. 
19 dello stesso d.P.R. -� ammessa in detrazione solo l'l. VA. in precedenza versata 
e neppure pu� trovare applicazione l'aliquota ridotta anzich� quella ordinaria. (1) 

(1) Decisione resa con riguardo al regime vigente anteriormente al 1� gennaio 1994 (data di 
entrata in vigore della legge n. 537 del 1993). La sentenza accoglie l'interpretazione che era stata 
sostenuta nell'interesse dell'Amministrazione in base alla quale la detrazione forfettaria prevista 
per gli operatori del settore agricolo, di cui all'art. 34 del d.P.R. n. 633 del 1972 e succ. mod., va 
sistematicamente inquadrata nel generale istituto di cui al precedente suo art. 19, di modo che 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'!'()"

482 

(omissis) 

Con l'unico motivo, denunziandosi violazione degli artt.19 e 34 rl.P.R. 

n. 633/1972 e 25 dir. e.E.E. n. 77/388 del 17 maggio 1977 nonch� vizio di 
motivazione, si deduce, -sul.la premessa che per gli imprenditori agricoli il regime 
speciale e quello normale (per opzione) sono al.ternativi e non consentono interferenze 
tra loro -che l'applicazione dell'aliquota ordinaria dellTV.A (19%) ha importato arbitrariamente 
-che gli imprenditori agricoli siano stati considerati imprenditori 
commerciali con conseguente Hlegittimit� del pagamento, da parte degli stessi, di un 
importo (differenza tra I.V.A. forfettizzata e LV..A. normale) che non avevano riscosso 
e che comunque non avrebbero potuto riscuotere in precedenza. 
n motivo � infondato. 

La questione da risolvere consiste nello stabilire se, nel caso che in azienda 
(asserita) agricola venga immesso bestiame mediante �conferimento� dello stesso, 
operazione questa che importa il pagamento dell'imposta di registro ed esclude 
quindi il pagamento di I.V.A., sia applicabile, per la successiva vendita del bestiame 
stesso da parte dell'azienda, la disciplina agevolativa prevista per il regime speciale 
dall'art. 34 d.P.R. n. 633/1972. 

Al quesito va data risposta negativa. 
L'art. 19 del citato decreto dispone che �per la determinazione dell'imposta 


. dovuta ... � ammesso in detrazione, dall'ammontare dell'imposta relativa alle 
operazioni effettuate, quello dell'imposta assolta o dovuta dal contribuente o a lui 
addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati 
nell'esercizio dell'impresa, arte o professione�. 

La norma dunque pone il principio che l'esercente un'impresa (un'arte o una 
professione) possa detrarre, dall'ammontare deU'I.V.A. che egli � tenuto a versare 
per le cessioni di beni o per le prestazioni di servizi, l'ammontare corrispondente 
alla medesima imposta che egli ha versato per l'acquisizione dei mezzi necessari 
allo svolgimento dell'impresa (dell'arte o della professione): il diritto alla 
detrazione cio� postula un precedente pagamento della medesima imposta alla quale 
il contribuente dev'essere assoggettato. 

E la �ratio� della previsione potrebbe rinvenirsi nel rilievo che 
istituzionalmente l'I.V.A. si applica �al.le cessioni di beni e prestazioni di servizi� 

devono ricorrere i presupposti per tale diritto di detrazione, siccome delineati in tale ultima 
disposizione: tale conclusione, del resto, � conforme a quanto si desume dall'art. 25 n. 1 della 
sesta direttiva C.E.E. che chiaramente sottolinea la funzione del regime forfettario per 
l'agricoltura come diretto a compensare l'onere del!' LV.A. pagata sugli acquisti di beni e servizi 
da parte dei produttori agricoli forfettari. 

Va, d'altro lato, rilevato che, proprio in relazione alla norma di cui all'art. 14 della legge n. 537 
del 1993 -che dispone l'applicabilit� della disciplina ivi racchiusa dal 1� gennaio 1994 con 
riferimento alle cessioni dei soli animali bovini -pu� porsi il dubbio (ed in tal senso sembra orientata 
la sentenza 6 marzo 1999 n. 1943 della stessa Corte di Cassazione) che la stessa abbia portata 
innovativa (con decorrenza quindi dal 1 � gennaio 1994) rispetto alla previgente: ogni problema 
dovrebbe peraltro essere ora risolto, a seguito della modifica all'art. 34 del d.P.R. n. 633 apportata dal 
d.lgs. n. 313 del 1997, in base al quale non compete comunque la detrazione forfetizzata per le 
cessioni di prodotti agricoli, quando il loro acquisto derivi da atto non assoggettato ad I.V.A. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(art. 1 citato decreto), e cio� solo al trasferimento del prodotto, e pertanto non � 
dovuta, e quindi pu� essere detratta, l'LV.A. versata per l'acquisizione dei mezzi 
necessari per poter porre in essere l'operazione assoggettabile -essa sola 
istituzionalmente -ad LV.A. 

H successivo art 34 dispone che �per le cessioni di prodotti agricoli ... effettuate 
da produttori agricoli, la detrazione prevista dall' art.19 � forfettizzata in misura pari 
all'importo risultante dalla applicazione, all'ammontare imponibile delle operazioni 
stesse, delle percentuali di compensazione stabilite, per gruppi di prodotti, con 
decreto... e l'imposta si applica con le aliquote corrispondenti alle percentuali stesse�. 

La norma non prevede una speciale detrazione e cio� una detrazione fondata su 
princ�pi diversi da quello ordinario fissato nell'art. 19, ma si limita a stabilire una 
specifica quantificazione della detrazione stessa. 

Essa (norma) difatti, rinviando indiscriminatamente alla �detrazione prevista 
dall'art. 19�, esplicita l'integrale recepimento del diritto alla detrazione quale 
previsto in quest'ultima norma, e quindi del presupposto dello stesso: recepisce 
cio� il principio che dall'LV.A. da versare si possa detrarre �solo� l'I.V.A. in 
precedenza versata. 

Gi� a questa stregua il ricorso � infondato perch� nella specie non era stata in 
precedenza versata !'I.V.A. e pertanto manca -perch� non realizzato -il 
presupposto del diritto alla detrazione. 

N� potrebbe condividersi l'assunto che questa spetti comunque mediante 
l'attuazione del procedimento previsto dall'art. 34. 

Tale interpretazione della norma conferirebbe a questa la portata di attribuzione, 
a colui il quale abbia scelto il regime speciale, del beneficio di imposta ridotta �in 
ogni caso�: e cio� anche in difetto di ricorrenza del presupposto fondamentale del 
diritto alla detrazione, consistente nel precedente pagamento di LV.A. 

Ma siffatta interpretazione non solo non trova supporto lessicale o logico nella 
norma, ma, concretando deroga al regime fondamentale ordinario della detrazione, 
avrebbe indubbiamente necessitato di specifica esplicitazione. 

N� potrebbe ritenersi che la interpretazione (invece) adottata sarebbe non corretta 
perch� importerebbe l'applicazione del regime ordinario in luogo di quello speciale 
scelto, applicazione questa che sarebbe preclusa dall'alternativit� tra i due regimi. 

La alternativit� difatti preclude la contemporanea applicazione delle due 
diverse discipline ma non preclude che �determinate� operazioni, in quanto non 
assoggettabili -per loro specifica connotazione -alla scelta disciplina speciale, 
soggiacciano a quella ordinaria. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 marzo 1999 n. 1809 -Pres. Grieco -Rei. Di 
Amato -P.G. (diff.) Apice -Ministero delle Finanze (avv. Stato Mangia) c. 
Gissi ( avv. Romanelli). 

Tributi in generale -Accertamento -Imposte dirette -Indicazione dell'aliquota 
-Fattispecie. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, artt. 38 e 42). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

484 

L'avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette che non indichi le aliquote 
applicate, limitandosi ad indicare l'aliquota massima e l'aliquota minima e 
richiamando, pel resto, una norma poi modificata da provvedimento non del pari 
richiamato, � nullo, anche ai fini dell'ILOR, attesa la sua strutturale unitariet� ed 
inscindibilit�. (1) 

(omissis) Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa 
applicazione degli artt. 38 e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, poich� gli accertamenti 
IRPEF ed ILOR sono del tutto autonomi, come aveva affermato la stessa sentenza 
di annullamento con rinvio, rilevando che l'esigenza della indicazione delle aliquote 
d'imposta, la cui mancanza determinava la nullit� dell'accertamento, sussisteva 
soltanto per l'IRPEF e non anche per una imposta, come l'ILOR, ad aliquota unica, 
per la quale la relativa misura poteva essere facilmente dedotta dalla correlazione 
dell'imponibile con l'imposta. 

I due motivi, che devono essere esaminati congiuntamente, in quanto 
strettamente connessi, sono infondati. Invero, contrariamente a quanto mostra di 
ritenere l'amministrazione ricorrente, la sentenza di questa Corte n. 773/1993 non 
afferma l'autonomia dell'accertamento ai fini IRPEF rispetto all'accertamento ai 
fini ILOR e non afferma, in tale contesto, la correttezza di quest'ultimo 
accertamento. In realt� questa Corte, dopo avere spiegato la ratio dell'art. 42 del 
citato d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui prescrive che l'avviso di 
accertamento rechi l'indicazione delle aliquote d'imposta applicate, ha ipotizzato 
che, in relazione ad imposte ad aliquota unica, come appunto l'ILOR, citata a titolo 
di esempio, il precetto normativo potrebbe essere soddisfatto anche con la sola 
indicazione dell'imponibile e dell'imposta applicata, per la semplicit� con la quale 
il contribuente potrebbe risalire alla aliquota applicata. Il descritto riferimento al 
possibile diverso atteggiarsi delle indicazioni prescritte dalla legge, in relazione alla 
unicit� o alla pluralit� delle aliquote applicabili, ha pertanto un valore meramente 
argomentativo, come reso evidente dal fatto che la sentenza ha menzionato l'ILOR 

(1) L'indicazione dell'aliquota applicata � un requisito espressamente previsto dall'art. 42, 
d.P.R. 600/73, a pena di nullit�; talora, peraltro, gli Uffici si limitano ad indicare le aliquote 
minima e massima, indicando l'articolo di legge che fissa in generale le altre. A fronte di ci� nella 
consapevolezza della sostanziale inutilit� di tale prescrizione formale, posto che le aliquote 
sono note in quanto fissate per legge -si � tentato di scindere, almeno ai fini ILOR -dove 
l'aliquota � fissa -gli effetti di tale sanzione; peraltro la Corte, ricordando che, ex art. 38, secondo 
comma, d.P.R. 600, l'accertamento ai fini dell'IRPEF e dell'ILOR si effettua con unico atto, ha 
rigettato tale impostazione. Due osservazioni: le obbligazioni di imposta sono due, distinte; il 
fatto che la legge indichi che l'atto di accertamento debba essere unico non significa che produca 
effetti inscindibili: anzi, producendo effetti su due rapporti deve presumersi il contrario, sin dove 
i suoi eventuali vizi siano riferibili all'uno o all'altro dei rapporti, per il generale principio di 
conservazione degli atti giuridici. In secondo luogo, sembra eccessivo interpretare il comma terzo 
dell'art. 42, che commina la nullit� agli accertamenti �privi delle indicazioni ... di cui al comma 
precedente� per le aliquote, note, come la legge a tutti lo �. Ci� che � essenziale, tra dette 
indicazioni, � piuttosto l'imponibile, unitamente alle detrazioni, ritenute e crediti riconosciuti, ed 
all'imposta pretesa. 
R.d.F. 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

485 

soltanto ed espressamente a titolo di esempio. Questa corte, pertanto, con la 
sentenza di rinvio non ha affatto affermato l'autonomia dell'accertamento ai fini 
IRPEF rispetto a quello ai fini ILOR e la correttezza di quest'ultimo accertamento, 
con la cor.seguenza che la relativa questione era impregiudicata e correttamente la 
Corte di merito, tenuto conto che l'accertamento era stato impugnato in relazione a 
tutte le imposte su di esso fondate, ha esaminato e deciso il punto relativo alla 
portata della nullit� dell'accertamento. 

In proposito i dati normativi significativi sono l'art. 38, secondo comma, e 
l'art. 42, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973. La prima disposizione recita 
testualmente che �la rettifica deve essere fatta con un unico atto, agli effetti 
dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e dell'imposta locale sui redditi�, sia 
pure, naturalmente, con un riferimento analitico alle singole categorie di reddito 
riferibili alla persona fisica. La seconda disposizione prevede la sanzione della 
nullit� dell'accertamento per la mancanza della sottoscrizione, delle indicazioni e 
della motivazione di cui allo stesso art. 42 cit. Pertanto, da un lato, non vi � dubbio 
che la sanzione della nullit� colpisce l'atto nel suo complesso, senza la possibilit� di 
configurare una nullit� parziale. D'altro canto, neppure si pu� ipotizzare che ad un 
unico documento corrispondano due distinti accertamenti poich� l'accertamento ha 
ad oggetto il reddito del contribuente, elemento che resta identico nelle due imposte, 
ai fini della individuazione del reddito imponibile. Pertanto, in mancanza di una 
contraria indicazione del legislatore, il reddito del contribuente non pu� essere 
considerato come oggetto di due distinti accertamenti contestuali, non essendo 
ipotizzabile, come esattamente ritenuto dalla sentenza impugnata, che esso sia 
determinato in misure diverse ai fini dell'IRPEF ed ai fini dell'ILOR. Da quanto 
detto consegue che l'annullamento dell'accertamento non pu� non avere riflessi su 
entrambe le imposte. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 marzo 1999 n. 1932 -Pres. Grieco -Rei. De 
Musis -P.G. (parz. diff.) Gambardella -Soc. Petten� (avv. Fassari) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato De Stefano). 

Tributi in generale -Accertamento � Documenti acquisiti in sede di accesso 
dalla Guardia di Finanza -Successiva trasmissione al P.M. unitamente a 
notizia di reato� Utilizzabilit� in sede tributaria. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 63, secondo comma; artt. 191, 365, 369 c.p.p.). 
Legittimamente sono utilizzati ai fini dell'accertamento i documenti acquisiti 
mediante sequestro dalla Guardia di Finanza nel corso di una verifica e poi 
trasmessi, insieme a notizia di reato al P.M. e senza l'autorizzazione di questi, 
potendo l'eventuale violazione di tale adempimento al pi� rilevare in sede penale (1). 

(1) Di particolare rilevanza la distinzione tra le attivit� di polizia tributaria e polizia 
giudiziaria svolte dalla Guardia di Finanza. Poich� il Corpo in questione ha il dovere di 
trasmettere gli atti e le notizie rilevanti alla Amministrazione finanziaria (art. 33, terzo comma, 

486 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAW 
(omissis) Con il primo motivo di ricorso, denunziandosi nullit� della decisione 
per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione degli 
artt. 63, secondo comma, d.P.R. n.633/1972, 191, 365 e 369 c.p.p., si deduce che 
illegittimamente sono stati posti a base dell'accertamento tributario i documenti 
(ritenuti) penalmente rilevanti: le attivit� svolte dalla Guardia di Finanza per la 
acquisizione di tali documenti, e cio� della prova di reati, difatti costituivano 
oggettivamente attivit� di polizia giudiziaria e pertanto avrebbero dovuto essere -
perch� detta acquisizione potesse rivestire connotato di legittimit� -rispettose -
ed invece non lo erano state -degli adempimenti di garanzia (dell'indagato) che il 
diritto processuale penale impone. 
Il motivo � infondato. 
Come emerge dalla sentenza impugnata, la Guardia di finanza ha svolto 
un'indagine ispettiva ad esclusivi fini di polizia tributaria e, avendo, nell'esercizio 
di tale attivit�, rinvenuto documentazione che ha ritenuto penalmente rilevante, ha I 
inviato copia (od originale) del.la stessa nonch� il rapporto conclusivo dell'ispezione, al 
Procuratore della Repubblica. 1. 
A questa stregua � evidente che la Guardia di Finanza non ha espletato alcuna 
attivit� di polizia giudiziaria e pertanto, legittimamente ha acquisito ai fini ~ 
tributari quella (�stessa�) documentazione che essa ha ritenuto costituire ~ 
(�anche�) prova di reato. I~. 
Consegue che non ricorreva l'ipotesi nella quale � necessario svolgere : 
adempimenti a garanzia dell'indagato e che, se comunque tale ipotesi si fosse ili 
verificata, la omissione di detti adempimenti rileverebbe esclusivamente in 
sede penale. 
Con il secondo motivo, denunziandosi violazione dell'art. 63 d.P.R. n. 633/1972, 
si deduce che almeno per le fatture asseritamente false sarebbe stata necessaria, al fine 
della loro acquisizione in sede tributaria, la previa autorizzazione dell'autorit� 
giudiziaria penale. 
d.P.R. 600173) ai fini fiscali (cfr. anche l'art. 63, d.P.R. 633/72) e la notizia di reato con i suoi 
allegati al P.M. (art. 347, primo comma, c.p.p.) la legge prevede la necessaria autorizzazione di 
questi a tutela del segreto d'indagine. Se questo � il valore tutelato dall'ordinamento si comprende 
come la mancanza di tale atto non rilevi ai diversi fini tributari. Ai fini penalistici, salva 
l'eventuale responsabilit� disciplinare ex art. 124 c.p.p., il sequestro di P.G., possibile in caso di 
pericolo di dispersione del corpo del reato e delle cose ad esso pertinenti (art. 354, secondo 
comma, c.p.p.) non richiede affatto la previa informazione di garanzia n� l'assistenza del 
difensore, che nel sequestro, tipico atto a sorpresa, � sempre eventuale (art. 356 c.p.p.). Dovr� il 
P.M., convalidato il sequestro, disporre la nomina del difensore d'ufficio -se occorra ed 
il 
deposito dell'atto, nonch� inviare, contestualmente alla convalida, l'informazione di garanzia. 
L'omissione di tali adempimenti comporter� la decadenza del vincolo sull'oggetto del sequestro. 
Peraltro il �sequestro tributario� ex art. 52, settimo comma, d.P.R. 633 -applicabile anche alle 
imposte dirette -non richiede di per s� convalida. Di conseguenza la trasmissione -successiva al 
P.M. di tali documenti difficilmente si inquadra nel sequestro penale, essendo, pi� 
verosimilmente, trasmissione di documenti relativi alla notizia di reato ex art. 347 c.p.p., 
documenti gi� legittimamente in possesso del Corpo. 
R.d.F 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

487 

Il motivo � infondato. 

Il menzionato art. 63 -quale vigente all'epoca di riferimento -disponeva che 
la guardia di finanza �previa autorizzazione dell'autorit� giudiziaria ... utilizza e 
trasmettt agli uffici (dell'imposta sul valore aggiunto) documenti, dati e notizie 
acquisiti nei confronti dell'imputato nell'esercizio dei poteri e facolt� di polizia 
giudiziaria e valutaria�. 

Come emerge dalle locuzioni �nei confronti dell'imputato� e �nell'esercizio 
dei poteri e facolt� di polizia giudiziaria e valutaria� nonch� dal necessario 
collegamento tra le stesse l'utilizzazione e la trasmissione di documenti, dati e 
notizie postula l'autorizzazione solo se tali elementi siano acquisiti nell'esercizio di 
attivit� di polizia giudiziaria: e ci� nella specie, per quanto rilevato nell'esame del 
primo motivo, deve ritenersi escluso. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 marzo 1999 n. 2440 -Pres. Rocchi -Rei. 
Papa -P.G. (diff.) Morozzo della Rocca -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
De Bellis) c. Soc. Sasib (avv.ti Gallo, Rossi). 

1�ibuti in generale -Condono ex d.l. 429/1982 -Notifica di avviso di 
accertamento durante il tempo utile per la presentazione della 
dichiarazione integrativa -Mancata impugnazione -Inammissibilit� del 
condono. 

(d.l. 10 luglio 1982 n. 429, conv. in legge 7 agosto 1982 n. 516, artt. 16 e 19; Corte Cost., 
sentenza 175/1986). 
Il contribuente al quale, pendenti i termini per la dichiarazione integrativa ex 
art. 16, d.l. 429/1982, sia stato notificato un avviso di accertamento, non impugnato 
e consolidatosi, non pu� avvalersi della definizione automatica di cui all'art. 16 cit., 
poich� tale accertamento, pur illegittimo in base alla sentenza 175/1986 della Corte 
Costituzionale, non � nullo, ma annullabile, e la sua consolidazione impedisce 
l'applicazione di tale forma di sanatoria. (1) 

(omissis) L'Amministrazione denunzia �violazione ed errata applicazione degli 
artt. 16 e 32 d.l. 10 luglio 1982 n. 429 convertito in legge 7 agosto 1982 n. 516, in 
relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.; violazione dei princ�pi in tema di efficacia 
delle sentenze della Corte Costituzionale�. Sostiene, infatti, che l'omessa 

(1) Decisione ineccepibile, che fa buon governo dei princ�pi in tema di retroattivit� delle 
sentenze di declaratoria di illegittimit� costituzionale, che non possono incidere sui rapporti 
medio tempore definiti (nel caso, dalla consolidazione di un atto impugnabile). La sanatoria 
automatica ex art. 16 del d.l. n. 429 prevede il pagamento di una somma basata su una percentuale 
del dichiarato mentre, in presenza di accertamento anteriore alla data di inizio del periodo utile 
per la presentazione delle dichiarazioni integrative, la somma da versare � una frazione 
dell'accertato. Poich�, nel caso di specie, il rapporto era definito, il condono non poteva trovare 
applicazione. 
R.d.F. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATff.

488 

impugnazione dell'avviso di accertamento, da un lato, e la presentazione della 
dichiarazione integrativa ex art. 16 d.1. 429 cit., dall'altro, hanno prodotto la definitivit� 
del rapporto tributario, cui non risulta dunque applicabile Corte Cost. 175/1986. 
Definitivit� non pregiudicata dal ricorso avverso l'iscrizione a ruolo, atto diretto alla 
mera riscossione, il quale presuppone �una precedente situazione ormai definita e 

costituita�: per un verso, infatti, il vizio inficiante -per effetto della (sopravvenuta) 
dichiarazione d'incostituzionalit� -l'atto medesimo non � stato fatto valere entro il 
termine perentorio per l'impugnazione di esso, e, d'altronde, non � consentito revocare 
le dichiarazioni integrative e le istanze di definizione al di fuori delle ipotesi tassative, 
previste nell'art. 32 d.1. cit. (errore materiale o violazione delle norme degli articoli 
precedenti). La conseguenza � quella dell'acquisizione a titolo definitivo delle maggiori 
imposte risultanti, ai sensi dell'art. 32 cit., per effetto di una �acquiescenza (sia pure 
parziale) all'accertamento dell'ufficio�, con un sostanziale effetto di �definizione 
automatica�, preclusiva della possibilit� di successive modifiche. 

Oppone la controricorrente Societ� che la definitivit� � esclusa dalla intervenuta 
impugnazione dell'iscrizione a ruolo, essa stessa costituente �atto del procedimento 
di condono come disciplinato dal d.l. 429/1982�; richiama quindi le diverse 

I

condizioni per le dichiarazioni integrative previste negli artt. 19 (pi� favorevole, in 
mancanza di accertamento d'ufficio) e 16 (in presenza di accertamento), 

I

sottolineando i diversi metodi di riscossione stabiliti dall'art. 20 comma 1 della 

~ 

normativa sul cd. condono, per inferirne appunto che solo nel secondo caso 

~ 

~'

(iscrizione a ruolo, e non versamento diretto) 1 'iscrizione a ruolo ex art. 20 bis 
ultimo comma �costituisce un atto del procedimento di definizione delle imposte 
dovute per condono in presenza di un accertamento�, sul presupposto della 

I .
dichiarazione suddetta. Di qui l'applicabilit� della ripetuta sentenza 175/1986, 
'

I venuta ad incidere su uno degli atti della serie procedimentale -determinandone 
l'illegittimit� -�prima della liquidazione delle imposte dovute dalla Manzini�. 
Ritiene, pertanto, priva di rilievo l'argomentazione che la ricorrente 
Amministrazione desume dalla disciplina dell'art. 32, comunque osservando che, 
per effetto dell'intervenuta declaratoria di illegittimit� costituzionale, si 

I 
configurerebbe una (sopravvenu_ta) violazione del ripetuto art. 16, e si verserebbe, 
quindi, in un caso di retrattabilit� della dichiarazione di cui si discute. 

I 

Il ricorso risulta fondato. 
Mentre l'art. 19 d.l. 429/1982 consentiva di fruire del cd. condono sulla base 
della dichiarazione presentata, l'art. 16, in presenza di un accertamento intermedio 

i

dell'ufficio finanziario, prevedeva una forma di definizione pi� onerosa: di qui 
l'intervento di Corte Cost. 175/1986, che, al fine di eliminare, in relazione alla 

I

seconda ipotesi, una differenza di trattamento fra contribuenti priva di ragionevolezza 
-risultandone privilegiati quelli ammessi alla definizione automatica, per avere I 
l'ufficio omesso di notificare loro l'accertamento, rispetto agli altri, ammessi solo ad ~ 
aderire all'accertamento notificato, con l'effetto di rendere gli uffici finanziari I~ 

~ 

sostanzialmente arbitri di stabilire chi di loro potesse accedere alla definizione di 

~~ 

maggior favore -, ha dichiarato la illegittimit� costituzionale, per contrasto con gli 
artt. 3, 53 e 97 Cost., del cit. art. 16, nella parte in cui consentiva la notifica di 
accertamenti in rettifica o di ufficio sino alla data di presentazione della dichiarazione 
integrativa anzich� fino a quella di entrata in vigore del d.l. 429/1982, che ha 



PARTE I, SEZ. V, GillRISPRUDENZA TRIBUTARIA 

concesso il condono fiscale. Ne deriva che il contribuente al quale -come appunto 
� accaduto all'odierna controricorrente -, nel periodo compreso tra l'entrata in 
vigore del d.l. 429/1982 e la data di presentazione della dichiarazione integrativa, 
fosse stato notificato un accertamento, e che volesse risolvere la propria pendenza 
tributaria mediante definizione automatica, avrebbe dovuto presentare la 
dichiarazione integrativa ai sensi dell'art. 19, prendendo a base quindi la propria 
dichiarazione originaria e necessariamente impugnando nei termini l'accertamento, 
con denunzia d'illegittimit� costituzionale dell'art. 16. Diversamente operando, ed, in 
particolare, producendo la dichiarazione integrativa sulla base dell'accertamento 
notificatogli (e, quindi, proprio ex art. 16), senza impugnarlo, data l'irretrattabilit� 
della dichiarazione integrativa sancita dall'art. 32 d.l. cit., avrebbe reso incontestabile 
il rapporto tributario, con la definitivit� dell'imponibile da considerare agli effetti del 
condono. Essendosi la Societ� contribuente regolata proprio in tale maniera, non pu� 
dunque avvalersi degli effetti derivanti da Corte Cost. 175/1986, intervenuta quando 
ormai non vi era controversia d'imposta pendente, ed il rapporto -per la mancata 
tempestiva impugnazione dell'avviso di accertamento e stante la stessa richiesta di 
definizione ex art. 16 -era ormai �esaurito�. Il tutto, in applicazione del principio 
in virt� del quale la dichiarazione di incostituzionalit�, mentre incide sui rapporti 
pendenti, non spiega effetti rispetto a quelli gi� esauriti, tali essendo quelli in cui sia 
intervenuto un giudicato od un atto amministrativo definitivo, ovvero rispetto ai quali 
siano scaduti i termini fissati al contribuente per mettere in discussione la debenza 
dell'imposta (v., per tutte, Cass. 4024/1989). 

L'indirizzo, cui il collegio aderisce, come non consente di dare ingresso alla 
prospettazione della controricorrente circa la possibilit� di modifica della 
dichiarazione integrativa per violazione delle stesse norme sul condono (per essere 
intervenuta, la declaratoria di parziale illegittimit� costituzionale del cit. art. 16, dopo 
la definitivit� dell'avviso di accertamento), cos� rende insostenibile la costruzione, 
seguita nella sentenza impugnata (e presupposta dalla controricorrente, pure nei 
rilievi mossi all'indirizzo indicato nella memoria), circa la sopravvenuta 
inutilizzabilit� del �titolo legittimante la formazione del ruolo�, poich� l'unificazione 
dei procedimenti di accertamento e di riscossione risulta positivamente contraddetta 
dall'art. 16 d.P.R. 636/1972 come sostituito dall'art. 7 d.P.R. 739/1981, che ammette 
il ricorso contro il ruolo, per motivi diversi da quelli relativi a vizi propri, soltanto se 
tale atto non sia stato preceduto dalla notificazione dell'avviso di accertamento. 

Deve quindi riaffermarsi ( cfr. Cass. 3485/1997) che il contribuente, cui sia stato 
notificato avviso di accertamento dopo la data di entrata in vigore del d.l. 429/1982 
convertito nella legge 516/1982, se abbia prodotto dichiarazione integrativa per la 
definizione agevolata ex art. 16 legge cit. senza impugnare l'accertamento, non pu� 
successivamente far valere, attraverso l'impugnativa all'iscrizione a ruolo, la 
declaratoria d'illegittimit� costituzionale della stessa disposizione (Corte Cost. 
175/1986 cit.), che non pu� venire a incidere su un rapporto d'imposta esaurito. 

L'accoglimento del ricorso comporta la cassazione della decisione impugnata, 
con decisione nel merito, non essendo necessari accertamenti ulteriori, ai sensi 
dell'art. 384 comma 1 c.p.c.: alla verificata legittimit� dell'iscrizione a ruolo della 
contribuente consegue il rigetto dell'opposizione avverso tale atto proposta. 
(omissis) 


RASSEGNA AVVOC~RADELLO STATO.

490 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 aprile 1999 n. 3691 -Pres. Cantillo -Est. 
Graziadei -P.G. Golia (conci. conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De 
Stefano) c. Soc. Lucchetti ( avv. Mercatali). 

Tributi erariali indiretti -IVA -Accertamento -Presunzione di cessione di 
merci rinvenute in luogo ove il contribuente non eserciti la sua attivit� Contestazione 
-Onere della prova. 

Tributi erariali indiretti -IVA -Accertamento -Presunzione di cessione di 
merci rinvenute in luogo ove il contribuente non eserciti la propria attivit� 
Denunzia del luogo come pertinente all'impresa effettuata dopo l'accesso Irrilevanza. 


(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 53; art. 35, secondo comma, n. 4). 
Il soggetto IVA, che contesti la presunzione di cessione di merci rinvenute in un 
deposito non denunziato e pertanto considerato non pertinente all'impresa, 
allegandone la mancata vendita in ragione del loro deperimento seguito ad un 
incendio, deve provare in modo specifico tali circostanze, ove contrastino con le 
risultanze dell'accesso, non essendo sufficiente il riferimento alle fatture di acquisto 
anteriori all'evento. (1) 

Non rileva la denunzia tardiva della disponibilit� di un deposito, ove siano 
state gi� ritrovate merci dell'impresa, ai fini di escludere l'operativit� della 
presunzione di cessione delle stesse. (2) 

(1) Va premesso che tale presunzione � ora disciplinata dall'art. 1, d.P.R. 10 novembre 1997 
n. 441, il quale amplia la possibilit� di provare la pertinenza del locale all'impresa, potendo essa 
risultare anche da dati registrati presso la Camera di Commercio o in altro pubblico registro, 
ovvero da qualsiasi documento annotato in uno dei registri IVA, documento dal quale devono 
risultare sia la disponibilit� del locale destinato a sede secondaria, filiale ecc. da parte del 
soggetto, sia la destinazione dei beni esattamente individuati (che costituiscono oggetto della 
presunzione) a tale luogo. Se quindi sono ampliati, nella vigente disciplina, i mezzi di prova, 
comunque pur ora tassativamente indicati dalla norma (il previgente art. 53 del d.P.R. n. 633 del 
1972 considerava a tal fine solo la denuncia iniziale o quella di variazione come il veicolo per 
preindicare i locali destinati a sede secondaria ecc.), rimane comunque fermo che la previa 
formalizzazione di tali locali costituisce condizione formale essenziale per la loro individuazione, 
rilevante ai fini del superamento della presunzione (juris tantum) di cessione, che � 
evidentemente finalizzata a prevenire la commercializzazione con sottrazione di imposta dei beni, 
acquisiti, importati o prodotti, una volta introdotti in luoghi che non siano previamente 
�denunciati� come pertinenti all'impresa. 
(2) La presunzione di cessione opera con riguardo alle merci che �al momento della 
verifica� si trovino in locali non di pertinenza dell'impresa. Tale precisazione temporale toglie 
ogni rilievo alla successiva denunzia dei locali come pertinenti all'impresa ex art. 35, secondo 
comma, n. 4, d.P.R. 633/1972. Sugli effetti della mancata denunzia, cfr. Cass., 2 luglio 1990, 
n. 6761, in Corr. Trib., 1990, 3248; Cass., 18 aprile 1991 n. 4188, in Boli. Trib., 1991, 1785; 
entrambe conformi. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(omissis) L'Amministrazione denuncia: 
-con il primo motivo, la violazione dell'art. 345 cod. proc. civ., per non 
essersi rilevato che la tesi della Lucchetti, circa il risalire di detti acquisti al 1987 e 
l'illegittimit� dell'applicazione delle pene pecuniarie, era stata inammissibilmente 
avanzata soltanto in fase d'appello; 
-con il secondo motivo, la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ., ed inoltre 
degli artt. 2697, 2727 e 2728 cod. civ., perch� � stata accolta la suddetta tesi sulla 
base di circostanze che la Societ� non aveva dedotto (probabilmente per non esporsi 
a contestazioni pi� gravi, avendo denunciato a fini assicurativi la globale perdita 
della propria merce a seguito d'incendio), e che comunque non erano tali da 
evidenziare il risalire degli acquisti medesimi al 1987 e la loro rispondenza alle 
fatture rinvenute per detta annualit�; 
-con il terzo motivo, la mancata applicazione dell'art. 53 del d.P.R. n. 633 
del 1972, ove presume, per le merci ritrovate nei depositi dell'impresa, l'acquisto 
nell'anno del relativo accertamento, e l'erroneo superamento di tale presunzione, 
sulla scorta di elementi labili ed inconsistenti; 
-con il quarto motivo, I'omesso riscontro dell'applicabilit� della citata 
normativa del d.l. n. 69 del 1989, in tema di responsabilit� anche dell'acquirente per 
l'imposta dovuta sulla cessione di beni, in ragione dell'operativit� di detta 
presunzione. (omissis) 

La seconda parte del secondo motivo, il terzo ed il quarto motivo sono fondati, 
con riguardo alla prioritaria ed assorbente doglianza d'ineguatezza della 
motivazione sull'epoca degli acquisti in discussione. 

La Commissione regionale non ha messo in dubbio che spettasse alla Lucchetti 
di dimostrare la pretesa derivazione delle merci possedute nel 1991 da 
approvvigionamenti effettuati nel 1987 e la loro riferibilit� alle fatture acquisite 
dagli ispettori tributari per tale precedente anno. 

Il raggiungimento di detta prova � stato ritenuto in esito al coordinamento delle 
modalit� di conservazione e stivaggio della merce reperita nel 1991 con le vicende 
attinenti all'incendio del 1987, sulla scorta di un convincimento di coincidenza della 
merce medesima con i residui, ormai invendibili, della radicale distruzione 
provocata da detto incendio. 

Il relativo iter argomentativo, alla luce dei canoni generali che consentono di 
avvalersi della prova presuntiva solo in presenza di elementi gravi, precisi e 
concordanti, si appalesa lacunoso e contraddittorio. 

Nella pronuncia impugnata, infatti, si d� atto che il menzionato incendio, 
secondo quanto affermato dalla stessa Societ� con la denuncia alla compagnia 
assicuratrice e con il bilancio del 1988, aveva eliminato ogni disponibilit� di scorte, 

o quantomeno di scorte suscettibili di immissione in commercio; parimenti si d� atto 
che i beni rinvenuti nel magazzino di Chiaravalle erano stati stimati dall'Ufficio in 
circa 600 milioni di lire. 
Rispetto a tali premesse, la sentenza della Commissione regionale, coerente con 
detti canoni fino a quando afferma il verificarsi dell'acquisto delle merci in epoca non 
prossima al rinvenimento, implica un salto logico, o comunque si esaurisce in una 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

492 

supposizione, ove identifica detta epoca nel 1987, prima dell'incendio, e considera le 
merci stesse come residui inservibili, senza l'indicazione di quali circostanze 
smentissero l'accertamento ispettivo sul valore e sulla persistente commerciabilit� 
dei beni (oggetti da regalo in ceramica, vetro, cristallo e simili), e comunque effettua 
un'acritica scelta, fra pi� ipotesi parimenti verosimili (inclusa la ricostituzione delle 
scorte successivamente alla devastazione del 1987 ed al bilancio del 1988 che ne 
escludeva la presenza), proprio di quella pi� favorevole alla contribuente. 

Il quinto motivo del ricorso principale � inerente al rilievo n. 2, sulla mancata 
fatturazione delle vendite della merce non trovata nel deposito di Chiaravalle. 
L'Amministrazione sostiene che la presunzione di cessione di cui all'art. 53 del 

d.P.R. n. 633 del 1972 doveva operare anche per le merci rinvenute nel deposito 
occulto di Monsano, reso palese soltanto posteriormente al verificarsi dei fatti in 
contestazione. 
Il motivo � fondato. 
Detto art. 53, dopo aver stabilito, con il primo comma, che si presumono ceduti 


I 

i beni acquistati (importati o prodotti) che non si trovino nel locali in cui il 
contribuente eserciti la sua attivit�, compresi i depositi, con il secondo comma 

I

dispone che questi ultimi devono essere stati indicati a norma dell'art. 35 (o 
dell'art. 81) dello stesso d.P.R. n. 633 del 1972, e cio� denunciati con la 

I 

dichiarazione d'inizio di quell'attivit�, ovvero, in caso di successiva variazione, 
entro trenta giorni. 

I 

Il dato letterale ed il collegamento delle due disposizioni (la seconda chiarisce 

-~ 

quali siano i luoghi influenti per la prima) manifestano l'intento del legislatore di 
presumere cedute anche le merci collocate in depositi di propriet� del contribuente, 
se la loro inerenza all'esercizio imprenditoriale non sia stata formalmente dichiarata 
nei modi e nei tempi prestabiliti, al fine di evitare possibili elusioni dell'IVA per il 
tramite di immagazzinamenti in locali non noti e non controllabili dall'ufficio (v. 
Cass. n. 6761 del 2 luglio 1990). 

La presunzione in discorso non trova ostacolo nell'assoggettamento 
dell'omissione di detta denuncia a pena pecuniaria, la cui previsione trova autonoma 
ragione e titolo nell'esigenza di sanzionare la relativa infrazione formale, n� pu� 
essere impedita dalla sopravvenuta �Ufficializzazione� del deposito non dichiarato, 
se successiva, come pacificamente nella specie, all'immissione in esso della merce 
acquistata, e quindi al verificarsi degli estremi che determinano l'applicazione della 
presunzione medesima. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 aprile 1999 n. 3736 -Pres. Grieco -Rei. 
Altieri -P.G. (diff.) Apice -Ministero delle Finanze (avv. Stato Lancia) c. 
Poliani ( avv. Merlino). 

Tributi erariali indiretti -IVA -Sanzione a carico del cessionario inadempiente 
all'obbligo di autofatturazione -Condono ex d.l. 429/1982 art. 29 Applicabilit� 
-Condizioni. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 41, quarto comma; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, conv. in 
legge 7 agosto 1982 n. 516, art. 29). 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

493 

La sanzione irrogata al cessionario, che abbia acquistato, nell'esercizio di 
imprese, arti o professioni, beni senza ricevere la fattura n� provvedere 
all'autofatturazione, non pu� essere oggetto del condono di cui all'art. 29 d.l. 
429/1982, se l'istanza dell'interessato non si riferisce anche all'imposta del 
medesimo dovuta quale obbligato in solido. (1) 

(omissis) Secondo l'art. 29 della legge 7 agosto 1982, n. 516, le sanzioni 
amministrative in materia di I.V.A. non si applicano alla condizione che �l'imposta 
resti definita ai sensi dei precedenti articoli�. La finalit� della normativa di 
condono � diretta a far recuperare all'erario, sia pure in misura ridotta, i tributi non 
ancora liquidati e pagati. Nel caso di cessione di beni, l'esistenza del vincolo di 
solidariet� tra cedente e cessionario (art. 41, comma quarto, del d.P.R. 633/1972) 
consente a ciascuno degli obbligati di estinguere l'obbligazione mediante 
l'adempimento dell'intera prestazione, o nella forma agevolata consentita dalla 
legge di condono. 

Come ha esattamente rilevato la difesa dell'Amministrazione, tale forma 
agevolata implicava che, in caso di violazione dell'obbligo di fatturazione da parte 
del cedente, la mancata definizione -in relazione al debito d'imposta -da parte 
di quest'ultimo, imponeva al cessionario il ricorso alla procedura di 
autofatturazione. La presentazione della domanda di condono da parte del 
contribuente era, pertanto, inidonea a determinare l'estinzione di quella parte della 
controversia che riguardava l'omessa autofatturazione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 aprile 1999 n. 3840 -Pres. Rocchi -Est. De 
Musis -P.G. Martone (conci. conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Cenerini) c. Frisia ( avv. Centonze). 

llibuti erariali indiretti -Imposta di successione � Beneficio della dilazione di 
pagamento � Interessi dovuti dal contribuente � Variazione del tasso � Effetti. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, art. 43; d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, artt. 38, secondo 
comma, e 63). 
Il Testo Unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e 
donazioni si applica a tutte le successioni apertesi a partire dal 1 �gennaio 1991; 
di conseguenza, � illegittima la pretesa dell'Erario di applicare il tasso 
d'interesse del nove per cento annuo, introdotto dal Testo Unico, sulle dilazioni di 

(1) L'espresso condizionamento del condono delle sanzioni a quello dell'IVA impone la 
presente scelta ermeneutica. Inconferente appare la citazione di Corte Costituzionale n. 207 /88, 
in quanto il riconoscimento al cessionario, qui eccezionalmente coobbligato (art. 41, quarto 
comma, d.P.R. n. 633/1972), della facolt� di effettuare il condono o di contestare l'an ed il 
quantum dell'imposta pretesa, nulla ha a che vedere con la distinta tematica del collegamento tra 
il condono delle sanzioni e quello dell'imposta. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'tiY

494 

pagamento, con riferimento ad una successione apertasi anteriormente a tale 
data, ancorch� il beneficio della dilazione sia stato concesso dopo l'entrata in 
vigore del medesimo T.U. (1). 

(omissis) 

La questione consiste nello stabilire se -per successione apertasi sotto il 

vigore del precedente testo unico, con liquidazione della relativa imposta -alla 
dilazione di pagamento di tale imposta, richiesta sotto il vigore del testo stesso ma 
concessa sotto il vigore del nuovo testo, si applichino gli interessi nella misura 
fissata dal nuovo -e non dal precedente -testo. Al quesito va data risposta 
negativa. I due testi unici -come emerge dalla intitolazione degli stessi oltre che 
dal loro contenuto -disciplinano l'imposta sulle successioni, e, in particolare, 
disciplinano la dilazione nel pagamento della stessa, fissandone le condizioni di 
concessione e la misura degli interessi dovuti. 

E, bench� prendano in considerazione la medesima situazione imponibile -e cio� 
la successione -detti testi pongono, sia dell'imposta che della dilazione, una disciplina 
autonoma: nel senso che questa � compiutamente regolata dal testo unico applicabile. 

In particolare poi detti testi nel prevedere la dilazione non recepiscono una 

I

normativa generale o, comunque, una disciplina generale della dilazione stessa, ma 
sono essi che prevedono la dilazione e ne stabiliscono le condizioni per la 
concessione e i conseguenti obblighi a carico del contribuente. 

Per il pagamento dell'imposta di successione, cio�, non esiste dilazione che non 

I

sia quella prevista espressamente in detti testi: si vuol dire che i legislatori tributari ~ 
che si succedono nel tempo possono non solo fissare condizioni ed obblighi diversi 
per la concessione della dilazione ma anche escluderla del tutto -non prevedendola. 

I

Tale connotazione della dilazione, quale istituto non di carattere generale ma di :: 
~ 
carattere specifico ad una determinata imposta, rende la dilazione stessa correlata 
all'imposta alla quale essa accede e della quale quindi segue le sorti: essa pertanto 
-in difetto di espressa previsione normativa di un suo diverso ambito di 
applicazione -non pu� che applicarsi nel solo caso di applicabilit� dell'imposta 
alla quale � correlata normativamente. 

E poich� il nuovo testo unico si applica, per sua espressa previsione, alle 
successioni aperte a partire dal 1� gennaio 1991, � solo all'imposta su tali successioni 
che si applica la dilazione prevista da tale testo unico. 

Il ricorso dev'essere pertanto respinto. (omissis) 

(1) La Corte respinge la tesi volta a configurare nella concessione del beneficio della 
dilazione (cui accede l'obbligazione di corrispondere gli interessi fissati dalla normativa) una 
convenzione di carattere autonomo, e che, conseguentemente, reclama l'applicabilit� delle 
variazioni del tasso d'interesse, frattanto intervenute, compresa quella di cui all'art. 38, d.lgs. 
346/1990. La decisione appare difficilmente contestabile, perch� la norma che dispone l'entrata 
in vigore del T.U. successivo si riferisce non ad una data determinata ma alle successioni apertesi 
dopo una data determinata: nel primo caso la tesi sarebbe fondata, ma nella realt� normativa il 
legislatore, con una decisione che ha certo il merito della chiarezza -quanto agli effetti -ha 
stabilito che tutte le nuove norme, compresa quella sugli interessi in esame, entrino in vigore 
insieme e per le successioni indicate dall'art. 63. Non � perci� possibile frazionare i due testi 
normativi applicandoli parzialmente -anche ratione temporis -ad una medesima successione. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

495 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 aprile 1999 n. 4127 -Pres. Sgroi R. -Est. 
Forte -P.G. Buonajuto (concl. conf.) -Fasana (avv. Cioce) c. Ministero delle 
Finanze ( avv. Stato Criscuoli). 

l�ibuti erariali diretti -IRPEF -Accertamento -Disponibilit� di capitali di cui 

non sia dimostrata la perdita o l'impiego -Presunzione di impiego 

redditizio degli stessi -Sussistenza. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 38; art. 2729 e.e.). 
La gestione di un conto corrente bancario, comportante il ritiro di somme di 
rilevante ammontare, fa presumere il loro fruttifero impiego, ove il contribuente non 
ne dimostri la perdita o un impiego diverso. (1) 

(omissis) 2. -Con il secondo motivo di ricorso il Fasana censura la decisione 
impugnata per falsa ed errata applicazione dell'art. 38 del d.P.R. n. 600/73, 
essendosi proceduto ad accertamenti induttivi oltre i limiti di legge senza rilevarsi 
gli �elementi e le circostanze di fatto� che rendevano inattendibili le dichiarazioni; 
per il ricorrente le presunzioni dell'Amministrazione dovevano fondarsi su fatti certi 

o su indizi gravi, precisi e concordanti (art. 2729 e.e.), mentre nel caso alcuna 
indicazione si era data dei motivi per i quali il reddito elevato si protraeva dopo il 
1974 e anche per il 1975, senza ricadere nell'accertamento presuntivo fondato a sua 
volta su altra presunzione. Escluso ogni rilievo, per la determinazione degli 
imponibili di cui ali' accertamento dell'appartamento del ricorrente ricevuto in 
eredit� nel 1971 e degli immobili della moglie del Fasana non concorrenti alla 
formazione dell'imponibile, la produzione da parte del contribuente degli estratticonto 
prova, per il ricorrente che, al 1974, i vari conti correnti erano ormai tutti con 
depositi inferiori a quelli indicati dalla P.T. e comunque non compatibili con i redditi 
accertati; la decisione impugnata non terrebbe conto della documentazione bancaria 
esibita dalla quale risulta l'estinzione dei rapporti del Fasana con la CA.Rl.P.LO. al 
(1) La decisione in commento si fonda su una massima di comune esperienza: la circostanza 
che il possessore di una rilevante somma di denaro, tale da costituire un elemento patrimoniale, 
agisca come un normale soggetto economico, e pertanto non solo tenga nota del suo impiego ma 
anche la impieghi in attivit� redditizie. Pertanto non � credibile, in generale, chi non dimostri la 
destinazione -diversa dall'investimento -dei capitali de quibus. 
Legittimamente pertanto, si presume il conseguimento del reddito corrispondente, sulla base 
di tale massima e della prova della disponibilit� del capitale. In tema, cfr. Cass., 16 gennaio 1991 

n. 341, in Boli. Trib., 1991, 737. 
Diverso problema � quello dell'indice di redditivit� da adottare: non sembra, al proposito, 
possa applicarsi sic et simpliciter la presunzione di cui all'art. 42, secondo comma, TUIR che si 
riferisce ai capitali dati a mutuo, determinando l'interesse presunto in quello legale, 
in difetto di altre indicazioni: infatti, presumere un impiego redditizio non implica la presunzione 
di un mutuo. 

Appare corretto invece il riferimento ad un indice medio di redditivit� degli investimenti, 
non necessariamente rappresentato dal tasso di interesse legale. 

R.d.F. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO ST�TO'

496 

novembre 1974. Mera presunzione era anche la deduzione dell'Ufficio che le 
propriet� della moglie del contribuente fossero frutto dei capitali depositati nei conti 
correnti di cui sopra e che questi fornissero ancora redditi negli anni 1975 e 1976, 
per cui la decisione impugnata chiaramente violava l'art. 38 d.P.R. 600/ 73. Secondo 
la controricorrente, il Fasana confonde l'accertamento analitico con quello 

induttivo, per il quale certamente indizi gravi, precisi e concordanti erano i capitali 
depositati in conto corrente, con il fatto che i modesti redditi dichiarati dal 
contribuente avrebbero potuto forse mantenere lui con tre persone componenti la sua 
famiglia ma certamente non erano compatibili con risparmi nella misura di cui ai 
depositi bancari, che quindi erano fatto certo contrastante con le dichiarazioni negli 
anni 1970-1974. 

�L'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 prescrive, in tema di imposte 
dirette, che l'avviso di accertamento deve contenere. a pena di nullit�, l'indicazione 
dell'imponibile, dell'aliquota applicata e dell'imposta liquidata, nonch� delle 
norme giustificative dell'operato dell'Ufficio e, solo con riferimento all'ipotesi di 
rettifica operata con metodo induttivo o sintetico, esige anche la specificazione 
degli elementi di fatto all'uopo valutati� (Cass. 4 dicembre 1996 n. 10812): nel 
caso di specie, gli elementi valutati dall'Amministrazione risultano con chiarezza 
anche dalla decisione impugnata che li rileva dagli avvisi oggetto di ricorso, 
ritenendo che gli stessi non siano superati dalle contestazioni e dalla 
documentazione del ricorrente. In effetti per l'ipotesi ben pi� restrittiva degli 
accertamenti induttivi di redditi di impresa, di cui all'art. 39 del d.P.R. 600173, la 
legge richiede che �l'accertamento in rettifica sia fondato su presunzioni assistite 

I

dai requisiti previsti dall'art. 2729 c.c.� (Cass. 26 agosto 1998 n. 8494 e 6 maggio 
1998 n. 4555). Nel caso di specie i fatti emersi da documenti dello stesso ricorrente 

o da questo incontestati sono: a) la gestione da parte del Fasana di tre conti correnti 
presso la CA.RI.P.LO con depositi per un totale di lire cinque miliardi e mezzo, dal 
1971al1974, data della chiusura dei rapporti provata con l'esibizione degli estratti 
conto; b) l'intestazione di uno di detti conti correnti alla suocera del ricorrente; e) 
I

il ritiro delle somme dai conti correni fino alla loro estinzione del novembre 1974. 
Da tali fatti appaiono sicuri i redditi accertati per l'anno 1974, in quanto la sola I 
esistenza dei depositi in conto corrente anche fino a novembre, evidenzia, per la 
naturale redditivit� del danaro, l'esistenza degli imponibili accertati e nel caso pu� 
dirsi che i fatti accertati di per s� sono l'argomentazione stessa dell'accertamento 
(Cass. 28 settembre 1994 n. 7905). Inoltre la disponibilit� di cospicui capitali, 
conseguente al ritiro di rilevanti somme depositate di cui ai conti correnti nel 1974, 
comporta anche per l'anno 1975 una presunzione semplice di reddittivit� di dette 
somme (Cass. 16 gennaio 1991 n. 341) in quanto se �sia fornita la prova che un 
determinato soggetto ha percepito una ingente somma . . . � legittimo dedurre, in 
difetto di indicazioni contrarie, che egli abbia investito il capitale cos� ottenuto 
ricavandone un reddito� (Cass. 17 aprile 1991 n. 4092). Poich� le somme di cui ai 
depositi in conto corrente estinti al novembre 1974 erano di rilevante entit�, come 
affermato dalla stessa P.T., pu� presumersi che il mero investimento di tali capitali 
abbia dato naturalmente luogo, per il 1975 ai redditi di cui all'accertamento, e 
quindi, per tale profilo, la decisione impugnata deve confermarsi e va rigettato il 
ricorso per cassazione. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

3. -Con il terzo motivo d'impugnazione si lamenta l'insufficiente, 
contraddittoria e falsa motivazione della decisione impugnata, che non 
valuterebbe le prove fornite dal contribuente e ritenute valide nei due giudizi di 1 � 
e 2� grado, per smontare gli assiomi dell'Ufficio, in particolare escludendo 
l'estinzione dei conti correnti; mera presunzione de presumpto sarebbe per il 
ricorrente la circostanza, affermata dai giudici di merito, per la quale il tempo 
necessario a smobilizzare i capitali dei conti correnti comporta la deduzione che i 
redditi del 1974 si siano ripetuti nel 1975 dopo che la Polizia Tributaria aveva 
comunicato che gli accrediti esistenti al novembre 1974 erano stati smobilizzati 
con prelevamenti d'importi rilevanti. Secondo l'Amministrazione 
controricorrente, per la genericit� del motivo di ricorso, lo stesso deve essere 
dichiarato inammissibile, e, applicandosi nel caso la disciplina dell'art. 111 Cost., 
solo l'omessa motivazione pu� costituire questione rilevante in sede di ricorso per 
cassazione. 
Pur essendo vero che solo la motivazione mancante o apparente sarebbe 
rilevante, per non essere il ricorso per cassazione avverso la decisione della 
Commissione Tributaria centrale previsto dal previgente contenzioso di cui al 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 applicabile anche alla decisione impugnata (art. 75 
comma 4 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546), per cui l'impugnazione � nel caso 
proposta ai sensi dell'art.111 Cost. (cos� Cass. S.U. 16 maggio 1992 n. 5888), 
ritiene il collegio nel merito che le argomentazioni di cui alla decisione 
impugnata sono pienamente sufficienti e appaganti sui fatti sopra indicati, non 
contestati dal Fasana stesso. Quest'ultimo inoltre non ha dato neppure 
indicazioni degli elementi di fatto che possano attribuire a terzi (ad es. i suoi 
familiari) i redditi dei capitali incontestabilmente dapprima da lui gestiti e 
depositati e poi ritirati dai conti correnti, n� ha chiarito come i capitali incassati 
siano stati reimpiegati o si siano perduti. Irrilevante � a questo punto quanto 
affermato dalla Commissione Centrale in ordine alla mancanza di prove 
documentali della parte, esaminate invece nei primi due gradi di giudizio, dato 
che il fatto da quelle emergente del ritiro dei capitali depositati e dell'estinzione 
dei conti correnti al novembre 1974 � comunque espressamente esaminato tra gli 
stessi �fatti� rilevanti dai giudici del merito, le cui argomentazioni appaiono 
pienamente sufficienti e logiche, alla luce di vari elementi solo indiziari da loro 
esaminati (quali le propriet� immobiliari del contribuente e della moglie di lui) 
per confermare gli avvisi di accertamento impugnati. In effetti quanto detto nei 
paragrafi che precedono, mentre evidenzia, per l'imponibile dell'anno 1974, che 
l'esistenza di depositi rilevanti in conti correnti bancari da solo prova i redditi di 
quell'anno, come frutto naturale di quei capitali ritirati dal conto corrente solo 
nel novembre 1974 dallo stesso contribuente, che non spiega ancora come abbia 
poi utilizzato il danaro da lui incassato, per l'anno successivo d� luogo alla ovvia 
deduzione logica che per l'investimento dei capitali ricevuti si siano dallo stesso 
contribuente ricavati i redditi accertati per l'anno 1975, nulla affermandosi nella 
decisione in ordine ai redditi del 1976, oggetto di giudizio da parte dei giudici di 
primo e secondo grado e per i quali la Commissione Centrale ha omesso di 
pronunziarsi (il punto avrebbe potuto essere impugnato solo dall'Amministrazione). 
(omissis) 

RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STA:r�:f

498 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 aprile 1999 n. 4329 -Pres. Grieco -Rei. 
Losavio -P.G. (parz. diff.) Buonajuto -Soc. A.R.F. (avv. Consiglio) c. 
Ministero delle Finanze ( avv. Stato Criscuoli). 

Tributi erariali diretti -Reddito d'impresa -Accertamento -Di maggiori ricavi 


Costi corrispondenti -Onere della prova -Spetta al contribuente. 

(T.U.I.R., art. 75, quinto comma). 

Qualora l'Ufficio, rilevate falsit� documentali, accerti maggiori ricavi a fronte 
di maggiori vendite, spetta al contribuente la prova degli ulteriori costi sostenuti, se 
ed in quanto essi non siano documentati nella contabilit� ufficiale. (1) 

(omissis) 

1. -Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 75, 5� 
comma, legge 917/1986 e 3 d.P.R. 597/1973, lamentando che la Corte di merito 
abbia disatteso il principio della deducibilit� dei costi ovviamente estensibile 
anche all'accertamento in rettifica, dovendo l'Ufficio portare in detrazione i 
costi generatori dei maggiori ricavi presunti. Con il secondo motivo deducono 
I

vizio di motivazione, contestando l'affermazione della sentenza -che 
costituisce una autonoma ragione della decisione di rigetto del ricorso secondo 
cui non sarebbe stata dedotta nel giudizio tributario la censura in ordine� 

I alla omessa detrazione dei costi, vero essendo, invece, che tale censura era stata I 
accolta dalla Commissione di primo grado, riformata in appello; quanto poi alla ~ 
ritenuta infondatezza nel merito della stessa censura palese sarebbe l'errore 
della Corte di merito, giacch� i maggiori costi inerenti ai presunti ricavi 
dovevano essere calcolati dall'Ufficio in sede di accertamento e non potevano 

i figurare nelle registrazioni contabili perch� inerenti -appunto -a presunti 
ricavi occultati. 

2. -L'eccezione di tardivit� -e quindi di inammissibilit� -del ricorso, 
Isollevata preliminarmente dalla Amministrazione resistente, non � fondata. Se 
� vero, infatti, che il ricorso fu notificato il 3 febbraio 1997 e, dunque, il 
sessantunesimo giorno dalla ricevuta notificazione della sentenza impugnata 

I 

(1) Interessante decisione che fa corretta applicazione -con riferimento a fattispecie nella 
quale l'ufficio aveva accertato maggiori ricavi ritenuti dissimulati sulla base dell'accertamento 
di falsit� documentali relative alle quantit� vendute -dei principi generali in tema di onere della 
I

prova (art. 2697 cod. civ.). Se, infatti, � indubbio che compete all'Amministrazione dimostrare m

?.i

l'esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata e quindi fornire la prova r;; 
degli elementi rivelatori di un pi� elevato imponibile, � altrettanto vero che spetta al 
contribuente, che allega l'esistenza di circostanze modificative od estintive dei fatti stessi, 
comprovare a sua volta gli elementi sui quali la sua eccezione si fonda. A fronte, pertanto, della ~ 
dimostrazione, da parte dell'Ufficio, delle componenti positive del maggior reddito imponibile, 

!!

il contribuente deve allegare e fornire la prova della sussistenza di costi maggiori di quelli 
considerati (ovviamente, non documentati nella contabilit� del medesimo), nonch� dell'inerenza 

�11;

degli stessi all'esercizio al quale l'accertamento si riferisce. Sostanzialmente nello stesso senso . 
cfr. la sentenza Cass., n. 9894 del 1997. 

. 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

( 4 dicembre 1996), � pur vero che il giorno di scadenza del termine per impugnare 
-il 2 febbraio -era festivo (domenica) e la scadenza era prorogata di diritto 
(art. 155 c.p.c.) al giorno seguente non festivo. 

3. -L'Amministrazione resistente ha eccepito sotto altro profilo la 
inammissibilit� del ricorso (per difetto di interesse), perch� i contribuenti non 
avrebbero impugnato anche la autonoma statuizione (distinta e pregiudiziale ratio 
decidendi) della sentenza, l� dove la Corte di merito ha dichiarato inammissibile il 
secondo motivo della impugnazione proposta dinanzi ad essa, sul ritenuto 
presupposto che la questione con quel motivo dedotta non fosse stata prospettata 
�nelle precedenti fasi del giudizio tributario�. 
Anche questa eccezione � infondata. Con il secondo motivo del ricorso i 
contribuenti censurano appunto specificamente quella statuizione, rilevando che 
il ricorso originario contro l'avviso di accertamento dell'Ufficio era stato 
motivato proprio con la ragione che, accertato un presunto maggior ricavo, non 
si era tenuto conto, per determinare il maggior reddito tassabile, dei costi 
necessariamente sopportati in funzione di quel ricavo; e che la Commissione di 
primo grado aveva accolto il ricorso, riconoscendo la fondatezza anche di quel 
motivo. 

4. -Infondata � la censura dedotta con il primo motivo e argomentata anche 
nella seconda parte del secondo. Ebbene, i ricorrenti lamentano che, accertati 
maggiori ricavi (dissimulati), non si sia tenuto conto dei costi aggiuntivi ad essi 
inerenti, necessariamente non documentati nella contabilit� ufficiale, e 
richiamano a conforto di tale proposizione difensiva talune pronunce di questa 
Corte (n. 5071del1989; n. 3083 del 1992). Ma si deve, innanzitutto, rilevare che 
le invocate decisioni attengono a fattispecie di accertamento induttivo del reddito 
di impresa, nelle quali i maggiori ricavi erano stati presunti sul fondamento di 
costi ed oneri nella contabilit� ufficiale, e richiamano a conforto di tale 
proposizione difensiva talune pronunce di questa Corte (n. 5071 del 1989; n. 
3083 del 1992). Ma si deve, innanzitutto, rilevare che le invocate decisioni 
attengono a fattispecie di accertamento induttivo del reddito di impresa, nelle 
quali i maggiori ricavi erano stati presunti sul fondamento di costi ed oneri 
documentati nella contabilit� di impresa, ma non imputati al conto profitti e 
perdite, sicch� la coerenza interna allo stesso argomento presuntivo esigeva che 
dei costi -provati -si tenesse conto in deduzione della determinazione del 
reddito fiscale. Fattispecie dunque, tutt'affatto diverse da quella oggetto della 
presente controversia, dove l'Ufficio ha provato, attraverso l'accertamento di 
falsit� documentali relative alle quantit� vendute, pi� elevati ricavi, perci� 
dissimulati (e la contestazione sul punto della effettivit� di tali presunti ricavi sviluppata 
nel giudizio di merito -non � stata, come sarebbe stato possibile 
attraverso la deduzione di vizio di motivazione della decisione impugnata, 
riproposta in questa sede di legittimit�), mentre nessun riscontro documentale, 
pur se estraneo al conto profitti e perdite, deponeva per maggiori costi da 
ammettere in deduzione. N�, per contrastare la efficacia probatoria del 
procedimento presuntivo, i ricorrenti hanno �specificato�, cio� indicato in 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'

500 

concreto, ulteriori costi, essendosi essi limitati ad affermare che a pi� elevati 
ricavi per maggiori quantit� vendute fanno riscontro costi proporzionali: 
proposizione questa ineccepibile in linea di astratto principio, ma inidonea per 
certo a superare in concreto il dato obbiettivo del difetto di ogni elemento di 
prova di costi ulteriori (rispetto a quelli documentati nella contabilit� di impresa) 
che, se sussistenti, i contribuenti avrebbero potuto agevolmente dimostrare. 


La decisione impugnata ha, dunque, correttamente applicato i princ�pi che 
governano l'onere della prova (la cui violazione � implicitamente dedotta con la 
censura dei ricorrenti) come operanti (anche) in tema di accertamento delle imposte 
sui redditi: e se � vero che spetta all'Amministrazione finanziaria, nel quadro di quei 
principi generali, dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa 
tributaria azionata fornendo, quindi, la prova di elementi e circostanze rivelatori di 
un pi� elevato imponibile, � vero, altres�, che il contribuente, il quale intenda 
contestare la idoneit� dimostrativa di quei fatti, oppure opporre l'esistenza di 
circostanze modificative o estintive dei fatti stessi, deve a sua volta dimostrare gli 
elementi sui quali le sue eccezioni si fondano. Cos� -a proposito del reddito di 
impresa -spetta all'Ufficio finanziario provare le componenti attive del maggior 

II imponibile determinato, ma spetta al contribuente (il quale intenda contestare tale 
determinazione, anche prospettando l'esistenza di costi maggiori di quelli 
considerati) documentare che essi esistono e sono inerenti all'esercizio cui 
l'accertamento si riferisce. In tal senso � l'orientamento della giurisprudenza di 

I fil 

questa Corte, di recente ribadito (n. 9894 del 1997) in fattispecie analoga a quella 
della presente controversia. 

5. -Nel rigetto del primo motivo, che attiene alla questione dei presunti costi 
inerenti ai maggiori ricavi accertati, rimane assorbito il secondo che censura la 
I

distinta e alternativa (a rigore pregiudiziale) ragione della decisione nel punto in cui 

I 
~ 

la Corte d'appello ha ritenuto la inammissibilit� della stessa questione (decisa poi, ~ 
tuttavia, nel merito) perch� sarebbe stata dedotta per la prima volta con il ricorso ex 
art. 40 d.P.R. 636/1972 (pur se fondata, ma tale censura non sarebbe idonea a 
comportare l'annullamento della decisione che rimane ferma sull'altra ragione fatta 
oggetto del motivo respinto). (omissis) 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 ottobre 1999 n. 11973 -Pres. De Musis -Rei. 
Marziale -P.G. (conf.) Gambardella -Ministero delle Finanze c. S.r.l. Venturi 
Bruno. 

Tassa concessioni governative -Domanda di rimborso -Termine triennale di 
decadenza -Riferimento alla data di spedizione dell'istanza. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 641, art. 13). 
Ai fini della tempestivit� della presentazione della domanda di rimborso della 
tassa di concessioni governative, da richiedere nel termine triennale di decadenza 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

501 

dalla data del pagamento di cui all'art. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, devesi 
aver riguardo alla data di spedizione della stessa e non a quella della sua ricezione 
da parte dell'Ufficio. (1) 

(1-3) Questioni sulla natura -recettizia o meno -dell'istanza di rimborso di cui 
all'art.13, secondo comma, d.P.R. 641/72. 

La Suprema Corte di Cassazione si � recentemente occupata della questione relativa alla 
natura dell'istanza di rimborso prevista dall'art. 13, secondo comma, d.P.R. 641/72: le due 
pronuncie (12025/99 e 11973/99) sono l'una di segno opposto all'altra, sostenendosi, nella pi� 
recente, la natura recettizia di tale istanza; recettiziet� che viene invece esclusa nella precedente 

n. 11973/99.
� quindi necessario esaminare le motivazioni adottate in tale ultima sentenza, per sottoporle 
a critica. 

Nell'ordine: 

A) Afferma la S.C., in tale sentenza, che gli effetti della decadenza operano soltanto in capo 
al soggetto nei cui confronti essa si verifica; deducendone che, al fine di verificare se la 
decadenza sia stata evitata, � all'attivit� di tale soggetto che si deve avere riguardo, e non alla 
conoscenza di tale attivit� da parte del destinatario. 

Va osservato, al riguardo: 

-la S.C. tralascia di considerare che, in relazione alla decadenza, le parti da considerare 
sono necessariamente due; e che, nel caso essa si verifichi, se la prima perde un diritto o una 
facolt� o altro, l'altra vede corrispondentemente consolidata la propria sfera di interessi, prima 
soggetta alle conseguenze dell'attivit� della controparte; sembra quindi errata la premessa dalla 
quale la Corte ricava la propria conclusione; 

-inoltre, la S.C. non considera che osservazioni analoghe a quella da essa formulata 
potrebbero essere svolte per la prescrizione, in relazione alla quale la tesi della non recettiziet� 
degli atti interruttivi non risulta, a ragione, essere mai stata avanzata. 

B) La questione, peraltro, non consiste (e anche in questo sembra sia sbagliata la sentenza 
11973/99) nel pervenire ad una affermazione di carattere generale -recettiziet� o non recettiziet� 
-relativamente agli atti impeditivi della decadenza; ci� in quanto gli atti impeditivi possono 
essere del pi� vario genere, come conferma l'art. 2966 e.e. 

Risulta quindi inutile andare ad esaminare le varie fattispecie per ricavarne dei principi 
generali; l'operazione da compiere sar�, invece, quella di individuare con esattezza il tipo di atto 
cui la legge collega l'effetto impeditivo; ci� che potrebbe essere sufficiente a risolvere il 
problema; nonch�, ove tale atto rientri nell'ambito di categoria per la quale vigano dei princ�pi 
generali, l'applicazione degli stessi. 

A tale stregua, � chiaro che possono essere dati casi in cui ha rilievo il tempo dell'attivit� 
soggetta a decadenza, anzich� quello della sua ricezione; ma ci�, in virt� di espresse disposizioni 
legislative, quali quelle che prevedono che l'attivit� da compiere consista nel deposito di un 
ricorso; o che ricollegano il rispetto del termine per la notifica all'attivit� compiuta anzich� alla 
conoscenza dell'atto che ne abbia il destinatario, o al decorso di certi termini; o quella di cui all'art. 
1495 e.e., in relazione al quale la giurisprudenza, in considerazione della brevit� del termine ivi 
previsto, ha ritenuto che il legislatore abbia inteso fare riferimento all'attivit� del compratore 
denunciante, anzich� alla ricezione della stessa da parte del venditore; senza peraltro che 
l'esistenza di tali specifici casi valga a dare luogo ad un generale principio (che non appare 
configurabile neppure in astratto, come sopra detto) nel senso affermato dalla Corte di Cassazione. 

C) Venendo quindi alla specifica decadenza di cui trattasi (art. 13 secondo comma, d.P.R. 
641/72), va considerato che il legislatore prevede che la decadenza possa essere impedita dalla 
richiesta del rimborso(� ... Il ricorrente pu� chiedere la restituzione delle tasse ... entro il termine 
di decadenza di tre anni...�) 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO"

502 

II 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 ottobre 1999 n. 12025 -Pres. Rocchi -Rei. 
Ferro -P.G. (conf.) Buonajuto -Ministero delle Finanze c. S.r.l. Magazine dati. 

Tassa concessioni governative -Domanda di rimborso -Termine triennale di 
decadenza -Riferimento alla data di ricezione dell'istanza. 

Agli effetti della verifica della tempestivit� della domanda di rimborso della tassa 
di concessioni governative, da richiedere nel termine triennale di decadenza di cui 
ali' art. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, si deve considerare il momento in cui la 
stessa perviene all'Ufficio, rientrando tale domanda nel novero degli atti recettizi. (2) 

Al riguardo va osservato: 

Cl) Dal punto di vista lessicale, sembra doversi decisamente escludere che il termine usato 
dal legislatore possa essere compatibile con un'attivit� effettuata all'insaputa del suo destinatario, 
posto che il chiedere, per poter essere efficace, necessita inevitabilmente di una ricezione. 

C2) Va poi considerato che il �Chiedere� un rimborso, � attivit� che pu� essere effettuata 
nei modi pi� vari (personalmente, a mezzo di messo, corriere, mediante notifica, oltre che a 
mezzo del servizio postale); se ne ricava che il legislatore, non avendo dettato separate discipline 
in relazione alle varie possibili modalit� della richiesta, non pu� avere inteso riferirsi, in un caso, 
ad una �richiesta� pervenuta al destinatario e, nell'altro, ad una richiesta priva -anche se 
momentaneamente -di destinatario: criteri di omologazione tra le possibili modalit� della 
�richiesta� imporrebbero quindi che si trattasse di richiesta non meramente formulata, ma anche 
pervenuta a destinazione. 

C3) Inoltre, va detto che il legislatore, nel medesimo d.P.R. 641/72, all'art. 11, si riferisce, 
da un lato, alla �spedizione� del ricorso; dall'altro, alla �presentazione� della domanda dello 
stesso; sicch�, se ancora sussistessero dei dubbi sul significato del �chiedere�, pur considerata la 
molteplicit� dei modi in cui pu� concretizzarsi ed il suo significato lessicale (come si � detto 
sopra), ogni dubbio dovrebbe venire meno laddove il legislatore abbia considerato separatamente, 
nella medesima legge, le attivit� dello �spedire� e del �presentare�, ed abbia previsto che lo 
�spedire� abbia una efficacia equivalente a quella del �presentare�, solo se effettuata in sede di 
ricorso amministrativo. 

Da ultimo, va detto che, ove anche si volesse fare riferimento ai princ�pi valevoli per 
l'istituto nell'ambito del quale una richiesta di rimborso pu� essere collocata, si dovrebbe 
ricorrere a quelli vigenti in relazione alla costituzione in mora: la cui natura recettizia risulta, a 
ragione, del tutto indiscussa, alla luce del noto principio affermato dall'art. 1334 e.e., secondo il 
quale gli atti unilaterali hanno efficacia �dal momento in cui pervengono a conoscenza della 
persona alla quale sono destinati�. 

Fermo quanto sopra, va considerata l'ulteriore affermazione svolta nella sentenza in 
questione, che dichiara l'esistenza di un principio generale secondo il quale, per qualsiasi istanza, 
domanda, dichiarazione del privato alla P.A., varrebbe il principio della spedizione, anzich� 
quello del ricevimento. 

Tale affermazione appare: 

-priva di qualsiasi dimostrazione; 

-scarsamente consequenziale, posto che, ove si affermi un principio (quello esposto al 
punto A), avente in ipotesi carattere generale, non vi sarebbe bisogno di alcun analogo principio 
di tipo settoriale, limitato a ricorsi, istanze, domande, dichiarazioni, svolte nei confronti delle 
Pubbliche Amministrazioni; 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

503 

III 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 1, 22 gennaio 1999 n. 559 -Pres. Rocchi -Est. 
Altieri -P.M. Morozzo della Rocca (concl. diff.) -Ministero delle Finanze c. 
Banco di Napoli (avv. Palmarini, Quaresima). 

Registro (imposta di) -Rimborso di imposta -Istanza spedita a mezzo posta Data 
della spedizione -Rilevanza. 

� tempestiva l'istanza di rimborso dell'imposta di registro indebitamente 
versata che sia stata spedita nei termini di legge a mezzo del servizio postale, senza 
che rilevi la circostanza che la stessa istanza sia pervenuta all'ufficio finanziario 
trascorsi tali termini. (3) 

-illogica, in quanto si tratterebbe di principio applicabile �in linea di massima�, pur in 
presenza di affermati princ�pi sia di carattere generale, che di carattere settoriale; 

-incompleta, posto che non spiega per quale ragione il legislatore si preoccupi, caso per 
caso, di individuare quali siano i casi in cui viene ritenuta tempestiva la spedizione, guardandosi 
bene dallo svolgere affermazioni generali su! punto. 

Sulla questione si � pronunciata anche Cass. 559/99, sia pure relativamente a differente 
imposta. 

Anche tale sentenza si espone ad evidenti critiche. 

Essa parte infatti dalla considerazione che, in materia di ricorsi amministrativi, esiste come 
� vero -un principio generale secondo il quale la tempestivit� del ricorso va valutata 
considerando la data della spedizione; da tale esatta affermazione, la S.C., in tale sentenza, 
deduce (senza ulteriore dimostrazione) l'esistenza di un pi� generale principio che varrebbe 
(salve espresse deroghe, che non contraddirebbero l'esistenza del peraltro indimostrato 
princ�pio) anche al di l� della materia dei ricorsi amministrativi; per giungere quindi ad 
escludere che, in materia di istanze, possa essere contestata l'applicabilit� del principio di cui 
sopra. 

Ragionamento che pare tutt'altro che ineccepibile, senza la necessit� di ulteriori 
osservazioni al riguardo (anche tenuto conto di quanto detto sopra). 
Svolte le affermazioni di cui sopra (prive, come si � detto, di dimostrazione), la S.C. ne 
consegue: 

-l'arbitrariet� della distinzione tra atti di tipo giustiziale e non giustiziale, ai fini di cui 
trattasi, in quanto l'assenza di una norma di carattere generale (non di un princ�pio) in materia di 
istanze, non consentirebbe la negazione del principio suddetto; ma nello svolgere tale 
affermazione, incorre in evidente capovolgimento logico, posto che proprio la necessaria 
distinzione tra atti di tipo giustiziale e non giustiziale (ben presente al legislatore del d.P.R. 
1199/71), costituisce il problema da superare al fine di affermare l'applicabilit� agli atti non 
giustiziali dei princ�pi delineati dal legislatore per gli atti giustiziali; problema per nulla affrontato 
nella sentenza in questione, come gi� detto; 

-l'irrilevanza della distinzione tra atti recettizi e non recettizi, posto che la natura 
certamente recettizia dell'istanza di rimborso non toglie che essa possa produrre taluni �effetti� 
prima che sia giunta a conoscenza del suo destinatario; affermazione, nella sua genericit�, 
condivisibile, ma necessariamente legata all'esistenza (che nella fattispecie manca) di una norma 
che consenta di giungere ad un risultato quale quello ipotizzato; l'anticipazione degli effetti 
appena accennati, peraltro, secondo la sentenza di cui si tratta, non si verificherebbe in 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

(omissis) 

4. -La censura non � fondata. 
Invero, gli atti impeditivi della decadenza vengono in considerazione per le 
conseguenze che determinano a carico (non gi� dei soggetti ai quali sono indirizzati, 
ma) del titolare del diritto che deve essere esercitato, per disposizione di legge o per 
clausola contrattuale, entro un dato termine. E non appare quindi congruo 
subordinare il verificarsi di tale effetto alla ricezione di tali atti da parte di coloro cui 
sono rivolti, neppure quando questi ultimi siano determinati: tale circostanza, infatti, 
non implica che l'atto debba essere qualificato come ricettizio, essendo tale 
qualificazione correlata ad un'esigenza di tutela del destinatario, che nel caso di 
specie non si pone, in quanto gli effetti vengono ad incidere, come si � posto in 
evidenza, sul titolare del diritto. 

conseguenza di una operazione logico-normativa, ma in conseguenza �... di un princ�pio di 
giustizia in senso lato ...�, per � ... evitare che le lungaggini del servizio postale comportino un 
danno per l'utente incolpevole�. 

Anche questo argomento, di natura chiaramente metagiuridica, non sembra necessitare di 
particolari commenti. 
Ci si pu� limitare a considerare, a prescindere dall'irrilevanza del criterio adottato dalla S.C.: 

-che l'argomento, se valido, dovrebbe essere di generale applicazione (tra privati e 
privati, tra Amministrazioni e privati, tra privati ed Amministrazioni non statali, ecc., oltre che tra 
privati ed Amministrazioni statali); 

I

~ 

-che l'individuazione dell'�incolpevolezza� dell'utente andrebbe fatta caso per caso, ed 
esclusa ove non si sia trattato di �lungaggini� (come afferma, dando per scontato che 
�lungaggini� debbano comunque sussistere, la sentenza in questione), ma dei tempi 
ragionevolmente necessari per poter svolgere il servizio postale. Entrando in questo ordine di 
idee, ci si dovrebbe chiedere quale sarebbe la decisione da prendere, ove l'istanza fosse stata 
spedita, come spesso � avvenuto, lo stesso ultimo giorno di scadenza del termine, con la certezza 
che essa sarebbe pervenuta oltre il termine; nonch�, con riferimento ai casi di confine, se sia 
rimesso alla giurisprudenza di svolgere, caso per caso, analisi volte a determinare quale sia il 
tempo ragionevolmente necessario per svolgere il servizio postale, e conseguentemente, quando 
si possa parlare di �lungaggini�. Ad avviso di chi scrive, la mancanza di elementi normativi che 
lo consentano, unitamente ad evidenti esigenze di certezza, portano ad escludere l'attendibilit� di 
un'interpretazione che porti a simili conseguenze. 

Si ritiene, quindi, che, le argomentazioni adottate dalla S.C. nella giurisprudenza sopra 
criticata non siano condivisibili, essendo prive di effettiva consistenza; e che un corretto uso dei 
criteri interpretativi adottabili nella fattispecie porti ad accogliere la tesi secondo la quale l'istanza 
di rimborso, per essere efficace, deve essere pervenuta al suo destinatario: ci�, avuto 
essenzialmente riguardo, come si � detto, all'interpretazione della lettera della legge, alla 
considerazione fatta dal legislatore dell'efficacia dello �Spedire� limitatamente a casi specifici 
diversi dal presente: alla natura dell'atto, che porta ad inquadrarlo tra gli atti di costituzione in 
mora, o comunque tra gli atti per i quali � applicabile il generale principio positivamente 
affermato dall'art. 1334 e.e., che appare riferimento di gran lunga preferibile agli ipotizzati 
principi di cui sopra. 

LIONELLO 0RCALI 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

4.1.-Proprio muovendo da questa considerazione si � deciso: 
-che, ai fini della verifica della tempestivit� della denunzia dei vizi della cosa 
venduta ai sensi dell'art. 1495, primo comma, e.e., deve aversi riguardo alla data di 
invio, e non a quella di ricezione, della denunzia medesima (Cass. 18 aprile 1975, 

n. 1470; 27 gennaio 1986, n. 539); 
-che allorquando la notificazione viene in rilievo come compimento di 
attivit� da parte del notificante, alla quale si collega il rispetto del termine posto 
dalla legge a suo carico, la verifica della tempestivit� della notificazione deve essere 
compiuta avendo riferimento esclusivo all'attivit� compiuta dal notificante, 
prescindendo dal completarsi dei periodi di vacatio eventualmente previsti dalla 
legge (art 143, ultimo comma, c.p.c.; art. 8, terzo comma, legge 20 novembre 1982, 

n. 890) per il perfezionamento della notificazione a tutela degli intereressi del 
destinatario (Cass., S.U., 5 marzo 1996, n. 1729); 
-che nei giudizi possessori, i quali si instaurano mediante ricorso, momento 
rilevante per impedire il decorso del termine annuale e la conseguente decadenza 
dell'azione � quello del deposito in cancelleria del ricorso (Cass. 4 novembre 1993, 

n. 10936) e che, analogamente, il termine semestrale di decadenza, posto dall'art. 79 
della legge 27 luglio 1978, n. 392, per l'azione di restituzione delle somme pagate 
in eccesso rispetto al canone di locazione dovuto secondo le disposizioni stabilite da 
quella stessa legge e decorrente dal rilascio dell'immobile, scade con la data di 
deposito del ricorso e non con la sua successiva notificazione alla controparte, posto 
che anche in tale giudizio, come per tutti quelli cui si applica il rito del processo del 
lavoro, la domanda si propone con ricorso il cui deposito determina la litispendenza 
(Cass. 7 maggio 1996, n. 4236). 
4.2.-Non vi � motivo di discostarsi da tale orientamento in relazione 
all'ipotesi contemplata dall'art. 13, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 
641, che viene in considerazione nel caso in esame. Specie considerando che in 
tema di rapporti con la Pubblica Amministrazione vale il principio che i termini 
stabiliti per la presentazione dei ricorsi da parte dei privati sono osservati quando 
essi sono spediti in tempo utile a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento 
(artt. 2 e 9, d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199; art. 20, secondo comma, d.lgs. 31 
dicembre 1992. n. 546 e gi� art. 17, primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) 
e che tale principio, applicabile anche in materia fiscale (Cons. Reg. Sic. 2 
novembre 1992, n. 325), � in linea di massima estensibile ad ogni istanza, domanda 

o dichiarazione rivolta dal privato alla Pubblica Amministrazione (art. 2, d.P.R. 28 
dicembre 1970, n. 1077, in materia di concorsi ed esami; art. 12, secondo comma, 
d.P.R 29 settembre 1973, n. 600, in tema di presentazione della dichiarazione dei 
redditi; art. 37, terzo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in materia di 
dichiarazioni IVA; art. 28, primo comma, d.lgs. 31ottobre1990, n. 346, in materia 
di imposta sulle successioni e donazioni). Fermo restando, beninteso, che tale 
conclusione non implica che dalla stessa data (di spedizione) decorra per la 
Pubblica Amministrazione l'obbligo di provvedere, essendo evidente che per il 
determinarsi di tale effetto occorre che l'istanza sia effettivantente �ricevuta� 
(art. 2, secondo comma, legge 7 agosto, 1990, n. 241). 
Il ricorso deve essere pertanto respinto. (omissis) 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'l'O

506 

II 

(omissis) 

3. -La censura formulata dall'Amministrazione delle Finanze appare fondata e 
merita accoglimento, nel senso e nei limiti che verranno precisati. Costituisce un 
dato di fatto incontroverso che la data, indicata dalla Corte di appello, del 27 giugno 
1991, � la data della spedizione dell'istanza di rimborso; n� risulta che il giudice del 
merito abbia accertato che l'istanza sia nella stessa data pervenuta all'Ufficio 
destinatario; sostiene, invece, l'Amministrazione, che ci� � avvenuto solo il 9 luglio 
1991. Ora, l'istanza di rimborso di cui al secondo comma dell'art. 13 del d.PR. 26 
ottobre 1972 n. 641 rientra nel novero degli atti recettizi, che producono effetto nel 
momento in cui pervengono al destinatario: tale � la natura degli atti di tal genere, 
per principio generale al quale la disciplina specifica del citato d.P.R. n. 641 del 
1972 non reca deroga ma anzi implicita conferma ove si ponga a raffronto l'assenza 
nella norma in esame di qualsiasi elemento in senso difforme con la diversa 
previsione al riguardo dettata da altra disposizione del medesimo testo normativo, 
relativamente alla spedizione del ricorso al Ministero. Risulta pertanto viziata dalla 
denunciata violazione di legge e dalla concorrentemente prospettata carenza di 
motivazione l'affermazione precedentemente riportata della Corte di merito sic et 
simpliciter correlata alla data di spedizione. (omissis) 
III 

(omissis) 

Motivi del ricorso. 

Denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 75, d.P.R. 634/72; 77 e 
79 t.u. 131/86, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., I'Amministrazione ricorrente 
deduce: 

-soltanto quando la norma lo riconosce espressamente la data di spedizione 
vale come data di presentazione. N� l'art. 75 del previgente d.P.R. 634/72, n� 
l'art. 79 del nuovo t.u. contengono tale previsione; 

-proprio i riferimenti fatti dalla decisione impugnata al d.P.R. 1199/71 
dimostrerebbero la fondatezza della tesi dell'amministrazione; 

-l'ordinanza della Corte costituzionale 342/87 (Foro it., 1988, I, 1829) nel 
riconoscere che la mancata equiparazione -ai fini della tempestivit� della 
dichiarazione Invim straordinaria -della data di spedizione a quella di 
presentazione all'ufficio non costituisce violazione del principio di eguaglianza, ha 
spiegato che nell'ambito amministrativo tributario non pu� essere offerta una 
disarticolata prospettazione, dovendosi considerare che le diverse normative 
possono concorrere al riequilibrio del sistema. 

Motivi della decisione. 

-Le censure dell'Amministrazione finanziaria devono essere disattese. 

I 


I 


I


I 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Sulla presenza nell'ordinamento di un principio tendenziale che equipara ai 
fini dell'osservanza del termine -la spedizione alla presentazione all'ufficio 
si � gi� favorevolmente pronunciata la Corte costituzionale con sentenza 26 aprile 
1985, n. 121, cit., nella quale si � riconosciuto �valore omogeneizzante alla 
disposizione di cui all'art. 2 d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, considerando tale 
norma come espressione di un principio generale, applicabile anche ai ricorsi 
gerarchici in materia di sanzioni tributarie. Del resto, come ha esattamente 
osservato la decisione impugnata, tale equiparazione � prevista anche per i ricorsi 
gerarchici impropri (art. 1, 2� comma, d.P.R. 1199/71) e per il ricorso straordinario 
(art. 8 stesso d.P.R. ). 

L'enunciazione di tale principio non significa, per�, che esso non possa essere 
espressamente derogato, come � avvenuto con l'art. 26, 4 � comma, d.l. 28 febbraio 
1983, n. 55 (convertito nella legge 26 aprile 1983, n. 131), oggetto dell'ordinanza 
d'inammissibilit� della Corte costituzionale 22 ottobre 1987, n. 342, cit., 
richiamata nel ricorso. Tale norma, infatti, non si limita ad enunciare che la 
dichiarazione (Invim straordinaria) deve essere presentata all'ufficio, ma fissa una 
precisa data di presentazione (il 30 giugno 1983), con ci� escludendo la possibilit� 
che il rispetto del termine sia assicurato mediante la spedizione. Il fatto che in casi 
determinati il legislatore -senza incorrere in censure d'incostituzionalit� -possa 
esigere che l'atto sia presentato, o sia comunque pervenuto, all'ufficio nel termine 
stabilito non esclude l'esistenza di un principio nel senso affermato dalla decisione 
impugnata. Si pensi all'art. 12 d.l. 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con 
modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 154, nel quale viene espressamente 
disposto che la domanda di valutazione automatica ai fini dell'imposta di registro 
�non pu� essere inviata per posta�. 

Le argomentazioni svolte dal procuratore generale nelle sue conclusioni orali 
non possono essere condivise. 

Di nessun aiuto ermeneutico � la distinzione tra atti recettizi e non recettizi, al 
fine di applicare il principio dell'equiparazione soltanto ai secondi. Pur essendo 
l'atto in questione certamente recettizio, non si esclude che esso possa produrre 
alcuni effetti (quale la pendenza della controversia) in un momento anteriore a 
quello in cui l'autorit� destinataria ne ha avuto legale conoscenza. Tale 
anticipazione, infatti, non � espressione di logica giuridico-normativa, ma soltanto 
di un principio di giustizia in senso lato: essa, infatti, mira ad evitare che le 
lungaggini del servizio postale comportino un danno per l'utente incolpevole. 

� del tutto arbitraria, inoltre, la distinzione tra atti di tipo giustiziale e non 
giustiziale (quale la domanda di rimborso d'imposta di registro non dovuta), perch� 
l'assenza di una norma generale in materia di istanze di rimborso non comporta la 
negazione, per tale ambito, del principio. 

Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato che 
l'equiparazione della data di spedizione a quella di presentazione, stabilita dall'art. 
2, 2� comma, ultima parte, d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, costituisce un 
principio generale circa la modalit� di proposizione degli atti di iniziativa del 
procedimento amministrativo (in tal senso, sez. IV, 12 giugno 1986, n. 407, id., Rep. 
1987, voce Calamit� pubbliche, n. 35, in tema di istanza di finanziamento agevolato 
per aziende danneggiate da calamit� naturali). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

508 

Si deve affermare, in conclusione, che, non prevedendo espressamente gli 
artt. 75 d.P.R. n. 634 del 1972 e 77 d.P.R. n. 1 del 1986 che l'istanza di rimborso 
debba pervenire all'ufficio entro il termine prescritto, deve considerarsi 
tempestiva l'istanza presentata per la spedizione agli uffici postali entro il 
medesimo termine. 

Il ricorso deve essere, perci�, rigettato. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 novembre 1999, n. 13243 -Pres. De Musis 


P.M. Cafiero -Ministero delle Finanze ( avv. Stato De Giovanni) c. Pietron. 
Tributi erariali indiretti (riforma tributaria del 1972) -Imposta di registro Determinazione 
della base imponibile -In genere. 

Anche in relazione agli atti formati prima dell'entrata in vigore dell'art. 3, 
comma centotrentacinquesimo, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, ove il 
contribuente abbia chiesto di avvalersi -ai sensi dell'art. 12 del d.l. 14 marzo 

1988, n. 70, convertito in legge n. 154 del 1988 -dei criteri automatici di cui ~ 
all'art. 52 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ma il valore del bene trasferito da lui 
dichiarato concretamente nell'atto risulti inferiore a quello derivante 

l

dall'applicazione dei suddetti criteri, l'Ufficio non � tenuto ad emettere un previo 
avviso di accertamento, ma non deve far altro che richiedere la maggiore imposta 
dovuta, con la notifica di un avviso di liquidazione (1). 

(1) Aspetti e problemi della valutazione automatica degli immobili non censiti ai fini 
delle imposte di registro e successioni 
La condivisa sentenza in commento ammette, in tema di imposte di registro, la possibilit�, 
per l'Ufficio, nel caso in cui il contribuente abbia ritualmente richiesto, per immobili non censiti, 
l'attribuzione della rendita catastale ex art. 12 del d.l. n. 70/1988, una procedura abbreviata. 

Qualora il valore dichiarato (al buio) sia inferiore al valore parametrico determinato, ex 

art. 52, quarto comma, TUIR, l'Ufficio deve limitarsi, con unico atto (emesso anche prima della 
riforma di cui all'art. 3, comma centotrentacinquesimo, della legge n. 549/1998, che ha unificato 
gli avvisi di accertamento e di liquidazione) a richiedere l'imposta differenziale confutata sui due 
valori, parametrico e dichiarato. 

Ci� sarebbe diretta -anche se implicita -conseguenza della volont� del contribuente di 
essere tassato per tale valore automatico e renderebbe inutile un autonomo atto di accertamento. 

Sulla questione (e su altre vicende collegate, quali la decadenza dell'azione dell'Erario e 
l'ammissibilit� del condono o di altre forme agevolate di definizione) si sono gi� avute 
pronunce, spesso discordi della Corte. � nostro intento affrontare obiettivamente il problema 
tenuto conto della assoluta mancanza, in seno all'art. 12, di riferimenti a tali limitazioni quasi 
�negoziali� del rapporto d'imposta, presente per�, ad esempio, nel successivo T.U. Succ., 
tenendo anche conto della interpretazione in tal senso dell'Amministrazione finanziaria, invero, 
scarsamente motivata. 

L'avviso dovr� contenere altres� la motivazione dell'accertamento; ora, se si fa mente 
all'art. 51 T.U.R., si osserva che l'Ufficio pu� basarsi su �ogni altro elemento di valutazione�. 
Tali sono le rendite catastali attribuite dall'U.T.E. a seguito della istanza ex art. 12 del d.l. 

n. 70/1988. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

509 

(omissis) 

1. Con atto registrato il 3 luglio 1989 Mario Pietron ha venduto alcuni 
immobili, del valore dichiarato di L. 20.000.000, affermando di volersi avvalere del 
disposto dell'art. 12 del d.I. 14 marzo 1988, n. 70, convertito in legge 13 maggio 
1988, n. 154 e chiedendo, con successiva istanza del 7 agosto, all'UTE 
l'attribuzione della rendita. Poich�, tenendo presente la rendita attribuita, la 
valutazione dei cespiti, in applicazione del criterio automatico previsto dall'art. 52 
del d.P.R. n. 131del1986, doveva essere determinata in L. 52.800.000, l'ufficio ha 
notificato avviso di liquidazione dell'imposta corrispondente a tale valore. Gli eredi 
di Mario Pietron, Maria Grazia e Giuseppe, hanno impugnato tale avviso sostenendo 
che l'atto doveva essere considerato, sostanzialmente, come un atto d'accertamento 
e che lo stesso era nullo per difetto di motivazione; comunque, il valore accertato 
era eccessivo. La commissione tributaria di primo grado di Trieste ha accolto il 
ricorso affermando che l'ufficio, constatato che il valore determinato 
automaticamente sulla base della rendita catastale era superiore a quello dichiarato, 
avrebbe dovuto emettere avviso di accertamento. 
Pertanto, se la stessa legge stima sufficiente e credibile il ricorso al valore parametrico, deve 
ritenersi congruo, sotto il profilo motivazionale, l'avviso di accertamento e liquidazione che si 
limiti a liquidare la differenza tra l'imposta dovuta nel valore parametrico e quella dovuta nel 
dichiarato. 

2. -Questa prima conclusione pu� essere estesa anche agli atti anteriori al 1� gennaio 1996. 
Infatti, un avviso di liquidazione cos� concepito contiene l'accertamento; � formalistico 
pretendere il rispetto della vetusta sequenza procedimentale se i due atti, perfettamente motivati, 
sono spediti insieme. 
Naturalmente, l'atto in questione potr�, se impugnato, essere provvisoriamente riscosso solo 
parzialmente, secondo le norme vigenti per il vecchio accertamento. 

IL NUOVO TESTO DELL'ART. 52, PRIMO COMMA, T.U.R. 

3. -L'art. 3, comma 135, della legge 29 dicembre 1995, n. 549 (collegato alla legge 
finanziaria per l'anno 1996), nel sostituire le norme in riferimento, ha eliminato la storica sequenza 
procedimentale, che all'accertamento, inteso come atto di pura valutazione, faceva seguire l'avviso 
di liquidazione, atto di pura determinazione del dovuto, con una inutile duplicazione di attivit� (e 
di contenzioso) ormai propria delle sole imposte indirette. Tanto nelle imposte dirette quanto 
nell'l.V.A., infatti, l'avviso di accertamento o di rettifica cumula le due funzioni. 
Il nuovo �avviso di rettifica e di liquidazione� (applicabile, ex art. 13 del d.lgs. n. 347/1990 
anche alle imposte ipocatastali, per gli artt. 56 del d.P.R. n. 637/1972 e 60 T.V. succ. e quello delle 
donazioni, per l'art. 20 del d.P.R. n. 643/1972 (1) all'INVIM) era stato introdotto, 
precedentemente, anche per l'imposta di successione dall'art. 34 T.U. succ. 

La novella, riguardante il procedimento, deve ritenersi applicabile a tutti gli accertamenti, 
anche relativi ad atti anteriori, posti in essere dal 1� gennaio 1996. 

4. -Questo ventaglio di soluzioni non soddisfa per� molti dei problemi posti dalla 
normativa del d.l. n. 70/1988. 
(1) Invero tale norma sembra riguardare l'accertamento in s� che deve essere effettuato secondo le 
disposizioni in materia di registro o successione, ma lart. 21 estende tale richiamo alla riscossione e quindi alla 
liquidazione con piena applicabilit�, a nostro parere, dell'art. 52, primo comma, nuovo testo. 

RASSEGNA AVVOCA'.IURA DELLO STATO

510 

La decisione � stata confermata dalla commissione regionale che ha affermato 
che nella specie doveva trovare applicazione l'art. 52, 1� comma del d.P.R. 131/86, 
espressamente richiamato dall'art. 12 del d.1. 154/88 e che, pertanto, l'avviso di 
liquidazione poteva essere emesso solo dopo che era divenuto definitivo l'avviso di 
accertamento, debitamente motivato. Pertanto il maggior valore accertato doveva 
formare oggetto di avviso di accertamento. Osserva anche il giudice tributario che 
solo il comma 135, lettera a) dell'art. 3 della legge 549 del 1995 aveva previsto che 
nelle ipotesi di cui si tratta l'ufficio potesse ricorrere all'avviso di rettifica e di 
liquidazione. 

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'amministrazione 
finanziaria. 

4.1. -In primo luogo, non � chiaro se il contribuente debba essere comunque vincolato alla 
determinazione dell'imposta secondo il valore parametrico (che egli stima all'atto della 
dichiarazione, ma che pu� essere superiore). Qui si inserisce il sicuro diritto a contestare in 
giudizio le determinazioni censuarie e il rapporto tra le due cause �, sicuramente, di 
pregiudizialit�, s� che quella sull'avviso ex art. 52 dovrebbe essere sospesa in attesa della 
definizione della controversia censuaria. 
4.2. -Ci� posto, va rilevato che, secondo l'art. 12 del d.l. n. 70/1988, il contribuente chiede 
di avvalersi dell'art. 52, quarto comma, del T.U.R. (o dell'art. 26, quinto comma, del d.P.R. 
n. 637/1972), cio� di una norma che pone un limite all'Ufficio, vincolandolo a non accertare un 
valore maggiore di quello parametrico, e tale richiesta � motivata dalla circostanza che il bene 
trasferito non ha ancora la rendita. In difetto, sia l'Ufficio sia il contribuente avrebbero una 
assoluta libert� d'azione -il primo -ed al contempo di opposizione l'altro. 
4.2.1. -Tale spunto argomentativo ha condotto la Suprema Corte ad affermare che ricorrendo 
l'ipotesi in commento (ed oggigiorno, concorrendo la pregressa disciplina dell'art. 52 
T.U.R. vecchio testo e un atto che assolutamente non motivi sul valore) sarebbe sempre 
necessario l'atto di accertamento. Anche se tale conclusione, nella sua assolutezza va rigettata, 
per la dimostrata indifferenza dell'ordinamento al cumulo dei due atti in unico formale 
documento, il suo significato profondo � quello di negare che con l'istanza ex art. 12 il 
contribuente si vincoli ad una certa determinazione del valore, pari ad un multiplo della futura 
rendita catastale (futura e, aggiungeremmo, definitivamente accertata). 
Ci�, in quanto il comma quarto introduce limiti e non configura metodi. 

LA DIVERSA IPOTESI DEL T.U. SUCC. 

Il d.lgs. 31ottobre1990, n. 346, all'art. 34 fonde i testi dell'art. 26 del d.P.R. n. 637/1972, 
come novellato dall'art. 8 della legge n. 880/1986 con la introduzione di norma analoga 
all'art. 52, quarto comma, del T.U.R. e dell'art. 12 del d.l. 70/1988. 

Il comma quarto dell'art. 34 cit., nel fondere nella norma sull'accertamento l'art. 12 del d.l. 

n. 70/1988, prevede espressamente che nel caso di presentazione della istanza di attribuzione 
della rendita l'Ufficio debba limitarsi, se il valore dichiarato � inferiore a quello parametrico, a 
liquidare l'imposta differenziale, senza alcuna sanzione e con i soli interessi. 
Non sembra che il legislatore delegante abbia conferito lo specifico mandato di introdurre 
norme radicalmente innovative; sta di fatto che l'aggiunta chiarificatrice, anche se non 
espressamente interpretativa, deve, nei limiti del possibile, poi tendere a un'interpretazione 
uniforme della disciplina della stessa materia (accertamento di maggior valore di immobili e 
limiti dell'Ufficio in caso di immobili non censiti) nel campo delle imposte di successione e di 
registro (e relative imposte accessorie). 


PARTE I, SEZ. V, GillRISPRUDENZA TRIBUTARIA 

511 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. Deducendo la violazione art. 12 della legge n. 154 del 1988, degli articoli 52 
e 57 del d.P.R. 131 del 1986 e il vizio di extra e ultrapetizione, l'amministrazione 
finanziaria sostiene che i contribuenti non avevano mai dedotto che il recupero della 
maggiore imposta non potesse avvenire con avviso di liquidazione e che, pertanto, 
accettando la tesi secondo cui nella specie l'avviso di liquidazione impugnato era 
illegittimo, perch� non preceduto dalla notifica di un motivato atto di accertamento 
del maggior valore, il giudice tributario aveva pronunciato al di fuori dei motivi di 
impugnazione dedotti. Comunque, aggiunge la ricorrente sarebbe infondata la tesi 
accolta dal giudice tributario, secondo la quale, nel caso in cui il contribuente 
dichiari di volersi avvalere del disposto dell'art. 12 del d.l. 14 marzo 1988, n. 70, 
LA RATIO LEGIS 
Dalla lettura degli atti processuali si ricava l'impressione che l'Amministrazione finanziaria 
ricerchi ogni sorta di automatismo per eludere l'onere di motivare (valga per tutte la 
giurisprudenza sull'art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973). Questa potrebbe -senza facili ironie ma 
in una chiave di lettura che si dia conto delle difficolt� della Pubblica Amministrazione -essere 
una possibile -ma inaccettabile -lettura della intenzione del legislatore. Semplificare il giudizio 
sul �movente� � poi censurabile quando si pensa che il cittadino dovrebbe vedersi attribuire una 
rendita catastale in termini ragionevolmente brevi e che, di conseguenza, l'inefficienza del catasto 
non pu� influire sulla �comodit�� che il sistema parametrico ha concesso: quella di sfuggire ad una 
valutazione certissima e di �erodere� l'imponibile eccedente il valore parametrico. 

2. -Bisogna, poi, osservare come l'art. 12 imponga al contribuente �non censito� ben due 
istanze, una nell'atto (o nella denunzia di successione) da presentare all'Ufficio del Registro e 
l'altra all'U.T.E., per ottenere un provvedimento che costituisca atto dovuto. 
Sono guai, poi, se si spedisce l'istanza per posta e se la ricevuta della seconda istanza non � 
inviata all'Ufficio del Registro. Tutti questi adempimenti (consistenti in passaggi di carte tra 
uffici) devono avvenire a cura del contribuente. 

3. -Di questa norma cos� mal formulata e poco edificante interessa solo l'ultima parte. 
Come ben ha posto in rilievo la Suprema Corte, l'Ufficio, se l'istanza non � rituale, procede ai 
sensi dell'art. 52, primo comma, T.U.R. (cio� effettua un accertamento ordinario). 
Evidentemente, nel caso contrario e fisiologico, l'Ufficio procede a norma del comma quarto. 
Qui, per�, c'� un vuoto da riempire. Il comma quarto pone limiti e non indica metodi. Il vuoto va 
colmato nell'evidente senso che, se l'istanza � rituale, l'Ufficio non procede a rettifica; al 
cittadino (gi� in credito morale per non avere avuto a suo tempo la rendita assegnata) nulla si pu� 
chiedere oltre l'imposta che avrebbe pagato se tale dato gli fosse stato noto. 
Tale conclusione deriva: 

a) dal precetto negativo del comma quarto �Non sono sottoposti a rettifica�, che impone 
di vincolare l'Ufficio a non effettuare rettifiche negli stessi limiti (parametri) della norma 
richiamata; 

b) dal corollario che, se vi � uno scarto (favorevole per l'Erario) tra valore dichiarato e 
parametrico, l'imposta differenziale � esigibile. 

4. -Tale interpretazione mette il contribuente in condizione di non pagare nulla di pi� di 
quello che corrisponde al valore dichiarato o (se superiore) a quello parametrico, esattamente 
come i beati possidentes di immobili accatastati compiutamente, cos� realizzando del tutto le 
esigenze perequative che costituiscono la principale ratio legis. Ed � un'interpretazione conforme 
all'art. 34, sesto comma, del T.U. Succ. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ..

512 

convertito in legge 13 maggio 1988, n. 154, le imposte dovute per effetto della 
determinazione del valore mediante l'applicazione del meccanismo automatico 
previsto dall'art. 52, 4� comma del d.P.R. 131del1986, dovrebbero essere richieste I con avviso di accertamento di maggior valore e non con avviso di liquidazione. 
Infatti, nella fattispecie di cui si tratta l'amministrazione finanziaria non farebbe uso 

I 

di alcun potere valutativo, ma determinerebbe il maggior valore in conformit� con 

quanto richiesto dallo stesso contribuente. 

2. Il ricorso � fondato, per quanto di ragione. 
Non merita accoglimento, infatti, la censura di ultra o extrapetizione, perch� il 
contribuente ha sostenuto fin dall'atto introduttivo del presente giudizio che nella 

I

0 

specie l'amministrazione, a seguito dell'attribuzione della rendita catastale, doveva 
emettere motivato avviso di �ccertamento del maggior valore risultante 
dall'applicazione dei criteri automatici, previsti dall'art. 52, 4� comma d.P.R. 31 del 
1986, e che proprio in conseguenza della denunciata omissione doveva considerarsi 
nullo l'avviso di liquidazione impugnato. 

Nel merito, tuttavia, il ricorso merita accoglimento. 

Si pu�, quindi, concludere: 
a) l'Ufficio non pu� che pretendere la differenza di imposta calcolata sui valori 
parametrico e dichiarato, escluso ogni aumento d'imponibile oltre il parametro; 
b) il contribuente � vincolato all'imponibile parametrico (definitiva che sia la nuova 
rendita catastale); 

e) l'Ufficio procede, dal 1� gennaio 1996, con unico atto, e per legge, anteriormente pu� 
accumulare accertamento e liquidazione purch� ne risulti la motivazione, indicante la rendita 
attribuita; 

ti) � incolpevole il comportamento del contribuente che abbia sottostimato il bene, per cui 
nessuna sanzione � irrogabile; 

e) sono dovuti gli interessi, in quanto il contribuente non ha, in principio, corrisposto che 
un acconto, mentre l'obbligazione, anche se ancora illiquida, sorge per legge. 

DECADENZA E PRESCRIZIONE 

1. -Si controverte sui limiti temporali dell'esercizio del potere dell'Ufficio. 
In particolare, si sostiene che l'atto di recupero della differenza d'imposta sia soggetto al 
solo termine di prescrizione, non essendo applicabili le norme specificamente comminanti 
decadenze, ex art. 76 del T.U.R.. 

1.1. -Tale dubbio deve essere escluso per gli atti posteriori al 1� gennaio 1996. L'art. 76, 
comma primo bis, del T.U.R. (introdotto dalla stessa legge n. 549/1995 art. 3, comma 135) fissa, 
per l'avviso di rettifica e liquidazione, un termine decadenziale di due anni dal pagamento 
dell'imposta principale. 
2. -Ma ci� vale anche per gli atti anteriori, per i quali, ex art. 52, comma secondo, del 
T.U.R., vecchio testo, vigeva identica decadenza per l'accertamento. 
2.1. -L'art. 3, comma 135, della legge n. 549/1995, tenendo conto dell'unificazione degli 
ex avvisi di accertamento e di liquidazione nell'unico avviso �di rettifica e di liquidazione� ha 
modificato l'art. 76 ivi trasferendo la relativa decadenza. 
L'art. 76, secondo comma, del T.U.R., vecchio testo, non si riferiva che alla decadenza per 
il solo avviso di liquidazione, decorrente, per l'imposta complementare, dalla definitivit� di 
quello di accertamento (o dal giudicato sul medesimo) come previsto dalla lettera b) del vecchio 
testo. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

513 

Deve innanzi tutto osservarsi che la questione che si pone nella specie � stata 
risolta espressamente dal legislatore con l'art. 3, comma 135, lettera a) della legge 
28 dicembre 1995, n. 549, che, modificando il 1� comma dell'art. 52 del d.P.R. n. 131 
del 1986, ha previsto che, quando l'ufficio ritenga che i beni e i diritti trasferiti hanno 
un valore venale superiore al valore dichiarato o al corrispettivo pattuito, provvede 
con un solo atto alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta. 

La stessa questione conserva invece rilievo per gli atti formati in epoca 
anteriore alla data di entrata in vigore della legge n. 549 e (contrariamente a quanto 
affermato con la sentenza n. 1343 del 1999, senza particolare indicazione degli 

2.2. -Identica norma � specificamente prevista nel T.U. succ., dall'art. 34, sesto comma, 
per lo specifico caso dell'istanza ex art. 12 del d.l. n. 70/1988. 
Tanto risolve la questione, a nulla rilevando il lasso di tempo lasciato all'U.T.E. per 
provvedere (dieci mesi) che non � che un tempo infraprocedimentale. 

CONDONO EX LEGGE N. 413/1991 

1. -Si dubita se (per gli atti anteriori al 1� gennaio 1996) sia applicabile il condono sui 
recuperi differenziali di imposta, argomentando la soluzione negativa sulla natura liquidatoria 
dell'atto. Il caso � espressamente risolto dall'art. 53, quarto comma, della legge n. 413/1991 per 
l'ipotesi di irritualit� dell'istanza ex art. 12 del d.l. n. 70/1988 (che legittima, come visto, l'Ufficio 
all'accertamento ordinario) ritenendosi definibile la controversia al valore parametrico. 
2. -Ora, l'avviso in esame � impugnabile e contiene una valutazione (la rendita catastale) 
contestabile; non vi sono ragioni perci� -se il ricorso � attinente all'elemento valutativo -di 
non applicare la definizione di cui all'art. 53, primo comma. Inoltre, l'art. 53, primo comma, 
consente la definizione anche delle controversie in materia di liquidazione, per cui un'istanza in 
tal senso � ammissibile anche fuori dai casi di cui al primo comma. 
Quanto alla definizione previa (prima, cio�, della notifica dell'accertamento) ex art. 53, 
secondo comma, della legge n. 413/1991, non vi � motivo di escluderla se si pon mente alla sua 
sicura applicabilit� al contribuente, che avendo trasferito un immobile gi� censito, abbia 
dichiarato un valore inferiore a quello parametrico e sia, perci�, soggetto all'alea del futuro 
avviso di accertamento. La ratio perequativa del d.l. n. 70/1988 impone di non distinguere tra la 
situazione di costui e del contribuente che si sia avvalso dell'istanza ex art. 12. 

Per le stesse ragioni pu� applicarsi la definizione della lite pendente ex art. 2 quinquies del 

d.l. n. 564/1994 ed ex art. 9 bis del d.l. n. 79/1997, posto che l'avviso in questione � un atto di 
imposizione ai sensi del quarto comma, lettera a), dell'articolo e non una mera liquidazione; 
invece non � applicabile l'accertamento per adesione (artt. 2 ter del d.l. n. 564/1994 e 1 del d.P.R. 
n. 460/1996) per espressa disposizione di legge (cfr. l'ultima parte del comma primo dell'art. 2 
ter ed il comma terzo dell'art. 1 del regolamento citato). Tali restrizioni non sono, per�, presenti 
nel recente d.lgs. n. 218/1997; tuttavia poich� l'istanza ex art. 12 vincola ad un certo schema 
procedimentale ed all'accettazione di un certo valore del bene, si potrebbe fondatamente dubitare 
della possibilit� di interrompere tale procedimento, iniziato ad istanza di parte, per aprire la 
procedura di adesione. 
Invero, a differenza delle citate norme sulla definizione delle liti pendenti, aventi natura 
eccezionale, in cui si pu� giustificare -per il fine di eliminare l'arretrato da devolvere alle 
Commissioni insediatesi il 1� aprile 1996, un'abdicazione ai precedenti schemi; l'accertamento 
con adesione, che � istituto a regime, dovrebbe presupporre l'assenza di un previo atto negoziale 
volto a individuare l'attivit� accertativa. 

ROBERTO DE FELICE 



RASSEGNA AVVOCA'.I1JRA DELLO STATO

514 

argomenti a sostegno della tesi accolta) deve essere risolta nel senso che, nel caso in 
cui il contribuente abbia chiesto l'applicazione dell'art. 12 della legge n. 154 del 
1988, quando l'ufficio rileva che il valore derivante dall'applicazione dei criteri 
automatici previsti dal quarto comma dell'art. 52 cit. � superiore a quello dichiarato, 
non deve fare altro che richiedere la maggiore imposta dovuta con la notifica di un 
avviso di liquidazione. 


A tale conclusione si deve pervenire, innanzi tutto, sulla base dello stesso 
tenore letterale dell'art. 12 del d.l. 14 marzo 1988, n. 70, convertito con 
modificazioni in legge 13 maggio 1988, n. 154, che espressamente richiama il solo 
4� comma dell'art. 52 del d.P.R. n. 131 del 1986 (e dell'art. 26, quinto comma del 

d.P.R. n. 637 del 1972, aggiunto al testo originario con l'art. 8 della legge n. 880 
del 1986) e non anche il 1� comma della stessa disposizione. E poich� il 
meccanismo di determinazione (automatica) del valore del bene disciplinato dal 
quarto comma � alternativo rispetto a quello di cui al primo comma, ne deriva che, 
quando trova applicazione l'art. 12 della legge n. 154, l'ufficio non pu� ricorrere al 
potere di rettifica o di accertamento, ma deve limitarsi a procedere alla 
determinazione automatica del valore. L'alternativit� tra l'applicazione dell'art. 52, 
4� comma e l'emissione dell'avviso di accertamento o di rettifica, oggetto del 
primo comma della stessa disposizione, � resa ancora pi� evidente, d'altra parte, 
dall'ultima proposizione dell'art. 12, 1� comma della legge n. 154 del 1988, 
! 

secondo cui, in caso di mancata presentazione della ricevuta dell'istanza di I 
attribuzione della rendita catastale nel termine di sessanta giorni dalla formazione i 
dell'atto da registrare �l'ufficio procede ai sensi dell'art. 52, comma primo� del I 

d.P.R. 131/86. 
La tesi sostenuta, d'altra parte, � del tutto coerente con il sistema, nel quale 
l'avviso di rettifica o di accertamento di maggior valore � il risultato dell'esercizio 

I

della discrezionalit� tecnica dell'ufficio, mentre nell'ipotesi in cui il valore debba 
essere determinato senza alcuna discrezionalit� (sia pure solo tecnica), in 
applicazione di mere operazioni aritmetiche, non avrebbe senso ricorrere a un atto 
espressione di poteri valutativi. Peraltro appare anche contraddittorio ammettere che 

l

il contribuente, dopo aver chiesto che il valore del bene sia determinato in modo 

automatico, possa poi rimettere in discussione tutto il rapporto tributario 

contestando la valutazione stessa. 

N� la soluzione accolta pregiudica il diritto del contribuente di tutelare, anche 
in sede giurisdizionale, la propria situazione soggettiva, perch�, come ha osservato 
la Corte costituzionale, con la sentenza n. 463 del 1995, che ha dichiarato non 
fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 12 d.l. 14 marzo 1988 

n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 13 maggio 1988 n. 154, l'interessato 
ben pu� ricorrere al giudice tributario (ex art. 2, 3� comma del d.lgs. n. 546 del 1992, 
cos� come, in precedenza, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1 del d.P.R. 636 del 
1972) avverso l'atto di classamento, potendo dimostrare in sede giudiziaria la non 
conformit� ai parametri legali della valutazione del bene. 
In accoglimento del ricorso la sentenza della commissione tributaria regionale 
deve essere cassata e poich� non � necessario alcun altro accertamento dei fatti, 
decidendo nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., pu� rigettarsi l'impugnazione 
dell'avviso di liquidazione. (omissis) 


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SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. VI, 3 novembre 1998 -25 novembre 1998, n.12357 
-Pres. Pisanti -Est. Assennato -P.M. Paciotti (conf.) -Imp. Giovannelli -p.c. 
Ministero Finanze ( avv. Stato Greco). 

Delitti contro la Pubblica Amministrazione -Corruzione -Pagamenti di somme 
a pubblici ufficiali: regalie d'uso -Esclusione. 
(codice penale artt. 318 e 319). 

Delitti contro la Pubblica Amministrazione -Corruzione -Atto contrario ai 
doveri d'ufficio -Necessit� di specifica individuazione -Esclusione. 
(codice penale art. 319). 

Delitti contro la Pubblica Amministrazione -Corruzione -Atto contrario ai 
doveri d'ufficio -Specificazione in una pluralit� di singoli atti -Possibilit�. 
(codice penale art.319). 

In tema di reati di corruzione, i pagamenti di somme effettuati da societ� 
sottoposte a verifiche fiscali, al fine di ottenere, dai pubblici ufficiali coinvolti a vario 
titolo nelle stesse, un trattamento di favore, non possono essere considerati �regalie 
d'uso� o �donativi di cortesia� (intendendosi per tali soltanto quelli che, per la loro 
oggettiva modicit�, non sono idonei ad esercitare influenza sul compimento dell'atto 
d'ufficio, in modo da non apparire quale corrispettivo di quest'ultimo, proprio in 
ragione della manifesta sproporzione rispetto all'atto del pubblico ufficiale). 

Ai fini della configurabilit� del reato di corruzione propria, ai sensi dell'articolo 
319 codice penale, l'atto oggetto dell'accordo illecito non deve essere individuato 
nei suoi specifici connotati, essendo sufficiente che esso sia individuabile in funzione 
della competenza e della concreta sfera di intervento del pubblico ufficiale, cos� da 
essere suscettibile di specificarsi in una pluralit� di singoli atti non preventivamente 
programmati, ma pur sempre appartenenti al �genus� previsto. Una situazione del 
genere ricorre ogni qual volta il pubblico ufficiale si ponga a disposizione del 
privato, in violazione dei doveri d'imparzialit�, onest� e vigilanza. (1) 

(1) Compensi ai militari della Guardia di Finanza: �regalie d'uso� o oggetto materiale 
di �corruzione�? 
La sentenza in esame affronta il problema dell'esatta qualificazione giuridica della 
fattispecie consistente nel versamento di somme di denaro a finanzieri, da parte di imprese 
soggette a verifiche fiscali. Rigettando il ricorso, la Suprema Corte ribadisce la sussistenza, nel 
caso di specie, del delitto di �corruzione propria� -ai sensi dell'articolo 319 codice penale e 
ne individua i tratti distintivi rispetto alla fattispecie corruttiva impropria, con particolare 
riguardo ai connotati dell' �atto contrario ai doveri d'ufficio�. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STA'TIY

516 

IN DIRITTO 
(omissis) 


Il ricorso � infondato. 

Di vero, secondo il ben radicato orientamento di questa Suprema Corte in tema 
di corruzione, per �regalie� e in genere �donativi di pura cortesia� si devono 
intendere soltanto quelli che per la loro oggettiva modicit� escludono la possibilit� 
d'influenza sul compimento dell'atto d'ufficio, in modo da non apparire quale 
corrispettivo di quest'ultimo (v. Cass., VI, 1� dicembre 1989 n. 16837, rv. 182739). 
In altri termini la dazione di piccoli doni o di omaggi di cortesia non deve assumere 
valore e significato di retribuzione, proprio in ragione della manifesta sproporzione 
rispetto all'atto del pubblico ufficiale, dato che nel concetto di retribuzione � sempre 
insita un'idea di adeguatezza e di corrispettivit� (Cass., VI, ud. p. 6 maggio 1998, 

P.G. C!foma e altro, ancora non massimata). 
In primo luogo, la Suprema Corte richiama la propria precedente giurisprudenza in tema di 
�regalie d'uso� o �donativi di pura cortesia� (v. Cass. VI, 1 dicembre 1989 n. 16837; Cass. VI, 
6 maggio 1998, P.G. C/Toma) e ne esclude la configurabilit�, nella fattispecie in esame, alla luce 
di considerazioni che meritano particolare attenzione. 

Come � noto, oggetto materiale della condotta, nella corruzione impropria, � �Una 
retribuzione in denaro o altra utilit��, nella corruzione propria �denaro o altra utilit��. Per quanto 
concerne il concetto di �retribuzione�, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che 
l'utilit�, dovendo operare come retribuzione, deve essere proporzionata all'atto compiuto -o 
che deve essere compiuto -dal pubblico ufficiale, ed agire come compenso, come controprestazione 
di quest'ultimo. Non costituirebbero, perci�, ipotesi di corruzione quelle in cui il 
pubblico ufficiale ha compiuto l'atto solo per motivi sentimentali (piet�, amicizia), i c.d. munuscula, 
i piccoli omaggi di cortesia (fiori, tabacco), i doni di propaganda commerciale di modico 
valore (cfr. FIORE C., Idoneit� dell'azione, elemento psicologico e adeguatezza sociale nella 
questione dei munuscola, in Foro penale, 1966, 414 ss.; Cass. pen., 7 giugno 1969, CAVAGNOLI, 
in Cassazione penale Mass., 1970, 1140; Cass. pen., 10 aprile 1986, PECORARO, in Rivista penale, 
1987, 486; Cass. pen., 11luglio1989, VOLPI, in Rivista penale, 1990, 669). 

Al riguardo, secondo un orientamento ormai consolidato, le regalie d'uso possono 
escludere la configurabilit� solo del reato di corruzione per il compimento di un atto d'ufficio, 
come previsto dall'articolo 318 codice penale, mai di quello di corruzione per atto contrario ai 
doveri d'ufficio, di cui all'articolo 319 codice penale, perch� solo nel primo caso � possibile 
ritenere che il piccolo donativo di cortesia non abbia avuto influenza nella formazione dell'atto 
stesso (Cass. VI, 17 luglio 1990 n. 10414; Cass. VI, 16 marzo 1995 n. 2804). 

L'elemento di differenziazione tra la �remunerazione� e il �dono�, costituente solo manifestazione 
di cortesia senza alcun carattere retributivo, � dato dalla natura e dall'entit� dell'utilit� 
destinata al pubblico ufficiale e che � indubbiamente remunerativa allorch� trattasi di somma di 
denaro. Come statuito dalla Suprema Corte, in relazione al delitto di �istigazione alla corruzione�, 
non rileva, infatti, la tenuit� della somma di denaro o del valore della cosa offerta al pubblico 
ufficiale: tale tenuit� non soltanto non esclude il reato, ma addirittura lo pu� rendere maggiormente 
lesivo del prestigio del pubblico ufficiale, ritenuta persona suscettibile di venir meno ai doveri 
accettando una offerta anche minima (v. in tal senso, Cass. 14 marzo 1996, n. 2714). 

Nell'ipotesi di corruzione propria, si pu�, pertanto, convenire con quella parte della dottrina 
che -in aderenza col dato normativo, che non richiede una retribuzione ma parla solo di denaro 

o altra utilit� -ritiene non rilevi il concetto della controprestazione: trattandosi di atti contrari ai 
doveri d'ufficio, qualunque compenso, anche il pi� modesto, realizzerebbe corruzione (in tal 
senso, LEVI N., Delitti contro la pubblica amministrazione, in Trattato di diritto penale, Milano, 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

517 

Su altro versante e sempre secondo l'orientamento consolidato di questa 
Suprema Corte, l'individuazione -da parte dei contraenti il <<pactum sceleris� 
-dell'atto e del comportamento contrari ai doveri d'ufficio ricorre anche quando 
la controprestazione della dazione o della promessa dell'utilit� sia costituita 
da un comportamento del pubblico ufficiale ben determinato nel suo contenuto, 
anche se suscettibile di specificarsi in una serie di atti singoli, non specificatamente 
previsti e programmati (Cass., VI, 29 ottobre 1985 n. 9998 rv. 170893). 
In altri termini, l'atto oggetto dell'accordo illecito non deve essere individuato 
nei suoi specifici connotati, essendo sufficiente che esso sia individuabile in funzione 
della competenza e della concreta sfera di intervento del pubblico ufficiale, 
cos� da essere suscettibile di specificarsi in una pluralit� di singoli atti non 
preventivamente fissati o programmati, ma pur sempre appartenenti al �genus� 
previsto. 

1935, 269; GJANNITI F., Studi sulla corruzione del pubblico ufficiale, Milano, 1970, 72 ss.; in 
termini critici, cfr. MANzINI V., Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1962, 224; PAGLIARO 
A., La retribuzione indebita come nucleo essenziale dei delitti di corruzione, in Rivista italiana 
di diritto e procedura penale, 1974, 57). 

Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha correttamente respinto le doglianze del 
ricorrente, che, pur confessando pienamente i fatti addebitati, deduceva di non aver commesso 
alcun �atto contrario ai doveri d'ufficio�, affermando di aver percepito le dazioni in questione 
quali �regalie�, e ritenendo erronea la qualificazione giuridica adottata dai giudici di merito: a suo 
dire, non essendovi agli atti traccia alcuna del <<pactum sceleris� e, in particolare, della predeterminazione, 
da parte del privato, degli atti che il pubblico ufficiale avrebbe dovuto compiere, si 
sarebbe dovuta escludere la ricorrenza di una ipotesi corruttiva, o, perlomeno, configurarla quale 
�corruzione impropria� e non �propria� (non costituendo l'entit� delle somme versate discrimine 
utile, a tale riguardo). 

Appare opportuno evidenziare, innanzitutto, come l'importo percepito -oscillante tra i 
centoventi e i trecento milioni -non possa essere ragionevolmente considerato �donativo di 
pura cortesia�: anche a voler ritenere l'atto �non contrario ai doveri d'ufficio� (diversamente da 
quanto sostenuto, a ragione, dalla Suprema Corte), � manifesto il carattere di �corrispettivo� della 
somma versata e, comunque, la sua non �oggettiva modicit��, con la conseguente influenza sulle 
determinazioni del pubblico ufficiale. 

D'altra parte, ai sensi dell'articolo 3 del D.M. 31marzo1994 (Codice di comportamento dei 
dipendenti delle pubbliche amministrazioni), �Il dipendente non chiede, per s� o per altri, n� 
accetta, neanche in occasione di festivit�, regali o altre utilit�, salvo che si tratti di regali d'uso di 
modico valore, da soggetti che abbiano tratto o possano trarre benefici da decisioni o attivit� 
inerenti all'ufficio�: non sembra, nel caso di specie, configurabile un semplice �regalo� dettato 
da particolare sensibilit� e cortesia del titolare della impresa, e ricevuto per altrettanta sensibilit� 
e cortesia dal pubblico ufficiale! 

L'impostazione seguita dalla Suprema Corte sembra, comunque, aderire a quell'orientamento 
giurisprudenziale (Cass. VI, 6 settembre 1990, n. 12192) secondo il quale il delitto di 
corruzione � ravvisabile anche nel caso di �tenuit�� della somma o dell'utilit�, perch� la lesione 
giuridica prodotta dal reato attiene -come sopra evidenziato -al prestigio e all'interesse della 
pubblica amministrazione e prescinde, pertanto, dalla proporzionalit� e dall'equilibrio tra l'atto 
d'ufficio e la somma corrisposta. 

E non vi � dubbio che, in materia di oggetto giuridico dei reati di corruzione, l'aggancio 
costituzionale sia riscontrabile nell'articolo 97 della Costituzione, che costituisce il precetto 
fondamentale del sistema di organizzazione della Pubblica Amministrazione. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STX:f(J"0

518 

Una situazione del genere ricorre ogni qual volta il pubblico ufficiale si ponga 
a disposizione del privato in violazione del dovere d'imparzialit�, onest� e vigilanza, 
non essendo in tal caso possibile prevedere specifici atti e mirando il privato ad 
assicurarsi un ampio e generale atteggiamento di favore da parte del pubblico 

ufficiale (Cass., VI, ud. p. 25 febbraio 1998, Ferrovie dello Stato e altri, ancora non 
massimata). 

E se l'illegittimit� dell'atto pu� indubbiamente costituire l'indice rivelatore 
della sua contrariet� ai doveri di ufficio, la previsione di reato pu� essere realizzata 
anche e soltanto attraverso atti comportanti la violazione di un qualsiasi dovere 
d'ufficio e soprattutto di quello dell'imparzialit�. 

Di conseguenza, la corrispondenza dell'atto ai requisiti di legge non esclude 
l'asservimento della funzione, per denaro, agli interessi privati, sempre che la viola-

I 

Un'altra questione di diritto penale sostanziale, affrontata dalla Corte di Cassazione, che 
merita di essere segnalata in questa sede, � quella concernente i requisiti dell' �atto contrario ai 
doveri d'ufficio�, necessari per la configurabilit� del delitto di �corruzione propria�. 

I

� da condividersi, innanzitutto, la decisione della Suprema Corte laddove respinge la 
doglianza dell'imputato (il quale ribadisce la mancanza, nel caso di specie, di un �atto illecito�) 
sul rilievo che, sebbene l'illegittimit� dell'atto pu� costituire sentore della sua contrariet� ai 
doveri d'ufficio, la fattispecie di cui all'articolo 319 codice penale pu� essere integrata anche e 
soltanto da atti �formalmente� conformi alla legge, ma �sostanzialmente� in violazione di un 
qualsivoglia dovere d'ufficio. Tale affermazione � in linea con il consolidato orientamento della 

IIgiurisprudenza che identifica l'elemento materiale del delitto di �corruzione propria� nel fatto di 
corrompere il pubblico ufficiale, cos� da indurlo a violare i doveri di fedelt�, imparzialit� ed 
onest�, ovvero di obbedienza, segretezza e vigilanza (Cass. VI, 10 maggio 1985, n. 4562; Cass. 
VI, 6 settembre 1990, n. 12168; Cass. VI, 20 maggio 1993, n. 5227, in Rivista penale, I, 1994, �: 
28; Cass. VI, 22 marzo 1995, n. 3052. In dottrina, v. A. PAGLIARO, Corruzione per il compimento * 
di atto discrezionale, in Giurisprudenza costituzionale, 1979, 443 e A. TENCATI, La corruzione 
per atti indebiti nel recente trend legislativo, in Rivista penale, 1993, 145). 

Nel caso in esame � palese il sinallagma tra la dazione di denaro, da parte della societ�, e la 
condotta in cambio dovutale dal pubblico ufficiale, il quale, nell'esercizio delle sue funzioni di 
controllo propriamente �fiscale�, si obbliga ad usare una diligenza e attenzione �diverse� da quelle 
di regola impiegate nei confronti delle imprese non paganti, come risulta dalla confessione 
dell'imputato. N� vale obiettare che gli atti contrari ai doveri d'ufficio debbano essere, sin 
dall'inizio, pattuiti e stabiliti con puntuale precisione. A tale proposito, il giudice di legittimit�, 
richiamata la propria precedente giurisprudenza in materia (Cass. VI, 29 ottobre 1985 n. 9998), ha 
ritenuto che non sia necessaria la specifica individuazione dell'atto, oggetto dell'accordo illecito, 
essendo sufficiente che esso sia individuabile in relazione alla sfera operativa del pubblico 
ufficiale, s� da essere suscettibile di specificarsi in una pluralit� di singoli atti non prefissati. 

Una conferma di tale ultima considerazione � riscontrabile in tema di �corruzione propria 
antecedente�: poich� dal momento consumativo del delitto esula l'effettivo compimento dell'atto 
(tanto che il reato si configura anche se il pubblico ufficiale non faccia seguire, all'accettazione 
della promessa o alla ricezione del denaro, l'atto che si � impegnato a compiere), la mancata 
individuazione, in concreto, del singolo atto o comportamento che avrebbe dovuto essere 
compiuto dal pubblico ufficiale, non fa venir meno il delitto, qualora si accerti che la consegna 
del denaro o di altra utilit� venne effettuata in ragione delle funzioni esercitate dal pubblico 
ufficiale e al fine di compensarne i favori (in tal senso, Cass. VI, 4 novembre 1998, n. 11507, in 
Rivista penale, 1999, Massimario; Cass. VI, 20 novembre 1997, n.1972, in Rivista italiana di 
diritto e procedura penale, 1999, I, 344). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

519 

zione del dovere d'imparzialit� si risolva in un'inottemperanza specifica inerente al 
contenuto e alle modalit� dell'atto da compiere (cfr. Cass., VI, ud. p. 10 marzo 1998, 
ancora non massimata). 

Ci� posto in diritto, la Corte osserva che il ricorrente dissimula, sotto le vesti 
surrettizie della violazione di legge denunziata, la realt� di una prospettazione dei 
fatti parzialmente diversa dalla ricostruzione fattane dai giudici di merito e di per s� 
inidonea a dar corpo e consistenza al vizio di legittimit� denunziato, di guisa che il 
ricorso deve essere rigettato sul punto. 

Per dovere di completezza si ritiene, tuttavia, di esaminare le acquisite risultanze 
anche sotto il profilo sostanziale e alla luce delle censure levate dal ricorrente a 
partire dalle sue incontestate ammissioni, come riportate nella sentenza impugnata. 

Invero lo stesso Giovannelli ha precisato, con riferimento alle varie imprese 
sottoposte a verifica, come il pagamento di tangenti �fosse un po' un'abitudine di 
queste aziende� e che, su opposto versante, se le imprese soggette a verifica fiscale 

Alla luce di tali considerazioni, per stabilire se un atto sia contrario o meno ai doveri d'ufficio 
e se, conseguentemente, debba configurarsi l'ipotesi criminosa dell'articolo 319 codice penale 
piuttosto che quella dell'articolo 318 codice penale, occorre avere riguardo non soltanto all'atto 
in s�, per verificarne la legittimit� o l'illegittimit�, ma anche alla sua conformit� a tutti i doveri 
d'ufficio o di servizio che possono venire in considerazione. Del resto, che in materia di corruzione 
la legittimit� dell'atto non sia sufficiente ad escludere la pi� grave fattispecie criminosa 
dell'articolo 319 codice penale, quando sia accompagnato dall'inosservanza di un dovere 
d'ufficio, si evince chiaramente dallo stesso dettato normativo che contempla, tra le ipotesi di 
�corruzione propria�,anche quella che si concreta nella retribuzione ricevuta per ritardare 
l'emissione di un atto dovuto, e cio� nella violazione di un dovere (quale quello di provvedere 
tempestivamente) che fa presumere la legittimit� dell'atto tardivamente emesso. 

Appare congrua, pertanto, la qualificazione di �Corruzione propria� attribuita, dalla Suprema 
Corte, ai fatti contestati all'imputato, con la conseguente irrilevanza dell'entit� della dazione, dato 
che una siffatta circostanza assume rilievo -come sopra evidenziato -soltanto nell'ipotesi di 
�corruzione impropda�,ai fini di un'eventuale riscontro del carattere di �gr�titudine� o �Cortesia� 
pi� o meno disinteressata (nella fattispecie in esame di certo non ricorrente). 

Nell'ipotesi di cui si discute, la ricezione di somme di denaro da parte dell'imputato, in 
concorso con altri militari della Guardia di Finanza, in occasione di verifiche fiscali, non pu� non 
implicare un <<pactum sceleris�: l'asservimento della funzione pubblica agli interessi privati si 
realizza, difatti, anche con una condotta di sistematico e generalizzato favoritismo dei pubblici 
ufficiali, che si evince da una serie di indizi opportunamente individuati, di recente, dalla Suprema 
Corte. In particolare, ne sono indici rivelatori: a) il preavvertimento della verifica fiscale; b) 
la richiesta, immediatamente successiva, del pagamento di somme determinate o determinabili; 
e) l'accordo sulle somme da versarsi (nel corso della verifica o dopo la conclusione della stessa); 
d) la suddivisione delle somme illecitamente percepite, anche in favore di soggetti diversi da 
quelli che in concreto hanno eseguito la verifica (in specie di superiori gerarchici) (v. in tal senso 
Cass. VI, 4 novembre 1998, n. 11507, Rivista penale 1998, 988). 

Se integra il reato de quo, ad esempio, la scelta discrezionale -da parte degli organi 
tributari -di uno piuttosto che un altro dei sistemi previsti dalla legge per l'accertamento ed il 
controllo delle dichiarazioni dei redditi, determinata dal vantaggio per il contribuente infedele 
(Cass. VI, 10 gennaio 1985, n. 177), a fortiori deve ritenersi �corrotto� il finanziere che s'impegna 
ad essere �meno fiscale, in modo da non intralciare l'operato dell'azienda�, ignorando 
assunzioni o retribuzioni in nero, false fatturazioni, irregolare tenuta dei libri contabili e quant'altri 
stratagemmi finalizzati a frodare il fisco. 



RASSEGNA AVVOCATtrRA DELLO STATO

520 

�pagavano, si faceva in modo di essere meno fiscali, in modo da non intralciare 
l'operato dell'azienda�. 

Sebbene la proposizione infinitiva �in modo da ...� sia nell'espressione correlata 
in funzione limitativa a quella principale �S� faceva in modo�, tali dichiarazioni 
denunziano all'evidenza il sinallagma che unisce la condotta delle imprese 
controllande a quelle dei pubblici ufficiali incaricati del controllo. 

Si deve anzi rilevare che, se nelle competenti sedi di merito si fosse indagato al 
fine di accertare le ragioni della curiosa �abitudine� -a dire dell'imputato contratta 
dalle imprese verificande e si fossero considerati significato e portata di 
quell'impersonale �S� faceva in modo...� usato dall'imputato e, all'evidenza, 
denunziante non soltanto la contrapposta e collettiva abitudine di profittare di quei 
pagamenti, ma, quel che � assai pi� grave, il totalizzante coinvolgimento dei militari 
del Corpo -ufficiali, sottufficiali, graduati e truppa -in servizio a Milano, i fatti 
di causa avrebbero potuto configurare a carico dell'imputato, in ragione della sua 
qualifica, il ben pi� grave delitto di cui all'art. 3 legge 9 dicembre 1941, n. 1383, e, 
in generale, il delitto di concussione in concorso. 

Si vuol dire che l'abitudine a pagare, contratta dalle imprese -come denunziata 
dall'imputato -potrebbe essere stata determinata da elementi di fatto divenuti 
notori nell'ambiente imprenditoriale col ripetersi delle ispezioni e delle verifiche per 

Non si ritiene rilevante, per quanto suggestiva, la giustificazione secondo cui la. verifica 
fiscale (che si sostanzia nella prolungata presenza, negli uffici, della Guardia di finanza, 
nell'intralcio alla normale attivit� aziendale, nella perdita d' immagine verso la clientela) debba 
essere al massimo accellerata, onde il compenso illecito ai pubblici ufficiali � destinato non gi� 
ad ottenere l'omissione di atti doverosi, quanto ad abbreviarne i tempi, pur nel rispetto delle regole: 
l'argomento non � tale da giustificare esborsi in denaro non certo esigui, specie se rapportati 
non tanto ai profitti imprenditoriali, quanto agli stipendi dei pubblici ufficiali. 

� indispensabile, comunque, -come evidenziato dalla stessa Corte, nella sentenza che si 
annota -la individuazione del �genus� degli atti oggetto dell'accordo corruttivo, venendo in 
difetto a mancare, addirittura, le premesse per poter verificare, prima di ogni altra indagine, se si 
verta in tema di corruzione propria o impropria e, nell'ambito di questa, se si tratti di corruzione 
antecedente o susseguente, date le conseguenze che la legge fa derivare dall'una o dall'altra 
fattispecie. 

Per completezza, si ritiene opportuno sottolineare che i fatti di causa avrebbero potuto 
configurare a carico dell'imputato, in ragione della sua qualifica, il ben pi� grave delitto di 
�collusione di militare della Guardia di finanza�, di cui all'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, 

n. 1383: trattasi di un reato proprio che si perfeziona con il semplice accordo fraudolento tra 
finanziere e privato, con pregiudizio economico della finanza, mentre ogni altra attivit� criminosa, 
commessa dal finanziere e consistente in accordi rafforzati dalla dazione di denaro o dalla 
promessa di compenso o di altra utilit�, non pu� considerarsi assorbita nel delitto di collusione, 
ma conserva la propria autonomia giuridica ed integra una distinta violazione della legge penale, 
che � quella inerente alla corruzione prevista dall'articolo 319 codice penale. 
Per quanto concerne, infine, la richiesta, formulata in subordine dall'imputato, di un pi� mite 
trattamento sanzionatorio, a ragione la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di 
merito: a fronte della prassi costante di corruzione, a cui ormai le grandi aziende e gli operatori 
della Guardia di finanza si erano adeguati, si ritengono congrue le pene inflitte, vicinissime ai 
minimi irrogabili. 

CARMELA PLUCHINO 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

cos� dire �benevole�, quali la condotta unanime tenuta dai militari del Corpo, 
operanti a Milano, la deliberata abolizione di effettivi controlli dei superiori nei vari 
gradi sulle varie verifiche, la predeterminazione delle quote spettanti in diversa 
misura a tutti i partecipanti e la programmata suddivisione dei proventi. La diffusa 
conoscenza di tali fatti e di tali condotte, unanimemente tenute dai militari, potrebbe 
infatti aver indotto i titolari delle varie imprese a temere foriero di gravi danni il 
mancato adeguamento a tale �abitudine� e a regolare di conseguenza la propria 
condotta. 

E per� portata reale e significato esatto dell'espressione predetta non risultano 
accertate n� nel corso delle indagini n� in dibattimento. 

La motivazione in punto adottata dai giudici di merito si deve quindi ritenere 
incensurabile in questa sede di legittimit� perch� adeguata alle risultanze acquisite, 
congrua alle norme applicate e immune da vizi logici, laddove essi hanno ritenuto 
esatta e rispondente ai principi di diritto, sopra brevemente richiamati, la qualificazione 
di corruzione propria attribuita ai fatti contestati all'imputato. 

� incontrovertibile infatti che la frase sopra brevemente esaminata sintetizza 
mirabilmente il sinallagma collegante la condotta di dazione del privato alla 
condotta in cambio dovutagli -secondo patti e non secondo legge -dal pubblico 
ufficiale, il quale proprio nell'esercizio delle sue funzioni di controllo propriamente 
fiscale e a causa di esse, si obbligava ad essere �meno fiscale�, vale a dire ad essere 
meno attento e meno diligente rispetto alla misura di diligenza e di attenzione 
dovuta e di regola applicata nei confronti dei non paganti, cio� ad applicare le leggi 
e i regolamenti fiscali non soltanto come atti ispirati ad una liberalit� imprevista 
dalla legge e, comunque, denegata alla generalit� dei cittadini non paganti; ma ad 
applicarli con delicatezza e tatto diversi e maggiori dell'ordinario e del dovuto �in 
modo da non intralciare l'operato dell'azienda�: sono evidenti in ci� la dismissione, 
dall'imputato e dai suoi complici, voluta dietro compenso e in ragione di esso, del 
dovere di correttezza, di diligenza, di onest� e, soprattutto, d'imparzialit�, e la 
comune volont� di costui e dei correi di favorire a pagamento le imprese visitate, 
adeguando la propria condotta non gi� al dettato della legge, ma, secondo le 
opportunit� offerte dalla complessa attivit� di verifica, al fine di ignorare assunzioni 

o retribuzioni in nero, trasferimenti di merci senza fattura, false fatturazioni, 
irregolare tenuta dei libri contabili, distrazione di fondi e quant' altri stratagemmi 
posti in opera per frodare il fisco dall'impresa sottoposta a verifica. 
Coerentemente i giudici di merito hanno evidenziato il rilevantissimo importo 
-oscillante dai centoventi milioni ai trecento -delle somme pagate dalle singole 
aziende sottoposte a verifica ed hanno di conseguenza escluso che esse potessero 
esser considerate regalie d'uso o donativi di cortesia. 

Tale conclusione, conforme ai canoni della logica correnti, � certamente fondata 
sulle norme di comune esperienza e sulle leggi di economica gestione delle imprese. 

D'altra parte, la compressione dei tempi di verifica con la correlata restituzione 
del personale amministrativo delle singole aziende alle mansioni abituali e, in altri 
termini, la riduzione dei maggiori costi di gestione indotti dall'intrusione negli uffici 
di personale esterno, cui a richiesta si dovessero temporaneamente consegnare atti, 
documenti e attrezzature in qualche parte necessari per l'espletamento della quotidiana 
attivit� di lavoro del personale impiegatizio, erano e sono benefici ben lontani 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'

522 

dal valere il costo in tangenti sopportato dalle imprese sottoposte a verifica e da sole 
non giustificano quindi esborsi di cos� rilevante importo, finalizzati viceversa, e 
come chiaramente ammesso dall'imputato, ad una fiscalit� -si vuol dire ad un 
c�iligente rigore -minore rispetto a quello richiesto dalla legge e correntemente 
praticato nei confronti delle imprese non paganti. 

N� ha rilievo la mancata partecipazione alla stipulazione e alla conclusione 
dell'accordo corruttivo dal Giovannelli dedotta in questa sede, evidenziando 
l'ammontare percentuale delle somme versategli che egli l'accordo fece proprio 
perch� concluso anche nel suo interesse e col suo consenso, cio� col consenso di 
colui che avrebbe avuto il dovere di accertarlo, di denunziarlo e di reprimerlo. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. II, 6 maggio 1999 n. 5641 -Pres. Saulino -Est. 
Sirena -P.M. Meloni ( conf.) -Romano e Nappi c. Presidenza del Consiglio dei 
Ministri e Ministero dell'Interno (avv. Stato Vittorio Russo). 

Giudizio penale -Ricorso per cassazione -Vizio di motivazione della sentenza Comparazione 
fra sentenza impugnata e atti del processo -Inammis


sibilit�. 

I ~ 

(art. 606 c.p.p.). 

I
I
Il giudice di legittimit� investito di un ricorso per la cassazione di una sentenm 
za viziata per difetto di motivazione non pu� rilevare il vizio denunciato attraverso ~ ~ . 
,

un'attivit� di comparazione fra il contenuto della sentenza e quello degli atti cui , 
esso si riferisce (1). . 

�~ 

(omissis). 

I 
. 
Con sentenza del 15 settembre 1995, il Giudice per le indagini preliminari 

I

presso il Tribunale di Napoli dichiar� Romano Luigi e Nappi Gennaro -la cui posizione 
era stata stralciata insieme a quella di altri quattro coimputati dal procedimento 
penale a carico di Agizza Antonio t 100 -responsabili del reato di associazione 
per delinquere a entrambi attribuito e, con la diminuente per il rito abbreviato, condann� 
il Nappi alla pena principale di tre anni ed otto mesi di reclusione ed a quella 
accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, ed il 
Romano alla pena di un anno di reclusione, quale aumento per la continuazione in 

' 
.

I

(1) La sentenza che si annota, conforme sulla questione esaminata all'indirizzo prevalente, f:1
�'

� interessante perch� offre una panoramica completa delle pronunce della Suprema Corte in materia 
di mancanza o manifesta illogicit� della motivazione. Come � noto, il nuovo codice di rito � 
stato innovativo rispetto a quello vecchio, il cui art. 524 non prevedeva esplicitamente il ricorso 
al giudice di legittimit� per omissione o illogicit� della motivazione e tuttavia nella interpretazione 
allora corrente questo era ritenuto ammissibile, in quanto lo si faceva rientrare nella gene~ 


~~

rale previsione di inosservanza della legge contenuta nel numero 1) del 1� comma dell'art. 524 

. 

c.p.p. del 1930, norma questa che � stata ripetuta tale e quale nel codice di procedura penale dal 
. 
.
I

~ 

)'.=: 

~ 

.,,~�-�1���1~�4!:a.�.m m 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

523 

riferimento ad altro reato per il quale l'imputato aveva riportato, in precedenza, altra 
condanna; con lo stesso provvedimento detto GIP applic� agli imputati le misura di 
sicurezza della libert� vigilata per un anno e dispose la confisca dei beni di loro propriet� 
in sequestro, ai sensi dell'articolo 12-sexies della legge 7 agosto 1992, n. 356. 

Avverso tale provvedimento i due prevenuti proposero impugnazione, ma la 
Corte di appello di Napoli la respinse. 

Ricorrono per cassazione i difensori del Romano e del N appi. 

Il primo deduce, con unica censura, mancanza e manifesta illogicit� della motivazione 
sia in ordine all'affermazione di responsabilit�, che in ordine alla misura 
della pena inflitta. 

Il difensore del Nappi deduce, invece, la nullit� della sentenza ex articolo 606, 
comma 1, lettere b) ed e), c.p.p., per violazione degli articoli 192 e 546 dello stesso 
codice, nonch� per mancanza e manifesta illogicit� della motivazione e travisamento 
del fatto, anche in ordine al diniego di concessione delle attenuanti generiche. 

Dopo avere sostenuto che la Cassazione ha il potere di comparare la motivazione 
del provvedimento impugnato con gli atti del processo, il ricorrente assume 
che non sarebbe �processualmente ammissibile e logicamente corretto che gli stessi 
elementi, ritenuti, sia dalla Corte di Cassazione che dal Tribunale del riesame in 
sede di rinvio, non costituire gravi indizi tali da legittimare la custodia cautelare pos


1988 (art. 606, I comma, lettera a). Quest'ultimo tuttavia ha introdotto (lettera e) il nuovo 
motivo di ricorso per mancanza o manifesta illogicit� della motivazione, aggiungendo peraltro 
il limite espresso richiamato dalla sentenza e cio� che il vizio deve risultare dal testo del 
provvedimento impugnato. � evidente la ratio di tale limitazione: nel rigore del codice precedente 
la mancata previsione di un siffatto motivo di ricorso da un lato e l'averlo tuttavia dall'altro 
ritenuto ammissibile in quanto rientrante nella previsione del n. 1) del 1� comma dell'art. 
524 c.p.c. 1930 (l'omessa motivazione � infatti gi� di per s� inosservanza della legge 
penale), consentiva, in sostanza e spesso, un terzo grado di giudizio di merito, potendosi 
ragionevolmente ritenere che al giudice di legittimit� fosse consentito (sia pur' ai meri effetti 
di accertare l'esistenza del vizio denunciato, riferito ad una inosservanza di legge) di esaminare 
le carte del processo per valutare l'eventuale mancanza e a maggior ragione l'illogicit� 
della motivazione. 

Era pertanto necessario che il nuovo legislatore ponesse un limite a ci�, istituzionalizzando 
un potere di controllo della Corte di Cassazione che ormai era diventato di prassi e che era 
comunque opportuno fosse garantito. 

Nel far ci� il legislatore si � giustamente dato carico della pari necessit� di mantenere alla 
Corte Suprema la sua funzione di giudice di legittimit� e non "dei fatti:" da qui l'espresso divieto 
sancito dalla nuova norma, sia pur formulata in positivo ("quando il vizio risulta dal testo del 
provvedimento impugnato"). 

Nessun dubbio perci� sull'esattezza della pronuncia giurisdizionale che si annota. 

Resta tuttavia da domandarsi se il pi� insidioso dei vizi di una sentenza -quello che ricorre 
quando una motivazione, pur accurata, coerente e priva di illogicit� sia incongrua rispetto ai 
fatti risultanti dal processo -possa essere sottratto all'esame della Suprema Corte. 

Poich� la risposta negativa sembra ovvia, parrebbe che anche sotto il vigore del nuovo codice 
la verifica quanto meno della corrispondenza della motivazione ai fatti accertati sia ammissibile, 
se non altro sotto il profilo del motivo, a giusta ragione presente nel vecchio e nel nuovo 
codice, della inosservanza della legge. 

P.d.T. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

524 

sano, in presenza del giudicato cautelare, costituire prove valide per l'affermazione 
della responsabilit��; e sostiene che i giudici del secondo grado avrebbero �preso in 
considerazione soltanto il pronunciato della Corte di cassazione, trascurando ed 
ignorando quello, di valenza di merito molto pi� consistente, del Tribunale del riesame, 
per opporre alle argomentazioni della Suprema corte altre di segno opposto che 
finiscono per alterare i dati fattuali a disposizione e che, in ogni caso, a tutto voler 
concedere, possono essere ritenute almeno di pari dignit� di quelle contrarie�. 

Secondo il ricorrente, poi, i giudici del merito avrebbero errato a ritenere che il 
Nappi avesse esercitato attivit� di usura per conto dell'Alfieri, anzich� in proprio, ed 
avrebbero, altres�, errato a ritenere credibili le accuse mosse da quest'ultimo nei 
confronti del primo. 

Inoltre, sempre secondo la tesi difensiva, detti giudici avrebbero operato �una 
non corretta lettura dei dati fattuali�, con riferimento alle dichiarazioni rese da Pepe 
Mario, ed all'episodio della raccomandazione, in favore del Galasso, che il 
Nappi avrebbe fatto ad un suo cugino, magistrato, in tal modo travisando i fatti 
del processo. 

La Corte, poi, a detta del ricorrente, avrebbe reso una motivazione manifestamente 
illogica in tema di riscontri, superando �le dichiarazioni che costituivano 
smentita� di quelle accusatorie, �con affermazioni superficiali o con argomentazioni 
non convincenti�, interpretando in maniera non corretta le dichiarazioni di 
Mastantuoni Antonio e di Rainone Guido. 

Infine, per il ricorrente, il diniego delle attenuanti generiche sarebbe �incomprensibile 
alla luce della motivazione che ne ha dato la Corte, del tutto incoerente con 
la posizione del Nappi, il suo ruolo marginale ed i precedenti penali, basandosi la 
Corte su lontanissime condanne di precedenti non specifici, a condanna per il reato 
concernente le armi alla sola pena dell'ammenda, il che ne fa desumere la lievit��. 

Tutte le suddette censure sono destituite di fondamento. 

In ordine al ricorso proposto nell'interesse del Romano si osserva, infatti, che 
lo stesso, ai sensi degli articoli 581, comma 1, lett. e), e 611, comma 2, c.p.p., deve 
essere dichiarato inammissibile in quanto i motivi dedotti sono del tutto generici e 
manca l'indicazione specifica delle ragioni che li sorreggono. 

In relazione al ricorso proposto nell'interesse del Nappi devono, invece, essere 
svolte alcune osservazioni preliminari. 

La prima riguarda l'infondatezza della deduzione difensiva, secondo cui il giudice 
di legittimit�, al fine di accertare se sussista o meno il vizio di cui all'articolo 
606, comma 1, lett. e), c.p.p., avrebbe il potere di comparare la motivazione del 
provvedimento impugnato con gli atti del processo. 

Ed infatti, la prevalente giurisprudenza di questa Corte ha stabilito, relativamente 
a tale questione, che "secondo il nuovo codice di rito il vizio della motivazione 
valutabile in cassazione pu� consistere solo in una mancanza o in una manifesta 
illogicit� della motivazione stessa, ma esclusivamente se 'il vizio risulta dal 
testo del provvedimento impugnato', il che significa che deve 'mancare' del tutto la 
presa in considerazione del punto sottoposto all'analisi del giudice e che non pu� 
costituire vizio che comporti il controllo di legittimit� la mera prospettazione di una 
diversa, e per il ricorrente pi� adeguata, valutazione delle risultanze processuali" 
(Cass. pen., 7 febbraio 1992, Ferrara, in Cass. pen., 1993, 2864; cfr. nello stesso sen



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

so: Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 1991, RV 187446; Cass. pen., sez. VI, 11 marzo 
1992, RV 189482; Cass. pen., sez. VI, 30gennaio1992, RV 189626; Cass. pen., sez. 
VI, 19 febbraio 1992, RV 191249; Cass. pen., sez. I, 28 ottobre 1993, RV 196222; 
Cass. pen., sez. I, 27 luglio 1995, RV 202228; Cass. pen., sez. I, 13 novembre 1995, 
RV 203126; Cass. pen., sez. II, 11giugno1998, RV 210938). 

Ora, la massima su riportata ribadisce un concetto di grande importanza, e cio� 
che il vizio di manifesta illogicit� deve risultare soltanto dal testo del provvedimento 
impugnato, cos� come ha testualmente prescritto il legislatore nell'articolo 606 c.p.p. 

�, peraltro, noto a questo Collegio che esiste un orientamento giurisprudenziale, 
secondo cui la Corte di cassazione avrebbe il potere di comparare la motivazione 
del provvedimento impugnato con i documenti del processo, allorch� questi risultino 
interpretati o letti in maniera palesemente erronea (Cass. pen., 19 marzo 1991, 
Cinque, in Cass. pen., 1992, 2111; Cass. pen., sez. Il, 13 luglio 1993, Sgr�, in Cass. 
pen., 1995, 3380). 

Ma tale orientamento, del tutto minoritario, non � condiviso da questo 
Collegio, il quale ritiene di doversi uniformare al principio esposto sia nella massima 
prima citata che in altre, ad essa connesse, con cui si � affermato -in riferimento 
alla mancanza di motivazione -che �non � consentito rilevare il vizio 
denunciato attraverso un'attivit� di comparazione tra il contenuto della sentenza e 
quello degli atti cui essa si riferisce� (Cass. pen., sez. I, 9 aprile 1991, Lentini, in 
Riv. Pen., 1992, 497); e in riferimento al vizio di manifesta illogicit� della motivazione 
-che �alla Corte � inibito l'esame degli atti e l'indagine deve essere condotta 
unicamente sulla sentenza per stabilire se risulti una illogicit� che deve avere il 
carattere della palmare evidenza� (Cass. pen., sez. III, 11giugno1993, Napoleoni, 
in Cass. pen., 1994, 632; cfr. nello stesso senso: Cass. pen., sez. III, 27 marzo 1990, 
Castaldi, in Cass. pen., 1991, Il, 292; Cass. pen., sez. I, 13 novembre 1991, Iero, in 
Arch. n. proc. pen., 1992, 437; Cass. pen., 20 agosto 1991, Ierman�, in Cass. pen., 
1992, 969). 

Strettamente collegata a questa giurisprudenza v'� poi quella, del pari condivisa 
dal Collegio, secondo cui �in tema di ricorso per cassazione nel nuovo sistema 
processuale, pu� essere dedotto il travisamento del fatto, quale vizio della motivazione, 
soltanto quando esso risulti dal testo della sentenza e si risolva nella manifesta 
illogicit� della motivazione� (Cass. pen., sez. I, 9 marzo 1995, RV 200704; cfr. 
nello stesso senso: Cass. pen., sez. Il, 1ottobre1996, RV 206277; Cass. pen., sez. I, 
26 ottobre 1995, RV 203251; Cass. pen., sez. VI, 16 ottobre 1995, RV 203737). 

Ora va evidenziato che, uniformandosi ai principi su esposti, questo Collegio 
non ha ritenuto di prendere in esame gli atti di causa, come indicato dal ricorrente, 
e che ha limitato il suo esame in ordine al denunciato travisamento dei fatti al testo 
del provvedimento impugnato. 

Fatta questa premessa, si osserva che -contrariamente a quanto sostenuto dal 
difensore del Nappi -nessuna preclusione pu� derivare per i giudici del dibattimento 
dalla circostanza che, in una delle fasi incidentali del processo, si sia formato 
il cos� detto giudicato cautelare in ordine alla sussistenza o meno dei gravi indizi 
di colpevolezza; nessuna disposizione del codice prevede, infatti, una regola di tal 
tipo e la circostanza che determinati indizi siano stati ritenuti, in sede di riesame, 
insufficienti a giustificare l'emissione di una misura cautelare (o viceversa) non vin



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

526 

cola in alcun modo i giudici delle altre fasi del procedimento, i quali sono tenuti solo 
a fornire una spiegazione delle ragioni per cui hanno condannato ovvero hanno 
assolto l'imputato che sia priva di vizi logici. 

Ci� posto, e procedendo all'esame della censura relativa alla pretesa manifesta 
illogicit� della motivazione della sentenza di secondo grado, la Corte osserva che i 
giudici della Corte di appello di Napoli hanno puntigliosamente evidenziato tutti gli 
elementi di prova a carico del Nappi, chiarendo anche perch� hanno ritenuto attendibili 
le dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia che lo avevano accusato 
di far parte dell'organizzazione criminale facente capo ad Alfieri Carmine, ed 
indicando i numerosi elementi di riscontro a tali accuse. 

Non � il caso -per ovvi motivi -di riportare in questa sede l'accurata e completa 
motivazione resa dai giudici del secondo grado, sembrando sufficiente alla 
Corte ribadire che le loro argomentazioni sono del tutto prive di vizi logici e che, 
perci�, resistono alle censure del ricorrente sul punto. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. V, 7 ottobre 1999 n. 11441 -Pres. Marvulli -Est. 
Calabrese -P.M. Galgano (conf.) -Longarini ed altri c. Ministero Lavori 
Pubblici (avv. Stato Sica). 

Giudizio penale -Costituzione di parte civile Ministero dei Lavori Pubblici Procura 
speciale ali' Avvocato dello Stato ex lege -Determinazione della 
costituzione di parte civile -Produzione della documentazione relativa Non 
� richiesta. 

Giudizio penale -Competenza territoriale dell'Avvocatura dello Stato -Art. 9, 
III comma della legge n. 103 del 3 aprile 1979 -� disposizione a carattere 
interno -Art. 122 c.p.p., II comma -Procura speciale -Vale anche per 
l'Avvocato dello Stato. 

(art. 1, R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611; art. 3, legge 3 aprile 1979 n. 103; art. 122 c.p.p.). 

Gli avvocati dello Stato, per compiere gli atti del loro ministero, non hanno 
bisogno di una procura dell'amministrazione, che essi rappresentano, essendo sufficiente 
che consti della loro qualit� (1). 

Il mandato, che � loro conferito dalla legge (e che non va confuso con il rapporto 
organico che lega il funzionario all'amministrazione cui appartiene) � sufficiente 
ad attribuire agli avvocati dello Stato ilpotere di costituirsi in giudizio per le 
amministrazioni pubbliche, e di compiere tutti gli atti processuali per i quali la 
legge richiede un mandato speciale (2). 

(1-5) Procura speciale agli Avvocati dello Stato ex art. 122 c.p.p.? 

La sentenza della Suprema Corte afferma esatti principi in ordine alla difesa dello Stato in 
giudizio, collocandosi nel filone della giurisprudenza prevalente sia nelle cause civili che nei processi 
penali (sempre pi� isolata rimane perci� la sentenza della Cassazione citata in motivazione 
e pubblicata in questa Rassegna, 1995, I, 304, con nota critica di W ALLY FERRANTE). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

527 

L'avvocato dello Stato non � onerato della produzione della documentazione 
attestante la volont� della P .A. di procedere giudizialmente (3). 

Ha carattere interno la norma dell'art. 9, comma 3, della legge n. 103/79 che 
disciplina il coordinamento territoriale tra i singoli avvocati dello Stato, coordinamento 
che si realizza nell'ambito della organizzazione interna dell'Avvocatura dello 
Stato, con esclusione di qualsiasi sindacato e censurabilit� esterne sulla ripartizione 
territoriale delle competenze (4). 

L'Avvocatura dello Stato -cui spetta, senza bisogno di mandato, la rappresentanza 
delle amministrazioni dello Stato -ha la capacit� di compiere tutti gli atti 
processuali consentiti al difensore munito di mandato, con la sola esclusione, in 
mancanza del conferimento del relativo potere, di quelli che �importano disposizioni 
del diritto in contesa�: per gli atti di questo tipo � necessaria una apposita procura 
speciale (5). 

Le considerazioni della sentenza sono totalmente da condividere anche per quanto riguarda 
la natura interna delle norme che disciplinano l'intervento in causa delle amministrazioni dello 
Stato e le applicazioni dell'art. 9, II comma della legge n. 103 del 1979. 

Perplessit� invece suscita, anche perch� appare in contrasto con quanto la sentenza aveva 
poco prima scritto richiamando l'art. 1 del R.D. n. 1611 del 1933, l'affermazione secondo la 
quale, a norma del II comma dell'art. 122 c.p.p., per gli atti che importano disposizioni del diritto 
in contesa occorrerebbe anche per l'avvocato dello Stato un'apposita procura speciale. 

Il problema non risulta affrontato in precedenza in giurisprudenza, n� in dottrina, nemmeno 
in quella specifica (v. AMORTH -TOMMASICCHIO, Il giudizio civile con lo Stato, 1963; PIETRO 
PAVONE, Lo Stato in giudizio, 1995) e la stessa decisione che si annota non sembra vada al di l� di 
un mero riferimento normativo, fra l'altro prendendo a prestito dall'art. 84, II comma, del codice 
di procedura civile l'espressione che si legge fra virgolette nella massima (5) e nella motivazione 

(articolo peraltro che non reca la stessa disposizione del codice di procedura penale sulla procura 
speciale per le Amministrazioni pubbliche, n� la Cassazione affronta il perch� di una tale diversit� 
di normativa nei due codici di rito, diversit� che sembrerebbe non avere giustificazioni). 

Vari argomenti militano a favore di una soluzione opposta a quella data nella sentenza che 
si annota e comunque sembrerebbe che questa isolata norma del codice di procedura penale non 
sia applicabile alle amministrazioni dello Stato. 

In primo luogo, posto che l'espressione contenuta nel R.D. del 1933 ha la stessa valenza, 
quanto a riferimento agli atti dispositivi dei diritti, di quelle sottese alle previsioni dell'art. 122 
c.p.p., I e II comma, e considerato che il secondo comma di quest'ultimo ripete, con modificazioni 
non determinanti, il II comma dell'art. 136 c.p.p. del 1930, anteriore al R.D. del 1933 (�dirigente 
dell'Ufficio, anzich� �capo dell'Amministrazione� e �circoscrizione in cui si procede� 
anzich� �circoscrizione in cui si fa l'istruzione o il giudizio�) appare pi� corretto ritenere che la 
norma del codice di procedura penale sia stata derogata da quella del R.D. del 1933. 

Pi� esattamente, per quanto concerne la normativa sull'abrogazione delle leggi ed il rapporto 
fra legge generale e legge speciale (artt. 14 e 15 disp. nella legge in generale), si deve affermare 
che il R.D. n. 1611 del 1933 ha indubbiamente valore di legge speciale rispetto alla generale 
previsione del codice di procedura penale e che tale rapporto � mantenuto anche rispetto al 
nuovo codice di rito. 

In secondo luogo, poich� il codice del 1988 non fa che ripetere, con disposizione pressoch� 
identica, come si � detto, il testo della norma precedente, senza alcuno specifico riferimento 
all'art. 136 del vecchio codice e con una espressione del tutto generica (�per le pubbliche amministrazioni
�), � ragionevole dedurre che il legislatore del 1988 non abbia voluto mutare il sistema 
precedente, disciplinato -per quanto concerne la rappresentanza e la difesa dello Stato in 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO ST�f<Y'

528 

(omissis). 

Preliminare � l'esame delle questioni di natura procedurale. 
La prima di esse riguarda la costituzione di parte civile del Ministero per i lavori 
pubblici. 
� accaduto che per detto Ministero in primo grado si era costituita l'Avvocatura 
Distrettuale dello Stato di Ancona, in persona dell'avv. Andrea Cecchieri. 
Questi ha rappresentato l'ente anche nel giudizio di secondo grado, pur se trasferito 
'medio tempore' presso l'Avvocatura Distrettuale di Bologna. 

Sul punto la corte distrettuale ha osservato che -in effetti -l'avv. Cecchieri 
non ha fatto 'constare' in appello 'della sua qualit� di avvocato generale di Bologna 
incaricato ad esercitare in Ancona' n� ha mai prodotto in udienza l'atto di incarico. 

Ci� tuttavia -ad avviso della corte dorica -pu� rilevare solo in sede disciplinare, 
dovendosi presumere l'esistenza, in capo al Cecchieri, dell'incarico di cui 
all'art. 9 legge 3 aprile 1979, n. 103, perch�, altrimenti, l'Avvocato Distrettuale 
dello Stato di Bologna non avrebbe mai consentito che egli fosse distolto, per la 
durata di oltre un anno (durata del processo Longarini in appello), dai propri compiti 
istituzionali presso l'ufficio di appartenenza di Bologna. 

II 

Replica il difensore di Longarini (XVI) che le norme che disciplinano l'intervento, 
l'assistenza e la rappresentanza processuale della Pubblica Amministrazione 
stabiliscono solo una presunzione in ordine al conferimento del mandato difensivo 
all'Avvocatura dello Stato, presunzione che � subordinata alle condizioni essenziali 

I ~ 

che i rappresentanti di detta avvocatura facciano constare della loro qualit� e che 
essi siano territorialmente competenti. E siffatte condizioni non si sono realizzate 
nel presente processo, dal momento che in primo grado l'avvocato dello Stato non 
ha fatto constare della sua qualit� e in secondo grado non ha fatto constare della stessa 
n� era competente per territorio. 

I

Rileva ancora detto difensore il radicale difetto di procura speciale conferito 
dal Ministero per i lavori pubblici, richiesta ora dall'art. 122, comma 2, C.P.P., che 
� disposizione successiva a quella corrispondente della legge del 1933 riguardante 

I

l'Avvocatura dello Stato, sottolineando al riguardo (I mot. nuovo) che la stessa lli

i 

giudizio, difesa assicurata da avvocati che rientrano nella sua organizzazione -dalla norma 
appunto speciale del citato art. 1 r.d. 1611/1933. La ratio legis di questo sistema va infatti individuata 
nel rapporto di immedesimazione organica che lega all'Amministrazione dello Stato i 
suoi Avvocati e nell'essere l'Avvocatura dello Stato organo a sua volta di quello stesso Stato del 
quale sono parimenti organi le Amministrazioni che necessitano della difesa in giudizio. 

La disposizione pertanto di cui al II comma dell'art. 1 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 deve 
considerarsi tuttora in vigore (a prescindere dal fatto che limitatamente alla costituzione di parte 
civile, la legge 3 gennaio 1991 n. 3, prevede, significativamente, una nuova, ma pur sempre interna 
procedura) ed applicabile in ogni situazione di intervento dell'Avvocatura dello Stato, sia in cause 
civili o amministrative come in processi penali, come esattamente afferma la sentenza. Ci� vale 
ovviamente anche nelle ipotesi di cui all'art. 44 dello stesso regio decreto, rientrando la difesa di 
impiegati ed agenti delle Amministrazioni dello Stato nei compiti istituzionali dell'Avvocatura 

(v. in questa Rassegna, 1995, I, 515, PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE, La difesa degli impiegati ed 
agenti delle Amministrazioni dello Stato a norma dell'art. 44 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611). 
PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

giurisprudenza di questa Corte, nel condividere l'annotazione, richiede �quanto 
meno una prova documentale della volont� degli organi competenti dell'amministrazione 
pubblica interessata ad esercitare la pretesa civile nel processo penale; 
volont� che, quindi, non pu� ritenersi compresa nell'attribuzione 'ex lege' del patrocinio 
delle amministrazioni statali all'Avvocatura dello Stato� (sez. VI, 16 
dicembre 1994, Seri). 

Ritiene il Collegio che le sopra dette argomentazioni, comprese quelle contenute 
nella impugnata decisione, non possano essere condivise, essendo esatto quanto 
-succintamente, in calce al X motivo -rilevato dal ministero interessato. 

Con le precisazioni che seguono. 

� principio immanente all'ordinamento giuridico dello Stato italiano quello per 
il quale gli avvocati dello Stato per compiere gli atti del loro ministero non hanno 
bisogno di una procura dell'amministrazione, che essi rappresentano, essendo sufficiente 
che 'consti della loro qualit�'. 

Il mandato, che � loro conferito dalla legge (e che non va confuso con il rapporto 
organico che lega il funzionario all'amministrazione cui appartiene) � sufficiente 
ad attribuire agli avvocati dello Stato il potere di costituirsi in giudizio per le 
amministrazioni pubbliche, e di compiere tutti gli atti processuali per i quali la legge 
richiede un mandato speciale. 

Il detto principio vale 'per tutte le giurisdizioni' ed 'in qualunque sede', nessuna 
eccettuata e, quindi, anche per le costituzioni di parte civile nei giudizi penali (art. 
I, commi 1 e 2, t.u. r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611). 

Ne consegue che l'avvocato dello Stato -non abbisognando il suo 'ius postulandi' 
di conferimento di procura, derivando esso direttamente dalla legge -non � 
neanche onerato della produzione della documentazione attestante la volont� della 

P.A. di procedere giudizialmente: il rapporto sottostante a quello di mandato 'ex 
lege' fra amministrazione e avvocato e relativo alla gestione della lite costituisce un 
rapporto meramente interno all'amministrazione medesima, senza alcuna necessit� 
che questa deliberi, con atti di rilievo esterno, la sua volont� di agire o resistere in 
giudizio; nei vari gradi e fasi di esso. 
Ci� vale non soltanto per i giudizi civili ( cfr. Cass. Civ., Sez. I, 13 luglio 
1993, n. 7741; idem., 13 novembre 1991, n. 12133), ma -diversamente da 
quanto ritenuto dalla decisione penale come innanzi richiamata dal difensore di 
Longarini -anche nel processo penale, allorch� le pretese civili della P.A. 
siano esercitate in questa sede: invero quello della non necessit� di un mandato 
speciale, neppure per l'atto di impugnazione, per gli avvocati dello Stato � principio 
che, come detto, si estende a 'tutte le giurisdizioni' ed � applicabile, per 
legge, 'in qualunque sede'. 

Ha parimenti carattere interno la norma dell'art. 9, comma 3, della legge n. 103/79 
che disciplina il coordinamento territoriale tra i singoli avvocati dello Stato. 

Tale coordinamento si realizza nell'ambito della organizzazione interna 
dell'Avvocatura dello Stato, con esclusione di qualsiasi sindacato e censurabilit� 
esterne sulla ripartizione territoriale delle competenze; dovendosi ribadire che la 
disciplina che regola l'attivit� di rappresentanza e difesa in giudizio dell'Avvocatura 
dello Stato si palesa derogatoria alla legislazione professionale e al diritto processuale 
comune, essendo fondata sul carattere impersonale della difesa statuale e sulla 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

530 

fungibilit� dei singoli avvocati dello Stato tra di loro, dal che consegue la esenzione 
per gli stessi oltre che dell'iscrizione all'albo professionale anche della localizzazione 
territoriale dell'attivit� procuratoria. 

Inconferente, infine, � il richiamo alla disposizione di cui all'art. 122, comma 
2, C.P.P. L'Avvocatura dello Stato -cui spetta, senza bisogno di mandato, la rappresentanza 
delle amministrazioni dello Stato -ha la capacit� di compiere tutti gli 
atti processuali consentiti al difensore munito di mandato, con la sola esclusione, in 
mancanza del conferimento del relativo potere, di quelli che �importano disposizioni 
del diritto in contesa�. E solo per gli atti di questo tipo � necessaria una apposita 
procura speciale. 

Conclusivamente, per quanto attiene alla fattispecie concreta, deve affermarsi 
che ci� che rilevava era soltanto che 'constasse' della qualit� di avvocato dello Stato 
nella persona intervenuta a rappresentare in giudizio il Ministero per i lavori pubblici. 
E tale qualit� indubbiamente 'constava' se, come esattamente si rileva da detto 
ente, al momento della verifica della costituzione delle parti, l'avv. Cecchieri veniva 
qualificato nel verbale di udienza come avvocato dello Stato senza contestazioni 
al riguardo. 

Non era invece necessaria la produzione di apposita procura, n� di documentazione 
attestante la volont� della pubblica amministrazione di esercitare le sue pretese 
nel processo penale, e tanto meno d'un atto di incarico conferito dall'avvocatura 
distrettuale territoriale di appartenenza. (omissis) 

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PARTE SECONDA 



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DOTTRINA 


L'esecuzione delle sentenze del giudice del lavoro nei confronti 
della Pubblica Amministrazione (*) 

I. PREMESSA. 
La problematica inerente l'esecuzione delle sentenze e degli altri provvedimenti 
muniti di forza esecutiva formati nell'ambito della nuova disciplina processuale 
che regola il contenzioso del lavoro privatizzato ha radici che affondano nel previgente 
regime della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie 
di pubblico impiego e -per continuare nella metafora -ne traggono linfa 
e vigore. 

Il Legislatore della riforma del pubblico impiego (e della pubblica amministrazione) 
non ha dettato alcuna (nuova) disposizione per regolare l'esecuzione delle 
pronunzie che il lavoratore alle dipendenze di una pubblica amministrazione ottiene 
dal giudice ordinario del lavoro cui l'art. 68 del d.lgs. 29/93 ha devoluto la potest� 
giurisdizionale di cognizione delle relative controversie. 

Nel silenzio della legge, tocca agli operatori del diritto, assumere pensiero ed 
azione propri di altre culture giuridiche e creare (ch� non pi� di interpretare si tratta) 
il diritto vivente, senza peraltro il conforto del precedente perch� questa italian 
common law fa a meno anche di quello e si fonda sulla fantasia allo stato puro (qualit� 
che, notoriamente, scarseggia nei popoli di ceppo anglosassone ed abbonda in 
quelli latini ... ) ! 

Ebbene, l'esercizio di fantasia cui mi sono doverosamente sottoposto per poter 
dire qualcosa sull'argomento di cui discutiamo ha portato ad una folgorazione: la 
�doppia tutela� processuale del pubblico impiegato. Questo principio mi far� da 
guida nella ricerca (anzi, formulazione) delle regole sulla esecuzione delle pronunzie 
del giudice ordinario del lavoro nei confronti della pubblica amministrazione. 

II. LA DOPPIA TUTELA. 
Il principio poggia su due assiomi semplicissimi: il pubblico impiegato resta pur 
sempre un cittadino, anche nella sua veste di lavoratore; il datore di lavoro pubblico 
resta pur sempre una pubblica amministrazione, anche nella sua veste datoriale. 

I referenti normativi di questi assiomi sono, rispettivamente, il combinato 
disposto degli artt. 24 e 113 Cost. -da un lato -e l'art. 97 Cost. -dall'altro lato 
-: sulla base degli artt. 24 e 113, non si pu� negare al pubblico impiegato, in quanto 
cittadino, il diritto di adire la giustizia amministrativa per ottenere pronunzie 

(*)Intervento svolto nell'ambito dell'Incontro di studio sulle controversie nel pubblico impiego 
"Massimo D'Antona"�. Firenze, 1ottobre1999, gi� apparso sul Foro italiano, 1999, I, 3475. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAI'O'

70 

riservate alla sua competenza secondo le leggi vigenti (per quel che ora interessa, in 
sede di cognizione per l'annullamento di atti amministrativi ed in sede di esecuzione 
per l'ottemperanza al giudicato); sulla base dell'art. 97, il giudizio sull'attivit� 
della pubblica amministrazione, ancorch� nel corso di un rapporto di lavoro, deve 
ispirarsi ai classici parametri della legittimit�, proficuit� ed imparzialit� dell'azione 
(piuttosto che a quelli propri dell'imprenditorialit�, secondo l'art. 41 Cost.). 

In conclusione: 1.a) il pubblico impiegato pu� ricorrere dinanzi al giudice 
ordinario del lavoro, come ogni altro lavoratore dipendente, per la tutela dei propri 
diritti soggettivi inerenti al rapporto (ora, paritario) con il datore di lavoro pubblico; 
1.b) il pubblico impiegato pu� ricorrere dinanzi al giudice amministrativo, 
come ogni altro cittadino, per la tutela dei propri interessi legittimi connessi all'adozione 
di atti amministrativi adottati al di fuori del rapporto di lavoro (all'interno 
del quale non sono pi� configurabili atti autoritativi ma solo negoziali) ma incidenti 
sullo stesso (ad esempio, atti di organizzazione generale, quali la istituzione o la 
localizzazione di un ufficio pubblico); 2.a) il pubblico impiegato pu� usufruire, 
come ogni altro lavoratore dipendente, degli strumenti apprestati dal processo civiI 
le per l'esecuzione dei provvedimenti favorevoli emessi dal giudice del rapporto, 
laddove coinvolgenti prestazioni fungibili della parte obbligata; 2.b) il pubblico 
impiegato, e non il dipendente di datore di lavoro privato, pu� agire in sede di giu


I dizio di ottemperanza ex art. 27, n. 4 t.u. Cons. di Stato, per ottenere l'adozione forfil 
zosa di atti amministrativi anche di natura discrezionale (id est, prestazioni infungibili 
del datore di lavoro). ~

I

Ii 
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lii. LA DOPPIA TUTELA IN SEDE ESECUTIVA. 
Mentre in sede cognitiva la �doppia tutela� del pubblico dipendente non concede 
allo stesso niente di pi� di quel che l'ordinamento concede ad ogni cittadino-
lavoratore che si imbatta, nella vicenda del suo rapporto di lavoro, in atti 

I

amministrativi dettati a regolare in via autoritativa la configurazione generale 
dell'attivit� del datore di lavoro (si pensi all'ammissione dell'impresa privata al 
regime della cassa integrazione-c.i.g., ovvero all'applicazione della normativa 
comunale sul commercio in occasione dell'apertura di esercizio commerciale di 
�grande distribuzione�-supermarket: anche il singolo lavoratore o le organizzazioni 
sindacali interessate e non solo l'imprenditore potranno impugnare dinanzi 
al giudice amministrativo gli atti adottati dalla pubblica amministrazione), in 
sede esecutiva al pubblico dipendente � veramente concessa dalla legislazione 
vigente una forma di tutela (processuale e sostanziale) che non ha il lavoratore 
privato. 

Non siamo di fronte ad alcun privilegio bens� all'applicazione pratica del secondo 
assioma sopra formulato: la natura pubblica del datore di lavoro e la sua soggezione 
ai principi dell'art. 97 Cost., anzich� a quelli dell'art. 41 Cost. 

I principi della legalit�, della buona amministrazione e dell'imparzialit� impongono 
un diverso comportamento del datore di lavoro pubblico, rispetto a quello privato, 
di fronte ad un provvedimento giurisdizionale: mentre il privato � libero nella 


PARTE II, DOTIRINA 

propria iniziativa imprenditoriale e pu� scegliere l'opzione risarcitoria anzich� porre 
in essere quell'attivit� inj�ngibile che nessuno pu� imporgli o pu� restare semplicemente 
inadempiente, la pubblica amministrazione deve applicare la legge (sia il precetto 
normativo specifico individuato come operante dal giudice sia il precetto 
generale sanzionato dagli artt. 388, 509 e 650 c.p. -sui quali torneremo in prosieguo 
-), deve rispettare i canoni della buona amministrazione (come individuati 
dal provvedimento giurisdizionale che ha risolto la controversia) e deve trattare con 
imparzialit� i propri dipendenti (onorando, ancora una volta, il dettato obiettivo del 
giudicato e dismettendo ogni personalizzazione della vertenza). 

Sotto altro profilo (sul quale torneremo in seguito), il dirigente responsabile 
della gestione di un ufficio pubblico non pu� non adempiere ad un ordine legittimamente 
dato (in questo caso dal magistrato competente) e non pu� esporre l'amministrazione 
all'onere di un risarcimento, pena un giudizio negativo sulla sua gestione 
ed un'azione di responsabilit� dinanzi alla Corte dei conti. 

Il pubblico impiegato pu�, quindi, pretendere l'adozione da parte del suo datore 
di lavoro di tutte le prestazioni, anche inj�ngibili, imposte dal giudice e per far 
questo deve poter pervenire all'adozione, anche forzosa, dei necessari atti amministrativi: 
lo strumento processuale che l'ordinamento appresta a tale ultimo fine � il 
giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo. 

Nello scenario costruito dalla riforma dal pubblico impiego la via dell'ottemperanza 
si presenta come residuale rispetto al ricorso alla disciplina generale del 
codice di procedura in materia di esecuzione, atteso che la interferenza nel rapporto 
di lavoro di atti amministrativi (in senso proprio) � stata limitata agli atti generali 
di organizzazione e di programmazione che possono essere formati al di fuori 
e prima del rapporto; per tutti gli atti (non amministrativi ma) negoziali che l'amministrazione 
deve (o non deve) adottare sar� necessario e sufficiente procedere 
esecutivamente secondo gli artt. 2931 e 2933 e.e., gli artt. 612 e segg. c.p.c., l'art. 
669 duodecies c.p.c. e le altre misure esecutive tipiche eventualmente previste da 
leggi speciali. 

Una via residuale ma necessaria, laddove siano necessari atti amministrativi la 
cui adozione non pu� essere imposta dal giudice ordinario, o semplicemente utile, 
allorch� la complessit� degli adempimenti imponga una dettagliata individuazione 
di modalit� operative che il giudice amministrativo � in grado di pi� agevolmente 
dettare. 

Sul punto torneremo in prosieguo. 

IV. LA TUTELA ESECUTIVA DINANZI AL GIUDICE ORDINARIO. 
L'esecuzione forzata secondo le regole del codice di procedura civile appare 
idonea, laddove si resti nell'ambito del rapporto di lavoro e non sia coinvolto l'esercizio 
di pubbliche funzioni, ad assicurare al lavoratore la soddisfazione del bene 
della vita attribuitogli dal giudice; particolari modalit� operative possono caratterizzare, 
per�, l'esecuzione in danno di una pubblica amministrazione a causa della 
sua natura e delle normative speciali dettate a salvaguardare l'esercizio delle sue 
funzioni (una puntuale rassegna dei principi che regolano l'esecuzione forzata nei 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

72 

confronti della pubblica amministrazione � contenuta nella ord. Pret. Firenze, giud. 
Paparo, 16-18 maggio 1995, inedita, che ho ritenuto opportuno allegare alla presente 
relazione) (1). 

1. Condanna al pagamento di somma di danaro: 1.a) l'art. 14 d.l. 669/96, conv. 
in legge 30/97, istituisce un termine dilatorio per l'inizio dell'esecuzione nei confronti 
delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici non economici (sessanta 
giorni) decorrente dalla notificazione del titolo esecutivo (da eseguire presso l'ufficio 
dell'Avvocatura dello Stato competente, ai sensi dell'art. 11 r.d. 1611/1933 -
Pret. Firenze, giud. Paparo, 24-26luglio1999, Min. finanze ed altro c. Valentina s.r.l., 
inedita), anche nel caso di decreto ingiuntivo, in deroga al disposto dell'art. 654, 2� 
comma, c.p.c., pena l'improcedibilit� dell'esecuzione (Pret. Firenze, giud. Paparo, 
(1) (omissis) Il Pretore, a scioglimento della riserva, osserva e ritiene quanto segue: 
in questa fase occorre esaminare la sussistenza dei �gravi motivi� di cui all'art. 624 c.p.c. 
per la richiesta sospensione dell'esecuzione; per giurisprudenza costante, tale esame data la 
natura cautelare del provvedimento all'interno del procedimento di opposizione -consiste 
sostanzialmente nella verifica, sia pure provvisoria, della sussistenza di un fumus boni iuris che 

assista l'opposizione; 

in materia di esperibilit� delle azioni esecutive per espropriazione forzata nei confronti 
della Pubblica Amministrazione, l'evoluzione giurisprudenziale ha portato all'elaborazione di 
principi da considerarsi ormai pacifici, pienamente condivisi dal giudicante. 

-Ammissibilit�, in linea generale, dell'espropriazione forzata nei confronti della Pubblica 
Amministrazione, in quanto rimettere al debitore, ancorch� soggetto pubblico, la determinazione 
del tempo e del modo di adempiere ad un'obbligazione sancita da una pronuncia giudiziaria equivarrebbe 
ad escludere l'esistenza stessa dell'obbligazione. 

-Carattere di atto dovuto del pagamento cui la Pubblica Amministrazione sia stata condannata. 


-Conseguente sussistenza della giurisdizione del Giudice Ordinario per i procedimenti di 
espropriazione forzata nei confronti della Pubblica Amministrazione, compreso l'accertamento 
della pignorabilit� dei beni o dei crediti. 

-Inesistenza di una posizione di preminenza della Pubblica Amministrazione quale soggetto, 
ma solo in quanto eserciti una potest� pubblica e conseguente rientrare della sua azione 

nella disciplina del diritto comune al di fuori di tali ipotesi. 
-Inesistenza di una deroga per la Pubblica Amministrazione in ordine alla regola generale 
(di cui agli artt. 2740 e 2910 e.e.) della responsabilit� patrimoniale del debitore. 

-Individuazione del criterio per determinare i crediti non pignorabili della Pubblica 
Amministrazione nell'art. 826, ultimo comma, e.e., che indica come facenti parte del patrimonio 
indisponibile dello Stato e degli enti pubblici -e perci� impignorabili -(oltre quelli elencati ai 
commi precedenti) anche gli altri beni destinati a un pubblico servizio. 

-Conseguenza che la �non assoggettabilit� all'esecuzione forzata delle somme di denaro 

~ 

o dei crediti pecuniari dello Stato e degli altri enti pubblici pu� discendere soltanto dal fatto che 
essi concorrano a formare il patrimonio indisponibile, e cio� dal fatto che essi siano vincolati ad ~ 
I f:

un pubblico servizio ovvero -come, ad esempio, i crediti tributari -che nascano dall'esercizio 
di una potest� pubblica� (C. Cost. 21 luglio 1983, n. 138). 

-Insufficienza a trasformare le somme di denaro o dei crediti pecuniari dello Stato e degli f: 
altri enti pubblici in beni del patrimonio indisponibile del �mero fatto della loro iscrizione nel bilan~ 
cio preventivo� in quanto esso �contempla la previsione di tutte le entrate e di tutte le uscite ... non ! consente in alcun modo di collegare singole entrate (e cio� determinate somme di denaro) a singo


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le uscite (e cio� all'espletamento di determinati servizi) e non pu� quindi essere considerato vincoE: 


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lo di destinazione, in senso tecnico, di particolari somme� (C. Cost. 21 luglio 1983 n. 138). 

f: 

PARTE II, DOTTRINA 

73 

6-7 aprile 1999, inedita), in modo da dare all'amministrazione la possibilit� di disporre 
il pagamento secondo la procedura del c.d. conto sospeso regolata dallo stesso 
art. 14; l.b) il pignoramento di somme di danaro presso l'amministrazione o presso 
terzi incontra i limiti dell'indisponibilit� delle somme derivanti da specifiche 
norme di legge (ad esempio, art. 4, 5� comma, legge 483/93, per il conto presso la 
Banca d'Italia denominato �disponibilit� del Tesoro per il servizio di tesoreria�; art. 
1 d.1. 313/94, conv. in legge 460/94, per i fondi di contabilit� speciale delle prefetture, 
direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza, con 
una disciplina giudicata legittima da Corte cost. 9 ottobre 1998 n. 350, in Foro it., 
1999, I, 1748; art. 1, 5� comma, legge 67/93 e art. 11 legge 68/93, -ora, art. 113 
d.lgs. 77 /95, modif. dal d.lgs. 336/96 -per le somme destinate, rispettivamente, 

Ci� premesso, rileva il giudicante che i ministeri opponenti hanno articolato la loro opposizione 
su tre motivi: 
1) �nullit� e inefficacia del pignoramento ... ai sensi dell'art. 70, 2� comma r.d. 18 novem


bre 1923, n. 2440�; 

2) �nullit� e/o inefficacia del pignoramento per mancanza dei presupposti di legge�; 

3) �impignorabilit� delle somme staggite�. 

Esaminando partitamente i suddetti motivi di opposizione, si osserva. 

I. L'art. 70, 2� comma r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 (regolante il patrimonio e la contabilit� 
dello Stato), recita: �Con un solo atto non si possono colpire, cedere o delegare crediti verso 
amministrazioni diverse�. 
Leggendo la norma inserita nel contesto della legge, e specificamente in collegamento col 
precedente art. 69, il motivo non pu� essere condiviso. 

L'art. 69 suddetto prevede le forme di notifica per �le cessioni, le delegazioni ... pignoramenti 
... relative a somme dovute dallo Stato� (1� comma); il primo coma dell'art. 70, poi, prevede 
che �gli atti considerati dal precedente art. 69 debbono indicare il titolo e l'oggetto del credito 
verso lo Stato che si intende colpire, cedere o delegare�. 

Dunque il secondo comma dell'art. 70 esclude la possibilit� di pignorare -con un solo atto 
-pi� di uno dei crediti di cui al precedente comma verso lo Stato. 

Ed allora, gli atti in questione sono quelli mediante i quali si intende pignorare crediti di terzi 
verso lo Stato, cio� debiti dello stato verso altri soggetti, ovvero situazioni in cui lo Stato � terzo 
debitor debitoris, e non debitore pignorato -come � invece nel caso, in cui sono stati pignorati crediti 
dello Stato (nella sua articolazione Ministero del Tesoro: v. infra) nei confronti della Cassa di 
Risparmio di Firenze, quale concessionario del servizio riscossione tributi, e della Banca d'Italia. 

Del resto, proprio l'affermazione, contenuta nell'atto di opposizione, secondo cui �il secondo 
comma dell'art. 70 ... vieta espressamente al creditore di �colpire� con un solo atto crediti vantati 
dal debitore verso amministrazioni diverse� convince della esattezza della conclusione assunta: 
nella fattispecie, i vari creditori procedenti (nelle diverse procedure riunite) non hanno colpito 
con un solo atto crediti vantati da un terzo verso pi� amministrazioni, ma crediti vantati verso 
terzi dal Ministero del Tesoro. 

Del tutto arbitraria �, dunque, alla luce delle norme invocate, la conclusione secondo cui �in 
sostanza la legge di contabilit� mira ad impedire che con un solo atto siano pignorati crediti di una 
pluralit� di pubbliche amministrazioni diverse da quella direttamente debitrice nei suoi confronti�. 

2. La mancanza dei presupposti di legge di cui al secondo punto, viene motivata dalla noncoincidenza 
fra il sogetto debitore dei creditori procedenti ed il soggetto creditore nei confronti 
dei terzi, basata sulla ritenuta distinta soggettivit� giuridica dei Ministeri che �impedisce di considerare 
la Banca d'Italia e la Cassa di Risparmio come debitrici del debitore esecutato, vale a 
dire dell'Amministrazione finanziaria�. 
Anche tale profilo non merita accoglimento. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

74 

dalle usl e dagli enti territoriali al pagamento delle retribuzioni e all'erogazione dei 
servizi essenziali), mentre una generica impignorabilit� delle somme rivenienti dal 
pagamento di tributi non ha trovato conferma nel nostro ordinamento dopo la previsione 
dell'art. 5 d.l. 48/95 non convertito in legge, in ossequio alla posizione della 
Corte costituzionale (sent. 21 luglio 1981 n. 138, in Foro it., 1981, 1, 2353); 1.3) il 
pignoramento mobiliare incontra il limite generale dell'art. 514, n. 4 c.p.c., mentre 
il pignoramento immobiliare non pu� colpire beni demaniali e del patrimonio indisponibile 
secondo gli artt. 822 e segg. e.e.: nulla � cambiato in proposito dopo la 
riforma e, pertanto, non ci soffermiamo sulle relative problematiche. 

2. Condanna a concludere un contratto: l'applicabilit� dell'art. 2932 e.e. nei 
confronti di una pubblica amministrazione � stata ormai ammessa in linea di prin-

I 

Sul punto, il Pretore si riporta all'orientamento costante di questo ufficio (cfr., fra le altre, le 
ordinanze citate dai creditori, estensore il compianto Cons. Bozzi) secondo cui, dato il carattere 

I 
unitario della personalit� dello Stato, le diverse competenze dei vari ministeri comportano che nel 
giudizio di cognizione lo Stato debba essere convenuto nella specifica articolazione organizzati


I

va (Ministero) competente in relazione ali' oggetto del giudizio stesso, ma restando fermo che 
parte in giudizio � sempre lo Stato: conseguentemente, se detto Ministero � condannato al paga


I

mento di una somma di denaro, il soggetto condannato � comunque lo Stato. Dunque il creditore, 
quando si sia formato un titolo esecutivo giudiziale nel modo sopra detto, ha diritto di procedere 
ad espropriazione forzata su beni o crediti dello Stato, che deve essere indicato come 

I 

debitore esecutato nella sua articolazione tramite la quale � titolare del bene o del credito assoggettato 
ad espropriazione, indipendentemente dall'essere questa diversa da quella soggetto del 

I

giudizio di cognizione. 
Questa impostazione non � stata smentita dalla sentenza 10 giugno 1994, n. 231 della Corte 

I

Costituzionale (richiamata dalla Banca d'Italia nelle sue note) che ha ritenuto �non risolutiva� i: 
l'evocazione (da parte dell'Avvocatura dello Stato) dell'unitaria personalit� dello Stato ed ha 

I 
~ 
escluso che la pubblica amministrazione sia da considerare �un blocco unitario� in quanto si articola 
in un complesso di centri operativi, a tutt'altri fini. Con la suddetta sentenza, infatti, la 
Corte ha escluso l'esistenza di un diritto costituzionalmente rilevante che giustificasse la norma 
che imponeva che i sequestri ed i pignoramenti a carico dei dipendenti dello Stato si eseguissero 
presso l'ispettorato generale per il credito ai dipendenti dello stato del Ministero del Tesoro, anzich� 
presso l'organo dell'amministrazione titolare del potere di disporre la spesa per la conse


I 

guenza dell'accentramento presso la Pretura di Roma di tuttti giudizi in materia che questa norma ~ 
aveva, con lesione del diritto di difesa del terzo creditore del dipendente-creditore dello Stato. 

3. Le amministrazioni opponenti sostengono infine l'impignorabilit� delle somme basandosi 
sulla lettura della pronuncia della Corte Costituzionale (C. Cost. 21 luglio 1983, n. 138) nella 
quale � affermata la legittimit� dell'esclusione dalla pignorabilit� (oltre che dei beni destinati a 
pubblico sercizio ex art. 826 e.e.) dei crediti nascenti dall'esercizio di una potest� pubblica, con 
espresso riferimento ai crediti tributari ritenuta dalla Corte in relazione al titolo da cui il credito 
~ 

scaturisce, da cui le amministrazioni opponenti traggono la conseguenza che � �implicito che il 

I ~ 
vincolo di impignorabilit� si estende a tutti i diritti di credito che possano ulteriormente sorgere 
al solo fine di far affluire le entrate tributarie alle casse dello Stato�. 

;:

Esse fanno poi riferimento all'art. 4, 5� comma, legge 26 novembre 1993, n. 485, che 

f: 
prevede l'impignorabilit� (con nullit� rilevabile d'ufficio) delle somme esistenti sul conto istii= 


j: 
tuito presso la Banca d'Italia denominato �Disponibilit� del tesoro per il servizio di tesoreria� 

~ 

e, nelle note autorizzate, all'art. 5 d.l. 27 dicembre 1994, n. 719 (entrato in vigore dopo la proi: 


i:
posizione del'opposizione), che prevede, l'impignorabilit� (pure con nullit� rilevabile d'ufficio) 
delle somme derivanti dal pagamento dei tributi detenute, per conto del Ministero delle f: 
Finanze, da concessionari del servizio di riscossione dei tributi. Assumono le opponenti che 

t 

~ 


PARTE II, DOTfRINA 

75 

cipio (Cass. 29 marzo 1989 n. 1540, in Giur. it., 1989, I, 1, 1502; Cass. 7 ottobre 
1983 n. 5838, in Foro it., 1983, 1, 2366; Trib. Napoli 26 gennaio 1979, in Dir. e 
giur., 1981, 456), purch� esista una compiuta manifestazione di volont� negoziale, 
siano esattamente individuati i contenuti del contratto e permangano le circostanze 
presenti al momento della manifestazione della prima volont�, poich� in tal caso 
non si interferisce col divieto di cui all'art. 4 legge 2248/1865 (Cass. 18 novembre 
1992 n. 12309, in Vita not., 1993, 802; Cass. 29 aprile 1986 n. 2968, in Riv. trim. 
appalti, 1987, 1245); con riferimento all'assunzione di lavoratori, la giurisprudenza 
ha ritenuto ammissibile dinanzi al giudice competente per il rapporto (secondo il 
regime vigente prima del 30 giugno 1998, giudice ordinario per gli enti pubblici 
economici e giudice amministrativo per gli altri enti pubblici -Cass. 23 dicembre 

si tratta di norma di interpretazione autentica (e dunque con efficacia retroattiva) e comunque 
che, dati gli effetti sia sostanziali che processuali del pignoramento, applicandosi ad esso il 
principio tempus regit actum e considerato che gli effetti del pignoramento permangono sino 
all'assegnazione, essa �si applica ai processi esecutivi pendenti al 28 dicembre 1994 e disciplina 
tutti gli atti processuali compiuti dopo tale data e gli effetti di quelli posti in essere in 
data successiva (sic., ma verosimilmente anteriore, n.d.r.) non ancora esauriti�. 

L'impignorabilit�, che sarebbe �implicita nel sistema anche in assenza di disposizioni esplicite
� deriverebbe �in primo luogo dalla particolare finalit� che l'ordinamento intende realizzare 
grazie all'impiego delle entrate tributarie�; �in secondo luogo dalla circostanza che l'esercizio del 
potere pubblico era ancora in itinere al momento dell'inizio dell'azione esecutiva atteso che l'applicazione 
delle funzione pubblica cessa solo quando la somma riscossa entra nelle casse 
dell'Amministrazione�. 

I principi suddetti sono tradizionalmente tratti dal disposto dell'art. 4, all. E della legge 
20 marzo 1865 e dagli artt. 826 e 828 e.e. 

A. Quanto al pignoramento operato presso il terzo Cassa di Risparmio di Firenze, si osserva. 
3.1. Esclusa la rilevanza della eventuale iscrizione in bilancio (per quello che sopra si � 
detto) al momento in cui le somme in questione sono entrate nella disponibilit� del terzo concessionario 
� ormai venuta meno la natura del fatto che aveva dato origine alle entrate riscosse. 
In altri termini, la ratio dell'impignorabilit�, consistente nel fatto che nessuno pu� sostituirsi 
allo Stato (o ad altro ente pubblico) nell'esercizio della pretesa impositiva verso il terzo 
debitore la quale trae origine da un potere autoritativo, manca nella fattispecie, in cui la somma 
� gi� uscita dalla disponibilit� del soggetto debitore dello Stato in ragione della suddetta pretesa. 
In tali termini si � recentemente espressa la Cassazione: �sono suscettibili di pignoramento da 
parte del privato creditore del Comune, le somme da questo incassate direttamente o per il tramite 
della propria esattoria, non rilevando in contrario n� la potenziale destinazione delle somme 
medesime agli scopi indicati nel bilancio dell'ente n� la loro provenienza da rapporti impositivi 
di natura pubblicistica, la quale preclude soltanto la pignorabilit� del credito quando non vi 
sia stato ancora l'adempimento da parte dell'obbligato, per impedire che il privato creditore 
si sostituisca nei detti rapporti all'ente stesso, non anche quella delle somme oggetto di 
tale adempimento�; �quando le pretese tributarie si concretano in una somma di denaro a mani ... 
della Banca incaricata della riscossione non si riesce a comprendere sotto quale profilo il denaro 
frutto di una imposta o tassa si distingua da quello frutto di una compravendita o di una locazione
� (Cass. 2 febbraio 1994, n. 1067). 

3.2. Quanto alle altre norme invocate come fondamento della ritenuta impignorabilit� si 
rileva. 
3.2.1. � evidente anzitutto che presso la Cassa di Risparmio di Firenze non possono essere 
state pignorate somme di cui all'art. 4, 5� comma, legge 26 novembre 1993, n. 483 (ma semmai 
somme destinate ad entrarvi). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

76 

1988 n. 7037, in Riv. dir. sport., 1989, 207) la domanda per ottenere la costituzione 
del rapporto di lavoro ex art. 2932 e.e. proposta da vincitore di concorso qualora il 
bando contenga l'indicazione delle caratteristiche essenziali del rapporto, cio� mansioni 
e trattamento (Cass. 12 giugno 1982 n. 3592, in Foro it., 1983, 1, 113, che ha 
puntualizzato come �la sentenza costitutiva ex art. 2932 e.e. pu� essere pronunziata 
in tutti i casi di obbligo a contrarre e non soltanto quando questo derivi da un 
contratto preliminare�; Pret. Milano 30 agosto 1984, in Giur. it., 1986, 1, 2, 25; 
Trib. Napoli 11giugno1985, in Foro it., 1985, 1, 2741; l'ampliamento della portata 
della prescrizione rispetto al collegamento storico con il contratto preliminare � 

3.2.2. Deve poi negarsi il carattere di legge di interpretazione autentica dell'art. 5. d.l. 
719/94 (sostanzialmente reiterato dal d.l. 48/95 e dal 132/95). 
Se l'affermazione delle opponenti secondo cui �la qualificazione della norma di interpretazione 
autentica non deve essere necessariamente enunciata in maniera esplicita dal legislatore� 
(pacificamente insussistente nel caso) risulta basata -se intesa nel senso che non � necessario 
che essa sia contenuta nell'intestazione -su un recente indirizzo interpretativo della Cassazione 
(Cass. 23 giugno 1986, n. 4182), non lo � la successiva secondo cui �tale carattere deve essere 
escluso solo quando la disposizione nuova si pone in insanabile contrasto con quelle previgenti 
determinando una vera e propria rottura del sistema normativo�. 

In ordine a ci�, oltre alla considerazione che l'argomento �prova troppo� nel senso che, 
adottando questo criterio, ben poche sarebbero le norme non di interpretazione autentica, deve 
rilevarsi che -tenuto conto della natura eccezionale delle norme di interpretazione autentica, 
attraverso le quali il legislatore si sostituisce al potere cui � affidato il compito istituzionale della 
interpretazione delle leggi (C. Cost. 10 dicembre 1981, n. 187) -per giurisprudenza assolutamente 
pacifica la qualificazione di una legge come di interpretazione autentica dipende dal fatto 
che essa �non � suscettibile di interpretazione autonoma, dovendosi necessariamente integrare 
con la disposizione interpretata in un nesso di inscindibile complessit�, la disposizione interpretativa 
si presenta, cio�, come una legge di secondo grado, che si riferisce ad altra disposizione di 
cui chiarisce un aspetto, senza peraltro sostituirla, sicch� la disciplina da applicare concretamente 
al singolo caso va desunta cumulativamente dalla disposizione interpretativa e da quella interpretata
� (Cass. 25 ottobre 1986, n. 5260; Cass. 29 luglio 1974, n. 2289; Cass. 9 dicembre 1983, 

n. 7297): �il carattere interpretativo autentico di una legge ... dipende esclusivamente dal suo contenuto, 
caratterizzato dall'enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa il significato di 
un precetto antecedente cui la norma si ricollega nella formula e nella ratio e da un momento precettivo, 
con il quale il legislatore impone questa interpretazione, escludendone ogni altra, non 
solo per il futuro, ma anche per il passato, e che ha perci� sempre efficacia retroattiva, a meno 
che la stessa legge disponga diversamente� (Cass. 23 giugno 1986, n. 4182; Cass. 4 dicembre 
1986, n. 7182; Cass. sez. un., 4 marzo 1983, n.1662; Cass. 17 maggio 1984, n. 3053). 
Ora, � assolutamente evidente che la norma invocata non ha nessuna di tali caratteristiche. 

3.2.3. Deve invece ritenersi che l'effetto della norma invocata dagli opponenti di impedire l'espropriabilit� 
del credito in questione si ha non per una (inesistente) efficacia retroattiva della norma, 
ma per le conseguenze della dichiarazione di impignorabilit� di un credito non ancora assegnato. 
Il pignoramento in s� non � che un atto preparatorio della espropriazione forzata (si consideri, 
ad es., che il debitore esecutato -fino alla distribuzione -resta proprietario del ricavato 
della vendita del bene) di cui costituisce il presupposto essenziale, rispetto all'attuale � meramente 
strumentale: perci� la legge applicabile � quella del momento dell'atto-fine. 

L'impignorabilit� di un bene o di un credito -perci� -comporta che il creditore non 
possa soddisfarsi su di esso e che esso non possa formare oggetto di espropriazione forzata: in 
sostanza un bene o un credito � impignorabile perch� non soggetto ad espropriazione forzata e 
dunque se la dichiarazione di impignorabilit� sopravviene durante l'esecuzione, ne deriva che il 
bene o il credito non possano pi� essere oggetto dell'espropriazione. 

Conseguentemente, deve sospendersi l'esecuzione relativamente a detto credito. 


PARTE II, DOTIRINA 

77 

pacifico anche in dottrina: SASSANI, Dal controllo del potere all'attuazione del rapporto, 
Milano, 1997, 35); la domanda � stata, invece, ritenuta inammissibile per l'assunzione 
degli appartenenti alle categorie protette e, in genere, dopo l'avviamento 
al lavoro dall'Ufficio di collocamento perch� l'indeterminatezza dei contenuti dello 
stipulando accordo rendeva inj�ngibile l'obbligo, nel rispetto dell'autonomia delle 
parti, e proponibile solo un'azione di risarcimento (Cass. 24 maggio 1980 n. 3425, 
in Mass. giur. lav., 1980, 768; Cass. 19giugno1987 n. 5391, in Mass. Foro it., 1987; 
ed altre, tutte nei confronti di datori di lavoro privati, in quanto l'obbligo di assunzione 
non era normativamente operante per gli enti pubblici). 

B. Presso il terzo Banca d'Italia, i creditori hanno pignorato tre diversi cespiti, consistenti: 
1) negli interessi sul conto �Disponibilit�� costituito ex art. 4 legge 483/93; 
2) nel 'differenziale' fra il rendimento dei BOT e gli interessi corrisposti alle aziende di 
credito sulle riserve obbligatorie; 
3) negli utili che la Banca d'Italia deve riversare al Tesoro, nella misura del 20%, alla fine 
di ogni esercizio. 
Al proposito si osserva. 

1. Relativamente agli interessi sul conto �Disponibilit�� essi devono essere considerati 
impignorabili ex art. 4, comma 5, della legge 26 novembre 1993 n. 483 che prevede l'impignorabilit� 
(con nullit� rilevabile d'ufficio) delle somme esistenti sul conto predetto; la natura accessoria 
degli interessi convince che anche essi sono sottratti alla pignorabilit�; del resto sul punto 
i creditori precedenti nulla hanno replicato. Peraltro in presenza di una dichiarazione certamente 
non positiva, i creditori procedenti non hanno manifestato intenzione di chiedere l'accertamento 
dell'obbligo del terzo. 
Conseguentemente, deve sospendersi l'esecuzione relativamente anche a detto credito. 

2. Quanto al 'differenziale' fra il rendimento dei BOT e gli interessi corrisposti alle aziende 
di credito sulle riserve obbligatorie, la dichiarazione � stata pacificamente negativa ed i creditori 
procedenti non hanno manifestato intenzione di chiedere l'accertamento dell'obbligo del 
terzo sul punto, ammettendo, anzi, nelle note autorizzate, che �il tentativo (di pignoramento 
n.d.r.) � risultato vano perch� tale conguaglio ... era gi� stato corrisposto dalla Banca d'Italia allo 
Stato� e rilevando che �Cos�... l'argomento non pu� essere qui trattato visto che tale conguaglio 
o �differenziale� � stato gi� corrisposto�. 
Non vi � luogo dunque per provvedere sulla sospensione dell'esecuzione relativamente a 
detto credito, non sottoposto a pignoramento. 

3. Quanto infine agli utili da versare alla fine di ogni esercizio, deve rilevarsi che essi costituiti 
da denaro -non assumono in alcun modo la natura di crediti impignorabili come definiti 
dalla sentenza 138/81 della Corte Costituzionale: non sono vincolati ad un pubblico servizio, 
non nascono dall'esercizio di una potest� pubblica n� rileva la loro eventuale iscrizione nel bilancio 
preventivo. In presenza di una dichiarazione interlocutoria (la questione della pignorabilit� 
non attenendo all'accertamento dell'obbligo del terzo). 
Conseguentemente, deve rigettarsi l'istanza di sospensione dell'esecuzione relativamente 
a detto credito. 

P.Q.M. 
Il Pretore: 
1) sospende l'esecuzione relativamente al pignoramento presso il terzo Cassa di Risparmio 
di Firenze; 
2) sospende l'esecuzione relativamente al pignoramento presso il terzo Banca d'Italia degli 
interessi sul conto �Disponibilit��; 
3) rigetta l'istanza di sospensione dell'esecuzione relativamente al pignoramento presso il 
terzo Banca d'Italia degli utili da riversare al Tesoro alla fine di ogni esercizio. (omissis) 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO,,

78 

Dopo la riforma del pubblico impiego, l'attuale formulazione dell'art. 68, commi 
1 e 4, d.lgs. 29/93 conferma la proponibilit� della domanda ex art. 2932 e.e. dinanzi al 
giudice del lavoro per ottenere una pronunzia che faccia luogo del contratto di assunzione 
cui il vincitore di concorso abbia diritto, con esclusione della potest� giurisdizionale 
del giudice ordinario a conoscere dei procedimenti amministrativi e degli atti 
autoritativi che hanno preceduto l'emanazione del bando (nei confronti dei quali si 

configurano solo interessi legittimi tutelabili dinanzi al giudice amministrativo); una 
pronunzia che �tenga luogo� del contratto non ha bisogno dell'adozione di alcun altro 
atto negoziale (e, tanto meno, amministrativo) n� della manifestazione di volont� da 
parte dell'obbligato per la sua prima esecuzione bens� solo di attivit� materiale necessaria 
a consentire al lavoratore di entrare nel luogo di lavoro ed accedere al suo posto 
(risultato conseguibile a mezzo di uffi~iale giudiziario: Pret. Parma 13 febbraio 1992, 
in Giust. civ., 1992, 1364, nei confronti di azienda municipalizzata, per la reintroduzione 
del lavoratore nel proprio ufficio; Pret. Milano 26 novembre 1992, in Riv. critica 
dir. lav., 1993, 449, nei confronti della Rai, per la reimmissione coattiva nelle mansioni 
precedentemente occupate); manifestazioni di volont� ed adozione di atti da 
parte del datore di lavoro saranno necessarie per assicurare il compiuto rispetto della 
pronunzia giudiziale nella fase successiva all'ammissione del lavoratore sul luogo di ~ 
lavoro, per l'attribuzione di mansioni e compiti, ed in quel momento, nel caso di iner~ 
zia del datore di lavoro pubblico, il dipendente potr� richiedere al giudice dell'esecuzione 
di provvedere ai sensi dell'art. 612 c.p.c. (cosa che, invece, non sarebbe possi


I

bile nei confronti del datore di lavoro privato trattandosi di prestazioni infungibili, 
secondo l'orientamento pressoch� univoco della giurisprudenza -Trib. Latina ord. 5 

II 

dicembre 1997, in Foro it., 1999, I, 2117; Trib. Roma ord. 17 gennaio 1996 e Trib. 

,

Palermo ord. 28 luglio 1995, id., 1996, I, 2251; Cass. 19 febbraio 1990, n. 1205, id., 
1991, I, 884 -) o potr� adire il giudice amministrativo in sede di ottemperanza (cui , ' 
sar� obbligato a rivolgersi allorch� sia necessaria l'adozione di atti amministrativi di 
organizzazione generale al di fuori dell'economia del rapporto di lavoro). 

3. Condanna a fare o non fare (art. 2931 e 2933 e.e.): secondo l'art. 612 c.p.c. 
spetta al giudice dell'esecuzione determinare le modalit� e designare l'ufficiale giudiziario 
e le persone che devono provvedervi; secondo l'art. 613 lo stesso giudice 
I

dirime le difficolt� sorte in sede di esecuzione; quando l'esecuzione deve compiersi 
nei confronti di una pubblica amministrazione si pongono una serie di problemi 
che passiamo ad esaminare: 3.a) la indicazione delle modalit� di esecuzione implica 
la determinazione del contenuto degli atti paritetici (non amministrativi ma negoziali) 
che il datore di lavoro pubblico deve adottare all'interno del rapporto di lavoro; 
per rispetto dell'art. 4, legge 2248/1865, nessuna modalit� potr� essere dettata 

II

per l'adozione, la revoca o la modifica degli atti amministrativi (di organizzazione 
generale o di programmazione) che influiscono ab externo sul rapporto di lavoro, 
cos� come avviene -in virt� di altri principi -per le attivit� infungibili del datoI 
re di lavoro privato; 3.b) la designazione delle persone che devono provvedere all'esecuzione 
in danno pu� spingersi fino alla nomina di un commissario ad acta che 

l

adotti materialmente quelle iniziative e quegli atti paritetici indispensabili per assicurare 
l'attuazione del diritto riconosciuto dal giudice; questo commissario, in quan1: 
to partecipante della natura dell'organo giudiziario che lo ha nominato e proprio 

~j

nella sua funzione di ausiliario del giudice, potr� adottare, revocare o modificare 

I ~ 
,,

l

����,.,111a11��111a:�a1i:al~�r11~ 



PARTE Il, DOTIRINA 

solo gli atti sui quali si estende la competenza del giudice ordinario, cio� gli atti 
negoziali che regolano la vita del rapporto e non gli atti amministrativi in senso proprio, 
per lo stesso divieto di cui al cit. art. 4, legge 2248 (per una conferma a contrario 
di questa necessaria corrispondenza fra i poteri dell'organo giudiziario e del 
suo ausiliario, v. Cons. Stato, sez. IV, 7 ottobre 1997 n. 1099, in Cons. Stato, 1997, 
I, 1341 e Cass. 15 luglio 1986 n. 4568, in Foro it., 1987, I, 532, che hanno rilevato 
il vizio del difetto di giurisdizione nelle iniziative assunte in sede di giudizio di 
ottemperanza su materie riservate alla competenza del giudice ordinario). 

Sul commissario ad acta � opportuno fermare la nostra attenzione. 

In primo luogo, la sua nomina deve ritenersi nei poteri del giudice dell'esecuzione 
per il dato normativo specifico dell'art ..612, 2� comma, c.p.c. (una sua interpretazione 
estensiva ed adeguata alle mutate esigenze dei nuovi tempi e delle nuove 
materie, neppure troppo audace, pu� ben leggervi la figura di un commissario in 
quei riferimenti testuali all'ufficiale giudiziario ed alle persone che debbono provvedere) 
coordinato con i princ�pi generali che regolano la designazione di ausiliari 
del giudice e la libert� delle forme degli atti e dei provvedimenti processuali secondo 
gli artt. 121 e 131 c.p.c. (v., con riferimento a provvedimento d'urgenza ma con 
principi di valenza generale, Trib. Bari 12 febbraio 1987, in Giur. it., 1998, 276: <<Le 
modalit� di esecuzione di un provvedimento d'urgenza, avente ad oggetto un obbligo 
di fare, possono essere liberamente fissate ex artt. 121 e 131 c.p.c., con l'unico 
limite dell'idoneit� al raggiungimento dello scopo -nella fattispecie si � affidata 
l'attuazione del provvedimento cautelare ad un commissario ad acta, trattandosi di 
attivit� di natura amministrativa�; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 
Napoli, 1996, 724: � ... nell'esecuzione delle attivit� materiali che gli artt. 606, 
608, 609, 612 riservano all'ufficiale giudiziario, il giudice potr� servirsi anche di 
altri ausiliari, se del caso appositamente designati�; secondo l'insegnamento di 
CHIOVENDA, Principi di diritto processuale: �Deve ritenersi ammissibile ogni modo 
di attuazione della legge che sia praticamente possibile e non sia escluso da una 
norma generale o speciale di diritto�, richiamato da SASSANI, op. cit., 93); peraltro, 
la funzione commissariale � gi� attribuibile dal giudice all'ufficiale giudiziario (art. 
59 c.p.c.) coadiuvato da esperti ed altre persone idonee (art. 68 c.p.c.) e si tratta solo 
di fare un piccolo passo (consentito dagli artt. 121e131 c.p.c.) ed unificare le figure, 
oppure di ritenere necessaria la presenza dell'ufficiale giudiziario e configurare 
il commissario ad acta come l'esperto che lo coadiuva nell'esecuzione dell'ordine 
del giudice (l'ausiliario del giudice secondo la definizione desumibile dall'art. 68 

c.p.c. � �una categoria aperta ... il privato esperto in una determinata arte o professione 
ed in generale idoneo al compimento di atti che il giudice non pu� compiere 
da solo, temporaneamente incaricato di una pubblica j�nzione, il quale sulla 
base della nomina effettuata da un organo giurisdizionale secondo le norme del 
codice o di leggi speciali presti la sua attivit� in occasione di un processo in guisa 
da renderne possibile lo svolgimento o consentire la realizzazione delle particolari 
finalit�� -Cass., sez. un., 21novembre1997 n. 11619, in Mass. Foro it., 1997); a 
conforto di quanto fin qui sostenuto possiamo citare la proficua esperienza maturata 
nel giudizio amministrativo sia per l'esecuzione delle pronunzie di primo grado o 
cautelari (a mezzo del commissario ad acta nominato in sede di incidente di esecuzione 
-Tar Calabria 13 giugno 1996 n. 475, in Trib. amm. reg., 1996, I, 3496; Corte 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'IU" 

cost. 8 settembre 1995 n. 419, in Foro it., 1995, I, 2641) sia per l'ottemperanza al giudicato, 
ove la possibilit� di nominare un commissario non � mai stata posta in discussione 
nonostante la mancanza di specifica regolamentazione normativa. 

In secondo luogo, i poteri del commissario ad acta derivano e sono definiti dal 
giudice che lo ha nominato e, quindi, risentono dei limiti propri della potest� giurisdizionale 
di quel giudice; questa incontestabile e necessaria puntualizzazione poggia 
sulla qualifica del commissario come �organo ausiliario� del giudice, con funzione 
sollecitatoria e di superamento dell'inerzia dell'amministrazione (Cons. Stato, sez. VI, 
27 aprile 1995 n. 373, in Cons. Stato, 1995, I, 566), anche se la sua attivit� � riferibile 
alla stessa amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 1995 n. 1433, in Cons. 
Stato, 1995, I, 1362) cos� come riconosciuto dalla stragrande maggioranza della dottrina 
( cfr. CAIANIElLO, Diritto processuale amministrativo, Torino, 1990, 800; SANDULLI, 
Il problema del!' esecuzione delle pronunce del giudice amministrativo, in Dir. 
soc., 1982, 37, che parla di sostituto o longa manus del giudice) e dalla pressoch� unanime 
giurisprudenza (sia con riferimento all'ausiliario nominato nel processo civile Trib. 
Napoli 22 gennaio 1992, in Societ�, 1992, 1085, per l'amministratore giudiziario 
ex art. 2409 e.e. -sia con riferimento al commissario nominato nel giudizio di 

I

ottemperanza -Pret. Bari-Putignano 13 gennaio 1998, in Giust. civ., 1998, I, 1431; 
Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 1997 n. 639, in Cons. Stato, 1997, I, 753; Tar. Molise 
19 marzo 1997 n. 55, in Trib. amm. reg., 1997, I, 1947; ecc.); in conseguenza, il giudice 
ordinario dell'esecuzione non pu� affidare al commissario ad acta compiti che 
esulino dalla potest� giurisdizionale attribuitagli nella materia oggetto del giudizio 
(Tar Campania, sez. I, 9 maggio 1996 n. 241, in Foro amm., 1997, 275) e, comunque 
dall'ambito della pronunzia da eseguire (Cass. 1� luglio 1982 n. 3953, in Arch. giur. 
oo.pp., 1982, Il, 315); in particolare, nel processo del lavoro presso una pubblica 
amministrazione il giudice non pu� affidare al commissario l'adozione di atti amministrativi 
in senso proprio (cio� di natura autoritativa, di organizzazione generale o 
programmazione) sui quali esso giudice non pu� giudicare ma deve limitare l'intervento 
esecutivo all'adozione, revoca o modifica degli atti negoziali (cio� paritetici) 
interni al rapporto. D'altronde, se anche si qualificasse il commissario come �organo 
straordinario dell'amministrazione� o di natura �ambivalente� (Tar Lazio, sez. III, 13 
dicembre 1996 n. 2365, in Temi rom., 1997, Iv, 492; Cons. giust. amm. reg. Sicilia 29 
giugno 1989 n. 238, in Cons. Stato, 1989, I, 852) -con ci� confondendo questa figura 
con l'altra di nomina amministrativa, con funzioni suppletive o sostitutive prevista 
da apposite disposizioni di legge (ad esempio, art. 4 legge 493/93 per la surrogazione 

della regione al comune nel rilascio delle concessioni edilizie, su cui v. Tar Lombardia 
16 giugno 1997 n. 947, in Riv. amm. Lombardia, 1997, 18; Tar Sicilia, sez. Catania, 
14 maggio 1996 n. 781, in Giust. amm. sic, 1997, 262) -nulla cambierebbe ai 
fini del nostro discorso, atteso che il commissario dovr� sempre agire nell'ambito della 
pronunzia giudiziale da eseguire e secondo le indicazioni del giudice che non potranno 
mai esorbitare dalle sue potest� giurisdizionali. 

Per conseguire un intervento autoritativo sulla sfera di potest� discrezionali 
della pubblica amministrazione che si renda necessario per attuare il precetto del 
giudice del lavoro, l'interessato avr� l'unica strada del giudizio (di cognizione, se 
necessario, e poi) di ottemperanza, ove il commissario nominato dal giudice amministrativo 
godr� dei poteri di quest'ultimo di intervento sugli atti. 


PARTE Il, DOTfRINA 

V. LA TUTELA ESECUTIVA DINANZI AL GIUDICE AMMINISTRATIVO. 
Il giudizio di ottemperanza dinanzi agli organi della giustizia amministrativa � 
previsto dagli artt. 27, 1� comma, n. 4, del r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 (t.u. delle 
leggi sul Consiglio di Stato) e 7, 1� comma, legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (istituzione 
dei tribunali amministrativi regionali) per �ottenere l'adempimento dell 'obbligo 
dell'autorit� amministrativa di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, 
al giudicato dei tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o 
politico�(obbligo discendente dall'art. 4, 2� comma, legge 20 marzo 1865 n. 2248, 
all. E); l'interpretazione giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 febbraio 1996 

n. 120, in Foro amm., 1996, 434) ha da tempo ammesso l'esperibilit� della procedura 
per l'adempimento di pronunzie di ogni organo giudicante (oltre che giudice 
ordinario e amministrativo, anche contabile -Corte conti, sez. IV, pens. mil., 4 
marzo 1994 n. 84116, in Riv. Corte conti, 1994, fase. 3, 179 -e tributario -
Comm. Trib. prov. Livorno 3 aprile 1998, in Corriere trib., 1998, 2565). 
Nessun cenno � fatto a questo procedimento nelle leggi della riforma del pubblico 
impiego neppure sotto il profilo di una diversa regolamentazione della materia 
(come abbiamo gi� detto dianzi, nessuna disposizione in punto di esecuzione 
delle sentenze del giudice ordinario del lavoro nel rapporto con una pubblica amministrazione 
si rinviene nel d.lgs. 29/93 e successive modifiche e integrazioni), cos� 
che non si pu� ritenere abrogata, espressamente o tacitamente, la relativa normativa; 
d'altronde, ritenere preclusa al lavoratore pubblico la possibilit� di agire in sede 
di ottemperanza solo perch� ha a disposizione gli strumenti del codice di procedura 
civile, sembra contrario ai principi costituzionali sanciti dagli artt. 3, 24, 100 e 103 
Cost. atteso che -da un lato -il giudice ordinario continua a non poter intervenire 
direttamente sugli atti amministrativi-autoritativi che influenzano ab externo il 
rapporto di lavoro, per la insopprimibile natura pubblica del datore di lavoro, e dall'altro 
lato -la cognizione degli interessi legittimi resta riservata al giudice 
amministrativo dagli artt. 100 e 103 Cost. 

La procedura si rivela, quindi, accessibile dal pubblico impiegato in tutti quei casi 
ove si tratti di imporre alla pubblica amministrazione una prestazione inj�ngibile (cio� 
che implichi una manifestazione di volont�, esprimibile attraverso l'adozione di atti 
amministrativi in senso proprio) o, comunque, un facere o non facere (che per una 
pubblica amministrazione, anche per le attivit� meramente materiali cui si riferisce 
l'art. 2933 e.e., si identifica nell'adozione di atti dovuti o necessitati, o nella revoca e 
modifica di atti, senza valutazioni discrezionali) al di fuori del regime ordinario del 
rapporto di lavoro, quale sancito dai principi generali del riparto di giurisdizione e 
dallo stesso art. 68 d.lgs. 29/93: in questi casi si pu� parlare di funzione necessaria ed 
ineliminabile, purch� il necessario precetto sia enucleabile dalla sentenza da eseguire 
anche sotto la forma della disposta disapplicazione di atti amministrativi. 

Lo stretto legame fra giudizio di ottemperanza e potere di disapplicazione degli 
atti amministrativi da parte del giudice ordinario � alla radice del nostro sistema giurisdizionale 
delineato dalle riforme degli anni 1865-1889 (come ricorda IARIA, L 'ambito 
oggettivo della giurisdizione del giudice del lavoro e del giudice amministrativo 
dopo i decreti legislativi n. 80 e n. 387 del 1998, in Il lavoro alle dipendenze delle 
pubbliche amministrazioni, 1999, I, 302) e, unitamente alla natura cognitiva del giu



RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO 

e

82 

dizio (e non solo meramente esecutiva: NIGRO, in Il giudizio di ottemperanza (atti del 
convegno), Milano, 1983, 97 ss.; Tar Abruzzo, sez. Pescara, 17 agosto 1992 n. 292, 
in Trib. amm. reg., 1992, I, 4060), vale a schiudere grandi orizzonti all'operativit� ~ 
dell'istituto sulla via della effettiva tutela del cittadini di fronte alla pubblica amministrazione: 
il giudice dell'ottemperanza � giudice esclusivo (cio� decide sul diritto 

I soggettivo del cittadini all'esecuzione della sentenza) e di merito (cio� incide sulla 
sfera di discrezionalit� dell'amministrazione e pu� imporle �obblighi di fare ... anche 

I 

quando tale obbligo discenda da una sentenza passata in giudicato del giudice ordinario
� -Cons. giust. amm. sic., sez. giurisd., 17 ottobre 1989 n. 389, in Cons. Stato, 
1989, I, 1250), perviene ad una �interpretazione integrativa del comando contenuto 
nella decisione� (Tar Abruzzo 292/92 cit.; Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 1991 n. 
52, in Cons. Stato, 1991, I, 120) e disapplica gli atti amministrativi contrari al giudicato 
da eseguire, siano essi stati adottati successivamente alla sentenza ed in elusione 
al comando (Tar Sicilia, sez. Catania, 21 luglio 1994 n. 1629, in Giur. amm. sic., 
1994, 584; Tar Calabria 12 novembre 1981 n. 285, in Foro amm., 1982, 267) o siano 
preesistenti e presupposti o conseguenziali alle statuizioni da eseguire (Cons. giust. 
amm. sic., 10 marzo 1983 n. 33, in Cons. Stato, 1983, I, 354: �Nel caso in cui la con


I m

troversia su un atto rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, il soggetto che 
si senta leso da atti conseguenziali al primo ha l'onere di chiederne la disapplicazione 
allo stesso giudice, potendo adire il giudice amministrativo soltanto in sede di 
giudizio di ottemperanza qualora la pronuncia di disapplicazione non sia stata suf~ 
@ 
ficiente ad eliminare la lesione subita�). t 

Si pu�, quindi, ritenere tranquillamente che il giudice dell'ottemperanza adito ~ 
dal pubblico dipendente possa intervenire direttamente (senza la previa instaurazio


llil~

ne di uno specifico giudizio amministrativo di cognizione) sugli atti amministrativi 
disapplicati dal giudice ordinario o sui comportamenti del datore di lavoro pubbli


I

co esplicitamente o tacitamente definibili illegittimi in base al giudicato (secondo i 

'

canoni classici dei vizi dell'atto amministrativo, violazione di legge, incompetenza 
ed eccesso di potere), anche se quegli atti e comportamenti non possono ritenersi '

I 

I 
r~ 
contenuti nel giudicato sostanziale secondo gli artt. 2909 e.e. e 34 c.p.c. (sulle caratteristiche 
del giudicato sostanziale che copre il dedotto e il deducibile e prevale 
rispetto allo jus superveniens retroattivo ma non si estende ai punti pregiudiziali sui 
quali il giudice non � stato chiamato o non ha la potest� di decidere, v. PROTO PISANI, 
op. cit., 67 ss, 87 ss.). 

Solo nel caso si riveli necessario un giudizio su atti amministrativi sui quali non 
sia stato operato alcun esame, neppure incidenter tantum, da parte del giudice del lavoro 
o su comportamenti della pubblica amministrazione rimasti completamente estranei 
alla domanda ed al giudicato (Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 1995 n. 1416, in 

I

i<' 

Cons. Stato, 1995, I, 1719: �� inammissibile il ricorso per ottemperanza che abbia ad r.

[

oggetto una domanda non proposta col ricorso ordinario e sulla quale pertanto non � 

f:
intervenuta pronuncia da parte del giudice�), sar� necessaria la proposizione di un 

l'\

giudizio amministrativo di cognizione prima dell'eventuale ottemperanza. >:= 

2. Il giudizio di ottemperanza costituisce anche strumento concorrente all'eset 


cuzione secondo le regole processual-civilistiche ogniqualvolta quella sede sia riter:~~ 


~ 

nuta pi� idonea per conseguire il diritto riconosciuto dalla sentenza, ad esempio per Ea 
il pagamento di somme di danaro (Tar Toscana, sez. I, 17 ottobre 1997 n. 454, in ~ 

1:i 
ill 

~ 


PARTE Il, DOTIRINA 

Toscana giur., 1997, 983; Cass. 3 febbraio 1988 n. 1074, Foro it., 1989, I, 853; 
anche su decreto ingiuntivo, Cons. Stato, sez. VI, 5 ottobre 1988 n. 1114, in Foro it., 
1989, III, 127) che pu� essere pi� agevolmente conseguito a mezzo dell'adozione 
coattiva dei necessari atti di impegno di spesa (ad opera del giudice amministrativo 
e del commissario ad acta) piuttosto che con le ordinarie procedure esecutive (che 
si scontrano con i noti profili di impignorabilit� cui sopra s'� fatto cenno); trattasi di 
strumento da sempre a disposizione di ogni creditore della pubblica amministrazione 
e non si vede perch� debba ora negarsi al pubblico dipendente. 

3. Il giudizio di ottemperanza incontra un limite generale nella sua ammissibilit� 
solo per pronunzie passate in giudicato (in quanto si � ritenuto opportuno lasciare 
alla discrezionalit� della stessa pubblica amministrazione la scelta fra l'immediata 
integrale conformazione all'ordine esecutivo del giudice e l'attesa della definitivit� 
della pronunzia prima della modifica-annullamento-adozione di un atto amministrativo, 
in considerazione degli interessi pubblici coinvolti -Cons. Stato, sez. V, ord. 
27 giugno 1997 n. 1274, in Riv. amm., 1997, 682); non vi si potr� accedere, quindi, 
per le pronunzie provvisoriamente esecutive o cautelari e per tutti gli altri provvedimenti 
non giurisdizionali emessi in esito alle procedure deflattive del contenzioso del 
lavoro (conciliazioni ai sensi degli artt. 69 e 69 bis d.lgs. 29/93 o secondo i contratti 
collettivi) o alternative (arbitrati) per i quali si potr� usufruire degli strumenti generali 
o speciali (ad esempio, art. 669 duodecies c.p.c.) apprestati dal codice di procedura, 
resi di pi� facile attuazione in quei casi nei quali la manifestazione di volont� 
dell'amministrazione si sia gi� espressa (verbali di conciliazione). 
Il giudice dell'ottemperanza, infine, non pu� modificare o completare il dispositivo 
da eseguire ma solo, come gi� detto, interpretarlo in relazione allo specifico 
fine di assicurarne l'esecuzione (<<L'oggetto proprio del giudizio di ottemperanza � 
costituito dalla verifica se la p. a. abbia o meno attribuito all'interessato quella utilit� 
che la sentenza ha riconosciuto come dovuta� -Cons. giust. amm. sic., sez. 
giurisdiz., 18 aprile 1997 n. 24, in Giust. amm. sic., 1997, 411): � giudice del merito 
solo in riferimento al contenuto delle statuizioni che ha il potere di emettere nei 
confronti della pubblica amministrazione, quindi non pu� mai interferire, come 
dianzi s'� detto, nel regime di distinzione fra le giurisdizioni delineato dall'art. 68 
d.lgs. 29/93 (e fuori di luogo si rivelano le preoccupazioni di chi non vuole ammettere 
l'ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo per non far rientrare dalla 
finestra quella competenza sul rapporto di lavoro che il legislatore della riforma ha 
assegnato al giudice ordinario: SASSANI, op. cit., 206). 

VI. LA TUTELA DEI TERZI NEL PROCESSO ESECUTIVO. 
Il problema della partecipazione del terzo al giudizio si pone, in primo luogo, per 
la fase di cognizione e, prima ancora, per quella di conciliazione, dopo e in conseguenza 
per la fase esecutiva; non essendo questa la sede per affrontare il problema, mi 
limito ad osservare che, rispetto al processo su un rapporto di lavoro privato, il coinvolgimento 
(e l'esigenza di tutela) del terzo nel processo su un rapporto di lavoro con 
pubblica amministrazione si presenta in termini di necessit� nella misura in cui si 
ritengono eseguibili coattivamente anche gli obblighi inftmgibili: se la pubblica ammi



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT� .

84 

nistrazione non ha la libert� del datore di lavoro privato nella scelta dell'opzione risarcitoria 
ma deve, ad esempio, riammettere in servizio un dipendente o riassegnargli la 
sua sede o collocarlo nella corretta posizione in graduatoria, lo deve inevitabilmente 
fare a danno di altri perdenti posto che devono potersi difendere in giudizio e, poi, 
devono essere ammessi alla proposizione delle opposizioni all'esecuzione previste dal 
codice di rito (cos� come i controinteressati sono ammessi a partecipare al processo di 
ottemperanza -Cons. Stato, sez. V, 14luglio1997 n. 826, in Foro amm., 1997, 1972; 
SASSANI, op. cit., 193 -oltre che a quello amministrativo di cognizione, ai sensi degli 
artt. 21, commi 1e2, legge 1034/71e36, comma 2, t.u. Cons. St.). 

VII. Lo SPONTANEO ADEMPIMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E LE RESPONSABILIT� 
DISCIPLINARI, CONTABILI E PENALI CHE LO PRESIDIANO. 
L'esecuzione forzata di un ordine dell'Autorit� Giudiziaria dovrebbe, comunque, 
costituire un'eventualit� remota allorch� destinataria ne sia una pubblica amministrazione, 
non potendosi certo negare che risponda ai precetti riconducibili all'art. 
97 Cost. l'adempimento di una disposizione giudiziale per definizione intesa ad 
affermare la legittimit� di un atto o comportamento. 

1. Questa considerazione, valida in ogni tempo e che si pu� riagganciare al precetto 
sancito dall'art. 88 r.d. 17 agosto 1907 n. 642 secondo cui �L'esecuzione delle 
decisioni si fa in via amministrativa� (da intendere in positivo quale indicazione e 
monito per i pubblici uffici e non in negativo quale preclusione per l'intervento coattivo 
giurisdizionale), assume vieppi� attualit� dopo la riforma della pubblica amministrazione 
attuata dal d.lgs. 29/93, con la distinzione fra funzione di indirizzo politico 
ed attivit� di gestione e con la responsabilizzazione della dirigenza pubblica: 
1.a) il primo principio, sancito dall'art. 14, facilita la individuazione dei responsabili 
del rapporto, dei veri titolari dei diritti e doveri che fanno capo al datore di lavoro 
e, quindi, dei destinatari dei provvedimenti giudiziali, cio� i dirigenti preposti 
all'ufficio e non pi� quell'entit� astratta ed inafferrabile (a livello istintivo prima che 
razionale) che era il ministro; ora il contratto di lavoro lo firma il dirigente ed � 
costui che adotta gli atti ed assume ogni decisione durante il rapporto e che ne decreta 
la cessazione, in una relazione paritetica con il lavoratore che consente un intervento 
pieno ed assoluto dell'Autorit� Giudiziaria nel caso di controversie, senza pi� 
alcuna limitazione in fase esecutiva, perch� gli atti assunti dal dirigente non sono 
amministrativi in senso proprio e sono soggetti alla cognizione del giudice ordinario, 
con i poteri sanciti dai principi generali del nostro ordinamento e ribaditi dal1'
art. 68 d.lgs. 29/93; questa separazione fra livello politico e gestionale ci fornisce 
un altro strumento per la individuazione degli atti paritetici, pienamente conoscibili 
dal giudice ordinario e coercibili anche se infungibili (per usare termini �privatistici
�, giuste le ragioni sopra esposte), atteso che quegli atti sono quelli e soltanto quelli 
emessi nell'ambito della gestione del rapporto (entro i confini desumibili dal citato 
art. 14 dello stesso decreto) dai dirigenti preposti all'ufficio (ex art. 17 d.lgs. 
29/93) o dai dirigenti generali che sovrintendono al settore (ex art. 16), al di fuori gli 
atti sono autoritativi (amministrativi in senso proprio) e sono direttamente conoscibili 
dal giudice amministrativo, anche in sede di ottemperanza. l.b) I dirigenti, poi, 
sono responsabili della gestione del settore o ufficio loro affidato e rispondono per



PARTE II, DOTIRINA 

sonalmente (prima di tutto, sotto il profilo della conservazione dell'incarico dirigenziale) 
del raggiungimento degli obiettivi prefissati in sede politica; � indubbio 
che nella valutazione dei risultati della gestione (ex art. 20 d.lgs. 29/93 come pi� 
volte modificato) assuma rilevanza il fenomeno del contenzioso sorto con i lavoratori 
dipendenti sia per le cause che lo hanno determinato sia per le modalit� con le 
quali � stato definito; un buon dirigente sa, da un lato, evitare per quanto possibile 
occasioni di attrito sul luogo di lavoro e deve, dall'altro lato, evitare di esporre l'amministrazione 
ad azioni coattive per l'esecuzione di ordini del giudice; possiamo, 
quindi, formulare questa ulteriore considerazione: I'esecuzione spontanea del decisum 
costituisce la regola di una corretta gestione della cosa pubblica secondo i principi 
dettati dall'art. 97 Cost. e l'intervento del magistrato (ordinario o amministrativo) 
pu� essere utile essenzialmente per dettare modalit� esecutive non direttamente 
desumibili dal provvedimento e rendere possibile quello spontaneo adempimento, 
piuttosto che per imporre comportamenti o superare resistenze. 

2. L'apparato sanzionatorio, ad ogni buon conto, continuer� a presidiare la corretta 
esecuzione dei contenuti precettivi dei provvedimenti giurisdizionali (oltre che 
di quelli conclusivi delle altre procedure conciliative ed arbitrali previste dalla legge 
o dai contratti), con una efficacia per certi profili pi� ampia di quella che si incontra 
per l'esecuzione nell'ambito del rapporto di lavoro privato. 
2.a) La natura pubblica del datore di lavoro implica il suo assoggettamento a 
specifiche responsabilit� disciplinari e contabili; delle prime s'� gi� detto e baster� 
aggiungere il richiamo delle responsabilit� che nel procedimento amministrativo 
incombono sul responsabile del procedimento ai sensi della legge 241/90, mentre le 
seconde fanno capo all'istituto del giudizio di competenza della Corte dei conti non 
eliminato dalla privatizzazione del pubblico impiego. 

Per evidenziare il ruolo che il giudizio di responsabilit� svolge nell'economia 
della corretta gestione della cosa pubblica, sotto il profilo -che qui interessa -del 
corretto adempimento dei provvedimenti giurisdizionali, baster� richiamare la giurisprudenza 
della Corte dei conti che ritiene responsabili di danno allo Stato i pubblici 
amministratori che hanno provocato, con il loro comportamento omissivo od 
elusivo, la nomina di un commissario ad acta: <<Risponde del danno derivato dal 
pagamento degli onorari del commissario ad acta nominato dal Tar, il j�nzionario 
di un comune che abbia posto in essere un comportamento omissivo gravemente 
colposo, determinando la nomina dell'organo sostitutivo� (Corte conti, sez. giur. 
reg. Sicilia, 23 marzo 1998 n. 84, in Giust. amm. sic., 1998, 143; 16 giugno 1997 

n. 170, id., 1997, 893; sez. giur. Sardegna, 16 giugno 1997 n. 600, inRiv. corte conti, 
1997, fase. 5, 206; 16 aprile 1993 n. 101, in Nuova rass., 1996, 833). 
2.b) La responsabilit� penale che dovrebbe conseguire (senza sostanziali differenze 
fra pubblico e privato) all'omessa esecuzione di un ordine dell'autorit� giudiziaria 
dovrebbe poggiare sugli artt. 388, 509 e 650 c.p., di non agevole applicazione 
alle obbligazioni di fare inj�ngibili a carico del datore di lavoro; mentre la 
dottrina ha vigorosamente invocato una modifica normativa al fine di adeguare quelle 
disposizioni penali alle mutate esigenze sociali (v. PROTO PISANI, op. cit., 725 e 
842), la giurisprudenza ha tentato con esiti non univoci di munire di forza precettiva 
penale quegli obblighi imposti al datore di lavoro dal giudice civile competente 
e considerati infungibili in sede di esecuzione forzata. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

86 

L'attenzione si � soffermata sull'art. 388, di pi� ampia portata con le articolazioni 
dei suoi due commi, rispetto ali' art. 509 (condizionato dall'originaria destinazione 
di tutela del sistema corporativo e dell'applicazione dei contratti collettivi allo 
stesso collegati: Pret. Schio 21 aprile 1983, in Foro it., 1984, II, 7, e Pret. Foligno 15 
ottobre 1981, in Rass. giur. umbra, 1982, 167, ne hanno comunque fatto applicazione) 
ed all'art. 650 (la cui operativit� � limitata all'inosservanza dei precetti emessi ai 
sensi dell'art. 28 Statuto dei lavoratori ed esclusa per gli ordini di reintegra ex art. 18: 
Pret. Firenze 9 giugno 1990, in Riv. it. dir. lav., 1991, II, 689; Cass. 12 maggio 1989, 
Jacquin, in Mass. giur. lav., 1990, 466; Trib. Perugia 18 novembre 1981, inRass. giur. 
umbra, 1981, 339): la configurabilit� del reato ex art. 388 c.p. � stata ritenuta sussistente 
nel caso di inosservanza di ordini di reintegra nel posto di lavoro emessi in 
sede cautelare (Cass. 8 ottobre 1987, in Cass. pen., 1989, 805; Pret. Milano 21 aprile 
1984, in Riv. critica dir. lav., 1994, 1026; Cass. 24 settembre 1993, Masi, in Riv. 
pen., 1994, 1013), anche in quanto compresi fra quelli a tutela del credito espressamente 
menzionati nel secondo comma (App. Milano 27 e 29 ottobre 1992, inRiv. critica 
dir. lav., 1994, 193), non esclusa l'applicabilit� del primo comma (la cui ratio � 
stata individuata �nella violazione della generale clausola di correttezza nei comportamenti 
nei limiti previsti dalla tassativit�� delle fattispecie contemplate: Pret. 
Milano 10 maggio 1989 e 21 giugno 1989, in Lavoro 80, 1989, 1105; Cass. 3 aprile 
1992, Termini, in Mass. giur. lay., 1992, 532) e la conseguente possibilit� di disporre 
misure atte ad impedire che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze ai sensi 
degli artt. 219 e 231 c.p.p. (Pret. Milano 22 luglio 1983 e 6 dicembre 1982, in Foro 
it., 1984, II, 7); non mancano, per�, pronunzie le quali ritengono derivare dalle sentenze 
del giudice del lavoro meri obblighi civili non concretanti fattispecie penalmente 
rilevanti (Cass. 16 febbraio 1984, Cutrone, in Notiziario giur. lav., 1984, 413; 
Trib. Milano 15 dicembre 1982, in Foro it., 1984, II, 6) e, comunque, inapplicabili gli 
artt. 219 e 231 c.p.p. al fine di disporre l'intervento della forza pubblica per la reintegrazione 
manu militari del lavoratore nel posto di lavoro (Cass. 8 maggio 1986, 
Spagnoli, Riv. it. dir. lav., 1987, II, 386; Cass. 24 novembre 1982, Marzari, in Foro 
it., 1984, II, 6; Cass. 2 luglio 1983, Conciato, in Notiziario giur. lav., 1984, 118). 

Sull'art. 328, 1� comma, c.p., dopo la novella ex l. 86/90, si � recentemente espressa 
la Cassazione ritenendo compreso nel suo ambito di operativit� l'inottemperanza a 
decisione di un tribunale amministrativo, in quanto �L'atto di ufficio di cui si tratta � 
innegabilmente dovuto 'per ragioni di giustizia', posto che esso � conseguenza di un 
provvedimento pronunicato dall'organo di giustizia amministrativa� (Cass. 22 luglio 
1999, Galgano, Guida al dir., 1999, fase. 37,115, con nota di FoRLENZA); l'affermazione 
con carattere di generalit� del principio fa ritenere che possa configurare il reato di 
rifiuto di atti d'ufficio l'inottemperanza a qualunque provvedimento adottato dal giudice 
del lavoro a favore del lavoratore e nei confronti della pubblica amministrazione. 

Ad ogni buon conto, fidare sul precetto penale per assicurare l'esecuzione da 
parte dei dirigenti della pubblica amministrazione di una pronunzia giurisdizionale 
decreterebbe il fallimento dei principi dello Stato di diritto, della nostra Costituzione 
e della stessa riforma della pubblica amministrazione e del pubblico impiego 
delineata dal d.lgs. 29/93 che, invece, pu� riuscire solo con la responsabilizzazione 
e collaborazione di ciascun cittadino, ognuno nel proprio campo. 

GIUSEPPE ALBENZIO 



PARTE Il, DOTfRINA 

87 

L'informe creatura (1) cambia ancora volto (*) 

1. -Introduzione. 
La sentenza delle SS.UU. della Cassazione n. 500del1999 � stata salutata come 
una innovazione di rilevanza epocale e questo � ben comprensibile ove solo si pensi 
alla tradizione giurisprudenziale di cui rappresenta la brusca soluzione di continuit� 
ed alle suggestioni millenaristiche indotte dal calendario. 

Poich� ho l'onore di partecipare a questo incontro di studio in rappresentanza 
dell'Avvocatura dello Stato penso di fare cosa utile portando la testimonianza di una 
esperienza di istituto sulla genesi storica del dogma della irrisarcibilit� del danno da 
lesione di interesse legittimo, dogma secolare che la Cassazione ha adesso infranto. 

Azzarder� anche qualche considerazione sulle nuove prospettive del sistema di 
giustizia amministrativa aperte dalla sentenza e dal d.l.vo 31marzo1998, n. 80, con 
la doverosa cautela di chi ha la consapevolezza di trovarsi a partecipare -non so 
quanto meritatamente -ad un <<parterre de rois� di giuristi. 

La sentenza in esame se, da un lato, capovolge una giurisprudenza antichissima 
e ormai �pietrificata�, dall'altro rappresenta invece il ritorno ad una pi� antica tradizione 
liberale. 

Con riguardo alla legge abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865 
suole affermarsi che il giudice ordinario italiano adott� un orientamento assolutamente 
restrittivo: tanto restrittivo da rendere necessaria, un quarto di secolo dopo, la 
riforma Crispi. 

L'affermazione � esatta ma approssimativa: nei termini ora riferiti essa � valida 
infatti soltanto per la seconda met� del venticinquennio in considerazione, periodo 
in cui l'esigenza di giustizia nell'amministrazione attravers� l'inverno del pi� profondo 
scontento. 

Per contro, fior�, nel primo dodicennio successivo al 1865, la primavera di un 
orientamento giurisprudenziale quanto mai liberale, orientamento liberale al quale 
la sentenza delle SS.UU. in esame fa ritorno. 

Faccio riferimento in particolare ad una sentenza della Cassazione romana del 
13 marzo 1876 (2), importante non solo in s� ma anche per il fatto che la nota redazionale 
del Foro italiano, su cui � pubblicata, la chiosa come giurisprudenza pacifica 
e condivisa anche dalle Corti di Milano, Torino, Firenze e Napoli. 

Recita dunque la massima: 
�Chiunque da un provvedimento generale regolamentare dell'autorit� amministrativa 
riceva danno pu� domandarne il risarcimento dinanzi l'autorit� giudiziaria. 

(*)Relazione tenuta il 18 novembre 1999 all'incontro di studio intitolato a: �Il sistema della 
Giustizia Amministrativa dopo il d.lvo. n. 80/98 e la sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione 
n. 500/99�, organizzato dal Consiglio di Stato. 

(1) La qualificazione dell'interesse legittimo come �informe creatura� si legge in G. BERTI, 
Amministrazione autonoma e giustizia amministrativa nella legislatura unificatrice del 1865: il 
contributo del deputato Francesco Borgatti, in L'unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, 
a cura di F. BENVENUTI e G. MIGLIO, Milano, 1969, 418. 

(2) Pubblicata in Foro it. 1876, I, 842. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

88 

Cos� pu� dimandarlo il pristinaio, che abbia ricevuto qualche pregiudizio da un 
provvedimento del Comune, con cui venne fissata una tariffa obbligatoria pel prezzo 
di vendita delle farine e del pane. 

L'autorit� giudiziaria investita della dimanda, riconosciuta l'irregolarit� di un 
provvedimento non deve revocarlo, ma soltanto dichiarare la responsabilit� dell' au


torit� amministrativa, di fronte alla prova del danno. 

Fra i danni che i pristinai, nella specie sopraddetta, possono dimandare, si comprendono 
quelli derivati dal pagamento per pretese contravvenzioni, o dalle limitazioni 
apportate alla loro industria, o da altre circostanze�. 

Una sentenza, dunque, pienamente in linea con quella che oggi commentiamo. 

Manca soltanto l'affermazione di principio che sono risarcibili i danni derivanti 
da lesione di interesse legittimo: affermazione non fatta per l'ottima ed ovvia 
ragione che l'interesse legittimo a quel tempo non era ancora nato. 

Doveva nascere di l� a poco e doveva nascere portando nel suo DNA una 
incompatibilit� con la tutela risarcitoria che lo ha condizionato fino a ieri, tanto da 
indurre autorevole dottrina ad affermare ancora di recente: �Se � risarcibile non � 
interesse legittimo� (3). 

� stato argutamente detto che l'irrisarcibilit� dell'interesse legittimo � frutto di 
un paralogismo alla don Ferrante di manzoniana memoria (4): aggiungerei che la 
nascita stessa dell'interesse legittimo come categoria giuridica e pi� precisamente 

I 

come situazione giuridica soggettiva � frutto di un paralogismo di quel tipo. 

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I 

2. -La legge 20marzo1865 All. E: una riforma tradita. ffi 
Quel primo orientamento liberale della giurisprudenza sopra ricordato, affer


I

mava dunque la risarcibilit� del danno recato ad una situazione regolata da leggi M '

' 

amministrative; la risarcibilit� del danno causato da atti autoritativi (o iure imperii); 
la potest� del giudice di disapplicare gli atti autoritativi non solo in via di eccezione, 
ma anche in via di impugnativa principale. 

Tale orientamento era allineato a quello della coeva giurisprudenza belga ed era 
quanto mai ragionevole in quanto gli artt. 2, 4 e 5 della legge abolitrice rappresentavano 
la quasi letterale traduzione degli artt. 92, 93 e 107 della Costituzione belga del 
1831. Costituzione dalla quale il nostro legislatore aveva tratto dichiarata ispirazione 

(5) e che consent� ad un Paese per molti aspetti paragonabile al nostro di considerare 
soddisfacente per oltre un secolo la tutela offerta in tal modo dal giudice ordinario ( 6). 
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(3) A. ROMANO, Sulla pretesa risarcibilit� degli interessi legittimi: se sono risarcibili sono 
diritti soggettivi, in Dir. Amm. 1/1998, 1. 
(4) S. GIACCHETTI, La risarcibilit� degli interessi legittimi e Don Ferrante, in Cons. di Stato, 
1997, II, 1471. 
,

(5) P.S. MANCINI, Discorso del 9 giugno 1864, Atti parlamentari, Camera dei deputati, I ed., 
Voi. dal 20 marzo al 29 giugno 1864. :~ 
(6) M. SoMERHAUSEN, <<Belgio�, in <<Il Controllo giurisdizionale della pubblica Ammini1 
strazione� a cura di A. PIRAS, Torino 1971. "' 
!
)I. 

' 


PARTE Il, DOTIRINA 

89 

Dopo le prime iniziali aperture di cui si � detto, invece, com'� noto l'interpretazione 
che si consolid� nella giurisprudenza italiana fu assai pi� restrittiva e 
ridusse a ben poca cosa la tutela dell'amministrato: non che giudicare di tutti i 
diritti �civili e politici� secondo la formula mutuata dalla Costituzione belga del 
1831, il giudice italiano autolimit� la propria competenza ai diritti a fronte dei 
quali vi fosse una attivit� di mero diritto privato dell'Amministrazione, cos� accordando 
al nostro concittadino di un secolo fa la stessa tutela giurisdizionale che i 
giudici di Berlino accordavano, in pieno Settecento, al mugnaio di Sans Souci 
sotto Federico II. In un regime, quindi, che, per essere illuminato, non cessava di 
essere assoluto. 

Il self-restraint del giudice italiano oper� lungo tre direttive che capovolsero 
l'orientamento liberale sopra ricordato: la negazione della qualit� di diritti civili o 
politici a quelli derivanti da leggi amministrative, la negazione del potere di disapplicazione 
di atti quando la illegittimit� fosse dedotta in via diretta e principale, in 
quanto immediatamente lesiva di una posizione tutelata e, infine -questa la limitazione 
pi� grave -la negazione� della propria potestas iudicandi a fronte di una 
attivit� iure imperii della Amministrazione. 

In conclusione, dalla riforma liberale che avrebbe dovuto assoggettare la 
Pubblica Amministrazione ad un giudice unico, equiordinandola al privato, 
nacque, in realt�, una amministrazione senza giudice, in quanto sottratta a qualunque 
sindacato giurisdizionale che non fosse quello sulla attivit� iure privatorum: 
sindacato da sempre esistito e comunque ben noto gi� prima della Rivoluzione 
francese. 

Quali le ragioni del formarsi di tale giurisprudenza? 
La storiografia tradizionale le individua nella disciplina dei conflitti da quella 
legge dettata e nella scarsa indipendenza di cui godevano allora i magistrati. 

� vero infatti che l'art. 13 dell'allegato E devolvette (sia pure in via transitoria) 
al Consiglio di Stato -cio� all'Esecutivo -la funzione di giudice dei conflitti di 
attribuzione fra giurisdizione e amministrazione ed era quindi prevedibile che il 
Consiglio di Stato procedesse secondo lo schema paralogico del �tu hai torto, perci� 
ti nego il giudice�. Vero � anche che la magistratura dell'epoca era costituita da 
un insieme non ancora amalgamato di giudici dei vari Stati preunitari, forniti di ben 
modeste garanzie nei confronti del Governo. Vero �, infine, che i magistrati -o 
quanto meno quelli di alto grado -erano espressione di quella stessa classe sociale 
-aristocrazia e borghesia agraria -che forniva i quadri alla politica e all'alta 
burocrazia. 

Sta di fatto, per�, che l'errore di grammatica costituzionale dell'art. 13 della 
legge abolitrice -d'altronde non premeditato e dettato solo dalla fretta (7) -fu 
subito corretto con la legge del 1877, che affid� alla Cassazione romana il compito 
di decidere dei conflitti. 

Sta di fatto, ancora, che l'orientamento restrittivo assunto dalla giurisprudenza fu 
tutt'altro che generale e tutt'altro che coerente nel tempo con le ragioni di cui sopra. 

(7) B. SORDI, Giustizia e amministrazione nell'Italia liberale, Milano, 1985, 45. 

RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO

90 

3. -Il contributo dell'Avvocatura erariale al formarsi di tale giurisprudenza ed alla 
istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato. 
Il vero � che al formarsi e consolidarsi di tale giurisprudenza contribu� in misu


ra rilevante e probabilmente determinante l'opera dell'Avvocatura erariale, istituita 
nel 1876 con il dichiarato intento di apprestare criteri difensivi unitari che concorressero 
all'elaborazione giurisprudenziale dei limiti oggettivi del sindacato del giudice 
ordinario sull'atto amministrativo ed in sintomatica coincidenza temporale con 
l'affidamento delle funzioni di giudice dei conflitti a quella Cassazione romana che 
aveva assunto fino allora orientamenti liberali. 

La tesi della responsabilit� storica dell'Avvocatura erariale nel determinare la 
linea interpretativa restrittiva di cui si � detto fu gi� denunciata, nell'infuocato dibattito 
parlamentare sulla legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, dal 
sen. Pierantoni (genero del Mancini) il quale, opponendosi strenuamente al disegno, 
vedeva come unico vero rimedio alla insufficiente difesa degli amministrati una pi� 
esatta lettura, da parte del giudice ordinario italiano, della legge del 1865, una lettura 
conforme alla lettera della norma ed all'interpretazione datane dalla giurispru


I

denza belga di fronte ad analogo testo e, criticando la distinzione fra atti di gestioj 
ne e atti di imperio, ammoniva gli onorevoli colleghi come tale interpretazione, fatta 
propria dal giudice italiano, fosse errata: �l'opera della Cassazione -precis� -fu 
spinta su questa via dall'Avvocatura erariale, forte istituto, prevalente nell'opera del 

potere amministrativo e giudiziario� (8). Naturalmente responsabilit� storica non 
significa �colpa� in quanto non pu� certo rimproverarsi ad un avvocato di avere 
adottato una linea difensiva vincente. 

L'istituto dell'Avvocatura -la cui originaria denominazione di �erariale� forse 
gi� denunziava le limitate dimensioni che lo Stato intendeva attribuire al proprio contenzioso 
-nacque dunque come si � detto, con il dichiarato intento di concorrere, 
con l'adozione di criteri di difesa unitari, alla elaborazione giurisprudenziale della 
distinzione fra diritti ed interessi e a definire i limiti oggettivi del potere del giudice 
ordinario in ordine all'atto amministrativo. A fronte della formula generale del legislatore 
del 1865, �di semplicit� ingannatrice� (9), parve infatti necessaria l'istituzione 
di un organo unitario di difesa in giudizio (10), per supplire alla soppressione di un 
foro amministrativo speciale (11), soprattutto in previsione del passaggio alla Cassazione 
della competenza sui conflitti. Ci� a differenza di quanto accadeva in Francia, 
dove -scriveva nella sua prima relazione l'Avvocato Generale -� ... si fidano ... 
del prefetto: e poterono dispensarsi da un istituto di consiglieri, di avvocati demaniali 
o erariali, in grazia di quel loro foro amministrativo che ne avoca le maggiori cause 
e dove l'Amministrazione trova nei giudici quanta assistenza a lei bisogna� (12). 

(8) Atti parlamentari, Senato del Regno, Discussioni, tornata del 20 marzo 1888, 1170. 
(9) L. ARMANNI, Il Consiglio di Stato, in Trattato di V.E. Orlando, s.d., I, 949. 
(10) F. BATISTONI FERRARA, La difesa dello Stato in giudizio e la soluzione italiana, in �L'.Avvocatura 
dello Stato�, studio storico-giuridico per la celebrazione del Centenario, Roma, 1976, 254. 
(11) Relazione al Regolamento 16 gennaio 1876 n. 2914, serie Il, pubblicata in allegato alla 
Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per il 1876, 74. 
(12) Relazione ult. cit. 

PARTE II, DOTIRINA 

91 

Fin dall'inizio dell'attivit�, l'Istituto elabor� la linea difensiva della distinzione 
fra atti di imperio e atti di gestione e della sindacabilit� incidenter tantum dell'atto 
di imperio solo in via di eccezione e solo quando lo stesso atto aggiungesse al rapporto 
�politico� un �rapporto accidentale e contingente di natura civile� (13). 

Particolare cura fu messa nello spingere quanto pi� \avanti possibile la linea di 
difesa della negazione al giudice della potestas iudicanti, soprattutto in materia di 
responsabilit� aquiliana, attraverso l'argomento che sotto le mentite spoglie di una 
pretesa risarcitoria si sindacava -inammissibilmente -l'emanazione o la mancata 
emanazione di un atto amministrativo: �Tanto fa chiedere la condanna del Sindaco 
quale Ufficiale di Governo a rilasciare il certificato di buoni costumi, quanto il 
chiedere la condanna del Sindaco a soddisfare al danno lamentato dall'attore per 
negatogli certificato� (14). 

Questo scriveva l'Avvocato Generale nella sua relazione per l'anno 1882, cos� 
redigendo l'atto di nascita del paralogismo in base al quale qualche anno dopo, 
doveva nascere la categoria dell'interesse legittimo come situazione soggettiva mai 
tutelabile in via aquiliana pur in presenza, all'epoca, di una clausola generale di 
responsabilit� che non contemplava l'ingiustizia del danno come condizione della 
sua risarcibilit� (art. 1151 e.e. 1865). 

L'autorevolezza, l'esperienza organizzativa, l'uniformit� di indirizzo difensivo, 
la grande capacit� ed esperienza professionale si imposero ad una magistratura di 
varie matrici geo-culturali e la pi� restrittiva delle interpretazioni della legge del 
1865 divenne �diritto vivente�. Con palese capovolgimento dei concetti ispiratori 
della riforma si afferm�, quindi, la regola -come fu detto con qualche pessimismo 
-che il punto di equilibrio fra principio di libert� e principio di autorit� andava trovato 
nell'assioma che dove vi � esercizio di autorit� non pu� esservi libert�. 

All'Avvocatura pu� ascriversi dunque una responsabilit� storica in ordine al 
consolidamento dell'interpretazione in chiave restrittiva della legge abolitiva del 
contenzioso, interpretazione che della riforma Crispi costitu� il presupposto. Sarebbe 
tuttavia errato ritenere che la sua opera avesse costituito anche una �controspinta
� all'affermazione della �giustizia nell'Amministrazione�. 

Va invece osservato che, se da un canto, l'Avvocatura difendeva vittoriosamente i 
confini dell'area riservata all'esecutivo e come tale interdetta al sindacato del giudice 
ordinario, dall'altro, non mancava di denunciare vigorosamente la manifesta inadeguatezza 
del sistema di giustizia amministrativa, quale risultava dal �diritto vivente� cos� 
creato e di conclamare l'urgenza di apprestare adeguate forme di tutela per i cittadini. 

Illuminante, per comprendere appieno la ratio che ispir� la politica difensiva 
dell'Avvocatura ed apprezzarne l'intima coerenza d� condotta sull'intera problematica 
della giustizia amministrativa, � il seguente brano della relazione per l'anno 1883: 

�Fino a che non si riconosca competenza se non al giudice del diritto, sarebbe non 
senza pericolo, per la indipendenza dei poteri, attribuirgli l'indagine della prudenza o 
della opportunit� sulla misura o sull'atto amministrativo. Intanto che basta l'addentrarsi 
anche di poco nelle pratiche della giustizia amministrativa per accorgersi che nulla 

(13) Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per l'anno 1880, 49 ss. 
(14) Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per l'anno 1882, 6. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT(Y'

92 

pi� ne offende, o disdice, quanto lo scompagnare nell'atto amministrativo l'esame della 
legittimit�, dove ogni regola diventa pieghevole, dall'esame della giustizia, la quale non 
pu� tornare che di convenienza ... E dunque, affrancati da ogni scrupolo, commettasi al ~ 
Consiglio di Stato, a questo Supremo Collegio dell'ordine amministrativo, l'esame di fil 
ogni atto amministrativo nel doppio aspetto di quella speciale legittimit� e di quella spe


!:_;_.. 

ciale giustizia, che si comportano dalla giustizia amministrativa. , 

�Lo possiamo col Consiglio di Stato, senza sospettare che ne restino trascesi i 
limiti, offesi i criteri, disdetti i fini della giustizia amministrativa, per astrazioni inutili 
se non pericolose, e con invece la istituzionale garanzia di riportarne sempre 
applicazione concreta e rassicurante� (15). 

4. -L'evoluzione della IV Sezione del Consiglio di Stato: da organo amministrativo 
ad organo giurisdizionale. Il contributo dell'Avvocatura erariale e la nascita 
dell'interesse legittimo. 
� noto come il legislatore, con l'attuazione della riforma del 1889, non intendesse 
affatto costituire una giurisdizione speciale (il che avrebbe minato �in radice� il principio 
della giurisdizione unica introdotto con la legge abolitiva del contenzioso): all' epoca, 
infatti, il concetto che "la fonte di giurisdizione � unica e che, di regola almeno, 
debba essere esercitata dal solo potere giudiziario" dominava ancora tenacemente (16). 

Il legislatore, in realt�, di fronte all'acuta insoddisfazione per le limitatissime 
garanzie che il �diritto vivente� offriva al cittadino nei confronti della pubblica 
Amministrazione, si trov� a dover risolvere un dilemma: o ampliare -eventualmente 
in via di interpretazione autentica -il numero delle situazioni soggettive 
tutelate dinanzi al giudice ordinario, disconoscendo i risultati giurisprudenziali raggiunti, 
come suggerivano alcuni, ovvero accettare per buono quel �diritto vivente� 
ed istituire un altro organo per tutelare situazioni diverse dai diritti. Una volta scelta 
tale seconda soluzione, fu giocoforza accettare il postulato che ci� che andava 
tutelato, per garantire la legalit� nell'azione amministrativa, erano meri �interessi� 
e che di essi non avrebbe potuto conoscere che un organo incardinato nefl'esecutivo. 
Cos�, infatti, si disse espressamente nella relazione alla legge istitutiva della IV 
Sezione del Consiglio di Stato: �il nuovo istituto non � un tribunale giudiziario speciale 
o eccezionale, ma rimane nella sfera del potere esecutivo, da cui prende la 
materia e le persone che lo devono mettere in atto. � lo stesso potere esecutivo ordinato 
in modo da tutelare maggiormente gli interessi dei cittadini. Perci�, a differenza 
dell'antico contenzioso amministrativo, esclude ogni confusione di poteri costituzionali... 
� soltanto un corpo deliberante che il potere esecutivo forma con 
elementi scelti nel suo seno, come a sindacare dei suoi atti, e per mantenere la sua 
azione nei limiti della legalit� e della giustizia� (17). 

(15) Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per l'anno 1883, 53. 
(16) V. SCIALOJA, Come il Consiglio di Stato divenne organo giurisdizionale, in Riv. dir. 
pubbl., 1931, 417. 
(17) V. SCIALOJA, op. loc. cit. 

PARTE Il, DOTIRINA 

93 

Il fatto che nella concezione del legislatore il nuovo istituto fosse un organo del1'
Amministrazione consent�, peraltro, di attribuirgli un potere che giammai, ali' epoca, 
sarebbe stato affidato ad un organo giurisdizionale, cio� quello di sospendere, 
annullare e revocare l'atto amministrativo, il che contribu� a far s� che la nuova 
Sezione, sapientemente guidata da quello stesso Silvio Spaventa che l'aveva cos� 
fortemente voluta conquistasse ben presto il favore del pubblico, dimostrando che la 
tutela offerta �non cedeva, per indipendenza di giudizio, a quella che si poteva ottenere, 
per i diritti, dall'amministrazione giudiziaria ordinaria� (18). 

La forza delle cose, comunque, non tard� a prevalere sull'involucro formale 
costituito dal legislatore, tant'� che la natura giurisdizionale della nuova magistratura 
fu pressoch� immediatamente riconosciuta dalla giurisprudenza: gi� nel 1893, 
infatti, la Cassazione di Roma a sezioni unite, con sentenza 21 marzo 1893, n. 177 
(19), statuiva che �la IV Sezione del Consiglio di Stato � stata investita dalle leggi 
31 marzo 1889 e 1� maggio 1890 di una vera e propria giurisdizione, la quale ha 
pure il carattere speciale di fronte a quelle generiche assegnate all'autorit�.giudiziaria, 
donde l'ammissibilit� del ricorso per incompetenza o eccesso di potere anche 
contro le decisioni della IV Sezione�. 

L'Avvocatura erariale svolse un ruolo non secondario per l'affermazione di tali 
principi ed il consolidamento del nuovo sistema, impugnando le decisioni del Consiglio 
di Stato davanti alle sezioni unite della Cassazione ed affermandone, anche in 
relazione ai limiti soggettivi, la piena equiparazione alle sentenze dei tribunali (20). 

Tirando le fila di quanto sin qui detto sembra potersi concludere che il giudice 
amministrativo in Italia trova paradossalmente la sua matrice in una normativa dettata 
in due riprese, nel 1865 e nel 1889-90, per negarne l'esistenza ed istituire, invece, 
in giudice unico il giudice ordinario. 

Un noto teologo francese ricorderebbe, forse, con riguardo alla specie, che talvolta 
Dio si compiace di scrivere diritto su linee storte o, volendo leggere la vicenda in 
chiave laica, si potrebbe rammentare che non di rado la storia ricorre alle sue astuzie. 

Fatto si � che se la ricostruzione storica sopra accennata � esatta, la nascita del 
giudice amministrativo in Italia si articola nei seguenti momenti: 

1) soppressione del contenzioso amministrativo con devoluzione di ogni questione 
al giudice civile come giudice unico, sull'esempio dell'esperienza belga, a 
sua volta mutuata da quella anglosassone; 

2) applicazione della normativa in senso tanto restrittivo da postulare la necessit� 
di una sua integrazione per la tutela di tutte le situazioni sottratte alla cognizione 
del giudice civile; 

3) introduzione della integrazione -istituzione della IV Sezione del Consiglio 
di Stato -sul presupposto che l'interpretazione della legge del 1865 fosse esatta 
e quindi con configurazione del nuovo rimedio come istituto puramente amministrativo 
per la tutela di semplici interessi; 

4) rapidissima evoluzione della IV Sezione del Consiglio di Stato da organo di 
amministrazione in organo di giustizia;� � 

(18) F. BATISTONI FERRARA, op. Zoe. cit. 
(19) Ne Il Foro it., 1893, I, 294. 
(20) F. BATISTONI FERRARA, op. loc. cit. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO ST�T�,,

94 

5) razionalizzazione di tale ulteriore evoluzione con attribuzioni di una natura 
sostanziale agli interessi tutelati dinanzi al Consiglio di Stato. 

Sintetizzando e schematizzando questa singolare eterogenesi alla quale l'Avvocatura 
erariale partecip� da protagonista in tutte le sue tappe, si potrebbe quindi dire 
che il diritto vivente formatosi -abbiamo visto come -nel quarto di secolo successivo 
al 1865 fu il tradimento di una riforma; che l'istituzione della IV Sezione fu 
la razionalizzazione di quel tradimento; che la trasformazione della IV Sezione da 
organo amministrativo in organo giurisdizionale fu il tradimento di quella razionalizzazione; 
infine, che la creazione della categoria dell'interesse legittimo come situazione 
soggettiva sostanziale ancipite fra diritto e interesse, secondo la nota prospettazione 
del Ranelletti fu l'ulteriore razionalizzazione di quel secondo tradimento. 

Infatti l'interesse legittimo, nato come espediente esegetico (21) per superare le 
aporie del sistema di giustizia creato dalle leggi del 1865 e del 1889 (o piuttosto 
dalla loro interpretazione) fu teorizzato come situazione giuridica soggettiva sostanziale 
unitaria sulla scorta del seguente sillogisma: se alla IV Sezione doveva riconoscersi 
natura giurisdizionale e se l'interesse davanti ad essa fatto valere poteva 
essere protetto denunciando uno qualunque dei tre vizi di incompetenza, violazione 
di legge ed eccesso di potere, occorreva allora riconoscere che la riforma del 1889 
aveva attribuito natura giuridica a situazioni diverse al tempo stesso dal diritto civile 
e politico e dall'interesse semplice, materiale, economico (22). 

L'argomento appare discutibile in s� e comunque condizionato dal postulato 
della situazione giuridica soggettiva come �prodotto immutabile della ragione� (23). 

Se il diritto fosse una scienza esatta, tale operazione logica potrebbe essere 
paragonata a quella attuata dagli astronomi quando, dallo studio delle orbite dei pianeti 
esterni del sistema solare, deducono l'esistenza di un invisibile decimo pianeta 
e ne misurano massa e orbita. Non essendo per� il diritto una scienza esatta, l'operazione 
somiglia di pi� -e specularmente -a quella del manzoniano don Ferrante, 
morto di quella peste che, non essendo n� accidente n� sostanza, non poteva esistere 
secondo quanto conosciuto dalla sua filosofia. 

Unica certezza, nella �informe creatura� nata da tanto travagliata gestazione, 
era la assoluta incompatibilit� con essa, come si � visto, della tutela risarcitoria. 

5. -La sentenza della Cassazione SS.UU. 22.7.1999 n. 500. 
Fin qui l'origine storica del dogma della risarcibilit� dei soli diritti soggettivi (o 
addirittura di alcuni soltanto fra loro), dogma dalla vita ultracentenaria che ha condizionato, 
come acutamente rilevato nella sentenza della Cassazione in esame, le 
evoluzioni della giurisprudenza in materia secondo moduli assolutamente nominalistici, 
attraverso la tecnica di attrarre nella categoria dei diritti soggettivi situazioni 

(21) F. GUICCIARDI, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi della giustizia amministrativa, 
in Studi di Giustizia amministrativa, Torino, 1967, 8. 
(22) o. RANELLETTI, cit. in B. SORDI, op. cit. 271-272. 
(23) L. MENGONI, Diritto e Politica nella dottrina giuridica, lustitia, 1974, 337 ss. 

PARTE Il, DOTIRINA 

95 

ritenute meritevoli della tutela aquiliana e ci� sia nel campo del diritto privato che 
in quello del diritto pubblico. Cio� �mascherando da diritto soggettivo situazioni 
che non avevano tale consistenza� (cos� testualmente la sentenza). A ben vedere ci� 
costituisce nulla pi� che un ricorso storico: i giudici italiani di fine novecento si sono 
adoperati per ampliare I'area della tutela aquiliana utilizzando, a parti invertite, lo 
stesso metodo che i loro colleghi di fine ottocento avevano utilizzato per ridurla. 

Limite insuperabile alla tecnica nominalistica era per� quello dell'interesse 
legittimo pretensivo (tranne che in caso di reato). Coraggiosamente la Cassazione ha 
abbandonato tale tecnica attraverso una rilettura dell'art. 2043 e.e. da qualificare 
non pi� come norma secondaria di sanzione ma come norma primaria volta ad 
apprestare una riparazione dei danni risultanti dall'ingiusto sacrificio di un qualunque 
interesse giuridicamente rilevante (fosse anche un interesse legittimo ... ). 

Con questa impostazione la Corte abbandona la tradizionale impostazione classificatoria 
delle situazioni giuridiche soggettive e quindi la tradizionale concezione 
giuridica del danno inteso come lesione di alcune soltanto fra quelle per sposare la 
concezione pragmatica di stampo anglosassone del danno come perdita economica 
di cui gi� si trova traccia in quella giurisprudenza, formatasi nelle cause interprivate, 
che eleva al rango di diritto soggettivo, secondo la vecchia tecnica nominalistica, 
l'interesse all'integrit� del patrimonio. 

Corollario di tale pragmatico criterio che fa giustizia di tradizionali ambiguit�, 
� la precisazione che in tanto una lesione dell'interesse legittimo � risarcibile in 
quanto risulti in concreto leso un correlato interesse meritevole di protezione ed economicamente 
rilevante quanto meno come �chance�, con conseguente irrisarcibilit� 
degli interessi legittimi a mero rilievo organizzatorio o formale e degli interessi 
pretensivi di improbabile fondamento (24). 

Altro corollario � la nuova configurazione dell'elemento psicologico dell'illecito, 
non pi� riconoscibile nella illegittimit� dell'azione amministrativa n� nel dolo 

o colpa del funzionario ma da individuarsi nella colpa della P.A. intesa come apparato, 
e quindi nella violazione delle regole di imparzialit�, correttezza e buona 
amministrazione configurate come limite esterno alla discrezionalit�. 
Tale affermazione -pi� che volta a �recuperare sul versante della colpa quello 
che si perde sul versante dell'ingiustizia� (25) -sembra riecheggiare il concetto 
pragmatico di responsabilit� provvedimentale delineato dalla Corte di Giustizia 
della Comunit� Europee con la sentenza 5 marzo 1996 C. 46 e 48/93, Brasserie du 
pecheur S.A. (26). 

6. -Il nuovo sistema della giustizia amministrativa. 
Il r�virement, gi� importantissimo in s�, acquista, poi, ulteriore importanza nel 
nuovo sistema di giustizia amministrativa delineato dal d.l.vo 31marzo1998 n. 80 
(che d'altronde alla sentenza ha offerto un sostanzioso supporto normativo). 

(24) S. GIACCHETTI, op. cit. 
(25) R. PARDOLESI, Il suggello delle Sezioni Unite, in Danno e Responsabilit� n. 10/99. 
(26) Pubblicata in Foro it. 1996, Iv, 185. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'.fO.

96 

Il nuovo sistema segna infatti, da un lato, una accentuazione quasi totalizzante 
della tendenza, in atto da tempo, di trasformare il criterio di discrimine fra le due 
giurisdizioni da quello tradizionale della distinzione fra diritto e interesse in quello 
della ripartizione per materie. 

Tale linea di tendenza -non priva ovviamente di qualche discontinuit� appare 
sinergicamente tracciata, oltre che dal legislatore, dal giudice civile e da 
quello penale, da quello amministrativo e dal giudice delle leggi, sia pure in una 
notevole dissonanza e confusione di lingue che testimoniano, da un lato, la non 
riconducibilit� del fenomeno ad un disegno sistematico, dall'altro la rispondenza di 
tale linea di tendenza ad esigenze di giustizia sostanziale. 

Il fenomeno del progressivo mutare del discrimine fra le giurisdizioni si colloca 
in un processo di trasformazione ventennale del giudizio amministrativo, in virt� 
del quale anche il giudice amministrativo italiano, come i giudici amministrativi di 
altre nazioni, gi� alla fine degli anni '80 sembrava avviato a diventare il giudice 
naturale della Pubblica Amministrazione o del pubblico interesse o della pubblica 
funzione con una individuazione della sua competenza operata prescindendo dalla 
natura delle situazioni protette. 

Dall'altro lato il d.l.vo 80/98 introduce nelle materie di giurisdizione esclusiva 
affidate al G.A. (che costituiscono ormai la stragrande maggioranza del contenzioso 
amministrativo) la tutela risarcitoria accanto a quella cassatoria. Superando la lettera 
della legge, la Suprema Corte, con la sentenza in esame, ha ritenuto infatti applicabile 
la tutela risarcitoria a tutti i casi di giurisdizione esclusiva. 

A parte le questioni �i diritto intertemporale, il problema di riparto di giurisdizioni 
sembra quindi ormai avviato in Italia verso una soluzione finalmente cartesiana, 
non pi� condizionata da eventi storici che condussero il cammino delle istituzioni 
per vie contorte e sempre diverse da quelle volute dal legislatore. 

Il giudice amministrativo sar� il giudice naturale della funzione pubblica in 
base ad una ripartizione di competenza per materia e nell'esercizio della sua giurisdizione 
fornir� tutela sia risarcitoria che di annullamento. 

Non � azzardato pensare in proposito -e un preannuncio in tal senso sembra 
potersi cogliere nel parere dell'Adunanza Generale del Consiglio di Stato 12 marzo 
1998 -che la giurisprudenza prossima ventura, forte dell'antico patrimonio di fantasia 
ed inventiva giuridica del giudice amministrativo italiano, sapr� graduare i due 
rimedi in modo da evitare i gravissimi danni che attualmente derivano talvolta da una 
tutela di tipo meramente cassatorio: una tutela inidonea a rendere piena giustizia al 
ricorrente e suscettibile per� di causare costi sociali di molti multipli superiori al 
danno (non risarcito) sub�to dal ricorrente vittorioso, anche solo in sede di sospensiva. 

Non a caso un ordinamento pragmatico come quello comunitario prevede 
sovente l'alternativit� fra annullamento e risarcimento del danno. 

Rimane attualmente come aporia del sistema la doppia competenza in caso di 
danno risarcibile collegato a lesione di interesse legittimo tutelabile in sede di giurisdizione 
generale di legittimit�: al G.A. spetta l'eventuale annullamento dell'atto, 
al G.O. la tutela risarcitoria diretta. 

Sembra urgente in proposito l'approvazione della legge di riforma del processo 
amministrativo, caldeggiata dalla stessa Cassazione, che � gi� all'esame del secondo 
ramo del Parlamento (Atto Camera 5956) e che, tra le sue norme, contempla l'at



PARTE II, DOTIRINA 

tribuzione della tutela risarcitoria al giudice amministrativo in tutte le materie di sua 
competenza. Questo fino all'auspicabile ulteriore passo della eliminazione definitiva 
dell'interesse legittimo non gi� come istituto giuridico, perch� in grado di fornire 
ancora, grazie anche alla sua secolare elaborazione, cospicue garanzie di giustizia 
in sede di giurisdizione di annullamento, ma solo come criterio di discrimine fra 
le giurisdizioni. 

Naturalmente si imporranno delle modifiche alla Costituzione, soprattutto per 
quanto riguarda i rapporti fra Consiglio di Stato e Cassazione, perch� nella sistematica 
attuale le cause devolute al giudice amministrativo -e divenute ormai omologhe 
a quelle conosciute dal giudice civile -sarebbero private di un grado di giurisdizione. 
Le soluzioni astrattamente possibili sono numerose e vanno dalla 
ricorribilit� incondizionata in Cassazione delle sentenze del Consiglio di Stato (ma 
avrebbe ci� un senso una volta caduto il mito ricorrente della giurisdizione unica?) 
alla erezione del Consiglio di Stato in Corte amministrativa equiordinata alla Cassazione 
secondo il modello tedesco, con o senza istituzione di un Tribunale misto 
dei conflitti secondo il modello francese. 

Rimettiamo naturalmente la scelta definitiva all'equilibrio ed alla saggezza del 
Parlamento. 

Una saggezza che sappia tener conto delle grandi tradizioni della nostra giustizia 
amministrativa e sia memore dell'insegnamento della storia che ha condannato al 
fallimento tutte le riforme che costituiscono una brusca rottura con quella tradizione. 

IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'f<Y ..

98 

Il patrocinio autorizzato dell'Avvocatura dello Stato 

L'art. 43 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 recita testualmente che l'Avvocatura 
dello Stato pu� assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi 
avanti le autorit� giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, 
di vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata: 

a) da disposizioni di legge; 

b) da un regolamento; 

e) da un altro provvedimento approvato con regio decreto. 

Ad ulteriore garanzia della necessaria ponderatezza della suddetta autorizzazione 
la legge prescrive, nel comma successivo, che su di essa (sia che avvenga con 
norme di legge o di regolamento e sia che rappresenti il contenuto di un provvedimento 
ad hoc diverso) -� necessario il concerto con i Ministri per la Giustizia e 
per le Finanze. 

La finalit� dell'autorizzazione sembra voler essere duplice: a) da un lato essa 
tende ad estendere, per le amministrazioni non statali, il beneficio del patrocinio erariale 
con leffetto di porle sotto questo profilo sullo stesso piano delle amministrazioni 
statali; b) dall'altro consente ali' Avvocatura dello Stato di assumere il patrocinio 
legale anche di amministrazioni non statali. 

Per quanto riguarda la finalit� sub a) � fin troppo evidente che trattandosi della 
concessione di un beneficio di particolare rilevanza anche sotto l'aspetto economico, 
il Legislatore si preoccupi di circondare l'autorizzazione di particolari e rigorose 
prescrizioni. 

Una volta, per�, che tale limite venga rimosso con legge, con regolamento o con 
il provvedimento previsto dal comma 1 dell'art. 43, l'assunzione della rappresentanza 
e della difesa in giudizio da parte dell'Avvocatura dello Stato assume connotazioni 
analoghe a quella prevista per le amministrazioni statali. Essa �, cio�, come 
testualmente dice l'art. 43, �organica ed esclusiva�. Questo significa sotto il duplice 
profilo sopra evidenziato: a) che lAmministrazione non statale sia tenuta in via 
generale ed ordinaria ad avv~ersi dell'Avvocatura dello Stato; b) che lAvvocatura 
dello Stato debba simmetricamente dare il proprio patrocinio. 

� accaduto ed accade di frequente che le disposizioni di legge, di regolamento 

o di d.P.R. contengano l'espressione che il tale o talaltro ente �pu�� avvalersi del 
patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 43 del r.d. 30 ottobre 1933 
n. 1611. 
Da quel �pu�� si � voluto far derivare una �facoltativit�� dell' Amministrazione 
non statale a servirsi o meno del patrocinio legale dell'Avvocatura dello Stato. 
Sull'inesattezza di tale assunto, lAvvocatura Generale dello Stato si � espressa 
di recente con un parere di massima del Comitato Consultivo reso all'Ente Tabacchi ~:: 

I 

Italiani. 

lli' 

In esso si rileva che il �pu��, usato dal legislatore sia con riferimento alle i:: 

r.::

Amministrazioni non statali che ali' Avvocatura dello Stato non esprime -come ha 
peraltro chiarito anche la giurisprudenza formatasi in materia -facoltativit� ma 

~1===

solo possibilit� di avvalersi e di dare un patrocinio legale che senza la norma auto::; 
rizzativa non sarebbe stato possibile n� chiedere n� prestare. 
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�lal!�a::;~::�:::;:~::::~-;;=~::;;,:m1~� 



PARTE Il, DOTTRINA 

99 

In altri termini quando il patrocinio � autorizzato come all'Avvocatura dello 
Stato non � consentito rifiutarlo, cos� all'Amministrazione non statale non � dato di 
non richiederlo (v. Cass. S.U. 24 febbraio 1975, n. 700; id. 5 luglio 1983, n. 4512). 

Ovviamente nell'interesse dello Stato ed in relazione alla situazione particolare 
delle Amministrazioni non statali cui viene concesso il beneficio, la legge si d� cura 
di prevedere una deroga per quanto riguarda i casi di conflitto di interessi con lo 
Stato medesimo o con le Regioni. Se l'Avvocatura dello Stato ritiene che ne ricorrano 
le condizioni pu� rifiutare, a tutela della posizione dello Stato o della Regione, 
l'assunzione del patrocinio. 

Analogamente una deroga � prevista anche per le amministrazioni non statali 
per la ricorrenza di casi speciali per i quali alle amministrazioni medesime possa 
apparire necessario il ricorso a difensori del libero foro. In questa seconda ipotesi la 
scelta, rimessa alla prudente valutazione delle Amministrazioni interessate, � subordinata 
alla ricorrenza delle condizioni di specialit� (e sul punto numerose sono le 
consultazioni esistenti presso l'Avvocatura Generale dello Stato e tutte orientate ad 
escludere la sussistenza della specialit� in casi di particolare rilevanza sia per le questioni 
giuridiche dibattute, che per l'enorme incidenza economica in caso di soccombenza). 


Dati, per�, gli aspetti di grave delicatezza sia sotto il profilo del rapporto istituzionale 
con l'Avvocatura dello Stato, sia sotto quello giudiziario (possibile dichiarazione 
di nullit� della costituzione in giudizio per illegittimit� del mandato) e sia 
sotto quello del maggiore onere economico che viene a gravare sulle finanze pubbliche 
dell'ente, la legge si d� cura di richiedere l'adozione di �apposita motivata 
delibera da sottoporre agli organi di vigilanza�. 

� persino superfluo ricordare che la successione a titolo particolare tra soggetti 
pubblici diversi nel rapporto controverso non legittima di per s� l'affidamento del 
patrocinio a legali del libero foro. 

Occorre che l'Amministrazione non statale, che si sostituisce a quella statale, 
tenga conto della normativa speciale che riguarda il nuovo Ente. 

La pratica invalsa in talune Amministrazioni non statali di affidare il patrocinio 
a legali del libero foro senza l'osservanza delle norme che riguardano la previsione 
del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato ex art. 43 pi� volte citato riveste i caratteri 
di una particolare gravit� sia per la certezza del diritto che per le regole, anche 
economiche, di buona amministrazione. 

LUIGI MAzzELLA 



I


I


I


I 


I


:: 



OSSERVATORIO LEGISLATIVO 


1999 

AGENTE DIPLOMATICO E CONSOLARE. Con legge 28 luglio 99 n. 266 (G.U. 183, 
suppi. ord.) � stata conferita delega al governo per il riordino delle carriere diplomatica 
e prefettizia, nonch� per il restante personale del Ministero degli affari esteri, 
per il personale militare del Ministero della difesa, per il personale dell' Amministrazione 
penitenziaria e del Consiglio superiore della Magistratura. 

AGRICOLTURA. 

ALIMENTI E BEVANDE. 

AMBIENTE. � stato ripubblicato con le relative note (G.U. 11, suppi. ord.) il testo 
della legge 9 dicembre 1998 n. 426 recante �Nuovi interventi in campo ambientale�. 
Nella G. U. 170 � pubblicato un comunicato di rettifica al d.lgs. 11 maggio 1999 n. 152 

(G. U. 124, suppi. ord.) con il quale sono state recepite nel nostro ordinamento le direttive 
91/271/Cee del 21 maggio 1991 (sul trattamento delle acque reflue urbane) e 
91/676/Cee del 12 dicembre 1991 (sulla protezione delle acque dall'inquinamento 
provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), secondo i criteri dettati dalla legge 
146/94 e con competenze di programmazione in capo alle regioni. Con d.m. 3 dicembre 
1999 (G.U. 288) il Ministro dell'ambiente ha dettato regole per ridurre le conseguenze 
dannose (anche per il rumore) nelle zone limitrofe agli aeroporti. 
AMMINISTRAZIONE DELLO STATO E DEGLI ENTI PUBBLICI IN GENERE. Sono stati 
adottati vari testi normativi per il riordino di enti pubblici: d.lgs. 30 gennaio 1999 

n. 36 (G.U. 46) per l'Enea, ente di diritto pubblico operante nei campi della ricerca 
e della innovazione per lo sviluppo, con funzioni anche di agenzia per le pubbliche 
amministrazioni nei settori dell'energia, ambiente e innovazione tecnologica, libert� 
di gestione (in deroga alle disposizioni sulla contabilit� dello Stato e soggetta al 
controllo della Corte dei conti solo sul bilancio consuntivo); nulla � disposto sul 
patrocinio legale; d.lgs. 30 gennaio 1999 n. 19 (G.U. 29) per il Consiglio nazionale 
delle ricerche, dotato di personalit� giuridica di diritto pubblico e di ordinamento 
autonomo, con finalit� di studio, ricerca, collaborazione e formazione nel campo 
della scienza e dell'istruzione superiore ed universitaria (l'autorizzazione ad avvalersi 
del patrocinio legale dell'Avvocatura dello Stato � stata data con d.P.C.M. 21 
maggio 1999 -G.U. 144); d.lgs. 30 gennaio 1999 n. 27 (G.U. 38) per l'Agenzia spaziale 
italiana-A.S.I., dotata di personalit� giuridica di diritto pubblico e soggetta alla 
vigilanza del Ministero dell'Universit�, con importanti compiti di programmazione, 
promozione, ricerca, formazione e consulenza (anche per soggetti privati) nonch� di 
intrattenere relazioni con i pari organismi esteri; nulla � disposto sul patrocinio legale; 
d.lgs. 25 febbraio 1999 n. 66 (G.U. 67) che istituisce l'Agenzia nazionale per la 
sicurezza del volo, dotata di personalit� giuridica (da intendersi pubblica) ed autonomia 
amministrativa, regolamentare, patrimoniale, contabile e finanziaria e sottoposta 
alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con compiti di 
inchieste tecniche ex art. 826 cod. nav., studio e indagine e monitoraggio, soggetta 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e

102 

al controllo sulla gestione finanziaria della Corte dei conti e con facolt� di avvalersi 
del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato; d.lgs. 21marzo1999 n. 116 (G.U. 99) 
per l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, che conserva la personalit� giuridica di 
ente pubblico economico sino alla trasformazione in societ� per azioni che dovr� 
avvenire entro il 31 dicembre 2001 (e fino a tale data ha facolt� di avvalersi del 
patrocinio dell'Avvocatura Generale dello Stato); d.lgs. 11 maggio 1999 n. 141 

(G. U. 117) che ha trasformato l'Ente autonomo acquedotto pugliese-EAAP in societ� 
per azioni, con la denominazione di <<Acquedotto pugliese S.p.a.� ed effetto dalla 
data della prima assemblea di approvazione dello statuto e nomina degli organi 
sociali; d.lgs. 27 maggio 1999 n. 165 (G.U. 137) per I'A.l.M.A., soppressa e sostituita 
dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura-A.G.E.A. (a far data dall'entrata 
in vigore del decreto, 15 giugno 1999), ente di diritto pubblico sottoposto alla vigilanza 
del Ministero delle politiche agricole e dotato di autonomia statutaria, regolamentare, 
organizzativa, amministrativa, finanziaria e contabile (pu� avvalersi del 
patrocinio dell'Avvocatura dello Stato). I 
Con d.P.R. 8 marzo 1999 n. 70 (G.U. 70) � stato emanato il regolamento recan


I

te la disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a norma dell'art. 4, 

~ 

comma 3, legge 191/98, per la disciplina del lavoro a distanza con il supporto delle 
tecnologie dell'informazione e comunicazione. 

Con deliberazione 18 febbraio 1999 n. 8 (G.U. 60) l'A.l.P.A.-Autorit� per l'informatica 
nella pubblica amministrazione -ha approvato il proprio codice di comportamento. 


Con d.m. 8 giugno 1999 (G.U. 152) del Ministero del tesoro, del bilancio e della 
programmazione economica � stato disposto il riassetto organizzativo dei dipartimenti 
dello stesso ministero; con d.P.R. 13 settembre 1999 (G.U. 225) � stata attribuita 
la nuova denominazione al Ministero della giustizia e al Ministero delle politiche 
agricole e forestali; con d.P.R. 17 settembre 1999 (G. U. 225) sono stati 
conferiti poteri speciali al Ministero del tesoro per la dismissione di partecipazioni 
azionarie dell'Enel spa. 

Sono stati adottati vari testi normativi per il riordino di enti pubblici: decreti 
legislativi 23 luglio 1999 n. 242 (G.U. 176) per il Coni; 30 luglio 1999 n. 105 (G.U. 
192) per il Formez (associazione giuridica riconosciuta con personalit� di diritto privato, 
con lo scopo di coordinare le attivit� di formazione delle regioni e degli enti 
locali e di coadiuvare il dipartimento delle attivit� di coordinamento del sistema formativo 
pubblico, con possibilit� di operare direttamente nel mercato della formazione); 
n. 284 (G.U. 192) per la Cassa depositi e prestiti (dotata di personalit� giuridica 
e autonomia ordinamentale, organizzativa, patrimoniale e di bilancio; con 
obbligo di rispetto dell'equilibrio gestionale attraverso l'amministrazione dei fondi @ 

I r::e dei depositi -che possono provenire anche da privati -, la concessione dei f.~ 
finanziamenti -a Stato, regioni, enti locali, enti pubblici, gestori di pubblici servizi 
e societ� partecipate dalla Cassa stessa -ed operazioni in titoli sul mercato; con 
personale proprio retto da un contratto collettivo di diritto privato e possibilit� di 
assunzione a tempo determinato di esperti) e n. 287 (G.U. 193) per la Scuola supe1
� 
riore della pubblica amministrazione (�istituzione di alta cultura� di natura pubbli~: 
ca, della quale � confermata la centralit� nella formazione del personale dipendente 

ili 

dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni, con funzioni anche di coordina


i 1: 


PARTE Il, OSSERVPJORIO LEGISLATIVO 

mento dell'attivit� di tutte le scuole pubbliche di formazione; la Scuola potr�, inoltre, 
effettuare attivit� di ricerca e consulenza per conto della Presidenza del consiglio 
e delle altre pubbliche amministrazioni ed altre attivit� di formazione al di fuori 
di quelle istituzionali; � attribuita autonomia organizzativa e contabile), per la Scuola 
centrale tributaria e per la Scuola superiore dell'Amministrazione dell'Interno; 23 
luglio 1999 n. 296 (G.U. 200) per l'istituzione dell'Istituto nazionale di astrofisicaInaf 
e norme relative all'Osservatorio vesuviano; 17 agosto 1999 n. 304 (G.U. 209) 
per l'Ente autonomo esposizione universale di Roma, trasformato in s.p.a. EUR; 29 
ottobre 1999 n. 419 (G.U. 268) per il riordinamento del sistema degli enti pubblici 
nazionali a norma degli art. 11 e 14 legge 59/97; e n. 449 (G.U. 283) per l'Unireunione 
nazionale per l'incremento delle razze equine. 

La riforma dell'organizzazione del Governo ed il nuovo ordinamento della Presidenza 
del consiglio dei ministri sono contenuti nei decreti legislativi 30 luglio 
1999 n. 300 e n. 303 (G.U. 203 e 205, suppi. ord.): 

-nel d.lgs. 300 sono indicati i dodici ministeri nei quali, a decorrere dalla 
prossima legislatura, si articola il Governo (affari esteri, interno, giustizia, difesa, 
economia e finanze, attivit� produttive, politiche agricole e forestali, ambiente e 
tutela del territorio, infrastrutture e trasporti, lavoro e salute e politiche sociali, 
istruzione e universit� e ricerca, beni e attivit� culturali) ed � prevista la loro articolazione, 
quali strutture di primo livello, in dipartimenti e direzioni generali 
(queste ultime per gli affari esteri, la difesa ed i beni e attivit� culturali, ove rimane 
la figura del segretario generale, soppressa negli altri ministeri, ove operano i 
capi dipartimento); � prevista la costituzione di agenzie per lo svolgimento di attivit� 
di carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, al servizio delle amministrazioni 
pubbliche, comprese quelle regionali e locali, con piena autonomia nei 
limiti stabiliti dalla legge e sottoposte al controllo della Corte dei conti ed ai poteri 
di indirizzo e vigilanza del ministro (i relativi statuti saranno adottati con appositi 
regolamenti ex art. 17 legge 400/88), particolare attenzione � data alle agenzie 
fiscali e di protezione civile (che possono avvalersi del patrocinio dell' Avvocatura 
dello Stato, ai sensi dell'art. 43 r.d. 1611/33) ed all'agenzia per la formazione e 
l'istruzione professionale; le prefetture sono trasformate in uffici territoriali del 
governo, con titolarit� generale di tutte le attribuzioni dell'amministrazione periferica 
dello Stato (il prefetto del capoluogo della regione assume anche le funzioni 
di commissario di governo), salvo che per le amministrazioni degli affari esteri, 
giustizia, difesa, tesoro, finanze, pubblica istruzione, beni e attivit� culturali e 
per le agenzie; 

-nel d.lgs. 303 � delineata una struttura della Presidenza del consiglio pi� 
snella (otto strutture sono trasferite ai ministeri) che consente al presidente di esercitare 
le funzioni che gli sono proprie di coordinamento e di impulso per l'uniformit� 
di indirizzo dell'azione politico-amministrativa; l'attivit� della Presidenza si 
concentrer� sugli indirizzi di politica generale per i rapporti internazionali, la difesa, 
la finanza pubblica e la politica economica, assicurando la collaborazione fra i 
diversi livelli di governo (centrale, regionale e locale) e l'assunzione delle responsabilit� 
connesse alla partecipazione all'Unione europea ed al coordinamento delle 
politiche di pari opportunit�; nella struttura di vertice sono previsti il segretario 

!O 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

104 

generale e vice-segretari nonch� dipartimenti nei quali si articola il segretariato; la 
Presidenza � dotata di autonomia organizzativa, contabile e di bilancio; sono, in conseguenza, 
modificate o abrogate numerose norme della legge 400/88. 

Nell'ambito del programma di decentramento alle regioni ed agli enti locali 
delle funzioni e compiti dello Stato, il d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 443 (G.U. 281) corregge 
ed integra le precedenti disposizioni per conservare allo Stato alcune funzioni 
di rilievo nazionale, quali gli esami ed il rilascio delle patenti nautiche, la regolamentazione 
della somministrazione di cibi e bevande negli esercizi pubblici, la 
dichiarazione di eccezionale calamit�. 

Con legge 3 agosto 1999 n. 265 (G.U. 183, suppi. ord.) sono state dettate disposizioni 
in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, con modifiche alla 
legge 142/90, in particolare all'art. 4 (che prevede l'inserimento nello statuto di 
norme sull'attribuzione alle opposizioni della presidenza delle commissioni consiliari 
aventi funzioni di controllo o di garanzia) e all'art. 36 (che conferisce al sindaco 
maggiori poteri operativi e un ruolo attivo di riorganizzazione degli orari degli 
esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi ed uffici pubblici del territorio 
nonch� poteri straordinari ed urgenti per l'informazione dei cittadini nel caso 
di calamit� naturali). 

Per altre segnalazioni in materia si vedano le voci Avvocatura dello Stato e 
Impiegato dello Stato. 

ANTICHIT� E BELLE ARTI. Con legge 12 luglio 1999 Il. 237 (G.U. 173) sono stati 
istituiti il Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee 
e nuovi musei, con modifiche alla normativa sui beni culturali. Con d.lgs. 20 
luglio 1999 n. 273 (G.U. 186) � stata disposta la trasformazione in fondazione dell'ente 
autonomo �La Triennale di Milano�, in analogia con quanto gi� disposto per 
gli enti lirico-sinfonici con il d.lgs. 134/98. 

Con d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490 (G.U. 302, suppi. ord.) � stato emanto il t.u. 
delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali. 

APPALTO. � stato ripubblicato con le relative note (G.U. 37) il testo del d.lgs. 20 
ottobre 1998 n. 402 recante modificazioni ed integrazioni alle disposizioni in materia 
di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive 93/36/CEE e 
97/52/CE (v. selezione per l'anno 1998). 

Con d.P.C.M. 13 marzo 1999 n. 117 (G.U. 99) � stato emanato il regolamento 
per la ponderazione dell'offerta economicamente pi� vantaggiosa per l'aggiudicazione 
degli appalti di servizi di pulizia negli edifici. 

� stato approvato dal Consiglio dei ministri il 10 dicembre 1999 il regolamento 
generale sui lavori pubblici che, in attuazione della legge 11 febbraio 1994 n. 109 
(il cui testo aggiornato � stato pubblicato nella G.U. 234 del 1999, suppi. ord.), sostituir� 
quello del 1895, tuttora in vigore: in attesa della sua pubblicazione � stato adottato 
il d.l. 30 dicembre 1999 n. 502 (G.U. 305) che ne anticipa in parte i contenuti, 
con l'inasprimento dei requisiti (volume d'affari) per la partecipazione alle gare di 
importo inferiore a dieci miliardi di lire, l'alleggerimento degli stessi per gli appalti 
di fascia media (base d'asta tra dieci e sessantanove miliardi) e la notevole riduzione 
per le grandi opere, oltre che il salvataggio di tutte le domande di revisione 
delle iscrizioni gi� in atto presso l'Albo nazionale costruttori, che si danno per pas




PARTE II, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 

sate in quanto nessuna proroga � disposta per l'operativit� dell'Albo (nella fase 
transitoria spetter� alle pubbliche amministrazioni appaltanti il compito di selezionare 
le imprese che vogliono partecipare agli appalti di lavori pubblici). 

SuH'Osservatorio dei lavori pubblici si segnalano due comunicazioni dell' Autorit� 
per la vigilanza sulle G. U. 257 e 293 (suppi. ord. ). 
Per ulteriori informazioni si veda la voce Opere pubbliche. 

ATI'o AMMINISTRATIVO. Con Circolare 5 febbraio 1999 n. 1.1.26/10888/9.84 

(G.U. 33), in attuazione del d.P.R. 403/98, � stato adottato il regolamento di attuazione 
degli artt. 1, 2 e 3 legge 127/97 in materia di semplificazione delle certificazioni 
amministrative; con Circolare 24 marzo 1999 n. 21 (G.U. 101) sono state dettate 
ulteriori norme in materia di semplificazione amministrativa, in relazione alla 
legge 191/98 e al d.P.R. 403/98. 
Con d.P.C.M. 8 febbraio 1999 (G.U. 87) sono state dettate le disposizioni 
attuative di quanto previsto dall'art. 3, comma 1, d.P.R. 513/97 sulla formazione, 
trasmissione, conservazione, duplicazione, riproduzione e validazione, anche 
temporale, dei documenti informatici, in particolare per quanto riguarda la firma 
elettronica sui documenti e contratti pubblici, con ci� sancendo definitivamente la 
validit� giuridica dei documenti elettronici e della firma digitale, originariamente 
prevista dall'art. 15, comma 2, legge 59/97 (c.d. Bassanini 1). 

AwoCATURA DELLO STATO. L'Istituto � stato autorizzato ad assumere la rappresentanza 
e la difesa dell'Ente regionale parco naturale di Veio (d.P.C.M. 28 maggio 
1999 -G.U. 144 -), oltre che degli enti indicati alla voce Amministrazione dello 
Stato e degli enti pubblici in genere. 

La Regione Molise ha deliberato il conferimento del patrocinio all'Avvocatura 
dello Stato con deliberazione n. 368/99 (comunicato in G.U. 24). 

L'Istituto � stato autorizzato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell' AsiAgenzia 
spaziale italiana, istituito in ente di diritto pubblico con d.lgs. 30 gennaio 
1999 n. 27 (G.U. 38); detta facolt� non � stata, invece, prevista in occasione della 
trasformazione in societ� per azioni dell'Ente autonomo acquedotto pugliese (d.lgs. 
141/99, G.U. 117), operativa dal 2 luglio 1999, e dell'Ente esposizione universaleEUR 
(d.lgs. 17 agosto 1999 n. 304, G.U. 209), operativa dal marzo 2000. 

BANCA. Con legge 13 dicembre 1999 n. 466 (G.U. 292) � stata disposta la proroga 
al 3 gennaio 2000 dei termini per l'adempimento delle obbligazioni aventi scadenza 
al 31 dicembre 1999, anche se di prescrizione e decadenza, per qualunque 
adempimento, pagamento od operazione. 

CATASTO. 

COMMERCIO. In esecuzione della legge 30 luglio 1998 n. 281 che ha dettato la 
Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, con decreto del Ministero dell'Industria 
19 gennaio 1999 n. 20 (G.U. 29) � stato emanato il regolamento per l'iscrizione 
nell'elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative 
a livello nazionale. In attuazione della direttiva 97 /7/CE � stato emanato il 
d.lgs. 22 maggio 1999 n. 185 (G.U. 143) sulla protezione dei consumatori in materia 
di contratti a distanza. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

106 

CONCORSO A PUBBLICO IMPIEGO. Con decreto del Ministero dell'Interno 6 aprile 
1999 n. 115 (G.U. 98) sono stati individuati i limiti di et� per la partecipazione 
ai concorsi pubblici di accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato che 
espleta funzioni di polizia; lo stesso � stato operato con decreto del Ministro delle 
Finanze 23 aprile 1999 n. 142 (G. U. 117) per i concorsi del Corpo della Guardia 
di finanza (sul punto si richiama la Circolare 26 agosto 1998 n. 9/98 nella selezione 
per l'anno 1998). 

Con decreto del Ministero dell'interno 29 luglio 1999 n. 357 (G.U. 245) sono 
stati individuati i limiti di et� per la partecipazione ai concorsi pubblici di accesso ai 
ruoli del personale della carriera prefettizia ; lo stesso � stato operato con decreto del 
Ministro delle politiche agricole 2 giugno 1999 n. 295 (G.U. 198) per i concorsi del 
Corpo forestale dello Stato. 

CONTABILIT� E BILANCIO DELLO STATO. Nella G.U. 23, suppi. ord., sono stati 
ripubblicati, corredati delle relative note, i testi delle leggi 23 dicembre 1998 n. 448 
(misure di finanza pubblica), n. 449 (legge finanziaria 1998) e n. 454 (bilancio di 
previsione per il 1999 e pluriennale per il triennio 1999-2001), sui quali si veda la 
selezione per l'anno 1998. 

Nella G.U. 302, suppi. ord., sono stati pubblicati i testi delle leggi 23 dicembre 
1999 n. 488 (legge finanziaria 2000) e n. 489 (bilancio di previsione per il 2000 e 
pluriennale per il triennio 2000-2002). 

Con Circolare 8 ottobre 99 n. 44 (G. U. 246) il Ministero del tesoro ha dettato 
disposizioni sul superamento del sistema di tesoreria unica ex art. 29, comma 10, 
legge 448/98. 

CONTRATTI E OBBLIGAZIONI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. Con d.lgs. 28 
dicembre 1998 n. 496 (G.U. 17) sono state dettate disposizioni di razionalizzazione 
delle procedure contrattuali dell'amministrazione della Difesa, a norma dell'art. 54, 
comma 10, legge 449/97, per l'acquisto di beni e servizi, con la previsione di un 
comitato consultivo competente sui progetti di contratto derivanti da accordi di 
cooperazione internazionale in materia di armamenti. 

CONTRAVVENZIONE, DEPENALIZZAZIONE E SANZIONI AMMINISTRATIVE. � stato 
ripubblicato il testo della legge 25 giugno 1999 n. 205 (G.U. 161) recante delega al 
Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario, 
corredato delle relative note; in attuazione della detta legge � stato approvato 
il d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 507 (G.U. 306, suppi. ord.), con interventi nei campi 
degli alimenti, navigazione, circolazione stradale, violazioni finanziarie ed assegni; il 
decreto prevede, inoltre, l'attribuzione al giudice di pace della competenza in materia 
di opposizione all'ordinanza-ingiunzione prevista dalla legge 689/81. 

CONVENZIONI E TRATTATI INTERNAZIONALI. Con legge 15 dicembre 1998 n. 473 e 
474 (G.U. 8, suppi. ord.) e 9febbraio1999 n. 31 (G.U. 44) sono state ratificate le convenzioni 
fra Italia e, rispettivamente, Sud Africa, Viet Nam e Lituania per evitare le 
doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire 
le evasioni fiscali; con comunicati del Ministero degli affari Esteri (G.U. 24 e 81) 
� stata data notizia dell'entrata in vigore delle suddette convenzioni fra Italia e Federazione 
Russa e fra Italia e Sud Africa, firmate il 9 aprile 1996 e il 16 novembre 1995. 


PARTE II, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 

La legge 26 gennaio 1999 n. 24 (G.U. 35) ha dato ratifica ed esecuzione alla 
convenzione relativa all'adesione di Austria, Finlandia, Svezia, Danimarca, Irlanda, 
Gran Bretagna, Grecia, Spagna e Portogallo alla convenzione di Bruxelles del 29 
novembre 1996 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in 
materia civile e commerciale; la legge 24 marzo 1999 n. 90 (G.U. 86) ha dato ratifica 
ed esecuzione agli accordi internazionali fra Italia e Per� del 24 novembre 1994 
per l'assistenza giudiziaria in materia penale ed il trasferimento di persone condannate 
e di minori. 

La legge comunitaria 1998, per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza 
alle Comunit� Europee � stata adottata con legge 5 febbraio 1999 

n. 25 (G.U. 35, suppi. ord.); fra le disposizioni pi� importanti si segnala la disciplina 
del lavoro notturno delle donne (con divieto dal momento in cui viene accertato 
lo stato di gravidanza). 
Con legge 12luglio1999 n. 232 (G.U. 167, suppi. ord.) � stato ratificato lo statuto 
istitutivo della Corte penale internazionale, secondo quanto adottato dalla 
Conferenza diplomatica delle Nazioni unite a Roma il 17 luglio 1998, con delega 
al Governo per l'attuazione dello statuto medesimo. Con legge 14 dicembre 1999 

n. 373 (G.U. 253) � stata data ratifica ed esecuzione degli adempimenti dell'atto 
costitutivo dell'Unesco. 
Con leggi 28 ottobre 1999 n. 413 e 423 (G.U. 266 e 269) e 19 ottobre 1999 

n. 427 e 428 (G.U. 271) sono state ratificate le convenzioni fra Italia e, rispettivamente, 
Kuwait, Argentina, Estonia e Macedonia per evitare le doppie imposizioni 
in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali; 
con d.m. 17 giugno 1999 del Ministero delle finanze (G.U. 174) sono stati modificati 
i precedenti d.m. 4 settembre 1996, 25 marzo 1998 e 16 dicembre 1998 contenenti 
l'elenco degli stati con i quali � attuabile lo scambio di informazioni ai sensi 
delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni. 
La legge 19 ottobre 1999 n. 422 (G.U. 269, suppi. ord.) ha dato ratifica ed esecuzione 
alla convenzione sulla notifica negli stati membri dell'unione europea di atti 
giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale ed al protocollo sulla 
interpretazione del Trattato da parte della Corte di giustizia Ce. 

La legge comunitaria 1999, per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza 
alle Comunit� Europee, � stata approvata con legge 21 dicembre 1999 n. 
526 e pubblicata nella G. U. 13 del 2000, suppi. ord. (si veda la prossima Rassegna). 

CORTE DEI CONTI. Con decreto 25 ottobre 1999 (G.U. 254) � stato disposto l'insediamento 
della sezione giurisdizionale e della procura regionale per il TrentinoAlto 
Adige in Bolzano; con d.lgs. 18 giugno 1999 n. 200 (G.U. 147) erano state 
approvate le norme di attuazione dello statuto della Regione siciliana sulla istituzione 
di una sezione giurisdizionale regionale d'appello della Corte dei conti e di 
controllo sugli atti regionali. 

CORTE COSTITUZIONALE. Nella G. U. 232 � pubblicata la legge costituzionale, 
definitivamente approvata in seconda convocazione, recante �Modifica all'articolo 
68 della Costituzione concernente l'istituzione della circoscrizione Estero per l'esercizio 
del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero�. Nella G.U. 299 
� stata pubblicata la legge costituzionale 22 novembre 1999 n. 1 concernente �l'e



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO-.

108 

lezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle 
regioni�, con diritto allo statuto senza intervento dello Stato ed autonomia nella 
disciplina della forma di governo, del diritto di iniziativa e dei referendum e con pre-� 
visi~ne.c?e, ind~af~o ddi m?zione di s fi� d ucia o d imiscsioni NvolontarUie si0va~a a nuovbe I 

e ez1om, m mo 1 1ca 1 12122 1 e 1 e stata pu -~

1eg I artt. 1, 2 , 1 3e 24 ost. 1a 0 . . 30blicata la legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2 concernente �Inserimento dei ~ 
principi del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione� (durata ragionevo-I'� 
le, pieno contraddittorio fra le parti che devono essere in condizione di parit� anche 
di fronte alle persone che abbiano reso dichiarazioni a carico dell'imputato e per 
l'interrogatorio di persone a difesa, impossibilit� di provare la colpevolezza sulla 
base di dichiarazioni rese da chi si � sottratto volontariamente all'interrogatorio da 
parte dell'imputato); dovr� essere, poi, il legislatore a disciplinare l'applicazione di 
quei principi nei procedimenti in corso. 

DANNI IN MATERIA CMLE. 

DEMANIO E PfITRIMONIO DELLO STATO. Nella G. u. 247 sono pubblicate le disposizioni 
del Ministro dei trasporti per la determinazione dei canoni relativi alle concessioni 
demaniali marittime per l'anno 1998 e 1999. 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE. Con legge 19 gennaio 1999 Il. 14 (G.U. 24) sono 
stati modificati gli artt. 599 (commi 4 e 5) e 602 (comma 2) del codice di procedura 
penale, con l'estensione della �pena concordata� anche dopo i giudizi d'appello, 
ed � stato abrogato l'art. 225 d.lgs. 51/98; con d.l. 22 gennaio 1999 n. 29 (G.U. 43), 
conv. in legge 21aprile1999 n. 109 (G.U. 94), pubblicati nel testo coordinato nella 

G. U. 94 e con le relative note nella G. U. 101, sono state dettate nuove disposizioni 
in materia di competenza della corte di assise (a modifica dell'art. 5 c.p.p.) e di interrogatorio 
di garanzia (a modifica dell'art. 294 c.p.p.). 
Con legge 24 novembre 1999 n. 468 (G.U. 293) � stata conferita delega al 
Governo per definire le competenze penali del giudice di pace (non potranno erogare 
sanzioni detentive ma solo pecuniarie -entro cinque milioni -o alternative 
al carcere; fra i reati che rientreranno nella competenza del giudice di pace si annoverano 
le percosse e lesioni personali, anche se derivanti da colpa professionale, 
l'ingiuria, il furto, l'omissione di soccorso) e modificare i meccanismi di reclutamento 
(� previsto un periodo di tirocinio presso altri magistrati in servizio), le decadenze, 
le incompatibilit� e le indennit�. 

Con legge 12 luglio 1999 n. 231 (G.U. 167) sono state dettate disposizioni in 
materia di esecuzione della pena, di misure di sicurezza e di misure cautelari nei 
confronti di soggetti affetti da Aids o altra malattia particolarmente grave. I 

Per ulteriori informazioni si veda la voce Ordinamento giudiziario. 

I 

DOGANA. f,\ 

ECONOMIA NAZIONALE. Con d.lgs. 9 gennaio 1999 Il. 1 (G.U. 7) � stata istituita 
la societ� Sviluppo Italia, a norma degli artt. 11e14 legge 15 marzo 1997 n. 59, con 

I

capitale azionario interamente attribuito al Ministero del tesoro, bilancio e pro


grammazione economica; con successive direttive del Presidente del Consiglio dei 

Ministri 26 gennaio 1999 (G.U. 20) e 9 giugno 1999 (G.U. 134) sono state date dis-

II 

I 

-


PARTE Il, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 

posizioni attuative ed operative per la struttura societaria e per il riordino delle partecipazioni 
facenti capo agli altri ministeri e sono stati fissati indirizzi e priorit� del1'
attivit� (promozione, orientamento e coordinamento dello sviluppo territoriale; 
creazione e promozione di imprenditorialit�, consolidamento e riqualificazione delle 
piccole e medie imprese ; promozione di servizi reali, di strumenti di commercio 
elettronico e di sistemi di qualit� ; assistenza finanziaria per la progettualit� delle 
imprese e supporto nell'accesso al mercato dei capitali). 

Con d.lgs. 8 luglio 1999 n. 270 (G.U. 185) � stata dettata la nuova disciplina 
dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a 
norma dell'art. 1 legge 274/98 n. 274. 

ESECUZIONE FORZATA PER OBBLIGAZIONI PECUNIARIE. 

ESPORTAZIONE E IMPORTAZIONE. 

FORNITURE. 

IMPIEGATO DELLO STATO E PUBBLICO IN GENERE. Con Circolare 7 gennaio 1999 

n. 1 (G.U. 14, suppL ord.) sono state dettate istruzioni per il monitoraggio della 
spesa del personale, ai sensi dell'art. 65 d.lgs. 29/93; con d.P.R. 21 gennaio 1999 
(G.U. 37) � stato dato corso alla programmazione trimestrale delle assunzioni nelle 
amministrazioni pubbliche, secondo l'art. 39, commi 3 e 20, legge 449/97, assegnando 
alle amministrazioni statali ed agli enti pubblici non economici un contingente 
pari a complessive 4.547 unit�; con d.P.R. 26 febbraio 1999 n. 150 (G.U. 121) 
� stato emanato il regolamento su�le modalit� di costituzione e tenuta del ruolo unico 
della dirigenza delle amministrazioni statali, anche a ordinamento autonomo, e della 
banca dati informatica della dirigenza ; con decreto del Ministero dei beni culturali 
e ambientali 5 giugno 1998 (G.U. 44) sono state indicate le attivit� non consentite 
ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale, in ragione della interferenza 
con i compiti istituzionali; lo stesso � stato fatto, per i propri dipendenti, dal Ministero 
delle Finanze con d.m. 15 gennaio 1999 (G.U. 117). 
Con d.P.R. 15febbraio1999 n. 82 (G.U. 76, suppi. ord.) � stato emanato il regolamento 
di servizio del Corpo di Polizia penitenziaria; con d.P.C.M. 27 aprile 1999 

(G.U. 139) � stato istituito il ruolo del personale dipendente dell'Autorit� per la vigilanza 
sui lavori pubblici. 
Il d.lgs. 30 luglio 1999 n. 286 (G.U. 193) dispone il riordino e potenziamento 
dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti 
e dei risultati dell'attivit� svolta dalle pubbliche amministrazioni (controllo di regolarit� 
amministrativa e contabile, di gestione e di strategia), con particolare riguardo 
alla valutazione dei dirigenti (annuale, di spettanza del dirigente di grado superiore 
e, per i dirigenti apicali, del ministro), che potranno essere licenziati se 
incapaci e che saranno retribuiti anche in relazione ai risultati conseguiti. 

Con d.P.C.M. 30 aprile 1999 (G.U. 153) � stato disposto l'adeguamento annuale 
del trattamento economico del personale non contrattualizzato, di cui all'art. 24, 
comma 1, legge 448/98. 

Nella G.U. 212, suppi. ord., � stato pubblicato il contratto collettivo nazionale 
integrativo del comparto scuola per gli anni 1998-2001; nella G.U. n. 201 � stato pubblicato 
l'accordo quadro nazionale in materia di trattamento di fine rapporto e di pre



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO"

110 

videnza complementare per i dipendenti pubblici; con d.P.R. 16 marzo 1999 n. 254 e 
255 (G.U. 180, suppi. ord.) sono stati recepiti l'accordo sindacale per le Forze di polizia 
ad ordinamento civile, il provvedimento di concertazione delle Forze di polizia a 
ordinamento militare e il provvedimento di concertazione per le Forze armate, relativi 
al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999. 

Per altre segnalazioni in materia si vedano le voci Amministrazione dello Stato 
e Lavoro (contratto collettivo di). 

IMPRESA. Con legge 23 dicembre 1998 n. 461 (G.U. 4) � stata delega al Governo 
per il riordino della disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti nelle fondazioni 
bancarie e per la disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria 
(i soggetti interessati sono gli enti creditizi pubblici, le casse comunali di 
credito agrario e i monti di credito su pegno e che risultino comunque societ� per 
azioni operanti nel settore del credito). 

INTERESSI. 

I 

INVALIDI. 

ISTRUZIONE PUBBLICA. Con 20 gennaio 1999 n. 9 (G.U. 21) sono state dettate 
disposizioni urgenti per l'elevamento dell'obbligo scolastico da otto a dieci anni a 
partire dall'anno scolastico 1999-2000. 

Con legge 3 maggio 1999 n. 124 (G.U. 107), contenente disposizioni urgenti in 
materia di personale scolastico, � stato disciplinato il passaggio nei ruoli del personale 
scolastico statale del personale non docente dipendente da Comuni e Province, 
con modifiche alle disposizioni del d.lgs. 16 aprile 1994 n. 297. 

Con d.P.R. 8 marzo 1999 n. 275 (G.U. 186, suppi. ord.) � stato adottato il regolamento 
in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi della legge 
59/97; con d.lgs. 30 giugno 1999 n. 233 (G.U. 170) � stata adottata la riforma degli 
organi collegiali territoriali della scuola; con d.lgs. 20 luglio 1999 n. 258 (G.U. 181) 
� stato disposto il riordino del Centro europeo dell'educazione e della biblioteca di 
documentazione pedagogica e la trasformazione in fondazione del museo nazionale 
della scienza e della tecnica �Leonardo da Vinci�. 

Al fine della valorizzazione della funzione e dell'impegno professionale del 
personale della scuola, la legge 17 agosto 1999 n. 292 (G.U. 196) ha stanziato fondi 
per incrementare le disponibilit� per il trattamento economico accessorio. 

Con legge 19 ottobre 1999 n. 370 (G.U. 252), contenente disposizioni in materia 
di universit� e di ricerca scientifica e tecnologica, sono stati stanziati fondi per 
gli incentivi ai professori e ricercatori universitari e per borse di studio agli specializzandi 
per gli anni 1983-1991, in attuazione di decisioni giurisdizionali definitive. 

IVA. 

LAVORO (COLLOCAMENTO E MOBILIT� DELLA MANO D'OPERA). 

LAVORO (CONTRATTO COLLETTIVO DI). Sono stati pubblicati i testi dei nuovi contratti 
collettivi di lavoro sottoscritti, per i vari comparti, per il quadriennio normativo 
1998/2001 e per il biennio economico 1998/1999: personale dei Ministeri nella 

G.U. 46, suppi. ord.; personale degli enti pubblici non economici (solo normativo) 
nella G. U. 60, suppi. ord.; per il personale della Sanit� nella G. U. 90, suppi. ord. (per 

PARTE II, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 

questo comparto si segnala, in G. U. 29, il comunicato di errata corrige del Ministero 
della Sanit� relativo al d.m. 29 maggio 1998 n. 227 recante l'ACN per la disciplina 
dei rapporti con i medici ambulatoriali, specialisti e generici addetti all'assistenza 
del personale navigante, marittimo e dell'aviazione civile); per il personale 
delle Regioni-Autonomie locali (anche sulla revisione del sistema di classificazione 
del personale del comparto) nella G. U. 95, suppi. ord.; per il personale della scuola 
nella G.U. 133, suppl.ord. 

Nella G. U. 275 � stato pubblicato il comunicato del Ministero della pubblica 
istruzione concernente l'Accordo di interpretazione autentica dell'art. 34, comma 2, 
del contratto integrativo nazionale n. 8/99/BL del 31agosto1999; nella G.U. 172 � 
stata pubblicata la direttiva del Presidente del consiglio 1� luglio 1999 contenente le 
linee guida per la definizione dei contratti individuali della dirigenza. 

Per altre segnalazioni in materia si veda la voce Impiegato dello Stato. 

LAVORO (RAPPORTO DI). Con legge 12 marzo 1999 Il. 68 (G.U. 68, suppi. ord.) 
sono state dettate norme per il diritto al lavoro dei disabili; con legge 17 maggio 
1999 n. 144 (G.U. 118, suppi. ord., ripubblicata con note nella G.U. 136, suppi. ord.) 
� stata data delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della 
normativa sull'Inail e sugli enti previdenziali. 

Con d.lgs. 17 agosto 1999 n. 299 (G.U. 202) � stata regolata la trasformazione 
in titoli (da destinare a forme di previdenza complementare) del trattamento di fine 
rapporto a norma dell'art. 71, commi 1e2, legge 144/99; con il decreto sono fissate 
anche specifiche agevolazioni tributarie in caso di cartolarizzazione del tfr. 

Con d.m. 31maggio1999 (G.U. 161) il Ministro del lavoro e previdenza sociale 
ha proceduto alla individuazione delle lavorazioni vietate per la fornitura di lavoro 
temporaneo, ai sensi dell'art. 1, comma 4, legge 196/97. 

LEGGE. La legge 8 marzo 1999 n. 50 (G.U. 56, ripubblicata con note nella G.U. 
70, suppi. ord.) -Legge di semplificazione 1998 -ha regolato la delegificazione 
e l'adozione di testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi nonch� 
delle norme che regolano i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni 
pubbliche. 

LEVA MILITARE. La disciplina del servizio militare volontario femminile � stata 
oggetto della delega al Governo contenuta nella legge 20 ottobre 1999 n. 380 

(G.U. 255); fra i principi della delega si segnalano la parit� fra uomini e donne e 
la volontariet� del servizio, anche per l'accesso alle accademie ed alle scuole di 
formazione, con la previsione di idonei strumenti per la tutela della gravidanza e 
della maternit� e l'esclusione delle donne solo da particolari incarichi operativi 
che richiedano il superamento di prove ergonomiche e il possesso di livelli di efficienza 
fisica che non sono mediamente riscontrabili nelle persone di sesso femminile; 
nel decreto � anche diversamente disciplinato il divieto di contrarre matrimonio 
per il personale in servizio permanente fino al terzo anno di servizio 
militare, secondo l'art. 1 legge 564/77. 
LocAZIONE. In attuazione di quanto previsto in sede di riforma della disciplina 
delle locazioni e del rilascio di immobili adibiti ad uso abitativo di cui alla legge 9 
dicembre 1998 n. 431, il Ministero dei Lavori pubblici con d.m. 5 marzo 1999 (G.U. 


RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO...

112 

67) ha dettato i criteri generali per la realizzazione degli accordi da definire in sede 
locale per la stipula dei contratti di locazione ai sensi dell'art. 2, comma 3, detta legge. 

MAFIA. Modifiche all'art. 15 legge 55/90 sono state introdotte con legge 13 
dicembre 1999 n. 475 (G.U. 295). 

MA.Remo. Con d.lgs. 8 ottobre 1999 n. 447 (G.U. 282) sono state dettate nuove 
disposizioni in materia di marchi d'impresa per l'applicazione del protocollo relativo 
all'intesa di Madrid sulla registrazione internazionale dei marchi. 

MEDICINALI. 

MONETA. 

NAVIGAZIONE. Con d.lgs. 25 febbraio 1999 n. 66 (G.U. 67), in occasione dell'istituzione 
dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (v. sopra alla voce 
Amministrazione dello Stato), sono stati modificati gli artt. 826-832 del codice della 
navigazione, costituenti il titolo VIII, libro I, parte II -Delle inchieste tecniche 
sugli incidenti e sugli inconvenienti aeronautici, ed abrogati l'art. 833 e gli artt. 273278-
ter del regolamento per la navigazione aerea -r.d. 11gennaio1925 n. 356. 

OPERE PUBBLICHE. Si segnala il d.l. 30 dicembre 1999 Il. 502 (G.U. 305) contenente 
disposizioni urgenti in materia di nuovo sistema di qualificazione dei soggetti 
esecutori di lavori pubblici. 

I

Per ulteriori informazioni si veda la voce Appalto. 

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO. Nell'ambito della riforma del processo dvile con l'istituzione 
del giudice unico di primo grado (d.lgs. 19 febbraio 1998 n. 51) si segna


I lano:-circolari del Ministero dell'Interno 5 gennaio 1999 n. 2/99{G.U. 12) e del Ministero 
di Grazia e Giustizia 21 maggio 1999 n. 142/0GDG/99 (G. U. 119); legge 1� 

I

aprile 1999 n. 84 (G.U. 77, anche nel testo coordinato con il d.l. 16/99), sulla con


~ 

ferma e proroga dell'esercizio delle funzioni di giudice di pace; legge 14 maggio 
1999 n. 134 (G.U. 113) recante disciplina transitoria per i termini di deposito della 
documentazione prescritta dall'art. 567, comma 2, c.p.c. per la vendita forzata immo


Ibiliare dopo l'attribuzione di competenze ai notai; d.lgs. 4 marzo 1999 n. 138 (G.U. 
115) contenente disposizioni correttive del d.lgs. 51/98 (fra l'altro, sui criteri per l'assegnazione 
degli affari secondo criteri obiettivi e predeterminati indicati in via generale 
dal CSM); d.l. 24 maggio 1999 n. 145 (G.U. 119), conv. in legge 22 luglio 1999 

n. 234 (G.U. 171) che, dopo il differimento al 2 gennaio 2000 dell'entrata in vigore 
delle disposizioni sul giudice unico in materia penale ha regolato problematiche processuali 
e di competenza sorte in seguito alla parziale operativit� della riforma, in 
particolare in punto di competenza per gli appelli nelle cause di lavoro. 
Con legge 5 maggio 1999 n. 155 (G.U. 128) � stata conferita delega al 
Governo per l'istituzione di nuovi tribunali e per la revisione dei circondari di 
Milano, Roma, Napoli, Palermo e Torino (c.d. tribunali metropolitani) a fine di 
decongestionamento del carico di lavoro; con d.lgs. 20 aprile 1999 n. 161 (G.U. 
134), in attuazione dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, sono state 
dettate modifiche alle norme sulla istituzione del tribunale regionale di giustizia 
amministrativa di Trento e della sezione autonoma di Bolzano; con d.lgs. 7 giu



PARTE Il, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 

gno 1999 n. 160 (G.U. 132) sono state modificate le competenze territoriali di 
alcuni tribunali (Treviso e Perugia). 

Nell'ambito della riforma del processo civile con l'istituzione del giudice 
unico di primo grado (d.lgs. 19 febbraio 1998 n. 51) si segnalano: legge 22 luglio 
1999 n. 234 (G.U. 171, ivi anche nel testo coordinato con il d.l. 24 maggiov 1999 

n. 145) che, dopo il differimento al 2 gennaio 2000 dell'entrata in vigore delle disposizioni 
sul giudice unico in materia penale ha regolato problematiche processuali 
e di competenza sorte in seguito alla parziale operativit� della riforma, in particolare 
in punto di competenza per gli appelli nelle cause di lavoro; legge 16 
dicembre 1999 n. 479 (G.U. 296) che ha introdotto ulteriori modifiche al procedimento 
dinanzi al tribunale in composizione monocratica e al codice di procedura 
penale, nonch� al codice penale ed all'ordinamento giudiziario, con disposizioni in 
materia di contenzioso civile pendente, di indennit� spettante al giudice di pace e 
di esercizio della professione forense; quanto al rito monocratico dinanzi al giudice 
unico nel settore penale (la distinzione di competenze con il tribunale in composizione 
collegiale � contenuta nei nuovi artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.), le innovazioni 
concernono, fra l'altro, il controllo della competenza nel corso delle indagini, 
il divieto di pubblicazione di atti o immagini, la riparazione per ingiusta detenzione, 
la ridefinizione della fase processuale relativa all'udienza preliminare, il divieto 
per pubblico ministero e polizia giudiziaria di assumere informazioni dai testimoni 
citati dalla difesa, la formazione del fascicolo del dibattimento in 
contraddittorio fra le parti e con l'inserimento dei risultati dell'attivit� investigativa 
dell'imputato, l'ampliamento della possibilit� di richiedere il rito abbreviato con 
riduzione della pena dell'ergastolo a trenta anni di reclusione, il procedimento per 
decreto anche per i reati perseguibili a querela, la possibilit� di leggere in aula 
dichiarazioni rese da parsone residenti all'estero, l'improponibilit� di appello contro 
le sentenze di proscioglimento per ottenere una diversa formulazione (in modifica 
dell'art. 443 c.p.p.). 
Con d.lgs. 3 dicembre41999 n. 491(G.U.302), in attuazione della delega di cui 
alla legge 5maggio1999 n. 155 (G.U. 128), sono stati istituiti nuovi tribunali e revisionati 
i circondari di Milano, Roma, Napoli, Palermo e Torino (c.d. tribunali metropolitani) 
a fine di decongestionamento del carico di lavoro. 

PERSONA FISICA EDIRITII DELLA PERSONALIT�. Con d.P.R. 31marzo1998 n. 501 

(G. U. 25) � stato emanato il regolamento sull'organizzazione e il funzionamento 
dell'Ufficio del Garante per la protezione dei dati personali, a norma dell'art. 33, 
comma 3, legge 31dicembre1996 n. 675; con d.lgs. 6 maggio 1999 n. 169 (G.U. 
138) � stata data attuazione alla direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica 
delle banche dati, ad integrazione della legge 633/41 sul diritto d'autore; con 
d.lgs. 11 maggio 1999 n. 135 (G.U. 113) sono state apportate integrazioni alla 
legge 675/96 sul trattamento dei dati sensibili da parte dei soggetti pubblici, disponendo 
la sussistenza di rilevante interesse pubblico e, quindi, consentendone il 
trattamento per i dati concernenti la tenuta degli atti e dei registri dello stato civile, 
delle anagrafi della popolazione, delle liste elettorali e dei dati relativi alla 
disciplina in materia di cittadinanza, immigrazione, asilo, condizione dello straniero, 
del profugo e del rifugiato. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

114 

Con d.lgs. 30 luglio 1999 n. 281 e 282 (G.U. 191) sono state dettate disposizioni, 
rispettivamente, in materia di trattamento dei dati personali per finalit� storiche, 
statistiche e di ricerca scientifica e per garantire la riservatezza dei dati personali 
in ambito sanitario; la riservatezza viene garantita attraverso la previsione 
di codici deontologici dei quali si dovranno dotare i soggetti pubblici e privati che 
operano nel campo, sulla base di criteri generali dettati dai decreti stessi; con 

d.P.R. 28 luglio 1999 n. 318 (G.U. 216) � stato emanato il regolamento per l'individuazione 
delle misure minime di sicurezza per il trattamento dei dati personali 
effettuato mediante strumenti informatici; con d.P.C.M. 10 marzo 1999 n. 294 
(G.U. 198) sono state individuate le categorie di documenti in possesso dei Servizi 
segreti che possono essere sottratti al diritto di accesso, al di fuori dei documenti 
coperti dal segreto di Stato (solo dopo cinquanta anni potr� essere consentito 
l'accesso a documenti relativi all'attivit� informativa e di sicurezza la cui 
conoscenza possa pregiudicare la sicurezza, la difesa nazionale o le relazioni 
internazionali, a documenti relative all'organizzazione degli stessi servizi segreti, 
a documenti che riguardano persone, gruppi o imprese; dopo venti anni, invece, 
saranno conoscibili i documenti segreti che riguardano strutture pubbliche o private 
che hanno assunto rilievo ai fini della sicurezza, della difesa nazionale e delle 
relazioni internazionali; quindici anni, infine, sono necessari per l'accesso a documenti 
che ineriscono a riunioni internazionali, consulenze e valutazioni di progetti, 
sempre relativi ai suddetti fini). � 
PERSONA GIURIDICA. Sono stati approvati gli statuti delle nuove fondazioni nelle 
quali sono stati trasformati alcuni enti pubblici operanti nel settore dello spettacolo: 
si vedano i comunicati del Ministero per i beni e le attivit� culturali in G. U. 208 
(Teatro Carlo Felice di Genova, Accademia di Santa Cecilia di Roma, Teatro Comunale 
di Bologna), 230 (Scuola nazionale di cinema) e 287 (Teatro dell'Opera di 
Roma, Teatro La Fenice di Venezia). 

POSTA E TELECOMUNICAZIONI. 

PREVIDENZA E ASSISTENZA SOCIALE. Con d.lgs. 4 agosto 1999 n. 345 (G.U. 237) 
� stata data attuazione alla direttiva 94/33/Ce relativa alla protezione dei giovani sul 
lavoro, viene cos� efficacemente combattuto lo sfruttamento del lavoro minorile con 
modifica della vecchia legge 997 /67 e, in particolare, il divieto di assunzione di giovani 
con meno di 15 anni o con meno di 18 anni che non abbiano terminato il periodo 
di istruzione obbligatoria. Con legge 3 dicembre 1999 n. 493 (G.U. 303) sono 
state dettate norme per la tutela della salute nelle abitazioni e l'istituzione dell'assicurazione 
contro gli infortuni domestici. 

RADIOTELEVISIONE. Si segnala il d.l. 30 gennaio 1999 n. 15 (G.U. 24), conv. in 
legge 29 marzo 1999 n. 78 (G.U. 75, ivi anche nel testo coordinato, con errata corrige 
nella G.U. 82) recante disposizioni urgenti per lo sviluppo equilibrato dell'emittenza 
televisiva e per evitare la costituzione o il mantenimento di posizioni 
dominanti nel settore radiotelevisivo. 

REDDITO DELLE PERSONE FISICHE (IMPOSTA SUL). Con decreto 29 aprile 1999 

(G.U. 115) il Ministero delle Finanze ha aggiornato la tabella degli indici e coeffi

PARTE II, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 

cienti presuntivi di reddito, indicando come indicatori della capacit� giuridica aeromobili, 
navi e imbarcazioni da diporto, autoveicoli e altri mezzi di trasporto, roulottes, 
residenze principali e secondarie, collaboratori familiari, cavalli da corsa e da 
equitazione; con decreti 30 marzo 1999 (G.U. 75, suppi. ord.) e 19 maggio 1999 

(G.U. 123) lo stesso ministero ha approvato gli studi di settore relativi ad attivit� 
economiche nel settore dei servizi, commercio e manifatture e con d.P.R. 31 maggio 
1999 n. 195 (G.U. 146) � stato emanato il regolamento sui tempi e le modalit� della 
loro applicazione. 
REGIONE IN GENERE. Si segnalano la legge 15 dicembre 1999 n. 482 (G.U. 297) 
-norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche -e il d.lgs. 30 
dicembre 1999 n. 506 (G.U. 306) contenente modifiche in materia di imposta regionale 
sulle attivit� produttive e di tributi locali, nonch� di sanzioni amministrative 
tributarie. 

Per ulteriori informazioni si veda la voce Corte costituzionale. 

REGISTRO. Con decreto 11 gennaio 1999 (G.U. 9) il Ministero delle Finanze ha 
adeguato le modalit� di calcolo delle rendite o pensioni e dei diritti di usufrutto a vita, 
ai fini dell'applicazione delle imposte di registro e sulle successioni e donazioni, 
dopo la riduzione del saggio dell'interesse legale di cui al d.m. 10 dicembre 1998. 

RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE E DELLE ENTRKC'E PATRIMONIALI ED ESATTORIE. In 
adempimento della delega conferita al Governo con legge 337/98 per il riordino 
della disciplina relativa alla riscossione, sono stati emanati i d.lgs. 22 febbraio 1999 

n. 37 (G.U. 46) e 13 aprile 1999 n. 112 (G.U. 97) i quali generalizzano il sistema 
della riscossione mediante ruolo a tutte le entrate dello Stato, delle Regioni, Comuni 
e Province e degli enti pubblici in generale, senza pi� l'obbligo della preventiva 
notifica dell'avviso di mora e con possibilit� di vendita a trattativa privata e dispongono, 
inoltre, che il servizio sia affidato a societ� per azioni con capitale interamente 
versato di almeno 5 miliardi di lire ed aventi ad oggetto lo svolgimento del 
servizio e dei compiti connessi, indirizzati anche al supporto delle attivit� tributarie 
e di gestione patrimoniale degli enti pubblici diversi dallo Stato; con d.m. 23 marzo 
1999 (G.U. 73) � stato abolito l'obbligo del non riscosso come riscosso, per i concessionari 
del servizio a definizione dei rapporti contabili pendenti. 
Con d.P.R. 16 aprile 1999 n. 129 (G.U. 109) � stato emanato il regolamento per 
la riscossione dei crediti tributari di modesta entit�, per i quali non si procede ad 
accertamento ed iscrizione a ruolo se non superano L. 32.000 al 31dicembre1997, 
salvo reiterazione della violazione nel biennio. 

In adempimento della delega conferita al Governo con legge 337/98 per il riordino 
della disciplina relativa alla riscossione, � stato emanato il d.lgs. 17 agosto 1999 

n. 326 (G.U. 221) contenente disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 46/99, 
con la regolamentazione di una fase transitoria (nella quale i ruoli possono essere formati 
e resi esecutivi secondo le vecchie disposizioni) fino all'entrata a regime della 
riforma prevista per il 1� ottobre 1999 (fra gli aspetti pi� favorevoli al contribuente 
della riforma si ricordano l'introduzione del nuovo modello di cartella e del termine 
di sessanta giorni per il pagamento, l'accorpamento in un ruolo unico di tutte le 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

116 

somme dovute dal contribuente, la possibilit� di rateazione fino a sessanta rate mensili 
e di sospensione fino ad un anno della riscossione delle cartelle notificate; inoltre, 
al concessionario della riscossione sono attribuite funzioni svolte dal giudice del1'
esecuzione ma, a fronte dello snellimento delle procedure di esecuzione su beni 
mobili e immobili, sono previste forme pi� incisive di tutela del contribuente). 

Con d.m. 3 settembre 1999 n. 321 (G.U. 218) il Ministro delle finanze ha dettato 
il regolamento previsto dagli artt. 4 e 10 del d.lgs. 46/99, fissando i criteri per la 
determinazione del ruolo, i tempi e le procedure per la sua formazione e consegna. 

SANIT� PUBBLICA. Con legge 26 febbraio 1999 n. 42 (G.U. 50) sono state dettate 
disposizioni in materia di professioni sanitarie; con legge 1 � aprile 1999 n. 91 

(G. U. 87 e avviso di rettifica nella G. U. 95) � stata regolata la materia dei prelievi e 
trapianti di organi e tessuti, introducendo il �silenzio-assenso� alla donazione 
secondo modalit� da definire con successivo decreto. 
Con d.lgs. 19 giugno 1999 n. 229 (G.U. 165, suppi. ord.) � partita la riforma del 
servizio sanitario nazionale e del rapporto con i medici che sono obbligati a scegliere 
fra libera professione all'interno o all'esterno del servizio pubblico; con successivo 
d.lgs. 21dicembre1999 n. 517 pubblicato nella G. U. 8 del 2000, suppi. ord., 
sono stati disciplinati i rapporti tra il Ssn e le universit� (si veda la prossima Rassegna). 
Con d.lgs. 22 giugno 1999 n. 230 (G.U. 165) � stata riordinata la medicina 
penitenziaria a norma dell'art. 5 legge 419/98. 

SINDACATI. L'elezione delle rappresentanze unitarie del personale e la valutazione 
della rappresentativit� delle organizzazioni e confederazioni sindacali nel 
comparto scuola sono state regolate con legge 24marzo 1999 n. 69 (G.U. 69, ivi 
anche nel testo coordinato con il d.l. 5/99) ; con circolare 26 gennaio 1999 n. 489 

(G.U. 35) l'Aran ha dato avvio all� rilevazione delle deleghe per le ritenute del contributo 
sindacale ai fini della misurazione della rappresentativit� sindacale. 
SPETTACOLI. � stata istituita l'imposta sugli intrattenimenti con d.lgs. 26 febbraio 
1999 n; 60 (G.U. 59) che ha anche modificato la disciplina dell'imposta sugli 
spettacoli. 

Con d.lgs. 2 dicembre 1999 n. 464 (G.U. 291) sono state dettate disposizioni 
integrative e correttive alla nuova disciplina dell'imposta sugli intrattenimenti istituita 
con d.lgs. 60/99 (G.U. 59). 

Con d.m. 4 novembre 1999 n. 470 (G.U. 293) � stato adottato il regolamento 
per l'erogazione di contributi in favore delle attivit� teatrali, in corrispondenza 
agli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 163/85. Con 
legge 8 luglio 1999 n. 223 (G. U. 162) sono stati disposti interventi a sostegno 
delle attivit� del Teatro �Carlo Felice� di Genova e dell'Accademia Santa Cecilia 
di Roma. 

STRANIERO. Con d.lgs. 13 aprile 1999 n. 113 (G.U. 97) sono state dettate ulteriori 
disposizioni correttive della nuova normativa in materia di immigrazione di cui 
alla legge 6 marzo 1998 n. 40 ed al d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, dopo il d.lgs. 19 
ottobre 1998 n. 380 contenente le prime disposizioni correttive. 

Con direttiva del Presidente del consiglio 4 agosto 1999 (G.U. 209) � stato programmato 
il flusso di ingresso per lavoro nell'anno 1999 di cittadini stranieri non 


PARTE Il, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 

117 

comunitari. Con d.P~R. 31 agosto 1999 n. 394 (G.U. 258) � stato adottato il regolamento 
per l'attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina del-� � 
l'immigrazione e la condizione dello straniero. 

TRIBUTI IN GENERE. Con legge 18 febbraio 1999 n. 28 (G.U. 43) sono state dettate 
numerose disposizioni in materia di tributi e funzionamento dell'amministrazione, 
in particolare per la certificazione dei corrispettivi dei gestori di stabilimenti 
balneari, per l'esenzione dall'iva delle prestazioni rese da enti non profit e onlus ed 
il riordino del catasto. 

Con d.lgs. 28dicembre1998 n. 490 (G.U. 15) e successivo d.m. 31maggio1999 

n. 164 (G.U. 135) � stata ridisciplinata l'attivit� di assistenza fiscale svolta dai centri 
autorizzati, dai sostituti di imposta e dai professionisti, con l'introduzione dell'istituto 
della certificazione tributaria da parte di categorie qualificate di professionisti. 
Con d.m. 4 maggio 1999 (G.U. 107) il ministero ha reso noto l'elenco dei paesi 
esteri considerati �paradisi fiscali� ai fini dell'operativit� dell'inversione dell'onere 
della prova per i cittadini italiani che hanno dichiarato di essere col� residenti. 

Con legge 13 maggio 1999 n.133 (G.U. 113, suppi. ord.) sono state dettate disposizioni 
in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale, con 
delega al Governo ad emanare decreti per il riequilibrio della pressione fiscale, la 
modifica della disciplina dei redditi di impresa, la disciplina e tassazione dei fondi 
pensione, il finanziamento delle regioni a statuto ordinario e la progressiva eliminazione 
o sostituzione dei trasferimenti erariali, la emanazione di testi unici e di un 
codice tributario ; da segnalare anche la disciplina degli interessi per la riscossione 
ed i rimborsi dei tributi e le disposizioni sulla rinegoziazione dei mutui agevolati. 

Con d.m. 3 dicembre 1999 (G.U. 296, suppi. ord.) sono stati dettati i criteri per 
la riorganizzazione delle direzioni centrali del Dipartimento delle entrate e delle 
Direzioni regionali delle entrate che consentono l'avvio della riforma che porter� 
nel 2001 alla nascita delle Agenzie; con i criteri ora dettati si passa dall'attuale 
sistema a forte frammentazione di competenze al concentramento delle stesse in 
due grandi aree operative: gestione della fiscalit� (comprendente anche i rapporti 
con i contribuenti) e controlli. Con d.lgs. 15 dicembre 1999 n. 382 (G.U. 255) sono 
state apportate correzioni e integrazioni al d.lgs. 361/98 sulla istituzione del Servizio 
consultivo ed ispettivo tributario. Nell'ambito della �riforma Visco� (d.lgs. 
314/97, 461/97, 466/97 e 467/97) sui redditi di capitale, l'imposta sostitutiva della 
maggiorazione di conguaglio e i redditi di lavoro dipendente si segnalano le integrazioni 
e le correzioni apportate con d.lgs. 23 dicembre 1999 n. 505 (G.U. 306, 
suppi. ord.), fra l'altro, in materia di assegnazione di azioni ai dipendenti (con tetto 
di quattro milioni, perdita delle agevolazioni fiscali per cessione prima di tre anni 

o riacquisto, assoggettamento dei compensi in natura alla tassazione al netto di 
quanto corrisposto dal lavoratore dipendente a fronte dell'assegnazione stessa). 
Con legge 28 dicembre 1999 n. 496 (G.U. 304), in conversione del d.l. 29 ottobre 
1999 n. 383, sono state dettate disposizioni un materia di accise sui prodotti petroliferi 
e di accelerazione del processo di liberalizzazione del relativo settore. 
TRIBUTI LOCALI. Il d.lgs. 10 giugno 1999 n. 176 (G. U. 140) ha dettato disposizioni 
correttive e integrative del d.lgs. 446/97 istitutivo dell'Irap, al fine di risolvere 
difficolt� interpretative causate, fra l'altro, dalla divergenza fra i valori fiscali ai 


RASSEGNA AVVOCA1URA DELLO STKI'O

118 

fini lrpef/lrpeg e quelli ai fini lrap e dalle conseguenze sulla tenuta della contabilit�; 
con d.m. 9 giugno 1999 (G.U. 138) il Ministero delle Finanze ha emanato istru-f:1 
zioni per la compilazione delle dichiarazioni ai fini Irap in linea con i ritocchi appor


1�:,,';'. 

tati con il citato decreto 176/99 (tra i soggetti obbligati alla presentazione del nuovo . 
modello IQ/99 rientrano anche le amministrazioni di Camera, Senato, Consulta e 
Presidenza della Repubblica). 

Nelle G.U. 107 e 136, suppi. ord., sono stati pubblicati gli avvisi di adozione da 
parte dei comuni di regolamenti disciplinanti tributi propri (pubblicazione avente 
mera funzione notiziale e non giuridica, in quanto non sostituiva delle forme legali 
di pubblicazione delle deliberazioni comunali). 

Ulteriori integrazioni e correzioni (ad esempio, sulla possibilit� di rateazione in 
11 rate del prelievo dell'addizionale regionale all'lrpef e sulla riduzione delle penalit� 
per la ritardata presentazione della dichiarazione Irap) ai d.lgs. 446/97 e 472/97 
in materia di Irap e di tributi locali sono state apportate con d.lgs. 30 dicembre 1999 

n. 506 (G.U. 306, suppl.ord.). 
UNIVERSIT� DEGLI STUDI. La definizione delle procedure e dei parametri standard 
per la programmazione degli accessi ai corsi di laurea, di diploma e di specializzazione 
post-universitaria � stata regolata dal Ministero dell'universit� con d.m. 
23 aprile 1999 (G.U. 129), con particolare riferimento a medicina e chirurgia, medicina 
veterinaria e architettura. 

Si vedano anche le voci Istruzione pubblica e Sanit�. 

USURA. Con legge 23 febbraio 1999 n. 44 (G.U. 51) sono state detta disposizioni 
concernenti il Fondo di solidariet� per le vittime delle richieste estortive e del1'
usura. 

GIUSEPPE ALBENZIO 

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OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET 


Questo Osservatorio vuol essere uno strumento di indirizzo per poter sfruttare 
al meglio le possibilit� che Internet offre per ricerche di carattere giuridico. 

Mi orienterei per una breve disamina delle ricerche realmente effettuate e sulla 
presentazione, ogni volta, di un sito particolarmente interessante sotto il profilo 
giuridico. 

RICERCHE EFFETIUATE 

1) Per una costituzione in giudizio innanzi alla Corte costituzionale occorreva 
il testo di una recentissima legge della Regione Liguria. 

Purtroppo, per problemi di spazio, di tempo e di personale, in biblioteca non 
possediamo le raccolte dei Bollettini Regionali e sia la Gazzetta Ufficiale che il CD 
rom delle Leggi Regionali che Easyfind non pubblicavano tale legge. 

A questo punto l'unica risorsa era Internet. 

Cerco sul motore di ricerca la parola Liguria, mi risponde che ha trovato 13.377 
siti. Comincio a scorrerne l'elenco e -circa al ventesimo -mi appare l'indirizzo 
del sito della Regione Liguria. 

Nella home page del sito clicco sulla voce Banche Dati e poi sulla voce Leggi 
Regionali, scelgo il canale di ricerca per anno e numero e, quindi, stampo la legge 
regionale che occorreva. 

2) Occorreva con urgenza una legge recentissima di cui mancava la Gazzetta 
Ufficiale, non essendo la legge pubblicata in nessuna altra fonte cartacea o informatica 
presente in biblioteca, vado in Internet per effettuare la ricerca. 

Non avendo un indirizzo preciso comincio a navigare per argomenti, dopo un 
po' finisco nel sito della Camera dei Deputati dove trovo l'elenco delle leggi approvate 
nel corso della XIII legislatura. Purtroppo la legge che mi serve non � presente 
nell'elenco. Passo allora al sito del Senato, ma ben presto mi accorgo che la raccolta 
di leggi della XIII legislatura � esattamente la stessa della Camera (riflessione 
a futura memoria: quando non trovi una legge su uno dei siti dei due rami del Parlamento 
� inutile cercarla sull'altro). 

Ad un certo punto della navigazione mi imbatto nell'elenco dei siti dei Ministeri, 
clicco su quello dei Beni culturali di cui mi serve la legge. Nella home page del Ministero 
clicco su ordinamento legislativo con qualche difficolt� di mouse dal momento 
che il link � su un applet Java che scorre in continuazione (per i non addetti: una specie 
di nastro di Moebius in preda a moto perpetuo su cui strisciano delle parole che 
devi cliccare a volo col mouse per saltare nel rimando che t'interessa). Ma la fatica � 
vana perch� il link � vuoto dal momento che il sito legislativo � in costruzione. 

Decido allora di provare col sito del Sole 24 ore che tutti mi hanno magnificato. 
Per la visita a questo sito vedi seconda parte dell'Osservatorio. 
Comunque la ricerca ha avuto un esito negativo. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

120 


3) Un avvocato aveva bisogno del commento di un recentissimo testo legislativo 
su cui Il Mulino ha pubblicato un istant book. La casa editrice gli aveva dato l'in-~.,. 


dirizzo di una rivista telematica di diritto dove sono stati presentati ampi abstract di 
tale libro. 1 
. 
La ricerca � semplice dato che ho l'indirizzo. Stavolta dovrebbe comparirmi un ~ 
solo sito e invece -ancora una volta -il risultato � un'infinit� di siti. Cos'� sue~ 
cesso? Riprovo con la parola Mulino (presente nell'indirizzo che mi aveva dato l'avvocato) 
e ottengo un bel po' di indirizzi, ma sono fortunato: uno dei primi � quello 
della casa editrice de Il Mulino. All'interno della sua home page trovo il link per la 
rivista giuridica che cercavo da cui velocemente stampo il commento legislativo che 
mi serve. 
Comunque per evitare altri futuri errori confronto l'indirizzo che mi ha dato 
l'avvocato e quello che ho trovato col motore di ricerca: a quello dell'avvocato mancava 
l'http:// con cui iniziano tutti gli indirizzi, molti infatti lo danno per scontato, 
ma se non lo digiti incorri nel mio errore. 

PRESENTAZIONE DI UN SITO 

(IL SOLE 24 ORE) 
INDIRIZZO: http://www.ilsole24ore.it 
Ricerca effettuata in data 7 marzo 2000. 


L'home page del sito si presenta molto pulita e senza fronzoli grafici. 
Dalla serie di titoli presenti mi interesso a NORME E TRIBUTI che apre una 
serie di sottotitoli veramente interessanti. 

Si comincia con CONCORSI PUBBLICI che contiene tutti i bandi di concorso 
della Gazzetta Ufficiale. C'� poi il testo, commentato, del Decreto Legislativo sui 
REATI FISCALI e quello dell'ordinanza del giudice di Roma sulla FECONDAZIONE 
ASSISTITA. 

C'�, inoltre, un richiamo sulla nuova legge sui CONGEDI PARENTALI e un 

altro su I REATI MINORI AL GIUDICE DI PACE. 
Last but not least le tabelle nazionali sul DANNO BIOLOGICO. 
Torno all'home page e provo GAZZETTE UFFICIALI (c'� anche GAZZETTE 

DELLA CEE) ma rimango deluso perch� non ci sono i testi delle norme, ma solo i 
sommari delle gazzette. Comunque il rimando pu� essere utile perch� i sommari 
sono molto aggiornati. L'ultimo della Gazzetta Ufficiale �, infatti, del giorno prima 
e l'ultimo delle Gazzette della CEE � di due giorni prima. 

In conclusione un sito chiaro, semplice e molto utile per degli operatori del 
diritto anche non molto addentro al mondo Internet, ma la sua caratteristica vincente 
� il puntuale aggiornamento e la ricchezza e completezza dei testi normativi con 
relativi commenti. Direi che merita sicuramente una visita (anche giornaliera). 

TOMMASO CAPEZZONE 


CONSULTAZIONI 


AGRICOLTURA E FORESTE -Titoli di importazione ed esportazione -Mancato utilizzo Incameramento 
-Riscossione mediante iscrizione a ruolo -Condizioni e limiti. 

Se per l'incameramento delle somme a seguito del mancato utilizzo dei titoli di 
importazione ed esportazione di prodotti agricoli rilasciati dal Ministero del Commercio 
con l'Estero si possa procedere mediante riscossione a mezzo ruoli ed a quali 
condizioni. (es. 7777/1999) 

APPALTO -Di lavori pubblici -Certificazione antimafia. 

Se sia ammissibile la regolarizzazione della posizione di un'impresa riguardo 
all'acquisizione del nulla-osta antimafia successivamente all'aggiudicazione della 
gara di appalto fino alla stipula del contratto. (es. 933/99) 

CONCESSIONI AMMINISTi�ITIVE -Concessioni autostradali -Contenzioso -Transazioni 
-Indennizzi -Contributi ex lege -Proroga concessioni. 

Rinnovo delle concessioni autostradali sulla base della composizione transattiva 
del contenzioso in atto con i concessionari. In particolare: a) se sia riconoscibile 
in favore delle societ� concessionarie un indennizzo per la mancata approvazione di 
atti aggiuntivi o per fatti delle stesse attinenti ad operazioni condivise dal concedente 
che abbiano prodotto perdite o minori introiti rispetto a quelli previsti nel 
piano finanziario; b) se siano �tramutabili� quote di contributi finanziari previsti ex 
lege in prolungamento della scadenza della concessione; contro) se il mancato raggiungimento 
dell'oggetto sociale rispetto alla concessione assentita, non imputabile 
al concessionario, possa comportare proroga della concessione; d) modalit� di calcolo 
dei canoni devolutivi ex lege 287/1971. (es. 2439/1999) 

Concessione di costruzione -Convenzione -Termine -Proroga. 

Parere su schema di atto aggiuntivo a convenzione per l'affidamento di servizi 
tecnico-amministrativi e di ingegneria. Se la protrazione del termine stabilito nella 
convenzione sia applicabile ad interventi diversi da quelli stabiliti nell'originario 
programma. Se per tali interventi sia accordabile un indennizzo. (es. 1630/1993) 

DANNO -Condanna a risarcimento danni in primo e secondo grado -Transazione Oggetto. 


Parere su ipotesi di transazione che investa anche diritti e beni estranei al rapporto 
controverso. (es. 10356/1999) 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

122 

FALLIMENTO -Crediti privilegiati -Insinuazione tardiva -Saggio interessi postfallimentari. 


Se in sede di insinuazione tardiva in procedura fallimentare di crediti privilegiati 
il saggio di interesse vada richiesto nella misura legale ovvero in quella previ


sta dall'art. 38-bis del d.P.R. n. 633/1972. (es. 2862/1989) 

FAMIGLIA -Diniego di visto di ingresso a cittadino extracomunitario per ricongiun


gimento familiare -Giurisdizione sulla controversia e regime di impugnazione 

-Patrocinio da parte dell'Avvocatura dello Stato. 

Sulla controversia sorta a seguito di diniego del visto di ingresso per ricongiungimento 
familiare: a) giudice competente; b) regime di impugnazione dei provvedimenti; 
contro) se sia necessario il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato. (es. 11934/1999). 

IMPIEGO PUBBLICO -Controversie -Rappresentanza e difesa in giudizio delle pubbliche 
amministrazioni. 

Rappresentanza e difesa in giudizio delle pubbliche amministrazioni nelle controversie 
relative ai rapporti di lavoro dei propri dipendenti: a) se la rappresentanza 
e difesa in giudizio dell'amministrazione a mezzo dei propri dipendenti sia ammissibile 
anche nei procedimenti cautelari; b) se sia applicabile alla pubblica ammini


strazione l'art. 420 c.p.c.; contro) devoluzione della giurisdizione nelle controversie 
concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilit� 
dirigenziale nel periodo intercorrente tra il 1� luglio 1998 e il 22 novembre 1998, 
data di entrata in vigore del d.lgs. 387/1998. (es. 14927/1998) 

I 

Estensione del giudicato -Legittimit�. 

Se sia legittimo ed opportuno estendere il giudicato di cui alla sentenza 
954/1998 della IV Sez. del Consiglio di Stato, sul computo dei periodi di servizio 
prestati presso altre amministrazioni ai fini della maggiorazione della retribuzione 
individuale. (es. 8175/1998) 

IMPRESA -Contributi a PMI per ricerca -Requisiti -Iscrizione in apposito albo Interpretazione. 


Contributi alle PMI per spese sostenute per lo svolgimento di ricerche di carattere 
applicativo presso laboratori inclusi in apposito albo. Se possano essere ammesse 
a contributo le ricerche svolte presso laboratori non iscritti all'albo, ma legati da 
un rapporto convenzionale con organismo gestionale ed amministrativo dotato di 
personalit� giuridica di diritto pubblico operante nell'ambito di un'area per la ricerca 
iscritta all'albo. (es. 938/1999) 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA -Militari -Premi ed incentivazioni -Proventi sulle 
contravvenzioni al personale della polizia -Corpo forestale dello Stato. 

Ripartizione delle quote contravvenzionali al personale delle forze di Polizia. 
Se spetti al personale del corpo forestale dello Stato il quarto dei proventi delle contravvenzioni 
scoperte in mancanza di previsione contenuta nella contrattazione collettiva 
ed a seguito del divieto di attribuire risorse finanziarie pubbliche in favore di 
associazioni di dipendenti pubblici. (es. 9804/1998) 

PENSIONI -Di reversibilit� -Ali'ex coniuge titolare di assegno corrisposto in unica 
soluzione. 

Se debba essere riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilit� all'ex coniuge 
cui sia stata corrisposta una liquidazione una tantum sostitutiva di assegno divorziale. 
(es. 9442/1998) 

RESPONSABILIT� CIVILE -Assoluzione dell'imputato -Effetti ai fini del danno risarcibile. 


Risarcimento del danno da parte dello Stato in favore delle vittime di incidente 
aereo a seguito di caduta di velivolo militare. Quale sia il danno risarcibile a seguito 
della sentenza definitiva di assoluzione dei piloti militari. Effetti sulle transazioni 
in corso. Ricorso al principio di equit�. (es. 3235/1999) 

TRIBUTI -Istituti di credito delegati alla riscossione di imposte dirette -Mancato 
versamento in tesoreria -Conseguenze. 

Se, per il recupero coattivo di somme non riversate da istituti di credito delegati 
al pagamento di IRPEF ed ILOR dai contribuenti e/o delle relative penalit�, l'amministrazione 
finanziaria debba procedere tramite ingiunzione ex t.u. n. 639 del 
1910 o mediante ruoli. (es. 8884/1999) 

Rimborso imposte tramite conto fiscale -Indebito -Recupero presso il fideiussore. 

Imposte indebitamente rimborsate mediante conto fiscale. Se, ai fini del recupero 
nei confronti del garante, sia possibile procedere ad iscrizione a ruolo o sia 
necessario avvalersi degli ordinari mezzi civilistici. (es. 6284/99)