Spedizione in abbonamento postale 70% -Filiale di Roma ANNO Ll -N 3-4 LUGLIO-DICEMBRE 1999 ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA2000 Progetto grafico dell'architetto CAROLINA VACCARO. ANNO LI -N. 3-4 LUGLIO-DICEMBRE 1999 RASSEGNA AVVOCATURA DEJLLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA2000 ABBONAMENTI ANNO 2000 ABBONAMENTO ANNUO . . . . . . � . . . . . . . . . . . . � . . . . . . L. 80.000 UN NUMERO SEPARATO .�......................�... � 23.000 UN NUMERO DOPPIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 46.000 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Funzione Editoria Via Marciana Marina, 28 -00138 Roma Tel. 0685084127 -0685082307 e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in ltaly Autorizzazione Tribunale di Roma-Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (3219011) Roma, 2000 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura di Ignazio Francesco Caramazza) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 277 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura di Oscar Fiumara) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 321 Sezione terza: GIURISPRUDENZA DI (a cura di Sergio Laporta) DIRITTO E PROCEDURA CIVILE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 377 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura di Raffaele Tamiozzo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 439 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura di Giancarlo Mand�) � 467 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura di Paolo di Tarsia di Be/monte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 515 Parte seconda: DOTTRINA -OSSERVATORIO LEGISLATIVO OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET RASSEGNA BIBLIOGRAFICA -CONSULTAZIONI DOTTRINA pag. 69 OSSERVATORIO LEGISLATIVO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 101 OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 119 CONSULTAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 121 Comitato di redazione: C. Aiello -F. Basilica -R. de Felice P. Gentili -D. Giacobbe -G. Mangia -G. Palmieri P. Palmieri -G.P. Palizzi -F. Quadri -F. Sclafani -L. Ventrella Hanno collaborato inoltre al presente numero: Giuseppe Albenzio Giacomo Arena -Tommaso Capezzane -Roberta Guizzi Aldo Linguiti -Luigi Mazzella -Lionello Orca/i -Carmela Pluchino La pubblicazione � diretta da OSCAR FIUMARA ARTICOLI, NOTE, DOTTRINA, RECENSIONI G. ALBENZIO, L'esecuzione delle sentenze del giudice del lavoro nei confronti della Pubblica Amministrazione ...................... , ................. . G. ARENA, R. GUIZZI, L'occupazione appropriativa. Un istituto fuori legge? ..... . l.F. CARAMAZZA, L'informe creatura cambia ancora volto ................... . R. DE FELICE, Aspetti e.problemi della valutazione automatica degli immobili non censiti ai fini delle imposte di registro e successioni ...................... . P. DI TARSIA DI BELMONTE, Procura speciale agli Avvocati dello Stato ex art. 122 c.p.p.? ............................................................ . O. FIUMARA, L'amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi e il diritto comunitario ......................................................... . O. FIUMARA, Diritti d'autore e diritti connessi: armonizzazione della durata di protezione e salvezza dei diritti acquisiti da terzi ........................... . O. F'IDMARA, Il luogo di esecuzione dell'obbligazione nella convenzione 4i Bruxelles del 1968 sulla competenza giudiziaria in materia civile e commerciale ...... . O. FIUMARA, La notificazione del decreto ingiuntivo all'estero: una normativa obsoleta . ......................................................... . O. FiuMARA, Le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� europee dell'anno 1999 in cause cui ha partecipato l'Italia ............................. . A LINGUITI, Attivit� amministrativa e risarcimento del danno ................ . L. MAzZELLA, Il patrocinio autorizzato dell'Avvocatura dello Stato ............ . L. ORCALI, Questioni sulla natura -recettizia o meno -dell'istanza di rimborso di cui all'art. 13, secondo comma, d.P.R. 641/72 . ......................... . G. PALMIERI, La prova di preselezione informatica nel concorso per uditore giudiziario. P. PALMIERI, Lo svolgimento di mansioni superiori da parte dei pubblici dipendenti prima della c.d. privatizzazione del pubblico impiego: la parola fine dell'Adunanza Plenaria n. 22 del 1999 ........................................ . C. PLUCHINO, Compensi ai militari della Guardia di Finanza: �regalie d'uso� o oggetto materiale di �Corruzione� ? ................................... . II, 69 I, 279 II, 87 I, 508 I, 526 I, 327 I, 351 I, 365 I, 345 I, 321 I, 409 II, 98 I, 501 I, 460 I, 448 I, 515 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ATIO AMMINISTRATIVO -Avviso di procedimento -Art. 7 legge n. 241 del 1990 -Finalit�, 441. � -Ordinanze extra ordinem di necessit� ed urgenza -Effetti attributivi di diritti soggettivi -Configurabilit� -Controversie Giurisdizione A.O.O., 430. -Ordinanze extra ordinem di necessit� ed urgenza -Loro natura e sindacabilit�, 430. CALAMIT� NATURALI -Terremoto in Campania e Basilicata Opere realizzate dallo Stato ex lege n. 219/1981 -Trasferimento ad altri Enti Giudizi pendenti -Legittimazione dell' Amministrazione statale -Permane, 377. COMUNIT� EUROPEE -Aiuti concessi dagli Stati -Nozione Vantaggio concesso senza trasferimento di risorse proprie -Amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi -Settore siderurgico, con nota di O. FluMARA, 327. -Aiuti concessi dagli Stati -Nozione Vantaggio concesso senza trasferimento di risorse proprie -Aiuto nuovo -Notifica previa -Amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi, con nota di O. FluMARA, 328. -Concorrenza -Applicazione d'ufficio dell'art. 81 CE (ex art. 85) -Poteri del giudice nazionale in sede di impugnazione dei lodi arbitrali, 341. -Convenzione di Bruxelles -Competenza in materia contrattuale -Luogo di esecuzione dell'obbligazione, con nota di O. FluMARA, 364. -Convenzione di Bruxelles -Competenza in materia contrattuale -Luogo di esecuzione dell'obbligazione -Domanda fondata su differenti obbligazioni equivalenti, con nota di O. FIUMARA, 365. -Diritti di autore e diritti connessi -Armonizzazione della durata di protezione, con nota di O. FIUMARA, 351. - Libera circolazione delle merci -Libera circolazione dei servizi -Libera circolazione dei capitali -Disposizione nazionale che vieta l'emissione di decreto ingiuntivo da notificare fuori dal territorio nazionale Compatibilit�, con nota di O. FIUMARA, 345. - Libera circolazione delle merci -Misure di effetto equivalente -Brevetto europeo privato di efficacia per mancanza di traduzione -Regime linguistico del brevetto europeo, 359. CONCORSO -Concorso per uditore giudiziario -Prova di preselezione informatica -Commissione di un solo errore -Domanda cautelare Ammissibilit� -Deferimento all'Adunanza Plenaria, con nota di G. PALMIERI, 457. -Concorso per uditore giudiziario -Prova di preselezione informatica -Commissione di un solo errore -Domanda cautelare Concessione come forma di controllo diffuso di costituzionalit�, con nota di G. PALMIERI, 458. CONTENZIOSO TRIBUTARIO -Cassazione -Ricorso -Notifica -Variazione del domicilio eletto -Effetti, 471. -Rimborso -Fattispecie di rimborso disposto ma non eseguito per smarrimento del vaglia cambiario della Banca d'Italia Azione di adempimento -Giurisdizione A. O.O., 467. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato -Corte dei conti -Controllo sulla gestione finanziaria di enti di ricerca (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Agenzia Spaziale Italiana, Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente) -Controllo successivo sui conti consuntivi e relazione annuale al Parlamento -Legittimit� costituzionale, 312. -Conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato -Corte dei conti -Lesione delle attribuzioni costituzionali che si assume derivare da decreti legislativi -Condizioni soggettive e oggettive per la proposizione del conflitto -Sussistenza, 312. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO VI -Conflitto fra Provincia autonoma e Stato per atto emesso da Procuratore della Repubblica -Determinazione di non intervento del Presidente del Consiglio non preceduta da intesa o richiesta di parere al Procuratore -Conflitto fra poteri dello Stato sollevato dal Procuratore della Repubblica nei confronti del Presidente del Consiglio Ammissibilit�, 317. DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -Corruzione -Atto contrario ai doveri d'ufficio -Necessit� di specifica individuazione -Esclusione, con nota di C. PLUCHINO, 515. -Corruzione -Atto contrario ai doveri d'ufficio -Specificazione in una pluralit� di singoli atti -Possibilit�, con nota di C. PLUCHINO, 515. - Corruzione -Pagamenti di somme a pubblici ufficiali: regalie d'uso -Esclusione, con nota di C. PLUCHINO, 515. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� - Comunicazione ai sensi dell'art. 7 legge n. 241 del 1990 -Necessit�, 441. - Occupazione temporanea e d'urgenza Comunicazione ai sensi dell'art. 7 legge n. 241del1990 -Non occorre, 441. -Occupazione temporanea e d'urgenza Risarcimento del danno -Occupazione acquisitiva -Diritto al risarcimento del danno -Prescrizione -Determinazione, offerta o deposito dell'indennit� di espropriazione Atti interruttivi ex art. 2944 cod. civ. Configurabilit�, 401. -Occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilit� anteriori al 30 settembre 1996 -Applicazione con correttivi dei criteri di determinazione dell'indennit� di espropriazione di cui al comma 1 dell'art. 5 bis del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, conv., con modificazioni nella legge 5 agosto 1992 n. 359 -Questioni di legittimit� costituzionale. Infondatezza, con nota di G. ARENA e R. GUIZZI, 277. - Occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilit� anteriori al 30 settembre 1996 -Applicazione con correttivi dei criteri di determinazione dell'indennit� di esproprio di cui al comma 1 dell'art. 5 bis del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, conv., con modificazioni nella legge 5 agosto 1992 n. 359 -Carenza di valida dichiarazione di pubblica utilit� -Questioni di legittimit� costituzionale. Manifesta inammissibilit�, con nota di G. ARENA e R. GUIZZI, 277. -Procedimento -Liquidazione dell'indennit� -Determinazine (stima) -In genere Area espropriata -Valore di mercato Determinazione -Vincoli fissati dagli strumenti urbanistici, e dalle relative varianti, nell'ambito della zonizzazione del territorio -Rilevanza, 379. GIUDIZIO PENALE -Competenza territoriale dell'Avvocatura dello Stato -Art. 9, III c01pma della legge n. 103 del 3 aprile 1979 -E disposizione a carattere interno -Art. 122 c.p.p., II comma -Procura speciale -Vale anche per l'Avvocato dello Stato, con nota di P. di TARSIA di BELMONTE, 526. -Costituzione di parte civile Ministero dei Lavori Pubblici -Procura speciale all' Avvocato dello Stato ex lege -Determinazione della costituzione di parte civile Produzione della documentazione relativa Non � richiesta, con nota di P. di TARSIA di BELMONTE, 526. - Ricorso per cassazione -Vizio di motivazione della sentenza -Comparazione fra sentenza impugnata e atti del processo Inammissibilit�, 522. GIURISDIZIONE -Appalto di opera pubblica -Controversie su diritti soggettivi -Giurisdizione ordinaria -Sussistenza, con nota di G. ARENA, 384. - Responsabilit� civile della P.A. per lesione di interessi legittimi -Regolamento Preventivo di giurisdizione -Inammissibilit�, con nota di A. LINGUITI, 408. GIURISDIZIONE CIVILE -Applicabilit� ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore dell'art. 31 bis, cit., relativi ai diritti soggettivi derivanti esclusivamente da concessioni di sola costruzione -Sussistenza, con nota di G. ARENA, 383. - Art. 31 bis della legge 11 febbraio 1994 n. 109 (introdotto dall'art. 9 del d.l. 3 aprile 1995 n. 101, conv. con modif. nella legge 2 giugno 1995 n. 216), con nota di G. ARENA, 383. - Concessione di lavori pubblici -Controversie relative a diritti soggettivi pendenti dinanzi al Giudice Amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva -Art. 31 bis INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUD�NZA della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (introdotto dall'art. 9 del d.l. 3 aprile 1995, n. 101, convertito con modificazioni nella legge 2 giugno 1995, n. 216) -Giurisdizione ordinaria -Sussiste, con nota di G. ARENA, 381. - Concessione di sola costruzione -Art. 31 bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (introdotto dall'art. 9 del d.l. 3 aprile 1995, n. 101, convertito con modificazioni nella legge 2 giugno 1995, n. 216) -Controversie anteriori pendenti relative a diritti soggettivi -Giurisdizione ordinaria -Sussiste, con nota di G. ARENA, 382. - Nullit� delle clausole compromissorie relative a controversie su diritti soggettivi derivanti da concessioni di sola costruzione anteriori all'entrata in vigore dell'art. 31 bis, cit. -Esclusione, con nota di G. ARENA, 383. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Esecuzione del giudicato -Legge sopravvenuta irretroattiva -Fattispecie, 439. IMPIEGO PUBBLICO -Impiegato dello Stato e pubblico -Qualifica e funzioni -Art. 2126 e art. 2103 e.e. -Applicabilit� -Limiti, con nota di P. PALMIERI, 448. -Impiegato dello Stato e pubblico -Qualifica e funzioni -Funzioni superiori esercitate al di fuori di un provvedimento di nomina o di inquadramento -Eccezionalit� -Ragioni, con nota di P. PALMIERI, 448. -Impiegato dello Stato e pubblico Qualifica e funzioni -Retribuzione in virt� della diretta applicazione dell'art. 36 Cost. -Esclusione, con nota di P. PALMIERI, 448. -Stipendi, assegni ed indennit� -Allineamento stipendiale -Abrogazione -Questione di legittimit� costituzionale -Infondatezza, 309. PRESCRIZIONE CIVILE -Interruzione -Atti interruttivi -In genere Occupazione acquisitiva -Diritto al risarcimento del danno -Prescrizione -Determinazione, offerta o deposito dell'indennit� di espropriazione -Atti interruttivi ex art. 2944 cod. civ. -Configurabilit�, 402. RESPONSABILIT� PATRIMONIALE -Cause di prelazione -Confisca nei confronti di appartenenti ad associazioni mafiose -Diritti reali di garanzia di terzi Tutela -Giudice competente, 434. STATO CIVILE -Norme -Domanda di aggiunta di cognome -Provvedimento di diniego -Motivazione, con nota di G. PALMIERI, 454. TASSA CONCESSIONI GOVERNATIVE -Domanda di rimborso -Termine triennale di decadenza -Riferimento alla data di ricezione dell'istanza, con nota di L. ORCALI, 502. - Domanda di rimborso -Termine triennale di decadenza -Riferimento alla data di spedizione dell'istanza, con nota di L. ORCALI, 500. TRIBUTI (in generale) -Accertamento -Contabilit� non ufficiale del contribuente -Disconoscimento Esclusione, 475. -Accertamento -Contabilit� non ufficiale del contribuente -Natura indiziaria -Riscontri con fatti di gestione -Necessit�, 475. -Accertamento -Dichiarazioni del legale rappresentante di una Societ� agli agenti accertatori, debitamente verbalizzate Natura confessoria, 477. -Accertamento -Documenti acquisti in sede di accesso dalla Guardia di Finanza -Successiva trasmissione al P.M. unitamente a notizia di reato -Utilizzabilit� in sede tributaria, 485. -Accertamento -Giudicato penale -Irrilevanza -Condizioni, 478. -Accertamento -Imposte dirette -Indicazione dell'aliquota -Fattispecie, 483. -Condoni e sanatorie -Legge 516/82 -Soprattasse e sanzioni -Irrogate con provvedimento definitivo -Inammissibilit�, 469. -Condono ex d.I. 429/1982 -Notifica di avviso di accertamento durante il tempo utile per la presentazione della dichiarazione integrativa -Mancata impugnazione Inammissibilit� del condono, 487. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI REGISTRO (imposta di) - IRPEF -Accertamento -Disponibilit� di -Rimborso di imposta -Istanza spedita a capitali di cui non sia dimostrata la perdita mezzo posta -Data della spedizione -Rileo l'impiego -Presunzione di impiego redvanza, con nota di L. 0RCALI, 503. ditizio degli stessi -Sussistenza, 495. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO VIII -IRPEF -Reddito d'impresa -Sopravvenienze attive -Riduzione dei crediti deliberata in sede di concordato fallimentare d.P.R. 597/73 -Inclusione, 480. -IRPEG e ILOR -Interessi sui crediti d'imposta -Imponibilit� -Limiti, 471. - Reddito d'impresa -Accertamento -Di maggiori ricavi -Costi corrispondenti Onere della prova -Spetta al contribuente, 498. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI (riforma tributaria del 1972) -Imposta di reg�stro -Determinazione della base imponibile -In genere, con nota di R. de FELICE, 508. -Imposta di successione -Beneficio della dilazione di pagamento -Interessi dovuti dal contribuente -Variazione del tasso Effetti, 493. -IVA -Accertamento -Presunzione di cessione di merci rinvenute in luogo ove il contribuente non eserciti la sua attivit� Contestazione -Onere della prova, 490. -IVA -Accertamento -Presunzione di cessione di merci rinvenute in luogo ove il contribuente non eserciti la propria attivit� -Denunzia del luogo come pertinente all'impresa effettuata dopo l'accesso Irrilevanza, 490. -IVA-Detrazione -Conferimento di bestiame in societ� di capitali -Esclusione Detrazione forfettaria -Esclusione, 481. -IVA -Sanzione a carico del cessionario inadempiente all'obbligo di autofatturazione -Condono ex d.1. 429/1982 art. 29 Applicabilit� -Condizioni, 492. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 30 aprile 1999, n. 148 ................................................ pag. 277 7 ottobre 1999, n. 379 ... ; . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 309 14-23 dicembre 1999, n. 4S7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 312 ordinanza lS-30 dicembre 1999, n. 470 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 317 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE Sez. sa, 1� dicembre 1998, nella causa C-200/97 ............................ pag. 327 Plenum, 1� giugno 1999, nella causa C-126/97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 341 Sez. sa, 17 giugno 1999, nella causa C-29S/97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 328 Sez. sa, 22 giugno 1999, nella causa C-412/97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 34S Plenum, 29 giugno 1999, nella causa C-60/98 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 3Sl Sez. sa, 21settembre1999, nella causa C-44/98 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 3S9 Plenum, 28 settembre 1999, nella causa C-440/97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 364 Plenum, S ottobre 1999, nella causa C-420/97 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 36S GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 22 gennaio 1999, n. SS9 ......................................... pag. S03 Sez. Un., 27 gennaio 1999, n. 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 377 Sez. Un., S febbraio 1999, n. 44 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 467 Sez. I, lS febbraio 1999, n. 1228 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 469 Sez. I, lS febbraio 1999, n. 12SS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 471 Sez. I, 18 febbraio 1999, n. 1349 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 47S Sez. I, 22 febbraio 1999, n. 1481 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 477 Sez. I, 23 febbraio 1999, n. 1S39 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 478 Sez. I, 24 febbraio 1999, n. 1S8S . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 480 Sez. I, 4 marzo 1999, n. 1806 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 481 Sez. I, 4 marzo 1999, n. 1809 ............ \. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 483 Sez. I, 6 marzo 1999, n. 1932 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 48S Sez. I, 18 marzo 1999, n. 2440 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 487 Sez. I, 14 aprile 1999, n. 3691 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 490 Sez. I, lS aprile 1999, n. 3736 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 492 Sez. I, 17 aprile 1999, n. 3840 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 493 Sez. I, 26 aprile 1999, n. 4127 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 49S Sez. I, 29 aprile 1999, n. 4320 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 379 Sez. I, 29 aprile 1999, n. 4329 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 498 Sez. Un., 2S maggio 1999, n. 287 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 381 Sez. Un., 21 luglio 1999, n. 484 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 401 Sez. Un., 22 luglio 1999, n. SOO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 408 Sez. Un., 27 luglio 1999, n. S16 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 382 Sez. Un., 29 luglio 1999, n. S66 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 430 Sez. I, 2S ottobre 1999, n. 11973 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � SOO Sez. I, 26 ottobre 1999, n. 1202S . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � S02 Sez. I, 12 novembre 1999, n. 12S3S . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 434 Sez. I, 27 novembre 1999, n. 13243 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � S08 Sez. Un., 18 maggio 2000, n. 366 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 383 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO X GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 22 luglio 1999, n. 19 ......................................... pag. 439 Ad. Plen., 15 settembre 1999, n. 14 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 441 Ad. Plen., 18 novembre 1999, n. 22 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 448 Ad. Plen., ordinanza 20 dicembre 1999, n. 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 458 Sez. IV, 4 ottobre 1999, n. 1510 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 454 Sez. IV, ordinanza 3-7 dicembre 1999, n. 2275 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 457 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. VI, 3 novembre 1998 -25 novembre 1998, n. 12357 ..................... pag. 515 Sez. II, 6 maggio 1999, n. 5641 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 522 Sez. V, 7 ottobre 1999, n. 11441 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 526 PARTE SECONDA DOTIRINA ....................................................... pag. 69 OSSERVATORIO LEGISLATIVO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 101 OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 119 CONSULTAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 121 PER I LETTORI L'avvocato Plinio Sacchetto, nominato Avvocato Generale dello Stato, lascia la direzione della Rassegna ed affida a me tale incarico. Nell'accogliere con gratitudine questo compito, desidero rinnovare all'avvocato Sacchetto, a nome degli avvocati e procuratori dello Stato e del personale tutto dell'Avvocatura dello Stato, nonch� a nome mio personale, i migliori auguri per l'alta e prestigiosa carica conseguita, con la quale egli sapr� ancora una volta esprimere tutta la sua competenza e lo spirito di servizio che lo ha sempre guidato. Desidero altres� manifestargli il pi� vivo ringraziamento per l'autorevole contributo professionale ed umano apportato alla nostra Rivista ed il prezioso impegno profuso nel renderla strumento sempre pi� efficace di informazione ed approfondimento giurisprudenziale, nonch� espressione delle posizioni del nostro Istituto e del suo costante sviluppo. OSCAR FIUMARA PARTE PRIMA I I If, GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 30 aprile 1999, n. 148 -Pres. Granata -Red. Chieppa -Martelli (avv. E. Romano), Cauli (avv. Piras), Siciliani (avv. Venturi), Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilit� anteriori ai 30 settembre 1996 -Applicazione con correttivi dei criteri di determinazione dell'indennit� di espropriazione di cui ai comma 1dell'art.5 bis del decreto legge 11luglio1992, n. 333, conv., con modificazioni nella legge 5 agosto 1992 n. 359 -Questioni di legittimit� costituzionale. Infondatezza. (Corte Cost., artt. 3, 10, comma 1, 24, comma 2, 28, 42, 53, 71, comma 1, 72, comma 2, 97, 113, commi 1 e 2; art. 5 bis, comma 7 bis, del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662). Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazioni iUegittime di suoli per causa di pubblica utmt� anteriori al 30 settembre 1996 -Applicazioni con correttivi dei criteri di determinazione deU'indennit� di esproprio di cui al comma 1 dell'art. 5 bis del decreto legge H luglio 1992, n. 333, conv., con modificazioni, nella legge 5 agosto 1992 n. 359 -Carenza di valida dichiarazione di pubblica utmt� -Questioni di legittimit� costituzionale Manifesta inammissibilit�. (Cost. artt. 3, comma 1, e 42, comma 2, Cost.; art. 5 bis, comma 7 bis, del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359 introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662). Sono infondate le questioni di legittimit� costituzionale del!' art. 5 bis, comma 7 bis, del d. l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) in quanto la disposizione, che distingue in modo apprezzabile l'indennizzo per il risarcimento del danno dall'indennit� per la legittima procedura ablatoria, ha carattere eccezionale e temporaneo collegato alla emanazione di una nuova disciplina organica per tutte le espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilit� e alla necessit� di salvaguardare una ineludibile, e limitata nel tempo, manovra di finanza pubblica per il rispetto di impegni assunti in sede comunitaria. RASSEGNA AWOCATIJRA DELLO STATO � � � 278 Non sussiste disparit� di trattamento rispetto ai casi relativi a suoli agricoli o ad occupazioni destinate a soddisfare esigenze abitative -non essendo costituzionalmente preclusa la possibilit� di diversi regimi espropriativi in relazione alle differenti categorie di beni espropriati e alle diverse finalit� dell'intervento pubblico -n� contrasto con l'art. 53 Cost. poich� non pu� riconoscersi alcun connotato tributario alla determinazione dell'indenni;zzo nel caso di occupazione acquisitiva. � manifestamente inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 5 bis citato, in riferimento agli artt. 3, comma 1, e 42, comma 2, Cost., in quanto la disposizione non disciplina le occupazioni illegittime dei suoli carenti di una valida dichiarazione di pubblica utilit� (nella fattispecie era stato annullato il decreto di dichiarazione di pubblica utilit�) (1). (omissis) 1. -Le questioni sottoposte all'esame della Corte riguardano l'art. 5-bis comma 7-bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), il quale prevede che �in caso di occupazione illegittima di suoli per causa di pubblica utilit�, intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di determinazione dell'indennit� di cui al comma 1� (quella, cio�, prevista per la espropriazione dei suoli edificatori: semisomma tra valore di mercato e reddito catastale rivalutato, decurtata del 40%) con esclusione della riduzione del 40 per cento, che �in tal caso l'importo del risarcimento � altres� aumentato del 10 per cento�, e che tale disposizione si applica anche ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in giudicato. Si assume la illegittimit� costituzionale della disposizione denunciata per violazione: a) dell'art. 3 della Costituzione (invocato, in alcune ordinanze, limitatamente al primo comma, in altre nel suo complesso), sotto i diversi profili: a.1) del deteriore trattamento riservato a chi subisce danno da occupazione appropriativa, che non ottiene l'integrale ristoro dello stesso, rispetto a tutti gli altri soggetti ai quali viene arrecato danno da fatto illecito altrui e che, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., hanno diritto al risarcimento integrale del danno stesso; a.2) della sostanziale identit� di trattamento di situazioni diversificate, quali quella del soggetto sottoposto ad una legittima procedura espropriativa, e di quello illegittimamente privato della propriet� del suolo in virt� di c.d. occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione: identit� sostanziale di (1) La Corte Costituzionale interviene sulla tormentata materia delle occupazioni illegittime per causa di pubblica utilit� utilizzando in gran parte argomenti sviluppati in ambiti di riferimento diversi. Per un riesame del tema pubblichiamo, con il consenso del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e della Camera Civile di Palmi, la relazione di GIACOMO ARENA e ROBERTA GUIZZI al Convegno di Palmi del 20 e 21 novembre 1998, ora in L'occupazione acquisitiva, a cura di ALBERTO CALOGERO e CLAUDIO CARBONE, Reggio Calabria 2000. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 279 trattamento che risulta dalla circostanza che, nel secondo caso, l'indennit� viene aumentata del solo 10 per cento, mentre la esclusione della decurtazione del 40 per cento, decurtazione prevista nei casi di espropriazione, viene in tali ipotesi ottenuta ugualmente attraverso la cessione volontaria dei beni, che non � possibile in caso di occupazione acquisitiva; a.3) della irragionevole disparit� di trattamento tra i proprietari assoggettati alla occupazione illegittima entro il 30 settembre 1996, cui si applicano, per il L'occupazione appropriativa. Un istituto fuori legge? 1. L'occupazione appropriativa � un istituto giuridico (quasi) del tutto definito con poche tessere mancanti alla composizione del mosaico? O una costruzione da sottoporre a costanti prove di resistenza per verificarne la solidit� dell'impianto? Un istituto coerente al sistema formale delle leggi o alla dinamica di forze che si misurano sul campo dei rapporti di fatto? Questi ed altri interrogativi hanno suggerito il titolo della conversazione. Al relatore il compito di porre problemi, all'incontro la funzione di tentare di metterli a fuoco. 2. Per introdurre il discorso pochi notissimi riferimenti alle norme e alle strutture che le hanno prodotte. 1865: nello stesso anno vengono adottati il codice civile e la legge generale delle espropriazioni per pubblica utilit�. Al centro del sistema del codice il riconoscimento amplissimo dell'autonomia privata e del <<principio della propriet�, intesa come attributo della personalit� dell'uomo, e come momento finale dell'attivit� umana ... Le strutture economiche del nuovo Stato aderiscono alle categorie giuridiche gi� elaborate dal codice Napoleone, perch� anche quelle erano fondate sulla maggiore importanza della terra e in genere della propriet� immobiliare, e sulla libert� dei commerci� (1). Legge 25 giugno 1865, n. 2359: L'espropriazione dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili per l'esecuzione di opere di pubblica utilit� non pu� aver luogo che con l'osservanza delle forme stabilite dalla presente legge (art. 1). L'indennit� dovuta all'espropriato consister� nel giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita (art. 39). La propriet� dei beni soggetti ad espropriazione per causa di pubblica utilit� passa nell'espropriante dalla data del decreto del prefetto che pronuncia l'espropriazione (art. 50) al termine di un procedimento amministrativo, disciplinato in tutte le fasi che distingue in particolare l'espropriazione dalle diverse forme di occupazione temporanea e di urgenza regolandone puntualmente le diverse sequenze e le loro relazioni (2). *Lo scritto riproduce, con integrazioni, il contenuto di una relazione al Convegno sull'Occupazione acquisitiva organizzato dal Consiglio dell'Ordine Avvocati e dalla Camera civile di Palmi -ai quali, unitamente a un sincero ringraziamento, va riconosciuto il merito di mantenere al centro delle loro iniziative delicati e discussi temi giuridici. Nel testo si � impiegata la locuzione occupazione appropriativa al posto della tranquillizzante occupazione acquisitiva perch� evoca pi� efficacemente i caratteri di illegittimit� dell'istituto. Si sono poi trascritti alcuni brani della legislazione, della giurisprudenza e della dottrina per offrire suggestioni sulle modalit� di svolgimento, nei diversi tempi, di un continuo dialogo. (1) R. NICOL�, Codice civile, in Enc. dir., VII, Milano 1960, 240 ss., spec. 242 s. (2) M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, II, Milano 1993, 3' ed., 714 s. Nello scorso secolo ilprocedimento amministrativo fu l'unico che il legislatore si preoccup� di disciplinare con cura, anzi con minuziosa pedanteria ... e fu concepito come un procedimento, se non proprio strumentale (come si � talora detto), certamente condizionato rigidamente a un presupposto: che si dovesse realizzare un'opera pubblica. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO" e 280 risarcimento dei danno, criteri sostanzialmente uguali a quelli previsti in caso di espropriazione, e quelli che subiscono tale occupazione in epoca successiva a quella data, i quali hanno diritto all'integrale risarcimento; nonch� tra coloro che non hanno visto ancora definiti i relativi rapporti al momento della entrata in vigore della disciplina di cui si tratta, che � ad essi applicabile, ed i titolari di situazioni ormai definite con sentenza passata in giudicato, che sfuggono alla disciplina stessa; a.4) della irragionevole disparit� di trattamento cui d� luogo la disciplina censurata rispetto a quella prevista per le occupazioni appropriative destinate al soddisfacimento di esigenze abitative, di cui all'art. 3 della legge n. 458 del 1988 (come ampliato nella sua sfera oggettiva dalla pronuncia additiva della Corte costituzionale n. 486 del 1991, in Foro it, 1992, I, 1073), che prevede l'integrale risarcimento del danno subito (rilievo svolto dalla sola Corte d'appello di Reggio Calabria con ordinanza r.o. n. 292 del 1977); La normativa sull'espropriazione traccia un segno apparentemente indelebile del nuovo atteggiarsi dei rapporti tra le amministrazioni e il cittadino, tra il principio di autorit� e il principio di libert�. La legge generale ed astratta disciplina il potere di sottrarre, con atto autoritativo, (la propriet� di) beni immobili o diritti relativi a immobili per l'esecuzione di opere di pubblica utilit�; l'esercizio del potere � condizionato al rispetto delle forme stabilite dalla legge (principio di legalit� dell'azione amministrativa) e comporta il versamento di un'indennit� corrispondente al cosiddetto valore venale o di comune commercio, che, salvo talune limitazioni, accorda all'espropriato la massima riparazione con la trasformazione in moneta di tutte o parti delle utilit� economiche dei beni. Il criterio indennitario discende direttamente dal concetto di espropriazione come �vendita forzata� ed ha lo scopo di non riservare �al venditore coatto� un trattamento peggiore di quello cui pu� aspirare il venditore volontario (3). Ben presto l'art. 13 della legge n. 2892 del 1885 per il risanamento della citt� di Napoli deroga al criterio della legge generale sulle espropriazioni e prevede un'indennit� determinata sulla media del valore venale e dei fitti coacervati dell'ultimo decennio, purch� essi abbiano la data certa corrispondente al rispettivo anno di locazione. In difetto di tali fitti accertati l'indennit� � fissata sull'imponibile netto agli effetti dell'imposta sui terreni e sui fabbricati. La disposizione, come risulta dai lavori preparatori, non aveva lo scopo di ridurre l'indennit� ma di prevedere un criterio pi� favorevole ai proprietari perch� l'espropriazione aveva ad oggetto immobili fatiscenti e tuttavia produttivi di reddito in quanto locati per abitazione (4). (3) v., al riguardo, G. LANDI, Espropriazione per pubblica utilit�, in Enc. dir., XV, Milano 1966, 806 ss., spec. 822. L'espropriazione � presentata come un'alienazione forzata (locuzione che del resto appare anche nell'art. 571. espr.) nei lavori preparatori e dai primi commentatori della legge del 1865. Contra M. S. GIANNINI, op. cit., 720 s., che, pur riconoscendo l'eleganza della descrizione dell'espropriazione come trasferimento coattivo, distingue l'aspetto privativo del provvedimento -cui corrisponde l'estinzione del diritto -da quello acquisitivo -cui corrisponde la costituzione di un nuovo diritto o la riespansione di un diritto. (4) Nel tempo ha finito per rappresentare una notevole falcidia dell'importo spettante sulla base del criterio del valore venale o di mercato sia per le difficolt�, per i proprietari, di provare lesistenza di fitti certi percepiti dai cespiti di loro propriet� assoggettati ad espropriazione, sia perch� la redditivit� dei beni andava calando (A. MAROTIA, in G. LEONE e A. MAROTIA, Espropriazione per pubblica utilit�, in Trattato di diritto amministrativo diretto da G. Santaniello, Padova 1997, 355). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 281 a.5) della irragionevole disparit� di trattamento rispetto all'ipotesi di occupazione ab initio illegittima, in quanto non assistita da dichiarazione di pubblica utilit� ovvero presidiata da dichiarazione poi venuta meno perch� illegittima, ipotesi estranee alla previsione normativa censurata, e nelle quali, pertanto, il privato potrebbe legittimamente aspirare all'integrale risarcimento dei danno (rilievo svolto dalla sola Corte d'appello di Reggio Calabria con l'ordinanza sopra citata); A distanza di qualche decennio il criterio indennitario previsto dall'art. 13 della legge n. 2892 del 1885 viene esteso a procedimenti ablativi aventi finalit� diverse e, anche in relazione al diverso contesto (temporale e spaziale) di operativit�, finisce per non aver alcun'altra ragione che quella puramente finanziaria del minore aggravio dell'espropriante, del minor costo dell'opera pubblica da realizzare (5). La tendenza si consolida fra le due guerre e dopo l'avvento della Costituzione Repubblicana. 3. Nel nuovo assetto il criterio indennitario della legge sul risanamento della citt� di Napoli viene impiegato, oltre che per la realizzazione di opere destinate a soddisfare esigenze dell'intera collettivit�, per ridistribuire certi tipi di beni tra le diverse classi e come strumento per conseguire pi� ampi obiettivi di politica economica e finanziaria. Le prime decisioni della Corte Costituzionale si misurano sul terreno della legislazione speciale e tentano di costruire una serie coerente di argomenti per valutare l'operato del legislatore nel settore delle espropriazioni per pubblica utilit�. Particolarmente significativa la sentenza del 18 febbraio 1960 n. 5. La Corte affronta, con riguardo all'art. 23 della legge 28 febbraio 1949 n. 43 (concernente provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori), problemi tuttavia irrisolti e sviluppa argomenti che impiegher� con vari dosaggi, e in altri contesti, per motivare le sue successive decisioni (6). Il punto centrale della questione � sostanzialmente quello di stabilire quali siano il significato e l'esatta portata della parola �indennizzo� usata nell'art. 42, 3� comma, Cast. In altri termini si tratta di precisare se l'indennizzo da corrispondere al proprietario espropriato per motivi di interesse generale debba o meno corrispondere al giusto prezzo dell'immobile espropriato. Con sentenza n. 61del25maggio1957 questa Corte ha in proposito statuito che non � dato attribuire alla parola �indennizzo� una interpretazione meramente letterale ed etimologica, in quanto il Costituente, tenuto anche conto di elementi storici, non ha inteso, relativamente all'indennizzo, adottare il solo criterio della effettiva corrispondenza al valore venale dell'immobile, fissato dall'art. 39 legge generale 25 giugno 1865 n. 2359 sulle espropriazioni forzate per causa di pubblica utilit�. Tale criterio leggi successive (legge 15 gennaio 1885 (5) La legislazione speciale fiorisce ed emergono, sempre pi� frequentemente, interessi pubblici che condizionano la tradizionale ricostruzione del dirittto di propriet�. Sul problema in generale, e con riferimento alle diverse propriet�, si rinvia ai classici studi di S. PUGLIATII (raccolti nel volume La propriet� nel nuovo diritto, Milano 1954). Sul processo di industrializzazione a partire dal decennio 1878-1887 e sui rapporti tra sviluppo economico e legislazione speciale agli inizi del nuovo secolo, v. G. PESCOSOLIDO, Unit� nazionale e sviluppo economico, Bari 1998, Introduzione, spec. VIII e IX e 287 ss., con attente riflessioni sull'incidenza delle nuove normative che riguardavano, sin da allora, il problema di sempre: la questione meridionale. Imposta all'attenzione dei governanti da voti solenni di assemblee, divenne argomento di speciali e parziali atti legislativi; ma � giunto ormai il tempo di riguardarla nella sua interezza (cos� S. SONNINO, Discorsi parlamentari, voi. III, 190, cit. in G. CANDELORO, Storia dell'Italia moderna, VII, La crisi di fine secolo e l'et� giolittiana, 3a ed., Milano 1975, 214). (6) In Foro it., 1960, I, 356. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 282 a.6) della irragionevolezza della scelta del legislatore, che avrebbe ridotto in misura eccessiva, nelle ipotesi di occupazione illegittima della pubblica amministrazione, il risarcimento rispetto al ristoro integrale del danno, ed in misura esigua rispetto all'indennit� di esproprio, per una preponderante valutazione del concorso dell'interesse pubblico, gi� considerato ampiamente ai fini della determinazione dell'effetto estintivo-acquisitivo della propriet�, e che, pertanto, in sede di liquidazione del danno, avrebbe dovuto essere oggetto di una minore valutazione; a.7) della disparit� di trattamento che la norma determinerebbe tra le ipotesi di espropriazione legittima dei suoli agricoli o non edificabili -rispetto ai quali l'indennizzo viene commisurato, ai sensi del comma 4 dell'art. 5-bis del d.l. n. 2892 per il risanamento della Citt� di Napoli, r. d. l. 6 luglio 1931 n. 981 per il piano regolatore della Citt� di Roma e numerosi altri provvedimenti legislativi) avevano gi� superato, nella considerazione che gli scopi di pubblica utilit� e le finalit� socia!~ per la stessa loro natura di superiori interessi, non possono essere subordinati a quelli privati e, sia pur contemperati e coordinati con questi ultimi, debbono essere realizzati. Ha, pertanto, ritenuto la Corte non ammissibile che proprio la Costituzione, informata ad ampie finalit� di progresso sociale, abbia inteso in ordine all'indennizzo ritornare esclusivamente al criterio della effettiva corrispondenza al valore venale dell'immobile; ed ha in conseguenza affermato che indennizzo non significa in ogni caso integrale ristoro del sacrificio per effetto dell'espropriazione, ma �il massimo di contributo e di riparazione che, nell'ambito degli scopi di generale interesse, la pubblica Amministrazione pu� garantire all'interesse privato. Ci� importa che la valutazione comparativa di tali interessi e il modo come pervenire al massimo della rispettiva soddisfazione devono essere il risultato di un complesso e vario esame di elementi tecnici, economici, finanziari, politici, che solo al legislatore pu� essere dato di compiere�. Al legislatore ordinario deve quindi riconoscersi, per le ragioni dette e ai fini indicati, un potere discrezionale; il quale trova pur sempre un limite, quello cio� che l'esigenza di un indennizzo non pu� ritenersi soddisfatta con disposizioni che vengano ad attuare un indennizzo apparente o puramente simbolico. Tali concetti, confermati nelle sentenze di questa Corte n. 33 del 1958, sono stati ribaditi nella recente sentenza n. 67 del 29 dicembre 1959. Alla stregua pertanto dei principi sopra enunciati deve concludersi che l'impugnato art. 23 legge 28 febbraio 1949 n. 43 (concernente provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori), il quale per la determinazione dell'indennizzo ai proprietari espropriati non stabilisce la corresponsione del valore venale delle aree di cui trattasi, ma recepisce dalla legge n. 2892 del 1885 per Napoli il criterio di determinare l'indennit� �sulla media sul valore venale e sui fitti coacervati dall'ultimo decennio e in difetto sull'imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e sui fabbricati�, non si pone in contrasto con l'art. 42 Costituzione. N� pu� ravvisarsi violazione degli artt. 3, 47 e 53 Cost. Infatti per quanto concerne l'art. 3, questa Corte ha stabilito che a situazioni diverse non pu� essere imposta identica disciplina e che una legge, che pareggiasse situazioni oggettivamente diverse, violerebbe del pari il principio dell'uguaglianza; per quanto poi riguarda gli artt. 47 e 53, essi hanno per oggetto rispettivamente la tutela del risparmio e il sistema tributario, e operano quindi in campi estranei a quello relativo al presente giudizio. Gli interessi in gioco sono chiari: esigenza di affrontare nel dopoguerra il problema delle case per lavoratori e di sviluppare l'occupazione operaia, di attuare una manovra di politica economica al minor costo compatibile con le risorse finanziarie e con l'esigenza di tutela della propriet� privata. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 283 n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge n. 359 del 1992, al valore agricolo medio, e, quindi, secondo un criterio prossimo a quello del valore venale -ed i casi di occupazione illegittima degli stessi, in cui lammontare del risarcimento dovuto sarebbe quantificato ad un livello inferiore al valore venale del bene (rilievo svolto dal Tribunale di Potenza con le ordinanze nn. 735 del 1997 e 408 del 1998). La Corte riconosce l'ampio potere discrezionale del legislatore nella valutazione del complesso di elementi tecnici, economici, finanziari, politici da tenere in conto nella disciplina del settore -con l'unico limite della previsione di indennizzi apparenti o puramente simbolici. Identificato come nodo fondamentale da sciogliere il problema della congruit� dell'indennizzo, la Corte lo risolve positivamente con argomenti ricavati dall'art. 42, 3� comma, Cost. Esclude, poi, ai fini della verifica di costituzionalit� il rilievo degli artt. 47 e 53 perch� essi hanno per oggetto rispettivamente la tutela del risparmio e ilsistema tributario, ed operano quindi in campi estranei a quello relativo al presente giudizio, nonch� dell'art. 3 Cost., legittimando con il principio richiamato: a situazioni diverse non pu� essere imposta identica disciplina criteri indennitari diversi a seconda delle finalit� legislativamente perseguite. A distanza di quarant'anni la semplicemente affermata, ma non dimostrata, irrilevanza degli artt. 47 e 53 si consolida unitamente al principio di conformit� al sistema di tipi di espropriazione differenti, per procedure e criteri indennitari. Alla fine del percorso potr� porsi l'interrogativo se la Corte non abbia, con antichi convincimenti e metodi, stabilizzato (o tentato di stabilizzare), quantomeno apparentemente, le �regole� delle sue decisioni contribuendo, nel suo dialogo con il legislatore e la Corte di Cassazione, a destrutturare il sistema definito dalla Costituzione oltre i limiti del normale adeguamento ai valori via via emergenti ed ai fatti, che dei primi costituiscono fondamento e attuazione in una incessante dialettica. Questa dinamica (non estranea ad altri ambiti normativi) � particolarmente evidente nel settore dell'espropriazione per la radicale ed accelerata trasformazione dei rapporti giuridici e di fatto tra le diverse classi sociali, per la scomparsa, in aree sempre pi� estese del paese, del latifondo dopo la seconda guerra mondiale e, nel periodo successivo al 1960, per l'affermarsi di un modello di sviluppo centrato sulla programmazione economica senza l'impiego di adeguate tecniche legislative. Il legislatore contemporaneo nel frammentarismo, nell'occasionalit�, nell'eccezionalit� dei suoi interventi riconosce le linee guida del suo agire, con effetti a cascata sull'operato della pubblica amministrazione e crisi di identit� dei gruppi e dei singoli che si misurano sul sempre pi� frastagliato terreno di una ormai impossibile (?) comunanza di vita in un ordinamento giuridico unitario. In considerazione del divario tra tempi di emersione delle nuove esigenze e tempi e modalit� dell'intervento legislativo, dell'inadeguata attenzione ai comportamenti dei soggetti coinvolti nel processo di attuazione delle riforme, la procedura espropriativa � stata interpretata dagli operatori giuridici come il luogo del conflitto tra antichi poteri -propriet� privata e potere pubblico di esprol?riarla: senza coscienza dei nuovi contenuti e funzioni dell'una e dell'altro (7). E difficile valutare l'incidenza del ruolo della Corte -e dei suoi metodi di trattamento dei dati -nelle varie stagioni che si sono susseguite con ritmo tumultuoso, degli effetti che avrebbe determinato un'ampia identificazione delle norme di riferimento in un tentativo di blocco del frammentarismo legislativo (allo scopo o con l'illusione di poter ridurre a razionalit� un troppo (7) La propriet� � una mentalit� (cos� P. GROSSI, Propriet� (diritto intermedio) in Enc. dir., voi. XXXVII, Milano 1988, 226 ss., spec., 251 ss. e lo stesso pu� dirsi del potere pubblico. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � 284 b) dell'art. 42 della Costituzione (invocato da alcuni giudici limitatamente al secondo ovvero al terzo comma, da altri nel suo complesso), in quanto la esigua misura riconosciuta per il risarcimento non costituirebbe adeguata tutela del diritto di propriet�, ed inoltre perch� l'indennizzo previsto dalla Costituzione in caso di esproprio presuppone una procedura legittima laddove un comportamento illegittimo sarebbe sempre fonte dell'obbligazione di ripristinare lo status quo ante direttamente o per equivalente; infine, in quanto la norma impugnata creerebbe il rischio di ricorso ad una forma anomala di espropriazione, svincolata dall'osservanza di garanzie procedurali (rilievo del Tribunale di S. Maria Capua Vetere); complesso sistema). Assecondare le esigenze del momento o stroncare, in prospettive di lungo periodo, interventi legislativi eccezionali e straordinari, imposti da continue emeigenze e giustificati con la loro temporaneit� ma poi prorogati, reiterati, sospesi, riproposti con lievi modifiche ... ? Certo, se la Consulta avesse compiuto le sue verifiche di costituzionalit� in un'ampia area di riferimenti normativi senza limitarsi a valorizzare parti o frammenti di disposizioni costituzionali, se avesse assegnato decisivo rilievo al rispetto del principio di legalit� dell'azione amministrativa nel suo armonico svolgersi in procedimenti riservati alla competenza del legislatore, il problema dell'espropriazione prima e dell'occupazione appropriativa poi non si sarebbe ridotto al problema della congruit� o irrisoriet� di indennizzi e risarcimenti. Quanto poi alla giurisprudenza della Cassazione, identificate le regole complessive del gioco dell'espropriazione e assunto come valore fondamentale da rispettare la legalit� del procedimento amministrativo -e, pi� in generale, il principio di legalit� (8) -, si pu� seriamente dubitare che la Suprema. Corte potesse inventare, in materia di espropriazione, procedimenti riservati alla competenza del legislatore ordinario, come sembra essere avvenuto con l'occupazione appropriativa. Le ipotesi acquistano particolare consistenza quando l'espropriazione si collega ad altre serie procedimentali per un pianificato intervento sul territorio. 4. Agli inizi degli anni '60 l'espropriazione per assicurare la casa alle classi meno abbienti si inserisce nella pi� ampia prospettiva dei piani di utilizzazione razionale del territorio (l. 18 aprile 1962 n. 167: disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili), sviluppando un collegamento gi� presente nella legge urbanistica del 1942. Le tensioni sottese alla nuova disciplina sembrano tuttavia svilupparsi lungo l'asse del confronto tra diritto di propriet� e interesse all'abitazione con riferimento ad un'indennit� pari al valore di mercato del bene da espropriare (che, a seguito di un intervento della Corte costituzionale, doveva rimanere sottratta a situazioni di incertezza determinata dall'intervento di eventi perturbatori tali da condurre ad una liquidazione dell'indennit� in misura irrisoria o addirittura simbolica). Con sentenza del 9 aprile 1965 n. 22 (9) la Corte dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art.12, comma 2, prima parte, della legge n. 167 del 1962 (secondo cui il valore venale, da determinarsi nella misura prevista dall'art. 39 della legge generale dell'espropriazione per pubblica (8) Specificazioni del principio si rinvengono nell'art. 23 Cost.: nessuna prestazione personale e patrimoniale pu� essere imposta se non in base a legge, negli artt. 13 ss. Cost., nella parte in cui prevedono che alcune libert� fondamentali dei cittadini possono essere limitate soltanto nei casi e modi previsti dalla legge o con le garanzie previste dalla legge e, comunque, sempre previo l'intervento del legislatore, nell'art. 42, 2� e 3� comma Cost., sulla propriet� privata e sull'espropriazione (per quanto in particolare riguarda il tema di indagine), nell'art. 97 Cost. Al riguardo T. MARTINES, Diritto costituzionale, Milano 1997, IX ed., aggiornata a cura di G. Silvestri, 440 s. (9) In Foro amm., 1965, 72 ss. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 285 e) dell'art. 10, primo comma, della Costituzione, per il contrasto con gli artt. 7, 8 e 17, secondo comma, della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, e con l'art. 13 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert�, che sanciscono il diritto di ogni persona al rispetto dei suoi beni (censura proposta dalla Corte d'appello di Cagliari con ord. r.o. n. 417 del 1997); utilit�, andava riferito a due anni precedenti alla delibera comunale di adozione del piano delle zone da destinare alla costruzione di alloggi di carattere economico o popolare, nonch� alle opere e servizi complementari, urbani e sociali ivi comprese le aree di verde pubblico) in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 3, primo comma, Cost., nonch� dell'art. 16 della stessa legge (in quanto riconosceva espressamente solo ai proprietari dei terreni gi� destinati a edilizia residenziale, ma non anche ai proprietari dei terreni con diversa destinazione inclusi nei piani, il diritto di costruire direttamente alloggi economici e popolari) in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. Ai fini della dichiarazione di incostituzionalit�, ancora una volta, non ritiene la Corte utilmente richiamati, nel caso in esame, i precetti contenuti negli artt. 23 e 53 Cast., trattandosi, come gi� questa Corte ha avuto occasione di rilevare (sentenza n. 5del1960), di istituti giuridici ricollegabili a presupposti diversi e diversamente disciplinati dalla Costituzione e dalla legge ordinaria. Essi, infatti, pongono in essere obbligazioni di carattere personale, che non possono equipararsi ai trasferimenti coattivi, regolati esclusivamente dagli artt. 42 e 43 Cast. La risposta del legislatore non si fa attendere. Il costo delle espropriazioni per l'edilizia economica e popolare � ridotto con l'applicazione del criterio indennitario della legge sul risanamento della citt� di Napoli (art. 1, legge 21 luglio 1965, n. 904). Negli anni successivi il discorso acquista maggior respiro: al suo centro non solo la misura dell'indennit� ma, nella dottrina pi� attenta, nuovi modi di concepire l'intervento pubblico, nuovi stili di vita, con significative riflessioni sui contenuti della propriet� e dell'interesse alla casa, delle tecniche per attuarli con l'interpretazione e con riforme legislative, orientate entrambe alla ridistribuzione di antichi beni modernamente concepiti. Quello della casa non era pi� il problema di assegnazione di un tetto a chi ne fosse sprovvisto. Troppi danni ha prodotto una visione del genere per poter essere ancora adottata. � chiaro che l'interesse alla casa s'intreccia con esigenze (e carenze) pi� profonde, attinenti a politiche del territorio e discipline urbanistiche ad ampio respiro, nonch� all'istituzione di servizi collettivi (pubblici e privati) efficienti e a basso prezzo. 1 tratti salienti della esperienza passata in materia sembrano essere invece: tolleranza di un'attivit� edilizia privata pressoch� indiscriminata, mancanza di piani regolatori nella maggior parte dei comuni medi e grandi, e, come fattori concorrenti di emarginazione sociale e morale, insufficienza di mezzi di trasporto, verde, scuole, centri sociali in genere; sul piano strettamente economico: soprattutto, fenomeni di speculazione, crescita spropositata delle rendite urbane, aumento vertiginoso dei canoni di locazione (pi� del 50% nel decennio 1961171) e del prezzo degli alloggi, alto costo dei servizi collettivi. Il numero inadeguato e la scarsa qualit� della maggior parte delle abitazioni contraddicono nettamente a un'istanza ormai diffusa nel paese e -sembra -recepita a livello politico da un vasto schieramento di forze, quella di assegnare al bene 'casa' un significato nuovo, qualitativamente diverso dal significato che gli attribuisce un sistema neocapitalistico. Si allude, in maniera evidente, all'esigenza di subordinare il carattere dell'alloggio come oggetto d'investimento e fonte di rendita alla destinazione che gli � propria in relazione alla sua <<funzione sociale�. Tale formula va naturalmente precisata; ma gi� appare suggestiva non solo per il significato che esprime ma anche per l'istanza che porta nel mondo dei valori giuridici costituzionalmente rilevanti. L'abitazione costituisce punto di riferimento di un complesso sistema di garanzie costituzionali, e si specifica quale componente essenziale (oltre che presupposto logico) di una serie di �Valori� strettamente collegati a quel �pieno sviluppo della persona umana� che la Costituzione RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . 286 d) dell'art. 24, primo comma, della Costituzione, per il contrasto con il principio della effettivit� della tutela giurisdizionale, che non sarebbe garantito dalla riduzione della entit� del risarcimento da fatto illecito consistente nella occupazione illegittima di un suolo ad opera della pubblica amministrazione (censura proposta dalla sola Corte d'appello di Cagliari, con l'ordinanza sopra indicata); e) dell'art. 28 della Costituzione, per il sostanziale esonero da responsabilit� per il pubblico funzionario in caso di occupazione illegittima, non potendo la causazione di un danno aggiuntivo limitato per la pubblica amministrazione, tra l'altro bilanciata dal soddisfacimento dell'interesse alla conservazione dell'opera pubblica, essergli pone a base (assieme all'istanza partecipativa) della democrazia sostanziale. La casa, in quanto dimensione spaziale della persona, acquista, per questo aspetto, rilevanza giuridica fondamentale. Da un punto di vista generale, il problema 'casa' s'inquadra nell'ambito del territorio, e delle esigenze umane che vi si proiettano: la tutela del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle zone montane, della piccola e media propriet� terriera, fornisce un ampio quadro di settori d'intervento nei quali le case occupano un posto indubbiamente di grande rilievo. In senso pi� specifico, l'abitazione appare come uno strumento per consentire l'effettiva realizzazione dei diritti dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalit� (art. 2 Cast.); e in questa direzione assume un particolare significato la tutela del risparmio popolare, che la Costituzione indirizza all'acquisto della propriet� dell'abitazione (art. 47 Cast.) mentre il collegamento della esigenza primaria dell'abitare con i profili qualitativi che vi si riconnettono risulta in primo luogo dalla tutela costituzionale della scuola, della salute, del lavoro (10). Individuate le disposizioni costituzionali rilevanti per l'identificazione del diritto alla casa, si delinea un coerente quadro normativo cui rapportare l'interpretazione delle leggi ordinarie nel segno di una concezione dell'abitazione come punto di riferimento per l'effettivo esercizio di diritti fondamentali della persona umana, dell'interesse all'abitazione come valore giuridico essenziale per l'attuazione di uno stato ottimale di uguaglianza sostanziale. La legge 22 ottobre 1971 n. 865 veniva ritenuta l'iniziativa di maggiore rilievo non solo per l'entit� dei finanziamenti previsti a tal fine, ma soprattutto perch� lo strumento del[' espropriazione d� luogo, sul piano effettuale, a un fenomeno che tende a tradursi in una sorta di nazionalizzazione delle aree private occorrenti per l'edilizia economica e popolare. Da un punto di vista formale non sono riscontrabili particolari innovazioni rispetto al criterio adottato dalla legge n.167 del 1962; in realt�, per�, la previsione dell'espropriazione generalizzata ed obbligatoria comporta notevoli differenze. Mentre per la n.167 i Comuni erano solo autorizzati a espropriare (salva, peraltro, pure la facolt� per il privato di evitare il trasferimento coattivo dell'area con l'assunzione dell'obbligo di utilizzarla in proprio per fini edificatori) la nuova normativa prevede il dovere puntuale di acquisire le aree incluse nei piani. L'atto amministrativo, cio� in particolare il piano comunale, ha la funzione di circoscrivere i beni sui quali deve cadere la riserva di propriet� pubblica. La formazione dei piani � anch'essa doverosa: nel disegno legislativo riguardante il patrimonio pubblico di aree edificabili, la discrezionalit� del Comune ha per oggetto solo la determinazione dell'ambito di tale patrimonio. La recente normativa � dunque caratterizzata dal ricorso allo strumento della espropriazione, nei termini ora descritti, per favorire l'acquisizione delle aree fabbricabili; aree che, � bene sottolineare, vengono valutate solo in base alla loro destinazione agricola (rimuovendo forse cos� il maggior ostacolo allo sviluppo di una politica della casa) e per le quali non � prevista la retrocessione, anche in caso di mancata realizzazione del programma. Non si debbono tuttavia sottovalutare altri aspetti, anch'essi riferibili alla tematica del diritto alla casa, ed emergenti dalla legge n. 865. (10) T. MARTINES e un gruppo dell'Istituto di scienze giuridiche dell'Universit� di Messina, Il �diritto alla casa�, in Tecniche giuridiche e sviluppo della persona, a cura di N. Lipari, Bari 1974, spec. 392 s. . I �'�z1a:::;::r��c111r1�Jr�11�11rr;;~::;rl PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 287 addebitata a titolo di colpa grave e configurandosi i casi di dolo come ipotesi eccezionali (censura proposta dalla Corte d'appello di Cagliari con ord. r.o. n. 417 del 1997, dalla Corte d'appello di Firenze con ordinanze r.o. nn. 788 e 789 del 1997, dal Tribunale di Lamezia Terme con le ordinanze r.o. nn. 423-426 del 1997); f) dell'art. 53 della Costituzione, in quanto porrebbe una notevole parte del costo dell'opera pubblica realizzata a seguito di occupazione illegittima a carico del proprietario dell'area occupata, in contrasto con il principio secondo il quale il L'inserimento della espropriazione in una previsione complessiva e organica dello sfruttamento delle aree edificabili denuncia in primo luogo la volont� di configurare un assetto urbanistico che tuteli in modo unitario l'interesse all'abitazione; interesse che pu� trovare realizzazione solo se vengono predisposte strutture che rendano il suolo accessibile a tutti e l' �ambiente� idoneo allo sviluppo della personalit� di ciascuno. In questo quadro l'interesse alla costruzione di alloggi economici e popolari si pone in una situazione di interdipendenza rispetto al pi� generale interesse a un organico e globale assetto urbanistico (per cui l'esigenza della casa non viene considerata soltanto sotto il profilo di bisogno elementare e imprescindibile dell'individuo ma anche in rapporto di strumentalit� rispetto ad altri valori); si comprende cos� la definizione dell'edilizia economica e popolare come servizio pubblico (11). La suggestiva ricostruzione sottolinea nel contempo le carenze della nuova legislazione. L'importanza del rapporto tra la politica d'incentivazione dell'edilizia economica e popolare e il pi� generale problema urbanistico ed edilizio non appare ancora adeguatamente recepita: infatti, se da un lato una idonea programmazione della politica della casa presuppone il coordinamento con il piano di sviluppo dell'assetto urbano, in tutte le sue specificazioni (comprese le infrastrutture, la scuola e i servizi), d'altro canto il nucleo della legge n. 865 � costituito dalla tutela di una cerchia di destinatari, i titolari di un �diritto alla casa�, rispetto ai quali la necessit� economica e sociale appare pi� pressante. Da questo punto di vista il disegno di un compiuto assetto urbanistico nella legge sulla casa appare appena abbozzato. � vero che si prescrive -sin dalla legge n. 167del1962 -che i piani delle zone da destinare a edilizia economica e popolare contengano la delimitazione degli spazi riservati a opere e impianti di interesse pubblico, nonch� a edifici pubblici e di culto, e abbiano una durata massima di dieci anni (prorogabile per altri due) (sicch�, in definitiva, la previsione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria dovrebbe essere suscettibile di adattamento alle reali esigenze della collettivit�); ed � pure vero che nella legge n. 865 (art. 44) l'indicazione delle opere di urbanizzazione secondaria si arricchisce, cos� specificandosi ulteriormente: �a) asili nido e scuole materne; b) scuole dell'obbligo; c) mercati di quartiere; d) delegazioni comunali; e) chiese e altri edifici per servizi religiosi; t) impianti sportivi di quartiere; g) centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie; h) aree verdi di quartiere�. Tuttavia queste previsioni riguardano soltanto le zone incluse nei piani, e non costituiscono, come invece dovrebbero, il collegamento tra aree di espansione destinate all'edilizia economica e popolare, aree di espansione lasciate all'edilizia libera e centri storici, zone di sviluppo industriale e agricolo. Mentre dunque non sono sufficienti a realizzare tutte le esigenze, tali previsioni rischiano di determinare un isolamento sociale, psicologico e culturale delle popolazioni inserite nelle aree del piano. Ma le deficienze sono ancora pi� gravi. Nella programmazione della spesa pubblica si possono riscontrare non solo limiti quantitativi, ma tali difetti di coordinamento da rendere praticamente illusoria la prospettiva di un'armonica attuazione dell'attivit� edilizia rispetto alla urbanizzazione del territorio. (11) T. MARTINES, op. ult. cit., 395 s. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 288 concorso di ciascuno alla sfera pubblica � commisurato alla sua capacit� contributiva (censura proposta dalla Corte d'appello di Cagliari con l'ordinanza sopra menzionata); g) degli artt. 71, primo comma, e 72, primo comma, della Costituzione (invocati dalla Corte d'appello di Cagliari) in quanto la norma in questione, essendo inserita in una legge che raccoglie in soli tre articoli (ciascuno dei quali consistente in una lunghissima serie di commi) disposizioni del tutto eterogenee, sarebbe stata approvata, avuto anche riguardo alla circostanza che sulla legge di cui si tratta venne posta all'epoca la questione di fiducia, senza che ciascun parlamentare potesse liberamente manifestare, su ognuno degli articoli, la propria opinione e volont�; Le conseguenze della mancata urbanizzazione primaria -pure se posta a carico dei destinatari -sono talmente ovvie da non avere alcun bisogno di essere messe in luce; la costruzione di alloggi non coordinati con le infrastrutture determina tali e tanti problemi, da rendere praticamente inutile e anzi dannosa -in termini di costi sociali -la realizzazione di un programma edilizio che impegna in non lieve misura l'economia del paese. D'altro canto i meccanismi di finanziamento previsti dalla legge sulla casa si caratterizzano innanzi tutto per la limitazione quantitativa delle spese destinate alla realizzazione delle opere di urbanizzazione e per la diversificazione dei soggetti preposti a tali finanziamenti rispetto a quelli cui compete concedere le incentivazioni previste per la costruzione degli alloggi. Ne consegue un totale difetto di coordinamento (nonostante la competenza del CIPE e la istituzione di un nuovo comitato, il CER), che certamente non favorisce una soluzione globale dei problemi della casa (12). Per quanto in particolare riguarda i procedimenti espropriativi, tutto l'impianto del titolo II della legge 865 del 1971 lasciava a desiderare: con riguardo ai soggetti esproprianti, alla delimitazione delle rispettive competenze, ai criteri ed alla procedura di determinazione dell'indennit�... all'identificazione dei tipi di opere cui la normativa si applicava. I successivi interventi del legislatore non risolvono i numerosi problemi sollevati dalla nuova disciplina ma li amplificano anche per la mancata valutazione dell'incidenza che avrebbero avuto i decreti delegati di trasferimento di un primo robusto gruppo di materie (e relative competenze) dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario e, in particolare, il d.P.R. del 15 gennaio 1972 n. 8 in materia di opere pubbliche regionali. Al di l� dei difetti di coordinamento, una volta introdotta la nuova disciplina, valeva forse la pena di tentare di rendere generale quanto meno il procedimento espropriativo da seguire per tutte le opere, ivi comprese quelle di interesse statale (o, quantomeno, non regionale). Il legislatore, per�, con la legge 27 giugno 1974 n. 247, si orienta, principalmente, a procedere all'equiparazione degli espropri statali a quelli regionali con riferimento all'indennit� di espropriazione -che per i primi veniva determinata sulla scorta del valore di mercato, ai sensi dell'art.39 della legge fondamentale delle espropriazioni per pubblica utilit�, e per i secondi con il pi� restrittivo criterio del valore agricolo medio -incidendo solo parzialmente sulle disposizioni attributive di competenze nel procedimento ablativo. Nell'intento di completare il decentramento, con il d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, viene trasferita alle Regioni la potest� espropriativa in tutte le materie di trasferimento o di delega (art. 106, I comma), riservando allo Stato tale potest� solo per le opere pubbliche la cui esecuzione � di sua spettanza (art. 106, II comma); ai Comuni viene delegata la sola potest� in materia di procedimento di occupazione temporanea e di urgenza per le opere la cui esecuzione � di loro spettanza (art. 106, III comma) (13). (12) T. MARTINES, op. ult. cit., 396 s. (13) Sul difetto di coordinamento delle normative ricordate e sui problemi correlativi, G. LEONE, in op. cit., 3 ss. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 289 h) dell'art. 97 della Costituzione (invocato da alcuni giudici con riferimento al solo primo com.ma, da altri nel suo complesso), in quanto la limitazione del risarcimento del danno arrecato dalla pubblica amministrazione contrasterebbe con le finalit� di buon andamento ed imparzialit� dell'azione amministrativa (censura proposta dalla Corte di appello di Reggio Calabria con ord. r.o. n. 292 del 1997, da quella di Cagliari con ord. r.o. n. 417 del 1997, da quella di Firenze con le ordinanze r.o. nn. 788 e 789 del 1997, dal Tribunale di Lamezia Terme con le ordinanze r.o. nn. 423-426 del 1997, da quello di Potenza con le ordinanze r.o. nn. 735 del 1997 e 408 del 1998, dal giudice istmttore del Tribunale di Torino con ordinanza r.o. n. 571del1997); Nello stesso arco di tempo, con la legge 28 genm~io 1977 n. 10 sulla edificabilit� dei suoli, si apportano consistenti modifiche alla legge n. 865 del \1971 sotto il profilo procedimentale -per cercare di evitare l'evidente sperequazione tra il proprietario di un suolo costretto a subire, suo malgrado, l'espropriazione ed a percepire un indennizzo inadeguato rispetto al valore del bene (come risultava con particolare evidenza per le aree edificabili) e chi, invece, poteva liberamente disporre del proprio immobile alienandolo al prezzo di mercato -ma si alimentano potentemente i contrasti sul contenuto del diritto di propriet� e, con la legge n. 1del1978, si d� un colpo di maglio alla pianificazione programmata del territorio comunale (14). La forte accelerazione normativa, profondamente segnata da interventi frammentari e contraddittori, non si d� carico dei problemi interpretativi via via crescenti, puntualmente segnalati dalla dottrina, n� di quelli collegati alla sua attuazione -alla quale dovevano contribuire enti locali carenti sotto il profilo organizzativo e culturale in una (a volte pericolosa) vicinanza con gli interessi particolari alla disciplina del territorio e alle espropriazioni. Da qui la violazione ripetuta della miriade di regole in breve tempo introdotte e la costituzione di un illegittimo (o illecito) sistema di acquisizione dei beni privati per la realizzazione dei pi� vari tipi di opere (pubbliche o private di pubblica utilit�), l'esplosione di procedure ablative illegittime, l'ampliamento a dismisura del contenzioso, l'imponente dilatazione della spesa pubblica (15). L'inadeguato impiego delle tecniche giuridiche, l'incapacit� delle amministrazioni di attuare la nuova legislazione (anche per le incertezze interpretative dalla stessa determinate) conducono ad un confronto, in sede contenziosa, tra interessi pubblici e privati come se tuttavia esistessero le classi originarie del conflitto, come se l'intervento dello Stato nell'economia fosse estremamente contenuto (e orientato a realizzare solo opere destinate all'intera collettivit�), come se non fossero state introdotte miriadi di norme e procedimenti per tipi e occasioni di opere, per categorie di soggetti incisi. L'uso deviante dei modelli di attuazione della vasta gamma di interessi pubblici e privati coinvolti nelle diverse vicende si svolge, cos�, lungo l'asse della contrapposizione pubblicoprivato riguardo a indennizzi congrui o irrisori a seconda del riferimento della procedura espropriativa ad aree edificabili o ad aree agricole -dimenticando (?) che, quantomeno in vaste aree del paese, erano cambiati i proprietari delle une e delle altre, come erano cambiati i soggetti interessati alle diverse opere. Il vero problema da risolvere era quello del contenuto della propriet�, della inerenza ad essa dello ius aedificandi? O non piuttosto quello dell'attuazione della complessa rete di norme introdotte, dell'acquisizione preventiva delle aree di impianto delle opere pubbliche o private di pubblica utilit�, di una nuova cultura del territorio, del coordinato intervento degli apparati di garanzia giurisdizionale degli interessi pubblici e privati, della sicura identificazione del giudice competente a decidere? In una battuta: il problema del rispetto del principio di legalit�, valore e metodo dei comportamenti degli operatori pubblici e privati in un ordinamento democratico moderno. (14) G. LEONE, in op. cit., 71 ss, spec. 78. (15) G. LEONE, in op. cit., 7. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO""� 290 i) dell'art. 113, primo e secondo comma, della Costituzione, per la limitazione della tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della pubblica amministrazione (censura proposta dalla Corte d'appello di Cagliari con ordinanza r.o. n. 417 del 1997). 2. -I giudizi devono essere riuniti in quanto riguardano la medesima disposizione di legge e propongono questioni in buona parte coincidenti o connesse per cui si impone una trattazione unitaria delle censure dedotte. Le tensioni si accumulano e la giurisprudenza (di legittimit� e di merito) tenta di identificare linee interpretative idonee a offrire tempestiva tutela alla propriet� privata illegittimamente sottratta al suo titolare, mentre nel 1980 la Corte costituzionale viene investita del problema della legittimit� dei criteri indennitari fissati nell'art. 16 della legge 22 ottobre 1971 n. 865 (come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977 n. 10). La Consulta, in una decisione che ben si prestava a orientare i successivi interventi del legislatore, dichiara costituzionalmente illegittimi, per violazione degli art. 3, 1� comma e 43, 3� I comma, Cost.: a) l'art. 16, 5�, 6� e 7� comma, legge 22 ottobre 1971 n.865 come modificati dall'art. 14 legge 28 gennaio 1977 n. 10 che adotta il valore agricolo medio dei terreni secondo i tipi di I coltura praticati nella regione agraria quale criterio per la determinazione della misura dell'indennit� di esproprio, senza fare specifico riferimento al valore dei terreni .medesimi in I relazione alle caratteristiche essenziali e alla destinazione economica degli stessi; b) l'art. 19, 1� comma, legge 28 gennaio 1977 n. 10 che estende le disposizioni di cui al I precedente art. 14 in materia di determinazione dell'indennit� di esproprio e di occupazione ai ~ I I filprocedimenti in corso se la liquidazione di tale indennit� non sia divenuta definitiva; c) l'art. 20, 3� comma, legge 22 ottobre 1971 n. 865 come modificato dall'art. 14, legge 28 gennaio 1977 n. 10 che prevede l'applicazione dell'art. 16 stessa legge n. 865 del 1971 nel testo modificato dal ripetuto art.14 per la determinazione dell'indennit� di occupazione d'urgenza; d) l'art. unico legge 27 giugno 1974 n. 247 nella parte in cui, convertendo in legge, con ~ modificazioni, il d.l. 2maggio1974 n. 115, ne modifica l'art. 4, estendendo l'applicazione delle ~ disposizioni dell'art. 16, 5�, 6� e 7� comma, legge n. 865 del 1971 a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato, delle I r, regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non ~= territoriali (16). La propriet�, nel suo pi� ampio e tradizionale contenuto, dopo quasi un decennio di normative penalizzanti, segna un punto a suo vantaggio: lo ius aedificandi fa parte del diritto di propriet�. La Corte non manca, per�, di offrire al legislatore preziosi suggerimenti in un ricco quadro di riflessioni sui rapporti fra procedimenti espropriativi, strumenti urbanistici ed esigenze di difesa della propriet� privata, sulle possibilit� di recupero di funzionalit� al sistema con l'applicazione rigorosa delle disposizioni vigenti. Il legislatore omette di adottare una disciplina organica delle espropriazioni. Con l'art. 1, 1� comma, della legge n. 385 del 1980 reintroduce gli stessi criteri di commisurazione dell'indennit� di esproprio dichiarati costituzionalmente illegittimi con la sentenza n. 5 del 1980 (giustificando, temerariamente come ha dimostrato la storia, il suo intervento con la natura provvisoria dello stesso nella prospettiva della riforma generale dell'espropriazione per pubblica utilit�). La Corte reagisce tempestivamente e ne dichiara la illegittimit� costituzionale per contrasto con gli art. 42, 3� comma, e 136, 1� comma, Cost. (16) Corte cost. 30 gennaio 1980 n. 5, in Foro it., 1980, I, 273, con nota di richiami di C. M. BARONE. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 291 3. -Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilit� proposte dall'Avvocatura generale dello Stato. Al riguardo, va osservato che quelle proposte in relazione alle ordinanze r.o. nn. 292, 571e573 del 1997, per mancanza di rilevanza, sono prive di fondamento, in quanto le ordinanze di rimessione contengono una motivazione tutt'altro che implausibile sulla rilevanza delle questioni, che si impernia sulla considerazione che i giudici a quibus debbono fare applicazione della norma denunciata, di cui � evidente l'incidenza, in quanto il relativo giudizio riguarda il risarcimento e la liquidazione del danno per occupazione appropriativa. Con la nuova decisione la Consulta afferma il proprio �prestigio� di organo di giustizia costituzionale di fronte ai comportamenti lesivi di un legislatore trascurato e confusionario; in tal senso il richiamo all'art. 136 Cost. � apparso (politicamente) il pi� efficace. La Corte, inoltre, sollecita il Parlamento a concludere definitivamente la vicenda dell'indennizzo espropriativo in termini tali da evitare nuovi giudizi di costituzionalit� sulla futura legge da emanare (17). Ali'atto di prendere tali decisioni, la Corte � consapevole delle gravi difficolt�, di ordine politico, giuridico e finanziario, che hanno finora ostacolato il Parlamento nell'approvazione di una nuova e permanente disciplina delle indennit� per l'espropriazione di aree edificabili. Ma le difficolt� non vengono certo attenuate, ritardando a dismisura la necessaria soluzione del problema e lasciando intanto le pubbliche amministrazioni in una situazione di radicale incertezza, quanto ai costi da preventivare e da sopportare in materia. N� vale replicare che, a questo punto, i costi sarebbero comunque insostenibili. La Corte, infatti, non ha mai affermato che l'indennizzo richiesto dal comma 3 dell'art. 42 Cost. sia necessariamente pari al �giusto prezzo che ... avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita� (secondo il criterio fissato dall'art. 39 l. n. 2359del1865); ma ha costantemente ripetuto (come si legge nella sentenza n. 5del1980) che basta allo scopo un ristoro serio e tale da non ledere il principio costituzionale di eguaglianza. Ai fini della pronuncia la Corte ritiene di assorbire, ancora una volta, i residui profili di incostituzionalit� dedotti con riferimento agli artt. 3, 24 e 53 Cost. 5. Nello stesso arco di tempo le Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza del 26 febbraio 1983 n. 1464 (18), tentano di comporre, nell'alveo della tradizione civilistica, i profondi contrasti interpretativi determinati dalla denunciata esplosione delle occupazioni illegittime. Il risultato perseguito: garanzia tempestiva del diritto di propriet� illegittimamente acquisito a un ente pubblico ma prevalenza (del valore) del bene �opera pubblica� rispetto al bene oggetto della propriet� privata. La decisione, che ha sollecitato una massa imponente di riflessioni, si fa apprezzare per il raffinato impiego dei pi� classici principi del diritto civile in una moderna prospettiva assiologica e i pi� attenti commentatori prevedono con estrema chiarezza i problemi che la Suprema Corte avrebbe dovuto risolvere nelle successive pronunce (19), identificando puntualmente prospettive e problemi dell'occupazione appropriativa (20). L'occupazione d'urgenza preordinata alla esecuzione di un'opera pubblica si caratterizza proprio per la sua preordinazione -per cos� dire, naturale -a tramutarsi in definitiva. Nella (17) Corte cost. 21 luglio 1983 n. 233, in Giur. cast., 1983, I, 1331 ss., spec. 1355 ss., con ampie note di richiami e osservazioni di G. LOMBARDI e G. MANGIAMELI. (18) In questa Rassegna, 1983, I, IV, 124 ss., con nota di S. LAPORTA, Occupazione �appropriativa�: puntualizzazione giurisprudenziale in tema di occupazione illegittima seguita da esproprio. (19) s. LAPORTA, op. cit., 123 ss. (20) S. LAPORTA, op. cit., 129, che identifica ilfulcro logico della sentenza nell'effetto sostanzialmente espropriativo del/' occupazione appropriativa e racchiude in una espressione fra parentesi (ma ilproblema richiede forse un intervento legislativo) il nodo non sciolto del nuovo modo di acquisto. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT� .�. 292 Ci� � sufficiente per respingere le eccezioni anzidette, non potendosi procedere in questa sede ad un sindacato (diverso dal controllo esterno) sul giudizio di rilevanza espresso dall'ordinanza di rimessione in modo, come appena chiarito, non implausibile (v. per tutte, sentenza n. 286 del 1997), e con motivazione tutt'altro che carente (v. ordinanza n. 62 del 1997). � invece fondata l'eccezione di inammissibilit� proposta sempre dall'Avvocatura generale dello Stato in riferimento all'ordinanza r.o. n. 191del1997 sotto il profilo che la fattispecie sarebbe palesemente non inscrivibile tra le occupazioni appropriative, atteso il pacifico intervenuto annullamento in sede giurisdizionale della dichiarazione di pubblica utilit�. infatti -secondo un indirizzo giurisprudenziale di legittimit� realt� economica, il bene interessato dalla dichiarazione di p. u. di un'opera e, poi, m via d'urgenza sottratto alla disponibilit� ed al godimento del proprietario �, per ci� solo, un bene che, in vista della sua trasformazione in entit� diversa, ha ormai perso l'intrinseca attitudine a formare oggetto di commercio giuridico, non essendo ipotizzabile realisticamente che esso trovi un acquirente o che lo stesso proprietario decida di utilizzarlo per nuove iniziative. E a chiedersi, allora, se veramente debba attendersi la definitiva trasformazione del bene privato in opera pubblica per ritenere verificato lo svuotamento del diritto dominicale del proprietario o se, invece (ma il problema richiede forse un intervento legislativo), simile effetto non possa riconnettersi gi� alla occupazione disposta per la realizzazione dell'opera, cos� ravvisando nel provvedimento che l'autorizza, sulla base di una intervenuta dichiarazione di p.u. dell'opera, l'effetto sostanzialmente espropriativo che �, in ultima analisi, il fulcro logico della costruzione prospettata dalla sentenza in rassegna. Malgrado gli innegabili meriti la sentenza, per il suo impianto, si prestava a penetranti critiche (21). Alcune delle affermazioni in essa contenute contribuiscono a mettere a fuoco il problema di fondo dell'istituto: sul versante pubblicistico -per quanto concerne i rapporti tra privati e pubblica amministrazione -mancano norme di diritto positivo cui agganciare la soluzione proposta cosicch� questa viene giustificata dal rilievo: nell'ipotesi in esame il conflitto sorge tra un soggetto privato e un ente pubblico, il quale ha agito per una soddisfazione di un interesse non proprio, ma della collettivit� dei cittadini cui l'opera pubblica � destinata: e, nella valutazione della coscienza collettiva interpretata dall'ordinamento nel momento attuale, la comparazione dei valori in conflitto vede perdente il primo e vincente il secondo. Se per� si ritiene che l'art. 42 Cost. -immediatamente (22) o in una lettura raccordata alle disposizioni costituzionali che impongono il rispetto del principio di legalit� (23) -riservi al legislatore la disciplina del procedimento espropriativo, la giurisprudenza non poteva inventare l'occupazione appropriativa, non poteva ricavare da principi del diritto civile suggestioni per la costruzione di istituti che in procedimenti legislativamente preregolati devono trovare il loro fondamento. La riflessione non mette in gioco la validit� sostanziale della soluzione ma la verifica dei limiti d'intervento della giurisprudenza in una materia coperta da riserva di legge, del ruolo della Magistratura nel definire, in modo non contraddittorio e in linea con i principi costituzionali, le modalit� di attuazione del sistema nel suo complesso. Pi� semplicemente, se il valore fondamentale da rispettare � quello della legalit� dell'azione degli operatori (pubblici e privati) e della sua coerenza logica e assiologica, la questione espropriazione prima e occupazione appropriativa poi non tollerano (21) v. A. MARorrA, in op. cit., 579 ss., con ampi riferimenti di dottrina. (22) M. S. GIANNINI, op. cit., 712. (23) v. retro nota 8. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 293 (Cass., sez. I, n. 6515 del 16 luglio 1997; n. 7998/97) -le norme sul risarcimento in caso di occupazione appropriativa si applicano alle sole occupazioni illegittime dei suoli per causa di pubblica utilit�, per cui in mancanza di valida dichiarazione di pubblica utilit� (cui viene equiparata la dichiarazione annullata perch� illegittima) si � al di fuori delle ipotesi contemplate per il risarcimento dalla norma denunciata. La questione �, pertanto, manifestamente inammissibile sulla base degli stessi elementi contenuti nella ordinanza di rimessione. 4. -Passando all'esame del merito delle questioni sollevate nelle altre ordinanze, giova premettere che con sentenza n. 369 del 1996 questa Corte ha dichiarato la illegittimit� costituzionale del comma 6 dell'art. 5-bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, la riduzione ai problemi di congruit� dell'indennizzo o del risarcimento dei danni ai fini del contenimento della spesa pubblica, essendo altri gli strumenti costituzionalmente previsti per la realizzazione di quella finalit� (nel rispetto di un'equa ripartizione dei costi dei diversi tipi di opere). In questa prospettiva la soluzione della Cassazione -centrata su una valutazione elementare di prevalenza dell'interesse alla costruzione, da parte di un ente pubblico, di un'opera pubblica destinata a beneficio dell'intera collettivit� sull'interesse del privato alla conservazione del suo bene nonch� sulla consapevolezza di tale prevalenza nella coscienza collettiva -non si prestava a regolare occupazioni illegittime in cui altri erano i soggetti, i beni e gli interessi coinvolti nelle diverse vicende ablative. Ed infatti, ad esempio, per risolvere i problemi delle occupazioni illegittime nei procedimenti per l'edilizia residenziale, convenzionata o agevolata, e per risanare gli imponenti deficit dei Comuni � dovuto intervenire il legislatore con la legge 27 ottobre del 1988 n. 458. 6. Gli anni Ottanta sono segnati da tentativi di identificare le norme da applicare ai profili pi� sensibili del nuovo istituto con pronunce ondivaghe sulla prescrizione dell'azione di risarcimento dei danni, sulla determinazione di questi, sui modi di calcolo di rivalutazione e interessi ... (24 ). L'ampiezza di perplessit� e contrasti costituisce la miglior conferma delle difficolt� di operare in modo affascinante, ma forse eccessivamente disinvolto, la costruzione dell'occupazione appropriativa con principi e tecniche argomentative del diritto civile. Questi, invero, mal si adeguano all'evoluzione legislativa nel settore considerato e alla sua attuazione secondo nuovi modelli dell'azione, ai vorticosi mutamenti di ruoli nel gioco di sempre: il controllo del territorio. In un siffatto contesto l'invenzione della Cassazione ha finito per sortire effetti paradossi: il legislatore ha omesso di intervenire con procedimenti funzionali alla realizzazione degli scopi perseguiti e sono esplosi i procedimenti ablatori illegittimi mentre � risultato inefficace l'intervento della Magistratura penale e contabile, paralizzato dall'impiego sempre pi� massiccio di proroghe e condoni e dalle interazioni con le pronunce dei Giudici amministrativi. Sul finire del decennio la disciplina delle occupazioni illegittime tende a stabilizzarsi (25). Ma il periodo, come � noto, � stato caratterizzato da una politica economica che sul disavanzo ha costruito il modello di sviluppo italiano. Da qui l'esigenza di un ritorno ad antichi rigori in un quadro disarticolato, innanzitutto, da un legislatore che aveva, da tempo, dimostrato la sua incapacit� a coniungare riforme e tecniche giuridiche. (24) Si rinvia al riguardo alla relazione di V. TUTINELLI, Acquisto della propriet� e prescrizione del diritto al risarcimento del danno, in L'occupazione e acquisitiva, cit., 175 ss., che segnala puntualmente le contraddizioni della Cassazione; v. gi� M. CALOGERO, L'occupazione acquisitiva, Milano 1996, spec. 37 ss. (25) A. MAROITA, in op. cit., 397 ss. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'.f(J" 294 convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, come sostituito dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui applica al �risarcimento del danno� i criteri di determinazione stabiliti per �il prezzo, l'entit� dell'indennizzo�. Il legislatore, con la norma denunciata, � intervenuto modificando il precedente criterio applicato alle occupazioni acquisitive ed in particolare ha escluso, in caso di occupazioni illegittime dei suoli per causa di pubblica utilit�, la decurtazione del 40 per cento prevista per l'indennit� di esproprio, aumentando inoltre l'importo del risarcimento del 10 per cento, e con previsione di applicabilit� alle occupazioni illegittime di suoll intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, anche in relazione ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in giudicato. A far tempo dal 1992 i criteri indennitari per l'espropriazione per pubblica utilit� vengono disciplinati in occasione della legge finanziaria. Il testo del d.l. 11luglio1992 n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) trasmesso alle Camere per la conversione non conteneva norme sulla disciplina del criterio indennitario per l'espropriazione delle aree edificabili, introdotte poi con l'articolo 5 bis che � risultato �aggiunto� nella legge di conversione del decreto, approvata non articolo per articolo ma a blocco, avendo il Governo posto la questione di fiducia. All'anomalia della procedura si � sommata la perdurante anomalia di una disciplina della materia ancora una volta transitoria (26). La proposizione di apertura del discorso normativo fino ali' emanazione di un'organica disciplina per tutte le espropriazioni... contiene infatti l'esplicita confessione della perdurante incapacit� del legislatore di provvedere in modo organico alla disciplina del settore. La sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1980 e la successiva del 1983 non hanno lasciato alcuna traccia. I Giudici di merito sollevano tempestivamente, sotto diversi profili, una variegata e ricca messe di questioni di costituzionalit�. La risposta della Consulta (27) delude profondamente e la dottrina sottopone a penetrante analisi metodi argomentativi e ragioni di fondo della pronuncia in un quadro completo di riferimenti normativi di livello costituzionale e comunitario (28). La letteratura giuridica al riguardo � davvero imponente; solo qualche riflessione, dunque, sulla decisione della Corte. L'argomento pi� forte per dimostrare la sufficienza e congruit� dell'indennizzo previsto nell'articolo 5 bis � affidata alle esigenze della finanza pubblica all'inserimento della disposizione nel contesto di una pi� vasta ed organica manovra finanziaria dello Stato, al particolare rilievo di un contesto complessivo... caratterizzato da una sfavorevole congiuntura economica che il legislatore mira a contrastare con un'ampia manovra finanziaria, alla particolare congiuntura economica nella quale si inserisce la legge emanata avente carattere dichiaratamente temporaneo, in attesa di una organica disciplina dell'espropriazione per pubblica utilit�, alla funzione che l'indennizzo nel contesto dell'attuale situazione economica e finanziaria del paese � chiamato ad assolvere. Lo stesso argomento, sia pure con sfumature e varianti, appare insistentemente ripetuto in 60 righe. Ha, forse, nella ripetizione la Corte tentato di autoconvincersi della bont� della soluzione prescelta o ha voluto piuttosto convincere i suoi lettori? Un'elegante forma di giustificazione, un lapsus rivelatore (se si ritiene che la ragione enunciata conducesse a conclusioni opposte) o ... solo un tic linguistico? (26) A. MAROTTA, in op. cit., 401. (27) Corte cost., 16 giugno 1993 n. 283, in Giur. cast., 1993, 1981 ss. (28) F. G. ScocA, Espropriazione: l'indennizzo seriamente irrisorio, in Diritto amministrativo, Milano 1994, 423 ss., spec. 454 ss. Sulla Funzione dell'indennit� di espropriazione si rinvia alla relazione di C. MAzz�, in L'occupazione acquisitiva, cit., 219 ss. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 295 5. -Le questioni proposte sono prive di fondamento per una serie di ordini di considerazioni. Innanzitutto la regola generale di integralit� della riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha copertura costituzionale (sentenze n. 369 del 1996; n. 132 del 1985). In casi eccezionali il legislatore pu� ritenere equa e conveniente una limitazione al risarcimento del danno: nel caso delle occupazioni appropriative �sussistono in Il collegamento tra misura dell'indennit� e congiuntura economica lascia perplessi in quanto comporta che tale misura, relativa allo stesso bene espropriato, possa oscillare nel tempo. Un tale collegamento contrasta di per s� con il comma 3 dell'art. 42, che commisura l'indennizzo al sacrificio imposto al proprietario; sacrificio che certamente non diminuisce, ed anzi normalmente cresce, in tempi di sfavorevole congiuntura economica. Peraltro, ove tale collegamento si rawisi, diventa contraddittorio affermare, come la Corte fa, l'irrilevanza, nella valutazione della legittimit� costituzionale della misura dell'indennizzo, dell'articolo 53 Cost. e del cd. principio di capacit� contributiva. In altri termini, se la misura dell'indennizzo resta sganciata dalla congiuntura economica e dalla manovra finanziaria diretta a correggerla, si pu� forse ritenere che il principio di capacit� contributiva non incida su di essa; ma ove si giustifichi la riduzione della misura proprio con riferimento a prowedimenti anticongiunturali si opera il collegamento della materia tipica delle spese pubbliche e dei modi di contribuzione a tali spese: diventa logicamente impossibile escludere l'applicabilit� dell'articolo 53 (29). Ma vi � forse di pi�. Il carattere (cripto) contributivo della normativa censurata, la sua sostanziale natura di prelievo fiscale escludeva che la Consulta potesse, con disinvoltura, dichiarare non fondata la questione di legittimit� costituzionale sollevata dalla Corte di Appello di Reggio Calabria con riferimento agli art. 3 e 53 Cost. in una particolare prospettiva. Quella Corte infatti segnalata l'introduzione, pochi mesi prima dell'inserimento dell'articolo 5 bis nella manovra finanziaria per l'anno 1992, di una ritenuta d'imposta del 20% sull'indennit� di espropriazione con l'art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 -aveva motivato l'ordinanza di rimessione avvertendo che la ritenuta rappresentava un ulteriore elemento di riduzione che portava l'indennizzo al di sotto del livello di congruit�. Del problema la Corte costituzionale si libera con autocitazioni decontestualizzate senza tener conto dell'interazione di interventi normativi (risultati) sovrapposti e funzionali all'unica esigenza di un recupero di risorse finanziarie. La motivazione tentata (tentativo o tentazione?), ridotti i problemi alle elementari alternative congruit�/incongruit�, seriet�/irrisoriet�, adeguatezza/inadeguatezza, apparenza/realt� dell'indennizzo, finisce per reggersi su poche sintetiche affermazioni: l'articolo 5 bis � censurato nella parte in cui il proprietario del bene espropriato, per effetto della riduttiva quantificazione dell'indennizzo spettantegli, sarebbe di fatto chiamato a concorrere alla spesa di realizzazione del/' opera pubblica con un contributo personale diretto in ragione della sua capacit� contributiva generale. E sufficiente per� rilevare -come gi� affermato da questa Corte (sent. n. 5 del 1960), seppur in epoca risalente -che la materia espropriativa � estranea ali' area di operativit� del/' art. 53 Cost. Come appena evidenziato al paragrafo che precede, se l'esistenza di una differenza tra indennit� espropriativa e valore venale del bene espropriato non viola l'art. 42, comma 3, Cost., � nell'ambito dell'operativit� di tale parametro che va apprezzato il quid minoris non percepito dal proprietario e non � invece possibile attribuire a tale differenza la natura tributaria cos� da richiedere una seconda verifica della legittimit� della quantificazione dell'indennizzo sotto il diverso ed ulteriore profilo della capacit� contributiva del soggetto espropriato. (29) F. G. ScoCA, op. cit., 440. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO ... 296 astratto gli estremi giustificativi di un intervento normativo ragionevolmente riduttivo della misura della riparazione dovuta dalla pubblica amministrazione al proprietario dell'immobile che sia venuto ad essere cos� incorporato nell'opera pubblica� (sentenza n. 369 del 1996). L'eccezionalit� del caso appare giustificata nella fattispecie soprattutto dal carattere temporaneo della norma denunciata, che rimane inserita in un testo normativo con le caratteristiche, da un lato, della dichiarata temporaneit�, collegata alla emanazione di una nuova disciplina organica per tutte le espropriazioni In realt� la verifica della adeguatezza dell'indennizzo si esaurisce nell'ambito dell'art. 42, comma 3, Cost.; ci si deve quindi arrestare alla considerazione che -una volta rispettato il canone di adeguatezza espresso da tale parametro -rientra nella discrezionalit� del legislatore fissare i criteri di determinazione dell'indennit� espropriativa secondo generali valutazioni di politica economico-finanziaria che possono tenere conto anche del fatto che la rendita di posizione, della quale � parzialmente privato il soggetto espropriato, � frutto in larga parte oggi pi� ancora che in passato -di investimenti della collettivit� (elemento questo peraltro preso in considerazione anche in occasione di precedenti iniziative legislative in tema di espropriazione -non pervenute per� a compimento -proprio per giustificare l'abbattimento percentuale della quantificazione dell'indennizzo). Escluso il rilievo degli artt. 53 e 3 Cost. era semplice mettere fuori gioco con poche battute la particolare prospettiva della Corte di Appello di Reggio Calabria. Nemmeno ha poi pregio il profilo di censura secondo cui la menzionata ritenuta d'imposta ITT del 20% rappresenterebbe un ulteriore elemento di riduzione e porterebbe l'indennizzo al di sotto del livello di congruit�. Va infatti sottolineato che l'illegittimit� denunziata riguarderebbe la norma impositiva mentre il trattamento tributario dell'indennit� � estraneo alla vicenda lespropriativa. La Corte rimane ferma alla radicale impostazione, negli anni '60, di un sistema di (micro) ! cellule normative mai o solo occasionalmente a contatto. Per la Corte il tempo si � fermato. I @ significanti conservano un valore indipendente dai significati. Le parole bloccano il fluire degli eventi descritti e assumono la consistenza delle cose. Le parole sono pietre? O le ragioni di fondo, non ancora del tutto messe a fuoco nella coscienza degli operatori giuridici e della stessa Corte, I potrebbero identificarsi nella moderna tendenziale prevalenza delle ragioni del capitalismo ~ finanziario? Il tema � troppo complesso per essere sviluppato, anche se lo meriterebbe: i comportamenti degli operatori giuridici coinvolti nel fenomeno acquisterebbero altri sapori e si potrebbe alla fine I pi� agevolmente verificarne la funzionalit� all'evoluzione dei rapporti giuridici e di fatto. I 7. A distanza di pochi mesi la Corte affronta una serie di questioni di legittimit� costituzionale dell'art. 5 bis del decreto legge 15 luglio 1992 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n. 359, con riferimento al risarcimento dei danni determinati da occupazione appropriativa (30). La decisione ha particolare rilievo perch� distingue nettamente le fattispecie dell'espropriazione per pubblica utilit� e dell'occupazione appropriativa, valorizzando, come elemento di differenziazione, il profilo della necessaria legalit� dell'azione amministrativa. Neppure � fondata la censura, mossa dalla sola Corte d'appello di Roma, al comma 1 dell'art. 5 bis per disparit� di trattamento (art. 3 Cost.) tra la fattispecie dell'espropriazione di aree edificabili e quella dell'accessione invertita (o occupazione espropriativa) sotto ilprofilo che la prima assicura al proprietario espropriato solo una parte (circa un terzo) del valore venale del (30) Corte cost., 16 dicembre 1993 n. 442, in Giur. cast. 1993, 3624 ss. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITIJZIONALE 297 preordinate alla realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilit�, dall'altro, della finalit� egualmente temporanea e di emergenza, rivolta a regolare situazioni passate. 6. -Alla stregua dei criteri riconfermati dalla citata sentenza n. 369 del 1996, deve ritenersi ragionevole la riduzione imposta dalla norma denunciata, essendosi realizzato un equilibrato componimento dei contrapposti interessi in gioco, con l'eliminazione della ingiustificata coincidenza della entit� dell'indennizzo per suo bene: l'altra, pur mancando un legittimo decreto d'esproprio, gli assicura invece il risarcimento del danno in misura pari al valore venale del bene. Le fattispecie a confronto sono infatti assolutamente divaricate e non comparabili. Nella prima c'� un procedimento espropriativo secundum legem (ossia nel rispetto dei presupposti formali e sostanziali che rappresentano altrettante garanzie per il proprietario espropriato) e quindi vengono in rilievo le opzioni (discrezionali) del legislatore in ordine al criterio di calcolo dell'indennit� di espropriazione; la seconda ipotesi si colloca fuori dai canoni di legalit� (perch� � la stessa realizzazione dell'opera pubblica sull'area occupata, ma non espropriata, ad impedire di fatto la retrocessione e a comportare l'effetto traslativo della propriet� del suolo per accessione all'opera stessa) e quindi ben pu� operare il diverso principio secondo cui chi ha subito un danno per effetto di un'attivit� illecita ha diritto ad un pieno ristoro. Per altro verso � giustificato che l'ente espropriante, il quale non faccia ricorso ad un legittimo procedimento espropriativo per acquisire l'area edificabile, subisca conseguenze pi� gravose di quelle previste ove invece sia rispettoso dei presupposti formali e sostanziali prescritti dalla legge perch� si determini l'effetto di ablazione dell'area. Ancora per poco si rispetter� il valore della necessaria contrapposizione tra procedimenti legalmente definiti e l'agire illegale dell'amministrazione. Il Parlamento �improvvisamente� scopre che gran parte dei costi delle procedure ablative � determinato dalle occupazioni illegittime e, con una disposizione quasi occultata tra gli innumerevoli articoli e commi di una legge di accompagnamento alla finanziaria per l'anno 1996 (31 ), sostituisce l'articolo 5 bis della legge 8 agosto 1992 n. 359 (che aveva disciplinato esclusivamente la determinazione dell'indennit� di espropriazione). Le disposizioni del presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entit� dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995 n. 549). Anche per una Corte sensibile alle esigenze finanziarie il nuovo testo (oltre che per la modifica introdotta in modo poco elegante) non poteva non risultare in contrasto con gli art. 3, 42 secondo comma, 28 e 97 Cost. (32). Nella loro capillare e variegata articolazione, ha osservato la Consulta, le censure dei giudici remittenti convergono tutte nell'escludere che la disposizione denunciata abbia rispettato l'equilibrio tra i due interessi e ci� per l'abnormit� (che avrebbe appunto, plurime negative ricadute sul principio di eguaglianza, sulla tutela della propriet� e la legalit� dell'azione amministrativa) di una riduzione della misura della riparazione, per l'illecito della pubblica amministrazione fino al punto di farla coincidere con l'entit� dell'indennizzo dovuto in caso di legittima procedura ablatoria. � proprio questo, in definitiva, il filo logico che lega tra loro le varie impugnative, il nucleo comune di doglianza da cui muove ogni altro rilievo, il cuore -come gi� detto -del problema di costituzionalit� all'esame della Corte. (31) A. MAROTIA, in op. cit., 600. (32) Corte cost., 2 novembre 1996 n. 369, in Foro it., 1996, I, 3257 ss., con nota di S. BENIN!. RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO , 298 l'illecito della pubblica amministrazione con quello relativo al caso di legittima procedura ablatoria. La valutazione dell'incremento (non irrisorio, n� meramente apparente) a favore del privato danneggiato, risultante nella norma denunciata -nei termini sottolineati -rispetto alla previsione largamente riduttiva della precedente norma colpita da dichiarazione di illegittimit� costituzionale, vale ad escludere quella irragionevolezza ritenuta nella precedente formulazione normativa, e fondata essenzialmente sulla predetta coincidenza (ora eliminata con apprezzabile differenziazione) di indennit� in caso di illecito e diprocedura legittima dell'amministrazione. E l'equiparazione -cos� assunta in premessa -del risarcimento da illecita occupazione appropriativa all'indennizzo espropriativo �, a parere del collegio, esatta sia nella sua enunciazione sia nelle implicazioni che se ne traggono ... Quanto alle implicazioni sul piano della legittimit� costituzionale, della verificata sostanziale equiparazione dell'entit� del risarcimento del danno da accessione invertita a quella dell'indennizzo espropriativo, � innegabile, in primo luogo, la violazione che ne deriva del precetto di eguaglianza, stante la radicale diversit� strutturale (cfr. sentenza n. 188 del 1995 cit.) e funzionale delle obbligazioni cos� comparate. Infatti, mentre la misura dell'indennizzo -obbligazione ex lege per atto legittimo -costituisce il punto di equilibrio tra interesse pubblico alla realizzazione dell'opera e interesse del privato alla I I fil conservazione del bene, la misura del risarcimento -obbligazione ex delicto -deve realizzare il diverso equilibrio tra l'interesse pubblico al mantenimento dell'opera gi� realizzata e la reazione dell'ordinamento a tutela della legalit� violata per effetto della manipolazione-distruzione illecita del bene privato. E quindi sotto il profilo della ragionevolezza intrinseca (ex art. 3 Cost.), poich� nella occupazione appropriativa l'interesse pubblico � gi� essenzialmente soddisfatto dalla non restititibilit� del bene e dalla conservazione dell'opera pubblica, la parificazione del �quantum� risarcitorio alla misura dell'indennit� si prospetta come �un di pi�� che �sbilancia� eccessivamente I il contemperamento tra i contrapposti interessi, pubblico e privato, in eccessivo favore del primo. Con le ulteriori negative incidenze, ben poste in luce dalle varie autorit� remittenti, che un I tale �privilegio� a favore dell'amministrazione pubblica pu� comportare, anche sul piano del buon andamento e legalit� dell'attivit� amministrativa e sul principio di responsabilit� dei pubblici dipendenti per i danni arrecati al privato. I Risulta contestualmente vulnerato anche l'art. 42, 2� comma, Cost., per la perdita di garanzia che al diritto di propriet� deriva da una cos� affievolita risposta all'atto illecito compiuto in sua violazione. La Corte, nonostante la marcata attenzione alle differenze esistenti tra fattispecie elementari di illecito e procedimenti amministrativi ablativi di rilievo costituzionale -e degli effetti correlati -, precisa: lo ius superveniens si risolve ... nella compressione del diritto al risarcimento del danno all'interno di una fattispecie di illecito aquiliano. Pertanto il primo quesito a cui dare risposta � se sia o non sia, in via di principio, consentito al legislatore ordinario di operare una siffatta compressione. Per tal profilo pu� convenirsi con l'Avvocatura che la regola generale di integralit� della riparazione ed equivalenza al pregiudizio cagionato dal danneggiato non ha -come del resto, evidenziato nella sentenza n.132del1985 (punto 4.3 della motivazione) -copertura costituzionale. Ed in realt� -in casi eccezionali (di cui non mancano in dottrina tentativi di ricognizione sistematica) -il legislatore pu� pure ritenere equa e conveniente una limitazione del risarcimento del danno. Tale limitazione pu� attuarsi sia nel campo della responsabilit� contrattuale (v., ad esempio, artt. 1784, 1786 e.e.; 275, 412, 423 cod. navig.), sia in materia di responsabilit� extracontrattuale in considerazione delle particolari condizioni dell'autore del danno. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 299 Ci� soprattutto assume un significato, come sopra evidenziato, in correlazione alla natura e al carattere eccezionale e temporaneo della disposizione denunciata. N� la limitazione temporale della operativit� del regime risarcitorio in questione alle occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilit� intervenute anteriormente al 30 settembre 1996 -limitazione contenuta nell'art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 1996 -pu� ritenersi in contrasto con il principio di ragionevolezza e con quello di uguaglianza, ove si consideri la coincidenza di detta data con quella di presentazione in Parlamento del disegno di legge collegato alla finanziaria per il 1997 (dal quale sarebbe scaturita la citata legge n. 662 del Ci� posto, non prive di rilievo risultano, a questi fini, le valutazioni dell'interveniente sulla "peculiare connotazione dell'illecito in esame, per il suo dispiegarsi tra i due estremi (iniziale) della dichiarazione di pubblica utilit� di un'opera e (finale) di concreta realizzazione, sia pur non jure, dell'opera stessa. Per cui pu�, in linea di principio, convenirsi con l'Avvocatura dello Stato, anche sulla conclusione, cui per tale via essa perviene, che nella fattispecie sussistano in astratto gli estremi giustificativi di un intervento normativo ragionevolmente riduttivo della misura della riparazione '-dovuta dalla pubblica amministrazione al proprietario dell'immobile che sia venuto ad essere cos� incorporato nell'opera pubblica. La ragionevolezza di una siffatta riduzione viene peraltro a dipendere -come pure precisato nella citata sentenza n. 132 del 1985 -dall'equilibrato componimento, che la norma di conformazione del danno risarcibile deve assicurare, degli opposti interessi in gioco. Interessi che, in questo caso sono, da un lato, quello riferibile all'amministrazione di conservazione dell'opera di pubblica utilit�, con contenimento dell'incremento di spesa correlativa; e, dall'altro, l'interesse del privato ad ottenere riparazione per l'illecito subito. Questi passaggi della decisione hanno finito per �tentare� il legislatore ad intervenire nuovamente sul tema. Ancora una volta in occasione di una finanziaria, quella per il 1997, il legislatore inserisce all'art. 3 della legge 23 dicembre 1996 n. 662 un �nuovo� comma 65 che nasce dalle ceneri della legge dichiarata illegittima (33): in caso di occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilit�, intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di determinazione dell'indennit� di cui al comma 1, con esclusione della riduzione del 40 per cento. In tal caso l'importo del risarcimento � altres� aumentato del 10 per cento. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in giudicato. La dottrina, pazientemente, sottopone ad analisi la disposizione, riesamina la pi� recente . giurisprudenza della Corte costituzionale, sviluppa vecchi e nuovi argomenti a sostegno della tesi dell'incostituzionalit� del nuovo comma 65, denuncia il pericolo di un appiattimento del giudice delle leggi sulle ragioni di emergenza finanziaria che hanno ispirato il legislatore (34). Non � da meno la giurisprudenza di merito. Le ordinanze di rimessione si lasciano apprezzare per il sapiente impiego di antichi e moderni metodi di interpretazione formale e sostanziale del fenomeno considerato, per le puntuali segnalazioni degli effetti devastanti dell'occupazione appropriativa sui modi di agire dell'amministrazione (sotto i profili della legalit�, efficacia ed efficienza), sulla garanzia tempestiva del diritto di propriet� in un quadro di forme di tutela articolate tra competenze giurisdizionali diverse. (33) A. MAR.OTIA, in op. cit., 617. (34) A. MAROTIA, in op. cit., 623. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO�� 300 1996), e la esigenza, che se ne inferisce, di salvaguardare una ineludibile, e limitata nel tempo, manovra di risanamento della finanza pubblica, gi� predisposta, in vista -come sottolineato dall'Avvocatura generale dello Stato -degli impegni assunti in sede comunitaria. Nemmeno pu� condividersi il rilievo in ordine alla disparit� di trattamento cui darebbe luogo la disposta applicazione del regime risarcitorio di cui si tratta anche L'esame complessivo delle censure definisce una pericolosa situazione di crescente incertezza incrementata sia dall'ondivago procedere della giurisprudenza della Suprema Corte che dalle interazioni (inconsapevoli o non adeguatamente valutate quanto ai risultati) fra giurisprudenza di merito e di legittimit�, fra interventi del legislatore . ordinario e della Corte costituzionale, dalle profonde contraddizioni interne agli stessi interventi delle diverse Autorit�. Il risultato? Effetti moltiplicatori di dissonanze strutturate in un modello dodecafonico per pochi cultori. I giudizi di legittimit� costituzionale, previa riunione, vengono decisi il 26 aprile 1999 con sentenza depositata in cancelleria il 30 aprile 1999 con il n. 148 (35). La decisione si presta ad alimentare nuovi dibattiti per la sua struttura, per il rapporto tra esposizione delle questioni (con messa a fuoco dei punti nevralgici da affrontare) e la estremamente sintetica motivazione, per il suo impianto, ancora una volta affidato ad autocitazioni decontestualizzate, per il riferimento a precedenti in cui i problemi di fondo non erano stati affrontati e risolti (ma semplicemente affidati ad affermazioni di principio), per il rifiuto di assumere il sistema di valori (nazionale e sovranazionale di riferimento) come IIparametro della verifica di costituzionalit�. La pronuncia ha, per�, il merito di far emergere con chiarezza le sue ragioni e fa riflettere sul ruolo della Corte nella dinamica continua di interpretazione, attuazione, modifica del sistema. La motivazione sostanziale della Corte � tutta contenuta nei punti 5 e 6 della decisione. La Consulta sottolinea o, forse meglio, amplifica i caratteri di eccezionalit� e transitoriet� della normativa sottoposta al suo esame e, per questa via, ritiene eliminata l'ingiustificata ~ coincidenza dell'entit� dell'indennizzo per l'illecito della pubblica amministrazione con quello relativo al caso di legittima procedura ablatoria. I La ragione forte della decisione � per� contenuta in una frase accidentalmente o volutamente quasi nascosta: esigenza... di salvaguardare una ineludibile, e limitata nel tempo, manovra di I risanamento della finanza pubblica, gi� predisposta, in vista -come sottolineato ~ dall'Avvocatura Generale dello Stato -degli impegni assunti in sede comunitaria. Il resto non conta. La Corte si fa carico dello stato di necessit� del legislatore (36). (35) In G. U. 5 maggio 1999, Serie speciale n. 18, 13 ss. Sulle questioni esaminate dalla Corte v. A. TOTARO (in M. CALOGERO e A. TOTARO, L'occupazione acquisitiva nel quadro del procedimento espropriativo, Padova 1998, 433 ss.) che anticipa le soluzioni della Consulta. (36) Forse meglio lascia, come la Cassazione, che i suoi interventi siano determinati da uno stato di necessit� (v. Sezioni unite civili, 20 gennaio 1998 n. 493, in Foro it. 1998, I, 371 ss., spec. 376 s.). L'inadeguato impiego di tecniche legislative determina l'impossibilit� di attuarle e ne legittima la violazione. La Cassazione ritiene di dover intervenire costruendo un nuovo istituto con i principi a lei noti. Il legislatore omette di intervenire e, quando provvede, giustifica i caratteri anomali delle sue decisioni con l'assoluta necessit� del suo agire ... Reazioni a catena fuori controllo? Non era pi� semplice disciplinare i procedimenti, non era pi� semplice, per gli interpreti, tentare di operare con principi e tecniche del diritto pubblico in generale e amministrativo in particolare? Non era doveroso per legislatori e giudici agire con accurato dosaggio dei diversi valori e principi costituzionali nella loro gerarchia dopo attenta riflessione dell'impatto delle decisioni sulla funzionalit� del sistema? Forse era impossibile. Cfr. M. AINis, La legge oscura. Come e perch� non funziona, Bari 1997, spec. 60 e ss. Le leggi italiane sono intenzionalmente oscure, per effetto di un persistente scollamento tra le forze politiche che in ultimo viene superato soltanto per il tramite di compromessi verbali, nominali, e perci� fittizi; col risultato di spostare l'asse della decisione politica dalla sua sede naturale (il Parlamento) alla magistratura, costretta suo malgrado ad estrarre princ�pi e massime giuridiche dalle vuote formulazioni della legge ... PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 301 ai giudizi pendenti. Al riguardo, la Corte ha ripetutamente affermato che il legislatore pu�, salvo il limite previsto in materia penale dall'art. 25 della Costituzione, nell'introdurre una nuova disciplina, prevederne la efficacia retroattiva, anche ove questa incida sfavorevolmente su posizioni di diritto soggettivo perfetto, purch� non risultino violati specifici canoni costituzionali, primo fra i quali quello della ragionevolezza (v., tra le altre, sentenze nn. 283 e 39 del 1993). Nella fattispecie, non confligge con tale principio l'attribuzione di carattere retroattivo al criterio risarcitorio previsto per l'occupazione acquisitiva dalla norma impugnata, non potendo costituire limite invalicabile della discrezionalit� legislativa l'aspettativa dei titolari delle aree occupate a vedersi liquidato il danno secondo un criterio pi� favorevole di quello ragionevolmente adottato dal legislatore nell'attuale momento storico (v. sentenza n. 283 del 1993); In via di prima approssimazione -e trascurando l'ordine degli rugomenti, che si presta a consistenti rilievi (37) -si pu� avanzare l'ipotesi che eccezionalit�, straordinariet�, temporaneit� e, principalmente, ineludibilit� della normativa costituiscono ad un tempo giustificazione e limite dell'infondatezza delle questioni sollevate e del giudizio di congruit� dell'indennit� per risarcimento dei danni da occupazione appropriativa per altro verso messo fra parentesi nella decisione. Pi� semplicemente, se l'ipotesi � fondata, il legislatore, nell'ancora una volta promessa riforma organica delle espropriazioni avr� maggiori chance di superare indenne il giudizio della Corte (solo) elevando la misura dell'indennizzo per risarcimento dei danni e dandosi carico della possibilit� (ma forse meglio necessit�) di diversi regimi espropriativi e di calcolo dell'indennizzo in relazione alle differenti categorie di beni espropriati e alle diverse finalit� dell'intervento pubblico che pu� esigere un diverso bilanciamento dei contrapposti interessi pubblici e privati (38). 8. La decisione non mancher� di suscitare vivaci reazioni nella comunit� scientifica che ha il controllo (oltrech� dell'attivit� legislativa anche) delle decisioni della Corte, specie quando i poteri esercitati eccedono i limiti dell'attivit� ermeneutica (39). Si � da tempo formato in dottrina un massiccio blocco di tesi contrario ad interventi legislativi con caratteri uguali a quelli presentati dalla disposizione esaminata, � dunque facile prevedere severe censure per la mancanza di un'adeguata ~iustificazione delle ragioni che hanno convinto la Consulta a forzare, ancora una volta, il blocco. E facile prevedere una �rivolta� contro metodi di recupero di risorse finanziarie pubbliche diversi da quelli costituzionalmente previsti -e senza tener conto delle altre normative di prelievo fiscale sulle somme comunque dovute a seguito di occupazione. � facile prevedere attacchi sempre pi� violenti all'istituto per la sua costruzione senza solidi fondamenti, per la sua carenza di regole di applicazione (tendenzialmente) certe, per le sue contraddizioni, per la sua negativa influenza sui principi fondamentali dell'agire dell'amministrazione e sullo stesso legislatore (40). Quest'ultimo, per altro, nell'ansia di provve (37) La struttura della motivazione presenta infatti una inversione dell'ordine dei valori legittimanti la decisione che appare essenzialmente fondata su autocitazioni decontestualizzate -inidonee, secondo la dottrina, a giustificare il giudizio di congruit� e non irrisoriet� dell'indennizzo per l'illecito della pubblica amministrazione, v. F. G. ScoCA, op. cit., spec. 433 ss.; A. MAROTIA, in op. cit., spec. 411 ss. (38) Corte cosi., 14 aprile 1999 n. 148, loco cit. (39) v. A. RuGGERI e A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino 1988, 167 ss., spec. 178; A. RuGGERI, Note introduttive allo studio della motivazione, in AA. W., La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, Atti del seminario di Messina 7-8 maggio 1993 (a cura di A. RuGGERI), Torino 1994, 1 ss., spec. 23 ss. (40) La Corte vedr� cos� ulteriormente ridotto il consenso di cui ha particolarmente bisogno quando le sue pronunce appaiono in contrasto col sistema di cui � espressione (v. A. RUGGERI e A. SPADARO, op. loco cit.). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STXFO , , 302 ci� in special modo quando si tratti di normativa diretta a sostituire una disciplina dichiarata incostituzionale ed a regolare i rapporti pregressi in aderenza ai principi enunciati dalla Corte. Quanto alla lamentata disparit� di trattamento rispetto ad altri casi relativi a suoli agricoli o ad occupazioni destinate al soddisfacimento di esigenze abitative, � sufficiente rilevare che sotto il profilo costituzionale non � preclusa la possibilit� di diversi regimi espropriativi e di calcolo dell'indennizzo in relazione alle differenti dere, ancor prima della decisione della Corte, ha contribuito ad alimentare nuove incertezze sul giudice competente a decidere le controversie in materia di occupazione appropriativa (41). Se la Corte avesse nella decisione tenuto conto delle reazioni e dei suggerimenti della giurisprudenza e della dottrina il risultato sarebbe stato diverso con benefiche ricadute sull'attivit� legislativa (e l'indicazione di scelte pi� funzionali agli obiettivi perseguiti nel rispetto dei valori costituzionali). Se, poi, il criterio determinante di valutazione del fenomeno deve essere di tipo economico, quanto � costata e costa l'occupazione appropriativa in .assenza di un quadro di riferimenti normativi stabili e, per la loro chiarezza, idonei a trovare tempestiva attuazione? Gran parte degli interventi legislativi hanno comportato una spesa ben pi� consistente di quella che sarebbe stata erogata se gli espropri fossero stati indennizzati sulla scorta dell'art. 39 della legge del 1865 (42). Per altro verso va osservato che la disciplina esaminata dalla Consulta non si applica a tutte le occupazioni appropriative. Non si applica, secondo la Cassazione ( 43), a quella disciplinata dalla legge 219/81, n�, secondo la Corte costituzionale, la Corte europea per i diritti dell'uomo, il difensore dello Stato nei giudizi dinanzi la Corte costituzionale e del Governo dinanzi la Corte di Strasburgo ( 44), in materia di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata. (41) A. TOTARO, Nuove ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed occupazione acquisitiva (intervento alla giornata di studio sui nuovi problemi dell� giurisdizione, organizzata presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Messina 1'11giugno1999), che, dopo aver affermato �il legislatore ne ha fatta un'altra delle sue�, al termine di una sintetica ma accurata analisi dei problemi determinati dalla nuova disciplina della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, conclude per la giurisdizione del giudice ordinario relativamente alle controversie per risarcimento danni da occupazione appropriativa. E le incertezze in ordine al giudice di tali controversie, probabilmente, risulteranno incrementate dalla decisione delle Sezioni unite della Cassazione (26 marzo -22 luglio 1999 n. 500) che, affrontando l'antico problema della risarcibilit� degli interessi legittimi ripropone delicate questioni in ordine ai rapporti tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, nonch� sui pi� efficaci modi di una tempestiva tutela delle situazioni soggettive private. Per una lettura �a caldo� della decisione, che accrescer� significativamente la massa dei contenziosi, si rinvia agli articoli apparsi, il 23-24 luglio 1999, su �Il Sole 24 Ore�, osservando che i princ�pi enunciati dalla Cassazione, previa, accurata verifica della portata dei limiti della loro operativit�, nella interazione con la sentenza della Corte costituzionale, 20 maggio 1999 n. 179 (G.U., I Serie speciale, 26 maggio 1999 n. 21) -che ha dichiarato incostituzionale il combinato disposto degli artt. 7, nn. 2, 3 e 4, e 40 l. 17 agosto 1942 n. 1150 e dell'art. 2, I comma, l. 19 novembre 1968 n. 1187, nella parte in cui consente, riguardo alla legge n. 865 del 1971, di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati alle espropriazioni o che comportino l'inedificabilit� senza previsione di indennizzo -sembrano prestarsi alla identificazione di nuove linee di attacco all'operato delle amministrazioni nella materia dell'espropriazione e dell'occupazione appropriativa. (42) Cos� G. LEONE, in op. cit., 154 in nota, che riporta l'incremento di spesa alle difficolt� operative e all'imponente contenzioso. (43) Cass. SS.UU., 10 novembre 1993, n. 11078, in Riv. giur. ed. 1994, I, 990 ss. (44) Corte cost., 31luglio1990 n. 384, in Giur. cost. 1990, 2343 ss.; 2 novembre 1996 n. 363, in Foro it., 1996, I, 3257 ss.; 14 aprile 1999 n. 148, in G. U. cit.; Corte europea dei diritti dell'uomo 7 agosto 1996 (Zubani c. Italia), in Urbanistica e appalti, 1998, 101 ss., spec. 104. In dottrina v. F. G. ScocA, op. cit, spec. 457 s.; A. MAROTTA, op. cit., 605 e ss.; e, in un'ampia prospettiva di ricostruzione dell'occupazione acquisitiva, la relazione di M. CALOGERO, L'utilizzazione illegittima dei suoli privati in Francia e nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in L'occupazione acquisitiva, Reggio Calabria 2000, 79 ss., spec., 101 ss. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COStl.TUZJONALE 303 categorie di beni espropriati e alle diverse finalit� dell'intervento pubblico, che pu� esigere un diverso bilanciamento dei contrapposti interessi pubblici e privati. 7. -Le osservazioni che precedono danno ragione della infondatezza delle censure sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione nelle diverse prospettazioni sopra riportate, e all'art. 42 della Costituzione (rispetto al quale la denunciata violazione dell'art. 10 della Costituzione nulla aggiunge). Quest'ultima tesi trova fondamento in una molteplicit� di argomenti che marcano indelebilmente il carattere speciale della� normativa contenuta nella legge 27 ottobre 1988 n.458 in una interpretazione che valorizza le finalit� perseguite dal legislatore (quali risultano perfino dai lavori preparatori) e risulta coerente alle funzioni della normativa sull'edilizia residenziale pubblica agevolata o convenzionata, nella sua evoluzione e attuazione ( 45). La tipologia di interessi pubblici e privati a confronto, i soggetti coinvolti nel fenomeno, i beni da garantire, il ruolo dell'amministrazione ... ( 46) escludono, infatti, la sottoposizione delle occupazioni appropriative per opere di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, alle regole inventate per l'occupazione appropriativa finalizzata alla costruzione di opere destinate a soddisfare interessi dell'intera collettivit� (47). La Corte di Cassazione, per�, non tiene conto di queste diverse posizioni ( 48) e finisce per entrare in contrasto -oltre che con le disposizioni costituzionali ricordate quale parametro fondamentale di valutazione del fenomeno -con la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo, con le tesi del difensore dello Stato e del Governo, la giurisprudenza di merito (49), la dottrina (50) e, addirittura, con se stessa (51). Ci� conferma che le interpretazioni dei diversi operatori giuridici si sviluppano in un discorso complessivamente destrutturato -per lo scontro di particelle elementari di singole proposizioni a contenuto equivoco (e nei tempi variabile) che nega la possibilit� di una approssimativa identificazione dello stesso, disorienta i destinatari, pu� finire per giustificare l'ignoranza delle regole e la loro violazione, pregiudica irrimediabilmente quella tendenziale certezza cui gli ordinamenti giuridici moderni aspirano nel rispetto del principio di legalit� (52). Dunque i destinatari delle regole si disorientano, non riescono pi� a cogliere nei significanti un significato condiviso per le contrastanti decisioni dei diversi apparati giurisdizionali (chiusi in sistemi linguistici ed assiologici autoreferenziali) e per l'operare dell'amministrazione anzi, meglio, delle diverse amministrazioni secondo le rispettive culture, linguaggi e interessi. Il fenomeno pone radicalmente in discussione, ad un tempo, l'esistenza di un sistema giuridico unitario, pur nelle sue diverse articolazioni, e delle stesse Autorit�, ormai in contraddizione con il (45) v. Corte cost., 31 luglio 1990 n. 384, loco cit. (46) v. Corte cost., 14 aprile 1999 n. 148, loco cit. (47) Cass. SS. UU., 26 febbraio 1983, n. 1464, loco cit., spec. 135. (48) Cass. Sez. I, 21maggio1997 n. 4535, in questa Rassegna 1997, I, III, 147 ss. (49) Tribunale di Messina, 20 ottobre 1997, n.1024, in loco cit., in nota. (50) v. F. G. ScocA, op. loco ult. cit.; A. MAROTIA, op. loco ult.cit. (51) Cass. SS. UU. 26 Febbraio 1983 n.1464, loco cit., spec.135 dove si legge che l'occupazione appropriativa e il suo regime trovano giustificazione nel rilievo che il conflitto sorge tra un soggetto privato ed un ente pubblico, il quale ha agito per la soddisfazione di un interesse non proprio, ma della collettivit� dei cittadini cui l'opera pubblica � destinata: e, nella valutazione della coscienza collettiva interpretata dall'ordinamento nel momento attuale, la comparazione dei valori in conflitto vede perdente il primo e vincente il secondo. (52) M. AINis, op. cit., spec. 19 e ss. Il fenomeno per� (quale che sia il giudizio che se ne voglia dare) � al passo coi tempi ove si avverta che i giudici devono misurarsi con una miriade di leggi speciali che si sovrappongono e, perfino, si contraddicono, oltre che di una crisi, da alcuni ritenuta ormai irreversibile, della certezza del diritto. V., al riguardo, T. MARTINES, Motivazione e crisi della certezza del diritto, in AA.VV., La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, cit., 567. RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO" � 304 8. -Deve escludersi, poi, che si possa profilare un contrasto con l'art. 53 della Costituzione in quanto il richiamo a detto precetto costituzionale risulta inconferente, poich� alla determinazione dell'indennizzo anche nel caso di occupazione acquisitiva non pu� riconoscersi alcun connotato tributario, per cui resta estraneo il principio della capacit� contributiva (cfr. ordinanza n. 395 del 1996). sistema di principi e regole di cui sono espressione e perfino con i contenuti a questo assegnati in via di interpretazione .evolutiva. Da qui la loro delegittimazione e nuove discriminazioni tra i soggetti incisi dai provvedimenti illegittimi: questi non hanno sempre (o ancora) la disponibilit� economica e la cultura necessaria per tentare di ottenere in tempi ragionevoli tutela effettiva dei propri diritti sperimentando tutti i rimedi messi a disposizione dall'ordinamento giuridico nazionale e da quello sovranazionale. In una battuta: negazione di una giustizia per tutti. Scompare dalla scena il soggetto giuridico, potenziale punto di riferimento di norme sulla cui attuazione, spontanea o in sede giurisdizionale, poteva contare. Il soggetto contemporaneo, se ancora esiste un soggetto, � paradossalmente caratterizzato da una illimitata possibilit� di fruire di tutti i beni della vita congiunta all'impossibilit� di fruire anche solo di uno di essi secondo linee di azione giuridicamente tracciate in modo chiaro; non pu� contare in statuti n� sulla appartenenza a gruppi definiti mentre nel mondo si afferma prepotentemente il capitalismo finanziario e la tecnologia. 9. L'abbandono, nei fatti, del principio di legalit�, l'impossibilit� o l'estrema difficolt� di ottenere in giudizio tutela dei propri diritti sembrano riportare l'individuo all' Ancien R�gime, se non addirittura a condizioni prefeudali. L'individuo cerca allora di ritrovarsi in valori sovranazionali che riecheggiano i principi contenuti nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del Iicittadino. La partita � tutta da giocare, e non in relazione alla misura del risarcimento dei danni da occupazione appropriativa o dell'indennit� di espropriazione. Altri e pi� delicati problemi, come accennato, sono in discussione. L'individuo deve, in primo luogo, riscattarsi dalla sua riduzione a oggetto causata dal I mercato, doppiato oggi dalla tecnologia (53). Questa, nella sua fase attuale, sviluppa un processo di deidentificazione in cui gli individui visualizzano se stessi come semplici titolari di prestazioni in vista del/' efficienza di un apparato che, a differenza di quello economico, non consente di I individuare l'autore, perch� l'autore � assente (54 ). ! Per ritrovare se stesso nel rapporto con gli altri, a questo punto, l'individuo deve interrogarsi sui significati delle proprie e altrui parole in un discorso continuo con tutti gli interlocutori I possibili. Infatti, nell'et� del capitalismo finanziario e della tecnologia costretta nel/' ambito I circoscritto della procedura tecnica, anche la parola ne segue il destino e diventa ripetizione tautologica, definizione ricorrente, dettato ipnotico che trova la sua giustificazione e il proprio significato in quella logica �non dialettica� (nel senso della dialettica della contraddizione) e �non simbolica� (per cui ogni significato rinvia ad un'ulteriorit� di senso) tipica dell'elementarit� del senso comune, per cui �questo � questo e non altro�. Sottesa a questa logica elementare � la persuasione che non si danno sensi al di l� dei �dati di fatto� che nel loro insieme compongono il �reale�, per cui: �S� al realismo� senza il minimo sospetto che, cos� dicendo, non si accredita la fedele rappresentazione del reale, ma semplicemente quella determinata <<presa di posizione� nei confronti del reale che � l'accettazione indiscussa dell'esistente. Unificando le aree linguistiche, dopo averle svuotate della loro pregnanza simbolica (53) Sul problema, in generale, U. GALIMBERTI, Psiche e techne. L'uomo nell'et� della tecnica, Milano 1999, spec. 224 ss. (54) u. GALIMBERTI, op.cit., 564. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE �~' 305 9. -Quanto alla asserita violazione degli articoli 71, primo comma, e 72, primo comma, della Costituzione, va rilevato che la censura nulla aggiunge ai profili gi� decisi nel senso dell'infondatezza dalla sentenza n. 391 del 1995. 10. -Deve, altres�, essere esclusa la pertinenza del richiamo agli artt. 24 e 113 della Costituzione essendo estranea la norma a profili di tutela giurisdizionale, per la quale non sussiste alcuna limitazione o restrizione rispetto ai generali mezzi di ricorso. 11. -Egualmente deve essere escluso che dalla norma denunciata possano derivare esoneri o limitazioni di responsabilit� per i pubblici funzionari, i quali continueranno a rispondere secondo le regole ordinarie per i danni che abbiano che le sostanzia, la razionalit� tecnica impedisce quel che P. Val�ry chiama: �il lavoro che fa vivere in noi ci� che non esiste� e, identificando il soggetto della proposizione con la funzione di volta in volta assunta, dissolve i �concetti� in �operazioni�, escludendo dal linguaggio tutto ci� che si oppone a tale risoluzione. L'abbreviazione del concetto nella sua traducibilit� operativa, l'arresto del pensiero in forme autovalidantisi, l'immunit� nei confronti della contraddizione, la riduzione della realt� a efficacia, l'identificazione della cosa e della persona con la loro funzione sono ad un tempo le �caratteristiche� del linguaggio messo a disposizione dalla razionalit� tecnica e i �mezzi� con cui essa si difende anticipatamente da qualsiasi ulteriorit� di senso che, in quanto trascendente il sistema, si pone come potenzialmente distruttiva. In questo modo ogni conflitto che dovesse nascere � gi� pre-risolto dal linguaggio funzionale che, pre-disponendo le modalit� della sua formulazione, gi� pre-contiene la soluzione nei termini attesi. Non esistono, infatti, soluzioni che oltrepassino l'altezza del problema, se il suo senso � immediatamente costretto nei limiti della formulazione linguistica che lo esprime. Messo a disposizione come strumento comunicativo, il linguaggio funzionale, crea quel �monologo collettivo�, come lo chiama G. Anders, che � uno scambio tautologico tra funzionari, i quali possiedono la stessa esperienza del mondo che la tecnica ha loro fornito, con le parole che fanno parte dello stesso patrimonio linguistico che deriva dalla funzionalizzazione del linguaggio. Questo monologo collettivo, pronunciato a ruoli distribuiti, � in realt� il modo in cui la tecnica parla nel suo insieme con se stessa. Partecipando a questo monologo e attingendo dal suo vocabolario le parole per poter parlare l'uno con l'altro, ciascuno provvede ad eliminare le differenze che ancora potrebbero sussistere nei confronti dell'altro e, insieme all'altro, aggiusta la propria conformit� per meglio accordarsi al mondo della tecnica. In questa orchestra regolata in modo che tutto suoni ben accordato, il parlare in prima persona pu� diventare superfluo, perch� l'abisso tra individuo ed individuo, se mai dell'individualit� rimane ancora un qualche residuo, pu� essere troppo ampio o troppo pericoloso per essere superato, mentre l'intervallo tra funzionario e funzionario pu� essere troppo esiguo perch� si senta la necessit� di gettare un ponte linguistico (55). L'analisi sembra potersi riferire a quanto detto in tema di occupazione appropriativa e, pi� in generale, a tutti i discorsi sull'interpretazione e attuazione della legislazione speciale, eccezionale, straordinaria dei nostri tempi. Nella ripartizione delle competenze tra pi� centri di decisione i discorsi si sviluppano con significanti solo apparentemente dotati dello stesso significato e si definiscono microsistemi di attuazione del diritto che, nel loro continuo concorso e conflitto, anche in considerazione del tempo corrente per le decisioni definitive, finiscono per negare la loro funzione e, dunque, se stessi. (55) u. GALIMBERTI, op. cit., 561 s. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO � �� 306 arrecato alla pubblica amministrazione con il loro comportamento negligente che abbia determinato l'illegittimit� della procedura espropriativa, danno che non si esaurisce solo nelle somme maggiori che l'amministrazione � tenuta a corrispondere per gli indennizzi, ma anche per i ritardi nel compimento dell'opera pubblica e per l'aggravio di lavoro che il contenzioso arreca quasi sempre alla pubblica amministrazione. Del resto la vastit� del fenomeno delle occupazioni acquisitive e la abnorme frequenza di mancata conclusione regolare delle procedure espropriative in alcune zone e regioni deve indurre gli organi titolari delle azioni di responsabilit�, nelle diverse sedi, a verificare la sussistenza di ipotesi di dolo. Ci� induce a 'ritenere infondati, oltre ai profili relativi all'art. 28 della Costituzione, anche quelli riferiti all'art. 97 della Costituzione, in quanto non sono certamente l'entit� dell'indennizzo, o la responsabilit� conseguente, ad incidere sul buon .andamento dell'amministrazione. Questo non deriva, se non in misura marginale, dall'affermazione di responsabilit� patrimoniale pi� o meno estesa a carico dei funzionari, ma piuttosto dai sistemi di controlli sulla legalit� dell'azione dei singoli organi, dall'esercizio dei poteri disciplinari di fronte alla colpevole negligenza nel condurre le procedure di espropriazione e nell'esercizio dei poteridoveri di denuncia e di rapporto rispetto a comportamenti a carattere doloso, profili che nulla hanno in comune con la norma denunciata. 10. Si pu� ora tentare una risposta ai quesiti iniziali. L'occupazione appropriativa, procedura di espropriazione sostanziale elaborata dalla giurisprudenza, � un istituto fuori legge? Se la legge di cui si parla � il sistema quale risulta anzitutto dai valori espliciti della Costituzione e impliciti al sistema costituzionale (se necessario inteso in senso �allargato�: verso l'alto, ai princ�pi inter e sovra-nazionali riconosciuti dal nostro ordinamento, verso il basso, alle fonti primarie interposte, direttamente alternative/esplicative della Carta) (56); se la costruzione dell'occupazione appropriativa si � sviluppata lungo un percorso diverso da quello segnato dalla Costituzione, che richiede per l'espropriazione procedimenti legislativamente preregolati e, pi� in generale, rispetto del principio di legalit�, con tutela effettiva delle situazioni giuridiche incise; se l'occupazione appropriativa (unitamente all'espropriazione) � stata piegata al conseguimento di scopi che il legislatore ordinario doveva perseguire, per espressa previsione costituzionale, con altri mezzi; se l'interazione legislazione, giurisprudenza della Corte costituzionale, giurisprudenza di legittimit� e di merito ha, nei fatti, contribuito a strutturare un sistema di relazioni complessivamente deviante dal modello costituzionale, la risposta non pu� che essere affermativa. A conclusioni diametralmente opposte si perviene ove si osservi che in tutti i diritti positivi il procedimento di espropriazione per pubblico interesse costituisce materia particolarmente tormentata. Nel nostro ha assunto dimensione parossistica (57) -del tutto coerente per� ad un sistema costruito sulla specialit�, eccezionalit�, straordinariet�, ineludibilit� degli interventi legislativi, giustificati il pi� delle volte con il loro carattere temporaneo, immediatamente con (56) A. RuooERI e A. SPADARO, Lineamenti cit., 176, ai quali si rinvia per il riesame dei poteri e limiti della Corte costituzionale, delle tecniche di motivazione da essa impiegate e di quelle che la dottrina vorrebbe impiegasse. Per quanto riguarda il tema in esame il discorso della Corte costituzionale avrebbe avuto altri sviluppi se, ad esempio, non fossero stati ripetutamente assorbiti profili di costituzionalit� relativi ali' art. 53 Cost. e se nelle pronunce si fosse costruita una mappa dettagliata per orientare il legislatore nella sua navigazione in acque sempre pi� tempestose. Per i valori trascurati dalla Corte v. F. G. Scoca, op. loco cit. (57) M. S. GIANNINI, op. cit., 717. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 307 PER QUESTI MOTNI LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi: dichiara non fondate le questioni di legittimit� costituzionale dell'art. 5-bis comma 7-bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23dicembre1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevate in riferimento agli artt. 42, terzo comma, 3 e 28 della Costituzione, dal giudice istruttore del Tribunale di Lecce; agli artt. 3, prinlo comma, 42, secondo comma, 28 e 97 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Firenze; agli artt. 42, secondo comma, 3, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Reggio Calabria; agli artt. 3 e 42 della Costituzione, dal Tribunale di Latina; agli artt. 3, 28, 42, 97, 10, primo comma, 24, primo comma, 53, 71, primo comma, 72, primo comma, 113, primo e secondo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Cagliari; agli artt. 3, 28, 42, secondo e terzo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Lamezia Terme; agli artt. 3, primo comma, 42, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribu traddetto da reiterazioni e da pluriennali proroghe (58). Basti pensare all'Intervento Straordinario nel Mezzogiorno, alla legge 14 maggio 1981 n. 219 (adottate a seguito degli eventi sismici che colpirono la Campania e la Basilica nel novembre 1980 e nel febbraio 1981), alla disciplina delle locazioni ... (59). (58) Quando venne la prima guerra mondiale, le esigenze che prima si erano rivelate, si imposero con estrema urgenza al legislatore, che dovette emanare una serie copiosa di leggi speciali. I soliti tradizionalisti si affrettarono a mettere in luce le strane �deviazioni� rispetto alle linee classiche della propriet�, e preconizzarono la fine di una legislazione cos� apertamente contrastante alla �norma�, con la fine della guerra. Come era prevedibile, la storia fece giustizia dell'ingenua profezia: la legislazione di guerra rinsald� le proprie radici e divenne pi� rigogliosa ... Ad un certo punto la tutela degli interessi di natura sociale e dell'interesse pubblico, perdette il carattere di isolata ed episodica particolarit�, ed acquist�, nella molteplicit� degli aspetti sotto i quali la legislazione speciale l'aveva realizzata, un carattere sistematico ed una variet� di articolazioni ... (S. PUGLIATTI, La propriet� cit., Premessa, VI). Intervenuta la Costituzione, a distanza di oltre mezzo secolo, il giurista deve ancora misurarsi, con umilt� e rigore, sui delicati problemi relativi al mutamento dell'assetto costituzionale. Non pu� chiudere gli occhi dinanzi ai fenomeni di decostituzionalizzazione e rottura della costituzione; il primo, graduale e insensibile, il secondo, brusco e visibile. Deve fare i conti con la forza normativa del fatto in un processo che iniziatosi come contrasto tra norme costituzionali e fatto, e cio� come manifestazione di antigiuridicit�, derivante appunto dalla vigenza della norma, si svolge secondo una curva, seguendo la quale, giunto il processo al culmine, si ha un capovolgimento dei termini del problema; s� che il fatto acquista prevalenza di fronte alla norma che perde la sua forza qualificante; quindi viene meno l'antigiuridicit� del fatto e viceversa questo diventa fonte delle nuove valutazioni e abroga la norma ( cfr. S. PuGLIATTI, Continuo e discontinuo nel diritto, in Grammatica e diritto, Milano 1978, 81 ss. spec. 90 s.). (59) Interventi tutti al centro di pluriennali polemiche. Per quanto in particolare riguarda la legislazione sul Mezzogiorno e la I. 219/81 � ben noto che si � trattato di interventi che hanno sommato a carenza di sviluppo economico e sociale e disastri naturali, disastri istituzionali ed economici di cui non � stata ancora valutata la portata. Per le critiche alla legislazione speciale come tecnica di recupero delle arretratezze del Mezzogiorno d'Italia all'inizio del secolo, v. G. PESCOSOLIDO, op. cit., 269 ss., spec. 298. Quanto alla disciplina vincolistica delle locazioni si osserva che, in mancanza di accurati dosaggi delle tecniche impiegate, si sono formati sistemi paralleli: giuridici e di fatto -e ove dovesse dimostrarsi la prevalenza di un sistema di fatto costituito da pratiche illecite dovrebbe ritenersi che questo costituisce, sotto il profilo dell'effettivit�, il diritto del settore. RASSEGNA AWOCATIJRA DELLO STATO .... 308 nale di Potenza; agli artt. 3, 42, secondo comma, e 97 della Costituzione, dal giudice istruttore del Tribunale di Torino; agli artt. 3, primo comma, e 42 secondo comma, della Costituzione, dai Tribunali di Bari e Udine; agli artt. 3 e 42, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Lagonegro; agli artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con le ordinanze indicate in epigrafe; dichiara la manifesta inammissibilit� della questione di legittimit� costituzionale del predetto art. 5 bis, comma 7 bis, del d.l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, nella legge n. 359 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe. (omissis) Se poi il valore fondamentale da garantire � l'equilibrio economico, rispetto ad esso (alcuni) valori diversi non possono che risultare perdenti: devono cedere alle dinamiche imposte dal capitalismo finanziario, come hanno ceduto alle esigenze del capitalismo industriale (60). Le resistenze all'occupazione appropriativa e al suo trattamento nelle diverse sedi si sono sviluppate con riferimento ad un sistema di valori estinto o in via di estinzione? La Corte costituzionale ha forse applicato le regole del capitalismo finanziario?... L'istituto della I moratoria? Ha contribuito a destrutturare il sistema e in che misura? L'ipotesi di fondo richiederebbe rigorose verifiche in relazione ai segnali che affiorano dalla I legislazione, dalla giurisprudenza e dalla dottrina, dai comportamenti dell'amministrazione e dei privati, analizzando attentamente le funzioni svolte, i metodi e le tecniche impiegati (61). I Quanto all'occupazione appropriativa e all'espropriazione per pubblica utilit�, allo stato, non rimane che sperare, come la Consulta, che il legislatore proceda finalmente ad una riforma organica del settore mettendo a frutto le indicazioni della giurisprudenza e della dottrina. Per far I questo dovr� preliminarmente riconoscere che il suo universo � un sistema (?) di frammenti che IIconservano lo loro integrit� in virt� di un mutevole magnetismo bilanciato, limite agli scontri, nello spazio e nel tempo, fra invero assai povere masse; che il suo diritto � un diritto dell'episodicit�, dell'asistematicit� subita, un caleidoscopio di regole che si compongono come foglie agitate dalla Sibilla. Per far questo, prima di intervenire, dovr� fermarsi un istante per valutare le conseguenze delle proprie (e altrui) parole, tentare di penetrarne i reconditi significati nel discorso continuo in cui pretendono audacemente di inserirsi. In mancanza non potremo che, sconsolatamente, ripetere: I Un segno noi siamo senza significato, senza dolore siamo, e abbiamo quasi perduto il linguaggio in terra straniera (62). GIACOMO ARENA ROBERTA GUIZZI (60) Sul fenomeno in generale, G. PESCOSOLIDO, op. cit.,passim; e G. CANDELORO, op. loco cit. (61) Ma in primo luogo va prestata attenzione al potere suggestivo della parola e alla necessit� di precisione di questa nel nucleo centrale della proposizione. Al riguardo si rinvia all'insegnamento di S. PuGLIAITI, La giurisprudenza come scienza pratica, in Grammatica e diritto, Milano 1978, 103 ss., spec. 145 s. Pi� in generale al linguaggio compete di scongiurare la tragedia della confusione delle lingue, cio� dell'incapacit� dei consociati dicomunicare tra di loro e di capirsi; al sistema giuridico di scongiurare la tragedia della irrazionalit�, cio� dello scatenamento delle forze umane, individuali e collettive (A. FALZEA, Introduzione generale a Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia, Messina-Taormina, 3-8 novembre 1981, Milano 1981, 17. In particolare, con riferimento alle decisioni della Corte costituzionale, v. A. RUGGERI e A. SPADARO, op. cit., spec. 139 e ss.; A. RUGGERI, La motivazione cit., loco cit. Sull'oscurit� della legge v. M. AINis, op. cit. spec. 73 e ss., 144 e ss., 186 e ss., 191 e ss. (62) F. HoLDERLIN, Mnemosyne, (seconda stesura) in Le liriche, trad. it., Milano 1977, 695. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 309 CORTE COSTITUZIONALE, 7 ottobre 1999, n. 379 -Pres. Granata -Red. Mirabelli -Presidenza del Consiglio dei Ministri ( avv. Stato Cingolo). Impiego pubblico -Stipendi, assegni ed indennit� -Allineamento stipendiale Abrogazione -Questione di legittimit� costituzionale -Infondatezza. (d.l. 11 luglio 1992, n. 333, conv. in 1. 8 agosto 1992, n. 359, art. 2, comma 4; d.l. 19 settembre 1992, n. 384, conv. in 1. 14 novembre 1992, n. 438, art. 7, comma 7). L'istituto del c.d. allineamento stipendiale, che pur era diretto ad eliminare diseguaglianze, creava a sua volta diseguaglianze ulteriori, alterava il principio secondo il quale la progressione nel trattamento economico deve corrispondere a criteri prefissati nella legge e nei contratti collettivi e finiva con il determinare effetti irrazionali che ne hanno giustificato la soppressione generalizzata; pertanto non � fondata la questione di legittimit� costituzionale -con riferimento agli artt. 3, 36 e 97 Cost. -delle norme abrogatrici dell'allineamento stipendiale (art. 2, comma 4, d.l. 11 luglio 1992, n. 333, conv. in l. 8 agosto 1992, n. 359 ed art. 7, comma 7, d.l. 19 settembre 1992, n. 384, conv. in I. 14 novembre 1992, n. 438) (1). (omissis) La questione di legittimit� costituzionale investe le disposizioni che, nel contesto di misure adottate per il risanamento della finanza pubblica, hanno eliminato ogni allineamento automatico dei trattamenti retributivi nell'ambito del pubblico impiego. (1) L'istituto dell'allineamento stipendiale � stato introdotto per il personale militare dall'articolo 4, terzo comma, del decreto legge 27 settembre 1982 n. 681, convertito in legge 20 novembre 1982 n. 869, con norma del seguente tenore: <<Al personale con stipendio inferiore a quello spettante al collega con pari o minore anzianit� di servizio, ma promosso successivamente, � attribuito lo stipendio di quest'ultimo�. � poi intervenuto il decreto legge n. 333 del 1992 che all'articolo 2, quarto comma, ha disposto la soppressione dell'allineamento stipendiale a decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto (11 luglio 1992). Successivamente con l'art. 7, comma settimo, decreto legge n. 384/1992 il legislatore ha ulteriormente definito il contenuto di detta norma ed ha disposto un divieto assoluto e generalizzato di adottare provvedimenti di allineamento stipendiale �ancorch� aventi effetti anteriori ali' 11 luglio 1992� -precisando che la soppressione del �galleggiamento� esplica effetti generali e senza alcuna distinzione soggettiva o per categorie e prevedendo espressamente che dalla data di entrata in vigore del decreto legge citato �non possono essere pi� adottati provvedimenti di allineamento stipendiale�. La normativa appena esaminata � stata pi� volte sospettata di illegittimit� costituzionale per la parte in cui prevede che l'effetto abrogativo vada a colpire anche coloro che, pur avendo maturato il diritto all'allineamento, non ne hanno ottenuto il dovuto riconoscimento dall'amministrazione entro 1'11 luglio 1992. La Corte Costituzionale, pronunciandosi per la prima volta con sentenza n. 6/1994, ha dichiarato infondata la questione sottolineando che la scelta compiuta dal legislatore non pu� ritenersi viziata da irragionevolezza essendo stata determinata dall'esigenza di impedire, con il massimo di efficacia generale, l'ulteriore applicazione di un istituto che, nella pratica, aveva determinato inconvenienti e distorsioni maggiori di quelli cui si intendeva ovviare. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT6 ' 310 Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio denuncia, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione: a) l'art. 2, comma 4, del decreto-legge 11luglio1992, n. 333 (convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359), che ha soppresso la disposizione che attribuiva a tutto il personale militare con trattamento stipendiale inferiore a quello spettante al pari grado, avente pari o minore anzianit� di servizio ma promosso successivamente, lo stesso trattamento stipendiale di quest'ultimo (art. 1, comma 7, secondo periodo, del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1987, n. 468); b) l'art. 7, coinma 7, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438), che ha interpretato l'art. 2, comma 4, del decreto-legge n. 333 del 1992 nel senso che dalla data della sua entrata in vigore (11 luglio 1992) non possono essere pi� adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, anche se con effetti anteriori a tale data. Ad avviso del giudice rimettente, la soppressione del meccanismo di allineamento stipendiale automatico non avrebbe consentito di porre riparo a sperequazioni retributive che si sarebbero verificate nel Corpo della Guardia di finanza, in relazione al sistema di avanzamento ed all'applicazione del nuovo regime retributivo. Sottufficiali con minore anzianit� di grado e di servizio, promossi successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. 10 aprile 1987, n. 150, avrebbero percepito un trattamento economico pi� elevato di quelli pi� anziani. Questa situazione manifesterebbe la violazione dei principi costituzionali di eguaglianza (art. 3), di proporzionalit� della retribuzione al lavoro svolto (art. 36) e di buon andamento dell'amministrazione (art. 97). Preliminarmente deve essere dichiarata la inammissibilit� dell'intervento dei Presidente dei Consiglio dei ministri, in quanto il relativo atto � stato depositato oltre il termine stabilito dall'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, computato secondo quanto prevede l'art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte (da ultimo, ordinanze n. 177 e n. 143 del 1999). La questione di legittimit� costituzionale non � fondata. Il contesto nel quale essa sorge � costituito dalla disciplina del trattamento economico e dell'avanzamento di carriera del personale della Guardia di finanza. Ad esso si applica (in forza del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito, con modificazioni, nella legge 20 novembre 1987, n. 472) il d.P.R. 10 aprile 1987, n. 150, che recepisce l'accordo del 13 febbraio 1987 per il personale della Polizia. Tale orientamento � stato poi confermato con le ordinanze 105/1994; 394/1994; 40/1995 e 523/1995 e recepito dal Consiglio di Stato a partire dalla sent. Sez. IV, n. 636/1996 in cui si afferma che l'istituto in questione Ǐ ormai scomparso dall'ordinamento giuridico� e quindi non pu� pi� essere posto a fondamento di una pronuncia del giudice. Nella sentenza in esame la Corte ribadisce il proprio orientamento sottolineando ancora una volta che l'allineamento stipendiale si � rivelato un rimedio peggiore del male. Tuttavia occorre segnalare che nel 1999 il Consiglio di Stato, pronunciandosi in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato, � andato in contrario avviso riconoscendo il galleggiamento ad alcuni consiglieri di Stato ai sensi dell'art. 4, nono comma, della legge n. 425/1984. F.S. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Apportando complessivi miglioramenti al trattamento economico, il d.P.R. n. 150 del 1987 ha separato lo stipendio base previsto per i singoli livelli retributivi dalla progressione retributiva connessa all'anzianit� di servizio, che concorre a comporre la �retribuzione individuale di anzianit��. Quest'ultima � commisurata alle classi e agli scatti di stipendio in godimento al 31 dicembre 1986, con ulteriori aggiustamenti connessi all'applicazione del nuovo sistema (art. 3). Nei passaggi di qualifica, per le promozioni che comportano un livello retributivo superiore, viene attribuita, oltre al nuovo stipendio, la retribuzione individuale di anzianit� in godimento al 31 dicembre 1986; mentre per le promozioni alla qualifica superiore nell'ambito dello stesso livello retributivo viene riconosciuto uno scatto aggiuntivo dello stipendio in godimento (art. 4). La nuova disciplina, ed in particolare il calcolo della retribuzione individuale di anzianit� in caso di passaggio di qualifica, avrebbe determinato, ad avviso del giudice rimettente, evidenti sperequazioni, in quanto gli scatti gerarchici di carriera non sarebbero stati considerati ai fini della retribuzione individuale di anzianit�. Ma la questione di legittimit� costituzionale non viene proposta per le norme che determinerebbero nella prima applicazione del nuovo regime retributivo le ritenute sperequazioni, bens� per la mancanza di quel permanente meccanismo di adeguamento stipendiale automatico in precedenza previsto (art. 1, comma 7, secondo periodo, del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379), venuto meno con la generale soppressione dell'istituto dell'allineamento stipendiale, in quanto esso stesso causa di distorsioni. Difatti l'applicazione di tale istituto, che pur era diretto ad eliminare diseguaglianze, creava a sua volta diseguaglianze ulteriori, alterava il principio secondo il quale la progressione nel trattamento economico deve corrispondere a criteri prefissati nella legge e nei contratti collettivi e finiva con il determinare effetti irrazionali che ne hanno, appunto, giustificato la generalizzata soppressione (sentenza n. 6 del 1994; ordinanze n. 105 e n. 394 del 1994, n. 40 e n. 523 del 1995). Gli inconvenienti o le distorsioni che si verificano per effetto dell'eventuale irrazionalit� o inadeguatezza di meccanismi retributivi stabiliti o recepiti dal legislatore con un nuovo regime retributivo non possono, dunque, trovare rimedio consolidando quegli effetti mediante l'adozione di ulteriori meccanismi destinati, essi pure, a determinare irrazionalit� e diseguaglianze ( cfr. sentenze n. 57 del 1993, n. 146 del 1994 e n. 386 del 1997). PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 2, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, e dell'art. 7, comma 7, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanit� e di pubblico impiego, nonch� disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe. (omissis) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 312 CORTE COSTITUZIONALE, 14 -23 dicembre 1999, n. 457 -Pres. Vassalli -Red. Zagrebelsky -Corte dei Conti c. Presidente Consiglio dei Ministri. (Avv. Stato Fiumara). Corte costituzionale -Conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato -Corte dei conti -Lesione delle attribuzioni costituzionali che si assume derivare da decreti legislativi -Condizioni soggettive e oggettive per la proposizione del conflitto -Sussistenza. (Costituzione, art. 134; legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 37). Corte costituzionale -Conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato -Corte dei conti -Controllo sulla gestione finanziaria di enti di ricerca (Consiglio Nazionale delle Ricerche, Agenzia Spaziale Italiana, Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente) -Controllo successivo sui conti consuntivi e relazione annuale al Parlamento -Legittimit� costituzionale. (Costituzione, art. 76-e 100; decreti legislativi 30 gennaio 1999 n. 19, n. 27 e n. 36). La Corte dei Conti, nella sua funzione di controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, � potere costituzionale legittimato alla proposizione del conflitto di attribuzione, esercitando tale funzione in piena autonomia dagli altri poteri, e pu� proporre il conflitto anche in relazione I ad atti di natura legislativa per la difesa di attribuzioni costituzionali che assume ~ lesi da tali atti (1). Non spetta alla Corte dei Conti, sezione del controllo sugli enti, il controllo della gestione finanziaria nei confronti del Consiglio nazionale delle ricerche . I (CNR), dell'Agenzia spaziale Italiana (ASI) e dell'Ente per le nuove tecnologie, 1 'energia e 1 'ambiente (ENEA) in forma diversa da quella prevista dagli artt. 9 co. 3, 9 co. 5 e 11 co. 2, dei decreti legislativi n. 19, n. 27 e n. 36 del 30gennaio1999, I secondo i quali esso va esercitato unicamente sui conti consuntivi degli enti con una ~ relazione annuale al Parlamento e non sulla regolarit� contabile e sui singoli atti di gestione (2). (1-2) In sede di valutazione preliminare di ammissibilit� del conflitto dal punto di vista oggettivo, la Corte con l'ordinanza di ammissibilit� n. 323/99 aveva rilevato la necessit� dell'esplicazione di un pieno contraddittorio fra le parti, dopo la sua pronuncia di segno negativo n. 406/89, �anche alla luce degli sviluppi della successiva giurisprudenza costituzionale�. Invero con la suddetta sentenza del 1989 la Corte aveva negato la sperimentabilit� del conflitto da parte della Corte dei conti contro gli atti legislativi perch� altrimenti �Si finirebbe con il costituire un elemento di rottura del nostro sistema di garanzia costituzionale, sistema che, per quanto riguarda la legge (e gli atti equiparati) � incentrato nel sindacato incidentale�, precisando che l'indubbio inconveniente di una materiale impossibilit� tecnica di innescare quest'ultimo avrebbe potuto essere risolto solo in via di riforma costituzionale del sistema. Ma, come pur desumibile dalla successiva giurisprudenza della Corte, richiamata nella sentenza annotata, il rilievo costituzionale delle attribuzioni proprie di ciascun potere dello Stato, delle quali, la Corte � garante ai sensi dell'art. 134, secondo alinea, della Costituzione, e l'impossibilit� in certi casi di ricorrere altrimenti al giudizio incidentale di illegittimit� costituzionale, giustificavano un superamento della tesi originaria PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 313 (Omissis). 1. -La Corte dei conti, con il ricorso in esame, rivendica, nel conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, la competenza a esercitare il controllo sulla gestione finanziaria nei confronti del Consiglio nazionale delle ricerche, dell'Agenzia spaziale italiana e dell'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente, quale prevista dalla legge 21 marzo 1958, n. 259, per gli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, controllo oggetto ora, rispettivamente, degli artt. 9, comma 3, 9, comma 5 e 11, comma 2, dei decreti legislativi n. 19, n. 27 e n. 36 del 30 gennaio 1999, adottati dal Governo sulla base della delega contenuta negli artt. 11, comma 1, e 18, comma 1, della legge 15 marzo 1997, n. 59. Le disposizioni dei decreti legislativi indicati prevedono in tutti e tre i casi la riduzione dei poteri della Corte dei conti al controllo successivo, esercitato unicamente sui conti consuntivi degli enti e finalizzato alla relazione annuale al Parlamento, con l'esclusione del controllo amministrativo di regolarit� contabile e sui singoli atti di gestione (secondo le precisazioni esplicitamente contenute nei decreti nn. 19 e 27). Ritiene la ricorrente che tali disposizioni, derogando restrittivamente alla disciplina generale del controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria -disciplina contenuta nella legge 21 marzo 1958, n. 259 violino gli artt. 76 e 100, secondo comma, della Costituzione, da tale violazione derivando la lesione della propria sfera di attribuzioni costituzionali, quale definita dal medesimo art. 100, secondo comma, della Costituzione. Viene poi rimesso alla valutazione di questa Corte quale possa essere il rilievo da attribuire alla circostanza che le norme in questione dei decreti legislativi menzionati siano state adottate ignorando l'art. 1 del r.d.l. 9 febbraio 1939, n. 273, il quale prevede che i provvedimenti legislativi che importino la soppressione o la modificazione delle attribuzioni della Corte dei conti siano preceduti dal parere delle sezioni riunite della Corte medesima. auspicato anche nelle difese del Presidente del Consiglio dei Ministri resistente -che consenta il ricorso anche nei confronti di atti normativi che l'organo di controllo assuma lesivi della sfera delle proprie competenze costituzionali. Nel merito, per�, il ricorso � stato ritenuto infondato sia con riferimento al preteso eccesso di delega, risultando rispettato -sia pure nei suoi minimi termini letterali e logici -il vincolo costituito dall'art. 3, co. 6, della legge 14 gennaio 1994 n. 20, richiamato dall'art. 14 della legge delega 15 marzo 1997 n. 59, che prevede solo che la Corte dei Conti �riferisce, almeno annualmente, al Parlamento e ai Consigli regionali sull'esito del controllo eseguito�; sia con riferimento alla dedotta violazione della riserva di legge dell'art. 100 della Costituzione, posto che il controllo a consuntivo � stato previsto proprio nella disposizione legislativa posta in discussione, la quale ha rango pari a quello della legge fondamentale della Corte dei conti n. 259/1958, cui non pu� certo riconoscersi una pur pretesa �costituzionalizzazione�. Del resto essendo la legge delega n. 59/1997 finalizzata ad un riordino, secondo criteri di programmazione, degli enti operanti nel settore della ricerca, della loro struttura e del funzionamento nell'intento di assicurare i lmassimo livello di flessibilit� e autonomia, non si poteva non tener conto, comparativamente e parallelamente, di quanto gi� disposto per le universit� con l'art. 5, co. 21, della legge 24 dicembre 1993 n. 537, che prevede, appunto, un mero controllo successivo della Corte dei conti esercitato ai soli fini della relazione al Parlamento, con l'esclusione del controllo amministrativo di regolarit� contabile e sui singoli atti della gestione. O.F. RASSEGNA AWOCATIJRA DELLO STATO 314 La Corte dei conti chiede pertanto che questa Corte, in accoglimento del ricorso, dichiari che le spetta l'esercizio del controllo previsto dalla legge n. 259 del 1958 sugli enti cui i decreti legislativi nn. 19, 27 e 36 del 1999 si riferiscono, annullando le disposizioni di tali decreti che lo impediscono. 2. -Sussistono, nella specie, le condizioni soggettive e oggettive per la proposizione del conflitto, a norma dell'art. 37 della legge 11marzo1953, n. 87. Sotto il profilo soggettivo, come gi� rilevato nell'ordinanza n. 323 del 1999 di questa Corte, resa in sede di valutazione preliminare di ammissibilit� del presente giudizio, la Corte dei conti, nella sua funzione di controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, � potere costituzionale legittimato alla proposizione del conflitto di attribuzione, esercitando tale funzione in piena autonomia dagli altri poteri (v. anche la sentenza n. 466 del 1993). D'altro canto, nessun dubbio pu� sussistere circa la legittimazione a resistere del Governo, essendo contestata la lesione delle attribuzioni costituzionali della Corte dei conti che si assume derivare da decreti legislativi da esso adottati nell'esercizio della funzione legislativa delegata. Anche sotto il profilo oggettivo, il conflitto � ammissibile. Conformemente a quanto previsto dall'art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, esso � promosso per la difesa di attribuzioni costituzionali che la ricorrente ritiene di propria spettanza a norma dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione. N� l'ammissibilit� del presente conflitto potrebbe essere negata in considerazione della natura legislativa degli atti ai quali � ascritta la pretesa lesione delle competenze costituzionali in questione. Il conflitto costituzionale � preordinato alla garanzia dell'integrit� �della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali� (art. 37, primo comma, citato), senza che, n� dalla disciplina costituzionale n� da quella legislativa, si dia alcun rilievo alla natura degli atti da cui possa derivare la lesione all'anzidetta �sfera di attribuzioni�. A differenza della giurisdizione costituzionale sulla legittimit� delle leggi, il cui ambito � determinato in relazione ai tipi di atti assoggettabili al giudizio, la giurisdizione costituzionale sui conflitti � determinata in relazione alla natura dei soggetti che confliggono e delle loro competenze la cui integrit� essi difendono. E in effetti il giudizio per conflitto di attribuzioni non � giudizio sulla legittimit� di atti (anche se, a seconda dell'esito del giudizio stesso, pu� conseguire l'annullamento dell'atto lesivo) ma � garanzia dell'ordine costituzionale delle competenze (art. 38 della legge n. 87 del 1953), quale che possa essere la natura dell'atto cui, in ipotesi, sia ascrivibile la lesione delle competenze medesime. Resta peraltro fondamentalmente vera l'affermazione di questa Corte contenuta nella sentenza n. 406 del 1989 -essere il giudizio incidentale il mezzo che il nostro sistema di giustizia costituzionale prevede specificamente, nella generalit� dei casi, per sottoporre le leggi al controllo di costituzionalit� -. Da ci� non pu� peraltro derivare l'esclusione assoluta dell'ammissibilit� di conflitti di attribuzione prospettati in relazione alla definizione delle competenze operata con legge -con l'eventualit� che all'invalidazione di tale atto si possa giungere anche all'esito di un giudizio su conflitto di attribuzione -come del resto questa Corte ha riconosciuto, in relazione a casi ed esigenze particolari, con la sentenza n. 161 del 1995 e, pi� ampiamente, nella motivazione dell'ordinanza n. 480 del medesimo anno. Dal PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE valore, s� generale (rispetto alle leggi e agli atti equiparati), ma al contempo specifico (rispetto alla generalit� degli atti) del giudizio incidentale sulle leggi deriva invece soltanto che deve escludersi, nella normalit� dei casi, l'esperibilit� del conflitto tutte le volte che la legge, dalla quale, in ipotesi, deriva la lesione delle competenze, sia denunciabile dal soggetto interessato nel giudizio incidentale, come accade di norma quando l'usurpazione o la menomazione del potere costituzionale riguardi l'autorit� giudiziaria, nell'esercizio delle sue funzioni (ordinanza n. 278 del 1997): ipotesi -quest'ultima -che non ricorre evidentemente nel caso presente. 3. -Il ricorso -per i motivi anzidetti, ammissibile -� per� infondato. 3.1. -Non esiste innanzitutto lesione dell'attribuzione prevista dall'art. 100, secondo comma, della Costituzione, nella forma della partecipazione al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, la determinazione dei casi e delle forme della quale � rimessa alla legge. Le norme dei decreti legislativi in questione -parallelamente a quanto previsto per le Universit� degli studi dall'art. 5, comma 21, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 -rappresentano per l'appunto una forma possibile della partecipazione al controllo che la Costituzione rimette alle discrezionali determinazioni legislative, una partecipazione che, configurata come controllo successivo, esercitato unicamente sui conti consuntivi degli enti, al fine della relazione annuale al Parlamento, costituisce un legittimo svolgimento del rinvio che l'art. 100, secondo comma, fa alla legge. N� potrebbe ritenersi lesa l'attribuzione costituzionale della Corte dei conti in conseguenza della riduzione, rispetto agli enti in questione, di quelle che, in passato, erano le sue competenze generali di controllo risultanti dalla legge n. 259 del 1958, ribadite nell'art. 3, comma 7, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Tali disposizioni di legge ordinaria -analogamente a quelle dei decreti legislativi in questione integrano la disposizione costituzionale e possono cos�, eventualmente, nei conflitti di attribuzione fungere da norme di riferimento per la determinazione delle competenze di controllo della Corte dei conti, quando -come nel caso deciso con la sentenza n. 466 del 1993 di questa Corte -si controverta sul mancato rispetto di tali competenze. Non possono invece valere a condizionare scelte legislative successive le quali, in attuazione anch'esse dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione, in generale o con riferimento a casi particolari, ridefiniscano i casi e le forme del controllo. Si verrebbero altrimenti a configurare fonti legislative dotate di valore anomalo, non previste dalla Costituzione. 3.2. -La lesione delle attribuzioni costituzionali della ricorrente � poi argomentata in relazione alla violazione dell'art. 76 della Costituzione, poich� le disposizioni dei decreti legislativi sarebbero state adottate -secondo la prospettazione della ricorrente -in violazione dei limiti di oggetto e dei principi e criteri direttivi della delega, determinati dagli artt. 11, comma 1, e 18, comma 1, della legge n. 59 del 1997. �La censura -ancorch� ammissibile, in quanto dalla pretesa violazione dell'art. 76 della Costituzione deriverebbe una compressione delle attribuzioni della ricorrente (analogamente, con riguardo al caso della difesa, nel giudizio costituzionale, delle attribuzioni regionali, la sentenza n. 408 del 1998), -� peraltro infondata. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT0� . 316 L'art. 11, comma 1, lettere b) ed), della legge n. 59del1997 ha delegato il Governo a emanare decreti legislativi, tra l'altro, per �riordinare gli enti pubblici nazionali operanti in settori diversi dall'assistenza e previdenza� e per �riordinare e razionalizzare Ii gli interventi diretti a promuovere e sostenere il settore della ricerca scientifica e tecnologica nonch� gli organismi operanti nel settore stesso�. La stessa legge, nel dettare i principi e criteri direttivi per l'attuazione della delega -principi e criteri, nel settore della ricerca, particolarmente orientati alla razionalizzazione delle strutture esistenti, in vista di flessibilit�, autonomia ed efficienza (artt. 14 e 18) -ha puntualmente prescritto (art. 14) il rispetto dell'art. 3, comma 6, della legge n. 20 del 1994. Nell'ambito d�lla delega cos� disciplinata, per quanto concerne la pretesa violazione dei limiti di oggetto, � sufficiente osservare che il disegno di riforma delle amministrazioni e degli enti pubblici risultante dalla legge n. 59 del 1997 comprende nell'insieme i loro aspetti organizzativi e che ci� � conforme alla profondit� dell'intervento riformatore in quella legge configurato. La riconsiderazione della disciplina dei controlli rappresenta un elemento di tale riforma, ci� che � del resto indirettamente ma chiaramente palesato dal rinvio che l'art. 14 della legge n. 59 del 1997 fa all'art. 3, comma 6, della legge n. 20 del 1994. La prospettata violazione dei principi e criteri direttivi, a sua volta, viene motivata con riferimento a quest'ultima disposizione, con la quale si stabilisce, per quanto qui interessa, che �la Corte dei conti riferisce, almeno annualmente, al Parlamento ... sull'esito del controllo eseguito. Le relazioni della Corte sono altres� inviate alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro I momento, le proprie osservazioni. Le amministrazioni comunicano alla Corte ... le misure conseguenzialmente adottate�. I Il �controllo eseguito� � formula che non esprime un suo proprio contenuto circa i caratteri del controllo medesimo, ma che rinvia a quanto altrove previsto. Il controllo in questione � ora quello successivo, che si esercita unicamente sui conti consuntivi, con I'esclusione del controllo amministrativo di regolarit� contabile e sui singoli atti di gestione, secondo quanto previsto dalle norme dei decreti legislativi. Di tale controllo, secondo le norme che hanno dato origine al conflitto, la Corte dei conti �riferisce annualmente� al Parlamento, mentre, secondo il comma 6 dell'art. 3 della legge n. 20, la relazione al Parlamento � prevista con cadenza �almeno annuale� Ci� non comporta peraltro violazione di quest'ultima disposizione (e quindi indirettamente dell'art. 14 della legge n. 59 del 1997 che la richiama), poich� � chiaro ch'essa contiene la previsione di un adempimento minimo inderogabile, un limite che le norme delegate puntualmente rispettano. Quanto agli ulteriori rapporti di collaborazione da instaurarsi con le amministrazioni interessate secondo il comma 6 dell'art. 3 della legge n. 20 (invio delle relazioni della Corte; formulazione in qualsiasi momento delle sue osservazioni; comunicazione alla Corte stessa delle misure conseguenzialmente adottate dalle amministrazioni), essi hanno una loro autonoma ragion d'essere rispetto alla relazione al Parlamento e configurano, nell'insieme, un sistema non privo di una propria logica (si v., per la Corte dei conti europea, I'analogo sistema previsto dall'art. 248, par. 4, del Trattato della Comunit� Europea). Non essendo incisi dalle norme dei decreti legislativi, tali rapporti restano pertanto salvi, in forza del richiamo fatto dall'art. 14 della legge n. 59 del 1997 allo stesso comma 6 dell'art. 3 della legge n. 20, nella sua integralit�, senza per� che ci� necessariamente presupponga -contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, soprattutto con PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 317 riferimento al potere di formulare osservazioni �in ogni momento� -I'esistenza di ulteriori poteri di controllo, diversi da quello previsto dalle norme legislative delegate. 3.3. -Quanto infine al dubbio sollevato dalla ricorrente circa le conseguenze da trarre dal mancato rispetto dell'art. 1 del r.d.l. 9 febbraio 1939, n. 273, che prevede il previo parere della Corte dei conti a sezioni riunite sui provvedimenti legislativi che comportino la soppressione o la modificazione delle attribuzioni della Corte dei conti medesima -dubbio formulato in modo da non costituire propriamente motivo del ricorso, ma rimesso comunque alla valutazione di questa Corte -, � sufficiente rilevare che tale onere per il legislatore non � idoneo a istituire, in un sistema -come l'attuale -a costituzione rigida che totalmente l'ignora, un procedimento di normazione primaria speciale che possa pretendere di essere garantito costituzionalmente. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara che non spetta alla Corte dei conti, sezione del controllo sugli enti, il controllo sulla gestione finanziaria nei confronti del Consiglio nazionale delle ricerche, dell'Agenzia spaziale italiana e dell'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente, in forma diversa da quella prevista dagli artt. 9, comma 3, 9, comma 5 e 11, comma 2, dei decreti legislativi n. 19, n. 27 e n. 36 del 30 gennaio 1999. CORTE COSTITUZIONALE, ordinanza 15 -30 dicembre 1999, n. 470 -Pres. Vassalli -Est. Zagrebelsky. Corte Costituzionale -Conflitto fra Provincia autonoma e Stato per atto emesso da Procuratore della Repubblica -Determinazione di non intervento del Presidente del Consiglio non preceduta da intesa o richiesta di parere al Procuratore -Conflitto fra poteri dello Stato sollevato dal Procuratore della Repubblica nei confronti del Presidente del Consiglio -Ammissibilit�. � ammissibile il conflitto fra poteri dello Stato promosso da un Procuratore della Repubblica nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri per mancata costituzione di quest'ultimo in un conflitto di attribuzione fra la Provincia autonoma di Bolzano e lo Stato nascente da atti emessi dal Procuratore della Repubblica stesso, nei limiti in cui la determinazione di non costituzione non � stata preceduta da un'intesa o da una richiesta di parere allo stesso pubblico ministero (1). (1) Giunge ex professo all'esame della Corte un problema di particolare delicatezza, solo di sfuggita toccato in passato dalla Corte stessa (sent. 20 marzo 1985 n. 70, in Foro it., 1986, I, 58) e molto discusso dalla dottrina (cfr. per tutti R. ROMBOLI, La Magistratura nei conflitti fra enti aventi ad oggetto atti giurisdizionali: un problema ancora in attesa di soluzione, in Giur. Cast., 1997, 1701, ed autori ivi citati). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO� � 318 (omissis) Ritenuto che con ricorso depositato il 3 giugno 1999 il Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla mancata costituzione di quest'ultimo nel giudizio per conflitto di attribuzione promosso dalla Provincia autonoma di Bolzano nei confronti dello Stato (giudizio iscritto al reg. conflitti n. 3 del 1999), a seguito di due atti adottati nell'ambito di un procedimento penale dal medesimo pubblico ministero; che il ricorrente precisa che, in base all'art. 112 della Costituzione, il pubblico ministero � il titolare diretto ed esclusivo dell'attivit� di indagine finalizzata all'esercizio dell'azione penale e che in riferimento a detta funzione esso deve pertanto considerarsi legittimato a sollevare il conflitto; che lo stesso ricorrente rileva che nei conflitti tra enti, in base al consolidato orientamento della Corte costituzionale, legittimati a costituirsi in giudizio sono soltanto il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Giunta regionale, essendo stata di recente esclusa la possibilit� di invocare l'art. 20, secondo comma, della legge 11marzo1953, n. 87, al fine di riconoscere il diritto di In effetti, quando il conflitto fra Stato e Regione si risolve in un conflitto fra potere esecutivo (di competenza regionale) e potere giudiziario, la controversia si atteggia, da un punto di vista sostanziale, pi� come conflitto fra poteri che come regolamento di competenza fra enti. Peraltro nella sua configurazione normativa astratta il problema non sembra dissimile da quello che sorge ogniqualvolta l'organo statale interessato al conflitto sia anche un qualunque potere dello Stato diverso dal legislativo. In tutti questi casi, indifferentemente, Presidente del Consiglio dei Ministri e Presidente della Regione rappresentano nel giudizio, unitariamente, gli ordinamenti, statale e regionale, di cui sono parti, non singole amministrazioni o singoli organi o poteri della relativa organizzazione. La scelta cos� netta operata dal legislatore (art. 39 legge 11 marzo 1953, n. 87) � d'altronde perfettamente congruente con tutto il sistema del processo costituzionale, cos� come delineato dalla Costituzione, dalle leggi costituzionali ed ordinarie e dalle norme integrative; un sistema che � ispirato ad una rigorosa limitazione della legittimazione processuale. Basti pensare, a tacer d'altro, al fatto che legittimato processuale nei giudizi incidentali di costituzionalit� delle leggi e nei giudizi di impugnazione diretta di leggi statali � il Presidente del Consiglio dei Ministri e non il Parlamento, che pure � indubbiamente il potere pi� direttamente interessato. La partecipazione al giudizio costituzionale di organi statali diversi da quello di vertice, che rappresenta unitariamente l'ordinamento, � dunque prevista, in via d'eccezione, solo nel caso di conflitto fra poteri dello Stato (art. 37, legge ult. cit. e art. 26, Norme integrative per i giudizi avanti la Corte Costituzionale approvate dalla Corte il 16 marzo 1956), nel quadro di una intrinseca logica e razionalit� del sistema e, se pu� convenirsi con un'autorevole corrente dottrinale sulle buone ragioni logiche che militerebbero in favore dell'apertura di uno spazio di interlocuzione al potere giudiziario in casi quale quello in esame per una pi� piena attuazione del principio del contraddittorio, deve per� riconoscersi che ci� non potrebbe che avvenire ad opera del legislatore costituzionale o di quello ordinario o della Corte Costituzionale in sede di adozione di norme integrative o di rev�rement giurisprudenziale in tema di ammissibilit� dell'intervento (con particolare riguardo alla sentenza 70/85). Allo stato, non rimane che attendere la decisione di merito. I.F.C. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE qualsiasi organo statale a intervenire in qualsiasi giudizio che sia pendente innanzi alla Corte costituzionale (sentenza n. 350 del 1998); che, in particolare, richiamando consolidati orientamenti della Corte costituzionale, il Sostituto Procuratore sottolinea che atti di giurisdizione possono essere a base di conflitti di attribuzione tanto tra Regioni e Stato che tra poteri dello Stato, ma soltanto in questa seconda eventualit� gli organi giudiziari sono legittimati a stare in giudizio, come soggetti sia attivi che passivi, mentre nel primo caso il potere di costituirsi in giudizio spetta unicamente al Presidente del Consiglio dei ministri, in rappresentanza dello Stato nella sua interezza; che peraltro questa funzione di rappresentanza unitaria non pu� far venire meno, secondo il ricorrente, l'istituzionale indipendenza che la Costituzione garantisce al pubblico ministero rispetto a ogni altro potere statale, cosicch� l'attribuzione della rappresentanza dello Stato al Presidente del Consiglio dei ministri, nei conflitti tra Stato e Regioni, �non esclude la coesistenza di alcuni poteri da riconoscere ad altri poteri autonomi dello Stato, con la relativa necessit� di coordinamento�, quando si tratti di tutelare esigenze che coinvolgono le attribuzioni del potere giudiziario; che, per evitare pregiudizio alla posizione del soggetto appartenente al medesimo potere e altres� per garantire un effettivo contraddittorio, la determinazione del Presidente del Consiglio dei ministri di costituirsi o non costituirsi in giudizio, qualora venga chiesto da parte di una Regione o di una Provincia autonoma l'annullamento di un atto dell'ordine giudiziario, dovrebbe secondo la prospettazione del ricorrente -essere presa a seguito di intesa, o comunque di consultazione con l'organo coinvolto (nel caso di specie: con la Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano), alla stregua del generale principio secondo il quale i rapporti tra Governo e Autorit� giudiziaria debbono essere ispirati a correttezza e lealt�, come la stessa Corte costituzionale ha pi� volte riconosciuto; che la Presidenza del Consiglio dei ministri, al contrario, ha proceduto alla determinazione di non costituirsi nel citato giudizio senza interessare in alcun modo la Procura della Repubblica, neppure attraverso la richiesta di un parere, con conseguente �lesione di attribuzioni riconosciute al ricorrente dal principio generale dell'intesa e dal principio di leale cooperazione tra poteri dello Stato�; che, infine, il Sostituto Procuratore rileva che nessun ostacolo pu� ravvisarsi nel fatto che una eventuale pronuncia di accoglimento della Corte nel conflitto tra poteri dello Stato non potrebbe ormai produrre effetto rispetto al separato giudizio per conflitto tra enti, poich� ci� non farebbe comunque venire meno l'interesse del ricorrente ad ottenere una decisione sulla spettanza delle attribuzioni in contestazione, che rappresenta l'oggetto principale del giudizio della Corte, in base all'art. 38 della legge n. 87 del 1953. Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte � chiamata a deliberare, senza contradditt�rio, se il ricorso sia ammissibile, esistendo i presupposti di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilit�; RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAm, 320 che il Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano � legittimato a sollevare il conflitto, in quanto lo stesso, titolare diretto ed esclusivo dell'attivit� di indagine finalizzata all'esercizio obbligatorio dell'azione penale, a norma dell'art. 112 della Costituzione (tra molte, sentenza n. 410 del 1998), fa valere con il presente ricorso l'indipendenza nell'esercizio delle attribuzioni del potere giudiziario, in relazione alla difesa di esse nei giudizi sui conflitti tra Regioni o Province autonome e Stato; che anche la legittimazione del Presidente del Consiglio dei ministri a resistere nel conflitto deve essere riconosciuta, trattandosi dell'organo competente a dichiarare definitivamente la volont� del potere che esso rappresenta in ordine alla determinazione di costituirsi nei giudizi costituzionali per conflitto tra Stato e Regioni o Province autonome; che, quanto all'oggetto del conflitto, il ricorrente Sostituto Procuratore della Repubblica lamenta, conformemente a quanto richiesto dall'art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, la lesione di proprie attribuzioni costituzionalmente garantite; che dal ricorso si ricavano le �ragioni del conflitto� e sono indicate �le norme costituzionali che regolano la materia�, secondo quanto prescrive l'art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano con il ricorso indicato in epigrafe (omissis). SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE Le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� europee dell'anno 1999 in cause cui ha partecipato l'Italia. Nel corso dell'anno 1999 le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� europee in cause alle quali ha partecipato il Governo italiano sono state 30 (7 su ricorsi diretti della Commissione contro l'Italia e 3 viceversa; una su appello di decisione del Tribunale di primo grado e le altre 19 su rinvii pregiudiziali di giudici nazionali -11 -ovvero di altri Stati membri -8 -). Oltre quelle pubblicate nella Rassegna del corrente anno, le sentenze della Corte sono state le seguenti: -21gennaio1999, nella causa C-416/97, Commissione c. Italia, con la quale la Corte ha dichiarato che �non avendo emanato nei termini prescritti le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle direttive del Consiglio 27 luglio 1994, 94/42/CE, che modifica la direttiva 64/432/CEE relativa a problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovina e suina, e del Consiglio 22 dicembre 1993, 93/118/CE, che modifica la direttiva 85/73/CEE relativa al finanziamento delle ispezioni e dei controlli sanitari delle carni fresche e delle carni di volatili da cortile, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza di tali direttive�. -11 febbraio 1999, nella causa C-390/95 P, Antillean Rice Mills c. Commissione, con intervento del Governo italiano in favore della Commissione, con la quale la Corte ha confermato la decisione del Tribunale di primo grado che, in ordine a misure di salvaguardia nel settore del riso originario delle Antille olandesi, aveva accolto il ricorso della Societ� olandese solo per un particolare aspetto, respingendolo per il resto. -23 febbraio 1999, nella causa C-63/97, Bayerische Motorenwerke (BMW), con la quale la Corte, in materia di marchi di impresa, ha dichiarato che: �l. -Fatto salvo l'obbligo del giudice a quo di interpretare il diritto nazionale per quanto � possibile conformemente al diritto comunitario, quest'ultimo non osta ad una norma nazionale transitoria secondo cui un ricorso proposto contro una decisione emessa prima della data della tardiva messa in vigore delle norme che recepiscono la prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, nel diritto nazionale � risolto conformemente alle norme vigenti prima di detta data, anche se la sentenza � pronunciata dopo questa data; 2. -L'uso di un marchio, senza l'autorizzazione del titolare, al fine di annunciare al pubblico che un'impresa terza effettua la riparazione e la manutenzione di prodotti recanti detto marchio o che essa � specializzata o specialista in tali prodotti costituisce, in circostanze come quelle descritte nella RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO� 322 sentenza di rinvio, un uso del marchio ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva 89/104 ; 3. -Gli artt. 5-7 della prima direttiva 89/104 non consentono al titolare di un marchio di vietare ad un terzo l'uso del suo marchio al fine di annunziare al pubblico che egli effettua la riparazione e la manutenzione di prodotti contrassegnati da tale marchio messi in commercio col marchio dal suo titolare o con il suo consenso, o che egli � specializzato o specialista nella vendita o nella riparazione e nella manutenzione di detti prodotti, a meno che il marchio non sia utilizzato in modo tale da poter dare l'impressione che sussista un legame commerciale fra l'impresa terza e il titolare del marchio, e in particolare che l'impresa del rivenditore appartenga alla rete di distribuzione del titolare del marchio o che esista un rapporto speciale fra le due imprese�. -25 febbraio 1999, nella causa C-195/97, Commissione c. Italia, con la quale la Corte ha statuito che �la Repubblica italiana, non avendo adottato e non avendo comunicato alla Commissione, entro il termine previsto, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie alla trasposizione della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, e non avendo osservato, in particolare, l'obbligo sancito dal suo art. 3, n. 2, � venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 12, n. 1, della direttiva stessa�. -18 marzo 1999, nella causa C-59/97, Italia c. Commissione, con la quale � stato respinto il ricorso italiano che contestava la mancata imputazione al FEOGA per il 1992 di una spesa sostenuta per aiuto al consumo dell'olio di oliva. -25 marzo 1999, nella causa C-112/97, Commissione c. Italia, dove la Corte ha statuito che �la Repubblica italiana, avendo istituito e mantenendo in vigore un regime che, nel caso di nuova installazione o di ristrutturazione di apparecchi a gas, prescrive l'utilizzazione nei locali abitati di generatori di calore esclusivamente di tipo �stagno�, con ci� vietando implicitamente l'installazione di generatori di calore di tipo diverso conforme alla direttiva del Consiglio 29 giugno 1990, 90/396/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di apparecchi a gas, � venuta meno agli obblighi impostile da tale direttiva.�. -29 aprile 1999, nella causa C-288/97, Consorzio Caseifici Altopiano di Asiago c. Reg. Veneto, con la quale la Corte ha dichiarato che �l. -la nozione di acquirente ai sensi degli artt. 2, n. 2, e 9, lett. e), del regolamento (CEE) del Consiglio 28 dicembre 1992, n. 3950, che istituisce un prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, deve essere interpretata nel senso che rientra in essa ogni impresa intermediaria che proceda all'acquisto di latte presso un produttore nell'ambito di un rapporto contrattuale, quali che siano le modalit� di remunerazione di quest'ultimo, allo scopo di trattarlo o di trasformarlo essa stessa, oppure di cederlo ad un'impresa di trattamento o di trasformazione, e che, nell'ipotesi in cui una tale impresa raggruppi cooperative che siano anch'esse acquirenti, effettui per conto di queste ultime le operazioni di gestione amministrativa e contabile necessarie al versamento del prelievo, in particolare quelle di cui all'art. 7 del regolamento (CEE) della Commissione 9 marzo 1993, n. 536, che stabilisce le modalit� di applicazione del prelievo supplementare nel .. ��z111�1�1�����111;=~:~:~:~~��ǥ11� I m I ~ ~ 0. I.;a m [~ . 1 f. ~ I ~ ~ ~ , [I I m W ' ~~~ ~;; !ji ~:: !1!.� II?: PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari; 2. -L'art. 2, n. 2, del regolamento n. 3950/92 deve essere interpretato nel senso che, pur avendo gli acquirenti la facolt� di trattenere sul prezzo del latte pagato al produttore l'importo dovuto da quest'ultimo a titolo di prelievo supplementare, tale disposizione non impone tuttavia loro alcun obbligo in tal senso�. -4 maggio 1999, nelle cause riunite C -108 e 109/97, Windsurfing Chiemsee Produktion, dove, in tema di marchi di impresa, la Corte ha dichiarato che: �1. L'art. 3, n. 1, lett. e), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa dev'essere interpretato nel senso che: -tale norma non si limita a vietare la registrazione dei nomi geografici in quanto marchi nei soli casi in cui essi indichino i luoghi che presentano attualmente, agli occhi degli ambienti interessati, un nesso con la categoria di prodotti di cui si tratta, bens� si applica anche ai nomi geografici utilizzabili in futuro dalle imprese interessate in quanto indicazione di provenienza geografica della categoria di prodotti di cui si tratta; -nei casi in cui il nome geografico non presenti attualmente, agli occhi degli ambienti interessati, alcun nesso con la categoria di prodotti di cui si tratta, l'autorit� competente deve valutare se sia ragionevole presumere che un tale nome, agli occhi degli ambienti interessati, designi la provenienza geografica di tale categoria di prodotti; -nell'effettuare tale valutazione occorre prendere in considerazione, in particolare, la conoscenza pi� o meno ampia che gli ambienti interessati hanno del nome geografico nonch� le caratteristiche del luogo designato da quest'ultimo e della categoria di prodotti di cui si tratta; -il nesso tra il prodotto di cui trattasi e il luogo geografico non dipende necessariamente dalla fabbricazione del prodotto in tale luogo. 2. -L'art. 3, n. 3, prima frase, della prima direttiva 89/104 dev'essere interpretato nel senso che il carattere distintivo del marchio, acquisito a seguito dell'uso che ne � stato fatto, significa che il marchio � atto ad identificare il prodotto per il quale la registrazione viene richiesta come proveniente da un'impresa determinata e quindi a distinguere tale prodotto da quelli di altre imprese; -esso non ammette che la nozione di carattere distintivo differisca a seconda dell'interesse percepito a mantenere il nome geografico disponibile per l'uso di altre imprese; -per accertare se un marchio abbia acquisito un carattere distintivo a seguito dell'uso che ne � stato fatto, l'autorit� competente deve valutare globalmente i fattori che possono dimostrare che il marchio � divenuto atto ad identificare il prodotto di cui trattasi come proveniente da un'impresa determinata e quindi a distinguere tale prodotto da quelli di altre imprese; -qualora l'autorit� competente ritenga che una frazione significativa degli ambienti interessati identifica grazie al marchio il prodotto proveniente da un 'impresa determinata, essa deve in ogni caso concluderne che la condizione per la registrazione del marchio � soddisfatta; -il diritto comunitario non osta a che l'autorit� competente, che versi in difficolt� nel valutare il carattere distintivo del marchio di cui si richiede la registrazione, ricorra -alle condizioni previste dal suo diritto nazionale -a un sondaggio d'opinione destinato a chiarire il suo giudizio�. -19 maggio 1999, nella causa C-6/97, Italia c. Commissione, con la quale la Corte ha nuovamente respinto un ricorso italiano che mirava all'annullamento della RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAro�. 324 decisione della Commissione che aveva ritenuto aiuti di Stato non compatibili col diritto comunitario il �bonus� fiscale attribuito agli autotrasportatori, quella volta per gli anni 1993 e 1994, disponendo il recupero. -17 giugno 1999, nella causa C-336/97, Commissione c. Italia, dove la Corte ha statuito che �non vigilando affinch� vengano predisposti piani di emergenza all'esterno degli impianti la cui attivit� industriale sia stata notificata ai sensi ~ II' dell'art. 5 della direttiva del Consiglio 24 giugno 1982, 82/501/CEE, sui rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attivit� industriali, e non organizzando ispezioni o altre misure di controllo secondo il tipo di attivit� industriale, in violazione dell'art. 7, n. 1, terzo trattino, e n. 2, della predetta direttiva, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in virt� della detta direttiva�. -18 settembre 1999, nella causa C-108/98, Rl.SAN c. Comune d'Ischia, dove, in relazione ad una contestazione relativa all'organizzazione da parte del Comune del servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani, in cui una societ� italiana contestava l'affidamento del servizio ad una societ� a capitale misto, si � statuito che �l'art. 55 del Trattato CE (divenuto art. 45 CE) non si applica in una situazione come quella oggetto della causa a qua, i cui elementi sono tutti confinati all'interno di un solo Stato membro e che pertanto non presenta alcun nesso con una delle situazioni considerate dal diritto comunitario nel settore della libera circolazione delle persone e dei servizi�. -16 settembre 1999, nella causa C-475/97, WWF c. Provincia di Bolzano, con la quale in relazione alla valutazione dell'impatto ambientale per le opere di ristrutturazione dell'aeroporto di Bolzano la Corte ha dichiarato che: �1. -Gli artt. 4, n. 2, e 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, vanno intesi nel senso che non conferiscono ad uno Stato membro n� il potere di dispensare, a priori e globalmente, dalla procedura di valutazione d'impatto ambientale istituita dalla direttiva determinate classi di progetti elencate nell'allegato II di quest'ultima, ivi comprese le modifiche di tali progetti, n� il potere di sottrarre a tale procedura uno specifico progetto, come la ristrutturazione di un aeroporto con pista di decollo e d'atterraggio lunga meno di 2.100 m, in forza d'un atto legislativo nazionale o sulla base d'un esame in concreto del progetto, a meno che l'insieme di tali classi di progetti o il progetto specifico possa essere ritenuto, sulla base d'una valutazione complessiva, inidoneo ad avere un impatto ambientale importante. Spetta al giudice nazionale verificare se le autorit� competenti, sulla base dell'esame in concreto da esse eseguito che le ha condotte ad esonerare il progetto dalla procedura di valutazione istituita dalla direttiva, abbiano correttamente valutato, in conformit� alla stessa, l'importanza dell'impatto ambientale dello specifico progetto in questione. 2. Nel caso di un progetto che richiede una valutazione ai sensi della direttiva 85/337, l'art. 2 nn. 1 e 2, della stessa va inteso nel senso che autorizza uno Stato membro a servirsi di una procedura di valutazione diversa da quella istituita dalla direttiva, ove detta procedura sia incorporata in una procedura nazionale esistente o da stabilire ai sensi del!' art. 2, n. 2, della direttiva. Tuttavia, PARTE I, SEZ. 11, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE detta procedura alternativa deve soddisfare i requisiti di cui agli artt. 3 e da 5 a 10 della direttiva, tra i quali la partecipazione del pubblico ai sensi dell'art. 6 della stessa. 3. -L'art. 1, n. 5, della direttiva 85/337 va inteso nel senso che non si applica ad un progetto, come quello in questione nella causa a qua, che, sebbene previsto da una norma legislativa programmatica, abbia costituito oggetto di un distinto procedimento amministrativo d'approvazione. Affinch� tale norma, nonch� la procedura con cui � stata adottata, siano conformi agli obiettivi della direttiva, incluso quello della disponibilit� delle informazioni, � necessario che il detto progetto sia adottato con un atto legislativo specifico contenente tutti gli elementi che possono essere rilevanti ai fini della valutazione d'impatto ambientale. 4. -L'art. 1, n. 4 della direttiva 85/337 va inteso nel senso che rientra nel campo di applicazione della stessa un aeroporto destinato ad usi civili quanto militari, ma il cui uso principale � di natura commerciale. 5. -Gli artt. 4, n. 2, e 2, n. 1, della direttiva 85/337 vanno intesi nel senso che, qualora le autorit� legislative o amministrative di uno Stato membro eccedano il margine di discrezionalit� riconosciuto da tali disposizioni, i singoli possono invocarle dinanzi al giudice nazionale per ottenere che le autorit� di detto Stato membro disapplichino le norme o misure interne con esse incompatibili. In un caso del genere, spetta alle autorit� dello Stato membro adottare, nell'ambito delle loro competenze, tutti i provvedimenti, generali o particolari, necessari affinch� venga condotto un esame sull'idoneit� dei progetti ad avere un notevole impatto ambientale e affinch�, in caso di esito positivo di detto esame, venga effettuato uno studio dell'impatto ambientale dei progetti�. -21 settembre 1999, nella causa C-362/98, Commissione c. Italia, dove si � statuito che �non avendo adottato entro il termine prescritto le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/103/CE, riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute per il lavoro a bordo delle navi da pesca (tredicesima direttiva particolare ai sensi dell'art. 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 13, n. 1, di questa direttiva�. -14 ottobre 1999, nella causa C-223/98, Adidas, in materia di libera circolazione delle merci (marchi contraffatti), la Corte ha dichiarato che �il regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3295, che fissa misure intese a vietare l'immissione in libera pratica, l'esportazione, la riesportazione e il vincolo ad un regime sospensivo di merci contraffatte e di merci usurpative, deve essere interpretato nel senso che si oppone ad una disposizione nazionale in forza della quale l'identit� del dichiarante o del destinatario di merci importate, merci che il titolare del diritto di marchio ha accertato essere contraffatte, non pu� essere comunicata a quest'ultimo�. -28 ottobre 1999, nella causa C-253/97, Italia c. Commissione, con la quale la Corte ha parzialmente accolto il ricorso italiano con il quale si era impugnata la decisione sui conti FEOGA per l'anno 1993, annullando la decisione riguardo al disconoscimento di alcune spese in tema di acquisti all'intervento di carni bovine, ma respingendo le tesi italiane relative al disconoscimento di spese in ordine al ritiro RASSEGNA AWOCATURA DELLO STA'.IU' < 326 di seminativi dalla produzione, al rimborso delle spese di ammasso dello zucchero, all'aiuto al consumo di olio di oliva, alla distillazione obbligatoria dei vini da tavola, all'abbandono definitivo di superfici viticole, ed altro. -21 ottobre 1999, nella causa C-67/98, Zenatti, con la quale la Corte ha dichiarato che �le disposizioni del Trattato CE relative alla libera prestazione dei servizi non ostano a una normativa nazionale, come quella italiana, che riserva a determinati enti il diritto di esercitare scommesse sugli eventi sportivi, ove tale normativa sia effettivamente giustificata da obiettivi di politica sociale tendenti a limitare gli effetti nocivi di tali attivit� e ove le restrizioni da essa imposte non siano sproporzionate rispetto a tali obiettivi�. -9 novembre 1999, nella causa C -365/97, Commissione c. Italia, con la quale la Corte ha statuito, in tema di gestione dei rifiuti, che �non avendo adottato le misure necessarie per assicurare che i rifiuti scaricati nel corso d'acqua che attraversa il vallone San Rocco fossero eliminati senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente e non avendo adottato le misure necessarie affinch� i rifiuti raccolti in una discarica abusiva fossero consegnati ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un'impresa di smaltimento, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 4, primo comma, e 8, primo trattino, della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE�, ma ha nello stesso tempo respinto il ricorso della I Commissione sotto numerosi altri aspetti della vicenda. I -11 novembre 1999, nella causa C -315/98, Commissione c. Italia, nella quale la Corte ha ritenuto che �non avendo adottato nel termine prescritto le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi ; ~ ~1~� alla direttiva del Consiglio 19 giugno 1995, 95/21/CE, relativa all'attuazione di norme internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell'inquinamento e le condizioni di vita e di lavoro a bordo, per le navi che approdano nei porti I comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri (controllo dello Stato di approdo), la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza di detta direttiva.� -2 dicembre 1999, nella causa C -176/98, Holst Italia c. Comune di Cagliari, con la quale la Corte, in materia di appalti pubblici di servizi, ha dichiarato che �la direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, va interpretata nel senso che consente ad un prestatore, per comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione ad una gara d'appalto ai fini dell'aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi, di far riferimento alle capacit� di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi, a condizione che sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all'esecuzione dell'appalto. Spetta al giudice nazionale valutare se tale prova sia fornita nella fattispecie di cui alla causa a qua.� OSCAR FIUMARA PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 327 I CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. sa, 1� dicembre 1998, nella causa C-200/97 -Pres. Puissochet -Rei. Wathelet -Avv. Gen. Fennelly. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione italiana nella causa Ecotrade srl. c/ Altiforni e Ferriere di Servola spa. Interv.: Governo italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Nemitz e Stancanelli). Comunit� europee -Aiuti concessi dagli Stati -Nozione � Vantaggio concesso senza trasferimento di risorse proprie � Amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi � Settore siderurgico. (Trattato CECA, artt. 4 lett. C; decreto legge 30 gennaio 1979 n. 26, conv. con mod. in legge 3 aprile 1979 n. 95). Si deve ritenere che l'applicazione ad un'impresa ai sensi dell'art. 80 del Trattato CECA di un regime quale quello introdotto dalla legge 3 aprile 1979, n. 95/1979 e derogatorio alle regole normalmente vigenti in materia di fallimento d� luogo alla concessione di un aiuto di Stato, vietato dall'art. 4, lett. C), del Trattato CECA, allorch� � dimostrato che questa impresa: -� stata autorizzata a continuare la sua attivit� economica in circostanze in cui una tale eventualit� sarebbe stata esclusa nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento , o -ha beneficiato di uno o pi� vantaggi, quali una garanzia di Stato, un'aliquota d'imposta ridotta, un'esenzione dall'obbligo di pagamento di ammende e altre sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei quali non avrebbe potuto usufruire un'altra impresa insolvente nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento (l). (1-2) L'amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi e il diritto comunitario. Si omette la motivazione della prima sentenza in quanto le argomentazioni di fondo sono ripetute sostanzialmente in quella della seconda sentenza. Invero la prima causa riguardava l'interpretazione di norme del trattato CECA, in quanto l'impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria operava nel campo siderurgico. E per la normativa CECA, come � noto, gli aiuti di Stato sono vietati in linea generale e senza necessit� di alcuna verifica della Commissione CE anche se preesistenti al Trattato. Nella seconda causa, invece, si discuteva in materia regolata dal Trattato CE, il quale detta una disciplina differenziata per gli aiuti preesistenti al Trattato e per quelli successivi. La Commissione delle C.E. aveva espressamente precisato in causa di aver aperto una procedura di infrazione (aiuto c 7/97, che assorbiva una pi� vecchia procedura di infrazione E 13/92) nei confronti dell'Italia relativamente alla legge 3 aprile 1979 n. 95 (la c.d. �legge Prodi�), ipotizzando cos� aiuti �preesistenti�, malgrado che essi fossero stati istituiti ben dopo il Trattato, e ci� perch� essa era venuta autonomamente a conoscenza della legge poco tempo dopo la sua approvazione e nel corso degli anni successivi essa l'aveva esaminata senza giungere ad alcuna RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 328 II I ~ CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 5il, 17 giugno 1999, nella causa C-295/97 -Pres. Puissochet -Rei. Wathelet -Aw. Gen. Ruiz Jarabo , I Colomer -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di i.~ Genova, nella causa Industrie Aeronautiche e Meccaniche Piaggio s.p.a. contro mr-:- International Factors Italia s.p.a. ed altri. lnterv.: Governo italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Rozet e Stancanelli). Comunit� europee -Aiuti concessi dagli Stati -Nozione -Vantaggio concesso senza trasferimento di risorse proprie -Aiuto nuovo -Notifica previa - Amministrazione straordinaria di grandi imprese in crisi. (Trattato CE, artt. 87, 88 e 234; decreto legge 30 gennaio 1979 n. 26, conv. con mod. in legge 3 aprile 1979 n. 95). Nell'ambito di un procedimento instaurato ai sensi dell'art. 234 CE (ex art. 177) la Corte non � competente ad interpretare il diritto nazionale o a statuire sulla compatibilit� di un prowedimento nazionale con l'art. 92 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 87 CE). Tuttavia un giudice nazionale, qualora venga adito con una domanda diretta a fargli trarre le conseguenze dalla violazione dell'art. 88, n. 3, ultima frase, CE (ex art. 93, n. 3, ultima frase), pu� chiedere chiarimenti alla Commissione o, in conformit� all'art. 234, secondo e terzo comma, CE, pu� o deve sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 92 del Trattato al fine di determinare se i provvedimenti statali di cui trattasi costituiscano aiuti di Stato che avrebbero dovuto essere notificati alla Commissione. Si deve ritenere che l'applicazione ad un'impresa di un regime come quello istituito dalla legge italiana 3 aprile 1979, n. 95, e derogatorio alle regole normalmente vigenti in materia di fallimento d� luogo alla concessione di un conclusione circa la sua eventuale incompatibilit� con le esigenze del diritto comunitario e non aveva ricevuto reclami da chicchessia che ne denunciassero la incompatibilit�. Solo a partire dagli anni novanta, un pi� approfondito studio di tutte le forme di intervento statale nell'economia aveva indotto i servizi della Commissione a riconsiderare la normativa italiana e ad aprire la procedura di infrazione (ancora in corso in pendenza della causa). La presa di posizione della Commissione era stata pienamente condivisa dal Governo italiano. In caso di aiuto �esistente� finch�, infatti, non interviene una decisione della Commissione stessa che richieda allo Stato membro la sua soppressione o la sua modifica in un certo termine, l'aiuto continua ad operare: ci� avrebbe significato la piena salvezza degli effetti della legge Prodi fino ad una eventuale decisione sfavorevole della Commissione, che avrebbe avuto effetti solo per il futuro, consentendo cos� un passaggio morbido e non traumatico alla nuova disciplina in fieri dell'Istituto dell'amministrazione straordinaria (secondo i principi della legge delega 30 luglio 1998 n. 274, attuati poi con il decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270). La Corte non ha condiviso questa impostazione, ricorrendo ad una stretta e formalistica interpretazione del Trattato CE ( cfr. punti 44-49). Eppure si era rilevato che sono considerati aiuti �esistenti� non solo gli aiuti previsti o disposti anteriormente al Trattato di Roma, ma anche alcuni aiuti ad esso posteriori, a determinate condizioni. La definizione della nozione di aiuto esistente costantemente data dalla Commissione comprende non solo �gli aiuti istituiti prima PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 329 aiuto di Stato, ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato allorch� � dimostrato che questa impresa: -� stata autorizzata a continuare la sua attivit� economica in circostanze in cui tale eventualit� sarebbe stata esclusa nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento, o -ha beneficiato di uno o pi� vantaggi, quali una garanzia di Stato, un'aliquota d'imposta ridotta, un'esenzione dall'obbligo di pagamento di ammende e altre sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei quali non �avrebbe potuto usufruire un'altra impresa insolvente nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento. Qualora sia dimostrato che un regime come quello istituito dalla legge n. 95/79 � idoneo, di per s�, a generare la concessione di aiuti di Stato ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato, il detto regime non pu� essere attuato se non � stato notificato alla Commissione e, in caso di notifica, prima di una decisione della Commissione che riconosca la compatibilit� del progetto di aiuto con il mercato comune o, se la Commissione non adotta alcuna decisione entro due mesi a decorrere dalla notifica, prima della scadenza di tale termine (2). II (omissis). 1. -Con ordinanza 29 luglio 1997, pervenuta in cancelleria 1'11 agosto successivo, il Tribunale di Genova ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 234 CE (ex art. 177), due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 92 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 87 CE). dell'entrata in vigore del Trattato�, ma altres� �quelli che hanno costituito oggetto di �una decisione di autorizzazione della Commissione o ai quali � gi� stata data legalmente esecuzione decorso il termine di due mesi di cui dispone la Commissione per il suo esame preliminare dei progetti di aiuto notificati�: se un aiuto, introdotto dopo il Trattato, � considerato compatibile per assenso o silenzio-assenso, una sua eventuale successiva rimozione deve necessariamente partire da una considerazione di �esistenza� e non di novit�, e il caso di un aiuto sul quale la Commissione abbia consapevolmente taciuto per lunghissimi anni ben avrebbe potuto essere assimilato ad un caso di silenzio-assenso. Nel merito si era sottolineato che la legge Prodi nel suo complesso non poteva considerarsi istitutiva di un �aiuto di Stato�. �Presupposto dell'apertura della procedura di amministrazione straordinaria -si era detto � esattamente il medesimo di quello per l'apertura del fallimento: lo stato di insolvenza. Se non esistesse o cadesse la procedura di amministrazione straordinaria, le imprese ad essa assoggettate sarebbero sottoposte alla procedura fallimentare. E le regole dell'amministrazione straordinaria sono esattamente quelle della procedura concorsuale ordinaria, cio� quelle del fallimento. �L'ordinamento giuridico italiano conosce, al pari di vari altri ordinamenti, una procedura concorsuale ordinaria di base -il fallimento -e alcune altre procedure concorsuali particolari, rese opportune da particolari posizioni: cos� sono sottoposte a procedura di liquidazione coatta amministrativa gli istituti di credito, le imprese fiduciarie, quelle di assicurazione, dove le norme di base sono pur sempre quelle fallimentari, mentre cambiano in parte gli organi, per una RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 330 0 2. -Tali questioni sono state proposte nell'ambito di una controversia tra la societ� Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio SpA (in prosieguo: la �Piaggio�) e la societ� di diritto tedesco Dornier Luftfahrt GmbH (in prosieguo: la �Dornier�) a proposito del rimborso della somma di L. 30.028.894.382 versata come pagamento dalla Piaggio alla Dornier. 3. -La Piaggio ha acquistato dalla Dornier tre aeromobili da destinare alle forze armate italiane. Per il pagamento la Piaggio, a partire dal dicembre 1992, ha effettuato a favore della Dornier vari versamenti, delegazioni di pagamento e cessioni di crediti. ingerenza della pubblica amministrazione -sempre per� sotto il controllo giurisdizionale -in considerazione del particolare interesse pubblico scaturente dall'attivit� svolta dall'impresa insolvente e in considerazione quindi di particolari esigenze di tutela dei terzi e della collettivit�. �In questo stesso spirito, e modellata secondo l'istituto della liquidazione coatta amministrativa, � stata creata la procedura concorsuale dell'amministrazione straordinaria. �Essa non si distingue significativamente dagli altri istituti concorsuali se non per il fatto che essenziale � la previsione di una continuazione dell'esercizio dell'impresa al fine di rimetterla per quanto possibile e nei limiti del possibile sul mercato. Ma attraverso la continuazione non si intende effettuare e garantire il salvataggio di un'impresa particolare e del suo imprenditore e tantomeno salvare l'impresa aiutandola a superare lo stato di insolvenza, ma si persegue il ben diverso scopo di tentare di salvare un patrimonio aziendale, cio� un complesso produttivo che di per s� � una ricchezza per l'economia nazionale, per l'occupazione e finanche, parallelamente, per gli stessi creditori. Cio�, in un'ordinaria procedura concorsuale i singoli beni dell'impresa vengono frammentati e si effettua un'operazione liquidatoria, che il pi� delle volte ottiene un risultato realizzativo molto modesto (non a caso si parla di �svendite fallimentari� per sottolineare gli scarsi ricavi che si realizzano): ad esempio in caso di fallimento di un'industria, i macchinari, ormai inutilizzati e svincolati dal processo produttivo, sono smobilizzati a valore bassissimo, sovente per essere addirittura rottamati. Con la legge Prodi si � inteso cercare di salvare le parti sane di un'impresa insolvente, rivitalizzando i comparti produttivi positivi con soppressione delle componenti negative. Per far ci�, � necessario tenere in vita l'attivit�, o pi� precisamente, continuando l'esercizio di impresa, quella parte di attivit� che presenta prospettive di salvezza. In tal modo, dopo un congruo periodo, si mette sul mercato un bene aziendale che pu� essere acquistato da terzi, non necessariamente per svolgere la stessa attivit� dell'imprenditore precedente (si parla infatti non solo di prosecuzione e riattivazione dell'esercizio, ma anche di riconversione dell'esercizio stesso, cio� con altra attivit� produttiva), con l'impegno di proseguire il rapporto di lavoro con almeno una parte dei precedenti addetti. Vengono salvaguardati in tal modo sia un bene produttivo (che � una ricchezza per l'intera economia), sia l'occupazione, con un possibile vantaggio degli stessi creditori, per l'affluenza, nell'attivo da ripartire, del valore di avviamento dell'azienda o parte d'azienda sopravvissuta o riconvertita. �Tutto ci� non ha nulla a che fare con la concorrenza e tanto meno con gli aiuti di Stato. �Realizzato il massimo profitto, con un salvataggio che il pi� delle volte � solo molto limitato (ma anche questo � meglio che niente), si passa all'ordinaria fase liquidatoria (che peraltro di regola accompagna, correndole parallelamente accanto, la fase gestionale), con beneficio anche per i creditori, considerato il maggior realizzo economico nella vendita. � possibile che questi risultati ottimali non si raggiungano, perch� ad esempio non riesce il piano di risanamento sia pur parziale che si era perseguito o perch� le condizioni di mercato non consentono di realizzare quanto sperato, ma � chiaro che ogni regola ha la sua eccezione e che ogni misura persegue una finalit� che pu� essere encomiabile ma non v'� la garanzia del successo in ogni caso. PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZION�LE 331 4. -Con decreto emanato il 28 novembre 1994 dal Ministro dell'Industria di concerto con il Ministro del Tesoro (GURI n. 281del1� dicembre 1994), la Piaggio � stata posta in amministrazione straordinaria ai sensi della legge 3 aprile 1979, n. 95 (GURI n. 94 del 4 aprile 1979; in prosieguo: la �legge n. 95/79�). Il detto provvedimento era stato adottato in seguito alla sentenza 29 ottobre 1994 con la quale il Tribunale di Genova ha dichiarato lo stato di insolvenza della Piaggio e la sua assoggettabilit� alla procedura di amministrazione straordinaria. 5. -Con atto di citazione del 14 febbraio 1996, la Piaggio ha adito il Tribunale di Genova sia per far dichiarare l'inefficacia nei confronti della massa dei suoi creditori �Questo meccanismo di salvare il salvabile, del resto, non � estraneo neanche al fallimento. Anche nella procedura fallimentare � prevista la possibilit� di un esercizio provvisorio dell'impresa, e ci� avviene quando gli organi fallimentari ritengono che ci� sia conveniente per una migliore realizzazione dell'attivo. Orbene, nel fallimento tutto ci�'� un'eccezione, mentre nella procedura di amministrazione straordinaria � la regola: ma ci� proprio perch� in questa particolare procedura, che riguarda, automaticamente, tutte le grandi imprese, v'� una valutazione normativa di base che vuole appunto realizzare la salvaguardia di un bene produttivo di notevoli dimensioni (o quella parte di esso che si ritiene salvabile) e contemporaneamente l'occupazione, in un equo contemperamento degli interessi in giuoco. E comunque, il tutto avviene previa redazione di un programma operativo che, come dice la legge (art. 2, co. 5) "deve prevedere, in quanto possibile e tenendo conto dell'interesse dei creditori, un piano di risanamento coerente con gli indirizzi della politica industriale, con indicazione specifica degli impianti da riattivare e di quelli da completare, nonch� degli impianti o complessi aziendali da trasferire e degli eventuali nuovi assetti imprenditoriali; per quanto possibile deve essere preservata l'unit� dei complessi operativi, compresi quelli da trasferire". Se ci si avvede che un tal programma non pu� essere realizzato, l'autorizzazione all'esercizio d'impresa non viene concessa e se concessa viene revocata e si passa tout court alla fase liquidatoria, come in una normale procedura fallimentare.� Queste considerazioni non sono state condivise dalla Corte per negare in toto alla legge Prodi l'accusa di avere istituito un aiuto di Stato incompatibile, ma hanno indotto la Corte a rimettere al giudice nazionale la valutazione caso per caso della ricorrenza di una misura vietata, riscontrabile laddove le stesse misure non sarebbero state giustificate nell'ambito di una ordinaria procedura fallimentare. , Ben difficile appare il compito attribuito al giudice nazionale. Lo stesso avvocato generale della Corte Damaso Ruiz -Jarabo Colomer, nella seconda causa aveva rilevato: �30. Confesso, per�, che la soluzione cui perviene la Corte di giustizia nella sentenza Ecotrade non mi sembra scevra da inconvenienti, in quanto impernia la decisione sul binomio norme di diritto comune I norme di diritto speciale in materia di fallimento. Lasciando da parte la concessione di garanzie da parte dello Stato che, come gi� si � detto, la Repubblica italiana � disposta a notificare caso per caso alla Commissione (v. il paragrafo 11 supra), non sono certo del fatto che il criterio della specialit� rispetto al regime ordinario del fallimento sia sufficiente per risolvere il problema. In tale ipotesi, basterebbe includere nel regime ordinario del fallimento le altre misure della legge n. 95/79 (cio�, i precetti relativi all'esenzione da ammende, alla rinuncia di determinati crediti pubblici o alla detrazione dell'aliquota dell'imposta di trasferimenti) per privarle del carattere di aiuti statali ? �31. A mio parere, forse sarebbe stato preferibile dare non un giudizio globale sul complesso di misure previste dalla legge n. 95/79, ma una soluzione che indicasse al giudice a quo che solo alla luce delle circostanze di ogni singolo caso concreto sarebbe possibile valutare se, di fatto, sia sussistito un aiuto statale. Altrimenti, e forse inevitabilmente, dati i limiti del procedimento pregiudiziale, la Corte di giustizia si � trovata nella causa Ecotrade ad emanare una decisione RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 332 di tutti i pagamenti, le cessioni di credito e le delegazioni di pagamento effettuati a favore della Dornier nel biennio anteriore al suo collocamento in amministrazione straordinaria, sia per far condannare quest'ultima a restituire le somme corrispondenti, oltre agli interessi. La Piaggio ha sostenuto in proposito che la Dornier aveva da essa ricevuto, per la vendita dei tre aeromobili, una serie di pagamenti preferenziali per un totale di L. 30.028.894.382 in spregio alla par condicio creditorum, pur sapendo che essa si trovava gia in situazione di dissesto finanziario. piuttosto ipotetica, trasferendo al giudice nazionale il compito di valutare se l'applicazione del regime speciale implichi per lo Stato "una perdita maggiore di quella prodotta, nel suo caso, dal regiine di diritto comune". Siffatta valutazione � estremamente difficile, se non impossibile, giacch� lo Stato, nell'ambito dei procedimenti ordinari di fallimento di grandi imprese, si vede pure costretto ad accettare normalmente soluzioni con costi per il pubblico erario, il cui ammontare � difficilmente valutabile a priori. �32. In termini economici, quindi, non � affatto facile affermare se il risultato finale di perdite per lo Stato -in altre parole, il saldo dell'intervento statale -sarebbe stato pi� positivo con l'applicazione del regime concorsuale ordinario che non con l'applicazione del regime di amministrazione straordinaria. Per sua natura, quest'ultimo implica una certa scommessa sul futuro, rinunciando all'immediata esazione di taluni crediti pubblici per cercare di mantenere l'attivit� dell'azienda e, con essa, la possibilit� di riscuotere in seguito non solo i crediti gi� scaduti, ma anche le entrate pubbliche (tributi, contributi sociali) che graveranno sulla futura attivit� aziendale. In realt�, non � molto diversa la posizione di un grande creditore privato (un ente finanziario, ad esempio) che pu� aver, talvolta, pi� interesse a mantenere l'attivit� dell'azienda debitrice, nel caso in cui fosse vitale, che liquidarne il patrimonio e riscuotere solo una parte del debito. In tal caso, sarebbe piuttosto l'assoluta mancanza di redditivit�, e non tanto le misure di amministrazione straordinaria, la chiave per valutare l'esistenza di aiuti statali incompatibili con il mercato comune.� La Corte di Cassazione, ricevuta la prima sentenza della Corte che rispondeva ai quesiti da essa posti, con sentenza 11 settembre 1999 n. 9681 ha rimesso gli atti al giudice di merito per le valutazioni di fatto indicate dal giudice comunitario. � fin troppo evidente il rischio che le valutazioni dei giudici di merito differiscano non solo a seconda delle varie procedure di amministrazione straordinaria ad essi sottoposte, ma anche in relazione alla medesima procedura. E tutt'altro che chiari ed univoci possono essere gli effetti di pronunce che individuino l'esistenza di un aiuto, disapplicando eventualmente il decreto ministeriale di apertura della procedura di amministrazione straordinaria che pur consegue ad una dichiarazione giurisdizionale dello stato di insolvenza. La �nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza� contenuta nel decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270 non contiene (n� poteva contenere) disposizioni transitorie idonee a risolvere tali situazioni, del resto puramente eventuali. Essa ha per� ricondotto l'istituto dell'amministrazione straordinaria ad una dimensione che appare tale da escludere che possano essere nuovamente individuati aiuti di Stato incompatibili. Con essa, infatti, la legge Prodi, dopo un'esperienza applicativa di poco meno di venti anni, attraverso un'attenta riconsiderazione, non solo � stata messa al passo con il mutare del tempo e l'acquisizione delle esperienze, ma � stata resa immune (cos� almeno si spera) da ulteriori accuse di incompatibilit� con la normativa comunitaria. Essa ha infatti seguito alcune linee direttrici che, le pi� significative, possono cos� sintetizzarsi: -la apertura della procedura di amministrazione straordinaria in luogo del fallimento � rimessa alla valutazione del Tribunale che gi� pronunciava lo stato di insolvenza e che ora dovr� valutare la capacit� di riequilibrio dell'impresa; -la continuazione dell'esercizio sar� limitata a un tempo molto breve (un anno), decorso il quale senza risultati apprezzabili, si inizia la procedura liquidatoria; -occorre un progetto di ristrutturazione economico-finanziaria per il ritorno �in bonis� dell'impresa. OSCAR FIUMARA PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 6. -La Piaggio ha basato la sua azione sull'art. 67 della legge fallimentare, applicabile nella fattispecie in virt� dei richiami contenuti nell'art. 1 della legge n. 95179 e nell'art. 203 della stessa legge fallimentare, che prevede la revocabilit�, a favore della massa dei creditori dell'impresa insolvente, dei pagamenti effettuati nel biennio precedente alla dichiarazione dello stato di insolvenza e all'avvio della procedura di amministrazione straordinaria. 7.-La Dornier ha eccepito in particolare, a sua difesa, l'incompatibilit� della legge n. 95179 con l'art. 92 del Trattato. 8. -La legge n. 95179 ha istituito la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. 9. -Ai sensi dell'art. 1, primo comma, di tale legge, sono soggette alla detta procedura le imprese che abbiano da almeno un anno un numero di addetti non inferiore a 300 e che presentino un'esposizione debitoria nei confronti di aziende di credito, istituti di previdenza ed assistenza sociale o societ� a prevalente partecipazione pubblica non inferiore a L. 80.444 miliardi e superiore a cinque volte il capitale versato della societ�. 10. -La procedura si applica, ai sensi dell'art. 1 bis della stessa legge, anche quando l'insolvenza deriva dall'obbligo di restituire somme non inferiori a L. 50 miliardi, che rappresentano almeno il 51 % del capitale versato, allo Stato, ad enti pubblici o a societ� a prevalente partecipazione pubblica, nel contesto della restituzione di aiuti illegittimamente ricevuti o incompatibili con il mercato comune oppure nell'ambito di finanziamenti concessi per innovazioni tecnologiche e attivit� di ricerca. 11. -Ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge n. 95/79, perch� si applichi la procedura di amministrazione straordinaria, l'impresa deve essere stata dichiarata insolvente in sede giudiziaria, in base alla legge fallimentare o a causa dell'omesso pagamento di almeno tre mensilit� di retribuzione. Il Ministro dell'Industria, di concerto con il Ministro del Tesoro, pu� in tal caso adottare un decreto con cui l'impresa viene posta in amministrazione straordinaria e autorizzare la stessa, tenendo conto dell'interesse dei creditori, a continuare la sua attivit� per un periodo non superiore a due anni, prorogabile per un periodo massimo di altri due anni su parere conforme del Comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale (in prosieguo: il �CIPI�). 12. -Le imprese in amministrazione straordinaria sono assoggettate alle norme generali della legge fallimentare, salvo deroghe espresse previste dalla legge n. 95179 o da leggi successive. Pertanto, nel caso dell'amministrazione straordinaria come in quello della procedura concorsuale ordinaria, il titolare dell'impresa insolvente non pu� disporre del suo patrimonio, che �, in via di principio, destinato a soddisfare le pretese dei creditori; gli interessi sui debiti esistenti sono sospesi; i pagamenti dei debiti effettuati durante un determinato periodo precedente la dichiarazione dello stato d'insolvenza sono revocabili; nessuna azione esecutiva individuale pu� essere RASSEGNA AVVOCXTURA DELLO STATIY<c 334 iniziata o proseguita sui beni dell'impresa interessata. Tuttavia, a differenza della procedura concorsuale ordinaria, nel caso dell'amministrazione straordinaria la sospensione di qualsiasi azione esecutiva si estende, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 544/81, ai debiti di natura fiscale nonch� alle penalit�, agli interessi e alle maggiorazioni in caso di ritardo nel pagamento dell'imposta sulle societ�. f' 13. -Inoltre, ai sensi dell'art. 2 bis della legge n. 95179 lo Stato pu� garantire in tutto o in parte i debiti che le societ� in amministrazione straordinaria contraggono per il finanziamento della gestione corrente e per la riattivazione e il completamento degli impianti, immobili e attrezzature industriali, secondo le condizioni e le modalit� disciplinate con decreto del Ministro del Tesoro, su conforme delibera del CIPI. 14. -Nell'ambito del processo di risanamento � consentito procedere alla vendita del complesso aziendale dell'impresa insolvente secondo le modalit� previste dalla legge n. 95/79. Ai sensi dell'art. 5 bis di quest'ultima, il trasferimento di propriet� in tutto o in parte dell'impresa � soggetto ad un'imposta fissa di registrazione di L. 1 milione. I 15. -Peraltro, ai sensi dell'art. 3, secondo comma, della legge 6 febbraio 1987, I ~ n. 19 (GURI n. 32 del 9 febbraio 1987), le imprese in amministrazione straordinaria ij beneficiano dell'esonero dal pagamento delle ammende e sanzioni pecuniarie inflitte in caso di mancato versamento dei contributi previdenziali obbligatori. 16. -Ai sensi dell'art. 2, secondo trattino, della legge n. 95/79, allorch� l'impresa in amministrazione straordinaria � autorizzata a continuare la sua attivit�, il I commissario incaricato di gestirla deve predisporre un adeguato programma di gestione, la cui compatibilit� con le linee generali della politica industriale nazionale I viene accertata dal CIPI prima dell'approvazione da parte del Ministro dell'Industria. Le decisioni che riguardano questioni quali la ristrutturazione, la vendita del patri I monio, la liquidazione o la conclusione del periodo di amministrazione straordinaria ~ devono essere approvate dallo stesso Ministro. 17. -Solo alla fine del periodo di amministrazione straordinaria i creditori dell'impresa posta in tale regime possono essere soddisfatti, in tutto o in parte, mediante la liquidazione dei beni dell'impresa o grazie ai suoi nuovi utili. Inoltre, ai sensi degli artt. 111 e 212 della legge fallimentare, le spese per l'amministrazione straordinaria e per la continuazione dell'esercizio dell'impresa, ivi compresi i debiti contratti, vengono pagate prelevando le relative somme sul ricavato della massa e in via prioritaria rispetto ai crediti gi� esistenti al momento dell'avvio della procedura di amministrazione straordinaria. 18. -La procedura di amministrazione straordinaria si chiude in seguito al concordato, alla ripartizione integrale dell'attivo e all'estinzione totale dei crediti o per insufficienza dell'attivo, ovvero in seguito al recupero da parte dell'impresa della capacit� di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, e quindi dopo il ritorno all'equilibrio finanziario. PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZI6NALE 19. -Occorre precisare, d'altronde, che con la lettera E 13/92(GU 1994, C 395, pag. 4), inviata al governo italiano ai sensi dell'art. 88, n. 1, CE (ex art. 93, n. 1, del Trattato CE), la Commissione ha rilevato che la legge n. 95179 le sembrava rientrare, sotto diversi profili, nell'ambito d'applicazione dell'art. 92 e seguenti del Trattato ed ha chiesto che le fossero notificati previamente tutti i casi di applicazione di tale legge, allo scopo di sottoporli ad esame in base alla disciplina applicabile agli aiuti alle imprese in difficolt�. 20. -Dato che le autorit� italiane hanno risposto di essere disposte a notificare previamente soltanto i casi di concessione della garanzia dello Stato di cui all'art. 2 bis della legge n. 95/79, la Commissione ha deciso di instaurare il procedimento previsto dall'art. 88, n. 2, CE. Non risulta dal fascicolo che tale procedimento abbia finora portato ad una decisione finale della Commissione. 21. -Alla luce di quanto sopra il giudice a quo, dubitando della compatibilit� dell'art. 92 del Trattato con la legge n. 95/79, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali: 1) Se sia ammissibile da parte di un giudice nazionale domandare alla Corte di giustizia delle Comunit� europee una diretta pronuncia sulla compatibilit� di una norma della legislazione di uno Stato membro ai precetti di cui all'art. 92 del Trattato (aiuti concessi dagli Stati). 2) In caso affermativo, se con la legge 3 aprile 1979, n. [95], istitutiva dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi -ed in particolare mediante le provvidenze enunciate in parte motiva contenute nella stessa legge -lo Stato italiano possa ritenersi aver concesso a talune imprese previste dal provvedimento medesimo (c.d. grandi imprese) aiuti contrastanti con l'art. 92 del Trattato�. Sulla ricevibilit� della domanda pregiudiziale 22. -La Piaggio sostiene che la domanda pregiudiziale � irricevibile in quanto, in primo luogo, l'ordinanza di rinvio non definisce adeguatamente e chiaramente il contesto regolamentare entro il quale si inserisce l'interpretazione richiesta e, in secondo luogo, le questioni proposte sono irrilevanti ai fini della soluzione della causa a qua, dato che la sua azione revocatoria � basata su disposizioni ordinarie in materia di fallimento che prevedono la revocabilit� dei pagamenti effettuati nel corso del biennio anteriore alla dichiarazione dello stato di insolvenza. 23. -A questo proposito, anche se l'ordinanza di rinvio presenta solo in modo succinto il contesto giuridico che sta alla base della domanda pregiudiziale, questa circostanza non � tuttavia idonea, nel caso di specie, a comportarne l'irricevibilit�. Infatti, tale presentazione � sufficiente giacch� consente di comprendere chiaramente le questioni proposte. 24. -D'altra parte, occorre ricordare che spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui � stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilit� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO � 336 dell' emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessit� di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (v., in particolare, sentenza 1� dicembre 1998, causa C-200/97, Ecotrade, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 25). 25. -Del resto, � sufficiente constatare che nel presente procedimento l'accertare se un regime come quello istituito dalla legge n. 95/79 debba essere qualificato aiuto nuovo o aiuto esistente -questione che la Corte esaminer� d'ufficio, in prosieguo, nell'ambito della stretta cooperazione che essa deve stabilire con i giudici nazionali -non � irrilevante ai fini della definizione della causa a qua, tenuto conto delle conseguenze che il giudice di rinvio pu� essere tenuto a trarre, alla luce degli artt. 92 del Trattato (divenuto, in seguito a modica, art. 87, CE) e 88 CE (ex art. 93), dalla mancanza di previa notifica alla Commissione del regime di aiuto eventualmente in questione. 26. -Inoltre, niente consente di affermare prima facie che, se la Piaggio fosse stata integralmente soggetta alla procedura concorsuale ordinaria, la situazione della Domier sarebbe stata identica sotto tutti i punti di vista, in particolare, per quanto riguarda le sue possibilit� di recuperare almeno parzialmente i suoi crediti, nonostante il fatto che la revocabilit� dei pagamenti effettuati nel corso del periodo sospetto anteriore alla dichiarazione di insolvenza sia prevista anche nell'ambito della procedura fallimentare ordinaria. Tale questione rientra nella valutazione del giudice nazionale. 27. -Si devono quindi risolvere le questioni pregiudiziali. Sulla prima questione pregiudiziale 28. -Con la prima questione il giudice a quo chiede se gli sia consentito domandare alla Corte di giustizia una pronuncia diretta sulla compatibilit� di� una misura nazionale con l'art. 92 del Trattato. 29. -Occorre, anzitutto, ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, nell'ambito di un procedimento instaurato ai sensi dell'art. 234 CE la Corte non � competente ad interpretare il diritto nazionale o a statuire sulla compatibilit� di una misura nazionale con il diritto comunitario (v., in particolare, sentenza 21 gennaio 1993, causa C-188/91, Deutsche Shell, Racc., I-363, punto 27). 30. -Per quanto riguarda pi� in particolare il controllo del rispetto da parte degli Stati membri degli obblighi loro incombenti in forza degli artt. 92 del Trattato e 88 CE, occorre tener conto dei ruoli complementari e distinti svolti dai giudici nazionali e dalla Commissione, come ricordati dalla Corte nella sentenza 11 luglio 1996, causa C-39/94, SFEI e a., Racc., I-3547, punti 41 e seguenti). PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 31. -Mentre la valutazione della compatibilit� di provvedimenti di aiuto con il mercato comune rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che agisce sotto il controllo della Corte, i giudici nazionali provvedono alla salvaguardia dei diritti de;gli amministrati in caso di inadempimento dell'obbligo di notifica previa degli aiuti di Stato alla Commissione previsto dall'art. 88, n. 3, CE. 32. -In proposito, per essere in grado di determinare se un provvedimento statale adottato nell'inosservanza del procedimento di controllo previo stabilito dall'art. 88, n. 3, CE dovesse o meno esservi soggetto, un giudice nazionale pu� trovarsi ad interpretare la nozione di aiuto ai sensi dell'art. 92 del Trattato. Qualora, come nel caso di specie -secondo quanto risulta dall'ordinanza di rinvio -, nutra dubbi sulla qualifica di aiuto di Stato del provvedimento di cui trattasi, esso pu� chiedere alla Commissione chiarimenti su questo punto o, in conformit� all'art. 234, secondo e terzo comma, CE, pu� o deve sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 92 del Trattato (sentenza SFEI e a., cit., punti 49-51). 33. -In questo senso, al fine di fornire una soluzione utile al giudice a quo, occorre esaminare se un regime come quello istituito dalla legge n. 95/79, che deroga alle norme del diritto ordinario in materia di fallimento, debba qualificarsi aiuto di Stato ai sensi dell'art. 92 del Trattato e avrebbe dovuto essere notificato alla Commissione previamente alla sua attuazione ai sensi dell'art. 88, n. 3, CE. Sulla qualifica di aiuto 34. -Come la Corte ha gi� dichiarato, la nozione di aiuto � pi� ampia della nozione di sovvenzione poich� comprende non soltanto prestazioni positive come le sovvenzioni stesse, ma anche interventi che, in varie forme, alleviano gli oneri che di regola gravano sul bilancio di un'impresa e che di conseguenza, senza essere sovvenzioni in senso stretto, ne hanno la stessa natura e producono effetti identici (v. sentenze 15 marzo 1994, causa C-387/92, Banco Exterior de Espafi.a, Racc., I-877, punto 13, ed Ecotrade, cit., punto 34). 35. -Il termine �aiuti�, ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato, implica necessariamente vantaggi concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali o che costituiscono un onere supplementare per lo Stato o per gli enti designati o istituiti a tal fine (v., in particolare, sentenza 7 maggio 1998, cause riunite da C-52/97 a C-54/97, Viscido e a., Racc., I-2629, punto 13). 36. -Come la Corte ha affermato a proposito dell'art. 4, lett. c), del Trattato CECA nella citata sentenza Ecotrade, diverse caratteristiche del regime istituito dalla legge n. 95/79, in particolare con riguardo alle circostanze della fattispecie di cui alla causa a qua, potrebbero consentire di dimostrare, se la portata loro attribuita qui di seguito venisse confermata dal giudice a quo, l'esistenza di un aiuto ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato. RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO ST~'(J 0 338 37. -Anzitutto, dal fascicolo di causa risulta che la legge n. 95/79 tende ad applicarsi in maniera selettiva a favore di grandi imprese industriali in difficolt� che hanno una posizione debitoria particolarmente elevata verso talune categorie di creditori, per la maggior parte di carattere pubblico. Come ha rilevato la Corte nel punto 38 della citata sentenza Ecotrade, � altamente probabile che lo Stato o enti pubblici figurino tra i principali creditori dell'impresa interessata. 38. -Occorre anche sottolineare che le decisioni del Ministro dell'Industria di collocare l'impresa in difficolt� in amministrazione straordinaria e di autorizzarla a continuare la sua attivit�, anche supponendo che siano adottate tenendo conto al meglio degli interessi dei creditori e, in particolare, delle possibilit� di valorizzazione dell'attivo dell'impresa, sono del pari influenzate, come la Corte ha affermato nel punto 39 della citata sentenza Ecotrade, e come ha confermato il giudice di rinvio, dall'intento di salvaguardare, per considerazioni di politica industriale nazionale, l'attivit� economica dell'impresa. 39. -Alla luce di queste considerazioni, tenuto conto della categoria delle imprese cui si riferisce la normativa controversa e dell'ampiezza del potere discrezionale di cui gode il Ministro, in particolare quando autorizza un'impresa insolvente in amministrazione straordinaria a continuare la sua attivit�, la normativa di cui trattasi soddisfa la condizione di specificit� che costituisce una delle caratteristiche della nozione di aiuto di Stato (v., in tal senso, sentenza 26 settembre 1996, causa C-241/94, Francia/Commissione, Racc., I-4551, punti 23 e 24). 40. -Inoltre, indipendentemente dall'obiettivo perseguito dal legislatore nazionale, risulta che la normativa di cui trattasi pu� collocare le imprese alle quali si applica in una situazione pi� favorevole rispetto ad altre in quanto consentirebbe la continuazione della loro attivit� economica in circostanze in cui tale eventualit� sarebbe esclusa nell'ambito dell'applicazione delle norme ordinarie in materia di fallimento, poich� queste ultime tengono conto in misura determinante della tutela degli interessi dei creditori. Ora, tenuto conto del rango prioritario dei crediti collegati alla continuazione dell'attivit� economica, l'autorizzazione a continuare quest'ultima, in tali circostanze, potrebbe comportare un onere supplementare per i pubblici poteri se fosse effettivamente dimostrato che lo Stato o enti pubblici figurano tra i principali creditori dell'impresa in difficolt�, dato che quest'ultima �, per ipotesi, debitrice di somme rilevanti. 41.-Per il resto, oltre alla concessione della garanzia dello Stato ai sensi dell'art. 2 bis della legge n. 95/79, che le autorit� italiane hanno accettato di notificare previamente alla Commissione, la collocazione in amministrazione straordinaria comporta l'estensione del divieto e della sospensione di qualsiasi azione esecutiva individuale ai debiti di natura fiscale e alle penalit�, interessi e maggiorazioni in caso di ritardo nel pagamento dell'imposta sulle societ�, l'esenzione dall'obbligo di pagamento delle ammende e sanzioni pecuniarie in caso di mancato pagamento dei contributi previdenziali e l'applicazione di un'aliquota preferenziale in caso di trasferimento totale o parziale dell'impresa, in quanto il PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE trasferimento � soggetto all'imposta di registro nella misura fissa di L. 1 milione, mentre l'imposta di registro ordinaria ammonta al 3% del valore dei beni ceduti. 42. -Tali vantaggi, concessi dal legislatore nazionale, possono comportare anche un onere supplementare per i pubblici poteri sotto forma di una garanzia di Stato, di una rinuncia effettiva ai crediti pubblici, di un'esenzione dall'obbligo di pagamento di ammende o altre sanzioni pecuniarie o di un'aliquota d'imposta ridotta. La situazione potrebbe essere diversa solo se fosse dimostrato che la collocazione in amministrazione straordinaria e la continuazione dell'attivit� economica dell'impresa non hanno effettivamente comportato, o non dovrebbero comportare, un onere supplementare per lo Stato rispetto a quanto sarebbe derivato dall'applicazione delle disposizioni ordinarie in materia di fallimento. Spetta al giudice a quo controllare tali elementi dopo aver, se del caso, chiesto delucidazioni alla Commissione. 43. -Da quanto precede risulta che si deve ritenere che l'applicazione ad un'impresa di un regime come quello istituito dalla legge n. 95/79 e derogatorio alle regole normalmente vigenti in materia di fallimento d� luogo alla concessione di un aiuto di Stato, ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato, allorch� � dimostrato che questa impresa: -� stata autorizzata a continuare la sua attivit� economica in circostanze in cui tale eventualit� sarebbe stata esclusa nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento, o -ha beneficiato di uno o pi� vantaggi, quali una garanzia di Stato, un'aliquota d'imposta ridotta, un'esenzione dall'obbligo di pagamento di ammende e altre sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei quali non avrebbe potuto usufruire un'altra impresa insolvente nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento. Sulle conseguenze della mancanza di notifica previa 44. -Il Trattato ha previsto e disciplinato, nell'art. 88 CE, l'esame permanente ed il controllo degli aiuti di Stato da parte della Commissione. Per quanto riguarda i nuovi aiuti che gli Stati membri intendono istituire, � previsto un procedimento preliminare senza il quale nessun aiuto pu� considerarsi legittimamente istituito. Ai sensi dell'art. 88, n. 3, prima frase, CE, i progetti intesi ad istituire o a modificare aiuti devono essere notificati alla Commissione prima di essere attuati. 45. -La Commissione ha cionondimeno qualificato il regime della legge n. 95179 �aiuto di Stato esistente�, pur riconoscendo che questa legge, bench� promulgata dopo l'entrata in vigore del Trattato, non le � stata notificata in conformit� alle disposizioni dell'art. 88, n. 3, CE. La sua posizione si basa su motivi di opportunit�, fra i quali figurano, in particolare, i propri dubbi, che si sono protratti per quattordici anni, quanto alla qualifica di aiuto di Stato che poteva assumere la legge n. 95/79, l'affidamento degli operatori economici soggetti a tale regime, l'applicazione poco frequente di quest'ultimo e l'impossibilit� pratica di ottenere il rimborso delle somme eventualmente recuperabili. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO cc 340 46. -Questo modo di vedere non pu� essere accettato. 47. -Infatti, l'accertamento se un aiuto sia nuovo e se la sua istituzione rkhieda, quindi, l'avvio del procedimento di esame preliminare, previsto dall'art. 88, n. 3, CE, non pu� dipendere da una valutazione soggettiva della Commissione. 48. -Come la Corte ha gi� affermato nella sentenza 9 agosto 1994, causa C44/ 93, Namur-Les assurances du cr�dit (Racc., 1-3829, punto 13), risulta tanto dalla lettera quanto dalle finalit� delle disposizioni dell'art. 88 CE (ex art. 93) che devono essere considerati aiuti esistenti ai sensi del n. 1 del detto articolo gli aiuti che esistevano prima della data dell'entrata in vigore del Trattato e quelli che possono essere stati regolarmente attuati alle condizioni previste dall'art. 88, n. 3, CE, ivi compresi quelli risultanti dall'interpretazione data a tale articolo dalla Corte nella sentenza 11 dicembre 1973, causa 120/73, Lorenz (Racc., 1471, punti 4-6), mentre devono considerarsi aiuti nuovi, soggetti all'obbligo di notifica previsto da quest'ultima disposizione, i provvedimenti diretti ad istituire o modificare aiuti, fermo restando che le modifiche possono riguardare aiuti esistenti o progetti iniziali notificati alla Commissione. 49. -Quindi, qualora sia dimostrato che un regime come quello istituito dalla legge n. 95/79 � idoneo, di per s�, a generare la concessione di aiuti di Stato ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato, il detto regime non pu� essere attuato se non � stato I notificato alla Commissione e, in caso di notifica, prima di una decisione della Commissione che riconosca la compatibilit� del progetto d'aiuto con il mercato I comune o, se la Commissione non adotta alcuna decisione entro due mesi a decorrere dalla notifica, prima della scadenza di tale termine (v. sentenza Lorenz, cit., punto 4). I 50. -La prima questione va quindi risolta come segue: ~ I Nell'ambito di un procedimento instaurato ai sensi dell'art. 234 CE la Corte non w � competente ad interpretare il diritto nazionale o a statuire sulla compatibilit� di un ~ provvedimento nazionale con l'art. 92 del Trattato. Tuttavia, un giudice nazionale, qualora venga adito con una domanda diretta a fargli trarre le conseguenze dalla violazione dell'art. 88, n. 3, ultima frase, CE, pu� chiedere chiarimenti alla Commissione o, in conformit� all'art. 234, secondo e terzo comma, CE, pu� o deve sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 92 del Trattato al fine di determinare se i provvedimenti statali di cui trattasi costituiscano aiuti di Stato che avrebbero dovuto essere notificati alla Commissione. Si deve ritenere che l'applicazione ad un'impresa di un regime come quello istituito dalla legge n. 95/79 e derogatorio alle regole normalmente vigenti in materia di fallimento d� luogo alla concessione di un aiuto di Stato, ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato, allorch� � dimostrato che questa impresa -� stata autorizzata a continuare la sua attivit� economica in circostanze in cui tale eventualit� sarebbe stata esclusa nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento, o -ha beneficiato di uno o pi� vantaggi, quali una garanzia di Stato, un'aliquota d'imposta ridotta, un'esenzione dall'obbligo di pagamento di ammende e altre PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE sanzioni pecuniarie o una rinuncia effettiva, totale o parziale, ai crediti pubblici, dei quali non avrebbe potuto usufruire un'altra impresa insolvente nell'ambito dell'applicazione delle regole normalmente vigenti in materia di fallimento. Qualora sia dimostrato che un regime come quello istituito dalla legge n. 95179 � idoneo, di per s�, a generare la concessione di aiuti di Stato ai sensi dell'art. 92, n. 1, del Trattato, il detto regime non pu� essere attuato se non � stato notificato alla Commissione e, in caso di notifica, prima di una decisione della Commissione che riconosca la compatibilit� del progetto di aiuto con il mercato comune o, se la Commissione non adotta alcuna decisione entro due mesi a decorrere dalla notifica, prima della scadenza di tale termine. Sulla seconda questione pregiudiziale 51. -Tenuto conto della soluzione della prima questione, non vi � motivo di risolvere la seconda questione (omissis). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 1� giugno 1999, nella causa C-126/97 -Pres. Rodr�guez Iglesias -Rei. Moitinho de Almeida -Avv. Gen. Saggio -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge Raad dei Paesi Bassi nella causa Eco Swiss China Time Ltd. contro Benetton International -Interv.: Governi olandese (ag. Fierstra), francese (ag. Rispal -Bellanger), italiano (avv. Stato Braguglia) e del Regno unito (ag. Collins) e Commissione delle C.E. (ag. Timmermans, Wils e van Vliet). Comunit� europee -Concorrenza -Applicazione d'ufficio dell'art. 81 CE (ex art. 85) -Poteri del giudice nazionale in sede di impugnazione dei lodi arbitrali. (Trattato CE, artt. 3 e 81). Un giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi su un 'impugnazione per nullit� di un lodo arbitrale, deve accoglierla se ritiene che il lodo sia effettivamente in contrasto con l'art. 81 CE, quando, ai sensi delle norme di procedura nazionali, deve accogliere un 'impugnazione per nullit� fondata sulla violazione di norme nazionali di ordine pubblico. In base al diritto comunitario non si devono disapplicare le norme di diritto processuale nazionale, ai sensi delle quali un lodo arbitrale interlocutorio avente natura di decisione definitiva che non ha fatto oggetto di un 'impugnazione per nullit� entro il termine di legge acquisisce l'autorit� della cosa giudicata e non pu� pi� essere rimesso in discussione da un lodo arbitrale successivo, anche se ci� � necessario per poter esaminare, nell'ambito del procedimento d'impugnazione per nullit� diretto contro il lodo arbitrale successivo, se un contratto, la cui validit� giuridica � stata stabilita dal lodo arbitrale interlocutorio, sia tuttavia nullo poich� in contrasto con l'art. 81 CE. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'� 342 (omissis). Sulla seconda questione 31. -Nella seconda questione, che occorre esaminare per prima, il giudice a quo chiede in sostanza se un giudice nazionale, al quale � sottoposta l'impugnazione per nullit� di un lodo arbitrale, debba accogliere tale ricorso qualora ritenga che tale decisione sia effettivamente contraria all'art. 81 CE, anche se, in base alle regole di procedura interne, non dovrebbe accogliere tale ricorso che per un numero limitato di motivi, tra i quali figura la contrariet� all'ordine pubblico, concetto nel quale non rientra, in linea generale, secondo il diritto nazionale applicabile, la semplice circostanza che il contenuto o l'esecuzione di un lodo arbitrale facciano venir meno lapplicazione di un divieto sancito dal diritto della concorrenza. 32. -Innanzi tutto si deve richiamare l'attenzione sul fatto che, se un arbitrato convenzionale solleva questioni di diritto comunitario, il giudice ordinario pu� esaminarle, in particolare nell'ambito del controllo del lodo arbitrale, pi� o meno ampio a seconda dei casi, che spetta ad esso in caso di appello, di opposizione, di exequatur, o di qualsiasi altra impugnazione o altra forma di controllo contemplata dalla normativa nazionale applicabile (v. sentenza Nordsee, cit., punto 14). 33. -La Corte ha aggiunto, al punto 15 della sentenza Nordsee, cit., che spetta ai detti giudici nazionali controllare se si debba rinviare alla Corte ai sensi dell'art. 234 CE, per ottenere l'interpretazione o la valutazione della validit� delle disposizioni di diritto comunitario che essi debbano applicare in sede di controllo giurisdizionale di un lodo arbitrale. 34. -A tale riguardo, la Corte ha considerato, ai punti da 10 a 12 della stessa sentenza, che un collegio arbitrale convenzionale non costituisce una "giurisdizione nazionale di uno Stato membro" ai sensi dell'art. 234 CE, perch� per le parti contraenti non vi � alcun obbligo, n� di diritto n� di fatto, di affidare la soluzione delle proprie liti a un arbitrato, e perch� le autorit� pubbliche dello Stato membro interessato non sono implicate nella scelta della via dell'arbitrato n� sono chiamate a intervenire d'ufficio nello svolgimento del procedimento dinanzi all'arbitro. 35. -Occorre osservare poi che le esigenze di efficacia del procedimento arbitrale giustificano il fatto che il controllo dei lodi arbitrali rivesta un carattere limitato, e che un lodo arbitrale possa essere dichiarato nullo o vedersi negare il riconoscimento solo in casi eccezionali. 36. -Tuttavia, l'art. 81 CE costituisce, ai sensi dell'art. 3, lett. g), del Trattato CE [divenuto, in seguito a modifica, art. 3, n. 1, lett. g), CE] una disposizione fondamentale indispensabile per l'adempimento dei compiti affidati alla Comunit� e, in particolare, per il funzionamento del mercato interno. L'importanza di una ,, disposizione siffatta ha indotto gli autori del Trattato a prevedere espressamente, al n. 2 dell'art. 81 CE, che gli accordi e le decisioni vietati in virt� di tale articolo sono ~ nulli di pieno diritto. % '" 1: r-c, PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 37. -Ne consegue che, nei limiti in cui un giudice nazionale debba, in base alle proprie regole di procedura interne, accogliere un'impugnazione per nullit� di un lodo arbitrale fondata sulla violazione delle norme nazionali di ordine pubblico, esso deve ugualmente accogliere una domanda fondata sulla violazione del divieto sancito dall'art. 81, n. 1, CE. 38. -Questa conclusione non viene rimessa in discussione dal fatto che la Convenzione di New York 10 giugno 1958, sul riconoscimento e l'esecuzione dei lodi arbitrali stranieri, ratificata da tutti gli Stati membri, prevede che soltanto determinati vizi possono giustificare un rifiuto di riconoscimento e di esecuzione di un lodo arbitrale, vale a dire il mancato rispetto o il superamento, da parte del lodo, dei termini della clausola compromissoria, il carattere non vincolante della decisione per le parti o la contrariet� del riconoscimento o dell'esecuzione della stessa con l'ordine pubblico del paese nel quale tale riconoscimento o tale esecuzione sono richiesti [art. 5, n. 1, lett. e) ed e), e 2, lett. b), della Convenzione di New York]. 39. -In effetti, per le ragioni menzionate al punto 36 di questa sentenza, l'art. 81 CE pu� essere considerato una disposizione di ordine pubblico ai sensi di detta convenzione. 40. -Infine � importante ricordare che, come � stato rilevato al punto 34 di questa sentenza, gli arbitri, diversamente da un giudice nazionale, non possono chiedere alla Corte di pronunciarsi in via pregiudiziale su questioni relative all'interpretazione del diritto comunitario. Ora, l'ordinamento giuridico comunitario ha manifestamente interesse, per evitare future divergenze di interpretazione, a far s� che sia garantita un'interpretazione uniforme di tutte le norme di diritto comunitario, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate (sentenza 25 giugno 1992, causa C-88/91, Federconsorzi, Racc., 1-4035, punto 7). Ne consegue che, nella situazione oggetto della presente causa e diversamente dalla sentenza Van Schijndel e Van Veen, cit., il diritto comunitario esige che questioni relative all'interpretazione del divieto sancito dall'art. 81, n. 1, CE, possano essere esaminate dai giudici nazionali chiamati a pronunciarsi sulla validit� di un lodo arbitrale e possano essere oggetto, all'occorrenza, di un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte. 41. -Si deve pertanto risolvere la seconda questione nel senso che un giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi su un'impugnazione per nullit� di un lodo arbitrale, deve accogliere tale domanda se ritiene che la decisione sia effettivamente in contrasto con l'art. 81 CE, quando, ai sensi delle norme di procedura nazionali, deve accogliere un'impugnazione per nullit� fondata sulla violazione di norme nazionali di ordine pubblico. (omissis). Sulla quarta e la quinta questione 43. -Nella quarta e nella quinta questione, che occorre esaminare insieme, il giudice di rinvio chiede, in sostanza, se in base al diritto comunitario vadano RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 344 disapplicate le norme di diritto processuale nazionale, ai sensi delle quali un lodo arbitrale interlocutorio avente natura di decisione definitiva che non ha fatto oggetto di un'impugnazione per nullit� entro il termine di legge acquisisce l'autorit� della cosa giudicata e non pu� pi� essere rimesso in discussione da un lodo arbitrale successivo, anche se ci� � necessario per poter esaminare, nell'ambito dell'impugnazione per nullit� diretta contro il lodo arbitrale successivo, se un contratto, la cui validit� giuridica � stata stabilita dalla decisione arbitrale interlocutoria, sia tuttavia nullo poich� in contrasto con l'art. 81 CE. 44. -Occorre ricordare che, ai sensi delle norme di procedura nazionali applicabili alla causa a qua, l'impugnazione per nullit� di un lodo arbitrale interlocutorio avente natura di decisione definitiva pu� essere proposta nel termine di tre mesi che decorre dal deposito di tale lodo presso la cancelleria del giudice competente. 45. -Un termine siffatto, che non sembra troppo breve in rapporto a quelli fissati negli ordinamenti giuridici degli altri Stati membri, non � tale da rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile lesercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario. 46. -Inoltre si deve sottolineare che, allo spirare di tale termine, norme di procedura nazionali che limitano la possibilit� di impugnare per nullit� un lodo arbitrale successivo che sviluppa un lodo arbitrale interlocutorio avente natura di decisione definitiva, per il motivo che quest'ultimo � rivestito dell'autorit� di cosa giudicata, si giustificano in virt� dei principi che stanno alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali il principio della certezza del diritto e quello del rispetto della cosa giudicata che ne costituisce I'espressione. 47. -In tali condizioni, il diritto comunitario non impone a un giudice nazionale di disapplicare siffatte norme, anche se ci� � necessario per poter esaminare, nell'ambito del procedimento d'impugnazione per nullit� diretto contro il lodo arbitrale successivo, se un contratto, la cui validit� giuridica � stata stabilita dal lodo arbitrale interlocutorio, sia tuttavia nullo poich� in contrasto con l'art. 81 CE. 48. -Si deve pertanto risolvere la quarta e la quinta questione nel senso che in base al diritto comunitario non si devono disapplicare le norme di diritto processuale nazionale, ai sensi delle quali un lodo arbitrale interlocutorio avente natura di decisione definitiva che non ha fatto oggetto di un'impugnazione per nullit� entro il termine di legge acquisisce l'autorit� della cosa giudicata e non pu� pi� essere rimesso in discussione da un lodo arbitrale successivo, anche se ci� � necessario per poter esaminare, nell'ambito del procedimento d'impugnazione per nullit� diretto contro il lodo arbitrale successivo, se un contratto, la cui validit� giuridica � stata stabilita dal lodo arbitrale interlocutorio, sia tuttavia nullo poich� in contrasto con l'art. 81 CE. (omissis). PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 345 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 5il, 22 giugno 1999, nella causa C-412/97 -Pres. Puissochet -Rei. Jann -Avv. Gen. Cosmas. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di Bologna nella causa ED s.r.l. contro Italo Fenocchio. Interv.: Governi italiano (avv. Stato Fiumara), francese (ag. K. Rispal-Bellanger e G. Mignot) e austriaco (ag. C. Stix -Hackl) e Commissione delle C.E. ( ag. P. Stancanelli). Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Libera circolazione dei servizi -Libera circolazione dei capitali -Disposizione nazionale che vieta l'emissione di decreto ingiuntivo da notificare fuori dal territorio nazionale -Compatibilit�. (Trattato CE, artt. 29, 49 e 56; codice di procedura civile, art. 633). L'art. 34 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 29 CE) non osta ad una normativa nazionale -quale l'art. 633 del codice di procedura civile italiano -che non ammette il ricorso al procedimento di ingiunzione nel caso in cui la notificazione al debitore debba essere effettuata in un altro Stato membro della Comunit�. Una tale disposizione procedurale nazionale non costituisce neanche restrizione alla libert� dei pagamenti(l). (1) La notificazione del decreto ingiuntivo all'estero: una normativa obsoleta. 1. -Secondo l'art. 633, terzo comma, cod. proc. civ. �l'ingiunzione non pu� essere pronunciata se la notificazione all'intimato di cui all'art. 643 deve avvenire fuori della Repubblica o dei territori soggetti alla sovranit� italiana�. L'ingiunzione, quindi, � ammessa solo se la notificazione debba essere eseguita nel territorio italiano (non sussistendo ora altri territori soggetti alla sovranit� italiana, a differenza di quanto si verificava -nel 1940 -all'atto dell'entrata in vigore del c.p.c.). Ma, disponendo ancora oggi il successivo art. 644 che �il decreto di ingiunzione diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di sessanta giorni dalla pronuncia, se deve avvenire nel territorio della Repubblica (escluse le province libiche), e di novanta giorni negli altri casi�, si � ritenuto -per dar ancora un significato alla norma -che � valida una notificazione all'estero nel caso che il debitore abbia trasferito la residenza all'estero dopo l'emissione del decreto ingiuntivo, legittimamente emesso alloch� la residenza figurava ancora nel territorio italiano. Il legislatore italiano aveva vietato l'emissione di un decreto ingiuntivo ove esso avesse dovuto essere notificato all'estero (e ci� a prescindere del tutto dalla cittadinanza del debitore stesso) in un tempo -oltre mezzo secolo fa -in cui una notificazione all'estero non garantiva adeguatamente della sua efficacia. Ma la norma � rimasta cos� come era e la giurisprudenza prevalente ritiene che l'eseguibilit� della notificazione in Italia costituisce una delle condizioni di ammissibilit� della domanda di ingiunzione (Cass. 22 giugno 1957, n. 2376, in Giust. civ. 1957, I, 1492; Cass. S.U. 1� agosto 1968, n. 2736, in Giur. it., 1969, I, 1538). Non manca, per�, chi pensa il contrario e ritiene la norma non solo priva di una attuale logica, ma addirittura superata e inapplicabile in forza delle norme comunitarie sulla libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali (cos� non solo una parte della dottrina, ma altres� alcuni giudici: cfr. Pretore di Torino, decreto 12 febbraio 1996, n. 1500, in Giur.it. 1996, I, 2, 822, nonch� il decreto del Presidente del Tribunale di Trani che diede origine, in occasione della sua esecuzione in Olanda, alla sentenza della Corte di Giustizia C.E. 13 luglio 1995, nella causa C474/ 96, HENGHST IMPORT BV c. CAMPESE, inRacc., 2122, di cui parleremo in seguito). La Corte Costituzionale, partendo dalla interpretazione prevalente, gi� con ordinanza 27 giugno 1989 n. 364 aveva dichiarato �manifestamente infondata� la questione di legittimit� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO... 346 (omissis). 1. -Con ordinanza 29 novembre 1997, pervenuta alla Corte il 5 dicembre successivo, il Pretore di Bologna ha proposto, in applicazione dell'art. 234 CE (ex art. 177), una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione degli artt. 34 e 59 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 29 CE e 49 CE), nonch� dell'art. 56 CE (ex art. 75 B), al fine di valutare la compatibilit� con tali norme di una disposizione nazionale che vieta di emettere un decreto ingiuntivo da notificare fuori del territorio nazionale. costituzionale (sia pur sollevata con errato riferimento all'art. 10 della Costituzione italiana) della norma in questione, in ordine alla quale era stato prospettato un contrasto con i patti comunitari i quali comportano, fra l'altro, l'obbligo della Repubblica di garantire la liberalizzazione degli scambi commerciali all'interno della comunit�. Osservava la Corte che �nei patti comunitari non si configurano principi generali incidenti sulla materia del processo, lasciati alla disciplina del diritto interno degli Stati membri� e che �il divieto di notificazione del decreto ingiuntivo all'estero determina solo una causa di inammissibilit� della tutela monitoria, che � un procedimento speciale, e non un difetto di giurisdizione, potendosi agire in sede ordinaria�. Pi� recentemente la Corte ha ribadito questa posizione con ordinanza 26 marzo 1998 n. 80, osservando ancora che �la possibilit� per il creditore di utilizzare tutti gli altri strumenti processuali offertigli in sede ordinaria e cautelare -ivi compresi i provvedimenti anticipatori di condanna di cui agli artt. 186-bis e segg. cod. proc. ID civ. -onde far valere il proprio diritto esclude la paventata menomazione del diritto di difesa e di azione dello stesso, nonch�, consegJ.!entemente e di riflesso, la restrizione della sua piena libert� di ~ iniziativa economica� e che �resta comunque affidata alla discrezionalit� del legislatore la ~ differenziazione delle condizioni di accesso alla tutela giurisdizionale�. Ma, proprio in ordine a ~ questa discrezionalit�, la Corte ha ritenuto opportuno precisare che, per�, �all'attenzione proprio e w solo del legislatore sarebbe semmai da segnalare la necessit� di rimuovere -cos� come hanno fatto @ altri Stati della Comunit� europea -il limite previsto dalla denunciata norma, ove si supponesse t ormai superata l'originaria ragione giustificativa di esso�. ffi Ed invero oggi il divieto posto dalla norma in questione non sembra trovare pi� alcuna I giustificazione e non resta che auspicare un intervento correttivo del legislatore, pi� volte sollecitato (anche dall'Avvocatura dello Stato in occasione della causa pregiudiziale dinanzi alla Corte conclusasi con la sentenza annotata). 2. -Ma le critiche alla norma ancora vigente, a causa di una sua sostanziale obsolescenza, avevano (ed hanno) una valenza solo nell'ambito dell'ordinamento giuridico nazionale. Nessuna rilevanza comunitaria esse potevano invece avere, cos� come gi� rilevato dalla Corte costituzionale nelle ordinanze sopra indicate e come sostenuto dal Governo italiano nelle osservazioni presentate alla Corte di giustizia. I La Corte comunitaria (che ha pi� volte riconosciuto che il giudice nazionale che emette il decreto ingiuntivo �esercita una funzione giurisdizionale ai sensi dell'art. 177 del trattato -ora, dopo il Trattato di Amsterdam, art. 234 CE -e che questo articolo non fa dipendere la competenza della Corte dal carattere contraddittorio del procedimento� : cfr. la sentenza 17 ~ maggio 1994, nella causa C-18/93, CORSICA F'ERRIES c. CORPO PILOTI PORTO GENOVA, in Racc. ~ (:: 1812, e i precedenti ivi indicati al punto 12), aveva gi� esaminato, con la sentenza 13 luglio 1995, nella causa C-474/96, la portata di un decreto ingiuntivo emesso da giudice italiano sebbene la notificazione dovesse essere effettuata, come in effetti poi era stato, nel territorio di un altro Stato ~ membro, ma non aveva affrontato la problematica di cui alla causa decisa con la sentenza {:: annotata. Dovendo, infatti, esaminare solo la possibilit� di riconoscimento ai fini dell'esecuzione t. del decreto ingiuntivo secondo l'art. 27, n. 2, della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ~ concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e @ commerciale, la Corte aveva affermato (punti 24 e 25) che il decreto ingiuntivo, unitamente al ,, �~ f: PARTE I, SEZ. II, GIDRISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 347 2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia relativa ad un procedimento d'ingiunzione intentato dalla ED Srl (in prosieguo: la �ED�), societ� di diritto italiano con sede in Funo di Argelato, contro il signor Fenocchio, residente a Berlino (Germania). 3. -La ED aveva consegnato merci per un controvalore di L. 19.933.700 al signor Fenocchio. Poich� quest'ultimo aveva versato solo un acconto di L. 100.000 senza pagare il saldo, il 6 ottobre 1997 la ED ha proposto dinanzi al Pretore di Bologna, ai sensi dell'art. 633 del codice di procedura civile italiano (in prosieguo: il �c.p.c.�), un ricorso per decreto ingiuntivo diretto ad ottenere il pagamento della somma ancora dovuta, oltre agli interessi e alle spese. ricorso introduttivo, deve essere considerato come una �domanda giudiziale o atto equivalente� ai sensi e per gli effetti della suddetta norma, ma che tale norma �ha per unico scopo quello di assicurare che una domanda giudiziale -o un atto equivalente -sia stata comunicata regolarmente e in tempo utile al convenuto, affinch� sia in condizioni di difendersi; essa non consente al giudice dello Stato richiesto di rifiutare il riconoscimento e l'esecuzione di una decisione a motivo di un'eventuale violazione di disposizioni di diritto dello Stato d'origine diverse da quelle relative alla regolarit� della comunicazione; ... in secondo luogo, l'eventuale mancata applicazione, da parte del giudice di origine, dell'art. 633, sub. 3, ultimo comma c.p.c., non costituisce n� una delle cause di rifiuto del riconoscimento previste dalle altre disposizioni dell'art. 27, n� una delle ipotesi tassativamente elencate all'art. 28 della convenzione, nelle quali il giudice dello Stato richiesto � autorizzato a verificare la competenza del giudice dello Stato d'origine�. Nel caso prospettato ora alla Corte � venuto proprio in discussione, prima della emissione del decreto, l'attuale vigore della norma, certamente esistente nell'ordinamento giuridico italiano, ma di dubbia compatibilit� -secondo il Pretore di Bologna -con la normativa comunitaria sulla libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali, in quanto potrebbe contribuire a compartimentare i mercati limitando la possibilit� degli operatori italiani di contrattare con operatori stranieri per il timore di non avere un efficace strumento di recupero del proprio credito in caso di inadempienza di questi ultimi, ponendo cos� un ostacolo essenzialmente alle esportazioni. In proposito il Governo italiano ha rilevato in causa -e la sua tesi � stata pienamente condivisa dalla Corte -che la norma limitativa nazionale non pu� costituire ostacolo, diretto o indiretto, attuale o potenziale, alla libera circolazione (di merci, servizi o capitali), posto che resta comunque assicurata la tutela giurisdizionale ordinaria e la limitazione, di carattere esclusivamente processuale, non � fondata assolutamente su ragioni di cittadinanza ma solo di localizzazione del debitore e tende ad assicurare a quest'ultimo una maggior tutela in considerazione dei dubbi sull'efficacia di notificazioni all'estero e di tempestivit� dell'approntamento di idonei mezzi di difesa (opposizione in Italia) da parte del medesimo. Non appare configurabile alcun �Vantaggio� per il mercato italiano n� un significativo limite a contrattare con residenti all'estero (potendo del resto sempre richiedersi al futuro debitore, come comunemente si fa, una domiciliazione in Italia per gli obblighi nascenti dal contratto). Non sono sembrate condivisibili le osservazioni contrarie della Commissione che, pur non ravvisando ostacoli alla libera circolazione delle merci e dei servizi, prospettavano un ostacolo alla libera circolazione dei capitali e in particolare dei crediti, essendo i crediti derivanti da contratti commerciali inclusi nei movimenti di capitale le cui restrizioni sono vietate dal Trattato. Esattamente la Corte ha rilevato che le garanzie offerte dalla normativa comunitaria al debitore di poter adempiere volontariamente le proprie obbligazioni contrattuali senza restrizioni indebite e al creditore di ricevere liberamente il pagamento non ineriscono �alle modalit� procedurali alle quali � soggetta l'azione di un creditore diretta ad ottenere da un debitore renitente il pagamento di una somma di denaro�. RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO ..... 348 4. -� pacifico che il ricorso soddisfaceva tutti i requisiti sostanziali a tal fine previsti. Tuttavia, poich� il debitore risiedeva in Germania, il decreto ingiuntivo avrebbe dovuto essergli notificato in tale Stato. Di conseguenza, il detto ricorso wniva ad essere in contrasto con l'art. 633, ultimo comma, del c.p.c. ai sensi del quale �l'ingiunzione non pu� essere pronunciata se la notificazione all'intimato di cui all'art. 643 deve avvenire fuori della Repubblica o dei territori soggetti alla sovranit� italiana�. 5. -Il giudice a quo precisa che il procedimento speciale d'ingiunzione consente di ottenere in tempi rapidi e con poca spesa un titolo esecutivo contro il debitore inadempiente di una somma di danaro. Tale procedimento � caratterizzato da una cognizione sommaria che richiede soltanto che il ricorrente dimostri il fondamento del proprio credito mediante le prove documentali appropriate. Il decreto � emesso dal giudice �inaudita altera parte� e senza alcun contraddittorio. Il debitore ha il diritto di proporre opposizione contro il decreto ingiuntivo, il che d� luogo quindi ad un giudizio ordinario tra le parti. 6. -Secondo il giudice a quo, all'origine, il divieto di ricorrere a tale procedimento qualora il debitore risieda all'estero era giustificato dalla preoccupazione di impedire il rischio che questi non venisse mai a conoscenza di un decreto ingiuntivo pronunciato contro di lui, oppure che ne venisse a conoscenza oltre i limiti previsti per l'opposizione, impedendo cos� l'esercizio del diritto di difesa. Tuttavia, se questa ragione era fondata nel 1940, quando la norma fu introdotta, essa non sarebbe pi� giustificata ai nostri giorni, in cui la notifica all'estero non pone pi� particolari problemi ed in cui i termini di opposizione sono sufficientemente ampi. Ci� si verificherebbe in particolare nel caso degli Stati firmatari della convenzione dell'Aia del 15 novembre 1965, relativa alla comunicazione e alla notificazione all'estero degli atti giudiziari e stragiudiziali in materia civile e commerciale, il cui art. 10, lett. a), permette la notifica a mezzo posta. Ben diversi erano i casi di altre normative nazionali, nei quali la Corte aveva rilevato effettive discriminazioni in base alla nazionalit�: cfr. la sentenza 7 marzo 1990, nella causa C69/ 88, KRANTz, in Racc. 594, riguardante la possibilit� di pignorare beni presso il debitore anche se provenienti e appartenenti a fornitore estero; le sentenze 1� luglio 1993, nella causa C -20/92, HUBBARD, in Racc. 3790, e 26 settembre 1996, nella causa C -43/95, DATA DELECTA, in Racc. 4671, riguardanti la �cautio judicatum solvi�, che costituisce un limite alla tutela giurisdizionale, discriminatorio in base alla nazionalit�; la sentenza 10 febbraio 1994, nella causa C -398/92, MuND e FESTER, inRacc. 474, riguardante una norma del diritto tedesco che, in tema di sequestro conservativo, stabiliva una presunzione di pericolo nel caso che la decisione dovesse essere seguita, e per la sola ragione di dover essere eseguita, all'estero. Nulla del genere � prospettabile nel nostro caso, dove, al contrario, non v'� una situazione di assoluto disfavore per chi � all'estero e per il solo fatto che � all'estero, ma solo una posizione di maggior tutela (forse eccessiva) per la parte che, essendo all'estero rispetto al giudice cui l'altra parte si rivolge, appare pi� bisognosa di protezione. OSCAR FIUMARA PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 7. -Pertanto, i] giudice a quo si chiede se il divieto di cui trattasi non sia incompatibile con gli artt. 34 e 59 del Trattato nonch� con l'art. 56 CE. Infatti, le imprese stabilite in Italia potrebbero essere indotte a preferire di intrattenere rapporti commerciali con clienti che esercitano la loro attivit� in tale Stato membro anzich� con clienti stranieri, in quanto solo nei confronti dei clienti italiani esse possono beneficiare della tutela particolare e delle spese ridotte derivanti dall'esperimento del procedimento di ingiunzione. Per questo motivo la libera circolazione delle merci potrebbe essere pregiudicata, cos� come la libera prestazione di servizi, poich� � possibile utilizzare il procedimento d'ingiunzione anche per i crediti derivanti da prestazioni di servizi. Nei limiti in cui i crediti vertono su somme di danaro, il divieto controverso potrebbe altres� costituire un pregiudizio alla libera circolazione dei capitali. 8. -Il giudice a quo precisa inoltre che la disposizione controversa � gi� stata esaminata nell'ambito di un'eccezione di incostituzionalit� sollevata dinanzi alla Corte costituzionale. Nella sua ordinanza di rigetto (v. ordinanza 27 giugno 1989, n. 364, in Giurisprudenza costituzionale 1990, IV, 1661), quest'ultima ha affermato che nei patti comunitari non si configurano principi generali incidenti sulla materia del processo, lasciata alla disciplina del diritto interno degli Stati membri. Il divieto di emanare un decreto ingiuntivo da notificare all'estero determinerebbe solo una causa di inammissibilit� della tutela monitoria, e non un difetto di giurisdizione, potendosi sempre agire in via ordinaria. 9. -Di conseguenza, il Pretore di Bologna ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale: �Se il divieto di pronunziare l'ingiunzione nel caso in cui la notificazione all'intimato debba avvenire fuori della Repubblica o dei territori soggetti alla sovranit� italiana, divieto previsto dall'art. 633, ultimo comma, c.p.c., sia da considerare una restrizione o misura ad essa equivalente, suscettibile di ostacolare direttamente o indirettamente, attualmente o potenzialmente, la libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali, garantita dagli artt. 34, 59 e 73 B del Trattato di Roma�. Sull'art. 34 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 29 CE) 10. -Si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza costante della Corte, l'art. 34 del Trattato riguarda i provvedimenti nazionali che abbiano l'oggetto o l'effetto di restringere specificamente le correnti d'esportazione e di determinare una differenza di trattamento fra il commercio interno di uno Stato membro ed il suo commercio d'esportazione, in modo da procurare un vantaggio particolare alla produzione nazionale o al mercato interno dello stesso Stato (v., in particolare, sentenza 7 febbraio 1984, causa 237/82, Jongeneel Kaas e a., Racc., 483, punto 22). 11. -Vero � che la disposizione nazionale citata al punto 4 della presente sentenza porta a sottoporre l'operatore economico ad un regime processuale diverso a seconda che fornisca merci all'interno dello Stato membro interessato o le esporti RASSEGNA AWOCATURA DELLO STMO' � 350 verso altri Stati membri. Occorre tuttavia rilevare che, come hanno giustamente fatto valere i governi francese e austriaco, la circostanza che i cittadini nazionali esiterebbero per questo motivo a vendere merci ad acquirenti stabiliti in altri Stati ~ membri � troppo aleatoria e indiretta perch� la detta disposizione nazionale possa ~ essere considerata atta ad ostacolare il commercio tra gli Stati membri (v., in altro contesto, sentenze 7 marzo 1990, causa C-69/88, Krantz, Racc., I-583, punto 11; 24 gennaio 1991, causa C-339/89, Alsthom Atlantique, Racc., I-107, punti 14 e 15, e 13 ottobre 1993, causa C-93/92, CMC Motorradcenter (Racc., I-5009, punto 12). 12. -Occorre pertanto concludere su tale punto della questione nel senso che l'art. 34 del Trattato non osta ad una normativa nazionale che non ammette il ricorso al procedimento d'ingiunzione nel caso in cui la notificazione al debitore debba essere effettuata in un altro Stato membro della Comunit�. Sull'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE) 13. -Al riguardo, basta constatare, come hanno rilevato la Commissione e la maggior parte degli Stati membri che hanno presentato osservazioni alla Corte, che la causa a qua non ha alcun nesso con una prestazione di servizi. 14. -Di conseguenza, non occorre risolvere la questione pregiudiziale per quanto riguarda il punto di questa relativo all'art. 59 del Trattato. Sull'art. 56 CE (ex art. 73 B) 15. -Ai sensi dell'art. 56, n. 2, CE: �Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonch� tra Stati membri e paesi terzi�. 16. -Ai fine di determinare la portata di tale disposizione, occorre raffrontare quest'ultima con l'ex art. 106, n. 1, del Trattato CEE [divenuto l'art. 73 H, n. 1, del Trattato CE (abrogato dal Trattato di Amsterdam)] che essa sostituisce e ai sensi del quale: �Ciascuno Stato membro s'impegna ad autorizzare che vengano effettuati, nella valuta dello Stato membro nel quale risiede il creditore o il beneficiario, i pagamenti relativi agli scambi di merci, di servizi e di capitali, come anche i trasferimenti di capitali e di salari, nella misura in cui la circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone � liberalizzata tra gli Stati membri in applicazione del presente trattato�. 17. -Al pari dell'art. 106 del Trattato CEE, l'art. 56, n. 2, CE mira a consentire al debitore di una somma di danaro nell'ambito di una prestazione di beni o di servizi di adempiere volontariamente tale obbligazione contrattuale senza restrizioni indebite e al creditore di ricevere liberamente un pagamento del genere. Tuttavia, PARTE I, SEZ. li, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZION'ALE tale disposizione non � applicabile alle modalit� procedurali alle quali � soggetta I'azione di un creditore diretta ad ottenere da un debitore renitente il pagamento di una somma di danaro. 18.-Si deve pertanto risolvere la questione proposta dal giudice a quo nel senso che una disposizione procedurale nazionale, come quella controversa nella causa a qua, non costituisce una restrizione alla libert� dei pagamenti. (omissis). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 29 giugno 1999, nella causa C-60/98 -Pres. Rodriguez Iglesias -Rei. Puissochet -Avv. Gen. Cosmas. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Milano nella causa Butterfly Music s.r.l. contro CEMED e FIMI. Interv. Governo italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Banks e Pignataro ). Comunit� europee -Diritti di autore e diritti connessi -Armonizzazione della durata di protezione. (Trattato CE, art. 30; direttiva del Consiglio 29 ottobre 1993, n. 93/98/CEE, art. 10; legge 22 aprile 1941 n. 633; legge 6 febbraio 1996, n. 52, e succ. mod., art. 17). L'art. 10, n. 3, della direttiva del Consiglio 29 ottobre 1993, 93/98/CEE, concernente l'armonizzazione della durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi, non osta ad una disposizione nazionale come quella che, nella legge italiana 6 febbraio 1996, n. 52, come modificata con legge italiana 23 dicembre 1996, n. 650, prevede un periodo limitato per consentire la distribuzione di supporti sonori da parte di coloro che, in ragione dell'estinzione dei diritti riguardanti tali supporti sotto la vigenza della normativa precedente, avevano potuto riprodurli e commercializzarli prima dell'entrata in vigore della detta legge.(1) (1) Diritti d'autore e diritti connessi: armonizzazione della durata di protezione e salvezza dei diritti acquisiti da terzi. Pacifico che gli Stati membri, in forza della direttiva 93/98/CEE, sono obbligati a ripristinare la protezione del diritto d'autore e dei diritti connessi che secondo il loro ordinamento precedente sono scaduti e ci� fino a garantire la durata armonizzata, si � discusso dell'ampiezza della tutela dei diritti acquisiti dai terzi anteriormente al ripristino della protezione. La Corte ha riconosciuto la piena conformit� alla direttiva della soluzione adottata dal legislatore italiano con l'art. 17 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, quale modificato dall'art. 1, co. 56, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 545, conv. con mod. dalla legge 23 dicembre 1996 n. 650. L'art. 10 n. 3 della direttiva dispone che resta �impregiudicata l'utilizzazione in qualsiasi forma, effettuata anteriormente� al 1 � luglio 1995 (data limite per l'attuazione della direttiva) e che �gli Stati membri adottano le misure necessarie al fine di proteggere segnatamente i diritti acquisiti dai terzi�. La direttiva, dunque, fa esplicitamente salva e impregiudicata solo la �utilizzazione� in qualsiasi forma, effettuata anteriormente al 1� luglio 1995, con un rinvio alla RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAID �� 352 (omissis). 1. -Con ordinanza 12 febbraio 1998, pervenuta in cancelleria il 2 marzo successivo, il Tribunale civile e penale di Milano ha sottoposto alla Corte, ai sensi ddl'art. 234 CE (ex art. 177). una questione pregiudiziale avente ad oggetto l'interpretazione dell'art. 10 della direttiva del Consiglio 29 ottobre 1993, 93/98/CEE, concernente l'armonizzazione della durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi (GU L 290, 9; in prosieguo: la �direttiva�). legislazione nazionale per la individuazione delle �misure necessarie al fine di proteggere segnatamente i. diritti acquisiti dai terzi�. Essa, parlando di salvezza dell' �utilizzazione anteriore� (ovviamente, sempre che sia stata legittima) intende far salvo solo lo sfruttamento dell'opera effettivamente avvenuto nel tempo consentito, evitando cos� che con il ripristino della protezione il titolare dell'esclusiva possa far valere un effetto retroattivo della nuova normativa, negando legittimit� all'utilizzazione fatta da terzi e pretendendo per essa un compenso. E al fine di rendere attuabile questa salvezza, la direttiva rimanda agli Stati membri il compito di indicare le �misure necessarie� allo scopo. Avvalora questa interpretazione della direttiva la motivazione adottata nei suoi �considerando�: il n. 26 prevede la facolt� degli Stati membri di �adottare disposizioni sull'interpretazione, l'adeguamento e l'ulteriore esecuzione dei contratti relativi all'utilizzazione ... conclusi anteriormente�; e il n.' 27 richiama l'esigenza di proteggere i diritti quesiti, precisando che gli Stati membri possano prevedere che in determinate circostanze il ripristino della protezione non possa dar luogo al pagamento di alcun corrispettivo per lo sfruttamento anteriore intrapreso dai terzi. Tutto ci� mostra che la direttiva, in un'ottica di equo contemperamento di opposti interessi entrambi meritevoli di tutela, vuole da un lato ripristinare per intero la protezione del diritto d'autore e dei diritti connessi e nello stesso tempo vuole salvaguardare solo e soltanto lo sfruttamento di tali diritti ad opera di terzi, legittimamente avvenuto medio tempore (allorch� cio� non v'era protezione). Fissate queste linee direttrici, la direttiva lascia agli Stati membri il compito di regolamentare in dettaglio, entro i binari cos� tracciati, a seconda delle circostanze, questa duplice protezione dell'una e dell'altra parte. Una soluzione che, invece, facesse salvi non solo lo sfruttamento gi� eseguito dal terzo nel periodo di mancata protezione, ma anche lo sfruttamento operato dal medesimo terzo successivamente al ripristino della protezione, risulterebbe contraria non solo alla lettera della direttiva, ma altres� alla logica che la ispira. Contraria alla lettera, perch� la direttiva all'art. 10 n. 3 parla esplicitamente di �utilizzazione ... effettuata anteriormente�, il che significa che si vuol garantire lo sfruttamento passato e non quello futuro; contraria alla logica, perch� in tal modo si priverebbe il titolare del diritto d'autore o del diritto connesso di una protezione effettiva, non essendo essa pi� invocabile quantomeno nei confronti del terzo che ha utilizzato l'opera nel periodo consentito: e ci� per l'intera residua durata della protezione ripristinata. La legislazione italiana di attuazione si � perfettamente uniformata alla direttiva. Essa, innanzitutto, estende la protezione a tutto l'arco temporale indicato nella direttiva (nel caso di specie 50 anni, invece dei 30 precedenti), con una saldatura del periodo residuo a quello precedente, senza soluzione di continuit�, ripristinando cos� la protezione del diritto d'autore e dei diritti connessi. Nei confronti dei terzi che hanno �utilizzato l'opera medio tempore� essa espressamente garantisce la salvezza dei loro diritti disponendo, secondo la direttiva, che �restano pienamente salvi e impregiudicati gli atti e contratti fatti o stipulati anteriormente ... nonch� i diritti legittimamente acquisiti ed esercitati dai terzi�. Il riferimento all' �esercizio� del diritto � parallelo al riferimento fatto nella direttiva alla �utilizzazione effettuata anteriormente�, cio� allo �sfruttamento� operato nel tempo di inesistenza della protezione. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 353 2. -Tale questione � stata proposta nel contesto di una controversia tra la Butterfly Music Srl (in prosieguo: la �Butterfly�) e la Carosello Edizioni Musicali e Discografiche Srl (in prosieguo: la �CEMED�) sostenuta dalla Federazione Industria Musicale Italiana (in prosieguo: la �FIMI�). a proposito del diritto di riproduzione e di sfruttamento di registrazioni cadute in pubblico dominio sotto la vigenza della precedente normativa ed in seguito nuovamente protette per effetto delle disposizioni di trasposizione della direttiva nel diritto nazionale. 3. -La direttiva intende porre termine alle disparit� esistenti tra le legislazioni nazionali che disciplinano le durate di protezione del diritto d'autore e dei diritti connessi ed armonizzare tali legislazioni prevedendo durate di protezione identiche in tutta la Comunit�. Cos�, ai sensi dell'art. 3 della detta direttiva. la durata di protezione dei diritti degli artisti interpreti od esecutori e dei produttori di fonogrammi � fissata a 50 anni. 4. -Conformemente all'art. 10, n. 2. della direttiva, tale durata si applica a qualsiasi opera e soggetto che, alla data prevista per l'attuazione della direttiva. cio� entro il 1� luglio 1995, sia protetto almeno in uno Stato membro. Tuttavia. l'art. 10, n. 3, precisa che �la direttiva lascia impregiudicata l'utilizzazione in qualsiasi forma effettuata� anteriormente a tale data e che �gli Stati membri adottano le misure necessarie al fine di proteggere segnatamente i diritti acquisiti dei terzi�. Nelle precisazioni successive la norma italiana approfondisce e definisce questo limite, costituito appunto dallo �Sfruttamento gi� avvenuto�. Essa infatti dispone che �in particolare sono fatte salve� la distribuzione e la riproduzione delle opere grafiche effettuata dai terzi che le avevano intraprese prima della data di ripristino della protezione; nonch� la distribuzione dei dischi fonografici e simili �effettuata da coloro che hanno riprodotto e messo in commercio i predetti supporti anteriormente� alla data suddetta. In entrambi i casi viene salvaguardato solo ci� che � stato distribuito, riprodotto e messo in commercio anteriormente al ripristino della protezione: cio� viene garantito solo e soltanto lo sfruttamento anteriore. Entrambe le ipotesi, della grafica e dei supporti del suono, hanno per� una precisazione: sono garantiti, cio�, non solo lo sfruttamento, senza corrispettivo, gi� operato, ma altres� gli effetti naturali di questo sfruttamento, cio� in pratica l'esaurimento delle scorte. E a questo punto le condizioni fatte all'una e all'altra ipotesi divergono, secondo una valutazione fatta dal legislatore nazionale in forza del potere conferitogli dalla stessa direttiva, che gli consente di adottare le misure ritenute �necessarie� (art. 10 n. 3) a seconda di �determinare circostanze� (27� considerando). Per le opere grafiche il diritto acquisito dal terzo gli consente di vendere senza limite di tempo l'opera alla sola condizione dell'identit� della composizione grafica e della veste editoriale: il che significa, in pratica, che, date le notevolissime spese di stampa iniziali, si deve consentire la vendita -del resto normalmente piuttosto lenta -dell'intera edizione, senza limiti di tempo. Invece, per i supporti del suono, poich� le spese di mera riproduzione della matrice (uniche che il terzo ha affrontato) sono relativamente modeste, si � ritenuto sufficiente consentire lo smaltimento delle scorte in un tempo ragionevole: esso � stato fissato in tre mesi, ma in pratica, per via del succedersi (prima della legge 52/1996) di vari decreti legge non convertiti, il tempo di smaltimento � risultato di circa un anno. OSCAR FIUMARA RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO� 354 5. -In Italia la durata di protezione dei diritti dei produttori di dischi e di supporti analoghi come pure degli artisti interpreti od esecutori era stata fissata a 30 anni dalla legge 22 aprile 1941, n. 633, sul diritto d'autore (GURJ n. 166 del 16 luglio 1941). Le disposizioni di tale legge sono state modificate da una serie di decreti legge promulgati nel 1994 e nel 1995, che non sono stati convertiti in legge, e dalla legge 6 febbraio 1996, n. 52 (GURJ n. 34 del 10 febbraio 1996, Supplemento ordinario n. 24; in prosieguo la �legge n. 52/96� ), essa stessa modificata con legge 23 dicembre 1996, n. 650 (GURI n. 300 del 23 dicembre 1996). che ha salvaguardato gli effetti dei detti decreti legge. 6. -In virt� dell'art. 17, n. 1, della legge n. 52/96, la durata di protezione dei diritti delle persone sopra menzionate � stata portata da 30 a 50 anni. L'art. 17, n. 2, della legge n. 52/96, modificata, precisa che tale durata di protezione si applica anche alle opere e ai diritti non pi� protetti sulla base dei termini previgenti, semprech�, per effetto dell'applicazione dei nuovi termini, gli stessi siano nuovamente protetti alla data del 29 giugno 1995. Tuttavia, secondo l'art. 17, n. 4, della legge Il. 52/96, modificata, tali disposizioni si applicano lasciando impregiudicati gli atti e i contratti anteriori al 29 giugno 1995 nonch� i diritti legittimamente acquisiti ed esercitati dai terzi in conseguenza dei medesimi. In particolare sono fatte salve: �a) la distribuzione e la riproduzione delle edizioni di opere cadute in pubblico dominio secondo la disciplina previgente, limitatamente alla composizione grafica ed alla veste editoriale con le quali la pubblicazione � avvenuta, effettuata da coloro che avevano intrapreso detta distribuzione e riproduzione prima della data di entrata in vigore della presente legge. Tale distribuzione e produzione consentita senza corrispettivi si estende anche agli aggiornamenti futuri che la natura delle opere richiede; b) la distribuzione, limitatamente al periodo di tre mesi successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, dei dischi fonografici ed apparecchi analoghi, i cui diritti di utilizzazione siano scaduti secondo la disciplina previgente, effettuata da coloro che hanno riprodotto e messo in commercio i predetti supporti prima della data di entrata in vigore della presente legge�. 7. -La Buttertly, la quale svolge un'attivit� di produzione e distribuzione di supporti musicali, nel novembre 1992 ha prodotto con l'accordo della CEMED, produttrice di fonogrammi e detentrice dei diritti sulle registrazioni originali, e con l'autorizzazione della Societ� Italiana Autori ed Editori (in prosieguo: la �SIAE�) un compact disc intitolato �Briciole di baci� (in prosieguo: il �CD�) contenente sedici canzoni interpretate dalla cantante Mina, che erano state incise nel corso degli anni dal 1958 al 1962. 8. -Tali registrazioni sono cadute in pubblico dominio alla fine del 1992, ma successivamente, i decreti legge menzionati al punto 5 della presente sentenza e la legge n. 52/96 hanno portato, in applicazione della direttiva, da 30 a 50 anni la durata di protezione dei diritti dei produttori di fonogrammi e degli artisti interpreti. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 9. -Alla fine del 1995 e all'inizio del 1996 la CEMED, basandosi sulla reviviscenza dei diritti che le derivavano dalla durata di protezione prevista dalla direttiva, ha intimato alla Butterfly di cessare la riproduzione e la distribuzione del CD. La Butterfly. allora, ha introdotto il 10 maggio 1996 un ricorso dinanzi al Tribunale civile e penale di Milano, diretto a far constatare il suo diritto di riprodurre le registrazioni figuranti sul CD. 10. -Dinanzi al giudice nazionale, la Butterfly ha fatto valere, in particolare, che la direttiva vietava implicitamente il ripristino dei diritti esauriti e che, quand'anche si ammettesse la �reviviscenza� di tali diritti, la legge n. 52/96, modificata, non rispettava 1'obbligo .di tutelare i diritti acquisiti da terzi, che � espressamente previsto dall'art. 10, n. 3, della direttiva. Dal lato suo, la CEMED, sostenuta dalla FIMI, associazione di categoria rappresentativa dei produttori discografici italiani, ha chiesto, in via riconvenzionale, che alla Butterfly fosse vietata ogni ulteriore utilizzazione delle opere che beneficiano del nuovo termine di protezione. 11. -Il Tribunale civile e penale di Milano ha considerato che dall'art. 10, n. 2, della direttiva emerge chiaramente che la tutela dei diritti poteva rivivere a seguito della proroga dei termini resa necessaria, in taluni Stati membri, dall'armonizzazione delle durate di protezione. Tuttavia si � interrogato sulla liceit�, con riferimento all'obbligo di tutela dei diritti acquisiti da terzi, dell'art. 17, n. 4, della legge n. 52/96, modificata. il quale prevede solo una possibilit� limitata di distribuzione dei supporti sonori i cui diritti di sfruttamento erano caduti in pubblico dominio prima dell'entrata in vigore della legge da parte di terzi che avevano acquisito, prima di questa data, il diritto di riprodurli e di commercializzarli. Di conseguenza ha deciso di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: �Se l'interpretazione dell'art. 10 della direttiva 93/98/CEE del 29 ottobre 1993, in particolare nella parte in cui prevede l'adozione delle "misure necessarie al fine di proteggere segnatamente i diritti acquisiti dai terzi" sia compatibile con la disposizione contenuta nell'art. 17, comma 4� della legge 6 febbraio 1996, n. 52, come successivamente modificata dalla legge 23 dicembre 1996, n. 650�. (omissis). La questione pregiudiziale 15. -Con la sua questione il giudice a quo chiede alla Corte se l'art. 10, n. 3, della direttiva osti ad una disposizione nazionale quale quella di cui alla legge n. 52/96 modificata, che prevede un periodo limitato per consentire la distribuzione di supporti sonori da parte di coloro che, in ragione dell'estinzione dei diritti relativi a tali supporti sotto la vigenza della precedente legislazione, avevano potuto riprodurli e commercializzarli prima dell'entrata in vigore della detta legge. 16. -La Butterfly suggerisce alla Corte di risolvere la questione proposta nel senso che la legge n. 52/96 modificata non � conforme all'art. 10 della direttiva in quanto non conferisce un'adeguata protezione ai produttori discografici che hanno RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO . intrapreso in buona fede lo sfruttamento di opere la cui protezione rivive in conseguenza del prolungamento della durata di protezione del diritto d'autore e dei diritti connessi. La ricorrente nel procedimento a quo sostiene. in particolare. che la limitazione a tre mesi del termine entro cui esercitare il diritto di distribuzione ili dei dischi da parte di coloro che li hanno riprodotti e commercializzati prima F dell'entrata in vigore della legge n. 52/96 modificata, limitazione prevista dall'art. I~ 17, n. 4, lett. b), di questa stessa legge, � irragionevole ed in contraddizione con la mancanza di limitazione per la distribuzione delle edizioni di opere letterarie cadute in pubblico dominio, di cui all'art. 17, n. 4, lett. b), della medesima legge modificata. 17. -La CEMED, la FIMI, il governo italiano e la Commissione suggeriscono, al contrario, di risolvere tale questione nel senso che l'art. 10 della direttiva non osta ad una normativa nazionale come quella di cui alla legge n. 52/96 modificata. Essi sostengono, in particolare, che le norme che limitano i diritti d'autore e i diritti connessi devono essere interpretate restrittivamente. La FIMI e il governo italiano sostengono, inoltre, che il trattamento pi� favorevole accordato dalla legge n. 52/96 modificata agli editori di opere letterarie cadute nel pubblico dominio � giustificato dagli elevati investimenti che questi devono sostenere. Infine la Commissione, condividendo quest'ultimo punto di vista, ritiene che il termine previsto per la distribuzione delle giacenze di supporti fonografici, che � durato di fatto pressoch� un anno, tenuto conto dei decreti legge intervenuti nel 1994 e 1995, sia sufficiente a rispettare l'obbligo di protezione dei diritti acquisiti dai terzi previsto dalla direttiva. 18. -Come rilevato dal giudice a quo, dall'art. 10, n. 2, della direttiva risulta chiaramente che l'applicazione delle durate di protezione da questa previste pu� avere la conseguenza negli Stati membri la cui legislazione prevedeva una durata di protezione meno lunga, di proteggere nuovamente opere ed oggetti caduti in pubblico dominio. 19. -Si deve osservare che questa conseguenza risulta dall'espressa volont� del legislatore comunitario. Infatti, mentre la proposta iniziale di direttiva presentata dalla Commissione prevedeva che le sue disposizioni si applicavano �ai diritti che non sono scaduti al 31 dicembre 1994�. il Parlamento europeo ha modificato tale proposta introducendo una nuova formulazione che � stata ripresa. nelle linee essenziali. nella versione finale della direttiva. 20. -Tale soluzione � stata accolta al fine di raggiungere il pi� rapidamente possibile l'obiettivo dell'armonizzazione delle normative nazionali che disciplinano le durate di protezione del diritto d'autore e dei diritti connessi, sancito, in particolare, nel secondo 'considerando' della direttiva, e di evitare che taluni diritti siano estinti in alcuni Stati membri mentre sono protetti in altri. 21. -Tuttavia, dall'art. 10, n. 3, della direttiva risulta che con tale direttiva si vogliono lasciare impregiudicati gli atti di utilizzazione effettuati anteriormente alla PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE data prevista per l'attuazione della direttiva, cio� entro il 1� luglio 1995, e che gli Stati membri debbono prevedere le necessarie disposizioni per proteggere, in particolare, i diritti acquisiti dai terzi. 22. -Questa disposizione � chiarita dalla formulazione degli ultimi due 'considerando' della direttiva. A tenore del ventiseiesimo 'considerando', �gli Stati membri dovrebbero conservare la facolt� di adottare disposizioni sull'interpretazione, l'adeguamento e l'ulteriore esecuzione di contratti relativi all'utilizzazione di opere ed altri soggetti protetti, conclusi anteriormente all'estensione della durata di protezione risultante dalla presente direttiva�. Secondo il ventisettesimo 'considerando' �i diritti acquisiti e le lecite aspettative dei terzi sono tutelati nell'ambito dell'ordinamento giuridico comunitario: ( ... ) � opportuno che gli Stati membri possano segnatamente prevedere che in determinate circostanze i diritti d'autore e i diritti connessi ripristinati conformemente alla presente direttiva non possano dar luogo a pagamenti da parte di persone che avevano intrapreso in buona fede lo sfruttamento delle opere nel momento in cui dette opere erano di dominio pubblico�. 23. -Dal raffronto di tali diverse disposizioni risulta che la direttiva ha sancito la possibilit� della reviviscenza dei diritti d'autore e dei diritti connessi estinti in forza di normative applicabili prima della data della sua attuazione, senza pregiudizio degli atti di utilizzazione svolti prima di tale data e ha lasciato agli Stati membri il compito di adottare misure destinate a proteggere i diritti acquisiti dai terzi. Queste ultime, tenuto conto del tenore delle disposizioni sopra menzionate, vanno considerate come misure che gli Stati membri debbono adottare, ma le cui modalit� sono rimesse alla loro discrezionalit�, semprech� non producano la conseguenza di impedire, in modo generale. l'applicazione delle nuove durate di protezione alla data prevista dalla direttiva. 24. -Come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 25 delle sue conclusioni, tale soluzione � del resto conforme al principio secondo cui le leggi modificative di un'altra legge si applicano, salvo deroga, agli effetti futuri delle situazioni nate sotto l'impero della vecchia legge (v., in particolare, sentenze 14 aprile 1970, causa 68/69, Brock, Racc., 171, punto 6, e 10 luglio 1986, causa 270/84, Licata/Comitato economico e sociale, Racc., 2305, punto 31). Infatti. dal momento che la reviviscenza dei diritti d'autore e dei diritti connessi non ha incidenza sugli atti di utilizzazione definitivamente compiuti da un terzo prima della data alla quale � intervenuta, essa non pu� essere considerata avere effetti retroattivi. La sua applicazione agli effetti futuri di situazioni non del tutto esaurite significa, per contro, che essa incide sui diritti di un terzo a continuare nello sfruttamento di un supporto sonoro i cui esemplari gi� fabbricati non sono stati ancora commercializzati e smerciati entro la detta data. 25 -Si deve inoltre ricordare che, se � vero che il principio del rispetto del legittimo affidamento � uno dei principi fondamentali della Comunit�, tale principio. secondo la costante giurisprudenza, non pu� essere esteso fino a impedire, in generale, che una nuova disciplina si applichi agli effetti futuri di situazioni sorte RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ... 358 sotto l'impero della disciplina anteriore (v., in particolare, sentenze 14 gennaio 1987, causa 278/84, Germania/Commissione, Racc., 1, punto 36; 20 settembre 1988, causa 203/86, Spagna/Consiglio, Racc., 4563, punto 19, e 22 febbraio 1990, causa C-221/88, Busseni, Racc., 1-495, punto 35). 26. -Tenuto conto di tali considerazioni, una normativa nazionale, quale la legge n. 52/96 modificata, che autorizza chi riproduceva e commercializzava supporti sonori per i quali i diritti di utilizzazione erano scaduti in virt� della precedente normativa a distribuire tali supporti per un periodo limitato a partire dalla sua entrata in vigore soddisfa le prescrizioni della direttiva. 27. -Da un lato, infatti, una siffatta normativa rispetta l'obbligo imposto agli Stati membri di adottare misure intese alla protezione dei diritti acquisiti dai terzi. Certamente. la legge n. 52/96 modificata accorda solo un periodo limitato di tre mesi per la distribuzione dei supporti sonori. Un tale termine. tuttavia. pu� essere considerato ragionevole alla luce dell'obiettivo perseguito. tanto pi� che. come rilevato dalla Commissione. tenuto conto delle condizioni nelle quali ha avuto luogo la trasposizione della direttiva, mediante i decreti legge menzionati al punto 5 della presente sentenza e la legge n. 52/96, il termine effettivo � stato, in realt�, pressoch� di un anno dalla data della sua attuazione. 28 -Dall'altro, limitando in tal modo la protezione dei diritti acquisiti dai terzi per quanto riguarda fa distribuzione dei supporti sonori, una tale normativa soddisfa la necessit� di circoscrivere una siffatta disposizione, la quale deve necessariamente essere transitoria per non impedire l'applicazione delle nuove durate di protezione dei diritti d'autore e dei diritti connessi alla data prevista dalla direttiva, della quale questo � l'obiettivo principale. 29. -Su tale interpretazione non influisce la circostanza che un'altra disposizione della legge n. 52/96 modificata, che non � applicabile nella controversia di cui al procedimento a quo prevede un regime di protezione diverso per i diritti acquisiti dai terzi per quanto riguarda la distribuzione delle opere letterarie. Infatti. Quest'ultima disposizione c.ontempla una categoria distinta di beneficiari, che non si trovano nella medesima situazione delle persone riguardate dalla prima. A prescindere dalla questione se il regime di protezione relativo a tale categoria soddisfi le prescrizioni della direttiva, esso non pu� avere influenza sulla valutazione di una misura che disciplina una situazione obiettivamente diversa. 30. -La questione pregiudiziale pertanto va risolta nel senso che l'art. 10. n. 3, della direttiva non osta ad una disposizione nazionale come quella che, nella legge n. 52/96 modificata, prevede un periodo limitato per consentire la distribuzione di supporti sonori da parte di coloro che, in ragione dell'estinzione dei diritti riguardanti tali supporti sotto la vigenza della normativa precedente, avevano potuto riprodurli e commercializzarli prima dell'entrata in vigore della detta legge. (omissis). PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 359 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 5~, 21 settembre 1999, nella causa C-44/98 -Pres. Puissochet -Rei. Gulmann -Avv. Gen. La Pergola Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundespatentgericht (Germania) nella causa BASF AG c. Prasident des Deutschen Patentamts. Interv.: Governi tedesco, belga, danese, ellenico, spagnolo, francese, irlandese, olandese, austriaco, portoghese, finlandese, svedese, del Regno Unito e italiano ( avv. Stato Quadri) e Commissione delle Comunit� europee {ag. Wainwright). Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Misure di effetto equivalente -Brevetto europeo privato di efficacia per mancanza di traduzione -Regime linguistico del brevetto europeo. (Artt. 28 CE e 30 CE, gi� artt. 30 e 36 trattato CE). L'art. 30 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica l'art. 28 CE) non si oppone ali' applicazione di disposizioni quali quella dell'art. II, n. 3, del Gesetz uber internationale Patentubereinkommen, secondo il quale un brevetto concesso dall'Ufficio europeo dei brevetti con effetto in uno Stato membro e redatto in una lingua diversa dalla lingua ufficiale di tale Stato membro � fin dall'origine considerato privo di effetti, quando il titolare del brevetto non ha presentato all'Ufficio dei brevetti dello Stato membro interessato, entro tre mes{ a decorrere dalla data della pubblicazione nel bollettino europeo dei brevetti della menzione del rilascio del brevetto, una traduzione del fascicolo del brevetto nella lingua ufficiale di tale Stato membro (1). (omissis). 1. -Con ordinanza 29 gennaio 1998 pervenuta alla Corte il 20 febbraio seguente, il Bundespatentgericht (Corte federale dei brevetti) ha sottoposto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione degli artt. 30 e 36 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 28 CE e 30 CE). (1) La soluzione del caso concreto, relativamente alla normativa sul brevetto europeo e a quella nazionale conseguente (cfr. in Italia l'art. 3 d.P.R. 8 gennaio 1979 n. 32 e succ. mod.) poteva considerarsi scontata ed era stata in effetti patrocinata dalla totalit� degli Stati membri intervenuti e dalla Commissione de!le Comunit� europee. Ma l'eventualit� che la Corte potesse, anche incidentalmente, esprimere considerazioni estensibili in via di principio al regime linguistico attuale della Comunit� ha indotto ad intervenire in giudizio, forse per la prima volta, tutti gli Stati membri (con la sola eccezione del Lussemburgo), indirettamente a difesa della parit� della propria lingua con quelle di maggior diffusione. E noto, infatti, che la Comunit� non privilegia alcuna lingua, considerando soltanto, per prassi, sotto certi aspetti, quella francese come lingua �di lavoro�: nell'ambito giudiziario le �relazioni d'udienza� prima della discussione della causa sono redatte e distribuite nella lingua della causa (cio� quella del giudice di rinvio nelle cause pregiudiziali ovvero quella o quelle degli Stati ricorrenti o resistenti o delle parti ricorrenti nei ricorsi diretti, nella quale devono esprimersi, negli scritti e nelle difese orali, tutte le parti del processo, ma non gli Stati membri, che hanno il RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATff" 360 2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia tra la BASF AG (in prosieguo: la �BASF� ), ed il Prasident des Deutschen Patentamts (presidente dell'Ufficio tedesco dei brevetti) relativamente alla decisione di quest'ultimo di considerare senza effetto in Germania un brevetto europeo appartenente alla BASF poich� il suo titolare non aveva presentato una traduzione tedesca del fascicolo del brevetto. 3. -La convenzione sul rilascio di brevetti europei (in prosieguo: la �convenzione�) istituisce, in base ai suoi artt. 1 e 2, n. 1, un diritto comune agli Stati contraenti (gli Stati membri dell'Unione europea, la Confederazione elvetica, il principato di Liechtenstein, il principato di Monaco e la repubblica di Cipro) in materia di rilascio di brevetti per invenzioni, denominati �brevetti europei�. Questi brevetti vengono rilasciati dall'Ufficio europeo per i brevetti, le cui lingue ufficiali sono il tedesco, l'inglese ed il francese. Le domande di brevetto europee devono essere presentate in una di queste lingue. 4. -Il rilascio di un brevetto europeo pu� essere richiesto per tutti gli Stati contraenti, per alcuni di essi e per uno di essi soltanto. Questo brevetto conferisce al suo titolare, a decorrere dal giorno della pubblicazione della menzione del suo rilascio e in ciascuno degli Stati contraenti per il quale � stato rilasciato, gli stessi diritti che conferirebbe ad esso un brevetto nazionale rilasciato in tale Stato. 5. -L'art. 14, n. 7, della convenzione prevede che i fascicoli del brevetto europeo sono pubblicati nella lingua di procedura, cio� quella in cui la domanda di brevetto � stata presentata. Le rivendicazioni di un brevetto vengono tradotte nelle due altre lingue ufficiali dell'Ufficio europeo dei brevetti. 6. -L'art. 65 della convenzione consente agli Stati contraenti di disporre che un brevetto europeo � considerato sin dall'origine privo di effetti nello Stato interessato se il titolare, qualora il testo del brevetto europeo per tale Stato non sia redatto nella sua lingua ufficiale, non presenta una traduzione di tale testo in questa lingua. diritto di usare comunque la propria lingua) e in lingua francese; e cos� le sentenze, non appena pubblicate, sono disponibili solo nella lingua della causa e in quella francese, salve poi le traduzioni in tutte le altre lingue. Considerato che, attualmente, con l'Unione formata da quindici Stati membri le lingue ufficiali sono dodici, ben si comprende quale mole di lavoro e di risorse umane e finanziarie � necessaria per far fronte alle traduzioni orali in simultanea e a quelle cartacee. E naturalmente il problema � destinato ad acuirsi con il prevedibile ingresso nel tempo di ben dieci altri Stati membri, quasi tutti con una propria nuova lingua ufficiale. Ci� -ad esempio -provocher� un aumento dei casi di traduzione indiretta (cio� per il tramite di una lingua intermedia maggiormente conosciuta), per la difficolt� di reperire traduttori -interpreti fra due lingue poco conosciute. Il problema non � di facile soluzione. Se da un lato � certamente vero e noto che vi sono alcune lingue che hanno raggiunto, per tanti motivi, una diffusione enormemente superiore alle altre, � d'altro lato altrettanto noto che nessuno Stato vuole abdicare all'uso ufficiale della propria lingua. O.F. .. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 7. -La Repubblica federale di Germania ha fatto uso di questa facolt� ed ha inserito nel Gesetz iiber internationale Patentiibereinkommen (legge sulle convenzioni internazionali in materia di brevetti, BGBl 1991 II, pag. 1354; in prosieguo: l'�lnt Pat UG� ), un articolo Il, n. 3, che stabilisce: �1) Quando l'Ufficio europeo dei brevetti prevede di concedere un brevetto europeo, con effetto per la Repubblica federale di Germania, il cui testo non � redatto in lingua tedesca, il richiedente o il titolare del brevetto � tenuto, al termine di tre mesi dalla pubblicazione dell'avviso di concessione del brevetto europeo sul bollettino europeo dei brevetti, a fornire all'Ufficio tedesco dei brevetti una traduzione in lingua tedesca del fascicolo del brevetto e a pagare una tassa secondo la tariffa stabilita. (...) 2) Quando la traduzione non viene fornita nei termini o in una forma che ne consenta la pubblicazione regolare o la tassa non viene pagata nei termini, il brevetto europeo � ritenuto privo di effetto sin dall'origine nella Repubblica federale di Germania. ( ... )�. 8. -La BASF � titolare di un brevetto europeo relativo ad un �preparato per la metallizzazione di vernici per auto�, che le � stato ceduto con atto registrato nel registro tedesco il 26 agosto 1997 dal suo precedente titolare, BASF Corporation, societ� con sede negli Stati Uniti d'America. L'avviso di concessione del brevetto, redatto in lingua inglese e con effetto in Germania, � stato pubblicato il 24 luglio 1996 nel bollettino europeo dei brevetti. 9. -Con ordinanza 5 maggio 1997, l'Ufficio tedesco dei brevetti, in forza dell'art. II, n. 3, dell'IntPartUG, ha constatato che il brevetto di cui trattasi nella causa a qua era ritenuto sin dall'origine privo di effetti in Germania, in quanto il precedente titolare del brevetto non ha presentato la traduzione tedesca del fascicolo nel termine stabilito. 10. -Il 27 maggio 1997, il precedente titolare del brevetto ha presentato un ricorso per annullamento contro questa decisione. In tale ricorso � subentrata la BASE A sostegno del suo ricorso, quest'ultima sostiene che l'art. Il, n. 3, dell'IntPatUG � incompatibile con gli artt. 30 e 36 del Trattato laddove la mancata presentazione entro i termini di una traduzione del brevetto europeo � sanzionata con l'inefficacia, fin dall'origine, del brevetto europeo in Germania. 11. -Alla luce di queste considerazioni, il Bundespatentgericht ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: �Se sia compatibile con i principi della libera circolazione delle merci (articoli 30 e 36 del Trattato CE) che un brevetto rilasciato dall'Ufficio europeo dei brevetti con effetto per uno Stato membro, e redatto in una lingua diversa da quello RASSEGNA AVVOCATURA DElLO STATO '' 362 ufficiale dello stesso Stato membro, diventa inefficace ab initio nel caso in cui il titolare del brevetto non abbia depositato presso l'Ufficio dei brevetti dello Stato membro interessato una traduzione del fascicolo del brevetto nella lingua ufficiale dello Stato membro entro tre mesi dalla data di pubblicazione dell'indicazione del rilascio del brevetto nel bollettino europeo dei brevetti�. 12. -La BASF fa valere in particolare che le spese di traduzione dei fascicoli sono molto elevate, di modo che numerosi titolari di brevetto sono costretti a non presentare una traduzione, e quindi a rinunciare alla tutela del brevetto in taluni Stati membri. L'obbligo di cui trattasi nella causa a qua impedirebbe cos� a questi titolari di beneficiare degli effetti dei brevetti rilasciati in tutti gli Stati membri della Comunit�. Secondo la BASF, questa limitazione comporta una ripartizione del mercato interno in quanto, in taluni Stati membri, il brevetto � tutelato (zona detta �protetta�) mentre in �ltri non lo � (zona detta �libera�). L'obbligo di cui � causa costituirebbe pertanto un ostacolo alla libera circolazione delle merci incompatibile con l'art. 30 del Trattato, che non sarebbe giustificato dall'art. 36. 13. -La BASFfa valere a tal riguardo che il frazionamento del mercato in zone protette e zone libere ha in particolare due conseguenze. Innanzitutto diversamente dal titolare del brevetto, dal suo licenziatario e dai concorrenti con sede nella zona libera o in Stati terzi, gli operatori economici della zona protetta non potrebbero partecipare nella zona libera alla concorrenza commerciale nel mercato del prodotto di cui trattasi. A suo parere, questi ultimi si renderebbero responsabili di atti di contraffazione se esportassero il prodotto tutelato dal brevetto dalla zona protetta in quella libera. In secondo luogo, il titolare del brevetto potrebbe vedersi costretto a rinunciare all'immissione in commercio dell'invenzione nella zona libera per non compromettere il livello pi� alto dei prezzi nella zona protetta mediante il meccanismo delle reimportazioni parallele, e sarebbe perci� praticamente escluso dalla concorrenza nella zona libera. 14. -Tutti i governi intervenienti e la Commissione ritengono invece che una normativa che obbliga i titolari di un brevetto a presentare una traduzione del fascicolo di tale brevetto nella lingua ufficiale dello Stato membro interessato non sia incompatibile con il Trattato, in quanto non costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione ai sensi dell'art. 30 del Trattato o che quantomeno essa sia giustificata ai sensi dell'art. 36 del Trattato. 15. -Occorre innanzi tutto esaminare la questione se uria normativa quale quella di cui trattasi nella causa a qua, che obbliga i titolari di un brevetto a presentare una traduzione del fascicolo di tale brevetto nella lingua ufficiale dello Stato membro interessato, costituisca una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione ai sensi dell'art. 30 del Trattato. 16. -A tal riguardo la Corte ha dichiarato che ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o �rr ~ PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE in potenza, gli scambi intracomunitari va considerata come una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative (v. sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville, Racc., 837, punto 5). Tuttavia, gli effetti restrittivi che una normativa nazionale produce sulla libera circolazione delle merci possono essere troppo aleatori e indiretti perch� l'obbligo da essa sancito possa essere considerato atto a ostacolare il commercio tra Stati membri (v., in particolare, sentenza 18 giugno 1998, causa C-266/96, Corsica Ferries France, Racc., 1-3949, punto 31). 17. -Per esaminare se una normativa quale quella di cui trattasi nella causa a qua ostacoli il commercio intracomunitario ai sensi di questa giurisprudenza, occorre, innanzi tutto, secondo la BASF, basarsi sulla premessa secondo cui un numero considerevole di titolari di un brevetto, a causa dei costi elevati di traduzione, decide di non chiedere la protezione delle proprie invenzioni a tutti gli Stati membri dell'Unione, ma di limitarsi ad una protezione in alcuni soltanto di questi Stati, creando cos� un frazionamento del mercato interno in �zone protette� e �Zone libere�, con le conseguenze menzionate al punto 13 della presente sentenza. 18. -A tal riguardo occorre ricordare che, tra le scelte che si presentano a un inventore al momento in cui intende ottenere la protezione della sua invenzione con il rilascio di un brevetto, figura quella dell'estensione territoriale della protezione voluta, limitata ad un solo Stato o estesa a diversi Stati. Questa scelta � in via di principio la stessa, sia che l'inventore chieda il rilascio di un brevetto europeo sia che faccia uso dei sistemi di rilascio di brevetti nazionali attualmente vigenti negli Stati membri. La scelta avviene sulla base di una valutazione globale dei vantaggi e degli inconvenienti di ciascuna opzione, che comporta, in particolare, valutazioni economiche complesse relative all'interesse commerciale di una protezione nei diversi Stati rispetto all'importo totale delle spese collegate al rilascio di un brevetto in tali Stati, ivi comprese le spese di traduzione. 19. -Inoltre, secondo la BASF, l'ostacolo di cui trattasi nella causa a qua deriva dal fatto che l'invenzione non � tutelata in tutti gli Stati membri dell'Unione. A suo parere, esiste un ostacolo al commercio intracomunitario poich� questo mercato � frazionato in due mercati distinti, uno sul quale il prodotto � tutelato e un altro sul quale esso non lo �, in altri termini una situazione, in cui l'inventore non ha ottenuto una protezione completa contro la concorrenza. di altri operatori economici i quali, negli Stati membri in cui esso non � stato tutelato con il rilascio di un brevetto, hanno il diritto di produrre e di commercializzare il prodotto di cui trattasi. 20. -Ora, anche se si deve ritenere probabile che esisteranno differenze nei movimenti di merci a seconda che l'invenzione sar� tutelata in tutti gli Stati membri o solo in taluni di essi, ci� non significa che una tale conseguenza del frazionamento del mercato debba essere considerata un ostacolo ai sensi dell'art. 30 del Trattato. Infatti, le ripercussioni sul commercio intracomunitario di un'eventuale situazione RASSEGNA AWOCxruRA DELLO ST�T� . 364 di concorrenza sui mercati non tutelati dipendono innanzi tutto dalle decisioni concrete e imprevedibili adottate da ciascuno degli operatori interessati alla luce delle condizioni economiche esistenti sui diversi mercati. 21. -Alla luce di queste considerazioni, occorre constatare che, anche supponendo che, in talune circostanze, il frazionamento del mercato interno possa avere effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci, queste ripercussioni sono troppo aleatorie e troppo indirette per essere considerate un ostacolo ai sensi dell'art. 30 del Trattato. 22. -Occorre quindi risolvere la questione posta nel senso che l'art. 30 del Trattato non si oppone all'applicazione di disposizioni quali quelle dell'art. II, n. 3, dell'IntPat�G, secondo il quale un brevetto concesso dall'Ufficio europeo dei brevetti con effetto in uno Stato membro e redatto in una lingua diversa dalla lingua ufficiale di tale Stato membro � fin dall'origine considerato privo di effetti, quando il titolare del brevetto non ha presentato all'Ufficio dei brevetti dello Stato membro interessato, entro tre mesi a decorrere dalla data della pubblicazione nel bollettino europeo dei brevetti della menzione del rilascio del brevetto, una traduzione del fascicolo del brevetto nella lingua ufficiale di tale I Stato membro (omissis). ~ ~ I I I CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 28 settembre fil 1999, nella causa C-440/97 -Pres. Rodriguez Iglesias -Rei. Jann -Avv. Gen. I Ruiz -Jarabo Colomer. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione francese nella causa Groupe Concorde c/ Suhadiwarno Panjan. Interv.: Governi francese (ag. Rispal-Bellanger), tedesco (ag. Wagner), I italiano (avv. Stato Fiumara) e del Regno Unito (ag. Collins) e Commissione delle C.E. ( ag. Iglesias Buhigues ). l Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles -Competenza in materia ~ contrattuale -Luogo di esecuzione dell'obbligazione. I (Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 e succ. mod., rat. in Italia con legge 21.6.1971 ~ n. 804 e succ., art. 5 n. 1 ). I& L'art. 5, punto 1, della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la com-~ ~ petenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e ~' commerciale, come modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978 relativa !1 all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran-!:.' Bretagna e d'Irlanda del Nord, dalla Convenzione 25 ottobre 1982 relativa I I 1,� all'adesione della Repubblica ellenica e dalla Convenzione 26 maggio 1989 ~ relativa all'adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese, i dev'essere interpretato nel senso che il luogo in cui l'obbligazione � stata o I mw�r-mwm''fJffi�%m"',ZW1Jlf�,a�rw~��:w.$.w.w111PMWJ&ldf�am�:w;;�llAlȥm:�&='?JJ.mP~�af7~:)==,tJ�JiE'A lr�&/::...tf.,&fzLrw&u=tiffki~dfulrwlI~rt1:-0i&Mttr:,::wM'68!1;,~8..S:.ffiff;1FJ.r�.I& PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 365 dev'essere eseguita, ai sensi di questa disposizione, dev'essere determinata in conformit� alla legge che disciplina l'obbligazione controversa secondo le norme di conflitto del giudice addito. (1) II CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 5 ottobre 1999, nella causa C-420/97 -Pres. Rodriguez Iglesias -Rei. Moitinho de Almeida - Avv. Gen. L�ger. Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di cassazione belga nella causa Leathertex Divisione Sintetici c. Bodetex. Interv.: Governi tedesco (ag. Wagner), italiano (avv. Stato Fiumara) e del Regno Unito (ag. Collins) e Commissione delle C.E. (ag. Iglesias Buhigues). Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles -Competenza in materia contrattuale -Luogo di esecuzione dell'obbligazione -Domanda fondata su differenti obbligazioni equivalenti. (Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 e succ. mod., rat. in Italia con legge 21.6.1971 n. 804 e succ., art. 5 n. 1). L'art. 5, punto 1, della Convenzione 27settembre1968, concernente la competenza giudiziaria e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, come modificata con la Convenzione 9 ottobre 1978, relativa all'adesione del Regno di Danimarca, del!' Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dev'essere interpretato nel senso che lo stesso giudice non � competente a conoscere l'insieme di una domanda basata su due obbligazioni equivalenti derivanti da un medesimo contratto, nel caso in cui, secondo le norme di rinvio dello Stato di detto giudice, tali obbligazioni devono essere eseguite una in questo Stato e l'altra in un altro Stato contraente (2). (1-2) Il luogo di esecuzione dell'obbligazione nella convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giudiziaria in materia civile e commerciale (*). �Un vero mercato interno fra i sei Stati -avvertiva una comunicazione della Commissione della Comunit� economica europea del 1959, nella prima fase di studio di quella che sarebbe stata la Convenzione di Bruxelles sulla competenza giudiziaria e l'esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale -potr� essere realizzato soltanto a condizione che venga garantita una sufficiente tutela giuridica. Sono da temersi perturbazioni e difficolt� nella vita economica della Comunit� qualora non si possa far accertare e realizzare, in via giudiziaria se del caso, i diritti individuali che sorgeranno dalle molteplici relazioni giuridiche . . . La tutela giuridica e, di conseguenza, la sicurezza giuridica nel Mercato comune dipendono essenzialmente dall'adozione da parte degli Stati membri in comune di una soluzione soddisfacente per quanto riguarda il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni giudiziarie�. (*) Tratto dall'intervento svolto nel Seminario sul tema �Contratti internazionali. Tutela giudiziaria, arbitrale e amministrativa: problemi e soluzioni� a cura dell'IDLI -International Development Law Institute, svoltosi in Roma il 23 novembre 1999 presso la sede dell'Avvocatura Generale dello Stato. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'IU ' I (omissis). 10. -Con tale questione, il giudice nazionale chiede in sostanza se l'espressione �luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio � stata o dev'essere eseguita�, che � utilizzata all'art. 5, punto 1 della Convenzione di Bruxelles per giustificare una competenza speciale in materia contrattuale, debba essere interpretata nel senso che rinvia al diritto sostanziale che si applica in forza delle norme di conflitto del giudice addito o debba ricevere un'interpretazione autonoma. Nacque cos� la Convenzione del 27 settembre 1968 fra i sei Stati membri originari delle Comunit� europee, pi� volte successivamente modificata e adattata con l'ingresso nelle Comunit� degli altri Stati, nel 1978, nel 1982, nel 1989 e infine nel 1996, con l'ingresso dell'Austria, della Finlandia e della Svezia. Una tale convenzione con norme di competenza diretta, tramite l'adozione di norme comuni di competenza, ha consentito una armonizzazione delle legislazioni pi� spinta, con una maggior certezza del diritto, evitando discriminazioni, cos� facilitando ci� che, sin dalla relazione Jenard alla convenzione originaria, � stata chiamata la "libera circolazione delle sentenze". E cos�, in materia di competenza giudiziaria, si � cercato di fissare criteri uniformi e semplici per l'intero territorio comunitario, di modo che il processo di unificazione potesse realizzarsi anche nel campo dell'amministrazione della giustizia. � naturale che nella materia civile e commerciale trattata dalla Convenzione spicchi la contrattualistica internazionale. E per essa la convenzione, in alternativa alla regola generale dell'art. 2 del foro del convenuto, ha consentito l'utilizzo del forum solutionis: dispone infatti l'art. 5 n. 1 della Convenzione (.con una regola che � stata estesa all'intero Spazio economico europeo dalla Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988) che in materia contrattuale il convenuto domiciliato in uno Stato contraente pu� essere citato in un altro Stato contraente �davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio � stata o deve essere eseguita�. Si intese cos� fissare una regola, ritenuta semplice e sicura, che offrisse una valida e sufficiente alternativa alla regola generale, per esigenze di praticit� ed efficacia, evitandosi il �foro in cui l'obbligazione � sorta� per il timore che fosse riconosciuta per vie traverse la competenza del giudice dell'attore. Si sa, per�, che �la strada dell'inferno � lastricata di buone intenzioni�. E i dubbi e le difficolt� sono ben presto affiorati. Non � un caso che la prima sentenza interpretativa della Corte di Giustizia sulla intera Convenzione sia intervenuta proprio su questa regola. Con la sentenza 6 ottobre 1976, nella causa 12/76 Tessili, la Corte afferm� che �il luogo in cui l'obbligazione � stata o deve essere eseguita� � determinato conformemente alla legge che regola l'obbligazione dedotta in giudizio secondo le n orme di diritto internazionale privato del giudice adito. E tale interpretazione � stata confermata dalla Corte nella sentenza 29 giugno 1994, nella causa C -288/92, Custom Made Commerciai. Questa soluzione � stata vivacemente criticata in dottrina. Sono stati rilevati molti inconvenienti: difficolt� di interpretazione, diversit� di applicazione, incertezze, possibilit� di conflitto di giudicati. Da pi� parti si � suggerita una riconsiderazione della problematica da parte della Corte, tale da affermare una nozione comunitaria autonoma del "luogo in cui l'obbligazione deve essere eseguita": in tal modo si avrebbe una interpretazione uniforme della nozione controversa e verrebbero in gran parte eliminati gli inconvenienti determinati dalla precedente soluzione. L'occasione � venuta con i due rinvii pregiudiziali della Corte di cassazione francese e della Corte di cassazione belga, che hanno dato origine alle due cause nelle quali la Corte si � pronunciata rispettivamente con le due sentenze annotate. !i i . I - PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITAR�A E INTERNAZlONALE 367 11. -In via preliminare, occorre ricordare che la Corte si pronuncia, per quanto possibile, in senso favorevole ad una interpretazione autonoma, e non in riferimento al diritto nazionale, dei termini impiegati nella Convenzione di Bruxelles, in modo da garaIJtire a questa piena efficacia conformemente agli scopi dell'art. 220 del Trattato CE (divenuto art. 293 CE), ai sensi del quale la Convenzione � stata stipulata (sentenza 13 luglio 1993, Mulox IBC, C-125/92, Racc., 1-4075, punto 10). 12. -Tuttavia, la Corte ha sottolineato che nessuna opzione pu� essere accettata in modo esclusivo, poich� la soluzione migliore va studiata di volta in volta per ciascuna norma della Convenzione di Bruxelles (sentenze Tessili, sopra menzionata, punto 11e8 dicembre 1987, Gubisch Maschinenfabrik, 144/96, Racc., 4861, punto 7). Nelle due cause, nelle quali hanno presentato osservazioni numerosi Governi, fra cui quello italiano, hanno trovato eco le varie tesi, in prevalenza, invero, sollecitanti un mutamento di indirizzo da parte della Corte. �� paradossale -ha affermato l'Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer nella prima causa -che una materia che necessita fondamentalmente di risposte pratiche e semplici che permettano ai giudici europei di sapere rapidamente se sono o non competenti internazionalmente sia stata caratterizzata, tanto nella giurisprudenza che nella dottrina, da un grado elevato di astrattezza, che ha fatto perdere di vista i problemi che devono essere affrontati dagli operatori abituali del commercio giuridico ... Non esistono in materia di competenza internazionale -come non esistono in materia di competenza interna -ragioni particolari che militino in favore di questo punto di vista astratto: la priorit� non deve spingere a trovare la soluzione interpretativa pi� perfetta in teoria, ma a fornire ai giudici e alle parti dei criteri operativi�. E cos� da una parte i due Avvocati Generali Ruiz-Jarabo Colomer e L�ger, i Governi britannico e tedesco e la Commissione delle Comunit� europee proponevano varie soluzioni innovative. Da un'altra parte i Governi francese e italiano ritenevano ancor preferibile, malgrado gli indubbi inconvenienti lamentati, la soluzione gi� data dalla Corte nella sua giurisprudenza: e questa conferma � arrivata con le due sentenze. Invero l'intento di pervenire ad una nozione autonoma del luogo di esecuzione era assolutamente lodevole, ma i criteri interpretativi proposti apparivano ben poco perseguibili e le soluzioni prospettate ben poco soddisfacenti. In verit� la Corte, nell'interpretare la convenzione di Bruxelles, ha sempre attentamente cercato di dare a ciascuna nozione di essa una portata autonoma: �un'interpretazione autonoma � la sola ad assicurare l'applicazione uniforme della convenzione, il cui obiettivo consiste innanzitutto nell'unificare le regole di competenza delle giurisdizioni degli Stati membri� (cos� nella sentenza 13 luglio 1993, nella causa C-125/82, Mulox). Ma la stessa Corte ha precisato (nella sentenza stessa) che tale soluzione va preferita �nei limiti del possibile�. Oggi la convenzione, nella sua attuale formulazione, consente di enucleare una nozione autonoma e comunitaria di �luogo in cui l'obbligazione deve essere eseguita�? Solo se si desse una risposta positiva, si potrebbe definire, al lume appunto della convenzione attualmente vigente, tale nozione uniforme. E che tutti dubitino della possibilit� di pervenire oggi ad una definizione comunitaria del luogo dell'esecuzione sulla base delle regole vigenti � dimostrato dal fatto che, proprio in sede di revisione della Convenzione, si discuta animatamente della necessit� di riformulare l'art. 5.1 in questione e che in tale sede non si sia affatto convinti, oltretutto, di poter pervenire ad una nozione uniforme soddisfacente. Nelle cause di cui si tratta i fautori di una soluzione uniforme attraverso una pronuncia interpretativa della Corte ritenevano di poter individuare il luogo dell'esecuzione nel �luogo di esecuzione dell'obbligazione che caratterizza il contratto�, e ci� sulla falsariga della sentenza 26 maggio 1982, nella causa 133/81, !vene!, in relazione alle obbligazioni nascenti da un contratto di lavoro dipendente. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 368 13. -Per quanto riguarda l'espressione �luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio � stata o dev'essere eseguita�, la Corte ha dichiarato pi� volte che essa dev'essere interpretata nel senso che rinvia alla legge che disciplina l'obbligazione di cui � causa secondo le norme di conflitto del giudice addito (v. sentenze Tessili, punto 13, e Custom Made Commerciai, punto 26, sopra menzionate). 14. -� vero che, in materia di contratti di lavoro, la Corte ha dichiarato che occorre determinare il luogo di esecuzione dell'obbligazione pertinente non con riferimento alla legge nazionale da applicare in base alle norme di conflitto del giudice addito, ma, al contrario, secondo criteri uniformi che essa deve definire basandosi sul sistema e gli obiettivi della Convenzione di Bruxelles (sentenza Mulox IBC, sopra menzionata, punto 16), criteri che inducono a prendere in considerazione il luogo in cui il lavoratore esercita di fatto le attivit� convenute con il datore di lavoro (sentenza Mulox IBC, sopra menzionata, punto 20). Si pu� anche ammettere che una tale enunciazione di principio del luogo dell'esecuzione dell'obbligazione possa discendere dall'attuale formulazione della norma della convenzione, sempre che -beninteso -l'obbligazione caratterizzante sia essa stessa, da sola o con altre, dedotta specificamente in giudizio. Ma la soluzione -pur accettabile, cos� come era stata esposta in relazione ad una fattispecie relativamente semplice (il contratto di lavoro dipendente, in relazione al quale � stata poi codificata con le modifiche dell'art. 5 successivamente intervenute) -non appare affatto decisiva e pertanto soddisfacente in via generale. Invero il problema si sposta, senza essere risolto: quale � infatti <<l'obbligazione che caratterizza il contratto�? Ed ecco che alcuni rispondevano che tale obbligazione va determinata di caso in caso. E la Commissione, attraverso uno specifico esame delle varie soluzioni possibili nel contratto di trasporto, arrivava alla conclusione che il luogo dell'obbligazione che caratterizza il contratto � quello in cui deve essere consegnata la merce. Avrebbe dovuto, dunque, essere la Corte di giustizia a individuare di volta in volta quest'obbligazione caratteristica, con riferimento a ciascun tipo di contratto? Non � questo il compito attribuito alla Corte, perch� la legge -cio� la Convenzione -, che la Corte deve interpretare senza interventi di tipo �pretorio�, non lo prevede n� lo consente; e perch�, comunque, sarebbe quantomeno assurdo, dati il gran numero di contratti, contratti tipo e contratti atipici, semplici o composti, e la grande variet� di obbligazioni che possono essere dedotte in giudizio. Ecco perch� appariva pi� ragionevole, allo stato attuale della Convenzione (cos� come addirittura in sede di revisione della Convenzione stessa), mantenere l'enunciazione fatta dalla Corte nella causa Tessili: il luogo in cui l'obbligazione deve essere eseguita va determinato conformemente alla legge che regola l'obbligazione dedotta in giudizio secondo le norme di diritto internazionale privato del giudice adito. Del resto questi � ben aiutato oggi dalle convenzioni di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e dalla convenzione di Vienna dell'll aprile 1980 sulla vendita internazionale delle merci: molti dei paventati inconvenienti possono essere superati e quelli residui non sono certo superiori a quelli che deriverebbero dall'applicazione di una nozione uniforme ancorata all'obbligazione �che caratterizza� il contratto. La Corte con la prima delle sentenze annotate ha dunque ribadito che l'art. 5 n. 1 della convenzione �deve essere interpretato nel senso che il luogo in cui l'obbligazione � stata o deve essere eseguita deve essere determinato in conformit� alla legge che disciplina lobbligazione controversa secondo le norme di conflitto del giudice adito>>. PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZl�N'ALE 369 15. -I governi tedesco e del Regno Unito nonch� la Commissione auspicano una generalizzazione a tutti i tipi di contratto della tesi accolta nella sentenza Mulox IBC, sopra menzionata. A loro parere, gli obiettivi della Convenzione di Bruxelles, cio� la prevedibilit� del foro competente, la certezza del diritto e la parit� di trattamento dei singoli, militano a favore della determinazione di criteri uniformi che consentano, per ogni tipo di obbligazione contrattuale, o quanto meno per ogni tipo di contratto, una determinazione autonoma del luogo di esecuzione ai fini dell'applicazione dell'art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles. La Corte ha ricordato che va certamente ricercata, per quanto possibile, un'interpretazione autonoma dei termini della Convenzione, ma ha precisato che nessuna opzione pu� essere accettata in modo esclusivo, perch� la soluzione migliore va studiata di volta in volta per ciascuna norma. Non � possibile una estensione a tutti i tipi di contratto della regola espressamente formulata per i contratti di lavoro (luogo della prestazione lavorativa), data la specificit� di tali contratti, non riscontrabile invece nella generalit� dei contratti internazionali, che presentano una grandissima variet� di forme e di contenuti. Il principio della certezza del diritto impone che la norma (forum solutionis) che deroga ad un principio generale (foro del convenuto) deve essere interpretata �in modo da consentire ad un convenuto normalmente accorto di prevedere ragionevolmente dinanzi a quale giudice, diverso da quello dello Stato del proprio domicilio, potr� essere citato�. E una tal garanzia non appare assicurata ove l'identificazione dell'obbligazione contrattuale che � alla base dell'azione in giudizio dovesse avvenire senza far riferimento alla legge applicabile nella fattispecie concreta. Viceversa, essendo consentito alle parti del contratto di designare, senza particolari requisiti formali, il luogo in cui l'obbligazione va adempiuta, proprio l'accordo circa il luogo dell'adempimento � sufficiente a radicare nello stesso luogo la competenza giurisdizionale ai sensi dell'art. 5 n. 1 della convenzione, con la sola riserva che questo luogo presenti un collegamento effettivo con la materia del contratto. Corollario di questa pronuncia � la statuizione contenuta nella seconda sentenza annotata, con la quale � stato affermato che l'art. 5 n. 1 della Convenzione �deve essere interpretato nel senso che lo stesso giudice non � competente a conoscere l'insieme di una domanda basata su due obbligazioni equivalenti derivanti da un medesimo contratto, nel caso in cui, secondo le norme di rinvio dello Stato di detto giudice, tali obbligazioni devono essere eseguite una in questo Stato e l'altra in un altro Stato contraente�. � vero, ha precisato la Corte, che �il fatto che vari aspetti di una stessa lite siano giudicati da giudici diversi comporta inconvenienti�, ma il ricorso al forum solutionis � una facolt� della parte attrice, la quale, se vorr� preservare l'unicit� del giudizio potr� sempre rivolgersi al foro del convenuto secondo la regola generale. Naturalmente la pronuncia della Corte, confermativa della sua precedente giurisprudenza, come non sopir� le polemiche, cos� non vincoler� il legislatore comunitario in sede di revisione della Convenzione. Ma la ribadita difficolt� di trovare un criterio autonomo di interpretazione non potr� non condizionare i lavori. Sarebbe comunque da valutare l'opportunit� di una precisazione che ben pu� discendere dall'attuale formulazione della Convenzione (cfr. il punto 28 della prima sentenza, con richiamo alla sentenza 20 febbraio 1997, nella causa C -106/95, MSG) e che potrebbe essere codificata in sede di revisione della medesima (secondo la proposta del Governo italiano nei lavori in corso), secondo cui il "luogo in cui l'obbligazione deve essere eseguita" va s� determinato secondo la lex fori, ma, se ci� dovesse portare alla individuazione del forum actoris, deve essere altres� verificata da parte del giudice adito l'esistenza di un effettivo collegamento fra tale luogo e il luogo di esecuzione della prestazione dedotta in giudizio. E ci� a salvaguardia della regola fondamentale del rispetto del foro del convenuto, derogabile a favore del foro dell'attore solo in presenza di specifiche e ben determinate ragioni di opportunit�. OSCAR FIUMARA RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO' 370 16. -Il governo francese e italiano concludono invece per il mantenimento della giurisprudenza attuale della Corte. Pur riconoscendo che il ricorso alle norme di conflitto per determinare il luogo di esecuzione possa far sorgere difficolt� di attuazione e portare a risultati poco soddisfacenti, essi fanno osservare che un'interpretazione autonoma della nozione di luogo di esecuzione potrebbe essere operativa solo per alcuni contratti semplici, soluzione incompatibile con l'evoluzione costante della prassi contrattuale nel commercio internazionale. Essi aggiungono che, in considerazione della diversit� delle proposte alternative formulate, spetta agli Stati contraenti, se lo ritengono opportuno, effettuare una scelta nell'ambito dei lavori di revisione della Convenzione di Bruxelles. 17. -A tal riguardo, occorre rilevare che, al punto 14 della sentenza Tessili, sopramenzionata, la Corte ha motivato il rinvio alla legge che si applica al contratto per la determinazione del luogo di esecuzione delle obbligazioni contrattuali con la constatazione che questa determinazione dipende dal contesto contrattuale al quale appartengono queste obbligazioni e con la circostanza che le normative nazionali dei vari Stati contraenti hanno, in materia di contratti, concezioni molto divergenti circa il luogo di esecuzione. 18. -Per contro, l'abbandono, per il contratto di lavoro, del rinvio alla legge da applicare al contratto per la determinazione del luogo di esecuzione a favore della designazione del luogo in cui i fatti materiali che costituiscono l'esecuzione dell'obbligazione pertinente sono localizzati � stato giustificato con le specificit� di questo tipo di contratti (v., sentenza Mulox IBC, sopra menzionata, punto 15), specificit� che avevano gi� indotto la Corte a dichiarare che, per questi contratti, l'obbligazione da prendere in considerazione per l'applicazione dell'art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles � sempre quella che caratterizza tali contratti, vale a dire l'obbligazione del lavoratore di svolgere le attivit� convenute (v., in particolare, sentenza 26 maggio 1982, Ivenel, 133/81, Racc., 1891, punto 20, e Mulox IBC, sopra menzionato, punto 14). 19. -Ora, la Corte ha confermato che, quando queste particolarit� specifiche mancano, non � n� necessario n� indicato identificare l'obbligazione che caratterizza il contratto e centralizzare nel suo luogo di esecuzione la competenza giudiziaria, a titolo di luogo di esecuzione, per le controversie relative a tutte le obbligazioni contrattuali (sentenza 15 gennaio 1987, Shenavai, 26/85, Racc., 239, punto 17). 20. -Questa interpretazione, sia per quanto riguarda il mantenimento della regola generale che si applica a tutti i contratti, sia per quanto riguarda la regola speciale stabilita per i contratti di lavoro, ha trovato conferma in occasione della conclusione della Convenzione 26 maggio 1989 relativa all'adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese alla Convenzione di Bruxelles, che ha dato all'art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles la sua versione attualmente in vigore. 21. -Del resto, sono in corso lavori di revisione della Convenzione di Bruxelles, nell'ambito dei quali sono state fatte valere difficolt� collegate all'applicazione dell'art. 5, punto 1, nella sua formulazione attuale come interpretata fino ad oggi PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE � 371 dalla Corte. Numerose proposte di riforma di questa disposizione sono state successivamente presentate ed esaminate. 22. -Inoltre, dalle discussioni dinanzi alla Corte nella presente causa sono risultate non solo posizioni contraddittorie tra, da un lato, due governi, che hanno presentato osservazioni a favore del mantenimento della giurisprudenza attuale, e, dall'altro, altri due governi e la Commissione, sostenitori di un nuovo approccio, ma anche divergenze sostanziali tra le proposte alternative formulate. 23. -Alla luce di queste considerazioni, occorre sottolineare che il principio della certezza del diritto costituisce uno degli obiettivi della Convenzione di Bruxelles (v. sentenza 20 gennaio 1994, Owens Bank, C-129/92, 1-117, punto 32). 24. -Questo principio richiede in particolare che le norme di competenza che derogano al principio generale della Convenzione di Bruxelles, quali l'art. 5, punto 1, siano interpretate in modo da consentire ad un convenuto normalmente accorto di prevedere ragionevolmente dinanzi a quale giudice, diverso da quello dello Stato del proprio domicilio, potr� essere citato (sentenza 17 giugno 1992, Handte, C-261/91, Racc., 1-3967, punto 18). 25. -Ora risulta che la determinazione della nozione di luogo di esecuzione in funzione della natura del rapporto obbligatorio e delle circostanze della fattispecie, come � suggerita dal giudice nazionale, �, nella versione attuale dell'art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles, insufficiente per risolvere le questioni collegate all'applicazione di questa disposizione. 26. -Infatti, talune delle questioni che possono sorgere in tale contesto, quali l'identificazione dell'obbligazione contrattuale che � alla base dell'azione in giudizio cos� come, in caso di pluralit� di obbligazioni, la ricerca dell'obbligazione principale, possono solo difficilmente essere risolte senza far riferimento alla legge applicabile. 27. -Ne deriva che i criteri suggeriti dal giudice nazionale non possono del tutto dispensare il giudice addito dal determinare la legge che disciplina l'obbligazione controversa, al fine di pronunciarsi sulla sua competenza ai sensi dell'art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles 88. 28. -Del resto, la Corte, traendo le conseguenze dall'importante collocazione generalmente accordata alla volont� delle parti dai diritti nazionali in materia di contratti, ha dichiarato che, qualora la legge da applicarsi consenta ai contraenti, alle condizioni che essa determina, di designare il luogo in cui l'obbligazione va adempiuta, senza imporre particolari requisiti formali, l'accordo circa il luogo dell'adempimento � sufficiente a radicare nello stesso luogo la competenza giurisdizionale ai sensi dell'art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles (sentenza Zelger sopra citata, punto 5), con riserva che questo luogo presenti un collegamento effettivo con la materia del contratto (sentenza 20 febbraio 1997, MSG, C-106/95, Racc., 1-911, punti 30 e 31). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STJUO� 372 29. -Alla luce di queste considerazioni non sembra giustificato sostituire i criteri suggeriti dal giudice nazionale all'interpretazione precedentemente data dalla Corte, secondo la quale la determinazione del luogo di esecuzione dev'essere effettuata in hase alla legge che disciplina l'obbligazione controversa. Questa soluzione presenta inoltre il vantaggio di far coincidere il giudice competente con il luogo in cui l'obbligazione di cui trattasi dev'essere eseguita secondo la legge che ad essa applica. Ora, � la considerazione secondo cui il luogo di esecuzione costituisce normalmente un collegamento particolarmente stretto tra la controversia e il giudice competente che, ai fini dell'economia processuale, ha motivato la norma di competenza speciale prevista all'art. 5, punto 1, della Convenzione di Bruxelles in materia contrattuale (sentenza Shevavai, punto 18, e Custom Made Commerciai, punti 12 e 13). 30. -Occorre aggiungere che la legge che si applica alla determinazione del luogo di esecuzione non rischia di variare a secondo del giudice addito, in quanto le norme di conflitto che consentono di determinare la legge che si applica al contratto sono state uniformate negli Stati contraenti con la Convenzione 19 giugno 1980 sulla legge che si applica alle obbligazioni contrattuali (Gazzetta Ufficiale L 266, 1 ), come modificata dalla Convenzione 10 aprile 1984 relativa all'adesione della Repubblica ellenica (Gazzetta Ufficiale L 146, 1), dalla Convenzione 18 maggio 1992 relativa all'adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese (Gazzetta Ufficiale L 333, 1) e dalla Convenzione 29 novembre 1996 relativa all'adesione della Repubblica d'Austria e della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia (Gazzetta Ufficiale 1997, C 15, 10). 31. -Spetta al legislatore nazionale, unico competente in tale settore, definire un luogo di esecuzione che tenga equamente conto al tempo stesso degli interessi di una buona amministrazione della giustizia e di quelli di una tutela sufficiente dei singoli. In quanto il diritto nazionale lo autorizza, il giudice pu� cos� essere chiamato a determinare il luogo di esecuzione tenendo conto dei criteri suggeriti dal giudice nazionale, cio� ricercando, in funzione della natura del rapporto obbligatorio e delle circostanze del caso di specie, il luogo in cui la prestazione � stata o doveva essere effettivamente fornita. 32. -Da tutte le considerazioni che precedono risulta che l'art. 5, punto 1 della Convenzione di Bruxelles dev'essere interpretato nel senso che il luogo in cui l'obbligazione � stata o dev'essere eseguita, ai sensi di questa disposizione, dev'essere determinato in conformit� alla legge che disciplina l'obbligazione controversa secondo le norme di conflitto del giudice addito (omissis). II (omissis). 19. -Con tale questione il giudice a quo chiede, in sostanza, se gli artt. 2 e 5, punto 1, della Convenzione debbano essere interpretati nel senso che lo stesso giudice � competente a conoscere l'insieme di una domanda basata su due obbligazioni equivalenti derivanti da un medesimo contratto, anche se, secondo le norme di rinvio dello Stato di questo giudice, le obbligazioni devono essere eseguite una in questo Stato e l'altra in un altro Stato contraente. PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 20. -Il governo del Regno Unito fa valere, in via principale, che fra le due obbligazioni sulle quali si basa la domanda nella causa principale l'obbligazione di versare le commissioni costituisce lobbligazione che costituisce il fondamento principale dell'azione giudiziaria. Infatti, secondo la sentenza di rinvio, il mancato pagamento delle commissioni controverse sarebbe l'unico motivo per il quale la Bodetex avrebbe considerato che il contratto era stato rescisso senza preavviso. L'indennit� compensativa di preavviso dovrebbe quindi essere versata solo se fosse provato che le commissioni controverse erano effettivamente dovute. Il governo del Regno Unito propone pertanto di riformulare la questione pregiudiziale al fine di dichiarare che, in una fattispecie come quella della causa principale, l'obbligazione contrattuale che costituisce il fondamento principale dell'azione giudiziaria e in forza della quale la competenza pu� essere determinata in base all'art. 5, punto 1, della Convenzione � costituita dall'obbligazione di versare le commissioni. 21. -A questo proposito, va rilevato, tenuto conto della ripartizione delle competenze nell'ambito del procedimento pregiudiziale previsto dal Protocollo, che � compito del giudice nazionale valutare l'importanza relativa delle obbligazioni contrattuali di cui trattasi nella causa principale e della Corte di interpretare la Convenzione alla luce delle considerazioni del giudice nazionale. 22. -Inoltre, una modifica della sostanza della questione pregiudiziale sarebbe incompatibile con il ruolo assegnato alla Corte dal Protocollo, nonch� con il suo obbligo di dare ai governi degli Stati membri e alle parti interessate la possibilit� di presentare osservazioni ai sensi degli artt. 5 del Protocollo e 20 dello Statuto CE della Corte, tenuto conto del fatto che, a norma di quest'ultima disposizione, alle parti interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio [v., quanto al procedimento di cui ali' art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), sentenze 20 marzo 1997, causa C-352/95, Phytheron International, Racc., 1-1729, punto 14, e 16 luglio 1998, causa C-235/95, Dumon e Froment, Racc., 1-4531, punto 26]. 23. -In tali circostanze si deve risolvere la questione pregiudiziale considerando, come emerge dalla sentenza di rinvio, che le due obbligazioni contrattuali sulle quali si basa la domanda sono equivalenti. 24. -La Leathertex, il governo tedesco e, in subordine, il governo del Regno Unito sostengono che un giudice di uno Stato contraente non � competente in forza dell'art. 5, punto 1, della Convenzione a conoscere l'insieme di un'azione basata su pi� obbligazioni equivalenti derivanti da un medesimo contratto, quando il luogo di esecuzione di una di tali obbligazioni o di alcune di esse si trova in un altro Stato contraente. 25. -L'art. 5, punto 1, della Convenzione dovrebbe essere interpretato restrittivamente. Dal momento che le due obbligazioni che costituiscono il fondamento della domanda sono considerate equivalenti dal giudice adito, occorrerebbe prendere in considerazione, per conoscere ciascuna di tali obbligazioni, la competenza del giudice del luogo in cui ciascuna di esse deve essere eseguita ed RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAID 374 accettare il frazionamento delle competenze che potrebbe risultarne. Siffatta interpretazione dell'art. 5, punto 1, della Convenzione sarebbe conforme alla ratio di tale disposizione che � quella di dare a ciascuna parte, in materia contrattuale, la garanzia che la domanda sar� esaminata dal giudice del luogo in cui l'obbligazione controversa deve essere eseguita. 26. -La Bodetex adduce, in primo luogo, che il contratto da cui derivano le due obbligazioni di cui trattasi nella causa principale � analogo ad un contratto di lavoro di rappresentante di commercio. Pertanto, per l'applicazione dell'art. 5, punto 1, della Convenzione in caso di domanda basata su obbligazioni diverse derivanti da un medesimo contratto di agenzia, si dovrebbe, al pari dei contratti di lavoro, prendere in considerazione l'obbligazione che caratterizza tale contratto, vale a dire, nella fattispecie, quella di trovare nuovi clienti e di distribuire i prodotti della Leathertex, in particolare, in Belgio. In pi� Stati contraenti la giurisprudenza e la dottrina avrebbero esteso tale soluzione al contratto di concessione, col quale il contratto d'agenzia commerciale avrebbe del pari analogie. 27. -La Bodetex sostiene, in secondo luogo, che l'obbligazione di pagare le commissioni presenta un nesso con quella di versare un'indennit� compensativa di preavviso. Entrambe risulterebbero dal contratto d'agenzia. Per di pi�, la mancata esecuzione dell'obbligo di versare le commissioni costituirebbe il motivo per cui � stato posto fine al contratto, facendo cos� sorgere l'obbligazione di versare un'indennit� compensativa di preavviso. Tale connessione giustificherebbe il fatto che il giudice competente a statuire sull'obbligazione di versare l'indennit� compensativa di preavviso sia competente a statuire anche sull'obbligazione di pagare le commissioni. 28. -Secondo la Bodetex siffatta interpretazione dell'art. 5, punto 1, della Convenzione consentirebbe di garantire un'organizzazione utile del processo evitando una frammentazione delle competenze. 29. -Infine, la Commissione fa valere che, qualora un attore formuli due domande basate su due obbligazioni equivalenti, il giudice che � competente a conoscere una di esse a norma dell'art. 5, punto 1, della Convenzione, � competente a conoscere anche l'altra obbligazione se fra tali domande sussiste una relazione talmente stretta che vi � interesse a istruirle e a giudicarle contemporaneamente, al fine di evitare soluzioni che potrebbero essere inconciliabili se le cause fossero giudicate separatamente. 30. -Secondo la Commissione, una soluzione del genere corrisponde nel modo migliore al sistema della Convenzione. Da un lato, essa sarebbe analoga, mutatis mutandis, alla soluzione enunciata dall'art. 6, punto 1, della Convenzione in caso di pluralit� di convenuti. Dall'altro lato, essa si imporrebbe alla luce dell'art. 22 della Convenzione. Infatti, in una controversia come quella di cui trattasi nella causa principale, se l'attore decidesse, in forza dell'art. 5, punto 1, della Convenzione, di presentare la domanda di pagamento dell'indennit� compensativa in uno Stato contraente e quella di versamento degli arretrati di commissione in un altro Stato PARTE I, SEZ.11, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE contraente, l'art. 22 della Convenzione si applicherebbe a causa della connessione fra queste due domande. Occorrerebbe pertanto interpretare l'art. 5, punto 1, della Convenzione in modo da evitare in anticipo situazioni alle quali l'art. 22 della Convenzione sarebbe applicabile. 31. -Si deve ricordare anzitutto che, ai punti 8-10 della sentenza 6 ottobre 1976, causa 14/76, De Bloos (Racc., 1497), la Corte, dopo aver ricordato che la Convenzione mira a determinare la competenza degli organi giurisdizionali degli Stati contraenti nell'ordinamento internazionale, a facilitare il riconoscimento delle rispettive decisioni giudiziarie e ad instaurare un procedimento rapido inteso a garantire l'esecuzione delle decisioni, ha affermato che detti obiettivi implicano la necessit� di evitare, nei limiti del possibile, la molteplicit� dei criteri di competenza giurisdizionale rispetto al medesimo contratto e che non si pu� quindi interpretare l'art. 5, punto 1, della Convenzione nel senso ch'esso faccia riferimento a qualsivoglia obbligazione derivante dal contratto considerato. La Corte ne ha desunto, ai punti 11 e 13 della stessa sentenza, che, per la determinazione del luogo di esecuzione ai sensi dell'art. 5, punto 1, della Convenzione, l'obbligazione di cui si deve tener conto � quella corrispondente al diritto del contratto sul quale si basa l'azione dell'attore. Essa ha precisato, al punto 14 di detta sentenza, che, nell'ipotesi in cui l'attore rivendichi il diritto al risarcimento del danno o chieda la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, detta obbligazione � sempre quella derivante dal contratto ed il cui inadempimento � dedotto a sostegno di dette domande. 32. -Siffatta interpretazione � stata confermata in occasione della conclusione della Convenzione 9 ottobre 1978, relativa all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, la quale ha modificato, in talune versioni linguistiche, l'art. 5, punto 1, della Convenzione, al fine di precisare che l'obbligazione il cui luogo di esecuzione determina il giudice competente in materia contrattuale � �l'obbligazione dedotta in giudizio�. 33. -Occorre ricordare inoltre che la Corte ha ripetutamente affermato che il luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio � stato o deve essere eseguito va determinato conformemente al diritto sostanziale disciplinante l'obbligazione controversa secondo le norme di rinvio del giudice adito (sentenze 6 ottobre 1976, causa 12/76, Industrie tessili italiana/Dunlop AG, Racc., 1473, punto 13; 29 giugno 1994, causa C-288/92, Custom Made Commercia!, Racc., 1-2913, punto 26, e 28 settembre 1999, causa C-440/97, Groupe Concorde e a., Racc., I-0000, punto 32). 34. -Al riguardo, va rilevato che, nella fattispecie, i giudici belgi hanno considerato, in base alla succitata giurisprudenza, che l'obbligazione di versare un'indennit� compensativa di preavviso doveva essere eseguita in Belgio, mentre l'obbligazione di pagare le commissioni doveva essere eseguita in Italia. 35. -Peraltro, dalla sentenza di rinvio, nonch� dagli atti trasmessi dal giudice nazionale emerge che il contratto di cui trattasi nella causa principale, in base al RASSEGNA AVVOCATURA bELLO STATO 376 quale sono state presentate le doman.de di pagamento delle comm1ss1oni e di un'indennit� compensativa di preavviso, non costituisce un contratto di lavoro. 36. -Orbene, quando le particolarit� specifiche dei contratti di lavoro non sussistono, non � n� necessario n� opportuno identificare l'obbligazione che caratterizza il contratto, n� accentrare nel suo luogo di adempimento la competenza giurisdizionale, in quanto luogo di adempimento, per le liti relative a qualsiasi obbligazione contrattuale (precit. sentenza Shenavai, punto 17). 37. -Pertanto, non si deve, nella causa principale, prendere in considerazione l'obbligazione che caratterizza il contratto di agenzia per determinare la competenza giudiziaria, in base al luogo di esecuzione. 38. -Il giudice competente a conoscere la domanda di pagamento di un'indennit� compensativa di preavviso non pu� neanche basare la sua competenza quanto alla domanda di pagamento di commissioni su un'eventuale connessione fra queste due domande. Infatti, come ha precisato la Corte, l'art. 22 della Convenzione contempla l'ipotesi in cui cause connesse siano proposte dinanzi ai giudici di Stati contraenti diversi. Esso non attribuisce competenze; in particolare, non determina la competenza di un giudice di uno Stato contraente a statuire su una domanda connessa a un'altra domanda dinanzi ad esso proposta a norma della Convenzione (v. sentenze 24 giugno 1981, causa 150/80, Elefanten Schuh, Racc., 1671, punto 19, e 27 ottobre 1998, causa C-51/97, R�union Europ�enne e a., Racc., I-6511, punto 39). 39. -Infine, nel caso in cui la lite verta su pi� obbligazioni equivalenti derivanti dallo stesso contratto, il giudice adito non pu� orientarsi, per determinare la propria competenza, sul principio affermato dalla Corte al punto 19 della sentenza Shenavai, secondo il quale I'accessorio segue il principale. 40. -In tali circostanze, lo stesso giudice non � competente a conoscere l'insieme di una domanda basata su due obbligazioni equivalenti derivanti da un medesimo contratto, nel caso in cui, secondo le norme di rinvio dello Stato di detto giudice, tali obbligazioni devono essere eseguite una in questo Stato e l'altra in un altro Stato contraente. 41. -Va ricordato che, anche se il fatto che vari aspetti di una stessa lite siano giudicati da giudici diversi comporta inconvenienti, l'attore ha sempre, conformemente all'art. 2 della Convenzione, la facolt� di proporre l'insieme della sua domanda dinanzi al giudice del domicilio del convenuto. 42. -Si deve pertanto risolvere la questione pregiudiziale come segue: l'art. 5, punto 1, della Convenzione dev'essere interpretato nel senso che lo stesso giudice non � competente a conoscere l'insieme di una domanda basata su due obbligazioni equivalenti derivanti da un medesimo contratto, nel caso in cui, secondo le norme di rinvio dello Stato di detto giudice, tali obbligazioni devono essere eseguite una in questo Stato e l'altra in un altro Stato contraente (omissis). SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 gennaio 1999, n. 2 -Pres. Favara -Rei. Criscuolo -P.M. Carnevali (conf.) -Nuova Mecfond S.p.A. (avv. Di Martino) c. Ragusa (avv. Iadanza) e Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Di Pace). Calamit� naturali -Terremoto in Campania e Basilicata -Opere realizzate dallo Stato ex lege n. 219/1981 -Trasferimento ad altri Enti -Giudizi pendenti -Legittimazione dell'Amministrazione statale -Permane. (Legge 14 maggio 1981 n. 219, art. 80 segg.; legge 8 agosto 1995, n. 341, art. 22; cod. proc. civ. art. 111). L'art. 22 del d.l. 23giugno1995 n. 244, convertito in legge 8agosto1995 n. 341, che ha disposto il trasferimento ai Comuni ed altri Enti delle opere di edilizia ed infrastrutturali realizzate dallo Stato, a sensi delle norme di cui al titolo VIII della legge 14 maggio 1981 n. 219, stabilendo altres� il subentro dei predetti enti nei rapporti giuridici attivi e passivi in atto, ha dato luogo ad una successione a titolo particolare, con la conseguenza che nei giudizi pendenti alla data del trasferimento permane la legittimazione dell'Amministrazione dello Stato, parte originaria del processo (1). (1) Prima pronuncia della Corte, in argomento, pervenuta a conclusioni da condividere. Con riferimento alla medesima vicenda successoria, sono state manifestate da taluni Organi amministrativi perplessit� in ordine alla competenza degli stessi ad emanare i provvedimenti conclusivi delle procedure, in particolare espropriative, il cui completamento � stato, dalla legge del 1995, rimesso alla cura dei Comuni e degli altri enti attributari delle opere realizzate o in corso di realizzazione alla data del loro trasferimento. Le accennate perplessit� peraltro -segnatamente in relazione alla competenza prefettizia ad emettere i decreti d'esproprio -non sembrerebbero potersi alimentare in modo risolutivo dal disposto trasferimento della propriet� delle opere e dall'accollo, agli enti trasferitari, del completamento delle operazioni in corso, una cosa essendo l'assetto dominicale legislativamente delineato per i beni, come pure l'obbligo di completamento delle operazioni in corso, ed altra l'attribuzione del potere espropriativo, la cui competenza (che per nulla riguarda gli atti d'impulso delle procedure, evocati dalla espressione di cui all'ultima parte del secondo comma dell'art. 22 d.l. n. 244/1995) dovrebbe ritenersi "riespansa" in capo agli ordinari titolari (secondo le norme comuni) una volta venuto a cessare, in via definitiva, l'eccezionale accentramento di attribuzioni in favore degli organi straordinari di amministrazione preposti all'intervento statale (che tale resta, indipendentemente dalla attribuzione della propriet� dei beni con detto intervento realizzati). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 378 (omissis) Prima di procedere all'esame del motivo come sopra articolato occorre farsi carico dell'eccezione d'inammissibilit� del ricorso nei confronti del funzionario CIPE, sollevata dalla resistente presidenza del Consiglio dei Ministri. Quest'ultima invoca l'art. 22 del d.l. 23 giugno 1995 n. 244, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1995 n. 341, per sostenere che detta norma ha disposto il trasferimento di tutte le opere sia di edilizia residenziale che infrastrutturali, di cui al titolo VIII della legge 14 maggio 1981 n. 219, al patrimonio dei comuni, enti o amministrazioni individuati negli elenchi allegati al decreto del Ministero del bilancio e della programmazione economica del 4 novembre 1994. La stessa norma aggiunge (ultima parte del comma secondo) che �I comuni, gli enti e le amministrazioni subentrano in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi in atto, procedono al completamento delle operazioni ancora in corso ed al collaudo definitivo delle opere ove non intervenuto entro il termine del 31 dicembre 1996�. Sulla scorta della citata disposizione normativa la resistente sostiene che le opere in questione sarebbero passate al patrimonio del Comune di Napoli, che il soggetto legittimato a stare nel giudizio di cassazione sarebbe stato il detto ente territoriale, nei cui confronti (quale ente proprietario) il ricorso si sarebbe dovuto proporre, che perci� l'impugnazione contro la P.C.M. (funzionario CIPE) sarebbe inammissibile essendosi formato sul punto il giudicato. L'eccezione non ha fondamento. La norina richiamata � intervenuta quando il processo de quo era gi� in corso, essendo iniziato con citazione notificata il 23 aprile 1993. La vicenda che essa contempla, per le caratteristiche delle situazioni giuridiche disciplinate, pu� essere ricondotta soltanto nello schema della successione (tra enti) a titolo particolare nel diritto controverso. �dunque applicabile l'art. 111 primo comma c.p.c., alla stregua del quale il processo prosegue tra le parti originarie, con la conseguenza che ritualmente il ricorso per cassazione � stato notificato alla presidenza del Consiglio dei Ministri funzionario delegato CIPE, che era stato parte nel primo (ed unico) grado di merito. N� a tale conclusione � di ostacolo il disposto del citato art. 22, comma nove bis, secondo il quale �Le controversie derivanti dai rapporti posti in essere ai sensi del titolo VIII della legge 14 maggio 1981 n. 219 e successive modificazioni, e pendenti alla data del 31 dicembre 1995, restano nella competenza dell'Avvocatura dello Stato che agisce in difesa degli enti proprietari�. Tale disposizione conserva il ministero difensivo in capo alla detta avvocatura la quale, qualora il successore a titolo particolare si avvalga della facolt� d'intervenire o sia chiamato nel processo (art. 111 comma terzo c.p.c.), ne assume la difesa, ma non implica deroga al principio generale stabilito nel primo comma dello stesso art. 111, principio rispetto al quale non si pone in rapporto d'incompatibilit�. (omissis) Pur attenendo a diverso profilo, ed enunciato ad altri effetti, il principio affermato dalla sentenza in rassegna parrebbe di conforto agli accennati rilievi, implicando l'inconfigurabilit� di una definitiva estraneazione dell'Amministrazione statale (e per effetto del trasferimento della propriet� delle opere) alle vicende dell'intervento straordinario realizzato. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA �MLE 379 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 aprile 1999 n. 4320 -Pres. Sgroi -Rei. Vitrone -P.M. Golia (parz. diff) -Gulli Ziino, altri ( avv. Scoccini) c. Regione Lazio (avv. Stato Nunziata). Espropriazione per pubblica utilit� -Procedimento -Liquidazione dell'indennit� -Determinazione (stima) -In genere -Area espropriata -Valore di mercato -Determinazione -Vincoli fissati dagli strumenti urbanistici, e dalle relative varianti, nell'ambito della zonizzazione del territorio Rilevanza. (Legge 8 agosto 1992 n. 359, art. 5 bis). In tema di espropriazione per pubblica utilit�, ai fini della determinazione del valore di mercato dell'area espropriata, deve tenersi conto dell'incidenza dei vincoli fissati dagli strumenti urbanistici, e dalle relative varianti, nell'ambito della zonizzazione del territorio, poich� essi afferiscono in via generale al regime giuridico di tutti i beni compresi in una medesima zona, i quali vengono assoggettati ad una preventiva conformazione e ad un particolare statuto urbanistico, che non costituisce espressione di un'attivit� discrezionale della pubblica amministrazione, ma attiene a tutti i suoli compresi in una determinata zona del piano regolatore (massima ufficiale) (1). (omissis) Con il primo motivo del ricorso n. 11913 e con il secondo motivo del ricorso n. 13201, gli espropriati denunciano la violazione e la falsa applicazione dell'art. 5 bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e (1) La sezione prima della Suprema Corte ribadisce il proprio orientamento in ordine al momento in cui deve essere valutata la potenzialit� edificatoria del fondo per la determinazione dell'indennit� di espropriazione. Tale individuazione, in particolare, deve tener conto dei vincoli di carattere generale che, riguardando tutte le aree aventi una determinata allocazione topografica, hanno carattere conformativo della propriet� (Cass. 10 febbraio 1999, n. 1113; Cass. 9 dicembre 1998, n. 12383; Cass. 16 maggio 1998, n. 4921; Cass. 22 aprile 1998, n. 4091; Cass. 14 marzo 1995, n. 2917; Cass. 12 aprile 1994, n. 3403, in Riv. Giur. edil., 1994, I, 2, 753). Si esclude, quindi, che possano avere a tal fine rilevanza i vincoli imposti dai piani di edilizia economica e popolare che sono preordinati all'espropriazione (Cass., 22 aprile 1999, n. 4328). Tuttavia, ove un suolo venga destinato dal piano regolatore generale a edilizia economica e popolare, esso deve considerarsi edificatorio a nulla rilevando che al proprietario sia sottratta la possibilit� di realizzare in proprio la prevista idoneit� edificatoria (Cass., 16 luglio 1998, n. 6949). Parte della giurisprudenza ha precisato che l'accertamento delle possibilit� legali ed effettive di edificazione deve essere effettuato al momento dell'emanazione del decreto di esproprio (Cass., 10 giugno 1999, n. 5733; Cass., 15 marzo 1999 n. 2272). In senso contrario si � espressa parte della giurisprudenza, ritenendo rilevante, per la determinazione del valore dell'immobile, il vincolo derivante dal programma di fabbricazione, atteso che i vincoli fissati dagli strumenti urbanistici nell'ambito della zonizzazione del territorio hanno natura conformativa del diritto di propriet� ed influiscono, quindi, sulla destinazione del suolo indipendentemente dalla realizzazione delle opere che su di esso dovranno sorgere (Cass., 20 giugno 1997, n. 5554; Cass., 3 settembre 1994 n. 7630, in Foro it., 1995, I, 1534 con nota di BENIN!, la quale ha escluso la rilevanza, ai fini in esame, dei vincoli archeologici). D.G. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 380 censurano la sentenza impugnata per aver disatteso, nella individuazione degli indici di edificabilit� ai quali doveva commisurarsi il valore dell'area espropriata per la determinazione dell'indennit� di espropriazione, gli indici operanti nella zona a seguito della variante di piano regolatore generale che aveva mutato la destinazione urbanistica originaria da zona 1-1/2 a zona M-M/2. Sostengono i ricorrenti che non pu� condividersi l'affermazione secondo cui la variante di piano regolatore generale doveva ritenersi come introduzione di un vincolo preordinato all'espropriazione dell'area per la costruzione dell'ospedale �Sandro Pertini� e che, conseguentemente, nella determinazione del valore dell'area espropriata dovrebbe tenersi conto degli indici di fabbricabilit� preesistenti, che nella specie erano inferiori a quelli previsti dalla variante, che aveva aumentato la cubatura realizzabile. La censura merita accoglimento indipendentemente da una puntuale analisi delle argomentazioni addotte dai ricorrenti per confutare la motivazione della sentenza impugnata, la quale mostra di non aver recepito con sufficiente chiarezza la distinzione tra vincoli conformativi della propriet� privata e vincoli preordinati all'espropriazione, i quali, a differenza dei primi, non possono incidere sul valore di mercato delle aree destinate alla realizzazione di un'opera pubblica secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 16 gennaio 1992, n. 496, ripresa sostanzialmente da SS.UU. 18 novembre 1997, n. 11433). Va ricordato in proposito che i piani regolatori generali (e, in loro mancanza, i programmi di fabbricazione) hanno la funzione di ripartire l'intero territorio comunale in zone omogenee (c.d. zonizzazione), cos� come classificate nel D.M. 2 aprile 1967, n. 1444, ma non comportano alcuna dichiarazione di pubblica utilit� con riferimento alla previsione delle opere pubbliche in essi contenute, poich� questa deriva solo dalla successiva approvazione dei piani particolareggiati, com'� chiaramente stabilito dall'art. 16, co. 4� (co. 9� nel testo vigente) della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, secondo cui �l'approvazione dei piani particolareggiati equivale a dichiarazione di pubblica utilit� delle opere in essi previste�. Nella determinazione del valore venale delle aree espropriate deve perci� tenersi conto dell'incidenza (ordinariamente negativa, ma, nella specie, inopinatamente positiva) dei vincoli fissati dagli strumenti urbanistici, e dalle relative varianti, nell'ambito della zonizzazione del territorio poich� essi afferiscono in via generale al regime giuridico di tutti i beni compresi in una medesima zona, i quali vengono assoggettati ad una preventiva conformazione e ad un particolare statuto urbanistico che non costituisce espressione di un'attivit� discrezionale della Pubblica Amministrazione, ma attiene a tutti i suoli compresi in una determinata zona del piano regolatore. Ne consegue che erroneamente la sentenza impugnata ha fatto riferimento, nel determinare il valore di mercato dell'area espropriata, agli indici di fabbricabilit� fissati originariamente in 1,6 mc/mq nel piano regolatore generale, invece che a quelli introdotti dalla successiva variante, che li ha portati a 2 mc/mq con riferimento a tutte le aree fabbricabili comprese nella zona M-M/l. (omissis) PARTE I, SEZ. ID, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIV�LE 381 I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25maggio1999, n. 287-Pres. Zucconi Galli Fonseca -Rei. Vella -P.M. Lo Cascio (conf.) -Impregilo S.p.A. (avv. Abbamonte. e Martuccelli) c. Ministero dei Lavori Pubblici e Provveditorato Regionale delle Opere Pubbliche per la Campania ( avv. Stato Cosentino). Giurisdizione civile -Concessione di lavori pubblici -Controversie relative a diritti soggettivi pendenti dinanzi al Giudice Amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva -Art. 31 bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (introdotto dall'art. 9 del d.I. 3 aprile 1995, n. 101, convertito con modificazioni nella legge 2 giugno 1995, n. 216) -Giurisdizione ordinaria Sussiste. (Legge 11 febbraio 1994 n. 109, art. 31 bis, cod. proc. civ., art. 5). A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 31 bis della legge 11febbraio1994, n. 109 (introdotto con d.l. 3 aprile 1995 n. 101, convertito, con modificazioni, con legge 2 giugno 1995, li. 216), commi quarto e quinto, le controversie relative a diritti soggettivi derivanti da concessioni di lavori pubblici pendenti dinanzi al giudice amministrativo spettano alla cognizione del giudice ordinario (1). (1-3) Come previsto (in questa Rassegna, 1999, I, 94, in nota) la Corte regolatrice non ha ritenuto di rivedere l'orientamento definito in precedenti pronunce malgrado le consistenti perplessit� derivanti dalle formule del legislatore del 1995 e dal nuovo testo dell'articolo 5 del codice di procedura civile. Nella decisione n. 287/99 le Sezioni Unite ricavano l'applicabilit� dell'art. 31 bis ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore dalla disposizione dalla lettera e dalla funzione della legge. �In proposito si � osservato che la parola controversie, adoperata dall'art. 31 bis � riferita nel linguaggio tecnico alle liti gi� pendenti davanti al giudice e non a situazioni conflittuali preprocessuali, e che la norma non avrebbe alcuna utilit� se concernesse soltanto le controversie insorte dopo la sua entrata in vigore in quanto la nuova disciplina si applicherebbe a queste ultime, anche in sua assenza, ai sensi dell'art. 5 del codice di procedura civile per il quale la giurisdizione si determina applicando la legge vigente al momento della proposizione della domanda�. La tesi non sembra ancora del tutto messa a punto. Il sostantivo controversie non viene sempre impiegato per designare liti pendenti davanti ad un giudice come risulta dagli articoli 806 e 808 c.p.c. sul compromesso e sulla clausola compromissoria; inoltre, se il legislatore avesse voluto davvero modificare le regole sul riparto di giurisdizione in ordine ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore dell'art. 31 bis avrebbe dovuto espressamente disporlo; in mancanza di una esplicita previsione sembra pi� coerente al sistema interpretare la disposizione come confermativa della regola contenuta nell'art. 5 c.p.c. secondo cui la giurisdizione si determina con riferimento alla legge vigente al momento della proposizione della domanda senza che assumano rilievo le successive modifiche legislative ( cfr. Cass., SS.UU., 1� luglio 1997, n. 5899, in Riv. Corte Conti, 1997). In definitiva la lettura parallela dei commi quarto e quinto dell'art. 31 bis e dell'art. 5 c.p.c. induce a ritenere che il legislatore del 1995 non abbia detto pi� di quanto avesse voluto dire: l'equiparazione ai fini della tutela giurisdizionale delle concessioni agli appalti opera sia per le concessioni stipulate in data successiva all'entrata in vigore della legge che per quelle stipulate in data precedente. RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO� 382 II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 luglio 1999, n. 516 -Pres. Zucconi Galli Fonseca -Rei. Corona -P.M. Dettori (conf.) -Ente Autonomo Acquedotto I ili Pugliese (avv. Stato Zotta) c. Associazione Temporanea di Imprese Dott. Domenico Dibattista Costruzioni S.r.l., Rubino Giuseppe e Pietro s.n.c., R.E.P. I S.p.A., Vianini Industria S.p.A. (avv. Colapinto). ' Giurisdizione civile -Concessione di sola costruzione -Art. 31 bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (introdotto dall'art. 9 del d.I. 3 aprile 1995, n. 101, convertito con modifiche nella legge 2 giugno 1995, n. 216). Controversie anteriori pendenti relative a diritti soggettivi -Giurisdizione ordinaria Sussiste. (Legge 11 febbraio 1994 n. 109, art. 31 bis, codice di procedura civile, art. 5). Per esigenze di economia processuale, avuto riguardo alla equiparazione, ai fini della tutela giurisdizionale delle concessioni di lavori pubblici, l'art. 31 bis, comma quarto legge 11febbraio1994 n. 109 (introdotto dall'art. 9 del d.l. 3 aprile 1995 n. 101 conv. con modifiche nella legge 2 giugno 1995 n. 216) trova applicazione nei giudizi i quali, alla data di entrata in vigore della disposizione, pendono davanti al giudice ordinario, quante volte, controvertendosi su posizioni di diritto I soggettivo, la giurisdizione del giudice ordinario ne risulti confermata (2). I Per altro verso la soluzione sembra in contrasto con il principio di economia processuale ~ valorizzato altre volte dalla Corte in occasione della interpretazione delle stesse disposizioni. ~ I ~ Infatti, nella decisione n. 516/99, le Sezioni Unite avvertono la necessit� di rendere coerente l'orientamento sull'applicabilit� dell'art. 31 bis ai giudizi in corso ai principi sulla determinazione delia giurisdizione contenuti nell'art. 5 c.p.c. e a tal fine attribuiscono un ruolo determinante alle esigenze di economia processuale. � �irrilevante lo jus superveniens se idoneo a privare il giudice adito della giurisdizione�, �rilevante�, solo �nell'ipotesi inversa�. In questa ottica, la Corte, puntando come in passato, ma di fronte ad una diversa formula dell'art. 5 c.p.c., sull'economia processuale, giustifica la conservazione dell'attivit� giudiziale svolta in assenza del potere di decidere la controversia e, correlativamente, si orienta a disconoscere l'applicabilit� dell'art. 31 bis alle controversie pendenti, alla data di entrata in vigore di tale disposizione, dinanzi ad un giudice carente di giurisdizione. In tal modo, per�, definisce un sistema di operativit� della norma che non risulta in linea con quello delineato nella prima vicenda. In quella infatti -controversia in materia di concessione di lavori pubblici -il TAR Campania, con sentenza emessa prima dell'entrata in vigore dell'art. 31 bis, si era pronunciato nel merito e il Consiglio di Stato, ritenuta la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo, aveva confermato la decisione di primo grado -ritenendo inapplicabile alla controversia l'art. 31 bis in quanto, per l'art. 5 del codice di procedura civile, la giurisdizione si determina in base alla legge vigente al momento della proposizione della domanda senza che possano assumere rilievo i mutamenti legislativi successivi. La Cassazione, per�, fondando la sua decisione sull'(apparente) inutilit� del comma quinto dell'art. 31 bis, se relativo esclusivamente alle controversie instaurate dopo la sua entrata in vigore, ha dichiarato la giurisdizione dell'Autorit� giudiziaria ordinaria e, cassando senza rinvio la sentenza impugnata, ha cancellato due gradi di giudizio senza darsi carico di quel principio di economia processuale che avrebbe, invece, posto a fondamento, nella sentenza n. 516/99, della tesi che esclude l'applicabilit� dello jus superveniens �Se idoneo a privare il giudice adito della giurisdizione che aveva al momento della proposizione della domanda�. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 383 III CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 maggio 2000 n. 366 -Pres. Cantillo -Rei. Vittoria -P.M. Lo Cascio (conf.) -Presidente del Consiglio dei Ministri, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Funzionario delegato dal C.I.P.E. ex art. 84, legge 219, Commissario Straordinario del Governo per il Coordinamento delle Attivit� del titolo VII della legge 14 maggio 1981 n. 19 (avv. Stato Lancia) c. Consorzio Ascosa, in proprio e nella qualit� di mandatario dell' A.T.I., fra esso Consorzio e le Imprese IMCA S.p.A., IMECO S.p.A. e SOGECA S.p.A. ( avv. P. Minervini). Giurisdizione civile -Art. 31 bis della legge 11febbraio1994 n. 109 (introdotto dall'art. 9 del d.I. 3aprile1995 n.101, conv. con modif. nella legge 2 giugno 1995 n. 216). Applicabilit� ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore dell'art. 31 bis, cit., relativi ai diritti soggettivi derivanti esclusivamente da concessioni di sola costruzione -Sussistenza. Nullit� delle clausole compromissorie relative a controversie su diritti soggettivi derivanti da concessioni di sola costruzione anteriori all'entrata in vigore dell'art. 31 bis, cit. -Esclusione. Neanche, per�, la versione moderata del rilievo dello jus superveniens per le ipotesi di riconoscimento di giurisdizione ad un giudice che precedentemente ne era sprovvisto sembra del tutto sottrarsi a perplessit�. In numerosi giudizi decisi dalla Corte le controversie in materia di concessione erano state sottoposte, in epoca anteriore all'entrata in vigore dell'art. 31 bis, all'esame di collegi arbitrali e da questi decise nel merito. Intervenuto l'art. 31 bis, dopo la pronuncia del lodo e, a volte, addirittura dopo la decisione della Corte di Appello a seguito di giudizio di impugnazione, si pu� davvero ritenere conservata, dall'art. 31 bis, l'attivit� svolta? La risposta non pu� che essere negativa ove si consideri la nullit� del compromesso stipulato in materia devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo e la conseguente nullit� insanabile . di un lodo pronunciato in materia non compromettibile in arbitri (Corte di Appello di Roma, 23 settembre 1996, in Foro it., I, 2903 s.s., spec. 2907 e S. Boccagna, in tema di giurisdizione e competenza sopravvenute, anche con riferimento all'arbitrato, ivi, 2879 s.s., spec. 2839 s.s.). Pi� in generale, per�, la soluzione del complesso problema andrebbe ricercata non solo con riferimento alla materia oggetto del giudizio ma anche al diritto di difesa delle parti. Queste infatti, evocate dinanzi ad un giudice sprovvisto di giurisdizione secondo la legge del tempo, hanno diritto a difendersi limitandosi a dedurre la carenza, nel giudice, del potere di decidere la controversia -per nullit� del compromesso, della clausola compromissoria, per difetto di giurisdizione, senza svolgere difese di merito. In effetti, a ben vedere, in tale ipotesi, per carenza della giurisdizione, presupposto processuale della pronuncia di merito, il giudice non pu� che limitarsi ad emettere una pronuncia sul processo n� si potrebbe ritenere il convenuto o il resistente tenuto a difendersi in merito nella prospettiva di una modifica della giurisdizione. Questi, infatti, ha diritto a che la controversia sia esaminata e decisa dal giudice precostituito per legge al tempo dell'introduzione del giudizio e di riservarsi di svolgere dinanzi a quel giudice le proprie eccezioni e difese di merito. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e 384 Giurisdizione -Appalto di opera pubblica -Controversie su diritti soggettivi Giurisdizione ordinaria -Sussistenza. (Legge 11 febbraio 1994 n. 109 e succ. modifiche, art. 31 bis; c.p.c., art. 5). L'equiparazione ai fini della tutela giurisdizionale delle concessioni degli appalti si applica alle controversie relative a diritti soggettivi derivanti esclusivamente da concessioni di sola costruzione, anche con riferimento ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore dell'art. 31 bis. Sopravvenuta la norma dettata con i commi quarto e quinto dell'art. 31 bis deve escludersi possa dichiararsi la nullit� di clausole compromissorie con cui gli arbitri siano stati precedentemente investiti del potere di decidere controversie che, alla stregua della stessa norma, sono ora da considerare essere sempre spettate alla competenza del giudice ordinario. Ha natura di appalto e non di concessione la convenzione per mezzo della quale il concessionario, oltre ad eseguire l'opera, deve redigere ilprogetto di massimd od esecutivo ed assumere l'iniziativa di promuovere per il concedente i procedimenti di occupazione e di espropriazione per pubblica utilit�; spetta pertanto al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi derivanti da una tale concessione (3). Il profilo acquista particolare consistenza ove si avverta che l'impugnazione del lodo arbitrale � a critica vincolata cosicch� la parte che abbia dedotto, a ragione, la nullit� del compromesso o della clausola compromissoria e/o il difetto di giurisdizione, senza svolgere difese attinenti al merito della controversia, potrebbe, poi, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 31 bis e della declaratoria della giurisdizione ordinaria, trovarsi preclusa la possibilit� di far valere le sue ragioni di merito, in ordine alla controversia. E ad analoghe conclusioni si perviene nell'ipotesi di controversie con caratteri analoghi a quelli descritti, pendenti dinanzi ad un giudice ordinario, in considerazione delle preclusioni introdotte nel giudizio civile. La sentenza delle Sezioni Unite, 18 maggio 2000 n. 366, pubblicata mentre la nota era in corso di stampa, sfrutta l'occasione di una controversia (ritenuta dalla Corte) attinente a questioni su diritti soggettivi derivanti da un contratto di appalto di opere pubbliche per un'articolata rassegna dei principi altre volte affermati in sede di interpretazione dell'art. 31 bis della legge 11 febbraio 1994 n. 109. Anche se una tale rassegna poteva essere evitata in considerazione della natura della controversia, la Corte, avvertita del disagio che tuttavia suscita l'interpretazione in pi� occasioni proposta, ha giudicato �Utile soffermarsi ancora sull'argomento�, avvalorando l'opinione della necessit� di una ulteriore messa a punto delle tesi formulate. Le Sezioni Unite della Cassazione concludono per l'applicazione dell'art. 31 bis anche alle liti pendenti alla data di entrata in vigore di detta disposizione aventi ad oggetto diritti soggettivi derivanti esclusivamente da concessioni di sola costruzione, senza che possa ritenersi la nullit� di precedenti clausole compromissorie in ordine a controversie gi� sottratte alla cognizione del giudice ordinario. A ben vedere, la formula impiegata dal legislatore nel comma 5 dell'art. 31 bis: �Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle controversie relative ai lavori appaltati e concessi anteriormente alla data di entrata in vigore , della presente legge� � orientata ad assegnare validit� alle clausole compromissorie relative alle controversie prima indicate, non sembra, per�, consentire la conclusione di una volont� legislativa diretta ad attribuire anche effetto retroattivo all'equiparazione, ai fini della tutela giurisdizionale, delle concessioni di una sola costruzione agli appalti nei giudizi pendenti. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITI'O E PROCEDURA CIVILE 385 I (omissis) Con i tre connessi motivi del ricorso si denunzia la violazione degli art. 1comma3� della legge 8 agosto 1977 n. 584, 31 bis, commi 4� e 5� della legge 11 febbraio 1994 n. 109 (come modificato dall'art. 9 del d.l. n. 101 del 1995 convertito nella legge n. 216 del 1995), 43 del d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, 345 e 349 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. F e 35 del r.d. 25 maggio 1895 n. 350, e si censura la sentenza impugnata per avere il Consiglio di Stato dichiarato la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo e conseguentemente la nullit� della clausola compromissoria con la quale la controversia era stata devoluta al Collegio arbitrale. In particolare si osserva che il Consiglio di Stato � pervenuto a questa conclusione erronea perch� ha ritenuto che il provvedimento di decadenza aveva avuto come suo oggetto una concessione traslativa di funzioni pubbliche (concessione di sola costruzione) alla quale era applicabile l'art. 5 della legge n. 1034 del 1971 vigente al momento della proposizione della domanda. Si doveva, invece, ritenere la fattispecie disciplinata dalle norme relative all'appalto essendo l'art. 31 bis della legge n. 109 del 1994 operante anche nei confronti delle controversie riguardanti le concessioni di data anteriore alla sua entrata in vigore. Pertanto, essendo sorta la causa dall'esecuzione della concessione di sola costruzione, si verteva in materia di diritti soggettivi, come pi� volte affermato dalla Corte di Cassazione per gli appalti, e si sarebbe dovuta riconoscere la giurisdizione dell'Autorit� giudiziaria ordinaria. Il ricorso � fondato. Queste Sezioni Unite hanno pi� volte affermato che qualora l'Amministrazione pubblica conferisca al privato l'incarico limitato alla costruzione di un'opera pubblica, si costituisce tra costoro un rapporto d'appalto anche se � definito erroneamente di concessione e che dall'appalto si distingue, invece, la concessione cd. di sola costruzione per la quale si richiede che il concessionario si sia obbligato ad eseguire oltre all'opera materiale anche una serie di attivit� (progettazione dell'opera, direzione dei lavori, sorveglianza, espletamento delle procedure espropriative, scelta degli appaltatori, ecc ....) il cui esercizio presuppone che gli siano state trasferite dall'Autorit� concedente le funzioni pubbliche necessarie per l'esecuzione dell'opera (sent. sez. 1a n. 2602 del 1983 e Sez. Un. nn. 12221 del 1990, 12966 del 1991, 12166 del 1993). Tale precisazione ha determinato le stesse Come � noto, le formule tradizionali di diritto transitorio hanno normalmente contenuto diverso (cos�, ad esempio, la disposizione si applica ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge). Peraltro una tale formula poteva, perfino, ritenersi imposta dal nuovo testo dell'art. 5 c.p.c. (arg. ex Cass., Sez. Un., 1� luglio 1997, n. 5899 cit. e Cass., Sez. Un., 10 maggio 1995 n. 5117, in Foro it., I, 186 ss., 190 ss.). In estrema sintesi, gli elementi interpretativi impiegati dalla Corte, in una lettura coordinata degli artt. 31 bis e 5 c.p.c., non appaiono risolutivi per giustificare la sottrazione al Giudice amministrativo di controversie pendenti a questi riservate n� a confermare, al tempo stesso, l'attivit� di giudici ordinari svolte in ipotesi in cui questi, alla data di instaurazione del giudizio, erano sprovvisti del potere di decidere. GIACOMO ARENA RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT<:> 386 Sezioni Unite a dichiarare la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo per le controversie in materia di concessioni di sola costruzione sul presupposto che, per identit� di ratio, l'art. 5 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 riguardi non solo le concessioni di servizi pubblici, alle quali espressamente si riferisce, ma anche le concessioni d! funzioni pubbliche. Con l'entrata in vigore della legge 11 febbraio 1994 n. 109 (introdotto dall'art. 9 del d.1. 3 aprile 1995 n. 101, convertito con modificazioni nella legge 2 giugno 1995 n. 206) la competenza giurisdizionale per le controversie insorte in tema di concessioni di sola costruzione � stata modificata perch� sono stati ad esse estesi i criteri ordinari di riparto della giurisdizione applicati agli appalti disponendosi che �Ai fini della tutela giurisdizionale, le concessioni in materia di lavori pubblici sono equiparate agli appalti�. Per il Consiglio di Stato la norma dell'art. 31 bis � inapplicabile alla controversia in esame giacch� per l'art. 5 del codice di procedura civile la giurisdizione si determina in base alla legge vigente al momento della proposizione della domanda (nella specie risalente a data precedente all'entrata in vigore della legge n. 109 del 1994), mentre non hanno alcuna rilevanza i successivi mutamenti legislativi. Tale tesi non pu� condividersi perch�, come questa Corte ha gi� altre volte deciso, l'unica interpretazione che giustifica la formulazione da parte del legislatore della norma dell'art. 31 bis � quella secondo cui con questa si � inteso derogare all'art. 5 del codice di procedura civile stabilendosi che anche per le controversie pendenti, in tema di concessioni, alla data di entrata in vigore della legge 11 febbraio 1994 n. 109 la giurisdizione si determina con le medesime regole applicabili alle liti riguardanti gli appalti. E in proposito, si � osservato che la parola controversie, adoperata nell'art. 31 bis, � riferita nel linguaggio tecnico �a liti gi� pendenti davanti al giudice e non a situazioni conflittuali preprocessuali�, e che la norma non avrebbe alcuna utilit� se concernesse soltanto le controversie insorte dopo la sua entrata in vigore in quanto la nuova disciplina si applicherebbe a queste ultime, anche in sua assenza, ai sensi dell'art. 5 del codice di procedura civile per il quale, come si � detto, la giurisdizione si determina applicando la legge vigente al momento della proposizione della domanda (v. sent. Sez. Un. n. 9481 del 1997). Nel caso concreto tra l'Amministrazione pubblica e il raggruppamento di imprese si era costituito un rapporto di concessione di sola costruzione perch� a queste erano state trasferite funzioni pubbliche con il conferimento dell'incarico della direzione dei lavori e del compito di stipulare contratti d'appalto. Pertanto per la determinazione della giurisdizione deve applicarsi l'art. 31 bis della legge n. 109 del 1994 e accertarsi se la causa verta in materia di interessi legittimi o di diritti soggettivi. Al quesito si deve rispondere che la controversia ha per oggetto una questione di diritto soggettivo perch� con il decreto del 22 giugno 1993 il Provveditore delle opere pubbliche per la Campania aveva pronunciato la decadenza della concessione-contratto non per ragioni sopravvenute di interesse generale, ma per l'inadempimento (notevole e ingiustificato ritardo nella presentazione del progetto e delle carenze del medesimo sotto gli aspetti economico e tecnico) da parte del raggruppamento di imprese degli obblighi derivanti dalla concessione. PARTE I, SEZ. lii, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CMLE La controversia insorta per effetto della domanda con la quale si � contestata la legittimit� del provvedimento di decadenza deve essere perci� decisa dal Giudice ordinario del quale si dichiara la giurisdizione. (omissis) II (omissis) 1. -A fondamento del primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce difetto di giurisdizione (art. 360 comma 1, n. 1 cod. proc. civ.); violazione dell'art. 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034. La Corte d'Appello ha sottovalutato il significato del conferimento all'Associazione temporanea di imprese dei poteri in materia di esproprio occorrenti per l'esecuzione dell'opera. Ci� configurava il trasferimento dei poteri di natura pubblicistica, ragion per cui l'operazione traslativa non poteva essere oggetto di un negozio di diritto privato e nella convenzione si doveva riconoscere un atto di tipo concessorio. Donde la giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi. D'altra parte, la disposizione di cui all'art. 31 bis, comma 4 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 -come interpretato dall'art 9 d.l. 3 aprile 1995, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 2 giugno 1995, n. 216 -non pu� non aver inciso sul principio processuale della perpetuatio jurisdictionis e, perci�, non si applica ai processi precedentemente pendenti. 2. -Il primo motivo del ricorso deve essere rigettato e deve dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario. 2.2-� risaputo che, a norma dell'art. 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034, erano devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi contro gli atti ed i provvedimenti relativi alla concessione di beni e pubblici servizi. A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 31 bis, comma 4 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 -introdotto dall'art. 3 d.l. 3 aprile 1995, n. 101, convertito, con modificazioni, in legge 2 giugno 1995, n. 206 -�ai fini della tutela giurisdizionale, le concessioni in materia di lavori pubblici sono equiparate agli appalti�. Secondo la interpretazione dominante, le controversie relative alle concessioni di costruzioni di opere pubbliche devono rimanere assoggettate agli ordinari criteri di riparto giurisdizionale in tema di appalto di opere pubbliche, con la conseguenza che tali controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del ricordato art. 5 legge n. 1034 del 1971, soltanto in ordine ai profili riguardanti la vicenda traslativa delle pubbliche funzioni (Cass., Sez. Un., 26 settembre 1997, n. 9481). Vale a dire, qualora lo strumento concessorio attui il trasferimento di pubblici poteri (Cass., Sez. Un., 9 dicembre 1996, n. 10955); implichi, cio�, l'attribuzione e l'esercizio di poteri e di facolt� propri dell'ente pubblico concedente (Cass., Sez. Un., 9 dicembre 1996, n. 10559), ovvero abbia un oggetto pi� esteso e si riferisca anche alla progettazione ed alla gestione dell'impianto da costruire (Cass., Sez. Un., 11novembre1997, n. 11132). Per contro, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario (e parimenti quella arbitrale, se prevista dal rapporto) per le controversie che abbiano ad oggetto questioni relative a diritti soggettivi, perch� concernenti gli altri aspetti del rapporto RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 388 tra la Pubblica Amministrazione ed il privato, tra cui quelli pi� specificamente attinenti 'all'attivit� di costruzione dell'opera pubblica, qualificabili in termini di l ili appalto (Cass., Sez. Un., 13 giugno 1996, n. 5450; Cass., Sez. Un., 26 settembre 1997, n. 9481, cit. ). 2.3 -L'art. 31 bis della legge n. 109 del 1994 al quinto comma stabilisce che le disposizioni suddette �Si applicano anche alle controversie relative ai lavori appaltati o concessi anteriormente ali'entrata in vigore della presente legge� (cio� della legge 11 febbraio 1994, n. 109, pubblicata nel supplemento ordinario della I G.U. n. 41 del 19 febbraio 1994). Tale disposizione trova applicazione non soltanto ai giudizi che alla data di entrata in vigore della legge pendevano innanzi ai giudici ordinari, ma anche ai giudizi instaurati a seguito della impugnativa di un lodo arbitrale, allorch� la � domanda sia stata introdotta innanzi agli arbitri prima della data suddetta: sempre che la controversia abbia ad oggetto posizioni di diritto soggettivo (Cass., Sez. Un., 26 settembre 1997, n. 9481, cit.). Peraltro, la nuova formulazione dell'art. 5 cod. proc. civ. (�La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo�) non esclude che, nei giudizi pendenti, debbano trovare applicazione le norme sopravvenute, le quali, diversamente regolando la giurisdizione, la attribuiscano al giudice davanti al quale la domanda � stata proposta (Cass., Sez. Un., 8 luglio 1996, n. 6231). Secondo l'orientamento formatosi nel vigore del testo precedente dell'art. 5 cod. proc. civ., il giudice, sfornito di giurisdizione al tempo della domanda, non poteva dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, ma doveva decidere la causa nel merito se, nel corso del processo, sopravveniva, per effetto di mutamenti legislativi o dello stato di fatto, un criterio di collegamento tra la controversia e l'ufficio giudiziario adito. La dottrina e la giurisprudenza, in sostanza, disattendevano la formula letterale della norma in favore di una lettura funzionale della stessa che, essendo diretta a favorire e non ad impedire la perpetuatio jurisdictionis, doveva interpretarsi nel senso di considerare irrilevante lo jus superveniens se idoneo a privare il giudice adito della giurisdizione che aveva al momento della proposizione della domanda, mentre doveva considerarsi rilevante nell'ipotesi inversa. Le medesime esigenze di economica dei giudizi suggeriscono la stessa interpretazione del testo vigente. La statuizione della giurisdizione sopravvenuta evita lo spreco delle energie processuali, che deriverebbe dalla declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice adito e della successiva riproposizione della domanda davanti a lui, cui la giurisdizione viene attribuita dalla legge sopravvenuta. Tale lettura funzionale deve essere riproposta nel momento attuale in cui il legislatore, con una norma speciale, mostra di voler reagire ad una interpretazione formalistica dell'art. 5 cit., che talora ha portato alla caducazione di interi processi. Avuto riguardo alla equiparazione, ai fini della tutela giurisdizionale, delle concessioni agli appalti, deve concludersi che l'art. 31 bis comma 4 trova applicazione nei giudizi i quali, alla data della entrata in vigore della disposizione, PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA Cl\nLE pendono davanti al giudice ordinario, quante volte, controvertendosi su posizioni di diritto soggettivo, la giurisdizione del giudice ordinario ne risulti confermata. 2.4 -Stando alla sentenza impugnata, tra le parti non vi fu trasferimento di pubblici poteri in materia di esproprio, come sostiene il ricorrente, ma soltanto l'attribuzione alla Associazione temporanea di imprese del compito di intraprendere gli atti occorrenti per le occupazioni di urgenza e per le espropriazioni �in nome e per conto� di esso Ente committente: il che significa i poteri di richiedere alle autorit� competenti i provvedimenti di autorizzazione alla occupazione d'urgenza e di espropriazione. Non essendo intervenuto trasferimento di poteri ed essendo oggetto della controversia questioni afferenti all'adempimento o no del contratto di appalto (ovverosia questioni di diritto soggettivo), sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. (omissis) III (omissis) 1. -Il secondo motivo del ricorso, attinente alla giurisdizione, prospetta l'esistenza di vizi di violazione di norme di diritto e di norme sul procedimento, oltre che vizi di difetto di motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 1, 3, 4 e 5, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 5, 806, 808 e 829 dello stesso codice, nonch� agli artt. 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e 31 bis, legge 11febbraio1994, D. 109). / Vi si svolgono queste considerazioni. La controversia � sorta nel corso dell'esecuzione di un rapporto di concessione. La giurisdizione andava regolata sulla base dell'art. 5 della legge 1034 del 1971, che, in materia. di concessioni, attribuisce al giudice ordinario e quindi agli arbitri le sole controversie che vertono su corrispettivi e non richiedono la soluzione di questioni che riguardano la legittimit� dell'atto di concessione, l'interpretazione dei patti che regolano il rapporto o lo scioglimento di questo. Le domande sottoposte alla cognizione del collegio arbitrale non avevano ad oggetto il pagamento di corrispettivi, od almeno non avevano solo questo oggetto, perch� implicavano appunto la soluzione di questioni del tipo prima detto: il Consorzio aveva infatti inteso, tra l'altro, sottrarsi ad obbligazioni assunte o rinunzie fatte negli atti aggiuntivi sostenendone l'invalidit�. Sulla disciplina della giurisdizione che deriva dall'art. 5 della legge 1034 del 1971, non pu� incidere la disposizione introdotta, come art. 31 bis della legge 109 del 1994, dall'art. 9 del d.l. 3 aprile 1995, n. 101. Questo perch� la disposizione non si applica alle controversie, in senso sostanziale, sorte prima della sua entrata in vigore. Che, se, al contrario, la disposizione dovesse riguardare anche le controversie in senso sostanziale sorte prima della sua entrata in vigore, tuttavia resterebbe il fatto che la clausola compromissoria inserita nella convenzione stipulata prima dell'entrata in vigore della legge avrebbe dovuto essere considerata nulla, per il fatto d'essere stata pattuita per controversie a quel tempo sottratte alla giurisdizione del giudice ordinario, o quantomeno non avrebbe potuto esservi applicata. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAT<Y" 390 D'altra parte, agli artt. 31 bis e 32 della legge 109 del 1994, nel testo derivante dal d.l. 101del1995 e dalla legge di conversione 2 giugno 1995, n. 216, non si pu� prestare la portata d'avere configurato una competenza arbitrale in assenza di un accordo tra le parti per deferire la controversia agli arbitri. 2. -Il motivo non � fondato. La questione di giurisdizione deve essere decisa mediante la statuizione che le domande su cui � stato pronunciato il lodo appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario e costituivano possibile oggetto della clausola compromissoria in base alla quale gli arbitri ne hanno conosciuto. 3. -La giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda (art. 5 cod. proc. civ.). La domanda di arbitrato � stata notificata il 6 dicembre 1995. Il 3 aprile 1995 era entrato in vigore il d.l. 3 aprile 1995, n. 101, il cui art. 9, convertito in legge senza modifiche (con la legge 2 giugno 1995, n. 216), aveva introdotto nella legge 11 febbraio 1994, n. 109 l'art. 31 bis. Questo, al quarto comma, contiene la seguente disposizione: �Ai fini della tutela giurisdizionale le concessioni in materia di lavori pubblici sono equiparate agli appalti�. Per concludere nel senso che le domande su cui � stato pronunciato il lodo rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario potrebbe sembrare sufficiente il richiamo di tale disposizione. I E ci� per le seguenti considerazioni. I La norma appena richiamata sta a significare che le concessioni in materia di lavori pubblici, quanto alla giurisdizione, sono considerate appalti e quindi sono soggette alla regola generale per cui le controversie su diritti soggettivi spettano al I giudice ordinario, quelle su interessi legittimi al giudice amministrativo. L'affermazione da cui parte il motivo, che la controversia � sorta nel corso Ir: dell'esecuzione di un rapporto di concessione, non vale per s� a sottrarla all'ambito di applicazione della norma: la concessione ha infatti riguardato l'esecuzione di lavori pubblici. Tutte le domande su cui � stato pronunciato il lodo concernono diritti soggettivi: l'oggetto ne � stato la condanna al pagamento di somme di denaro, come risarcimento di danni da inadempimento contrattuale; gli inadempimenti imputati al concedente sono stati di non avere cooperato a rendere possibile al concessionario di eseguire i lavori nel rispetto dei termini contrattuali e di avere ritardato le operazioni di collaudo e presa in consegna delle opere. Queste considerazioni, per�, esauriscono solo un aspetto del motivo, il primo, non anche il secondo, quello, in particolare, in cui si postula che gli arbitri non avrebbero potuto pronunciare sulle domande loro proposte, perch�, all'epoca della convenzione di concessione, vigeva una diversa norma sulla giurisdizione e quel tipo di domande rientrava nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sicch� la clausola compromissoria, a loro riguardo, avrebbe dovuto essere considerata nulla per impossibilit� dell'oggetto o inapplicabile. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE Su tale aspetto della questione interferisce una seconda disposizione contenuta nell'art. 31 bis, dettata dal quinto comma, a termini della quale, tutte le disposizioni dello stesso articolo, e perci� quella del quarto comma prima considerata, �... si applicano anche alle controversie relative ai lavori appaltati o concessi anteriormente alla data di entrata in vigore� della legge 109 del 1994. Si tratta peraltro di un problema ormai pi� volte affrontato da queste sezioni unite e sempre risolto nel senso della validit� del lodo pronunciato sulla base di clausole compromissorie e concessioni anteriori all'entrata in vigore della legge 109 del 1994 (ci� a partire dalla sentenza 13 ottobre 1996 n. 8647, sino alla sentenza 10 agosto 1999 n. 580). Ritengono tuttavia le sezioni unite che sia utile soffermarsi ancora sull'argomento. Sembra alla Corte che la soluzione gi� attinta risulter� pi� chiaramente giustificata, una volta che sia ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale relativo alle concessioni in materia di lavori pubblici, che si � delineato nel torno di anni interessato dalla presente vicenda. 4. -Nel 1981, epoca cui risale la convenzione di concessione che ha dato origine al rapporto ed alla controversia, mancava nell'ordinamento una disposizione espressa che regolasse in modo specifico la giurisdizione sulle controversie tra concedente e concessionario nel settore delle concessioni in materia di lavori pubblici. In quello delle concessioni di beni e servizi, invece, gi� da tempo, con l'art. 5 della legge 1034 del 1971, tali controversie erano passate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo quelle che riguardavano solo indennit�, canoni ed altri corrispettivi. Di questa disposizione, nella giurisprudenza, non s'era ancora prospettata l'interpretazione, pi� tardi accolta dalle sentenze di queste sezioni unite, 3 dicembre 1991 n. 12966 e 10 dicembre 1993 n. 12166, che la norma dovesse applicarsi anche nel settore delle concessioni in materia di lavori pubblici. Perci�, in questo settore, poteva essere ritenuta applicabile la regola generale di riparto, risultando in tal modo un identico trattamento, dal punto di vista della giurisdizione, tra concessioni ed appalti. Ci� non stava naturalmente a significare che da una concessione o da un appalto non potessero sorgere se non le medesime controversie; significava, bens�, che le concrete controversie insorte si sarebbero ripartite tra giudice ordinario ed amministrativo in base al medesimo criterio, i diritti soggettivi all'uno, gli interessi legittimi all'altro. Ne derivava, che le convenzioni di concessione come i contratti di appalto potevano prevedere che le controversie nascenti dal rapporto sarebbero state deferite ad arbitri e che tale attribuzione di competenza sarebbe valsa per le controversie su diritti (essendo comunemente accettato, almeno in ambito giurisprudenziale, che agli arbitri non potesse attribuirsi l'ufficio di conoscere di controversie spettanti al giudice amministrativo, neppure quelle, rientranti nella sua giurisdizione esclusiva, ma vertenti su diritti). 4.1. -Questo assetto della giurisdizione nel settore delle concessioni in materia di lavori pubblici poteva essere considerato trovare conforto in altri indici normativi, sia pure rappresentati da disposizioni ad applicazione non generale. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO,, 392 Il primo era costituito dall'art. 16 della legge 14 maggio 1981, n. 219, che conteneva la disciplina del tipo di concessione, di cui si � poi trattato nel caso in esame, quello per l'esecuzione degli interventi previsti nel quadro della ricostruzione dei territori colpiti dai terremoti del 1980 e 1981: il quarto comma dell'art. 16, alla lett. i), prevedeva che le convenzioni di concessione potessero contenere clausole compromissorie. Il secondo era rappresentato dall'art. 1, primo comma, della legge 8 agosto 1977, n. 584 -con cui erano state dettate le norme di adeguamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici alle direttive della Comunit� europea: il secondo comma dell'art. 1 della legge, ai fini dell'applicazione di questa, aveva equiparato la concessione di sola costruzione all'appalto, mentre il primo comma dell'art. 3 aveva sottratto all'applicazione della stessa legge gli appalti per i quali la controprestazione dei lavori da eseguire fosse consistita unicamente nel diritto di gestire l'opera oppure in tale diritto accompagnato da un prezzo. 4.2. -Le disposizioni dettate dalla legge n. 584 del 1977 mostrano come, dal punto di vista dei procedimenti di aggiudicazione, anche se nei limiti di applicazione della legge, il meccanismo di realizzazione delle opere pubbliche rappresentato dalla concessione non si presta pi� ad una disciplina unitaria, perch� esso sottintende realt� economiche e giuridiche di tipo diverso. Per le opere da eseguire a spese o col sussidio dello Stato, la legge 24 giugno 1929, n. 1137 aveva previsto che opere pubbliche di qualsiasi natura potessero essere concesse in esecuzione a enti locali, consorzi e privati, anche indipendentemente dal loro esercizio. Ma l'adeguamento alla disciplina comunitaria degli appalti impone di negare specificit� alla concessione, rispetto all'appalto, se il corrispettivo per l'esecuzione dell'opera non � la sua gestione e perci� di negare specificit� alle concessioni che, in questo senso e per contrapposizione alle altre, erano e sono chiamate di sola costruzione. Tuttavia l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale pone in rilievo che per il loro oggetto le concessioni di sola costruzione possono presentare un vario contenuto. Al concessionario, infatti, possono essere affidati solo compiti che sono bens� ulteriori rispetto a quello di eseguire l'opera, ma non estranei per s� al contratto di appalto (quali il redigere il progetto dell'opera od il richiedere le necessarie occupazioni ed espropriazioni, compiti l'uno e l'altro suscettibili di essere compresi nell'oggetto del contratto di appalto di opere pubbliche, come si desumeva, per la progettazione, dagli artt. 4, primo comma e 8 della legge 8 agosto 1978, n. 584 e, per le occupazioni ed espropriazioni, gi� dall'art. 324, primo comma, legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F ). Ma possono anche essergli affidati compiti propri della pubblica amministrazione, s� da sostituire il concessionario al concedente, solo per alcune, ma anche per tutte le opere (Cons. St., Sez. III, parere, 30 novembre 1982, n. 703/82), nello svolgimento delle attivit� che consistono nel farle eseguire ad altri soggetti, aggiudicando loro i relativi appalti e sorvegliandone l'esecuzione. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE Con il conseguente delinearsi, accanto a concessioni aventi ad oggetto la costruzione dell'opera, da realizzarsi anche, ma non esclusivamente dal concessionario, di concessioni in cui il concessionario assume l'obbligazione di svolgere per il concedente un servizio, sostituendosi a lui nel compito di porre in essere le attivit� giuridiche e tecniche che precedono e rendono possibile l'esecuzione dell'opera. Il secondo di questi due tipi di concessione pu� d'altra parte atteggiarsi in due modi. Nel primo, quella del concessionario si presenta come obbligazione di risultato, perch� dal concessionario il concedente si attende il risultato della costruzione dell'opera, sicch� si resta pur sempre nel campo della concessione, di sola costruzione, in materia di lavori pubblici (Cons. St., Sez. Il, parere, 16 gennaio 1991 n. 1311; su tale fattispecie, in prosieguo, Cons. St., Sez. VI, 20 maggio 1997 n. 740). Nel secondo, quella del concessionario assume i connotati di un'obbligazione di mezzi, limitata al diligente espletamento delle attivit� necessarie a pervenire all'aggiudicazione dei lavori e a sovrintendere al suo svolgimento. Ma questo ultimo tipo, definito come concessione di committenza nel settore dei lavori pubblici, travalica il campo della concessione avente ad oggetto la costruzione dell'opera, per assumere i connotati di una concessione di servizi (Cons. St., Sez. III, parere, 4 dicembre 1990 n. 192). Non � il caso di ripercorrere qui anche l'itinerario lungo il quale si � snodata la questione del regime di aggiudicazione di queste concessioni di opere o di servizi. Basta segnalare che la giurisprudenza amministrativa � pervenuta ad affermare che il regime di aggiudicazione degli appalti si applica ad ogni tipo di concessione di opere (Cons. St., Sez. IV, 18 gennaio 1996 n. 54). 4.3. -Sono casi di concessione che presentano la caratteristica d'avere s� ad oggetto la costruzione, ma di prevedere la sostituzione del concessionario al concedente in attivit� proprie del committente, a richiamare l'attenzione delle sezioni unite nelle occasioni in cui sono pronunciate le sentenze del 1991edel1993. Le sezioni unite pervengono alla conclusione che la disciplina della giurisdizione sulle controversie che sorgono da questo tipo di concessioni va tratta non dalla regola generale, ma da quella speciale dettata in materia di concessioni di beni e servizi dall'art. 5 della legge 1034 del 1971. Questa estensione dell'ambito di applicazione della norma speciale, nel pensiero delle sezioni unite, affonda la sua ragione d'essere, sostanzialmente, nella duplice considerazione per cui, quando il concedente sostituisce a s� il concessionario nello svolgimento delle attivit� di scelta del contraente e questa scelta deve avvenire nei modi dell'evidenza pubblica, mediante la concessione si realizza un assetto organizzativo che non si differenzia da quello che si ha nelle concessioni di servizi pubblici. Le sezioni unite sono indotte a preferire questa soluzione anche da esigenze di coerenza interna della propria giurisprudenza: da un lato, con la precedente sentenza 29 dicembre 1990 n. 12221, � stato affermato che il concessionario, quando sceglie i contraenti cui affidare in appalto l'esecuzione delle opere e deve farlo seguendo le regole dell'evidenza pubblica, opera come organo indiretto dell'amministrazione RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT� . 394 concedente, esercitando una funzione pubblica; dall'altro, alla giurisdizione esclusiva configurata dall'art. 5 della legge 1034 del 1971 � stata gi� ricondotta la concessione di riscossione delle imposte ed entrate pubbliche, che d� luogo ad un fenomeno di sostituzione nell'esercizio di funzioni pubbliche, sebbene la riscossione delle imposte sia qualificata normativamente come servizio pubblico. 4.4. -Questo orientamento delle sezioni unite registra un'accoglienza critica. Esso si interseca, d'altra parte, con una rinnovata riaffermazione, sul piano sostanziale, della distinzione, nel settore delle opere pubbliche, tra concessioni di esecuzione e gestione e contratti che, per avere ad oggetto la costruzione, ma non la gestione, sono considerati appalti. Il d.lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, di attuazione della direttiva 89/440/CEE, in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, sia pure anche qui ai fini della sua applicazione, introduce una distinta qualificazione degli appalti e delle concessioni di lavori pubblici. Sono appalti i contratti che hanno per oggetto �l'esecuzione di lavori pubblici oppure congiuntamente l'esecuzione e la progettazione di lavori pubblici, oppure l'esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un'opera pubblica� (art. 4.1.); sono concessioni i contratti aventi l'oggetto prima indicato, ma �caratterizzati dal fatto che la controprestazione a favore dell'impresa o dell'ente concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera oppure in questo accompagnato da un prezzo�. 4.5. -Lo stato della questione, prima che sia emanata la legge 11febbraio1994, n. 109, appare dunque il seguente. La concessione di opera pubblica non � un fenomeno giuridico unitario. Esso presenta connotati propri, che lo distinguono dall'appalto, quando chiesegue l'opera trova compenso alla sua attivit� nella successiva gestione della stessa opera, sola od accompagnata da un prezzo: � la concessione di esecuzione e gestione. La concessione che, per distinguerla dalla precedente � denominata di sola costruzione, presenta al suo interno due tipi. Il primo si connota per il fatto che all'obbligazione del concessionario di eseguire l'opera se ne accompagnano di accessorie, che normalmente non derivano dall'appalto, ma che se vi si aggiungono non modificano la causa del contratto di appalto. In questo caso si � in realt� in presenza di un appalto. Il secondo � caratterizzato dal fatto che, in tutto o in parte, la realizzazione dell'opera costituisce bens� un'obbligazione del concessionario, ma un'obbligazione che non deve essere da lui adempiuta direttamente e per il cui adempimento � previsto che egli si sostituisca al concedente nell'esercizio di attribuzioni di cui viene espressamente investito. La concessione di committenza si atteggerebbe invece come concessione non di opera, ma di servizi. Orbene, significherebbe tradirne il significato, se alle sentenze delle sezioni unite del 1991 e del 1993, si attribuisse la portata d'aver considerato rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 5 della legge 1034 del 1971 anche le controversie relative a concessioni che, per il loro contenuto, al di l� del nome, costituiscono appalti, pur se caratterizzati da obbligazioni accessorie. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDUR� ciV:u.E Nel pensiero delle sezioni unite, come si � visto, la ragione del dover assimilare alla concessione di servizi la convenzione per effetto della quale sono attribuiti al concessionario compiti propri del concedente estranei al momento esecutivo dell'opera sta nel fatto che, mediante questo tipo di concessione, l'amministrazione sostituisce il concessionario a s� nell'esercizio di un complesso di funzioni di natura amministrativa, sta dunque quasi in un temporaneo affidamento di un ufficio: non risiede invece nel fatto che l'appaltatore dell'opera � richiesto di compiti accessori. 5. -La legge 11febbraio1994, n. 109 -all'art. 19 -escluder� che le amministrazioni aggiudicatrici possano affidare a soggetti pubblici o di diritto privato l'espletamento delle funzioni e delle attivit� di stazione appaltante di lavori pubblici (art. 19.3) e considerer� come sistemi di realizzazione dei lavori pubblici solo l'appalto (art. 19.1) e la concessione di costruzione e gestione (art. 19.2.) (l'art. 19 ha subito modificazioni, per� non incidenti su tale struttura, da parte dell'art. 6 bis del d.L 3 aprile 1995, n. 101, conv. con modif. nella legge 2 giugno 1995, n. 216, e dall'art. 9.31. della legge 18 novembre 1998, n. 415). Nella legge 109 del 1994, dal decreto legge 101 del 1995, � stato inserito l'art. 31 bis, di cui gi� si � detto. 6. -Entrato in vigore l'art. 31 bis della legge 109 del 1994, la questione della giurisdizione sulle controversie in materia di concessione di lavori pubblici ha dovuto essere ripresa in esame. 6.1.1. -Prima in ordine di tempo, la sentenza 13 giugno 1996 n. 5450, ha giudicato su un caso in cui la corte d'appello aveva annullato il lodo e pronunciato sul merito della controversia nella sede rescissoria. La concessione aveva avuto ad oggetto la progettazione e costruzione di un complesso di opere, anche mediante appalto a terzi. Dopo aver richiamato la precedente giurisprudenza, le sezioni unite hanno osservato che, in base al quarto comma dell'art. 31 bis, applicabile per il quinto comma anche nei giudizi iniziati prima dell'entrata in vigore della legge 109 del 1994, la giurisdizione su controversie di diritto derivate da concessioni di sola costruzione restava devoluta al giudice ordinario. 6.1.2. -La sentenza 13 ottobre 1996 n. 8647 ha giudicato su un caso in cui la corte d'appello aveva rigettato l'impugnazione di nullit� del lodo. La concessione aveva avuto ad oggetto la costruzione di un complesso di alloggi. Le sezioni unite, richiamano la giurisprudenza del 1991 e 1993, ma osservano che l'interpretazione che esse hanno dato dell'art. 5 della legge del 1971 concerne esclusivamente la vicenda traslativa delle pubbliche funzioni inerenti all'attivit� organizzativa e direttiva dell'opera pubblica, e non anche gli altri aspetti del rapporto fra la pubblica amministrazione ed il privato, ed in particolare quelli pi� specificamente concernenti l'attivit� di costruzione dell'opera pubblica, per i quali si impone la definizione in termini di appalto. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT(} � Concludono considerando che ci� trova del resto conferma nella disposizione introdotta dall'art. 31 bis. La giurisdizione del giudice ordinario viene affermata in base al rilievo che la controversia concerne proprio i rapporti inerenti all'appalto. Lo stesso schema di ragionamento � seguito dalla successiva sentenza 9 dicembre 1996 n. 10955. La concessione aveva avuto ad oggetto la progettazione ed esecuzione di un complesso di opere; il lodo arbitrale era stato annullato dalla corte d'appello, che aveva poi pronunciato sul merito della controversia in sede rescissoria. Le sezioni unite osservano che nel caso si controverte unicamente circa la liquidazione di posizioni patrimoniali conseguenti alla semplice realizzazione dell'opera pubblica commissionata, intesa come mera attivit� materiale di costruzione, con esclusione di ogni riferimento a funzioni e attivit� diverse ed ulteriori implicanti l'attribuzione e l'esercizio di poteri e facolt� propri dell'ente pubblico concedente: perci�, sulla questione di giurisdizione non interferisce la giurisprudenza per cui appartengono alla giurisdizione esclusiva le controversie relative alla concessione di sola costruzione, qualora con lo strumento concessorio si attui una traslazione di pubblici poteri. All'art. 31 bis le sezioni unite si richiamano per osservare che la norma incide risolutivamente sulla qualificazione del rapporto, risolvendo ogni possibile dubbio sulla scelta giurisdizionale ed escludendo la giurisdizione del giudice amministrativo. 6.1.3. -Delle tre decisioni appena richiamate, la prima e la terza sono pronunciate dopo sentenze della corte d'appello che hanno pronunciato sul merito della controversia a seguito di annullamento di lodo, la seconda dopo sentenza che ha rigettato la domanda di annullamento. La prima decisione appare resa sul presupposto di una concessione che prevedeva anche la possibilit� di affidare a terzi l'esecuzione delle opere, la seconda e la terza lo sono sulla base di concessioni che all'esecuzione hanno aggiunto la progettazione. Oggetto di tutte le controversie appaiono essere state pretese connesse ad attivit� di progettazione ed esecuzione dei lavori da parte del concessionario e non pretese connesse allo svolgimento di attivit� correlate all'affidamento di opere a terzi. La prima decisione fa direttamente leva sull'art. 31 bis, le altre richiamano la nuova norma come elemento di sostegno ad una soluzione attinta gi� sulla base del diritto preesistente. Su questo tratto si soffermano le sezioni unite nella successiva sentenza 12 giugno 1997 n. 5299. La decisione � resa su sentenza della corte d'appello che ha annullato il lodo per difetto di giurisdizione; la controversia, su diritti soggettivi, � sorta nel corso dell'esecuzione di una concessione per la progettazione e realizzazione di un complesso di opere. Le sezioni unite affermano la giurisdizione del giudice ordinario e svolgono due argomenti. Il primo si raccorda all'impostazione data al problema dalle sentenze del 1996. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRIITO E PROCEDURA CIVILE Il secondo � inteso a mostrare come, per fondare la giurisdizione del giudice ordinario, non sia necessario postulare che l'art. 31 bis riguardi anche le cause iniziate prima dell'entrata in vigore della legge 104 del 1994, perch� quand'anche la norml! avesse attribuito al giudice ordinario una giurisdizione di cui in precedenza era privo, ci� basterebbe ad impedire che possa dichiararsene il difetto di giurisdizione rispetto a cause svoltesi davanti agli arbitri e poi davanti al giudice ordinario. Questo itinerario logico � riproposto dalla sentenza 29 ottobre 1997 n. 10634. Nel caso, peraltro, la concessione non aveva avuto come oggetto solo la progettazione ed esecuzione dei lavori; vi era stato previsto che il concessionario potesse appaltare i lavori a terzi e curare la direzione dei lavori; oggetto della controversia era stato il diritto del concessionario ad ottenere un risarcimento per aver dovuto subire una sospensione dei lavori a suo avviso disposta e protrattasi al di fuori dei limiti consentiti. 6.1.4. -Tra le due decisioni appena richiamate si colloca la sentenza 26 settembre 1997 n. 9481, resa in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, richiesto in giudizio iniziato davanti al tribunale prima dell'entrata in vigore dell'art. 31 bis. La controversia � sorta in sede di esecuzione di una concessione per la progettazione e costruzione di un ospedale. Le sezioni unite si pongono espressamente il problema della portata del quinto comma dell'art. 31 bis. Lo risolvono nel senso che la disposizione � volta ad estendere anche ai giudizi gi� pendenti l'equiparazione, agli effetti della giurisdizione, delle concessioni agli appalti. Osservano che, diversamente, la disposizione non sarebbe stata necessaria. L'applicazione della norma sulla giurisdizione ai giudizi iniziati successivamente, sia pure relativi a contratti stipulati prima, sarebbe stata inevitabile conseguenza del principio per cui la giurisdizione si determina con riguardo alla legge in vigore alla data della domanda. Col quinto comma dell'art. 31 bis il legislatore ha inteso invece derogare all'altro principio, pure sancito nell'art. 5 cod. proc. civ., per cui i mutamenti della legge vigente alla data della domanda non sono influenti. 6.1.5. -La sentenza 11 novembre 1997 n. 11132 affronta, per la prima volta in modo espresso, un problema che non riguarda il quinto, ma il quarto comma dell'art. 31 bis, ovverosia se l'equiparazione agli appalti delle concessioni in materia di lavori pubblici riguardi anche le concessioni di gestione. Nel caso, la controversia era sorta da una convenzione per la progettazione, costruzione e gestione di un impianto di distruzione di rifiuti urbani. L'ente concedente aveva ritenuto non conforme alla convenzione il progetto predisposto dal concessionario e la controversia portata davanti agli arbitri era stata decisa con lodo annullato per difetto di giurisdizione. Le sezioni unite rigettano il ricorso del concessionario osservando che sono equiparate agli appalti le concessioni di sola costruzione, mentre nel caso la conces RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO�. 398 sione aveva un oggetto pi� esteso, riferendosi anche alla progettazione e gestione dell'impianto. 6.1.6. -Interessa insieme l'interpretazione del quarto comma e del quinto comma dell'art. 31 bis la sentenza 17 dicembre 1998 n. 12622. La controversia � sorta da una concessione per la realizzazione di interventi infrastrutturali nelle citt� di Palermo e Catania organicamente intesi al recupero socio-economico degli agglomerati urbani interessati ed al concessionario � stato affidato il compito di ricercare e valutare i precedenti studi e progetti, di fare i progetti di massima ed esecutivi e accertarne la fattibilit�, di gestire le attivit� necessarie alle procedure di affidamento dei lavori, di assicurare la direzione, contabilizzazione e collaudo dei lavori, di acquisire le aree e gli immobili necessari per realizzare gli interventi. Il concessionario aveva chiesto il risarcimento del danno derivatogli dal fatto che, per ritardi dovuti al concedente, gli era stato possibile realizzare solo una parte dell'ipotesi minima di interventi prevista dalla concessione. Il lodo, pronunciato su domanda proposta il 5 marzo 1992, era stato annullato dalla corte d'appello per difetto di giurisdizione. Le sezioni unite affermano la giurisdizione del giudice ordinario, annullano la sentenza della corte d'appello cui rinviano la causa. Soffermandosi sul quarto comma dell'art. 31 bis, le sezioni unite ritengono sia il caso di mettere in rilievo che all'equiparazione agli appalti non si sottraggono le concessioni in cui, come nel caso sottoposto al loro esame, al concessionario siano affidate, oltre alla realizzazione di una o pi� opere materiali, anche attivit� preparatorie, accessorie e connesse rispetto a tale realizzazione. Quanto all'applicazione del quarto comma dell'art. 31 bis nei giudizi svoltisi prima davanti agli arbitri e poi alla corte d'appello, le sezioni unite si richiamano al principio affermato nelle sentenze 10634 e 5299 del 1997. 6.1.7. -La sentenza 25 maggio 1999 n. 287 � pronunciata su ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione, proposto contro decisione del Consiglio di Stato. La giurisdizione del giudice ordinario � affermata su due presupposti. Il primo, attinente al quarto comma dell'art. 31 bis, consiste nel qualificare come concessione, di sola costruzione, e non di costruzione e gestione e quindi nel considerare equiparata ad appalto una convenzione con la quale al concessionario, oltre alla progettazione esecutiva ed alla materiale esecuzione dell'opera, era stato consentito di dare i lavori in appalto a terzi e di assicurare la direzione dei lavori. Il secondo, attinente al quinto comma dell'art. 31 bis, consiste nel richiamare quanto affermato nella sentenza 9481del1997, ovverosia che il legislatore del 1995, derogando all'art. 5 cod. proc. civ., ha inteso estendere la disciplina della giurisdizione dettata dal quarto comma dell'art. 31 bis anche ai giudizi iniziati prima dell'entrata in vigore della legge 109 del 1994. 6.1.8. -La sentenza 27 luglio 1999 n. 516 torna a decidere a seguito di sentenza di corte d'appello resa su impugnazione di nullit� di lodo arbitrale, nel caso rigettata. Le sezioni unite enunciano due princ�pi. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE Attribuire al concessionario, oltre all'esecuzione dell'opera, il compito di intraprendere gli atti occorrenti per le occupazioni di urgenza e le espropriazioni in nome e per conto del concedente non significa commettergli l'esercizio di pubblici poteri in materia di esproprio. Rispetto ai giudizi svoltisi davanti ad un giudice la norma sopravvenuta che gli attribuisce la giurisdizione ha un'efficacia convalidante: quanto al giudice ordinario, ci� vale anche quando a domanda sia stata proposta inizialmente davanti agli arbitri. 6.1.9. -Da ultimo, la sentenza 10 agosto 1999 n. 580 affronta in modo espresso l'aspetto dell'efficacia retroattiva dell'art. 31 bis, che interessa la validit� del processo svoltosi davanti agli arbitri, in materia attribuita alla giurisdizione del giudice ordinario secondo lo stesso art. 31 bis, ma sulla base di clausola compromissoria inclusa in convenzioni di concessione anteriori all'entrata in vigore della legge 109 del 1994. Che � il problema specificamente riproposto dal ricorso odierno. Il lodo era stato pronunciato in un caso che appare analogo al precedente (lo stesso ente aveva affidato al concessionario l'esecuzione di un'opera ed insieme i compiti inerenti all'occupazione ed all'espropriazione); il collegio arbitrale aveva considerato di trovarsi in presenza di un appalto, la corte di appello in presenza di una concessione, ma aveva fatto applicazione dell'art. 31 bis e respinto l'impugnazione di nullit�. Le sezioni unite, nel confermare la sentenza della corte d'appello, hanno svolto questi argomenti. La disposizione dettata dal quinto comma dell'art. 31 bis ha avuto la portata di rendere operante il quarto comma anche nei giudizi iniziati prima dell'entrata in vigore della legge 109 del 1994: al riguardo � fatto espresso richiamo alla sentenza 26 settembre 1997 n. 9481 (qui sub 6.1.4). Peraltro, nei giudizi svoltisi davanti al giudice ordinario, varrebbe anche il principio per cui la sopravvenuta attribuzione di giurisdizione non consente di dichiararne il difetto: ed al riguardo sono richiamate le sentenze 12 giugno 1997 n. 5299 e 29 ottobre 1997 n. 10634 (qui sub 6.1.3). Nel caso concreto, la convenzione, con cui oltre all'esecuzione dell'opera sono state trasferite al concessionario funzioni pubbliche (poteri relativi alla direzione dei lavori, all'adeguamento del progetto, alla sorveglianza dell'opera, etc.), d� luogo ad una concessione di sola costruzione, equiparata agli effetti della giurisdizione ad un appalto, in base al quarto comma dell'art. 31 bis. La prospettata nullit� della clausola compromissoria, non dipendendo da vizi intrinseci, ma dal fatto d'essere stata pattuita anche con riguardo a controversie sottratte all'epoca alla giurisdizione del giudice ordinario, cessa di poter essere pronunziata, una volta che la norma sopravvenuta ha disposto che, sin da quando era stata conclusa, le controversie da essa attribuite alla cognizione degli arbitri avrebbero potuto esserlo. 7. -� possibile a questo punto tornare ad esporre in modo pi� approfondito le ragioni che sostengono la pronuncia adottata. 7. 1. -La convenzione di concessione di opera pubblica, quando � stata stipulata la concessione da cui ha tratto origine la presente controversia, poteva contenere una RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 400 valida clausola compromissoria ed efficacemente deferire ad arbitri controversie appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario. 7.2. -Aveva natura di appalto e non di concessione la convenzione per effetto della quale il concessionario, oltre ad eseguire l'opera, dovesse formarne il progetto, di massima od esecutivo, ed assumere l'iniziativa di promuovere per il concedente i procedimenti di occupazione e di espropriazione per pubblica utilit�. Si � detto che si trattava di compiti suscettibili di aggiungersi a quello di costruire l'opera. Si deve aggiungere che costituisce esercizio di funzione pubblica l'approvazione del progetto in funzione della dichiarazione di pubblica utilit� dell'opera e la pronuncia dei provvedimenti di occupazione d'urgenza e di espropriazione per pubblica utilit�, ma non la redazione dei progetti n� domandare occupazioni ed espropriazioni o portare ad attuazione i relativi provvedimenti, perch� ci� spetta ad ogni soggetto in favore del quale sia dichiarata la pubblica utilit� di un'opera e la sua indifferibilit� ed urgenza (sentenza 27 luglio 1999 n. 516, sub 6.1.8). 7.3. -Nel ricorso, e pi� in particolare nell'atto di impugnazione del lodo di cui nel ricorso � riprodotto il contenuto, non si indica che al concessionario siano stati affidati compiti ulteriori rispetto a quello di esecuzione dell'opera e perci� non si spiega in ragione di quali ulteriori compiti la convenzione avrebbe dovuto essere considerata una concessione e non un appalto. Nel controricorso � cenno di una progettazione approvata dall'autorit� concedente, ma si � veduto che anche se la progettazione fosse stata affidata al concessionario, ci� non varrebbe a fare di un appalto una concessione. 7.4. -La norma di equiparazione tra concessioni in materia di opere pubbliche e appalti (art. 31 bis, quarto comma), nella sua proiezione verso il passato, vale evidentemente ad assoggettare le controversie in materia di concessione allo stesso regime di quelle in materia di appalto. � Ma, se la convenzione di concessione gi� prima era da riguardare dal punto di vista sostanziale come un appalto, non pu� sorgere alcuna questione circa il fatto che il giudizio iniziato davanti agli arbitri, sulla base di clausola compromissoria e per controversie su diritti, si sia svolto in modo valido. Al riguardo, come non avrebbe avuto modo di trovare applicazione l'indirizzo giurisprudenziale risalente alle sentenze di queste sezioni unite del 1991 e del 1993, cos� non si profila l'applicazione dell'art. 31 bis. 7.5. -L'equiparazione disposta dal quarto comma dell'art. 31 bis ha riguardato dunque non gli appalti impropriamente ricondotti al novero delle concessioni di sola costruzione, ma le concessioni di sola costruzione, cos� definite per il fatto di non essere estese alla gestione, connotate dal fatto che al concessionario sono attribuiti il compito di realizzare la costruzione con ogni mezzo (secondo l'espressione contenuta nell'art. 4.1. del d.lgs 406 del 1991), anche perci� con l'affidamento delle opere in appalto mediante procedure di evidenza pubblica, nonch�, connesso al precedente, il compito eventuale della direzione dei lavori (come espressamente affermato dalla sentenza 17 dicembre 1998 n. 12622, sub 6.1.6., in sostanziale PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITfO E PROCEDURA CIVILE conformit� con le precedenti decisioni 13 giugno 1996 n. 5450, 29 ottobre 1997 n. 10634 e 25 maggio 1999 n. 287, rispettivamente sub 6.1.1, 6.1.3. e 6.1.7). Da questa equiparazione restano escluse le concessioni di costruzione e gestione (sentenza 11 novembre 1997 n. 11132, sub 6.1.5), perch� in questo caso il rapporto in nessun modo � assimilabile all'appalto dal punto di vista economico e giuridico. Ci� mostra, per�, che l'espressione concessione in materia di lavori pubblici, impiegata nel quarto comma dell'art. 31 bis, introdotto nella legge 109 del 1994 dal decreto legge 101 del 1995, non ha la stessa valenza dell'espressione concessioni di lavori pubblici impiegata nell'art. 19.2. della stessa legge. Sembra agevole allora riconoscere alla norma che si desume dalla combinazione del quinto col quarto comma dell'art. 31 bis la portata di una norma di interpretazione autentica o comunque di una norma espressamente volta ad impedire le conseguenze che sarebbero derivate da un'ulteriore applicazione della disciplina della giurisdizione affermata dalle sentenze delle sezioni unite del 1991 e del 1993. Non si tratta perci� di ragionare come se l'interpretazione accolta dalle sentenze del 1991 e del 1993 di queste sezioni unite fosse l'unica possibile e sia stata tuttavia rigettata dal legislatore. Si tratta bens� di ragionare, con maggiore aderenza al reale, nel senso che delle diverse ricostruzioni possibili, il legislatore abbia preferito, per il futuro come per il passato (sentenze 29 settembre 1997 n. 9481e10 agosto 1999 n. 580, sub 6.1.4. e 6.1.9), quella per cui la disciplina della giurisdizione risultava conformata a misura di quella venutasi affermando sul piano sostanziale, in rapporto ai sistemi di aggiudicazione, nel senso dell'equiparazione di concessioni di sola costruzione e di appalti. Sicch�, come � stato ritenuto nella sentenza 10 agosto 1999 n. 580 (sub 6.1.9), a conferma di un orientamento espresso, almeno implicitamente, gi� dalla sentenza 13 ottobre 1996 n. 8647 (sub 6.1.2), deve escludersi che, sopravvenuta la norma dettata con i commi quarto e quinto dell'art. 31 bis, possa dichiararsi la nullit� delle clausole compromissorie con cui gli arbitri sono stati all'epoca investiti del potere di decidere controversie che, alla stregua della stessa norma, sono ora da considerare essere sempre spettate al giudice ordinario. 8. -Il ricorso deve essere restituito al primo presidente, per l'assegnazione ad una sezione semplice in vista dell'esame degli altri motivi. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 luglio 1999 n. 484 -Pres. Bile -Rei. Criscuolo -P.M. Lo Cascio (conf.) -A.N.A.S. (avv. Stato Laporta) c. Cosmina, altri. Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione temporanea e d'urgenza Risarcimento del danno -Occupazione acquisitiva -Diritto al risarcimento del danno -Prescrizione -Determinazione, offerta o deposito dell'indennit� di espropriazione -Atti interruttivi ex art. 2944 cod. civ. -Configurabilit�. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO~ 402 Prescrizione civile -Interruzione -Atti interruttivi -In genere -Occupazione acquisitiva -Diritto al risarcimento del danno -Prescrizione Determinazione, offerta o deposito dell'indennit� di espropriazione -Atti interruttivi ex art. 2944 cod. civ. -Configurabilit�. (Artt. 2043 e 2944 cod. civ.; legge 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 71 e 73). In tema di espropriazione per pubblica utilit�, nell'ipotesi in cui, verificatasi l'occupazione acquisitiva in assenza di emissione del decreto di esproprio, l'espropriante proceda tuttavia alla determinazione dell'indennit� di esproprio, ovvero all'offerta e/o al deposito di essa, i suddetti atti, costituendo in ogni caso il riconoscimento del diritto dell'ex proprietario ad un ristoro patrimoniale, si configurano come atti interruttivi della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla perdita del diritto dominicale (massima ufficiale) (1). (omissis) Con il primo mezzo di cassazione il ricorrente principale denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2944 e.e., nonch� insufficienza di motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e 5, c.p.c. Rilevando che la sentenza impugnata ha attribuito all'offerta dell'indennit� d'esproprio, formulata 1'11 febbraio 1977, valore ed effetto di un atto di riconoscimento del diritto dei proprietari al risarcimento dei danni, richiama l'orienta (1) Le Sezioni Unite della Cassazione compongono il contrasto esistente tra le sezioni semplici in ordine all'idoneit�, o meno, dell'offerta dell'indennit� di espropriazione a comportare riconoscimento del debito risarcitorio, nascente dall'ablazione del bene per occupazione acquisitiva. Il Collegio ritiene, in sostanza, che ove si sia gi� verificata l'irreversibile trasformazione del fondo e, dunque, la fattispecie della c.d. accessione invertita -l'eventuale offerta dell'indennit� non sarebbe in alcun modo riferibile al procedimento di esproprio, ormai venuto meno. Tale offerta sarebbe, comunque, indice della consapevolezza, da parte della P.A., di essere obbligata a versare un corrispettivo a fronte dell'apprensione del bene. Di conseguenza, essa configurerebbe un atto di riconoscimento di debito idoneo, ai sensi dell'art. 2944 e.e., ad interrompere il termine quinquennale di prescrizione relativamente all'obbligazione risarcitoria derivante dall'acquisizione del bene da parte dell'Amministrazione. Il ragionamento seguito dal Collegio non appare condivisibile, non tanto sotto il profilo inerente al caso di specie -potendosi certamente convenire sulla necessit�, o quanto meno opportunit�, di agevolare l'interesse del privato ad ottenere un risarcimento per la privazione della propriet� di un bene conseguente ad un illegittimo comportamento dell'Amministrazione quanto piuttosto per quanto riguarda l'applicazione dei principi contenuti nel citato art. 2944. Ci� in quanto un simile orientamento potrebbe avere conseguenze che trascendono il caso esaminato incidendo sulla stessa attuazione dei rapporti obbligatori. Orbene, correttamente il Collegio ha invocato quell'indirizzo giurisprudenziale che qualifica l'atto di riconoscimento di debito come atto in senso stretto. Tale atto, in particolare, deve possedere i caratteri della volontariet� e della consapevolezza dell'esistenza del debito (Cass. 27 giugno 1996, n. 5939, in Notiziario di Giurisprudenza del lavoro, 1996, VI, 954; Cass., 16 aprile 1992, n. 4666). La giurisprudenza ha, in particolare, evidenziato che il riconoscimento di debito presuppone l'intenzione di riconoscere la sussistenza dell'obbligazione (Cass., 24 maggio 1984, n. 3102). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRfITO E PROCEDURA �rV�LE. 403 mento di questa corte che nega agli atti della procedura di espropriazione (e, segnatamente, all'offerta e al deposito dell'indennit�) efficacia interruttiva della prescrizione del diritto -�ontologicamente e causalmente diverso� -al risarcimento dei danni da occupazione appropriativa di un immobile. Tale indirizzo dominante trarrebbe risolutivo avallo dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 188/1995 e da quanto in essa posto in evidenza, circa l'irriducibilit� dell'occupazione appropriativa nel novero delle vicende (lato sensu) traslative della propriet� del bene, con conseguente diversit� tra un dover dare a guisa di corrispettivo, genericamente inteso, per un trasferimento di propriet� e un dover dare invece per la distruzione dell'altrui immobile. Andrebbe inoltre posto in luce il vizio logico annidato nel vago richiamo al principio di buona fede, operato dalla corte di merito, col quale si vorrebbe superare il ben pi� rigoroso indirizzo prevalente. In effetti, se un criterio di buona fede dovesse presiedere all'interpretazione dell'atto di offerta dell'indennit�, esso non potrebbe essere utilizzato in unica direzione, ossia con riguardo al solo stato soggettivo del creditore, cos� come, per altro verso, non sarebbe consentito far ricorso al principio di conservazione dell'atto � evidente la ratio della norma, che va letta in combinato disposto con le altre norme che disciplinano la prescrizione ed i relativi atti interruttivi. Invero, con il riconoscimento di debito il debitore sostanzialmente sopperisce all'inerzia del creditore nel far valere il proprio diritto, nel senso che -nell'ambito del principio di certezza del diritto -si � inteso attribuire specifici effetti all'atto con cui un soggetto riconosce sussistente un vincolo obbligatorio. �, tuttavia, evidente che tale riconoscimento intanto � idoneo ad interrompere la prescrizione in quanto sia posto in essere -come ha affermato la giurisprudenza -nella precisa consapevolezza di essere debitore a quel titolo e nei limiti espressamente riconosciuti. Tale conclusione �, del resto, condivisa dalla stessa giurisprudenza che, sul presupposto della diversit� delle fattispecie, ha, ad esempio, escluso la sussistenza del riconoscimento di un debito risarcitorio da occupazione acquisitjva nella notificazione di un decreto di proroga, emesso dopo la scadenza di un primo periodo di occupazione autorizzato (Cass., 10 aprile 1999, n. 3516) ed ha escluso che, nell'ipotesi di crediti relativi ad emolumenti per invalidit� civile, il pagamento dei soli ratei sia idoneo -ai sensi dell'art. 2944 e.e. -ad interrompere la prescrizione per quanto riguarda gli interessi (Cass., 17.4.1999, n. 3858; Cass., 25 giugno 1993, n. 7045; Cass., 5 maggio 1992, n. 5335). Dalle esposte considerazioni deriva che l'atto di riconoscimento di debito non comporta il riconoscimento, in generale, dello status di debitore -naturalmente ai fini interruttivi della prescrizione -ma deve intendersi limitato al rapporto risultante dall'atto stesso, nei precisi limiti in esso indicati. Le argomentazioni prospettate dalle Sezioni Unite -le quali hanno invocato una pretesa erronea qualificazione che la P.A. avrebbe attribuito alla somma riconosciuta dovuta, come indennit� di espropriazione anzich� come risarcimento -non appaiono convincenti nella misura in cui una simile indagine non � stata, in concreto, effettuata ma soltanto desunta dalla situazione concretamente determinatasi a seguito dell'intervenuta irreversibile trasformazione del fondo. Una simile conclusione, oltre a richiedere, da parte dell'organo giudicante, un'indagine che va ben oltre l'interpretazione dell'atto di cui si discute, non appare conforme alla ratio della norma in quanto potrebbe attribuire alla manifestazione di volont� del soggetto degli effetti diversi da quelli che con tale atto si intendevano conseguire. D.G. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT� 404 giuridico (pure evocato dalla sentenza impugnata) se non nella comprovata inutilit� dell'atto, per giunta tipico, concretamente compiuto. Sotto entrambi i profili l'indagine eseguita dalla corte triestina si dimostrerebbe carente e inappagante, considerando che, alla data d'offerta dell'indennit� (11 febbraio 1977), il termine per il compimento delle espropriazioni sarebbe stato ancora in corso (siccome determinato in sette anni dal decreto 16 febbraio 1973 di approvazione della perizia di variante tecnica e suppletiva), onde l'azienda occupante non avrebbe avuto ragione di dubitare della legittima ed utile perfettibilit� del procedimento intrapreso (e della funzionalit� allo scopo dell'offerta d'indennit�), anche perch� nel 1977 non si sarebbe avuto neppure sentore della creazione giurisprudenziale dell'occupazione acquisitiva, con connessa consumazione del potere espropriativo. Da un lato, sarebbe quindi illogico il richiamo al principio di buona fede, perch� l'ANAS avrebbe inteso offrire, e riconoscere dovuta, soltanto un'indennit� di esproprio e gli stessi proprietari null'altro si sarebbero aspettati che questa; per altro verso, ad ordinamento vigente ed in ragione della (allora) ritenuta perfettibilit� del procedimento d'esproprio, l'offerta d'indennit� sarebbe stata pienamente utile ai fini dell'ulteriore corso della procedura espropriativa, onde non avrebbe senso logico il richiamo al principio di conservazione degli atti giuridici. In ordine a tali censure i resistenti eccepiscono l'improponibilit� (recte: inammissibilit�) del ricorso, sostenendo che l'accertamento diretto a stabilire se il contenuto di un atto abbia o meno efficacia interruttiva della prescrizione costituirebbe indagine di fatto riservata al giudice di merito e non sarebbe sindacabile in cassazione, in quanto il detto giudice avrebbe motivato il proprio convincimento. Ma il principio, peraltro corretto, non � pertinente nella fattispecie, perch� nel caso in esame non si tratta di condurre una indagine in concreto sul contenuto di un atto determinato, bens� di stabilire se l'atto (il cui contenuto non � in discussione) sia idoneo in via generale a produrre gli effetti di cui all'art. 2944 e.e.; e questa � questione di diritto rientrante nel sindacato di legittimit� di cui all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. Di qui l'infondatezza dell'eccezione. � dunque proposto all'esame delle sezioni unite il quesito relativo alla (eventuale) idoneit� dell'offerta, da parte dell'ente occupante, dell'indennit� di espropriazione (nella specie, provvisoria: v. pag. 13 della sentenza impugnata) a comportare riconoscimento del debito risarcitorio, nascente dall'ablazione del bene per occupazione appropriativa, con conseguente effetto interruttivo del corso della prescrizione, ai sensi dell'art. 2944 e.e. Sul tema nella giurisprudenza di questa corte si sono manifestati orientamenti diversi. Un indirizzo, che appare prevalente, ha negato tale idoneit�, sostenendo che il decorso del termine quinquennale di prescrizione resta insensibile all'eventuale successiva adozione del decreto espropriativo, o alla liquidazione, offerta e deposito dell'indennit� di espropriazione, perch� i relativi atti in quanto non inerenti al credito risarcitorio, non possono integrare n� riconoscimento del credito stesso, n� rinuncia ad opporne la prescrizione (Cass., 9 luglio 1989, n. 3253; 28 marzo 1990, n. 2532; 18 ottobre 1990, n. 10159; 11novembre1992, n. 12113; SU., 11 novembre 1992, n. 12150; 25 settembre 1993, n. 9718; 4 maggio 1994, n. 4329; 4 maggio 1995, n. 4862; 23 settembre 1997, n. 9368). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CMLE 405 Al contrario altre decisioni hanno attribuito alla richiesta di ristoro del pregiudizio economico o al riconoscimento da parte dell'amministrazione, individuabile nell'offerta dell'indennit�, il carattere interruttivo della prescrizione (Cass., 8 febbraio 1992, n. 1715; 25 marzo 1995, n. 3572; 9 marzo 1996, n. 1887; 29 marzo 1996, n. 2943; 23 luglio 1997, n. 6886; 26 agosto 1997, n. 8005). Il primo orientamento muove dalla differenza ontologica e quantitativa tra l'obbligazione indennitaria e quella risarcitoria. Facendosi valere un rapporto obbligatorio, la pretesa si qualificherebbe in relazione al fatto costitutivo del credito: la causa petendi sarebbe ben diversa nei due casi. La disciplina dei due rapporti resterebbe quindi distinta, anche a seguito della tendenziale equiparazione degli effetti economici dell'espropriazione rituale e del risarcimento da occupazione appropriativa. Anzi la diversit� sarebbe sottolineata dalla giurisprudenza costituzionale che ha dichiarato l'illegittimit� dell'art. 5 bis, sesto comma, della legge n. 359 del 1992, come modificato dall'art. 1, 65� comma, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Corte cost., 2 novembre 1996, n. 369) e, pur ammettendo che il risarcimento del danno da illecito extracontrattuale possa non comportare la piena reintegrazione patrimoniale, essendone rimessa la misura alla discrezionalit� del legislatore, ha commisurato la compatibilit� dell'istituto appropriativo con i principi dell'ordinamento ad una necessaria differenziazione dall'indennit� di esproprio (Corte cost., 23 maggio 1995, n. 188). Il comportamento del creditore riferito ad un'obbligazione non sarebbe significativo di un eguale intento riguardo ad altri rapporti obbligatori con lo stesso debitore. Parallelamente, l'eventuale manifestazione della volont� di riconoscere il diritto all'indennizzo (o di rinunciare ad eccepire la relativa prescrizione) non potrebbe di per s� essere assunto come dato significativo dell'intento di riconoscere la maggior pretesa connessa al risarcimento. Sempre a proposito del contegno del debitore, l'offerta e il deposito dell'indennit�, peraltro determinata da organi tecnici senza rappresentanza esterna, costituirebbero atti vincolati nel procedimento espropriativo, siccome regolato dalla legge 22 ottobre 1971, n. 865. Oltre al fatto che il riconoscimento del diritto altrui o la rinuncia ad un diritto proprio da parte degli enti pubblici, sarebbero soggetti a particolari procedure e controlli. L'indirizzo contrario osserva invece che, in presenza di ragioni creditorie insuscettibili di fraintendimento, qualora il debitore riconosca di �dover dare�, muovendo da qualificazioni giuridiche errate, prive per� di efficacia vincolante, il dovere di correttezza comporterebbe la necessit� di valorizzare il significato sostanziale dell'ammissione, e dunque la recessivit� di comportamenti contraddittori. Nelle pronunce pi� recenti non si mette in discussione il principio secondo cui l'interruzione degli atti, cui il codice attribuisce tale effetto, presuppone la loro riferibilit� al diritto del quale � stata eccepita l'estinzione per inerzia del titolare. Qualora per� si sia consumata, con l'irreversibile trasformazione del fondo, la fattispecie appropriativa, il riconoscimento connesso all'offerta e al deposito dell'indennit�, non potendo avere ad oggetto lo specifico diritto al quale fanno riferimento, non potrebbe che incidere sull'unico diritto spettante al privato, cio� su quello risarcitorio. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 406 In questo quadro, e prima di procedere all'esame del tema come sopra proposto, il collegio ritiene di dover affermare la propria adesione ai principi espressi nella sentenza 26 febbraio 1983, n. 1464, successivamente ribaditi (Cass., sez. un., 10 giugno 1988, n. 3940; 25 novembre 1992, n. 12546) e costituenti ormai orientamento consolidato (cfr. Cass., 2 ottobre 1993, n. 9826; 11ottobre1994, n. 8290; 4 maggio 1995, n. 4853; 5 agosto 1997, n. 7203; 26 gennaio 1998, n. 761). Neppure la sentenza impugnata, del resto, pone in discussione tale orientamento, cui anzi aderisce (v. pag. 10-12). E, peraltro, esso ha trovato riscontro, sia pure con riguardo all'edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, nell'art. 3 della legge 27 ottobre 1988, n. 458 (al riguardo v. Corte cost., 27 dicembre 1991, n. 486, in motivazione). Resta quindi fermo il principio che, occupato dalla P.A. (o da un suo concessionario) illegittimamente, per mancanza del provvedimento autorizzativo o per decorrenza dei termini di occupazione legittima, un fondo di propriet� privata per la costruzione di un'opera pubblica, la radicale trasformazione del fondo irreversibilmente destinato alla realizzazione dell'opera pubblica produce l'acquisto a titolo originario della propriet� da parte della P.A. e l'insorgere del diritto del privato al risarcimento del danno derivante dalla perdita del diritto di propriet�, diritto soggetto al termine quinquennale di prescrizione stabilito dall'art. 2947, primo comma, e.e. (cos� Cass., sez. un., 25 novembre 1992, n. 12546; sez. un., 2 ottobre 1993, n. 9826). � opportuno precisare, per quanto si dir� in prosieguo, che non si tratta della creazione per via giurisprudenziale di un precetto prima inesistente. Si tratta invece di un principio enucleato per via interpretativa dal sistema nel quale era contenuto. Tanto premesso, si osserva che, secondo il tenore dell'art. 2944 e.e., �la prescrizione � interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso pu� essere fatto valere�. L'atto di riconoscimento non � soggetto a requisiti formali e non ha carattere (almeno necessariamente) negoziale ma pu� qualificarsi come atto in senso stretto (Cass., 27 giugno 1996, n. 5939; 18 giugno 1992, n. 7548; 1� giugno 1991, n. 6203), essendo sufficiente che presenti i caratteri della volontariet� (Cass., 12 luglio 1980, n. 4473) e della consapevolezza dell'esistenza del debito (Cass., 11 ottobre 1973, n. 2559). Nel quadro di tali concetti, qualora si sia gi� realizzata, durante il periodo di occupazione illegittima ed in mancanza del decreto d'esproprio, l'irreversibile trasformazione del bene con acquisto della sua propriet� (a titolo originario) in capo all'ente pubblico, il procedimento espropriativo che sia ancora in corso non ha pi� ragion d'essere, essendosi prodotto l'effetto ablatorio cui esso era preordinato (tanto che il decreto di espropriazione, ove fosse successivamente emesso, sarebbe inutiliter datum ). All'ex proprietario, in presenza della perdita del bene per l'ablazione subita, rimane una sola situazione giuridica tutelabile, ossia il diritto al risarcimento del danno a lui cagionato. Pertanto l'offerta dell'indennit� (cui sono equiparabili la determinazione o il deposito della stessa), eseguita dopo l'occupazione appropriativa, non � in alcun modo riferibile al procedimento di esproprio ormai venuto meno. Essa, tuttavia, non pu� sol per questo ritenersi priva di ogni effetto, in PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE quanto comunque esiste, non presenta vizi invalidanti e rivela nella P.A. (da cui promana) la consapevolezza di essere obbligata a versare un corrispettivo a fronte dell'apprensione del bene. In altre parole, resta idonea a manifestare che la P.A. (cui l'avvenuto fatto ablatorio � imputabile) si considera tenuta a versare una somma diretta a ristorare il privato per la perdita subita. Non ha rilevanza che l'offerta (o la determinazione o il deposito) sia qualificata come indennit� e non come risarcimento. Nel momento in cui d'indennit� non pu� pi� parlarsi essendo gi� integrata la fattispecie dell'illecito, l'erronea qualificazione attribuita alla somma che si riconosce di dover versare (nell'ambito di una procedura erroneamente ritenuta ancora in itinere) non vale a togliere significato a tale riconoscimento, non riferibile ad un diritto �ontologicamente e causalmente diverso� qual � il diritto all'indennit�, perch� tale diritto pi� non sussiste, residuando soltanto quello al risarcimento del danno. Non giova quindi rimarcare le indubbie differenze tra obbligazione indennitaria e obbligazione risarcitoria, che ovviamente non si pongono in discussione. Tali differenze sarebbero determinanti qualora le due obbligazioni concorressero. Ma quando la prima � definitivamente venuta meno e ad essa subentra la seconda, soltanto a questa possono essere riferiti gli ulteriori atti della P.A., neppur definibili peraltro come atti vincolati appunto perch� il procedimento espropriativo si � in sostanza esaurito con l'avvenuta ablazione di fatto. D'altro canto costituirebbe un'indubbia forzatura sostenere l'assenza di ogni collegamento tra l'offerta (o la determinazione o il deposito) della somma, sia pure a titolo d'indennit�, e la vicenda ablatoria conclusasi con l'irreversibile trasformazione del suolo destinato all'esecuzione dell'opera pubblica, in vista della quale il procedimento espropriativo era stato avviato. Tali collegamenti, invece, sussistono e risultano dall'inerenza allo stesso bene, dalla sua definitiva sottrazione al proprietario, dalla natura corrispettiva propria dell'indennizzo e del risarcimento, dal carattere pecuniario della prestazione dovuta dall'ente cui il fatto ablatorio � riferibile, dalla finalit� di detta prestazione, diretta comunque a ristorare lex proprietario per la diminuzione patrimoniale subita, riconoscendogli, quindi, il diritto a tale ristoro. Riconoscimento che non pu� non essere univoco nel momento in cui unica � la situazione giuridica del soggetto che ha sofferto l'ablazione. Conclusivamente, ed a composizione del contrasto sopra richiamato, deve affermarsi che, con riferimento all'art. 2944 e.e., nel caso in cui si sia verificata l'occupazione acquisitiva del fondo, ma non sia stato emesso il decreto di esproprio, l'offerta (come la determinazione e il deposito) dell'indennit� di espropriazione, costituendo atti di riconoscimento del diritto al ristoro patrimoniale dell'ex proprietario, integrano atti interruttivi della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla perdita del diritto dominicale. Alla stregua di tale principio il primo motivo del ricorso principale deve essere respinto. Non giova, infatti, il rilievo che, alla data dell'offerta d'indennit� (11febbraio1977) il termine per il compimento delle espropriazioni fosse ancora in corso, essendo invece determinante l'accertamento della corte territoriale, secondo cui l'irreversibile trasformazione del suolo si realizz� alla data del 25 giugno 1974, sicch� allora l'effetto ablatorio si produsse. o RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 408 Neppure ha pregio l'argomento per il quale nel 1977 non si aveva sentore della �creazione giurisprudenziale dell'occupazione acquisitiva (con connessa consumazione del potere espropriativo)�, onde l'occupante non avrebbe avuto ragione di dubitare della legittima perfettibilit� del procedimento intrapreso. Si deve replicare che, come gi� notato, i princ�pi affermati con l'orientamento giurisprudenziale sull'occupazione acquisitiva non hanno creato un precetto normativo ex novo, ma hanno desunto dall'ordinamento, per via interpretativa, principi in esso gi� contenuti. � in definitiva corretta la pronunzia della corte territoriale che, attribuendo efficacia interruttiva all'offerta dell'indennit� provvisoria effettuata 1'11 febbraio 1977, ha respinto l'eccezione di prescrizione sollevata dall' ANAS, considerando non compiuto il termine quinquennale di prescrizione alla data di notifica della citazione introduttiva del giudizio (11 dicembre 1981). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500 -Pres. Zucconi Galli Fonseca -Rei. Preden -P. G. Dettori ( diff.) -Comune di Fiesole c. Vitali. I Giurisdizione -Responsabilit� civile della P.A. per lesione di interessi legittimi -Regolamento Preventivo di giurisdizione -Inammissibilit�. I (Cod. civ. art. 2043; cod. proc. civ. artt. 37, 41). ~ ~ I ~ Ai fini della configurabilit� della responsabilit� �aquiliana� non assume ~ ~~ rilievo la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, re poich� la tutela risarcitoria di cui all'art. 2043 cod. civ. � assicurata con esclusivo riguardo alla ingiustizia del danno, ravvisabile in ogni caso di lesione d'un interesse giuricamente rilevante. Ne consegue che, fuori delle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non � configurabile una questione di giurisdizione quando sia proposta avanti all'A.G.0. una domanda di danni nei confronti della P A. in conseguenza di atti o provvedimenti illegittimi (1). (omissis) I Con atto notificato il 1� aprile 1996, Giorgio Vitali conveniva davanti al Tribunale di Firenze il Comune di Fiesole per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti al mancato inserimento, nel piano regolatore generale adottato dal Comune con deliberazione del 16 luglio 1971, tra le zone IIedificabili, dell'area di propriet� dell'istante oggetto di convenzione di lottizzazione stipulata con l'ente locale il 3 giugno 1964. Deduceva che il detto P.R.G. era stato annullato dal Consiglio di Stato, con decisione del 22 gennaio 1990, per difetto di w (1) In argomento, v. I. F. CARAMAZZA, L'informe creatura cambia ancora volto, in questa ili f r ,.,Rassegna, II, 88. Si riporta, di seguito, il testo della relazione dell'avvocato dello Stato A LINGUITI al "Convegno di studio" svoltosi, sul tema, il 10 dicembre 1999 presso la sede . dell'Avvocatura Generale dello Stato. . . I I I ~ ;, �=~;;=::w.tr+rs.:r:m===ffiff�"'''}1%F&m=~&=..z;:fw.N~===t:=??tw.V&~w.;===&.J.Wi�)=�?&fi�iwlwJJt=?f:KW7:~,~~=war=~'x'"~~t1 D;t#,fll841Ilfimr8'&71S:ll'&l=ilif&lflf+�'1&ttl.WM~KilBI PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 409 motivazione circa le ragioni che avevano indotto l'amministrazione a disattendere la convenzione. Sosteneva che, pur essendo venuta meno, per effetto di successiva variante del P.R.G. adottata nel 1984, la possibilit� di realizzare la convenzione, dovevano essere risarciti i pregiudizi economici subiti nel periodo di vigenza del piano originario, che aveva illegittimamente impedito la realizzazione della lottizzazione. Il Comune resisteva ed eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Nel corso del giudizio il Comune ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione. Ha resistito con controricorso il Vitali. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Attivit� amministrativa e risarcimento del danno. � indubbio l'impatto che la sentenza 500/99 ha su verit� che, almeno giurisprudenzialmente, erano o sembravano irrevocabili, anche se oggetto di critiche sin dal loro formarsi da parte della dottrina. Duplice � lo strappo contenuto nella sentenza: il primo, al dogma della irrisarcibilit� degli interessi legittimi; il secondo, costituito dall'affidamento al giudice ordinario di una cognizione in materia di interessi legittimi. Con ci� sembra esservi un ritorno al passato, un ritorno del pendolo della storia del diritto agli albori dello Stato unitario, alle leggi del 1865. La legge del 1865 sull'abolizione del contenzioso amministrativo volle un giudice unico, un giudice ordinario, e lo volle con riferirmento a tutti i diritti civili e politici, comunque vi potesse essere interessata la p.a., ancorch� fossero emanati provvedimenti amministrativi o delle pubbliche autorit�. V'� per� una differenza, rispetto ad allora, di non poco momento. Allora il giudice unico, quello ordinario, fu voluto dal legislatore ed interpret� riduttivamente il proprio ruolo, fino a confinarlo entro la misura dei diritti soggettivi. Ora, dopo oltre un secolo di interpretazione giurisprudenzialmente pacifica, dopo l'intervento cristallizzante in tema di riparto di giurisdizioni operato dalla Costituzione, dopo il rinvio -operato dalla medesima Costituzione -ad un sistema normativo rappresentato dalle leggi del 1865, del 1889, del 1923, dopo tutto questo, il ritorno alle origini � segnato non dal legislatore, ma dal giudice ordinario, che recupera una completezza di cognizione. Gi� questa impostazione suscita interrogativi. Era possibile questo ritorno ed era possibile operare questo ritorno con i motivi utilizzati dalla sentenza? Questo ritorno rispecchia la linea di tendenza del nostro ordinamento? Alla prima domanda ho gi� dato un inizio di risposta. In oltre un secolo, dal 1865, non sono sopravvenuti soltanto aggiustamenti interpretativi, ma anche esperienze, che hanno reso mobili i confini tra la materia dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi. Mobilit� di confini che ha consentito il trasmigrare di situazioni dall'uno all'altro versante. Circa la mobilit� dei confini, � emblematico il caso dei pubblico impiego, passato da un'impostazione di tipo pubblicistico ad una totalmente privatistica. � emblematico, in senso inverso, il regime delle acque pubbliche o, meglio, il regime dell'uso delle acque pubbliche: la generalizzazione della pubblicizzazione delle acque (o, meglio, del loro uso) � un fatto recentissimo. Vi sono poi fenomeni, quali quello della privatizzazione di enti gi� pubblici, che comporta conseguenze sul piano della distribuzione e dislocazione dei rapporti, che con questi enti si intrattengono. Vi � ancora un'ipotesi clamorosa ed importante, verificatasi nel corso degli anni, cio� la sostituzione di un esercizio di attivit� amministrativa di imperio con un esercizio di attivit� amministrativa contrattata. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATG� 410 MOTIVI DELLA DECISIONE 1. -Con l'istanza di regolamento preventivo deduce il ricorrente che la domanda di risarcimento del danno conseguente al mancato inserimento nel P.RG. del Comune di Fiesole, adottato nel 1971, tra le zone edificabili, dell'area di propriet� del resistente oggetto di precedente convenzione di lottizzazione, stipulata nel 1964. � improponibile per difetto assoluto di giurisdizione. Vi sono numerosi casi di previsione di silenzio assenso, che dilatano l'esercizio del potere da parte del privato, confinando il potere dell'attivit� amministrativa soltanto in un momento successivo, come repressivo. Vi sono ancora delle zone grigie, al di l� di queste che, con una certa difficolt�, sono pure attribuibili all'uno o all'altro settore del pubblico o del privato; certamente questa mobilit� di confini � un dato caratteristico che si � sviluppato nel corso di questi ultimi decenni. Poi v'� stata la Costituzione, che prevede, all'art. 24, le due categorie degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi, assicurando ad entrambi pari dignit� di tutela proprio giudiziaria. Alla luce di questa affermazione costituzionale, non mi sembra riproducibile quella indicazione provocatoria fatta anni fa e ricordata in uno scritto di Giacchetti, che ha definito �Oro� il diritto soggettivo e l'interesse legittimo �piombo�. Il diritto soggettivo e l'interesse legittimo hanno pari dignit� di tutela per la Costituzione. L'art. 103 Cost. fissa il riparto di giurisdizione, nel senso che all'autorit� giudiziaria ordinaria vanno i diritti soggettivi, all'autorit� giudiziaria amministrativa gli interessi legittimi ed all'autorit� giudiziaria amministrativa in sede esclusiva, oltre gli interessi legittimi, anche i diritti soggettivi. Infine, importantissimo, � l'art. 113 Cost., che rinvia al sistema delle leggi e conferma sia il riparto di giurisdizione, sia un certo modo di collocare le posizioni giuridiche soggettive dinanzi a ciascuna delle due autorit� giudiziarie ordinaria ed amministrativa, diversificate in relazione all'oggetto loro demandato dal riparto di giurisdizione. Si � cio� dato corpo ad un sistema misto, in cui convivono due fondamentali principi degli ordinamenti che si rifanno al concetto di Stato di diritto: quello della divisione dei poteri e quello della legalit� nell'amministrazione. Questo � il sistema vigente, un sistema che non si pu� ignorare e che, invece, sembra sia stato in qualche misura superato -da parte della sentenza n. 500 -senza la necessaria attenzione al fatto che, superandolo, si doveva modificare questo sistema. Con una seconda domanda, ci si pu� chiedere se erano sufficienti le motivazioni addotte dalla sentenza per poter arrivare a queste conclusioni, a questi due strappi. La sentenza contiene una serie di motivazioni: vi sono degli interessi legittimi nel settore privato che sono stati considerati, per poterne riconoscere la risarcibilt�, come diritti soggettivi. Ma cio' � stato fatto, dice la sentenza, in base a trasfigurazioni, perch� veri diritti soggettivi non erano. Col che mi sembra che si gettino a mare tutte quelle considerazioni che, invece, erano valse a qualificare come diritti soggettivi quelli che nuove sensibilit� portavano a considerare -direi doverosamente -come diritti soggettivi. Secondo la stessa sentenza 500/99, occorre tener presente che questi interessi legittimi trasfigurati da diritti soggettivi ed ammessi alla tutela risarcitoria, erano interessi legittimi pur sempre nell'ambito del diritto privato. La sentenza n. 500 � sensibile al possibile rilievo che il meccanismo che ammette l'interesse legittimo privato al risarcimento non sia sufficiente per poter pervenire alle stesse conclusioni con riferimento agli interessi legittimi nel settore pubblico. Si pone infatti il problema della individuazione degli interessi legittimi che possono accedere ad una tutela risarcitoria quale quella che la sentenza propone davanti al giudice ordinario. Si pongono cio� i problemi, cui prima accennavo, del riparto di giurisdizioni e delle tecniche di tutela. PARTE I, SEZ. III, GIDRISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 411 Premette il ricorrente, in punto di fatto, che, giusta variante al P.R.G. approvata nel 1984, per l'area di propriet� del Vitali era stata prevista destinazione incompatibile con l'attuazione della lottizzazione; che il P.R.G. del 1971 era stato riadottato dal Comune, per la parte annullata dal Consiglio di Stato, con deliberazione del 20 marzo 1990, con specifica motivazione relativa al mancato inserimento dell'area di propriet� del Vitali oggetto della convenzione di lottizzazione del 1964, in quanto destinata a verde agricolo; che il Consiglio di Stato, adito in sede di giudizio di ottemperanza della decisione del 22 gennaio 1990, con decisione n. 800/95, aveva respinto il ricorso, sul rilievo che l'annullamento del P.R.G. del 1971 per difetto di motivazione non precludeva all'Amministrazione la riproduzione dell'atto emendato del vizio accertato. Sul punto la sentenza afferma che, anche con riferimento agli interessi legittimi nel settore pubblico, vi sono state delle ipotesi di trasfigurazione di interessi legittimi in diritti soggettivi, e si rif� alle ipotesi di cosiddetti interessi legittimi oppositivi, cio� quelli che a lungo la giurisprudenza ha considerato diritti soggettivi originari conculcati, degradati da un intervento dell'amministrazione o diritti soggettivi di fonte amministrativa che, conculcati illegittimamente dall'amministrazione, risorgano a seguito dell'annullamento dell'atto compressivo, operato dall'amministrazione. Ma, anche qui, questa configurazione deve respingere come erronea tutta quella serie di sentenze che si sono affannante (in modo convincente) per dimostrare che non di interessi legittimi si trattava, ma appunto di un rigenerarsi, di un risorgere dei diritti soggettivi a seguito dell'annullamento dell'atto amministrativo compressivo. Poi c'� da considerare che questa operazione, quand'anche barocca, di maquillage giuridico, � servita comunque a salvare il sistema. Sistema che non ha subito strappi dalla progressiva erosione della sfera degli interessi legittimi a favore della sfera dei diritti soggettivi. Un altro elemento che la sentenza propone a base delle proprie conclusioni � che si sarebbe sviluppata una linea di tendenza normativa interna e di matrice comunitaria secondo cui ormai gli interessi legittimi hanno acquisito diritto di cittadinanza di fronte ad una tutela risarcitoria. Per quanto concerne il diritto interno, la sentenza si rif� a tentativi, abortiti quasi sul nascere, di ipotesi di risarcimento che comprenda gli interessi legittimi. Se una valutazione di questi casi abortiti bisogna fare, occorre tener presente che lo stesso legislatore, per ipotizzare casi di risarcimento di interessi legittimi, procede con estrema prudenza e, molto spesso, si � pentito dei passi che aveva compiuto in questa direzione. Per� vi sono, secondo la sentenza n. 500, ipotesi in cui questa linea di tendenza ha visto la luce, e sono le ipotesi del d.lgs. 80/98 che, nelle materie nuove di .giurisdizione esclusiva, attribuisce al giudice amministrativo, e non al giudice ordinario, la tutela risarcitoria. Dalla lettura degli artt. 33, 34 e, soprattutto, 35 del d.lgs. 80 si possono trarre alcune considerazioni. La linea seguita dal legislatore non � la linea che affida al giudice ordinario la tutela risarcitoria, bens� quella che affida tale tutela al giudice amministrativo in sede esclusiva. Non affida poi, una tutela risarcitoria vera e propria, ma si opera attraverso l'individuazione prima da parte del giudice amministrativo dei criteri in base ai quali l'amministrazione pu� individuare cosa possa essere dovuto a titolo di ristoro, quindi dei criteri in prima battuta e, poi, in seconda battuta, qualora l'accordo sull'utilizzazione di questi criteri indicati dal giudice amministrativo non intervenga, si prevede un giudizio di ottemperanza. In tale giudizio, si noti la prudenza del legislatore in un campo denso di pericoli di stravolgere il sistema -si tende non al risarcimento danni, ma alla determinazione di una somma a titolo di ristoro. Infine, non � il giudice che opera una riforma in questa direzione dell'ingresso degli interessi legittimi alla tutela risarcitoria, ma � appunto il legislatore, e lo fa settorialmente e con grande prudenza. RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO. 412 Tanto precisato, osserva che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il privato che aspiri alla realizzazione di iniziative edificatorie � titolare, nei confronti della P.A., di una posizione di mero interesse legittimo, e non gi� di diritto soggettivo perfetto, poich� a fronte della posizione del privato vi sono le potest� pubblicistiche della P.A. in materia di disciplina dell'assetto del territorio. Tale posizione non muta neppure a seguito della stipula di convenzione di lottizzazione, poich� questa non determina la nascita di un diritto soggettivo nei confronti del Comune, che mantiene il potere di mutare la disciplina dell'assetto del territorio, e quindi di eliminare, con successive varianti dello strumento urbanistico generale, le possibilit� edificatorie previste dalla convenzione di lottizzazione. Consegue Questa � una scelta conforme alla Costituzione sia sul piano del riparto di giurisdizione sia, soprattutto, sul piano della possibilit� di attribuzione di certe materie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Infatti la Costituzione chiede che l'attribuzione al giudice amministrativo in sede esclusiva di certe materie venga fatta per particolari materie, e qui la particolarit� � data dall'emergere di posizioni di diritto soggettivo, che sono pur sempre per� impastate con posizioni di interesse legittimo. Questa particolarit�, nei settori dei servizi, dell'edilizia e dell'urbanistica, ha consentito l'attribuzione al giudice esclusivo anche della tutela risarcitoria, se risarcitoria �, con tutte quelle specificazioni che sono state fatte. Passando ad altro aspetto della motivazione, la sentenza dice che c'� un'altra fonte di tutela risarcitoria degli interessi legittimi: quella derivante dalla normativa comunitaria. Non mi sembra probante neppure quest'indicazione, per un motivo che potrebbe dirsi formale ma soprattutto per ragioni che hanno spessore sostanziale. Non mi sembra probante sotto un profilo formale. Nei settori affidati ormai alla disciplina della sovranit� comunitaria, con l'abbandono della sovranit� in questa materia da parte dello Stato italiano, la Comunit�, che non conosce differenze tra posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo (ma in proposito vi sarebbe molto da dire, se si legge con attenzione qualche sentenza della Corte di giustizia) non pu� trattare altro che di diritti soggettivi. Quindi la Comunit� reintrodurrebbe nel nostro ordinamento quelli che per noi sono interessi legittimi, avendoli ribattezzati e sostanziati come diritti soggettivi. Ma questa � una giustificazione formalistica, che probabilmente piacerebbe all'impostazione sempre molto formalistica degli studiosi di diritto internazionale. In realt� v'� un'altra giustificazione, assai pi� sostanziale, che opera nella direzione che anche in questa ipotesi si tratti di diritti soggettivi e non di interessi legittimi. La giustificazione deriva dal fatto che la disciplina comunitaria ha interesse per il mercato: come afferma il prof. Romano, la disciplina del mercato funziona da limite per la pubblica amministrazione. Il mercato non � pi� solo il settore in cui si esercita la pubblica amministrazione, in cui la pubblica amministrazione spende, esercita il proprio potere: il mercato � un limite all'esercizio del potere. Quello che si tutela attraverso il mercato sono i diritti delle imprese: una conferma, sempre tratta dalla esemplificazione fatta dal prof. Romano, viene offerta dal meccanismo della trattativa privata. Meccanismo che si pu� svolgere in caso di urgenza ma, si badi, per urgenze che non siano state provocate dall'amministrazione. Ci� conferma che il diritto comunitario intende tutelare la sostanza delle cose, il diritto delle imprese, il diritto soggettivo. Dunque si potrebbe concludere, ripetendo il titolo di un articolo di dottrina, �dove c'� risarcimento c'� diritto soggettivo�. Ma quel che pi� convince, in questa direzione che non nega n� gli sviluppi, i cambiamenti intervenuti, n� le forme e regole assolutamente inalterabili, � la prudente lettura della sentenza 500, che sento di poter fare come Avvocato dello Stato, cio� difensore dell'amministrazione. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 413 che, anche dopo la stipula della convenzione di lottizzazione, l'aspettativa del privato ad edificare concretamente (previo rilascio della concessione edilizia) � sempre da qualificare in termini di interesse legittimo, sicch� l'eventuale illegittimo esercizio del potere di pianificazione del territorio deve essere denunciato davanti, al giudice amministrativo. In tal senso richiama le sentenze di questa S.C. n. 4587/76; n. 4833/80; n. 2951/81; n 442/88; n. 1589/90. Osserva ancora che non rileva l'avvenuto annullamento, da parte del Consiglio di Stato, del P.R.G. del 1971, nella parte in cui non recepiva la convenzione di lottizzazione, destinando la relativa area a verde agricolo, poich�, per giurispruden- La sentenza, nonostante non lo dica o dica il contrario, come affermazione generale di principio intende proteggere situazioni di diritto soggettivo con tutela risarcitoria. Ci� si desume dai vari condizionamenti che la sentenza propone per l'applicazione delle sue generali e generalizzanti affermazioni di principio. Prima osservazione: la sentenza esige, perch� possa darsi corso alla tutela risarcitoria davanti al giudice ordinario: la comparazione dell'interesse pubblico (e qui non mi sembra che sia indicato quale interesse pubblico: se quello alla legalit� o alla realizzazione dell'interesse concreto di cui � titolare l'amministrazione); tra l'interesse pubblico e l'interesse del privato: se si opera in tal modo, la comparazione postula una equiordinazione dei due interessi, e dove vi sono equiordinazioni, non si pu� parlare di poteri amministrativi che mettono capo ad interessi legittimi. Seconda osservazione: non tutti gli interessi legittimi sono ammessi a questa tutela risarcitoria, ma soltanto quelli che sono collegati ad un bene sostanziale meritevole di tutela secondo l'ordinamento; inoltre, per poter accedere alla tutela, occorre che vi sia stata la rottura del giusto equilibrio tra le due posizioni in considerazione: ma ancora una volta un'indicazione di un equilibrio giusto postula una equiordinazione dei due punti di riferimento. Terza osservazione: la sentenza chiede ancora un controllo di legalit� e di buona amministrazione, la presenza di un rapporto di causalit�, il dolo o colpa della pubblica amministrazione intesa come apparato, ed infine un giudizio prognostico favorevole all'accoglimento dell'istanza dell'amministrazione. In relazione alla comparazione di due posizioni, all'individuazione del limite degli interessi legittimi risarciti, alla rottura del giusto equilibrio, si sta indicando un'indagine che volge su diritti soggettivi. Ma se invece questa indagine, come la sentenza propone con le sue affermazioni di principio, deve svolgersi su interessi legittimi, non mi sembra che si possa negare l'invasione della sfera della pubblica amministrazione anche nel merito. Pensiamo al giudizio prognostico condotto dal giudice ordinario sull'istanza fatta dal privato. Le conseguenze di questo ragionamento sono che l'ipotesi dell'esercizio della giurisdizione ordinaria senza il previo esperimento di un controllo di legittimit� da parte del giudice amministrativo � fonte non solo di conflitti teorici ma anche di possibili conflitti pratici di giudicato. Vi sono poi difficolt� di individuazione del nesso causale immediato e diretto tra il danno prodotto e l'attivit� dell'amministrazione, indagine che postula anch'essa un approfondimento sull'attivit� dell'amministrazione e quindi un'invadenza nella cittadella dell'amministrazione. La difficolt� di individuare l'elemento psicologico (che adesso si chiede) cio� il dolo o la colpa dell'amministrazione come apparato, � un'indagine che per la verit� pu� forse rappresentare una manifestazione di finale prudenza e di riduttiva violenza all'ampia e generalizzata volont� di aprire la tutela risarcitoria agli interessi legittimi quale si legge nella prima parte di questa sentenza. Da ultimo, va posto un ulteriore e pi� radicale problema. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATI)' za costante, l'annullamento dell'atto amministrativo, denunciato dal privato come lesivo di un interesse legittimo, non � di per s� idoneo a mutare la qualificazione della posizione del privato nei confronti del potere di cui l'atto � espressione, che, essendo all'origine di interesse legittimo, resta tale. In tal senso richiama le sentenze n. 4833/80; n. 2951/81; n. 442/98; n. 1589/90; n. 3963/94; n. 10800/94. Sostiene, conclusivamente, che, avendo incontestabilmente natura di interesse legittimo la posizione giuridica soggettiva dedotta dell'attore a fondamento della domanda di risarcimento dei danni, in applicazione del remoto e costante orientamento della S.C., che esclude la risarcibilit� degli interessi legittimi, deve negarsi la sussistenza di una posizione soggettiva tutelata dall'ordinamento e va dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione per improponibilit� della domanda. In tal senso richiama le sentenze n. 442/88; n. 7213/86; n. 4944/91; n. 3963/94. 2. -Il ricorso ripropone la questione della risarcibilit� degli interessi legittimi, o meglio il problema della configurabilit� della responsabilit� civile, ai sensi I dell'art. 2043 e.e., della P.A. per il risarcimento dei danni derivanti ai soggetti privati dalla emanazione di atti o di provvedimenti amministrativi illegittimi, lesivi di situazioni di interesse legittimo. � noto che questa S.C. con giurisprudenza definita dalla dottrina �monolitica� o addirittura �pietrificata�, � costante da vari decenni nel fornire una risposta sostanzialmente negativa al quesito. Ritengono tuttavia queste S.U. di dover riconsiderare il proprio orientamento. Non possono infatti essere ignorati: a) il radicale dissenso sempre manifestato dalla quasi unanime dottrina, che ha criticato i presupposti dell'affermazione, individuati nella tradizionale lettura dell'art. 2043 e.e. e denunciato come iniqua la sostanziale immunit� della P.A. per l'esercizio illegittimo della funzione pubblica che essa Qui si parla di responsabilit� aquiliana: la vedo come postulata nella sentenza e per la verit� non dimostrata. Ma qui non si sta davanti ad un'incursione della pubblica amministrazione attraverso l'esercizio dei suoi poteri nell'ambito della sfera del privato, com'� nell'ipotesi degli interessi oppositivi, di matrice originaria o di matrice amministrativa o derivata che sia. Quando c'� un interesse oppositivo, c'� un'incursione, c'� l'amministrazione che toglie qualcosa, e quindi si pu� parlare di responsabilit� aquiliana. Ma se si postula l'esigenza di un giudizio prognostico a seguito del quale si dovrebbe dire che la soluzione dell'amministrazione doveva essere favorevole all'istanza del privato, si configura gi� l'esistenza di un rapporto che mette capo prevedibilmente o a una responsabilit� di tipo contrattuale o ad una responsabilit� di tipo precontrattuale, non ad una responsab�lit� aquiliana. Le conseguenze sono evidenti sul piano della prova e sull'entit� del danno risarcibile. A questo punto mi sembra che tutto lo sforzo condotto dalla sentenza sull'art. 2043, non sia poi tanto produttivo. La sentenza esprime uno stimolo verso il legislatore perch� concluda rapidamente i lavori attualmente in corso e detti le nuove regole in materia di tutela nei confronti della pubblica amministrazione di fronte ad interessi legittimi. Aspirazione che � manifesta nelle ultime considerazioni della sentenza. Se questa funzione stimolatoria verso il legislatore � condivisibile, mi sembra tuttavia che non potesse essere esercitata dal giudice verso se stesso. ALDO LINGUITI PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA.DI DIRITTO E PROCEDURA CfVILE determina; b) il progressivo formarsi di una giurisprudenza di legittimit� volta ad ampliare l'area della risarcibilit� ex art. 2043 e.e., sia nei rapporti tra privati, incrementando il novero delle posizioni tutelabili, che nei rapporti tra privati e P.A., valorizzando il nesso tra interesse legittimo ed interesse materiale sottostante (elevato ad interesse direttamente tutelato); c) le perplessit� pi� volte espresse dalla Corte costituzionale circa l'adeguatezza della tradizionale soluzione fornita all'arduo problema (sent. n. 35/1980; ord. n. 165/1998); d) gli interventi legislativi di segno opposto alla irrisarcibilit�, culminati nel d.lgs. n. 80 del 1998, che, nell'operare una cospicua ridistribuzione della competenza giurisdizionale tra giudice ordinario e giudice amministrativo in base al criterio della giurisdizione esclusiya per materia, ha attribuito in significativi settori al giudice amministrativo, investito di giurisdizione esclusiva (comprensiva, quindi, delle questioni concernenti interessi legittimi e diritti soggettivi), il potere di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del �danno ingiusto�. 3. -Ripercorrendo la giurisprudenza di questa S.C., pu� constatarsi che il principio della irrisarcibilit� degli interessi legittimi si � formato e consolidato con il Concorso di due elementi, l'uno di carattere formale (o meglio processuale), l'altro di carattere sostanziale: a) il peculiare assetto del sistema di riparto della giurisdizione nei confronti degli atti della P.A. tra giudice ordinario e giudice amministrativo, incentrato sulla dicotomia diritto soggettivo-interesse legittimo e caratterizzato dall'attribuzione ai due giudici di diverse tecniche di tutela (il giudice amministrativo, che conosce degli interessi legittimi, pu� soltanto annullare l'atto lesivo dell'interesse legittimo, ma non pu� pronunciare condanna al risarcimento in relazione alle eventuali conseguenze patrimoniali dannose dell'esercizio illegittimo della funzione pubblica, mentre il giudice ordinario, che pur dispone del potere di pronunciare sentenze di condanna al risarcimento dei danni, non pu� conoscere degli interessi legittimi); b) la tradizionale interpretazione dell'art. 2043 e.e., nel senso che costituisce �danno ingiusto� soltanto la lesione di un diritto soggettivo, sul rilievo che l'ingiustizia del danno, che l'art. 2043 e.e. assume quale componente essenziale della fattispecie della responsabilit� civile, va intesa nella duplice accezione di danno prodotto non iure e contra ius, non iure, nel senso che il fatto produttivo del danno non debba essere altrimenti giustificato dall'ordinamento giuridico; contra ius, nel senso che il fatto debba ledere una situazione soggettiva riconosciuta e garantita dall'ordinamento medesimo nella forma del diritto soggettivo perfetto (sentt. n. 4058/69; n. 2135/72; n. 1540/95; n. 5813/85; n. 8496/94). 3.1. -Il tema della irrisarcibilita degli interessi legittimi � stato in primo luogo affrontato ed esaminato, da queste S.U., sotto il profilo del difetto di giurisdizione. In relazione a fattispecie in cui il privato, ottenuto dal giudice amministrativo l'annullamento dell'atto lesivo di una posizione avente la originaria consistenza di interesse legittimo, aveva proposto davanti al giudice ordinario domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla lesione di detta posizione giuridica soggettiva (rimasta immutata nel suo originario spessore malgrado l'annullamento del provvedimento negativo, poich� questo si limita a ripristinare la situazione antecedente), le S.U., in sede di regolamento preventivo, hanno costantemente dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO� 416 Hanno invero tratto argomento dall'avvenuto esaurimento della tutela erogabile in virt� dell'ordinamento, poich� il giudice amministrativo aveva ormai fornito la tutela rimessa al suo potere, mentre davanti al giudice ordinario non poteva essere ffi proposta domanda di risarcimento del danno da lesione di posizione avente la consistenza dell'interesse legittimo, non essendo prevista dall'ordinamento, alla ~-'.. stregua del quale doveva essere vagliata la pretesa secondo il criterio del c.d. petitum lli sostanziale (costantemente applicato da questa S.C.), l'invocata tutela, perch� riservata, ai sensi dell'art. 2043 e.e., ai soli diritti soggettivi (in tal senso: sentt. n.1484/81; n. 4204/82; n. 6776/83; n. 5255/84; n. 436/88; n. 2723/91; n. 4944/91; n. 7550/91; n. 1186/97). In senso critico si � osservato, peraltro, che l'adozione di una pronuncia siffatta e cio� di una decisione che afferma l'inesistenza del diritto azionato, resa in sede di regolamento preventivo determina, di fatto, una anticipata decisione sfavorevole sul merito. Va ancora ricordato che, nella diversa ipotesi in cui la pretesa risarcitoria fosse stata azionata davanti al giudice ordinario prima di aver ottenuto dal giudice amministrativo I'annullamento dell'atto lesivo, la giurisprudenza di queste S.U. ha invece dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo, configurandosi di fronte al provvedimento autoritativo solo interessi legittimi (in tal senso, sent. n. 1917/90; n. 8586/91; n. 2857/92; n. 10800/94; n.5520/96; n.9478/97). I noti limiti della giurisdizione amministrativa determinavano tuttavia la necesI saria limitazione della successiva pronuncia del giudice amministrativo alla sola I I I pronuncia di annullamento, con conseguente riproposizione della situazione dianzi illustrata. 3.2. -Secondo un diverso indirizzo di queste S.U., manifestatosi in tempi pi� recenti, la questione relativa alla risarcibilit� degli interessi legittimi non attiene propriamente alla giurisdizione, bens� costituisce questione di merito. Si � infatti affermato che con la proposizione di una domanda di risarcimento la parte istante fa valere un diritto soggettivo, sicch� bene la domanda � proposta ~ davanti al giudice ordinario, che, in linea di principio, � giudice dei diritti (a parte i casi di giurisdizione esclusiva), al quale spetta stabilire, giudicando nel merito, sia I se tale diritto esista e sia configurabile, sia se la situazione giuridica soggettiva dalla cui lesione la parte sostenga esserle derivato danno sia tale da determinare, a carico dell'autore del comportamento illecito, l'insorgere di una obbligazione risarcitoria (in tal senso: sent. n. 10453/97; n. 1096/98; ma gi� in precedenza, per l'affermazione che si tratta di questione di merito e non di giurisdizione, sentt. n.6667/92; n. 8836/94; n. 5477/95; n. 1030/96). I Va comunque rilevato che, in forza di tale indirizzo (che appare essenzialmente rivolto a delimitare, restringendoli, i confini del regolamento preventivo, e non gi� ad incidere sul tema di fondo della risarcibilit� degli interessi legittimi), la decisione i rimessa al giudice di merito risulta comunque vincolata (e di segno negativo), in ragione della persistente vigenza del principio che vuole limitata la risarcibilit� ex art. 2043 e.e. al solo danno da lesione di diritti soggettivi (non espressamente I . contrastato dalle dette decisioni). . I . . , lm _,~~JWl~l~M- ~ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIV�tE 3.3. -Pu� constatarsi, quindi, che i due menzionati orientamenti approdano entrambi al medesimo risultato negativo circa la questione della risarcibilit� dei danni conseguenti alla lesione dell'interesse legittimo: a) nel primo caso, � la stessa S.C., in sede di regolamento preventivo, a negare (anticipatamente) l'accesso alla tutela; b) nel secondo, la decisione negativa � soltanto differita, essendo rimessa al giudice del merito l'adozione di una pronuncia dal contenuto gi� prefigurato. Ed in entrambi i casi, in definitiva, l'ostacolo insormontabile � costituito da una ragione di ordine sostanziale, e cio� dalla tradizionale lettura dell'art. 2043 e.e., che identifica il �danno ingiusto� con la lesione di un diritto soggettivo. Ora, non pu� negarsi che dal descritto stato della giurisprudenza deriva una notevole limitazione della responsabilit� della P.A. nel caso di esercizio illegittimo della funzione pubblica che abbia determinato diminuzioni o pregiudizi alla sfera patrimoniale del privato. Ma una siffatta isola di immunit� e di privilegio, va ancora rilevato, mal si concilia con le pi� elementari esigenze di giustizia. Queste S.U. ritengono quindi di dover affrontare alla radice il problema riconsiderando la tradizionale interpretazione dell'art. 2043 e.e., che identifica il �danno ingiusto� con la lesione di un diritto soggettivo. Interpretazione che, � bene precisarlo subito, pur costantemente riaffermata in termini di principio, � stata poi frequentemente disattesa (o meglio aggirata) da una cospicua giurisprudenza, che ha realizzato, di fatto, un notevole ampliamento dell'area della risarcibilit� dei danni ex art. 2043 e.e., ponendo cos� le premesse per il definitivo abbandono dell'interpretazione tradizionale. Di tale percorso � opportuno ripercorrere i punti salienti. 4. -� noto che la giurisprudenza di questa S.C. ha compiuto una progressiva erosione dell'assolutezza del principio che vuole risarcibile, ai sensi dell'art. 2043 e.e., soltanto la lesione del diritto soggettivo, procedendo ad un costante ampliamento dell'area della risarcibilit� del danno aquiliano, quantomeno nei rapporti tra privati. Un primo significativo passo in tale direzione � rappresentato dal riconoscimento della risarcibilit� non soltanto dei diritti assoluti, come si riteneva tradizionalmente, ma anche dei diritti relativi (va ricordata anzitutto la sent. n. 174/71, alla quale si deve la prima affermazione del principio; successivamente ribadita da varie pronunce, che esprimono un orientamento ormai consolidato: sentt. Il. 2105/80; Il. 555/84; Il. 5699/86; Il. 9407 /87). � quindi seguito il riconoscimento della risarcibilit� di varie posizioni giuridiche, che del diritto soggettivo non avevano la consistenza, ma che la giurisprudenza di volta in volta elevava alla dignit� di diritto soggettivo: � il caso del c.d. diritto all'integrit� del patrimonio o alla libera determinazione negoziale, che ha avuto frequenti applicazioni (sentt. n. 2765/82; n. 4755/86; n. 1147/92; n. 3903/95), ed in relazione al quale � stata affermata, tra l'altro, la risarcibilit� del danno da perdita di chance, intesa come probabilit� effettiva e congrua di conseguire un risultato utile, da accertare secondo il calcolo delle probabilit� o per presunzioni (sentt. n. 6506/85; n. 6657/91; n. 781/92; n. 4725/93). Ma ancor pi� significativo � stato il riconoscimento della risarcibilit� della lesione di legittime aspettative di natura patrimoniale nei rapporti familiari (sentt. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 418 n. 4137/81; n. 6651/82; n. 1959/95), ed anche nell'ambito della famiglia di fatto (sent. n. 2988/94), purch� si tratti, appunto. di aspettative qualificabili come �legittime� (e non di mere aspettative semplici), in relazione sia a precetti normativi che a princ�pi etico-sociali di solidariet� familiare e di costume. Siffatta evoluzione giurisprudenziale � stata condivisa nella sostanza dalla dottrina, che ha apprezzato le ragioni di giustizia che la ispiravano, ma ha tuttavia avuto bu9n gioco nel rilevare che la S.C, pur riaffermando il principio dell'identificazione del �danno ingiusto� con la lesione del diritto soggettivo, in pratica lo disattendeva sempre pi� spesso, �mascherando� da diritto soggettivo situazioni che non avevano tale consistenza, come il preteso diritto all'integrit� del patrimonio, le aspettative, le situazioni possessorie. La via maestra che la dottrina suggeriva era invece quella di prendere atto che l'art. 2043 e.e. non costituisce norma secondaria (di sanzione) rispetto a norme primarie (di divieto), ma racchiude in s� una clausola generale primaria, espressa dalla formula �danno ingiusto�, in virt� della quale � risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell'ingiustizia, in quanto lesivo di interessi ai quali l'ordinamento, prendendoli in considerazione sotto vari profili (esulanti dalle tematiche del risarcimento), attribuisce rilevanza. 5. -Maggior resistenza ha mostrato invece la giurisprudenza di questa S.C. in riferimento alla risarcibilit� degli interessi legittimi. Ma anche sotto tale profilo risulta che la soluzione negativa ha visto progressivamente ristretto il suo ambito di applicazione, grazie ad operazioni di trasfigurazione di alcune figure di interesse legittimo in diritti soggettivi, con conseguente apertura dell'accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 e.e., a questi ultimi tradizionalmente riservata. Ci� � stato possibile focalizzando l'attenzione sull'interesse materiale sotteso (o correlato) all'interesse legittimo. L'interesse legittimo non rileva infatti come situazione meramente processuale, quale titolo di legittimazione per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo, del quale non sarebbe quindi neppure ipotizzabile lesione produttiva di danno patrimoniale, ma ha anche natura sostanziale, nel senso che si correla ad un interesse materiale del titolare ad un bene della vita, la cui lesione (in termini di sacrificio o di insoddisfazione) pu� concretizzare danno. Anche nei riguardi della situazione di interesse legittimo l'interesse effettivo che l'ordinamento intende proteggere � pur sempre l'interesse ad un bene della vita: ci� che caratterizza l'interesse legittimo e lo distingue dal diritto soggettivo � soltanto il modo o la misura con cui l'interesse sostanziale ottiene protezione. L'interesse legittimo va quindi inteso (ed ormai in tal senso viene comunemente inteso) come la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell'attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell'interesse al bene. In altri termini, l'interesse legittimo emerge nel momento in cui l'interesse del privato ad ottenere o a conservare un bene della vita viene a confronto con il potere amministrativo e cio� con il potere della P.A. di soddisfare l'interesse (con provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dell'istante), o di sacrificarlo (con provvedimenti ablatori). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CMIB Si delinea cos�, in riferimento alle diverse forme della protezione, la distinzione ormai acquisita e di uso corrente, tra �interessi oppositivi� ed �interessi pretensivi�, secondo che la protezione sia conferita al fine di evitare un provvedimento sfavorevole ovvero per ottenere un provvedimento favorevole: i primi soddisfano istanze di conservazione della sfera giuridica personale e patrimoni�le del soggetto; i secondi istanze di sviluppo della sfera giuridica personale e patrimoniale del soggetto. Altre distinzioni sono certamente configurabili, in relazione a diversi profili atteso che la categoria dell'interesse legittimo si palesa unitaria solo con riferimento all'accesso alla giurisdizione generale di legittimit� del giudice amministrativo, e cio� ai fini dell'annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento illegittimo, mentre si diversifica ed assume varie configurazioni se considerata a fini diversi, ivi compreso quello della eventuale tutela risarcitoria -ma soltanto a quella suindicata ritiene il Collegio di limitare la sua attenzione, in ragione della rilevanza che ha assunto, come subito si vedr�, nel tema in esame. 5.1. -Con riferimento agli interessi legittimi, la giurisprudenza di questa S.C., pur riaffermandone in linea di principio la irrisarcibilit� (non gi� per ragioni inerenti alla sua essenza, ma quale necessario corollario della lettura tradizionale dell'art. 2043 e.e.) ha manifestato una tendenza progressivamente estensiva dell'area della risarcibilit� (dei danni derivanti dalla lesione di alcune figure di interesse legittimo) nel caso di esercizio illegittimo della funzione pubblica mediante attivit� giuridiche. Nessun limite � stato invece ravvisato, come � noto, in relazione ai comportamenti materiali della P.A., indiscussa fonte di responsabilit� aquiliana (possono ricordarsi le seguenti pronunce: sentt. n. 737/70; n. 2851/76; n. 9550/92; n. 3939/96). Ed ulteriore estensione del principio ha riguardato la violazione dei c.d. limiti esterni della discrezionalit�, ravvisata in ipotesi in cui la P.A., omettendo di svolgere attivit� di vigilanza o di informazione, o compiendo erroneamente attivit� di certificazione, aveva determinato danni a terzi (vanno menzionate in proposito: sentt. n. 6667/92; n. 8836/94; n. 9593/94; n. 5477/95; n. 1030/96). La tecnica � stata assai simile a quella, gi� descritta, utilizzata per ampliare 1'area della risarcibilit� ex art. 2043 e.e. nei rapporti tra privati, e cio� 1'elevazione di determinate figure di interessi legittimi (diversificate per contenuto e forme di protezione) a diritti soggettivi. Ci� si verifica, infatti, quando si ammette la risarcibilit� del c.d. diritto affievolito, e cio� dell'originaria situazione di diritto soggettivo incisa da un provvedimento illegittimo che sia stato poi annullato dal giudice amministrativo con effetto ripristinatorio retroattivo (in tal senso, tra le pronunce risalenti: sentt. n. 543/69; n. 5428/79; tra quelle pi� recenti: sentt. n. 12316/92; n. 6542/95). La vicenda pu� invero essere anche intesa in termini di tutela di un �interesse legittimo oppositivo�, considerando che il provvedimento illegittimo estingue il diritto soggettivo, ed il privato riceve tutela grazie alla facolt� di reazione propria dell'interesse legittimo, prima davanti al giudice amministrativo, per l'eliminazione dell'atto, e successivamente davanti al giudice ordinario che dispone del potere di condanna al risarcimento, per la riparazione delle ulteriori conseguenze patrimoniali negative. L'esigenza di ravvisare un diritto soggettivo che rinasce � palesemente dettata dalla necessit� di muoversi nell'area tradizionale dell'art. 2043 e.e. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 420 Ed analoga considerazione pu� valere in relazione all'ipotesi (che costituisce sviluppo di quella precedente) della c.d. riespansione della quale beneficia anche il diritto soggettivo (non originario ma) nascente da un provvedimento amministrativo, qualora sia stato annullato il successivo provvedimento caducatorio dell'atto fonte della posizione di vantaggio (tra le pi� rilevanti decisioni che accolgono tale ricostruzione, apparsa alla dottrina alquanto �barocca�, possono ricordarsi: sentt. n. 5145179; n. 5027/92; n. 2443/83; n. 656/86; n. 2436/97; n. 3384/98). Anche nell'ambito di tale vicenda pu� invero rilevarsi che il privato, una volta acquisita in forza del provvedimento amministrativo (di concessione, autorizzazione, licenza, ammissione, iscrizione e cos� via) la posizione di vantaggio, risulta titolare di un �interesse legittimo oppositivo� alla illegittima rimozione della detta situazione, del quale si avvale utilmente sia per eliminare l'atto, sia per ottenere la reintegrazione dell'eventuale pregiudizio patrimoniale sofferto (rivolgendosi in successione ai due diversi giudici, poich� nessuno dei due � titolare di giurisdizione piena: ed � palese la macchinosit� del sistema che, di regola, richiede tempi lunghissimi). Vale, anche in riferimento a tale ulteriore ipotesi, l'osservazione gi� svolta circa le ragioni che imponevano di ravvisare un diritto soggettivo. 5.2. -Da quanto detto emerge un assetto giurisprudenziale caratterizzato dalla limitazione della tutela piena (di annullamento e, successivamente, risarcitoria, nelle due diverse sedi) ai soli �interessi legittimi oppositivi� (elevati a diritti soggettivi mediante operazioni di trasfigurazione), con esclusione, quindi, dei soli �interessi legittimi pretensivi� (che invece una autorevole dottrina avrebbe voluto �promuovere �, considerandoli come �diritti in attesa di espansione�). � questo il caso, emblematico, della c.d. aspettativa edilizia: la giurisprudenza di questa S.C. dopo aver ravvisato nello ius aedificandi una posizione di diritto soggettivo (sentt. n. 1324/61; n. 800/63), ha infatti successivamente qualificato come interesse legittimo (pretensivo) la posizione del privato che aspiri al rilascio della licenza edilizia (possono ricordarsi, ad esempio: sentt. n. 1589/90; n. 2382/92, n. 3732/94). Posizione che non muta la sua originaria consistenza anche nel caso in cui il provvedimento di diniego venga annullato, poich� l'eliminazione dell'atto negativo riproduce la situazione preesistente, suscettiva di evolversi in senso favorevole o sfavorevole in relazione all'esercizio del potere amministrativo di accogliere o disattendere le istanze di sviluppo della sfera giuridica dell'istante. Ma anche l'affermazione test� enunciata, circa l'irrisarcibilit� degli interessi legittimi pretensivi va rettificata, per negarne l'assolutezza. Nella giurisprudenza di questa S.C. � dato infatti individuare anche ipotesi nelle quali � stata riconosciuta la risarcibilit� di interessi legittimi pretensivi: si tratta dei casi, puntualmente segnalati dalla dottrina, degli interessi legittimi pretensivi lesi da fatto-reato (sentt. n. 5813/85 e n. 1540/95, entrambe relative ad ipotesi di aspettative di avanzamento di carriera o di assegnazione di funzioni superiori da parte di pubblici dipendenti, frustrate da procedure concorsuali irregolari nelle quali era stata ravvisata ipotesi di reato: in tal caso il limite tradizionale dell'art. 2043 e.e. � stato superato applicando l'art. 185 c.p., che non richiede l'ingiustizia del danno). E va ancora ricordato che, ritenendosi configurabile una posizione di interesse legittimo (pretensivo) anche nei rapporti tra privati, questa S.C., va riconosciuto la PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE risarcibilit� della lesione di tale posizione per effetto dell'illegittimo esercizio di �poteri privati� (nella specie nell'ambito di un rapporto di lavoro con un ente pubblico economico) (sent. n. 5668/79). 5.3. -Pu� quindi concludersi, in esito alla compiuta rassegna (meramente esemplificativa, e quindi senza pretese di completezza), che anche il principio della irrisarcibilit� degli interessi legittimi (pretensivi, in quanto per quelli oppositivi il limite � stato superato con le tecniche sopra descritte), malgrado sia tenacemente ribadito, risulta meno granitico di quanto comunemente si ritiene. Una nuova lettura della giurisprudenza di questa S.C., pi� attenta a coglierne la progressiva evoluzione, consente quindi di ritenere che il principio risulta ormai vacillante, che sono maturi i tempi per una sua radicale revisione, cogliendo l'intimo significato di una linea di tendenza gi� presente in singole pronunce di questa S.C. (nella quale non sono mancate espresse sollecitazioni a superare l'orientamento tradizionale: v., in tal senso, l'obiter della sentenza n. 4083/96, al quale la dottrina ha dato particolare risalto, leggendolo come sintomo di un disagio interno alla C.S. a fronte della perdurante riaffermazione del principio negativo). 6. -Concorrono altres� a giustificare un ripensamento della soluzione negativa vari interventi di segno contrario all'affermato principio dell'irrisarcibilit� degli interessi legittimi che si rinvengono nella recente legislazione. 6.1. -Va anzitutto ricordato il riconoscimento, sotto la spinta dell'ordinamento comunitario, dell'azione di risarcimento (davanti al giudice ordinario previo annullamento dell'atto ad opera del giudice amministrativo) ai soggetti che abbiano subito una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o di forniture (art. 13 della legge n. 142 del 1990, di recepimento della direttiva comunitaria n. 665/89, la cui disciplina � stata successivamente estesa agli appalti di servizi ed ai c.d. settori esclusi; la disposizione � stata peraltro abrogata dall'art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 80 del 1998). Sul rilievo che il diritto comunitario non conosce la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi e che nella suindicata materia il privato (secondo il nostro ordinamento) � titolare di posizioni di interesse legittimo, si � sostenuto che la menzionata normativa avrebbe introdotto nel nostro ordinamento una ipotesi di risarcibilit� di interessi legittimi, e si � suggerito di riconoscerle forza espansiva ultrasettoriale, cos� conformando l'ordinamento interno a quello comunitario (il cui primato � ormai incontroverso) ed evitando disparit� di trattamento, nell'ordinamento interno, nell'ambito della generale figura dell'interesse legittimo. Il suggerimento non � stato tuttavia accolto da questa S.C., che ha ritenuto di attribuire alla suindicata normativa carattere eccezionale, traendone conferma del principio, costantemente affermato, della irrisarcibilit�, non suscettivo di essere posto in discussione da una norma dettata con riferimento ad uno specifico settore (sentt. n. 2667/93; n. 3732/94; n. 10800/94). Si tratta tuttavia di un indirizzo formatosi in riferimento al contingente assetto del diritto positivo, suscettivo quindi di riconsiderazione a fronte di successive modifiche dell'ordinamento; e modifiche consistenti si sono in effetti verificate, come ora si vedr�. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 422 6.2. -In contrapposizione al diniego, opposto da questa S.C. con le suindicate sentenze, di rivedere il tradizionale orientamento negativo, si rinvengono anzitutto, sul piano legislativo, ulteriori tentativi di ampliamento della responsabilit� civile della P.A per danni conseguenti all'esercizio illegittimo della funzione pubblica. Tra questi va menzionato, a titolo esemplificativo, quello perseguito dall'art. 32 della legge n. 109 del 1994, recante la previsione del rimedio risarcitorio, nelle forme di cui al citato art. 13 della legge n. 142 del 1990, in materia di appalti pubblici, ma non realizzato, perch� la legge fu successivamente sospesa e la suindicata norma venne poi sostituita dall'art. 9-bis del d.l. n. 101 del 1995, introdotto dalla legge di conversione n. 216 del 1995, che non conferm� il rimedio. Merita un cenno anche l'art. 5, comma 8, del d.l. n. 101del1993, che prevedeva la responsabilit� del soggetto responsabile del procedimento per i danni arrecati al singolo per il ritardo nel rilascio della concessione edilizia, ma che non trov� conferma nella legge di conversione n. 493 del 1993 (un esauriente catalogo degli interventi legislativi, non approdati ad esito positivo, � racchiuso nell'ord. n. 165 del 1998 della Corte costituzionale, che ne sottolinea comunque la natura �Settoriale�). Non vale opporre che si tratta di iniziative che, per varie ragioni, non hanno avuto realizzazione, poich� anche tali interventi, solo tentati, dimostrano l'esistenza di una situazione in via di evoluzione, contrassegnata dalla consapevolezza del legislatore circa l'inadeguatezza della soluzione offerta dalla giurisprudenza in materia di responsabilit� civile della P.A. per l'esercizio illegittimo della funzione pubblica. 6.3. -In tale quadro evolutivo si inserisce appunto, con indubbia forza innovativa, introdotta dal d.lgs. n. 80 del 1998, con il quale � stata data attuazione alla delega contenuta nell'art. 11, comma 4, lettera g), della legge n. 59 del 1997, che aveva previsto la devoluzione al giudice ordinario di tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti della P.A. (gi� attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), e la contestuale estensione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle concernenti il risarcimento dei danni, in materia di edilizia, urbanistica e servizi pubblici. L'art. 29 del d.lgs. n. 80 del 1998 (che ha sostituito l'art. 68 del d.lgs. n. 29 del 1993) ha invero devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, la quasi totalit� delle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (gi� riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), con potere di disapplicazione, in via incidentale, degli atti amministrativi presupposti, se illegittimi (con esclusione della c.d. pregiudizialit� amministrativa nel caso di contemporanea pendenza del giudizio di impugnazione dell'atto davanti al giudice amministrativo: art. 68, comma 1, nel nuovo testo), e di adozione di tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi, estintivi e di condanna (art. 68, comma 2, del nuovo testo). A loro volta gli artt. 33 e 34 hanno devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi (art. 33) nonch� quelle aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia (art. 34), mentre l'art. 35, comma 1, ha stabilito che il giudice amministrativo, nelle controversie devolute PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CMLE alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli artt. 33 e 34, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del �danno ingiusto� (secondo modalit� disciplinate dal comma 2). Risulta in tal modo compiuta dal legislatore una decisa scelta nel senso del superamento del tradizionale sistema del riparto della giurisdizione in riferimento alla dicotomia diritto soggettivo-interesse legittimo, a favore della previsione di un riparto affidato al criterio della materia. In particolare, per quanto concerne il giudice amministrativo, viene delineata una nuova giurisdizione esclusiva su determinate materie (di rilevante interesse sociale ed economico): nuova (rispetto a quella preesistente) perch� nel contempo esclusiva, nel significato tradizionale di giurisdizione amministrativa indifferentemente estesa alla cognizione degli interessi legittimi e dei diritti, e piena, in quanto non pi� limitata all'eliminazione dell'atto illegittimo, ma estesa alla conseguenze patrimoniali dannose dell'atto, perch� comprensiva del potere di disporre il risarcimento del �danno ingiusto� (gi� precluso dall'art. 7, comma 3, della legge n. 1034 del 1971, che riservava al giudice ordinario, anche nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le questioni relative ai diritti patrimoniali conseguenziali, comunemente identificati con il risarcimento del danno, e che � stato abrogato in tale parte dall'art. 35, comma 4, con conseguente estensione dei poteri del giudice amministrativo anche nelle ulteriori ipotesi di giurisdizione esclusiva previste da altre norme precedenti). Ora, non pu� negarsi che la suindicata disciplina incide in modo significativo sul tema della risarcibilit� degli interessi legittimi, sia sotto il profilo strettamente processuale, concernente il ripai to delle competenze giurisdizionali, sia sotto il profilo sostanziale, in quanto coinvolge il generale tema dell'ambito della responsabilit� civile ex art. 2043 e.e. Per quanto riguarda il primo profilo, va osservato, in primo luogo, che l'opzione a favore di una estensione delle ipotesi di giurisdizione esclusiva, per la cui individuazione rileva la materia e non gi� la qualificazione della posizione giuridica soggettiva in termini di interesse legittimo o di diritto soggettivo, determina una sensibile attenuazione della generale rilevanza della distinzione tra le due figure (che pur permane nei settori non coperti dalla giurisdizione esclusiva, sicch� la categoria dell'interesse legittimo continua a porsi come figura essenziale -ed unitaria -ai fini dell'accesso alla giurisdizione amministrativa di annullamento); in secondo luogo, che la scelta, compiuta dal legislatore, di realizzare davanti al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, con cognizione estesa indifferentemente agli interessi legittimi ed ai diritti soggettivi, in riferimento a vasti e rilevanti settori della vita sociale ed economica (i pubblici servizi, l'urbanistica e l'edilizia), la concentrazione di una tutela potenzialmente esaustiva per la posizione soggettiva lesa dall'esercizio illegittimo della funzione pubblica, sembra implicare la volont� di equiparare, quanto a tutela giurisdizionale, le due posizioni (che, � bene ribadirlo, gli artt. 24 e 113 Cost. pongono su un piano di pari dignit�), e di assicurare effettivit� alla tutela giurisdizionale, evitando la necessit� del successivo �ricorso a due giudici diversi (che costituisce grave limitazione dell'effettivit� della tutela giurisdizionale, ed il cui abbandono, espressamente ribadito anche in relazione alla nuova giurisdizione del lavoro dall'art. 29 del d.lgs. n. 80 del 1998, non pu� che essere salutato con favore). Quanto al secondo profilo, va rilevato che di particolare interesse � il richiamo contenuto nell'art. 35, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'� 424 comma 1, nella parte in cui estende la tutela anche al risarcimento dei danni, alla clausola �danno ingiusto�. � infatti inequivocabile il riferimento all'analoga espressione che si rinviene nell'art. 2043 e.e., ma non pu� negarsi che l'effettuato ~ richiamo si presta ad una duplice lettura: a) nel senso che il legislatore abbia avuto presente il �danno ingiusto� come inteso dalla giurisprudenza �pietrificata� della ~,� S.C., e quindi come lesione dei soli diritti soggettivi; b) nel senso che la formula ~ �danno ingiusto� sia stata consapevolmente impiegata nell'accezione pi� ampia, che pur vive nelle opinioni della generalit� della dottrina e che il legislatore aveva gi� in precedenza mostrato di voler fare propria, con tentativi di scarsa efficacia. Si conferma, quindi, la gi� avvertita esigenza di affrontare alla radice il problema, compiendo una scelta tra le due contrapposte letture dell'art. 2043 e.e., incentrate sulla diversa qualificazione del �danno ingiusto�. 7. -Una indiretta sollecitazione nel suindicato senso si pu� cogliere, d'altra parte, anche nelle gi� ricordate pronunce con le quali la Corte costituzionale non ha mancato di rilevare come la tesi che vuole non risarcibili i danni patrimoniali cagionati dall'esercizio illegittimo della funzione pubblica a posizioni di interesse legittimo, in base ad una delle possibili interpretazioni dell'art. 2043 e.e., determina l'insorgere di un problema di indubbia gravit�, che richiede �prudenti soluzioni normative, non solo nella disciplina sostanziale ma anche nel regolamento delle competenze giurisdizionali� (sent. n. 35/80) �e nelle scelte tra misure risarcitorie, indennitarie, reintegrative in forma specifica e ripristinatorie, ed infine nella delimitazione delle utilit� economiche suscettibili di ristoro patrimoniale nei confronti della P.A.� ( ord. n. 165/98). Il monito, o l'invito, ancorch� riferito al legislatore, non puo infatti non coinvolgere anche questa S.C., poich� anche alla giurisprudenza di legittimit� � consentito di intervenire con.efficacia nella dibattuta questione, nell'esercizio del suo potere di interpretare le norme, procedendo a riconsiderare la tradizionale interpretazione del concetto di �danno ingiusto�. 8. -� noto che l'opinione tradizionale, formatasi dopo l'entrata in vigore del codice civile del 1942, secondo la quale la responsabilit� aquiliana si configura come sanzione di un illecito, si fonda sulle seguenti affermazioni: l'art. 2043 e.e. prevede l'obbligo del risarcimento del danno quale sanzione per una condotta che si qualifica come illecita, sia perch� contrassegnata dalla colpa del suo autore sia perch� lesiva di una posizione giuridica della vittima tutelata erga omnes da altra norma primaria; l'ingiustizia menzionata dall'art. 2043 e.e. � male riferita al danno, dovendo piuttosto essere considerata attributo della condotta, ed identificata con l'illiceit�, da intendersi nel duplice senso suindicato; la responsabilit� aquiliana postula quindi che il danno inferto presenti la duplice caratteristica di essere contra ius, e cio� lesivo di un diritto soggettivo (assoluto) e non jure, e cio� derivante da un comportamento non giustificato da altra norma. In senso contrario, aderendo ai rilievi critici che la dottrina assolutamente prevalentamente ha mosso alle suindicate affermazioni, pu� tuttavia osservarsi, per un verso, che non emerge dal tenore letterale dell'art. 2043 e.e. che oggetto della tutela risarcitoria sia esclusivamente il diritto soggettivo (e tantomeno il PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRI1TO E PROCEDURA �IV�LE diritto assoluto, come ha convenuto la giurisprudenza di questa S.C. con sentenza n. 174/71, con orientamento divenuto poi costante); per altro verso, che la scissione della formula �danno ingiusto�, per riferire l'aggettivazione alla condotta, costituisce indubbia forzatura della lettera della norma, secondo la quale l'ingiustizia � requisito del danno. Non pu� negarsi che nella disposizione in esame risulta netta la centralit� del danno, del quale viene previsto il risarcimento qualora sia �ingiusto�, mentre la colpevolezza della condotta (in quanto contrassegnata da dolo o colpa) attiene all'imputabilita della responsabilit�. L'area della risarcibilit� non � quindi definita da altre norme recanti divieti e quindi costitutive di diritti (con conseguente tipicit� dell'illecito in quanto fatto lesivo di ben determinate situazioni ritenute dal legislatore meritevoli di tutela), bens� da una clausola generale, espressa dalla formula �danno ingiusto�, in virt� della quale � risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell'ingiustizia, e cio� il danno arrecato non jure, da ravvisarsi nel danno inferto in difetto di una causa di giustificazione (non jure) che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento (altra opinione ricollega l'ingiustizia del danno alla violazione del limite costituzionale di solidariet�, desumibile dagli artt. 2 e 41, comma 2, Cost. in riferimento a preesistenti situazioni del soggetto danneggiato giuridicamente rilevanti, e sotto tale ultimo profilo le tesi sostanzialmente convergono). Ne consegue che la norma sulla responsabilit� aquiliana non � norma (secondaria), volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme (primarie), bens� norma (primaria) volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell'attivit� altrui. In definitiva, ai fini della configurabilit� della responsabilit� aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poich� la tutela risarcitoria � assicurata solo in relazione alla ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante. Quali siano gli interessi meritevoli di tutela non � possibile stabilirlo a priori: caratteristiche del fatto illecito delineato dall'art. 2043 e.e., inteso nei sensi suindicati come norma primaria di protezione, � infatti la sua atipicit�. Compito del giudice, chiamato ad attuare la tutela ex art 2043 e.e., � quindi quello di procedere ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, poich�, solo la lesione di un interesse siffatto pu� dare luogo ad un �danno ingiusto�, ed a tanto provveder� istituendo un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cio� dell'interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell'interesse che il comportamento lesivo dell'autore del fatto � volto a perseguire, al fine di accertare se il sacrificio dell'interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell'autore della condotta, in ragione della sua prevalenza. Comparazione e valutazione che, � bene precisarlo, non sono rimesse alla discrezionalit� del giudice, ma che vanno condotte alla stregua del diritto positivo, al fine di accertare se, e con quale consistenza ed intensit�, l'ordinamento assicura tutela all'interesse del danneggiato, con disposizioni specifiche (cos� risolvendo in radice il conflitto, come avviene nel caso di interesse protetto nella forma del diritto RASSEGNA AVVOCAT�RA DELLO STATO 426 soggettivo, soprattutto quando si tratta di diritti costituzionalmente garantiti o di diritti della personalit�), ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri profili diversi dalla tutela risarcitoria, manifestando cos� una esigenza di protezione (nel qual caso la composizione del conflitto con il contrapposto interesse � affidata alla decisione del giudice, che dovr� stabilire se si � verificata una rottura del �giusto� equilibrio intersoggettivo, e provvedere a ristabilirlo mediante il risarcimento). In particolare, nel caso (che qui interessa) di conflitto tra interesse individuale perseguito dal privato ed interesse ultraindividuale perseguito dalla P.A., la soluzione non � senz'altro determinata dalla diversa qualit� dei contrapposti interessi, poich� la prevalenza dell'interesse ultraindividuale, con correlativo sacrificio di quello individuale, pu� verificarsi soltanto se lazione amministrativa � conforme ai principi di legalit� e di buona amministrazione, e non anche quando � contraria a tali principi (ed � contrassegnata, oltre che da illegittimit�, anche dal dolo o dalla colpa, come pi� avanti si vedr�). 9. -Una volta stabilito che la normativa sulla responsabilit� aquiliana ha funzione di riparazione del �danno ingiusto�, e che � ingiusto il danno che l'ordinamento non pu� tollerare che rimanga a carico della vittima, ma che va trasferito sull'autore del fatto, in quanto lesivo di interessi giuridicamente rilevanti, quale che sia la loro qualificazione formale, ed in particolare senza che assuma rilievo determinante la loro qualificazione in termini di diritto soggettivo, risulta superata in radice, per il venir meno del suo presupposto formale, la tesi che nega la risarcibilit� degli interessi legittimi quale corollario della tradizionale lettura dell'art. 2043 e.e. La lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse (non di mero fatto ma) giuridicamente rilevante, rientra infatti nella fattispecie della responsabilit� aquiliana solo ai fini della qualificazione del danno come ingiusto. Ci� non equivale certamente ad affermare la indiscriminata risarcibilit� degli interessi legittimi come categoria generale. Potr� infatti pervenirsi al risarcimento soltanto se l'attivit� illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento. In altri termini, la lesione dell'interesse legittimo � condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 e.e., poich� occorre altres� che risulti leso, per effetto dell'attivit� illegittima (e colpevole) della P.A., l'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento positivo. Per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, potr� ravvisarsi danno ingiusto nel sacrificio dell'interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio conseguente all'illegittimo esercizio del potere; cos� confermando, nel risultato al quale si perviene, il precedente orientamento, qualora il detto interesse sia tutelato nelle forme del diritto soggettivo, ma ampliandone la portata nell'ipotesi in cui siffatta forma di tutela piena non sia ravvisabile e tuttavia l'interesse risulti giuridicamente rilevante nei sensi suindicati. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITI'O E PROCEDURA CMLE Circa gli interessi pretensivi, la cui lesione si configura nel caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, dovr� invece vagliarsi la consistenza della protezione che l'ordinamento riserva alle istanze d� ampliamento della sfera giuridica del pretendente. Valutazione. che implica un giudizio prognostico, da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non gi� di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bens� di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva, e cio� di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalit�, ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta. 10. -Occorre ora chiedersi ��quali conseguenze comporta la nuova lettura della normativa sulla responsabilit� aquiliana in tema di riparto di giurisdizione. La questione, dovendo la Corte pronunciarsi nell'ambito di un giudizio pendente alla data del 30 giugno 1998, va esaminata con riferimento alla disciplina vigente, in tema di riparo della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1998, che ha introdotto le gi� richiamate significative innovazioni circa il criterio di riparto. La nuova normativa trova infatti applicazione, secondo quanto prevede la disciplina transitoria dettata dall'art. 45, comma 18, in relazione alle controversie di cui agli artt. 33 e 34 instaurate a partire dal 1� luglio 1998, mentre resta ferma la giurisdizione prevista dalla precedente normativa per i giudizi pendenti alla data del 30 giugno 1998. Ora, ritengono queste S.U. che, alla stregua della nuova lettura dell'art. 2043 e.e., va senz'altro confermato, con le necessarie precisazioni, l'indirizzo secondo il quale non d� luogo a questione di giurisdizione, ma attiene al merito, la contestazione circa la risarcibilit� degli interessi legittimi. Deve infatti ribadirsi, ai fini del giudizio sulla giurisdizione, in relazione ai giudizi pendenti alla data del 30 giugno 1998: a) che l'azione di risarcimento del danno ex art. 2043 e.e. nei confronti della P.A. per esercizio illegittimo della funzione pubblica bene � proposta davanti al giudice ordinario quale giudice al quale spetta, in linea di principio (secondo il previgente ordinamento), la competenza giurisdizionale a conoscere di questioni di diritto soggettivo, poich� tale natura esibisce il diritto al risarcimento del danno, che � diritto distinto dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione � fonte di danno ingiusto (che puo avere, indifferentemente, natura di diritto soggettivo; di interesse legittimo, nelle sue varie configurazioni correlate alle diverse forme della protezione, o di interesse comunque rilevante per I'ordinamento); b) che stabilire se la fattispecie di responsabilit� della P.A. per atti o provvedimenti illegittimi dedotta in giudizio sia riconducibile nel paradigma dell'art. 2043 e.e., secondo la nuova lettura, costituisce questione di merito, atteso che l'eventuale incidenza della lesione su una posizione di interesse legittimo non deve essere valutata ai fini della giurisdizione, bens� ai fini della qualificazione del danno come ingiusto, in quanto lesivo di un interesse giuridicamente rilevante; RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 428 e) che una questione di giurisdizione � configurabile soltanto se sussiste, in relazione alla materia nella quale � sorta la fattispecie, una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, estesa alla cognizione dei diritti patrimoniali conseguenziali, e quindi delle questioni relative al risarcimento dei danni (ipotesi che non si ravvisa nel caso in esame, poich�, pur vigendo, ai sensi dell'art. 16 della legge n. 10 del 1977, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di diniego di concessione edilizia, tale giurisdizione non � estesa ai diritti patrimoniali conseguenziali in ragione del limite posto dall'art. 7 della legge n. 1034 del 1971). 11. -Per quanto concerne, invece, il merito della pretesa, la nuova lettura dell'art. 2043 e.e., alla quale queste S.U sono pervenute, impone di fornire alcune precisazioni circa i criteri ai quali deve attenersi il giudice di merito. Qualora sia stata dedotta davanti al giudice ordinario una domanda risarcitoria ex art. 2043 e.e. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio della funzione pubblica, il detto giudice, onde stabilire se la fattispecie concreta sia o meno riconducibile nello schema normativo delineato dall'art. 2043 e.e., dovr� procedere, in ordine successivo, a svolgere le seguenti indagini: a) in primo luogo, dovr� accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) proceder� quindi a stabilire se l'accertato danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento, che pu� essere indifferentemente un interesse tutelato nelle forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo), ovvero nelle forme dell'interesse legittimo (quando, cio�, questo risulti funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, poich� � la lesione dell'interesse al bene che rileva ai fini in esame), o altro interesse (non elevato ad oggetto di immediata tutela, ma) giuridicamente rilevante (in quanto preso in considerazione dall'ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non r~conducibile a mero interesse di fatto); e) dovr� inoltre accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se levento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva o omissiva) della P.A.; d) provveder�, infine a stabilire se il detto evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della P.A.; la colpa (unitamente al dolo) costituisce infatti componente essenziale della fattispecie della responsabilit� aquiliana ex art. 2043 e.e.; e non sar� invocabile, ai fini dell'accertamento della colpa, il principio secondo il quale la colpa della struttura pubblica sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo, poich� tale principio, enunciato dalla giunsprudenza di questa S.C. con riferimento all'ipotesi di attivit� illecita, per lesione di un diritto soggettivo, secondo la tradizionale interpretazione dell'art. 2043 e.e. (sentt. n. 884/61; n. 814/67; n. 16/78; n. 5361/84; n. 3293/94; n. 6542/95), non � conciliabile con la pi� ampia lettura della suindicata disposizione, svincolata dalla lesione di un diritto soggettivo; l'imputazione non potr� quindi avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimit� dell'azione amministrativa, ma il giudice ordinario dovr� svolgere una pi� penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell'illegittimit� del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bens� estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della P.A. intesa come apparato (in tal PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CMLE senso, v. sent. n. 5883/91) che sar� configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialit�, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario pu� valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalit�. Rispetto al giudizio che, nei termini suindicati, pu� svolgersi davanti al giudice ordinario, non sembra ravvisabile la necessaria pregiudizialit� del giudizio di annullamento. Questa � stata infatti in passato costantemente affermata per l'evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, e quindi all'accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 e.e., riservata ai soli diritti soggettivi, e non pu� quindi trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, che svincola la responsabilit� aquiliana dal necessario riferimento alla lesione di un diritto soggettivo. E l'autonomia tra le due giurisdizioni risulta ancor pi� netta ove si consideri il diverso ambito dei giudizi, ed in particolare l'applicazione, da parte del giudice ordinario, ai fini di cui all'art. 2043 e.e., di un criterio di mutazione della responsabilit� non correlato alla mera illegittimit� del provvedimento, bens� ad una pi� complessa valutazione, estesa all'accertamento della colpa, dell'azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto. Qualora (in relazione ad un giudizio in corso) l'illegittimit� dell'azione amministrativa (a differenza di quanto � avvenuto nel procedimento in esame) non sia stata previamente accertata e dichiarata dal giudice amministrativo, il giudice ordinario ben potr� quindi svolgere tale accertamento al fine di ritenere o meno sussistente l'illecito, poich� l'illegittimit� dell'azione amministrativa costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art 2043 e.e. 12. -Esula dall'oggetto del presente giudizio vagliare la coerenza degli affermati princ�pi in relazione alle controversie instaurate a partire dal 1� luglio 1998, ma non pu� non rilevarsi, per completezza di esame, che la realizzata concentrazione davanti al giudice amministrativo della giurisdizione piena (di annullamento e di risarcimento) nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del detto giudice (sia essa �nuova� o �vecchia�, poich� la coerenza del sistema indurrebbe a ritenere che la tutela risarcitoria sia erogabile dal giudice amministrativo in entrambi i casi, superando il limite della lettera dell'art. 35, commi 1, 4 e 5) risolve in radice il problema di cui si � finora discusso. Qualora, peraltro, la fattispecie produttiva di danno sia insorta nell'ambito di materia non attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, dovrebbe ritenersi appicabile il principio affermato in riferimento ai giudizi pendenti, anche per quanto concerne l'accertamento diretto, da parte del giudice ordinario, dell'illegittimit� dell'atto amministrativo quale elemento costitutivo della fattispecie dell'illecito civile nei sensi definiti dalla presente decisione, cos� realizzandosi anche su tale versante una sorta di concentrazione di tutela (come del resto espressamente prevede l'art. 68, comma 1, del d.lgs n. 29 del 1993, nel testo sostituito dall'art. 29, comma 1, del d. lgs. n. 80 del 1998, per la materia del lavoro). Si tratta, tuttavia, con ogni evidenza, di questione che riguarda una disciplina ancora in evoluzione (risulta alla Corte che � all'esame del Parlamento un disegno di legge, n 2934 del Senato, recante disposizioni in materia di giustizia amministrativa, che sembra volto ad ampliare i poteri di tutela risarcitoria del giudice RASSEGNA AWOCATIJRA DELLO STATO 430 amministrativo), e comunque meritevole di approfondimento, sulla quale queste S.U. si riservano di intervenire non appena se ne presenter� l'occasione. 13. -In conclusione, il ricorso per regolamento di giurisdizione va dichiarato inammissibile: la questione con esso proposta, alla stregua delle suesposte considerazioni, non configura questione di giurisdizione, bens� questione di merito. 14. -Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 29 luglio 1999, n. 566 -Pres. ff Favara -Rel. Corona -P.M. Carnevale (conf.) -Amm.ne 11.pp. (avv. Stato Di Pace) c. Nuova I Saip s.p.a. (avv. Giacobbe). I Atto amministrativo -Ordinanze extra ordinem di necessit� ed urgenza -Loro _j natura e sindacabilit�. I Atto amministrativo -Ordinanze extra ordinem di necessit� ed urgenza -Effetti ~ attributivi di diritti soggettivi -Configurabilit� -Controversie ~ Giurisdizione A.G.O. r: Le ordinanze di necessit� c.d. extra-ordinem, che non costituiscono espressione I ~ del comune potere amministrativo e -per ci� stesso -si diversificano dalla ~ categoria concettuale degli atti amministrativi bench� emesse da organi della P A., si connotano in ragione della funzione normativa assolta, con carattere di generalit� ed astrattezza, anche in deroga delle leggi ordinarie, si sottraggono alla I disciplina concernente le forme di esercizio dei poteri e ben possono risultare attributive di diritti soggettivi. (Nella specie, simile effetto � stato riconosciuto, ai fini della giurisdizione dell'A.G.0., all'ordinanza del Commissario straordinario del Governo per le zone terremotate della Calabria e della Basilicata, che prevedeva la corresponsione d'un premio di accelerazione in caso di ultimazione, entro un prestabilito termine, della fornitura di alloggi prefabbricati oggetto dei contratti stipulati con la PA.) (1). (1) Da condividere nella parte riguardante natura, e parametri di relativa sindacabilit�, delle ordinanze considerate, la riprodotta sentenza sembra destare qualche perplessit� per quanto attiene alla operata riconduzione della previsione -sostanzialmente normativa -contenuta nel provvedimento commissariale negli schemi di una �promessa al pubblico� di cui all'art. 1989 cod. civ. Ma l'apparente antinomia concettuale si stempera alla luce delle cautele con le quali la Corte ha proceduto all'accostamento, tanto pi� in quanto l'assimilazione prefigurata dubitativamente non sembra aver rivestito ruolo determinante ai fini della pronuncia sulla giurisdizione. ! ,,,,.,,.,,,.............4'I PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CMLE (omissis) Con citazione 14 febbraio 1992, il Provveditorato regionale alle opere pubbliche della Campania convenne, davanti alla Corte d'Appello di Roma, la societ� p.a. Nuova Saip, esponendo quanto segue. Con atto 27 giugno 1988, la societ� Nuova Saip aveva chiesto il deferimento ad arbitri della controversia insorta con l'Amministrazione, avente ad oggetto il mancato pagamento del cosiddetto premio di accelerazione, che assumeva spettarle in forza dell'ordinanza 28 maggio 1981, n. 293, del Commissario Straordinario di Governo (secondo cui nei contratti di vendita di alloggi prefabbricati da destinarsi ai terremotati sarebbe stato corrisposto al venditore un premio di lire 40.000 per mq di prefabbricato se entro il 20 agosto 1981 fosse stato ultimato il 100% degli alloggi previsti). In relazione al contratto stipulato con il Comune di Morra De Sanctis aveva maturato il diritto al premio, che le era stato negato. Il Collegio arbitrale, con il lodo sottoscritto il 3 aprile 1991, depositato il 10 settembre 1991 e reso esecutivo dal Pretore di Roma con decreto n. 89 del 14 settembre 1991, aveva dichiarato dovuto alla Nuova Saip il premio di accelerazione nella misura di lire 188.258.000, con gli interessi legali. Domand� la dichiarazione di nullit� del lodo. La societ� Nuova Saip si costitu� e dedusse l'infondatezza dell'impugnativa. Chiedeva il rigetto di ogni avversa pretesa; in via riconvenzionale, domand� la condanna al risarcimento del danno da svalutazione monetaria ex art. 1224 cod. civ. La Corte d'Appello di Roma, con sentenza 24 ottobre 1995 -8 gennaio 1996, rigett� ambedue le domande e condann� l'Amministrazione alla rifusione delle spese. Ricorre per cassazione il Provveditorato Regionale alle opere pubbliche della Campania; resiste con controricorso e propone ricorso incidentale la Nuova Saip s.p.a. in liquidazione. La causa viene rimessa alle Sezioni Unite per la decisione della sola questione di giurisdizione. MOTNI DELLA DECISIONE 1.-Con il secondo motivo di ricorso, l'Amministrazione ricorrente deduce difetto di giurisdizione sia del collegio arbitrale che del giudice ordinario (art. 360 n. 1 cod. proc. civ.). L'ordinanza commissariale n. 293 del 1981 non pu� considerarsi fonte di diritti soggettivi. Detta ordinanza si rivolgeva all'Amministrazione, non era stata richiamata nel contratto, pur essendo stato stipulato in data successiva. Ammesso che l'ordinanza fosse valida ed efficace, poteva considerarsi solo come disposizione assunta nell'esercizio discrezionale dei poteri conferiti per l'attuazione dell'interesse pubblico alla celerit� della ricostruzione: quindi, come atto amministrativo volto a disciplinare l'azione dell'Amministrazione, in relazione al quale il collegio arbitrale ed il giudice ordinario difettano di giurisdizione. Il fatto che l'ordinanza prevedesse un contributo aggiuntivo al prezzo di fornitura non comporta, di per s�, il diritto soggettivo del privato ad ottenere tale premio, che era condizionato al verificarsi di numerose condizioni, sulla cui esistenza l'Amministrazione doveva formulare una valutazione di merito e, perci�, discrezionale. Come era avvenuto nella fattispecie con il provvedimento di rigetto. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 432 "' 2.-Il motivo non pu� essere accolto. 2.1. -Le ordinanze amministrative di necessit� e/o urgenza si comprendono nella categoria delle ordinanze necessitate extra ordinem, in quanto presentano il carattere precipuo della necessit� che, verificandosi all'infuori di ogni previsione, sfugge alle norme concernenti le forme di esercizio dei poteri. Queste ordinanze hanno un contenuto, che non � rigidamente predeterminato dalle norme, poich� il loro presupposto � costituito dalla impossibilit� di fare fronte alle situazioni imprevedibili con le disposizioni e con i procedimenti esistenti. Il potere sotteso alle ordinanze, perci�, si distingue dal comune potere amministrativo ed esse si diversificano dalla categoria concettuale degli atti amministrativi. Le ordinanze rappresentano atti sui generis, essendo la loro funzione quella di colmare le lacune dell'ordinamento. Pur essendo emesse da organi della pubblica amministrazione, le ordinanze extra ordinem pongono in essere normative destinate a regolare fattispecie non altrimenti disciplinabili. Nell'ambito dei fini predeterminati in modo rigoroso dalle norme ordinarie attributive dei poteri, il contenuto viene volta per volta determinato dalle stesse ordinanze extra ordinem, restando in qualche misura il relativo potere libero di scegliere gli strumenti entro la materia ed i fini. Proprio dai fini, il contenuto viene ad essere predeterminato. Pi� che per la libert� del contenuto, le ordinanze si con~ ~ trassegnano per la specifica individuazione dei fini da raggiungere, cui il contenuto congruamente si adegua. I ~ Per altro verso, le ordinanze si contrassegnano per il carattere generale ed @ astratto, in quanto riguardano indistintamente tutte le categorie dei soggetti, i quali f;j I ~ si trovano nelle condizioni previste, e non soltanto dei singoli soggetti individualmente determinati. 2.2. -Le ordinanze del Commissario straordinario per le zone terremotate delle Regioni Basilicata e Campania, previsto dall'art. 1 del d.l. 26 novembre 1980, n. 776 (convertito in legge con modificazioni dalla legge 22 dicembre 1980, n. 874), come, ' i . pi� in generale, quello delle ordinanze di necessit� attribuito ad altri organi della I P.A. ai sensi degli artt. 2 e 216 del t.u. di P.S., 20 del t.u. della legge comunale e provinciale e 129-201 del t.u. sulle leggi sanitarie, aventi come presupposto la necessit� di far fronte a situazioni gravi di emergenza.con tempestivit� ed efficienza, e caratterizzate, oltre che dalla generalit� ed astrattezza, dal loro possibile contenuto normativo derogatorio delle norme di legge, incontrano limiti soltanto nelle esigenze del rispetto dei precetti della Costituzione e dei principi generali dell'ordinamento giuridico e nel divieto di interferenze nelle materie esclusivamente I ~ riservate alla legge (Cass., Sez. II, 19 marzo 1994, n. 2610). � � Alla luce dei principi esposti, non eccede i limiti del potere previsto dalla legge l'ordinanza del Commissario Straordinario per le zone terremotate delle Regioni 1:: '}, Basilicata e Campania, con la quale si promette di corrispondere alle imprese !~~ costruttrici un premio di lire 40.000 per mq. se entro un congruo anticipo rispetto ai I lii ,, termini fissati per contratto fosse stato ultimato il 100% degli alloggi previsti nei negozi stipulati dal Comune di Morra De Sanctis con le imprese, cui erano stati appaltati i lavori di ricostruzione. " ' I .,.,,,,.,��,���,,.;,.:::=:::.:::=::=:.,�=�:=:~:114'lfl PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CMLE 2.3. -La legittimit� costituzionale di dette ordinanze � fuori discussione. L'art. 4 d.l. 27 febbraio 1982, n. 57, convertito nella legge 29 aprile 1982, n. 187, che prevede la sanatoria di atti illegittimi emanati per far fronte alle eccezionali necessit� determinate dai terremoti della Campania e della Calabria del 1980, � costituzionalmente legittimo. La tutela del cittadino verso gli atti illegittimi della P.A. non � illimitata ed invariabile, potendo il legislatore ordinario regolare i modi e l'efficacia di tale tutela con criteri di ragionevolezza e di adeguatezza. Pertanto, non contrasta con gli artt. 24 e 113 Cost. una legge che, sanando gli atti amministrativi illegittimi, li sottragga al controllo di legittimit�, per quanto attiene ai vizi sanati, sempre che la sostituzione della norma eccezionale alla disciplina generale sia giustificata da eventi eccezionali, nessun principio costituzionale sia vulnerato e sia comunque assicurata la tutela giurisdizionale in ordine all'accertamento della sussistenza dei presupposti della sanatoria (Corte Cost., 3 aprile 1987, n. 100; Corte Cost., 26 novembre 1987, n. 429). 2.4. -In difetto di espressa previsione della pubblicit� legale, non contemplata dalle norme concernenti i poteri del Commissario straordinario del Governo, l'esistenza in concreto e la notoriet� dell'ordinanza 28 maggio 1981, n. 293 della Corte d'Appello viene ritenuta con un giudizio di fatto. Essendo la motivazione logicamente corretta e sufficiente -posto che la pubblicazione e la notoriet� del provvedimento viene ricavata dalla pluralit� delle richieste da parte delle imprese, che ne reclamavano l'applicazione -l'accertamento risulta insindacabile in questa sede. 2.5. -Come � noto, la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario ed amministrativo, rileva non gi� la prospettazione delle parti, bens� il cosiddetto <<petitum sostanziale�, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione richiesta al giudice, ma soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo alla sostanziale protezione accordata in astratto a quest'ultima dal diritto positivo. La promessa di un premio alle imprese, che avrebbero consegnato gli appartamenti in un termine pi� breve di quello contrattuale, prevista nella suddetta ordinanza sembra raffigurare una sorta di promessa al pubblico. L'ordinanza contempla un impegno, in conformit� con l'interesse dell' Amministrazione promittente a conseguire il risultato in termini pi� brevi di quelli pattuiti. La promessa dell'Amministrazione si distingue dall'offerta, che ha bisogno dell'accettazione, in quanto l'impegno non pare aver bisogno dell'accettazione, essendo vincolante solo per l'Amministrazione. Relativamente alla promessa dell'Amministrazione, infatti, non si rinvengono norme che facciano pensare alla necessit� dell'accettazione da parte delle imprese. Il rapporto tra il premio promesso dall' Amministrazione e l'azione, che essa richiede alle imprese (l'esecuzione delle costruzioni in termini pi� brevi di quelli pattuiti) non riproduce lo schema dei contratti onerosi. D'altra parte, l'attivit� delle imprese, in astratto, di per s� � negoziabile, ma dal promittente, sembra assunta soltanto come risultato. La costruzione degli edifici in termini pi� brevi si pone come evento, cui l'impegno dell'Amministrazione committente � condizionato. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 434 Se l'ordinanza di cui si discute � valida e produce effetti, agli imprenditori pu� attribuire dei diritti soggettivi, e non dei meri interessi legittimi, in quanto i premi per l'acceleramento delle opere risultano previsti non gi� sulla scorta dell'esercizio di poteri discrezionali da parte della Pubblica Amministrazione, ma sulla base di precise circostanze di fatto espressamente enunciate, che richiedono un mero accertamento contabile. 3.-Riuniti i ricorsi, deve essere rigettato il secondo motivo del ricorso principale e dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, rimettendo gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle sezioni semplici. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 novembre 1999, n. 12535 -Pres. Cantillo Est. Reale -P.M. Buonajuto -Ministero delle Finanze ( avv. Stato Fiumara e Laporta). Responsabilit� patrimoniale -Cause di prelazione -Confisca nei confronti di appartenenti ad associazioni mafiose -Diritti reali di garanzia di terzi Tutela -Giudice competente. (Cod. pen., art. 240; cod. proc. pen., art. 665 e segg. e 676; legge 31 maggio 1965, n. 575, e succ. mod., art. 2 ter). Il provvedimento di confisca, pronunciato ai sensi dell'art. 2 ter della legge 31maggio1965 n. 575 e succ. mod. nei confronti dell'indiziato di appartenenza ad associazione mafiosa, non pu� pregiudicare i diritti reali di garanzia, costituiti sui beni confiscati in epoca anteriore al procedimento di prevenzione a favore di terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo a detto provvedimento. Costoro, per�, potranno far valere le loro pretese soltanto davanti al giudice dell'esecuzione penale nelle forme e secondo le modalit� previste dagli artt. 665 e segg. cod. proc. pen., norme che attribuiscono al giudice dell'esecuzione competenza a decidere in ordine alla confisca e, pertanto, sui diritti che i terzi rimasti estranei al procedimento penale possano vantare sul bene confiscato (1). (1) Disposta una confisca ai sensi dell'art. 2 ter, comma terzo, della legge 31 maggio 1965 n. 575 e succ. mod., la Sicilcassa aveva cionondimeno promosso esecuzione immobiliare sull'immobile confiscato per la realizzazione del suo credito assistito da garanzia reale. L'Amministrazione finanziaria aveva proposto opposizione all'esecuzione e questa era stata respinta dai giudici di merito. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell'Amministrazione, fatto salvo -come espressamente riconosciuto dalla difesa statale in giudizio -il diritto del creditore ipotecario preesistente alla confisca, ha precisato che, non essendo chiamati ad intervenire nel procedimento di prevenzione di cui all'art. 2 ter della legge n. 575/1965 i terzi �in senso relativo� titolari di diritti connessi con la posizione giuridica della persona proposta per la misura di prevenzione ma non titolari di diritti autonomi incompatibili con la pretesa dello Stato alla confisca dei beni, questi terzi -fra i quali appunto il titolare di diritto reale di garanzia possono (e devono) per� far riconoscere la salvezza del loro diritto solo davanti al giudice dell'esecuzione penale (che � lo stesso giudice del provvedimento di prevenzione). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITIO E PROCEDURA CIVILE 435 (omissis) Con un unico motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2 ter legge 31 maggio 1965 n. 575 e succ. mod., 240 c.p.c, 665 e segg. c.p.p. (art. 360 n. 3 c.p.c.), il Ministero sostiene che il diritto del terzo deve essere fatto valere solo nell'ambito del procedimento di prevenzione; che la Sicilcassa non pu� far valere il diritto reale di garanzia vantato se non previo accertamento della sua esistenza da parte del giudice dell'esecuzione penale che ha adottato il provvedimento di confisca del bene immobile su cui grava l'ipoteca. Conclude affermando che in questi limiti intende chiedere l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello, fermo che potr� sempre il titolare del diritto reale o di garanzia, rivolgersi (ancora) al giudice dell'esecuzione penale per il riconoscimento del suo diritto. L'Amministrazione ricorrente non ha contestato le considerazioni relative al carattere derivativo dell'acquisto da parte dello Stato dei beni confiscati -con conseguente salvezza dei diritti dei terzi estranei che potranno essere fatti valere nei confronti dello Stato -esplicitamente riconoscendo che la confisca di cui alla suddetta normativa, alla pari della confisca penale (art. 240 c.p.c), di regola non pregiudica i diritti dei terzi che, senza alcun collegamento con l'attivit� dell'indiziato o collusione con esso, sono sorti legittimamente sulla cosa. Ha, quindi, abbandonato la tesi principale sostenuta in sede di merito e, riprendendo quella secondaria (il diritto del terzo non viene pregiudicato dalla confisca ma pu� essere esercitato solo nell'ambito del giudizio di prevenzione), sostiene che il diritto reale di garanzia non pu� farsi valere se non previo accertamento del giudice penale. Il motivo di ricorso � fondato. � opportuno premettere (a) che nella lotta alla criminalit� organizzata, assumono ruolo fondamentale le misure repressive e sanzionatorie di carattere patrimoniale con le quali viene sottratta alle organizzazioni criminali almeno una parte della Tale pronuncia (conforme all'indirizzo, pur segnalato nel ricorso per cassazione del Ministero, di cui a Cass., Sez. I pen., 21gennaio1992, Sanseverino, in relazione all'art. 2 ter della legge n. 575/1965, ma non aderente alla giurisprudenza della stessa Corte, Sez. I pen., 8 luglio 1991, Mende/la, in relazione all'art. 240, comma terzo, cod. pen.) riconduce opportunamente ed esattamente la verifica della sussistenza effettiva del diritto reale di garanzia alla competenza del giudice penale, ma sembra confinarla al solo procedimento di opposizione ex artt. 665 e segg. cod. proc. pen., non prevedendo che il titolare di tale diritto sia chiamato o intervenga, ove a conoscenza, gi� a monte nel corso del procedimento di prevenzione, dove, nel pieno rispetto di tutte le posizioni, potrebbero essere chiariti i limiti eventuali della confisca, senza attendere l'esito di un successivo e pi� complesso giudizio di opposizione. Sembra quindi che possano pur sempre essere consentiti -anche se non specificamente previsti dalla norma e al di fuori di ogni obbligo legale, in tale senso interpretando la sentenza trasmessa -la chiamata o l'intervento volontario nel giudizio di prevenzione del terzo che appaia o sostenga essere titolare di un diritto reale di garanzia sul bene confiscando, per la verifica, gi� in tale sede, della sua reale consistenza ed opponibilit�: in mancanza di tale verifica preventiva (o di rigetto della sua istanza) potrebbe il terzo attivarsi per far valere le sue ragioni soltanto nelle forme dell'opposizione all'esecuzione penale, come espressamente statuito dalla Corte Suprema. O.F. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO<< 436 loro ricchezza riducendone il potere economico; (b) che i relativi provvedimenti non possono, tuttavia, pregiudicare i diritti dei terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo ai procedimenti di sequestro e confisca (Cass. 5988/97, Cass. pen. 21gennaio1992 n. 250 Sanseverino, S.U. pen. 18 maggio 1994 COMIT Leasing, 11gennaio1994 Andricciolo ). Osservasi ancora che i terzi �in senso relativo� -titolari di diritti connessi con la posizione giuridica della persona proposta per la misura di prevenzione, diversi dai terzi titolari di diritti autonomi e incompatibili con la pretesa dello Stato alla confisca dei beni -non sono chiamati ad intervenire �per svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni� (Cass. pen. n. 250/92 cit. e C. Cast. n. 190/94). Ai sensi del 5� comma del cit. art. 2 ter legge 575/65 e succ. mod. solo �se risulta che i beni sequestrati appartengono a terzi, questi sono chiamati ... ad intervenire�. La nozione di �appartenenza� implica un rapporto formale e sostanziale col bene idoneo ad escludere la disponibilit� in capo ad altri; il provvedimento di confisca, traslativo del diritto di propriet� del bene in favore dello Stato, non opera alcuna trasformazione della natura dei diritti dei creditori donde non si verifica la situazione di �appartenenza� richiesta dall'art. 2 ter cit. In base a tale condivisibile orientamento pu� ben essere confiscato un bene immobile che si I trovi nella �disponibilit�� dell'interessato, anche se il bene sia vincolato con ipoteca a favore di un terzo estraneo, non precludendo la misura di garanzia reale la sua I circolazione giuridica (2860/94 imp. Moriggi). L'esigenza di assicurare al terzo di buona fede la facolt� di soddisfare le I ragioni creditorie facendo valere nei confronti dello Stato, nuovo proprietario del bene staggito, la garanzia reale gravante sull'immobile -principio costanteI mente affermato da questa Corte con riferimento alla disposizione dell'art. 240 ~ Iili c.p.c (Cass. S.U. 2635/89, 11095/90) ma ancor pi� applicabile (Cass. pen. 250/92 cit.), alla confisca disposta ai sensi dell'art. 2 ter citata legge -non pu� ostacolare l'impegno dello Stato di colpire il prodotto economico-patrimoniale di attivit� illecite. � necessario impedire che il soggetto indiziato possa procurarsi -mediante prestiti bancari e con il sistema di precostituirsi una schiera di creditori di comodo muniti di titoli con data certa -denaro di provenienza lecita sottraendo poi alla confisca i beni vincolati a garanzia di terzi creditori. L'esigenza di non vanificare l'intervento sanzionatorio dello Stato induce a dubitare e quindi ad escludere che l'accertamento della legittimit� del diritto di sequela vantato dal terzo creditore privilegiato possa consistere nel mero controllo della data di iscrizione della formalit� ipotecaria e nell'astratta verifica dell'esistenza di un credito, peraltro agevolmente documentabile nell'ipotesi di illecito accordo. L'accertamento del diritto del terzo impone un'indagine pi� estesa ed approfondita che, per intuibili ragioni, pu� essere svolta solo dal giudice penale, con garanzia del contraddittorio, in sede di procedimento di esecuzione. Conformemente all'orientamento espresso dalla corte penale di legittimit� (2885/96 imp. Tretto, 12 giugno 1991 imp. Pini), i terzi rimasti estranei al procedimento regolato dal citato art. 2 ter potranno far valere le loro pretese davanti al giudice dell'esecuzione nelle forme e secondo le modalit� previste dagli artt. 665 e segg. c.p.p., norme che attribuiscono al giudice dell'esecuzione competenza a PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE decidere in ordine alla confisca e, pertanto, sui diritti che i terzi rimasti estranei al procedimento penale possano vantare sul bene assoggettato a confisca. La Sicilcassa dovr� rivolgere al giudice dell'esecuzione penale, ai sensi dell'art. 676 c.p.p., la richiesta di riconoscimento della garanzia reale che assiste il proprio credito sul bene ormai di pertinenza dello Stato, successore a titolo particolare nel diritto di propriet�, per il rilievo che il riconoscimento di diritti reali sul bene -che limitano o riducono il suo contenuto -rientrano, come si � detto, nella competenza del giudice della confisca. (omissis) SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 22 luglio 1999 n. 19 -Pres. Laschena -Est. Baccarini -Pascasio ( avv. Pascasio) c. Ministero di Grazia e Giustizia ( avv. Stato Nucaro ). Giustizia amministrativa -Esecuzione del giudicato -Legge sopravvenuta irretroattiva -Fattispecie. Nelle situazioni giuridiche di durata il tratto dell'interesse che si svolge successivamente al giudicato resta soggetto alla disciplina delle eventuali leggi sopravvenienti, qualunque sia il contenuto qualificatorio del giudicato medesimo (1). (omissis) 1. -Con il primo motivo il ricorrente censura la decisione di ottemperanza nella parte in cui ha disposto il riassorbimento degli importi corrispondenti agli aumenti periodici. Il motivo, oltre che inammissibile, � infondato. Inammissibile perch� denuncia dinanzi al Consiglio di Stato una sentenza del medesimo giudice, resa in un giudizio in cui il ricorrente � stato parte, non per vizi revocatori ma per un preteso errore di giudizio. Infondato, perch� muove da una inesatta rappresentazione della realt� processuale. La �non riassorbibilit�� del beneficio degli aumenti periodici, cui si riferiva la sentenza del TAR del Lazio, sez. I, 4luglio1984, n. 607, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 29 dicembre 1987, n. 849, giudicato per la cui esecuzione il ricorrente ha agito in giudizio, indicava che lo stesso spettava ai magistrati di ogni qualifica, in applicazione dell'art. 5, u. c. del d.P.R. n. 1080/1970, ed era quindi non riassorbibile nella progressione del magistrato alle qualifiche superiori. La �riassorbibilit�� stabilita dalla sentenza di ottemperanza di cui trattasi consiste, invece, nel riassorbimento con i futuri miglioramenti economici di un trattamento economico fissato nel giudicato ma non pi� riconosciuto dalla legge sopravvenuta. (1) L'Adunanza Plenaria, con la sentenza in esame, ribadisce il principio in base al quale la legge irretroattiva sopravvenuta al giudicato incide sulle situazioni durevoli riguardo la parte dell'interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica: cfr., in termini, Cons. Stato, Ad. Plenaria, 11maggio1998 n. 2, in Giur. it., 1998, 1936. Sull'argomento, cfr., in dottrina, FRANCARIO, Osservazioni in tema di giudicato amministrativo e legge interpretativa, in Dir. proc. amm., 1995, I, 277; A.NzoN, Questioni sulla misura dei trattamenti pensionistici e variet� di tecniche di decisione, in Giur. Cost., 1993, 310. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO� 440 � evidente, quindi, che la �non riassorbibilit�� garantita dal giudicato era, al di l� dell'equivoco semantico, una nozione completamente diversa dal �riassorbimento� stabilito dalla sentenza di ottemperanza in applicazione delle leggi n. 425/84 e n. 265/91. Tale considerazione risolve la questione in fatto ed esime dal ricordare che nelle situazioni giuridiche di durata il tratto dell'interesse che si svolge successivamente al giudicato resta soggetto alla disciplina delle eventuali leggi sopravvenienti, qualunque sia il contenuto qualificatorio del giudicato medesimo. 2. -Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che il provvedimento emanato dal commissario ad acta non disponga lattribuzione degli aumenti periodici nelle qualifiche di magistrato d'appello e di magistrato di cassazione, ma soltanto nella qualifica di appartenenza -al momento del collocamento a riposo -di magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori. Il motivo � fondato. Dal testo del provvedimento del commissario ad acta del 18 gennaio 1999, in atti, risulta che l'importo corrispondente ai sei aumenti biennali del 2,50% � stato Icomputato nella sola qualifica -in atto al momento del collocamento a riposo di magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori. I Il commissario ad acta, con nota del 16 aprile 1999, ha spiegato il criterio posto a base del provvedimento adottato, che consisterebbe nella coerenza con il sistema I di determinazione degli stipendi dei magistrati nella legge n. 425/84, nel quale la P., I ili valutazione economica delle anzianit� pregresse � legata all'effettiva permanenza nelle qualifiche. Se cos� �, appare evidente che il commissario ad acta ha frainteso il suo ' incarico, che era quello di dare esecuzione ad un giudicato secondo le indicazioni della sentenza di ottemperanza. I Il precetto complesso risultante dal primo e dalla seconda era il seguente: includere nella base pensionabile del ricorrente gli importi corrispondenti a sei aumenti periodici del 2,50% sullo stipendio in godimento a partire dalla qualifica di magistrato d'appello, da conservare a titolo personale e salvo riassorbimento con i futuri miglioramenti economici. Il provvedimento andr� pertanto integrato con l'inclusione degli importi corrispondenti ai predetti aumenti periodici anche nelle qualifiche di magistrato d'appello e di magistrato di cassazione. La clausola del riassorbimento dei predetti importi -essa s� -attua il coordinamento tra il trattamento economico spettante in base al giudicato e il sistema della legge n. 425/84. 3. -Con il quarto motivo il ricorrente lamenta che ai fini della determinazione dello stipendio dell'ultima qualifica rivestita prima del 1� luglio 1983 non siano stati computati i 15 anni di servizio prestati nella qualifica di magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori. Il motivo � infondato. Ai sensi dell'art. 4 comma 5 della legge 6 agosto 1984, n. 425, infatti, il beneficio della valutazione percentuale di ogni anno di servizio spetta per i servizi prestati dai magistrati nelle qualifiche inferiori a quelle di appartenenza. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 441 La pretesa di attribuzione del beneficio nella qualifica di appartenenza (magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori) non pu� pertanto avere ingresso. 4. -Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la mancata corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria. Il motivo � fondato. Interessi e rivalutazione monetaria sono dovuti secondo i criteri per la corresponsione e le modalit� di calcolo di cui al d.m. 1 settembre 1998, n. 352. (omissis) CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 15 settembre 1999 n. 14 -Pres. Laschena -Est. Baccarini-Impresa Pizzarotti & C. s.p.a. (avv. Sanino e Cugurra) c. Artelli (avv.ti Bianchini, Moze e Romanelli), Prefetto di Udine (avv. Stato Arena E.) e altri (n.c.). Atto amministrativo -Avviso di procedimento -Art. 7 legge n. 241 del 1990 Finalit�. Espropriazione per pubblica utilit� -Comunicazione ai sensi dell'art. 7 legge n. 241del1990 -Necessit�. Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione temporanea e d'urgenza Comunicazione ai sensi dell'art. 7 legge n. 241del1990 -Non occorre. L'avviso di procedimento, di cui ali' art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, che l'autorit� procedente � tenuta a dare ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale � destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi, ha comportato l'innesto nel procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale: di conseguenza, alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, � subentrato il sistema della democraticit� delle decisioni e della accessibilit� dei documenti amministrativi, in cui l'adeguatezza dell'istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire (1). (1-3) L'Adunanza Plenaria, con la sentenza in esame, ha esaminato il problema dei rapporti tra l'art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, sulla comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, e gli istituti della dichiarazione di pubblica utilit� e di occupazione d'urgenza nei procedimenti espropriativi. In particolare, il Consiglio di Stato ha affermato che la dichiarazione di pubblica utilit� � soggetta alla norma sull'avviso di procedimento, di cui all'art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, rilevato che, se ci� non fosse, il risultato sarebbe quello di espungere dall'ambito del giusto procedimento, fuori dei casi previsti dalla legge, un procedimento amministrativo autonomo (1). (1) Si erano gi� pronunciati sull'argomento, in senso conforme alla sentenza in esame, Tar Lombardia, sez. II, 2 febbraio 1998 n. 144, in Giust. civ. 1998, I, 2372; Tar Lombardia, Brescia, 9 marzo 1998, n. 153, in Foro amm., 1999, 431; Tar Campania, sez. Salerno, 15 aprile 1999, n. 103, in Tar, 1999, I, 2122. RASSEGNA AVVOCATlJRA DELLO STATO. 442 La dichiarazione di pubblica utilit�, che ha come effetto quello di sottoporre il bene al regime di espropriabilit�, incide direttamente sulla sfera giuridica del proprietario, � immediatamente lesiva e autonomamente impugnabile: pertanto, tale dichiarazione � soggetta alla norma sull'avviso di procedimento, di cui all'art. 7 della legge 7agosto1990 n. 241, rilevato che, se ci� non fosse, il risultato sarebbe quello di espungere dall'ambito del giusto procedimento, fuori dei casi previsti dalla legge, un procedimento amministrativo autonomo (2). La norma sull'avviso di procedimento, di cui all'art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, non ha ragion d'essere per i procedimenti di occupazione d'urgenza rilevato che, mentre la dichiarazione di pubblica utilit� conserva momenti di scelte discrezionali, l'occupazione d'urgenza si caratterizza per essere meramente attuativa dei provvedimenti presupposti (3). (omissis) 1. -Con il primo motivo l'appellante principale censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto l'impugnato provvedimento di approvazione del progetto illegittimo perch� emanato in carenza del relativo avviso di procedimento. In ordine alla relativa questione la IV sezione ha rimesso il ricorso a questa Adunanza plenaria. Il motivo � infondato. II 2. -Il regime del procedimento di dichiarazione di pubblica utilit� ha sempre oscillato tra i due poli contrapposti delle garanzie e della celerit�. Nella conformazione originaria di cui alla legge n. 2359/1865, la dichiarazione di pubblica utilit� �esplicita� si articolava in due procedimenti distinti. In primo luogo si svolgeva il procedimento attinente alla dichiarazione di pubblica utilit� in senso proprio, i cui snodi procedimentali erano: presentazione della domanda (art. 3), pubblicazione della stessa presso gli uffici comunali (art. 4), presentazione di eventuali osservazioni da parte di chiunque vi avesse interesse (art. 5), emanazione del decreto di dichiarazione di pubblica utilit� (artt. 9, 10 e 11). � stata cos� riesaminata la posizione assunta in precedenza dalla stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione 18 giugno 1986 n. 6 (2), con la quale, nell'ipotesi di dichiarazione di pubblica utilit� implicita, si era ritenuto legittimo un provvedimento di approvazione definitiva dell'opera non preceduta, ma soltanto seguita, dalla partecipazione degli interessati, purch� anteriormente al provvedimento di espropriazione. Con la sentenza in esame l'Adunanza Plenaria ha poi precisato che la norma sull'avviso di procedimento, di cui all'art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, non ha ragion d'essere per i procedimenti di occupazione d'urgenza rilevato che, mentre la dichiarazione di pubblica utilit� conserva momenti di scelte discrezionali, l'occupazione d'urgenza si caratterizza per essere meramente attuativa dei provvedimenti presupposti (3). G.M. (2) Cons. Stato, Ad. Plenaria, 18 giugno 1986 n. 6, in Cons. Stato, 1986, I, 747. (3) Sulla natura del procedimento d'occupazione d'urgenza cfr. R. DAMANIB, in Urbanistica e Appalti, 1999, 1203; sull'esclusione, in presenza di atti vincolati, della necessit� di partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 ottobre 1996, n. 1223, in Foro amm., 1996, 2882; idem, 24 novembre 1997, n. 1365, in Cons. Stato, 1997, 1563. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA In secondo luogo, si svolgeva il procedimento attinente alla �designazione dei beni da espropriarsi�, i cui snodi procedimentali erano: formazione del piano particolareggiato di esecuzione (art. 16), pubblicazione del medesimo presso gli uffici comunali (art. 17), presentazione di eventuali osservazioni da parte degli interessati (art. 18), ordine di esecuzione del piano da parte del prefetto, il quale decideva sulle osservazioni e, se queste erano attinenti al tracciato o al modo di esecuzione dell'opera, o le respingeva o provvedeva a modificare il progetto, se competente, o altrimenti rinviava quest'ultimo all'autorit� competente (art. 19). Questi schemi realizzavano un sistema di giusto procedimento, articolato su pubblicit� degli atti e contraddittorio degli interessati in ordine prima all' an, poi al quomodo dell'opera pubblica. 3. -Successivamente, sopravvenute la Costituzione repubblicana che stabilisce il principio del buon andamento dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.) e leggi ordinarie, statali (art. 9 della legge n. 1150/42) e regionali, che attuano i princ�pi della pubblicit� e della partecipazione (o del contraddittorio) degli interessati gi� nella formazione degli strumenti urbanistici generali, il legislatore si � dato carico nella disciplina dei procedimenti ablatori delle esigenze di celerit� dell'azione amministrativa, che il precedente assetto sacrificava in vista di una pi� completa realizzazione delle garanzie dei proprietari espropriandi. In un primo tempo, veniva eliminata la strutturazione �bifasica� della dichiarazione di pubblica utilit� esplicita, prevedendo la presentazione in limine da parte dell'espropriante di una relazione esplicativa dell'opera, gi� corredata dalle mappe catastali illustrative delle aree da espropriare e dall'elenco dei proprietari iscritti negli atti catastali (art. 10, comma 1, legge n. 865/71). Per contro, un rafforzamento delle garanzie veniva disposto quanto alle misure di partecipazione, elevando il deposito degli atti presso gli uffici comunali ad oggetto di notifica individuale ai proprietari espropriandi (art. 10, comma 2, legge cit.). In un secondo tempo, veniva adottata una disposizione generale sulla dichiarazione di pubblica utilit� implicita, secondo la quale l'approvazione dei progetti di opere pubbliche da parte dei competenti organi delle amministrazioni statali, regionali, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti territoriali equivale a dichiarazione di pubblica utilit� e di urgenza ed indifferibilit� delle opere stesse (art. 1, comma 1, legge n. 1/78). Veniva altres� disposta un'inversione dell'ordine degli atti del procedimento, differendo la redazione dello stato di consistenza del fondo, per l'innanzi necessariamente antecedente all'occupazione d'urgenza (art. 71 legge n. 2359/1865), al momento dell'immissione in possesso (art. 3, comma 2, legge n. 1/78). Il tutto, per�, senza un raccordo con le norme che prevedevano il giusto procedimento per le dichiarazioni di pubblica utilit� esplicite. In questa logica acceleratoria si � calata la decisione Ad. plen, n. 6 del 1986, che ha segnalato come, in presenza di una dichiarazione di pubblica utilit� implicita, il giusto procedimento di cui agli artt. 10 e 11 legge n. 865/1971 non fosse soppresso, ma soltanto differito ad un momento successivo all'approvazione del progetto dell'opera pubblica, purch� anteriore alla pronuncia del provvedimento espropriativo. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 444 4. -In tale contesto normativo, � sopravvenuta la legge n. 241/90, che, in quanto legge �breve�, � legge sul procedimento amministrativo, non legge del procedimento amministrativo. Tale legge, tra l'altro, ha esteso il giusto procedimento, anzi la partecipazione, perch� applicabile anche ai procedimenti diversi da quelli restrittivi della sfera giuridica degli interessati, per l'innanzi adottata soltanto per singoli procedimenti, alla generalit� dei procedimenti amministrativi, fatta eccezione per alcuni tipi, per i quali quel modello � escluso o in senso assoluto o perch� essi sono disciplinati in maniera speciale: i procedimenti per l'emanazione di atti normativi o amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, tributari (art. 13 legge n. 241/90 cit.). Perch� i soggetti legittimati possano partecipare o intervenire, � necessario che essi siano resi edotti della pendenza del procedimento. A ci� provvede l'avviso di procedimento, che l'autorit� procedente � tenuta a dare personalmente ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale � destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi (art. 7 legge cit.). I Tale disposizione ha una duplice valenza. Per un verso, il giusto procedimento amministrativo, pur non essendo, allo stato, un principio costituzionale (Corte cost., sentt. n. 23 del 1978, 103 del 1993 e 210 del 1995), � pur sempre un criterio di orientamento per il legislatore e per l'interprete (Corte cost., sent. n. 57 del 1995). I L'applicabilit� di tale disposizione � divenuta per la Corte costituzionale il w presupposto interpretativo per negare con sentenza interpretativa di rigetto la illegittimit� costituzionale di disposizioni che disciplinano determinati procedimenti I senza prevedere il contraddittorio con gli interessati (Corte cost., sent. n. 383 del 1996, in materia di procedimenti di secondo grado per il riconoscimento della dipendenza di infermit� da causa di servizio del personale del Ministero della difesa; sent. n. 57 del 1995, in materia di procedimenti sanzionatori -di competenza della Commissione di garanzia per lo sciopero nei pubblici servizi -nei confronti dei sindacati che hanno violato le norme sullo sciopero). Allo stesso modo, l'inapplicabilit� della medesima disposizione � divenuta, a dispetto della ritenuta non costituzionalizzazione del giusto procedimento, il presupposto interpretativo per affermare con sentenza di accoglimento l'illegittimit� costituzionale delle disposizioni che non prevedono la partecipazione degli interessati, per contrasto con il fondamentale canone di razionalit� normativa e con il principio di buon andamento dell'amministrazione [Corte cost., in materia di dispensa dal servizio permanente per scarso rendimento di sottufficiali dei carabinieri (sent. n. 240 del 1997) e dell'esercito, marina ed aeronautica (sent. n. 126 del 1995); in materia di cessazione dal servizio continuativo per perdita del grado conseguente alla pena accessoria della rimozione dei vice brigadieri e dei militari dell'Arma dei carabinieri: sent. n. 363 del 1996]. . I Per altro verso, tale disposizione introduce, nell'attivit� amministrativa del Paese, un elemento di riqualificazione di grande rilievo civile: l'innesto nel 1: procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale, fatto pi� eversivo di quanto non fosse stato, alla fine degli anni '60, l'inserimento della ~~ comunicazione giudiziaria all'indiziato e delle altre garanzie di difesa nel processo penale inquisitorio del codice di procedura penale abrogato. I 2 ~= ~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad excludendum gi� ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela giurisdizionale, subentra cos� il sistema della democraticit� delle decisioni e della accessibilit� dei documenti amministrativi, in cui l'adeguatezza dell'istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire. 5. -Riferire i princ�pi e le forme della partecipazione alla dichiarazione di pubblica utilit� presuppone chiarirne effetti e natura giuridica. Orbene, la dichiarazione di pubblica utilit�, secondo il pi� comune sentire, ha come effetto quello di sottoporre il bene al regime di espropriabilit�, determinando l'affievolimento del diritto di propriet� e ponendosi come presupposto dell'espropriazione. Essa, pertanto, incidendo direttamente sulla sfera giuridica del proprietario, � immediatamente lesiva e, come tale, viene comunemente ritenuta autonomamente impugnabile. In termini procedimentali, pertanto, la dichiarazione di pubblica utilit� non � un subprocedimento del procedimento espropriativo, ma � un procedimento autonomo, che si conclude con un atto di natura provvedimentale, immediatamente impugnabile. 6. -Pertanto, la tesi secondo cui la norma sull'avviso di procedimento non si applicherebbe alla dichiarazione di pubblica utilit� implicita equivale ad espungere dall'ambito del giusto procedimento, fuori dai casi previsti dalla legge, un procedimento amministrativo autonomo. N� ora, nell'attuale contesto normativo diretto a garantire la partecipazione, potrebbe valere a tal fine una partecipazione differita, successiva alla dichiarazione di pubblica utilit� ed all'occupazione d'urgenza. Questa, infatti, oltre a intervenire in una situazione di fatto irreversibile, resterebbe comunque esterna allo sviluppo procedimentale della dichiarazione di pubblica utilit�, che risulterebbe priva di garanzia partecipativa. 7. -Non giova in contrario richiamare l'esclusione della partecipazione prevista per i procedimenti di pianificazione, quali quelli per l'approvazione degli strumenti urbanistici generali. Se il giusto procedimento, infatti, � un criterio di orientamento per il legislatore e l'interprete, non � dato comprendere come un'esclusione riferita ai procedimenti di pianificazione possa essere riferita ai procedimenti ablatori, ed in particolare alla dichiarazione di pubblica utilit�, da essi del tutto autonomi, anche se attuativi delle previsioni degli strumenti urbanistici generali. Vero � che la partecipazione che si attua nei procedimenti di pianificazione in ordine alla destinazione urbanistica delle singole aree involge la parte essenziale della potestas decidendi degli enti territoriali competenti, ma � altrettanto certo che non la esaurisce. Se la destinazione urbanistica dell'area � questione gi� definita in sede di pianificazione urbanistica, il progetto dell'opera pubblica, che nel suo fieri � RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO. 446 preliminare e poi definitivo prima di divenire esecutivo, e la sua localizzazione di dettaglio sono altrettanti oggetti di potere amministrativo sui quali il contraddittorio ~ degli interessati pu� apportare elementi di valutazione non marginali ai fini della i~ Proporzionalit� e del buon andamento dell'azione amministrativa, specialmente ove ili esistano situazioni di interesse qualificato nelle quali una determinata ma non . ~.=,:� ineluttabile compressione del diritto di propriet� pu� implicare un sacrificio sproporzionato all'interesse pubblico. 8. -N�, attesi i profili generali implicati, il fatto che la partecipazione dei privati espropriandi sia talora strumentalmente diretta a fini meramente dilatori ovvero a conseguire un ristoro di tipo risarcitorio anzich� meramente indennitario pu� contrastare l'esattezza dei rilievi ora svolti in linea teorica. Sul piano effettuale, invece, considerato che il progetto dell'opera pubblica non scaturisce automaticamente dalle previsioni degli strumenti urbanistici generali (o attuativi), ma dipende da scelte progettuali discrezionali che si articolano, ora, in tre successivi livelli di approfondimenti tecnici, ci� che pi� da vicino concerne la civilt� giuridica � il fatto che, indipendentemente dall'eventuale informatio ad aures, il proprietario espropriando viene formalmente reso edotto dell'approvazione del progetto dell'opera pubblica soltanto al momento dello spossessamento del bene. La reazione dell'ordinamento a tale stato della questione � dimostrato, del resto, anche dal disegno di legge n. 1388a A.S., in seguito definitivamente approvato, il cui articolato contiene una disposizione (art. 3) che aggiunge al disposto dell'art. 6, Icomma 2, della legge n. 142/90 (�Nel procedimento relativo all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalit� stabilite dallo statuto�), con le I I I w. parole: �nell'osservanza dei principi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241�, un contenuto precettivo pi� penetrante. 9. -La disposizione sull'avviso di procedimento ha un duplice contenuto precettivo: diretto o indiretto, come criterio orientativo, a seconda del tipo di lacuna I che i singoli procedimenti presentano circa la disciplina della partecipazione. Nel caso della dichiarazione di pubblica utilit� implicita, il paradigma generale I di cui all'art. 1 della legge n. 1/78 � stato modificato dall'art. 4, comma 3, della legge n. 415/98, che ha precisato, per i casi di progetti di opere pubbliche non conformi a specifiche destinazioni di piano o relative ad opere ricadenti su aree non destinate a pubblici servizi o destinate a tipologie di servizi diverse da quelle cui si riferiscono le opere medesime e regolamentate con standard minimi da norme nazionali o regionali, la competenza del consiglio comunale per il progetto preliminare e quella della giunta comunale per il progetto definitivo e per quello esecutivo. Inoltre, l'art. 14, comma 13, della legge n. 109/94, nel testo modificato dall'art. 4, comma 1, legge n. 415/98, ha stabilito che � l'approvazione del progetto definitivo da parte di una amministrazione aggiudicatrice che equivale a dichiarazione di pubblica utilit�, indifferibilit� ed urgenza dei lavori. Ci� posto, va richiamato che il procedimento di dichiarazione di pubblica utilit� non � del tutto carente di disciplina di partecipazione, in quanto gli artt. 10 e 11 della legge n. 865/71 ne regolano la forma esplicita secondo il consueto modulo: deposito atti -osservazioni -decisione sulle stesse. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA In presenza del criterio orientativo del �giusto procedimento�, non par dubbio che le norme previste per la dichiarazione di pubblica utilit� esplicita debbano valere, in quanto compatibili, per la dichiarazione implicita. La disposizione dell'art. 11, pertanto, � inapplicabile nella parte in cui postula la pronuncia di uno specifico decreto di dichiarazione di pubblica utilit� da parte di un'autorit� -il presidente della giunta regionale -diversa da quella istituzionalmente competente alla realizzazione dell'opera pubblica. A parte ci�, non vi sono ostacoli a che, prima dell'approvazione del progetto definitivo, che equivale a dichiarazione di pubblica utilit�, urgenza ed indifferibilit�, si svolga dinanzi all'organo competente, secondo la sequenza: deposito atti -osservazioni -decisione sulle stesse, il giusto procedimento: quest'ultimo, infatti, resiste alla sostituzione di una decisione pluristrutturata con una monostrutturata, come gi� nella vicenda della soppressione dell'approvazione regionale sugli strumenti urbanistici attuativi (art. 24 legge n. 4 7 /85), che ha devoluto all'organo comunale la competenza a decidere le osservazioni degli interessati. A questi fini, la disposizione sull'avviso di procedimento ha l'effetto non di imporre la sua disciplina generica, ma di orientare all'applicazione analogica di una disciplina specifica. Per contro, nel caso di procedimenti di massa � applicabile in materia l'art. 8, comma 3, legge n. 241/90, secondo cui �qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicit� idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima�: norma di chiusura dell'ordinamento, che, in presenza di ipotesi marginali di procedimenti di massa, ove sussista un pericolo concreto di pregiudizio all'interesse pubblico, rende possibile lo svolgimento sollecito del procedimento indipendentemente dalla comunicazione personale, con applicazione soggetta al controllo giurisdizionale. 10. -Ci� detto, appare conseguente affermare che il giusto procedimento, ove attuatosi nell'ambito della dichiarazione di pubblica utilit�, non ha ragion d'essere nell'occupazione d'urgenza. Ci� non tanto perch� vi osti il presupposto dell'urgenza: ogni approvazione del progetto di un'opera pubblica equivale ope legis a dichiarazione di urgenza ed indifferibilit�, mentre l'urgenza che costituisce impedimento alla comunicazione dell'avviso dei procedimento � un'urgenza qualificata. Ma piuttosto perch� il giusto procedimento ha ragion d'essere nell'ambito della dichiarazione di pubblica utilit�, che conserva momenti di scelte discrezionali, ma non pi� nell'ambito dell'occupazione d'urgenza, meramente attuativa dei provvedimenti presupposti. Dal rigetto del primo motivo, attinente ad un capo autonomo della sentenza, restano conseguentemente assorbiti i motivi secondo e terzo, il cui accoglimento non potrebbe impedire l'annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado. Privo di pregio � il quarto motivo, con cui l'appellante principale lamenta la condanna alle spese in primo grado. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 448 La condanna alle spese, infatti, si giustifica in base alla soccombenza nei confronti di entrambi i provvedimenti impugnati, di cui l'appellante principale aveva sostenuto in giudizio la legittimit� e che la sentenza di primo grado ha annullato: l'occupazione d'urgenza, che era stata disposta per l'appunto a favore dell'appellante, e la dichiarazione di pubblica utilit�, che ne era il presupposto. Per le suesposte considerazioni, l'appello principale va respinto. Resta conseguentemente assorbito l'appello incidentale. (omissis) CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 18 novembre 1999 n. 22 -Pres. Laschena -Est. Di Napoli -D'Andrea e Sambati (avv. Campagnola) c. Ministero di Grazia e Giustizia ( avv. Stato Sclafani). Impiego pubblico -Impiegato dello Stato e pubblico -Qualifica e funzioni Funzioni superiori esercitate al di fuori di un provvedimento di nomina o di inquadramento -Eccezionalit� -Ragioni. Impiego pubblico -Impiegato dello Stato e pubblico -Qualifica e funzioni � Art. 2126 e art. 2103 e.e. -Applicabilit� -Limiti. Impiego pubblico � Impiegato dello Stato e pubblico � Qualifica e funzioni Retribuzione in virt� della diretta applicazione dell'art. 36 Cost. Esclusione. Le mansioni svolte dal dipendente e superiori rispetto a quelle attribuite con il provvedimento di nomina e di inquadramento sono del tutto irrilevanti sia ai fini economici sia di progressione in carriera, salvo che in presenza di una legge speciale che disponga diversamente. Non � invocabile, al fine di rendere rilevanti le mansioni svolte da un pubblico dipendente, l'art. 2126 e.e. che riguarda il diverso caso di svolgimento di attivit� lavorativa da parte di chi non � qualificabile come pubblico dipendente ed afferma il principio della retribuibilit� del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato; n�, tanto meno, l'art. 2103 e.e. come modificato dall'art. 13 dello Statuto dei Lavoratori, in quanto l'obbligo di adeguare il trattamento economico alle mansioni esercitate si applica al settore del pubblico impiego solo nei limiti previsti da norme speciali. Il riconoscimento ai fini economici delle mansioni superiori svolte in via di mero fatto non pu� trovare fondamento nell'art. 36 Cost. che sancisce il principio della corrispondenza della retribuzione alla qualit� e quantit� del lavoro prestato, n� pu� trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito principi di pari rilevanza costituzionale (artt. 97 e 98 Cost.) (1). (1) Lo svolgimento di mansioni superiori da parte dei pubblici dipendenti prima della c.d. privatizzazione del pubblico impiego: la parola fine dell'Adunanza Plenaria n. 22 del 1999. Con la sentenza qui annotata il Consiglio di Stato riunito in Adunanza Plenaria, tornando a pronunciarsi sulla vexata quaestio delle mansioni superiori svolte dal pubblico dipendente in via PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 449 (omissis) La sentenza appellata ha disconosciuto il diritto dei ricorrenti, impiegati di ruolo del Ministero di Grazia e Giustizia, ad una retribuzione corrispondente alle mansioni superiori esercitate per l'inapplicabilit� al pubblico impiego dell'art. 13 dello Statuto dei lavoratori e dell'art. 2126 codice civile. Ha altres� escluso l'applicabilit� diretta al pubblico impiego dell'art. 36 Costituzione. di mero fatto, ovvero al di fuori di un formale provvedimento di nomina o di inquadramento, sancisce il definitivo consolidarsi dell'orientamento giurisprudenziale volto ad affermare, con riferimento ai dipendenti statali, il principio della irrilevanza, anche ai fini economici, dello svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza. La sentenza, che riguarda le fattispecie insorte nel periodo precedente la riforma operata dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 -la cui applicazione � stata comunque rinviata dal Legislatore all'approvazione dei contratti collettivi riguardanti i singoli ordinamenti -segna comunque uno spartiacque tra il periodo precedente e quello successivo alla c.d. privatizzazione del pubblico impiego la quale, dunque, reca tra le principali novit� anche il riconoscimento in via di principio, del diritto del dipendente alla retribuzione propria della qualifica nella quale si sono svolte le mansioni, seppure nei limiti e con i presupposti previsti dalla nuova normativa. Secondo i princ�pi generali sul pubblico impiego la possibilit� per il dipendente di conseguire un migliore trattamento economico collegato alle mansioni effettivamente svolte, trovava il principale ostacolo nel dettato normativo di cui all'art. 31 del T.u. n. 3 del 1957, disposizione in base alla quale l'esercizio di mansioni superiori non comporta la corresponsione del trattamento economico superiore a quello spettante al prestatore nella qualifica di appartenenza. In virt� di tale disposizione, la giurisprudenza amministrativa era pressocch� unanime, fino agli anni '80, nel negare il preteso riconoscimento delle mansioni individuando ulteriori ragioni di diniego anche in diversi argomenti, di volta in volta individuati: -nell'indisponibilit� degli interessi pubblici coinvolti; -nel carattere formale da cui � caratterizzata l'organizzazione della P.A.; -nella necessaria osservanza della regola del pubblico concorso nell'assunzione dei dipendenti. Tra le sentenze pi� significative a sostegno dell'orientamento tradizionale si segnalano: Cons. Stato, Sez. IV, 15 ottobre 1990 n. 768; Cons. Stato, Sez. V, 18 gennaio 1995 n. 89; Cons. Stato, Sez. V, 22 marzo 1995 n. 452; Cons. Stato, Sez. VI, 27 gennaio 1996 n. 134; Cons. Stato, Sez. IV, n. 28 ottobre 1996 n. 1157; Cons. Stato, Sez. IV, 17 giugno 1997 n. 647. Tale principio, in tempi pi� recenti, si � sempre pi� andato incrinando sotto i colpi decisivi di una serie di statuizioni della Corte costituzionale che, sebbene intervenuta su casi specifici e relativi alla legittimit� di disposizioni applicabili nei soli confronti del personale sanitario, sanciva per la prima volta la possibilit� di applicare l'art. 36 Cost., primo comma, al rapporto di lavoro affermando che, ove l'assegnazione temporanea a mansioni superiori ecceda il periodo previsto dalla legge in materia (60 gg. ex art. 29, secondo comma, d.P.R. n. 761 del 1979) spetta al prestatore di lavoro -in via di applicazione diretta della disposizione costituzionale sopra richiamata e sulla base dell'art. 2126, primo comma, e.e. -il trattamento economico corrispondente all'attivit� svolta (Corte Cost. 23 febbraio 1989 n. 57; ordinanza 26 luglio 1988 n. 908 e 19 giugno 1990 n. 296; ma si veda, pi� di recente, e con riferimento all'art. 97 Cost., anche Corte Cost. 20 luglio 1994 n. 313 ove si legge che �anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore, comportando l'accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni pi� elevate � una figura di reclutamento soggetta alla regola del pubblico concorso�). Il pensiero evolutivo della Corte verr�, pertanto, immediatamente seguito dalla giurisprudenza amministrativa che, in particolare con l'Adunanza plenaria n. 2 del 16 maggio 1991, mutando parzialmente l'orientamento espresso proprio in sede di remissione alla Corte RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 450 Gli appellanti hanno riproposto la domanda di adeguamento della retribuzione alle superiori mansioni esercitate. Deducono al riguardo la violazione dell'art. 13 dello Statuto dei lavoratori, dell'art. 2126 cod. civ., dell'art. 36 della Costituzione, nonch� di note decisioni della Corte costituzionale (nn. 57/1989 e 296/1990) e del Consiglio di Stato (A.P. n. 2/1991). La Quarta Sezione reputa condivisibile in via di principio la tesi difensiva dell'Amministrazione, che adduce l'impossibilit� di attribuire il maggior trattamento economico corrispondente alle funzioni superiori svolte in ipotesi diverse da quelle stabilite dal legislatore e riconosciute dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e di questo Consiglio. Tuttavia, ha deferito la questione all'Adunanza Plenaria sul presupposto che potrebbe esservi spazio per una diversa interpretazione, anche per la peculiare situazione degli appellanti, giacch� nella fattispecie lo svolgimento di mansioni superiori, assegnate con atto formale su posto vacante e disponibile, si � protratto nel tempo. Costituzionale -essendo venuto meno l'apparente contrasto tra l'art. 29 della legge n. 761/ 1979 e l'art. 36 Cost. -finisce col riconoscere il trattamento economico corrispondente alla qualit� del lavoro svolto (per il successivo r�virement dello stesso Consiglio di Stato anche con riferimento ai dipendenti del S.S.NN. si veda Cons. Stato, Sez. V, 19 marzo 1999 n. 290 in questa Rassegna, nn. 1-2/1999, 140 ss.). Bench� le considerazioni della Corte Costituzionale fossero riferite a ben altre situazioni regolate da norme speciali, successivamente alle decisioni sopra richiamate, la giurisprudenza amministrativa tenter� pi� volte di incrinare il principio di cui all'art. 31 del t.u. imp. civ. arrivando anche ad affermare l'inesistenza, nell'ambito del pubblico impiego in generale, di un principio che impedisca di riconoscere la maggiorazione retributiva delle prestazioni che eccedano la qualifica formalmente rivestita e ritenendo che, diversamente opinando, si violerebbe il principio della corrispondenza del trattamento economico ad una attivit� concretamente svolta (in tal senso v. I Cons. Stato, Sez. VI, 18 luglio 1997 n. 1123; Cons. Stato, Sez VI, 22 aprile 1997 n. 655). Peraltro, pur nella estremit� di tali affermazioni la giurisprudenza amministrativa, affinch� lo svolgimento di fatto di mansioni superiori potesse assumere rilevanza, ai fini economici, tendeva comunque a I subordinare il dedotto riconoscimento alla sussistenza di un atto formale di incarico, il rapporto di pubblico impiego nascendo, modificandosi ed estinguendosi attraverso atti dell'Amministrazione e ci� anche nel caso in cui le mansioni superiori venissero attribuite in relazione ad esigenze temporanee (tra le tante, Cons. Stato, 4 novembre 1992 n. 351, ma v. anche: Cons. Stato, Sez. V, 18 maggio 1998 n. 611, ove il riconoscimento delle differenze retributive viene comunque ad essere subordinato alla indefettibile condizione, non derogabile a causa del carattere formale della P.A., che le mansioni medesime corrispondano ad un posto previsto nella pianta organica dell'ente e che sussista l'obbligo per il dipendente di esercitarle). A prescindere dall'orientamento, comunque minoritario, tendente al riconoscimento tout court delle mansioni di fatto anche al di fuori di una espressa previsione normativa restava, comunque, nel sistema previgente l'emanazione del d.lgs. n. 29/93, la difficolt� di ritenere direttamente applicabile l'art. 36 della Costituzione, nascendo l'impiego pubblico da un atto autoritativo, il provvedimento di nomina, essendo tale rapporto regolato in ogni sua fase dalla legge, e mancando, oltretutto, in tale sistema, una norma analoga a quella di cui all'art. 2099 e.e. che consente al solo Pretore del lavoro (odierno Tribunale) -a differenza del giudice amministrativo -di integrare la disciplina normativa al fine di garantire il rispetto del principio della giusta retribuzione (in dottrina, sulla problematica delle mansioni superiori nell'ambito generale del pubblico impiego: La riforma del pubblico impiego, di O. FORLENZA, G. TERRACCIANO, I. VoLPE; SALA: Ancora sulle mansioni di fatto degli impiegati pubblici alla luce dello Statuto dei Lavoratori, in Giur. Amm., 1983, 52). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 451 La Sezione rimettente pone in risalto -� questo l'argomento centrale dell'ordinanza -che l'assegnazione del dipendente a mansioni superiori non confligge con principi basilari dell'ordinamento, ma solo con la stretta legalit�, e con l'organizzazione, che �ncora la retribuzione del dipendente al suo incardinamento nell'ente ed ai corrispondenti meccanismi di erogazione della spesa, basati su ruoli di spesa fissa. L'insieme dei predetti criteri non attiene a principi giuridici o etici fondamentali dell'ordinamento, ma a disposizioni normative soggette all'evoluzione della struttura del pubblico impiego. Il problema sottoposto a questa Adunanza consiste dunque nel verificare la retribuibilit� o meno del servizio prestato dal pubblico dipendente per adempiere compiti di una superiore qualifica. Al riguardo vanno richiamate alcune recenti decisioni, sintomatiche della soluzione negativa del problema, emergente in modo sempre pi� netto nella giurisprudenza di questo Consiglio. Tale orientamento, con le puntuali ed esaurienti motivazioni che lo sorreggono, merita di essere condiviso in questa sede, perch� nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento consente la retribuibilit� in via di principio delle mansioni superiori comunque svolte nel campo del pubblico impiego. Si � anzitutto affermato che nel relativo ambito le mansioni svolte dal dipendente, superiori a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento, sono del tutto irrilevanti ai fini sia economici sia di progressione in carriera, salvo che la legge non disponga altrimenti. Ci� in quanto il rapporto di pubblico impiego non � assimilabile al rapporto di lavoro privato, perch� gli La decisione qui annotata, dunque, si segnala per la chiarezza con cui sgombra il campo dalle suggestioni derivanti sia dalle statuizioni della Corte regolatrice sia dagli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati e via via consolidatisi con riferimento, in particolare, al personale sanitario (Cons. Stato, Sez. IV, 4luglio1996 n. 817; Cons. Stato, Sez. V, 12 marzo 1996 n. 265; Cons. Stato, Sez. V, 18maggio1998 n. 608; Cons. Stato, Sez. V, 18 maggio 1998, n. 611), eliminando ogni possibilit� di fondare il riconoscimento delle superiori mansioni tanto sull'art. 2103 e.e. quanto sull'art. 2126 e.e. Se la prima norma, per la verit�, non aveva mai conseguito particolare successo nel campo del pubblico impiego, specie nella parte che prevede il diritto alla promozione automatica, ben diverso favore aveva riscontrato il richiamo, operato dai ricorrenti interessati, alla disposizione civilistica. L'Adunanza plenaria, tuttavia, riprendendo argomenti gi� enunciati in Cons. Stato, Sez. V, 17 maggio 1987 n. 515, riconduce l'art. 2126 e.e. nell'alveo che gli appartiene ovvero al caso di lavoro prestato sulla base di un atto nullo o annullato ricordando che, in ogni caso, non � possibile in sede amministrativa disapplicare gli atti di nomina o di inquadramento emanati in conformit� di leggi e di regolamenti o, comunque, divenuti inoppugnabili. La previsione, ad opera del d.lgs. n. 29 del 1993, di una disciplina generale dello svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza che sostanzialmente recepisce i principi gi� affermati dalla giurisprudenza in materia dovrebbe, dunque, segnare la fine del dibattito giurisprudenziale segnalato in materia negli ultimi anni, trovando nelle previsioni degli artt. 56 e 57 (come modificati dai successivi interventi normativi di cui all'art. 25 d. lgs. n. 80 del 1998 e dal d. lgs. n. 387 del 1998) -sebbene rinviate nella loro applicazione alla emanazione dei contratti collettivi nei singoli ordinamenti di settore -la sua definitiva sistemazione. PAOLA PALMIERI RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO� 452 interessi coinvolti hanno natura indisponibile ed anche perch� l'attribuzione delle mansioni e del correlativo trattamento economico devono avere il loro presupposto indefettibile nel provvedimento di nomina o di inquadramento, non potendo tali elementi costituire oggetto di libere determinazioni dei funzionari amministrativi (V Sezione, 30 ottobre 1997 n. 1219). Questo Consesso ha pure chiarito che, al fine di rendere rilevanti le mansioni superiori adempiute da un pubblico dipendente, non � invocabile l'art. 2126 cod. civ., il quale oltre a non dare rilievo alle mansioni svolte in difformit� dal titolo invalido, riguarda un fenomeno del tutto diverso (lo svolgimento di attivit� lavorativa da parte di chi non � qualificabile pubblico dipendente) ed afferma il principio della retribuibilit� del lavoro prestato sulla base di atto nullo o annullato. Esso, pertanto, non incide in alcun modo sui principi concernenti la portata dei provvedimenti che individuano il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici e non consente di disapplicare gli atti di nomina o di inquadramento, emanati in conformit� delle leggi e dei regolamenti, specie se divenuti inoppugnabili (V Sezione, 17 maggio 1997 n. 515). Il carattere supplementare ed integrativo dell'art. 2103 cod. civ., come sostituito dall'art. 13 legge 20 maggio 1970 n. 300 (cd. Statuto dei lavoratori), per quanto riguarda l'obbligo di adeguare il trattamento economico alle mansioni esercitate, � da tempo pacifico nella giurisprudenza di questo Consiglio. Sicch� tale norma pu� essere applicata al settore dell'impiego pubblico soltanto nei limiti previsti da norme speciali (V Sezione, 11 maggio 1989 n. 274). Il principio della irrilevanza giuridica ed economica dello svolgimento, in tutte le sue forme, di mansioni superiori nell'ambito del pubblico impiego -salvo che tali effetti derivino da un'espressa previsione normativa -� un dato acquisito alla giurisprudenza di questo Consiglio (vedi, tra le recenti: IV Sezione, 17 maggio 1997 n. 647; C.G.A.R.S. 27 maggio 1997 n. 197; V Sezione, 30 aprile 1997 n. 429, 24 marzo 1997 n. 290, 28 gennaio 1997 n. 99; VI Sezione, 26 giugno 1996 n. 860 e 10 febbraio 1996 n. 189). L'Adunanza Plenaria intende confermare il predetto orientamento e le argomentazioni che lo sostengono nella controversia deferitale (a cui resta estranea, come alla fine si vedr�, la pi� recente normativa), limitandosi a constatare che per i dipendenti dello Stato il principio � stato accolto dall'art. 33 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, laddove afferma che l'impiegato ha diritto allo stipendio ed agli assegni per carichi di famiglia �nella misura stabilita dalla legge�. Qualche ulteriore considerazione merita, a causa del continuo richiamo che ne fanno i ricorrenti quando agiscono per vedersi compensato l'espletamento di mansioni superiori, l'interrogativo se tale pretesa possa rinvenire il suo diretto fondamento nell'art. 36 Costituzione, che sancisce il principio di corrispondenza della retribuzione alla qualit� e quantit� del lavoro prestato. La norma, ad avviso del Collegio, non pu� trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale. Non solo l'art. 98 della Costituzione, nel disporre che �i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione�, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio, ma l'operativit� dell'art. 36 nell'ambito del pubblico impiego trova un limite invalicabile nell'art. 97 della Carta fondamentale. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA L'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita, infatti, contrasta con il buon andamento e l'imparzialit� dell'Amministrazione nonch� con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilit� proprie dei funzionari (regola di organizzazione necessaria all'applicazione dell'art. 28). Riguardo al buon andamento, � agevole osservare che l'opera di chi svolge mansioni superiori non pu� identificarsi con quella di chi appartiene ad un ruolo diverso e la cui maggiore qualificazione professionale, significativa di una pi� elevata qualit� del lavoro prestato, � stata oggettivamente accertata con apposita selezione concorsuale (che, a norma del terzo comma del citato art. 97, rappresenta la regola per l'accesso a pubblici impieghi). L'affidamento di mansioni superiori a pubblici dipendenti avviene spesso con criteri che non garantiscono l'imparzialit� dell'Amministrazione. L'art. 97, primo comma, autorizza al limite norme di organizzazione dei pubblici uffici che, per esigenze eccezionali di buon andamento dei servizi, consentono l'assegnazione temporanea di dipendenti a mansioni superiori alla loro qualifica senza diritto a variazioni del trattamento economico ( cfr. A.P., decisione 4 settembre 1997 n. 20). In conclusione, nell'ambito del pubblico impiego � la qualifica e non le mansioni il parametro al quale la retribuzione � inderogabilmente riferita, considerato anche l'assetto rigido della Pubblica Amministrazione sotto il profilo organizzatorio, collegato anch'esso, secondo il paradigma dell'articolo 97, ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spese pubblica. Ci� comporta che l'Amministrazione sia tenuta ad erogare la retribuzione corrispondente alle mansioni superiori solo quando una norma speciale consenta tale assegnazione e la maggiorazione retributiva, circostanza che manca nella fattispecie. Ovviamente, lo si rileva per completezza, il dipendente pu� reagire all'utilizzazione illegittima da parte della P.A. in mansioni superiori alla qualifica rivestita, utilizzando i rimedi anche giurisdizionali che l'ordinamento gli consente (ma senza poter accampare alcun diritto ad una indennit� aggiuntiva).ln tempi recenti l'art. 57 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 ha introdotto (in attuazione della delega legislativa contenuta nell'art. 2, lett. n), della legge 23 ottobre 1992, n. 421) una nuova, completa disciplina dell'attribuzione temporanea di mansioni superiori, riconoscendo entro certi limiti rilevanza economica a detta attribuzione, con disposizioni peraltro innovative del pregresso sistema nel quadro di �privatizzazione� del pubblico impiego (conforme Quarta Sezione, 12 novembre 1996 n. 1205). La norma, tuttavia, � stata abrogata dall'art. 43 del d.lgs. 31marzo1998 n. 80 senza avere avuto mai applicazione (la sua operativit� � stata pi� volte differita: da ultimo, al 31 dicembre 1998 con l'art. 39, comma 17, della legge 27 dicembre 1997 n. 449). La materia � ora disciplinata dall'art. 56 del d.lgs. n. 29/1993 (nel testo sostituito con l'art. 25 del d.lgs. n. 80/1998), che (come gi� l'art. 56, comma 2, nel testo originario) sembra confermare l'indirizzo elaborato dal Consiglio di Stato. Detta norma prevede espressamente la retribuibilit� dello svolgimento delle mansioni superiori, ma (6� comma) ne rinvia l'applicazione in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. �Fino a tale data, in nessun caso lo RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAT-0 454 svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza pu� comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici n"ell'inquadramento professionale del lavoratore� (art. 56 cit., 6� comma). Le parole �a differenze retributive O� sono state soppresse dall'art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387 (pubblicato sulla G.U. 7 novembre 1998 n. 261), ma ovviamente con effetto dalla sua entrata in vigore, sicch� l'innovazione, esulando dall'ambito temporale coinvolto dalla presente vertenza, non esplica su di essa alcuna efficacia. Per le considerazioni sin qui esposte gli appelli sono infondati e devono essere respinti. (omissis) CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 4 ottobre 1999, n.1510 -Pres. de Lise -Rel. La Medica -Brambilla e Colnago ( avv. Quadri, Berti, Lirosi) c. Ministero della Giustizia (avv. Stato G. Palmieri). Stato civile -Nome -Domanda di aggiunta di cognome -Provvedimento di diniego -Motivazione. Nel caso di richiesta di aggiunta di cognome il provvedimento che autorizza o nega l'aggiunta ha carattere discrezionale, ma � necessario che sia corredato di I i ~ una motivazione congrua e logica dalla quale si evincano le ragioni che hanno indotto l'Amministrazione a determinarsi. Pertanto, � illegittimo il provvedimento di diniego di aggiunta di cognome materno motivato sul rilievo che la medesima richiesta non si basa sull'intento di evitare l'estinzione del cognome materno e che la salvaguardia del patrimonio morale e di tradizioni mirava in effetti a consentire la continuazione dell'azienda di I cui il nonno materno � titolare (1). I I (1) La sentenza applica i principi elaborati dal costante indirizzo giurisprudenziale, secondo ;; il quale il diniego di autorizzazione al mutamento (o all'aggiunta di cognome) costituisce provvedimento eminentemente discrezionale (Cons. Stato, Sez. IV, 9 dicembre 1989, n. 906, in Cons. Stato, 1989, I, 1490; id., 6maggio1995, n.145, inForolt., 1995, III, con nota di richiami); discrezionalit� ancorata -secondo la dottrina -alla valutazione della meritevolezza della domanda di cui agli artt. 155 e 159 r.d. 9 luglio 1939, n. 1238, sull'ordinamento dello stato civile. Il sindacato giurisdizionale pu� essere, quindi, esercitato solo con riferimento al difetto di motivazione ed ai criteri seguiti nei relativi provvedimenti sotto il prof�o della loro idoneit� a perseguire e a tutelare gli interessi pubblici e privati in gioco (Cons. Stato, Sez. IY, 3.6.1997, n. 615, in Cons. Stato, 1997, I, 672; id., 25 gennaio 1999, n. 63, iv~ 1999, I, 38) ; soprattutto quando vi sia dissenso dagli atti istruttori (id., 6 ottobre 1984, n. 750, ivi, 1984, 1141). Il titolo VIII del r.d. n.1238/1939 cit., che disciplina �i cambiamenti e le aggiunte di nomi e cognomi�, distingue, al Capo I (artt. 153-157) il procedimento per i cambiamenti e le aggiunte di cognome che si conclude con il decreto del Ministro di Grazia e Giustizia, previa acquisizione dei prescritti pareri (Procuratore Generale e Consiglio di Stato); ed, al Capo II (artt. 158-162), il procedimento per i cambiamenti e le aggiunte di nomi e di cognomi in casi speciali, che si conclude con il decreto del Procuratore Generale della Corte d'Appello competente per territorio con riferimento all'atto di nascita. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 455 (omissis) 1. -L'appello � fondato. Il provvedimento che autorizza o nega l'aggiunta di cognome ha carattere discrezionale, dovendo lo stesso valutare e contemperare gli interessi pubblici e privati in materia; tale carattere non esclude, tuttavia, la necessit� di una motivazione congrua e logica da cui si evincano le ragioni che hanno indotto l'Amministrazione a determinarsi nel senso dell'accoglimento ovvero del rigetto dell'istanza di aggiunta di cognome. Come pi� volte affermato dalla giurisprudenza (v. le note sentenze del Tribunale di Firenze in data 8 aprile 1971, inGiur. It., 1971, I, 2, 968, con nota di E. BRUNORI, Diritto al completamento del cognome, e del Tribunale di Roma in data 18gennaio1984, inForolt., 1984, I, 2347), in ordine all'integrazione o al cambiamento di cognome si possono distinguere tre distinte procedure, due corrispondenti ai procedimenti summenzionati di cui al titolo VIII del r.d. n.1238/1939 cit., rispettivamente, agli artt. 153-164 ed avente natura di procedimento amministrativo, ed agli artt. 165-178, ed avente natura di procedimento camerale che si conclude con sentenza; mentre la terza assume le forme del procedimento ordinario di cognizione ogniqualvolta si debba procedere, come accade appunto nel caso di specie, ad accertamenti costitutivi influenti sullo stato delle persone (su tale distinzione cfr. TAR Lazio, Sez. I, 2 marzo 2000, n. 2075; in ordine al riparto di giurisdizione, Cass., Sezioni Unite Civili, 16 ottobre 1971, n. 2925, ivi, 1971, I, 2924; in dottrina i provvedimenti presidenziali in materia non sono ritenuti assimilabili agli atti di volontaria giurisdizione a causa di netti divari di disciplina, E. FAZZALARI, Giurisdizione volontaria, EdD, voi. XIX, 378). Si tratta di un'azione di tutela del diritto al nome, pi� esattamente di accertamento giudiziario del nome ed � proponibile con riferimento alla tutela di un diritto soggettivo perfetto dell'individuo a vedersi esattamente identificato e tutelato (artt. 6 e7 e.e.). Tale azione non � connessa soltanto all'uso del proprio nome o all'abuso che altri indebitamente ne facciano, ma pu� essere fatta valere in assoluto per una puntuale ricognizione della propria identit�. Nel vigente ordinamento costituzionale non trova alcuna tutela l'interesse a vedersi riconosciuta l'appartenenza, attraverso la famiglia, ad una determinata classe sociale o ad un determinato attributo nobiliare, ma trova piena tutela il diritto al nome completo, servendo ad individuare uno specifico gruppo familiare che pu� anche avere tradizioni storicamente e socialmente rilevanti. Se, infatti, la domanda pur prospettata come aggiunta di cognome, nascondesse in realt� un'azione di cognomizzazione di un predicato nobiliare, essa sarebbe inammissibile nel nostro ordinamento giuridico positivo, essendo precluso il riconoscimento del titolo nobiliare, al quale il predicato � connesso, per la dichiarata incostituzionalit� di tutta la legislazione araldiconobiliare del periodo monarchico (Corte Cost., 8 luglio 1967, n. 101, ivi, 1967, I, 1980). Va ricordato che secondo l'orientamento espresso in sede consultiva dal Consiglio di Stato e menzionato nella motivazione della sentenza in epigrafe, gli artt. 153 e 155 cit. non subordinano l'accoglimento delle domande di aggiunta al proprio cognome di quello materno alla circostanza che quest'ultimo sia in via di estinzione, essendo sufficienti ragioni di ordine affettivo e di convenienza economica (oltre al parere della Sez. III, indicato in sentenza, 4 dicembre 1984, n. 1492, in Cons. Stato, 1984, I, 1992, cfr., id., 2 giugno 1998, n. 134, ivi, 1999, I, 1048; id., 9 febbraio 1999, n.1056, ibidem, 1282). Infine, va rilevato che la sentenza del Consiglio di Stato che si annota ha risolto la questione in modo diametralmente opposto al TAR Lazio (sentenza 16 ottobre 1995, n. 1710, in 1'AR, 1995, I, 4436), annullandone la decisione, solo perch� ha dato una diversa valenza, pi� morale che economica, al profilo del collegamento dell'attivit� imprenditoriale del nonno che il nipote sarebbe destinato a continuare e che giustificherebbe in termini di �meritevolezza� l'aggiunta del cognome materno ed in tale prospettiva ha ritenuto illegittima la motivazione del provvedimento di diniego. GABRIELLA PALMIERI RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT(Y 456 I criteri su cui deve basarsi l'Amministrazione, ancorch� discrezionali, devono, invero, essere idonei a salvaguardare e contemperare gli interessi coinvolti; da un lato, quello pubblico a che i cognomi siano tendenzialmente stabili nel tempo; dall'altro, una pluralit� di interessi privati e, in particolare, quello del richiedente l'aggiunta del cognome, che pu� fondarsi sulle pi� svariate ragioni di ordine morale, economico, familiare, affettivo, ecc., e quello di chi � gi� portatore del cognome di cui altro soggetto chiede l'aggiunta, che potrebbe opporsi a quest'ultima. Deve, pertanto, ritenersi possibile il sindacato, da parte del giudice amministrativo, sui criteri seguiti nei provvedimenti che accordano o negano l'aggiunta di cognome, sotto il profilo della loro idoneit� a perseguire e tutelare gli interessi pubblici e privati sottesi (Cons. Stato, sez. IV, 25 gennaio 1999, n. 63 e 3 giugno 1997, n. 615). 2. -Nella specie, l'Amministrazione non ha accolto la domanda dei coniugi Brambilla di aggiungere il cognome materno di Colnago a quello del loro figlio Alessandro, sul rilievo che la medesima richiesta non si basava nell'intento di evitare l'estinzione del cognome materno e che la indicata salvaguardia del patrimonio morale e di tradizioni rappresentato dal cognome materno mirava in effetti a consentire la continuazione dell'azienda di cui il nonno materno � titolare. Siffatte ragioni non si appalesano idonee a sorreggere il contestato provvedimento di diniego. Anzitutto, il Collegio deve osservare che, allorquando, come nella specie, venga chiesta non la sostituzione del cognome originario del soggetto, bens� l'aggiunta allo stesso di un altro, l'Amministrazione deve considerare che, in linea di principio, tale aggiunta non incide negativamente sulla identificazione della persona nel contesto sociale e non ingenera pericolo di confusione, mantenendo, comunque, il soggetto anche l'originario cognome. Del resto, il divieto posto dall'art. 158 del r.d. 9 luglio 1939, n. 1238, di aggiungere al proprio cognome quello di un altro, non potrebbe applicarsi al caso in esame, perch� la norma riguarda la diversa ipotesi che il cognome richiesto abbia importanza storica o appartenga a famiglia illustre o nota, con la quale il richiedente non abbia alcun rapporto (Cons. Stato, sez. III, 13 novembre 1984, n. 1374). 3. -La circostanza, poi, che il cognome materno sia in via di estinzione non sembra che costituisca presupposto indispensabile per l'accoglimento della domanda di aggiunta di cognome, in quanto gli artt. 153 e 155 del citato r.d. n. 1238 del 1939 non fanno riferimento a tale requisito (Cons. Stato, sez. III, 4 dicembre 1984, n. 1492). �, comunque, evidente che il figlio degli appellanti � l'unico erede maschio e, quindi, in grado di tramandare il cognome di Colnago che, a causa dell'attivit� svolta dal nonno materno, ha una propria singolare validit� sotto il profilo storico familiare e nella tradizione locale; l'affectio nei confronti del nonno materno deve, perci�, ritenersi fuori di discussione, emergendo dalla stessa domanda di aggiunta del cognome l'intento di �godere delle tradizioni e del patrimonio morale attraverso l'uso del cognome della famiglia materna�. � appena il caso di aggiungere che il cognome che si illustra con una attivit� aziendale, come quello di Colnago, si giova necessariamente della continuit� nel PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 457 tempo della stessa attivit�; ma l'attivit� aziendale -nella specie, condotta in stretta aderenza a valore di agonismo sportivo -trascende la vicenda economica e costituisce idoneo motivo di una sua valorizzazione ideale, apprezzabile appunto nella sintesi tra il nome e lattivit� aziendale stessa. Tali ragioni andavano opportunamente valutate dall'Amministrazione e contemperate con il principio pubblico della stabilit� dei cognomi, considerando anche che il caso in esame riguarda l'aggiunta e non la sostituzione di cognome. Torna, pertanto, ad emergere l'illegittimit� del contestato provvedimento di diniego di aggiunta di cognome, sicch� il medesimo provvedimento deve essere annullato. 4. -In base alle pregresse considerazioni l'appello deve essere accolto e, per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza del TAR del Lazio (sez. I) 18 ottobre 1995, n. 1710, va annullato l'atto dei Ministero di grazia e giustizia -direzione generale affari civili e libere professioni 7 giugno 1991, prot. n. 1/43-214 (90) 975, impugnato con l'atto introduttivo del giudizio. (omissis) I CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, ordinanza 3-7 dicembre 1999, n. 2275 -Pres. Catallozzi -Rei. Lamberti -Costa Enrico (avv. Dalla Corte, Costa) c. Min. di Grazia e Giustizia ( avv. Stato Volpe). Concorso -Concorso per uditore giudiziario -Prova di preselezione informatica -Commissione di un solo errore -Domanda cautelare Ammissibilit� -Deferimento ali' Adunanza Plenaria. Va rimessa all'Adunanza Plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato la decisione del!' appello cautelare avverso l'ordinanza del 'IAR, che ha negato l'istanza cautelare per mancanza del �fumus boni iuris�, proposto dal candidato che aveva commesso un solo errore nella prova di preselezione informatica, nella considerazione di un possibile contrasto di decisioni della IV Sezione e dell'opportunit� che sulla questione -di massima importanza -si pronunci l'Adunanza Plenaria ai sensi degli artt. 45, comma 12 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e 71 e ss. r. d. 17.8.1907, n. 642. (1) (1) Va ricordato che con una serie di ordinanze in data 26 agosto 1999, il TAR Lazio, Sez. I, aveva rigettato, con motivazione sulla carenza di �fumus� e sull'insussistenza di vizi di legittimit� costituzionale, le istanze cautelari proposte da candidati, che avendo commesso solo errore nella prova di preselezione informatica, non erano stati ammessi a sostenere le prove del concorso. Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con 16 coeve ordinanze in data 28 agosto 1999 e con altre in data 12 novembre 1999, ha accolto gli appelli, motivando, a prescindere da ogni rilievo di razionalit� del sistema ed alla legittimit� della relativa normativa, sulla sussistenza del �fumus boni iuris� quanto all'oggetto dei quesiti ed alle modalit� di espletamento della prova preliminare; dubitando, altres�, del conseguimento dell'obiettivo prefigurato in sede normativa RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STPJO .. 458 II CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., ordinanza 20 dicembre 1999, n. 2 -Pres. Laschena -Rei. C. Salvatore -Costa Enrico (avv. Dalla Corte, Costa) c. Ministero di Grazia e Giustizia (avv. Stato G. Palmieri) con gli interventi ad adiuvandum di Poerio Antonio e Bertuletti Marisa ( avv. Scoca, Gagliardi La Gala) e ad opponendum di Vecchi Francesca (avv. C. laccarino). Concorso -Concorso per uditore giudiziario -Prova di preselezione informatica -Commissione di un solo errore -Domanda cautelare Concessione come forma di controllo diffuso di costituzionalit�. Al fine di conciliare il carattere accentrato del controllo di costituzionalit� delle leggi con il principio di effettivit� della tutela giurisdizionale, non pu� escludersi, quando gli interessi in gioco lo richiedano, una forma limitata di controllo diffuso che consente la concessione del provvedimento di sospensione, rinviando alla fase di merito, alla quale il provvedimento cautelare � strumentalmente collegato, il controllo della Corte Costituzionale, con effetti erga omnes (2). consistente nell'accertamento dei requisiti culturali dei candidati e, soprattutto, affermando che le predette considerazioni �assumono decisivo rilievo in relazione alla circostanza che il candidato ha commesso un solo errore�. �appena il caso di rilevare che il criterio cos� enunciato dal Consiglio di Stato non � contenuto in alcuna norma di disciplina della materia, n� � sorretto da alcuna motivazione che dia conto del ragionamento seguito, tanto che alcuni TAR, ad esempio il TAR Calabria -Sezione Staccata di Reggio Calabria (cfr. per tutte, ordinanza 13 ottobre 1999, n. 918), non l'hanno seguito ed hanno ammesso tutti i ricorrenti con riserva indipendentemente dal numero degli errori commessi. Pertanto, in tutte le difese per le udienze camerali, � stato sottolineato da parte dell'Avvocatura dello Stato, come fosse opportuna una rimeditazione dell'intera vicenda, in base ad alcune considerazioni, fatte, poi, proprie dal giudice rimettente, sia con riferimento al numero esiguo dei casi all'epoca esaminati in appello (16) rispetto al numero dei ricorsi pendenti (circa 500); sia con riferimento al fatto che non sembravano ipotizzabili disparit� di trattamento tra candidati collocati nella stessa posizione, atteso che, comunque, non tutti gli esclusi con un errore hanno proposto ricorso giurisdizionale e che l'Amministrazione, in base al chiaro disposto normativo di cui all'art. 123 bis r.d. 30 gennaio 1941, all'art. 6 d.m. 1� giugno 1998, n. 228 e all'art. 7 d.m. 9 dicembre 1998 non � tenuta ad ammettere con riserva tutti coloro i quali versano nella stessa situazione di fatto. L'ordinanza in epigrafe si segnala non solo per la puntuale ricognizione dell'intera vicenda processuale, ma anche per il lodevole intento di rendere pi� chiaro il nebuloso quadro di riferimento disegnato dal giudice amministrativo d'appello. (2) Se l'ordinanza di remissione n. 2275/99 aveva lo scopo di chiarire in modo definitivo la complessa vicenda e fornire un univoco punto di riferimento, pu� dirsi senza dubbio che lo scopo non � stato raggiunto (sul profilo della rilevanza della contestazione della legittimit� costituzionale della legge applicata dall'Amministrazione ai fini della tutela cautelare cfr., A.M." SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, Napoli, 1989, 1423; A. ROMANO, Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, 635 ); tanto che, successivamente alcuni TAR (Campania, Lombardia, Calabria) non si sono uniformati ed hanno continuato a concedere provvedimenti cautelari senza distinguere quanto al numero degli errori. PARTE I, SEZ. IY, GIURISPRUDENZA AMMINIS1RATIVA 459 I (omissis) Vista l'ordinanza di reiezione della domanda incidentale di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato in primo grado; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero di grazia e giustizia; Udito il relatore Cons. Cesare Lamberti e uditi altres� per le parti gli avvocati Romanelli su delega dell'Avv. Dalla Corte e l'avvocato dello Stato Volpe. Tenuto conto che il ricorrente non � stato ammesso a partecipare alle prove scritte_ del concorso, avendo sbagliato una sola risposta �difficile� alla preselezione mediante quiz; preso atto che il ricorso si basa sulla circostanza che la fattispecie � perfettamente sovrapponibile a quella decisa (per lo stesso concorso e per l'identit� della situazione Va, infatti, sottolineato che � rimasto irrisolto non solo e non tanto il punto essenziale attinente alla rilevanza dell'unico errore sul quale l'A.P. si � espressa in definitiva soltanto �de relato�, ritenendo �di dovere confermare l'orientamento espresso con le ordinanze richiamate in premessa�, e, cio�, quelle in data 28 settembre 1999 e 12 novembre 1999 gi� ricordate, ma anche e soprattutto quello -sollevato dall'Avvocatura dello Stato -riguardante la mancata notifica dei ricorsi di primo grado ad almeno uno dei controinteressati, rappresentati dai candidati utilmente collocati nella graduatoria stilata all'esito della prova di preselezione, essendo evidente che questi ultimi hanno un interesse qualificato e non di mero fatto al mantenimento di una partecipazione al concorso in questione numericamente limitata, come previsto dalla legge e dal bando di concorso, e, comunque, alla conservazione della procedura (sul profilo della rilevanza anche nel procedimento cautelare del principio del contraddittorio, cfr. F. LUBRANO, Il giudizio cautelare amministrativo, IERI, Roma, 1997, 67 e ss. ). Occorre, perci�, menzionare due significative circostanze: la prima che il TAR Lazio ha accolto la tesi sopra illustrata ed ha dichiarato inammissibili le istanze cautelari proposte da chi non aveva notificato il ricorso di primo grado ad almeno un controinteressato; la seconda che al giudizio innanzi all'Adunanza Plenaria ha partecipato in qualit� di interventore ad opponendum una delle candidate utilmente classificatasi all'esito della prova di preselezione informatica, anche al fine di far valere tale eccezione e l'inammissibilit� per tardivit� delle censure proposte nel ricorso di primo grado, attesa l'immediata lesivit� dei provvedimenti impugnati. Successivamente il Consiglio di Stato ha ribadito che l'ammissione con riserva andava circoscritta ai soli candidati che hanno commesso un errore (Sez. IV, 25 gennaio 2000, n. 264; 7 marzo 2000, n. 1178) e che la mancata notifica al controinteressato determina la reiezione dell'istanza cautelare (id., n. 255/00). Infine, il Consiglio di Stato ha accolto la tesi secondo la quale permane l'interesse dell'Amministrazione alla decisione dei ricorsi in appello avverso le ordinanze dei TAR diversi dal TAR Lazio, pur dopo l'espletamento delle prove scritte del concorso in questione, svoltesi il 23, 24 e 25 febbraio 2000, ed anche se l'appellato ha partecipato alle prove scritte, portandole a termine. Infatti, accolto l'appello dell'Amministrazione, da un lato, la tutela cautelare non si estender� sino all'ammissione con riserva alle prove orali del candidato stesso; dall'altro, si sar� ripristinata la <<par condicio� fra i candidati, atteso che il candidato non avrebbe dovuto, in ossequio all'orientamento ormai consolidato in materia del Consiglio di Stato, proprio partecipare alle prove scritte in considerazione del numero di errori commessi nella prova di preselezione informatica ( cfr. per tutte, decisioni cautelari del Consiglio di Stato, Sez. IV, nn. 1121, 1122, 1123, 1124, 1125 in data 29 febbraio 2000, nn. 1178 e 1179 in data 7 marzo 2000 e n. 1290 in data 14 marzo 2000). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO� 460 dei ricorrente a quella della dottoressa Teresa Cofano) da questo Consiglio con ordinanza n. 1920 del 28 settembre 1999; che nello stesso senso si sono pronunciate, in pari data, anche le ordinanze nn. 1769, 1784, da 1902 a 1910, da 1912 a 1915, 1917, 1921, nonch�, in data 12 novembre 1999, le ordinanze da n. 2111 a n. 2114; rilevato -in ordine al fumus boni iuris -che il Collegio non reputa di poter far proprio l'orientamento espresso nei citati provvedimenti cautelari, specialmente in considerazione di quanto dispongono l'art. 123 bis, 4 comma, del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (ordinamento giudiziario), nel testo novellato dall'art. 2 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, nonch� l'art. 17 del medesimo decreto; rilevato che in senso diverso, rispetto alle citate ordinanze, si era espressa la Sezione consultiva per gli atti normativi nel parere n. 71 del 1998; rilevato che, nella fase transitoria e sino all'emanazione del decreto ministeriale attestante la avvenuta formazione della banca dati ad opera della commissione La prova di preselezione informatica nel concorso per uditore giudiziario 1. Nella nota di commento alle pronunce cautelari del TAR e del Consiglio di Stato in tema di prova preselettiva al concorso da notaio (in questa Rassegna, 1999, I, IV, 194 e ss.) si era gi� anticipato che lo stesso strumento di preselezione a quiz sarebbe stato poi utilizzato anche per il concorso da uditore giudiziario maggiormente caratterizzato da una partecipazione oceanica di candidati e dove, per ci�, eventuali decisioni cautelari favorevoli ai ricorrenti avrebbero avuto l'effetto di alterare gravemente l'esito della prova di preselezione stessa. Va ricordato che la prova di preselezione per il concorso di uditore � modellata sull'analoga prova prevista per il concorso da notaio. Infatti, l'art. 123 bis, 4� comma, del r.d. 30 gennaio 1941, come modificato dall'art. 2 del d.lvo 17 novembre 1997 n. 398, che ha introdotto la prova di selezione informatica nel concorso per uditore giudiziario, prevede che, oltre ai candidati contemplati nel successivo comma 5� che sono esonerati dalla prova di preselezione, � ammesso a sostenere le prove scritte un numero di candidati pari a cinque volte i posti messi a concorso, secondo la graduatoria formata in base al punteggio conseguito da ciascun candidato nella prova di preselezione. Nel caso di specie il concorso � stato bandito con d.m. 9 dicembre 1998 per 350 posti e, quindi, il numero di candidati ammesso doveva essere pari a 1750 unit�. All'esito delle prove di preselezione � risultato che 3024 candidati hanno riportato il punteggio massimo di 75,00 e, pertanto, sono stati tutti ammessi a sostenere le prove scritte, pur essendo stato superato il numero di 1150, perch� il 4� comma dell'art. 123 bis citato prevede espressamente che sono comunque ammessi alle prove scritte i candidati classificati �ex aequo� rispetto all'ultimo che risulterebbe ammesso in base al punteggio conseguito nella prova di preselezione. Come era gi� accaduto nel caso della prova di preselezione al concorso da notaio, ne deriva, perci�, che anche il candidato che ha sbagliato una sola domanda non ha potuto comunque essere collocato utilmente nella graduatoria, perch� preceduto da ben oltre 3000 candidati con punteggio maggiore che hanno esaurito il contingente da ammettere alle prove scritte. Il meccanismo introdotto dalla legge n. 398/97 � stato completato dai regolamenti di attuazione ( d.m. 1 � giugno 1998, n. 228 emanato ex art. 17, 3 � comma, legge n. 400/88 e d.m. 16 ottobre 1998) e dal bando di concorso. Peraltro, con parere n. 71/98, il Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli atti normativi, nell'adunanza del 4 maggio 1998, aveva condiviso espressamente la scelta dell'Amministrazione di disciplinare con tali modalit� la prova di preselezione e soprattutto di utilizzare l'archivio provvisorio dei quesiti di cui all'art. 17, 3� comma, d.lvo n. 398/97, gi� predisposto per il concorso da notaio, attesa la necessit� di assicurare il buon andamento dell'amministrazione garantendo in tempi brevi la copertura dei posti vacanti nell'organico della Magistratura. PARTE I, SEZ. IY, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 461 permanente per la creazione e l'aggiornamento dell'archivio informatico delle domande per la prova preliminare, l'art. 17, comma 4, del su menzionato decreto legislativo n. 398, autorizza la creazione di un archivio provvisorio delle domande, utilizzando archivi di domande gi� predisposti per l'accesso ad altri concorsi, anche se aventi ad oggetto una sola delle materie della prova scritta, eventualmente modificandole per adattarle ai criteri contenuti nel decreto ministeriale 1 � giugno 1998, n. 228, che prevede la suddivisione dei quesiti in gruppi distinti per materia e per grado di difficolt�; 2. In concreto le modalit� di svolgimento della prova di preselezione sono state dettate allo scopo di dotare il sistema di meccanismi che impediscano l'individuazione della sequenza dei quesiti e delle chiavi di accesso al sistema stesso. Come gi� era avvenuto per la prova preselettiva notarile, i quesiti sono stati generati randomicamente solo al momento dell'inserimento della card da parte del singolo candidato per il quale la postazione � stata sorteggiata al momento dell'ingresso del candidato nella sala, assicurando cos� non solo parit� di trattamento, ma soprattutto rendendo impossibile qualsiasi manipolazione. Riguardo al numero di sessioni con le quali si � svolta la prova di preselezione, sul quale si sono dirette le censure di quasi tutti i ricorsi, va osservato che l'art. 3 del d.l. 21 settembre 1998, n. 328, convertito con modificazioni dalla legge 19 novembre 1998, n. 399, a modifica del citato art. 123 bis, dispone che per i primi tre anni la prova preliminare ha luogo a Roma o in sedi decentrate. L'art. 4, 2� comma, del d.m. 1� giugno 1998, n. 228 citato prevede che la prova si svolga per gruppi di candidati in numero non superiore a 660 per ciascuna sessione, divise, previo sorteggio ed in base al calendario secondo l'ordine alfabetico del loro cognome, (nel caso di specie � stata sorteggiata la lettera I). Su tale presupposto normativo � stato emanato il d.m. 1� aprile 1999 che ha stabilito il diario della prova preliminare. Per evidenti ragioni di capienza dell'aula informatica sede di svolgimento della prova sono stati convocati 160 candidati per ogni sessione con la previsione di tre sessioni al giorno. La suddivisione degli oltre 25.500 candidati in gruppi distribuiti in due mesi di prove � pertanto la diretta conseguenza dell'applicazione delle norme surrichiamate e dell'elevatissimo numero di partecipanti. Inoltre, il numero delle sedute espletate nel predetto arco temporale ha tenuto conto della necessit� di rielaborare le postazioni informatiche attribuite proprio per evitare sequenze di quesiti simili. In ogni caso, l'archivio dei quesiti � stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 12 gennaio 1999 e le ulteriori modifiche ad esso apportate nella Gazzetta Ufficiale del 23 febbraio e del 16 aprile 1999. Se si considera che le prove hanno avuto inizio nel maggio 1999, si pu� ragionevolmente sostenere che tutti i candidati abbiano avuto un lasso di tempo pi� che adeguato per approfondire i quesiti in esso contenuti, nel pieno rispetto del principio di uguaglianza e a salvaguardia della �par condicio� fra tutti i candidati. 3. La soluzione adottata dal giudice amministrativo di secondo grado appare pi� che altro dettata dall'intento di risolvere in via equitativa con l'adozione di un criterio empirico la vicenda e forse anche dallo scopo di inviare un segnale di generale �sfavore� nei confronti di tale meccanismo informatico, rendendosi interprete sia della prevenzione concettuale nutrita da una parte degli stessi operatori del settore, sia della sfiducia e del sentimento di �impotenza� dei candidati che, pur avendo studiato anche per anni, non possono, poi, partecipare al concorso per aver sbagliato una sola domanda nella prova di preselezione. RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO. rilevato, inoltre, che l'art. 10 consente l'utilizzo dell'archivio provvisorio dei quesiti di cui all'art. 9 del predetto decreto, le cui prescrizioni circa la pluralit� di materie, per lo svolgimento della prova preliminare, trovano applicazione in quanto compatibili; rilevato che a tali disposizioni si � conformato, in modo pressoch� vincolato, il decreto del Ministro di grazia e giustizia del 10 novembre 1998, che dispone l'utilizzo, per lo svolgimento della prova preliminare del concorso a trecentocinquanta posti di uditore giudiziario, dell'archivio provvisorio avente ad oggetto prove di diritto civile; rilevato che le censure di irrazionalit� del sistema preselettivo informatico si appuntano, nella sostanza, contro la fonte primaria (decreto legislativo n. 398 del 1997), che gli atti aventi forza di legge non possono essere disapplicati dal giudice, essendo il controllo sugli stessi accentrato nella Corte costituzionale, sicch� � abnorme la misura cautelare che si traduca nella pratica disapplicazione della norma di legge sospettata di incostituzionalit� ( cfr. Cass. sez. un., 12 dicembre 1991, n. 13415; 1� dicembre 1978, n. 5678), specie allorquando, come nel caso di specie, non sia stata sollevata dal Giudice la questione di costituzionalit�; considerato -in ordine al periculum in mora -che, pur prescindendo da ogni rilievo di razionalit� circa le caratteristiche del sistema transitorio e da ogni I considerazione circa la sua idoneit� a dimostrare I'effettiva preparazione del candidato per essere ammesso a sostenere le prove, non appare irrilevante il I superamento della preselezione da parte di un numero di candidati largamente superiore alla proporzione prevista per i posti messi a concorso, come sostenuto dalla difesa erariale nella memoria depositata all'odierna udienza, dove si deduce che � � ... molto pi� grave il pregiudizio che subirebbe l'Amministrazione da un'eventuale ammissione con riserva che, seppur limitata ai soli ricorrenti che hanno beneficiato di un provvedimento cautelare favorevole, finisce comunque per Tuttavia, tali considerazioni, oltre ad aver innescato in concreto un meccanismo distorsivo ~:: I I ru della finalit� della prova preselettiva, rischiano di rallentare un ineludibile processo di radicale cambiamento delle modalit� di reclutamento dei magistrati; modalit� che, invece, tendono ad assicurare con incisivit� l'urgente copertura dei posti vacanti, data la ben nota carenza di organico, riducendo drasticamente i tempi di svolgimento delle procedure concorsuali, e riconducendo le procedure stesse nel quadro pi� ampio delle scuole di specializzazione a numero chiuso significativamente previste dalla stessa legge n. 398/97. II Il punto nodale � costituito dalla considerazione assorbente che la prova di preselezione informatica non ha valenza di prova d'esame, tant'� che l'ultimo comma dell'art. 123 bis citato prevede espressamente che il mancato superamento della prova preliminare non d� luogo ad ~ i:; inidoneit� ai fini del successivo articolo 126 e, quindi, non pu� essere inserita in un sistema � valutativo del tutto estraneo alle finalit� della prova stessa. In conclusione, come peraltro � auspicato anche dai commentatori delle decisioni cautelari in epigrafe, � necessario che il giudice amministrativo si pronunci con celerit� sul merito dei li i:: ricorsi in questione, non solo per rendere effettiva la tutela cautelare accordata, ma soprattutto per consentire la conclusione senza rinvii della procedura concorsuale e l'immissione immediata in 1:: servizio dei vincitori. ' ' GABRIELLA PALMIERI l. 1. i; ~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA scardinare il sistema che invece ha funzionato ottimamente ... che il numero esiguo dei casi esaminati in appello rispetto al numero dei ricorsi attualmente pendenti (oltre 500) non � di ostacolo ad una rimeditazione della vicenda� e che ci� non sarebbe peraltro foriero di � ... disparit� di trattamento ... atteso che, comunque, non tutti gli esclusi hanno proposto ricorso giurisdizionale�; rilevato che il verificarsi di tale circostanza induce il Collegio a dubitare della sussistenza dei presupposti della tutela cautelare nei confronti del candidato che abbia commesso un solo errore, anche in relazione al pregiudizio derivante all'amministrazione dall'accresciuto numero dei candidati; nella considerazione di un possibile contrasto di decisioni della medesima Sezione del Consiglio di Stato e dell'opportunit� che sulla questione -di massima importanza -si pronunzi l'Adunanza plenaria di questo Consiglio ai sensi degli art. 45, comma 2, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, e 71 e ss., r.d. 17 agosto 1907, n. 642 (cfr. Ad. Plen. 20 gennaio 1978, n. 1); P.Q.M. Rimette la decisione del presente appello cautelare all'Adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. (omissis) II (omissis) Vista l'ordinanza di re1ez1one della domanda incidentale di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato in primo grado; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero di grazia e giustizia; Vista l'ordinanza della Sezione quarta n. 2275/99 del 7 dicembre 1999; Visti l'intervento ad adiuvandum proposto da POERIO Antonio e BERTULETII Marisa e quello ad opponendum proposto da VECCHI Francesca; Udito il relatore Consigliere Costantino Salvatore e uditi altres� per le part� gli avvocati Dalla Corte, Scoca, Gagliardi La Gala, laccarino e l'avvocato dello Stato Sandulli; Vista l'ordinanza con la quale la Sezione quarta -pur dando atto che la posizione del ricorrente (il quale non � stato ammesso a partecipare alle prove scritte del concorso, avendo sbagliato una sola risposta �difficile� alla preselezione mediante quiz) � perfettamente identica a quella decisa (per lo stesso concorso e per l'identit� della situazione del ricorrente a quella della dottoressa Teresa Cofano) dalla stessa Sezione con ordinanza n. 1920 del 28 settembre 1999, e che nello stesso senso si sono pronunciate anche le ordinanze nn. 1769, 1784, da 1902 a 1910, da 1912 a 1915, 1917, 1921, tutte del 28 settembre 1999, nonch� le ordinanze da n. 2111 a n. 2114 del 12 novembre 1999 -dubita che sussistano i presupposti della tutela cautelare nei confronti del candidato che abbia commesso un solo errore, anche in relazione al pregiudizio derivante all'amministrazione dall'accresciuto numero dei candidati e, non reputando di poter far proprio l'orientamento espresso nei citati provvedimenti cautelari, ha deferito la questione all'Adunanza plenaria di questo Consiglio ai sensi degli artt. 45, comma 2, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, e 71 e ss., r.d. 17 agosto 1907, n. 642, nella RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO" 464 considerazione di un possibile contrasto di decisioni della medesima Sezione del Consiglio di Stato e dell'opportunit� che sulla questione -di massima importanza -si pronunzi lAdunanza Plenaria; rilevato che le considerazioni poste a base dell'ordinanza di rimessione sono individuate A) per quanto attiene al fumus boni iuris, nella circostanza che -il decreto del Ministro di grazia e giustizia del 10 novembre 1998 che dispone l'utilizzo, per lo svolgimento della prova preliminare� del concorso a trecentocinquanta posti di uditore giudiziario, dell'archivio provvisorio avente ad oggetto prove di diritto civile -si � pienamente conformato, in modo pressoch� vincolato, al contenuto dell'art. 123 bis, 4 comma, del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (ordinamento giudiziario), nel testo novellato dall'art. 2 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, nonch� dell'art. 17 del medesimo decreto, in base al quale, nella fase transitoria e sino all'emanazione del decreto ministeriale attestante l'avvenuta formazione della banca dati ad opera della commissione permanente per la creazione e l'aggiornamento dell'archivio informatico delle domande per la prova preliminare, � autorizzata la creazione di un archivio provvisorio delle domande, utilizzando archivi di domande gi� predisposti per l'accesso ad altri concorsi, anche se aventi ad oggetto una sola delle materie della prova scritta, eventualmente modificandole per adattarle ai criteri contenuti nel decreto ministeriale 1 � giugno 1998, n. 228, che prevede la suddivisione dei quesiti in gruppi distinti per materia e per grado di difficolt�; -le censure di irrazionalit� del sistema preselettivo informatico si appuntano, nella sostanza, contro la fonte primaria (decreto legislativo n. 398 del 1997), la quale, essendo atto avente forza di legge, non pu� essere disapplicata dal giudice, essendo il controllo su tali atti accentrato nella Corte costituzionale, sicch� appare abnorme la misura cautelare che si traduca nella pratica disapplicazione della norma di legge sospettata di incostituzionalit� (cfr. Cass. Sez. Lav., 12 dicembre 1991, n. 13415; SS.UU. 1� dicembre 1978, n. 5678), specie allorquando, come nel caso di specie, non sia stata sollevata dal Giudice la questione di costituzionalit�; I B) per quanto riguarda il periculum in mora, nel rilievo che -pur I prescindendo da ogni rilievo di razionalit� circa le caratteristiche del sistema transitorio e da ogni considerazione circa la sua idoneit� a dimostrare l'effettiva preparazione del candidato per essere ammesso a sostenere le prove -non appare irrilevante il superamento della preselezione da parte di un numero di candidati largamente superiore alla proporzione prevista per i posti messi a concorso; CONSIDERATO: che, nella presente fase cautelare, al fine di conciliare il carattere accentrato del controllo di costituzionalit� delle leggi, ove ne ricorrano i presupposti con il principio di effettivit� della tutela giurisdizionale, non pu� escludersi quando gli interessi in gioco lo richiedano, una forma limitata di controllo diffuso che consente la concessione del provvedimento di sospensione, rinviando alla fase di merito, al quale il provvedimento cautelare � strumentalmente collegato, il controllo della Corte costituzionale, con effetti erga omnes; PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA che, in tale contesto, la concessione della misura cautelare (ammissione con riserva), non comporta la disapplicazione di una norma vigente, ma tende a conciliare la tutela immediata e reale, ancorch� interinale, degli interessi in gioco con il carattere accentrato del controllo di costituzionalit� delle leggi, e si presenta ad un tempo misura idonea ad evitare il danno grave e irreparabile del ricorrente, consentendogli di partecipare alle prove concorsuali a parit� di condizioni con gli altri concorrenti, ed a scongiurare il rischio per l'amministrazione di una invalidazione totale dell'intera procedura concorsuale, rispetto al quale il prospettato pregiudizio organizzativo appare recessivo; ritenuto, per le considerazioni che precedono, di dovere confermare l'orientamento espresso con le ordinanze richiamate in premessa; P.Q.M. accoglie l'appello, e, per l'effetto, in riforma dell'ordinanza appellata, ammette. con riserva l'appellante al concorso di cui sopra. (omissis) SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 5 febbraio 1999 n. 44 -Pres. Favara -Est. Corona -P.G. (conf.) Carnevali -Ministero delle Finanze (avv. Stato Lancia) c. Bova. Contenzioso tributario -Rimborso -Fattispecie di rimborso disposto ma non eseguito per smarrimento del vaglia cambiario della Banca d'Italia Azione di adempimento -Giurisdizione -A.G.O. (d.P.R. 29 ottobre 1972 n. 636, artt. 1, 16, 20). Rientra nella giurisdizione dell'A.G.O., e non in quella delle Commissioni tributarie, l'azione del contribuente volta ali' adempimento di un provvedimento di rimborso, non eseguito per smarrimento del vaglia cambiario della Banca d'Italia emesso su disposizione dell'Ufficio (1). (omissis) 1. -Con il secondo motivo di ricorso, il Ministero deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 16 e 20 d.P.R. 636 del 1972; 1, 9, 3, 38 e 637 cod. proc. civ.; motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su punto decisivo della controversia. L'azione proposta, in quanto diretta ad ottenere il rimborso di somme versate in eccesso a titolo di IRPEF, rientra nella giurisdizione delle commissioni tributarie. Essendo stata esercitata davanti al Pretore carente di giurisdizione, il Tribunale avrebbe dovuto rigettare la domanda. (1) La giurisdizione delle Commissioni tributarie, nel rito ex d.P.R. 636/72, oltre ad essere limitata ratione materiae in base al tipo di tributo, lo � in base al tipo di atti del procedimento incluso il diniego parziale o totale del rimborso ed il silenzio rifiuto sulla relativa istanza. Non diversamente accade nel rito ex d.lgs. 546/92, laddove, in tema di rimborso, si definisce (art. 19, lett. G) impugnabile il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi. Ne consegue, pianamente, che ove l'Ufficio abbia disposto il rimborso, non vi � rifiuto impugnabile e non pu� esservi giurisdizione delle Commissioni stesse e, vertendo la lite su diritti soggettivi, spetta all'A.G.0. conoscerne. � in tale prospettiva che deve condividersi la soluzione della sentenza in commento, essendo, invece, meno convincente il sottolineato profilo della separazione del credito risultante dalla disposizione di accoglimento del rimborso dal rapporto tributario. Invero, l'adempimento di un debito non � una vicenda separabile dal rapporto sostanziale che lo origina, e la controversia descritta resta una lite tributaria affidata ali' A.G.O. per mera carenza di potere -nei termini indicati -del suo giudice naturale. Ci� comporter� l'applicazione, ad esempio, dell'art. 9 c.p.c., che non sarebbe possibile affermando la separazione de qua. R.d.F. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 468 Quanto meno, il Tribunale doveva ritenere l'esistenza di causa in materia di imposte e tasse e quindi riconoscere che la domanda apparteneva alla competenza per materia del Tribunale: donde la necessit� di dichiarare nulla la sentenza del Pretore, siccome resa da giudice funzionalmente incompetente. I 2. -Il motivo non pu� essere accolto. I Nel meccanismo del rimborso delle imposte, tramite la procedura automatizzata (art. 42 bis del d.P.R. n. 602 del 1973 cit. e successive modificazioni), non si rinviene una deroga alla regola generale della permanenza dell'azione causale scaturente dal rapporto, che diede origine alla emissione della cambiale (art. 66 del r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669, applicabile al vaglia cambiario della Banca d'Italia in base all'art. 90 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736). L'ordinativo di pagamento dell'Amministrazione Finanziaria e la successiva emissione del vaglia cambiario da parte della Banca d'Italia non novano, oggettivamente n� soggettivamente, l'obbligazione di rimborso, sostituendole un rapporto meramente cambiario imputato passivamente solo alla Banca d'Italia. Donde la legittimazione dell'Amministrazione medesima a contraddire nel giudizio concernente il pagamento del credito, cos� come ogni debitore puo essere chiamato a rispondere in giudizio del mancato adempimento. Ci� premesso, sempre secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, una volta che l'Amministrazione abbia disposto il rimborso delle imposte, anche tramite la procedura automatizzata -artt. 42 e 42 bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo risultante dalle modifiche e dalle integrazioni introdotte con legge 31 maggio 1977, n. 247 (art. 1) e con d.l. 30 dicembre 1979, n. 660 (art. 10), convertito con legge 29 febbraio 1980, n. 31 -il corrispondente credito del beneficiario viene separato dal rapporto tributario. La distinzione del credito suddetto rispetto al rapporto tributario opera in virt� non dell'emissione del titolo cambiario della Banca d'Italia, sibbene del provvedimento di rimborso, che prende atto di una sostanziale carenza iniziale del rapporto di imposta. Pertanto, il credito diventa estraneo rispetto alla materia di imposte, che l'art. 1 lett. a-i, del d.P.R. 26 ottobre 1962, n. 636 devolve alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie. Quindi, la lite che insorga sulla vicenda estintiva di quel credito, e non sul fondamento del credito medesimo, non presenta il momento essenziale di collegamento con la giurisdizione delle commissioni tributarie, in vista del quale viene sottratta al giudice ordinario dei diritti (art. 102 Cost.). Poich� attiene ad un credito ormai estraneo alla materia di imposta devoluta alle commissioni tributarie, la relativa domanda non si comprende nella giurisdizione di queste commissioni e rientra nella cognizione del giudice ordinario (Cass., Sez. Un., 4 luglio 1991, n. 7331). 3. -Al Pretore di Termini lmerese l'attore ebbe a richiedere il pagamento del vaglia cambiario: pi� precisamente, oggetto della domanda proposta in prime cure fu la responsabilit� per inadempimento della Amministrazione. La controversia, quindi, non riguardava e tuttora non riguarda la sussistenza o non del rapporto tributario, vale dire la sussistenza o no dell'obbligo di rimborsare imposte eventualmente non dovute, poich� la questione del debito fiscale era stata gi� definita dall'Amministrazione con l'emissione dell'ordinativo di pagamento. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 469 Affermato che la controversia rientra nella cognizione del giudice ordinario, perch� attiene ad un credito estraneo alla materia di imposta, la Suprema Corte deve rigettare il secondo motivo di ricorso e rimettere la causa al Primo Presidente per la assegnazione alle sezioni semplici. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 febbraio 1999 n. 1228 -Pres. De Musis -Rel. Graziadei -P.G. (conf.) Gambardella -Ministero delle Finanze (avv. Stato Mangia) c. Luongo. Tributi in generale -Condoni e sanatorie -Legge 516/82 -Soprattasse e sanzioni -Irrogate con provvedimento definitivo -Inammissibilit�. (d.l. 10 luglio 1982 n. 429, conv. in legge 7 agosto 1982 n. 516, art. 31, IV comma). Il condono delle soprattasse e sanzioni irrogate con provvedimento definitivo non � ammissibile, ai sensi dell'art. 31, quarto comma, d.l. 429/82 (1). (omissis) La Corte, considerato: -che l'Ufficio del registro di Benevento, con riguardo ai beni lasciati dal defunto Luigi Tresca alla moglie Anna Luongo, nel 1980 ha liquidato le somme dovute per imposta di successione ed INVIM, reclamandone il pagamento, e poi, con avvisi notificati il 24 giugno 1985, ha richiesto anche il versamento di soprattasse, pene pecuniarie ed interessi; -che questi ultimi atti sono stati impugnati dalla Luongo, la quale ha sostenuto la non debenza delle ulteriori somme pretese dall'Ufficio, a seguito di anteriore presentazione d'istanza di condono secondo le previsioni del d.l. 10 luglio 1982 n. 429 (convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 1982 n. 516), e, in via subordinata, il verificarsi di decadenza, trattandosi di credito esercitato oltre il termine perentorio di tre anni; -che la tesi principale della contribuente � stata accolta dalla Commissione tributaria di primo grado; -che la relativa pronuncia � stata condivisa dalla Commissione di secondo grado, e poi dalla Commissione centrale, sul rilievo che l'art. 31, quarto comma della citata normativa contempla l'abbuono di dette spettanze accessorie indipendentemente dalla circostanza che sia pendente o possa insorgere controversia con riguardo non all'obbligazione tributaria ma agli effetti del suo mancato o tardivo adempimento; -che l'Amministrazione finanziaria, con ricorso notificato il 17 marzo 1997 ad Antonio Portoghese, in qualit� di curatore della scomparsa Anna Luongo, ha chiesto la cassazione della decisione della Commissione centrale, tornando a sostenere l'inapplicabilit� della menzionata disposizione rispetto a violazioni gi� definitivamente accertate; (1) Conclusione ineccepibile: il fine del condono essendo quello di ridurre le liti su elementi incerti del rapporto tributario, non quello di rinunziare alla riscossione di somme definitivamente dovute in base a provvedimenti non impugnati. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 470 -che il Portoghese, replicando con controricorso, e richiamando la nuova disciplina del processo tributario, ha sostenuto l'inammissibilit� ed improcedibilit� del ricorso, perch� notificato posteriormente al decorso di sessanta giorni dalla notificazione della pronuncia della Commissione centrale all'Ufficio del registro di Benevento (il 14 maggio 1996), nonch� alla Commissione di secondo grado alla stessa Commissione centrale (il 14 ed il 27 maggio 1996), ed inoltre perch� depositato oltre il ventesimo giorno dopo la scadenza di detto termine (13 luglio 1996); -che le norme del d.l. 31 dicembre 1992 n. 546 e successive modificazioni, sull'attribuzione della qualit� di parte dinanzi alle commissioni tributarie provinciali e regionali agli uffici del Ministero delle finanze che hanno emesso gli atti impugnati ( artt. 10 ed 11), non sono invocabili nella fattispecie, in quanto il procedimento di merito � stato celebrato e si � concluso nel vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (operante fino al 1� aprile 1996); -che in detta precedente disciplina mancano disposizioni derogative dei principi generali sull'identificazione della controparte del contribuente, di modo che la notificazione della decisione della Commissione centrale non pu� far decorrere il termine breve per proporre ricorso per cassazione se effettuata all'ufficio, anzich� all'Amministrazione finanziaria presso l'Avvocatura generale, in base alle comuni regole poste dall'art. 326 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 170 e 285 cod. proc. civ., e dalla normativa sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato; -che, in tema (fra l'altro) d'imposta sulle successioni e d'INVIM, i primi due commi dell'art. 31 del d.l. n. 429 del 1982 si occupano delle controversie di valutazione, che siano in corso o possano insorgere, e ne contemplano la definizione agevolata, rispettivamente, mediante il pagamento del tributo corrispondente alla met� del valore accertato od al valore dichiarato aumentato del 20%, con l'esclusione, in entrambi i casi, di soprattasse e pene pecuniarie; -che il quarto comma della stessa disposizione, ove stabilisce per le altre controversie pendenti e per le altre violazioni commesse fino al 31 dicembre 1981 l'abbuono di soprattasse e sanzioni non ancora corrisposte se il contribuente abbia provveduto o provveda al versamento dell'imposta dovuta ed all'adempimento delle formalit� omesse, deve essere coordinato con le norme che lo precedono, e quindi circoscritto, quando fa riferimento alle �altre violazioni�, a quelle non ancora definitivamente accertate, in ordine ai cui presupposti sussista o possa nascere contesa; -che questa interpretazione, con cui si aderisce a consolidato indirizzo giurisprudenziale (v., ex pluribus, Cass. n. 3779 del 14 aprile 1998, n. 2805 del 28 marzo 1997 e n. 1964 del 6 marzo 1997), trova conferma nella ratio del condono, il quale mira ad elidere o prevenire cause attuali o potenziali, assicurando all'erario incassi immediati, e non sarebbe conciliabile con una semplice dismissione di crediti certi ed incontestabili; -che, nella vicenda in esame, alla prevista data di riferimento, erano gi� divenuti definitivi i precedenti atti di accertamento e di liquidazione (in carenza d'impugnazione nei termini), e quindi incontestabili gli elementi costitutivi delle infrazioni implicanti i debiti accessori in discorso; PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 471 -che, pertanto, previa affermazione dell'ammissibilit� e procedibilit� del ricorso, in quanto notificato entro il termine annuale di cui all'art. 327 cod. proc. civ., e poi depositato entro venti giorni dalla notificazione nell'osservanza dell'art. 369 cod. proc. civ,, si deve accogliere il ricorso medesimo, con l'annullamento della pronuncia impugnata e la rimessione della causa in sede di rinvio per l'applicazione del riportato principio e per l'esame della deduzione subordinata della contribuente (riproposta nella precedente fase processuale); -che al Giudice di rinvio, da designarsi nella Commissione tributaria regionale della Campania, si affida anche la statuizione sulle spese di questo procedimento; p.q.m. -accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Commissione regionale della Campania. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 febbraio 1999 n. 1255 -Pres. De Musis -Rel. Forte -P.G. (parz. diff.) Gambardella -Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei) c. AGIP (avv.ti Trumino, Coviello). Contenzioso tributario -Cassazione � Rkm."so � Notifica " Va:rfazione del dm:nid.Uo eletto g Effetti. (d.lgs. 31dicembre1992 n. 546, art. 17). Tributi erariaU diretti -IRPEG e ILOR -Interessi sui crediti d'imposta Im. ponfbmt� -Limiti. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597; TUIR, art. 56; d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42, art. 36). Anche ai fini della notifica del ricorso per Cassazione le variazioni del domicilio eletto dal contribuente, per avere efficacia, devono essere notificate alle altre parti ed alla Segreteria ed hanno effetto dal decimo giorno successivo al compimento di tali formalit�, in difetto potendo il ricorrente notificare nel precedente domicilio (1). (1) Nel previgente rito tributario, era sufficiente il semplice deposito in segreteria della comunicazione di variazione, ancorch� gli effetti decorressero dal decimo giorno successivo (art. 32 bis d.P.R. 636/72, aggiunto all'art. 20 d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739). Invero, nel vecchio rito, la quasi totalit� delle notifiche (in particolare, dell'appello e del ricorso alla Commissione Centrale) erano onere della Segreteria, n� era prevista la notifica della sentenza ex art. 327 c.p.c. L'innovazione, che vuole che la variazione di domicilio si comunichi anche alle parti, � giustificata in un rito che, avvicinandosi a quello ordinario, prevede in particolare la notifica delle impugnazioni e delle sentenze ad istanza di parte. Ci� vale anche per la notifica del ricorso per Cassazione, autonomamente disciplinata. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAT<Y 472 Nel vigore del d.P.R. 597/73, gli interessi sui crediti d'imposta, avendo natura risarcitoria, non erano imponibili, mentre lo sono in base al nuovo TUIR; pertanto, il contribuente che abbia versato l'imposta ritenuta dovuta sui medesimi, precedentemente al 1 gennaio 1988, non pu� richiederne il rimborso se la sua dichiarazione � conforme alla sopravvenuta normativa (2). (omissis) 1. -La notifica del ricorso per cassazione � avvenuta nel luogo che, nella memoria depositata in appello dalla S.p.A. Agip, � indicato come sede sociale e nel domicilio eletto dal legale rappresentante della societ� presso i dr. Aldo Trumino e Letizia Coviello che nella stessa memoria sono qualificati come delegati o procuratori �domiciliatari; dall'intestazione della sentenza impugnata risulta invece che la societ� era rappresentata dal dr. Salvatore Portaluri, mentre non vi � indicazione sui due domiciliatari ai quali � stata notificata l'impugnativa e sulla richiamata sede sociale, che peraltro risultano dagli atti processuali per cui irrilevante � l'erronea indicazione della sentenza (in tal senso Cass. 16 gennaio 1987 n. 286). Per l'art. 49 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 �Alle impugnazioni delle sentenze si applicano le disposizioni del titolo III, capo I del libro II del codice di procedura civile, escluso l'art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto� e quindi I la notifica del ricorso poteva farsi, in difetto della notificazione della decisione al �procuratore costituito� o alla parte �nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto I per il giudizio� (art. 330 c.p.c.); per l'art. 62 del d.lgs. 546/92: �Al ricorso per cassazione e al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto� e quindi in base all'art. 330 c.p.c. per cui corretta � da ritenersi la notificazione alla stregua anche iIdell'art. 17 del nuovo contenzioso tributario per il quale �le notificazioni sono fatte, salvo la consegna a mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all'atto della sua costituzione in giudizio. Le variazioni del domicilio o della residenza o della sede hanno effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata alla segreteria della commissione e alle parti costituite la denunzia di variazione. L'indicazione della residenza o della I lli sede e l'elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo�. Poich� tale ultima norma � da ritenersi applicabile, � chiara la ritualit� della notifica presso i domiciliatari che risultano tali, a variazione della precedente dichiarazione di residenza ancora emergente dall'intestazione della sentenza, nella memoria depositata ex art. 32 d.lgs. 546/92 oltre dieci giorni prima della discussione in pubblica udienza dell'appello alla quale intervenne anche uno dei due domiciliatari presso il quale il ricorso � stato notificato. Pertanto, poich� agli atti risulta l'elezione di domicilio di cui alla notifica, successiva e modificativa della residenza dichiarata di cui alla intestazione della sentenza impugnata, la notifica deve ritenersi corretta e il ricorso deve qualificarsi ammissibile. (2) Ulteriore esempio di applicazione in pejus dell'art. 36 d.P.R. 42/88. Cfr. nota a Cassazione, sez. I, 11 settembre 1998 n. 9023, in questa Rassegna, 1 -2/99, 207. Qui la �conformit� della dichiarazione� si riferisce alla dichiarazione stricto sensu intesa. R.d.F. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 2. -Con il primo motivo di ricorso, le Finanze deducono la violazione degli artt. 41, 44, 52, 74 e 80 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 ex art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto erroneamente nella decisione impugnata si � affermata la natura risarcitoriacompensativa degli interessi sui crediti di imposta, dato che la funzione reintegratoria del patrimonio compete al capitale rimborsato, di cui gli interessi sono solo utile o frutto trattandosi di crediti certi, liquidi ed esigibili che producono interessi di pieno diritto, intervenendo la legge solo a disciplinare la decorrenza e il tasso di essi. Esclusc:t anche una natura compensativa, alla luce della nozione normativa degli interessi di cui all'art. 41 lett. i del d.P.R. 597/73 (attuale 41 lett. h d.P.R. 917 del 22 dicembre 1986) comunque la ricorrente afferma che essi nella previgente normativa o erano da considerare frutto del capitale versato, come imposta non dovuta ovvero maggiore di quella dovuta, o erano parte del reddito di impresa, violandosi altrimenti gli artt. 74 e 80 del d.P.R. 597/73. Erroneamente dai giudici di merito si era escluso ogni rilievo al fatto che gli interessi erano inseriti nel conto profitti e perdite dell'impresa, qualificando la circostanza mero artificio contabile, in assenza di norme fiscali che consentissero la esclusione dall'imponibile degli stessi. In effetti, l'art. 41 d.P.R. 597/73 ai fini Irpef, inserisce tra i redditi di capitale, gli �interessi non compensativi�, cos� qualificando, quelli derivati �da capitali dati a mutuo o altrimenti impiegati� (lett. a), �da depositi e conti correnti� (lett. b), da �obbligazioni e titoli similari� (lett. d) e gli �interessi moratori anche se compresi in somme spettanti a titolo di risarcimento di danni� (lett. e), chiarendo che redditi di capitali devono ritenersi pure �gli altri interessi non aventi natura compensativa e ogni altra rendita ... derivante dall'impiego di capitale�. Per l'art. 44 del detto d.P.R. �non costituiscono reddito di capitale, in quanto componenti del reddito di impresa gli interessi di cui all'art. 41 non soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali... o mediante stabili organizzazioni� nel territorio dello Stato. In conclusione alla stregua del d.P.R. 597/73 gli interessi sono classificabili come redditi di capitale solo se aventi funzione corrispettiva cio� quando siano frutti civili della somma dovuta, ritraendosi in �corrispettivo del godimento che altri... abbia ... dei capitali" (art. 820 e.e.) e producendosi di pieno diritto nei crediti liquidi ed esigibili (art. 1282 e.e.); essi, se derivino da attivit� commerciali devono denunziarsi come redditi di impresa. La caratteristica degli interessi �compensativi� di cui all'art.1499 e.e. � reintegrare il creditore dei frutti dei beni consegnati nello scambio per cui decorrono anche se i crediti non sono esigibili, a differenza dei corrispettivi. Funzione diversa hanno gli interessi quando intervengano dopo �il giorno della mora� (1219 e.e.) essendo dovuti a titolo di risarcimento del danno (art. 1223 e.e.) anche se di quest'ultimo non vi sia prova. Con il d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 � stata disciplinata la materia dei rimborsi per i crediti d'imposta (art. 41), derivati da pagamenti di somme maggiori di quelle dovute per la lettera della legge e da ritenersi applicabile per l'ipotesi di esborsi non dovuti assolutamente (Cass. 2 ottobre 1996 n. 8638), fissandosi uno speciale tasso �per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento o della scadenza dell'ultima rata del ruolo� (art. 44) dell'imposta pagata e da restituire. Tale disciplina, speciale rispetto a quella del e.e. (Cass. 6 dicembre 1991 n. 13137), dimostra il carattere compensativo-risarcitorio degli interessi sui crediti d'imposta previgente sistema delle imposte dirette; essi, in RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 474 quanto connessi ad un ritardo nell'adempimento, hanno funzione reintegratoria del capitale indebitamente pagato allo Stato in deroga all'art. 2033 e.e. e sono dovuti, senza necessit� di domanda specifica del creditore e indipendentemente da ogni malafede del debitore. La norma determina infatti una decorrenza degli interessi non coincidente con la data del pagamento non dovuto n� con quella della domanda di rimborso e fissa nel termine di un semestre dal pagamento non dovuto o dall'ultima data del ruolo, una mora ex re dell'Amministrazione. L'art. 44 d� luogo al pagamento di interessi moratori con funzione compensativa del mancato godimento del capitale indebitamente pagato e risarcitoria per il ritardo rispetto al termine di cui sopra. Alcuna responsabilit� vi � a carico dell' ~Amministrazione per la ricezione di pagamenti non dovuti o eccedenti il dovuto da parte del contribuente, derivando gli stessi dall'applicazione della legge; ci� non esclude peraltro, ai sensi delle norme citate del d.P.R. n. 602, che l'Amministrazione nel caso ha il termine di un semestre intero dalle date riportate sopra, per emettere l'ordinativo di pagamento o l'elenco dei rimborsi senza pagare interessi. Prima del semestre si verifica l'ipotesi di un credito liquido ed esigibile che per la legge non d� luogo ad interessi corrispettivi ex art. 1282 e.e.; solo se l'Amministrazione non provvede nel termine di legge agli indicati atti presupposti del rimborso, essa dovr� corrispondere gli interessi che sanzionano in sostanza un ritardo presumibilmente colpevole per cui il carattere moratorio e compensativo degli interessi appare nel caso innegabile (per la natura compensativa risarcitoria di questi interessi, Cass. 6 aprile 1995 n. 4037). Se si afferma la natura risarcitoria e/o compensativa degli interessi sui crediti d'imposta nel senso sopra indicato, deve escludersi che essi possano qualificarsi come �non compensativi� ai sensi dell'art. 41 d.P.R. 597/73 e corrispettivi e quindi che essi siano redditi nella previgente disciplina delle imposte dirette. Solo a seguito della mora fissata dal legislatore fiscale per l'Amministrazione, questa � da presumersi in colpa e dovr� gli interessi, che, in quanto compensativi delle somme fruite indebitamente e sanzionanti l'inadempimento oltre il termine di legge, reintegrano il creditore dei frutti delle somme indebitamente versate e non sono inquadrabili come redditi. Pertanto il primo motivo di ricorso � infondato, dovendo escludersi che in base alla previgente disciplina delle imposte dirette gli interessi sui crediti di imposta possano costituire redditi di capitale o di impresa. 2. -Con il secondo motivo, si � dedotta la violazione dell'art. 56 del t.u. 22 dicembre 1986 n. 917 e dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42 in rapporto sempre all'art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto il citato art. 36 prevede che il T.U.LR. retroagisce ai periodi d'imposta anteriori al 1987, se le dichiarazioni del contribuente siano conformi alle nuove disposizioni. Il d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 sancisce che sono redditi di capitale gli interessi derivanti da mutui, depositi e conti correnti e quelli da titoli obbligazionari (art. 51 lett. a, b e h); stabilisce poi, all'art. 56, che gli interessi concorrono a formare redditi di impresa dell'esercizio in cui sono percepiti indipendentemente dalla loro natura, compensativa o corrispettiva, per cui gli stessi anche se prodotti da crediti di imposta sono imponibili ai fini ILOR dalla data di entrata in vigore della nuova disciplina delle imposte dirette cio� dal 1� gennaio 1988. L'art. 36 d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 2 ha peraltro sancito: �Le disposizioni del Testo unico non considerate nei precedenti PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 475 articoli di questo capo hanno effetto anche per i periodi di imposta antecedenti al primo periodo di imposta successivo al 31 dicembre 1987, se le relative dichiarazioni, validamente presentate, risultano ad esse conformi�. Gli artt. 41 e 44 del d.P.R. 597/73 sono stati modificati dall'art. 56 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 per il quale tutti gli interessi rientrano tra i redditi di impresa. Tale situazione comporta che anche le somme ricevute quali interessi prima del 1988 devono qualificarsi imponibili ILOR, perch� l'innovazione di cui al T.U.I.R. opera retroattivamente per i precedenti periodi d'imposta ai sensi deH'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42, purch� la loro dichiarazione sia stata conforme al richiamato art. 56 del d.P.R. 917 del 1986 (Cass. 7 maggio 1996 e la Cass. n. 4037/95 gi� citata sulla scia di altre decisioni a decorrere da Cass. 5 luglio 1990 n. 7091). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 febbraio 1999 n. 1349 -Pres. De Musis -Rei. Forte -P.G. (conf.) Gambardella -Ministero delle Finanze (avv. Stato Figliolia) c. Soc. SUPER COMMA. Tributi in generale � Accertamento ~ Contabnit� non ufi'idale del cont:rfouente .,. Dfaconosdmento ~ Esclusione, (c.p.c., art. 214; d.P.R. 29 settembre 1972 n. 633, art. 54). Tdbuti in genera!e � Accertamento ~ Contabmt� non uf:l:kia~e dei con.t:ribuente Natura imiiziarfa ~ lliscontri con :fatti cU gestfone ~ Necessit�. (art. 2729 e.e.). Il contribuente non pu� disconoscere la provenienza della contabilit� ufficiosa acquisita in sede di accesso, presso la sede sociale, in quanto il luogo di ritrovamento ne fa presumere la pertinenza all'impresa (1). Il giudice tributario deve valutare i dati della contabilit� ufficiosa di un contribuente come indizio della rappresentazione di operazioni sociali, e deve verificarne la corrispondenza con i fatti di gestione regolarmente contabilizzati e con l'esame della situazione di fatto emergente dai risultati dell'accesso (2). (1) La questione verte sull'utilizzabilit� della contabilit� �nera�, ove la stessa sia poi disconosciuta dal contribuente. Propriamente, devesi affermare comunque la possibilit� di tale �disconoscimento�, salvo valutarne l'infondatezza, qui affermata, nel merito, dalla Corte sulla base di massime di comune esperienza. (2) La contabilit� nera � un elemento che concorre ad inficiare, nel procedimento analitico extracontabile, le risultanze della contabilit� ufficiale, purch� la stessa abbia riscontri nei fatti di gestione comunque risultanti e non sia frutto di fantasia. Tuttavia, essa pu� non formare piena prova dei fatti ivi rappresentati, essendo necessario sempre il concorrere in concreto dei requisiti di gravit�, precisione e concordanza di cui all'art. 54 d.P.R. IVA. Ci� se essa -come nella normalit� dei casi -non sia sottoscritta, diversamente valendo i principi sulla scrittura privata e la sua efficacia di prova semplice dei fatti ivi rappresentati (artt. 2702 e.e. e 215 c.p.c.). R.d.F. RASSEGNA AVVOCA'.IURA DELLO STATO. 476 (omissis) 1.-Con l'unico motivo di ricorso l'Amministrazione deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 53 e 54 del d.P.R. n. 633/72 e l'omessa, insufficiente e contraddittoria autorizzazione su un punto decisivo della controversia, in rapporto all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. e all'art. 62 d.lgs. 546/92. Erroneamente la decisione impugnata ha ritenuto inutilizzabili i documenti manoscritti di cui al processo verbale di constatazione della Polizia Tributaria e ha annullato l'accertamento, pur essendo consentito usare, per l'art. 54, 2� comma, d.P.R. n. 633/72, altre scritture oltre le ufficiali, per riscontrare falsit� o inesattezze nella dichiarazione I.V.A., costituendo indizio grave di queste l'esistenza di una contabilit� non ufficiale; illogico era. stato nella decisione di merito ritenere inutilizzabili i manoscritti non ufficiali in quanto da quelli non emergeva l'altra parte contraente e corresponsabile dell'evasione. La decisione impugnata doveva annullarsi, sia per la violazione dell'art. 54 citato, che per vizio di motivazione, fondato sul predetto errore di diritto. Ritiene la Corte anzitutto la legittimit� dell'utilizzazione, per l'art. 54 del d.P.R. 633/92, dei �documenti� rinvenuti nel corso dell'ispezione di cui al processo verbale di constatazione dalla Polizia tributaria e quindi dei fogli manoscritti, che la Commissione regionale ha ritenuto irrilevanti, omettendo di esaminare un fatto decisivo per la risoluzione della controversia, quale era la contabilit� non ufficiale (Cass. 7 agosto 1996 n. 7372). In base alle massime di comune esperienza, cui il giudice di merito non si � attenuto (Cass. 16 gennaio 1991 n. 357) emerge certo il collegamento tra fogli manoscritti e societ� intimata per il rinvenimento dei primi nella sede della seconda: tale circostanza da sola avrebbe consentito di trarre dalle scritture ufficiose elementi di prova a carico della societ�. Il fatto che da tali manoscritti siano stati dedotti imponibili I.V.A. per acquisti di merce da fornitori non conosciuti e vendite a clienti ignoti, non � mero indizio dei richiamati imponibili da un punto di vista sia giuridico che logico, dovendo i giudici di merito evidenziare gli elementi della contabilit� ufficiale che confermavano o escludevano la rilevanza di detta documentazione ufficiosa rinvenuta, considerando anche che nell'impugnazione stessa non era escluso che i fogli manoscritti potessero riguardare proposte di vendite e acquisti non perfezionate. Deve quindi ritenersi violativa dell'art. 54 d.P.R. 633/72 la sentenza impugnata, per la parte in cui esclude la riferibilit� alla societ� intimata dei detti scritti ufficiosi solo perch� il legale rappresentante della contribuente ne ha disconosciuto la provenienza da se stesso, deducendo che essi potevano essere stati scritti da una ragioniera o consulente della ricorrente. Il collegamento tra fogli manoscritti e la societ�, logicamente desumibile dai luoghi ove i detti documenti furono rinvenuti determina, per l'art. 53 del d.P.R. 633/72, che il mancato riscontro delle merci cui i manoscritti si riferiscono come oggetto di acquisti fa presumere la loro cessione e l'esistenza del relativo imponibile. La violazione delle norme indicate e l'insufficiente motivazione sulla loro applicabilit� attraverso un esame del fatturato e delle giacenze di cui alle scritture contabili ufficiali e la valutazione di eventuali riscontri contrastanti o di conferma delle operazioni di cui ai manoscritti non ufficiali, comporta che la decisione impugnata deve annullarsi per violazione di legge per la mancata rilevanza data ai documenti non ufficiali, da valutare in rapporto agli acquisti e alle vendite di cui alle scritture contabili regolari e tenendo conto delle merci di cui agli PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA inventari. Il raffronto tra scritti non ufficiali e scritture contabili comprese le risultanze dei conti cassa e soci prevalenti, e l'esame della situazione di fatto dei depositi della societ� emergente dagli inventari e dal processo verbale di constatazione potranno determinare la conferma o la smentita degli acquisti e delle vendite di cui all'accertamento induttivo. Solo con tale valutazione comparata potr� determinarsi la eventuale sufficienza o insufficienza logica e testuale delle deduzioni dell'Amministrazione in ordine alle lettere puntate N., C. ed R., riportate nei detti documenti e che la polizia Tributaria ha ricavato, in contrapposto alle regolari scritture contabili riportanti le operazioni �in chiaro�, potessero significare Nero, e, per la situazione geografica della societ� e alle sue due filiali, potessero indicare rispettivamente Civitanova e Recanati. Pertanto deve ritenersi non sufficientemente motivata la decisione impugnata pure per la parte in cui nega che le lettere iniziali di cui ai manoscritti ufficiosi N., C. ed R. abbiano il significato loro attribuito in sede di accertamento, senza precisare quale senso logico e testuale alternativo esse possano avere avuto anche alla luce del gravame che giustificava i detti documenti, come proposte di acquisto o di vendita rivolte a terzi comunque ignoti. Deve quindi annullarsi la decisione impugnata con rinvio ad altra sezione della medesima Commissione regionale anche per la disciplina delle spese di causa, ivi comprese quelle del presente giudizio di cassazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 febbraio 1999 n. 1481 -Pres. Cantillo -Rei. Bonomo -P.G. (conf.) Morozzo della Rocca -Soc. Alexander Nicolette p.a. (avv. Lais) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palizzi). Tributi in generale � Accertamento � Dichiarazioni del legale rappresentante di una Societ� agli agenti accertatori, debitamente verbalizzate -Natura confessoria. \ (art. 2735 e.e.). Le dichiarazioni del legale rappresentante di una Societ� alla Guardia di Finanza, debitamente verbalizzate nel corso di un accesso, non costituiscono semplici presunzioni ma possono essere apprezzate come una con/ essione stragiudiziale e costituire prova diretta e non indiziaria del maggior imponibile accertato nei confronti della societ�. (omissis) La Corte di merito ha precisato che la rettifica delle dichiarazioni annuali era stata operata in esito all'accertamento analitico disciplinato dall'art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972, e cio� sulla base di dati obiettivi desunti dalle scritture contabili tenute dalla societ� (libro degli inventari, fatture di acquisto e di vendita, bolle di accompagnamento ecc.) nonch� delle dichiarazione rese dall'amministratore della societ� in ordine ai quantitativi di pellame, compresi sfridi e scarti di lavorazione, occorrenti mediamente per la produzione di ciascun articolo (sono stati pure indicati i fogli del verbale di constatazione, sottoscritti dall'amministratore, dove sono riportati i parametri forniti dalla societ�). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 478 Ora, rileva il Collegio che l'ufficio non ha fatto in via autonoma ricorso a valori percentuali medi, quali risultato della estrapolazione statistica di una pluralit� di dati che fissa una regola d'esperienza, secondo le espressioni richiamate dal ricorrente, ma ha utilizzato dati forniti dallo stesso contribuente collegandoli con gH elementi risultanti dalle scritture contabili. Le dichiarazioni dell'amministratore della societ� sui quantitativi di pellame mediamente occorrenti per la produzione delle calzature non costituiscono semplici presunzioni, ma possono essere apprezzati come una confessione stragiudiziale, quando siano state rese in contraddittorio con i verbalizzanti e risultino dal verbale di constatazione, sottoscritto dal medesimo amministratore. Ne consegue che tali dichiarazioni possono legittimare l'accertamento dell'ufficio per infedelt� della dichiarazione annuale, tanto come elemento da valutare ai sensi del secondo comma dell'art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, quanto come prova diretta, ai sensi del terzo comma del medesimo articolo ( cfr. Cass. 9 giugno 1990 n. 5628). Correttamente, quindi, la decisione impugnata ha fatto applicazione dell'art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, escludendo che ricorresse nella specie J.a diversa ipotesi di accertamento induttivo, di cui al successivo art. 55. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 febbraio 1999 n. 1539 -Pres. Cantillo -Rel. Bonomo -P.G. (parz. diff.) Morozzo della Rocca -Dionisi (avv. Scognamiglio) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Criscuoli). Tr-ibuti in genera~e " Accertamento " Giudicato penale ~ Ir:dJevanza N Condh::kmt (art. 654 c.p.p.; legge 7 luglio 1982 n. 516, art. 12, primo comma). Il giudicato penale di assoluzione del contribuente, imputato in reato tributario, non � dal medesimo opponibile all'Amministrazione non costituitasi parte civile nel processo penale, attesa la intervenuta abrogazione ad opera del nuovo c.p.p. dell'art. 12, legge 516/82 (1). (omissis) 1. -Con il primo mezzo d'impugnazione il ricorrente lamenta violazione dell' art. 12, comma I, legge 7 luglio 1982 n. 516, dell'art. 654 cod. proc. pen. e art. 15 delle disp. sulla legge in generale. Avrebbe dovuto farsi applicazione del principio in base al quale �lex posterior generalis non derogat priori speciali�, tenuto conto che la citata norma del codice di procedura penale, indi.rizzata alla generalit� dei soggetti, non pu� porsi in diretto rapporto con la norma speciale dell'art. 12 della legge n. 516 del 1982, appartenente alla materia impositiva in cui lo Stato appare in posizione di supremazia rispetto a tutti gli altri soggetti. (1) Massima ineccepibile che supera, ancora una volta, contrasti sull'abrogazione dell'art. 12 della legge 516/82. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Inoltre, l'inflazione legislativa estende le situazioni di dubbio e rende precaria l'automaticit� d~He regole relative all'abrogazione tacita, cui si era erroneamente ispirato il giudice di appello. Dovrebbe poi tenersi conto della discrezionalit� riservata allo Stato rispetto alla partecipazione o meno al processo penale in qualit� di parte civile e di quanto deciso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 120 del 23 marzo 1992, secondo la quale pem1ane lobbligo dell'Amministrazione finanziaria di uniformarsi alla sentenza penale definitiva allorch� appaiano fiscalmente rilevanti i fatti in essa accertati, in applicazione del principio desumibile in via generale dall'art. 4 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E. 2. -nmotivo non � fondato. Secondo l'orientamento gi� espresso da questa Corte, l'art. 654 dell'attuale cod. proc. pen., che stabilisce l'efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile ed amministrativo nei confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale, opera anche per i reati previsti da leggi speciali in base all'art. 207 disp. att. ed ha, quindi, portata modificativa dell'art. 12 del d.l. 10 luglio 1982 n. 429, convertito i.n legge 7 agosto 1982 n. 516 che regola l'autorit� del giudicato penale in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (Cass. 10 giugno 1998 n. 5730, 5 luglio 1995 n. 7403). In particolare, la sentenza n. 7403 del 1995 ha sottolineato: a) che la parte dell'art. 12 del d.L 10 luglio 1982 n. 429 (convertito in legge 7 agosto 1982 n. 516, e modificato dal d.l. 15 dicembre 1982 n. 916, convertito in legge 12 febbraio 1983 n. 27) relativa all'autorit� vincolante della sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione (a differenza della parte del medesimo articolo che esclude la sospensione del processo tributario in pendenza del processo penale per reati finanziari), nel raffronto con la disciplina dettata dal codice di procedura penale al!' epoca vigente, non pu� considerarsi speciale, in quanto, facendo proprie, e sostanzialmente trascrivendo, con identiche espressioni, le regole dell'art. 28 del codice stesso, sull'autorit� del giudicato penale nel giudizio civile od amministrativo, resta sul piano della conferma e riproduzione di principi generali; b) che la disposizione contenuta nell'art. 12, in quanto meramente ricettizia di canoni codicistici, sul rapporto fra giudizio penale e giudizio civile od amministrativo, non pu� restare insensibile ad una successiva revisione dei canoni stessi, revisione che � intervenuta con l'entrata in vigore dell'attuale codice di procedura penale (d.P.R. 22 settembre 1988 n. 447), il cui art. 654, mentre sostanzialmente ripropone l'art. 28 del codice precedente sui limiti oggettivi dell'efficacia vincolante del giudicato penale, accentua i limiti soggettivi, stabilendo che detta efficacia si produce soltanto nei confronti di coloro che abbiano concretamente partecipato al processo penale in veste d'imputato, di parte civile o di responsabile civile.; e) che l'art. 207 delle disposizioni di attuazione del nuovo codice di procedura penale ne estende l'applicazione ai reati previsti da leggi speciali, in difetto di espressa deroga posta dalle disposizioni stesse (quale quella dell'art. 235). Correttamente, quindi, la Corte di appello ha ritenuto che il giudicato penale non � opponibile all'Amministrazione delle finanze, la quale non ha partecipato al giudizio penale nei confronti del Dionisi. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATI'l Quanto al richiamato obbligo dell'amministrazione di conformarsi al giudicato, esso pu� valere esclusivamente nell'ambito dei limiti del giudicato, compresi quelli soggettivi, in base ai quali l'efficacia vincolante del giudicato si produce solo nei confronti di coloro che abbiano concretamente partecipato al processo penale in veste d'imputato, di parte civile o di responsabile civile. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 febbraio 1999 n. 1585 -Pres. Papa -Rel. Proto -P.G. (conf.) Lo Cascio -Ministero delle Finanze (avv. Stato Salimei) c. Zuin (avv.ti Buran, Cetoli). 'Iributi erariali diretti � IRPEF � Reddito d'impresa � Sopravvenienze attive Riduzione dei crediti deliberata in sede di concordato fallimentare -d.P.R. 597 /73 � Inclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1973 n. 597, artt. 55 e 73; TUIR, art. 55; d.P.R. 4febbraio1988 n. 42, art. 36). Costituiscono sopravvenienza attiva, e sono perci� componente positiva del reddito d'impresa, le riduzioni dei crediti deliberate in sede di concordato fallimentare, nel vigore del d.P.R. 597173, in quanto la norma di cui all'art. 55 TUIR non � retroattiva se non alle condizioni previste dall'art. 36 del d.P.R. 42/88. (1) (omissis) 3. -Il primo motivo del ricorso principale � infondato. Questa Corte ha gi� avuto occasione di precisare che l'art. 55, quarto comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, testo unico delle imposte sui redditi -nella (1) Nel caso di specie, la pretesa fiscale derivava dalla stessa dichiarazione di tale posta quale componente dell'attivo ad opera del Curatore del fallimento; non si poteva pertanto parlare di conformit� della stessa alle nuove norme del TUIR, che espressamente escludono dall'attivo la riduzione dei crediti in sede di concordato fallimentare. Deve premettersi che con il concordato remissorio effettivamente i creditori rinunziano definitivamente alla <<portio� delle loro ragioni di credito, a nulla rilevando la cessazione della procedura ed il ritorno in bonis del fallito. Ci� si inquadrava pienamente nella definizione di sopravvenienza attiva di cui all'art. 55 d.P.R. 597: �Sopravvenuta insussistenza ... di passivit� iscritte in bilancio in precedenti periodi di imposta�. Di qui la posizione dell'Amministrazione finanziaria, favorevole all'imposizione ( r.m. 2 dicembre 1977 n. 9/407). La tesi � corretta, in quanto il concordato endofallimentare in esame equivale in tutto e per tutto ad una remissione di crediti; infondate sono dunque le critiche mosse da chi vedeva nell'interpretazione data un monstrum giuridico (Tribunale di Reggio Emilia, decreto del G.D. 20 febbraio 1981; Tribunale di Firenze, 4 luglio 1979; Tribunale di Biella, 16 giugno 1982), in quanto nessun vero accrescimento del patrimonio si verifica nel caso di specie. Pi� serie, invece, le critiche relative all'opportunit� pratica di tale interpretazione, posto che il credito fiscale, successivo al concordato, non vi � soggetto e deve essere integralmente adempiuto, con rischio di inadempimento del concordato stesso, che comporterebbe il definitivo fallimento del soggetto ammessovi (artt. 135 e 137 legge fallimentare). Di notevole portata, perci�, il nuovo art. 55 TUIR, di cui in effetti era opportuna, ma non costituzionalmente imposta; la retroattivit�. R.d.F. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 481 parte in cui dispone che non si considera sopravvenienza attiva la riduzione dei debiti dell'impresa in sede di concordato fallimentare -non ha natura interpretativa, e pu� trovare, quindi, applicazione, con riguardo alle situazioni tributari~ pendenti al 31 dicembre 1987, soltanto in quanto operi l'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42 e alle condizioni ivi previste (Cass. 20 marzo 1998, n. 2949). La retroattivit� delle norme del d.P.R. 917/86, sancita dall'art. 36 d.P.R. 42/88, � subordinata, quindi, alla circostanza che le relative dichiarazioni dei redditi siano conformi alle nuove disposizioni. Poich� nella fattispecie � incontroverso che, come risulta dallo svolgimento del processo, il curatore del fallimento ha, a suo tempo, dichiarato regolarmente le sopravvenienze, includendole nel reddito imponibile, le dichiarazioni dei redditi da lui presentate sono, dunque, conformi alla disciplina dettata dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, vigente anteriormente. Le statuizioni della decisione impugnata sono, pertanto, coerenti all' indirizzo stabilito da questa Corte. N�, a sostegno della tesi dei ricorrenti, vale richiamare la sentenza n. 7800 del 1995, in quanto (come � gi� stato chiarito nella pi� recente sentenza 2949/98, cit.), secondo il precedente invocato, la riduzione dei debiti dell'impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo doveva trovare applicazione anche per i concordati anteriori all'entrata in vigore del testo unico, non per effetto di un'interpretazione autentica del legisiatore, dotata di intrinseco effetto retroattivo, � ma in forza della disposizione transitoria contenuta nell'art. 36 del d.P.R. 42/88. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 marzo 1999 n. 1806 -Pres. Corda -Est. De Musis -P.G. Apice -(concl. conf.) -Soc. Le Roncole (avv. Gallo) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta). Thibuti erariali indiretti m I.V.A. Detrazione -Conferimento di bestiame in a societ� di capitali -Esclusione -Detrazione forfettaria -Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, artt. 19 e 34). Il conferimento di bestiame in azienda agricola non costituisce operazione soggetta ad I. VA. ma ad imposta proporzionale di registro: conseguentemente alla successiva vendita di tale bestiame non � applicabile la disciplina agevolativa di cui all'art. 34 del d.P.R. n. 633del1972, in quanto -secondo il principio di cui all'art. 19 dello stesso d.P.R. -� ammessa in detrazione solo l'l. VA. in precedenza versata e neppure pu� trovare applicazione l'aliquota ridotta anzich� quella ordinaria. (1) (1) Decisione resa con riguardo al regime vigente anteriormente al 1� gennaio 1994 (data di entrata in vigore della legge n. 537 del 1993). La sentenza accoglie l'interpretazione che era stata sostenuta nell'interesse dell'Amministrazione in base alla quale la detrazione forfettaria prevista per gli operatori del settore agricolo, di cui all'art. 34 del d.P.R. n. 633 del 1972 e succ. mod., va sistematicamente inquadrata nel generale istituto di cui al precedente suo art. 19, di modo che RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'!'()" 482 (omissis) Con l'unico motivo, denunziandosi violazione degli artt.19 e 34 rl.P.R. n. 633/1972 e 25 dir. e.E.E. n. 77/388 del 17 maggio 1977 nonch� vizio di motivazione, si deduce, -sul.la premessa che per gli imprenditori agricoli il regime speciale e quello normale (per opzione) sono al.ternativi e non consentono interferenze tra loro -che l'applicazione dell'aliquota ordinaria dellTV.A (19%) ha importato arbitrariamente -che gli imprenditori agricoli siano stati considerati imprenditori commerciali con conseguente Hlegittimit� del pagamento, da parte degli stessi, di un importo (differenza tra I.V.A. forfettizzata e LV..A. normale) che non avevano riscosso e che comunque non avrebbero potuto riscuotere in precedenza. n motivo � infondato. La questione da risolvere consiste nello stabilire se, nel caso che in azienda (asserita) agricola venga immesso bestiame mediante �conferimento� dello stesso, operazione questa che importa il pagamento dell'imposta di registro ed esclude quindi il pagamento di I.V.A., sia applicabile, per la successiva vendita del bestiame stesso da parte dell'azienda, la disciplina agevolativa prevista per il regime speciale dall'art. 34 d.P.R. n. 633/1972. Al quesito va data risposta negativa. L'art. 19 del citato decreto dispone che �per la determinazione dell'imposta . dovuta ... � ammesso in detrazione, dall'ammontare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell'imposta assolta o dovuta dal contribuente o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione�. La norma dunque pone il principio che l'esercente un'impresa (un'arte o una professione) possa detrarre, dall'ammontare deU'I.V.A. che egli � tenuto a versare per le cessioni di beni o per le prestazioni di servizi, l'ammontare corrispondente alla medesima imposta che egli ha versato per l'acquisizione dei mezzi necessari allo svolgimento dell'impresa (dell'arte o della professione): il diritto alla detrazione cio� postula un precedente pagamento della medesima imposta alla quale il contribuente dev'essere assoggettato. E la �ratio� della previsione potrebbe rinvenirsi nel rilievo che istituzionalmente l'I.V.A. si applica �al.le cessioni di beni e prestazioni di servizi� devono ricorrere i presupposti per tale diritto di detrazione, siccome delineati in tale ultima disposizione: tale conclusione, del resto, � conforme a quanto si desume dall'art. 25 n. 1 della sesta direttiva C.E.E. che chiaramente sottolinea la funzione del regime forfettario per l'agricoltura come diretto a compensare l'onere del!' LV.A. pagata sugli acquisti di beni e servizi da parte dei produttori agricoli forfettari. Va, d'altro lato, rilevato che, proprio in relazione alla norma di cui all'art. 14 della legge n. 537 del 1993 -che dispone l'applicabilit� della disciplina ivi racchiusa dal 1� gennaio 1994 con riferimento alle cessioni dei soli animali bovini -pu� porsi il dubbio (ed in tal senso sembra orientata la sentenza 6 marzo 1999 n. 1943 della stessa Corte di Cassazione) che la stessa abbia portata innovativa (con decorrenza quindi dal 1 � gennaio 1994) rispetto alla previgente: ogni problema dovrebbe peraltro essere ora risolto, a seguito della modifica all'art. 34 del d.P.R. n. 633 apportata dal d.lgs. n. 313 del 1997, in base al quale non compete comunque la detrazione forfetizzata per le cessioni di prodotti agricoli, quando il loro acquisto derivi da atto non assoggettato ad I.V.A. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (art. 1 citato decreto), e cio� solo al trasferimento del prodotto, e pertanto non � dovuta, e quindi pu� essere detratta, l'LV.A. versata per l'acquisizione dei mezzi necessari per poter porre in essere l'operazione assoggettabile -essa sola istituzionalmente -ad LV.A. H successivo art 34 dispone che �per le cessioni di prodotti agricoli ... effettuate da produttori agricoli, la detrazione prevista dall' art.19 � forfettizzata in misura pari all'importo risultante dalla applicazione, all'ammontare imponibile delle operazioni stesse, delle percentuali di compensazione stabilite, per gruppi di prodotti, con decreto... e l'imposta si applica con le aliquote corrispondenti alle percentuali stesse�. La norma non prevede una speciale detrazione e cio� una detrazione fondata su princ�pi diversi da quello ordinario fissato nell'art. 19, ma si limita a stabilire una specifica quantificazione della detrazione stessa. Essa (norma) difatti, rinviando indiscriminatamente alla �detrazione prevista dall'art. 19�, esplicita l'integrale recepimento del diritto alla detrazione quale previsto in quest'ultima norma, e quindi del presupposto dello stesso: recepisce cio� il principio che dall'LV.A. da versare si possa detrarre �solo� l'I.V.A. in precedenza versata. Gi� a questa stregua il ricorso � infondato perch� nella specie non era stata in precedenza versata !'I.V.A. e pertanto manca -perch� non realizzato -il presupposto del diritto alla detrazione. N� potrebbe condividersi l'assunto che questa spetti comunque mediante l'attuazione del procedimento previsto dall'art. 34. Tale interpretazione della norma conferirebbe a questa la portata di attribuzione, a colui il quale abbia scelto il regime speciale, del beneficio di imposta ridotta �in ogni caso�: e cio� anche in difetto di ricorrenza del presupposto fondamentale del diritto alla detrazione, consistente nel precedente pagamento di LV.A. Ma siffatta interpretazione non solo non trova supporto lessicale o logico nella norma, ma, concretando deroga al regime fondamentale ordinario della detrazione, avrebbe indubbiamente necessitato di specifica esplicitazione. N� potrebbe ritenersi che la interpretazione (invece) adottata sarebbe non corretta perch� importerebbe l'applicazione del regime ordinario in luogo di quello speciale scelto, applicazione questa che sarebbe preclusa dall'alternativit� tra i due regimi. La alternativit� difatti preclude la contemporanea applicazione delle due diverse discipline ma non preclude che �determinate� operazioni, in quanto non assoggettabili -per loro specifica connotazione -alla scelta disciplina speciale, soggiacciano a quella ordinaria. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 marzo 1999 n. 1809 -Pres. Grieco -Rei. Di Amato -P.G. (diff.) Apice -Ministero delle Finanze (avv. Stato Mangia) c. Gissi ( avv. Romanelli). Tributi in generale -Accertamento -Imposte dirette -Indicazione dell'aliquota -Fattispecie. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, artt. 38 e 42). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 484 L'avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette che non indichi le aliquote applicate, limitandosi ad indicare l'aliquota massima e l'aliquota minima e richiamando, pel resto, una norma poi modificata da provvedimento non del pari richiamato, � nullo, anche ai fini dell'ILOR, attesa la sua strutturale unitariet� ed inscindibilit�. (1) (omissis) Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 38 e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, poich� gli accertamenti IRPEF ed ILOR sono del tutto autonomi, come aveva affermato la stessa sentenza di annullamento con rinvio, rilevando che l'esigenza della indicazione delle aliquote d'imposta, la cui mancanza determinava la nullit� dell'accertamento, sussisteva soltanto per l'IRPEF e non anche per una imposta, come l'ILOR, ad aliquota unica, per la quale la relativa misura poteva essere facilmente dedotta dalla correlazione dell'imponibile con l'imposta. I due motivi, che devono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, sono infondati. Invero, contrariamente a quanto mostra di ritenere l'amministrazione ricorrente, la sentenza di questa Corte n. 773/1993 non afferma l'autonomia dell'accertamento ai fini IRPEF rispetto all'accertamento ai fini ILOR e non afferma, in tale contesto, la correttezza di quest'ultimo accertamento. In realt� questa Corte, dopo avere spiegato la ratio dell'art. 42 del citato d.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui prescrive che l'avviso di accertamento rechi l'indicazione delle aliquote d'imposta applicate, ha ipotizzato che, in relazione ad imposte ad aliquota unica, come appunto l'ILOR, citata a titolo di esempio, il precetto normativo potrebbe essere soddisfatto anche con la sola indicazione dell'imponibile e dell'imposta applicata, per la semplicit� con la quale il contribuente potrebbe risalire alla aliquota applicata. Il descritto riferimento al possibile diverso atteggiarsi delle indicazioni prescritte dalla legge, in relazione alla unicit� o alla pluralit� delle aliquote applicabili, ha pertanto un valore meramente argomentativo, come reso evidente dal fatto che la sentenza ha menzionato l'ILOR (1) L'indicazione dell'aliquota applicata � un requisito espressamente previsto dall'art. 42, d.P.R. 600/73, a pena di nullit�; talora, peraltro, gli Uffici si limitano ad indicare le aliquote minima e massima, indicando l'articolo di legge che fissa in generale le altre. A fronte di ci� nella consapevolezza della sostanziale inutilit� di tale prescrizione formale, posto che le aliquote sono note in quanto fissate per legge -si � tentato di scindere, almeno ai fini ILOR -dove l'aliquota � fissa -gli effetti di tale sanzione; peraltro la Corte, ricordando che, ex art. 38, secondo comma, d.P.R. 600, l'accertamento ai fini dell'IRPEF e dell'ILOR si effettua con unico atto, ha rigettato tale impostazione. Due osservazioni: le obbligazioni di imposta sono due, distinte; il fatto che la legge indichi che l'atto di accertamento debba essere unico non significa che produca effetti inscindibili: anzi, producendo effetti su due rapporti deve presumersi il contrario, sin dove i suoi eventuali vizi siano riferibili all'uno o all'altro dei rapporti, per il generale principio di conservazione degli atti giuridici. In secondo luogo, sembra eccessivo interpretare il comma terzo dell'art. 42, che commina la nullit� agli accertamenti �privi delle indicazioni ... di cui al comma precedente� per le aliquote, note, come la legge a tutti lo �. Ci� che � essenziale, tra dette indicazioni, � piuttosto l'imponibile, unitamente alle detrazioni, ritenute e crediti riconosciuti, ed all'imposta pretesa. R.d.F. Ij I I < I: I i PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 485 soltanto ed espressamente a titolo di esempio. Questa corte, pertanto, con la sentenza di rinvio non ha affatto affermato l'autonomia dell'accertamento ai fini IRPEF rispetto a quello ai fini ILOR e la correttezza di quest'ultimo accertamento, con la cor.seguenza che la relativa questione era impregiudicata e correttamente la Corte di merito, tenuto conto che l'accertamento era stato impugnato in relazione a tutte le imposte su di esso fondate, ha esaminato e deciso il punto relativo alla portata della nullit� dell'accertamento. In proposito i dati normativi significativi sono l'art. 38, secondo comma, e l'art. 42, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973. La prima disposizione recita testualmente che �la rettifica deve essere fatta con un unico atto, agli effetti dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e dell'imposta locale sui redditi�, sia pure, naturalmente, con un riferimento analitico alle singole categorie di reddito riferibili alla persona fisica. La seconda disposizione prevede la sanzione della nullit� dell'accertamento per la mancanza della sottoscrizione, delle indicazioni e della motivazione di cui allo stesso art. 42 cit. Pertanto, da un lato, non vi � dubbio che la sanzione della nullit� colpisce l'atto nel suo complesso, senza la possibilit� di configurare una nullit� parziale. D'altro canto, neppure si pu� ipotizzare che ad un unico documento corrispondano due distinti accertamenti poich� l'accertamento ha ad oggetto il reddito del contribuente, elemento che resta identico nelle due imposte, ai fini della individuazione del reddito imponibile. Pertanto, in mancanza di una contraria indicazione del legislatore, il reddito del contribuente non pu� essere considerato come oggetto di due distinti accertamenti contestuali, non essendo ipotizzabile, come esattamente ritenuto dalla sentenza impugnata, che esso sia determinato in misure diverse ai fini dell'IRPEF ed ai fini dell'ILOR. Da quanto detto consegue che l'annullamento dell'accertamento non pu� non avere riflessi su entrambe le imposte. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 marzo 1999 n. 1932 -Pres. Grieco -Rei. De Musis -P.G. (parz. diff.) Gambardella -Soc. Petten� (avv. Fassari) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano). Tributi in generale -Accertamento � Documenti acquisiti in sede di accesso dalla Guardia di Finanza -Successiva trasmissione al P.M. unitamente a notizia di reato� Utilizzabilit� in sede tributaria. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 63, secondo comma; artt. 191, 365, 369 c.p.p.). Legittimamente sono utilizzati ai fini dell'accertamento i documenti acquisiti mediante sequestro dalla Guardia di Finanza nel corso di una verifica e poi trasmessi, insieme a notizia di reato al P.M. e senza l'autorizzazione di questi, potendo l'eventuale violazione di tale adempimento al pi� rilevare in sede penale (1). (1) Di particolare rilevanza la distinzione tra le attivit� di polizia tributaria e polizia giudiziaria svolte dalla Guardia di Finanza. Poich� il Corpo in questione ha il dovere di trasmettere gli atti e le notizie rilevanti alla Amministrazione finanziaria (art. 33, terzo comma, 486 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAW (omissis) Con il primo motivo di ricorso, denunziandosi nullit� della decisione per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione degli artt. 63, secondo comma, d.P.R. n.633/1972, 191, 365 e 369 c.p.p., si deduce che illegittimamente sono stati posti a base dell'accertamento tributario i documenti (ritenuti) penalmente rilevanti: le attivit� svolte dalla Guardia di Finanza per la acquisizione di tali documenti, e cio� della prova di reati, difatti costituivano oggettivamente attivit� di polizia giudiziaria e pertanto avrebbero dovuto essere - perch� detta acquisizione potesse rivestire connotato di legittimit� -rispettose - ed invece non lo erano state -degli adempimenti di garanzia (dell'indagato) che il diritto processuale penale impone. Il motivo � infondato. Come emerge dalla sentenza impugnata, la Guardia di finanza ha svolto un'indagine ispettiva ad esclusivi fini di polizia tributaria e, avendo, nell'esercizio di tale attivit�, rinvenuto documentazione che ha ritenuto penalmente rilevante, ha I inviato copia (od originale) del.la stessa nonch� il rapporto conclusivo dell'ispezione, al Procuratore della Repubblica. 1. A questa stregua � evidente che la Guardia di Finanza non ha espletato alcuna attivit� di polizia giudiziaria e pertanto, legittimamente ha acquisito ai fini ~ tributari quella (�stessa�) documentazione che essa ha ritenuto costituire ~ (�anche�) prova di reato. I~. Consegue che non ricorreva l'ipotesi nella quale � necessario svolgere : adempimenti a garanzia dell'indagato e che, se comunque tale ipotesi si fosse ili verificata, la omissione di detti adempimenti rileverebbe esclusivamente in sede penale. Con il secondo motivo, denunziandosi violazione dell'art. 63 d.P.R. n. 633/1972, si deduce che almeno per le fatture asseritamente false sarebbe stata necessaria, al fine della loro acquisizione in sede tributaria, la previa autorizzazione dell'autorit� giudiziaria penale. d.P.R. 600173) ai fini fiscali (cfr. anche l'art. 63, d.P.R. 633/72) e la notizia di reato con i suoi allegati al P.M. (art. 347, primo comma, c.p.p.) la legge prevede la necessaria autorizzazione di questi a tutela del segreto d'indagine. Se questo � il valore tutelato dall'ordinamento si comprende come la mancanza di tale atto non rilevi ai diversi fini tributari. Ai fini penalistici, salva l'eventuale responsabilit� disciplinare ex art. 124 c.p.p., il sequestro di P.G., possibile in caso di pericolo di dispersione del corpo del reato e delle cose ad esso pertinenti (art. 354, secondo comma, c.p.p.) non richiede affatto la previa informazione di garanzia n� l'assistenza del difensore, che nel sequestro, tipico atto a sorpresa, � sempre eventuale (art. 356 c.p.p.). Dovr� il P.M., convalidato il sequestro, disporre la nomina del difensore d'ufficio -se occorra ed il deposito dell'atto, nonch� inviare, contestualmente alla convalida, l'informazione di garanzia. L'omissione di tali adempimenti comporter� la decadenza del vincolo sull'oggetto del sequestro. Peraltro il �sequestro tributario� ex art. 52, settimo comma, d.P.R. 633 -applicabile anche alle imposte dirette -non richiede di per s� convalida. Di conseguenza la trasmissione -successiva al P.M. di tali documenti difficilmente si inquadra nel sequestro penale, essendo, pi� verosimilmente, trasmissione di documenti relativi alla notizia di reato ex art. 347 c.p.p., documenti gi� legittimamente in possesso del Corpo. R.d.F PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 487 Il motivo � infondato. Il menzionato art. 63 -quale vigente all'epoca di riferimento -disponeva che la guardia di finanza �previa autorizzazione dell'autorit� giudiziaria ... utilizza e trasmettt agli uffici (dell'imposta sul valore aggiunto) documenti, dati e notizie acquisiti nei confronti dell'imputato nell'esercizio dei poteri e facolt� di polizia giudiziaria e valutaria�. Come emerge dalle locuzioni �nei confronti dell'imputato� e �nell'esercizio dei poteri e facolt� di polizia giudiziaria e valutaria� nonch� dal necessario collegamento tra le stesse l'utilizzazione e la trasmissione di documenti, dati e notizie postula l'autorizzazione solo se tali elementi siano acquisiti nell'esercizio di attivit� di polizia giudiziaria: e ci� nella specie, per quanto rilevato nell'esame del primo motivo, deve ritenersi escluso. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 marzo 1999 n. 2440 -Pres. Rocchi -Rei. Papa -P.G. (diff.) Morozzo della Rocca -Ministero delle Finanze (avv. Stato De Bellis) c. Soc. Sasib (avv.ti Gallo, Rossi). 1�ibuti in generale -Condono ex d.l. 429/1982 -Notifica di avviso di accertamento durante il tempo utile per la presentazione della dichiarazione integrativa -Mancata impugnazione -Inammissibilit� del condono. (d.l. 10 luglio 1982 n. 429, conv. in legge 7 agosto 1982 n. 516, artt. 16 e 19; Corte Cost., sentenza 175/1986). Il contribuente al quale, pendenti i termini per la dichiarazione integrativa ex art. 16, d.l. 429/1982, sia stato notificato un avviso di accertamento, non impugnato e consolidatosi, non pu� avvalersi della definizione automatica di cui all'art. 16 cit., poich� tale accertamento, pur illegittimo in base alla sentenza 175/1986 della Corte Costituzionale, non � nullo, ma annullabile, e la sua consolidazione impedisce l'applicazione di tale forma di sanatoria. (1) (omissis) L'Amministrazione denunzia �violazione ed errata applicazione degli artt. 16 e 32 d.l. 10 luglio 1982 n. 429 convertito in legge 7 agosto 1982 n. 516, in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.; violazione dei princ�pi in tema di efficacia delle sentenze della Corte Costituzionale�. Sostiene, infatti, che l'omessa (1) Decisione ineccepibile, che fa buon governo dei princ�pi in tema di retroattivit� delle sentenze di declaratoria di illegittimit� costituzionale, che non possono incidere sui rapporti medio tempore definiti (nel caso, dalla consolidazione di un atto impugnabile). La sanatoria automatica ex art. 16 del d.l. n. 429 prevede il pagamento di una somma basata su una percentuale del dichiarato mentre, in presenza di accertamento anteriore alla data di inizio del periodo utile per la presentazione delle dichiarazioni integrative, la somma da versare � una frazione dell'accertato. Poich�, nel caso di specie, il rapporto era definito, il condono non poteva trovare applicazione. R.d.F. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATff. 488 impugnazione dell'avviso di accertamento, da un lato, e la presentazione della dichiarazione integrativa ex art. 16 d.1. 429 cit., dall'altro, hanno prodotto la definitivit� del rapporto tributario, cui non risulta dunque applicabile Corte Cost. 175/1986. Definitivit� non pregiudicata dal ricorso avverso l'iscrizione a ruolo, atto diretto alla mera riscossione, il quale presuppone �una precedente situazione ormai definita e costituita�: per un verso, infatti, il vizio inficiante -per effetto della (sopravvenuta) dichiarazione d'incostituzionalit� -l'atto medesimo non � stato fatto valere entro il termine perentorio per l'impugnazione di esso, e, d'altronde, non � consentito revocare le dichiarazioni integrative e le istanze di definizione al di fuori delle ipotesi tassative, previste nell'art. 32 d.1. cit. (errore materiale o violazione delle norme degli articoli precedenti). La conseguenza � quella dell'acquisizione a titolo definitivo delle maggiori imposte risultanti, ai sensi dell'art. 32 cit., per effetto di una �acquiescenza (sia pure parziale) all'accertamento dell'ufficio�, con un sostanziale effetto di �definizione automatica�, preclusiva della possibilit� di successive modifiche. Oppone la controricorrente Societ� che la definitivit� � esclusa dalla intervenuta impugnazione dell'iscrizione a ruolo, essa stessa costituente �atto del procedimento di condono come disciplinato dal d.l. 429/1982�; richiama quindi le diverse I condizioni per le dichiarazioni integrative previste negli artt. 19 (pi� favorevole, in mancanza di accertamento d'ufficio) e 16 (in presenza di accertamento), I sottolineando i diversi metodi di riscossione stabiliti dall'art. 20 comma 1 della ~ normativa sul cd. condono, per inferirne appunto che solo nel secondo caso ~ ~' (iscrizione a ruolo, e non versamento diretto) 1 'iscrizione a ruolo ex art. 20 bis ultimo comma �costituisce un atto del procedimento di definizione delle imposte dovute per condono in presenza di un accertamento�, sul presupposto della I . dichiarazione suddetta. Di qui l'applicabilit� della ripetuta sentenza 175/1986, ' I venuta ad incidere su uno degli atti della serie procedimentale -determinandone l'illegittimit� -�prima della liquidazione delle imposte dovute dalla Manzini�. Ritiene, pertanto, priva di rilievo l'argomentazione che la ricorrente Amministrazione desume dalla disciplina dell'art. 32, comunque osservando che, per effetto dell'intervenuta declaratoria di illegittimit� costituzionale, si I configurerebbe una (sopravvenu_ta) violazione del ripetuto art. 16, e si verserebbe, quindi, in un caso di retrattabilit� della dichiarazione di cui si discute. I Il ricorso risulta fondato. Mentre l'art. 19 d.l. 429/1982 consentiva di fruire del cd. condono sulla base della dichiarazione presentata, l'art. 16, in presenza di un accertamento intermedio i dell'ufficio finanziario, prevedeva una forma di definizione pi� onerosa: di qui l'intervento di Corte Cost. 175/1986, che, al fine di eliminare, in relazione alla I seconda ipotesi, una differenza di trattamento fra contribuenti priva di ragionevolezza -risultandone privilegiati quelli ammessi alla definizione automatica, per avere I l'ufficio omesso di notificare loro l'accertamento, rispetto agli altri, ammessi solo ad ~ aderire all'accertamento notificato, con l'effetto di rendere gli uffici finanziari I~ ~ sostanzialmente arbitri di stabilire chi di loro potesse accedere alla definizione di ~~ maggior favore -, ha dichiarato la illegittimit� costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 53 e 97 Cost., del cit. art. 16, nella parte in cui consentiva la notifica di accertamenti in rettifica o di ufficio sino alla data di presentazione della dichiarazione integrativa anzich� fino a quella di entrata in vigore del d.l. 429/1982, che ha PARTE I, SEZ. V, GillRISPRUDENZA TRIBUTARIA concesso il condono fiscale. Ne deriva che il contribuente al quale -come appunto � accaduto all'odierna controricorrente -, nel periodo compreso tra l'entrata in vigore del d.l. 429/1982 e la data di presentazione della dichiarazione integrativa, fosse stato notificato un accertamento, e che volesse risolvere la propria pendenza tributaria mediante definizione automatica, avrebbe dovuto presentare la dichiarazione integrativa ai sensi dell'art. 19, prendendo a base quindi la propria dichiarazione originaria e necessariamente impugnando nei termini l'accertamento, con denunzia d'illegittimit� costituzionale dell'art. 16. Diversamente operando, ed, in particolare, producendo la dichiarazione integrativa sulla base dell'accertamento notificatogli (e, quindi, proprio ex art. 16), senza impugnarlo, data l'irretrattabilit� della dichiarazione integrativa sancita dall'art. 32 d.l. cit., avrebbe reso incontestabile il rapporto tributario, con la definitivit� dell'imponibile da considerare agli effetti del condono. Essendosi la Societ� contribuente regolata proprio in tale maniera, non pu� dunque avvalersi degli effetti derivanti da Corte Cost. 175/1986, intervenuta quando ormai non vi era controversia d'imposta pendente, ed il rapporto -per la mancata tempestiva impugnazione dell'avviso di accertamento e stante la stessa richiesta di definizione ex art. 16 -era ormai �esaurito�. Il tutto, in applicazione del principio in virt� del quale la dichiarazione di incostituzionalit�, mentre incide sui rapporti pendenti, non spiega effetti rispetto a quelli gi� esauriti, tali essendo quelli in cui sia intervenuto un giudicato od un atto amministrativo definitivo, ovvero rispetto ai quali siano scaduti i termini fissati al contribuente per mettere in discussione la debenza dell'imposta (v., per tutte, Cass. 4024/1989). L'indirizzo, cui il collegio aderisce, come non consente di dare ingresso alla prospettazione della controricorrente circa la possibilit� di modifica della dichiarazione integrativa per violazione delle stesse norme sul condono (per essere intervenuta, la declaratoria di parziale illegittimit� costituzionale del cit. art. 16, dopo la definitivit� dell'avviso di accertamento), cos� rende insostenibile la costruzione, seguita nella sentenza impugnata (e presupposta dalla controricorrente, pure nei rilievi mossi all'indirizzo indicato nella memoria), circa la sopravvenuta inutilizzabilit� del �titolo legittimante la formazione del ruolo�, poich� l'unificazione dei procedimenti di accertamento e di riscossione risulta positivamente contraddetta dall'art. 16 d.P.R. 636/1972 come sostituito dall'art. 7 d.P.R. 739/1981, che ammette il ricorso contro il ruolo, per motivi diversi da quelli relativi a vizi propri, soltanto se tale atto non sia stato preceduto dalla notificazione dell'avviso di accertamento. Deve quindi riaffermarsi ( cfr. Cass. 3485/1997) che il contribuente, cui sia stato notificato avviso di accertamento dopo la data di entrata in vigore del d.l. 429/1982 convertito nella legge 516/1982, se abbia prodotto dichiarazione integrativa per la definizione agevolata ex art. 16 legge cit. senza impugnare l'accertamento, non pu� successivamente far valere, attraverso l'impugnativa all'iscrizione a ruolo, la declaratoria d'illegittimit� costituzionale della stessa disposizione (Corte Cost. 175/1986 cit.), che non pu� venire a incidere su un rapporto d'imposta esaurito. L'accoglimento del ricorso comporta la cassazione della decisione impugnata, con decisione nel merito, non essendo necessari accertamenti ulteriori, ai sensi dell'art. 384 comma 1 c.p.c.: alla verificata legittimit� dell'iscrizione a ruolo della contribuente consegue il rigetto dell'opposizione avverso tale atto proposta. (omissis) RASSEGNA AVVOC~RADELLO STATO. 490 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 aprile 1999 n. 3691 -Pres. Cantillo -Est. Graziadei -P.G. Golia (conci. conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano) c. Soc. Lucchetti ( avv. Mercatali). Tributi erariali indiretti -IVA -Accertamento -Presunzione di cessione di merci rinvenute in luogo ove il contribuente non eserciti la sua attivit� Contestazione -Onere della prova. Tributi erariali indiretti -IVA -Accertamento -Presunzione di cessione di merci rinvenute in luogo ove il contribuente non eserciti la propria attivit� Denunzia del luogo come pertinente all'impresa effettuata dopo l'accesso Irrilevanza. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 53; art. 35, secondo comma, n. 4). Il soggetto IVA, che contesti la presunzione di cessione di merci rinvenute in un deposito non denunziato e pertanto considerato non pertinente all'impresa, allegandone la mancata vendita in ragione del loro deperimento seguito ad un incendio, deve provare in modo specifico tali circostanze, ove contrastino con le risultanze dell'accesso, non essendo sufficiente il riferimento alle fatture di acquisto anteriori all'evento. (1) Non rileva la denunzia tardiva della disponibilit� di un deposito, ove siano state gi� ritrovate merci dell'impresa, ai fini di escludere l'operativit� della presunzione di cessione delle stesse. (2) (1) Va premesso che tale presunzione � ora disciplinata dall'art. 1, d.P.R. 10 novembre 1997 n. 441, il quale amplia la possibilit� di provare la pertinenza del locale all'impresa, potendo essa risultare anche da dati registrati presso la Camera di Commercio o in altro pubblico registro, ovvero da qualsiasi documento annotato in uno dei registri IVA, documento dal quale devono risultare sia la disponibilit� del locale destinato a sede secondaria, filiale ecc. da parte del soggetto, sia la destinazione dei beni esattamente individuati (che costituiscono oggetto della presunzione) a tale luogo. Se quindi sono ampliati, nella vigente disciplina, i mezzi di prova, comunque pur ora tassativamente indicati dalla norma (il previgente art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972 considerava a tal fine solo la denuncia iniziale o quella di variazione come il veicolo per preindicare i locali destinati a sede secondaria ecc.), rimane comunque fermo che la previa formalizzazione di tali locali costituisce condizione formale essenziale per la loro individuazione, rilevante ai fini del superamento della presunzione (juris tantum) di cessione, che � evidentemente finalizzata a prevenire la commercializzazione con sottrazione di imposta dei beni, acquisiti, importati o prodotti, una volta introdotti in luoghi che non siano previamente �denunciati� come pertinenti all'impresa. (2) La presunzione di cessione opera con riguardo alle merci che �al momento della verifica� si trovino in locali non di pertinenza dell'impresa. Tale precisazione temporale toglie ogni rilievo alla successiva denunzia dei locali come pertinenti all'impresa ex art. 35, secondo comma, n. 4, d.P.R. 633/1972. Sugli effetti della mancata denunzia, cfr. Cass., 2 luglio 1990, n. 6761, in Corr. Trib., 1990, 3248; Cass., 18 aprile 1991 n. 4188, in Boli. Trib., 1991, 1785; entrambe conformi. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (omissis) L'Amministrazione denuncia: -con il primo motivo, la violazione dell'art. 345 cod. proc. civ., per non essersi rilevato che la tesi della Lucchetti, circa il risalire di detti acquisti al 1987 e l'illegittimit� dell'applicazione delle pene pecuniarie, era stata inammissibilmente avanzata soltanto in fase d'appello; -con il secondo motivo, la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ., ed inoltre degli artt. 2697, 2727 e 2728 cod. civ., perch� � stata accolta la suddetta tesi sulla base di circostanze che la Societ� non aveva dedotto (probabilmente per non esporsi a contestazioni pi� gravi, avendo denunciato a fini assicurativi la globale perdita della propria merce a seguito d'incendio), e che comunque non erano tali da evidenziare il risalire degli acquisti medesimi al 1987 e la loro rispondenza alle fatture rinvenute per detta annualit�; -con il terzo motivo, la mancata applicazione dell'art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972, ove presume, per le merci ritrovate nei depositi dell'impresa, l'acquisto nell'anno del relativo accertamento, e l'erroneo superamento di tale presunzione, sulla scorta di elementi labili ed inconsistenti; -con il quarto motivo, I'omesso riscontro dell'applicabilit� della citata normativa del d.l. n. 69 del 1989, in tema di responsabilit� anche dell'acquirente per l'imposta dovuta sulla cessione di beni, in ragione dell'operativit� di detta presunzione. (omissis) La seconda parte del secondo motivo, il terzo ed il quarto motivo sono fondati, con riguardo alla prioritaria ed assorbente doglianza d'ineguatezza della motivazione sull'epoca degli acquisti in discussione. La Commissione regionale non ha messo in dubbio che spettasse alla Lucchetti di dimostrare la pretesa derivazione delle merci possedute nel 1991 da approvvigionamenti effettuati nel 1987 e la loro riferibilit� alle fatture acquisite dagli ispettori tributari per tale precedente anno. Il raggiungimento di detta prova � stato ritenuto in esito al coordinamento delle modalit� di conservazione e stivaggio della merce reperita nel 1991 con le vicende attinenti all'incendio del 1987, sulla scorta di un convincimento di coincidenza della merce medesima con i residui, ormai invendibili, della radicale distruzione provocata da detto incendio. Il relativo iter argomentativo, alla luce dei canoni generali che consentono di avvalersi della prova presuntiva solo in presenza di elementi gravi, precisi e concordanti, si appalesa lacunoso e contraddittorio. Nella pronuncia impugnata, infatti, si d� atto che il menzionato incendio, secondo quanto affermato dalla stessa Societ� con la denuncia alla compagnia assicuratrice e con il bilancio del 1988, aveva eliminato ogni disponibilit� di scorte, o quantomeno di scorte suscettibili di immissione in commercio; parimenti si d� atto che i beni rinvenuti nel magazzino di Chiaravalle erano stati stimati dall'Ufficio in circa 600 milioni di lire. Rispetto a tali premesse, la sentenza della Commissione regionale, coerente con detti canoni fino a quando afferma il verificarsi dell'acquisto delle merci in epoca non prossima al rinvenimento, implica un salto logico, o comunque si esaurisce in una RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 492 supposizione, ove identifica detta epoca nel 1987, prima dell'incendio, e considera le merci stesse come residui inservibili, senza l'indicazione di quali circostanze smentissero l'accertamento ispettivo sul valore e sulla persistente commerciabilit� dei beni (oggetti da regalo in ceramica, vetro, cristallo e simili), e comunque effettua un'acritica scelta, fra pi� ipotesi parimenti verosimili (inclusa la ricostituzione delle scorte successivamente alla devastazione del 1987 ed al bilancio del 1988 che ne escludeva la presenza), proprio di quella pi� favorevole alla contribuente. Il quinto motivo del ricorso principale � inerente al rilievo n. 2, sulla mancata fatturazione delle vendite della merce non trovata nel deposito di Chiaravalle. L'Amministrazione sostiene che la presunzione di cessione di cui all'art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972 doveva operare anche per le merci rinvenute nel deposito occulto di Monsano, reso palese soltanto posteriormente al verificarsi dei fatti in contestazione. Il motivo � fondato. Detto art. 53, dopo aver stabilito, con il primo comma, che si presumono ceduti I i beni acquistati (importati o prodotti) che non si trovino nel locali in cui il contribuente eserciti la sua attivit�, compresi i depositi, con il secondo comma I dispone che questi ultimi devono essere stati indicati a norma dell'art. 35 (o dell'art. 81) dello stesso d.P.R. n. 633 del 1972, e cio� denunciati con la I dichiarazione d'inizio di quell'attivit�, ovvero, in caso di successiva variazione, entro trenta giorni. I Il dato letterale ed il collegamento delle due disposizioni (la seconda chiarisce -~ quali siano i luoghi influenti per la prima) manifestano l'intento del legislatore di presumere cedute anche le merci collocate in depositi di propriet� del contribuente, se la loro inerenza all'esercizio imprenditoriale non sia stata formalmente dichiarata nei modi e nei tempi prestabiliti, al fine di evitare possibili elusioni dell'IVA per il tramite di immagazzinamenti in locali non noti e non controllabili dall'ufficio (v. Cass. n. 6761 del 2 luglio 1990). La presunzione in discorso non trova ostacolo nell'assoggettamento dell'omissione di detta denuncia a pena pecuniaria, la cui previsione trova autonoma ragione e titolo nell'esigenza di sanzionare la relativa infrazione formale, n� pu� essere impedita dalla sopravvenuta �Ufficializzazione� del deposito non dichiarato, se successiva, come pacificamente nella specie, all'immissione in esso della merce acquistata, e quindi al verificarsi degli estremi che determinano l'applicazione della presunzione medesima. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 15 aprile 1999 n. 3736 -Pres. Grieco -Rei. Altieri -P.G. (diff.) Apice -Ministero delle Finanze (avv. Stato Lancia) c. Poliani ( avv. Merlino). Tributi erariali indiretti -IVA -Sanzione a carico del cessionario inadempiente all'obbligo di autofatturazione -Condono ex d.l. 429/1982 art. 29 Applicabilit� -Condizioni. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 41, quarto comma; d.l. 10 luglio 1982 n. 429, conv. in legge 7 agosto 1982 n. 516, art. 29). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 493 La sanzione irrogata al cessionario, che abbia acquistato, nell'esercizio di imprese, arti o professioni, beni senza ricevere la fattura n� provvedere all'autofatturazione, non pu� essere oggetto del condono di cui all'art. 29 d.l. 429/1982, se l'istanza dell'interessato non si riferisce anche all'imposta del medesimo dovuta quale obbligato in solido. (1) (omissis) Secondo l'art. 29 della legge 7 agosto 1982, n. 516, le sanzioni amministrative in materia di I.V.A. non si applicano alla condizione che �l'imposta resti definita ai sensi dei precedenti articoli�. La finalit� della normativa di condono � diretta a far recuperare all'erario, sia pure in misura ridotta, i tributi non ancora liquidati e pagati. Nel caso di cessione di beni, l'esistenza del vincolo di solidariet� tra cedente e cessionario (art. 41, comma quarto, del d.P.R. 633/1972) consente a ciascuno degli obbligati di estinguere l'obbligazione mediante l'adempimento dell'intera prestazione, o nella forma agevolata consentita dalla legge di condono. Come ha esattamente rilevato la difesa dell'Amministrazione, tale forma agevolata implicava che, in caso di violazione dell'obbligo di fatturazione da parte del cedente, la mancata definizione -in relazione al debito d'imposta -da parte di quest'ultimo, imponeva al cessionario il ricorso alla procedura di autofatturazione. La presentazione della domanda di condono da parte del contribuente era, pertanto, inidonea a determinare l'estinzione di quella parte della controversia che riguardava l'omessa autofatturazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 aprile 1999 n. 3840 -Pres. Rocchi -Est. De Musis -P.G. Martone (conci. conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Cenerini) c. Frisia ( avv. Centonze). llibuti erariali indiretti -Imposta di successione � Beneficio della dilazione di pagamento � Interessi dovuti dal contribuente � Variazione del tasso � Effetti. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, art. 43; d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, artt. 38, secondo comma, e 63). Il Testo Unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni si applica a tutte le successioni apertesi a partire dal 1 �gennaio 1991; di conseguenza, � illegittima la pretesa dell'Erario di applicare il tasso d'interesse del nove per cento annuo, introdotto dal Testo Unico, sulle dilazioni di (1) L'espresso condizionamento del condono delle sanzioni a quello dell'IVA impone la presente scelta ermeneutica. Inconferente appare la citazione di Corte Costituzionale n. 207 /88, in quanto il riconoscimento al cessionario, qui eccezionalmente coobbligato (art. 41, quarto comma, d.P.R. n. 633/1972), della facolt� di effettuare il condono o di contestare l'an ed il quantum dell'imposta pretesa, nulla ha a che vedere con la distinta tematica del collegamento tra il condono delle sanzioni e quello dell'imposta. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'tiY 494 pagamento, con riferimento ad una successione apertasi anteriormente a tale data, ancorch� il beneficio della dilazione sia stato concesso dopo l'entrata in vigore del medesimo T.U. (1). (omissis) La questione consiste nello stabilire se -per successione apertasi sotto il vigore del precedente testo unico, con liquidazione della relativa imposta -alla dilazione di pagamento di tale imposta, richiesta sotto il vigore del testo stesso ma concessa sotto il vigore del nuovo testo, si applichino gli interessi nella misura fissata dal nuovo -e non dal precedente -testo. Al quesito va data risposta negativa. I due testi unici -come emerge dalla intitolazione degli stessi oltre che dal loro contenuto -disciplinano l'imposta sulle successioni, e, in particolare, disciplinano la dilazione nel pagamento della stessa, fissandone le condizioni di concessione e la misura degli interessi dovuti. E, bench� prendano in considerazione la medesima situazione imponibile -e cio� la successione -detti testi pongono, sia dell'imposta che della dilazione, una disciplina autonoma: nel senso che questa � compiutamente regolata dal testo unico applicabile. In particolare poi detti testi nel prevedere la dilazione non recepiscono una I normativa generale o, comunque, una disciplina generale della dilazione stessa, ma sono essi che prevedono la dilazione e ne stabiliscono le condizioni per la concessione e i conseguenti obblighi a carico del contribuente. Per il pagamento dell'imposta di successione, cio�, non esiste dilazione che non I sia quella prevista espressamente in detti testi: si vuol dire che i legislatori tributari ~ che si succedono nel tempo possono non solo fissare condizioni ed obblighi diversi per la concessione della dilazione ma anche escluderla del tutto -non prevedendola. I Tale connotazione della dilazione, quale istituto non di carattere generale ma di :: ~ carattere specifico ad una determinata imposta, rende la dilazione stessa correlata all'imposta alla quale essa accede e della quale quindi segue le sorti: essa pertanto -in difetto di espressa previsione normativa di un suo diverso ambito di applicazione -non pu� che applicarsi nel solo caso di applicabilit� dell'imposta alla quale � correlata normativamente. E poich� il nuovo testo unico si applica, per sua espressa previsione, alle successioni aperte a partire dal 1� gennaio 1991, � solo all'imposta su tali successioni che si applica la dilazione prevista da tale testo unico. Il ricorso dev'essere pertanto respinto. (omissis) (1) La Corte respinge la tesi volta a configurare nella concessione del beneficio della dilazione (cui accede l'obbligazione di corrispondere gli interessi fissati dalla normativa) una convenzione di carattere autonomo, e che, conseguentemente, reclama l'applicabilit� delle variazioni del tasso d'interesse, frattanto intervenute, compresa quella di cui all'art. 38, d.lgs. 346/1990. La decisione appare difficilmente contestabile, perch� la norma che dispone l'entrata in vigore del T.U. successivo si riferisce non ad una data determinata ma alle successioni apertesi dopo una data determinata: nel primo caso la tesi sarebbe fondata, ma nella realt� normativa il legislatore, con una decisione che ha certo il merito della chiarezza -quanto agli effetti -ha stabilito che tutte le nuove norme, compresa quella sugli interessi in esame, entrino in vigore insieme e per le successioni indicate dall'art. 63. Non � perci� possibile frazionare i due testi normativi applicandoli parzialmente -anche ratione temporis -ad una medesima successione. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 495 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 aprile 1999 n. 4127 -Pres. Sgroi R. -Est. Forte -P.G. Buonajuto (concl. conf.) -Fasana (avv. Cioce) c. Ministero delle Finanze ( avv. Stato Criscuoli). l�ibuti erariali diretti -IRPEF -Accertamento -Disponibilit� di capitali di cui non sia dimostrata la perdita o l'impiego -Presunzione di impiego redditizio degli stessi -Sussistenza. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 38; art. 2729 e.e.). La gestione di un conto corrente bancario, comportante il ritiro di somme di rilevante ammontare, fa presumere il loro fruttifero impiego, ove il contribuente non ne dimostri la perdita o un impiego diverso. (1) (omissis) 2. -Con il secondo motivo di ricorso il Fasana censura la decisione impugnata per falsa ed errata applicazione dell'art. 38 del d.P.R. n. 600/73, essendosi proceduto ad accertamenti induttivi oltre i limiti di legge senza rilevarsi gli �elementi e le circostanze di fatto� che rendevano inattendibili le dichiarazioni; per il ricorrente le presunzioni dell'Amministrazione dovevano fondarsi su fatti certi o su indizi gravi, precisi e concordanti (art. 2729 e.e.), mentre nel caso alcuna indicazione si era data dei motivi per i quali il reddito elevato si protraeva dopo il 1974 e anche per il 1975, senza ricadere nell'accertamento presuntivo fondato a sua volta su altra presunzione. Escluso ogni rilievo, per la determinazione degli imponibili di cui ali' accertamento dell'appartamento del ricorrente ricevuto in eredit� nel 1971 e degli immobili della moglie del Fasana non concorrenti alla formazione dell'imponibile, la produzione da parte del contribuente degli estratticonto prova, per il ricorrente che, al 1974, i vari conti correnti erano ormai tutti con depositi inferiori a quelli indicati dalla P.T. e comunque non compatibili con i redditi accertati; la decisione impugnata non terrebbe conto della documentazione bancaria esibita dalla quale risulta l'estinzione dei rapporti del Fasana con la CA.Rl.P.LO. al (1) La decisione in commento si fonda su una massima di comune esperienza: la circostanza che il possessore di una rilevante somma di denaro, tale da costituire un elemento patrimoniale, agisca come un normale soggetto economico, e pertanto non solo tenga nota del suo impiego ma anche la impieghi in attivit� redditizie. Pertanto non � credibile, in generale, chi non dimostri la destinazione -diversa dall'investimento -dei capitali de quibus. Legittimamente pertanto, si presume il conseguimento del reddito corrispondente, sulla base di tale massima e della prova della disponibilit� del capitale. In tema, cfr. Cass., 16 gennaio 1991 n. 341, in Boli. Trib., 1991, 737. Diverso problema � quello dell'indice di redditivit� da adottare: non sembra, al proposito, possa applicarsi sic et simpliciter la presunzione di cui all'art. 42, secondo comma, TUIR che si riferisce ai capitali dati a mutuo, determinando l'interesse presunto in quello legale, in difetto di altre indicazioni: infatti, presumere un impiego redditizio non implica la presunzione di un mutuo. Appare corretto invece il riferimento ad un indice medio di redditivit� degli investimenti, non necessariamente rappresentato dal tasso di interesse legale. R.d.F. RASSEGNA AWOCATURA DELLO ST�TO' 496 novembre 1974. Mera presunzione era anche la deduzione dell'Ufficio che le propriet� della moglie del contribuente fossero frutto dei capitali depositati nei conti correnti di cui sopra e che questi fornissero ancora redditi negli anni 1975 e 1976, per cui la decisione impugnata chiaramente violava l'art. 38 d.P.R. 600/ 73. Secondo la controricorrente, il Fasana confonde l'accertamento analitico con quello induttivo, per il quale certamente indizi gravi, precisi e concordanti erano i capitali depositati in conto corrente, con il fatto che i modesti redditi dichiarati dal contribuente avrebbero potuto forse mantenere lui con tre persone componenti la sua famiglia ma certamente non erano compatibili con risparmi nella misura di cui ai depositi bancari, che quindi erano fatto certo contrastante con le dichiarazioni negli anni 1970-1974. �L'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 prescrive, in tema di imposte dirette, che l'avviso di accertamento deve contenere. a pena di nullit�, l'indicazione dell'imponibile, dell'aliquota applicata e dell'imposta liquidata, nonch� delle norme giustificative dell'operato dell'Ufficio e, solo con riferimento all'ipotesi di rettifica operata con metodo induttivo o sintetico, esige anche la specificazione degli elementi di fatto all'uopo valutati� (Cass. 4 dicembre 1996 n. 10812): nel caso di specie, gli elementi valutati dall'Amministrazione risultano con chiarezza anche dalla decisione impugnata che li rileva dagli avvisi oggetto di ricorso, ritenendo che gli stessi non siano superati dalle contestazioni e dalla documentazione del ricorrente. In effetti per l'ipotesi ben pi� restrittiva degli accertamenti induttivi di redditi di impresa, di cui all'art. 39 del d.P.R. 600173, la legge richiede che �l'accertamento in rettifica sia fondato su presunzioni assistite I dai requisiti previsti dall'art. 2729 c.c.� (Cass. 26 agosto 1998 n. 8494 e 6 maggio 1998 n. 4555). Nel caso di specie i fatti emersi da documenti dello stesso ricorrente o da questo incontestati sono: a) la gestione da parte del Fasana di tre conti correnti presso la CA.RI.P.LO con depositi per un totale di lire cinque miliardi e mezzo, dal 1971al1974, data della chiusura dei rapporti provata con l'esibizione degli estratti conto; b) l'intestazione di uno di detti conti correnti alla suocera del ricorrente; e) I il ritiro delle somme dai conti correni fino alla loro estinzione del novembre 1974. Da tali fatti appaiono sicuri i redditi accertati per l'anno 1974, in quanto la sola I esistenza dei depositi in conto corrente anche fino a novembre, evidenzia, per la naturale redditivit� del danaro, l'esistenza degli imponibili accertati e nel caso pu� dirsi che i fatti accertati di per s� sono l'argomentazione stessa dell'accertamento (Cass. 28 settembre 1994 n. 7905). Inoltre la disponibilit� di cospicui capitali, conseguente al ritiro di rilevanti somme depositate di cui ai conti correnti nel 1974, comporta anche per l'anno 1975 una presunzione semplice di reddittivit� di dette somme (Cass. 16 gennaio 1991 n. 341) in quanto se �sia fornita la prova che un determinato soggetto ha percepito una ingente somma . . . � legittimo dedurre, in difetto di indicazioni contrarie, che egli abbia investito il capitale cos� ottenuto ricavandone un reddito� (Cass. 17 aprile 1991 n. 4092). Poich� le somme di cui ai depositi in conto corrente estinti al novembre 1974 erano di rilevante entit�, come affermato dalla stessa P.T., pu� presumersi che il mero investimento di tali capitali abbia dato naturalmente luogo, per il 1975 ai redditi di cui all'accertamento, e quindi, per tale profilo, la decisione impugnata deve confermarsi e va rigettato il ricorso per cassazione. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 3. -Con il terzo motivo d'impugnazione si lamenta l'insufficiente, contraddittoria e falsa motivazione della decisione impugnata, che non valuterebbe le prove fornite dal contribuente e ritenute valide nei due giudizi di 1 � e 2� grado, per smontare gli assiomi dell'Ufficio, in particolare escludendo l'estinzione dei conti correnti; mera presunzione de presumpto sarebbe per il ricorrente la circostanza, affermata dai giudici di merito, per la quale il tempo necessario a smobilizzare i capitali dei conti correnti comporta la deduzione che i redditi del 1974 si siano ripetuti nel 1975 dopo che la Polizia Tributaria aveva comunicato che gli accrediti esistenti al novembre 1974 erano stati smobilizzati con prelevamenti d'importi rilevanti. Secondo l'Amministrazione controricorrente, per la genericit� del motivo di ricorso, lo stesso deve essere dichiarato inammissibile, e, applicandosi nel caso la disciplina dell'art. 111 Cost., solo l'omessa motivazione pu� costituire questione rilevante in sede di ricorso per cassazione. Pur essendo vero che solo la motivazione mancante o apparente sarebbe rilevante, per non essere il ricorso per cassazione avverso la decisione della Commissione Tributaria centrale previsto dal previgente contenzioso di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 applicabile anche alla decisione impugnata (art. 75 comma 4 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546), per cui l'impugnazione � nel caso proposta ai sensi dell'art.111 Cost. (cos� Cass. S.U. 16 maggio 1992 n. 5888), ritiene il collegio nel merito che le argomentazioni di cui alla decisione impugnata sono pienamente sufficienti e appaganti sui fatti sopra indicati, non contestati dal Fasana stesso. Quest'ultimo inoltre non ha dato neppure indicazioni degli elementi di fatto che possano attribuire a terzi (ad es. i suoi familiari) i redditi dei capitali incontestabilmente dapprima da lui gestiti e depositati e poi ritirati dai conti correnti, n� ha chiarito come i capitali incassati siano stati reimpiegati o si siano perduti. Irrilevante � a questo punto quanto affermato dalla Commissione Centrale in ordine alla mancanza di prove documentali della parte, esaminate invece nei primi due gradi di giudizio, dato che il fatto da quelle emergente del ritiro dei capitali depositati e dell'estinzione dei conti correnti al novembre 1974 � comunque espressamente esaminato tra gli stessi �fatti� rilevanti dai giudici del merito, le cui argomentazioni appaiono pienamente sufficienti e logiche, alla luce di vari elementi solo indiziari da loro esaminati (quali le propriet� immobiliari del contribuente e della moglie di lui) per confermare gli avvisi di accertamento impugnati. In effetti quanto detto nei paragrafi che precedono, mentre evidenzia, per l'imponibile dell'anno 1974, che l'esistenza di depositi rilevanti in conti correnti bancari da solo prova i redditi di quell'anno, come frutto naturale di quei capitali ritirati dal conto corrente solo nel novembre 1974 dallo stesso contribuente, che non spiega ancora come abbia poi utilizzato il danaro da lui incassato, per l'anno successivo d� luogo alla ovvia deduzione logica che per l'investimento dei capitali ricevuti si siano dallo stesso contribuente ricavati i redditi accertati per l'anno 1975, nulla affermandosi nella decisione in ordine ai redditi del 1976, oggetto di giudizio da parte dei giudici di primo e secondo grado e per i quali la Commissione Centrale ha omesso di pronunziarsi (il punto avrebbe potuto essere impugnato solo dall'Amministrazione). (omissis) RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STA:r�:f 498 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 aprile 1999 n. 4329 -Pres. Grieco -Rei. Losavio -P.G. (parz. diff.) Buonajuto -Soc. A.R.F. (avv. Consiglio) c. Ministero delle Finanze ( avv. Stato Criscuoli). Tributi erariali diretti -Reddito d'impresa -Accertamento -Di maggiori ricavi Costi corrispondenti -Onere della prova -Spetta al contribuente. (T.U.I.R., art. 75, quinto comma). Qualora l'Ufficio, rilevate falsit� documentali, accerti maggiori ricavi a fronte di maggiori vendite, spetta al contribuente la prova degli ulteriori costi sostenuti, se ed in quanto essi non siano documentati nella contabilit� ufficiale. (1) (omissis) 1. -Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 75, 5� comma, legge 917/1986 e 3 d.P.R. 597/1973, lamentando che la Corte di merito abbia disatteso il principio della deducibilit� dei costi ovviamente estensibile anche all'accertamento in rettifica, dovendo l'Ufficio portare in detrazione i costi generatori dei maggiori ricavi presunti. Con il secondo motivo deducono I vizio di motivazione, contestando l'affermazione della sentenza -che costituisce una autonoma ragione della decisione di rigetto del ricorso secondo cui non sarebbe stata dedotta nel giudizio tributario la censura in ordine� I alla omessa detrazione dei costi, vero essendo, invece, che tale censura era stata I accolta dalla Commissione di primo grado, riformata in appello; quanto poi alla ~ ritenuta infondatezza nel merito della stessa censura palese sarebbe l'errore della Corte di merito, giacch� i maggiori costi inerenti ai presunti ricavi dovevano essere calcolati dall'Ufficio in sede di accertamento e non potevano i figurare nelle registrazioni contabili perch� inerenti -appunto -a presunti ricavi occultati. 2. -L'eccezione di tardivit� -e quindi di inammissibilit� -del ricorso, Isollevata preliminarmente dalla Amministrazione resistente, non � fondata. Se � vero, infatti, che il ricorso fu notificato il 3 febbraio 1997 e, dunque, il sessantunesimo giorno dalla ricevuta notificazione della sentenza impugnata I (1) Interessante decisione che fa corretta applicazione -con riferimento a fattispecie nella quale l'ufficio aveva accertato maggiori ricavi ritenuti dissimulati sulla base dell'accertamento di falsit� documentali relative alle quantit� vendute -dei principi generali in tema di onere della I prova (art. 2697 cod. civ.). Se, infatti, � indubbio che compete all'Amministrazione dimostrare m ?.i l'esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata e quindi fornire la prova r;; degli elementi rivelatori di un pi� elevato imponibile, � altrettanto vero che spetta al contribuente, che allega l'esistenza di circostanze modificative od estintive dei fatti stessi, comprovare a sua volta gli elementi sui quali la sua eccezione si fonda. A fronte, pertanto, della ~ dimostrazione, da parte dell'Ufficio, delle componenti positive del maggior reddito imponibile, !! il contribuente deve allegare e fornire la prova della sussistenza di costi maggiori di quelli considerati (ovviamente, non documentati nella contabilit� del medesimo), nonch� dell'inerenza �11; degli stessi all'esercizio al quale l'accertamento si riferisce. Sostanzialmente nello stesso senso . cfr. la sentenza Cass., n. 9894 del 1997. . -. ffi I @ & rwy;:=q;w�.~:::wwr=Af':�==n-;=:v==9;====;ffit';0~7�"'"'.'.4;:.�~}:;1E'""'='=�=~~==:'.JltifillFmfiffir?&Jlm':WJAI1IPJlJJW�P�� w#'ll.f�~���w��hr�14tflfr*l!l!&w~i1s�=&ffrM PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ( 4 dicembre 1996), � pur vero che il giorno di scadenza del termine per impugnare -il 2 febbraio -era festivo (domenica) e la scadenza era prorogata di diritto (art. 155 c.p.c.) al giorno seguente non festivo. 3. -L'Amministrazione resistente ha eccepito sotto altro profilo la inammissibilit� del ricorso (per difetto di interesse), perch� i contribuenti non avrebbero impugnato anche la autonoma statuizione (distinta e pregiudiziale ratio decidendi) della sentenza, l� dove la Corte di merito ha dichiarato inammissibile il secondo motivo della impugnazione proposta dinanzi ad essa, sul ritenuto presupposto che la questione con quel motivo dedotta non fosse stata prospettata �nelle precedenti fasi del giudizio tributario�. Anche questa eccezione � infondata. Con il secondo motivo del ricorso i contribuenti censurano appunto specificamente quella statuizione, rilevando che il ricorso originario contro l'avviso di accertamento dell'Ufficio era stato motivato proprio con la ragione che, accertato un presunto maggior ricavo, non si era tenuto conto, per determinare il maggior reddito tassabile, dei costi necessariamente sopportati in funzione di quel ricavo; e che la Commissione di primo grado aveva accolto il ricorso, riconoscendo la fondatezza anche di quel motivo. 4. -Infondata � la censura dedotta con il primo motivo e argomentata anche nella seconda parte del secondo. Ebbene, i ricorrenti lamentano che, accertati maggiori ricavi (dissimulati), non si sia tenuto conto dei costi aggiuntivi ad essi inerenti, necessariamente non documentati nella contabilit� ufficiale, e richiamano a conforto di tale proposizione difensiva talune pronunce di questa Corte (n. 5071del1989; n. 3083 del 1992). Ma si deve, innanzitutto, rilevare che le invocate decisioni attengono a fattispecie di accertamento induttivo del reddito di impresa, nelle quali i maggiori ricavi erano stati presunti sul fondamento di costi ed oneri nella contabilit� ufficiale, e richiamano a conforto di tale proposizione difensiva talune pronunce di questa Corte (n. 5071 del 1989; n. 3083 del 1992). Ma si deve, innanzitutto, rilevare che le invocate decisioni attengono a fattispecie di accertamento induttivo del reddito di impresa, nelle quali i maggiori ricavi erano stati presunti sul fondamento di costi ed oneri documentati nella contabilit� di impresa, ma non imputati al conto profitti e perdite, sicch� la coerenza interna allo stesso argomento presuntivo esigeva che dei costi -provati -si tenesse conto in deduzione della determinazione del reddito fiscale. Fattispecie dunque, tutt'affatto diverse da quella oggetto della presente controversia, dove l'Ufficio ha provato, attraverso l'accertamento di falsit� documentali relative alle quantit� vendute, pi� elevati ricavi, perci� dissimulati (e la contestazione sul punto della effettivit� di tali presunti ricavi sviluppata nel giudizio di merito -non � stata, come sarebbe stato possibile attraverso la deduzione di vizio di motivazione della decisione impugnata, riproposta in questa sede di legittimit�), mentre nessun riscontro documentale, pur se estraneo al conto profitti e perdite, deponeva per maggiori costi da ammettere in deduzione. N�, per contrastare la efficacia probatoria del procedimento presuntivo, i ricorrenti hanno �specificato�, cio� indicato in RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 500 concreto, ulteriori costi, essendosi essi limitati ad affermare che a pi� elevati ricavi per maggiori quantit� vendute fanno riscontro costi proporzionali: proposizione questa ineccepibile in linea di astratto principio, ma inidonea per certo a superare in concreto il dato obbiettivo del difetto di ogni elemento di prova di costi ulteriori (rispetto a quelli documentati nella contabilit� di impresa) che, se sussistenti, i contribuenti avrebbero potuto agevolmente dimostrare. La decisione impugnata ha, dunque, correttamente applicato i princ�pi che governano l'onere della prova (la cui violazione � implicitamente dedotta con la censura dei ricorrenti) come operanti (anche) in tema di accertamento delle imposte sui redditi: e se � vero che spetta all'Amministrazione finanziaria, nel quadro di quei principi generali, dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata fornendo, quindi, la prova di elementi e circostanze rivelatori di un pi� elevato imponibile, � vero, altres�, che il contribuente, il quale intenda contestare la idoneit� dimostrativa di quei fatti, oppure opporre l'esistenza di circostanze modificative o estintive dei fatti stessi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano. Cos� -a proposito del reddito di impresa -spetta all'Ufficio finanziario provare le componenti attive del maggior II imponibile determinato, ma spetta al contribuente (il quale intenda contestare tale determinazione, anche prospettando l'esistenza di costi maggiori di quelli considerati) documentare che essi esistono e sono inerenti all'esercizio cui l'accertamento si riferisce. In tal senso � l'orientamento della giurisprudenza di I fil questa Corte, di recente ribadito (n. 9894 del 1997) in fattispecie analoga a quella della presente controversia. 5. -Nel rigetto del primo motivo, che attiene alla questione dei presunti costi inerenti ai maggiori ricavi accertati, rimane assorbito il secondo che censura la I distinta e alternativa (a rigore pregiudiziale) ragione della decisione nel punto in cui I ~ la Corte d'appello ha ritenuto la inammissibilit� della stessa questione (decisa poi, ~ tuttavia, nel merito) perch� sarebbe stata dedotta per la prima volta con il ricorso ex art. 40 d.P.R. 636/1972 (pur se fondata, ma tale censura non sarebbe idonea a comportare l'annullamento della decisione che rimane ferma sull'altra ragione fatta oggetto del motivo respinto). (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 ottobre 1999 n. 11973 -Pres. De Musis -Rei. Marziale -P.G. (conf.) Gambardella -Ministero delle Finanze c. S.r.l. Venturi Bruno. Tassa concessioni governative -Domanda di rimborso -Termine triennale di decadenza -Riferimento alla data di spedizione dell'istanza. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 641, art. 13). Ai fini della tempestivit� della presentazione della domanda di rimborso della tassa di concessioni governative, da richiedere nel termine triennale di decadenza PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 501 dalla data del pagamento di cui all'art. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, devesi aver riguardo alla data di spedizione della stessa e non a quella della sua ricezione da parte dell'Ufficio. (1) (1-3) Questioni sulla natura -recettizia o meno -dell'istanza di rimborso di cui all'art.13, secondo comma, d.P.R. 641/72. La Suprema Corte di Cassazione si � recentemente occupata della questione relativa alla natura dell'istanza di rimborso prevista dall'art. 13, secondo comma, d.P.R. 641/72: le due pronuncie (12025/99 e 11973/99) sono l'una di segno opposto all'altra, sostenendosi, nella pi� recente, la natura recettizia di tale istanza; recettiziet� che viene invece esclusa nella precedente n. 11973/99. � quindi necessario esaminare le motivazioni adottate in tale ultima sentenza, per sottoporle a critica. Nell'ordine: A) Afferma la S.C., in tale sentenza, che gli effetti della decadenza operano soltanto in capo al soggetto nei cui confronti essa si verifica; deducendone che, al fine di verificare se la decadenza sia stata evitata, � all'attivit� di tale soggetto che si deve avere riguardo, e non alla conoscenza di tale attivit� da parte del destinatario. Va osservato, al riguardo: -la S.C. tralascia di considerare che, in relazione alla decadenza, le parti da considerare sono necessariamente due; e che, nel caso essa si verifichi, se la prima perde un diritto o una facolt� o altro, l'altra vede corrispondentemente consolidata la propria sfera di interessi, prima soggetta alle conseguenze dell'attivit� della controparte; sembra quindi errata la premessa dalla quale la Corte ricava la propria conclusione; -inoltre, la S.C. non considera che osservazioni analoghe a quella da essa formulata potrebbero essere svolte per la prescrizione, in relazione alla quale la tesi della non recettiziet� degli atti interruttivi non risulta, a ragione, essere mai stata avanzata. B) La questione, peraltro, non consiste (e anche in questo sembra sia sbagliata la sentenza 11973/99) nel pervenire ad una affermazione di carattere generale -recettiziet� o non recettiziet� -relativamente agli atti impeditivi della decadenza; ci� in quanto gli atti impeditivi possono essere del pi� vario genere, come conferma l'art. 2966 e.e. Risulta quindi inutile andare ad esaminare le varie fattispecie per ricavarne dei principi generali; l'operazione da compiere sar�, invece, quella di individuare con esattezza il tipo di atto cui la legge collega l'effetto impeditivo; ci� che potrebbe essere sufficiente a risolvere il problema; nonch�, ove tale atto rientri nell'ambito di categoria per la quale vigano dei princ�pi generali, l'applicazione degli stessi. A tale stregua, � chiaro che possono essere dati casi in cui ha rilievo il tempo dell'attivit� soggetta a decadenza, anzich� quello della sua ricezione; ma ci�, in virt� di espresse disposizioni legislative, quali quelle che prevedono che l'attivit� da compiere consista nel deposito di un ricorso; o che ricollegano il rispetto del termine per la notifica all'attivit� compiuta anzich� alla conoscenza dell'atto che ne abbia il destinatario, o al decorso di certi termini; o quella di cui all'art. 1495 e.e., in relazione al quale la giurisprudenza, in considerazione della brevit� del termine ivi previsto, ha ritenuto che il legislatore abbia inteso fare riferimento all'attivit� del compratore denunciante, anzich� alla ricezione della stessa da parte del venditore; senza peraltro che l'esistenza di tali specifici casi valga a dare luogo ad un generale principio (che non appare configurabile neppure in astratto, come sopra detto) nel senso affermato dalla Corte di Cassazione. C) Venendo quindi alla specifica decadenza di cui trattasi (art. 13 secondo comma, d.P.R. 641/72), va considerato che il legislatore prevede che la decadenza possa essere impedita dalla richiesta del rimborso(� ... Il ricorrente pu� chiedere la restituzione delle tasse ... entro il termine di decadenza di tre anni...�) RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO" 502 II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 ottobre 1999 n. 12025 -Pres. Rocchi -Rei. Ferro -P.G. (conf.) Buonajuto -Ministero delle Finanze c. S.r.l. Magazine dati. Tassa concessioni governative -Domanda di rimborso -Termine triennale di decadenza -Riferimento alla data di ricezione dell'istanza. Agli effetti della verifica della tempestivit� della domanda di rimborso della tassa di concessioni governative, da richiedere nel termine triennale di decadenza di cui ali' art. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, si deve considerare il momento in cui la stessa perviene all'Ufficio, rientrando tale domanda nel novero degli atti recettizi. (2) Al riguardo va osservato: Cl) Dal punto di vista lessicale, sembra doversi decisamente escludere che il termine usato dal legislatore possa essere compatibile con un'attivit� effettuata all'insaputa del suo destinatario, posto che il chiedere, per poter essere efficace, necessita inevitabilmente di una ricezione. C2) Va poi considerato che il �Chiedere� un rimborso, � attivit� che pu� essere effettuata nei modi pi� vari (personalmente, a mezzo di messo, corriere, mediante notifica, oltre che a mezzo del servizio postale); se ne ricava che il legislatore, non avendo dettato separate discipline in relazione alle varie possibili modalit� della richiesta, non pu� avere inteso riferirsi, in un caso, ad una �richiesta� pervenuta al destinatario e, nell'altro, ad una richiesta priva -anche se momentaneamente -di destinatario: criteri di omologazione tra le possibili modalit� della �richiesta� imporrebbero quindi che si trattasse di richiesta non meramente formulata, ma anche pervenuta a destinazione. C3) Inoltre, va detto che il legislatore, nel medesimo d.P.R. 641/72, all'art. 11, si riferisce, da un lato, alla �spedizione� del ricorso; dall'altro, alla �presentazione� della domanda dello stesso; sicch�, se ancora sussistessero dei dubbi sul significato del �chiedere�, pur considerata la molteplicit� dei modi in cui pu� concretizzarsi ed il suo significato lessicale (come si � detto sopra), ogni dubbio dovrebbe venire meno laddove il legislatore abbia considerato separatamente, nella medesima legge, le attivit� dello �spedire� e del �presentare�, ed abbia previsto che lo �spedire� abbia una efficacia equivalente a quella del �presentare�, solo se effettuata in sede di ricorso amministrativo. Da ultimo, va detto che, ove anche si volesse fare riferimento ai princ�pi valevoli per l'istituto nell'ambito del quale una richiesta di rimborso pu� essere collocata, si dovrebbe ricorrere a quelli vigenti in relazione alla costituzione in mora: la cui natura recettizia risulta, a ragione, del tutto indiscussa, alla luce del noto principio affermato dall'art. 1334 e.e., secondo il quale gli atti unilaterali hanno efficacia �dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati�. Fermo quanto sopra, va considerata l'ulteriore affermazione svolta nella sentenza in questione, che dichiara l'esistenza di un principio generale secondo il quale, per qualsiasi istanza, domanda, dichiarazione del privato alla P.A., varrebbe il principio della spedizione, anzich� quello del ricevimento. Tale affermazione appare: -priva di qualsiasi dimostrazione; -scarsamente consequenziale, posto che, ove si affermi un principio (quello esposto al punto A), avente in ipotesi carattere generale, non vi sarebbe bisogno di alcun analogo principio di tipo settoriale, limitato a ricorsi, istanze, domande, dichiarazioni, svolte nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni; PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 503 III CORTE DI CASSAZIONE, Sez. 1, 22 gennaio 1999 n. 559 -Pres. Rocchi -Est. Altieri -P.M. Morozzo della Rocca (concl. diff.) -Ministero delle Finanze c. Banco di Napoli (avv. Palmarini, Quaresima). Registro (imposta di) -Rimborso di imposta -Istanza spedita a mezzo posta Data della spedizione -Rilevanza. � tempestiva l'istanza di rimborso dell'imposta di registro indebitamente versata che sia stata spedita nei termini di legge a mezzo del servizio postale, senza che rilevi la circostanza che la stessa istanza sia pervenuta all'ufficio finanziario trascorsi tali termini. (3) -illogica, in quanto si tratterebbe di principio applicabile �in linea di massima�, pur in presenza di affermati princ�pi sia di carattere generale, che di carattere settoriale; -incompleta, posto che non spiega per quale ragione il legislatore si preoccupi, caso per caso, di individuare quali siano i casi in cui viene ritenuta tempestiva la spedizione, guardandosi bene dallo svolgere affermazioni generali su! punto. Sulla questione si � pronunciata anche Cass. 559/99, sia pure relativamente a differente imposta. Anche tale sentenza si espone ad evidenti critiche. Essa parte infatti dalla considerazione che, in materia di ricorsi amministrativi, esiste come � vero -un principio generale secondo il quale la tempestivit� del ricorso va valutata considerando la data della spedizione; da tale esatta affermazione, la S.C., in tale sentenza, deduce (senza ulteriore dimostrazione) l'esistenza di un pi� generale principio che varrebbe (salve espresse deroghe, che non contraddirebbero l'esistenza del peraltro indimostrato princ�pio) anche al di l� della materia dei ricorsi amministrativi; per giungere quindi ad escludere che, in materia di istanze, possa essere contestata l'applicabilit� del principio di cui sopra. Ragionamento che pare tutt'altro che ineccepibile, senza la necessit� di ulteriori osservazioni al riguardo (anche tenuto conto di quanto detto sopra). Svolte le affermazioni di cui sopra (prive, come si � detto, di dimostrazione), la S.C. ne consegue: -l'arbitrariet� della distinzione tra atti di tipo giustiziale e non giustiziale, ai fini di cui trattasi, in quanto l'assenza di una norma di carattere generale (non di un princ�pio) in materia di istanze, non consentirebbe la negazione del principio suddetto; ma nello svolgere tale affermazione, incorre in evidente capovolgimento logico, posto che proprio la necessaria distinzione tra atti di tipo giustiziale e non giustiziale (ben presente al legislatore del d.P.R. 1199/71), costituisce il problema da superare al fine di affermare l'applicabilit� agli atti non giustiziali dei princ�pi delineati dal legislatore per gli atti giustiziali; problema per nulla affrontato nella sentenza in questione, come gi� detto; -l'irrilevanza della distinzione tra atti recettizi e non recettizi, posto che la natura certamente recettizia dell'istanza di rimborso non toglie che essa possa produrre taluni �effetti� prima che sia giunta a conoscenza del suo destinatario; affermazione, nella sua genericit�, condivisibile, ma necessariamente legata all'esistenza (che nella fattispecie manca) di una norma che consenta di giungere ad un risultato quale quello ipotizzato; l'anticipazione degli effetti appena accennati, peraltro, secondo la sentenza di cui si tratta, non si verificherebbe in RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO I (omissis) 4. -La censura non � fondata. Invero, gli atti impeditivi della decadenza vengono in considerazione per le conseguenze che determinano a carico (non gi� dei soggetti ai quali sono indirizzati, ma) del titolare del diritto che deve essere esercitato, per disposizione di legge o per clausola contrattuale, entro un dato termine. E non appare quindi congruo subordinare il verificarsi di tale effetto alla ricezione di tali atti da parte di coloro cui sono rivolti, neppure quando questi ultimi siano determinati: tale circostanza, infatti, non implica che l'atto debba essere qualificato come ricettizio, essendo tale qualificazione correlata ad un'esigenza di tutela del destinatario, che nel caso di specie non si pone, in quanto gli effetti vengono ad incidere, come si � posto in evidenza, sul titolare del diritto. conseguenza di una operazione logico-normativa, ma in conseguenza �... di un princ�pio di giustizia in senso lato ...�, per � ... evitare che le lungaggini del servizio postale comportino un danno per l'utente incolpevole�. Anche questo argomento, di natura chiaramente metagiuridica, non sembra necessitare di particolari commenti. Ci si pu� limitare a considerare, a prescindere dall'irrilevanza del criterio adottato dalla S.C.: -che l'argomento, se valido, dovrebbe essere di generale applicazione (tra privati e privati, tra Amministrazioni e privati, tra privati ed Amministrazioni non statali, ecc., oltre che tra privati ed Amministrazioni statali); I ~ -che l'individuazione dell'�incolpevolezza� dell'utente andrebbe fatta caso per caso, ed esclusa ove non si sia trattato di �lungaggini� (come afferma, dando per scontato che �lungaggini� debbano comunque sussistere, la sentenza in questione), ma dei tempi ragionevolmente necessari per poter svolgere il servizio postale. Entrando in questo ordine di idee, ci si dovrebbe chiedere quale sarebbe la decisione da prendere, ove l'istanza fosse stata spedita, come spesso � avvenuto, lo stesso ultimo giorno di scadenza del termine, con la certezza che essa sarebbe pervenuta oltre il termine; nonch�, con riferimento ai casi di confine, se sia rimesso alla giurisprudenza di svolgere, caso per caso, analisi volte a determinare quale sia il tempo ragionevolmente necessario per svolgere il servizio postale, e conseguentemente, quando si possa parlare di �lungaggini�. Ad avviso di chi scrive, la mancanza di elementi normativi che lo consentano, unitamente ad evidenti esigenze di certezza, portano ad escludere l'attendibilit� di un'interpretazione che porti a simili conseguenze. Si ritiene, quindi, che, le argomentazioni adottate dalla S.C. nella giurisprudenza sopra criticata non siano condivisibili, essendo prive di effettiva consistenza; e che un corretto uso dei criteri interpretativi adottabili nella fattispecie porti ad accogliere la tesi secondo la quale l'istanza di rimborso, per essere efficace, deve essere pervenuta al suo destinatario: ci�, avuto essenzialmente riguardo, come si � detto, all'interpretazione della lettera della legge, alla considerazione fatta dal legislatore dell'efficacia dello �Spedire� limitatamente a casi specifici diversi dal presente: alla natura dell'atto, che porta ad inquadrarlo tra gli atti di costituzione in mora, o comunque tra gli atti per i quali � applicabile il generale principio positivamente affermato dall'art. 1334 e.e., che appare riferimento di gran lunga preferibile agli ipotizzati principi di cui sopra. LIONELLO 0RCALI PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 4.1.-Proprio muovendo da questa considerazione si � deciso: -che, ai fini della verifica della tempestivit� della denunzia dei vizi della cosa venduta ai sensi dell'art. 1495, primo comma, e.e., deve aversi riguardo alla data di invio, e non a quella di ricezione, della denunzia medesima (Cass. 18 aprile 1975, n. 1470; 27 gennaio 1986, n. 539); -che allorquando la notificazione viene in rilievo come compimento di attivit� da parte del notificante, alla quale si collega il rispetto del termine posto dalla legge a suo carico, la verifica della tempestivit� della notificazione deve essere compiuta avendo riferimento esclusivo all'attivit� compiuta dal notificante, prescindendo dal completarsi dei periodi di vacatio eventualmente previsti dalla legge (art 143, ultimo comma, c.p.c.; art. 8, terzo comma, legge 20 novembre 1982, n. 890) per il perfezionamento della notificazione a tutela degli intereressi del destinatario (Cass., S.U., 5 marzo 1996, n. 1729); -che nei giudizi possessori, i quali si instaurano mediante ricorso, momento rilevante per impedire il decorso del termine annuale e la conseguente decadenza dell'azione � quello del deposito in cancelleria del ricorso (Cass. 4 novembre 1993, n. 10936) e che, analogamente, il termine semestrale di decadenza, posto dall'art. 79 della legge 27 luglio 1978, n. 392, per l'azione di restituzione delle somme pagate in eccesso rispetto al canone di locazione dovuto secondo le disposizioni stabilite da quella stessa legge e decorrente dal rilascio dell'immobile, scade con la data di deposito del ricorso e non con la sua successiva notificazione alla controparte, posto che anche in tale giudizio, come per tutti quelli cui si applica il rito del processo del lavoro, la domanda si propone con ricorso il cui deposito determina la litispendenza (Cass. 7 maggio 1996, n. 4236). 4.2.-Non vi � motivo di discostarsi da tale orientamento in relazione all'ipotesi contemplata dall'art. 13, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, che viene in considerazione nel caso in esame. Specie considerando che in tema di rapporti con la Pubblica Amministrazione vale il principio che i termini stabiliti per la presentazione dei ricorsi da parte dei privati sono osservati quando essi sono spediti in tempo utile a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento (artt. 2 e 9, d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199; art. 20, secondo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992. n. 546 e gi� art. 17, primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) e che tale principio, applicabile anche in materia fiscale (Cons. Reg. Sic. 2 novembre 1992, n. 325), � in linea di massima estensibile ad ogni istanza, domanda o dichiarazione rivolta dal privato alla Pubblica Amministrazione (art. 2, d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077, in materia di concorsi ed esami; art. 12, secondo comma, d.P.R 29 settembre 1973, n. 600, in tema di presentazione della dichiarazione dei redditi; art. 37, terzo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in materia di dichiarazioni IVA; art. 28, primo comma, d.lgs. 31ottobre1990, n. 346, in materia di imposta sulle successioni e donazioni). Fermo restando, beninteso, che tale conclusione non implica che dalla stessa data (di spedizione) decorra per la Pubblica Amministrazione l'obbligo di provvedere, essendo evidente che per il determinarsi di tale effetto occorre che l'istanza sia effettivantente �ricevuta� (art. 2, secondo comma, legge 7 agosto, 1990, n. 241). Il ricorso deve essere pertanto respinto. (omissis) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'l'O 506 II (omissis) 3. -La censura formulata dall'Amministrazione delle Finanze appare fondata e merita accoglimento, nel senso e nei limiti che verranno precisati. Costituisce un dato di fatto incontroverso che la data, indicata dalla Corte di appello, del 27 giugno 1991, � la data della spedizione dell'istanza di rimborso; n� risulta che il giudice del merito abbia accertato che l'istanza sia nella stessa data pervenuta all'Ufficio destinatario; sostiene, invece, l'Amministrazione, che ci� � avvenuto solo il 9 luglio 1991. Ora, l'istanza di rimborso di cui al secondo comma dell'art. 13 del d.PR. 26 ottobre 1972 n. 641 rientra nel novero degli atti recettizi, che producono effetto nel momento in cui pervengono al destinatario: tale � la natura degli atti di tal genere, per principio generale al quale la disciplina specifica del citato d.P.R. n. 641 del 1972 non reca deroga ma anzi implicita conferma ove si ponga a raffronto l'assenza nella norma in esame di qualsiasi elemento in senso difforme con la diversa previsione al riguardo dettata da altra disposizione del medesimo testo normativo, relativamente alla spedizione del ricorso al Ministero. Risulta pertanto viziata dalla denunciata violazione di legge e dalla concorrentemente prospettata carenza di motivazione l'affermazione precedentemente riportata della Corte di merito sic et simpliciter correlata alla data di spedizione. (omissis) III (omissis) Motivi del ricorso. Denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 75, d.P.R. 634/72; 77 e 79 t.u. 131/86, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., I'Amministrazione ricorrente deduce: -soltanto quando la norma lo riconosce espressamente la data di spedizione vale come data di presentazione. N� l'art. 75 del previgente d.P.R. 634/72, n� l'art. 79 del nuovo t.u. contengono tale previsione; -proprio i riferimenti fatti dalla decisione impugnata al d.P.R. 1199/71 dimostrerebbero la fondatezza della tesi dell'amministrazione; -l'ordinanza della Corte costituzionale 342/87 (Foro it., 1988, I, 1829) nel riconoscere che la mancata equiparazione -ai fini della tempestivit� della dichiarazione Invim straordinaria -della data di spedizione a quella di presentazione all'ufficio non costituisce violazione del principio di eguaglianza, ha spiegato che nell'ambito amministrativo tributario non pu� essere offerta una disarticolata prospettazione, dovendosi considerare che le diverse normative possono concorrere al riequilibrio del sistema. Motivi della decisione. -Le censure dell'Amministrazione finanziaria devono essere disattese. I I I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Sulla presenza nell'ordinamento di un principio tendenziale che equipara ai fini dell'osservanza del termine -la spedizione alla presentazione all'ufficio si � gi� favorevolmente pronunciata la Corte costituzionale con sentenza 26 aprile 1985, n. 121, cit., nella quale si � riconosciuto �valore omogeneizzante alla disposizione di cui all'art. 2 d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, considerando tale norma come espressione di un principio generale, applicabile anche ai ricorsi gerarchici in materia di sanzioni tributarie. Del resto, come ha esattamente osservato la decisione impugnata, tale equiparazione � prevista anche per i ricorsi gerarchici impropri (art. 1, 2� comma, d.P.R. 1199/71) e per il ricorso straordinario (art. 8 stesso d.P.R. ). L'enunciazione di tale principio non significa, per�, che esso non possa essere espressamente derogato, come � avvenuto con l'art. 26, 4 � comma, d.l. 28 febbraio 1983, n. 55 (convertito nella legge 26 aprile 1983, n. 131), oggetto dell'ordinanza d'inammissibilit� della Corte costituzionale 22 ottobre 1987, n. 342, cit., richiamata nel ricorso. Tale norma, infatti, non si limita ad enunciare che la dichiarazione (Invim straordinaria) deve essere presentata all'ufficio, ma fissa una precisa data di presentazione (il 30 giugno 1983), con ci� escludendo la possibilit� che il rispetto del termine sia assicurato mediante la spedizione. Il fatto che in casi determinati il legislatore -senza incorrere in censure d'incostituzionalit� -possa esigere che l'atto sia presentato, o sia comunque pervenuto, all'ufficio nel termine stabilito non esclude l'esistenza di un principio nel senso affermato dalla decisione impugnata. Si pensi all'art. 12 d.l. 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 154, nel quale viene espressamente disposto che la domanda di valutazione automatica ai fini dell'imposta di registro �non pu� essere inviata per posta�. Le argomentazioni svolte dal procuratore generale nelle sue conclusioni orali non possono essere condivise. Di nessun aiuto ermeneutico � la distinzione tra atti recettizi e non recettizi, al fine di applicare il principio dell'equiparazione soltanto ai secondi. Pur essendo l'atto in questione certamente recettizio, non si esclude che esso possa produrre alcuni effetti (quale la pendenza della controversia) in un momento anteriore a quello in cui l'autorit� destinataria ne ha avuto legale conoscenza. Tale anticipazione, infatti, non � espressione di logica giuridico-normativa, ma soltanto di un principio di giustizia in senso lato: essa, infatti, mira ad evitare che le lungaggini del servizio postale comportino un danno per l'utente incolpevole. � del tutto arbitraria, inoltre, la distinzione tra atti di tipo giustiziale e non giustiziale (quale la domanda di rimborso d'imposta di registro non dovuta), perch� l'assenza di una norma generale in materia di istanze di rimborso non comporta la negazione, per tale ambito, del principio. Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato che l'equiparazione della data di spedizione a quella di presentazione, stabilita dall'art. 2, 2� comma, ultima parte, d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, costituisce un principio generale circa la modalit� di proposizione degli atti di iniziativa del procedimento amministrativo (in tal senso, sez. IV, 12 giugno 1986, n. 407, id., Rep. 1987, voce Calamit� pubbliche, n. 35, in tema di istanza di finanziamento agevolato per aziende danneggiate da calamit� naturali). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 508 Si deve affermare, in conclusione, che, non prevedendo espressamente gli artt. 75 d.P.R. n. 634 del 1972 e 77 d.P.R. n. 1 del 1986 che l'istanza di rimborso debba pervenire all'ufficio entro il termine prescritto, deve considerarsi tempestiva l'istanza presentata per la spedizione agli uffici postali entro il medesimo termine. Il ricorso deve essere, perci�, rigettato. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 novembre 1999, n. 13243 -Pres. De Musis P.M. Cafiero -Ministero delle Finanze ( avv. Stato De Giovanni) c. Pietron. Tributi erariali indiretti (riforma tributaria del 1972) -Imposta di registro Determinazione della base imponibile -In genere. Anche in relazione agli atti formati prima dell'entrata in vigore dell'art. 3, comma centotrentacinquesimo, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, ove il contribuente abbia chiesto di avvalersi -ai sensi dell'art. 12 del d.l. 14 marzo 1988, n. 70, convertito in legge n. 154 del 1988 -dei criteri automatici di cui ~ all'art. 52 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ma il valore del bene trasferito da lui dichiarato concretamente nell'atto risulti inferiore a quello derivante l dall'applicazione dei suddetti criteri, l'Ufficio non � tenuto ad emettere un previo avviso di accertamento, ma non deve far altro che richiedere la maggiore imposta dovuta, con la notifica di un avviso di liquidazione (1). (1) Aspetti e problemi della valutazione automatica degli immobili non censiti ai fini delle imposte di registro e successioni La condivisa sentenza in commento ammette, in tema di imposte di registro, la possibilit�, per l'Ufficio, nel caso in cui il contribuente abbia ritualmente richiesto, per immobili non censiti, l'attribuzione della rendita catastale ex art. 12 del d.l. n. 70/1988, una procedura abbreviata. Qualora il valore dichiarato (al buio) sia inferiore al valore parametrico determinato, ex art. 52, quarto comma, TUIR, l'Ufficio deve limitarsi, con unico atto (emesso anche prima della riforma di cui all'art. 3, comma centotrentacinquesimo, della legge n. 549/1998, che ha unificato gli avvisi di accertamento e di liquidazione) a richiedere l'imposta differenziale confutata sui due valori, parametrico e dichiarato. Ci� sarebbe diretta -anche se implicita -conseguenza della volont� del contribuente di essere tassato per tale valore automatico e renderebbe inutile un autonomo atto di accertamento. Sulla questione (e su altre vicende collegate, quali la decadenza dell'azione dell'Erario e l'ammissibilit� del condono o di altre forme agevolate di definizione) si sono gi� avute pronunce, spesso discordi della Corte. � nostro intento affrontare obiettivamente il problema tenuto conto della assoluta mancanza, in seno all'art. 12, di riferimenti a tali limitazioni quasi �negoziali� del rapporto d'imposta, presente per�, ad esempio, nel successivo T.U. Succ., tenendo anche conto della interpretazione in tal senso dell'Amministrazione finanziaria, invero, scarsamente motivata. L'avviso dovr� contenere altres� la motivazione dell'accertamento; ora, se si fa mente all'art. 51 T.U.R., si osserva che l'Ufficio pu� basarsi su �ogni altro elemento di valutazione�. Tali sono le rendite catastali attribuite dall'U.T.E. a seguito della istanza ex art. 12 del d.l. n. 70/1988. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 509 (omissis) 1. Con atto registrato il 3 luglio 1989 Mario Pietron ha venduto alcuni immobili, del valore dichiarato di L. 20.000.000, affermando di volersi avvalere del disposto dell'art. 12 del d.I. 14 marzo 1988, n. 70, convertito in legge 13 maggio 1988, n. 154 e chiedendo, con successiva istanza del 7 agosto, all'UTE l'attribuzione della rendita. Poich�, tenendo presente la rendita attribuita, la valutazione dei cespiti, in applicazione del criterio automatico previsto dall'art. 52 del d.P.R. n. 131del1986, doveva essere determinata in L. 52.800.000, l'ufficio ha notificato avviso di liquidazione dell'imposta corrispondente a tale valore. Gli eredi di Mario Pietron, Maria Grazia e Giuseppe, hanno impugnato tale avviso sostenendo che l'atto doveva essere considerato, sostanzialmente, come un atto d'accertamento e che lo stesso era nullo per difetto di motivazione; comunque, il valore accertato era eccessivo. La commissione tributaria di primo grado di Trieste ha accolto il ricorso affermando che l'ufficio, constatato che il valore determinato automaticamente sulla base della rendita catastale era superiore a quello dichiarato, avrebbe dovuto emettere avviso di accertamento. Pertanto, se la stessa legge stima sufficiente e credibile il ricorso al valore parametrico, deve ritenersi congruo, sotto il profilo motivazionale, l'avviso di accertamento e liquidazione che si limiti a liquidare la differenza tra l'imposta dovuta nel valore parametrico e quella dovuta nel dichiarato. 2. -Questa prima conclusione pu� essere estesa anche agli atti anteriori al 1� gennaio 1996. Infatti, un avviso di liquidazione cos� concepito contiene l'accertamento; � formalistico pretendere il rispetto della vetusta sequenza procedimentale se i due atti, perfettamente motivati, sono spediti insieme. Naturalmente, l'atto in questione potr�, se impugnato, essere provvisoriamente riscosso solo parzialmente, secondo le norme vigenti per il vecchio accertamento. IL NUOVO TESTO DELL'ART. 52, PRIMO COMMA, T.U.R. 3. -L'art. 3, comma 135, della legge 29 dicembre 1995, n. 549 (collegato alla legge finanziaria per l'anno 1996), nel sostituire le norme in riferimento, ha eliminato la storica sequenza procedimentale, che all'accertamento, inteso come atto di pura valutazione, faceva seguire l'avviso di liquidazione, atto di pura determinazione del dovuto, con una inutile duplicazione di attivit� (e di contenzioso) ormai propria delle sole imposte indirette. Tanto nelle imposte dirette quanto nell'l.V.A., infatti, l'avviso di accertamento o di rettifica cumula le due funzioni. Il nuovo �avviso di rettifica e di liquidazione� (applicabile, ex art. 13 del d.lgs. n. 347/1990 anche alle imposte ipocatastali, per gli artt. 56 del d.P.R. n. 637/1972 e 60 T.V. succ. e quello delle donazioni, per l'art. 20 del d.P.R. n. 643/1972 (1) all'INVIM) era stato introdotto, precedentemente, anche per l'imposta di successione dall'art. 34 T.U. succ. La novella, riguardante il procedimento, deve ritenersi applicabile a tutti gli accertamenti, anche relativi ad atti anteriori, posti in essere dal 1� gennaio 1996. 4. -Questo ventaglio di soluzioni non soddisfa per� molti dei problemi posti dalla normativa del d.l. n. 70/1988. (1) Invero tale norma sembra riguardare l'accertamento in s� che deve essere effettuato secondo le disposizioni in materia di registro o successione, ma lart. 21 estende tale richiamo alla riscossione e quindi alla liquidazione con piena applicabilit�, a nostro parere, dell'art. 52, primo comma, nuovo testo. RASSEGNA AVVOCA'.IURA DELLO STATO 510 La decisione � stata confermata dalla commissione regionale che ha affermato che nella specie doveva trovare applicazione l'art. 52, 1� comma del d.P.R. 131/86, espressamente richiamato dall'art. 12 del d.1. 154/88 e che, pertanto, l'avviso di liquidazione poteva essere emesso solo dopo che era divenuto definitivo l'avviso di accertamento, debitamente motivato. Pertanto il maggior valore accertato doveva formare oggetto di avviso di accertamento. Osserva anche il giudice tributario che solo il comma 135, lettera a) dell'art. 3 della legge 549 del 1995 aveva previsto che nelle ipotesi di cui si tratta l'ufficio potesse ricorrere all'avviso di rettifica e di liquidazione. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'amministrazione finanziaria. 4.1. -In primo luogo, non � chiaro se il contribuente debba essere comunque vincolato alla determinazione dell'imposta secondo il valore parametrico (che egli stima all'atto della dichiarazione, ma che pu� essere superiore). Qui si inserisce il sicuro diritto a contestare in giudizio le determinazioni censuarie e il rapporto tra le due cause �, sicuramente, di pregiudizialit�, s� che quella sull'avviso ex art. 52 dovrebbe essere sospesa in attesa della definizione della controversia censuaria. 4.2. -Ci� posto, va rilevato che, secondo l'art. 12 del d.l. n. 70/1988, il contribuente chiede di avvalersi dell'art. 52, quarto comma, del T.U.R. (o dell'art. 26, quinto comma, del d.P.R. n. 637/1972), cio� di una norma che pone un limite all'Ufficio, vincolandolo a non accertare un valore maggiore di quello parametrico, e tale richiesta � motivata dalla circostanza che il bene trasferito non ha ancora la rendita. In difetto, sia l'Ufficio sia il contribuente avrebbero una assoluta libert� d'azione -il primo -ed al contempo di opposizione l'altro. 4.2.1. -Tale spunto argomentativo ha condotto la Suprema Corte ad affermare che ricorrendo l'ipotesi in commento (ed oggigiorno, concorrendo la pregressa disciplina dell'art. 52 T.U.R. vecchio testo e un atto che assolutamente non motivi sul valore) sarebbe sempre necessario l'atto di accertamento. Anche se tale conclusione, nella sua assolutezza va rigettata, per la dimostrata indifferenza dell'ordinamento al cumulo dei due atti in unico formale documento, il suo significato profondo � quello di negare che con l'istanza ex art. 12 il contribuente si vincoli ad una certa determinazione del valore, pari ad un multiplo della futura rendita catastale (futura e, aggiungeremmo, definitivamente accertata). Ci�, in quanto il comma quarto introduce limiti e non configura metodi. LA DIVERSA IPOTESI DEL T.U. SUCC. Il d.lgs. 31ottobre1990, n. 346, all'art. 34 fonde i testi dell'art. 26 del d.P.R. n. 637/1972, come novellato dall'art. 8 della legge n. 880/1986 con la introduzione di norma analoga all'art. 52, quarto comma, del T.U.R. e dell'art. 12 del d.l. 70/1988. Il comma quarto dell'art. 34 cit., nel fondere nella norma sull'accertamento l'art. 12 del d.l. n. 70/1988, prevede espressamente che nel caso di presentazione della istanza di attribuzione della rendita l'Ufficio debba limitarsi, se il valore dichiarato � inferiore a quello parametrico, a liquidare l'imposta differenziale, senza alcuna sanzione e con i soli interessi. Non sembra che il legislatore delegante abbia conferito lo specifico mandato di introdurre norme radicalmente innovative; sta di fatto che l'aggiunta chiarificatrice, anche se non espressamente interpretativa, deve, nei limiti del possibile, poi tendere a un'interpretazione uniforme della disciplina della stessa materia (accertamento di maggior valore di immobili e limiti dell'Ufficio in caso di immobili non censiti) nel campo delle imposte di successione e di registro (e relative imposte accessorie). PARTE I, SEZ. V, GillRISPRUDENZA TRIBUTARIA 511 MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Deducendo la violazione art. 12 della legge n. 154 del 1988, degli articoli 52 e 57 del d.P.R. 131 del 1986 e il vizio di extra e ultrapetizione, l'amministrazione finanziaria sostiene che i contribuenti non avevano mai dedotto che il recupero della maggiore imposta non potesse avvenire con avviso di liquidazione e che, pertanto, accettando la tesi secondo cui nella specie l'avviso di liquidazione impugnato era illegittimo, perch� non preceduto dalla notifica di un motivato atto di accertamento del maggior valore, il giudice tributario aveva pronunciato al di fuori dei motivi di impugnazione dedotti. Comunque, aggiunge la ricorrente sarebbe infondata la tesi accolta dal giudice tributario, secondo la quale, nel caso in cui il contribuente dichiari di volersi avvalere del disposto dell'art. 12 del d.l. 14 marzo 1988, n. 70, LA RATIO LEGIS Dalla lettura degli atti processuali si ricava l'impressione che l'Amministrazione finanziaria ricerchi ogni sorta di automatismo per eludere l'onere di motivare (valga per tutte la giurisprudenza sull'art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973). Questa potrebbe -senza facili ironie ma in una chiave di lettura che si dia conto delle difficolt� della Pubblica Amministrazione -essere una possibile -ma inaccettabile -lettura della intenzione del legislatore. Semplificare il giudizio sul �movente� � poi censurabile quando si pensa che il cittadino dovrebbe vedersi attribuire una rendita catastale in termini ragionevolmente brevi e che, di conseguenza, l'inefficienza del catasto non pu� influire sulla �comodit�� che il sistema parametrico ha concesso: quella di sfuggire ad una valutazione certissima e di �erodere� l'imponibile eccedente il valore parametrico. 2. -Bisogna, poi, osservare come l'art. 12 imponga al contribuente �non censito� ben due istanze, una nell'atto (o nella denunzia di successione) da presentare all'Ufficio del Registro e l'altra all'U.T.E., per ottenere un provvedimento che costituisca atto dovuto. Sono guai, poi, se si spedisce l'istanza per posta e se la ricevuta della seconda istanza non � inviata all'Ufficio del Registro. Tutti questi adempimenti (consistenti in passaggi di carte tra uffici) devono avvenire a cura del contribuente. 3. -Di questa norma cos� mal formulata e poco edificante interessa solo l'ultima parte. Come ben ha posto in rilievo la Suprema Corte, l'Ufficio, se l'istanza non � rituale, procede ai sensi dell'art. 52, primo comma, T.U.R. (cio� effettua un accertamento ordinario). Evidentemente, nel caso contrario e fisiologico, l'Ufficio procede a norma del comma quarto. Qui, per�, c'� un vuoto da riempire. Il comma quarto pone limiti e non indica metodi. Il vuoto va colmato nell'evidente senso che, se l'istanza � rituale, l'Ufficio non procede a rettifica; al cittadino (gi� in credito morale per non avere avuto a suo tempo la rendita assegnata) nulla si pu� chiedere oltre l'imposta che avrebbe pagato se tale dato gli fosse stato noto. Tale conclusione deriva: a) dal precetto negativo del comma quarto �Non sono sottoposti a rettifica�, che impone di vincolare l'Ufficio a non effettuare rettifiche negli stessi limiti (parametri) della norma richiamata; b) dal corollario che, se vi � uno scarto (favorevole per l'Erario) tra valore dichiarato e parametrico, l'imposta differenziale � esigibile. 4. -Tale interpretazione mette il contribuente in condizione di non pagare nulla di pi� di quello che corrisponde al valore dichiarato o (se superiore) a quello parametrico, esattamente come i beati possidentes di immobili accatastati compiutamente, cos� realizzando del tutto le esigenze perequative che costituiscono la principale ratio legis. Ed � un'interpretazione conforme all'art. 34, sesto comma, del T.U. Succ. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO .. 512 convertito in legge 13 maggio 1988, n. 154, le imposte dovute per effetto della determinazione del valore mediante l'applicazione del meccanismo automatico previsto dall'art. 52, 4� comma del d.P.R. 131del1986, dovrebbero essere richieste I con avviso di accertamento di maggior valore e non con avviso di liquidazione. Infatti, nella fattispecie di cui si tratta l'amministrazione finanziaria non farebbe uso I di alcun potere valutativo, ma determinerebbe il maggior valore in conformit� con quanto richiesto dallo stesso contribuente. 2. Il ricorso � fondato, per quanto di ragione. Non merita accoglimento, infatti, la censura di ultra o extrapetizione, perch� il contribuente ha sostenuto fin dall'atto introduttivo del presente giudizio che nella I 0 specie l'amministrazione, a seguito dell'attribuzione della rendita catastale, doveva emettere motivato avviso di �ccertamento del maggior valore risultante dall'applicazione dei criteri automatici, previsti dall'art. 52, 4� comma d.P.R. 31 del 1986, e che proprio in conseguenza della denunciata omissione doveva considerarsi nullo l'avviso di liquidazione impugnato. Nel merito, tuttavia, il ricorso merita accoglimento. Si pu�, quindi, concludere: a) l'Ufficio non pu� che pretendere la differenza di imposta calcolata sui valori parametrico e dichiarato, escluso ogni aumento d'imponibile oltre il parametro; b) il contribuente � vincolato all'imponibile parametrico (definitiva che sia la nuova rendita catastale); e) l'Ufficio procede, dal 1� gennaio 1996, con unico atto, e per legge, anteriormente pu� accumulare accertamento e liquidazione purch� ne risulti la motivazione, indicante la rendita attribuita; ti) � incolpevole il comportamento del contribuente che abbia sottostimato il bene, per cui nessuna sanzione � irrogabile; e) sono dovuti gli interessi, in quanto il contribuente non ha, in principio, corrisposto che un acconto, mentre l'obbligazione, anche se ancora illiquida, sorge per legge. DECADENZA E PRESCRIZIONE 1. -Si controverte sui limiti temporali dell'esercizio del potere dell'Ufficio. In particolare, si sostiene che l'atto di recupero della differenza d'imposta sia soggetto al solo termine di prescrizione, non essendo applicabili le norme specificamente comminanti decadenze, ex art. 76 del T.U.R.. 1.1. -Tale dubbio deve essere escluso per gli atti posteriori al 1� gennaio 1996. L'art. 76, comma primo bis, del T.U.R. (introdotto dalla stessa legge n. 549/1995 art. 3, comma 135) fissa, per l'avviso di rettifica e liquidazione, un termine decadenziale di due anni dal pagamento dell'imposta principale. 2. -Ma ci� vale anche per gli atti anteriori, per i quali, ex art. 52, comma secondo, del T.U.R., vecchio testo, vigeva identica decadenza per l'accertamento. 2.1. -L'art. 3, comma 135, della legge n. 549/1995, tenendo conto dell'unificazione degli ex avvisi di accertamento e di liquidazione nell'unico avviso �di rettifica e di liquidazione� ha modificato l'art. 76 ivi trasferendo la relativa decadenza. L'art. 76, secondo comma, del T.U.R., vecchio testo, non si riferiva che alla decadenza per il solo avviso di liquidazione, decorrente, per l'imposta complementare, dalla definitivit� di quello di accertamento (o dal giudicato sul medesimo) come previsto dalla lettera b) del vecchio testo. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 513 Deve innanzi tutto osservarsi che la questione che si pone nella specie � stata risolta espressamente dal legislatore con l'art. 3, comma 135, lettera a) della legge 28 dicembre 1995, n. 549, che, modificando il 1� comma dell'art. 52 del d.P.R. n. 131 del 1986, ha previsto che, quando l'ufficio ritenga che i beni e i diritti trasferiti hanno un valore venale superiore al valore dichiarato o al corrispettivo pattuito, provvede con un solo atto alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta. La stessa questione conserva invece rilievo per gli atti formati in epoca anteriore alla data di entrata in vigore della legge n. 549 e (contrariamente a quanto affermato con la sentenza n. 1343 del 1999, senza particolare indicazione degli 2.2. -Identica norma � specificamente prevista nel T.U. succ., dall'art. 34, sesto comma, per lo specifico caso dell'istanza ex art. 12 del d.l. n. 70/1988. Tanto risolve la questione, a nulla rilevando il lasso di tempo lasciato all'U.T.E. per provvedere (dieci mesi) che non � che un tempo infraprocedimentale. CONDONO EX LEGGE N. 413/1991 1. -Si dubita se (per gli atti anteriori al 1� gennaio 1996) sia applicabile il condono sui recuperi differenziali di imposta, argomentando la soluzione negativa sulla natura liquidatoria dell'atto. Il caso � espressamente risolto dall'art. 53, quarto comma, della legge n. 413/1991 per l'ipotesi di irritualit� dell'istanza ex art. 12 del d.l. n. 70/1988 (che legittima, come visto, l'Ufficio all'accertamento ordinario) ritenendosi definibile la controversia al valore parametrico. 2. -Ora, l'avviso in esame � impugnabile e contiene una valutazione (la rendita catastale) contestabile; non vi sono ragioni perci� -se il ricorso � attinente all'elemento valutativo -di non applicare la definizione di cui all'art. 53, primo comma. Inoltre, l'art. 53, primo comma, consente la definizione anche delle controversie in materia di liquidazione, per cui un'istanza in tal senso � ammissibile anche fuori dai casi di cui al primo comma. Quanto alla definizione previa (prima, cio�, della notifica dell'accertamento) ex art. 53, secondo comma, della legge n. 413/1991, non vi � motivo di escluderla se si pon mente alla sua sicura applicabilit� al contribuente, che avendo trasferito un immobile gi� censito, abbia dichiarato un valore inferiore a quello parametrico e sia, perci�, soggetto all'alea del futuro avviso di accertamento. La ratio perequativa del d.l. n. 70/1988 impone di non distinguere tra la situazione di costui e del contribuente che si sia avvalso dell'istanza ex art. 12. Per le stesse ragioni pu� applicarsi la definizione della lite pendente ex art. 2 quinquies del d.l. n. 564/1994 ed ex art. 9 bis del d.l. n. 79/1997, posto che l'avviso in questione � un atto di imposizione ai sensi del quarto comma, lettera a), dell'articolo e non una mera liquidazione; invece non � applicabile l'accertamento per adesione (artt. 2 ter del d.l. n. 564/1994 e 1 del d.P.R. n. 460/1996) per espressa disposizione di legge (cfr. l'ultima parte del comma primo dell'art. 2 ter ed il comma terzo dell'art. 1 del regolamento citato). Tali restrizioni non sono, per�, presenti nel recente d.lgs. n. 218/1997; tuttavia poich� l'istanza ex art. 12 vincola ad un certo schema procedimentale ed all'accettazione di un certo valore del bene, si potrebbe fondatamente dubitare della possibilit� di interrompere tale procedimento, iniziato ad istanza di parte, per aprire la procedura di adesione. Invero, a differenza delle citate norme sulla definizione delle liti pendenti, aventi natura eccezionale, in cui si pu� giustificare -per il fine di eliminare l'arretrato da devolvere alle Commissioni insediatesi il 1� aprile 1996, un'abdicazione ai precedenti schemi; l'accertamento con adesione, che � istituto a regime, dovrebbe presupporre l'assenza di un previo atto negoziale volto a individuare l'attivit� accertativa. ROBERTO DE FELICE RASSEGNA AVVOCA'.I1JRA DELLO STATO 514 argomenti a sostegno della tesi accolta) deve essere risolta nel senso che, nel caso in cui il contribuente abbia chiesto l'applicazione dell'art. 12 della legge n. 154 del 1988, quando l'ufficio rileva che il valore derivante dall'applicazione dei criteri automatici previsti dal quarto comma dell'art. 52 cit. � superiore a quello dichiarato, non deve fare altro che richiedere la maggiore imposta dovuta con la notifica di un avviso di liquidazione. A tale conclusione si deve pervenire, innanzi tutto, sulla base dello stesso tenore letterale dell'art. 12 del d.l. 14 marzo 1988, n. 70, convertito con modificazioni in legge 13 maggio 1988, n. 154, che espressamente richiama il solo 4� comma dell'art. 52 del d.P.R. n. 131 del 1986 (e dell'art. 26, quinto comma del d.P.R. n. 637 del 1972, aggiunto al testo originario con l'art. 8 della legge n. 880 del 1986) e non anche il 1� comma della stessa disposizione. E poich� il meccanismo di determinazione (automatica) del valore del bene disciplinato dal quarto comma � alternativo rispetto a quello di cui al primo comma, ne deriva che, quando trova applicazione l'art. 12 della legge n. 154, l'ufficio non pu� ricorrere al potere di rettifica o di accertamento, ma deve limitarsi a procedere alla determinazione automatica del valore. L'alternativit� tra l'applicazione dell'art. 52, 4� comma e l'emissione dell'avviso di accertamento o di rettifica, oggetto del primo comma della stessa disposizione, � resa ancora pi� evidente, d'altra parte, dall'ultima proposizione dell'art. 12, 1� comma della legge n. 154 del 1988, ! secondo cui, in caso di mancata presentazione della ricevuta dell'istanza di I attribuzione della rendita catastale nel termine di sessanta giorni dalla formazione i dell'atto da registrare �l'ufficio procede ai sensi dell'art. 52, comma primo� del I d.P.R. 131/86. La tesi sostenuta, d'altra parte, � del tutto coerente con il sistema, nel quale l'avviso di rettifica o di accertamento di maggior valore � il risultato dell'esercizio I della discrezionalit� tecnica dell'ufficio, mentre nell'ipotesi in cui il valore debba essere determinato senza alcuna discrezionalit� (sia pure solo tecnica), in applicazione di mere operazioni aritmetiche, non avrebbe senso ricorrere a un atto espressione di poteri valutativi. Peraltro appare anche contraddittorio ammettere che l il contribuente, dopo aver chiesto che il valore del bene sia determinato in modo automatico, possa poi rimettere in discussione tutto il rapporto tributario contestando la valutazione stessa. N� la soluzione accolta pregiudica il diritto del contribuente di tutelare, anche in sede giurisdizionale, la propria situazione soggettiva, perch�, come ha osservato la Corte costituzionale, con la sentenza n. 463 del 1995, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 12 d.l. 14 marzo 1988 n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 13 maggio 1988 n. 154, l'interessato ben pu� ricorrere al giudice tributario (ex art. 2, 3� comma del d.lgs. n. 546 del 1992, cos� come, in precedenza, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1 del d.P.R. 636 del 1972) avverso l'atto di classamento, potendo dimostrare in sede giudiziaria la non conformit� ai parametri legali della valutazione del bene. In accoglimento del ricorso la sentenza della commissione tributaria regionale deve essere cassata e poich� non � necessario alcun altro accertamento dei fatti, decidendo nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., pu� rigettarsi l'impugnazione dell'avviso di liquidazione. (omissis) �...:� ...... . . . -% .....�.��=�=����-':������.. . SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, sez. VI, 3 novembre 1998 -25 novembre 1998, n.12357 -Pres. Pisanti -Est. Assennato -P.M. Paciotti (conf.) -Imp. Giovannelli -p.c. Ministero Finanze ( avv. Stato Greco). Delitti contro la Pubblica Amministrazione -Corruzione -Pagamenti di somme a pubblici ufficiali: regalie d'uso -Esclusione. (codice penale artt. 318 e 319). Delitti contro la Pubblica Amministrazione -Corruzione -Atto contrario ai doveri d'ufficio -Necessit� di specifica individuazione -Esclusione. (codice penale art. 319). Delitti contro la Pubblica Amministrazione -Corruzione -Atto contrario ai doveri d'ufficio -Specificazione in una pluralit� di singoli atti -Possibilit�. (codice penale art.319). In tema di reati di corruzione, i pagamenti di somme effettuati da societ� sottoposte a verifiche fiscali, al fine di ottenere, dai pubblici ufficiali coinvolti a vario titolo nelle stesse, un trattamento di favore, non possono essere considerati �regalie d'uso� o �donativi di cortesia� (intendendosi per tali soltanto quelli che, per la loro oggettiva modicit�, non sono idonei ad esercitare influenza sul compimento dell'atto d'ufficio, in modo da non apparire quale corrispettivo di quest'ultimo, proprio in ragione della manifesta sproporzione rispetto all'atto del pubblico ufficiale). Ai fini della configurabilit� del reato di corruzione propria, ai sensi dell'articolo 319 codice penale, l'atto oggetto dell'accordo illecito non deve essere individuato nei suoi specifici connotati, essendo sufficiente che esso sia individuabile in funzione della competenza e della concreta sfera di intervento del pubblico ufficiale, cos� da essere suscettibile di specificarsi in una pluralit� di singoli atti non preventivamente programmati, ma pur sempre appartenenti al �genus� previsto. Una situazione del genere ricorre ogni qual volta il pubblico ufficiale si ponga a disposizione del privato, in violazione dei doveri d'imparzialit�, onest� e vigilanza. (1) (1) Compensi ai militari della Guardia di Finanza: �regalie d'uso� o oggetto materiale di �corruzione�? La sentenza in esame affronta il problema dell'esatta qualificazione giuridica della fattispecie consistente nel versamento di somme di denaro a finanzieri, da parte di imprese soggette a verifiche fiscali. Rigettando il ricorso, la Suprema Corte ribadisce la sussistenza, nel caso di specie, del delitto di �corruzione propria� -ai sensi dell'articolo 319 codice penale e ne individua i tratti distintivi rispetto alla fattispecie corruttiva impropria, con particolare riguardo ai connotati dell' �atto contrario ai doveri d'ufficio�. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STA'TIY 516 IN DIRITTO (omissis) Il ricorso � infondato. Di vero, secondo il ben radicato orientamento di questa Suprema Corte in tema di corruzione, per �regalie� e in genere �donativi di pura cortesia� si devono intendere soltanto quelli che per la loro oggettiva modicit� escludono la possibilit� d'influenza sul compimento dell'atto d'ufficio, in modo da non apparire quale corrispettivo di quest'ultimo (v. Cass., VI, 1� dicembre 1989 n. 16837, rv. 182739). In altri termini la dazione di piccoli doni o di omaggi di cortesia non deve assumere valore e significato di retribuzione, proprio in ragione della manifesta sproporzione rispetto all'atto del pubblico ufficiale, dato che nel concetto di retribuzione � sempre insita un'idea di adeguatezza e di corrispettivit� (Cass., VI, ud. p. 6 maggio 1998, P.G. C!foma e altro, ancora non massimata). In primo luogo, la Suprema Corte richiama la propria precedente giurisprudenza in tema di �regalie d'uso� o �donativi di pura cortesia� (v. Cass. VI, 1 dicembre 1989 n. 16837; Cass. VI, 6 maggio 1998, P.G. C/Toma) e ne esclude la configurabilit�, nella fattispecie in esame, alla luce di considerazioni che meritano particolare attenzione. Come � noto, oggetto materiale della condotta, nella corruzione impropria, � �Una retribuzione in denaro o altra utilit��, nella corruzione propria �denaro o altra utilit��. Per quanto concerne il concetto di �retribuzione�, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che l'utilit�, dovendo operare come retribuzione, deve essere proporzionata all'atto compiuto -o che deve essere compiuto -dal pubblico ufficiale, ed agire come compenso, come controprestazione di quest'ultimo. Non costituirebbero, perci�, ipotesi di corruzione quelle in cui il pubblico ufficiale ha compiuto l'atto solo per motivi sentimentali (piet�, amicizia), i c.d. munuscula, i piccoli omaggi di cortesia (fiori, tabacco), i doni di propaganda commerciale di modico valore (cfr. FIORE C., Idoneit� dell'azione, elemento psicologico e adeguatezza sociale nella questione dei munuscola, in Foro penale, 1966, 414 ss.; Cass. pen., 7 giugno 1969, CAVAGNOLI, in Cassazione penale Mass., 1970, 1140; Cass. pen., 10 aprile 1986, PECORARO, in Rivista penale, 1987, 486; Cass. pen., 11luglio1989, VOLPI, in Rivista penale, 1990, 669). Al riguardo, secondo un orientamento ormai consolidato, le regalie d'uso possono escludere la configurabilit� solo del reato di corruzione per il compimento di un atto d'ufficio, come previsto dall'articolo 318 codice penale, mai di quello di corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio, di cui all'articolo 319 codice penale, perch� solo nel primo caso � possibile ritenere che il piccolo donativo di cortesia non abbia avuto influenza nella formazione dell'atto stesso (Cass. VI, 17 luglio 1990 n. 10414; Cass. VI, 16 marzo 1995 n. 2804). L'elemento di differenziazione tra la �remunerazione� e il �dono�, costituente solo manifestazione di cortesia senza alcun carattere retributivo, � dato dalla natura e dall'entit� dell'utilit� destinata al pubblico ufficiale e che � indubbiamente remunerativa allorch� trattasi di somma di denaro. Come statuito dalla Suprema Corte, in relazione al delitto di �istigazione alla corruzione�, non rileva, infatti, la tenuit� della somma di denaro o del valore della cosa offerta al pubblico ufficiale: tale tenuit� non soltanto non esclude il reato, ma addirittura lo pu� rendere maggiormente lesivo del prestigio del pubblico ufficiale, ritenuta persona suscettibile di venir meno ai doveri accettando una offerta anche minima (v. in tal senso, Cass. 14 marzo 1996, n. 2714). Nell'ipotesi di corruzione propria, si pu�, pertanto, convenire con quella parte della dottrina che -in aderenza col dato normativo, che non richiede una retribuzione ma parla solo di denaro o altra utilit� -ritiene non rilevi il concetto della controprestazione: trattandosi di atti contrari ai doveri d'ufficio, qualunque compenso, anche il pi� modesto, realizzerebbe corruzione (in tal senso, LEVI N., Delitti contro la pubblica amministrazione, in Trattato di diritto penale, Milano, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 517 Su altro versante e sempre secondo l'orientamento consolidato di questa Suprema Corte, l'individuazione -da parte dei contraenti il <<pactum sceleris� -dell'atto e del comportamento contrari ai doveri d'ufficio ricorre anche quando la controprestazione della dazione o della promessa dell'utilit� sia costituita da un comportamento del pubblico ufficiale ben determinato nel suo contenuto, anche se suscettibile di specificarsi in una serie di atti singoli, non specificatamente previsti e programmati (Cass., VI, 29 ottobre 1985 n. 9998 rv. 170893). In altri termini, l'atto oggetto dell'accordo illecito non deve essere individuato nei suoi specifici connotati, essendo sufficiente che esso sia individuabile in funzione della competenza e della concreta sfera di intervento del pubblico ufficiale, cos� da essere suscettibile di specificarsi in una pluralit� di singoli atti non preventivamente fissati o programmati, ma pur sempre appartenenti al �genus� previsto. 1935, 269; GJANNITI F., Studi sulla corruzione del pubblico ufficiale, Milano, 1970, 72 ss.; in termini critici, cfr. MANzINI V., Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1962, 224; PAGLIARO A., La retribuzione indebita come nucleo essenziale dei delitti di corruzione, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1974, 57). Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha correttamente respinto le doglianze del ricorrente, che, pur confessando pienamente i fatti addebitati, deduceva di non aver commesso alcun �atto contrario ai doveri d'ufficio�, affermando di aver percepito le dazioni in questione quali �regalie�, e ritenendo erronea la qualificazione giuridica adottata dai giudici di merito: a suo dire, non essendovi agli atti traccia alcuna del <<pactum sceleris� e, in particolare, della predeterminazione, da parte del privato, degli atti che il pubblico ufficiale avrebbe dovuto compiere, si sarebbe dovuta escludere la ricorrenza di una ipotesi corruttiva, o, perlomeno, configurarla quale �corruzione impropria� e non �propria� (non costituendo l'entit� delle somme versate discrimine utile, a tale riguardo). Appare opportuno evidenziare, innanzitutto, come l'importo percepito -oscillante tra i centoventi e i trecento milioni -non possa essere ragionevolmente considerato �donativo di pura cortesia�: anche a voler ritenere l'atto �non contrario ai doveri d'ufficio� (diversamente da quanto sostenuto, a ragione, dalla Suprema Corte), � manifesto il carattere di �corrispettivo� della somma versata e, comunque, la sua non �oggettiva modicit��, con la conseguente influenza sulle determinazioni del pubblico ufficiale. D'altra parte, ai sensi dell'articolo 3 del D.M. 31marzo1994 (Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni), �Il dipendente non chiede, per s� o per altri, n� accetta, neanche in occasione di festivit�, regali o altre utilit�, salvo che si tratti di regali d'uso di modico valore, da soggetti che abbiano tratto o possano trarre benefici da decisioni o attivit� inerenti all'ufficio�: non sembra, nel caso di specie, configurabile un semplice �regalo� dettato da particolare sensibilit� e cortesia del titolare della impresa, e ricevuto per altrettanta sensibilit� e cortesia dal pubblico ufficiale! L'impostazione seguita dalla Suprema Corte sembra, comunque, aderire a quell'orientamento giurisprudenziale (Cass. VI, 6 settembre 1990, n. 12192) secondo il quale il delitto di corruzione � ravvisabile anche nel caso di �tenuit�� della somma o dell'utilit�, perch� la lesione giuridica prodotta dal reato attiene -come sopra evidenziato -al prestigio e all'interesse della pubblica amministrazione e prescinde, pertanto, dalla proporzionalit� e dall'equilibrio tra l'atto d'ufficio e la somma corrisposta. E non vi � dubbio che, in materia di oggetto giuridico dei reati di corruzione, l'aggancio costituzionale sia riscontrabile nell'articolo 97 della Costituzione, che costituisce il precetto fondamentale del sistema di organizzazione della Pubblica Amministrazione. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STX:f(J"0 518 Una situazione del genere ricorre ogni qual volta il pubblico ufficiale si ponga a disposizione del privato in violazione del dovere d'imparzialit�, onest� e vigilanza, non essendo in tal caso possibile prevedere specifici atti e mirando il privato ad assicurarsi un ampio e generale atteggiamento di favore da parte del pubblico ufficiale (Cass., VI, ud. p. 25 febbraio 1998, Ferrovie dello Stato e altri, ancora non massimata). E se l'illegittimit� dell'atto pu� indubbiamente costituire l'indice rivelatore della sua contrariet� ai doveri di ufficio, la previsione di reato pu� essere realizzata anche e soltanto attraverso atti comportanti la violazione di un qualsiasi dovere d'ufficio e soprattutto di quello dell'imparzialit�. Di conseguenza, la corrispondenza dell'atto ai requisiti di legge non esclude l'asservimento della funzione, per denaro, agli interessi privati, sempre che la viola- I Un'altra questione di diritto penale sostanziale, affrontata dalla Corte di Cassazione, che merita di essere segnalata in questa sede, � quella concernente i requisiti dell' �atto contrario ai doveri d'ufficio�, necessari per la configurabilit� del delitto di �corruzione propria�. I � da condividersi, innanzitutto, la decisione della Suprema Corte laddove respinge la doglianza dell'imputato (il quale ribadisce la mancanza, nel caso di specie, di un �atto illecito�) sul rilievo che, sebbene l'illegittimit� dell'atto pu� costituire sentore della sua contrariet� ai doveri d'ufficio, la fattispecie di cui all'articolo 319 codice penale pu� essere integrata anche e soltanto da atti �formalmente� conformi alla legge, ma �sostanzialmente� in violazione di un qualsivoglia dovere d'ufficio. Tale affermazione � in linea con il consolidato orientamento della IIgiurisprudenza che identifica l'elemento materiale del delitto di �corruzione propria� nel fatto di corrompere il pubblico ufficiale, cos� da indurlo a violare i doveri di fedelt�, imparzialit� ed onest�, ovvero di obbedienza, segretezza e vigilanza (Cass. VI, 10 maggio 1985, n. 4562; Cass. VI, 6 settembre 1990, n. 12168; Cass. VI, 20 maggio 1993, n. 5227, in Rivista penale, I, 1994, �: 28; Cass. VI, 22 marzo 1995, n. 3052. In dottrina, v. A. PAGLIARO, Corruzione per il compimento * di atto discrezionale, in Giurisprudenza costituzionale, 1979, 443 e A. TENCATI, La corruzione per atti indebiti nel recente trend legislativo, in Rivista penale, 1993, 145). Nel caso in esame � palese il sinallagma tra la dazione di denaro, da parte della societ�, e la condotta in cambio dovutale dal pubblico ufficiale, il quale, nell'esercizio delle sue funzioni di controllo propriamente �fiscale�, si obbliga ad usare una diligenza e attenzione �diverse� da quelle di regola impiegate nei confronti delle imprese non paganti, come risulta dalla confessione dell'imputato. N� vale obiettare che gli atti contrari ai doveri d'ufficio debbano essere, sin dall'inizio, pattuiti e stabiliti con puntuale precisione. A tale proposito, il giudice di legittimit�, richiamata la propria precedente giurisprudenza in materia (Cass. VI, 29 ottobre 1985 n. 9998), ha ritenuto che non sia necessaria la specifica individuazione dell'atto, oggetto dell'accordo illecito, essendo sufficiente che esso sia individuabile in relazione alla sfera operativa del pubblico ufficiale, s� da essere suscettibile di specificarsi in una pluralit� di singoli atti non prefissati. Una conferma di tale ultima considerazione � riscontrabile in tema di �corruzione propria antecedente�: poich� dal momento consumativo del delitto esula l'effettivo compimento dell'atto (tanto che il reato si configura anche se il pubblico ufficiale non faccia seguire, all'accettazione della promessa o alla ricezione del denaro, l'atto che si � impegnato a compiere), la mancata individuazione, in concreto, del singolo atto o comportamento che avrebbe dovuto essere compiuto dal pubblico ufficiale, non fa venir meno il delitto, qualora si accerti che la consegna del denaro o di altra utilit� venne effettuata in ragione delle funzioni esercitate dal pubblico ufficiale e al fine di compensarne i favori (in tal senso, Cass. VI, 4 novembre 1998, n. 11507, in Rivista penale, 1999, Massimario; Cass. VI, 20 novembre 1997, n.1972, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1999, I, 344). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 519 zione del dovere d'imparzialit� si risolva in un'inottemperanza specifica inerente al contenuto e alle modalit� dell'atto da compiere (cfr. Cass., VI, ud. p. 10 marzo 1998, ancora non massimata). Ci� posto in diritto, la Corte osserva che il ricorrente dissimula, sotto le vesti surrettizie della violazione di legge denunziata, la realt� di una prospettazione dei fatti parzialmente diversa dalla ricostruzione fattane dai giudici di merito e di per s� inidonea a dar corpo e consistenza al vizio di legittimit� denunziato, di guisa che il ricorso deve essere rigettato sul punto. Per dovere di completezza si ritiene, tuttavia, di esaminare le acquisite risultanze anche sotto il profilo sostanziale e alla luce delle censure levate dal ricorrente a partire dalle sue incontestate ammissioni, come riportate nella sentenza impugnata. Invero lo stesso Giovannelli ha precisato, con riferimento alle varie imprese sottoposte a verifica, come il pagamento di tangenti �fosse un po' un'abitudine di queste aziende� e che, su opposto versante, se le imprese soggette a verifica fiscale Alla luce di tali considerazioni, per stabilire se un atto sia contrario o meno ai doveri d'ufficio e se, conseguentemente, debba configurarsi l'ipotesi criminosa dell'articolo 319 codice penale piuttosto che quella dell'articolo 318 codice penale, occorre avere riguardo non soltanto all'atto in s�, per verificarne la legittimit� o l'illegittimit�, ma anche alla sua conformit� a tutti i doveri d'ufficio o di servizio che possono venire in considerazione. Del resto, che in materia di corruzione la legittimit� dell'atto non sia sufficiente ad escludere la pi� grave fattispecie criminosa dell'articolo 319 codice penale, quando sia accompagnato dall'inosservanza di un dovere d'ufficio, si evince chiaramente dallo stesso dettato normativo che contempla, tra le ipotesi di �corruzione propria�,anche quella che si concreta nella retribuzione ricevuta per ritardare l'emissione di un atto dovuto, e cio� nella violazione di un dovere (quale quello di provvedere tempestivamente) che fa presumere la legittimit� dell'atto tardivamente emesso. Appare congrua, pertanto, la qualificazione di �Corruzione propria� attribuita, dalla Suprema Corte, ai fatti contestati all'imputato, con la conseguente irrilevanza dell'entit� della dazione, dato che una siffatta circostanza assume rilievo -come sopra evidenziato -soltanto nell'ipotesi di �corruzione impropda�,ai fini di un'eventuale riscontro del carattere di �gr�titudine� o �Cortesia� pi� o meno disinteressata (nella fattispecie in esame di certo non ricorrente). Nell'ipotesi di cui si discute, la ricezione di somme di denaro da parte dell'imputato, in concorso con altri militari della Guardia di Finanza, in occasione di verifiche fiscali, non pu� non implicare un <<pactum sceleris�: l'asservimento della funzione pubblica agli interessi privati si realizza, difatti, anche con una condotta di sistematico e generalizzato favoritismo dei pubblici ufficiali, che si evince da una serie di indizi opportunamente individuati, di recente, dalla Suprema Corte. In particolare, ne sono indici rivelatori: a) il preavvertimento della verifica fiscale; b) la richiesta, immediatamente successiva, del pagamento di somme determinate o determinabili; e) l'accordo sulle somme da versarsi (nel corso della verifica o dopo la conclusione della stessa); d) la suddivisione delle somme illecitamente percepite, anche in favore di soggetti diversi da quelli che in concreto hanno eseguito la verifica (in specie di superiori gerarchici) (v. in tal senso Cass. VI, 4 novembre 1998, n. 11507, Rivista penale 1998, 988). Se integra il reato de quo, ad esempio, la scelta discrezionale -da parte degli organi tributari -di uno piuttosto che un altro dei sistemi previsti dalla legge per l'accertamento ed il controllo delle dichiarazioni dei redditi, determinata dal vantaggio per il contribuente infedele (Cass. VI, 10 gennaio 1985, n. 177), a fortiori deve ritenersi �corrotto� il finanziere che s'impegna ad essere �meno fiscale, in modo da non intralciare l'operato dell'azienda�, ignorando assunzioni o retribuzioni in nero, false fatturazioni, irregolare tenuta dei libri contabili e quant'altri stratagemmi finalizzati a frodare il fisco. RASSEGNA AVVOCATtrRA DELLO STATO 520 �pagavano, si faceva in modo di essere meno fiscali, in modo da non intralciare l'operato dell'azienda�. Sebbene la proposizione infinitiva �in modo da ...� sia nell'espressione correlata in funzione limitativa a quella principale �S� faceva in modo�, tali dichiarazioni denunziano all'evidenza il sinallagma che unisce la condotta delle imprese controllande a quelle dei pubblici ufficiali incaricati del controllo. Si deve anzi rilevare che, se nelle competenti sedi di merito si fosse indagato al fine di accertare le ragioni della curiosa �abitudine� -a dire dell'imputato contratta dalle imprese verificande e si fossero considerati significato e portata di quell'impersonale �S� faceva in modo...� usato dall'imputato e, all'evidenza, denunziante non soltanto la contrapposta e collettiva abitudine di profittare di quei pagamenti, ma, quel che � assai pi� grave, il totalizzante coinvolgimento dei militari del Corpo -ufficiali, sottufficiali, graduati e truppa -in servizio a Milano, i fatti di causa avrebbero potuto configurare a carico dell'imputato, in ragione della sua qualifica, il ben pi� grave delitto di cui all'art. 3 legge 9 dicembre 1941, n. 1383, e, in generale, il delitto di concussione in concorso. Si vuol dire che l'abitudine a pagare, contratta dalle imprese -come denunziata dall'imputato -potrebbe essere stata determinata da elementi di fatto divenuti notori nell'ambiente imprenditoriale col ripetersi delle ispezioni e delle verifiche per Non si ritiene rilevante, per quanto suggestiva, la giustificazione secondo cui la. verifica fiscale (che si sostanzia nella prolungata presenza, negli uffici, della Guardia di finanza, nell'intralcio alla normale attivit� aziendale, nella perdita d' immagine verso la clientela) debba essere al massimo accellerata, onde il compenso illecito ai pubblici ufficiali � destinato non gi� ad ottenere l'omissione di atti doverosi, quanto ad abbreviarne i tempi, pur nel rispetto delle regole: l'argomento non � tale da giustificare esborsi in denaro non certo esigui, specie se rapportati non tanto ai profitti imprenditoriali, quanto agli stipendi dei pubblici ufficiali. � indispensabile, comunque, -come evidenziato dalla stessa Corte, nella sentenza che si annota -la individuazione del �genus� degli atti oggetto dell'accordo corruttivo, venendo in difetto a mancare, addirittura, le premesse per poter verificare, prima di ogni altra indagine, se si verta in tema di corruzione propria o impropria e, nell'ambito di questa, se si tratti di corruzione antecedente o susseguente, date le conseguenze che la legge fa derivare dall'una o dall'altra fattispecie. Per completezza, si ritiene opportuno sottolineare che i fatti di causa avrebbero potuto configurare a carico dell'imputato, in ragione della sua qualifica, il ben pi� grave delitto di �collusione di militare della Guardia di finanza�, di cui all'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383: trattasi di un reato proprio che si perfeziona con il semplice accordo fraudolento tra finanziere e privato, con pregiudizio economico della finanza, mentre ogni altra attivit� criminosa, commessa dal finanziere e consistente in accordi rafforzati dalla dazione di denaro o dalla promessa di compenso o di altra utilit�, non pu� considerarsi assorbita nel delitto di collusione, ma conserva la propria autonomia giuridica ed integra una distinta violazione della legge penale, che � quella inerente alla corruzione prevista dall'articolo 319 codice penale. Per quanto concerne, infine, la richiesta, formulata in subordine dall'imputato, di un pi� mite trattamento sanzionatorio, a ragione la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito: a fronte della prassi costante di corruzione, a cui ormai le grandi aziende e gli operatori della Guardia di finanza si erano adeguati, si ritengono congrue le pene inflitte, vicinissime ai minimi irrogabili. CARMELA PLUCHINO PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE cos� dire �benevole�, quali la condotta unanime tenuta dai militari del Corpo, operanti a Milano, la deliberata abolizione di effettivi controlli dei superiori nei vari gradi sulle varie verifiche, la predeterminazione delle quote spettanti in diversa misura a tutti i partecipanti e la programmata suddivisione dei proventi. La diffusa conoscenza di tali fatti e di tali condotte, unanimemente tenute dai militari, potrebbe infatti aver indotto i titolari delle varie imprese a temere foriero di gravi danni il mancato adeguamento a tale �abitudine� e a regolare di conseguenza la propria condotta. E per� portata reale e significato esatto dell'espressione predetta non risultano accertate n� nel corso delle indagini n� in dibattimento. La motivazione in punto adottata dai giudici di merito si deve quindi ritenere incensurabile in questa sede di legittimit� perch� adeguata alle risultanze acquisite, congrua alle norme applicate e immune da vizi logici, laddove essi hanno ritenuto esatta e rispondente ai principi di diritto, sopra brevemente richiamati, la qualificazione di corruzione propria attribuita ai fatti contestati all'imputato. � incontrovertibile infatti che la frase sopra brevemente esaminata sintetizza mirabilmente il sinallagma collegante la condotta di dazione del privato alla condotta in cambio dovutagli -secondo patti e non secondo legge -dal pubblico ufficiale, il quale proprio nell'esercizio delle sue funzioni di controllo propriamente fiscale e a causa di esse, si obbligava ad essere �meno fiscale�, vale a dire ad essere meno attento e meno diligente rispetto alla misura di diligenza e di attenzione dovuta e di regola applicata nei confronti dei non paganti, cio� ad applicare le leggi e i regolamenti fiscali non soltanto come atti ispirati ad una liberalit� imprevista dalla legge e, comunque, denegata alla generalit� dei cittadini non paganti; ma ad applicarli con delicatezza e tatto diversi e maggiori dell'ordinario e del dovuto �in modo da non intralciare l'operato dell'azienda�: sono evidenti in ci� la dismissione, dall'imputato e dai suoi complici, voluta dietro compenso e in ragione di esso, del dovere di correttezza, di diligenza, di onest� e, soprattutto, d'imparzialit�, e la comune volont� di costui e dei correi di favorire a pagamento le imprese visitate, adeguando la propria condotta non gi� al dettato della legge, ma, secondo le opportunit� offerte dalla complessa attivit� di verifica, al fine di ignorare assunzioni o retribuzioni in nero, trasferimenti di merci senza fattura, false fatturazioni, irregolare tenuta dei libri contabili, distrazione di fondi e quant' altri stratagemmi posti in opera per frodare il fisco dall'impresa sottoposta a verifica. Coerentemente i giudici di merito hanno evidenziato il rilevantissimo importo -oscillante dai centoventi milioni ai trecento -delle somme pagate dalle singole aziende sottoposte a verifica ed hanno di conseguenza escluso che esse potessero esser considerate regalie d'uso o donativi di cortesia. Tale conclusione, conforme ai canoni della logica correnti, � certamente fondata sulle norme di comune esperienza e sulle leggi di economica gestione delle imprese. D'altra parte, la compressione dei tempi di verifica con la correlata restituzione del personale amministrativo delle singole aziende alle mansioni abituali e, in altri termini, la riduzione dei maggiori costi di gestione indotti dall'intrusione negli uffici di personale esterno, cui a richiesta si dovessero temporaneamente consegnare atti, documenti e attrezzature in qualche parte necessari per l'espletamento della quotidiana attivit� di lavoro del personale impiegatizio, erano e sono benefici ben lontani RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 522 dal valere il costo in tangenti sopportato dalle imprese sottoposte a verifica e da sole non giustificano quindi esborsi di cos� rilevante importo, finalizzati viceversa, e come chiaramente ammesso dall'imputato, ad una fiscalit� -si vuol dire ad un c�iligente rigore -minore rispetto a quello richiesto dalla legge e correntemente praticato nei confronti delle imprese non paganti. N� ha rilievo la mancata partecipazione alla stipulazione e alla conclusione dell'accordo corruttivo dal Giovannelli dedotta in questa sede, evidenziando l'ammontare percentuale delle somme versategli che egli l'accordo fece proprio perch� concluso anche nel suo interesse e col suo consenso, cio� col consenso di colui che avrebbe avuto il dovere di accertarlo, di denunziarlo e di reprimerlo. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. II, 6 maggio 1999 n. 5641 -Pres. Saulino -Est. Sirena -P.M. Meloni ( conf.) -Romano e Nappi c. Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell'Interno (avv. Stato Vittorio Russo). Giudizio penale -Ricorso per cassazione -Vizio di motivazione della sentenza Comparazione fra sentenza impugnata e atti del processo -Inammis sibilit�. I ~ (art. 606 c.p.p.). I I Il giudice di legittimit� investito di un ricorso per la cassazione di una sentenm za viziata per difetto di motivazione non pu� rilevare il vizio denunciato attraverso ~ ~ . , un'attivit� di comparazione fra il contenuto della sentenza e quello degli atti cui , esso si riferisce (1). . �~ (omissis). I . Con sentenza del 15 settembre 1995, il Giudice per le indagini preliminari I presso il Tribunale di Napoli dichiar� Romano Luigi e Nappi Gennaro -la cui posizione era stata stralciata insieme a quella di altri quattro coimputati dal procedimento penale a carico di Agizza Antonio t 100 -responsabili del reato di associazione per delinquere a entrambi attribuito e, con la diminuente per il rito abbreviato, condann� il Nappi alla pena principale di tre anni ed otto mesi di reclusione ed a quella accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, ed il Romano alla pena di un anno di reclusione, quale aumento per la continuazione in ' . I (1) La sentenza che si annota, conforme sulla questione esaminata all'indirizzo prevalente, f:1 �' � interessante perch� offre una panoramica completa delle pronunce della Suprema Corte in materia di mancanza o manifesta illogicit� della motivazione. Come � noto, il nuovo codice di rito � stato innovativo rispetto a quello vecchio, il cui art. 524 non prevedeva esplicitamente il ricorso al giudice di legittimit� per omissione o illogicit� della motivazione e tuttavia nella interpretazione allora corrente questo era ritenuto ammissibile, in quanto lo si faceva rientrare nella gene~ ~~ rale previsione di inosservanza della legge contenuta nel numero 1) del 1� comma dell'art. 524 . c.p.p. del 1930, norma questa che � stata ripetuta tale e quale nel codice di procedura penale dal . . I ~ )'.=: ~ .,,~�-�1���1~�4!:a.�.m m PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 523 riferimento ad altro reato per il quale l'imputato aveva riportato, in precedenza, altra condanna; con lo stesso provvedimento detto GIP applic� agli imputati le misura di sicurezza della libert� vigilata per un anno e dispose la confisca dei beni di loro propriet� in sequestro, ai sensi dell'articolo 12-sexies della legge 7 agosto 1992, n. 356. Avverso tale provvedimento i due prevenuti proposero impugnazione, ma la Corte di appello di Napoli la respinse. Ricorrono per cassazione i difensori del Romano e del N appi. Il primo deduce, con unica censura, mancanza e manifesta illogicit� della motivazione sia in ordine all'affermazione di responsabilit�, che in ordine alla misura della pena inflitta. Il difensore del Nappi deduce, invece, la nullit� della sentenza ex articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), c.p.p., per violazione degli articoli 192 e 546 dello stesso codice, nonch� per mancanza e manifesta illogicit� della motivazione e travisamento del fatto, anche in ordine al diniego di concessione delle attenuanti generiche. Dopo avere sostenuto che la Cassazione ha il potere di comparare la motivazione del provvedimento impugnato con gli atti del processo, il ricorrente assume che non sarebbe �processualmente ammissibile e logicamente corretto che gli stessi elementi, ritenuti, sia dalla Corte di Cassazione che dal Tribunale del riesame in sede di rinvio, non costituire gravi indizi tali da legittimare la custodia cautelare pos 1988 (art. 606, I comma, lettera a). Quest'ultimo tuttavia ha introdotto (lettera e) il nuovo motivo di ricorso per mancanza o manifesta illogicit� della motivazione, aggiungendo peraltro il limite espresso richiamato dalla sentenza e cio� che il vizio deve risultare dal testo del provvedimento impugnato. � evidente la ratio di tale limitazione: nel rigore del codice precedente la mancata previsione di un siffatto motivo di ricorso da un lato e l'averlo tuttavia dall'altro ritenuto ammissibile in quanto rientrante nella previsione del n. 1) del 1� comma dell'art. 524 c.p.c. 1930 (l'omessa motivazione � infatti gi� di per s� inosservanza della legge penale), consentiva, in sostanza e spesso, un terzo grado di giudizio di merito, potendosi ragionevolmente ritenere che al giudice di legittimit� fosse consentito (sia pur' ai meri effetti di accertare l'esistenza del vizio denunciato, riferito ad una inosservanza di legge) di esaminare le carte del processo per valutare l'eventuale mancanza e a maggior ragione l'illogicit� della motivazione. Era pertanto necessario che il nuovo legislatore ponesse un limite a ci�, istituzionalizzando un potere di controllo della Corte di Cassazione che ormai era diventato di prassi e che era comunque opportuno fosse garantito. Nel far ci� il legislatore si � giustamente dato carico della pari necessit� di mantenere alla Corte Suprema la sua funzione di giudice di legittimit� e non "dei fatti:" da qui l'espresso divieto sancito dalla nuova norma, sia pur formulata in positivo ("quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato"). Nessun dubbio perci� sull'esattezza della pronuncia giurisdizionale che si annota. Resta tuttavia da domandarsi se il pi� insidioso dei vizi di una sentenza -quello che ricorre quando una motivazione, pur accurata, coerente e priva di illogicit� sia incongrua rispetto ai fatti risultanti dal processo -possa essere sottratto all'esame della Suprema Corte. Poich� la risposta negativa sembra ovvia, parrebbe che anche sotto il vigore del nuovo codice la verifica quanto meno della corrispondenza della motivazione ai fatti accertati sia ammissibile, se non altro sotto il profilo del motivo, a giusta ragione presente nel vecchio e nel nuovo codice, della inosservanza della legge. P.d.T. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 524 sano, in presenza del giudicato cautelare, costituire prove valide per l'affermazione della responsabilit��; e sostiene che i giudici del secondo grado avrebbero �preso in considerazione soltanto il pronunciato della Corte di cassazione, trascurando ed ignorando quello, di valenza di merito molto pi� consistente, del Tribunale del riesame, per opporre alle argomentazioni della Suprema corte altre di segno opposto che finiscono per alterare i dati fattuali a disposizione e che, in ogni caso, a tutto voler concedere, possono essere ritenute almeno di pari dignit� di quelle contrarie�. Secondo il ricorrente, poi, i giudici del merito avrebbero errato a ritenere che il Nappi avesse esercitato attivit� di usura per conto dell'Alfieri, anzich� in proprio, ed avrebbero, altres�, errato a ritenere credibili le accuse mosse da quest'ultimo nei confronti del primo. Inoltre, sempre secondo la tesi difensiva, detti giudici avrebbero operato �una non corretta lettura dei dati fattuali�, con riferimento alle dichiarazioni rese da Pepe Mario, ed all'episodio della raccomandazione, in favore del Galasso, che il Nappi avrebbe fatto ad un suo cugino, magistrato, in tal modo travisando i fatti del processo. La Corte, poi, a detta del ricorrente, avrebbe reso una motivazione manifestamente illogica in tema di riscontri, superando �le dichiarazioni che costituivano smentita� di quelle accusatorie, �con affermazioni superficiali o con argomentazioni non convincenti�, interpretando in maniera non corretta le dichiarazioni di Mastantuoni Antonio e di Rainone Guido. Infine, per il ricorrente, il diniego delle attenuanti generiche sarebbe �incomprensibile alla luce della motivazione che ne ha dato la Corte, del tutto incoerente con la posizione del Nappi, il suo ruolo marginale ed i precedenti penali, basandosi la Corte su lontanissime condanne di precedenti non specifici, a condanna per il reato concernente le armi alla sola pena dell'ammenda, il che ne fa desumere la lievit��. Tutte le suddette censure sono destituite di fondamento. In ordine al ricorso proposto nell'interesse del Romano si osserva, infatti, che lo stesso, ai sensi degli articoli 581, comma 1, lett. e), e 611, comma 2, c.p.p., deve essere dichiarato inammissibile in quanto i motivi dedotti sono del tutto generici e manca l'indicazione specifica delle ragioni che li sorreggono. In relazione al ricorso proposto nell'interesse del Nappi devono, invece, essere svolte alcune osservazioni preliminari. La prima riguarda l'infondatezza della deduzione difensiva, secondo cui il giudice di legittimit�, al fine di accertare se sussista o meno il vizio di cui all'articolo 606, comma 1, lett. e), c.p.p., avrebbe il potere di comparare la motivazione del provvedimento impugnato con gli atti del processo. Ed infatti, la prevalente giurisprudenza di questa Corte ha stabilito, relativamente a tale questione, che "secondo il nuovo codice di rito il vizio della motivazione valutabile in cassazione pu� consistere solo in una mancanza o in una manifesta illogicit� della motivazione stessa, ma esclusivamente se 'il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato', il che significa che deve 'mancare' del tutto la presa in considerazione del punto sottoposto all'analisi del giudice e che non pu� costituire vizio che comporti il controllo di legittimit� la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente pi� adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Cass. pen., 7 febbraio 1992, Ferrara, in Cass. pen., 1993, 2864; cfr. nello stesso sen PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE so: Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 1991, RV 187446; Cass. pen., sez. VI, 11 marzo 1992, RV 189482; Cass. pen., sez. VI, 30gennaio1992, RV 189626; Cass. pen., sez. VI, 19 febbraio 1992, RV 191249; Cass. pen., sez. I, 28 ottobre 1993, RV 196222; Cass. pen., sez. I, 27 luglio 1995, RV 202228; Cass. pen., sez. I, 13 novembre 1995, RV 203126; Cass. pen., sez. II, 11giugno1998, RV 210938). Ora, la massima su riportata ribadisce un concetto di grande importanza, e cio� che il vizio di manifesta illogicit� deve risultare soltanto dal testo del provvedimento impugnato, cos� come ha testualmente prescritto il legislatore nell'articolo 606 c.p.p. �, peraltro, noto a questo Collegio che esiste un orientamento giurisprudenziale, secondo cui la Corte di cassazione avrebbe il potere di comparare la motivazione del provvedimento impugnato con i documenti del processo, allorch� questi risultino interpretati o letti in maniera palesemente erronea (Cass. pen., 19 marzo 1991, Cinque, in Cass. pen., 1992, 2111; Cass. pen., sez. Il, 13 luglio 1993, Sgr�, in Cass. pen., 1995, 3380). Ma tale orientamento, del tutto minoritario, non � condiviso da questo Collegio, il quale ritiene di doversi uniformare al principio esposto sia nella massima prima citata che in altre, ad essa connesse, con cui si � affermato -in riferimento alla mancanza di motivazione -che �non � consentito rilevare il vizio denunciato attraverso un'attivit� di comparazione tra il contenuto della sentenza e quello degli atti cui essa si riferisce� (Cass. pen., sez. I, 9 aprile 1991, Lentini, in Riv. Pen., 1992, 497); e in riferimento al vizio di manifesta illogicit� della motivazione -che �alla Corte � inibito l'esame degli atti e l'indagine deve essere condotta unicamente sulla sentenza per stabilire se risulti una illogicit� che deve avere il carattere della palmare evidenza� (Cass. pen., sez. III, 11giugno1993, Napoleoni, in Cass. pen., 1994, 632; cfr. nello stesso senso: Cass. pen., sez. III, 27 marzo 1990, Castaldi, in Cass. pen., 1991, Il, 292; Cass. pen., sez. I, 13 novembre 1991, Iero, in Arch. n. proc. pen., 1992, 437; Cass. pen., 20 agosto 1991, Ierman�, in Cass. pen., 1992, 969). Strettamente collegata a questa giurisprudenza v'� poi quella, del pari condivisa dal Collegio, secondo cui �in tema di ricorso per cassazione nel nuovo sistema processuale, pu� essere dedotto il travisamento del fatto, quale vizio della motivazione, soltanto quando esso risulti dal testo della sentenza e si risolva nella manifesta illogicit� della motivazione� (Cass. pen., sez. I, 9 marzo 1995, RV 200704; cfr. nello stesso senso: Cass. pen., sez. Il, 1ottobre1996, RV 206277; Cass. pen., sez. I, 26 ottobre 1995, RV 203251; Cass. pen., sez. VI, 16 ottobre 1995, RV 203737). Ora va evidenziato che, uniformandosi ai principi su esposti, questo Collegio non ha ritenuto di prendere in esame gli atti di causa, come indicato dal ricorrente, e che ha limitato il suo esame in ordine al denunciato travisamento dei fatti al testo del provvedimento impugnato. Fatta questa premessa, si osserva che -contrariamente a quanto sostenuto dal difensore del Nappi -nessuna preclusione pu� derivare per i giudici del dibattimento dalla circostanza che, in una delle fasi incidentali del processo, si sia formato il cos� detto giudicato cautelare in ordine alla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza; nessuna disposizione del codice prevede, infatti, una regola di tal tipo e la circostanza che determinati indizi siano stati ritenuti, in sede di riesame, insufficienti a giustificare l'emissione di una misura cautelare (o viceversa) non vin RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 526 cola in alcun modo i giudici delle altre fasi del procedimento, i quali sono tenuti solo a fornire una spiegazione delle ragioni per cui hanno condannato ovvero hanno assolto l'imputato che sia priva di vizi logici. Ci� posto, e procedendo all'esame della censura relativa alla pretesa manifesta illogicit� della motivazione della sentenza di secondo grado, la Corte osserva che i giudici della Corte di appello di Napoli hanno puntigliosamente evidenziato tutti gli elementi di prova a carico del Nappi, chiarendo anche perch� hanno ritenuto attendibili le dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia che lo avevano accusato di far parte dell'organizzazione criminale facente capo ad Alfieri Carmine, ed indicando i numerosi elementi di riscontro a tali accuse. Non � il caso -per ovvi motivi -di riportare in questa sede l'accurata e completa motivazione resa dai giudici del secondo grado, sembrando sufficiente alla Corte ribadire che le loro argomentazioni sono del tutto prive di vizi logici e che, perci�, resistono alle censure del ricorrente sul punto. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, sez. V, 7 ottobre 1999 n. 11441 -Pres. Marvulli -Est. Calabrese -P.M. Galgano (conf.) -Longarini ed altri c. Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Sica). Giudizio penale -Costituzione di parte civile Ministero dei Lavori Pubblici Procura speciale ali' Avvocato dello Stato ex lege -Determinazione della costituzione di parte civile -Produzione della documentazione relativa Non � richiesta. Giudizio penale -Competenza territoriale dell'Avvocatura dello Stato -Art. 9, III comma della legge n. 103 del 3 aprile 1979 -� disposizione a carattere interno -Art. 122 c.p.p., II comma -Procura speciale -Vale anche per l'Avvocato dello Stato. (art. 1, R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611; art. 3, legge 3 aprile 1979 n. 103; art. 122 c.p.p.). Gli avvocati dello Stato, per compiere gli atti del loro ministero, non hanno bisogno di una procura dell'amministrazione, che essi rappresentano, essendo sufficiente che consti della loro qualit� (1). Il mandato, che � loro conferito dalla legge (e che non va confuso con il rapporto organico che lega il funzionario all'amministrazione cui appartiene) � sufficiente ad attribuire agli avvocati dello Stato ilpotere di costituirsi in giudizio per le amministrazioni pubbliche, e di compiere tutti gli atti processuali per i quali la legge richiede un mandato speciale (2). (1-5) Procura speciale agli Avvocati dello Stato ex art. 122 c.p.p.? La sentenza della Suprema Corte afferma esatti principi in ordine alla difesa dello Stato in giudizio, collocandosi nel filone della giurisprudenza prevalente sia nelle cause civili che nei processi penali (sempre pi� isolata rimane perci� la sentenza della Cassazione citata in motivazione e pubblicata in questa Rassegna, 1995, I, 304, con nota critica di W ALLY FERRANTE). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 527 L'avvocato dello Stato non � onerato della produzione della documentazione attestante la volont� della P .A. di procedere giudizialmente (3). Ha carattere interno la norma dell'art. 9, comma 3, della legge n. 103/79 che disciplina il coordinamento territoriale tra i singoli avvocati dello Stato, coordinamento che si realizza nell'ambito della organizzazione interna dell'Avvocatura dello Stato, con esclusione di qualsiasi sindacato e censurabilit� esterne sulla ripartizione territoriale delle competenze (4). L'Avvocatura dello Stato -cui spetta, senza bisogno di mandato, la rappresentanza delle amministrazioni dello Stato -ha la capacit� di compiere tutti gli atti processuali consentiti al difensore munito di mandato, con la sola esclusione, in mancanza del conferimento del relativo potere, di quelli che �importano disposizioni del diritto in contesa�: per gli atti di questo tipo � necessaria una apposita procura speciale (5). Le considerazioni della sentenza sono totalmente da condividere anche per quanto riguarda la natura interna delle norme che disciplinano l'intervento in causa delle amministrazioni dello Stato e le applicazioni dell'art. 9, II comma della legge n. 103 del 1979. Perplessit� invece suscita, anche perch� appare in contrasto con quanto la sentenza aveva poco prima scritto richiamando l'art. 1 del R.D. n. 1611 del 1933, l'affermazione secondo la quale, a norma del II comma dell'art. 122 c.p.p., per gli atti che importano disposizioni del diritto in contesa occorrerebbe anche per l'avvocato dello Stato un'apposita procura speciale. Il problema non risulta affrontato in precedenza in giurisprudenza, n� in dottrina, nemmeno in quella specifica (v. AMORTH -TOMMASICCHIO, Il giudizio civile con lo Stato, 1963; PIETRO PAVONE, Lo Stato in giudizio, 1995) e la stessa decisione che si annota non sembra vada al di l� di un mero riferimento normativo, fra l'altro prendendo a prestito dall'art. 84, II comma, del codice di procedura civile l'espressione che si legge fra virgolette nella massima (5) e nella motivazione (articolo peraltro che non reca la stessa disposizione del codice di procedura penale sulla procura speciale per le Amministrazioni pubbliche, n� la Cassazione affronta il perch� di una tale diversit� di normativa nei due codici di rito, diversit� che sembrerebbe non avere giustificazioni). Vari argomenti militano a favore di una soluzione opposta a quella data nella sentenza che si annota e comunque sembrerebbe che questa isolata norma del codice di procedura penale non sia applicabile alle amministrazioni dello Stato. In primo luogo, posto che l'espressione contenuta nel R.D. del 1933 ha la stessa valenza, quanto a riferimento agli atti dispositivi dei diritti, di quelle sottese alle previsioni dell'art. 122 c.p.p., I e II comma, e considerato che il secondo comma di quest'ultimo ripete, con modificazioni non determinanti, il II comma dell'art. 136 c.p.p. del 1930, anteriore al R.D. del 1933 (�dirigente dell'Ufficio, anzich� �capo dell'Amministrazione� e �circoscrizione in cui si procede� anzich� �circoscrizione in cui si fa l'istruzione o il giudizio�) appare pi� corretto ritenere che la norma del codice di procedura penale sia stata derogata da quella del R.D. del 1933. Pi� esattamente, per quanto concerne la normativa sull'abrogazione delle leggi ed il rapporto fra legge generale e legge speciale (artt. 14 e 15 disp. nella legge in generale), si deve affermare che il R.D. n. 1611 del 1933 ha indubbiamente valore di legge speciale rispetto alla generale previsione del codice di procedura penale e che tale rapporto � mantenuto anche rispetto al nuovo codice di rito. In secondo luogo, poich� il codice del 1988 non fa che ripetere, con disposizione pressoch� identica, come si � detto, il testo della norma precedente, senza alcuno specifico riferimento all'art. 136 del vecchio codice e con una espressione del tutto generica (�per le pubbliche amministrazioni �), � ragionevole dedurre che il legislatore del 1988 non abbia voluto mutare il sistema precedente, disciplinato -per quanto concerne la rappresentanza e la difesa dello Stato in RASSEGNA AVVOCATURA DELLO ST�f<Y' 528 (omissis). Preliminare � l'esame delle questioni di natura procedurale. La prima di esse riguarda la costituzione di parte civile del Ministero per i lavori pubblici. � accaduto che per detto Ministero in primo grado si era costituita l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Ancona, in persona dell'avv. Andrea Cecchieri. Questi ha rappresentato l'ente anche nel giudizio di secondo grado, pur se trasferito 'medio tempore' presso l'Avvocatura Distrettuale di Bologna. Sul punto la corte distrettuale ha osservato che -in effetti -l'avv. Cecchieri non ha fatto 'constare' in appello 'della sua qualit� di avvocato generale di Bologna incaricato ad esercitare in Ancona' n� ha mai prodotto in udienza l'atto di incarico. Ci� tuttavia -ad avviso della corte dorica -pu� rilevare solo in sede disciplinare, dovendosi presumere l'esistenza, in capo al Cecchieri, dell'incarico di cui all'art. 9 legge 3 aprile 1979, n. 103, perch�, altrimenti, l'Avvocato Distrettuale dello Stato di Bologna non avrebbe mai consentito che egli fosse distolto, per la durata di oltre un anno (durata del processo Longarini in appello), dai propri compiti istituzionali presso l'ufficio di appartenenza di Bologna. II Replica il difensore di Longarini (XVI) che le norme che disciplinano l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza processuale della Pubblica Amministrazione stabiliscono solo una presunzione in ordine al conferimento del mandato difensivo all'Avvocatura dello Stato, presunzione che � subordinata alle condizioni essenziali I ~ che i rappresentanti di detta avvocatura facciano constare della loro qualit� e che essi siano territorialmente competenti. E siffatte condizioni non si sono realizzate nel presente processo, dal momento che in primo grado l'avvocato dello Stato non ha fatto constare della sua qualit� e in secondo grado non ha fatto constare della stessa n� era competente per territorio. I Rileva ancora detto difensore il radicale difetto di procura speciale conferito dal Ministero per i lavori pubblici, richiesta ora dall'art. 122, comma 2, C.P.P., che � disposizione successiva a quella corrispondente della legge del 1933 riguardante I l'Avvocatura dello Stato, sottolineando al riguardo (I mot. nuovo) che la stessa lli i giudizio, difesa assicurata da avvocati che rientrano nella sua organizzazione -dalla norma appunto speciale del citato art. 1 r.d. 1611/1933. La ratio legis di questo sistema va infatti individuata nel rapporto di immedesimazione organica che lega all'Amministrazione dello Stato i suoi Avvocati e nell'essere l'Avvocatura dello Stato organo a sua volta di quello stesso Stato del quale sono parimenti organi le Amministrazioni che necessitano della difesa in giudizio. La disposizione pertanto di cui al II comma dell'art. 1 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 deve considerarsi tuttora in vigore (a prescindere dal fatto che limitatamente alla costituzione di parte civile, la legge 3 gennaio 1991 n. 3, prevede, significativamente, una nuova, ma pur sempre interna procedura) ed applicabile in ogni situazione di intervento dell'Avvocatura dello Stato, sia in cause civili o amministrative come in processi penali, come esattamente afferma la sentenza. Ci� vale ovviamente anche nelle ipotesi di cui all'art. 44 dello stesso regio decreto, rientrando la difesa di impiegati ed agenti delle Amministrazioni dello Stato nei compiti istituzionali dell'Avvocatura (v. in questa Rassegna, 1995, I, 515, PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE, La difesa degli impiegati ed agenti delle Amministrazioni dello Stato a norma dell'art. 44 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611). PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE giurisprudenza di questa Corte, nel condividere l'annotazione, richiede �quanto meno una prova documentale della volont� degli organi competenti dell'amministrazione pubblica interessata ad esercitare la pretesa civile nel processo penale; volont� che, quindi, non pu� ritenersi compresa nell'attribuzione 'ex lege' del patrocinio delle amministrazioni statali all'Avvocatura dello Stato� (sez. VI, 16 dicembre 1994, Seri). Ritiene il Collegio che le sopra dette argomentazioni, comprese quelle contenute nella impugnata decisione, non possano essere condivise, essendo esatto quanto -succintamente, in calce al X motivo -rilevato dal ministero interessato. Con le precisazioni che seguono. � principio immanente all'ordinamento giuridico dello Stato italiano quello per il quale gli avvocati dello Stato per compiere gli atti del loro ministero non hanno bisogno di una procura dell'amministrazione, che essi rappresentano, essendo sufficiente che 'consti della loro qualit�'. Il mandato, che � loro conferito dalla legge (e che non va confuso con il rapporto organico che lega il funzionario all'amministrazione cui appartiene) � sufficiente ad attribuire agli avvocati dello Stato il potere di costituirsi in giudizio per le amministrazioni pubbliche, e di compiere tutti gli atti processuali per i quali la legge richiede un mandato speciale. Il detto principio vale 'per tutte le giurisdizioni' ed 'in qualunque sede', nessuna eccettuata e, quindi, anche per le costituzioni di parte civile nei giudizi penali (art. I, commi 1 e 2, t.u. r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611). Ne consegue che l'avvocato dello Stato -non abbisognando il suo 'ius postulandi' di conferimento di procura, derivando esso direttamente dalla legge -non � neanche onerato della produzione della documentazione attestante la volont� della P.A. di procedere giudizialmente: il rapporto sottostante a quello di mandato 'ex lege' fra amministrazione e avvocato e relativo alla gestione della lite costituisce un rapporto meramente interno all'amministrazione medesima, senza alcuna necessit� che questa deliberi, con atti di rilievo esterno, la sua volont� di agire o resistere in giudizio; nei vari gradi e fasi di esso. Ci� vale non soltanto per i giudizi civili ( cfr. Cass. Civ., Sez. I, 13 luglio 1993, n. 7741; idem., 13 novembre 1991, n. 12133), ma -diversamente da quanto ritenuto dalla decisione penale come innanzi richiamata dal difensore di Longarini -anche nel processo penale, allorch� le pretese civili della P.A. siano esercitate in questa sede: invero quello della non necessit� di un mandato speciale, neppure per l'atto di impugnazione, per gli avvocati dello Stato � principio che, come detto, si estende a 'tutte le giurisdizioni' ed � applicabile, per legge, 'in qualunque sede'. Ha parimenti carattere interno la norma dell'art. 9, comma 3, della legge n. 103/79 che disciplina il coordinamento territoriale tra i singoli avvocati dello Stato. Tale coordinamento si realizza nell'ambito della organizzazione interna dell'Avvocatura dello Stato, con esclusione di qualsiasi sindacato e censurabilit� esterne sulla ripartizione territoriale delle competenze; dovendosi ribadire che la disciplina che regola l'attivit� di rappresentanza e difesa in giudizio dell'Avvocatura dello Stato si palesa derogatoria alla legislazione professionale e al diritto processuale comune, essendo fondata sul carattere impersonale della difesa statuale e sulla RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 530 fungibilit� dei singoli avvocati dello Stato tra di loro, dal che consegue la esenzione per gli stessi oltre che dell'iscrizione all'albo professionale anche della localizzazione territoriale dell'attivit� procuratoria. Inconferente, infine, � il richiamo alla disposizione di cui all'art. 122, comma 2, C.P.P. L'Avvocatura dello Stato -cui spetta, senza bisogno di mandato, la rappresentanza delle amministrazioni dello Stato -ha la capacit� di compiere tutti gli atti processuali consentiti al difensore munito di mandato, con la sola esclusione, in mancanza del conferimento del relativo potere, di quelli che �importano disposizioni del diritto in contesa�. E solo per gli atti di questo tipo � necessaria una apposita procura speciale. Conclusivamente, per quanto attiene alla fattispecie concreta, deve affermarsi che ci� che rilevava era soltanto che 'constasse' della qualit� di avvocato dello Stato nella persona intervenuta a rappresentare in giudizio il Ministero per i lavori pubblici. E tale qualit� indubbiamente 'constava' se, come esattamente si rileva da detto ente, al momento della verifica della costituzione delle parti, l'avv. Cecchieri veniva qualificato nel verbale di udienza come avvocato dello Stato senza contestazioni al riguardo. Non era invece necessaria la produzione di apposita procura, n� di documentazione attestante la volont� della pubblica amministrazione di esercitare le sue pretese nel processo penale, e tanto meno d'un atto di incarico conferito dall'avvocatura distrettuale territoriale di appartenenza. (omissis) I ~ ".I� r. ~ ~ ~ ~ I ~ I ~ I I I ~ I i' ! I ~. ~ != ~ i' PARTE SECONDA I I ~ @ Im �~ I:: ' DOTTRINA L'esecuzione delle sentenze del giudice del lavoro nei confronti della Pubblica Amministrazione (*) I. PREMESSA. La problematica inerente l'esecuzione delle sentenze e degli altri provvedimenti muniti di forza esecutiva formati nell'ambito della nuova disciplina processuale che regola il contenzioso del lavoro privatizzato ha radici che affondano nel previgente regime della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie di pubblico impiego e -per continuare nella metafora -ne traggono linfa e vigore. Il Legislatore della riforma del pubblico impiego (e della pubblica amministrazione) non ha dettato alcuna (nuova) disposizione per regolare l'esecuzione delle pronunzie che il lavoratore alle dipendenze di una pubblica amministrazione ottiene dal giudice ordinario del lavoro cui l'art. 68 del d.lgs. 29/93 ha devoluto la potest� giurisdizionale di cognizione delle relative controversie. Nel silenzio della legge, tocca agli operatori del diritto, assumere pensiero ed azione propri di altre culture giuridiche e creare (ch� non pi� di interpretare si tratta) il diritto vivente, senza peraltro il conforto del precedente perch� questa italian common law fa a meno anche di quello e si fonda sulla fantasia allo stato puro (qualit� che, notoriamente, scarseggia nei popoli di ceppo anglosassone ed abbonda in quelli latini ... ) ! Ebbene, l'esercizio di fantasia cui mi sono doverosamente sottoposto per poter dire qualcosa sull'argomento di cui discutiamo ha portato ad una folgorazione: la �doppia tutela� processuale del pubblico impiegato. Questo principio mi far� da guida nella ricerca (anzi, formulazione) delle regole sulla esecuzione delle pronunzie del giudice ordinario del lavoro nei confronti della pubblica amministrazione. II. LA DOPPIA TUTELA. Il principio poggia su due assiomi semplicissimi: il pubblico impiegato resta pur sempre un cittadino, anche nella sua veste di lavoratore; il datore di lavoro pubblico resta pur sempre una pubblica amministrazione, anche nella sua veste datoriale. I referenti normativi di questi assiomi sono, rispettivamente, il combinato disposto degli artt. 24 e 113 Cost. -da un lato -e l'art. 97 Cost. -dall'altro lato -: sulla base degli artt. 24 e 113, non si pu� negare al pubblico impiegato, in quanto cittadino, il diritto di adire la giustizia amministrativa per ottenere pronunzie (*)Intervento svolto nell'ambito dell'Incontro di studio sulle controversie nel pubblico impiego "Massimo D'Antona"�. Firenze, 1ottobre1999, gi� apparso sul Foro italiano, 1999, I, 3475. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAI'O' 70 riservate alla sua competenza secondo le leggi vigenti (per quel che ora interessa, in sede di cognizione per l'annullamento di atti amministrativi ed in sede di esecuzione per l'ottemperanza al giudicato); sulla base dell'art. 97, il giudizio sull'attivit� della pubblica amministrazione, ancorch� nel corso di un rapporto di lavoro, deve ispirarsi ai classici parametri della legittimit�, proficuit� ed imparzialit� dell'azione (piuttosto che a quelli propri dell'imprenditorialit�, secondo l'art. 41 Cost.). In conclusione: 1.a) il pubblico impiegato pu� ricorrere dinanzi al giudice ordinario del lavoro, come ogni altro lavoratore dipendente, per la tutela dei propri diritti soggettivi inerenti al rapporto (ora, paritario) con il datore di lavoro pubblico; 1.b) il pubblico impiegato pu� ricorrere dinanzi al giudice amministrativo, come ogni altro cittadino, per la tutela dei propri interessi legittimi connessi all'adozione di atti amministrativi adottati al di fuori del rapporto di lavoro (all'interno del quale non sono pi� configurabili atti autoritativi ma solo negoziali) ma incidenti sullo stesso (ad esempio, atti di organizzazione generale, quali la istituzione o la localizzazione di un ufficio pubblico); 2.a) il pubblico impiegato pu� usufruire, come ogni altro lavoratore dipendente, degli strumenti apprestati dal processo civiI le per l'esecuzione dei provvedimenti favorevoli emessi dal giudice del rapporto, laddove coinvolgenti prestazioni fungibili della parte obbligata; 2.b) il pubblico impiegato, e non il dipendente di datore di lavoro privato, pu� agire in sede di giu I dizio di ottemperanza ex art. 27, n. 4 t.u. Cons. di Stato, per ottenere l'adozione forfil zosa di atti amministrativi anche di natura discrezionale (id est, prestazioni infungibili del datore di lavoro). ~ I Ii ~ lii. LA DOPPIA TUTELA IN SEDE ESECUTIVA. Mentre in sede cognitiva la �doppia tutela� del pubblico dipendente non concede allo stesso niente di pi� di quel che l'ordinamento concede ad ogni cittadino- lavoratore che si imbatta, nella vicenda del suo rapporto di lavoro, in atti I amministrativi dettati a regolare in via autoritativa la configurazione generale dell'attivit� del datore di lavoro (si pensi all'ammissione dell'impresa privata al regime della cassa integrazione-c.i.g., ovvero all'applicazione della normativa comunale sul commercio in occasione dell'apertura di esercizio commerciale di �grande distribuzione�-supermarket: anche il singolo lavoratore o le organizzazioni sindacali interessate e non solo l'imprenditore potranno impugnare dinanzi al giudice amministrativo gli atti adottati dalla pubblica amministrazione), in sede esecutiva al pubblico dipendente � veramente concessa dalla legislazione vigente una forma di tutela (processuale e sostanziale) che non ha il lavoratore privato. Non siamo di fronte ad alcun privilegio bens� all'applicazione pratica del secondo assioma sopra formulato: la natura pubblica del datore di lavoro e la sua soggezione ai principi dell'art. 97 Cost., anzich� a quelli dell'art. 41 Cost. I principi della legalit�, della buona amministrazione e dell'imparzialit� impongono un diverso comportamento del datore di lavoro pubblico, rispetto a quello privato, di fronte ad un provvedimento giurisdizionale: mentre il privato � libero nella PARTE II, DOTIRINA propria iniziativa imprenditoriale e pu� scegliere l'opzione risarcitoria anzich� porre in essere quell'attivit� inj�ngibile che nessuno pu� imporgli o pu� restare semplicemente inadempiente, la pubblica amministrazione deve applicare la legge (sia il precetto normativo specifico individuato come operante dal giudice sia il precetto generale sanzionato dagli artt. 388, 509 e 650 c.p. -sui quali torneremo in prosieguo -), deve rispettare i canoni della buona amministrazione (come individuati dal provvedimento giurisdizionale che ha risolto la controversia) e deve trattare con imparzialit� i propri dipendenti (onorando, ancora una volta, il dettato obiettivo del giudicato e dismettendo ogni personalizzazione della vertenza). Sotto altro profilo (sul quale torneremo in seguito), il dirigente responsabile della gestione di un ufficio pubblico non pu� non adempiere ad un ordine legittimamente dato (in questo caso dal magistrato competente) e non pu� esporre l'amministrazione all'onere di un risarcimento, pena un giudizio negativo sulla sua gestione ed un'azione di responsabilit� dinanzi alla Corte dei conti. Il pubblico impiegato pu�, quindi, pretendere l'adozione da parte del suo datore di lavoro di tutte le prestazioni, anche inj�ngibili, imposte dal giudice e per far questo deve poter pervenire all'adozione, anche forzosa, dei necessari atti amministrativi: lo strumento processuale che l'ordinamento appresta a tale ultimo fine � il giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo. Nello scenario costruito dalla riforma dal pubblico impiego la via dell'ottemperanza si presenta come residuale rispetto al ricorso alla disciplina generale del codice di procedura in materia di esecuzione, atteso che la interferenza nel rapporto di lavoro di atti amministrativi (in senso proprio) � stata limitata agli atti generali di organizzazione e di programmazione che possono essere formati al di fuori e prima del rapporto; per tutti gli atti (non amministrativi ma) negoziali che l'amministrazione deve (o non deve) adottare sar� necessario e sufficiente procedere esecutivamente secondo gli artt. 2931 e 2933 e.e., gli artt. 612 e segg. c.p.c., l'art. 669 duodecies c.p.c. e le altre misure esecutive tipiche eventualmente previste da leggi speciali. Una via residuale ma necessaria, laddove siano necessari atti amministrativi la cui adozione non pu� essere imposta dal giudice ordinario, o semplicemente utile, allorch� la complessit� degli adempimenti imponga una dettagliata individuazione di modalit� operative che il giudice amministrativo � in grado di pi� agevolmente dettare. Sul punto torneremo in prosieguo. IV. LA TUTELA ESECUTIVA DINANZI AL GIUDICE ORDINARIO. L'esecuzione forzata secondo le regole del codice di procedura civile appare idonea, laddove si resti nell'ambito del rapporto di lavoro e non sia coinvolto l'esercizio di pubbliche funzioni, ad assicurare al lavoratore la soddisfazione del bene della vita attribuitogli dal giudice; particolari modalit� operative possono caratterizzare, per�, l'esecuzione in danno di una pubblica amministrazione a causa della sua natura e delle normative speciali dettate a salvaguardare l'esercizio delle sue funzioni (una puntuale rassegna dei principi che regolano l'esecuzione forzata nei RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 72 confronti della pubblica amministrazione � contenuta nella ord. Pret. Firenze, giud. Paparo, 16-18 maggio 1995, inedita, che ho ritenuto opportuno allegare alla presente relazione) (1). 1. Condanna al pagamento di somma di danaro: 1.a) l'art. 14 d.l. 669/96, conv. in legge 30/97, istituisce un termine dilatorio per l'inizio dell'esecuzione nei confronti delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici non economici (sessanta giorni) decorrente dalla notificazione del titolo esecutivo (da eseguire presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato competente, ai sensi dell'art. 11 r.d. 1611/1933 - Pret. Firenze, giud. Paparo, 24-26luglio1999, Min. finanze ed altro c. Valentina s.r.l., inedita), anche nel caso di decreto ingiuntivo, in deroga al disposto dell'art. 654, 2� comma, c.p.c., pena l'improcedibilit� dell'esecuzione (Pret. Firenze, giud. Paparo, (1) (omissis) Il Pretore, a scioglimento della riserva, osserva e ritiene quanto segue: in questa fase occorre esaminare la sussistenza dei �gravi motivi� di cui all'art. 624 c.p.c. per la richiesta sospensione dell'esecuzione; per giurisprudenza costante, tale esame data la natura cautelare del provvedimento all'interno del procedimento di opposizione -consiste sostanzialmente nella verifica, sia pure provvisoria, della sussistenza di un fumus boni iuris che assista l'opposizione; in materia di esperibilit� delle azioni esecutive per espropriazione forzata nei confronti della Pubblica Amministrazione, l'evoluzione giurisprudenziale ha portato all'elaborazione di principi da considerarsi ormai pacifici, pienamente condivisi dal giudicante. -Ammissibilit�, in linea generale, dell'espropriazione forzata nei confronti della Pubblica Amministrazione, in quanto rimettere al debitore, ancorch� soggetto pubblico, la determinazione del tempo e del modo di adempiere ad un'obbligazione sancita da una pronuncia giudiziaria equivarrebbe ad escludere l'esistenza stessa dell'obbligazione. -Carattere di atto dovuto del pagamento cui la Pubblica Amministrazione sia stata condannata. -Conseguente sussistenza della giurisdizione del Giudice Ordinario per i procedimenti di espropriazione forzata nei confronti della Pubblica Amministrazione, compreso l'accertamento della pignorabilit� dei beni o dei crediti. -Inesistenza di una posizione di preminenza della Pubblica Amministrazione quale soggetto, ma solo in quanto eserciti una potest� pubblica e conseguente rientrare della sua azione nella disciplina del diritto comune al di fuori di tali ipotesi. -Inesistenza di una deroga per la Pubblica Amministrazione in ordine alla regola generale (di cui agli artt. 2740 e 2910 e.e.) della responsabilit� patrimoniale del debitore. -Individuazione del criterio per determinare i crediti non pignorabili della Pubblica Amministrazione nell'art. 826, ultimo comma, e.e., che indica come facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato e degli enti pubblici -e perci� impignorabili -(oltre quelli elencati ai commi precedenti) anche gli altri beni destinati a un pubblico servizio. -Conseguenza che la �non assoggettabilit� all'esecuzione forzata delle somme di denaro ~ o dei crediti pecuniari dello Stato e degli altri enti pubblici pu� discendere soltanto dal fatto che essi concorrano a formare il patrimonio indisponibile, e cio� dal fatto che essi siano vincolati ad ~ I f: un pubblico servizio ovvero -come, ad esempio, i crediti tributari -che nascano dall'esercizio di una potest� pubblica� (C. Cost. 21 luglio 1983, n. 138). -Insufficienza a trasformare le somme di denaro o dei crediti pecuniari dello Stato e degli f: altri enti pubblici in beni del patrimonio indisponibile del �mero fatto della loro iscrizione nel bilan~ cio preventivo� in quanto esso �contempla la previsione di tutte le entrate e di tutte le uscite ... non ! consente in alcun modo di collegare singole entrate (e cio� determinate somme di denaro) a singo fil le uscite (e cio� all'espletamento di determinati servizi) e non pu� quindi essere considerato vincoE: I i; lo di destinazione, in senso tecnico, di particolari somme� (C. Cost. 21 luglio 1983 n. 138). f: PARTE II, DOTTRINA 73 6-7 aprile 1999, inedita), in modo da dare all'amministrazione la possibilit� di disporre il pagamento secondo la procedura del c.d. conto sospeso regolata dallo stesso art. 14; l.b) il pignoramento di somme di danaro presso l'amministrazione o presso terzi incontra i limiti dell'indisponibilit� delle somme derivanti da specifiche norme di legge (ad esempio, art. 4, 5� comma, legge 483/93, per il conto presso la Banca d'Italia denominato �disponibilit� del Tesoro per il servizio di tesoreria�; art. 1 d.1. 313/94, conv. in legge 460/94, per i fondi di contabilit� speciale delle prefetture, direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza, con una disciplina giudicata legittima da Corte cost. 9 ottobre 1998 n. 350, in Foro it., 1999, I, 1748; art. 1, 5� comma, legge 67/93 e art. 11 legge 68/93, -ora, art. 113 d.lgs. 77 /95, modif. dal d.lgs. 336/96 -per le somme destinate, rispettivamente, Ci� premesso, rileva il giudicante che i ministeri opponenti hanno articolato la loro opposizione su tre motivi: 1) �nullit� e inefficacia del pignoramento ... ai sensi dell'art. 70, 2� comma r.d. 18 novem bre 1923, n. 2440�; 2) �nullit� e/o inefficacia del pignoramento per mancanza dei presupposti di legge�; 3) �impignorabilit� delle somme staggite�. Esaminando partitamente i suddetti motivi di opposizione, si osserva. I. L'art. 70, 2� comma r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 (regolante il patrimonio e la contabilit� dello Stato), recita: �Con un solo atto non si possono colpire, cedere o delegare crediti verso amministrazioni diverse�. Leggendo la norma inserita nel contesto della legge, e specificamente in collegamento col precedente art. 69, il motivo non pu� essere condiviso. L'art. 69 suddetto prevede le forme di notifica per �le cessioni, le delegazioni ... pignoramenti ... relative a somme dovute dallo Stato� (1� comma); il primo coma dell'art. 70, poi, prevede che �gli atti considerati dal precedente art. 69 debbono indicare il titolo e l'oggetto del credito verso lo Stato che si intende colpire, cedere o delegare�. Dunque il secondo comma dell'art. 70 esclude la possibilit� di pignorare -con un solo atto -pi� di uno dei crediti di cui al precedente comma verso lo Stato. Ed allora, gli atti in questione sono quelli mediante i quali si intende pignorare crediti di terzi verso lo Stato, cio� debiti dello stato verso altri soggetti, ovvero situazioni in cui lo Stato � terzo debitor debitoris, e non debitore pignorato -come � invece nel caso, in cui sono stati pignorati crediti dello Stato (nella sua articolazione Ministero del Tesoro: v. infra) nei confronti della Cassa di Risparmio di Firenze, quale concessionario del servizio riscossione tributi, e della Banca d'Italia. Del resto, proprio l'affermazione, contenuta nell'atto di opposizione, secondo cui �il secondo comma dell'art. 70 ... vieta espressamente al creditore di �colpire� con un solo atto crediti vantati dal debitore verso amministrazioni diverse� convince della esattezza della conclusione assunta: nella fattispecie, i vari creditori procedenti (nelle diverse procedure riunite) non hanno colpito con un solo atto crediti vantati da un terzo verso pi� amministrazioni, ma crediti vantati verso terzi dal Ministero del Tesoro. Del tutto arbitraria �, dunque, alla luce delle norme invocate, la conclusione secondo cui �in sostanza la legge di contabilit� mira ad impedire che con un solo atto siano pignorati crediti di una pluralit� di pubbliche amministrazioni diverse da quella direttamente debitrice nei suoi confronti�. 2. La mancanza dei presupposti di legge di cui al secondo punto, viene motivata dalla noncoincidenza fra il sogetto debitore dei creditori procedenti ed il soggetto creditore nei confronti dei terzi, basata sulla ritenuta distinta soggettivit� giuridica dei Ministeri che �impedisce di considerare la Banca d'Italia e la Cassa di Risparmio come debitrici del debitore esecutato, vale a dire dell'Amministrazione finanziaria�. Anche tale profilo non merita accoglimento. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 74 dalle usl e dagli enti territoriali al pagamento delle retribuzioni e all'erogazione dei servizi essenziali), mentre una generica impignorabilit� delle somme rivenienti dal pagamento di tributi non ha trovato conferma nel nostro ordinamento dopo la previsione dell'art. 5 d.l. 48/95 non convertito in legge, in ossequio alla posizione della Corte costituzionale (sent. 21 luglio 1981 n. 138, in Foro it., 1981, 1, 2353); 1.3) il pignoramento mobiliare incontra il limite generale dell'art. 514, n. 4 c.p.c., mentre il pignoramento immobiliare non pu� colpire beni demaniali e del patrimonio indisponibile secondo gli artt. 822 e segg. e.e.: nulla � cambiato in proposito dopo la riforma e, pertanto, non ci soffermiamo sulle relative problematiche. 2. Condanna a concludere un contratto: l'applicabilit� dell'art. 2932 e.e. nei confronti di una pubblica amministrazione � stata ormai ammessa in linea di prin- I Sul punto, il Pretore si riporta all'orientamento costante di questo ufficio (cfr., fra le altre, le ordinanze citate dai creditori, estensore il compianto Cons. Bozzi) secondo cui, dato il carattere I unitario della personalit� dello Stato, le diverse competenze dei vari ministeri comportano che nel giudizio di cognizione lo Stato debba essere convenuto nella specifica articolazione organizzati I va (Ministero) competente in relazione ali' oggetto del giudizio stesso, ma restando fermo che parte in giudizio � sempre lo Stato: conseguentemente, se detto Ministero � condannato al paga I mento di una somma di denaro, il soggetto condannato � comunque lo Stato. Dunque il creditore, quando si sia formato un titolo esecutivo giudiziale nel modo sopra detto, ha diritto di procedere ad espropriazione forzata su beni o crediti dello Stato, che deve essere indicato come I debitore esecutato nella sua articolazione tramite la quale � titolare del bene o del credito assoggettato ad espropriazione, indipendentemente dall'essere questa diversa da quella soggetto del I giudizio di cognizione. Questa impostazione non � stata smentita dalla sentenza 10 giugno 1994, n. 231 della Corte I Costituzionale (richiamata dalla Banca d'Italia nelle sue note) che ha ritenuto �non risolutiva� i: l'evocazione (da parte dell'Avvocatura dello Stato) dell'unitaria personalit� dello Stato ed ha I ~ escluso che la pubblica amministrazione sia da considerare �un blocco unitario� in quanto si articola in un complesso di centri operativi, a tutt'altri fini. Con la suddetta sentenza, infatti, la Corte ha escluso l'esistenza di un diritto costituzionalmente rilevante che giustificasse la norma che imponeva che i sequestri ed i pignoramenti a carico dei dipendenti dello Stato si eseguissero presso l'ispettorato generale per il credito ai dipendenti dello stato del Ministero del Tesoro, anzich� presso l'organo dell'amministrazione titolare del potere di disporre la spesa per la conse I guenza dell'accentramento presso la Pretura di Roma di tuttti giudizi in materia che questa norma ~ aveva, con lesione del diritto di difesa del terzo creditore del dipendente-creditore dello Stato. 3. Le amministrazioni opponenti sostengono infine l'impignorabilit� delle somme basandosi sulla lettura della pronuncia della Corte Costituzionale (C. Cost. 21 luglio 1983, n. 138) nella quale � affermata la legittimit� dell'esclusione dalla pignorabilit� (oltre che dei beni destinati a pubblico sercizio ex art. 826 e.e.) dei crediti nascenti dall'esercizio di una potest� pubblica, con espresso riferimento ai crediti tributari ritenuta dalla Corte in relazione al titolo da cui il credito ~ scaturisce, da cui le amministrazioni opponenti traggono la conseguenza che � �implicito che il I ~ vincolo di impignorabilit� si estende a tutti i diritti di credito che possano ulteriormente sorgere al solo fine di far affluire le entrate tributarie alle casse dello Stato�. ;: Esse fanno poi riferimento all'art. 4, 5� comma, legge 26 novembre 1993, n. 485, che f: prevede l'impignorabilit� (con nullit� rilevabile d'ufficio) delle somme esistenti sul conto istii= j: tuito presso la Banca d'Italia denominato �Disponibilit� del tesoro per il servizio di tesoreria� ~ e, nelle note autorizzate, all'art. 5 d.l. 27 dicembre 1994, n. 719 (entrato in vigore dopo la proi: i: posizione del'opposizione), che prevede, l'impignorabilit� (pure con nullit� rilevabile d'ufficio) delle somme derivanti dal pagamento dei tributi detenute, per conto del Ministero delle f: Finanze, da concessionari del servizio di riscossione dei tributi. Assumono le opponenti che t ~ PARTE II, DOTfRINA 75 cipio (Cass. 29 marzo 1989 n. 1540, in Giur. it., 1989, I, 1, 1502; Cass. 7 ottobre 1983 n. 5838, in Foro it., 1983, 1, 2366; Trib. Napoli 26 gennaio 1979, in Dir. e giur., 1981, 456), purch� esista una compiuta manifestazione di volont� negoziale, siano esattamente individuati i contenuti del contratto e permangano le circostanze presenti al momento della manifestazione della prima volont�, poich� in tal caso non si interferisce col divieto di cui all'art. 4 legge 2248/1865 (Cass. 18 novembre 1992 n. 12309, in Vita not., 1993, 802; Cass. 29 aprile 1986 n. 2968, in Riv. trim. appalti, 1987, 1245); con riferimento all'assunzione di lavoratori, la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile dinanzi al giudice competente per il rapporto (secondo il regime vigente prima del 30 giugno 1998, giudice ordinario per gli enti pubblici economici e giudice amministrativo per gli altri enti pubblici -Cass. 23 dicembre si tratta di norma di interpretazione autentica (e dunque con efficacia retroattiva) e comunque che, dati gli effetti sia sostanziali che processuali del pignoramento, applicandosi ad esso il principio tempus regit actum e considerato che gli effetti del pignoramento permangono sino all'assegnazione, essa �si applica ai processi esecutivi pendenti al 28 dicembre 1994 e disciplina tutti gli atti processuali compiuti dopo tale data e gli effetti di quelli posti in essere in data successiva (sic., ma verosimilmente anteriore, n.d.r.) non ancora esauriti�. L'impignorabilit�, che sarebbe �implicita nel sistema anche in assenza di disposizioni esplicite � deriverebbe �in primo luogo dalla particolare finalit� che l'ordinamento intende realizzare grazie all'impiego delle entrate tributarie�; �in secondo luogo dalla circostanza che l'esercizio del potere pubblico era ancora in itinere al momento dell'inizio dell'azione esecutiva atteso che l'applicazione delle funzione pubblica cessa solo quando la somma riscossa entra nelle casse dell'Amministrazione�. I principi suddetti sono tradizionalmente tratti dal disposto dell'art. 4, all. E della legge 20 marzo 1865 e dagli artt. 826 e 828 e.e. A. Quanto al pignoramento operato presso il terzo Cassa di Risparmio di Firenze, si osserva. 3.1. Esclusa la rilevanza della eventuale iscrizione in bilancio (per quello che sopra si � detto) al momento in cui le somme in questione sono entrate nella disponibilit� del terzo concessionario � ormai venuta meno la natura del fatto che aveva dato origine alle entrate riscosse. In altri termini, la ratio dell'impignorabilit�, consistente nel fatto che nessuno pu� sostituirsi allo Stato (o ad altro ente pubblico) nell'esercizio della pretesa impositiva verso il terzo debitore la quale trae origine da un potere autoritativo, manca nella fattispecie, in cui la somma � gi� uscita dalla disponibilit� del soggetto debitore dello Stato in ragione della suddetta pretesa. In tali termini si � recentemente espressa la Cassazione: �sono suscettibili di pignoramento da parte del privato creditore del Comune, le somme da questo incassate direttamente o per il tramite della propria esattoria, non rilevando in contrario n� la potenziale destinazione delle somme medesime agli scopi indicati nel bilancio dell'ente n� la loro provenienza da rapporti impositivi di natura pubblicistica, la quale preclude soltanto la pignorabilit� del credito quando non vi sia stato ancora l'adempimento da parte dell'obbligato, per impedire che il privato creditore si sostituisca nei detti rapporti all'ente stesso, non anche quella delle somme oggetto di tale adempimento�; �quando le pretese tributarie si concretano in una somma di denaro a mani ... della Banca incaricata della riscossione non si riesce a comprendere sotto quale profilo il denaro frutto di una imposta o tassa si distingua da quello frutto di una compravendita o di una locazione � (Cass. 2 febbraio 1994, n. 1067). 3.2. Quanto alle altre norme invocate come fondamento della ritenuta impignorabilit� si rileva. 3.2.1. � evidente anzitutto che presso la Cassa di Risparmio di Firenze non possono essere state pignorate somme di cui all'art. 4, 5� comma, legge 26 novembre 1993, n. 483 (ma semmai somme destinate ad entrarvi). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 76 1988 n. 7037, in Riv. dir. sport., 1989, 207) la domanda per ottenere la costituzione del rapporto di lavoro ex art. 2932 e.e. proposta da vincitore di concorso qualora il bando contenga l'indicazione delle caratteristiche essenziali del rapporto, cio� mansioni e trattamento (Cass. 12 giugno 1982 n. 3592, in Foro it., 1983, 1, 113, che ha puntualizzato come �la sentenza costitutiva ex art. 2932 e.e. pu� essere pronunziata in tutti i casi di obbligo a contrarre e non soltanto quando questo derivi da un contratto preliminare�; Pret. Milano 30 agosto 1984, in Giur. it., 1986, 1, 2, 25; Trib. Napoli 11giugno1985, in Foro it., 1985, 1, 2741; l'ampliamento della portata della prescrizione rispetto al collegamento storico con il contratto preliminare � 3.2.2. Deve poi negarsi il carattere di legge di interpretazione autentica dell'art. 5. d.l. 719/94 (sostanzialmente reiterato dal d.l. 48/95 e dal 132/95). Se l'affermazione delle opponenti secondo cui �la qualificazione della norma di interpretazione autentica non deve essere necessariamente enunciata in maniera esplicita dal legislatore� (pacificamente insussistente nel caso) risulta basata -se intesa nel senso che non � necessario che essa sia contenuta nell'intestazione -su un recente indirizzo interpretativo della Cassazione (Cass. 23 giugno 1986, n. 4182), non lo � la successiva secondo cui �tale carattere deve essere escluso solo quando la disposizione nuova si pone in insanabile contrasto con quelle previgenti determinando una vera e propria rottura del sistema normativo�. In ordine a ci�, oltre alla considerazione che l'argomento �prova troppo� nel senso che, adottando questo criterio, ben poche sarebbero le norme non di interpretazione autentica, deve rilevarsi che -tenuto conto della natura eccezionale delle norme di interpretazione autentica, attraverso le quali il legislatore si sostituisce al potere cui � affidato il compito istituzionale della interpretazione delle leggi (C. Cost. 10 dicembre 1981, n. 187) -per giurisprudenza assolutamente pacifica la qualificazione di una legge come di interpretazione autentica dipende dal fatto che essa �non � suscettibile di interpretazione autonoma, dovendosi necessariamente integrare con la disposizione interpretata in un nesso di inscindibile complessit�, la disposizione interpretativa si presenta, cio�, come una legge di secondo grado, che si riferisce ad altra disposizione di cui chiarisce un aspetto, senza peraltro sostituirla, sicch� la disciplina da applicare concretamente al singolo caso va desunta cumulativamente dalla disposizione interpretativa e da quella interpretata � (Cass. 25 ottobre 1986, n. 5260; Cass. 29 luglio 1974, n. 2289; Cass. 9 dicembre 1983, n. 7297): �il carattere interpretativo autentico di una legge ... dipende esclusivamente dal suo contenuto, caratterizzato dall'enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa il significato di un precetto antecedente cui la norma si ricollega nella formula e nella ratio e da un momento precettivo, con il quale il legislatore impone questa interpretazione, escludendone ogni altra, non solo per il futuro, ma anche per il passato, e che ha perci� sempre efficacia retroattiva, a meno che la stessa legge disponga diversamente� (Cass. 23 giugno 1986, n. 4182; Cass. 4 dicembre 1986, n. 7182; Cass. sez. un., 4 marzo 1983, n.1662; Cass. 17 maggio 1984, n. 3053). Ora, � assolutamente evidente che la norma invocata non ha nessuna di tali caratteristiche. 3.2.3. Deve invece ritenersi che l'effetto della norma invocata dagli opponenti di impedire l'espropriabilit� del credito in questione si ha non per una (inesistente) efficacia retroattiva della norma, ma per le conseguenze della dichiarazione di impignorabilit� di un credito non ancora assegnato. Il pignoramento in s� non � che un atto preparatorio della espropriazione forzata (si consideri, ad es., che il debitore esecutato -fino alla distribuzione -resta proprietario del ricavato della vendita del bene) di cui costituisce il presupposto essenziale, rispetto all'attuale � meramente strumentale: perci� la legge applicabile � quella del momento dell'atto-fine. L'impignorabilit� di un bene o di un credito -perci� -comporta che il creditore non possa soddisfarsi su di esso e che esso non possa formare oggetto di espropriazione forzata: in sostanza un bene o un credito � impignorabile perch� non soggetto ad espropriazione forzata e dunque se la dichiarazione di impignorabilit� sopravviene durante l'esecuzione, ne deriva che il bene o il credito non possano pi� essere oggetto dell'espropriazione. Conseguentemente, deve sospendersi l'esecuzione relativamente a detto credito. PARTE II, DOTIRINA 77 pacifico anche in dottrina: SASSANI, Dal controllo del potere all'attuazione del rapporto, Milano, 1997, 35); la domanda � stata, invece, ritenuta inammissibile per l'assunzione degli appartenenti alle categorie protette e, in genere, dopo l'avviamento al lavoro dall'Ufficio di collocamento perch� l'indeterminatezza dei contenuti dello stipulando accordo rendeva inj�ngibile l'obbligo, nel rispetto dell'autonomia delle parti, e proponibile solo un'azione di risarcimento (Cass. 24 maggio 1980 n. 3425, in Mass. giur. lav., 1980, 768; Cass. 19giugno1987 n. 5391, in Mass. Foro it., 1987; ed altre, tutte nei confronti di datori di lavoro privati, in quanto l'obbligo di assunzione non era normativamente operante per gli enti pubblici). B. Presso il terzo Banca d'Italia, i creditori hanno pignorato tre diversi cespiti, consistenti: 1) negli interessi sul conto �Disponibilit�� costituito ex art. 4 legge 483/93; 2) nel 'differenziale' fra il rendimento dei BOT e gli interessi corrisposti alle aziende di credito sulle riserve obbligatorie; 3) negli utili che la Banca d'Italia deve riversare al Tesoro, nella misura del 20%, alla fine di ogni esercizio. Al proposito si osserva. 1. Relativamente agli interessi sul conto �Disponibilit�� essi devono essere considerati impignorabili ex art. 4, comma 5, della legge 26 novembre 1993 n. 483 che prevede l'impignorabilit� (con nullit� rilevabile d'ufficio) delle somme esistenti sul conto predetto; la natura accessoria degli interessi convince che anche essi sono sottratti alla pignorabilit�; del resto sul punto i creditori precedenti nulla hanno replicato. Peraltro in presenza di una dichiarazione certamente non positiva, i creditori procedenti non hanno manifestato intenzione di chiedere l'accertamento dell'obbligo del terzo. Conseguentemente, deve sospendersi l'esecuzione relativamente anche a detto credito. 2. Quanto al 'differenziale' fra il rendimento dei BOT e gli interessi corrisposti alle aziende di credito sulle riserve obbligatorie, la dichiarazione � stata pacificamente negativa ed i creditori procedenti non hanno manifestato intenzione di chiedere l'accertamento dell'obbligo del terzo sul punto, ammettendo, anzi, nelle note autorizzate, che �il tentativo (di pignoramento n.d.r.) � risultato vano perch� tale conguaglio ... era gi� stato corrisposto dalla Banca d'Italia allo Stato� e rilevando che �Cos�... l'argomento non pu� essere qui trattato visto che tale conguaglio o �differenziale� � stato gi� corrisposto�. Non vi � luogo dunque per provvedere sulla sospensione dell'esecuzione relativamente a detto credito, non sottoposto a pignoramento. 3. Quanto infine agli utili da versare alla fine di ogni esercizio, deve rilevarsi che essi costituiti da denaro -non assumono in alcun modo la natura di crediti impignorabili come definiti dalla sentenza 138/81 della Corte Costituzionale: non sono vincolati ad un pubblico servizio, non nascono dall'esercizio di una potest� pubblica n� rileva la loro eventuale iscrizione nel bilancio preventivo. In presenza di una dichiarazione interlocutoria (la questione della pignorabilit� non attenendo all'accertamento dell'obbligo del terzo). Conseguentemente, deve rigettarsi l'istanza di sospensione dell'esecuzione relativamente a detto credito. P.Q.M. Il Pretore: 1) sospende l'esecuzione relativamente al pignoramento presso il terzo Cassa di Risparmio di Firenze; 2) sospende l'esecuzione relativamente al pignoramento presso il terzo Banca d'Italia degli interessi sul conto �Disponibilit��; 3) rigetta l'istanza di sospensione dell'esecuzione relativamente al pignoramento presso il terzo Banca d'Italia degli utili da riversare al Tesoro alla fine di ogni esercizio. (omissis) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO,, 78 Dopo la riforma del pubblico impiego, l'attuale formulazione dell'art. 68, commi 1 e 4, d.lgs. 29/93 conferma la proponibilit� della domanda ex art. 2932 e.e. dinanzi al giudice del lavoro per ottenere una pronunzia che faccia luogo del contratto di assunzione cui il vincitore di concorso abbia diritto, con esclusione della potest� giurisdizionale del giudice ordinario a conoscere dei procedimenti amministrativi e degli atti autoritativi che hanno preceduto l'emanazione del bando (nei confronti dei quali si configurano solo interessi legittimi tutelabili dinanzi al giudice amministrativo); una pronunzia che �tenga luogo� del contratto non ha bisogno dell'adozione di alcun altro atto negoziale (e, tanto meno, amministrativo) n� della manifestazione di volont� da parte dell'obbligato per la sua prima esecuzione bens� solo di attivit� materiale necessaria a consentire al lavoratore di entrare nel luogo di lavoro ed accedere al suo posto (risultato conseguibile a mezzo di uffi~iale giudiziario: Pret. Parma 13 febbraio 1992, in Giust. civ., 1992, 1364, nei confronti di azienda municipalizzata, per la reintroduzione del lavoratore nel proprio ufficio; Pret. Milano 26 novembre 1992, in Riv. critica dir. lav., 1993, 449, nei confronti della Rai, per la reimmissione coattiva nelle mansioni precedentemente occupate); manifestazioni di volont� ed adozione di atti da parte del datore di lavoro saranno necessarie per assicurare il compiuto rispetto della pronunzia giudiziale nella fase successiva all'ammissione del lavoratore sul luogo di ~ lavoro, per l'attribuzione di mansioni e compiti, ed in quel momento, nel caso di iner~ zia del datore di lavoro pubblico, il dipendente potr� richiedere al giudice dell'esecuzione di provvedere ai sensi dell'art. 612 c.p.c. (cosa che, invece, non sarebbe possi I bile nei confronti del datore di lavoro privato trattandosi di prestazioni infungibili, secondo l'orientamento pressoch� univoco della giurisprudenza -Trib. Latina ord. 5 II dicembre 1997, in Foro it., 1999, I, 2117; Trib. Roma ord. 17 gennaio 1996 e Trib. , Palermo ord. 28 luglio 1995, id., 1996, I, 2251; Cass. 19 febbraio 1990, n. 1205, id., 1991, I, 884 -) o potr� adire il giudice amministrativo in sede di ottemperanza (cui , ' sar� obbligato a rivolgersi allorch� sia necessaria l'adozione di atti amministrativi di organizzazione generale al di fuori dell'economia del rapporto di lavoro). 3. Condanna a fare o non fare (art. 2931 e 2933 e.e.): secondo l'art. 612 c.p.c. spetta al giudice dell'esecuzione determinare le modalit� e designare l'ufficiale giudiziario e le persone che devono provvedervi; secondo l'art. 613 lo stesso giudice I dirime le difficolt� sorte in sede di esecuzione; quando l'esecuzione deve compiersi nei confronti di una pubblica amministrazione si pongono una serie di problemi che passiamo ad esaminare: 3.a) la indicazione delle modalit� di esecuzione implica la determinazione del contenuto degli atti paritetici (non amministrativi ma negoziali) che il datore di lavoro pubblico deve adottare all'interno del rapporto di lavoro; per rispetto dell'art. 4, legge 2248/1865, nessuna modalit� potr� essere dettata II per l'adozione, la revoca o la modifica degli atti amministrativi (di organizzazione generale o di programmazione) che influiscono ab externo sul rapporto di lavoro, cos� come avviene -in virt� di altri principi -per le attivit� infungibili del datoI re di lavoro privato; 3.b) la designazione delle persone che devono provvedere all'esecuzione in danno pu� spingersi fino alla nomina di un commissario ad acta che l adotti materialmente quelle iniziative e quegli atti paritetici indispensabili per assicurare l'attuazione del diritto riconosciuto dal giudice; questo commissario, in quan1: to partecipante della natura dell'organo giudiziario che lo ha nominato e proprio ~j nella sua funzione di ausiliario del giudice, potr� adottare, revocare o modificare I ~ ,, l ����,.,111a11��111a:�a1i:al~�r11~ PARTE Il, DOTIRINA solo gli atti sui quali si estende la competenza del giudice ordinario, cio� gli atti negoziali che regolano la vita del rapporto e non gli atti amministrativi in senso proprio, per lo stesso divieto di cui al cit. art. 4, legge 2248 (per una conferma a contrario di questa necessaria corrispondenza fra i poteri dell'organo giudiziario e del suo ausiliario, v. Cons. Stato, sez. IV, 7 ottobre 1997 n. 1099, in Cons. Stato, 1997, I, 1341 e Cass. 15 luglio 1986 n. 4568, in Foro it., 1987, I, 532, che hanno rilevato il vizio del difetto di giurisdizione nelle iniziative assunte in sede di giudizio di ottemperanza su materie riservate alla competenza del giudice ordinario). Sul commissario ad acta � opportuno fermare la nostra attenzione. In primo luogo, la sua nomina deve ritenersi nei poteri del giudice dell'esecuzione per il dato normativo specifico dell'art ..612, 2� comma, c.p.c. (una sua interpretazione estensiva ed adeguata alle mutate esigenze dei nuovi tempi e delle nuove materie, neppure troppo audace, pu� ben leggervi la figura di un commissario in quei riferimenti testuali all'ufficiale giudiziario ed alle persone che debbono provvedere) coordinato con i princ�pi generali che regolano la designazione di ausiliari del giudice e la libert� delle forme degli atti e dei provvedimenti processuali secondo gli artt. 121 e 131 c.p.c. (v., con riferimento a provvedimento d'urgenza ma con principi di valenza generale, Trib. Bari 12 febbraio 1987, in Giur. it., 1998, 276: <<Le modalit� di esecuzione di un provvedimento d'urgenza, avente ad oggetto un obbligo di fare, possono essere liberamente fissate ex artt. 121 e 131 c.p.c., con l'unico limite dell'idoneit� al raggiungimento dello scopo -nella fattispecie si � affidata l'attuazione del provvedimento cautelare ad un commissario ad acta, trattandosi di attivit� di natura amministrativa�; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1996, 724: � ... nell'esecuzione delle attivit� materiali che gli artt. 606, 608, 609, 612 riservano all'ufficiale giudiziario, il giudice potr� servirsi anche di altri ausiliari, se del caso appositamente designati�; secondo l'insegnamento di CHIOVENDA, Principi di diritto processuale: �Deve ritenersi ammissibile ogni modo di attuazione della legge che sia praticamente possibile e non sia escluso da una norma generale o speciale di diritto�, richiamato da SASSANI, op. cit., 93); peraltro, la funzione commissariale � gi� attribuibile dal giudice all'ufficiale giudiziario (art. 59 c.p.c.) coadiuvato da esperti ed altre persone idonee (art. 68 c.p.c.) e si tratta solo di fare un piccolo passo (consentito dagli artt. 121e131 c.p.c.) ed unificare le figure, oppure di ritenere necessaria la presenza dell'ufficiale giudiziario e configurare il commissario ad acta come l'esperto che lo coadiuva nell'esecuzione dell'ordine del giudice (l'ausiliario del giudice secondo la definizione desumibile dall'art. 68 c.p.c. � �una categoria aperta ... il privato esperto in una determinata arte o professione ed in generale idoneo al compimento di atti che il giudice non pu� compiere da solo, temporaneamente incaricato di una pubblica j�nzione, il quale sulla base della nomina effettuata da un organo giurisdizionale secondo le norme del codice o di leggi speciali presti la sua attivit� in occasione di un processo in guisa da renderne possibile lo svolgimento o consentire la realizzazione delle particolari finalit�� -Cass., sez. un., 21novembre1997 n. 11619, in Mass. Foro it., 1997); a conforto di quanto fin qui sostenuto possiamo citare la proficua esperienza maturata nel giudizio amministrativo sia per l'esecuzione delle pronunzie di primo grado o cautelari (a mezzo del commissario ad acta nominato in sede di incidente di esecuzione -Tar Calabria 13 giugno 1996 n. 475, in Trib. amm. reg., 1996, I, 3496; Corte RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'IU" cost. 8 settembre 1995 n. 419, in Foro it., 1995, I, 2641) sia per l'ottemperanza al giudicato, ove la possibilit� di nominare un commissario non � mai stata posta in discussione nonostante la mancanza di specifica regolamentazione normativa. In secondo luogo, i poteri del commissario ad acta derivano e sono definiti dal giudice che lo ha nominato e, quindi, risentono dei limiti propri della potest� giurisdizionale di quel giudice; questa incontestabile e necessaria puntualizzazione poggia sulla qualifica del commissario come �organo ausiliario� del giudice, con funzione sollecitatoria e di superamento dell'inerzia dell'amministrazione (Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 1995 n. 373, in Cons. Stato, 1995, I, 566), anche se la sua attivit� � riferibile alla stessa amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 1995 n. 1433, in Cons. Stato, 1995, I, 1362) cos� come riconosciuto dalla stragrande maggioranza della dottrina ( cfr. CAIANIElLO, Diritto processuale amministrativo, Torino, 1990, 800; SANDULLI, Il problema del!' esecuzione delle pronunce del giudice amministrativo, in Dir. soc., 1982, 37, che parla di sostituto o longa manus del giudice) e dalla pressoch� unanime giurisprudenza (sia con riferimento all'ausiliario nominato nel processo civile Trib. Napoli 22 gennaio 1992, in Societ�, 1992, 1085, per l'amministratore giudiziario ex art. 2409 e.e. -sia con riferimento al commissario nominato nel giudizio di I ottemperanza -Pret. Bari-Putignano 13 gennaio 1998, in Giust. civ., 1998, I, 1431; Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 1997 n. 639, in Cons. Stato, 1997, I, 753; Tar. Molise 19 marzo 1997 n. 55, in Trib. amm. reg., 1997, I, 1947; ecc.); in conseguenza, il giudice ordinario dell'esecuzione non pu� affidare al commissario ad acta compiti che esulino dalla potest� giurisdizionale attribuitagli nella materia oggetto del giudizio (Tar Campania, sez. I, 9 maggio 1996 n. 241, in Foro amm., 1997, 275) e, comunque dall'ambito della pronunzia da eseguire (Cass. 1� luglio 1982 n. 3953, in Arch. giur. oo.pp., 1982, Il, 315); in particolare, nel processo del lavoro presso una pubblica amministrazione il giudice non pu� affidare al commissario l'adozione di atti amministrativi in senso proprio (cio� di natura autoritativa, di organizzazione generale o programmazione) sui quali esso giudice non pu� giudicare ma deve limitare l'intervento esecutivo all'adozione, revoca o modifica degli atti negoziali (cio� paritetici) interni al rapporto. D'altronde, se anche si qualificasse il commissario come �organo straordinario dell'amministrazione� o di natura �ambivalente� (Tar Lazio, sez. III, 13 dicembre 1996 n. 2365, in Temi rom., 1997, Iv, 492; Cons. giust. amm. reg. Sicilia 29 giugno 1989 n. 238, in Cons. Stato, 1989, I, 852) -con ci� confondendo questa figura con l'altra di nomina amministrativa, con funzioni suppletive o sostitutive prevista da apposite disposizioni di legge (ad esempio, art. 4 legge 493/93 per la surrogazione della regione al comune nel rilascio delle concessioni edilizie, su cui v. Tar Lombardia 16 giugno 1997 n. 947, in Riv. amm. Lombardia, 1997, 18; Tar Sicilia, sez. Catania, 14 maggio 1996 n. 781, in Giust. amm. sic, 1997, 262) -nulla cambierebbe ai fini del nostro discorso, atteso che il commissario dovr� sempre agire nell'ambito della pronunzia giudiziale da eseguire e secondo le indicazioni del giudice che non potranno mai esorbitare dalle sue potest� giurisdizionali. Per conseguire un intervento autoritativo sulla sfera di potest� discrezionali della pubblica amministrazione che si renda necessario per attuare il precetto del giudice del lavoro, l'interessato avr� l'unica strada del giudizio (di cognizione, se necessario, e poi) di ottemperanza, ove il commissario nominato dal giudice amministrativo godr� dei poteri di quest'ultimo di intervento sugli atti. PARTE Il, DOTfRINA V. LA TUTELA ESECUTIVA DINANZI AL GIUDICE AMMINISTRATIVO. Il giudizio di ottemperanza dinanzi agli organi della giustizia amministrativa � previsto dagli artt. 27, 1� comma, n. 4, del r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 (t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato) e 7, 1� comma, legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (istituzione dei tribunali amministrativi regionali) per �ottenere l'adempimento dell 'obbligo dell'autorit� amministrativa di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico�(obbligo discendente dall'art. 4, 2� comma, legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E); l'interpretazione giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 febbraio 1996 n. 120, in Foro amm., 1996, 434) ha da tempo ammesso l'esperibilit� della procedura per l'adempimento di pronunzie di ogni organo giudicante (oltre che giudice ordinario e amministrativo, anche contabile -Corte conti, sez. IV, pens. mil., 4 marzo 1994 n. 84116, in Riv. Corte conti, 1994, fase. 3, 179 -e tributario - Comm. Trib. prov. Livorno 3 aprile 1998, in Corriere trib., 1998, 2565). Nessun cenno � fatto a questo procedimento nelle leggi della riforma del pubblico impiego neppure sotto il profilo di una diversa regolamentazione della materia (come abbiamo gi� detto dianzi, nessuna disposizione in punto di esecuzione delle sentenze del giudice ordinario del lavoro nel rapporto con una pubblica amministrazione si rinviene nel d.lgs. 29/93 e successive modifiche e integrazioni), cos� che non si pu� ritenere abrogata, espressamente o tacitamente, la relativa normativa; d'altronde, ritenere preclusa al lavoratore pubblico la possibilit� di agire in sede di ottemperanza solo perch� ha a disposizione gli strumenti del codice di procedura civile, sembra contrario ai principi costituzionali sanciti dagli artt. 3, 24, 100 e 103 Cost. atteso che -da un lato -il giudice ordinario continua a non poter intervenire direttamente sugli atti amministrativi-autoritativi che influenzano ab externo il rapporto di lavoro, per la insopprimibile natura pubblica del datore di lavoro, e dall'altro lato -la cognizione degli interessi legittimi resta riservata al giudice amministrativo dagli artt. 100 e 103 Cost. La procedura si rivela, quindi, accessibile dal pubblico impiegato in tutti quei casi ove si tratti di imporre alla pubblica amministrazione una prestazione inj�ngibile (cio� che implichi una manifestazione di volont�, esprimibile attraverso l'adozione di atti amministrativi in senso proprio) o, comunque, un facere o non facere (che per una pubblica amministrazione, anche per le attivit� meramente materiali cui si riferisce l'art. 2933 e.e., si identifica nell'adozione di atti dovuti o necessitati, o nella revoca e modifica di atti, senza valutazioni discrezionali) al di fuori del regime ordinario del rapporto di lavoro, quale sancito dai principi generali del riparto di giurisdizione e dallo stesso art. 68 d.lgs. 29/93: in questi casi si pu� parlare di funzione necessaria ed ineliminabile, purch� il necessario precetto sia enucleabile dalla sentenza da eseguire anche sotto la forma della disposta disapplicazione di atti amministrativi. Lo stretto legame fra giudizio di ottemperanza e potere di disapplicazione degli atti amministrativi da parte del giudice ordinario � alla radice del nostro sistema giurisdizionale delineato dalle riforme degli anni 1865-1889 (come ricorda IARIA, L 'ambito oggettivo della giurisdizione del giudice del lavoro e del giudice amministrativo dopo i decreti legislativi n. 80 e n. 387 del 1998, in Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, 1999, I, 302) e, unitamente alla natura cognitiva del giu RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO e 82 dizio (e non solo meramente esecutiva: NIGRO, in Il giudizio di ottemperanza (atti del convegno), Milano, 1983, 97 ss.; Tar Abruzzo, sez. Pescara, 17 agosto 1992 n. 292, in Trib. amm. reg., 1992, I, 4060), vale a schiudere grandi orizzonti all'operativit� ~ dell'istituto sulla via della effettiva tutela del cittadini di fronte alla pubblica amministrazione: il giudice dell'ottemperanza � giudice esclusivo (cio� decide sul diritto I soggettivo del cittadini all'esecuzione della sentenza) e di merito (cio� incide sulla sfera di discrezionalit� dell'amministrazione e pu� imporle �obblighi di fare ... anche I quando tale obbligo discenda da una sentenza passata in giudicato del giudice ordinario � -Cons. giust. amm. sic., sez. giurisd., 17 ottobre 1989 n. 389, in Cons. Stato, 1989, I, 1250), perviene ad una �interpretazione integrativa del comando contenuto nella decisione� (Tar Abruzzo 292/92 cit.; Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 1991 n. 52, in Cons. Stato, 1991, I, 120) e disapplica gli atti amministrativi contrari al giudicato da eseguire, siano essi stati adottati successivamente alla sentenza ed in elusione al comando (Tar Sicilia, sez. Catania, 21 luglio 1994 n. 1629, in Giur. amm. sic., 1994, 584; Tar Calabria 12 novembre 1981 n. 285, in Foro amm., 1982, 267) o siano preesistenti e presupposti o conseguenziali alle statuizioni da eseguire (Cons. giust. amm. sic., 10 marzo 1983 n. 33, in Cons. Stato, 1983, I, 354: �Nel caso in cui la con I m troversia su un atto rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, il soggetto che si senta leso da atti conseguenziali al primo ha l'onere di chiederne la disapplicazione allo stesso giudice, potendo adire il giudice amministrativo soltanto in sede di giudizio di ottemperanza qualora la pronuncia di disapplicazione non sia stata suf~ @ ficiente ad eliminare la lesione subita�). t Si pu�, quindi, ritenere tranquillamente che il giudice dell'ottemperanza adito ~ dal pubblico dipendente possa intervenire direttamente (senza la previa instaurazio llil~ ne di uno specifico giudizio amministrativo di cognizione) sugli atti amministrativi disapplicati dal giudice ordinario o sui comportamenti del datore di lavoro pubbli I co esplicitamente o tacitamente definibili illegittimi in base al giudicato (secondo i ' canoni classici dei vizi dell'atto amministrativo, violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere), anche se quegli atti e comportamenti non possono ritenersi ' I I r~ contenuti nel giudicato sostanziale secondo gli artt. 2909 e.e. e 34 c.p.c. (sulle caratteristiche del giudicato sostanziale che copre il dedotto e il deducibile e prevale rispetto allo jus superveniens retroattivo ma non si estende ai punti pregiudiziali sui quali il giudice non � stato chiamato o non ha la potest� di decidere, v. PROTO PISANI, op. cit., 67 ss, 87 ss.). Solo nel caso si riveli necessario un giudizio su atti amministrativi sui quali non sia stato operato alcun esame, neppure incidenter tantum, da parte del giudice del lavoro o su comportamenti della pubblica amministrazione rimasti completamente estranei alla domanda ed al giudicato (Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 1995 n. 1416, in I i<' Cons. Stato, 1995, I, 1719: �� inammissibile il ricorso per ottemperanza che abbia ad r. [ oggetto una domanda non proposta col ricorso ordinario e sulla quale pertanto non � f: intervenuta pronuncia da parte del giudice�), sar� necessaria la proposizione di un l'\ giudizio amministrativo di cognizione prima dell'eventuale ottemperanza. >:= 2. Il giudizio di ottemperanza costituisce anche strumento concorrente all'eset cuzione secondo le regole processual-civilistiche ogniqualvolta quella sede sia riter:~~ ~ nuta pi� idonea per conseguire il diritto riconosciuto dalla sentenza, ad esempio per Ea il pagamento di somme di danaro (Tar Toscana, sez. I, 17 ottobre 1997 n. 454, in ~ 1:i ill ~ PARTE Il, DOTIRINA Toscana giur., 1997, 983; Cass. 3 febbraio 1988 n. 1074, Foro it., 1989, I, 853; anche su decreto ingiuntivo, Cons. Stato, sez. VI, 5 ottobre 1988 n. 1114, in Foro it., 1989, III, 127) che pu� essere pi� agevolmente conseguito a mezzo dell'adozione coattiva dei necessari atti di impegno di spesa (ad opera del giudice amministrativo e del commissario ad acta) piuttosto che con le ordinarie procedure esecutive (che si scontrano con i noti profili di impignorabilit� cui sopra s'� fatto cenno); trattasi di strumento da sempre a disposizione di ogni creditore della pubblica amministrazione e non si vede perch� debba ora negarsi al pubblico dipendente. 3. Il giudizio di ottemperanza incontra un limite generale nella sua ammissibilit� solo per pronunzie passate in giudicato (in quanto si � ritenuto opportuno lasciare alla discrezionalit� della stessa pubblica amministrazione la scelta fra l'immediata integrale conformazione all'ordine esecutivo del giudice e l'attesa della definitivit� della pronunzia prima della modifica-annullamento-adozione di un atto amministrativo, in considerazione degli interessi pubblici coinvolti -Cons. Stato, sez. V, ord. 27 giugno 1997 n. 1274, in Riv. amm., 1997, 682); non vi si potr� accedere, quindi, per le pronunzie provvisoriamente esecutive o cautelari e per tutti gli altri provvedimenti non giurisdizionali emessi in esito alle procedure deflattive del contenzioso del lavoro (conciliazioni ai sensi degli artt. 69 e 69 bis d.lgs. 29/93 o secondo i contratti collettivi) o alternative (arbitrati) per i quali si potr� usufruire degli strumenti generali o speciali (ad esempio, art. 669 duodecies c.p.c.) apprestati dal codice di procedura, resi di pi� facile attuazione in quei casi nei quali la manifestazione di volont� dell'amministrazione si sia gi� espressa (verbali di conciliazione). Il giudice dell'ottemperanza, infine, non pu� modificare o completare il dispositivo da eseguire ma solo, come gi� detto, interpretarlo in relazione allo specifico fine di assicurarne l'esecuzione (<<L'oggetto proprio del giudizio di ottemperanza � costituito dalla verifica se la p. a. abbia o meno attribuito all'interessato quella utilit� che la sentenza ha riconosciuto come dovuta� -Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 18 aprile 1997 n. 24, in Giust. amm. sic., 1997, 411): � giudice del merito solo in riferimento al contenuto delle statuizioni che ha il potere di emettere nei confronti della pubblica amministrazione, quindi non pu� mai interferire, come dianzi s'� detto, nel regime di distinzione fra le giurisdizioni delineato dall'art. 68 d.lgs. 29/93 (e fuori di luogo si rivelano le preoccupazioni di chi non vuole ammettere l'ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo per non far rientrare dalla finestra quella competenza sul rapporto di lavoro che il legislatore della riforma ha assegnato al giudice ordinario: SASSANI, op. cit., 206). VI. LA TUTELA DEI TERZI NEL PROCESSO ESECUTIVO. Il problema della partecipazione del terzo al giudizio si pone, in primo luogo, per la fase di cognizione e, prima ancora, per quella di conciliazione, dopo e in conseguenza per la fase esecutiva; non essendo questa la sede per affrontare il problema, mi limito ad osservare che, rispetto al processo su un rapporto di lavoro privato, il coinvolgimento (e l'esigenza di tutela) del terzo nel processo su un rapporto di lavoro con pubblica amministrazione si presenta in termini di necessit� nella misura in cui si ritengono eseguibili coattivamente anche gli obblighi inftmgibili: se la pubblica ammi RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT� . 84 nistrazione non ha la libert� del datore di lavoro privato nella scelta dell'opzione risarcitoria ma deve, ad esempio, riammettere in servizio un dipendente o riassegnargli la sua sede o collocarlo nella corretta posizione in graduatoria, lo deve inevitabilmente fare a danno di altri perdenti posto che devono potersi difendere in giudizio e, poi, devono essere ammessi alla proposizione delle opposizioni all'esecuzione previste dal codice di rito (cos� come i controinteressati sono ammessi a partecipare al processo di ottemperanza -Cons. Stato, sez. V, 14luglio1997 n. 826, in Foro amm., 1997, 1972; SASSANI, op. cit., 193 -oltre che a quello amministrativo di cognizione, ai sensi degli artt. 21, commi 1e2, legge 1034/71e36, comma 2, t.u. Cons. St.). VII. Lo SPONTANEO ADEMPIMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E LE RESPONSABILIT� DISCIPLINARI, CONTABILI E PENALI CHE LO PRESIDIANO. L'esecuzione forzata di un ordine dell'Autorit� Giudiziaria dovrebbe, comunque, costituire un'eventualit� remota allorch� destinataria ne sia una pubblica amministrazione, non potendosi certo negare che risponda ai precetti riconducibili all'art. 97 Cost. l'adempimento di una disposizione giudiziale per definizione intesa ad affermare la legittimit� di un atto o comportamento. 1. Questa considerazione, valida in ogni tempo e che si pu� riagganciare al precetto sancito dall'art. 88 r.d. 17 agosto 1907 n. 642 secondo cui �L'esecuzione delle decisioni si fa in via amministrativa� (da intendere in positivo quale indicazione e monito per i pubblici uffici e non in negativo quale preclusione per l'intervento coattivo giurisdizionale), assume vieppi� attualit� dopo la riforma della pubblica amministrazione attuata dal d.lgs. 29/93, con la distinzione fra funzione di indirizzo politico ed attivit� di gestione e con la responsabilizzazione della dirigenza pubblica: 1.a) il primo principio, sancito dall'art. 14, facilita la individuazione dei responsabili del rapporto, dei veri titolari dei diritti e doveri che fanno capo al datore di lavoro e, quindi, dei destinatari dei provvedimenti giudiziali, cio� i dirigenti preposti all'ufficio e non pi� quell'entit� astratta ed inafferrabile (a livello istintivo prima che razionale) che era il ministro; ora il contratto di lavoro lo firma il dirigente ed � costui che adotta gli atti ed assume ogni decisione durante il rapporto e che ne decreta la cessazione, in una relazione paritetica con il lavoratore che consente un intervento pieno ed assoluto dell'Autorit� Giudiziaria nel caso di controversie, senza pi� alcuna limitazione in fase esecutiva, perch� gli atti assunti dal dirigente non sono amministrativi in senso proprio e sono soggetti alla cognizione del giudice ordinario, con i poteri sanciti dai principi generali del nostro ordinamento e ribaditi dal1' art. 68 d.lgs. 29/93; questa separazione fra livello politico e gestionale ci fornisce un altro strumento per la individuazione degli atti paritetici, pienamente conoscibili dal giudice ordinario e coercibili anche se infungibili (per usare termini �privatistici �, giuste le ragioni sopra esposte), atteso che quegli atti sono quelli e soltanto quelli emessi nell'ambito della gestione del rapporto (entro i confini desumibili dal citato art. 14 dello stesso decreto) dai dirigenti preposti all'ufficio (ex art. 17 d.lgs. 29/93) o dai dirigenti generali che sovrintendono al settore (ex art. 16), al di fuori gli atti sono autoritativi (amministrativi in senso proprio) e sono direttamente conoscibili dal giudice amministrativo, anche in sede di ottemperanza. l.b) I dirigenti, poi, sono responsabili della gestione del settore o ufficio loro affidato e rispondono per PARTE II, DOTIRINA sonalmente (prima di tutto, sotto il profilo della conservazione dell'incarico dirigenziale) del raggiungimento degli obiettivi prefissati in sede politica; � indubbio che nella valutazione dei risultati della gestione (ex art. 20 d.lgs. 29/93 come pi� volte modificato) assuma rilevanza il fenomeno del contenzioso sorto con i lavoratori dipendenti sia per le cause che lo hanno determinato sia per le modalit� con le quali � stato definito; un buon dirigente sa, da un lato, evitare per quanto possibile occasioni di attrito sul luogo di lavoro e deve, dall'altro lato, evitare di esporre l'amministrazione ad azioni coattive per l'esecuzione di ordini del giudice; possiamo, quindi, formulare questa ulteriore considerazione: I'esecuzione spontanea del decisum costituisce la regola di una corretta gestione della cosa pubblica secondo i principi dettati dall'art. 97 Cost. e l'intervento del magistrato (ordinario o amministrativo) pu� essere utile essenzialmente per dettare modalit� esecutive non direttamente desumibili dal provvedimento e rendere possibile quello spontaneo adempimento, piuttosto che per imporre comportamenti o superare resistenze. 2. L'apparato sanzionatorio, ad ogni buon conto, continuer� a presidiare la corretta esecuzione dei contenuti precettivi dei provvedimenti giurisdizionali (oltre che di quelli conclusivi delle altre procedure conciliative ed arbitrali previste dalla legge o dai contratti), con una efficacia per certi profili pi� ampia di quella che si incontra per l'esecuzione nell'ambito del rapporto di lavoro privato. 2.a) La natura pubblica del datore di lavoro implica il suo assoggettamento a specifiche responsabilit� disciplinari e contabili; delle prime s'� gi� detto e baster� aggiungere il richiamo delle responsabilit� che nel procedimento amministrativo incombono sul responsabile del procedimento ai sensi della legge 241/90, mentre le seconde fanno capo all'istituto del giudizio di competenza della Corte dei conti non eliminato dalla privatizzazione del pubblico impiego. Per evidenziare il ruolo che il giudizio di responsabilit� svolge nell'economia della corretta gestione della cosa pubblica, sotto il profilo -che qui interessa -del corretto adempimento dei provvedimenti giurisdizionali, baster� richiamare la giurisprudenza della Corte dei conti che ritiene responsabili di danno allo Stato i pubblici amministratori che hanno provocato, con il loro comportamento omissivo od elusivo, la nomina di un commissario ad acta: <<Risponde del danno derivato dal pagamento degli onorari del commissario ad acta nominato dal Tar, il j�nzionario di un comune che abbia posto in essere un comportamento omissivo gravemente colposo, determinando la nomina dell'organo sostitutivo� (Corte conti, sez. giur. reg. Sicilia, 23 marzo 1998 n. 84, in Giust. amm. sic., 1998, 143; 16 giugno 1997 n. 170, id., 1997, 893; sez. giur. Sardegna, 16 giugno 1997 n. 600, inRiv. corte conti, 1997, fase. 5, 206; 16 aprile 1993 n. 101, in Nuova rass., 1996, 833). 2.b) La responsabilit� penale che dovrebbe conseguire (senza sostanziali differenze fra pubblico e privato) all'omessa esecuzione di un ordine dell'autorit� giudiziaria dovrebbe poggiare sugli artt. 388, 509 e 650 c.p., di non agevole applicazione alle obbligazioni di fare inj�ngibili a carico del datore di lavoro; mentre la dottrina ha vigorosamente invocato una modifica normativa al fine di adeguare quelle disposizioni penali alle mutate esigenze sociali (v. PROTO PISANI, op. cit., 725 e 842), la giurisprudenza ha tentato con esiti non univoci di munire di forza precettiva penale quegli obblighi imposti al datore di lavoro dal giudice civile competente e considerati infungibili in sede di esecuzione forzata. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 86 L'attenzione si � soffermata sull'art. 388, di pi� ampia portata con le articolazioni dei suoi due commi, rispetto ali' art. 509 (condizionato dall'originaria destinazione di tutela del sistema corporativo e dell'applicazione dei contratti collettivi allo stesso collegati: Pret. Schio 21 aprile 1983, in Foro it., 1984, II, 7, e Pret. Foligno 15 ottobre 1981, in Rass. giur. umbra, 1982, 167, ne hanno comunque fatto applicazione) ed all'art. 650 (la cui operativit� � limitata all'inosservanza dei precetti emessi ai sensi dell'art. 28 Statuto dei lavoratori ed esclusa per gli ordini di reintegra ex art. 18: Pret. Firenze 9 giugno 1990, in Riv. it. dir. lav., 1991, II, 689; Cass. 12 maggio 1989, Jacquin, in Mass. giur. lav., 1990, 466; Trib. Perugia 18 novembre 1981, inRass. giur. umbra, 1981, 339): la configurabilit� del reato ex art. 388 c.p. � stata ritenuta sussistente nel caso di inosservanza di ordini di reintegra nel posto di lavoro emessi in sede cautelare (Cass. 8 ottobre 1987, in Cass. pen., 1989, 805; Pret. Milano 21 aprile 1984, in Riv. critica dir. lav., 1994, 1026; Cass. 24 settembre 1993, Masi, in Riv. pen., 1994, 1013), anche in quanto compresi fra quelli a tutela del credito espressamente menzionati nel secondo comma (App. Milano 27 e 29 ottobre 1992, inRiv. critica dir. lav., 1994, 193), non esclusa l'applicabilit� del primo comma (la cui ratio � stata individuata �nella violazione della generale clausola di correttezza nei comportamenti nei limiti previsti dalla tassativit�� delle fattispecie contemplate: Pret. Milano 10 maggio 1989 e 21 giugno 1989, in Lavoro 80, 1989, 1105; Cass. 3 aprile 1992, Termini, in Mass. giur. lay., 1992, 532) e la conseguente possibilit� di disporre misure atte ad impedire che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze ai sensi degli artt. 219 e 231 c.p.p. (Pret. Milano 22 luglio 1983 e 6 dicembre 1982, in Foro it., 1984, II, 7); non mancano, per�, pronunzie le quali ritengono derivare dalle sentenze del giudice del lavoro meri obblighi civili non concretanti fattispecie penalmente rilevanti (Cass. 16 febbraio 1984, Cutrone, in Notiziario giur. lav., 1984, 413; Trib. Milano 15 dicembre 1982, in Foro it., 1984, II, 6) e, comunque, inapplicabili gli artt. 219 e 231 c.p.p. al fine di disporre l'intervento della forza pubblica per la reintegrazione manu militari del lavoratore nel posto di lavoro (Cass. 8 maggio 1986, Spagnoli, Riv. it. dir. lav., 1987, II, 386; Cass. 24 novembre 1982, Marzari, in Foro it., 1984, II, 6; Cass. 2 luglio 1983, Conciato, in Notiziario giur. lav., 1984, 118). Sull'art. 328, 1� comma, c.p., dopo la novella ex l. 86/90, si � recentemente espressa la Cassazione ritenendo compreso nel suo ambito di operativit� l'inottemperanza a decisione di un tribunale amministrativo, in quanto �L'atto di ufficio di cui si tratta � innegabilmente dovuto 'per ragioni di giustizia', posto che esso � conseguenza di un provvedimento pronunicato dall'organo di giustizia amministrativa� (Cass. 22 luglio 1999, Galgano, Guida al dir., 1999, fase. 37,115, con nota di FoRLENZA); l'affermazione con carattere di generalit� del principio fa ritenere che possa configurare il reato di rifiuto di atti d'ufficio l'inottemperanza a qualunque provvedimento adottato dal giudice del lavoro a favore del lavoratore e nei confronti della pubblica amministrazione. Ad ogni buon conto, fidare sul precetto penale per assicurare l'esecuzione da parte dei dirigenti della pubblica amministrazione di una pronunzia giurisdizionale decreterebbe il fallimento dei principi dello Stato di diritto, della nostra Costituzione e della stessa riforma della pubblica amministrazione e del pubblico impiego delineata dal d.lgs. 29/93 che, invece, pu� riuscire solo con la responsabilizzazione e collaborazione di ciascun cittadino, ognuno nel proprio campo. GIUSEPPE ALBENZIO PARTE Il, DOTfRINA 87 L'informe creatura (1) cambia ancora volto (*) 1. -Introduzione. La sentenza delle SS.UU. della Cassazione n. 500del1999 � stata salutata come una innovazione di rilevanza epocale e questo � ben comprensibile ove solo si pensi alla tradizione giurisprudenziale di cui rappresenta la brusca soluzione di continuit� ed alle suggestioni millenaristiche indotte dal calendario. Poich� ho l'onore di partecipare a questo incontro di studio in rappresentanza dell'Avvocatura dello Stato penso di fare cosa utile portando la testimonianza di una esperienza di istituto sulla genesi storica del dogma della irrisarcibilit� del danno da lesione di interesse legittimo, dogma secolare che la Cassazione ha adesso infranto. Azzarder� anche qualche considerazione sulle nuove prospettive del sistema di giustizia amministrativa aperte dalla sentenza e dal d.l.vo 31marzo1998, n. 80, con la doverosa cautela di chi ha la consapevolezza di trovarsi a partecipare -non so quanto meritatamente -ad un <<parterre de rois� di giuristi. La sentenza in esame se, da un lato, capovolge una giurisprudenza antichissima e ormai �pietrificata�, dall'altro rappresenta invece il ritorno ad una pi� antica tradizione liberale. Con riguardo alla legge abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865 suole affermarsi che il giudice ordinario italiano adott� un orientamento assolutamente restrittivo: tanto restrittivo da rendere necessaria, un quarto di secolo dopo, la riforma Crispi. L'affermazione � esatta ma approssimativa: nei termini ora riferiti essa � valida infatti soltanto per la seconda met� del venticinquennio in considerazione, periodo in cui l'esigenza di giustizia nell'amministrazione attravers� l'inverno del pi� profondo scontento. Per contro, fior�, nel primo dodicennio successivo al 1865, la primavera di un orientamento giurisprudenziale quanto mai liberale, orientamento liberale al quale la sentenza delle SS.UU. in esame fa ritorno. Faccio riferimento in particolare ad una sentenza della Cassazione romana del 13 marzo 1876 (2), importante non solo in s� ma anche per il fatto che la nota redazionale del Foro italiano, su cui � pubblicata, la chiosa come giurisprudenza pacifica e condivisa anche dalle Corti di Milano, Torino, Firenze e Napoli. Recita dunque la massima: �Chiunque da un provvedimento generale regolamentare dell'autorit� amministrativa riceva danno pu� domandarne il risarcimento dinanzi l'autorit� giudiziaria. (*)Relazione tenuta il 18 novembre 1999 all'incontro di studio intitolato a: �Il sistema della Giustizia Amministrativa dopo il d.lvo. n. 80/98 e la sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione n. 500/99�, organizzato dal Consiglio di Stato. (1) La qualificazione dell'interesse legittimo come �informe creatura� si legge in G. BERTI, Amministrazione autonoma e giustizia amministrativa nella legislatura unificatrice del 1865: il contributo del deputato Francesco Borgatti, in L'unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, a cura di F. BENVENUTI e G. MIGLIO, Milano, 1969, 418. (2) Pubblicata in Foro it. 1876, I, 842. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 88 Cos� pu� dimandarlo il pristinaio, che abbia ricevuto qualche pregiudizio da un provvedimento del Comune, con cui venne fissata una tariffa obbligatoria pel prezzo di vendita delle farine e del pane. L'autorit� giudiziaria investita della dimanda, riconosciuta l'irregolarit� di un provvedimento non deve revocarlo, ma soltanto dichiarare la responsabilit� dell' au torit� amministrativa, di fronte alla prova del danno. Fra i danni che i pristinai, nella specie sopraddetta, possono dimandare, si comprendono quelli derivati dal pagamento per pretese contravvenzioni, o dalle limitazioni apportate alla loro industria, o da altre circostanze�. Una sentenza, dunque, pienamente in linea con quella che oggi commentiamo. Manca soltanto l'affermazione di principio che sono risarcibili i danni derivanti da lesione di interesse legittimo: affermazione non fatta per l'ottima ed ovvia ragione che l'interesse legittimo a quel tempo non era ancora nato. Doveva nascere di l� a poco e doveva nascere portando nel suo DNA una incompatibilit� con la tutela risarcitoria che lo ha condizionato fino a ieri, tanto da indurre autorevole dottrina ad affermare ancora di recente: �Se � risarcibile non � interesse legittimo� (3). � stato argutamente detto che l'irrisarcibilit� dell'interesse legittimo � frutto di un paralogismo alla don Ferrante di manzoniana memoria (4): aggiungerei che la nascita stessa dell'interesse legittimo come categoria giuridica e pi� precisamente I come situazione giuridica soggettiva � frutto di un paralogismo di quel tipo. I I 2. -La legge 20marzo1865 All. E: una riforma tradita. ffi Quel primo orientamento liberale della giurisprudenza sopra ricordato, affer I mava dunque la risarcibilit� del danno recato ad una situazione regolata da leggi M ' ' amministrative; la risarcibilit� del danno causato da atti autoritativi (o iure imperii); la potest� del giudice di disapplicare gli atti autoritativi non solo in via di eccezione, ma anche in via di impugnativa principale. Tale orientamento era allineato a quello della coeva giurisprudenza belga ed era quanto mai ragionevole in quanto gli artt. 2, 4 e 5 della legge abolitrice rappresentavano la quasi letterale traduzione degli artt. 92, 93 e 107 della Costituzione belga del 1831. Costituzione dalla quale il nostro legislatore aveva tratto dichiarata ispirazione (5) e che consent� ad un Paese per molti aspetti paragonabile al nostro di considerare soddisfacente per oltre un secolo la tutela offerta in tal modo dal giudice ordinario ( 6). I , ~ < ::J '-' �= (3) A. ROMANO, Sulla pretesa risarcibilit� degli interessi legittimi: se sono risarcibili sono diritti soggettivi, in Dir. Amm. 1/1998, 1. (4) S. GIACCHETTI, La risarcibilit� degli interessi legittimi e Don Ferrante, in Cons. di Stato, 1997, II, 1471. , (5) P.S. MANCINI, Discorso del 9 giugno 1864, Atti parlamentari, Camera dei deputati, I ed., Voi. dal 20 marzo al 29 giugno 1864. :~ (6) M. SoMERHAUSEN, <<Belgio�, in <<Il Controllo giurisdizionale della pubblica Ammini1 strazione� a cura di A. PIRAS, Torino 1971. "' ! )I. ' PARTE Il, DOTIRINA 89 Dopo le prime iniziali aperture di cui si � detto, invece, com'� noto l'interpretazione che si consolid� nella giurisprudenza italiana fu assai pi� restrittiva e ridusse a ben poca cosa la tutela dell'amministrato: non che giudicare di tutti i diritti �civili e politici� secondo la formula mutuata dalla Costituzione belga del 1831, il giudice italiano autolimit� la propria competenza ai diritti a fronte dei quali vi fosse una attivit� di mero diritto privato dell'Amministrazione, cos� accordando al nostro concittadino di un secolo fa la stessa tutela giurisdizionale che i giudici di Berlino accordavano, in pieno Settecento, al mugnaio di Sans Souci sotto Federico II. In un regime, quindi, che, per essere illuminato, non cessava di essere assoluto. Il self-restraint del giudice italiano oper� lungo tre direttive che capovolsero l'orientamento liberale sopra ricordato: la negazione della qualit� di diritti civili o politici a quelli derivanti da leggi amministrative, la negazione del potere di disapplicazione di atti quando la illegittimit� fosse dedotta in via diretta e principale, in quanto immediatamente lesiva di una posizione tutelata e, infine -questa la limitazione pi� grave -la negazione� della propria potestas iudicandi a fronte di una attivit� iure imperii della Amministrazione. In conclusione, dalla riforma liberale che avrebbe dovuto assoggettare la Pubblica Amministrazione ad un giudice unico, equiordinandola al privato, nacque, in realt�, una amministrazione senza giudice, in quanto sottratta a qualunque sindacato giurisdizionale che non fosse quello sulla attivit� iure privatorum: sindacato da sempre esistito e comunque ben noto gi� prima della Rivoluzione francese. Quali le ragioni del formarsi di tale giurisprudenza? La storiografia tradizionale le individua nella disciplina dei conflitti da quella legge dettata e nella scarsa indipendenza di cui godevano allora i magistrati. � vero infatti che l'art. 13 dell'allegato E devolvette (sia pure in via transitoria) al Consiglio di Stato -cio� all'Esecutivo -la funzione di giudice dei conflitti di attribuzione fra giurisdizione e amministrazione ed era quindi prevedibile che il Consiglio di Stato procedesse secondo lo schema paralogico del �tu hai torto, perci� ti nego il giudice�. Vero � anche che la magistratura dell'epoca era costituita da un insieme non ancora amalgamato di giudici dei vari Stati preunitari, forniti di ben modeste garanzie nei confronti del Governo. Vero �, infine, che i magistrati -o quanto meno quelli di alto grado -erano espressione di quella stessa classe sociale -aristocrazia e borghesia agraria -che forniva i quadri alla politica e all'alta burocrazia. Sta di fatto, per�, che l'errore di grammatica costituzionale dell'art. 13 della legge abolitrice -d'altronde non premeditato e dettato solo dalla fretta (7) -fu subito corretto con la legge del 1877, che affid� alla Cassazione romana il compito di decidere dei conflitti. Sta di fatto, ancora, che l'orientamento restrittivo assunto dalla giurisprudenza fu tutt'altro che generale e tutt'altro che coerente nel tempo con le ragioni di cui sopra. (7) B. SORDI, Giustizia e amministrazione nell'Italia liberale, Milano, 1985, 45. RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO 90 3. -Il contributo dell'Avvocatura erariale al formarsi di tale giurisprudenza ed alla istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato. Il vero � che al formarsi e consolidarsi di tale giurisprudenza contribu� in misu ra rilevante e probabilmente determinante l'opera dell'Avvocatura erariale, istituita nel 1876 con il dichiarato intento di apprestare criteri difensivi unitari che concorressero all'elaborazione giurisprudenziale dei limiti oggettivi del sindacato del giudice ordinario sull'atto amministrativo ed in sintomatica coincidenza temporale con l'affidamento delle funzioni di giudice dei conflitti a quella Cassazione romana che aveva assunto fino allora orientamenti liberali. La tesi della responsabilit� storica dell'Avvocatura erariale nel determinare la linea interpretativa restrittiva di cui si � detto fu gi� denunciata, nell'infuocato dibattito parlamentare sulla legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, dal sen. Pierantoni (genero del Mancini) il quale, opponendosi strenuamente al disegno, vedeva come unico vero rimedio alla insufficiente difesa degli amministrati una pi� esatta lettura, da parte del giudice ordinario italiano, della legge del 1865, una lettura conforme alla lettera della norma ed all'interpretazione datane dalla giurispru I denza belga di fronte ad analogo testo e, criticando la distinzione fra atti di gestioj ne e atti di imperio, ammoniva gli onorevoli colleghi come tale interpretazione, fatta propria dal giudice italiano, fosse errata: �l'opera della Cassazione -precis� -fu spinta su questa via dall'Avvocatura erariale, forte istituto, prevalente nell'opera del potere amministrativo e giudiziario� (8). Naturalmente responsabilit� storica non significa �colpa� in quanto non pu� certo rimproverarsi ad un avvocato di avere adottato una linea difensiva vincente. L'istituto dell'Avvocatura -la cui originaria denominazione di �erariale� forse gi� denunziava le limitate dimensioni che lo Stato intendeva attribuire al proprio contenzioso -nacque dunque come si � detto, con il dichiarato intento di concorrere, con l'adozione di criteri di difesa unitari, alla elaborazione giurisprudenziale della distinzione fra diritti ed interessi e a definire i limiti oggettivi del potere del giudice ordinario in ordine all'atto amministrativo. A fronte della formula generale del legislatore del 1865, �di semplicit� ingannatrice� (9), parve infatti necessaria l'istituzione di un organo unitario di difesa in giudizio (10), per supplire alla soppressione di un foro amministrativo speciale (11), soprattutto in previsione del passaggio alla Cassazione della competenza sui conflitti. Ci� a differenza di quanto accadeva in Francia, dove -scriveva nella sua prima relazione l'Avvocato Generale -� ... si fidano ... del prefetto: e poterono dispensarsi da un istituto di consiglieri, di avvocati demaniali o erariali, in grazia di quel loro foro amministrativo che ne avoca le maggiori cause e dove l'Amministrazione trova nei giudici quanta assistenza a lei bisogna� (12). (8) Atti parlamentari, Senato del Regno, Discussioni, tornata del 20 marzo 1888, 1170. (9) L. ARMANNI, Il Consiglio di Stato, in Trattato di V.E. Orlando, s.d., I, 949. (10) F. BATISTONI FERRARA, La difesa dello Stato in giudizio e la soluzione italiana, in �L'.Avvocatura dello Stato�, studio storico-giuridico per la celebrazione del Centenario, Roma, 1976, 254. (11) Relazione al Regolamento 16 gennaio 1876 n. 2914, serie Il, pubblicata in allegato alla Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per il 1876, 74. (12) Relazione ult. cit. PARTE II, DOTIRINA 91 Fin dall'inizio dell'attivit�, l'Istituto elabor� la linea difensiva della distinzione fra atti di imperio e atti di gestione e della sindacabilit� incidenter tantum dell'atto di imperio solo in via di eccezione e solo quando lo stesso atto aggiungesse al rapporto �politico� un �rapporto accidentale e contingente di natura civile� (13). Particolare cura fu messa nello spingere quanto pi� \avanti possibile la linea di difesa della negazione al giudice della potestas iudicanti, soprattutto in materia di responsabilit� aquiliana, attraverso l'argomento che sotto le mentite spoglie di una pretesa risarcitoria si sindacava -inammissibilmente -l'emanazione o la mancata emanazione di un atto amministrativo: �Tanto fa chiedere la condanna del Sindaco quale Ufficiale di Governo a rilasciare il certificato di buoni costumi, quanto il chiedere la condanna del Sindaco a soddisfare al danno lamentato dall'attore per negatogli certificato� (14). Questo scriveva l'Avvocato Generale nella sua relazione per l'anno 1882, cos� redigendo l'atto di nascita del paralogismo in base al quale qualche anno dopo, doveva nascere la categoria dell'interesse legittimo come situazione soggettiva mai tutelabile in via aquiliana pur in presenza, all'epoca, di una clausola generale di responsabilit� che non contemplava l'ingiustizia del danno come condizione della sua risarcibilit� (art. 1151 e.e. 1865). L'autorevolezza, l'esperienza organizzativa, l'uniformit� di indirizzo difensivo, la grande capacit� ed esperienza professionale si imposero ad una magistratura di varie matrici geo-culturali e la pi� restrittiva delle interpretazioni della legge del 1865 divenne �diritto vivente�. Con palese capovolgimento dei concetti ispiratori della riforma si afferm�, quindi, la regola -come fu detto con qualche pessimismo -che il punto di equilibrio fra principio di libert� e principio di autorit� andava trovato nell'assioma che dove vi � esercizio di autorit� non pu� esservi libert�. All'Avvocatura pu� ascriversi dunque una responsabilit� storica in ordine al consolidamento dell'interpretazione in chiave restrittiva della legge abolitiva del contenzioso, interpretazione che della riforma Crispi costitu� il presupposto. Sarebbe tuttavia errato ritenere che la sua opera avesse costituito anche una �controspinta � all'affermazione della �giustizia nell'Amministrazione�. Va invece osservato che, se da un canto, l'Avvocatura difendeva vittoriosamente i confini dell'area riservata all'esecutivo e come tale interdetta al sindacato del giudice ordinario, dall'altro, non mancava di denunciare vigorosamente la manifesta inadeguatezza del sistema di giustizia amministrativa, quale risultava dal �diritto vivente� cos� creato e di conclamare l'urgenza di apprestare adeguate forme di tutela per i cittadini. Illuminante, per comprendere appieno la ratio che ispir� la politica difensiva dell'Avvocatura ed apprezzarne l'intima coerenza d� condotta sull'intera problematica della giustizia amministrativa, � il seguente brano della relazione per l'anno 1883: �Fino a che non si riconosca competenza se non al giudice del diritto, sarebbe non senza pericolo, per la indipendenza dei poteri, attribuirgli l'indagine della prudenza o della opportunit� sulla misura o sull'atto amministrativo. Intanto che basta l'addentrarsi anche di poco nelle pratiche della giustizia amministrativa per accorgersi che nulla (13) Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per l'anno 1880, 49 ss. (14) Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per l'anno 1882, 6. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT(Y' 92 pi� ne offende, o disdice, quanto lo scompagnare nell'atto amministrativo l'esame della legittimit�, dove ogni regola diventa pieghevole, dall'esame della giustizia, la quale non pu� tornare che di convenienza ... E dunque, affrancati da ogni scrupolo, commettasi al ~ Consiglio di Stato, a questo Supremo Collegio dell'ordine amministrativo, l'esame di fil ogni atto amministrativo nel doppio aspetto di quella speciale legittimit� e di quella spe !:_;_.. ciale giustizia, che si comportano dalla giustizia amministrativa. , �Lo possiamo col Consiglio di Stato, senza sospettare che ne restino trascesi i limiti, offesi i criteri, disdetti i fini della giustizia amministrativa, per astrazioni inutili se non pericolose, e con invece la istituzionale garanzia di riportarne sempre applicazione concreta e rassicurante� (15). 4. -L'evoluzione della IV Sezione del Consiglio di Stato: da organo amministrativo ad organo giurisdizionale. Il contributo dell'Avvocatura erariale e la nascita dell'interesse legittimo. � noto come il legislatore, con l'attuazione della riforma del 1889, non intendesse affatto costituire una giurisdizione speciale (il che avrebbe minato �in radice� il principio della giurisdizione unica introdotto con la legge abolitiva del contenzioso): all' epoca, infatti, il concetto che "la fonte di giurisdizione � unica e che, di regola almeno, debba essere esercitata dal solo potere giudiziario" dominava ancora tenacemente (16). Il legislatore, in realt�, di fronte all'acuta insoddisfazione per le limitatissime garanzie che il �diritto vivente� offriva al cittadino nei confronti della pubblica Amministrazione, si trov� a dover risolvere un dilemma: o ampliare -eventualmente in via di interpretazione autentica -il numero delle situazioni soggettive tutelate dinanzi al giudice ordinario, disconoscendo i risultati giurisprudenziali raggiunti, come suggerivano alcuni, ovvero accettare per buono quel �diritto vivente� ed istituire un altro organo per tutelare situazioni diverse dai diritti. Una volta scelta tale seconda soluzione, fu giocoforza accettare il postulato che ci� che andava tutelato, per garantire la legalit� nell'azione amministrativa, erano meri �interessi� e che di essi non avrebbe potuto conoscere che un organo incardinato nefl'esecutivo. Cos�, infatti, si disse espressamente nella relazione alla legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato: �il nuovo istituto non � un tribunale giudiziario speciale o eccezionale, ma rimane nella sfera del potere esecutivo, da cui prende la materia e le persone che lo devono mettere in atto. � lo stesso potere esecutivo ordinato in modo da tutelare maggiormente gli interessi dei cittadini. Perci�, a differenza dell'antico contenzioso amministrativo, esclude ogni confusione di poteri costituzionali... � soltanto un corpo deliberante che il potere esecutivo forma con elementi scelti nel suo seno, come a sindacare dei suoi atti, e per mantenere la sua azione nei limiti della legalit� e della giustizia� (17). (15) Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per l'anno 1883, 53. (16) V. SCIALOJA, Come il Consiglio di Stato divenne organo giurisdizionale, in Riv. dir. pubbl., 1931, 417. (17) V. SCIALOJA, op. loc. cit. PARTE Il, DOTIRINA 93 Il fatto che nella concezione del legislatore il nuovo istituto fosse un organo del1' Amministrazione consent�, peraltro, di attribuirgli un potere che giammai, ali' epoca, sarebbe stato affidato ad un organo giurisdizionale, cio� quello di sospendere, annullare e revocare l'atto amministrativo, il che contribu� a far s� che la nuova Sezione, sapientemente guidata da quello stesso Silvio Spaventa che l'aveva cos� fortemente voluta conquistasse ben presto il favore del pubblico, dimostrando che la tutela offerta �non cedeva, per indipendenza di giudizio, a quella che si poteva ottenere, per i diritti, dall'amministrazione giudiziaria ordinaria� (18). La forza delle cose, comunque, non tard� a prevalere sull'involucro formale costituito dal legislatore, tant'� che la natura giurisdizionale della nuova magistratura fu pressoch� immediatamente riconosciuta dalla giurisprudenza: gi� nel 1893, infatti, la Cassazione di Roma a sezioni unite, con sentenza 21 marzo 1893, n. 177 (19), statuiva che �la IV Sezione del Consiglio di Stato � stata investita dalle leggi 31 marzo 1889 e 1� maggio 1890 di una vera e propria giurisdizione, la quale ha pure il carattere speciale di fronte a quelle generiche assegnate all'autorit�.giudiziaria, donde l'ammissibilit� del ricorso per incompetenza o eccesso di potere anche contro le decisioni della IV Sezione�. L'Avvocatura erariale svolse un ruolo non secondario per l'affermazione di tali principi ed il consolidamento del nuovo sistema, impugnando le decisioni del Consiglio di Stato davanti alle sezioni unite della Cassazione ed affermandone, anche in relazione ai limiti soggettivi, la piena equiparazione alle sentenze dei tribunali (20). Tirando le fila di quanto sin qui detto sembra potersi concludere che il giudice amministrativo in Italia trova paradossalmente la sua matrice in una normativa dettata in due riprese, nel 1865 e nel 1889-90, per negarne l'esistenza ed istituire, invece, in giudice unico il giudice ordinario. Un noto teologo francese ricorderebbe, forse, con riguardo alla specie, che talvolta Dio si compiace di scrivere diritto su linee storte o, volendo leggere la vicenda in chiave laica, si potrebbe rammentare che non di rado la storia ricorre alle sue astuzie. Fatto si � che se la ricostruzione storica sopra accennata � esatta, la nascita del giudice amministrativo in Italia si articola nei seguenti momenti: 1) soppressione del contenzioso amministrativo con devoluzione di ogni questione al giudice civile come giudice unico, sull'esempio dell'esperienza belga, a sua volta mutuata da quella anglosassone; 2) applicazione della normativa in senso tanto restrittivo da postulare la necessit� di una sua integrazione per la tutela di tutte le situazioni sottratte alla cognizione del giudice civile; 3) introduzione della integrazione -istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato -sul presupposto che l'interpretazione della legge del 1865 fosse esatta e quindi con configurazione del nuovo rimedio come istituto puramente amministrativo per la tutela di semplici interessi; 4) rapidissima evoluzione della IV Sezione del Consiglio di Stato da organo di amministrazione in organo di giustizia;� � (18) F. BATISTONI FERRARA, op. Zoe. cit. (19) Ne Il Foro it., 1893, I, 294. (20) F. BATISTONI FERRARA, op. loc. cit. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO ST�T�,, 94 5) razionalizzazione di tale ulteriore evoluzione con attribuzioni di una natura sostanziale agli interessi tutelati dinanzi al Consiglio di Stato. Sintetizzando e schematizzando questa singolare eterogenesi alla quale l'Avvocatura erariale partecip� da protagonista in tutte le sue tappe, si potrebbe quindi dire che il diritto vivente formatosi -abbiamo visto come -nel quarto di secolo successivo al 1865 fu il tradimento di una riforma; che l'istituzione della IV Sezione fu la razionalizzazione di quel tradimento; che la trasformazione della IV Sezione da organo amministrativo in organo giurisdizionale fu il tradimento di quella razionalizzazione; infine, che la creazione della categoria dell'interesse legittimo come situazione soggettiva sostanziale ancipite fra diritto e interesse, secondo la nota prospettazione del Ranelletti fu l'ulteriore razionalizzazione di quel secondo tradimento. Infatti l'interesse legittimo, nato come espediente esegetico (21) per superare le aporie del sistema di giustizia creato dalle leggi del 1865 e del 1889 (o piuttosto dalla loro interpretazione) fu teorizzato come situazione giuridica soggettiva sostanziale unitaria sulla scorta del seguente sillogisma: se alla IV Sezione doveva riconoscersi natura giurisdizionale e se l'interesse davanti ad essa fatto valere poteva essere protetto denunciando uno qualunque dei tre vizi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, occorreva allora riconoscere che la riforma del 1889 aveva attribuito natura giuridica a situazioni diverse al tempo stesso dal diritto civile e politico e dall'interesse semplice, materiale, economico (22). L'argomento appare discutibile in s� e comunque condizionato dal postulato della situazione giuridica soggettiva come �prodotto immutabile della ragione� (23). Se il diritto fosse una scienza esatta, tale operazione logica potrebbe essere paragonata a quella attuata dagli astronomi quando, dallo studio delle orbite dei pianeti esterni del sistema solare, deducono l'esistenza di un invisibile decimo pianeta e ne misurano massa e orbita. Non essendo per� il diritto una scienza esatta, l'operazione somiglia di pi� -e specularmente -a quella del manzoniano don Ferrante, morto di quella peste che, non essendo n� accidente n� sostanza, non poteva esistere secondo quanto conosciuto dalla sua filosofia. Unica certezza, nella �informe creatura� nata da tanto travagliata gestazione, era la assoluta incompatibilit� con essa, come si � visto, della tutela risarcitoria. 5. -La sentenza della Cassazione SS.UU. 22.7.1999 n. 500. Fin qui l'origine storica del dogma della risarcibilit� dei soli diritti soggettivi (o addirittura di alcuni soltanto fra loro), dogma dalla vita ultracentenaria che ha condizionato, come acutamente rilevato nella sentenza della Cassazione in esame, le evoluzioni della giurisprudenza in materia secondo moduli assolutamente nominalistici, attraverso la tecnica di attrarre nella categoria dei diritti soggettivi situazioni (21) F. GUICCIARDI, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi della giustizia amministrativa, in Studi di Giustizia amministrativa, Torino, 1967, 8. (22) o. RANELLETTI, cit. in B. SORDI, op. cit. 271-272. (23) L. MENGONI, Diritto e Politica nella dottrina giuridica, lustitia, 1974, 337 ss. PARTE Il, DOTIRINA 95 ritenute meritevoli della tutela aquiliana e ci� sia nel campo del diritto privato che in quello del diritto pubblico. Cio� �mascherando da diritto soggettivo situazioni che non avevano tale consistenza� (cos� testualmente la sentenza). A ben vedere ci� costituisce nulla pi� che un ricorso storico: i giudici italiani di fine novecento si sono adoperati per ampliare I'area della tutela aquiliana utilizzando, a parti invertite, lo stesso metodo che i loro colleghi di fine ottocento avevano utilizzato per ridurla. Limite insuperabile alla tecnica nominalistica era per� quello dell'interesse legittimo pretensivo (tranne che in caso di reato). Coraggiosamente la Cassazione ha abbandonato tale tecnica attraverso una rilettura dell'art. 2043 e.e. da qualificare non pi� come norma secondaria di sanzione ma come norma primaria volta ad apprestare una riparazione dei danni risultanti dall'ingiusto sacrificio di un qualunque interesse giuridicamente rilevante (fosse anche un interesse legittimo ... ). Con questa impostazione la Corte abbandona la tradizionale impostazione classificatoria delle situazioni giuridiche soggettive e quindi la tradizionale concezione giuridica del danno inteso come lesione di alcune soltanto fra quelle per sposare la concezione pragmatica di stampo anglosassone del danno come perdita economica di cui gi� si trova traccia in quella giurisprudenza, formatasi nelle cause interprivate, che eleva al rango di diritto soggettivo, secondo la vecchia tecnica nominalistica, l'interesse all'integrit� del patrimonio. Corollario di tale pragmatico criterio che fa giustizia di tradizionali ambiguit�, � la precisazione che in tanto una lesione dell'interesse legittimo � risarcibile in quanto risulti in concreto leso un correlato interesse meritevole di protezione ed economicamente rilevante quanto meno come �chance�, con conseguente irrisarcibilit� degli interessi legittimi a mero rilievo organizzatorio o formale e degli interessi pretensivi di improbabile fondamento (24). Altro corollario � la nuova configurazione dell'elemento psicologico dell'illecito, non pi� riconoscibile nella illegittimit� dell'azione amministrativa n� nel dolo o colpa del funzionario ma da individuarsi nella colpa della P.A. intesa come apparato, e quindi nella violazione delle regole di imparzialit�, correttezza e buona amministrazione configurate come limite esterno alla discrezionalit�. Tale affermazione -pi� che volta a �recuperare sul versante della colpa quello che si perde sul versante dell'ingiustizia� (25) -sembra riecheggiare il concetto pragmatico di responsabilit� provvedimentale delineato dalla Corte di Giustizia della Comunit� Europee con la sentenza 5 marzo 1996 C. 46 e 48/93, Brasserie du pecheur S.A. (26). 6. -Il nuovo sistema della giustizia amministrativa. Il r�virement, gi� importantissimo in s�, acquista, poi, ulteriore importanza nel nuovo sistema di giustizia amministrativa delineato dal d.l.vo 31marzo1998 n. 80 (che d'altronde alla sentenza ha offerto un sostanzioso supporto normativo). (24) S. GIACCHETTI, op. cit. (25) R. PARDOLESI, Il suggello delle Sezioni Unite, in Danno e Responsabilit� n. 10/99. (26) Pubblicata in Foro it. 1996, Iv, 185. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'.fO. 96 Il nuovo sistema segna infatti, da un lato, una accentuazione quasi totalizzante della tendenza, in atto da tempo, di trasformare il criterio di discrimine fra le due giurisdizioni da quello tradizionale della distinzione fra diritto e interesse in quello della ripartizione per materie. Tale linea di tendenza -non priva ovviamente di qualche discontinuit� appare sinergicamente tracciata, oltre che dal legislatore, dal giudice civile e da quello penale, da quello amministrativo e dal giudice delle leggi, sia pure in una notevole dissonanza e confusione di lingue che testimoniano, da un lato, la non riconducibilit� del fenomeno ad un disegno sistematico, dall'altro la rispondenza di tale linea di tendenza ad esigenze di giustizia sostanziale. Il fenomeno del progressivo mutare del discrimine fra le giurisdizioni si colloca in un processo di trasformazione ventennale del giudizio amministrativo, in virt� del quale anche il giudice amministrativo italiano, come i giudici amministrativi di altre nazioni, gi� alla fine degli anni '80 sembrava avviato a diventare il giudice naturale della Pubblica Amministrazione o del pubblico interesse o della pubblica funzione con una individuazione della sua competenza operata prescindendo dalla natura delle situazioni protette. Dall'altro lato il d.l.vo 80/98 introduce nelle materie di giurisdizione esclusiva affidate al G.A. (che costituiscono ormai la stragrande maggioranza del contenzioso amministrativo) la tutela risarcitoria accanto a quella cassatoria. Superando la lettera della legge, la Suprema Corte, con la sentenza in esame, ha ritenuto infatti applicabile la tutela risarcitoria a tutti i casi di giurisdizione esclusiva. A parte le questioni �i diritto intertemporale, il problema di riparto di giurisdizioni sembra quindi ormai avviato in Italia verso una soluzione finalmente cartesiana, non pi� condizionata da eventi storici che condussero il cammino delle istituzioni per vie contorte e sempre diverse da quelle volute dal legislatore. Il giudice amministrativo sar� il giudice naturale della funzione pubblica in base ad una ripartizione di competenza per materia e nell'esercizio della sua giurisdizione fornir� tutela sia risarcitoria che di annullamento. Non � azzardato pensare in proposito -e un preannuncio in tal senso sembra potersi cogliere nel parere dell'Adunanza Generale del Consiglio di Stato 12 marzo 1998 -che la giurisprudenza prossima ventura, forte dell'antico patrimonio di fantasia ed inventiva giuridica del giudice amministrativo italiano, sapr� graduare i due rimedi in modo da evitare i gravissimi danni che attualmente derivano talvolta da una tutela di tipo meramente cassatorio: una tutela inidonea a rendere piena giustizia al ricorrente e suscettibile per� di causare costi sociali di molti multipli superiori al danno (non risarcito) sub�to dal ricorrente vittorioso, anche solo in sede di sospensiva. Non a caso un ordinamento pragmatico come quello comunitario prevede sovente l'alternativit� fra annullamento e risarcimento del danno. Rimane attualmente come aporia del sistema la doppia competenza in caso di danno risarcibile collegato a lesione di interesse legittimo tutelabile in sede di giurisdizione generale di legittimit�: al G.A. spetta l'eventuale annullamento dell'atto, al G.O. la tutela risarcitoria diretta. Sembra urgente in proposito l'approvazione della legge di riforma del processo amministrativo, caldeggiata dalla stessa Cassazione, che � gi� all'esame del secondo ramo del Parlamento (Atto Camera 5956) e che, tra le sue norme, contempla l'at PARTE II, DOTIRINA tribuzione della tutela risarcitoria al giudice amministrativo in tutte le materie di sua competenza. Questo fino all'auspicabile ulteriore passo della eliminazione definitiva dell'interesse legittimo non gi� come istituto giuridico, perch� in grado di fornire ancora, grazie anche alla sua secolare elaborazione, cospicue garanzie di giustizia in sede di giurisdizione di annullamento, ma solo come criterio di discrimine fra le giurisdizioni. Naturalmente si imporranno delle modifiche alla Costituzione, soprattutto per quanto riguarda i rapporti fra Consiglio di Stato e Cassazione, perch� nella sistematica attuale le cause devolute al giudice amministrativo -e divenute ormai omologhe a quelle conosciute dal giudice civile -sarebbero private di un grado di giurisdizione. Le soluzioni astrattamente possibili sono numerose e vanno dalla ricorribilit� incondizionata in Cassazione delle sentenze del Consiglio di Stato (ma avrebbe ci� un senso una volta caduto il mito ricorrente della giurisdizione unica?) alla erezione del Consiglio di Stato in Corte amministrativa equiordinata alla Cassazione secondo il modello tedesco, con o senza istituzione di un Tribunale misto dei conflitti secondo il modello francese. Rimettiamo naturalmente la scelta definitiva all'equilibrio ed alla saggezza del Parlamento. Una saggezza che sappia tener conto delle grandi tradizioni della nostra giustizia amministrativa e sia memore dell'insegnamento della storia che ha condannato al fallimento tutte le riforme che costituiscono una brusca rottura con quella tradizione. IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'f<Y .. 98 Il patrocinio autorizzato dell'Avvocatura dello Stato L'art. 43 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 recita testualmente che l'Avvocatura dello Stato pu� assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le autorit� giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, di vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata: a) da disposizioni di legge; b) da un regolamento; e) da un altro provvedimento approvato con regio decreto. Ad ulteriore garanzia della necessaria ponderatezza della suddetta autorizzazione la legge prescrive, nel comma successivo, che su di essa (sia che avvenga con norme di legge o di regolamento e sia che rappresenti il contenuto di un provvedimento ad hoc diverso) -� necessario il concerto con i Ministri per la Giustizia e per le Finanze. La finalit� dell'autorizzazione sembra voler essere duplice: a) da un lato essa tende ad estendere, per le amministrazioni non statali, il beneficio del patrocinio erariale con leffetto di porle sotto questo profilo sullo stesso piano delle amministrazioni statali; b) dall'altro consente ali' Avvocatura dello Stato di assumere il patrocinio legale anche di amministrazioni non statali. Per quanto riguarda la finalit� sub a) � fin troppo evidente che trattandosi della concessione di un beneficio di particolare rilevanza anche sotto l'aspetto economico, il Legislatore si preoccupi di circondare l'autorizzazione di particolari e rigorose prescrizioni. Una volta, per�, che tale limite venga rimosso con legge, con regolamento o con il provvedimento previsto dal comma 1 dell'art. 43, l'assunzione della rappresentanza e della difesa in giudizio da parte dell'Avvocatura dello Stato assume connotazioni analoghe a quella prevista per le amministrazioni statali. Essa �, cio�, come testualmente dice l'art. 43, �organica ed esclusiva�. Questo significa sotto il duplice profilo sopra evidenziato: a) che lAmministrazione non statale sia tenuta in via generale ed ordinaria ad avv~ersi dell'Avvocatura dello Stato; b) che lAvvocatura dello Stato debba simmetricamente dare il proprio patrocinio. � accaduto ed accade di frequente che le disposizioni di legge, di regolamento o di d.P.R. contengano l'espressione che il tale o talaltro ente �pu�� avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 43 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611. Da quel �pu�� si � voluto far derivare una �facoltativit�� dell' Amministrazione non statale a servirsi o meno del patrocinio legale dell'Avvocatura dello Stato. Sull'inesattezza di tale assunto, lAvvocatura Generale dello Stato si � espressa di recente con un parere di massima del Comitato Consultivo reso all'Ente Tabacchi ~:: I Italiani. lli' In esso si rileva che il �pu��, usato dal legislatore sia con riferimento alle i:: r.:: Amministrazioni non statali che ali' Avvocatura dello Stato non esprime -come ha peraltro chiarito anche la giurisprudenza formatasi in materia -facoltativit� ma ~1=== solo possibilit� di avvalersi e di dare un patrocinio legale che senza la norma auto::; rizzativa non sarebbe stato possibile n� chiedere n� prestare. ~ "' l l r:i , . . . �lal!�a::;~::�:::;:~::::~-;;=~::;;,:m1~� PARTE Il, DOTTRINA 99 In altri termini quando il patrocinio � autorizzato come all'Avvocatura dello Stato non � consentito rifiutarlo, cos� all'Amministrazione non statale non � dato di non richiederlo (v. Cass. S.U. 24 febbraio 1975, n. 700; id. 5 luglio 1983, n. 4512). Ovviamente nell'interesse dello Stato ed in relazione alla situazione particolare delle Amministrazioni non statali cui viene concesso il beneficio, la legge si d� cura di prevedere una deroga per quanto riguarda i casi di conflitto di interessi con lo Stato medesimo o con le Regioni. Se l'Avvocatura dello Stato ritiene che ne ricorrano le condizioni pu� rifiutare, a tutela della posizione dello Stato o della Regione, l'assunzione del patrocinio. Analogamente una deroga � prevista anche per le amministrazioni non statali per la ricorrenza di casi speciali per i quali alle amministrazioni medesime possa apparire necessario il ricorso a difensori del libero foro. In questa seconda ipotesi la scelta, rimessa alla prudente valutazione delle Amministrazioni interessate, � subordinata alla ricorrenza delle condizioni di specialit� (e sul punto numerose sono le consultazioni esistenti presso l'Avvocatura Generale dello Stato e tutte orientate ad escludere la sussistenza della specialit� in casi di particolare rilevanza sia per le questioni giuridiche dibattute, che per l'enorme incidenza economica in caso di soccombenza). Dati, per�, gli aspetti di grave delicatezza sia sotto il profilo del rapporto istituzionale con l'Avvocatura dello Stato, sia sotto quello giudiziario (possibile dichiarazione di nullit� della costituzione in giudizio per illegittimit� del mandato) e sia sotto quello del maggiore onere economico che viene a gravare sulle finanze pubbliche dell'ente, la legge si d� cura di richiedere l'adozione di �apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza�. � persino superfluo ricordare che la successione a titolo particolare tra soggetti pubblici diversi nel rapporto controverso non legittima di per s� l'affidamento del patrocinio a legali del libero foro. Occorre che l'Amministrazione non statale, che si sostituisce a quella statale, tenga conto della normativa speciale che riguarda il nuovo Ente. La pratica invalsa in talune Amministrazioni non statali di affidare il patrocinio a legali del libero foro senza l'osservanza delle norme che riguardano la previsione del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato ex art. 43 pi� volte citato riveste i caratteri di una particolare gravit� sia per la certezza del diritto che per le regole, anche economiche, di buona amministrazione. LUIGI MAzzELLA I I I I I :: OSSERVATORIO LEGISLATIVO 1999 AGENTE DIPLOMATICO E CONSOLARE. Con legge 28 luglio 99 n. 266 (G.U. 183, suppi. ord.) � stata conferita delega al governo per il riordino delle carriere diplomatica e prefettizia, nonch� per il restante personale del Ministero degli affari esteri, per il personale militare del Ministero della difesa, per il personale dell' Amministrazione penitenziaria e del Consiglio superiore della Magistratura. AGRICOLTURA. ALIMENTI E BEVANDE. AMBIENTE. � stato ripubblicato con le relative note (G.U. 11, suppi. ord.) il testo della legge 9 dicembre 1998 n. 426 recante �Nuovi interventi in campo ambientale�. Nella G. U. 170 � pubblicato un comunicato di rettifica al d.lgs. 11 maggio 1999 n. 152 (G. U. 124, suppi. ord.) con il quale sono state recepite nel nostro ordinamento le direttive 91/271/Cee del 21 maggio 1991 (sul trattamento delle acque reflue urbane) e 91/676/Cee del 12 dicembre 1991 (sulla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), secondo i criteri dettati dalla legge 146/94 e con competenze di programmazione in capo alle regioni. Con d.m. 3 dicembre 1999 (G.U. 288) il Ministro dell'ambiente ha dettato regole per ridurre le conseguenze dannose (anche per il rumore) nelle zone limitrofe agli aeroporti. AMMINISTRAZIONE DELLO STATO E DEGLI ENTI PUBBLICI IN GENERE. Sono stati adottati vari testi normativi per il riordino di enti pubblici: d.lgs. 30 gennaio 1999 n. 36 (G.U. 46) per l'Enea, ente di diritto pubblico operante nei campi della ricerca e della innovazione per lo sviluppo, con funzioni anche di agenzia per le pubbliche amministrazioni nei settori dell'energia, ambiente e innovazione tecnologica, libert� di gestione (in deroga alle disposizioni sulla contabilit� dello Stato e soggetta al controllo della Corte dei conti solo sul bilancio consuntivo); nulla � disposto sul patrocinio legale; d.lgs. 30 gennaio 1999 n. 19 (G.U. 29) per il Consiglio nazionale delle ricerche, dotato di personalit� giuridica di diritto pubblico e di ordinamento autonomo, con finalit� di studio, ricerca, collaborazione e formazione nel campo della scienza e dell'istruzione superiore ed universitaria (l'autorizzazione ad avvalersi del patrocinio legale dell'Avvocatura dello Stato � stata data con d.P.C.M. 21 maggio 1999 -G.U. 144); d.lgs. 30 gennaio 1999 n. 27 (G.U. 38) per l'Agenzia spaziale italiana-A.S.I., dotata di personalit� giuridica di diritto pubblico e soggetta alla vigilanza del Ministero dell'Universit�, con importanti compiti di programmazione, promozione, ricerca, formazione e consulenza (anche per soggetti privati) nonch� di intrattenere relazioni con i pari organismi esteri; nulla � disposto sul patrocinio legale; d.lgs. 25 febbraio 1999 n. 66 (G.U. 67) che istituisce l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, dotata di personalit� giuridica (da intendersi pubblica) ed autonomia amministrativa, regolamentare, patrimoniale, contabile e finanziaria e sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con compiti di inchieste tecniche ex art. 826 cod. nav., studio e indagine e monitoraggio, soggetta RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e 102 al controllo sulla gestione finanziaria della Corte dei conti e con facolt� di avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato; d.lgs. 21marzo1999 n. 116 (G.U. 99) per l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, che conserva la personalit� giuridica di ente pubblico economico sino alla trasformazione in societ� per azioni che dovr� avvenire entro il 31 dicembre 2001 (e fino a tale data ha facolt� di avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura Generale dello Stato); d.lgs. 11 maggio 1999 n. 141 (G. U. 117) che ha trasformato l'Ente autonomo acquedotto pugliese-EAAP in societ� per azioni, con la denominazione di <<Acquedotto pugliese S.p.a.� ed effetto dalla data della prima assemblea di approvazione dello statuto e nomina degli organi sociali; d.lgs. 27 maggio 1999 n. 165 (G.U. 137) per I'A.l.M.A., soppressa e sostituita dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura-A.G.E.A. (a far data dall'entrata in vigore del decreto, 15 giugno 1999), ente di diritto pubblico sottoposto alla vigilanza del Ministero delle politiche agricole e dotato di autonomia statutaria, regolamentare, organizzativa, amministrativa, finanziaria e contabile (pu� avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato). I Con d.P.R. 8 marzo 1999 n. 70 (G.U. 70) � stato emanato il regolamento recan I te la disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, a norma dell'art. 4, ~ comma 3, legge 191/98, per la disciplina del lavoro a distanza con il supporto delle tecnologie dell'informazione e comunicazione. Con deliberazione 18 febbraio 1999 n. 8 (G.U. 60) l'A.l.P.A.-Autorit� per l'informatica nella pubblica amministrazione -ha approvato il proprio codice di comportamento. Con d.m. 8 giugno 1999 (G.U. 152) del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica � stato disposto il riassetto organizzativo dei dipartimenti dello stesso ministero; con d.P.R. 13 settembre 1999 (G.U. 225) � stata attribuita la nuova denominazione al Ministero della giustizia e al Ministero delle politiche agricole e forestali; con d.P.R. 17 settembre 1999 (G. U. 225) sono stati conferiti poteri speciali al Ministero del tesoro per la dismissione di partecipazioni azionarie dell'Enel spa. Sono stati adottati vari testi normativi per il riordino di enti pubblici: decreti legislativi 23 luglio 1999 n. 242 (G.U. 176) per il Coni; 30 luglio 1999 n. 105 (G.U. 192) per il Formez (associazione giuridica riconosciuta con personalit� di diritto privato, con lo scopo di coordinare le attivit� di formazione delle regioni e degli enti locali e di coadiuvare il dipartimento delle attivit� di coordinamento del sistema formativo pubblico, con possibilit� di operare direttamente nel mercato della formazione); n. 284 (G.U. 192) per la Cassa depositi e prestiti (dotata di personalit� giuridica e autonomia ordinamentale, organizzativa, patrimoniale e di bilancio; con obbligo di rispetto dell'equilibrio gestionale attraverso l'amministrazione dei fondi @ I r::e dei depositi -che possono provenire anche da privati -, la concessione dei f.~ finanziamenti -a Stato, regioni, enti locali, enti pubblici, gestori di pubblici servizi e societ� partecipate dalla Cassa stessa -ed operazioni in titoli sul mercato; con personale proprio retto da un contratto collettivo di diritto privato e possibilit� di assunzione a tempo determinato di esperti) e n. 287 (G.U. 193) per la Scuola supe1 � riore della pubblica amministrazione (�istituzione di alta cultura� di natura pubbli~: ca, della quale � confermata la centralit� nella formazione del personale dipendente ili dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni, con funzioni anche di coordina i 1: PARTE Il, OSSERVPJORIO LEGISLATIVO mento dell'attivit� di tutte le scuole pubbliche di formazione; la Scuola potr�, inoltre, effettuare attivit� di ricerca e consulenza per conto della Presidenza del consiglio e delle altre pubbliche amministrazioni ed altre attivit� di formazione al di fuori di quelle istituzionali; � attribuita autonomia organizzativa e contabile), per la Scuola centrale tributaria e per la Scuola superiore dell'Amministrazione dell'Interno; 23 luglio 1999 n. 296 (G.U. 200) per l'istituzione dell'Istituto nazionale di astrofisicaInaf e norme relative all'Osservatorio vesuviano; 17 agosto 1999 n. 304 (G.U. 209) per l'Ente autonomo esposizione universale di Roma, trasformato in s.p.a. EUR; 29 ottobre 1999 n. 419 (G.U. 268) per il riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali a norma degli art. 11 e 14 legge 59/97; e n. 449 (G.U. 283) per l'Unireunione nazionale per l'incremento delle razze equine. La riforma dell'organizzazione del Governo ed il nuovo ordinamento della Presidenza del consiglio dei ministri sono contenuti nei decreti legislativi 30 luglio 1999 n. 300 e n. 303 (G.U. 203 e 205, suppi. ord.): -nel d.lgs. 300 sono indicati i dodici ministeri nei quali, a decorrere dalla prossima legislatura, si articola il Governo (affari esteri, interno, giustizia, difesa, economia e finanze, attivit� produttive, politiche agricole e forestali, ambiente e tutela del territorio, infrastrutture e trasporti, lavoro e salute e politiche sociali, istruzione e universit� e ricerca, beni e attivit� culturali) ed � prevista la loro articolazione, quali strutture di primo livello, in dipartimenti e direzioni generali (queste ultime per gli affari esteri, la difesa ed i beni e attivit� culturali, ove rimane la figura del segretario generale, soppressa negli altri ministeri, ove operano i capi dipartimento); � prevista la costituzione di agenzie per lo svolgimento di attivit� di carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, al servizio delle amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e locali, con piena autonomia nei limiti stabiliti dalla legge e sottoposte al controllo della Corte dei conti ed ai poteri di indirizzo e vigilanza del ministro (i relativi statuti saranno adottati con appositi regolamenti ex art. 17 legge 400/88), particolare attenzione � data alle agenzie fiscali e di protezione civile (che possono avvalersi del patrocinio dell' Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'art. 43 r.d. 1611/33) ed all'agenzia per la formazione e l'istruzione professionale; le prefetture sono trasformate in uffici territoriali del governo, con titolarit� generale di tutte le attribuzioni dell'amministrazione periferica dello Stato (il prefetto del capoluogo della regione assume anche le funzioni di commissario di governo), salvo che per le amministrazioni degli affari esteri, giustizia, difesa, tesoro, finanze, pubblica istruzione, beni e attivit� culturali e per le agenzie; -nel d.lgs. 303 � delineata una struttura della Presidenza del consiglio pi� snella (otto strutture sono trasferite ai ministeri) che consente al presidente di esercitare le funzioni che gli sono proprie di coordinamento e di impulso per l'uniformit� di indirizzo dell'azione politico-amministrativa; l'attivit� della Presidenza si concentrer� sugli indirizzi di politica generale per i rapporti internazionali, la difesa, la finanza pubblica e la politica economica, assicurando la collaborazione fra i diversi livelli di governo (centrale, regionale e locale) e l'assunzione delle responsabilit� connesse alla partecipazione all'Unione europea ed al coordinamento delle politiche di pari opportunit�; nella struttura di vertice sono previsti il segretario !O RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 104 generale e vice-segretari nonch� dipartimenti nei quali si articola il segretariato; la Presidenza � dotata di autonomia organizzativa, contabile e di bilancio; sono, in conseguenza, modificate o abrogate numerose norme della legge 400/88. Nell'ambito del programma di decentramento alle regioni ed agli enti locali delle funzioni e compiti dello Stato, il d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 443 (G.U. 281) corregge ed integra le precedenti disposizioni per conservare allo Stato alcune funzioni di rilievo nazionale, quali gli esami ed il rilascio delle patenti nautiche, la regolamentazione della somministrazione di cibi e bevande negli esercizi pubblici, la dichiarazione di eccezionale calamit�. Con legge 3 agosto 1999 n. 265 (G.U. 183, suppi. ord.) sono state dettate disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, con modifiche alla legge 142/90, in particolare all'art. 4 (che prevede l'inserimento nello statuto di norme sull'attribuzione alle opposizioni della presidenza delle commissioni consiliari aventi funzioni di controllo o di garanzia) e all'art. 36 (che conferisce al sindaco maggiori poteri operativi e un ruolo attivo di riorganizzazione degli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi ed uffici pubblici del territorio nonch� poteri straordinari ed urgenti per l'informazione dei cittadini nel caso di calamit� naturali). Per altre segnalazioni in materia si vedano le voci Avvocatura dello Stato e Impiegato dello Stato. ANTICHIT� E BELLE ARTI. Con legge 12 luglio 1999 Il. 237 (G.U. 173) sono stati istituiti il Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee e nuovi musei, con modifiche alla normativa sui beni culturali. Con d.lgs. 20 luglio 1999 n. 273 (G.U. 186) � stata disposta la trasformazione in fondazione dell'ente autonomo �La Triennale di Milano�, in analogia con quanto gi� disposto per gli enti lirico-sinfonici con il d.lgs. 134/98. Con d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490 (G.U. 302, suppi. ord.) � stato emanto il t.u. delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali. APPALTO. � stato ripubblicato con le relative note (G.U. 37) il testo del d.lgs. 20 ottobre 1998 n. 402 recante modificazioni ed integrazioni alle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive 93/36/CEE e 97/52/CE (v. selezione per l'anno 1998). Con d.P.C.M. 13 marzo 1999 n. 117 (G.U. 99) � stato emanato il regolamento per la ponderazione dell'offerta economicamente pi� vantaggiosa per l'aggiudicazione degli appalti di servizi di pulizia negli edifici. � stato approvato dal Consiglio dei ministri il 10 dicembre 1999 il regolamento generale sui lavori pubblici che, in attuazione della legge 11 febbraio 1994 n. 109 (il cui testo aggiornato � stato pubblicato nella G.U. 234 del 1999, suppi. ord.), sostituir� quello del 1895, tuttora in vigore: in attesa della sua pubblicazione � stato adottato il d.l. 30 dicembre 1999 n. 502 (G.U. 305) che ne anticipa in parte i contenuti, con l'inasprimento dei requisiti (volume d'affari) per la partecipazione alle gare di importo inferiore a dieci miliardi di lire, l'alleggerimento degli stessi per gli appalti di fascia media (base d'asta tra dieci e sessantanove miliardi) e la notevole riduzione per le grandi opere, oltre che il salvataggio di tutte le domande di revisione delle iscrizioni gi� in atto presso l'Albo nazionale costruttori, che si danno per pas PARTE II, OSSERVATORIO LEGISLATIVO sate in quanto nessuna proroga � disposta per l'operativit� dell'Albo (nella fase transitoria spetter� alle pubbliche amministrazioni appaltanti il compito di selezionare le imprese che vogliono partecipare agli appalti di lavori pubblici). SuH'Osservatorio dei lavori pubblici si segnalano due comunicazioni dell' Autorit� per la vigilanza sulle G. U. 257 e 293 (suppi. ord. ). Per ulteriori informazioni si veda la voce Opere pubbliche. ATI'o AMMINISTRATIVO. Con Circolare 5 febbraio 1999 n. 1.1.26/10888/9.84 (G.U. 33), in attuazione del d.P.R. 403/98, � stato adottato il regolamento di attuazione degli artt. 1, 2 e 3 legge 127/97 in materia di semplificazione delle certificazioni amministrative; con Circolare 24 marzo 1999 n. 21 (G.U. 101) sono state dettate ulteriori norme in materia di semplificazione amministrativa, in relazione alla legge 191/98 e al d.P.R. 403/98. Con d.P.C.M. 8 febbraio 1999 (G.U. 87) sono state dettate le disposizioni attuative di quanto previsto dall'art. 3, comma 1, d.P.R. 513/97 sulla formazione, trasmissione, conservazione, duplicazione, riproduzione e validazione, anche temporale, dei documenti informatici, in particolare per quanto riguarda la firma elettronica sui documenti e contratti pubblici, con ci� sancendo definitivamente la validit� giuridica dei documenti elettronici e della firma digitale, originariamente prevista dall'art. 15, comma 2, legge 59/97 (c.d. Bassanini 1). AwoCATURA DELLO STATO. L'Istituto � stato autorizzato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell'Ente regionale parco naturale di Veio (d.P.C.M. 28 maggio 1999 -G.U. 144 -), oltre che degli enti indicati alla voce Amministrazione dello Stato e degli enti pubblici in genere. La Regione Molise ha deliberato il conferimento del patrocinio all'Avvocatura dello Stato con deliberazione n. 368/99 (comunicato in G.U. 24). L'Istituto � stato autorizzato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell' AsiAgenzia spaziale italiana, istituito in ente di diritto pubblico con d.lgs. 30 gennaio 1999 n. 27 (G.U. 38); detta facolt� non � stata, invece, prevista in occasione della trasformazione in societ� per azioni dell'Ente autonomo acquedotto pugliese (d.lgs. 141/99, G.U. 117), operativa dal 2 luglio 1999, e dell'Ente esposizione universaleEUR (d.lgs. 17 agosto 1999 n. 304, G.U. 209), operativa dal marzo 2000. BANCA. Con legge 13 dicembre 1999 n. 466 (G.U. 292) � stata disposta la proroga al 3 gennaio 2000 dei termini per l'adempimento delle obbligazioni aventi scadenza al 31 dicembre 1999, anche se di prescrizione e decadenza, per qualunque adempimento, pagamento od operazione. CATASTO. COMMERCIO. In esecuzione della legge 30 luglio 1998 n. 281 che ha dettato la Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, con decreto del Ministero dell'Industria 19 gennaio 1999 n. 20 (G.U. 29) � stato emanato il regolamento per l'iscrizione nell'elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale. In attuazione della direttiva 97 /7/CE � stato emanato il d.lgs. 22 maggio 1999 n. 185 (G.U. 143) sulla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 106 CONCORSO A PUBBLICO IMPIEGO. Con decreto del Ministero dell'Interno 6 aprile 1999 n. 115 (G.U. 98) sono stati individuati i limiti di et� per la partecipazione ai concorsi pubblici di accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia; lo stesso � stato operato con decreto del Ministro delle Finanze 23 aprile 1999 n. 142 (G. U. 117) per i concorsi del Corpo della Guardia di finanza (sul punto si richiama la Circolare 26 agosto 1998 n. 9/98 nella selezione per l'anno 1998). Con decreto del Ministero dell'interno 29 luglio 1999 n. 357 (G.U. 245) sono stati individuati i limiti di et� per la partecipazione ai concorsi pubblici di accesso ai ruoli del personale della carriera prefettizia ; lo stesso � stato operato con decreto del Ministro delle politiche agricole 2 giugno 1999 n. 295 (G.U. 198) per i concorsi del Corpo forestale dello Stato. CONTABILIT� E BILANCIO DELLO STATO. Nella G.U. 23, suppi. ord., sono stati ripubblicati, corredati delle relative note, i testi delle leggi 23 dicembre 1998 n. 448 (misure di finanza pubblica), n. 449 (legge finanziaria 1998) e n. 454 (bilancio di previsione per il 1999 e pluriennale per il triennio 1999-2001), sui quali si veda la selezione per l'anno 1998. Nella G.U. 302, suppi. ord., sono stati pubblicati i testi delle leggi 23 dicembre 1999 n. 488 (legge finanziaria 2000) e n. 489 (bilancio di previsione per il 2000 e pluriennale per il triennio 2000-2002). Con Circolare 8 ottobre 99 n. 44 (G. U. 246) il Ministero del tesoro ha dettato disposizioni sul superamento del sistema di tesoreria unica ex art. 29, comma 10, legge 448/98. CONTRATTI E OBBLIGAZIONI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. Con d.lgs. 28 dicembre 1998 n. 496 (G.U. 17) sono state dettate disposizioni di razionalizzazione delle procedure contrattuali dell'amministrazione della Difesa, a norma dell'art. 54, comma 10, legge 449/97, per l'acquisto di beni e servizi, con la previsione di un comitato consultivo competente sui progetti di contratto derivanti da accordi di cooperazione internazionale in materia di armamenti. CONTRAVVENZIONE, DEPENALIZZAZIONE E SANZIONI AMMINISTRATIVE. � stato ripubblicato il testo della legge 25 giugno 1999 n. 205 (G.U. 161) recante delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario, corredato delle relative note; in attuazione della detta legge � stato approvato il d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 507 (G.U. 306, suppi. ord.), con interventi nei campi degli alimenti, navigazione, circolazione stradale, violazioni finanziarie ed assegni; il decreto prevede, inoltre, l'attribuzione al giudice di pace della competenza in materia di opposizione all'ordinanza-ingiunzione prevista dalla legge 689/81. CONVENZIONI E TRATTATI INTERNAZIONALI. Con legge 15 dicembre 1998 n. 473 e 474 (G.U. 8, suppi. ord.) e 9febbraio1999 n. 31 (G.U. 44) sono state ratificate le convenzioni fra Italia e, rispettivamente, Sud Africa, Viet Nam e Lituania per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali; con comunicati del Ministero degli affari Esteri (G.U. 24 e 81) � stata data notizia dell'entrata in vigore delle suddette convenzioni fra Italia e Federazione Russa e fra Italia e Sud Africa, firmate il 9 aprile 1996 e il 16 novembre 1995. PARTE II, OSSERVATORIO LEGISLATIVO La legge 26 gennaio 1999 n. 24 (G.U. 35) ha dato ratifica ed esecuzione alla convenzione relativa all'adesione di Austria, Finlandia, Svezia, Danimarca, Irlanda, Gran Bretagna, Grecia, Spagna e Portogallo alla convenzione di Bruxelles del 29 novembre 1996 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; la legge 24 marzo 1999 n. 90 (G.U. 86) ha dato ratifica ed esecuzione agli accordi internazionali fra Italia e Per� del 24 novembre 1994 per l'assistenza giudiziaria in materia penale ed il trasferimento di persone condannate e di minori. La legge comunitaria 1998, per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza alle Comunit� Europee � stata adottata con legge 5 febbraio 1999 n. 25 (G.U. 35, suppi. ord.); fra le disposizioni pi� importanti si segnala la disciplina del lavoro notturno delle donne (con divieto dal momento in cui viene accertato lo stato di gravidanza). Con legge 12luglio1999 n. 232 (G.U. 167, suppi. ord.) � stato ratificato lo statuto istitutivo della Corte penale internazionale, secondo quanto adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni unite a Roma il 17 luglio 1998, con delega al Governo per l'attuazione dello statuto medesimo. Con legge 14 dicembre 1999 n. 373 (G.U. 253) � stata data ratifica ed esecuzione degli adempimenti dell'atto costitutivo dell'Unesco. Con leggi 28 ottobre 1999 n. 413 e 423 (G.U. 266 e 269) e 19 ottobre 1999 n. 427 e 428 (G.U. 271) sono state ratificate le convenzioni fra Italia e, rispettivamente, Kuwait, Argentina, Estonia e Macedonia per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali; con d.m. 17 giugno 1999 del Ministero delle finanze (G.U. 174) sono stati modificati i precedenti d.m. 4 settembre 1996, 25 marzo 1998 e 16 dicembre 1998 contenenti l'elenco degli stati con i quali � attuabile lo scambio di informazioni ai sensi delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni. La legge 19 ottobre 1999 n. 422 (G.U. 269, suppi. ord.) ha dato ratifica ed esecuzione alla convenzione sulla notifica negli stati membri dell'unione europea di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale ed al protocollo sulla interpretazione del Trattato da parte della Corte di giustizia Ce. La legge comunitaria 1999, per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza alle Comunit� Europee, � stata approvata con legge 21 dicembre 1999 n. 526 e pubblicata nella G. U. 13 del 2000, suppi. ord. (si veda la prossima Rassegna). CORTE DEI CONTI. Con decreto 25 ottobre 1999 (G.U. 254) � stato disposto l'insediamento della sezione giurisdizionale e della procura regionale per il TrentinoAlto Adige in Bolzano; con d.lgs. 18 giugno 1999 n. 200 (G.U. 147) erano state approvate le norme di attuazione dello statuto della Regione siciliana sulla istituzione di una sezione giurisdizionale regionale d'appello della Corte dei conti e di controllo sugli atti regionali. CORTE COSTITUZIONALE. Nella G. U. 232 � pubblicata la legge costituzionale, definitivamente approvata in seconda convocazione, recante �Modifica all'articolo 68 della Costituzione concernente l'istituzione della circoscrizione Estero per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero�. Nella G.U. 299 � stata pubblicata la legge costituzionale 22 novembre 1999 n. 1 concernente �l'e RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO-. 108 lezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle regioni�, con diritto allo statuto senza intervento dello Stato ed autonomia nella disciplina della forma di governo, del diritto di iniziativa e dei referendum e con pre-� visi~ne.c?e, ind~af~o ddi m?zione di s fi� d ucia o d imiscsioni NvolontarUie si0va~a a nuovbe I e ez1om, m mo 1 1ca 1 12122 1 e 1 e stata pu -~ 1eg I artt. 1, 2 , 1 3e 24 ost. 1a 0 . . 30blicata la legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2 concernente �Inserimento dei ~ principi del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione� (durata ragionevo-I'� le, pieno contraddittorio fra le parti che devono essere in condizione di parit� anche di fronte alle persone che abbiano reso dichiarazioni a carico dell'imputato e per l'interrogatorio di persone a difesa, impossibilit� di provare la colpevolezza sulla base di dichiarazioni rese da chi si � sottratto volontariamente all'interrogatorio da parte dell'imputato); dovr� essere, poi, il legislatore a disciplinare l'applicazione di quei principi nei procedimenti in corso. DANNI IN MATERIA CMLE. DEMANIO E PfITRIMONIO DELLO STATO. Nella G. u. 247 sono pubblicate le disposizioni del Ministro dei trasporti per la determinazione dei canoni relativi alle concessioni demaniali marittime per l'anno 1998 e 1999. DIRITTO PROCESSUALE PENALE. Con legge 19 gennaio 1999 Il. 14 (G.U. 24) sono stati modificati gli artt. 599 (commi 4 e 5) e 602 (comma 2) del codice di procedura penale, con l'estensione della �pena concordata� anche dopo i giudizi d'appello, ed � stato abrogato l'art. 225 d.lgs. 51/98; con d.l. 22 gennaio 1999 n. 29 (G.U. 43), conv. in legge 21aprile1999 n. 109 (G.U. 94), pubblicati nel testo coordinato nella G. U. 94 e con le relative note nella G. U. 101, sono state dettate nuove disposizioni in materia di competenza della corte di assise (a modifica dell'art. 5 c.p.p.) e di interrogatorio di garanzia (a modifica dell'art. 294 c.p.p.). Con legge 24 novembre 1999 n. 468 (G.U. 293) � stata conferita delega al Governo per definire le competenze penali del giudice di pace (non potranno erogare sanzioni detentive ma solo pecuniarie -entro cinque milioni -o alternative al carcere; fra i reati che rientreranno nella competenza del giudice di pace si annoverano le percosse e lesioni personali, anche se derivanti da colpa professionale, l'ingiuria, il furto, l'omissione di soccorso) e modificare i meccanismi di reclutamento (� previsto un periodo di tirocinio presso altri magistrati in servizio), le decadenze, le incompatibilit� e le indennit�. Con legge 12 luglio 1999 n. 231 (G.U. 167) sono state dettate disposizioni in materia di esecuzione della pena, di misure di sicurezza e di misure cautelari nei confronti di soggetti affetti da Aids o altra malattia particolarmente grave. I Per ulteriori informazioni si veda la voce Ordinamento giudiziario. I DOGANA. f,\ ECONOMIA NAZIONALE. Con d.lgs. 9 gennaio 1999 Il. 1 (G.U. 7) � stata istituita la societ� Sviluppo Italia, a norma degli artt. 11e14 legge 15 marzo 1997 n. 59, con I capitale azionario interamente attribuito al Ministero del tesoro, bilancio e pro grammazione economica; con successive direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri 26 gennaio 1999 (G.U. 20) e 9 giugno 1999 (G.U. 134) sono state date dis- II I - PARTE Il, OSSERVATORIO LEGISLATIVO posizioni attuative ed operative per la struttura societaria e per il riordino delle partecipazioni facenti capo agli altri ministeri e sono stati fissati indirizzi e priorit� del1' attivit� (promozione, orientamento e coordinamento dello sviluppo territoriale; creazione e promozione di imprenditorialit�, consolidamento e riqualificazione delle piccole e medie imprese ; promozione di servizi reali, di strumenti di commercio elettronico e di sistemi di qualit� ; assistenza finanziaria per la progettualit� delle imprese e supporto nell'accesso al mercato dei capitali). Con d.lgs. 8 luglio 1999 n. 270 (G.U. 185) � stata dettata la nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell'art. 1 legge 274/98 n. 274. ESECUZIONE FORZATA PER OBBLIGAZIONI PECUNIARIE. ESPORTAZIONE E IMPORTAZIONE. FORNITURE. IMPIEGATO DELLO STATO E PUBBLICO IN GENERE. Con Circolare 7 gennaio 1999 n. 1 (G.U. 14, suppL ord.) sono state dettate istruzioni per il monitoraggio della spesa del personale, ai sensi dell'art. 65 d.lgs. 29/93; con d.P.R. 21 gennaio 1999 (G.U. 37) � stato dato corso alla programmazione trimestrale delle assunzioni nelle amministrazioni pubbliche, secondo l'art. 39, commi 3 e 20, legge 449/97, assegnando alle amministrazioni statali ed agli enti pubblici non economici un contingente pari a complessive 4.547 unit�; con d.P.R. 26 febbraio 1999 n. 150 (G.U. 121) � stato emanato il regolamento su�le modalit� di costituzione e tenuta del ruolo unico della dirigenza delle amministrazioni statali, anche a ordinamento autonomo, e della banca dati informatica della dirigenza ; con decreto del Ministero dei beni culturali e ambientali 5 giugno 1998 (G.U. 44) sono state indicate le attivit� non consentite ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale, in ragione della interferenza con i compiti istituzionali; lo stesso � stato fatto, per i propri dipendenti, dal Ministero delle Finanze con d.m. 15 gennaio 1999 (G.U. 117). Con d.P.R. 15febbraio1999 n. 82 (G.U. 76, suppi. ord.) � stato emanato il regolamento di servizio del Corpo di Polizia penitenziaria; con d.P.C.M. 27 aprile 1999 (G.U. 139) � stato istituito il ruolo del personale dipendente dell'Autorit� per la vigilanza sui lavori pubblici. Il d.lgs. 30 luglio 1999 n. 286 (G.U. 193) dispone il riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attivit� svolta dalle pubbliche amministrazioni (controllo di regolarit� amministrativa e contabile, di gestione e di strategia), con particolare riguardo alla valutazione dei dirigenti (annuale, di spettanza del dirigente di grado superiore e, per i dirigenti apicali, del ministro), che potranno essere licenziati se incapaci e che saranno retribuiti anche in relazione ai risultati conseguiti. Con d.P.C.M. 30 aprile 1999 (G.U. 153) � stato disposto l'adeguamento annuale del trattamento economico del personale non contrattualizzato, di cui all'art. 24, comma 1, legge 448/98. Nella G.U. 212, suppi. ord., � stato pubblicato il contratto collettivo nazionale integrativo del comparto scuola per gli anni 1998-2001; nella G.U. n. 201 � stato pubblicato l'accordo quadro nazionale in materia di trattamento di fine rapporto e di pre RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO" 110 videnza complementare per i dipendenti pubblici; con d.P.R. 16 marzo 1999 n. 254 e 255 (G.U. 180, suppi. ord.) sono stati recepiti l'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile, il provvedimento di concertazione delle Forze di polizia a ordinamento militare e il provvedimento di concertazione per le Forze armate, relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999. Per altre segnalazioni in materia si vedano le voci Amministrazione dello Stato e Lavoro (contratto collettivo di). IMPRESA. Con legge 23 dicembre 1998 n. 461 (G.U. 4) � stata delega al Governo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti nelle fondazioni bancarie e per la disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria (i soggetti interessati sono gli enti creditizi pubblici, le casse comunali di credito agrario e i monti di credito su pegno e che risultino comunque societ� per azioni operanti nel settore del credito). INTERESSI. I INVALIDI. ISTRUZIONE PUBBLICA. Con 20 gennaio 1999 n. 9 (G.U. 21) sono state dettate disposizioni urgenti per l'elevamento dell'obbligo scolastico da otto a dieci anni a partire dall'anno scolastico 1999-2000. Con legge 3 maggio 1999 n. 124 (G.U. 107), contenente disposizioni urgenti in materia di personale scolastico, � stato disciplinato il passaggio nei ruoli del personale scolastico statale del personale non docente dipendente da Comuni e Province, con modifiche alle disposizioni del d.lgs. 16 aprile 1994 n. 297. Con d.P.R. 8 marzo 1999 n. 275 (G.U. 186, suppi. ord.) � stato adottato il regolamento in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi della legge 59/97; con d.lgs. 30 giugno 1999 n. 233 (G.U. 170) � stata adottata la riforma degli organi collegiali territoriali della scuola; con d.lgs. 20 luglio 1999 n. 258 (G.U. 181) � stato disposto il riordino del Centro europeo dell'educazione e della biblioteca di documentazione pedagogica e la trasformazione in fondazione del museo nazionale della scienza e della tecnica �Leonardo da Vinci�. Al fine della valorizzazione della funzione e dell'impegno professionale del personale della scuola, la legge 17 agosto 1999 n. 292 (G.U. 196) ha stanziato fondi per incrementare le disponibilit� per il trattamento economico accessorio. Con legge 19 ottobre 1999 n. 370 (G.U. 252), contenente disposizioni in materia di universit� e di ricerca scientifica e tecnologica, sono stati stanziati fondi per gli incentivi ai professori e ricercatori universitari e per borse di studio agli specializzandi per gli anni 1983-1991, in attuazione di decisioni giurisdizionali definitive. IVA. LAVORO (COLLOCAMENTO E MOBILIT� DELLA MANO D'OPERA). LAVORO (CONTRATTO COLLETTIVO DI). Sono stati pubblicati i testi dei nuovi contratti collettivi di lavoro sottoscritti, per i vari comparti, per il quadriennio normativo 1998/2001 e per il biennio economico 1998/1999: personale dei Ministeri nella G.U. 46, suppi. ord.; personale degli enti pubblici non economici (solo normativo) nella G. U. 60, suppi. ord.; per il personale della Sanit� nella G. U. 90, suppi. ord. (per PARTE II, OSSERVATORIO LEGISLATIVO questo comparto si segnala, in G. U. 29, il comunicato di errata corrige del Ministero della Sanit� relativo al d.m. 29 maggio 1998 n. 227 recante l'ACN per la disciplina dei rapporti con i medici ambulatoriali, specialisti e generici addetti all'assistenza del personale navigante, marittimo e dell'aviazione civile); per il personale delle Regioni-Autonomie locali (anche sulla revisione del sistema di classificazione del personale del comparto) nella G. U. 95, suppi. ord.; per il personale della scuola nella G.U. 133, suppl.ord. Nella G. U. 275 � stato pubblicato il comunicato del Ministero della pubblica istruzione concernente l'Accordo di interpretazione autentica dell'art. 34, comma 2, del contratto integrativo nazionale n. 8/99/BL del 31agosto1999; nella G.U. 172 � stata pubblicata la direttiva del Presidente del consiglio 1� luglio 1999 contenente le linee guida per la definizione dei contratti individuali della dirigenza. Per altre segnalazioni in materia si veda la voce Impiegato dello Stato. LAVORO (RAPPORTO DI). Con legge 12 marzo 1999 Il. 68 (G.U. 68, suppi. ord.) sono state dettate norme per il diritto al lavoro dei disabili; con legge 17 maggio 1999 n. 144 (G.U. 118, suppi. ord., ripubblicata con note nella G.U. 136, suppi. ord.) � stata data delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa sull'Inail e sugli enti previdenziali. Con d.lgs. 17 agosto 1999 n. 299 (G.U. 202) � stata regolata la trasformazione in titoli (da destinare a forme di previdenza complementare) del trattamento di fine rapporto a norma dell'art. 71, commi 1e2, legge 144/99; con il decreto sono fissate anche specifiche agevolazioni tributarie in caso di cartolarizzazione del tfr. Con d.m. 31maggio1999 (G.U. 161) il Ministro del lavoro e previdenza sociale ha proceduto alla individuazione delle lavorazioni vietate per la fornitura di lavoro temporaneo, ai sensi dell'art. 1, comma 4, legge 196/97. LEGGE. La legge 8 marzo 1999 n. 50 (G.U. 56, ripubblicata con note nella G.U. 70, suppi. ord.) -Legge di semplificazione 1998 -ha regolato la delegificazione e l'adozione di testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi nonch� delle norme che regolano i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche. LEVA MILITARE. La disciplina del servizio militare volontario femminile � stata oggetto della delega al Governo contenuta nella legge 20 ottobre 1999 n. 380 (G.U. 255); fra i principi della delega si segnalano la parit� fra uomini e donne e la volontariet� del servizio, anche per l'accesso alle accademie ed alle scuole di formazione, con la previsione di idonei strumenti per la tutela della gravidanza e della maternit� e l'esclusione delle donne solo da particolari incarichi operativi che richiedano il superamento di prove ergonomiche e il possesso di livelli di efficienza fisica che non sono mediamente riscontrabili nelle persone di sesso femminile; nel decreto � anche diversamente disciplinato il divieto di contrarre matrimonio per il personale in servizio permanente fino al terzo anno di servizio militare, secondo l'art. 1 legge 564/77. LocAZIONE. In attuazione di quanto previsto in sede di riforma della disciplina delle locazioni e del rilascio di immobili adibiti ad uso abitativo di cui alla legge 9 dicembre 1998 n. 431, il Ministero dei Lavori pubblici con d.m. 5 marzo 1999 (G.U. RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO... 112 67) ha dettato i criteri generali per la realizzazione degli accordi da definire in sede locale per la stipula dei contratti di locazione ai sensi dell'art. 2, comma 3, detta legge. MAFIA. Modifiche all'art. 15 legge 55/90 sono state introdotte con legge 13 dicembre 1999 n. 475 (G.U. 295). MA.Remo. Con d.lgs. 8 ottobre 1999 n. 447 (G.U. 282) sono state dettate nuove disposizioni in materia di marchi d'impresa per l'applicazione del protocollo relativo all'intesa di Madrid sulla registrazione internazionale dei marchi. MEDICINALI. MONETA. NAVIGAZIONE. Con d.lgs. 25 febbraio 1999 n. 66 (G.U. 67), in occasione dell'istituzione dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (v. sopra alla voce Amministrazione dello Stato), sono stati modificati gli artt. 826-832 del codice della navigazione, costituenti il titolo VIII, libro I, parte II -Delle inchieste tecniche sugli incidenti e sugli inconvenienti aeronautici, ed abrogati l'art. 833 e gli artt. 273278- ter del regolamento per la navigazione aerea -r.d. 11gennaio1925 n. 356. OPERE PUBBLICHE. Si segnala il d.l. 30 dicembre 1999 Il. 502 (G.U. 305) contenente disposizioni urgenti in materia di nuovo sistema di qualificazione dei soggetti esecutori di lavori pubblici. I Per ulteriori informazioni si veda la voce Appalto. ORDINAMENTO GIUDIZIARIO. Nell'ambito della riforma del processo dvile con l'istituzione del giudice unico di primo grado (d.lgs. 19 febbraio 1998 n. 51) si segna I lano:-circolari del Ministero dell'Interno 5 gennaio 1999 n. 2/99{G.U. 12) e del Ministero di Grazia e Giustizia 21 maggio 1999 n. 142/0GDG/99 (G. U. 119); legge 1� I aprile 1999 n. 84 (G.U. 77, anche nel testo coordinato con il d.l. 16/99), sulla con ~ ferma e proroga dell'esercizio delle funzioni di giudice di pace; legge 14 maggio 1999 n. 134 (G.U. 113) recante disciplina transitoria per i termini di deposito della documentazione prescritta dall'art. 567, comma 2, c.p.c. per la vendita forzata immo Ibiliare dopo l'attribuzione di competenze ai notai; d.lgs. 4 marzo 1999 n. 138 (G.U. 115) contenente disposizioni correttive del d.lgs. 51/98 (fra l'altro, sui criteri per l'assegnazione degli affari secondo criteri obiettivi e predeterminati indicati in via generale dal CSM); d.l. 24 maggio 1999 n. 145 (G.U. 119), conv. in legge 22 luglio 1999 n. 234 (G.U. 171) che, dopo il differimento al 2 gennaio 2000 dell'entrata in vigore delle disposizioni sul giudice unico in materia penale ha regolato problematiche processuali e di competenza sorte in seguito alla parziale operativit� della riforma, in particolare in punto di competenza per gli appelli nelle cause di lavoro. Con legge 5 maggio 1999 n. 155 (G.U. 128) � stata conferita delega al Governo per l'istituzione di nuovi tribunali e per la revisione dei circondari di Milano, Roma, Napoli, Palermo e Torino (c.d. tribunali metropolitani) a fine di decongestionamento del carico di lavoro; con d.lgs. 20 aprile 1999 n. 161 (G.U. 134), in attuazione dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, sono state dettate modifiche alle norme sulla istituzione del tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento e della sezione autonoma di Bolzano; con d.lgs. 7 giu PARTE Il, OSSERVATORIO LEGISLATIVO gno 1999 n. 160 (G.U. 132) sono state modificate le competenze territoriali di alcuni tribunali (Treviso e Perugia). Nell'ambito della riforma del processo civile con l'istituzione del giudice unico di primo grado (d.lgs. 19 febbraio 1998 n. 51) si segnalano: legge 22 luglio 1999 n. 234 (G.U. 171, ivi anche nel testo coordinato con il d.l. 24 maggiov 1999 n. 145) che, dopo il differimento al 2 gennaio 2000 dell'entrata in vigore delle disposizioni sul giudice unico in materia penale ha regolato problematiche processuali e di competenza sorte in seguito alla parziale operativit� della riforma, in particolare in punto di competenza per gli appelli nelle cause di lavoro; legge 16 dicembre 1999 n. 479 (G.U. 296) che ha introdotto ulteriori modifiche al procedimento dinanzi al tribunale in composizione monocratica e al codice di procedura penale, nonch� al codice penale ed all'ordinamento giudiziario, con disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennit� spettante al giudice di pace e di esercizio della professione forense; quanto al rito monocratico dinanzi al giudice unico nel settore penale (la distinzione di competenze con il tribunale in composizione collegiale � contenuta nei nuovi artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.), le innovazioni concernono, fra l'altro, il controllo della competenza nel corso delle indagini, il divieto di pubblicazione di atti o immagini, la riparazione per ingiusta detenzione, la ridefinizione della fase processuale relativa all'udienza preliminare, il divieto per pubblico ministero e polizia giudiziaria di assumere informazioni dai testimoni citati dalla difesa, la formazione del fascicolo del dibattimento in contraddittorio fra le parti e con l'inserimento dei risultati dell'attivit� investigativa dell'imputato, l'ampliamento della possibilit� di richiedere il rito abbreviato con riduzione della pena dell'ergastolo a trenta anni di reclusione, il procedimento per decreto anche per i reati perseguibili a querela, la possibilit� di leggere in aula dichiarazioni rese da parsone residenti all'estero, l'improponibilit� di appello contro le sentenze di proscioglimento per ottenere una diversa formulazione (in modifica dell'art. 443 c.p.p.). Con d.lgs. 3 dicembre41999 n. 491(G.U.302), in attuazione della delega di cui alla legge 5maggio1999 n. 155 (G.U. 128), sono stati istituiti nuovi tribunali e revisionati i circondari di Milano, Roma, Napoli, Palermo e Torino (c.d. tribunali metropolitani) a fine di decongestionamento del carico di lavoro. PERSONA FISICA EDIRITII DELLA PERSONALIT�. Con d.P.R. 31marzo1998 n. 501 (G. U. 25) � stato emanato il regolamento sull'organizzazione e il funzionamento dell'Ufficio del Garante per la protezione dei dati personali, a norma dell'art. 33, comma 3, legge 31dicembre1996 n. 675; con d.lgs. 6 maggio 1999 n. 169 (G.U. 138) � stata data attuazione alla direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche dati, ad integrazione della legge 633/41 sul diritto d'autore; con d.lgs. 11 maggio 1999 n. 135 (G.U. 113) sono state apportate integrazioni alla legge 675/96 sul trattamento dei dati sensibili da parte dei soggetti pubblici, disponendo la sussistenza di rilevante interesse pubblico e, quindi, consentendone il trattamento per i dati concernenti la tenuta degli atti e dei registri dello stato civile, delle anagrafi della popolazione, delle liste elettorali e dei dati relativi alla disciplina in materia di cittadinanza, immigrazione, asilo, condizione dello straniero, del profugo e del rifugiato. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 114 Con d.lgs. 30 luglio 1999 n. 281 e 282 (G.U. 191) sono state dettate disposizioni, rispettivamente, in materia di trattamento dei dati personali per finalit� storiche, statistiche e di ricerca scientifica e per garantire la riservatezza dei dati personali in ambito sanitario; la riservatezza viene garantita attraverso la previsione di codici deontologici dei quali si dovranno dotare i soggetti pubblici e privati che operano nel campo, sulla base di criteri generali dettati dai decreti stessi; con d.P.R. 28 luglio 1999 n. 318 (G.U. 216) � stato emanato il regolamento per l'individuazione delle misure minime di sicurezza per il trattamento dei dati personali effettuato mediante strumenti informatici; con d.P.C.M. 10 marzo 1999 n. 294 (G.U. 198) sono state individuate le categorie di documenti in possesso dei Servizi segreti che possono essere sottratti al diritto di accesso, al di fuori dei documenti coperti dal segreto di Stato (solo dopo cinquanta anni potr� essere consentito l'accesso a documenti relativi all'attivit� informativa e di sicurezza la cui conoscenza possa pregiudicare la sicurezza, la difesa nazionale o le relazioni internazionali, a documenti relative all'organizzazione degli stessi servizi segreti, a documenti che riguardano persone, gruppi o imprese; dopo venti anni, invece, saranno conoscibili i documenti segreti che riguardano strutture pubbliche o private che hanno assunto rilievo ai fini della sicurezza, della difesa nazionale e delle relazioni internazionali; quindici anni, infine, sono necessari per l'accesso a documenti che ineriscono a riunioni internazionali, consulenze e valutazioni di progetti, sempre relativi ai suddetti fini). � PERSONA GIURIDICA. Sono stati approvati gli statuti delle nuove fondazioni nelle quali sono stati trasformati alcuni enti pubblici operanti nel settore dello spettacolo: si vedano i comunicati del Ministero per i beni e le attivit� culturali in G. U. 208 (Teatro Carlo Felice di Genova, Accademia di Santa Cecilia di Roma, Teatro Comunale di Bologna), 230 (Scuola nazionale di cinema) e 287 (Teatro dell'Opera di Roma, Teatro La Fenice di Venezia). POSTA E TELECOMUNICAZIONI. PREVIDENZA E ASSISTENZA SOCIALE. Con d.lgs. 4 agosto 1999 n. 345 (G.U. 237) � stata data attuazione alla direttiva 94/33/Ce relativa alla protezione dei giovani sul lavoro, viene cos� efficacemente combattuto lo sfruttamento del lavoro minorile con modifica della vecchia legge 997 /67 e, in particolare, il divieto di assunzione di giovani con meno di 15 anni o con meno di 18 anni che non abbiano terminato il periodo di istruzione obbligatoria. Con legge 3 dicembre 1999 n. 493 (G.U. 303) sono state dettate norme per la tutela della salute nelle abitazioni e l'istituzione dell'assicurazione contro gli infortuni domestici. RADIOTELEVISIONE. Si segnala il d.l. 30 gennaio 1999 n. 15 (G.U. 24), conv. in legge 29 marzo 1999 n. 78 (G.U. 75, ivi anche nel testo coordinato, con errata corrige nella G.U. 82) recante disposizioni urgenti per lo sviluppo equilibrato dell'emittenza televisiva e per evitare la costituzione o il mantenimento di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo. REDDITO DELLE PERSONE FISICHE (IMPOSTA SUL). Con decreto 29 aprile 1999 (G.U. 115) il Ministero delle Finanze ha aggiornato la tabella degli indici e coeffi PARTE II, OSSERVATORIO LEGISLATIVO cienti presuntivi di reddito, indicando come indicatori della capacit� giuridica aeromobili, navi e imbarcazioni da diporto, autoveicoli e altri mezzi di trasporto, roulottes, residenze principali e secondarie, collaboratori familiari, cavalli da corsa e da equitazione; con decreti 30 marzo 1999 (G.U. 75, suppi. ord.) e 19 maggio 1999 (G.U. 123) lo stesso ministero ha approvato gli studi di settore relativi ad attivit� economiche nel settore dei servizi, commercio e manifatture e con d.P.R. 31 maggio 1999 n. 195 (G.U. 146) � stato emanato il regolamento sui tempi e le modalit� della loro applicazione. REGIONE IN GENERE. Si segnalano la legge 15 dicembre 1999 n. 482 (G.U. 297) -norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche -e il d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 506 (G.U. 306) contenente modifiche in materia di imposta regionale sulle attivit� produttive e di tributi locali, nonch� di sanzioni amministrative tributarie. Per ulteriori informazioni si veda la voce Corte costituzionale. REGISTRO. Con decreto 11 gennaio 1999 (G.U. 9) il Ministero delle Finanze ha adeguato le modalit� di calcolo delle rendite o pensioni e dei diritti di usufrutto a vita, ai fini dell'applicazione delle imposte di registro e sulle successioni e donazioni, dopo la riduzione del saggio dell'interesse legale di cui al d.m. 10 dicembre 1998. RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE E DELLE ENTRKC'E PATRIMONIALI ED ESATTORIE. In adempimento della delega conferita al Governo con legge 337/98 per il riordino della disciplina relativa alla riscossione, sono stati emanati i d.lgs. 22 febbraio 1999 n. 37 (G.U. 46) e 13 aprile 1999 n. 112 (G.U. 97) i quali generalizzano il sistema della riscossione mediante ruolo a tutte le entrate dello Stato, delle Regioni, Comuni e Province e degli enti pubblici in generale, senza pi� l'obbligo della preventiva notifica dell'avviso di mora e con possibilit� di vendita a trattativa privata e dispongono, inoltre, che il servizio sia affidato a societ� per azioni con capitale interamente versato di almeno 5 miliardi di lire ed aventi ad oggetto lo svolgimento del servizio e dei compiti connessi, indirizzati anche al supporto delle attivit� tributarie e di gestione patrimoniale degli enti pubblici diversi dallo Stato; con d.m. 23 marzo 1999 (G.U. 73) � stato abolito l'obbligo del non riscosso come riscosso, per i concessionari del servizio a definizione dei rapporti contabili pendenti. Con d.P.R. 16 aprile 1999 n. 129 (G.U. 109) � stato emanato il regolamento per la riscossione dei crediti tributari di modesta entit�, per i quali non si procede ad accertamento ed iscrizione a ruolo se non superano L. 32.000 al 31dicembre1997, salvo reiterazione della violazione nel biennio. In adempimento della delega conferita al Governo con legge 337/98 per il riordino della disciplina relativa alla riscossione, � stato emanato il d.lgs. 17 agosto 1999 n. 326 (G.U. 221) contenente disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 46/99, con la regolamentazione di una fase transitoria (nella quale i ruoli possono essere formati e resi esecutivi secondo le vecchie disposizioni) fino all'entrata a regime della riforma prevista per il 1� ottobre 1999 (fra gli aspetti pi� favorevoli al contribuente della riforma si ricordano l'introduzione del nuovo modello di cartella e del termine di sessanta giorni per il pagamento, l'accorpamento in un ruolo unico di tutte le RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 116 somme dovute dal contribuente, la possibilit� di rateazione fino a sessanta rate mensili e di sospensione fino ad un anno della riscossione delle cartelle notificate; inoltre, al concessionario della riscossione sono attribuite funzioni svolte dal giudice del1' esecuzione ma, a fronte dello snellimento delle procedure di esecuzione su beni mobili e immobili, sono previste forme pi� incisive di tutela del contribuente). Con d.m. 3 settembre 1999 n. 321 (G.U. 218) il Ministro delle finanze ha dettato il regolamento previsto dagli artt. 4 e 10 del d.lgs. 46/99, fissando i criteri per la determinazione del ruolo, i tempi e le procedure per la sua formazione e consegna. SANIT� PUBBLICA. Con legge 26 febbraio 1999 n. 42 (G.U. 50) sono state dettate disposizioni in materia di professioni sanitarie; con legge 1 � aprile 1999 n. 91 (G. U. 87 e avviso di rettifica nella G. U. 95) � stata regolata la materia dei prelievi e trapianti di organi e tessuti, introducendo il �silenzio-assenso� alla donazione secondo modalit� da definire con successivo decreto. Con d.lgs. 19 giugno 1999 n. 229 (G.U. 165, suppi. ord.) � partita la riforma del servizio sanitario nazionale e del rapporto con i medici che sono obbligati a scegliere fra libera professione all'interno o all'esterno del servizio pubblico; con successivo d.lgs. 21dicembre1999 n. 517 pubblicato nella G. U. 8 del 2000, suppi. ord., sono stati disciplinati i rapporti tra il Ssn e le universit� (si veda la prossima Rassegna). Con d.lgs. 22 giugno 1999 n. 230 (G.U. 165) � stata riordinata la medicina penitenziaria a norma dell'art. 5 legge 419/98. SINDACATI. L'elezione delle rappresentanze unitarie del personale e la valutazione della rappresentativit� delle organizzazioni e confederazioni sindacali nel comparto scuola sono state regolate con legge 24marzo 1999 n. 69 (G.U. 69, ivi anche nel testo coordinato con il d.l. 5/99) ; con circolare 26 gennaio 1999 n. 489 (G.U. 35) l'Aran ha dato avvio all� rilevazione delle deleghe per le ritenute del contributo sindacale ai fini della misurazione della rappresentativit� sindacale. SPETTACOLI. � stata istituita l'imposta sugli intrattenimenti con d.lgs. 26 febbraio 1999 n; 60 (G.U. 59) che ha anche modificato la disciplina dell'imposta sugli spettacoli. Con d.lgs. 2 dicembre 1999 n. 464 (G.U. 291) sono state dettate disposizioni integrative e correttive alla nuova disciplina dell'imposta sugli intrattenimenti istituita con d.lgs. 60/99 (G.U. 59). Con d.m. 4 novembre 1999 n. 470 (G.U. 293) � stato adottato il regolamento per l'erogazione di contributi in favore delle attivit� teatrali, in corrispondenza agli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 163/85. Con legge 8 luglio 1999 n. 223 (G. U. 162) sono stati disposti interventi a sostegno delle attivit� del Teatro �Carlo Felice� di Genova e dell'Accademia Santa Cecilia di Roma. STRANIERO. Con d.lgs. 13 aprile 1999 n. 113 (G.U. 97) sono state dettate ulteriori disposizioni correttive della nuova normativa in materia di immigrazione di cui alla legge 6 marzo 1998 n. 40 ed al d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, dopo il d.lgs. 19 ottobre 1998 n. 380 contenente le prime disposizioni correttive. Con direttiva del Presidente del consiglio 4 agosto 1999 (G.U. 209) � stato programmato il flusso di ingresso per lavoro nell'anno 1999 di cittadini stranieri non PARTE Il, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 117 comunitari. Con d.P~R. 31 agosto 1999 n. 394 (G.U. 258) � stato adottato il regolamento per l'attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina del-� � l'immigrazione e la condizione dello straniero. TRIBUTI IN GENERE. Con legge 18 febbraio 1999 n. 28 (G.U. 43) sono state dettate numerose disposizioni in materia di tributi e funzionamento dell'amministrazione, in particolare per la certificazione dei corrispettivi dei gestori di stabilimenti balneari, per l'esenzione dall'iva delle prestazioni rese da enti non profit e onlus ed il riordino del catasto. Con d.lgs. 28dicembre1998 n. 490 (G.U. 15) e successivo d.m. 31maggio1999 n. 164 (G.U. 135) � stata ridisciplinata l'attivit� di assistenza fiscale svolta dai centri autorizzati, dai sostituti di imposta e dai professionisti, con l'introduzione dell'istituto della certificazione tributaria da parte di categorie qualificate di professionisti. Con d.m. 4 maggio 1999 (G.U. 107) il ministero ha reso noto l'elenco dei paesi esteri considerati �paradisi fiscali� ai fini dell'operativit� dell'inversione dell'onere della prova per i cittadini italiani che hanno dichiarato di essere col� residenti. Con legge 13 maggio 1999 n.133 (G.U. 113, suppi. ord.) sono state dettate disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale, con delega al Governo ad emanare decreti per il riequilibrio della pressione fiscale, la modifica della disciplina dei redditi di impresa, la disciplina e tassazione dei fondi pensione, il finanziamento delle regioni a statuto ordinario e la progressiva eliminazione o sostituzione dei trasferimenti erariali, la emanazione di testi unici e di un codice tributario ; da segnalare anche la disciplina degli interessi per la riscossione ed i rimborsi dei tributi e le disposizioni sulla rinegoziazione dei mutui agevolati. Con d.m. 3 dicembre 1999 (G.U. 296, suppi. ord.) sono stati dettati i criteri per la riorganizzazione delle direzioni centrali del Dipartimento delle entrate e delle Direzioni regionali delle entrate che consentono l'avvio della riforma che porter� nel 2001 alla nascita delle Agenzie; con i criteri ora dettati si passa dall'attuale sistema a forte frammentazione di competenze al concentramento delle stesse in due grandi aree operative: gestione della fiscalit� (comprendente anche i rapporti con i contribuenti) e controlli. Con d.lgs. 15 dicembre 1999 n. 382 (G.U. 255) sono state apportate correzioni e integrazioni al d.lgs. 361/98 sulla istituzione del Servizio consultivo ed ispettivo tributario. Nell'ambito della �riforma Visco� (d.lgs. 314/97, 461/97, 466/97 e 467/97) sui redditi di capitale, l'imposta sostitutiva della maggiorazione di conguaglio e i redditi di lavoro dipendente si segnalano le integrazioni e le correzioni apportate con d.lgs. 23 dicembre 1999 n. 505 (G.U. 306, suppi. ord.), fra l'altro, in materia di assegnazione di azioni ai dipendenti (con tetto di quattro milioni, perdita delle agevolazioni fiscali per cessione prima di tre anni o riacquisto, assoggettamento dei compensi in natura alla tassazione al netto di quanto corrisposto dal lavoratore dipendente a fronte dell'assegnazione stessa). Con legge 28 dicembre 1999 n. 496 (G.U. 304), in conversione del d.l. 29 ottobre 1999 n. 383, sono state dettate disposizioni un materia di accise sui prodotti petroliferi e di accelerazione del processo di liberalizzazione del relativo settore. TRIBUTI LOCALI. Il d.lgs. 10 giugno 1999 n. 176 (G. U. 140) ha dettato disposizioni correttive e integrative del d.lgs. 446/97 istitutivo dell'Irap, al fine di risolvere difficolt� interpretative causate, fra l'altro, dalla divergenza fra i valori fiscali ai RASSEGNA AVVOCA1URA DELLO STKI'O 118 fini lrpef/lrpeg e quelli ai fini lrap e dalle conseguenze sulla tenuta della contabilit�; con d.m. 9 giugno 1999 (G.U. 138) il Ministero delle Finanze ha emanato istru-f:1 zioni per la compilazione delle dichiarazioni ai fini Irap in linea con i ritocchi appor 1�:,,';'. tati con il citato decreto 176/99 (tra i soggetti obbligati alla presentazione del nuovo . modello IQ/99 rientrano anche le amministrazioni di Camera, Senato, Consulta e Presidenza della Repubblica). Nelle G.U. 107 e 136, suppi. ord., sono stati pubblicati gli avvisi di adozione da parte dei comuni di regolamenti disciplinanti tributi propri (pubblicazione avente mera funzione notiziale e non giuridica, in quanto non sostituiva delle forme legali di pubblicazione delle deliberazioni comunali). Ulteriori integrazioni e correzioni (ad esempio, sulla possibilit� di rateazione in 11 rate del prelievo dell'addizionale regionale all'lrpef e sulla riduzione delle penalit� per la ritardata presentazione della dichiarazione Irap) ai d.lgs. 446/97 e 472/97 in materia di Irap e di tributi locali sono state apportate con d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 506 (G.U. 306, suppl.ord.). UNIVERSIT� DEGLI STUDI. La definizione delle procedure e dei parametri standard per la programmazione degli accessi ai corsi di laurea, di diploma e di specializzazione post-universitaria � stata regolata dal Ministero dell'universit� con d.m. 23 aprile 1999 (G.U. 129), con particolare riferimento a medicina e chirurgia, medicina veterinaria e architettura. Si vedano anche le voci Istruzione pubblica e Sanit�. USURA. Con legge 23 febbraio 1999 n. 44 (G.U. 51) sono state detta disposizioni concernenti il Fondo di solidariet� per le vittime delle richieste estortive e del1' usura. GIUSEPPE ALBENZIO I I f f:. , . .. ~. OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET Questo Osservatorio vuol essere uno strumento di indirizzo per poter sfruttare al meglio le possibilit� che Internet offre per ricerche di carattere giuridico. Mi orienterei per una breve disamina delle ricerche realmente effettuate e sulla presentazione, ogni volta, di un sito particolarmente interessante sotto il profilo giuridico. RICERCHE EFFETIUATE 1) Per una costituzione in giudizio innanzi alla Corte costituzionale occorreva il testo di una recentissima legge della Regione Liguria. Purtroppo, per problemi di spazio, di tempo e di personale, in biblioteca non possediamo le raccolte dei Bollettini Regionali e sia la Gazzetta Ufficiale che il CD rom delle Leggi Regionali che Easyfind non pubblicavano tale legge. A questo punto l'unica risorsa era Internet. Cerco sul motore di ricerca la parola Liguria, mi risponde che ha trovato 13.377 siti. Comincio a scorrerne l'elenco e -circa al ventesimo -mi appare l'indirizzo del sito della Regione Liguria. Nella home page del sito clicco sulla voce Banche Dati e poi sulla voce Leggi Regionali, scelgo il canale di ricerca per anno e numero e, quindi, stampo la legge regionale che occorreva. 2) Occorreva con urgenza una legge recentissima di cui mancava la Gazzetta Ufficiale, non essendo la legge pubblicata in nessuna altra fonte cartacea o informatica presente in biblioteca, vado in Internet per effettuare la ricerca. Non avendo un indirizzo preciso comincio a navigare per argomenti, dopo un po' finisco nel sito della Camera dei Deputati dove trovo l'elenco delle leggi approvate nel corso della XIII legislatura. Purtroppo la legge che mi serve non � presente nell'elenco. Passo allora al sito del Senato, ma ben presto mi accorgo che la raccolta di leggi della XIII legislatura � esattamente la stessa della Camera (riflessione a futura memoria: quando non trovi una legge su uno dei siti dei due rami del Parlamento � inutile cercarla sull'altro). Ad un certo punto della navigazione mi imbatto nell'elenco dei siti dei Ministeri, clicco su quello dei Beni culturali di cui mi serve la legge. Nella home page del Ministero clicco su ordinamento legislativo con qualche difficolt� di mouse dal momento che il link � su un applet Java che scorre in continuazione (per i non addetti: una specie di nastro di Moebius in preda a moto perpetuo su cui strisciano delle parole che devi cliccare a volo col mouse per saltare nel rimando che t'interessa). Ma la fatica � vana perch� il link � vuoto dal momento che il sito legislativo � in costruzione. Decido allora di provare col sito del Sole 24 ore che tutti mi hanno magnificato. Per la visita a questo sito vedi seconda parte dell'Osservatorio. Comunque la ricerca ha avuto un esito negativo. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 120 3) Un avvocato aveva bisogno del commento di un recentissimo testo legislativo su cui Il Mulino ha pubblicato un istant book. La casa editrice gli aveva dato l'in-~.,. dirizzo di una rivista telematica di diritto dove sono stati presentati ampi abstract di tale libro. 1 . La ricerca � semplice dato che ho l'indirizzo. Stavolta dovrebbe comparirmi un ~ solo sito e invece -ancora una volta -il risultato � un'infinit� di siti. Cos'� sue~ cesso? Riprovo con la parola Mulino (presente nell'indirizzo che mi aveva dato l'avvocato) e ottengo un bel po' di indirizzi, ma sono fortunato: uno dei primi � quello della casa editrice de Il Mulino. All'interno della sua home page trovo il link per la rivista giuridica che cercavo da cui velocemente stampo il commento legislativo che mi serve. Comunque per evitare altri futuri errori confronto l'indirizzo che mi ha dato l'avvocato e quello che ho trovato col motore di ricerca: a quello dell'avvocato mancava l'http:// con cui iniziano tutti gli indirizzi, molti infatti lo danno per scontato, ma se non lo digiti incorri nel mio errore. PRESENTAZIONE DI UN SITO (IL SOLE 24 ORE) INDIRIZZO: http://www.ilsole24ore.it Ricerca effettuata in data 7 marzo 2000. L'home page del sito si presenta molto pulita e senza fronzoli grafici. Dalla serie di titoli presenti mi interesso a NORME E TRIBUTI che apre una serie di sottotitoli veramente interessanti. Si comincia con CONCORSI PUBBLICI che contiene tutti i bandi di concorso della Gazzetta Ufficiale. C'� poi il testo, commentato, del Decreto Legislativo sui REATI FISCALI e quello dell'ordinanza del giudice di Roma sulla FECONDAZIONE ASSISTITA. C'�, inoltre, un richiamo sulla nuova legge sui CONGEDI PARENTALI e un altro su I REATI MINORI AL GIUDICE DI PACE. Last but not least le tabelle nazionali sul DANNO BIOLOGICO. Torno all'home page e provo GAZZETTE UFFICIALI (c'� anche GAZZETTE DELLA CEE) ma rimango deluso perch� non ci sono i testi delle norme, ma solo i sommari delle gazzette. Comunque il rimando pu� essere utile perch� i sommari sono molto aggiornati. L'ultimo della Gazzetta Ufficiale �, infatti, del giorno prima e l'ultimo delle Gazzette della CEE � di due giorni prima. In conclusione un sito chiaro, semplice e molto utile per degli operatori del diritto anche non molto addentro al mondo Internet, ma la sua caratteristica vincente � il puntuale aggiornamento e la ricchezza e completezza dei testi normativi con relativi commenti. Direi che merita sicuramente una visita (anche giornaliera). TOMMASO CAPEZZONE CONSULTAZIONI AGRICOLTURA E FORESTE -Titoli di importazione ed esportazione -Mancato utilizzo Incameramento -Riscossione mediante iscrizione a ruolo -Condizioni e limiti. Se per l'incameramento delle somme a seguito del mancato utilizzo dei titoli di importazione ed esportazione di prodotti agricoli rilasciati dal Ministero del Commercio con l'Estero si possa procedere mediante riscossione a mezzo ruoli ed a quali condizioni. (es. 7777/1999) APPALTO -Di lavori pubblici -Certificazione antimafia. Se sia ammissibile la regolarizzazione della posizione di un'impresa riguardo all'acquisizione del nulla-osta antimafia successivamente all'aggiudicazione della gara di appalto fino alla stipula del contratto. (es. 933/99) CONCESSIONI AMMINISTi�ITIVE -Concessioni autostradali -Contenzioso -Transazioni -Indennizzi -Contributi ex lege -Proroga concessioni. Rinnovo delle concessioni autostradali sulla base della composizione transattiva del contenzioso in atto con i concessionari. In particolare: a) se sia riconoscibile in favore delle societ� concessionarie un indennizzo per la mancata approvazione di atti aggiuntivi o per fatti delle stesse attinenti ad operazioni condivise dal concedente che abbiano prodotto perdite o minori introiti rispetto a quelli previsti nel piano finanziario; b) se siano �tramutabili� quote di contributi finanziari previsti ex lege in prolungamento della scadenza della concessione; contro) se il mancato raggiungimento dell'oggetto sociale rispetto alla concessione assentita, non imputabile al concessionario, possa comportare proroga della concessione; d) modalit� di calcolo dei canoni devolutivi ex lege 287/1971. (es. 2439/1999) Concessione di costruzione -Convenzione -Termine -Proroga. Parere su schema di atto aggiuntivo a convenzione per l'affidamento di servizi tecnico-amministrativi e di ingegneria. Se la protrazione del termine stabilito nella convenzione sia applicabile ad interventi diversi da quelli stabiliti nell'originario programma. Se per tali interventi sia accordabile un indennizzo. (es. 1630/1993) DANNO -Condanna a risarcimento danni in primo e secondo grado -Transazione Oggetto. Parere su ipotesi di transazione che investa anche diritti e beni estranei al rapporto controverso. (es. 10356/1999) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 122 FALLIMENTO -Crediti privilegiati -Insinuazione tardiva -Saggio interessi postfallimentari. Se in sede di insinuazione tardiva in procedura fallimentare di crediti privilegiati il saggio di interesse vada richiesto nella misura legale ovvero in quella previ sta dall'art. 38-bis del d.P.R. n. 633/1972. (es. 2862/1989) FAMIGLIA -Diniego di visto di ingresso a cittadino extracomunitario per ricongiun gimento familiare -Giurisdizione sulla controversia e regime di impugnazione -Patrocinio da parte dell'Avvocatura dello Stato. Sulla controversia sorta a seguito di diniego del visto di ingresso per ricongiungimento familiare: a) giudice competente; b) regime di impugnazione dei provvedimenti; contro) se sia necessario il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato. (es. 11934/1999). IMPIEGO PUBBLICO -Controversie -Rappresentanza e difesa in giudizio delle pubbliche amministrazioni. Rappresentanza e difesa in giudizio delle pubbliche amministrazioni nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei propri dipendenti: a) se la rappresentanza e difesa in giudizio dell'amministrazione a mezzo dei propri dipendenti sia ammissibile anche nei procedimenti cautelari; b) se sia applicabile alla pubblica ammini strazione l'art. 420 c.p.c.; contro) devoluzione della giurisdizione nelle controversie concernenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilit� dirigenziale nel periodo intercorrente tra il 1� luglio 1998 e il 22 novembre 1998, data di entrata in vigore del d.lgs. 387/1998. (es. 14927/1998) I Estensione del giudicato -Legittimit�. Se sia legittimo ed opportuno estendere il giudicato di cui alla sentenza 954/1998 della IV Sez. del Consiglio di Stato, sul computo dei periodi di servizio prestati presso altre amministrazioni ai fini della maggiorazione della retribuzione individuale. (es. 8175/1998) IMPRESA -Contributi a PMI per ricerca -Requisiti -Iscrizione in apposito albo Interpretazione. Contributi alle PMI per spese sostenute per lo svolgimento di ricerche di carattere applicativo presso laboratori inclusi in apposito albo. Se possano essere ammesse a contributo le ricerche svolte presso laboratori non iscritti all'albo, ma legati da un rapporto convenzionale con organismo gestionale ed amministrativo dotato di personalit� giuridica di diritto pubblico operante nell'ambito di un'area per la ricerca iscritta all'albo. (es. 938/1999) PARTE II, CONSULTAZIONI ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA -Militari -Premi ed incentivazioni -Proventi sulle contravvenzioni al personale della polizia -Corpo forestale dello Stato. Ripartizione delle quote contravvenzionali al personale delle forze di Polizia. Se spetti al personale del corpo forestale dello Stato il quarto dei proventi delle contravvenzioni scoperte in mancanza di previsione contenuta nella contrattazione collettiva ed a seguito del divieto di attribuire risorse finanziarie pubbliche in favore di associazioni di dipendenti pubblici. (es. 9804/1998) PENSIONI -Di reversibilit� -Ali'ex coniuge titolare di assegno corrisposto in unica soluzione. Se debba essere riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilit� all'ex coniuge cui sia stata corrisposta una liquidazione una tantum sostitutiva di assegno divorziale. (es. 9442/1998) RESPONSABILIT� CIVILE -Assoluzione dell'imputato -Effetti ai fini del danno risarcibile. Risarcimento del danno da parte dello Stato in favore delle vittime di incidente aereo a seguito di caduta di velivolo militare. Quale sia il danno risarcibile a seguito della sentenza definitiva di assoluzione dei piloti militari. Effetti sulle transazioni in corso. Ricorso al principio di equit�. (es. 3235/1999) TRIBUTI -Istituti di credito delegati alla riscossione di imposte dirette -Mancato versamento in tesoreria -Conseguenze. Se, per il recupero coattivo di somme non riversate da istituti di credito delegati al pagamento di IRPEF ed ILOR dai contribuenti e/o delle relative penalit�, l'amministrazione finanziaria debba procedere tramite ingiunzione ex t.u. n. 639 del 1910 o mediante ruoli. (es. 8884/1999) Rimborso imposte tramite conto fiscale -Indebito -Recupero presso il fideiussore. Imposte indebitamente rimborsate mediante conto fiscale. Se, ai fini del recupero nei confronti del garante, sia possibile procedere ad iscrizione a ruolo o sia necessario avvalersi degli ordinari mezzi civilistici. (es. 6284/99)