ANNO XL -N. 4-5-6 LUGLIO -DICEMBRE 1988 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1989 ABBONAMENTI ANNO 1989 ANNO L. 40.000 UN NUMERO SEPARATO . . . . . . . . . � . . . . . . . . . . . . � 7.500 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma Decreto n. 11089 del 13 lu11lio 1966 (1219087) Roma, 1989 -Istituto Poligrat�co e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura dell'avv. Franco Favara) pag. 213 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura dell'avv. Oscar Fiumara) . > 280 Sezione terza: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Antonio Cingolo e Giuseppe Stipo) � 3�00 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura dell'avvocato Antonio Cingolo) )) 318 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli avv. Raffaele Tamiozzo e ~. � 337 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato Carlo Bafi/e) )) 382 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta e P~). )) 453 l~. Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . )) 462 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE. BIBLIOGRAFICO \ QUESTIONI 83 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE . � 111 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO ,,-- . // .\ ./ PONDENTI DELLA RA$SEGNA ESSO LE SINGOLE AVVOCATURE ../ '\ /// ./ Avvocati Glauco NORI, Anco!-f~{E.vullJlee \pe 1; i'n i, Carlo B sia MANcuso, Pa,l'�rmo; Rocco BE~I, Potenza; M Tren~9{Paolo SCOTTI, Triesf~iancarlo M / / _,J i/' ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI I. F. CARAMAZZA e F. QUADRI, Il �diritto civile e politico� del cittadino nella cognizione dell'autorit� giudiziaria ordinaria: ipotesi di genesi storica dell'interesse legittimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II, 83 A. PALATIELLO, L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 338 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE PUBBLICHE -Ricorsi avverso il piano regolatore generale degli acquedotti -Giurisdi: llione del Tribunale superiore AA.PP., 453. APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Appalti delle Ferrovie dello Stato -Capitolato generale -Clausole in materia di riserve dell'appaltatore -Necessit� di specifica approvazione Esclusione, 454. -Appalto di opere pubbliche -Appalti delle Ferrovie dello Stato -Capitolato generale -Disciplina delle riserve -Termini per la formulazione, 454. -Appalto di opere pubbliche -Revisione prezzo -Interessi -Misura stabilita con legge 21 dicembre 1974, n. 700 -Aplicabilit� -Limiti, 458. - Appalto di opere pubbliche -Revisione prezzo -Interessi sul compenso revisionale -Decorrenza, 458. ATTO AMMINISTRATIVO -Controlli -Approvazione dell'organo tutorio -Approvazione implicita -Possibilit� -Presupposti, 322. AVVOCATURA DELLO STATO -Patrocinio di Enti pubbLici -ERSAPNecessit� di apposita delibera autorizzativa -Esclusione, 318. COMUNIT� EUROPEE -Concorrenza -Abuso di posizione dominante -Brevetti per modelli ornamentali -Fattispecie, 294. -Libera circolazione delle merci -Paste alimentari -Obbligo di usare esclusivamente grano duro, 284. -Libera circolazione delle merci -Tutela della propriet� industriale Esercizio di diritti al modello sulle parti componenti la carrozzeria di autovetture, 294. -Sanit� pubblica -Ravvicinamento delle legislazioni -Qualit� delle acque destinate al consumo umano, 290. CORTE COSTITUZIONALE -Deleghe stabilmente devolute date alle regioni -Criteri di inviduazione -� Ammissibilit� del ricorso per conflitto di attribuzione, 244. DOGANA -Sottrazione delle merci -Sussistenza dell'obbLigazione doganale, 242. ENTI PUBBLICI -Enti di assistenza e beneficienza Delibere concernenti trasformazioni o diminuzione del patrimonio Mancata approvazione da parte del CO.RE.CO, nei casi previsti dalla legge -Inefficacia -IrI1ilevanza della buona fede del contraente privato -Inapplicabilit� dell'art. 1444 secondo comma e.e., 322. GIURISDIZIONE CIVILE -Domanda di ricongiunzione della posizione assicurativa statale a quella I.N.P.S. -Provvedimento statale di diniego della ricongiunzione -Riicorso -Giurisdizione A.G.O., 379. INDICE DEU..A GIURISPRUllENZA -Ritardato adempimento del pagamento di crediti pecuniari derivanti da rapporto di pubblico impiego -Richiesta di danno superiore alla rivalutazione -Giurisdizione A.G..O. previa costituzione in mora e dimostrazione del danno in concreto sub�to, 3fJ7. -Ritardato adempimento del pagamento di crediti pecuniari derivanti da rapporto di pubblico impiego -Richiesta di rivalutazione e interessi -Giurisdrizione amministrativa, 306. -Tributi erariali indiretti -INVIM Efficacia dell'atto soggetto al tributo -Accertamento -Giurisdizione ordinaria, 322. ISTRUZIONE E SCUOLE -Pubblica istruzione -Insegnamento della religione cattolica -Attivit� alternative -Obbligatoriet� -Legittimazione al ricorso -Tavola Valdese g legittimata, con nota di A. PALATIELLO, 337. -Pubblica istruzione -Insegnamento della religione cattolica -Attivit� alternative -Obbligatoriet� per chi ha scelto di non avvalersi dell'insegnamento religioso -Legittimit�, con nota di A. PALATIELLO, 337. -Pubblica istruzione -Insegnamento della religione cattolica -Eccezione di illegittimit� costituzionale -g manifestamente infondata, con nota di A. PALATIELLO, 337. LAVORO -Invalidi -Assunzioni obbligatorie Contravvenzione all'obbligo di richiesta di assunzione -Definizione amministrativa -Decreto prefettizio ex art. 24 legge n. 482/68 -Opposizione Giurisdizione del giudice civile -Non sussiste trattandosi di materia riservata al giudice penale, 334. MEZZOGIORNO -Cassa per il Mezzogiorno -Contributi a fondo perduto -Inadempimento del concessionario -Revoca della sovvenzione -Controversia Rapporto di natura paritetica -Giurisdizione dell'A.G.O., 300. OBBLIGAZIONI (in generale) -Contratti della P.A. -Validit� -Presupposti -Necessaria corrispondenza fra il contenuto del contratto stipulato dall'organo investito dalla rappresentanza e la volont� manifestata dall'opgano cui spetta di deliberare -Criteri per tale corrispondenza, 322. -Obbligazioni pecuniarie -Somme liquidate in sede di lodo arbitrale � Maggior danno per ritardata corresponsione � Autonoma azione risarcitoria -Ammissibilit�, 318. -Pagamento -Quietanza -Non implica rinuncia di esplicita dichiarazione in tal senso, 318. PENSIONI -Domanda avente ad oggetto arretrati di pensione � Intervento nelle more della liquidazione de.i ratei di pensione -Domanda limitata agli interessi e rivalutazione automatica per il ritardo � Giurisdizione della Corte dei conti, 315. -Domanda di dnteressi di mora e rivalutazione basati su comportamenti colposi dell'Amministrazione -Giurisdizione del giudice ordinario, 316. -Trattamento provvisorio di pensione � Questioni volte alla restituzione di assegni trattenuti, alla corresponsione degli interessi legali e rivalutazione monetaria -Giurisdizione esclusiva della Corte dei conti, 305. REATO -C.d. condono edilizio -g istituto a s� stante, non riconducibile alle cause di estinzione del reato, 226. REGIONI -Atti degli enti locali � Comminatoria della decadenza -Competenza regionale -Non sussiste, 265. -Autorizzazione governativa agli acquisti -g necessaria, anche per le regioni a statuto speciale, 262. -Avvalimento di uffici regionali per esercizio di funzioni statali -Disposto mediante atto amministrativo statale, 244. vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLLO STATO -Controlld sugli organi degli enti locali � Spettano allo Stato, 270. -Controllo sugli atti delle unit� sanitarie locali � Attribuzione ai comitati regionali di controllo sulle province � Legittimit� costituzionale, 265. -Delega di funzioni -Direttive date in via amministrativa . Non possono essere tanto dettagliate da implicare revoca della delega, 245. -Distributori di carburanti � Lungo le autostrade oppure utilizzati da veicoli statali � Non delega delle funzioni, 245. -Fun2lione statale di indirizzo e coordinamento -Fondamento costitu� zionale e finalit�, 213. -Limite dell'interesse nazionale � Criteri del giudizio sulla sua consistenza e rilevanza, 213. -Norme di 'principio � Nozione, 213. -Potere statale di sostituzione � Natura e limiti, 213. -Turismo ed industria alberghiera � Soggiorni brevi presso affittacamere � Competenza regionale, 272. RESPONSABILIT� CIVILE -Amministrazione pubblica � Reato doloso del dipendente � Interruzione del rapporto organico � Conseguenze, con nota di F. MENARINI, 462. RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE E DELLE ENTRATE PATRIMONIALI -Esecuzione esattoriale . Devoluzione � Effetti � Procedimento � Fallimento del debitore � Non la impedisce, 395. -Sanzioni � Fallimento fiscale � Iscrizione a ruolo provvisoria . Anteriore domanda di condono � Sospen� sione della riscossione � Esclusione del fal1imento, 386. -Sanzioni � Fallimento fiscale � Presupposti � Dichiarazione oltre l'anno dalla cessazione dell'attivit� � Esclusione, 386. SARDEGNA -Trasporti sulle ferrovie dello Stato . Condizioni e tariffe � Modificazioni di portata nazionale � Competenza statale, 272. SICILIA -Assicurazioni � Rischi entro i limiti territoriali della regione � Nozione, 277. -Trasporti marittimi � Aumento ta� riffe passeggeri � Parere della regione � Necessit�, 272. -Trasporti marittimi interna2lionali � Competenza statale, 272. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Contenzioso tributario � Rimborsi � Contestazione della dichiarazione � Stesso termine quinquennale assegnato all'ufficio � Esclusione, 421. -Contenzioso Tributario � Rimborsi � Norma di imposizione dichiarata il� legittima � Rapporti esauriti � Riscossione mediante ruolo non impugnato � Definitivdt� � Riscossione mediante versamento diretto � Decadenza dal rimborso decorso il ter� mine di 18 mesi, 422. -Contenzioso Tributario � Rimborsi � Somme riscosse mediante ruolo � Difetto di impugnazione del ruolo � lnammdssibilit�, 421. -Imposta complementare sul reddito � Accertamento induttivo � Presunzione � Disponibilit� di capitali dimostrata � Presunzione di accumulo in due esercizi precedenti � Esclusione, 393. -Imposta sui redditd di ricchezza mobile � Attivit� di insegnamento � Li� bert� costituzionalmente garantita . Esenzione d'imposta � Esclusione, 408. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Attiv.it� di insegnamento � Organizzazione in forma di impresa � Doveri formali dell'imprenditore � Vi � soggetta � Difetto � Accerta� mento induttivo � Legittimit�, 408. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Imposta sui redditi dd ricchezza mobile -Plusvalenze -Intento di speculazione -Investimenti su titoli azionari -Accertamento dell'intento di speculazione in relazione alle singole operazioni -Abitualit� o professionalit� di operazioni di investimento Valore sussidiario, 439. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza -Intento speculativo -Mero frazionamento di terreno -Insufficienza, 412. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Redditi di capitale -Presunzione di fruttuosit� -Distinta presunzione di dmpiego di capitali disponibili -Legittimit�, 440. -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Societ� in liquidazione -� capace di produrre reddito, 385. -Imposta sul reddito delle persone giuridiche -Accantonamenti -Nozione -Fondo per opere di ammodernamento ed innovazione -Indeducibilit�, 403. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta generale sull'entrata -Agevolazione per il Mezzogiorno -Primo impianto di stabilimenti dndustriali -Contratti di appalto -Sono esclusi, 417. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento -Notificazione -Irregolarit� -Proposizione del ricorso -Sanatoria, 414. -Contenzioso tributario -Appello Enunciazione dei motivi -Necessit� -Motivi aggiunti -Esclusione, 401. -Contenzioso tributario -Giurisdizione delle commissdoni -Generalit� Residua giurisdizione dell'A.G.O. Indebito oggettivo -Esclusione, 406. -Contenzioso tributario -Impugnazione di terzo grado -Alternativit� Presentazione di ricorso tardivo alla Commissione centrale -Preclude il ricorso alla Corte di appello, 415. -Contenzioso Tributario -Procedimento -Intervento in appello -Inammissibilit�, 448. -Contenzioso Tributario -Ricorso per cassazione -Cassazione senza rinvio -Ammissdbilit�, 448. -Contenzioso tributario -Solidariet� -Accertamento notificato ad uno soltanto dei debitori -Decisione del relativo ricorso -Impugnazione da parte di altri condebitori -Inammdssibilit� -Successivo accertamento -Impugnabilit� autonoma, 382. -Potest� tributaria di imposizione Obbligazione tributaria -Indisponibilit� -Declaratorie e risoluzioni ammindstrative -Irrilevanza, 417. -Prestazioni patrimoniali imposte -Ri� serva di legge -Elementi sufficienti, 259. -Repressione delle violazioni -Sanzioni civild -Trasmissibilit� agli eredi -Si verifica, 401. -Riscossione -Esecuzione esattoriale Devoluzione -Decreto di revoca Natura -Impugnabilit� con ricorso per Cassazione -Ammissibilit�, 395. 5 maggio 1988, n. 507 . 5 maggio 1988, n. 512 . 19 maggio 1988, n. 556 19 maggio 1988, n. 559 10 giugno 1988, n. 612 10 giugno 1988, n. 613 10 giugno 1988, n. 618 10 giugno 1988, n. 625 10 giugno 1988, n. 627 10 giugno 1988, n. 634 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE Sed. plen., 14 luglio 1988, nelle cause 407/85 e 90/86 III Sez., 22 settembre 1988, nella causa 228/87 Sed. Plen., 5 ottobre 1988, nella causa 53/87 . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 12 gennaio 1988, n. 138 Sez. I, 14 gennaio 1988, n, 194 Sez. I, 18 gennaio 1988, n. 324 Sez. I, 2p gennaio 1988, n. 669 Sez. I, 29 gennaio 1988, n. 824 Sez. I, 11 febbraio 1988, n. 1468 Sez. I, 26 febbraio 1988, n. 2040 Sez. Un., 18 marzo 1988, n. 2476 Sez. I, 23 marzo 1988, n. 2532 Sez. I, 23 marzo 1988, n. 2535 Sez. I, 30 marzo 1988, n. 2670 Sez. I, 14 aprile 1988, n. 2968 � ,, ,, " " � pag. � � pag. � )) � ,, � " " ,, )) � 265 244 265 270 272 272 272 277 284 290 294 382 385 386 393 395 401 403 406 408 412 414 415 5 maggio 1988, n. 507 . 5 maggio 1988, n. 512 . 19 maggio 1988, n. 556 19 maggio 1988, n. 559 10 giugno 1988, n. 612 10 giugno 1988, n. 613 10 giugno 1988, n. 618 10 giugno 1988, n. 625 10 giugno 1988, n. 627 10 giugno 1988, n. 634 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE Sed. plen., 14 luglio 1988, nelle cause 407/85 e 90/86 III Sez., 22 settembre 1988, nella causa 228/87 Sed. Plen., 5 ottobre 1988, nella causa 53/87 . . . GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 12 gennaio 1988, n. 138 Sez. I, 14 gennaio 1988, n, 194 Sez. I, 18 gennaio 1988, n. 324 Sez. I, 2p gennaio 1988, n. 669 Sez. I, 29 gennaio 1988, n. 824 Sez. I, 11 febbraio 1988, n. 1468 Sez. I, 26 febbraio 1988, n. 2040 Sez. Un., 18 marzo 1988, n. 2476 Sez. I, 23 marzo 1988, n. 2532 Sez. I, 23 marzo 1988, n. 2535 Sez. I, 30 marzo 1988, n. 2670 Sez. I, 14 aprile 1988, n. 2968 � ,, ,, " " � pag. � � pag. � )) � ,, � " " ,, )) � 265 244 265 270 272 272 272 277 284 290 294 382 385 386 393 395 401 403 406 408 412 414 415 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 18 febbraio 1988, 31 marzo 1988, n. 31 marzo 1988, n. 27 aprile 1988, n. n. 177 369 373 470 pag. " � " � � ,, 213 226 242 244 259 262 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA Sez. Un., 18 aprile 1988, n. 3030 Sez. I, 27 aprile 1988, n. 3174 Sez. I, 28 aprile 1988, n. 3197 Sez. I, 8 giugno 1988, n. 3888 Sez. I, 18 giugno 1988, n. Sez. Un., 7 luglio 1988, n. Sez. Un., 7 luglio 1988, n. Sez. Un., 6 ottobre 1988, Sez. Un., 17 ottobre 1988, Sez. I, 7 novembre 1988, 4178 4480 4503 n. n. n. Sez. Un., 11 novembre 1988, 5379 5630 5995 n. 6068 Sez. I, 24 novembre 1988, n. 6314 Sez. I, 25 novembre 1988, n. 6332 Sez. I, 12 dicembre 1988, n. 6729 Sez. Un., 12 dicembre 1988, n. 6759 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI .STATO Sez. VI, 27 agosto 1988, n. 1006 Sez. VI, 19 settembre 1988, n. 1043 GIURISDIZIONI PENALI TRIBUNALE DI BOLOGNA Sez. I penale, 29 novembre 1988 Xl pag. 417 ,. 421 ,. 422 � 439 I> 448 � 300 I> 305 � 306 I> 315 ,, 318 � 453 � 322 ,, 454 � 458 � 334 pag. 337 � 379 pag. 462 PARTE SECONDA Questioni pag. 83 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE: I -Norme dichiarate incostituzionali pag. 111 II -Questioni dichiarate non fondate � 119 III -Questioni proposte . . . . . . . " 128 PARTE PRIMA 1GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALLE, 18 febbraio 1988, n. 177 -Pres. Saja - Rel. Baldassarre -P~oviince di Bolzano e di T�rento (avv. Panunzio), regione Toscana (avv. Predieri), regione Lombardia (avv. Onida) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). Regioni -Norme di principio -Nozione. (Cost., artt. 117 e 118; Statuto Trentino A.A., art. 9; l. 22 dicembre 1984 n. 892, artt. 1, 2, 3, 4 e 6). Regioni -Funzione statale di indirizzo e coordinamento -Fondamento costituzionale e finalit�. (Cost., artt. 117 e 118; Statuto Trentino A.A., art. 9; l. 22 dicembre 1984, n. 892, artt. 1, 2, 3, 4 e 6). Regioni � Limite dell'interesse nazionale -Criteri del giudizio sulla sua consistenza e rilevanza. (Cost., artt. 117 e 118; Statuto Trentino A.A., art. 9; I. 22 dicembre 1984, n. 892, artt. 1, 2, 3, 4 e 6). Regioni -Potere statale di sostituzione -Natura e limiti. (Cost., artt. 117, 118, 124 e 125; Statuto Trentino A.A., art. 87; legge 22 dicembre 1~84 n. 892, art. 5). Il legislatore ordinario statale pone norme di principio quando esprime scelte politiche-legislative fondamentali o, quanto meno, criteri o modalit� generali tali da orientarie l'esercizio del potere legislativo regionale. Non sono di principio norme aventi efficacia temporanea o natura sostanzialmente provvedimentale (1). La funzione di indirizza e coordinamento, ancorch� non espressamente classificata e definita da norme costituzionali, deve essere confi (1-4) Sentenza di grande importanza. In essa la Corte ha tracciato un disegno organico, che verosimilmente costituir� per parecchi anni punto di riferimento per la giurisprudenza costituzionale. Di particolare interesse parrebbero: -il radicamento direttamente nella Costituzione (e non gi� in fonti primarie attuative) della funzione di indirizzo e coordinamento (rectius, di indirizzo anche mediante coordinamento); � -la conferma che. il concetto di � interesse nazionale >>, oltre ad essere � elastico e relativo>>, va oltre la c.d. � infrazionabilit� � e pu� assumere conte nuti ed applicazioni molto ampi e vari; -il collegamento tra potest� sostitutive statali e funzione di indirizzo e coordinamento. 214 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gurata non gi� come mani/ est azione di un limite � ulteriore �, ma piuttosto come pura espressione dei limiti costituzionalmente prefissati alla potest� legislativa e amministrativa delle regioni (e delle province autonome): i principi fondamentali della materia (per la competenza legislativa ripartita) o quelli generali dell'ordinamento giuridico (per le autonome speciali, per le quali � stata significativamente richiesta la concorrenza dell'attuazione di un valore di rango costituzionale), gli obblighi internazionali, le norme comunitarie, le riforme economicosociali e la programmazione, gli interessi nazionali. Gli atti (legislativi e non) di indirizza e di coordinamento possono essere configurati in rielazione a due distinte funzioni: I) quella di porsi -quando � prevalso il collegamento con i limiti anzidetti -come momento di mediazione e di armonizzazione, nell'ambito di una catena di atti normativi di attuazione di disposizioni generali, diretto a segnare il passaggio graduale e circostanziato da una disciplina pi� generale ed astratta ad una pi� particolare e concreta,� e Il) quella di fissare -quand'� prevalso il collegamento con l'interesse nazionale -i criteri minimali di uniformit�, i requisiti o contenuti minimi, che, pur se dotati di un ridotto grado di generalit� o pur se addirittura di carattere specifico, siano diretti a costituire il nucleo normativo unitario intorno al quale le regioni (o le province autonome) possano aggregare una disciplina integrativa o di ulteriore sviluppo. La funzione di indirizza e di coordinamento dev,e essere aliena da forme espressive cos� analitiche e dettagliate da non lasciare alle regioni (e province autonome) un necessario spazio di autonomia entro il quale poter legittimamente svolgere la propria competenza legislativa e/o la propria azione amministrativa; peraltro lo Stato pu� legittimamente adottare una disciplina legislativa di dettaglio pur nell'ambito di I materie attribuite in via generale alla competenza regionale (o provinciale) (2). A differenza di tutti gli altri limiti costituzionalmente posti all'au I tonomia legislativa delle regioni (o province autonome), l'interesse nazionale non presenta affatto un contenuto astrattamente predeterminabile n� sotto il profilo sostanziale n� sotto quello strutturale; l'interesse I nazionale pu� giustificare interventi del legislatore statale di ordine tanto generale e astratto quanto dettagliato e concreto. Con riguardo all'� interesse nazionale �, le disposizioni statali devono essere sottoposte alle seguenti verifiche: a) che il discrezionale apprezzamento del legislatore statale circa la ricorrenza e la rilevanza dell'interesse nazionale non sia irragionevole, arbitrario o pretestuoso,� b) che la natura dell'interesse posto a base della disciplina impugnata sia, per dimensione o per complessit�, tale che una sua adeguata soddisfazione non possa avvenire senza disciplinare profili o aspetti che esorbitano dalle competenze regionali (o provinciali) e tuttavia sono necessariamente connessi con il tema oggetto della normativa in questione ( c.d. in/razionabilit� del-~ I I . I , Mf . �� . ,.. . ,i@ . m �'" :::::m � PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l'interesse), ovvero che, anche se non necessariamente infrazionabile, l'interesse invocato appaia, a una valutazione ragionevole, cos� imperativo o stringente oppure esiga una soddisfazione cos� urgente da non poter essere adeguatamente perseguito dall'intervento normativo di singole regioni (o province autonome); c) che, in qualsiasi caso, l'intervento legislativo dello Stato risulti in ogni sua parte giustificato e contenuto nei limiti segnati dalla reale esigenza di soddisfare l'interesse nazionale posto a proprio fondamento (3). In virt� del potere sostitutivo un soggetto o un organo gerarchicamente superiore oppure uno investito di una funzione di indirizza o di vigilanza nei confronti di altri soggetti, provvede, �in casi di persistente inattivit� di questi ultimi, a compiere in loro vece atti rientranti nelle competen:{)e degli stessi. Detto potere a) pu� essere esercitato dallo Stato soltanto in relazione ad attivit� regionali sostanzialmente prive di discrezionalit� nell'an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo), ora perch� sottoposte per legge (o norme equiparate) a termini perentori, ora per la natura degli atti da compiere, nel senso che la loro omissione risulterebbe tale da mettere in serio pericolo l'esercizio di funzioni fondamentali ovvero il perseguimento di interessi essenziali che sono affidati alla responsabilit� finale dello Stato; b) pu� essere legislativamente previsto a favore dello Stato soltanto come potere strumentale rispetto alllesecuzione o all'adempimento di obblighi ovvero rispetto all'attuazione di indirizzi o di criteri operativi, i quali siano basati su interessi tutelati costituzionalmente come limiti all'autonomia regionale; e) pu� esser esercitato nei confronti delle regioni (o delle province autonome) soltanto da un'autorit� di governo, nello specifico senso di cui all'art. 92 Cast., dal momento che questo � il piano costituzionalmente individuato per l'adozione di indirizzi o di direttive verso l'amministrazione regionale; d) dev'esser assistito da garanzie, sostanziali e procedurali, rispondenti ai valori fondamentali cui la Costituzione informa i pred�etti rapporti e, specialmente, al principio della � leale cooperazione �, che viene in particolare evidenza in ogni ipotesi, come la presente, nelle quali non sia (eccezionalmente) applicabile l'opposto principio della separazione delle sfere di attribuzione (4). (omissis) Oggetto dei presenti giudizi � la legge 22 dicembre 1984, n. 892, contenente norme sulla gestione in via provvisoria delle farmacie rurali nonch� alcune modificazioni delle precedenti leggi regolanti il servizio farmaceutico. (omissis) Una prima serie di censure � rivolta dalla Prowncia di Bolzano nei confronti degli artt. l, 2, 3, 4, e 6 della iLegge n. 892 del 1984 e, Hmitatamente all'art. 3 della stessa legge, da11a &egiOllle Toscana. JJI motivo comune posto a base di ambedue le impugnazioni � che negli articoli 216 RASSEGNA DEIJ.'AVVOCATURA DELLO STATO anzidetti si rinvengono disposizioni in materia di sanit� o, pi� precisamente, in materia di servi2li farmaoeutici, che, a giudizio delle ricorrenti, rivelano un carattere specifico e di dettaglrio, tale da escludere che si sia in presenza di norme di principio o di indirizro. Su tale base; e nei dimiti delle �rispettive impugnazioni, tanto la Provincia di Bolzano quanto la Regione Toscana ne chiedono la dichiarazione d'illegittimit� costituzionale per violazione della autonomia legislativa (ooncorrente) e amministrativa costituzionalmente garantita, ailla prima, dagli artt. 9, n. 10, e 16, primo comma, St. T.A.A. e, al[a seconda, dagli artt. 117 e 118 della Costituzione. A dire H vero, l'insieme delle disposizioni oggetto della presente impugnazione presenta profili di costituzionalit� che sono nettamente distinguibili secondo una duplioe articolazione. Mentre un primo gruppo di disposizioni, costituito dai primi tre articoli della legge impugnata, contiene un complesso omogeneo di norme, .relativo aJI conferimento delila titolarit� di farmacie rurali o di faI11I1acie ubicate in comuni dichiarati disastrati o terremotati a favore di chi ne aves1se una gestione provvisoria da almeno tre anni, un secondo gruppo di disposizioni invece -e preoisamente quello costituito dagli artt. 4 e 6 della legge impugnata -pone noI11I1e modificative della precedente disciplina generale sulle farmacie, prevedendo in particolare alcuni criteri innovativi, tanto sulla localizzazione de1le sedi farmaceutiche, quanto sull'acquisto deHe stesse, in mancanza di concorso, per determinati soggetti (persOIIle dichiarate idonee in concorsi .per il conferimento della titolarit� di farmacie, persone con pratica professionale di almeno un biennio). Poich� ne1l'uno e nell'altro caso si pongono differenti problemi di costituzionalit�, � opportuno tenerne distinta la trattazione. Pochi dubbi possono sussistere sul fatto che gH artt. 1-3 della legge n. 892 del 1984 contengano disposizioni specifiche, puntuali e di immediata applicazione. Ai farmacisti che da almeno un t:riieilill.io alla data di entrata in vigore della legge gesti:scO!Ilo in via provvisoria una farmacia rurale viene riconosciuto, all'art. 1, .i[ diritto a conseguire, per una sola volta, la titolarit� deMa farmacia, semprech� questa, al momento della domanda, non sia �stata gi� assegnata o non sia in corso di assegnazione a seguito di un concorso gi� espletato. Nei commi seguenti dello stesso articolo si stabiliscono le regole per il computo del triennio di gestione provvisoria, nonch� l'esclusione dal beneficio di chi abbia gi� 1 trasferito la titolarit� di altra farmacia, ai sensi delll'art. 12, quarto comma, della legge n. 475 del 1968. Con l'art. 2, poi, il beneficio ora menzionato viene esteso al di iJ.� dell'ambito delle farmacie ruirali, per collegairlo ailila gestione provvisoria triennale di farmacie ubicate in comuni dichiarati disastrati (ai sensi del D.P.C.M. 30 aprile 1981) e alle sedi farmaceutiche divenute vacanti in conseguenza del verificarsi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE delle condizioni di cui all'art. 1, u.c., della legge n. 12 del 1982 (chiusura a seguito del sisma occorso in Basilicata e in Campania nel 1980 e nel 1981). Infine, oon rart. 3 si dispone che le domande degli interessati dirette a ottenere i predetti benefici debbano pervenire, debitamente documentate, all'autorit� saind:taria competente per territorio nel termine perentorio di 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge impugnata. Lo stesso art. 3 stabilisce in chiusura che l'accertamento dei requisiti richiesti per ottenere i benefici di cui alla Jegge in questione debba essere effettuato entro un mese daMa presentazione delle domande. Come aippare evidente, qui 1si � iin presenza di un insieme di clisposizioni contenente una disciplina in s� compiuta e autoapplicativa, che, come tale, non lascia il minimo spazio non solo per un'�.potetica Iegiferamone ulteriore, ma persino per una normazione secondaria di mera esecuzione. Sotto questo profilo va, dunque, respinta la prospettazione avanzata dall'Avvocatura dello Stato che riscontra nelle disposizioni appena menzionate il carattere cli norme di principio relativamente a11a materia farmaceutica ovvero quello di lllorme dirette a stabi[ire standards minimi e uniformi per l'efficienza del servizio farmaceu1lico, secondo uno dei paradigmi delila funzione di indirizzo e coordinamento spettante allo Stato nelle materie attribuite alla competenza legislatirva (che, nel caso, � di tiipo concorrente) e amministrativa delle Regioni e delle Pirovince autonome. Dei pirinc�pi defila materia mancano alle disposizioni impugnate sia i oaraitteri sostanziali sia quelli strutturali che, secondo ila costante giurisprudenza di questa Corte, dov>rebbero esse.re loro propri. Non sii. pu� certo rinvenire nelle disposi:zfoni oggetto della presente questione la natura di norme espressive di scelte politico-legislative fondamentali o, quantomeno, di criteri o di moda1it� generali tali da costituire un sa[do punto di riferimento in grado di orientare l'esercizio del potere '1egislativo regionale. Al contrario, qui si � in presenza di una disciplina che ha il. carattere della temporaneit� e una natura sostanzialmente provvedimentale, in quanto appare diretta a sanare una situazione particolarissima che il legislatore nazionale, nel suo discrezionale apprezzamento, ha considerato di dover risolvere. Neppure sotto il profifo strutturale pu� riconoscersii alle disposizioni impugnate la natura di norme di principio, poich� in ipotesi si tratta di statuizioni al pi� basso grado di astirattezza, che, per iJ loro carattere di estremo dettaglio, non solo sono insuscettibili di sviluppi o di svolgimenti ulteriori, ma richiedono, ai fini defila loro concreta applicazione, soltanto un'attivit� di materiale esecuzione. Sotto i rprofili esaminati, in nessuna delle disposizioni contenute negli artt. 1-3 della legge n. 892 del 1984 possono dunque rinvenirsi i 218 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO caratteri essenziaii che la giurisprudenza di questa Corte ha scorto nei principi delle materie (sentt. nn. 153 del 1985 e 83 del 1982). Analogamente non pu� neppure affermarsi, come sembra dire l'Avvocatura dello Stato, che nelle disposizioni impugnate possono riscontrarsi quantomeno le caratteristiche proprie della funzione di indirizzo e di coordinamento. Anche di quesfa funzione mancano alle no:rnne in esame �tanto i caraitteri strutturali quanto le rationes che la giurisprudenza di questa Corte ha individuato come tratti es1senziali della medesima. Dalila sentenza n. 39 del 1971 fino alle pi� recenti pronunzie (come le rm. 150 del 1982, 340 del 1983, 195 del 1986, 64 del 1987), la funzione di indirizw e coordinamento, ancorch� non espressamente classificata e definita da nonne costituzionali, � stata configurata, da questa Corte, non gi� come manifestazione di un limite �ulteriore�, ma piuttosto come pura espressione dei Umi.ti costituzionalmente prefissati alla potest� [egislativa e amministrativa delle regiO'IlJi (e deHe province autonome): i princ�pi fondamenta!li della materia (per la competenza ~egislativa ripartita) o quelili generali dell'ordinamento giu(['idico (per le autonomie speciali, per le quaH � stata significatiivamente richiesta la concorrenza dell'attuazione di un valore di rango costituzionaie), gli obblighi internazionali, le norme comunitarie, [e riforme economico-sociali e la programmazione, gli interesis�i nazionali. SuMa base di questo legame di essenziale strumentalit� con la variet� dei predetti limi1ti -peraltro giustif.icato, al['indomam delle leggi del 1970, dal!la necessit� di render pi� salda, nel pi� complesso processo di coordinamento delle autonomie regionali allom avviato, la loro comune radice nelle imprescindibiihl. esigenze unitarie (art. 5 Cost.) -, gli atti di indi�rizzo e di coordinamento sono stati configurati da questa Corte in base a due distinte funzioni: a) quella di porsi -quando � prevalso i[ collegamento con i il.imiti dei principi, degli obblighi internazionali, delle norme comuillitarie, della programmazione -come momento di mediazione e di armonizzazione, neH'ambito di una catena di atti normativi di attuazione di disposizioni generali, diretto a segnare il passaggio graduale e circostanziato da una disciplina pi� generale e astratta ad una pi� particolare e concreta; b) quella di fissare -quand'� prevalso :iii collegamento con finteresse nazionale -ii criteri minimali idi uniformit�, i requisiti o contenuti minimi, che, pur se dotati di un ridotto grado di generalit� o pur se addirittura di carattere spedfioo, siano diretti a costituire il nucleo normativo unitario intorno al quale le regioni (o le province autonome) possano aggregare una disciplina integrativa o di ulteriore sviluppo. Ambedue i paradiigmi sono abbondantemente presenti nella giurisprudemia di questa Corte, ora separatamente ora congiuntamente. Tut PARTE I, SEZ. I, GIURISP�RUDENZA COSTITUZIONALE tavia, nelle disposizioni impugnate non � possibile riscontrare n� i tratti dell'uno, n� queHi dehl'altro. In esse, infatti, non si pu� rinvenire la minima traccia di norme di indirizzo o di criteri direttivi, di obiettivi da perseguire o di prescrizioni di massima valevoli per un'ulteriore e pi� particolare attivit� norma,tiva; n�, per il vero, si d� !la possibilit� di riscontrarvi una bench� minima finaHt� v�lta ad ordinare l'eventuale espressione delle autonomie regionaJli in un disegno arr.i:J.onico e unitario. Tantomeno, rpoi, pu� scorgersi nelle stesse disposizioni quel nucleo normativo di base v�lto a fissare gli standards minimali di unitariet� e di uniformit�, intomo al quale talora il fogislatore nazionale intende organizzare in modo armonico e coerente l'ulteriore normazione regionale. La disciplina che si ha di fronte � un'insieme conchiuso di disposizioni di dettaglio che attende soltanto di essere attuato nei concreti rapporti della vita reale. Questo carattere, .del resto, preclude ogni ulteriore possibile giustificazione ailla prospettazione deM'Avvocatura erariale ora discussa. Secondo il costante e consolidato insegnamento di questa Corte, � proprio della funzione di indirizzo e coordinamento, in ragione del suo stesso concetto pdma .che di qua1sivoglia sua definizione giuridica, l'essere aliena da forme espressive cos� anaHtiche e dettagliate da non lasciare alle regioni (e province autonome) un necessario spazio di autonomia entro il quale poter legittimamente svolgere la propria competenza legrsfativa e/o la propria azione amministrativa (v. ad es. sentt. nn. 307 e 340 del 1983; 245 del 1984; 356 del 1985; 195 del 1986; 64, 304 e 433 del 1987). Il totale assorbimento, da parte della disciplina impugnata, di ogni possibile spazio per l'ulteriore normazione pu� dunque esser considerato come un altro indizio, in assenza di un manifesto e obiettivo intento contrario, della volont� del legislatore di escludere che nel caso �si tratti di disposizioni dirette ad asisolvere a una funzione di indirizzo e di coordinamento. D'altra parte, non pu� essere accolta neppure la contrapposta prospettazione delle �ricorrenti, secondo la quale l'autonomia legislativa e amministrativa costituzionalmente garantita a!lle regioni (o alle province autonome) dov,rebbe ritenersi violata per il solo faltto che nelle materie attribuite alla competenza di queste ultime sia intervenuta una legge statale contenente disposizioni di dettaglio (e prive di qualsivoglia funzione di coordinamento). Nei termini appena detti tale consequenzialit� non pu� ammettersi, poich� non si pu� affatto escludere che, in considerazione della rilevanza che in ailcuni casi pu� assumere l'interesse nazionale, lo Stato possa 1legittimamente adottare una disciplina legislativa di dettaglio ipur nell'ambito di materie attribuite in via generale alla competenza regionale (o provinciale). A ben vedere, anzi, proprio la ricorrenza di questo motivo induce, nel caso di specie, a rigettare i RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 220 dubbi di costituzionalit� sollevati nei confronti degli artt. 1-3 della [egge n. 892 del 1984. A differenza di ,tutti gli altri limiti costituzionalmente posti all'autonomia legislativa delle regioni (o province autonome), l'inrteresse nazionale non presenta affatto un contenuto astrattamente predeterminabile n� sotto il iprofiJo sostanziale n� sotto quello strutturaile. Al conrtrario, si tratta di un concetto dal contenuto elastico e relativo, che non si pu� racchiudere in una definizione generale dai confini netti e chiari. Come ogni nazione dai margini incerti o mobili, che acquisrta un significato concreto soltanto in relazione al caso da giudicare, l'interesse nazionale pu� giustificare interventi del legislatore statale di ordine tanto generaile e astratto quanto dettagliato e concreto. La ragione di ci� sta nel fatto che, per raggiungere lo scopo che si prefiggono, le leggi deputate a soddisfare l'interesse nazionale nelle sue mutevoli valenze non possono non seguirne 1sino in fondo i molteplici e vari percorsi, i quali, in taluni casi, pongono in evidenza problemi la cui risoluzione pu� avvenire soltanto mediante una disciplina dettagliata e rpuntuale. Proprio in considerazione di questa sua particO'lare natura, l'interesse nazionale, se non pu� essere brandito dal legislatore statale come un'arma per aprirsi qualsiasi varco, deve esser sottoposto, in sede di giudizio di costituzionalit�, a un controMo particolarmente severo. Se cos� non fosse, la variabilit�, se non la vaghezza, del suo contenuto semantico potrebbe tradursi, nei casi in cui il legislatore statale ne abusasse, in un'intollerabille incertezza e in un'assoluta imprevedibilit� dei confini che la Cost1tuzione ha voluto porre a garanzia delle autonomie regionali (o provinciali). E, allo stesso modo, la sua potenziale pervasivit�, fin troppo evidente nel caso di legislazione di dettaglio, potrebbe causare, in mancanza di un'approfondita verifica dei IJTesurpposti di costituzionalit� relativi alla sua effettiva sussistenza, una sostanziale corrosione e un'illegittima compressione, se pure circoscritta alle fattispecie disciplinate, dell'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni (e alle province autonome). Per queste ragioni, l'orientamento consolidato di questa Corte (v. sentt. nn. 340 del 1983, 165 del 1986, 49 del 1987) � quello di procedere, di fronte all'eccezionale intervento statale nelle materie di competenza regionale (o provinciale) effettuato in nome dell'interesse nazionale, a un controllo di costituzionalit� particolarmente penetrante del relativo apprezzamento discrezionale compiuto dal legislatore. Nel corso della sua giurisprudenza questa Corte ha elaborato, con riguardo all'interesse nazionale, determinati criteri di giudizio, sulla base dei quali occorre sottoporre le disposizioni impugnate alle seguenti veri fiche: a) che il discrezionale apprezzamento del legislatore statale circa la ricorrenza e la rilevanza dell'interesse nazionale non sia irragionevole, \ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 221 arbitrario o pretestuoso, tale da comportare un'ingiustificata compressione deLl'autonomia regionale (v. spec. sent. n. 49 del 1987); b) che la natura dell'interesse posto a base della disciplina impugnata sia, per dimensioni o per complessit�, tale che una sua adeguata soddisfazione, tenuto conto dei valori costituzionali da rispettare o da garantire, non possa avvenire senza disciplinare profili o aspetti che esorbitano dalle competenze regionali (o provinciali) e tuttavia sono necessariamente connessi con il tema oggetto della norimativa in questione (c.d. infrazionabilit� dell'interesse: v. sentt. nn. 340 del 1983, 177, 195 e 294 del 1986, 49 e 304 del 1987); � -ovvero che, anche se non necessariamente infrazionabile, l'interesse invocato aippaia, a una valutazione ragionevole, cos� imperativo o stringente oppure esiga una soddisfazione cos� urgente da non poter es�sere adeguatamente perseguito, avendo sempre presenti i valori costituzionali. da garantire, dall'intervento normativo di singole regioni (o province autonome) (sentt. nn. 49 e 304 del 1987); e) che, in qualsiasi caso, l'intervento legislativo deHo Stato, considerato nella sua concreta articolazione, risu1ti in ogni sua parte giustificato e contenuto nei limiti 'segnati dalla reale esigenza di soddisfare l'interesse nazionale posto a proprio fondamento (sent. n. 49 del 1987). Poich�, nel caso di specie, oggetto dell'impugnazione � la disciplina d'un fenomeno, diffuso in tutto il territorio nazionale, che riguarda un aspetto, quello della copertura delle sedi vacanti di farmacie rurali, sostanzialmente collaterale rispetto alila materia di competenza regionale qui in contestazione, vale a dire la sanit�, � sufficiente verificare, al fine di definire hl giudizio di costituzionalit�, che l'interesse posto a base della disciplina impugnata, oltrech� infrazionabile, sia frutto di una scelta legislativa non irragionevole e sia perseguito con mezzi normativi non incongrui. Sottoposta aiJ.la prova di un siffatto scrutinio, la disciplina contenuta negli artt. 1-3 della legge n. 892 del 1984 appare del tutto rispondente ai requisiti indicati e, come �tale, giustificata sotto il profilo della legittimit� costituzionale, in ragione dell'interesse nazionale che la sorregge. Non v'� dubbio, innanzitutto, che l'apprezzamento operato dal legislatore statale dell'interesse posto a base della disciplina normativa oggetto della presente impugnazione appaia tutt'altro che irragionevole o pretestuoso. 1::, infatti, indiscutibile la notevole rilevanza sociale di un fenomeno, diffuso in tutto il territorio nazionale, che il legislatore ha non arbitrariamente considerato come fonte di profondo disagio sociale, di ingiusta precariet� e di trattamento deteriore a danno di un consistente grlllppo di pe11sone, rimaste escluse dalla titolarit� di farmacie RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (rurali) per !la riconosciuta cattiva utilizzazione in sede locale dei nor� mali meccanismi concorsuali o per cause legate a calamit� naturali. A testimonianza di siffatta valutazione si pu� anche ricordare l'elevato numero di proposte di legge depositate alle Camere rper dare risoluzione al problema poi affrontato con la legge impugnata e [a notevole ampiezza dei consensi da questa riscossi tanto in sede di deliberazione parlamentare quanto nei commenti successivii. In secondo luogo, una volta riconosciuta come una delle cause del fenomeno regolato dalle disposizioni in contestazione .ili cattivo o l'impossibile funzionamento degli ordinari meccanismi di copertura delle 1sedi e una volta prescelta la via della .sanatoria come soluzione pi� opportuna per far fronte aille conseguenze negative che ne erano derivate, appare evidente la necessaria connessione della disciplina impugnata con profili normativi esorbitanti dalle competenze regionali (o provinciali): �trattandosi, infatti, di un'eccezionale e provvisoria deroga al principio generale dell'assegnazione deHa titolarit� di farmacie in base a un concorso e non rientrando nelle ipotesi derogatorie gi� previste dalla legislazione nazionale, la disciplina impugnata incide di.rettamente e necessariamente su interessi di cui soltanto il legislatore statale pu� disporre (cos� come, dcl resto, aveva gi� fatto con la legge n. 34 del 1981, senza subire contestazione alcuna). Inoltre, tenendo ancora presente la causa principa1e del fenomeno regolato dalle disposizioni impugnate, non v'� dubbio che lo stru� mento della sanatoria si configura quale mezzo indiisrpensaMle per l'adeguata soddisfazione dell'interesse sottostante alle novme sospettate di incostituzionalit�. E, a dire il vero, se si hanno presenti le condizioni e i termini previsti, i quali sono chiaramente diretti a prevenire i pericoli di ingiustificate estensioni dei benefici concessi, non si pu� nemmeno dubitare che la disciplina dettata dal ilegislatore statale oltrepassi i rigorosi limiti richiesti dall'effettiva esigenza di soddisfare l'interesse nazionale. (omissis) Un'ultima censura, prospettata tanto dalle Province di Trento e di Bolzano quanto dalle Regioni Lombardia e Toscana, si appunta contro l'art. S della legge n. 892 del 1984. Questo articolo dispone che, ove le regioni e le province autonome non provvedano a bandire il concorso per l'assegnazione deHe farmacie vacanti o di nuova istituzione entro il termine previsto dall'art. 3 della legge n. 475 del 1968, il. Commissario del governo, previa diffida, provvede entro 30 giorni dal predetto termine a nominare un commissario ad acta, responsabile verso di lui, il quale � incaricato dell'indizione del bando di concorso e del relativo espletamento fino all'assegnazione delle farmacie ai vincitori. I profili in relazione ai quali le ricorrenti dubitano deMa legittimit� costituzionale del predetto art. S sono molteplici. Per le P.rovince di Trento e di Bolzano le disposizioni citate contrastano �con l'art. 87, n. 2 I I I ! ... . .. I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE St. T.A.A., in base al quale i poteri del Commissario del governo sono circoscritti alla vigilanza sull'esercizio delle sole funzioni delegate dallo Stato alle province e alla comunicazione di eventuaH rilievi al Presidente della Giunta provinciale. Per [a Regione Toscana l'art. 5 contrasta con gli artt. 117, 118, 124 e 125 Cost., sia perch� attribuisce i11egittimamente allo Stato funzioni amministrative spettanti alle regioni, sia perch� conferisce indebitamente un potere di controllo sostitutivo nei confronti di atti amministratirvi della regione che, oltre a spettare ex art. 125 Cost. ad organi diversi, non rientra comunque nel �quadro delle competenze riconosciute dalla Costituzione al Commissario del governo. Infine, per la Regione Lombardia l'art. 5 contrasta con gli artt. 124 e 125 Cost. in quanto il potere ivi di1sdplinato non pu� iscriversi tra le ipotesi di controllo sostitutivo costituzionalmente previste �on �riguardo alle relazioni fra l'amministrazione statale e quella regionale, trattandosi di un potere che inerisce a rapporti �di gerarchia o di tutela e che, comunque, quando � previsto fra Stato e regioni, dev'essere assistito da particolari garanzie sostanziali (come i[ collegamento con funzioni di indirizzo e coordinamento, rapporti di �.leale cooperazione�, etc.) o formali (come l'imputazione al governo naziona1e, il parere di una commissione parilamentare, etc.), che nel caso 1sono assenti. (omissis) Nel merito, tuttavia, le censure prospettate contro l'art. 5 lella legge n. 892 del 1984 si rivelano fondate. � ben vero, come afferma una delle ricorrenti, che il controllo sostitutivo � un istituto presente in svariati settori del diritto pubblico, consistente in un potere eccezionale, particolarmente penetrante, in virt� del quale un soggetto o un organo gerarchicamente superiore oppure uno investito di una .funzione di indirizzo o di vigilanza nei confronti di altri soggetti, provvede, in casi di pe11Sistente inattivit� di questi ultimi, a compiere in loro vece atti I"ientranti nelle competenze degli stessi. Tuttavia, �quando � previsto nei rapporti tra Stato e regioni in relazio}le alle materie proprie di queste, il controllo sostitut:ivo, pur conservando i suoi caratteri essenzia!li, assume connotazioni .particolari, .legate al fatto che, nel caso, tale potere ha di fronte a s� un'autonomia politica e amministrativa cos�tituzionalmente defini�ta e garantita. Innanzitutto, �si tratta di un potere collegato a posizioni di controllo o di vigilanza, ovviamente esulanti da relazioni di tipo gerarchico, che pu� esser esercitato dallo Stato soltanto in relazione ad attivit� regionali sostanzia!lmente prive di �discrezionalit� neM'an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo), ora perch� sottoposte per 1legge (o nonne equiparate) a tennini perentori, ora per la natura degli atti da compiere, nel senso che la loro omissione Tisulterebbe tale da mettere in serio pericolo l'esercizio di funzioni .fondamentali ovvero il perseguimento di RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO interessi essenziali che sono affidati alla responsabilit� finale dello Stato. In secondo luogo, il controllo sostitutivo nei confronti di attivit� proprie delle regioni pu� esser legislativamente previsto a favore dello Stato soltanto come potere strumentale Tispetto all'esecuzione o all'adempimento di obblighi ovvero rispetto all'attuazione di indirizzi o di criteri operativi, i quali siano basati su interessi tutelati costituzion~mente come Jimiti all'autonomia regionale (v. sentt. nn. 177 e 294 del 1986, 64 e 304 del 1987). Solo in tali ipotesi, infatti, possono riscontrarsi interessi in grado di permettere allo Stato, quando ricorrano le necessarie condizioni di forma e di sostanza per un intervento sostitutivo, di superare eccezionalmente la separazione di competenza tra lo Stato stesso e le regioni stabilita dalla Costituzione (o dagli Statuti speciali) nelle materie attribuite all'autonomia regionale (o provinciale). In terzo luogo, il potere sostitutivo pu� esser eserdtato nei confronti delle regioni (o delle province autonome) soltanto da un'autorit� di governo, nello specifico senso di cui all'art. 92 Cost., dal momento che questo � il piano costituzionalmente individuato per l'adozione di indirizzi o di diirettive verso l'amministrazione regionale e per [a vigilanza e il controllo nei confronti dell'attuazione regionale dei princ�pi o dei vincoli legittimamente disposti a livello nazionale (ovvero sovranazionale o internazionale). Infine, l'esercizio del controllo sostitutivo nei rapporti tra Stato e regioni (o province autonome) dev'esser assistito da garanzie, sostanziali e procedurali, rispondenti ai valori fondamentali cui la Costituzione informa i predetti rapporti e, specialmente, al principio della � leale cooperazione �, che viene in particolare evidenza in ogni ipotesi, come la presente, nelle quali non sia (eccezionalmente) applicabile l'opposto principio della separazione delle sfere di attribuzione (v. sentt. nn. 153 e 294 del 1986). E fra queste garanzie deve considerarsi inclusa l'esigenza del rispetto di una regola di proporzionalit� tra i presupposti che, nello specifico caso in considerazione, �legittimano l'intervento sostitutivo e il contenuto e l'estensione del relativo potere, in mancanza della quale quest'ultimo potrebbe ridondare in un'ingiustificata compressione dell'autonomia regionale (v. sentt. n .. 177 e 294 del 1986). Esaminato sulla base di tali criteri valutativi, l'art. 5 della legge n. 892 del 1984 appare viziato di illegittimit� costituzionale, in quanto � diretto a istituire una forma di controllo sostitutivo che, per lo meno, risulta attribuita a un organo, il Commissario del governo, inidoneo ad esser titolare del relativo potere. L'inidoneit� deriva dal fatto che tale organo �, per un verso, costituzionalmente sprovvisto dei poteri che rappresentano la necessaria premessa per la titolarit� di una qualche specie di controllo sostitutivo verso le regioni e, per altro verso, non si identifica PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB in nessuno degli organi che l'art. 92 Cost. comprende nel concetto di governo. Sotto il primo profilo, va sottolineato che la figura del controllo sostitutivo non pu� venir collegata a nessuno dei poteri che la Costituzione attribuiS'ce positivamente al Commissario del governo nei confronti delle attivit� amministrative proprie delle regioni. Secondo l'art. 124 Cost., il Commissario � un organo decentrato dello Stato, operante in ciascuna regione, che sovraintende soltanto alle funzioni amministrative statali per coordinarle, su una base paritaria, con quelle regionali. Inoltre, al Commissario, come tale, non spetta neppure il controllo sugli atti amministrativi delle Regioni, che, sulla base dell'art. 125 Cost., � stato attribuito dalla legge a un organo collegiale decentrato, la Commissione di controllo, di cui � presidente il Commissario medesimo. Infine, anche in relazione alle ipotesi di scioglimento dei Consigli regionali ex art. 126 Cost., al Cominissario del governo possono riconoscersi poteri di informazione e di controllo, che tuttavia non sono in grado di giustificare eventuali interventi sostitutivi. E, poich� i controlli nei confronti di una autonomia costituzionalmente definita e garantita sono da considerarsi di stretta interpretazione, si deve escludere che una legge ordinaria dello Stato possa introdurne di nuovi in mancanza di una precisa base costituzionale. D'altra parte, � difficilmente contestabile � che forme di controllo sostitutivo verso le regioni sono imputabili dalla legge soltanto ad organi che, per poter legittimamente adottare indirizzi ed esercitare controlli 1 nei confronti dell'amministrazione regionale e della relativa istanza di vertice (la Giunta), non possono esser che organi di governo (art. 92 Cost.). � solo su questo piano, infatti, che operano organi in grado di vigilare sull'unitariet� e sul buon andamento deHa complessiva amministrazione pubblica e che possono intervenire nei confronti �di autonoinie costituzionalmente tutelate con poteri cos� penetranti come quelli sostitutivi nel rispetto delJe garanzie fondamentali proprie del nostro sistema costituzionale, prima fra tutte queHa di doverne rispondere al Parlamento nazionale. L'illegittimit� costituzionale dell'art. S della legge n. 892 del 1984 appare ancor pi� evidente in relazione alle censure mossegli dalle Province di Trento e di Bolzano. La particolare configurazione del Commissario del governo nelle due province, come delineata dall'art. 87 St. T.A.A., restringe il potere di vigilanza di tale organo nei confronti delle attivit� amministrative esercitate dalle province stesse (oltrech� dagli altri enti pubblici locali) soltanto alle funzioni ad esse delegate dallo Stato. Sotto tale profilo, la carenza di una base costituzionale diretta a legittimare un potere sostitutivo del Commissario del governo verso attivit� amministrative proprie delle due province autonome � cos� netta ed evidente da non meritare ulteriori motivazioni. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 226 CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1988 n. 369 -Pres. Saja -Rel. Dell'Andro -Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato TaUarida). Reato -C.d. condono edilizio -~ istituto a s� stante, non riconducibile alle cause di estinzione del reato. (Cost. artt. 3, 25, 79 e 101; l. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 35, 38, 39 e 44). Il decreto di amnistia estingue direttamente, senza mediazioni f attuali, alcuni effetti determinati da norme incriminatrici; gli effetti estin� tivi derivano dal decreto di amnistia e non dalla volont� dell'interessato. Il c.d. condono edilizio non integra gli estremi dell'amnistia. D'altro canto, il pagamento integrale della oblazione � soltanto l'ultimo momento di una complessa fattispecie estintiva, la quale produce anche la concessione della sanatoria amministrativa. Il c.d. condono edilizio non pu� essere ricondotto ai tradizionali istituti di clemenza o comunque estintivi del reato,� esso � istituto a s� stante, che presuppone una netta distinzione tra reato e punibilit�, e che d� luogo ad una causa di sopravvenuta improcedibilit� (processuale) dell'azione penale (1). 2. -La prima questione sottoposta all'esame della Corte attiene alla natura giuridica del c.d. �condono edilizio� di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47. Risultano, infatti, impugnati dal Pretore di Pietrasanta gli artt. 31, 35, 38, 39 e 44 e dal Pretore di Mal� gli artt. 31, 35 e 38 della sopra citata legge, assumendosi anzitutto che le predette norme configurino un provvedimento, non emesso con le garanzie di cui all'art. 79 Cost., d'amnistia � mascherato �. I giudici a quibus escludono che il condono edilizio integri un'ipotesi d'oblazione, come sostenuto dall'Avvocatura dello Stato; questa Corte, pertanto, � necessitata a prendere posizione, nei limiti, s'intende, di questa sede, anzitutto sulle figure dell'amnistia e dell'oblazione (al fine di stabilire se le norme impugnate integrino l'una o l'altra figura) e, nel caso l'indagine risulti negativa (nel senso che le predette norme non s'inquadrino nelle citate figure giuridiche) a delineare la natura �atipica� (anche questa tesi � sostenuta da altre ordinanze di (1) Sulla base di una attenta analisi della funzione �deterrente e d'orientamento culturale� assegnata alla sanzione penale ai giorni nostri, la Corte supera gli schemi dei � tradizionali istituti di clemenza � e permette al legislatore ordinario di configurare cause (per cos� dire atipiche) di sopravvenuta improcedibilit� dell'azione penale, le quali incidono sull'azione penale e sul processo. Solo in via indiretta -per lo stretto collegamento tra reato, sua punibilit�, azione penale e processo -tali cause incidono anche sulla qualificazione dell'illecito. La sentenza � di grande importanza, non solo sul piano teorico: in molte � materie� (si pensi ad esempio a quella tributaria) potranno aversi applicazioni dei principi in essa affermati. PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE rimessione citate in epigrafe) del �condono ediilizio � qui in discussione. Il Pretore di Pietrasanta fa riferimento agli artt. 3, 25, primo comma, 79 e 101, secondo� comma, Cost. mentre il Pretore di Mal�, agli artt. 25, primo comma, 101, secondo comma e 79 Cost. (omissis) Il dibattito sulla natura giuridica del c.d. � condono edilizio � di cui alle norme impugnate si � sviluppato, durante i lavori preparatori della legge in discussione e successivamente all'emanazione della stessa legge, partendo da tre distinte posizioni: per la prima, il condono edilizio in esame costituirebbe forma (per i pi� anomala) d'amnistia condizionata; per la seconda, lo stesso condono costituirebbe forma particolare d'oblazione extraprocessuale; per la terza, infine, rilevata la difficolt� d'inquadrare le norme impugnate in una delle due figure, rilevato altres� il vizio concettualistico e I'� apriorismo logico � di volere a tutti i costi inquadrare in una delle due citate figure il condono edilizio in esame, il medesimo integrerebbe un provvedimento di clemenza atipico. Qui va, anzitutto, rilevato che � davvero �arduo � tentare d'inquadrare (utilizzando la terminologia dei sostenitori delle prime due tesi innanzi indicate) un'anomala ipotesi d'amnistia condizionata ed una particolare forma d'oblazione extraprocessuale negli istituti generali, rispettivamente, dell'amnistia e dell'oblazione, quando non v'� ancora certezza o, comunque, sufficiente chiarezza in ordine ai predetti istituti. Dottrina e giurisprudenza, infatti, pur avendo a lungo ed approfonditamente discusso intorno al concetto (di genere) causa d'estinzione del reato (entro questo concetto il codice penale inserisce sia l'amnistia sia ['oblazione) non hanno dedicato complete indagini su tutte le pairticolarri cause d'estinzione, non sottolineando a dovere che il codice penale riconduce al concetto �di genere� le pi� svariate figure (dall'amnistia alla morte del reo, alla prescrizione ecc.) sulla base d'una sola nota effettuale, quella d'estinguere il reato. Il necessario dibattito sul significato di questa formula (com'� noto, una novit� del vigente codice penale) non esclude l'esame del diverso fondamento, dei diversissimi modi di funzionamento delle singole cause d'estinzione: anzi, da questo esame pu�, invero, pervenire nuova luce proprio intorno al concetto generale di causa d'estinzione del reato. Le necessit� della � pratica � richiamano l'attenzione su due specifiche, particolari cause d'estinzione (l'amnistia e l'oblazione) e in generale sul �condono edilizio� di cui alla legge n. 47 del 1985, moderna ed ormai diffusa forma di � clemenza�, che mostra, fra l'altro, come anche l'estinzione del reato di cui all'art. 38, secondo comma, della precitata legge � da tener distinta, dati i diversi presupposti, dall'estinzione del reato di cui all'art. 13 della stessa legge. Il condono edilizio di cui alle norme impugnate non integra gli estremi dell'istituto dell'amnistia. L'amnistia (come l'indulto) �, invero, 228 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO SlATO una particolarissima causa d'estinzione. Intanto, in ordine ad essa, una legge (il codice penale) prevede il decreto d'amnistia (ed indulto) come estintivo (si vedr� subito �di che�) senza far riferimento ad alcuna fattispecie concretamente estintiva. Dal fondamento dell'amnistia (misura di clemenza generalizzata) deriva un suo specifico modo di funzionare, w.(�:�4; I.� ' . . una particolare struttura che la diversifica dalle altre cause d'estinzione. Mentre, in generale, le altre cause (ma si dovrebbero, poi, distinguere, una per una le �altre� cause) operano, producono l'estinzione attrav~rso la mediazione d'un fatto, d'una fattispecie concreta, l'amnistia produce, direttamente, l'effetto estintivo senza mediazione fattuale alcuna. Il codice penale, per le altre cause d'estinzione, di cui agli artt. 150 e segg., indica specificamente i fatti, le fattispecie, poste in essere le quali, in concreto si produce l'effetto estintivo (i fatti ad es. della morte del reo, del decorso del tempo ecc.); per l'amnistia, invece, fa discendere (a parte l'amnistia c.d. �condizionata�, alla quale si accenner� fra breve) l'effetto estintivo direttamente, senza mediazioni di sorta, dal decreto d'amnistia, quasi unanimemente riconosciuto di natura legislativa. Carattere peculiare dell'amnistia �, infatti, anzitutto quella d'incidere sulla � punibilit� � determinata da alcune norme penali incriminatrici. Si badi: della � punibilit� � che � gi� effetto della norma e che, pertanto, ben pu� essere � estinta � prima ancora che siano accertati i fatti di reato dai quali �potrebbe conseguire� l'effettiva punibilit� del reo. Dall'esame delle relazioni tra la disposizione, di parte generale, di cui all'art. 151 c.p. e le disposizioni incriminatrici di parte speciale si evince che il legislatore ordinario, nel determinare, nelle singole disposizioni incriminatrici, la punibilit� (principale ed accessoria, l'applicabilit� �delle misure di sicurezza e l'eventuale responsabilit� per le obbligazioni civili per l'ammenda) dei soggetti realizzatori di alcune fattispecie tipiche, prevede anche l'eventualit� che la stessa punibilit� venga estinta da un (futuro) decreto d'amnistia (ed indulto). L'art. 151 c.p. viene, pertanto, ad integrare le singole disposizioni incriminatrici: alcune situazioni effettuali, di punibilit�, previste da queste ultime disposizioni, vengono cos� a cadere sotto l'eventuale ambito d'influenza della disposizione integratrice di cui all'art. 151 c.p., rimanendo soggette all'eventualit� dell'estinzione ad opera d'un futuro decreto d'amnistia. Nessuno pu� fondatamente ritenere d'identificare il decreto d'amnistia, sol perch� incide su alcuni effetti predisposti da norme incriminatrici, impedendo ai medesimi di permanere in relazione ad alcuni fatti coperti dal beneficio, con la norma abrogatrice. Non si pu� tacere, tuttavia, che. il decreto d'amnistia estingue (peraltro soltanto in relazione a fatti tipici relativi ad un tempo circoscritto) direttamente, senza mediazioni fattuali, alcuni effetti determinati da norme incriminatrici precedenti. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Gli effetti estintivi del decreto d'amnistia si diversificano da quelli prodotti dalla legge abrogatrice non tanto perch� quest'ultima riguarda normalmente il futuro quanto per il rilievo che la legge abolitiva d'incriminazioni estingue tutti gli effetti determinati dalla legge incriminatrice: l'amnistia incide, invece; soltanto sulla punibilit�, principale ed � accessoria �, sull'applicabilit� delle misure di sicurezza, e sulle obbligazioni civili per l'ammenda relative ai fatti tipici, commessi in un circoscritto periodo di tempo, anteriore alla proposta di delegazione. Gli effetti penali ( � e non�) determinati dalla legge incriminatrice permangono, invece, tutti, intatti, in relazione a tutti i fatti, precedenti e successivi, non rientranti nel periodo beneficiato. Incidendo sul �dover essere� della pena (determinato da alcune norme incriminatrici, per l'ipotesi che si verifichino alcuni fatti tipicamente indicati) ossia sU!lla punibilit� (astratta) dei fatti commessi nel periodo di tempo previsto d!.il relativo decreto, l'amnistia � propria � opera, sul piano processuale (a parte l'amnistia c.d. condizionata) anzitutto quale fattispecie costitutiva dell'obbligo di dichiarare di non doversi procedere, salve ovviamente le ipotesi di oui a11'art. 152 c.p.p. Gli effetti estintivi derivano dal decreto d'amnistia e non dalla volont� dell'interessato. Ed ogni �ulteriore� efficacia, sostanziale o processuale del predetto decreto, discende, quale ulteriore conseguenza, dalla prima, diretta incidenza del decreto stesso su alcuni effetti determinati dalle norme incriminatrici. Ed � per questa incidenza che l'amnistia (impropria) opera anche dopo la condanna, estinguendo, con le pene accessorie, l'esecuzione della pena. Le ordinanze dei Pretori di Pietrasanta e Mal� assumono che, attraverso le disposizioni impugnate, sarebbe stata concessa ull'ammsua sottoposta alla condizione del pagamento d'una somma a titolo d'oblazione. Or � ben vero che l'amnistia pu� essere sottoposta a condizioni o ad obblighi, secondo la lettera dell'art. 151, quarto comma, c.p. e, pertanto, anche al pagamento d'una somma di danaro: ma non di �condizioni� in senso proprio si tratta. La condizione (sospensiva) infatti, presuppone sempre (essa �, appunto, elemento futuro) precedenti elementi c.d. essenziali, la produzione, da parte dei quali-, di concreti effetti giuridici � appunto condizionata e, pertanto, paralizzata dal mancato avveramento della medesima: la condizione, cos�, completa e conclude una serie precedente di altri elementi (c.d. essenziali). Per l'amnistia �propria� tutto ci� non avviene, non pu� strutturalmente avvenire: anche quando il decreto d'amnistia prevede il pagamento d'una somma di danaro come c.d. condizione (sospensiva) dell'effetto estintivo, tal pagamento non si trasforma mai in � condizione � in senso tecnico, perch� mancano i precedenti elementi c.d. essenziali. Tant'� vero che, nell'amnistia propria, non � data neppure la possibilit� di previsione di condizioni risolutive 230 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in senso proprio: queste ultime presuppongono, infatti, gi� prodotti (in concreto, si badi) da precedenti c.d. elementi essenziali della fattispecie, effetti giuridici, che vengono a risolversi poi, ex tunc, attraverso l'avveramento della condizione risolutiva. Ma ci� non pu� verificarsi, relativamente all'amnistia, appunto per la mancanza d'una completa fattispecie che, per le �altre� cause d'estinzione, di regola, media la produzione dell'effetto giuridico estintivo. La ragione della regola ora indicata sta nel rilievo che il decreto d'amnistia, pur condizionato, determina sempre, autonomamente, l'effetto estintivo: e per tal motivo non pu� attribuire ad alcuna fattispecie la virt� concretamente mediatrice dell'effetto stesso. Anche se l'unica ragione della concessione del beneficio penale, di cui alle disposizioni impugnate, fosse il pagamento (oblazione) d'una somma di danaro da parte dell'autore del J:eato (fra l'altro le disposizioni impugnate richiedono il predetto pagamento anche a soggetti diversi dall'autore del reato) a parte i limiti �esterni� di costituzionalit� delle disposizioni stesse, tutto si sarebbe potuto ravvisare nelle predette disposizioni meno che la concessione d'una classica amnistia. Il discorso si pone diversamente per l'amnistia �impropria�; ma le disposizioni impugnate non possono certamente, come si chiarir� fra breve, essere interpretate come concessione d'amnistia �impropria� (ove i questa fosse configurabile anche in mancanza di concessione d'amnistia W: �propria�). I L'amnistia � propria � pu�, dunque, ben esser sottoposta a positivi f. obblighi (non, dunque, a �condizioni� in senso tecnico) la mancata esecut: ~ zione dei quali non paralizza, tuttavia, alcuna viTt� effettuale di (precedenti temporalmente) elementi essenziali e la cui esecuzione elimina l'ostacolo che, per volont� dello stesso decreto, paralizza l'effetto estintivo. Questa diretta produzione dell'effetto estintivo, da parte del decreto I d'amnistia, � ben sottolineata dall'Avvocatura dello Stato. Le disposizioni impugnate dai Pretori di Pietrasanta e Mal�, preve I dono, invece, una complessa e varia fattispecie produttiva di effetti I estintivi, che rende del tutto inavvicinabili le stesse disposizioni a quelle concessive della classica amnistia (�propria� od �impropria�). L'equi I voco nasce, forse, dall'aver la dottrina troppo insistito sul rilievo per il quale � l'oblazione ad estinguere il .reato. Per vero, non � l'oblazione, I isolatamente, che ha tal virt�; dagli artt. 31, 35, 38, 39 e 44 della legge in esame (gli articoli, appunto, impugnati dalle ordinanze innanzi richia I mate) � prevista una complessa fattispecie estintiva, che si compone, t per sintetizzare, anzitutto della domanda di sanatoria e del pagamento ' della (prima) rata di cui al primo comma dell'art. 35 (e questi elementi, per il disposto di cui al primo comma dell'art. 38, gi� producono effetti preliminari, la sospensione del processo penale e di quello per le san I zioni amministrative) dell'intero procedimento amministrativo, non giu l II I PARTB I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE risdizionale, per la sanatoria ed, infine, del pagamento integrale della oblazione. Tal pagamento �, soltanto, l'ultimo elemento della precitata complessa fattispecie estintiva, la quale, almeno di regola (salvo, infatti, il caso di opere insanabili) produce, oltre all'effetto penalmente estintivo, anche l'effetto, costitutivo, determinato dalla concessione della sanatoria amministrativa. Una stessa fattispecie viene ad essere, pertanto, almeno di regola, costitutiva (di effetti amministrativi) ed estintiva (di effetti penali). Dalle disposizioni normative impugnate risulta che tutti i precitati effetti sono unicamente rimessi alla volont�, per quanto � condizionata � (v. art. 40 e capo I della legge) degli interessati; questi cos� divengono, insieme alle competenti autorit� amministrative, fattori determinanti i previsti sviluppi delle vicende giuridiche sostanziali e processuali. Gli effetti previsti dalle norme impugnate si producono in concreto non come ulteriori conseguenze d'una diretta, preliminare estinzione della punibilit� � astratta � di alcune norme incriminatrici di parte speciale, bens� soltanto a seguito delle manifestazioni di concrete volont� degli interessati e dell'autorit� amministrativa. D'altra parte, poich� il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative, ai sensi del primo comma dell'art. 38 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, vengono sospesi, a seguito della presentazione della domanda di cui all'art. 31 e dell'attestazione del versamento deHa somma di cui al primo comma dell'art. 35 della stessa legge, non sorge, dalla domanda (di concessione della sanatoria) e dal precitato pagamento, alcun obbligo, nel giudice, d'immediata declaratoria di � non doversi procedere�: anzi, il �giudizio� pu� riprendere ove non si verifichino gli altri adempimenti, rimessi sempre alla volont� degli interessati. L'effetto definitivamente impeditivo dell'ulteriore corso del procedimento penale e quello estintivo dei reati, di cui al secondo comma dell'art. 38 della legge n. 47 del 1985 (lo stesso comma usa la locuzione � estinguere i reati�, come il codice penale negli artt. 150 e segg., sicch� � qui superfluo aggiungere che, ove si ritenga che l'oblazione in esame costituisca, come � altre� situazioni di estinzione del reato, causa sopravvenuta di non procedibilit�, l'effetto sostanziale si produrrebbe in conseguenza dell'effetto processuale) deriva dunque dall'intera �mediatrice� fattispecie sopra descritta (dal fatto mediatore dell'efficacia estintiva) e non dall'integrale corresponsione dell'oblazione, determinata, in via definitiva, dal Sindaco, ai sensi del nono comma dell'art. 35 della legge in esame, contestualmente al rilascio, di regola, della concessione od autorizzazione in sanatoria. N� il � condono � di cui alle disposizioni impugnate pu� esser inquadrato fra le cause d'estinzione della pena: quest'ultima, ai sensi delle predette disposizioni, non pu� essere concretamente irrogata; conse 232 r� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO guentemente non pu� � estinguersi � ci� che . non � sorto, cio� una pena non concretamente inflitta. Anzi, a questo proposito, va sottolineato che significativo � che le norme impugnate, mentre consentono l'applicazione del beneficio ivi previsto durante il procedimento penale, prima della decisione definitiva di merito (e �singolare� � che, tuttavia, come si � notato, il giudice non pu� � chiudere � � ipso iure � il processo ma deve attendere il versamento, nel termine stabilito dalla legge, dell'integrale oblazione che, come si � visto, �, almeno di regola, determinata contemporaneamente alla concessione od autorizzazione in sanatoria) dopo la definitiva condanna il � condono � in discussione opera in maniera quasi opposta all'amnistia impropria: quest'ultima fa cessare l'esecuzione delle pene principali ed accessorie ma non incide, di regola, sugli � effetti penali � della condanna mentre il � condono � in esame non interferisce sull'esecuzione delle predette pene e, tuttavia, incide su alcuni �effetti penali�: ai sensi del terzo comma dell'art. 38 della legge n. 47 del 1985, infatti, non si tien conto della condanna ai fini dell'applicazione della recidiva e della sospensione condizionale della pena, � fatta menzione della oblazione nel casellario giudiziale � dell'au tore del reato. V'� anche da escludere che il � condono � di cui agli artt. 31 e segg. della legge in esame possa esser ricondotto ad una delle �altre� tipiche, ex art. 150 e segg. c.p., cause d'estinzione del .reato: le particolarit�, notevolissime, del predetto condono non consentono, infatti, d'inquadrarlo ad es. nell'oblazione di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p. A parte ogni discussione su quest'ultima, non da pochi Autori considerata, essa stessa, una grave anomalia nel sistema, � ben vero che il � condono � penale in esame opera, a differenza dell'amnistia, esclusivamente a seguito della realizzazione della fattispecie estintiva pi� volte indicata: ma l'oblazione di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p., commisurata (terza parte o met� del massimo) all'ammenda stabilita dalla legge per la � contravvenzione � commessa, equivaile ad una, per cos� dire, anticipata esecuzione della pena pecuniaria. Di tal che, a parte altri rilievi in ordine alla necessit� del pagamento dell'ammenda, di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p., entro ben precisi termini processuali (prima dell'apertura del dibattimento ovvero prima del decreto di condanna) ed anche non tenendo presenti le � vecchie � tesi per le quali la stessa oblazione �trasformerebbe� l'illecito penale in illecito amministrativo, l'esame del fondamento della causa d'estinzione di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p., approfondita nella sua specificit�, dimostra agevolmente che ben poco essa ha a che vedere con la causa d'estinzione di cui alle norme impugnate, con l'uso cio�, da parte del legislatore ordinario, della punibilit�, considerata distinta ed autonoma dal reato, quale mezzo per � orientare � condotte susseguenti all'illecito sotto il miraggio del premio del PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l'estinzione del reato. Le finalit� del condono penale in esame hanno conseguentemente anche ben poco a che vedere con il generale istituto della conciliazione amministrativa. Il �condono edilizio�, di cui agli artt. 31 e segg. della legge n. 47 del 1985, non pu� esser ricondotto ai tradizionali (forse arcaici) istituti di clemenza o, comunque, estintivi del reato, perch� possiede una propria, particolare ragion d'essere e cos� una propria fisionomia: esso va studiato a s�, singolarmente, a prescindere da ogni formalistico, inattuale avvicinamento a vecchie formule o ad antichi istituti. . Il condono penale in esame presuppone, sistematicamente, una netta distinzione, se non una separazione, tra reato e punibilit�. Da sempre, � vero, le ipotesi delle cause, successive alla commissione del fatto di reato, d'esclusione della punibilit� hanno costituito oggetto di radicali, profondi quanto irrisolti dubbi. Si trattava, tuttavia, di dubbi dommatici: non si riusciva a �sistemare� la punibilit� come categoria autonoma, dato il presupposto che la medesima era necessaria, immediata, diretta conseguenza della commissione del reato. Vero � che il legislatore moderno, repentinamente destando la dottrina e la giurisprudenza (non dal � sonno � ma) da � sogni � dommatici, non solo d� per scontato che la � punibilit� � abbia una � consistenza � autonoma, un valore autonomo, rispetto al reato ma dimostra che la medesima pu� essere usata per ottenere dall'autore dell'illecito prestazioni �utili� a fini spesso estranei alla tutela del bene � offeso � dal reato. Facendo balenare all'autore dell'iillecito, punibile, l'esclusione od attenuazione della punibilit�, il legislatore � orienta �, � dirige � la condotta del reo susseguente al reato al raggiungimento di fini dallo stesso legislatore � desiderati �. Or qui non s'intende in alcun modo entrare nel merito politico d'un siffatto orientamento legislativo. A parte quanto si dir� fra poco sui limiti costituzionali del potere di clemenza, qui le precedenti notazioni valgono soltanto a chiarire il fondamento ed il particolare meccanismo operativo del �condono (penale) edilizio�, di cui alle norme impugnate, al fine di scegliere, quanto pi� possibile in maniera consapevole, l'� etichetta � da � imprimere � allo stesso condono. Il legislatore del 1985, nel tentativo di porre ordine nell'intricata, farraginosa materia dell'edilizia, preso atto dell'illegalit� di massa in tale materia verificatasi, ha inteso � chiudere � un passato illegale: ed ha ritenuto, con valutazioni insindacabili in questa sede, d'indurre (attraverso la previsione delle sanzioni di cui agli artt. 40 e del capo I) autori (e non) di violazioni edilizie a chiedere la concessione in sanatoria relativa ad opere realizzate abusivamente. La predetta domanda, costituente in certo modo � autodenuncia �, � indubbiamente utile, almeno, data la precedente illegalit� di massa, a fini di chiarezza catastale, tributaria, ecc. Sarebbe contraddittorio, pertanto, � punire � coloro che hanno 234 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO proposto la predetta domanda: usando, dunque, della � punibilit� � in maniera autonoma, svincolata dalle relazioni con il reato commesso, il legislatore del 1985 dispone �l'estinzione� dei reati di cui al secondo comma dell'art. 38 della legge in esame, in conseguenza degli atti e procedimenti di cui alla preindicata fattispecie estintiva. Finalit� economico- finanziarie non sono certo estranee alle disposizioni in discussione, tenuto conto del predisposto meccanismo d'estinzione e del fatto che l'oblazione va corrisposta anche nelle ipotesi in cui le opere non sono sanabi�i. Ma tali disposizioni vanno riguardate (si ripete: a parte i �limiti� del potere di clemenza) nella loro oggettiva tutela di oggettivi valori. A differenza dell'estinzione di cui all'art. 13, nella quale si profila una fattispecie estintiva che contiene in s� tutta intera la fattispecie costitutiva della sanatoria amministrativa ed insieme l'effetto (concessione della sanatoria) il fondamento sostanziale dell'estinzione di cui all'art. 38, secondo comma, della legge n. 47 del 1985, va ricercato nella valutazione �positiva � che l'ordinamento compie dei comportamenti del reo, successivi al reato ( � autodenuncia � attraverso la richiesta di sanatoria, pagamento dell'oblazione ecc.) che inducono a credere ad 'un sia pur parziale ��ritorno �, anche se non del tutto spontaneo, deli'agente alla �normalit��. Tal fondamento molto s'avvicina a quello delle comuni cause sopravvenute di non punibilit� (per chi le ammetta e sempre che i casi riportati sotto quella sigla non siano configurati come speciali cause d'estinzione del reato). Poich�, tuttavia, non pu� assumersi che sia concretamente sorta la punibilit�, non risultando essa accertata n� con sentenza n�, almeno di regola, durante il procedimento penale, e neppure risultando accertati i pr�esupposti extrapenali del suo �sorgere �, durante il procedimento per l'inflizione delle sanzioni amministrative (la domanda di sanatoria delle opere abusive, infatti, sospende entrambi i procedimenti) sembra dubbio poter dichiarare � estinta�, appunto perch� non trattasi di amnistia propria, una punibilit� che ancora non � accertato sia concretamente sorta. Pertanto, fermo rimanendo il sostanziale fondamento al quale si � accennato, il condono penale in esame, dal punto di vista del suo meccanismo operativo, � una ipotesi di causa d'improcedibilit� sopravvenuta, tenuto conto che il giudice penale, a seguito della verificazione della fattispecie estintiva di cui agli articoli impugnati, � tenuto a concludere il processo con sentenza di � non doversi procedere � per estinzione del reato (formale usuale) essendogli inibito entrare in valutazioni di merito in ordine alla fattispecie estintiva e tantomeno concludere il processo con sentenza di merito. Pu� non risultare soddisfacente la formula processuale ma, nel caso in esame, � l'unica �preferibile�, pur dovendosi tener conto di tutte PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE le precedenti osservazioni sul fondamento sostanziale della causa d'estinzione qui in discussione. Autorevole dottrina, peraltro, riconduce tutte le cause d'estinzione del reato (di cui agli artt. 150 e segg.) alla categoria delle cause sopravvenute d'improcedibilit� dell'azione penale: pertanto, perch� non si creda che, riconducendo al �genere� causa d'estinzione del reato anche la particolare causa d'estinzione di cui al secondo comma dell'art. 38 della legge in esame, non si operi che un � rinvio �, del tutto formale, al � genere '" senza precisazioni in ordine alla � specie '" va qui aggiunto e sottolineato che l'� estinzione� di cui al precitato art. 38 si differenzia nettamente dalle �altre� cause d'estinzione di cui agli articoli 150 e segg., ed iri particolare dall'amnistia, sulla cui natura di causa d'estinzione della punibilit� derivante dalla norma penale incriminatrice si � prima insistito. In ogni caso, nel richiamare quanto innanzi precisato in ordine all'imprescindibile necessit� dello studio delle singole, particolari cause d'estinzione (non solo di quelle �raggruppate� dal codice penale negli artt. 150 e segg.) va ancora sottolineato che il ricoi;idurre ai concetti generali, di natura effettuale, di causa d'estinzione del reato, della pena, della punibilit� (astratta o concreta) od a quelli, anch'essi generali, di non punibilit� sopravvenuta ed anche, di sopravvenuta non procedibilit� ecc., non vale a chiarire n� il fondamento n� il meccanismo operativo delle singole ipotesi (c.d. estintive) e, conseguentemente, non vale a chiarire adeguatamente, in ordine alle diverse cause, le particolarit� dello (stesso) effetto (ad esempio l'oggetto di quest'ultimo, cosa, particolarmente, si � estingua >>, l'estensione ai com partecipi dell'effetto stesso, e via dicendo). L'inconfondibilit�, l'atipicit�, il meccanismo, davvero inedito, d'operativit� del condono �penale� di cui agli articoli impugnati, descritto in precedenza, valgono, ben pi� della sigla �causa sopravvenuta di non procedibilit�>>, a chiarire fonda mento, struttura ed effetti del condono stesso. A questo punto la Corte, essendo stato fatto riferimento anche all'articolo 3 Cost., non pu� esimersi dal considerare, sta pur sommariamente, sotto questo profilo, il problema dei vincoli costituzionali al potere di clemenza, in generale, ed in particolare al limite dell'uso della punibilit�, svincolata dal reato, per ottenere dall'autore del medesimo comportamento uti<1i a fini diversi da quelli relativi alla tutela del bene �offeso� dal reato. Di recente, il tema � stato prospettato con specifico riferimento all'amnistia, notoriamente contrastante con i fini di prevenzione perseguiti in sede penale. Poich� l'amnistia costituisce una deroga al principio d'efficacia generale della legge penale si � sostenuto che la medesima debba essere emanata nelle sole ipotesi compatibili con criteri di ragionevolezza sostanziale. 236 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Or il tema, riferito esclusivamente all'amnistia, non atterrebbe a questa sede. Ma, ove si facesse riferimento ad un concetto generale di �misura di clemenza�, entro il quale s'inserisca, oltre ai recenti condoni (previdenziale e tdbutairio) anche quello edilizio, di cui agli artt. 31 e segg. della legge n. 47 del 1985, il tema stesso atterrebbe anche a questa sede. Va, infatti, sottolineato che la predetta legge, pur non potendosi ritenere, nelle disposizioni impugnate dalle ordinanze in esame, implicante la concessione della tipica figura dell'amnistia, di cui all'art. 151 c.p., costituisce senza dubbio � specie � d'una generale nozione di � misura di clemenza �. Ma c'� di pi�. Lo � Stato sociale �, aumentando notevolmente la sua � incidenza � in vari campi d'attivit�, ripone fiducia, forse eccessiva, nella funzione deterrente e d'� orientamento culturale� della sanzione penale e finisce cos� con l'aggiungere a divieti contenutisticamente riferiti alle pi� svariate materie (appunto previdenziali, tributarie, ecc.) la sanzione penale. Si produce cos� un aumento delle sanzioni penali (a ci� si deve anche il troppo frequente ricorso, anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione, a misure � clemeniiali �: almeno nelle intenzioni dei Costituenti doveva, invece, essere ridotta la frequenza dell'emanazione di provvedimenti di clemenza); il sistema penale, anzich� essere tutela di pochi, fondamentali beni, costituzionalmente rilevanti, diviene, sia pur seguendo i mutamenti della realt� sociale, quasi �soltanto� od �ulteriormente � sanzionatorio di precetti (non sempre di notevole importanza) relativi alle pi� diverse materie. Con la conseguenza che il legislatore, allorch� intende modificare la disciplina di queste ultime (ad es., dopo periodi d'illegalit� di massa) � quasi necessitato, nel � cancellare � il passato, ad incidere sulle sanzioni penali poste a rafforzamento delle sanzioni extrapenali. I vari � moderni � condoni non integrano, certo, per i loro fini, per i loro del tutto inediti meccanismi di funzionamento, la tipica, tradizionale amnistia ma costituiscono alcune delle moderne forme d'esercizio della generale �potest�� di clemenza dello Stato. E, dunque, anche nei confronti dei condoni in discussione va posto il problema dei limiti costituzionali all'esercizio di tale potest�. Tutte le volte in cui si rompe il nesso costante tra reato e punibilit� e quest'ultima viene utilizzata per fini estranei a quelli relativi alla difesa dei beni tutelati attraverso l'incriminazione penale, tale uso, nell'incidere negativamente sul principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., deve trovare la sua � giustificazione � nel quadro costituzionale che determina il fondamento ed i limiti dell'intervento punitivo dello Stato. La �non punibilit�� o la �non procedibilit��, dovuta a situazioni successive al commesso reato deve comunque essere valutata in funzione delle finalit� �proprie� della pena: ove l'estinzione della punibilit� irrazionalmente contrastasse con tali finalit�, ove risultasse variante JIi: ~: @ I i PARTI! I; SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB arbitraria, tale, come � stato esattamente sottolineato, da svilire il senso stesso della comminatoria edittale e della punizione, non potrebbe co:psiderarsi costituzionalmente legittima. Per le predette ragioni questa Corte, con sentenza n. 36 del 19 febbraio 1986, pur ribadendo di non poter entrare nel merito della valutazione politica in base alla quale era stata emanata una misura di clemenza (si trattava, in quella sede, d'amnistia) ribadito ancora una volta il carattere eccezionale dell'amnistia e la necessit� di contenere, nei pi� ristretti limiti, l'esercizio della relativa potest�, sottolineava che detti limiti vanno ancor pi� richiamati quando l'effetto estintivo debba spiegarsi nei confronti di reati che, direttamente od indirettamente, violano precetti, costituzionaLmente sanciti, posti a tutela �di fondamentali esigenze della comunit�. Le predette considerazioni vanno ripetute e ribadite anche nei confronti dei moderni condoni, e, in particolare, del � condono penale � di c.i agli artt. 31 e segg. della legge n. 47 del 1985. La �non punibilit�� e la � non. procedibilit� �, di cui ai moderni condoni penali, specie quando � cancellano � reati lesivi di beni fondamentali della comunit�, va usata negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale; quest'ultimo precisa (ed in maniera non generica) fondamento, finalit� e limiti dell'intervento punitivo dello Stato. Contraddire, vanificare, sia pur temporaneamente, le �ragioni prime� della �punibilit��, attraverso l'esercizio arbi~ trario della �non punibilit��, .equivale non soltanto a violare l'art. 3 Cost. ma ad alterare, con il principio dell'obbligatoriet� della pena, l'intero �volto� del sistema costituzionale in materia penale. Alla verifica del rispetto, da parte delle norme impugnate, dei vincoli � esterni � posti dalla Costituzione al potere di clemenza si � accennato in precedenza. Il legislatore, con la legge citata, ha inteso chiudere un passato d'illegalit� di massa, alla quale aveva anche contribuito la non sempre perfetta efficienza delle competenti autorit� amministrative ed ha mirato a porre �sicure� basi normative per la repressione futura di fatti che violano fondamentali esigenze sottese al governo del territorio, come la sicurezza dell'esercizio dell'iniziativa economica privata, il suo coordinamento a fini sociali (art. 41, secondo e terzo comma, Cost.) la funzione sociale della propriet� (art. 42, secondo comma, Cost.) la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico (art. 9, secondo comma, Cost.) ecc. E questi beni, secondo la discrezionale, ed incensurabile in questa sede, valutazione del legislatore del 1985, non potevano esser validamente difesi per il futuro se non attraverso la � cancellazione � del notevole, ingombrante � carico pendente � relativo alle passate illegalit� di massa. D'altra parte, se � vero che, per le disposizioni impugnate, l'effettiva concessione della sanatoria amministrativa non � antecedente necessario RASSEGNA DELL'AWOCATURA DBLLO STATO 238 dell'estinzione dei reati di cui all'art. 38, secondo comma, della legge n. 47 del 1985, � anche vero che il procedimento penale viene sospeso, ai sensi del primo comma dello stesso articolo, in base alla sola domanda di autorizzazione o concessione in sanatoria e l'importo definitivo dell'oblazione viene detemninato dal Sindaco nel momento stesso in cui concede Ia sanatoria. Pevtanto (tranne le ipotesi di opere abusive insanabili) J'estinzione dei reati in discussione, pur non essendo subordinata (come invece avviene per ,l'art. 22, terzo comma, della legge in esame) al rilascio della concessione in sanatoria, diviene, tuttavia, operativa, di regola, contemporaneamente al rilascio della citata concessione; uno stesso versamento normalmente integra d'ultimo elemento d'una fattispecie che � insieme' costitutiva in ordine all'effetto-concessione della sanatoria ed estintiva in ordine ai reati in esame. Sicch�, contemporaneamente, di regola, mentre il Sindaco dichiara non pi� � attuale � Ja sanzione amministrativa, il . giudice dichiara non pi� (( attuale )) fa samione penale. Il che (tenuto conto dehla normale � costruzione � dei predetti reati sulla base della sola illiceit� extrapenale) se non vaie a subordinare la � non punibilit� � dei reati stessi ailila � cancellazione � deH'illiceit� extrapenale, vale almeno a spiegare le ragioni sostanziali per if.e quali il legislatore ritiene � non (pi�) punibili � i reati in discussione. Le precedenti considerazioni rendono incondividibili anche le altre, specmcne osservazioni proposte dalle citate ordinanze dei Pretori di Pietrasanta e Mal� (omissis). N� maggior pregio ha il rilievo secondo il. quale, poich� gli effetti estintivi dell'oblazione � de qua � sono disposti esclusivamente in favore di colui che versa la somma di danaro appunto a titolo d'oblazione e non di eventuali compartecipi della stessa �violazione edilizia� (che non mettano in moto la procedura di sanatoria di cui agli articoli impugnati) la sanatoria in discussione non costituirebbe una � vera e propria � sanatoria, del tipo previsto dall'art. 13 della legge in esame, non determinando essa automaticamente il rientro nella legalit� delle opere abusive. Va, intanto, ancora una volta ribadito che le disposizioni della legge n. 47 �del 1985 relative al futuro (es. art. 13) e quelle della stessa legge relative al passato (es. sanatoria per gli abusi verificatisi entro il 1� ottobre 1983) vanno tra loro qui confrontate soltanto ai fini della rilevazione di eventuali illegittimit� costituzionali e non per sottolinearne le diversit�: queste, .infatti, sono � scontate �, essendo le prime disposizioni determinate dall'esigenza di riordinare definiHvamente l'intera materia e le seconde dalla necessit� di chiudere (appunto per consentire un altrimenti impossibile riordino della materia) un passato (relativo all'assetto urbanistico del tevritorio) che la pubblica amministrazione non era stata sempre in grado di controllare. Ma, di pi�, anche per rispondere PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE all'altra obiezione, secondo la quale, poich�, ex art. 39 della legge n. 47 del 1985, � prevista l'estinzione dei reati contravvenzionali anche quando l'abuso edilizio � insanabile (e ci� �maschererebbe� la concessione, con le norme impugnate, d'un vero e proprio provvedimento d'amnistia) va qui ancora una volta sottolineato che, per quanto riguarda il passato, la legge in esame intende per un verso, sotto il .profilo amministrativo, consentire le sanatorie (fin dove possibili) degli abusi commessi entro la data del 1� ottobre 1983 e per altro verso, sotto il profilo penale, consentire l'estinzione dei reati contravvenzionali realizzati in occasione di tali abusi;� tentando, in ogni caso, anche attraverso uno stimolo alla autodenuncia delle illegittime costruzioni e delle connesse violazioni penali, la regolarizzazione (fin dove possibile) dell'assetto del territorio. Ove il legislatore, per le opere non suscettive di sanatoria, non consen tisse l'estinzione, autonoma, dei reati connessi alla costruzione delle stesse opere, non stimolerebbe, convenientemente, la denuncia delle opere abusive non amministrativamente sanabili. D'altra parte, una volta � sti molate� le private �denunce� (anche a mezzo delle minacciate sanzioni di cui all'art. 40 della legge in esame) non pu� il legislatore lasciare � intatte � le sanzioni penali connesse alle irregolarit� delle opere � non sanabili �, cos� ... � premiando � le � autodenunce � di queste ultime (omissis). Le ordinanze ... sollevano, in riferimento all;art. 3 Cost., eccezioni di legittimit� costituzionale degli artt. 38, primo e terzo comma e 44 deMa legge n. 47 del 1985, nella parte in cui non prevedono la sospensione dell'esecuzione della pena a favore dei richiedenti la concessione in sanatoria, gi� condannati con sentenza definitiva in data antecedente alla entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, i quali, trovandosi nelle condizioni previste dall'art. 31 della stessa legge, presentino domanda di sanatoria, entro il termine perentorio di legge, accompagnata dall'attestazione del versamento delle somme di cui al primo comma dell'articolo 35 (omissis). La questione sollevata dalla ricordata ordinanza del Pretore di Vittoria, esaminata nel merito, va dichiarata non fondata. Corretta appare l'interpretazione che il Pretore d� dei primi commi dell'art. 38, anche con .riferimento all'art. 44 della legge in discussione, in ordine all'esclusione degli effetti estintivi dell'esecuzione della pena, comminata a seguito di condanna definitiva pronunciata prima dell'entrata in vigore della legge in esame. Nulla, in proposito, esplicitamente la stessa legge dichiara: e non si pu�, certo, ricavare una misura eccezionale d'estinzione della pena da una �implicita� volont� legislativa. Vero � che non solo mancano, nella legge in discussione, disposizioni dalle quali si possa, sia pur implicitamente, desumere una volont� di comprendere RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO negli effetti estintivi, connessi all'oblazione di cui al secondo comma dell'art. 38, anche l'esecuzione della pena ma esistono, invece, chiaris simi segni dai quali risulta la prova contraria. La formulazione letterale del terzo comma dell'art. 38, l'interpretazione logica di tutto intero lo stesso articolo nonch� il confronto con l'art. 44, sono, in proposito, ele menti d'indubbio rilievo. In tanto l'amnistia fa cessare l'esecuzione della pena (quando, s'intende, interviene a condanna definitiva pronunciata) in quanto estingue, come si � notato innanzi, in radice, la punibilit� principale (accessoria ecc.) nascente dalle norme penali incriminatrici, che prevedono i fatti coperti dal beneficio: esclusa, dal decreto d'amni stia, l'ulteriore permanenza (sempre e solo, ovviamente, in relazione ai fatti coperti dal beneficio) della �possibilit� giuridica� d'applicare la pena, nelle ipotesi in cui il predetto decreto interviene durante il proce dimento, non si pu� ulteriormente � procedere � mentre, nelle ipotesi nelle quali lo stesso de.creta interviene a condanna definitiva pronun ciata, l'effetto estintivo non pu� non investire l'esecuzione delle pene principali, accessorie ecc. Il legislatore del 1985 non ha scelto, per la concessione del condono edilizio, lo si � ribadito pi� volte, la strada dell'amnistia: coerentemente ed in ossequio ai princ�pi generali, ha � bloccato � gli effetti estintivi del condono � dinanzi � alla sentenza definitiva di condanna. Il legislatore ordinario avrebbe anche potuto diversamente disporre; ma (a parte il rilievo per il quale, in tal caso, avrebbe avvicinato il condono alla amnistia, con le inevitabili conseguenze in ordine al processo di forma. zione del provvedimento di clemenza) avrebbe dovuto esplicitamente dichiararlo: e ci� non ha fatto. In conclusione, non pu� ritenersi � irrazionale � .fil non aver previsto, a favore dei richiedenti la concessione in sanatoria gi� condannati con sentenza definitiva, l'estinzione dell'esecuzione della pena. D'altro canto, situazioni diverse sono, certamente, quelle nelle quali si trovano da una parte i soggetti imputati, durante il procedimento pe nale e dall'altra i soggetti condannati, a seguito di sentenza definitiva: le predette situazioni ben possono pertanto, esser diversamente disciplinate dalla legge. Va, da ultimo, ricordato che il disposto di cui al terzo comma del l'art. 38 della legge n. 47 del 1985 (per il quale, annotato nel casellario giu diziale del condannato con sentenza defintiva il versamento dell'oblazione, della condanna non si tien conto ai fini dell'applicazione della recidiva e �della sospensione condizionale della pena) � dovuto ad una considerazione attinente alla condotta sopravvenuta del condannato (che nulla ha a che vedere con l'esecuzione della pena principale ecc.); lo stesso condannato, avendo chiesto la sanatoria dell'opera abusiva ed avendo corrisposto l'oblazione, rende, f;ra l'altro possibile i;l raggiungimento dei fini di chiarez-\ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO za catastale, fiscale ecc., anche in vista dei quali � stata emanata la legge n. 47 del 1985. In tal modo vengono, fra l'altro, equ~1iibrati svantaggi e vantaggi delle due diverse, ed incomparabili, situazio:i� dei soggetti (richiedenti ila concessione in sanatoria, in regola col pagamento dell'oblazione) �non ancora� condannati e gi� condannati: questi ultimi non ottengono la cessazione dell'esecuzione della pena ma godono dei benefici di cui al terzo comma dell'art. 38 della legge in esame e possono ottenere la sanatoria dell'opera posta in essere nello svolgimento di attivit� penalmente illecita. (omissis) Attenta considerazione merita l'ordinanza emessa il 14 ottobre 1985 dal Pretore di Roma con la quale viene proposta questione di legittimit� costituzionale dell'art. 38, quinto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 nella parte in cui non comprende tra i soggetti legittimati a presentare domanda d'oblazione i concorrenti nel reato di cui all'art. 17 della legge 28 gennaio 1977, n. 10: e ci� !�il riferimento all'art. 3 Cost. Va, intanto, osservato che durante i lavori preparatori della legge n. 47 del 1985 era stata prevista, oltre all'estinzione dei reati di cui dall'art. 17 della legge n. 10 del 1977, anche quella dei c.d. reati connessi: e fra questi veniva individuato quello d'omissione di atti d'ufficio (ex art. 328 c.p.) anche contestato agli imputati nel procedimento � a quo �. Nel testo definitivo della legge in esame l'estensione del beneficio non compare: deve ritenersi, pertanto, che non possano beneficiare dell'estinzione, di cui alle disposizioni impugnate, gli amministratori-pubblici uf. ficiali (sindaci, assessori ecc.) imputati del delitto di cui all'art. 328 c.p. Resta da stabilire se gli stessi amministratori debbano rispondere, come qualsiasi altro concorrente, anche dei reati di cui all'art. 17 lettera b), della legge 28 gennaio 1977, n. 10. Il Pretore di Roma, infatti, lamenta che nella legge n. 47 del 1985 sia stata esclusa la facolt� di oblazione ai concorrenti nei reati edilizi oblabili da parte dei soggetti di cui agli artt. 38, quinto e sesto comma, della stessa legge. Va, a questo proposito, rilevato che la legge in esame, all'art. 31 terzo comma, prevede che alla richiesta di sanatoria ed agli adempimenti relativi pu� provvedere (anche) ogni �soggetto interessato al conseguimento della sanatoria� in discussione. Da ci� discende che, quailora i concorrenti (diversi da quelli espressamente abilitati dal:le disposizioni impugnate a chiedere l'autorizzazione o concessione in sanatoria) nei reati edilizi risultino, nelfindagine processuale (che compete, pertanto, al giudice �a quo�) interessati al r.ilascio della predetta sanatoria, ben possono richiederla e conseguentemente porre in essere le condizioni idonee ad estinguere i reati edilizi. Il legislatore del 1985 non prevede, invece, che possa estendersi il beneficio � penale � anche a coloro che non solo non siano soggettivamente �qualificati�, nella commissione dei reati edilizi �propri�, ma non RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dl�.LO STATO 242 abbiano neppure interesse al rilascio della sanatoria in discussione. Non va, peraltro, dimenticato, a questo proposito, che scopo precipuo della legge n. 47 del 1985 non � quello di concedere � clemenza � ma di stimolare le � denunce � degli illeciti edilizi, soprattutto ai fini d'una completa conoscenza dell'assetto edilizio del territorio e del riordino del medesimo. Al giudice � a quo � resta, dunque, affidata l'indagine tesa a chiarire se i pubblici ufficiali imputati abbiano o meno interesse ad ottenere la sanatoria prevista dalle disposizioni impugnate, ai sensi dell'art. 31, terzo comma, della legge in discussione. Tutto quanto sopra osservato vale ove lo stesso giudice � a quo � non ritenga, per il principio di sussidiariet�, che il reato edilizio di cui all'art. 17 lettera b) del 28 gennaio 1977, n. 10 venga assorbito dal delitto di cui all'art. 328 c.p. La questione di costituzionalit�, sollevata dal Pretore di Roma con la precitata ordinanza, va pertanto, dichiarata non fondata. (omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1988, n. 373 � Pres. e rel. Saja � Soc. Esercizio Magazzini generali di Catania (avv. Monterosso) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Braguglia). Dogana . Sottrazione delle merci � Sussistenza dell'obbligazione doganale. (Cost. artt. 3 e 53; d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, art. 37; l. 22 dicembre 1980 n. 891, art. 23 bis). Non contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost. la disposizione che esclude l'obbligazione doganale solo in caso di distruzione o completo deterioramento della merce, e non anche nel caso di sottrazione di essa. L'art. 37 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, come interpretato autenticamente dall'art. 23 ter d.l. 31 ottobre 1980 n. 693, convertito nella 1. 22 di� cembre 1980 n. 891, stabilisce che l'obbligazione doganale � esclusa in caso di perdita deMa merce, da intendere come dispersione e non pure come sottrazione della disponibilit� della stessa. (omissis) Al riguardo occorre premettere che l'art. 36, primo comma, d.P~R. 23 gennaio 1973 n. 43 stabilisce testualmente, quale presupposto dei diritti di confine sulle merci estere (i pi� importanti nell'ambito dei diritti doganali: art. 24 d.P.R. cit.), la loro destinazione al consumo entro il territorio doganale: destinazione da indicare nella dichiarazione ex art. 56 d.P.R. cit., con cui l'operatore economico rende nota all'Amministrazione finanziaria l'intenzione di importare definitivamente la merce stessa. Aggiunge l'art. 37 che si considera non avvenuto il presupposto dell'obbligazione tributaria quando il soggetto passivo dimostri, tra l'altro, che la mancanza in tutto o in parte della merce (estera) dipende dalla sua �perdita�; ed il citato art. 22 ter del cit. d.l. n. 693 del 1980 convertito - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 2..3 dalla legge n. 891 del 1980, interpretando autenticamente la suddetta espressione � perdita �, dispone -come s'� detto -che essa va intesa come � dispersione � e non come � sottrazione della disponibilit� del prodotto �. Tale norma, com'� chiaro, d� rilievo unicamente all'elemento oggettivo, nel senso che esclude l'obbligazione tributaria soltanto se la merce, per essere venuta meno nella sua consistenza fisica, non possa essere immessa nel circuito commerciale nazionale; per contro, non attribuisce importanza al fatto che tale immissione avvenga ad opera dell'importa " tore ovvero di persona che ne abbia acquistato la materiale disponibilit� anche mediante reato. � appena il caso di aggiungere che la disposizione impugnata, secondo l'intenzione del legislatore esplicitamente dichiarata nel capoverso dell'art. 23 ter cit., ha funzione interipretativa e perci� efficacia �retroattiva, consentita nel nostro sistema costituzionale, che la �esclude soltanto nella materfa penale. Ci� premesso, osserva la Corte che le ordinanze di rimessione deducono, come gi� si � detto, la violazione del principio di eguaglianza in quanto il 'legislatore irrazionalmente avrebbe distinto tra � dispersione � e �sottrazione della disponibilit� del prodotto�. La proposta questione non � fondata. L'obbligazione tributaria doganale per le merci � indissolubilmente collegata all'ingresso delle medesime nel mercato nazionale, e proprio in ci� trova il suo fondamento e la sua ragion d'essere. La distruzione od il completo deterioramento dei beni rendono impossibile tale ingresso e perci� impediscono il sorgere dell'obbligazione tributaria. Per converso, la perdita della soggettiva disponibilit� non rende il bene inutilizzabile, trasferendosi soltanto ad altra persona la concreta possibilit� di disporne e di effettuarne cos� l'immissione nel circuito commerciale: dal che consegue l'esclusione di una immutazione oggettiva della situazione da cui nasce l'obbligazione tributaria, conformemente a quanto disposto dalla normativa impugnata. Vale aggiungere che tale disciplina, essendo connaturata, secondo la comune concezione, alla finalit� intrinseca del tributo doganale, non � esclusiva del nostro Paese, ma � significativamente accolta in altri ordinamenti. Essa invero, si applica nell'ambito della Comunit� economica europea, secondo il disposto della direttiva del Consiglio delle Comunit� 25 giugno 1979 n. 623, emanata per armonizzare le diverse norme nazionali su1l'obbligazione doganale (art. 4): ed in tale senso � ila sentenza della Corte di giustizia emessa dalla IV Sez. il 5 ottobre 1983 in cause 186 e 187/82, la quale ha espressamente dichiarato la disciplina italiana, attualmente impugnata, conforme a quella comunitaria. Inoltre la stessa regola � accolta, al di l� dello spazio europeo, anche su piano internazionale, in base alla convenzione di Kioto 18 maggio 1973 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO 244 sulla semplificazione ed armonizzazione dei regimi doganali: essa, infatti, dopo aver disposto al punto 22 dell'allegato E3 che �les marchandises entrepos�es qui sont d�truites ou irr�m�diablement perdues, par suite d'accident ou de force majeure, ne sont pas soumises au droits et taxes � l'importation �, precisa poi neH'allegato Bl che � les marchandises vol�es ne sont pas consiid�r�es d�truites ou irr�mediablement perdues �. (omissis) I CORTE COSTITUZIONALE, 27 aprile 1988 n. 470 -Pres. Saja -Rel. Baldassarre -Regione Lombardia (avv. Steccanella) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). Regioni -Avvalimento di uffici regionali per esercizio di funzioni statali � Disposto mediante atto amministrativo statale. Spetta allo Stato avvalersi di uffici regionali (nella specie, degli Osservatori per le malattie delle piante) per lo svolgimento di compiti inerenti a funzioni statali,� l'avvalimento pu� essere legittimamente disposto con atto amministrativo unilaterale dello Stato (ancorch� siano opportuni previ accordi, intese o convenzioni) (1). II CORTE COSTITUZIONALE, 19 maggio 1988 n. 559 -Pres. Saja -Rei. Baldassarre -Regione Lombavdia (avv. Pototschnig), regione Lazio (avv. Panunzio), regione Veneto (avv. Cevolotto), regione Toscana (avv. Narese) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Azzariti). Corte costituzionale -Deleghe stabilmente devolutive date alle regioni � Criteri di individuazione � Ammissibilit� del ricorso per conflitto di attribuzione. (1-2) Due sentenze di notevole importanza. La prima (n. 470) riconosce spazio e legittimit� all'istituto dello � avvalimento �, diverso dalla � delega,. e ad essa per cert:i versi alternativo. La seconda (n. 559), in esito ad una analisi di solido impianto, apre lo strumento del conflitto di attribuzione per le materie oggetto di deleghe stabilmente � devolutive �. In particolare questa seconda sentenza ha una portata sensibilmente innovativa, nel senso di un rafforzamento sostanziale delle autonomie regionali. Queste due pronunce potrebbero indurre in taluni casi (ad esempio, in materia di sanit�), a riconsiderare le scelte fatte dal legislatore tra gli alternativi strumenti considerati (trasferimento delle funzioni, delega � devolutiva >>, delega non � devolutiva >>, avvalimento). PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTll1JZIONALB Regioni -Distributori di carburanti -Lungo le autostrade oppure utilizzati da veicoli statali -Non delega delle funzioni. Regioni -Delega di funzioni � Direttive date in via amministrativa -Non possono essere tanto dettagliate da implicare revoca della delega. All'interno delle deleghe di funzioni statali alle regioni occorre distinguere la � species � delle deleghe � devolutive �, date stabilmente per rendere possibile l'� esercizio organico� delle competenze trasferite alle regioni. Tali deleghe stabilmente � devolutive � sono individuabili sulla base di una serie di elementi (conferimento di funzioni anche normative �di organizzazione e di spesa� e �di attrazione�, trasferimento anche di uffici e personale, possibilit� di subdelega, preponderante finalizzazione all'� esercizio organico� predetto). In relazione all'ambito delle competenze assegnate alle regioni con deleghe stabilmente � devolutive �, � ammesso conflitto di attribuzione (2). Non sono state delegate alle regioni a statuto ordinario le funzioni in tema di distributori di carburanti situati lungo le autostrade oppure destinati ad essere utilizzati soltanto per autoveicoli dello Stato. Allorch� lo Stato formula direttive nei confronti dell'esercizio delle funzioni da esso delegate alle regioni, non pu� spingersi fino al punto di enunciare criteri tanto dettagliati da dar corpo a un vero e proprio svolgimento diretto delle funzioni delegate; un tale comportamento avrebbe il significato di una revoca implicita della delegazione stabilita per via amministrativa, la quale, con riferimento al caso di specie, non potrebbe ritenersi consentita nei termini ipotizzati, sia perch�, a norma dell'art. 118, secondo comma Cost., la revoca delle predette funzioni potrebbe essere compiuta soltanto con un atto di valore legislativo, sia perch�, data la natura della delega disposta in materia dal d.P.R. n. 616 del 1977, vi sarebbe spazio soltanto per una revoca esplicita . . I La questione su cui la Corte � chiamata a pronunciarsi � la seguente: se un decreto del Ministro dell'Agricoltura e delle Foreste, con il quale viene affidato ad un ufficio regionale l'esercizio di funzioni statali, sia invasivo o meno delle attribuzioni regionali in materia di organizzazione degli uffici e di individuazione degli organi muniti di potest� provvedimentale esterna. Nel caso di specie, infatti, il Ministro dell'Agricoltura e delle Finanze, con il decreto impugnato, ha affidato agli Osservat�ri per le malattie delle piante, che sono stati espressamente trasferiti alle regioni con il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (art. 74), il compito di verificare se i prodotti sementieri destinati all'importazione risultino conformi alle prescrizioni del nulla-osta ministeriale. 246 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEl..LO STATO Considerato che le due parti concordano nel ritenere che le funzioni attinenti al controllo di conformit�, come sopra definito, sono di spettanza statale e che l'oggetto del conflitto riguarda soltanto se lo Stato possa affidare l'esercizio di quelle funzioni ad uffici regionali, come gli Osservat�ri per le malattie delle piante, il ricorso va rigettato. Secondo una recente pronuncia di questa Corte (sent n. 216 del 1987) -che ha ribadito, peraltro, un principio gi� affermato nella sentenza n. 35 del 1972 -non si pu� dubitare della �legittimit� di disposizioni che consentono allo Stato, senza utilizzare l'istituto della delega all'ente di cui al secondo comma dell'art. 118 Cost., di avvalersi di uffici regionali�. Per un verso, infatti, sarebbe assurdo negare allo Stato una facolt� riconosciuta alle regioni nei confronti degli altri enti locali territoriali e, per un altro, questo principio, come ha pi� volte affermato questa Corte (sentt. n. 359 del 1985 e n. 221 del 1988), risponde alle esigenze della � leale cooperazione � fra le componenti essenziali dello Stato regionale, che deve necessariamente caratterizzare i rapporti tra organi statali e regionali in un'amministrazione pubblica ispirata, a norma dell'art. 5 Cost., al riconoscimento delle autonomie nell'ambito di un disegno unitario. In siffatto quadro, questa Corte non pu� esimersi dal sottolineare l'opportunit� di intese, di accordi o di convenzioni tra lo Stato e le regioni interessate, allorquando dall'avvalimento degli uffici regionali derivino, per questi ultimi, particolari oneri ovvero particolari problemi incidenti sullo svolgimento delle proprie funzioni. II Prima di ogni altra, va esaminata la questione pregiudiziale se i conflitti di attribuzione sollevati con i ricorsi di cui in epigrafe, i quali attengono a funzioni amministrative delegate alle regioni a norma dell'art. 118, secondo comma, Cost., siano ammissibili. Con riferimento al caso di specie, la questione va risolta in senso positivo. Quello della delega amministrativa � un fenomeno estremamente vario e complesso, per il quale non sembra possibile fornire soluzioni interpretative generali valide per ciascuna delle ipotesi che il diritto positivo disciplina come delegazione di funzioni amministrative. � sufficiente considerare a tal fine che ipotesi di delegazione intervengono tanto nell'ambito di rapporti interorganici quanto in quello di rapporti intersubiettivi e, in quest'ultimo caso, tanto fra :soggetti dotati di autonomia costituzionale quanto fra soggetti che non lo sono. Inoltre, oggetto di delegazione � talora la titolarit� di funzioni o, addirittura, di attribuzioni (cio� di un complesso di funzioni unitariamente considerato), talaltra il mero esercizio di determinate funzioni o il compimento di de - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITPZIONALE 247 terminati atti o attivit�. La delega, poi, pu� essere frutto di una libera scelta del titolare di determinate funzioni ovvero pu� dipendere dal ricor" rer� di condizioni obiettive discrezionalmente valutabili dallo stesso soggetto o, ancora, pu� esser configurata come un atto necessario o dovuto da parte del titolare per l'esercizio di determinate funzioni. N� quelle considerate sono le sole alternative rilevanti ai fini della caratterizzazione giuridica della delegazione amministrativa. Nel diritto positivo, infatti, si riscontrano deleghe che comportano trasferimento di uffici (mezzi e personale) e deleghe che non lo comportano, ve ne sono alcune conferibili (o revocabili) solo esplicitamente e altre anche implicitamente, alcune che prevedono in capo al delegante un potere di supremazia (se pure impropria) o di direttiva e altre che non lo prevedono, alcune che autorizzano il delegante ad adottare istruzioni vincolanti ed altre sulla cui base possono essere adottate istruzioni aventi un'efficacia meramente dfoettiva, alcune che conservano al delegante un potere cli intervento �concorrente� sulla materia delegata e altre che lo escludono, aloune su oggetti determinati e altre su oggetti generici o indetevminati, alcune a tempo ~prestabilito e altre a tempo indeterminato. Si tratta, come appare evidente, di alternative in grado di caratterizzare il fenomeno della delega amministrativa in modo di volta in volta diverso e che, se si rimane legati al diritto positivo attualmente vigente, � molto difficile, se non impossibile, razionalizzare secondo tipologie omogenee. Le alternative ricordate, infatti, non coincidono per nulla con la distinzione tra deleghe interorganiche e deleghe intersoggettive, ma si rinvengono, nella loro totalit�, tanto all'interno dell'una ipotesi quanto all'interno dell'altra. Alcune cli loro anzi -e non certo quelle di importanza secondaria ai fini della caratterizzazione giuridica del fenomeno si rinvengono persino nell'ambito di uno stesso atto legislativo, come ne] caso qui considerato del d.P.R. n. 616 del 1977. Di modo che si impone comunque l'esigenza logica di procedere a un esame caso per caso allo scopo di enucleare, attraverso un'analisi empirica, i caratteri propri della particolare fattispecie di delegazione amministrativa dedotta in giudizio e di verificare, quindi, se i poteri oggetto della delega stessa vadano ad integrare, o meno, la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni. Il problema dell'ammissibilit� dei conflitti di attribuzione fra Stato e regioni vertenti su funzioni delegate � gi� pervenuto alla cognizione di questa Corte. In un primo caso, che riguardava la delega alle regioni del l'esercizio delle funzioni amministrative in ordine alle opere di ricostru zione nei territori colpiti da calamit� naturali, le quali erano residuate alla competenza statale dopo il trasferimento delle attribuzioni proprie degli uffici del genio civile e dei provveditorati regionali (art. 13, d.P.R. 4 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DBTLO STATO 248 15 gennaio 1972, n. 8), la Corte ha dichiarato l'inammissibilit� del conmtto. A base di questa decisione stava �l'argomento che, poich� si trattava di una delega che lo Stato poteva conferire, o non, alle regioni (c.d. delega libera), non era minimamente possibile configurare tanto le norme che concretamente la prevedevano, quanto le competenze che da essa derivavano, come dirette a integrare la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni, la cui lesione soltanto legittima queste ultime a tutelarsi mediante lo strumento processuale del conflitto di attribuzione, previsto dall'art. 134 Cost. (sent. n. 97 del 1977). In una serie di casi successivi, vertenti tutti sulla particolare disciplina prevista dalla delega di funzioni in materia di paesaggio (art. 82, d.P.R. n. 616 del 1977), la Corte � giunta alla medesima conclusione ~sentt. nn. 359 del 1985, 152 e 153 del 1986). Tuttavia, in queste pronunzie, pur riaffermando il principio precedentemente enunciato, la Corte ha posto a base delle sue decisioni una massima differente, la quale si confaceva alla diversa ipotesi di delega dedotta nei giudizi in questione. Per riprendere le stesse parole allora usate, si � affermato, pi� precisamente, � che le attribuzioni soltanto delegate alla Regione non sono, in linea di principio, defendibili col rimedio del conflitto di attribuzione (sent. n. 97 del 1977), e che, in particolare, non lo sono le attribuzioni devolute alla Regione con l'art. 82 d�l d.P.R. n. 616 del 1977, in quanto caratterizzate dalla conservazione allo Stato di poteri concorrenti � (sentt. nn. 152 e 15~ del 1986, nonch� gi� prima n. 359 del 1985). E, a chiarimento della stessa massima, si � aggiunto subito dopo che �la previsione di questi ultimi (poteri concorrenti), a fini di estensione e di effettivit� della tutela del paesaggio, esclude infatti la garanzia costituzionale delle competenze delegate � (v. spec. sent. n. 152 del 1986, che cita sul punto la sent. n. 359 del 1985). In altri termini, nel primo caso la Corte ha escluso che le competenze delegate rientrassero nell'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni, in quanto la loro assegnazione a queste ultime, dipendendo da una libera scelta del legislatore statale (che, nel caso del d.P.R. n. 8 del 1972, era giustificata soltanto dall'opportunit� di non conservare allo Stato le funzioni residuali svolte da uffici periferici trasferiti alle regioni), mancava di qualsiasi aggancio logico con le norme costituzionali concernenti la ripartizione di competenze fra Stato e regioni. Negli altri casi, invece, trovandosi di fronte a una disciplina che, come questa Corte ha ribadito anche in una recente pronunzia (sent. n. 302 del 1988), prevede sulla medesima materia la compresenza di poteri regionali e di poteri statali aventi lo stesso contenuto e oggetto (pur se i secondi previsti in posizione di supremazia, a estrema difesa del vincolo paesaggistico), la Corte ha dedotto da ci� che, non essendosi lo Stato privato della piena titolarit� della relativa funzione, i poteri delegati attenessero al mero RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO esercizio della funzione stessa (come, del resto, in altri casi precedenti: v. sentt. nn. 39 del 1957, 11 del 1959, 36 del 1960, 40 del 1972) o, se si preferisce, allo svolgimento di attivit� rispetto alle quali non era stata nel contempo negata la competenza dello Stato, e che, pertanto, non potevano integrare in alcun modo la sfera di attribuzioni costituzion~lmente assegnata alle regioni. Il caso oggetto dei presenti giudizi, relativo alla delegazione alle re gioni delle funzioni amministrative concernenti i distributori di carbu rante (art. 52, lett. a, d.P.R. n. 616 del 1977), attiene a un'ipotesi di delega diversa dalle precedenti. Innanzitutto, si tratta di una delegazione mediante la quale la tito larit� di una determinata funzione viene (temporaneamente) tolta dalla sfera di competenza dello Stato .e assegnata nel contempo a quella� regio nale, con la conservazione in capo al primo del solo potere di indirizzo. Si tratta, in altre parole, di quella che in dottrina � chiamata � delega de volutiva o traslativa�, la quale, come � noto, costituisce l'ipotesi di dele gazione pi� prossima al trasferimento di funzioni, in quanto in essa l'accrescimento di competenza del delegato � consequenziale a una cor relativa diminuzione della stessa nel soggetto delegante. Tuttavia, la circostanza che la funzione delegata di cui si tratta sia entrata a far parte del patrimonio di competenze delle regioni, a seguito dell'art. 52 del� d.P.R. n. 616 del 1977, � una condizione necessaria, ma non sufficiente, perch� i conflitti oggetto dei presenti giudizi siano ritenuti ammissibili. Infatti, come questa Corte ha costantemente ribadito (cfr., ad es., sentt. nn. 111 del 1976, 97 del 1977, 359 del 1985, 152 e 153 del 1986), appartengono alla competenza del giudice costituzionale, e soltanto ad essa, unicamente quei conflitti nei quali si controverte di lesioni prodotte sulla sfera di competenze de1lo Stato o delle regioni, semprech� tale sfera risulti costituzionalmente garantita. E perch� questa garanzia ricorra nel caso delle funzioni delegate non � sufficiente, pur se � ovviamente necessario, che l'atto legislativo contenente la delega medesima (nel caso il d.P.R. n. 616 del 1977) sia da consaderare, secondo la consolidata e costante giurisprudenza costituzionale (cfr., ad es., sentt. nn. 223 del 1984 e 217 del 1985), come esecutivo o integrativo di disposizioni formalmente costituzionali, per il fatto che, nell'ipotesi di funzioni delegate, l'astratta idoneit� della norma che le dispone a fungere da parametro dei ~giudizi sui conflitti potrebbe esser neutralizzata in concreto, come ha gi� riconosciuto questa Corte (sent. n. 97 del 1977), dal carattere puramente volontario o possibilistico della delega stessa (c.d. delega libera). Perch� le funzioni delegate possano esser considerate parte integrante della sfera di competenze costituzionalmente garantita alle regioni c'� bisogno di un ulteriore e decisivo elemento: che le competenze delegate, per il modo in cui sono disciplinate e per il fine in vista del quale sono iso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D::lLLO STATO conferite, costituiscano un'integrazione necessaria deH.e competenze ((proprie �, di modo che la lesione delle prime comporti anche una menomazione delle seconde. Nell'interpretare il sistema costituzionale relativo alla ripartizione delle competenze fra Stato e regioni e nel dare ad esso attuazione positiva, il legislatore, attraverso la legge 22 luglio 1975 n. 382 e il d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, ha previsto, tra l'altro, un particolare tipo di delega amministrativa, diretto essenzialmente a un duplice scopo: innanzitutto, costituire un modello organizzatorio dei rapporti fra Stato e regioni pi� flessibile delle altre forme di separazione di competenze e tale da permettere indirizzi statali in grado di assicurare una maggiore uniformit� su tutto il territorio nazionale, nonch� una maggiore unitariet� tra momento direttivo e momento attuativo; in secondo luogo, istituire uno strumento di ricomposizione delle competenze in capo alle regioni in grado di garantire lord un � servizio organico � delle funzioni trasferite. Sotto quest'ultimo profilo, sulla base di un preciso criterio dettato ~falla legge n. 382 del 1975 (art. l, lett. e), il d.P.R. n. 616 del 1977, nell'ambito di una disciplina diretta ad assicurare alle regioni un'amministrazione per programmi, ha provveduto a delegare alle stesse le funzioni amministrative ritenute necessarie per rendere loro possibile l'� esercizio organico � delle competenze trasferite. Si � stabilita, cos�, una saldatura funzionale fra le competenze delegate e quelle trasferite, che, sebbene smentita in alcune delle fattispecie previste (come il ricordato art. 82 o, per fare altri esempi, gli artt. 77, lett. b, e 111 secondo comma), pu� tuttavia ritenersi affermata per la maggioranza delle deleghe conferite alle regioni con il d.P.R. n. 616 del 1977. Di modo che, ove tale legame non risulti contraddetto dalla particolare disciplina positiva prevista per ogni singola delega, si deve concludere che l'eventuale limitazione o invasione delle competenze delegate alle -regioni finisca per impedire o contraddire quell'esercizio �organico� che si � voluto garantire alle funzioni � proprie � delle regioni e menomarne cos� la consistenza costituzionale, come interpretata e attuata dalla legge n. 382 del 1975 e dal d.P.R. n. 616 del 1977. Del resto, � essenzialmente con riguardo a questa loro funzione di completamento organico delle materie trasferite alle regioni che si giustifica la relativa stabilit� assicurata alle deleghe qui considerate, stabilit� che, oltre a ricavarsi dal loro carattere di deleghe a tempo indeterminato, pu� agevolmente dedursi da una una serie di elementi della loro disciplina positiva. Innanzitutto, dal potere riconosciuto alle regioni di adottare nelle materie sulle quali sono state conferite funzioni delegate non solo provvedimenti amministrativi, ma anche � norme legislative di organizzazione e di spesa�, nonch� � norme di attuazione ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 117 della Costituzione� (art. 7, primo comma, f. I ! --l PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25l d.P.R. n. 616 del 1977). In secondo foogo, da<l fatto che, con il. conferimento delle funzioni delegate, sono contestualmente trasferiti gli uffici, il personale e i beni strumentali necessari allo svolgimento delle medesime funzioni (art. l, lett. e, 1. n. 382 del 1975). In terzo luogo, dalla possibilit� conferita alle regioni di subdelegare, con proprie leggi, ai comuni e agli altri enti locali le funzioni derivanti dalla delega statale e di stabilire i relativi indirizzi (art. 7, secondo comma, d.P.R. n. 616 del 1977). Infine, dal carattere non derogatorio dell'ordine delle competenze generalmente riconosciuto alle funzioni delegate (d.P.R. n. 616 del 1977), il quale evidenzia la prevalente natura devolutiva o traslativa propria delle deleghe qui considerate: in una parola, la loro preponderante finalizzazione all' � organico � esercizio delle competenze trasferite. La delega di funzioni amministrative in materia di distributol;'i di carburanti, prevista dall'art. 52, fott. a), del d.P.R. n. 616 del 1977; si iscrive perfettamente nei caratteri propri delle deleghe volte al comple~ tamento organico delle competenze trasferite, che si sono appena ricordati. Si tratta, infatti, di funzioni conferite alle regioni nell'ambito di una competenza pi� generale, Telativa a un complesso di attivit� commerciali, che, come riconoscono tutte le parti dei presenti giudizi, integrano sostanzialmente la materia � fiere e mercati � attribuita alle regioni dall'art. 117 della Costituzione. Inoltre, poich� il suddetto art. 52 non prevede che lo Stato possa esercitare in materia �poteri concorrenti� o altri poteri (di annullamento, di integrazione, di inibitoria, e simili) comunque interferenti nei confronti degli atti adottati nello svolgimento delle funzioni delegate, ma conserva allo Stato (o, pi� precisamente, al Governo) soltanto poteri di indirizzo, si deve supporre che l'ipotesi di delega amministrativa oggetto dei presenti giudizi comporti una devoluzione piena delle funzioni interessate e, quindi, una cessione alle regioni della titolarit� delle funzioni stesse, che il legislatore ha operato nella misura e nei limiti necessari per l'esercizio organico delle competenze �proprie�. E poich�, su tali basi, si prospetta la violazione di parametri formalmente costituzionali o, comunque, di norme integrative o attuative di disposizioni formalmente costituzionali (il d.P.R. n. 616 del 1977), con riferimento a funzioni che, come s'� detto, sono state delegate alle regioni, non gi� per una libera scelta dello Stato, ma in base alla ricorrenza di condizioni, di limiti ed obiettivi costituzionalmente rilevanti (necessit� di integrazione organica delle attribuzioni regionali trasferite), semhra a questa Corte che sussistano i requisiti essenziali perch� sia dichiarata l'ammissibilit� dei conflitti di attribuzione sollevati con i ricorsi di cui in epigrafe. Entrando nel merito delle questioni, va peraltro dichiarata l'inammissibilit� di alcune censure contenute nel ricorso proposto dalla Regio RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO ne Lazio. Secondo la ricorrente, le direttive contenute nei punti anzidetti prevedono contributi a carico dei concessionari degli impianti pi� remunerativi (punti 4, penultimo .comma, e 6) ovvero conferiscono al Ministro dell'industria poteri relativi alla. determinazione del numero massimo degli impianti nell'ambito nazionale e all'imposizione di altri limiti all'esercizio della libert� d'impresa (punto 7, che peraltro � stato soppresso dall'art. 5 del successivo decreto emesso sulla stessa materia nel 1982), ponendo cos� in essere una disciplina amministrativa in violazione della riserva di legge garantita dagli artt. 23 e 41, secondo comma, della Costituzione. Tuttavia, poich� questa Corte, con giurisprudenza costante e consolidata (cfr., ad es., sentt. nn. 72 del 1961, 18 del 1970, 157 del 1975, 191 del 1976, 152 del 1986), ha affermato che le regioni possono sollevare conflitto di attribuzione soltanto in relazione a norme dalla cui violazione consegua una lesione delle competenze ad esse costituzionalmente garantite e poich� le disposizioni che nel caso si assumono violate non hanno alcuna incidenza sulla ripartizione di competenze fra Stato e regioni, deve concludersi che nessuna delle censure qui considerate appare sorretta da quell'interesse a ricorrere in mancanza del quale non possono esser sottoposte alla cognizione di questa Corte. Vanno, invece, respinti i ricorsi per tutti i restanti profili in base ai quali le regioni hanno sollevato conflitto di attribuzione nei presenti giudizi. Le Regioni Lombardia, Lazio, Veneto e Toscana impugnano i punti 8 e 9 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, in quanto, riconoscendo che le competenze ivi contemplate siano esercitate da organi statali, non porrebbero in essere direttive concernenti l'esercizio di funzioni delegate alle regioni, ma disporrebbero sulla spettanza delle relative funzioni, ripristinando, in un caso, la competenza statale (punto 8) e non distinguendo, nell'altro, fra le competenze riconosciute al prefetto quelle che devono intendersi delegate alle regioni (punto 9). In ambedue i casi, comunque, le disposizioni impugnate conterrebbero, secondo le ricorrenti, una revoca implicita della delegazione di funzioni effettuata con l'art. 52, lett. a, del d.f.R. n. 616 del 1977 a favore delle regioni, che, essendo compiuta con atto amministrativo, sarebbe in contrasto con l'art. 118, secondo comma, Cast., il qua.ile prevede che :le deleghe in questione siano conferite, e quindi revocate, in modo esplicito e soltanto con atto di natura legislativa (riserva di legge). Le censure prospettate dalle ricorrenti, semprech� accompagnate dai requisiti di ammissibilit� precedentemente esposti, sarebbero fondate se fosse vera la premessa di fatto da esse posta a base delle proprie argomentazioni: che si tratti, cio�, di competenze delegate alle regioni anteriormente al decreto in cui sono contenute le disposizioni impugnate. Ma� cos� non �. I I I PAR.m I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE In realt�, il punto 8 contiene una disposizione interpretativa dell'art. 52, lett. a, del d.P.R. n. 616 del 1977, con la quale, in ordine alle incertezze manifestatesi riguardo al significato da attribuire al predetto art. 52, si precisa che � le funzioni amministrative relative agli impianti ubicati lungo le autostrade e sui raccordi con caratteristiche autostradali continuano ad essere esercitate dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, presidente dell'A.N.A.S., e sentito il Ministro delle Finanze�. Questa dispo. sizione non � chiaramente una direttiva rivolta alle regioni perch� esercitino in un certo modo le funzioni loro delegate in materia di distributori di carburanti. Si pu� dire, tutt'al pi�, che lo � in senso improprio, in quanto indica alle regioni che le foro competenze non si estendono agli impianti ubicati lungo le autostrade e i raccordi di tipo autostradale. Ma questo fatto non concreta, certo, un illegittimo uso di un potere statale ridondante in menomazione di competenze regionali, poich� la disposizione impugnata � sostanzialmente corrispondente all'art. 16, secondo comma (ultimo periodo), del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, che, per la parte interessata, non � stato assorbito e abrogato dall'art. 52, lett. a, del d.P.R. 616 del 1977, correttamente interpretato. Quest'ultimo, infatti, nel delegare alle regioni le funzioni amministrative in materia di distributori di carburanti, non ha inteso ricomprendere in tale materia gli impianti situati lungo le autostrade, per il semplice fatto che le funzioni amministrative concernenti siffatti impianti coinvolgono ponderazioni di interessi che vanno compiute su scala nazionale o, comunque, su scala interregionale. Basta considerare, tanto per fare un esempio, che la distribuzione geografica di tali esercizi pu� essere adeguatamente decisa soltanto attraverso una visione globale della rete autostradale, la quale oltrepassa, ovviamente, l'ambito delle competenze regionali. Questa interpretazione trova conforto in altri elementi tendenti� verso la stessa direzione. Innanzitutto, gli impianti situati lungo le autostrade erano sottratti al comune regime dei distributori di carburanti anche nella legislazione anteriore al d.P.R. n. 616 del 1977, nella quale, mentre si attribuiva ai prefetti le funzioni provvedimentali relative agli impianti comuni, si affidava invece al Ministro dell'industria quelle attinenti ai distributori ubicati lungo le autostrade, con l'evidente giustificazione della dimensione nazionale delle relative funzioni (cfr. il citato art. 16, secondo comma, d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, convertito nella legge 18 dicembre 1970, n. 1034). Inoltre, l'art. 54 del d.P.R. n. 616 del 1977, nell'attribuire ai comuni le funzioni amministrative concernenti l'� autorizzazione� all'in stallazione dei distributori di carburanti nel territorio comunale, esclude espressamente dalla materia gli impianti ubicati lungo le autostrade: e ci� � di particolare significato, dovendosi riconoscere, come ha affermato RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELJ..O STATO 254 l'Avvocatura dello Stato, un sostanziale parallelismo tra le competenze di regolazione e di direttiva delle regioni e i poteri provvedimentali dei comuni nella stessa materia. Lo Stato ha correttamente esercitato un proprio potere anche quando ha disposto, al punto 9 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, che �gli impianti di distribuzione di carburanti utilizzati esclusivamente per autoveicoli di propriet� della pubblica amministrazione, rimangono soggetti all'aut�rizzazione del prefetto �, secondo quanto disposto dall'art. 21 del d.P:R. 27 ottobre 1971, n. 1269. In base a un elementare canone ermeneutico le disposizioni contenute in atti sottordinati alle leggi devono esser interpretati adeguandone, per quanto possibile, il senso alle norme legislative vigenti. Questa � la conseguenza tanto dell'assioma per il quale l'ordinamento normativo de. v'esser postulato, in sede interpretativa e applicativa, come una totalit� unitaria, quanto del principio di conservazione dei valori giuridici, il qtiale induce a presumere che una disposizione non sia dichiarata illegittima fintantoch� sia possibile enucleare da essa almeno un significato conforme alle leggi. Su tali premesse, dal momento che l'art. 52 del d.P.R. n. 616 del 1977 delega alle regioni le funzioni amministrative sugli impianti di distribuzione dei carburanti nell'ambito dell'ordnamento regionale e dal momento che l'art. 54 dello stesso decreto attribuisce ai comuni 1'� autorizzazione� all'installazione degli stessi, si deve ritenere che, quando la disposizione impugnata si riferisce ai distributori assoggettati alla autorizzazione del prefetto, in quanto utilizzati esclusivamente per autoveicoli di propriet� della � pubblica amministrazione >>, intende circoscrivere quest'ultima espressione all'amministrazione statale. Solo se interpretata in tal senso, la disposizione impugnata assume un significato logico e coerente con le ricordate norme legislative, come del resto ha ,riconosciuto lo stesso Governo alilorch� ha aggiornato le �direttive� in questione (v. art. 6 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982). (omissis) La Regione Toscana, con due distinti ricorsi, impugna l'intero punto 4 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 e gli artt. 6 e 7 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982, in quanto ritiene le direttive ivi contenute troppo dettagliate e concrete, tali da eliminare ogni discrezionalit� nello svolgimento delle funzioni delegate alle regioni cui si riferiscono. Analoga censura � prospettata dalla Regione Lazio nei confronti del punto 15 del citato decreto del 1978. (omissis) Al contrario, vere e proprie direttive nei confronti dell'esercizio del1e funzioni delegate alle regioni s6no quelle contenute nell'art. 7 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982 e nell'art. 15 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 (salvo l'ultimo comma, che, riferendosi agli impianti ubicati sulle autostrade, � assorbito dalle argomentazioni gi� svolte in relazione al punto 8 dello stesso decre PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE to). Tuttavia, tanto nell'uno, quanto nell'altro caso, il Governo ha esercitato il proprio potere di indirizzo restando nei limiti propri di questo. :� ben vero, infatti, che, allorch� lo Stato formula direttive nei confronti dell'esercizio delle funzioni da esso delegate alle regioni, non pu� spingersi fino al punto di enunciare criteri tanto dettagliati da dar corpo a un vero e proprio svolgimento diretto delle funzioni delegate; un tale comportamento avrebbe il significato di una revoca implicita della delegazione stabilita per via amministrativa, la quale, con riferimento al caso di specie, non potrebbe ritenersi consentita nei termini ipotizzati, sia perch�, a norma dell'art. 118, secondo comma Cost., la revoca delle predette funzioni potrebbe essere compiuta soltanto con un atto di valore legislativo, sia perch�, data la natura della delega disposta in materia dal d.P.R. n. 616 del 1977, vi sarebbe spazio soltanto per una revoca esplicita. Tuttavia i limiti appena enunciati non sono certo contraddetti n� dal punto 15 del decreto del 1978, n� dall'art. 7 di quello del 1982. Nel primo caso, infatti, si stabiliscono i livelli minimi degli orari di apertura dei distributori per il periodo invernale (non meno di nove ore e mezzo per ogni giorno feriale); si prevede, inoltre, la percentuale minima, in rela~ zione al territorio regionale, degli esercizi che devono restare aperti nei giorni festivi (non meno del 25 %) e durante la notte (non meno del 3 %); e, infine, si dispone l'apertura ininterrotta per gli impianti selfservice. Nel secondo caso, invece, si prevede che le regioni possono consentire il rilascio delle concessioni per l'installazione e l'esercizio degli impianti di distribuzione per uso privato all'interno di stabilimenti, cantieri e simili, purch� si tratti di serbatoi con capacit� superiori ai dieci metri cubi e si siano accertate le reali .fnalit� in relazione all'attivit� svolta dall'impresa e alla consistenza del relativo parco di automezzi. In tutte e due le ipotesi, insomma, l'autonomia delle regioni � indubbiamente salvaguardata, poich�, mentre in un caso sono stabiliti alcuni criteri essenziali perch� le funzioni delegate siano svolte in modo uniforme in tutto il territorio nazionale con la garanzia di un sufficiente margine di discrezionalit� a favore delle regioni, nell'altro sono previsti alcuni requisiti minimi perch� il particolare regime ivi contemplato non dia luogo a disfunzioni o ad abusi, trattandosi di direttive rivolte, per un verso, a prevenire un'eccessiva polverizzazione degli impianti e, per un altro, a raccomandare severi controlli sulle effettive finalit� delle relative attivit�. Pi� complesso, ma analogo, � il giudizio da dare sul punto 4 del d.P.C.M. del 1978, peraltro integralmente sostituito, con disposizioni pi� stringate, dall'art. 3 del successivo decreto del 1982. La maggioranza delle disposizioni ivi contenute stabiliscono criteri dotati di un basso grado di astrattezza, ma in esse si trovano formulate alcune esigenze 256 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEJ..O STATO relative all'efficacia del servizio, a un'adeguata distribuzione geografica degli impianti, e cos� via, che lasciano comunque, in sede di attuazione, un sufficiente spazio di discrezionalit� alle scelte regionali. Gli unici obblighi previsti sono quelli relativi alla necessit� di adottare un piano di irazionalizzazione della rete distributiva nel territorio regionale, al dovere di predisporlo entro la data del 31 marzo 1979 e al susseguente obbligo di comunicarlo al Ministro dell'industria entro la stessa data. Ma, com'� evidente, si tratta � di comportamenti dovuti, peraltro non sanzionati, diretti a porre alcuni punti fermi essenziali relativi al modo di procedere da parte delle regioni affinch� sia assicurato un coordinamento delle politiche regionali in materia, in mancanza del quale non sarebbe .neppure possibile la stessa funzione di indirizzo affidata dall'art. 52, lett. a, del d.P.R. n. 616 del 1977 al Governo. Del resto, affermare che le direttive non possono . costituire una forma, ancorch� surrettizia, di esercizio diretto delle funzioni delegate, non significa certo che esse non possano prevedere doveri, come quello di predisporre un piano, ovvero termini temporali per l'adozione o la comunicazione dello stesso. Non si pu� escludere, infatti, che il carat tere concreto e dettagliato o il vincolo puntuale eventualmente connessi a qualche disposizione possano riguardare singoli elementi della funzio ne interessata, al fine di ricondurla a parametri generali di uniformit� e di coordinamento: ci� che non � permesso � che la specifica funzione considerata possa essere complessivamente degradata, attraverso un uso improprio del potere di direttiva, a un'attivit� vincolata, priva di un sufficiente grado di discrezionalit�. i La Regione Veneto impugna i punti 10 e 11 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, in quanto, anzich� prevedere direttive sull'esercizio di competenze delegate, interverrebbero sul riparto di competenze fra comuni e regioni, affidando a queste ultime, con lo strumento improprio dell'atto amministrativo e pertanto in violazione della riserva di legge contenuta nell'art. 118, secondo comma, Cost., competenze che l'art. 54, lett. f, del d.P.R. n. 616 del 1977, assegna ai Comuni. Pi� in particolare, il punto 10 dispone che le regioni, � per il rilascio delle autorizzazioni ( ...) per l'installazione e l'esercizio degli impianti di distribuzione per uso privato, ubicati all'interno di stabilimenti, cantieri e simili �, debbono accertare le reali finalit� connesse al tipo di attivit� svolta dagli operatori. Il punto 11 stabilisce, invece, che � le regioni provvedono anche al rilascio della autorizzazione per l'installazione di impianti di distribuzione di carburanti destinati all'esclusivo rifornimento di natanti, ferme restando Ie facolt� spettanti alla compe tente autorit� marittima�. Il problema che ambedue le disposizioni pongono le ricorrenti a sospettarne l'illegittimit� deriva dal e che ha indotto fatto che, mentre I I II I ! I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTIT�ZIONALE le statuizioni appena lette sembrano ritenere che l'autorizzazione alla installazione dei distributori di carburanti sia di spettanza delle regioni, al contrario l'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977 attribuisce ai comuni la competenza a rilasciare, sulla base delle prescrizioni del C.I.P.E. e nell'ambito di criteri generali determinati dalla regione, � l'autorizzazione � all'installazione di distributori di carburanti nel territorio comunale, ad eccezione di quelli ubicati sulle autostrade. In altri termini, poich� le disposizioni impugnate sembrano operare una redistribuzione di competenze difforme tanto dalla norma legislativa appena menzionata, quanto dai principi di cui all'art. 118, secondo comma, Cost., se ne chiede l'annullamento. Tuttavia, di fronte a una formulazione tutt'altro che chiara, prima di accogliere eventuali censure d'illegittimit�, l'interprete deve verificare, come si � precedentemente ricordato, se le disposizioni impugnate possono esprimere almeno un significato non contrastante con le leggi ad esse sopraordinate e, in particolare, con l'art. 54, lett. f) del d.P.R. n. 616 del 1977, che prevede I'� autorizzazione� ..comunale per l'installazione e l'esercizio dei distributori di carburanti. Ad una considerazione sistematica dell'intero decreto appare chiaro che il Governo, nell'emanare l'atto impugnato, non ha inteso pretermettere il livello comunale con riferimento alla installazione dei distributori di carburante. Pertanto, le ambigue formule contenute nei punti 10 e 11, se non debbono essere interpretate in contraddizione con altre disposizioni del decreto stesso e con le leggi che ne stanno a fondamento, posson� essere intese soltanto come un riconoscimento alle regioni di funzioni ulteriori in relazione al rilascio della predetta � autorizza~ione �, come quelle di stabilire indirizzi o criteri in ordine a tale provvedimento o, pi� in generale, alla materia dei distributori oggetto della �disciplina contenuta nelle disposizioni impugnate. Cos� interpretate, le direttive formulate dal Governo nei punti contestati possono acquistare un senso che altrimenti non avrebbero, o, se lo avessero, sarebbe illegittimo: un senso che, mentre in un caso (punto 10), porta a configurarle come direttive vincolanti le regioni a prevedere severi accertamenti in relazione al rilascio della � autorizzazione � all'installazione dei distributori ad uso privato, nell'altro (punto 11), invece, come indirizzi v�lti a esigere un coordinamento fra le competenze regionali in ordine ai distributori adibiti all'esclusivo rifornimento dei natanti e quelle conservate in materia alla competente autorit� marittima. In ambo i casi si tratta, comunque, di direttive che rientrano perfettamente nei poteri propri dello Stato nei confronti dell'esercizio di funzioni delegate alle regioni. Anche l'ultima delle questioni proposte, quella relativa al punto 13 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, comporta probleini analoghi. Le Regioni Lom 258 RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA Dm.LO STATO bardia, Lazio, Veneto e Toscana ritengono che la disposizione impugnata, nel prevedere che l'autorizzazione prevista dall'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977 � necessaria per il rilascio delle concessioni per l'installazione di nuovi distributori o di nuove attrezzature presso impianti gi� esistenti ovvero per il rinnovo delle concessioni in scadenza o per il trasferimento degli impianti su nuove ubicazioni, contrasti con il predetto art. 54 e con l'art. 118, secondo comma, Cost. per una duplice e alternativa ragione: in quanto prevede una concessione regionale in luogo di quella comunale oppure in quanto ne subordina illegittimamente il rilascio a una preventiva autorizzazione comunale. Per questi profili i ricorsi vanno rigettati poich�, anche in tal caso, la pur oscura formulazione del punto 13 pu� ricevere un'interpretazione in armonia con le norme di legge e della Costituzione rispetto alle quali si suppone il contrasto. E questa interpretazione � quella che conferisce al punto contestato un valore essenzialmente descrittivo, nel senso che con il punto 13 non si intende affatto introdurre, per via amministrativa; nuove competenze in ordine ai provvedimenti concessori collegati alla installazione o all'esercizio degli impianti di distribuzione dei carburanti, n� subordinare ipotetiche concessioni regionali all'autorizzazione comunale, ma si mira semplicemente a descrivere, per via interpretativa, i casi in cui va adottata I'� autorizzazione� prevista dall'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977. Per essere pi� precisi, va ricordato che, nel delegare alle regioni le funzioni amministrative sui distributori di carburante (art. 52, lett. a) e, nel contempo, nell'attribuire ai comuni il potere di rilasciare I'� autorizzazione � per l'installazione e l'esercizio dei distributori stessi (art. 54, lett. f), il d.P.R. n. 616 del 1977 ha effettuato una ripartizione di competenze conforme al disegno costituzionale, affidando alle regioni la programmazione e l'indirizzo e ai comuni l'amministrazione attiva e la gestione concreta del settore. Per non apparire in contrasto con tale quadro costituzionale, il punto 13 non pu� essere interpretato come diretto a prevedere, per via amministrativa, una concessione regionale e, tantomeno, una concessione subordinata a una preventiva autorizzazione comunale (come potrebbe far pensare un'affrettata analogia con il vecchio parere comunale). Al contrario, esso pu� e deve esser interpretato come una norma svolgente una funzione esplicativa e indicativa dei casi in cui I'� autorizzazione � spettante al comune, in base al ricordato art. 54, va rilasciata. N�, in contrario, pu� valere l'argomento letterale per cui il punto 13, al pari dell'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977, parla di �autorizzazione �, ritenendola 'lecessaria per il rilascio di una serie di concessioni (per nuove attrezzature, per il trasferimento di impianti, etc.). Come � unanimemente riconosciuto in dottrina, il provvedimento che l'art. 54 e PARm I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA cosnruZIONALB 259 la disposizione ora impugnata chiamano autorizzazione �, in realt�, una concessione. Di modo che, ove lo si intenda nel suo significato sostanziale, il punto 13 dice semplicemente che il provvedimento concessorio, di cui al predetto art. 54, va necessariamente adottato per tutte le susseguenti ipotesi di concessione ivi menzionate. E che quel provvedimento, come precisa ancora il richiamato art. 54, sia di spettanza del comune, non pu� certo venir contraddetto dalla pretesa inidoneit� di tale ente a valutare gli interessi sottesi alla materia, i quali non sono del tutto circoscrivibili all'ambito meramente locale. Infatti, contro questa assunzione sta, innanzitutto, il rilievo che il comune � in ogni caso l'autorit� pubblica preposta all'adozione dei provvedimenti amministrativi di disposizione e di uso concreto del territorio; in secondo luogo sta il fatto che le concessioni comunali si iscrivono, a norma del citato art. 54, in un tessuto di interessi gi� delineato sia a livello nazionale (indicazioni del CIPE), sia a livello regionale (piano di razionalizzazione della rete dei distributori, indirizzi e criteri); e, infine, non si pu� trascurare il rilievo che, anche coloro che intendono ridurre la competenza del comune a un atto interno al procedimento concessorio (che si assume, in ipotesi, di spettanza regionale), non negano che, comunque, l'espressione di una volont� contraria del comune sia talmente decisiva da impedire il rilascio della concessione stessa. In definitiva, tanto un'interpretazione adeguatrice e sistematica della disposizione impugnata, quanto la collocazione degli interessi sottesi alla ripartizione di competenze fra regioni e comuni nella materia considerata, portano a conferire al punto 13 un senso meramente descrittivo delle ipotesi in cui appare necessario il provvedimento previsto nell'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977. Anche se si pu� dubitare dell'efficacia di una disposizione del genere, resta il fatto che, solo se, interpretato in tal modo, il punto 13 non appare lesivo delle competenze delegate alle regioni in materia di distributori di carburanti (art. 52, 9 lett. a,' d.P.R. n. 616 del 1977). CORTE COSTITUZIONALE, 5 maggio 1988 n. 507 -Pres. Saja -Rel. Caianiello -Consorzio di credito oo.pp. (avv. Scoca), s.p.a. Dalmine Italsider e Finsider (avv. Lemme e Savarese), Camera di commercio di Milano (avv. Onida) e s.p.a. Italsider (avv. Lemme). Tributi in genere -Prestazioni patrimoniali imposte -Riserva di legge � Elementi sufficienti. (Cost., art. 23; r.d. 20 settembre 1934 n. 2011, artt. 53 e 80). Ai fini dell'osservanza dell'art. 23 Cost. � sufficiente che la legge ordinaria individui i soggetti obbligati alla prestazione patrimoniale imposta, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBll.O STATO 260 l'oggetto della stessa (ovvero oggettivi e razionali criteri per determinarlo), ed un adeguato modulo procedimentale per l'emanazione degli occorrenti provvedimenti amministrativi (1). (omissis) Nel merito le questioni non sono fondate. La giurisprudenza di questa Corte ritiene che il principio della riserva di legge, previsto dall'art. 23 Cost., sia rispettato anche in assenza di una espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalit� de1l'amministrazione, purrch� gli stessi siano desumibili dalla destinazione della prestazione, ovvero dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinarne la misura (sentt. nn. 4 del 1957, 55 del 1963; 67 del 1973, 51 del 1%0 e 21 del 1969). Si esclude altres� da questa Corte (sent. n. 34 del 1986) la violazione della norma costituzionale citata quando esista, per l'emanazione dei provvedimenti amministrativi concernenti il.e prestazioni, un modulo procedimentale a mezzo del quale si realizzi la collaborazione di pi� organi, al fine di evitare eventuali arbitrii dell'amministrazione. La normativa oggetto della questione di costituzionalit� risponde ai requisiti indicati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale. Poich�. come si � detto, la norma istitutiva della prestazione in parola � l'art. 7 del regolamento approvato con il R.D. 4 gennaio 1925, n. 29, -il cui contenuto, come si � rilevato, ha assunto rango di legge ordinaria, per effetto del richiamo di cui all'art. 80 del R.D. 20 settembre 1934 -� a tale norma che bisogna riferirsi per individuare gli elementi di detta prestazione patrimoniale imposta. Orbene, detta norma stabilisce che la Camera di commercio e indu� stria provvede ai locali ed a quanto altro occorre per il funzionamento delle Borse di �ommercio alle proprie dipendenze e dei relativi uffici forrnendo anche tutto il personale necessario sia per ie riunioni che per ' il funzionamento di detti uffici. Stabilisce altres� che le spese relative alla pubblicazione del listino di borsa sono a carico della Camera di commercio e che le entrate sono, fra l'altro, costituite dai diritti di borsa che vengono ivi elencati, come si vedr� in prosieguo. Quanto all'organo competente alla determinazione di quei diritti, la stessa norma prevede che le tariffe siano deliberate dailla Camera di commercio e che siano approvate con decreto del Capo dello Stato. (1) La sentenza conferma e puntualizza con chiarezza l'orientamento della Corte in ordine agU � elementi sufficienti � in presenza dei quali deve ritenersi osservata la riserva relativa di legge posta dall'art. 23 Cost. -Nella specie esaminata si � trattato di prestazioni patrimoniali imposte (diritti inerenti ai servizi di borsa) ma non aventi carattere tributario; peraltro, come ovvio, il parametro costituzionale opera parimenti anche per i tributi. PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTI1UZIONALE Quanto alla portata del secondo comma dell'art. 53 del t.u. del 1934, n. 2011 (che � la norma denunciata in tutte le ordinanze di rinvio) va rilevato che in realt� si � in presenza di una disposizione dal contenuto meramente procedimentale, in quanto essa si limita a stabilire che l'indicato decreto del Capo dello Stato, per l'istituzione dei � diritti inerenti ai servizi delle borse di commercio, � promosso, per i diritti d�ile borse valori, dal Ministro delle finanze e per i diritti delle borse merci, dal Ministro per l'agricoltura e foreste di concerto con il Ministro dell'industria �. Da quanto precede risulta dunque che, dal contesto in cui gli artt. 53 e 80 del t.u. del 1934 si collocano, � certamente possibile desumere la presenza di quegli elementi che la giurisprudenza di questa Corte (in particolare da ultimo v. sul punto la sentenza n. 34 del 1986) ritiene sufficienti ai fini della �rispondenza all'art. 23 Cost. dei tributi o comunque delle prestazioni imposte in genere. Tali elementi sono: i soggetti tenuti ailla prestazione e l'oggetto della �stessa, razionali ed adeguati criteri per fa concreta individuazione dell'onere, e, infine, il modulo procedimentale che, come � stato precisato da questa Corte nella sentenza per ultima richiamata, concorre ad escludere -l'eventualit� di arbitrii da parte deM'amministrazione. Per quel che riguarda i soggetti, dal contenuto delle norme denunciate � possibile individuarli in coloro che abbiano interesse rispetto � ai servizi delle borse di commercio�, dovendosi rilevare che l'art. 7 del R.D. del 4 gennaio 1925, n. 29, diversifica i diritti relativi a tali servizi: a) in quelli per la quotazione dei titoli sul listino di borsa; b) in quelli per iJ rilascio delle tessere d'ingresso ai recinti ed agli spazi riservati; c) in quelli per l'uso dei telefoni, di tavoli, cabine e per ogni servizio a disposizione delle borse. Da queste indicazioni risultano dunque ben individuabili i soggetti tenuti a tali prestazioni, cos� per i diritti di quotazione nel listino, tali soggetti possono ravvisarsi nelle persone fisiche o societ�, aventi appunto interesse alla quotazione dei titoli nel listino di borsa. Parimenti, dalle stesse indicazioni, � chiaramente individuabile l'oggetto della prestazione patrimoniale imposta che ha, come punto di riferimento, gli elencati servizi di borsa, onde le prestazioni in parola devono avere attinenza con quei servizi e gravare perci� sui soggetti che rispettivamente si avvalgono di tali servizi. Dalla individuazione di tali elementi discende, come automatica conseguenza, anche il requisito della desumibilit� di criteri tecnici per la quantificazione delle tariffe, relative a ciascuno dei diritti di borsa indicati. Difatti i provvedimenti amministrativi, determinativi di tali tariffe, debbono prendere in considerazione il complesso delle spese sostenute dalle borse, ripartendo di conseguenza i diritti (rectius le prestazioni pa 262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D11U.O STATO trimoniali imposte) indicate sub a) b) e c), in misura ovviamente pro Iporzionale all'incidenza di ciascuna voce sul complesso di tali spese, attribuendo l'onere alle categorie di soggetti rispettivamente interessate e, facendolo infine gravare, nell'ambito di ciascuna categoria di destinatari ldei servizi, sui singoli soggetti, secondo criteri ispirati a princ�pi di ragio -~ nevolezza che esplicitamente o implicitamente siano desumibili dai decreti del Presidente della Repubblica che approvano le tariffe. Dalle elencate indicazioni risulta perci� soddisfatta l'esigenza, posta in risalto dalla pi� recente giurisprudenza di questi;t Corte (sentenza n. 34 del 1986) in tema di prestazioni patrimoniali imposte, secondo cui � la delimitazione della potest� amministrativa non deve necessariamente risultare dalla formula della norma stessa, ma ben pu� risultare da tutto il contesto della disciplina relativa alla materia di cui essa fa parte�. Anche l'esigenza di un modulo procedimentale, che metta al riparo dall'eventualit� di arbitrii dell'amministrazione, rendendo possibile l'indagine sulle varie fasi del procedimento, appare nella specie soddisfatto. Basta al riguardo considerare che, secondo la normativa indicata, � previsto, per i diritti sub a) e sub b) -che sono quelli aventi la maggiore rilevanza -una delibera della Camera di commercio nonch� l'approvazione con decreto del Presidente della Repubblica (art. 7, comma quarto, R.D. n. 29 del 4 gennaio 1925), su proposta del Ministro competente (art. 53, comma secondo, t.u. 20 settembre 1934, n. 2011). Si � dunque in presenza di un procedimento ben articolato che consente un adeguato controllo nel loro susseguirsi, delle varie fasi del procedimento per verificare fa ragionevolezza �deHe dete11minazioni adottate. Quanto infine ai diritti indicati sub c), per i quali � solo prevista la delibera della Camera di commercio, questa semplificazione procedimentale � giustificata dalla natura dei servizi cui i dirittti in parola si riferiscono, perch� essi concernono l'uso dei telefoni, dei tavoli, delle cabine e i di ogni altro servizio (chiaramente affine a quelli test� elencati), cio� di un complesso di prestazioni di carattere meramente materiale, rispetto I alle quali la garanzia procedimentale pu� gi� ritenersi soddisfatta, con la previsione della sola delibera della Camera di CORTE COSTITUZIONALE, 5 maggio 1988 n. 512 goni -Regione Valle d'Aosta (avv. Romanelli) dei Ministri (vice avv. gen. Azzariti). Regioni -Autorizzazione governativa agli acquisti per le regioni a statuto speciale. commercio. (omissis) I Pres. Saja -Rel. Men! ie Presidente Consiglio ! '~ 8 ~ I ~ -�1. necessaria, anche Spetta allo Stato il potere di autorizzare le regioni, e in particolare ~ la Regione Autonoma Valle d'Aosta, ad acquistare beni immobili e ad I! I . 1 I I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITTTZIONALE 263 accettare lasciti o donazioni, quando l'acquisto sia deliberato con atto amministrativo della regione (1). Occorre precisare preliminarmente che l'assoggettamento delle regioni al requisito dell'autorizzazione governativa per gli acquisti di immobili a titolo oneroso e per l'accettazione di liberalit� pu� fondarsi soltanto sulla legge 5 giugno 1850 n. 1036 (c.d. legge Siccardi), applicabile a tutti i � corpi morali �, ossia come precisa l'art. 1 del regolamento di esecuzione approvato con r.d. 26 giugno 1864 n. 1817, a �qualunque istituzione�. Non sono applicabili alle regioni n� la legge 21 giugno 1896 n. 218 e il regolamento di esecuzione approvato con r.d. 26 luglio 1896 n. 361, che riguardano le province, i comuni e le istituzioni pubbliche di beneficenza, n� l'art. 17 cod. civ. e l'art. 5 delle disposizioni di attuazione, concernenti le sole persone giuridiche private (arg. ex art. 11 cod. civ.). Pertanto, nei confronti delle regioni l'istituto dell'autorizzazione agli acquisti -ritenuto applicabile dal Consiglio di Stato nel parere in data 19 maggio 1978, cui si � conformata l'impugnata circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri -non implica la funzione tutoria di controllo della convenienza dell'acquisto e della disponibilit� dei mezzi occorrenti, che per gli altri enti pubblici e le persone giuridiche private l'art. 2 n. 5 del r.d. n. 361 del 1896 e, rispettivamente, l'art. 5 disp. att. cod. civ. hanno aggiunto e quasi sovrapposto alla funzione originaria, identificata dalla sentenza n. 62 del 1973 di questa Corte nell'� esigenza fondamentale e sempre attuale di contenere nei limiti del necessario gli acquisti patrimoniali destinati a mero scopo di investimento e di reddito�. In questi termini il requisito dell'autorizzazione governativa � compatibile con l'autonomia riconosciuta alle regioni dall'art. 115 Cost., e anche con l'autonomia riconosciuta alla Valle d'Aosta dall'art. 1 de11o statuto speciale. L'autonomia delle regioni, che, pur avendo carattere politico, �non � da confondere con la sovranit�� (C. cost. n. 143 del 1968), � limitata alla valutazione e al perseguimento degli interessi specifici della regione. Invece l'autorizzazione agli acquisti, secondo la configurazione della legge Siccardi, � ordinata alla tutela di un interesse della collettivit� generale, della quale � esponente lo Stato, e precisamente dell'interesse a (1) Sentenza di notevole interesse, ancorch� dal tono un po' paleo-liberista laddove afferma in modo � tranchant � essere tuttora � interesse della collettivit� generale� evitare una incontrollata espansione della �mano pubblica� (all'epoca della legge Siccardi reputata �manomorta�). L'Italia di oggi, affollata di uomini e di imprese produttive, ha grande bisogno di spazi di salvaguardia ambientale e in genere sottratti allo sfruttamento � produttivo '" Inoltre, l'esperienza dell'ultimo sessantennio ha evidenziato sia la opportunit� (anzi, sovente la necessit�) di una ampia utilizzazione dello strumento proprietario da parte dello Stato e di enti pubblici, sia la molteplicit� delle modalit� di partecipazione della �mano pubblica � alle attivit� produttive e commerciali. 5 264. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � ridurre nella misura dello stretto indispensabile i mezzi patrimoniali destinati ad attivit� non produttive, affinch� la maggiore quantit� possibile delle risorse economiche del paese possa concorrere ad aumentare la produzione e quindi la ricchezza nazionale �. Alla stregua di questa ratio legis appare infondata la pretesa della Regione ricorrente che gli acquisti immobiliari delle regioni siano � assoggettati a un regime analogo a quello dei beni statali, per i quali lo Stato stesso valuta l'opportunit� dell'acquisto in relazione all'esigenza di evitare la costituzione di manomorte �. D'altra parte non � esatto che l'alternativa sia l'assoggettamento delle regioni � a un regime analogo a quello degli enti locali �: come si � gi� sottolineato, nei confronti delle regioni rimane estranea all'autorizzazione l'ulteriore funzione tutoria che essa svolge nei rapporti con gli altri enti, cio� la funzione di un sindacato governativo sull'opportunit� dell'acquisto dal punto di vista dell'interesse dell'ente, e di tutela degli eredi legittimi del testatore o del donante. Cade di conseguenza anche l'argomento che la ricorrente ritiene offerto dall'art. 15 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, nel senso che �se le regioni hanno competenza ad assentiire agli acquisti di enti locali e di persone giuridiche private, appare incongruo e privo di razionalit� che si neghi ad esse la competenza di valutare l'opportunit� dei propri acquisti immobiliari �. Anzitutto il trasferimento delle funzioni amministrative previsto dalla norma citata riguarda soltanto gli �enti pubblici locali operanti nelle materie di cui al presente decreto �, restando esclusi in primo luogo le province e i comuni, i cui acquisti continuano ad essere soggetti all'autorizza,zione governativa. Secondariamente, tra l'autorizzazione agli acquisti immobiliari degli enti locali e l'autorizzazione agli acquisti della regione non vi � � simmetria, perch� per quest'ultima il controllo non si estende all'opportunit� dell'acquisto. Non sussistono nemmeno le altre violazioni dello statuto regionale lamentate dalla Valle d'Aosta. (omissis) Non � violato l'art. 3 lett. c), che attribuisce alla Regione potest� legislativa (concorrente) in materia di �espropriazione per pubblica utilit� per opere non a carico dello Stato �. � vero che � l'espropriazione conduce inevitabilmente alla realizzazione di un acquisto immobiliare �, ma ci� significa soltanto che, alla condizione indicata, la norma statutaria estende, in via eccezionale, agli acquisti immobiliari mediante espropriazione per pubblica utilit� l'esonero dalla necessit� dell'autorizzazione governativa previsto dall'art. 5, primo comma, del r.d. n. 1817 del 1864 per gli acquisti a seguito di procedimenti di esecuzione forzata immobiliare. Altrettanto inconsistente � la pretesa violazione degli artt. 5 e 6 dello statuto regionale. Il trasferimento al demanio o al patrimonio della Regione dei beni del demanio o del patrimonio dello Stato, disposto dalla legge costituzionale n. 4 del 1948, non esclude che atti successivi di acqui PARm I, SEZ. �I, GIURISPRUDENZA COSTITTTZIONALE sto di beni immobili, destinati a far parte del demanio o del patrimonio regionali, siano soggetti all'autorizzazione governativa richiesta per tutte le pubbliche istituzioni dalla legge n. 1037 del 1850. Non sussiste, infine, la lamentata violazione del principio di coincidenza tra competenza amministrativa e competenza legislativa della Regione, risultante dall'art. 4 dello statuto speciale. Con questo principio contrasterebbe, secondo la ricorrente, �la possibilit� di evitare la richiesta di autorizzazione governativa attraverso l'emanazione di una legge regionale �, riconosciuta dalla circolare impugnata, la quale limita la necessit� dell'autorizzazione governativa agli acquisti delle regioni � che non vengono effettuati attraverso atti legislativi�. Il detto principio non � richiamato a proposito. L'autorizzazione governativa di cui si discute non si sovrappone alla competenza amministrativa della Regione in una materia inclusa nella sua competenza legislativa, bens� si aggiunge alla delibera dell'amministrazione regionale come modalit� del procedimento di formazione dell'atto negoziale col quale la Regione acquista un bene immobile o accetta un lascito o una donazione. I CORTE COSTITUZIONALE, 19 maggio 1988 n. 556 -Pres. Saja -Rel. Caia� niello -Comune di Bosa (n.p.) e regione Sardegna (avv, Panunzio). Regioni � Atti degli enti locali -Comminatoria della decadenza -Competenza regionale -Non sussiste. (Statuto Sardegna, artt. 3, 4 e 5; legge Sardegna 23 ottobre 1978 n. 62, art. 22). La previsione di una sanzione di � decadenza � per atti di enti locali non attiene alla materia dei controlli su tali atti; alla regione non spetta potest� legislativa in materia. di ordinamento degli enti locali. II CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988 n. 612 -Pres. Saja -Rel. Baldassarre -Regione Toscana (avv. Barile) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Azzariti). Regioni -Controllo sugli atti delle unit� sanitarie locali -Attribuzione ai comitati regionali di controllo sulle province � Legittimit� costitu zionale. (Cost. artt. 117, 123 e 130; legge 26 aprile 1982 n. 181, art. 13). La materia dei controlli sugli atti degli enti locali non � assimilabile a quella dell'ordinamento degli uffici ed enti regionali. In ordine ai controlli 266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO si ha una ripartizione delle competenze fra Stato e regioni tale che, mentre al primo � riservata la regolamentazione degli aspetti_ fondamentali e dei princ�pi (vale a dire, oltre alla composizion.e, le norme pi� rilevanti sulla competenza e sulle procedure di controllo), spetta invece alle regioni la disciplina residuale e, in particolare, quella relativa al funzionamento dell'organo di controllo (1). I Oggetto della questione di legittimit� costituzionale � l'art. 22 della legge regionale della Sardegna, che commina la decadenza delle deliberazioni degli enti locali territoriali, nonch� dei loro Consorzi e Comprensori, non pubblicate entro dieci giorni dall'adozione. Ad avviso del giudice a quo tale disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto regionale, che non attribuiscono alcuna competenza legislativa alla regione in materia di ordinamento degli enti locali. La questione � fondata, si~ pure solo parzialmente. La norma denunciata, fatte salve le disposizioni di legge speciali che prevedono termini e periodi diversi di pubblicazione, stabilisce che le deliberazioni degli enti in parola sono pubblicate negli appositi albi entro dieci giorni dall'adozione e per la durata di quindici giorni, a pena di decadenza. Osserva la Corte che tale norma, per la parte che concerne l'obbligo della pubblicazione delle deliberazioni degli enti locali entro un certo termine, non pu� considerarsi illegittima, in quanto la pubblicazione, nel dare notizia ai cittadini delle deliberazioni stesse, consente ad essi di partecipare, seppur indirettamente, alla funzione di controllo, mediante la proposizione di opposizioni ai competenti organi preposti a questa funzione che, anche attraverso tale strumento partecipativo, sono posti in grado di esercitare in modo pi� ampio e completo. Nei sensi anzidetti trattasi di una previsione fra l'altro gi� esistente nella legislazione statale, perch� difatti l'art. 163 del regolamento di esecuzione della legge comunale e provinciale, approvato con r.d. 12 febbraio 1911 n. 297, stabiliva che il certificato dell'eseguita pubblicazione delle deliberazioni comunali e provinciali, � deve far menzione se siansi prodotte opposizioni �. (1) La Corte ha avuto cura di prendere le distanze dalla configurazione delle U.S.L. alla stregua di �strutture operative dei comuni e delle comunit� montane �. Ed in effetti tale configurazione si palesa sempre meno congrua. Anzi, poco razionale -specie dopo che il numero delle U.S.L. sar� ridotto appare il collegamento tra detti organismi e le realt� dei comuni (singoli od associati); mentre questi sono sovraccarichi di funzioni, proprio la provincia � ente di dimensione adeguata e non privo di una esperienza in materia. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE In quanto diretta a disciplinare i termini della pubblicazione che, per quel che si � detto, assume rilievo anche con riferimento al controllo sulle deliberazioni, la disposizione rientra dunque nella competenza della regione cui spetta, neMa materia dei controlli, potest� legislativa ai sensi dell'art. 46 dello Statuto regionale Sardegna. A diverse conclusioni devesi invece pervenire per quel che riguarda la comminatoria di decadenza prevista dall'articolo in esame, nell'ipotesi in cui non si provveda alla pubblicazione nei termini e per la durata indicata. Quella della decadenza � difatti una previsione che non attiene alla materia dei controlli, bens� alla disciplina dell'efficacia delle deliberazioni, in quanto il mancato adempimento delle formalit� di pubblicazione determina appunto, secondo la norma denunciata, la decadenza degli effetti delle deliberazioni stesse. Sotto quest'ultimo aspetto la norma esula dalla competenza della Regione, cui non spetta la potest� legislativa in materia di ordinamento degli enti locali, e, quindi, limitatamente alla previsione della decadenza, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima. II La questione di costituzionalit� posta al giudizio di questa Corte concerne l'art. 13 della legge 26 aprile 1982, n. 181, nella parte in cui, estendenqo la competeza dei comitati per il controllo sulle province (art. 55, 1. 10 febbraio 1953, n. 62) agli atti delle U.S.L., prevede che tale forma di controllo sia esercitata a livello regionale � in unica sede �. Da parte della Regione Toscana si dubita della legittimit� costituzionale di tale disposizione per l'asserito contrasto con le seguenti disposizioni: a) l'art. 130 Cost., come attuato dall'art. 56 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, in quanto attribuisce alle regioni e, pi� in particolare, alla loro competenza statutaria la scelta di prevedere se il controllo sugli atti dei comuni debba esser svolto in forma accentrata o decentrata nei capoluoghi di provincia; b) l'art. 123 Cost., che affida la disciplina degli organi regionali, e quindi anche quella degli organi di controllo, alla competenza statutaria, la quale, nel suo svolgimento concreto (art. 70, secondo comma, St. Reg. Toscana), ha stabilito che il controllo sugli atti degli enti locali debba venir esercitato da un organo suddiviso in sezioni decentrate nei capoluoghi di provincia e dotato delle competenze stabilite dalla legge regionale; e) con l'art. 117, primo comma, Cost., che prevede la competenza legislativa delle regioni a statuto ordinario in materia di organi e di uffici regionali. Nei termini di cui si dir� in motivazione, la questione non � fondata. Come � chiaramente stabilito dall'art. 130 Cost. e come questa Corte ha da tempo riconosciuto (v. sent. n. 40 del 1972), non vi pu� esser dubbio 268 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che sia riservata alla legge dello Stato la disciplina relativa al modo di composizione dei comitati regionali di controllo sugli enti locali minori. In pari tempo, questa stessa Corte ha pi� in generale affermato, secondo la precisa sintesi contenuta in una successiva pronunzia (sent. n. 245 del 1984), che �spetta in prima linea alle leggi della Repubblica, in attuazione dell'art. 130 Cost., l� disciplina dei controlli sugli atti degli enti locali �. Ci� significa, in altre parole, che esiste in materia una ripartizione delle competenze fra Stato e regioni tale che, mentre al primo � riservata la regolamentazione degli aspetti fondamentali e dei pinc�pi (vale a dire, oltre alla composizione, le norme pi� rilevanti sulla competenza e sulle procedure di controllo), spetta invece alle regioni la disciplina residuale e, in particolare, quella relativa al funzionamento dell'organo di controllo. A differenza di quanto assume la ricorrente, questo quadro normativo non risulta scalfito o, comunque, modificato in conseguenza della pur necessaria interrelazione dell'art. 130 Cost. con gli artt. 117, primo comma, e 123, primo comma, Cost., che affidano, rispettivamente, alla competenza legislativa e a quella statutaria l'ordinamento degli uffici e degli enti regionali e l'organizzazione interna della Regione, poich�, come ha ripetutamente affermato questa Corte, la materia dei controlli non � del tutto assimilabile alle materie da ultimo menzionate, n�, tantomeno, � integralmente riassorbibile nelle stesse. E per la verit�; non pu� essere invocata nel senso ora contestato neppure la disposizione contenuta nell'art. 70 St. Reg. Toscana, poich� quest'ultima, nel disporre che nei capoluoghi di provincia sono istituite sezioni decentrate dell'organo regionale di controllo, mentre non stabilisce affatto in relazione a quali forme di controllo o a quali atti debbano operare tali sezioni decentrate, nello stesso tempo rinvia la determinazione delle competenze dell'organo regionale_ di controllo e delle sue sezioni decentrate alla legge regionale, la quale, come � noto, pu� disciplinare la materia soltanto nel rispetto dei limiti costitu~ zionalmente previsti e, in particolare, nel rispetto del limite dei princ�pi stabiliti sulla materia dalle leggi dello Stato. Posta a confronto con tale complesso di norme costituzionali, la disposizione impugnata non appare illegittima. Nel corretto esercizio della propria competenza, lo Stato ha attuato l'art. 130 Cost. essenzialmente attraverso gli artt. 55 e 56 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, stabilendo, nel_ primo, le norme fondamentali sul controllo degli atti delle province e, nel secondo, quelle relative al controllo sugli atti dei comuni. Soltanto in quest'ultimo caso, peraltro, la legge statale prevede che gli statuti regionali possano eventualmente prevedere sezioni distaccate del medesimo organo di controllo. Nell'istituire successivamente le Unit� Sanitarie Locali, la legge 23 dicembre 1978, n. 833, ha previsto, all'art. 49, che il controllo sugli atti di PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB tali enti dovesse seguire le norme predisposte dall'art. 56 della legge n. 62 del 1953, sull'evidente presupposto che il regime degli atti adottati dalle U.S.L. dovesse essere assimilato a quello proprio degli atti dei comuni, in quanto le anzidette Unit� sono da considerare � strutture operative � dei comuni medesimi (oltrech� delle comunit� montane). Questa scelta effettuata dal legislatore statale del 1978 � stata modifi�ata dall'art. 13, quarto comma, della legge 26 aprile 1982, n. 181, che �, appunto, la disposizione oggetto del presente giudizio. Come appare evidente dal fatto stesso del suo inserimento nella legge finanziaria del 1982, tale disposizione rientra in un complesso di norme v�lto a rendere pi� rigorosa la gestione della spesa pubblica imputata alle U.SL.. ~ in questo quadro che si giustifica, infatti, tanto l'inserimento di un rappresentante del_ Ministero del Tesoro nel Comitato di controllo, quanto l'accentramento in un'unica sede, a livello regionale, del controllo sugli atti delle U.S.L., a seguito dell'assimilazione di quest'ultimo a quello previsto per gli atti delle province (art. 55, I. n. 62 del 1953). Se, dunque, non appare irragionevole che il legislatore statale, nella sua discrezionalit� politica, preveda una composizione dell'organo di controllo regionale ritenuta pi� idonea a combattere gli eccessi di spesa pubblica nel settore sanitario (v. sent. n. 107, punto 6, del 1987), allo stesso modo non appare irragionevole che le regole cos� stabilite, in attuazione dell'art. 130 Cost., possano comportare un mutamento dell'organizzazfone del controllo medesimo, diretto a facilitarne lo svolgimento nei modi anzidetti. Sotto questo profilo, la scelta del legislatore statale relativa all'accentramento in un'unica sede regionale del controllo sugli atti delle U.S.L. appare logicamente conseguenziale alle nuove regole previste sulla composizione dell'organo. E l'una e l'altra, come s'� detto, sono giustificate dalla politica di contenimento della spesa pubblica nel settore sanitario, resasi necessaria in un periodo storico di forti disavanzi nel bilancio statale, che appesantiscono l'economia generale e le stesse possibilit� di sviluppo e di progresso sociale. Resta il fatto che, finch� le U.S.L. sono configurate nel diritto positivo come � strutture operative � dei comuni e delle comunit� montane, ovvie esigenze di coerenza dovrebbero indurre il legislatore statale ad assimilare il controllo sugli atti delle U.S.L. a quello sugli atti dei comuni, con la conseguente possibilit�, garantita dall'art. 56 della legge n. 62 del 1953, che le regioni organizzino il relativo controllo in forma decentrata. Tanto pi� ci� vale se si tiene conto del fatto che la disciplina oggetto della presente impugnazione pu� essere fonte di effetti irrazionali sotto un duplice profilo. Innanzitutto per il fatto che l'accentramento in un'unica sede regionale degli atti di esercizio della gestione sanitaria introduce un criterio 270 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cli ripartizione delle competenze nel sistema cli controllo degli atti degli enti locali il quale � eterogeneo rispetto a quello contenuto nella legge n. 62 del 1953 (dipendente, com'� noto, dal livello, provinciale o comunale, in cui � collocato l'autore dell'atto). Inoltre, per il fatto che, essendo in Toscana le U.S.L. titolari anche di gran parte delle funzioni di assistenza sociale, anche gli atti adottati nell'esercizio di tale funzione finiscono per essere assoggettati, insieme alle deliberazioni in materia sanitaria, al controllo del Comitato regionale. Tuttavia, se esigenze legate a particolari contingenze storiche di primario interesse nazionale inducono a giustificare il fatto che il legislatore statale, nel legittimo esercizio deHe proprie competenze, preveda una particolare composizione dell'organo di controllo; e se da questa previsione discende logicamente che il controllo stesso possa pi� efficacemente svolgersi ove sia esercitato in un'unica sede regionale, non si pu� certo dubitare della legittimit� costituzionale di una disposizione come quella impugnata fin tanto che quest'ultima sia funzionale, com'� ora, alla particolare composizione dell'organo di controllo prescelta per meglio fronteggiare gli eccessi di spesa pubblica nel settore sanitario. CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 613 -Pres. Saja -Rel. Baldassarre -Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amato) e Regione Toscana (avv. Barile). Regioni -Controlli sugli organi degli enti locali -Spettano allo Stato. Spettano allo Stato e non alle regioni i controlli sugli organi degli enti locali (nella specie, il potere di nomina del collegio commissariale di unit� sanitaria locale). (omissis) Nel merito, il ricorso dello Stato va accolto, poich� non si pu� certo consid~rare come rientrante fra le attribuzioni regionali la nomina di un collegio commissariale per la gestione di un'Unit� Sanitaria Locale che si trovi nell'impossibilit� temporanea di funzionare. A base di tale decisione va posto il principio, costantemente affermato da questa Corte (v., specialmente, le sentt. nn. ,164 del 1972 e 245 del 1984), per il quale, mentre i controlli sugli atti degli enti locali sono di pertinenza delle regioni, che li esercitano per il tramite degli appositi comitati regionali (art. 130 Cost., nonch� artt. 55 e segg. della legge 10 febbraio 1953, n. 62), al contrario i controlli sugli organi degli stessi enti locali rientrano nelle competenze dello Stato, in quanto espressione dell'indefettibile momento di unitariet� proprio dell'ordinamento complessivo. E, poich� le Unit� Sanitarie Locali, quali � strutture operative � PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dei comuni e delle comunit� montane (ex artt. 13, primo e secondo comma, e 15, primo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833), sono assimilate e sottoposte, in base all'espressa previsione dell'art. 49, primo e secondo comma, della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, allo stesso regime dei corrispondenti controlli disposto per i comuni e le province, ne consegue che il principio regolativo appena menzionato trova applicazione anche al caso di specie (sent. n. 245 del 1984). Che la nomina del � Collegio commissariale per la gestione dei servizi dell'U.S.L. n. 7 -Val di �Nievole �, effettuata dal Consiglio regionale della Toscana con l'atto impugnato, debba esser considerata attivit� rientrante nell'ambito del controllo sugli organi, e non gi� in quello del controllo sugli atti, deriva da un duplice e concorrente rilievo. Innanzitutto, la stessa premessa della delibera da cui ha origine il presente conflitto pone in evidenza l'incontestabile collegamento della nomina del predetto Collegio commissariale con una decisione giurisprudenziale, come quella del T.A.R. per la Toscana precedentemente ricordata, che, avendo annullato l'elezione del Comitato di gestione della U.S.L. n. 7, ha direttamente colpito quest'ultimo organo, dichiarandone illegittima la sua stessa formazione, e non gi� il compimento di singoli atti. Di modo che il presupposto della nomina del C�llegio commissariale qui in contestazione � dato, non certo dall'inerzia o dal ritardo del Comitato di gestione nel compiere determinati atti, ma dal fatto che esso era disciolto e pertanto, come si legge testualmente nella stessa delibera di nomina, non era � in grado di espletare alcuna funzione di amministrazione ordinaria o straordinaria �. In �secondo luogo, va osservato che la delibera impugnata, in piena coerenza con il presupposto da cui muove, non ha previsto un'ipotesi di commissariamento ad acta, come sostiene invece la difesa della Regione, ma ha dato vita, piuttosto, a una forma di sostituzione in ufficio, la quale risulta chiaramente dalle attribuzioni che la delibera medesima ha inteso conferire al predetto Collegio commissariale, consistenti nei � poteri di ordinaria amministrazione propri degli organi dell'Unit� Sanitaria Locale � (se pure con la puntuale ed espressa esclusione di alcuni di essi). Da tutto ci� deriva che l'attribuzione qui in contestazione rientra nell'ambito dei controlli sugli organi e, in particolare, nell'ambito dei poteri di sostituzione in ufficio spettanti allo Stato in base all'art. 19, quinto comma (ultima parte), del T.U.L.C.P. 3 marzo 1934, n. 383, che attribuisce al prefetto il potere di nominare commissari per reggere le amministrazioni degli enti locali -e quindi anche gli organi di gestione delle � strutture .operative � di questi ultimi -per il periodo di tempo strettamente necessario in cui non siano in grado, per qualsiasi ragione, di funzionare. (omissis) 272 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 618 � Pres. Saja -Rel. Corasaniti -Regione Veneto (avv. Ammassari) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Bruno). Regioni � Turismo ed industria alberghiera � Soggiorni brevi presso affittacamere � Competenza regionale. Non spetta allo Stato di disporre le deroghe, previste dall'art. 3, comma secondo, della legge 16 giugno 1939, n. 1111, al divieto, posto dal primo comma del medesimo articolo, per gli affittacamere di fornire alloggio per un periodo inferiore a sette giorni. II CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 625 -Pres. Saja -Rel. Corasaniti � Regione Sicilia (avv. Aula) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Zagari). Sicilia � Trasporti marittimi . Aumento tariffe passeggeri � Parere della regione � Necessit�. Sicilia � Trasporti marittimi internazionali � Competenza statale. Non spetta allo Stato disporre l'aumento delle tariffe passeggeri ed auto al seguito sui collegamenti marittimi con la Sicilia, senza avere preliminarmente sentito il parere dell'amministrazione regionale. Spetta allo Stato disporre la variazione degli orari delle linee di navigazione tra il porto di Tunisi e la Sicilia, senza necessit� di sentire preliminarmente il parere dell'amministrazione regionale. III CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 627 -Pres. Saja � Rel. Co- I1 rasaniti -Regione Sardegna (avv. Panunzio) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Favara). j f i f Sardegna � Trasporti sulle ferrovie dello Stato � Condizioni e tariffe � Mof I ~ dificazioni di portata nazionale � Competenza statale. f Spetta allo Stato determinare condizioni e tariffe per il trasporto delle persone e delle cose sulle ferrovie dello Stato senza la partecipa- l I I I ............... PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALl! zione della Regione Sardegna al relativo procedimento, qualora la Regione non possa vantare in proposito un interesse diretto e qualificato. I La Regione Veneto ha promosso conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministr:i in ordine alla deliberazione della Commissione di controllo 14 aprile 1980, con la quale � stato annullato il provvedimento n. 1430 del 18 marzo 1980 della Giunta regionale, diretto a disporre deroga al divieto, posto agli affittacamere con l'art. 3, comma secondo, legge 16 giugno 19391 n. 1111, di fornire alloggio per un periodo inferiore a sette giorni. Sostiene la regione che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione di controllo, la competenza a disporre deroghe al detto divieto spetta ad essa regione in quanto rientrante nelle funzioni in materia di turismo e industria alberghiera, ad essa trasferite, in attuazione dell'art. 117 Cost., dal d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6 e, ora, dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. La Commissione di controllo ha posto a base del proprio contrario avviso il tenore testuale dell'art. 3, comma secondo, della legge n. 1111 del 1939, secondo il quale deroghe giustificate al divieto posto dal comma primo del medesimo art. 3 possono essere disposte dal Prefetto, che " ne dar� comunicazione all'Ente regionale per il turismo �. Ora, finalit� della limitazione della durata dell'alloggio � soltanto quella di evitare fenomeni di concorrenza tra affittacamere ed alberghi, pensioni o esercizi similari, nella prospettiva del coordinamento fra attivit� propriamente alberghiere ed attivit� complementari, quali quella dell'affittacamere per brevi periodi. Le funzioni amministrative di vigilanza sull'osservanza delle disposizioni contenute nella suddetta legge, di cui fa menzione l'art. 11 della medesima, attengono pertanto alla materia del turismo e dell'industria alberghiera. Ma le funzi�ni suddette, gi� di competenza del Ministro del turismo e spettacolo, sono state trasferite alle regioni, in attuazione dell'art. 117 Cost., con il d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6. Con norma di chiusura, dettata all'art. 1, comma terzo, lett. 1), viene �attribuita alle Regioni �ogni altra funzione amministrativa esercitata dagli organi centrali e periferici dello Stato in materia�, fatte salve le esclusioni contenute nei successivi articoli. Il trasferimento � stato completato con l'art. 50 del d.P.R. n. 616 del 1977, che, all'art. 56, precisa il contenuto delle funzioni trasferite con formula assai ampia. Non rileva, dunque, che l'osservanza delle disposizioni contenute nella citata legge n. 1111 del 1939 fosse affidata al Prefetto -che fa esercitava avvalendosi indifferentemente dell'Autorit� di pubblica sicu 274 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO rezza -'-dall'art. 11 della stessa legge e, successivamente, dall'art. 24 del d.P.R. 28 giugno 1955, n. 630. Nel quadro della legge n. 1111 del 1939 tale attribuzione si spiega con la qualit� del Prefetto di organo cui competeva nell'ambito della provincia l'esercizio dei poteri ministeriali, e cio�, nel caso, del Ministro del turismo e spettacolo. E, ferma restando la materia, si spiega con la disciplina del decentramento, nel quadro del d.P.R. 28 giugno 1955, n. 630, anche esso anteriore peraltro al trasferimento delle funzioni statali in tema di turismo e industria alberghiera alle regioni come sopra operato. Ed � appena da aggiungere che, poten� dosi il prefetto servire indifferentemente dell'autorit� di polizia, come era d'altronde normale in qualsiasi materia, e dei funzionari degli Enti provinciali per il turismo, solo l'impiego di questi ultimi era significante. N� rirleva che relativamente all'attivit� degli affittacamere siano pure previste funzioni di pubblica sicurezza. La previsione, infatti, non concerne l'osservanza delle disposizioni della legge n. 1111 del 1939, bens� l'acquisizione, ai sensi degli artt. 108 t.u.l.p.s., dettato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e 192 del relativo regolamento di esecuzione, dettato con R.D. 6 maggio 1940, n. 635, degli elementi obbiettivi (numero delle camere e dei letti offerti e, nel caso degli affittacamere, il mutamento di tali condizioni e della sede dell'azienda) necessari ad esercitare i controlli sulla identit� delle persone alloggiate e sui loro movimenti: controlli, questi s�, rientranti in quella vigil�nza che � il proprium della polizia di sicurezza. E analogamente deve ritenersi per l'acquisizione delle comunicazioni che l'affittacamere ha l'obbligo di effettuare all'autorit� di pubblica sicurezza in occasione dei singoli soggiorni (art. 109 t.u.l.p.s.), obbligo esteso a chiunque ceda a terzi la propriet� o il godimento di un alloggio per un tempo superiore a un mese con l'art. 12 d.l. 21 marzo 1978, n. 59, convertito nella legge 18 maggio 1978, n. 191. Disposizione, questa, che non innova affatto, contrariamente a quanto sostiene la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel senso di attrarre la disciplina dell'attivit� degli affittacamere racchiusa nella legge n. 1111 del 1939 nell'orbita della materia della pubblica sicurezza (art. 4 d.P.R. n. 616 del 1977). Che, poi, all'autorit� di pubblica sicurezza sia utile venire a cono� scenza delle deroghe al divieto eventualmente disposte per tenerne conto nell'organizzare la propria attivit� di vigilanza, altro non vuol dire che � sua cura sollecitare dalla regione notizie in proposito. E pu� semmai ritenersi non sia estraneo all'osservanza del principio di leale cooperazione, cui devono essere informati i Tapporti fra Stato e re!��one, che questa fornisca all'autorit� di p.s., per agevolare alla medesima lo svolgimento dei suoi compiti, utili informazioni sulle deroghe adottate. Ma tutto ci� non toglie che restino ferme le rispettive competenze, come sopra individuate. t I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COST:'TUZIONALB Il (omissis) Alla stregua delle considerazioni appare fondato il ricorso con il quale � stato sollevato conflitto, ad opera della Regione Sicilia, avverso la nota del Ministro della marina mercantile, in data 9 maggio 1981, recante l'aumento delle tariffe passeggeri ed auto al seguito sui collegamenti marittimi con la Sicilia. Non vi � dubbio, infatti, che la fattispecie rientra nell'ambito di applicazione degli artt. 22 dello Statuto speciale ed 8 del d.P.R. n. 1113/1953, sicch� era necessaria la preventiva consultazione della Regione Sicilia, che � invece illegittimamente mancata. (omissis) Con ricorso n. 5 del 1982, la Regione Sicilia ha sollevato conflitto avverso la nota del Ministro della marina mercantile, in data 20 febbraio 1982, n. 311/311, con la quale � stata disposta, a seguito di determinazioni adottate dalle autorit� marittime della Tunisia, la variazione degli orari delle linee di navigazione gestite dalla Societ� Tirrenia tra il porto di Tunisi e la Sicilia. Lamenta infatti la ricorrente che, anche in questo caso, il provvedimento � stato adottato dall� Stato senza acquisire il parere della regione ai sensi degli artt. 22 dello Statuto speciale e 8 del d.P.R. n. 1113/1953. Il ricorso non � fondato. Osserva la Corte che nella specie vengono in considerazione trasporti marittimi internazi.onali (tra l'Italia e la Tunisia), sicch� non pu� essere invocata l'applicazione delle suindicate disposizioni, che rigua'I'dano esclusivamente i servizi � nazionali � di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi ed aerei. III La regione Sardegna ha proposto conflitto di attribuzione in ordine al decreto del Ministro dei trasporti 25 ottobre 1984 (Modificazioni alle condizioni e tariffe per i trasporti delle persone e delle cose sulle ferrovie dello Stato), del quale ha chiesto anche la sospensione. In particolare la regione lamenta la violazione degli artt. 3, lett. g), e 53 dello Statuto speciale per la Sardegna (legge Cost. 26 febbraio 1948, n. 3), nonch� degli artt. 59, 61 e 67 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 (recante � Norme di attuazione del medesimo Statuto in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n. 382 ed al d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 �). Tanto, in ragione della mancata partecipazione della Regione al procedimento di formazione, partecipazione che si assume imposta in particolare dal menzionato art. 53 dello Statuto di autonomia. Il ricorso non � fondato. Dispone l'art. 53 dello Statuto speciale che la Regione sia �rappresentata nella elaborazione delle tariffe ferroviarie e della regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi ed aerei che possano direttamente interes RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELt..O STATO sarla �, mentre gli artt. 65, 66 e 67 del citato d.P.R. n. 348 disegnano le forme della relativa partecipazione regionale (che si differenziano a seconda che i provvedimenti siano di competenza del Consiglio dei ministri, di una diversa sede collegiale, o di un organo individuale). Risulta cos� dalla formazione del precetto statutario (ripresa dall'art. 65, comma primo, del d.P.R. n. 348 del 1979) che la partecipazione della Regione alla formulazione dei provvedimenti in materia di tariffe e di regolamentazione dei servizi di comunicazione e trasporto � richiesta solo in presenza di interesse della regione particolarmente qualificato perch� diretto. E non sembra che la formulazione medesima sia priva di significato, ove si consideri che essa � anche pi� restrittiva di quella contenuta nell'art. 22 dello Statuto della Regione siciliana, a tenore del quale �la Regione ha diritto di partecipare con un suo rappresentante, nominato dal Governo regionale, alla formazione delle tariffe ferroviarie dello Stato ed alla istituzione e regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti, terrestri, marittimi ed aerei, che possano comunque interessare la Regione �. Occorre dunque domandarsi se un interesse � diretto � della regione Sardegna nel senso assunto dal precetto statutario possa configurarsi in relazione all'emanazione di un provvedimento come quello impugnato, concernente �condizioni e tariffe per i trasporti delle persone e delle cose sulle ferrovie dello Stato�, da valere uniformemente per l'intero territorio nazionale: se, cio�, un siffatto interesse possa ravvisarsi in relazione alla circostanza che le condizioni e tariffe adottate, pur senza a:iguardare specificamente iii. territorio della regione, riguardassero � anche � il detto territorio, in quanto compreso in quello nazionale. Ma al quesito non pu� darsi che risposta negativ�, ove si consideri che un � interesse diretto � nel senso suindicato non pu� individuarsi se non l� dove esso si inscrive in un rapporto esclusivo, o particolarmente intenso, fra la materia, o l'affare, o la regolazione dell'una o dell'altro, e la singola regione ad autonomia speciale: ipotesi che qui non si verifica, versando la materia e la sua regolazione in un rapporto indifferenziato con tutte le regioni. Esattamente ricorda l'Avvocatura dello Stato che gi� in precedenti occasioni (v. le sentt. nn. 34 e 166 del 1976) questa Corte ha avuto modo di sottolineare, in presenza di analoghe formule statutarie, l'esigenza di una differenziazione dell'interesse regionale, che giustifichi la partecipazione delle Regioni all'esercizio di competenze riservate allo Stato: in quelle evenienze si trattava dell'art. 40, comma secondo, dello Statuto per il Trentino-Alto Adige (il Presidente della Giunta regionale � interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando si trattano questioni che riguardano la Regione�) e dell'art. 21 dello Statuto siciliano (il Presidente della Regione � col rango di Ministro partecipa al 1 1 l I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTIT'JZIONALE Consiglio dei ministri con voto deliberativo nelle materie che interessano la Regione�). Tale esigenza va qui riaffermata con forza particolare, perch� la formula statutaria in giuoco � ancora pi� rigida di quelle ora menzionate, e richiede espressamente che la Regione sia � direttamente � interessata alle determinazioni riservate alla competenza dello Stato. CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 634 -Pres. Saja -Rel. Mengoni -Regione Sicilia (avv. Virga) e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). Sicilia � Assicurazioni � Rischi entro i limiti territoriali d�lla regione � Nozione. Spetta allo Stato autorizzare imprese di assicurazione aventi sede in Sicilia a esercitare attivit� assicurativa avente per oggetto l'assunzione di rischi che possono verificarsi fuori dal territorio della Regione siciliana, restando esclusa, per quanto riguarda specificamente l'assicurazione obbligatoria della responsabliit� civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, ogni competenza della Regione in ordine all'esercizio di tale assicurazione, anche limitatamente al rischio connesso alla circolazione degli autoveicoli e dei natanti nell'ambito territoriale della Sicilia. (omissis) Nel merito il ricorso � fondato. L'art. 17 lett. e) dello Statuto siciliano attribuisce alla Regione una competenza legislativa secondaria in materia, tra l'altro, di disciplina delle assicurazioni, � entro i limiti dei principi e degli interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato e al fine di soddisfare condizioni particolari e interessi propri della Regione�; a norma dell'art. 20, le correlative funzioni esecutive e amministrative sono svolte dal Presidente e dall'assessore regionale. In attuazione di tali norme, l'art. 4, primo comma, del d.P.R. 5 novembre 1949, n. 1182, determina la misura in cui le attribuzioni del Ministero dell'industria sono trasferite all'Assessorato regionale indicando due criteri concorrenti, l'uno soggettivo, l'altro oggettivo: la competenza regionale � circoscritta alle imprese di assicurazione che a) abbiano la sede in Sicilia, e b) �assumano i rischi entro i limiti territoriali della Regione �. Non viene qui in considerazione il limite ulteriore previsto dal secondo comma in ordine alle assicurazioni sulla vita e a quelle individuali sugli infortuni, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente equivocando sulla natura dell'assicurazione-auto sotto il profilo della responsabilit� per danni alle persone trasportate. 278 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA PELI.O STATO Il conflitto di attribuzione, oggetto del presente giudizio, nasce da un contrasto di interpretazioni del secondo criterio, indicato sub b). Il Ministero dell'industria -confortato da un parere del Consiglio di Stato in data 16 ottobre 1973, comunicato dal Ministro al Presidente della Regione siciliana in data 20 luglio 1974 -intende il criterio dell'assunzione territorialmente limitata del rischio come requisito di localizzazione dei rischi assicurati nel territorio della Regione. Questa, invece, lo intende come requisito di localizzazione nel detto ambito territoriale della stipulazione dei contratti di assicurazione. L'interpretazione caldeggiata dalla resistente � insostenibile sia sul piano letterale, sia sul piano della ratio normativa. La frase � entro i limiti territoriali della Regione� qualifica sintatticamente i rischi assunti in s� considerati, non gli atti (contratti) con cui l'impresa ass.icuratrice li assume obbligandosi a risarcire i danni sofferti dagli assicurati in conseguenza del loro verificarsi. Solo se interpretato come requisito di localizzazione geografica dei sinistri che costituiscono il contenuto potenziale del rischio assicurato il criterio sub b) riceve senso e valore dal punto di vista della ratio della norma, la quale risponde allo scopo di fissare dei criteri di individuazione della necessit� di soddisfare condizioni particolari e interessi propri della Regione, prevista dall'art. 17 dello Statuto come requisito della competenza regionale in discorso. (omissis) In Unea genernle, con riferimento alle ass.icurazioni facoltative, si deve concludere che l'Assessorato regionale per l'industria � competente ad autorizzare imprese aventi sede in Sicilia a esercitare attivit� assicurativa limitatamente a rischi per loro natura localizzati nel territorio della Regione. Pertanto il decreto impugnato � illegittimo in quanto autorizza la soc. Tuttolomondo ad assicurare rischi che possono verificarsi anche fuori del territorio della Regione siciliana, alla sola condizione che i relativi contratti di assicurazione siano stipulati in SicUa. Per quanto riguarda l'� assicurazione auto >>, il vizio di illegittimit� � ancora pi� grave, essendo sopravvenuta in questa materia, in seguito alla legge 4 dicembre 1969, n. 990, che ha sancito l'obbligatoriet� della assicurazione, una specifica causa preclusiva di ogni competenza regionale, anche limitatamente al rischio connesso alla circolazione degli autoveicoli nel territorio della Regione. La legge citata ha rftdicalmente innovato la disciplina della respon sabilit� civile derivante dalla cricolazione dei veicoli a motore e dei natanti, in funzione di interessi generali, uniformemente valutati, ai quali corrisponde un regime unitario e centralizzato comportante una competenza esclusiva dello Stato. Basti ricordare la necessit� che i mas simali minimi, validi per tutto il territorio dello Stato, siano determinati da un unico organo, cio� dal Ministro; cos� pure unico deve essere PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l'organo di controllo dell'adempimento degli obblighi assicurativi, dovendo il controllo essere ispirato a unit� di indirizzo; inscindibili, infine, appaiono le attivit� amministrative connesse all'istituzione presso l'Istituto nazionale delle assicurazioni di un �conto consortile� e di un �Fondo di garanzia per le vittime della strada� (artt. 14 e 19). A proposito di quest'ultimo la competenza esclusiva del Ministero dell'industria risulta chiaramente dall'art. 20, il quale dispone, tra l'atro, che spetta al Ministrd la designazione, � per ogni regione, o per gruppi di regioni, del territorio nazionale�, dell'impresa tenuta a liquidare agli aventi diritto le somme loro dovute a carico del Fondo. Perci� la competenza regionale -che per i veicoli immatricolati in Sicilia presupporrebbe la frazionabilit� del rischio, in guisa da assoggettarlo a una disciplina diversificata per la frazione corrispondente alla circolazione del veicolo nel territorio della Sicilia -� gi� esclusa in base al criterio dell'art. 17 dello Statuto siciliano, interpretato da questa Corte, nella sentenza n. 175 del 1975, come criterio di competenza esclusiva dello Stato quando � esiste l'esigenza di garantire unit� di indirizzo e armonica disciplina per l'intero territorio nazionale �. Inoltre, come ha rilevato il Consiglio di Stato nel parere sopra richiamato, la competenza esclusiva dello Stato anche nell'ambito della Regione siciliana si fonda specificamente sulla valutazione del regime di assicurazione obbligatoria statuito dalla legge n. 990 come integrante gli estremi di una � riforma economico-sociale della Repubblica �, sia in ragione della preminenza dell'interesse generale alla tutela delle vittime della strada, sia per le correlative strutture istituzionali e normative qualificate dallo scopo di assicurare uniformit� di trattamento. Sebbene la dizione usata dall'art. 14 dello Statuto siciliano (�senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano�) sia diversa da quella adottata per altre regioni ad autonomia speciale, non si pu� dubitare che le � norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica � debbano essere rispettate anche dal legislatore e dall'amministrazione della Regione siciliana. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE NoTA � La Corte di giustizia delle Comunit� europee nel corso dell'an� no 1988 ha pronunciato 206 sentenze (escluse quelle in cause di personale) 29 di queste sentenze hanno interessato cause alle quali ha partecipato l'Italia: sono stati risolti 14 ricorsi della Commissione delle C.E. contro l'Italia, 1 ri� corso di altro Stato contro la Commissione con intervento dell'Italia, 11 domande pregiudiziali ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, 2 domande pregiudiziali ai sensi del protocollo 3 giugno 1971 concernente l'interpretazione della convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Numerose altre cause alle quali ha partecipato l'Italia si sono concluse in sede stragiudiziale con conseguente cancellazione dal ruolo. Oltre quelle pubblicate in questo numero e nei numeri precedenti della Rassegna, le sentenze in cause alle quali ha partecipato l'Italia sono state le seguenti: -14 gennaio 1988, nella causa 63/86, Commissione c. Italia, con la quale la Corte ha� dichiarato che �la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostile dagli artt. 52 e 59 del Trattato CEE, riservando ai soli cittadini italiani, con varie disposizioni di diritto interno, l'accesso alla� propriet� e alla locazione di alloggi costruiti o restaurati mediante finanziamenti pubblici, nonch� l'accesso al credito fondiario agevolato �; -4 febbraio 1988, nell~ causa 113/86, Commissione c. Italia, dove la Corte ha dichiarato che �la Repubblica italiana, non trasmettendo entro i termini prescritti i dati statistici contemplati dall'art. 10 del reg. del Consiglio n. 2782/75, e dagli artt. 4, n. l, e 6 del reg. della Commissione n. 1868/77 (settore delle uova e del pollame), � venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato CEE �; -23 febbraio 1988, nella causa 429/85, Commissione c. Italia, dove la Corte ha statuito che �la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato accordando agli importatori, in contrasto con l'art. 8, n. l, 1� comma, della direttiva del Consiglio n. 67/548, concernente il ravvicinamento .delle disposizioni di legge, di regolamento ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose, come modificata dalla direttiva del Consiglio n. 79/831, l'esenzione dall'obbligo di notifica contemplato dall'art. 6 della stessa direttiva �; -2 marzo 1988, nella causa 309/86, Commissione c. Italia, con la quale � stato dichiarato che � non avendo adottato nel termine stabilito le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 31 marzo 1982, n. 82/242, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai metodi di controllo della biodegradabilit� dei tensioattivi non ionici e recante modifica della direttiva n. 73/404/CEE, e alla direttiva del Consiglio 31 marzo 1982, n. 82/243, che modifica la direttiva n. 73/405/CEE, il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative di controllo della biodegradabilit� dei tensioattivi anionici, la concernente ai metodi Repubblica \! ! I I I I ............... PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INIBRNAZIONALP. 281 italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CEE�; -3 marzo 1988, nella causa 116/86, Commissione c. Italia, dove la Corte ha dichiarato che � la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato CEE non adottando, entro il termine prescritto, le disposizioni necessarie per conformarsi agli artt. 6, punto b), secondo trattino, 7 e 8 della direttiva del Consiglio 24 gennaio 1979, n. 79/109, che modifica, per quanto riguarda la bruct'llosi, la direttiva del Consiglio 26 giugno 1964, n. 64/432, relativa a problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari di animali delle specie bovine e suine, e non adottando le disposizioni necessarie per autorizzare l'importazione di bovini assoggettati nello Stato membro di provenienza a controlli effettuati secondo metodi non adottati in Italia, ma adottati da altri Stati membri in base alla facolt� di scelta autorizzata dagli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 9 della stessa direttiva�; -8 marzo 1988, nella causa 9/87, Arcado s.r.l., con la quale � stato stabilito che � una controversia avente ad oggetto la disdetta arbitraria di un contratto di agenzia commerciale autonoma e il pagamento di provvigioni dovute in esecuzione di detto contratto costituisce una controversia in materia contrattuale ai sensi dell'art. 5, punto 1�, della convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale �; -21 aprile 1988, nella causa 338/85, F.lli Pardini s.p.a., con la quale la Corte ha dichiarato, in tema di fissazione anticipata di importi compensativi monetari, che �la Commissione, con il regolamento 20 maggio 1983, n. 1245, ha validamente stabilito che gli adeguamenti degli ICM fissati in anticipo, di cui all'art. 7, n. l, del regolamento della Commissione 14 maggio 1982, n. 1160, in caso di modifica dei tassi rappresentativi, devono essere effettuate per tutte le prefissazl.oni la cui domanda � stata depositata dopo il 16 maggio 1983, purch� l'operazione di cui trattasi sia stata effettuata dopo il 22 maggio 1983 �; e che �il combinato disposto dell'art. 4, n. l, 2� comma, del regolamento del Consiglio 30 luglio 1968, n. 1134, e dell'art. 4, n. 2, del regolamento del Consiglio 20 maggio 1983, n. 1223, dev'essere interpretato nel senso che l'annullamento delle prefissaziO!Ili. pu� essere sempre ottenuto se ricorrono le con� dizioni fissate da tali disposizioni; pertanto, il regolamento della Commissione 20 maggio 1983, n. 1244, � invalido in quanto limita il diritto all'annulla� mento alle prefissazioni operate prima del 17 maggio 1983 �; -27 aprile 1988, nella causa 225/86, Commissione c. Italia, �on la quale la Repubblica italiana � stata ritenuta inadempiente agli obblighi di cui all'art. 171 del Trattato CEE per non essersi conformata alla precedente sentenza della Corte 7 febbraio 1984, nella causa 166/82, in tema di fissazione del prezzo del latte; -24 maggio 1988, nella causa 122/87, Commissione c. Italia, dove la Corte ha statuito che � la Repubblica italiana, esentando dall'imposta sul valore aggiunto le prestazioni rese dai veterinari nell'esercizio della loro professione, � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE �; -9 giugno 1988, nella causa 56/87, Commissione c. Italia, con la quale � stato dichiarato che � la Repubblica italiana, adottando il nuovo metodo di determinazione dei prezzi delle specialit� medicinali di cui al provvedimento del Comitato interministeriale dei prezzi 24 ottobre 1984 ed alla delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica 11 ottobre 1984, 282 R!SSEGNA DELL'AVVOCATURA '!ELLO STATO � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 30 del Trattato CEE�; -21 giugno 1988, nella causa 257/86, Commissione c. Italia, con la quale la Corte ha stabilito che � adottando e mantenendo in vigore una normativa che non esenta dall'IVA tutte le importazioni di campioni gratuiti di modico valore, che manca dei requisiti di chiarezza e precisione nei confronti dell'esenzione di talune importazioni di questi campioni e che, nel contempo, prevede l'esenzione dei medesimi campioni di produzione nazionale, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 95 del Trattato e 14 della direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, numero 77/388 �; -28 giugno 1988, nella causa 3/86, Commissione c. Italia, dove la Corte ha statuito che � la Repubblica italiana, stabilendo, in fatto di imposta sul valore aggiunto e nell'ambito del regime forfettario dei produttori agricoli, al 15 % dal 1981, e poi, nel 1983, al 14 % le aliquote forfettarie di compensazione per i settori delle carni bovine, delle carni suine e del latte fresco, non concentrato e non zuccherato, e disponendo l'applicazione delle aliquote forfettarie di compensazione alle forniture e alle prestazioni di servizi destinate agli agricoltori, � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato e dell'art. 25, nn. 3, 5 e 8, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977 �; -12 luglio 1988, nella causa 326/87, Commissione c. Italia, con la quale si � statuito che � non adottando entro il termine prescritto le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva della Commissione 28 luglio 1984, n. 84/414, per l'adeguamento al progresso tecnico della direttiva n. 76/764 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai termometri clinici di vetro al mercurio del tipo a massima, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato CEE�; -12 luglio 1988, nella causa 322/86, Commissione c. Italia, con la quale la Repubblica italiana � stata dichiarata inadempiente agli obblighi impostile dal Trattato CEE per aver omesso di adottare nei termini stabiliti i provvedimenti necessari per conformarsi alla direttiva del Consiglio 18 luglio 1978, n. 78/659, sulla qualit� delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci; -12 luglio 1988, nella causa 310/86, Commissione c. Italia, con la quale la Repubblica italiana � stata dichiarata inadempiente agli obblighi impostile dal Trattato per non aver adottato entro il termine prescritto le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 29 gennaio 1982, n. 82/470, in tema di libert� di stabilimento e libera prestazione di servizi per le attivit� non salariate di taluni ausiliari dei trasporti e dei titolari di agenzie di viaggio; -27 settembre 1988, nella causa 189/87, Kalfelis, dove la Corte, in relazione alla convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e sull'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, ha dichiarato: � 1. -Ai fini dell'applicazione dell'art. 6, n. 1, de1la Convenzione, deve sussistere tra le varie cause promosse da uno stesso attore nei confronti di diversi convenuti un legame di connessione tale che vi sia interesse a deciderle congiuntamente onde evitare soluzioni che potrebbero essere incom: � patibili ove le cause siano decise separatamente; 2. -a) la nozione di � materia f ~ di delitti o di quasi-delitti � di cui all'art. 5, n. 3, della Convenzione deve i I I . II PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INl'ERNAZIONALE essere considerata come una nozione autonoma che comprende ogni domanda tendente all'accertamento della responsabilit� di un convenuto, e che non si riallacci alla �materia contrattuale� di cui all'art. 5, n. 1; b) un giudice competente ai sensi dell'art. 5, n. 3, a conoscere della parte �di una domanda basata su un fondamento extracontrattuale non � competente a conoscere delle altri parti della stessa domanda basate su fondamentali non extracontrattuali �; -27 settembre 1988, nella causa 114/86, Regno Unito c. Commissione con intervento dell'Italia, con la quale la Corte ha ritenuto irricevibile il ricorso del Regno Unito in quanto diretto contro un atto della Commissione (in tema di determinazione delle liste dei candidati per gli appalti di servizi conclusi nell'ambito della seconda convenzione ACP-CEE di Lom�) privo di contenuto decisorio e vincolante; -27 settembre 1988, nella causa 114/86, Regno Unito c. Commissione, Corte ha dichiarato, in tema di libera circolazione dei lavoratori, che: � 1 -Ai sensi del Trattato CEE, fa parte dell'insegnamento professionale un anno di studi rientrante in un corso di studi che costituisca un insegnamento unitario per la preparazione ad ima qualifica professionale, a un mestiere o a un impiego specifico o che conferisca una particolare attitudine a esercitare detta professione, mestiere o impiego; 2. -L'art. 59 del Trattato CEE va interpretato nel senso che i corsi impartiti in un istituto tecnico rientranti nell'insegnamento secondario all'interno ciel sistema di istruzione pubblica non possono essere considerati servizi ai sensi del suddetto articolo; 3. L'art. 12 del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunit�, va interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro imponga un ' minerva!', quale condizione di accesso a corsi di insegnamento scolastico generale impartiti nel suo territorio, ai figli dei lavoratori migranti residenti in un altro Stato membro, anche se esso non imponga detto onere ai cittadini di questo stesso Stato membro �; -27 settembre 1988, nella causa 313/86, Lenoir, con la quale la Corte ha dichiarato, ancora in tema di libera circolazione dei lavoratori � previdenza sociale, che � il tenore dell'art. 77 del regolamento n. 1408/71, quale figura al� l'allegato I del regolamento del Consiglio 2 giugno 1983, n. 2001/83, va interpretato nel senso che riserva al titolare delle prestazioni familiari, cittadino di uno Stato membro e residente nel territorio di un altro Stato membro, soltanto il beneficio del pagamento, da parte degli organismi di previdenza sociale del suo paese di origine, degli 'assegni familiari', restando escluse le altre prestazioni familiari, come gli assegni di ' inizio dell'anno scolastico' e di 1 stipendio unico� contemplati dalla normativa francese�; -27 settembre 1988, nella causa 235/87, Matteucci, con la quale � stato dichiarato che �l'art. 7 del regolamento n. 1612/68, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunit� va interpretato nel senso che non consente alle autorit� di uno Stato membro di rifiutare il beneficio di una borsa, per seguire studi in un altro Stato membro, ad un lavoratore che risiede ed esercita un'attivit� dipendente sul territorio del primo Stato membro, ma che ha la nazionalit� di un terzo Stato membro, per il motivo che tale lavoratore non ha la nazionalit� dello Stato membro di residenza. Un accordo bilaterale che riserva il beneficio delle borse di cui trattasi ai soli cittadini dei due Stati membri, parti all'accordo, non pu� opporsi all'applicazione della norma di parit� di trattamento tra lavoratori nazionali e comunitari stabiliti sul territorio di uno di questi due Stati membri �; 284 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA LEIJ.O STATO -14 dicembre 1988, nella causa 269/87, Ventura, dove, sempre in tema di libera circolazione dei ,zavoratori -previdenza sodale, con la quale � stato dichiarato che l'art. 44, n. 3, del regolamento n. 1408/71 dev'essere interpretato nel senso che le pensioni per orfani sono disciplinate esclusivamente dal capitolo 8 di detto regolamento, integrato, eventualmente, dagli altri capitoli del regolamento cui le disposizioni del capitolo 8 rinviano espressamente �. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 14 luglio 1988, nelle cause 407/85 e 90/86 -Pres. Due -Avv. Gen. Mancini � Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Pretore di Bolzano, nella causa Drei Glocken GmbH e Kritzinger c. U.S.L. Centro Sud e Provincia autonoma di Bolzano, ,e dal Pretore di Milano, nel procedimento penale c. Zoni -Interv.: Governi italiano (avv. Stato Braguglia), francese (�g. Guillaume) e olandese (ag. Fierstra) e Commissione delle C.E. (ag. De Marche e White). Comunit� Europee � Libera circolazione delle merci � Paste alimentari � Obbligo di usare esclusivamente grano duro. (Trattato CEE, artt. 30 e 36; legge 4 luglio 1967, n. 580, artt. 29, 33, 36 e 50~. L'estensione ai prodotti importati di un divieto di vendere pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro, come quello contenuto nella legge italiana sulle paste alimentari 4 luglio 1967, n. 580, � incompatibile con gli artt. 30 e 36 del Trattato (1). (omissis) 1. -Con ordinanza 31 ottobre 1985, pervenuta nella cancelleria della Corte il 9 dicembre dello stesso anno, il Pretore di Bolzano ha sollevato, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiucliziali relative all'interpretazioni degli artt. 30 e 36 del Trattato CEE, onde determinare la compatibilit� con il diritto comunitario di una normativa nazionale che vieti la vendita di pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro. 2. -Dette questioni sono insorte nell'ambito di una controversia che oppone l'Unit� Sanitaria Locale ad un produttore tedesco, La Drei Glocken, e ad un dettagliante italiano, la sig.ra Kritzinger. La Drei Glocken esportava in Italia pasta prodotta con una miscela di grano tenero e di grano duro, che la Kritzinger rivendeva. Poich� l'U.S.L. intimava loro di pagare una sanzione amministrativa pecuniaria per violazione dell'art. 29 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (G.U.R.I. n. 189 del 29 luglio (1) Si trascrive solo il testo della sentenza nella causa 407/85, identica essendo la motiv=ione della sentenza nella causa 90/86. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E IN:ERNAZIONALB 1967), che disciplina la produzione e il commercio delle paste alimentari (in prosieguo: legge sulle paste alimentari), la Drei Glocken e la Kritzinger proponevano ricorso dinanzi al Pretore di Bolzano. 3. -L'art. 29 della legge sulle paste alimentari dispone che per la produzione industriale di paste secche, che possono essere conservate per un certo tempo prima di essere consumate, deve essere usato esclusivamente grano duro. Gli artt. 33 e 50, 1� comma, di detta legge, autorizzano invece l'uso di grano tenero sia per la produzione artigianale di paste fresche, destinate al consumo immediato, sia per la produzione di pasta destinata all'esportazione. 4. -L'art. 36, primo comma, della legge sulle paste alimentari, vieta di vendere in Italia pasta avente caratteristiche diverse da quelle stabilite dalla legge, cio�, in particolare, paste secche prodotte con grano tenero o con una miscela di grano tenero e grano duro. L'art. 50, secondo comma, della legge precisa che questo divieto di vendita si applica anche alle paste d'importazione. 5. -Come il Governo italiano ha osservato, il legislatore � stato indotto ad imporre ai produttori di pasta di usare esclusivamente grano duro da due ordini di considerazioni. Il legislatore ha voluto, in primo luogo, garantire la qualit� della pasta, poich� quella prodotta esclusivamente con grano duro resiste molto meglio alla cottura. In secondo luogo, ha inteso favorire lo sviluppo della coltivazione del grano duro, i cui produttori hanno nella Com�nit� solo Io sbocco del mercato delle paste e, nelle regioni del Mezzogiorno ove sono stabiliti, non hanno alcuna possibilit� concreta di riconvertirsi ad altre colture. 6. -A sostegno del ricorso, la Drei Glocken e la Kritzinger hanno asserito che l'applicazione dell'art. 29 della legge sulle paste alimentari alla pasta d'importazione � incompatibile con l'art. 30 del Trattato. Stando cos� le cose, il giudice nazionale ha sospeso il procedimento e ha sollevato due questioni pregiudiziali: � 1) Se il divieto di misure aventi effetto di restrizioni quantitative all'importazione di cui all'art. 30 Trattato CEE vada interpretato p.el senso di escludere, in caso di importazione di pasta alimentare, l'applicazione delle disposizioni italiane in materia alimentare che vietano l'impiego di farina di grano tenero nella produzione della pasta alimentare, ove la medesima pasta sia stata lecitamente prodotta e messa in commercio in altro Stato membro della Comunit� Europea; 2) se comunque il divieto di arbitrarie discriminazioni o di restrizioni travisate nel commercio tra Stati membri di cui all'art. 36, punto 2 del 286 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DI:t-LO STATO Trattato CEE, vada interpretato nel senso di escludere l'applicazione delle suddette �disposizioni nazionali; �. 7. -Per una pi� ampia illustrazione degli antefatti della causa principale, dello svolgimento del procedimento e delle osservazioni presentate alla Corte, si fa rinvio a:Ila relazione d'udienza. Questi elementi del fa. scicolo sono riprodotti in prosieguo solo nella misura necessaria per il ragionamento della Corte. 8. -Le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono, in sostanza, sulla compatibilit� con gli artt. 30 e 36 del Trattato dell'estensione ai prodotti importati di un divieto di vendere pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro, come quello contenuto nella legge sulle paste alimentari. a) Sull'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione delle merci. 9. -� opportuno ricordare la giurisprudenza costante della Corte (anzitutto la sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville, Racc. pag. 837), secondo cui il divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative sancite dall'art. 30 comprende �ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari �. 10. -Risulta inoltre da una giurisprudenza costante della Corte (cfr. anzitutto la sentenza 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe, Racc. pag. 649), che, in mancanza di una normativa comune, gli ostacoli per la circolazione intracomunitaria derivanti da disparit� delle legislazioni nazionali relative alla composizione dei prodotti vanno accettati qualora tali normative nazionali, indistintamente applicate ai prodotti nazionali e a quelli importati, siano necessarie per rispondere ad esigenze imperative come la difesa dei consumatori e la lealt� dei negozi commerciali. La Corte ha tuttavia precisato che dette normative debbono essere proporzionate agli scopi perseguiti e che, se uno Stato membro dispone di mezzi meno restrittivi che consentano di raggiungere gli stessi scopi, � tenuto a farvi ricorso. 11. -Occorre constatare che un divieto di vendere pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro costituisce un ostacolo all'importazione di paste lecitamente prodotte con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro in altri Stati membri. Pertanto resta da accertare se detto ostacolo possa essere giustificato da ragioni di tutela della salute pubblica ai sensi dell'art. 36 del Trattato o da esigenze imperative come quelle summenzionate. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 287 b) Sulla possibilit� di giustificare l'ostacolo di cui � causa per ragioni di tutela della salute pubblica. 12. -Il Governo italiano ha attirato l'attenzione della Corte sul problema dell'uso di additivi chimici e di coloranti che sarebbero spesso usati per conferire alla pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro le caratteristiche organolettiche e, in particolare, il colore ambrato, naturalmente proprie della pasta prodotta esclusivamente con grano duro. �A suo parere, un sensibile assorbimento di detti additivi chimici e coloranti pu� comportare effetti dannosi per la salute dell'uomo. 13. -In risposta ad un quesito posto dalla Corte, il Governo italiano ha tuttavia ammesso di non disporre di dati che gli consentano di affermare che la pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro contenga necessariamente additivi chimici o coloranti. 14. -Un divieto generale di smerdare paste d'importazione prodotte con grano tenero o con una miscela di grano tenero e grano duro � pertanto in ogni caso contrario al principio di proporzionalit� e non � giustificato da ragioni di tutela della salute pubblica ai sensi dell'art. 36 del Trattato. c) Sulla possibilit� di giustificare l'ostacolo di cui � causa per talune esigenze imperative 15. -Si � sostenuto che un divieto di vendere pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro � necessario per tutelare i consumatori, per garantire la lealt� dei negozi commerciali e, infine, per assicurare la piena efficienza dell'organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali. 16. -Il primo argomento, secondo cui la legge sulle paste alimentari intende tutelare i consumatori in quanto ha lo scopo di garantire la qualit� superiore della pasta, prodotto italiano di antica tradizione, non pu� essere accolto. � certamente legittimo voler dare ai consumatori, che attribuiscono qualit� particolari 'alla pasta prodotta esclusivamente con grano duro, la possibilit� di operare la propria scelta sulla base di questo elemento. Tuttavia, come Ia Corte ha gi� sottolineato (sentenze 9 dicembre 1981, causa 193/80, Commissione c/ Italia, Racc. pag. 3019 e 12 marzo 1987, causa 178/84, Commissione c/ Repubblica federale di Germania, non ancora pubblicata), tale possibilit� pu� essere garantita con mezzi che non ostacolino l'importazione di prodotti legalmente fab 288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO bricati e posti in commercio in altri Stati membri e; in particolare, con �l'obbligo di apporre un'etichetta appropriata, che specifichi le caratteristiche del prodotto venduto �. 17. -� opportuno osservare poi che il legislatore italiano pu� non soltanto prescrivere che vengano elencati gli ingredienti, a norma della direttiva del Consiglio sull'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari (G.U. n. L 33 deH'8 febbraio 1979, pag. 1), ma che inoltre nulla gli impedisce di riservare la denominazione di � pasta di semola di grano duro � alla pasta prodotta esclusivamente con grano duro. 18. -Dato che la pasta � un prodotto che pu� essere servito nei luoghi di ristorazione, si deve aggiungere che � possibile adottare un sistema di informazione del consumatore relativamente alla natura della pasta che gli viene offerta. 19. -Si � obiettato che un'etichettatura appropriata relativa alla natura del prodotto venduto non basterebbe a rendere i consumatori itlaliani sufficientemente attenti alla natura della pasta che acquistano, poich� � pasta � significherebbe per loro un prodotto ottenuto esclusivamente con grano duro. 20. -Questa obiezione va respinta. Il termine � pasta � � usato dal legislatore italiano stesso, come risulta dagli artt. 33 e 50 della legge sulle paste alimentari, per designare prodotti fabbricati con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro, cio� paste fresche e paste destinate all'esportazione. Inoltre, l'art. 29 determina che cosa debba intendersi per � pasta di semola di grano duro �. Il legislatore italiano stesso fa dunque ricorso alle parole � semola di grano duro � per specificare un tipo di pasta, il che dimostra che di per s� il termine �pasta� ha un significato generico e non implica affatto che nella produzione sia stato usato solo grano duro. 21. -In secondo luogo, si � sostenuto che, per quanto attiene alla pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro, un elenco degli ingredienti non basterebbe a garantire la lealt� dei negozi commerciali. Allo stato attuale delle tecniche di analisi, non sarebbe possibile accertare l'esattezza delle indicazioni che vi compaiono, per cui , i produttori potrebbero indicare una proporzione di grano duro pi� elevata di quella realmente presente nella pasta. Tenuto conto della differenza di prezzo tra il grano duro e il grano tenero, i produttori po~rebbero cos� far pagare al consumatore un prezzo pi� alto di quello giustificato dalla proporzione effettiva di grano duro impiegato. Stando cos� le cose, solo il divieto di vendere pasta prodotta con grano I( tenero potrebbe prevenire una frode del genere. I\: 1 1 f. ; f ~ I ~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E :r.NTERNAZIONALE 22. -Anche questo argomento va respinto. E sufficiente osservare che il Governo italiano dispone, comunque, di un mezzo meno restrittivo per garantire la lealt� dei negozi commerciali. Infatti, riservando la denominazione � pasta di semola di g_rano duro � alla pasta prodotta esclusivamente con grano duro, dar� al consumatore italiano la possibilit� di esprimere le sue preferenze per il prodotto al quale � abituato e la certezza che la differenza di prezzo � senz'altro giustificata da una differenza di qua:lit�. 23. -In terzo luogo, si � sostenuto che, garantendo uno sbocco ai coltivatori, la legge sulle paste alimentari integra la politica comune nel settore di cereali, la quale ha per finalit� di garantire un reddito minimo ai coltivatori di grano duro grazie alla � determinazione di un prezzo d'intervento nettamente pi� elevato per il grano duro rispetto a quello stabilito per il grano tenero, nonch� di incentivare la coltivazione del grano duro con la concessione di aiuti diretti alla produzione. L'abrogazione della legge sulle paste alimentari indurrebbe i produttori italiani ad usare grano tenero per la pasta destinata al mercato italiano. Il grano duro verrebbe cos� ad essere progressivamente privato dei suoi sbocchi, il che provocherebbe eccedenze con la conseguenza di ulteriori acquisti d'intervento a carico del bilancio comunitario. 24. -Il Governo italiano ha sostenuto, inoltre, che senza uno sbocco garantito la coltivazione del grano duro scomparirebbe nelle regioni del Mezzogiorno dove � praticata. Questa scomparsa comporterebbe l'abban� dono della terra, dato ch� le possibilit� di riconversione sono, in quelle zone, quasi inesistenti e creerebbe un movimento di emigrazione con grave danno sociale ed ambientale. 25. -Occorre sottolineare anzitutto che � in causa l'estensione della legge sulle paste alimentari ai prodotti di importazione e che il diritto comunitario non esige che il legislatore abroghi la legge per quanto attie� ne ai produttori di pasta stabiliti sul territorio italiano. 26. -Si deve inoltre ricordare che, come risulta dalla sentenza delfa Corte 23 febbraio 1988 (causa 216/84, Commissione c/ Repubblica francese, non ancora pubblicata), una volta che la Comunit� abbia istituito una organizzazione comune di mercato in un determinato settore, gli Stati membri devono astenersi da ogni provvedimento unilaterale, anche se atto a servire da sostegno alla politica comune della Comunit�. Spetta alla Comunit� cercare una soluzione al summenzionato problema nell'ambito della politica agricola comune, e non ad uno Stato membro. 27. -Occorre osservare infine che l'andamento della situazione sui mercati rl'~suortazione dimostra che la concorrenza attraverso la qualit� 290 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEl.J.O STATO va a �vantaggio del grano duro. Infatti, dai dati statistici forniti alla Corte risulta che la quota di meroato occupata dalla pasta prodotta esclusivamente con grano duro in altri Stati membri, dove subisce sin d'ora la concorrenza delle paste prodotte con grano tenero o con miscele di gr�no tenero e di grano duro, aumenta continuamente. I timori del Governo italiano quanto alla scomparsa della coltura del grano duro sono pertanto infondati. 28. -Stando cos� le cose, le questioni sollevate dal giudice nazionale vanno risolte nel senso che l'estensione ai prodotti importati di un divieto di vendere pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro, come quello contenuto nella legge italiana sulle paste alimentari, � incompatibile con gli artt. 30 e 36 del Trattato. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, III sez., 22 settembre 1988, ne1'la causa 228/87 ~ Pres. Moitinho de Almeida -Avv. Gen. Lenz -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di Torino in procedimento pena�e contro ignoti -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Ferri) e Commissione delle C.E. Comunit� Europee -Sanit� pubblica -Ravvicinamento delle legislazioni Qualit� delle acque destinate al consumo umano. (Direttiva CEE del Consiglio 15 luglio 1980, n. 80/778, art. 10, n. 1; d.P.C.M. 8 febbraio 1988). L'autorizzazione del superamento delle concentrazioni massime ammissibili figuranti nell'allegato I della direttiva n. 80/778, sulla qualit� delle acque destinate al consumo umano, contemplata dall'art. 10, n. 1, della stessa direttiva, deve essere concessa solo in presenza di una situazione d'urgenza in cui le autorit� nazionali devono far fronte repentinamente a difficolt� di approvvigionamento di acqua destinata al consumo umano. Detta autorizzazione dev'essere limitata al tempo normalmente necessario per il ripristino della qualit� delle acque interessate, non deve comportare rischi inaccettabili per la salute pubblica ed � possibile solo se l'approvvigionamento di acqua destinata al consumo umano non possa essere garantito altrimenti. 1. -Con ordinanza 22 luglio 1987, pervenuta in cancelleria il 27 luglio 1987, la Pretura unificata di Torino ha sottoposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 10, n. l, della direttiva del consiglio 15 lu PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E :NTERNAZIONALE 291 glio 1980 n. 80/778/CEE, sulla qualit� delle acque destinate al consumo umano (G.U. L 229, pag. 11). 2. -Detta questione � stata sollevata nell'ambito di un procedimento penale contro ignoti, che il Pretore di Torino ha promosso dopo aver preso visione dei risultati dell'analisi di taluni campioni prelevati da una unit� socio-sanitaria locale da acque destinate al consumo umano. Detta analisi metteva in evidenza Ia presenza, in alcuni pozzi, di atrazina in quantit� superiore al valore limite (per componente separato) di 0,1 microgrammi per litro stabilito per gli antiparassitari dal decreto del presidente del consiglio dei ministri 8 febbraio 1985 (in prosieguo: dpcm), emanato per l'attuazione della direttiva sopramenzionata. 3. -Emerge dal fascicolo che, con varie ordinanze che derogavano al predetto dpcm, il ministro della sanit� e le competenti autorit� della regione Piemonte elevavano, per un periodo complessivo compreso tra il 25 giugno 1986 e il 31 dicembre 1987, il limite massimo di atrazina a 1 microgrammo per litro d'acqua destinata al consumo umano. In nuove ordinanze riferentisi ad un periodo co::nplessivo compreso tra il 3 aprile 1987 e il 31 marzo 1988 il ministro della sanit� e la regione Piemonte riproducevano le disposizioni in precedenza adottate per l'atrazina e stabilivano il limite massimo consentito del molinate in 6 microgrammi e, rispettivamente, 3,5 microgrammi per litro d'acqua destinata al consumo umano. 4. -Il procedimento penale riguarda il reato di omissione di atti di ufficio contemplato dall'art. 328 c.p. italiano, che le pubbliche autorit� avrebbero commesso non vietando il consumo umano di acque non rispondenti ai requisiti stabiliti dal sopramenzionato dpcm. Secondo il Pretore di Torino, la responsabilit� penale delle pubbliche autorit� sarebbe tuttavia esclusa qualora le deroghe al dpcm disposte dalle predette ordinanze fossero conformi alle deroghe consentite dalla direttiva n. 80/ 778. Per risolvere tale problema, il pretore ha ritenuto necessario sottoporre alla corte la questione �se la direttiva n. 80/778/CEE e, in particolare l'art. 10, � l, di tale direttiva, debba essere inteso nel senso che autorizzi gli Stati membri a introdurre deroghe -nei modi e nelle circostanze di cui alle ricMamate ordinanze del ministero della sanit� e della regione Piemonte �. 5. -Per un'ampia esposlZlone degli antefatti della causa principale, delle pertinenti norme nazionali e comunitarie, dello svolgimento del procedimento e delle osservazioni presentate alla Corte si rinvia alla relazione d'udienza. Detti elementi del fascicolo sono riprodotti in prosieguo solo se necessario al ragionamento della Corte. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEiO STATO 292 6. -Considerato il testo della questione sollevata dal Pretore cli Torino, si deve ricordare che la Corte, secondo la sua costante giurisprudenza, non � competente, nell'ambito dell'applicazione dell'art. 177 del I trattato CEE, a statuire sulla compatibilit� di una disposizione nazio~: nale con il diiritto comunitario (vedasi, da ultimo, sentenza 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Sal�, non ancora pubblicata). I 7. -Tuttavia, la Corte pu� ricavare dal testo delle questioni formulate dal giudice a quo, tenuto conto dei dati da questo forniti, gli elementi relativi all'interpretazione del diritto comunitario al fine di consentire a detto giudice di risolvere il problema giuridico sottopostogli. 8. -Dal testo dell'ordinanza di rinvio emerge che in sostanza il giudice a quo interroga la Corte sull'interpretazione dell'art. 10, n. 1, de1la direttiva, e, in particolare, sulle condizioni alle quali detta disposizione subordina l'autorizzazione del superamento delle concentrazioni massime consentite stabilite nell'allegato I. 9. -Occorre innanzitutto rilevare che la direttivia n. 80/778 impone agli Stati membri obblighi precisi per quanto riguarda la qualit� delle acque destinate al consumo umano. Infatti, dette acque debbono essere almeno conformi ai valori indicati per i pariametri che figurano nell'allegato I (art. 7, n. 6) entro il termine di cinque anni dalla notifica della direttiva (art. 19). Per garantire il rispetto di detto obbligo, gli Stati membri debbono effettuare controlli regolari in conformit� all'allegato II, adottando i metodi di analisi menzionati nell'allegato III (art. 12). 10. -Sono consentite deroghe alla direttiva solo alle condizioni contemplate dagli artt. 9, 10 e 20 della stessa. Dette disposizioni debbono essere interpretiate in senso restrittivo. 11. -Le deroghe contemplate dagli artt. 9 e 20 non riguardano la fattispecie di cui al procedimento principale. Innanzitutto le ordinanze non sono basate sulla natura e sulla struttura dei terreni dell'area di cui � tributaria la risorsa idrica considerata, la loro adozione non � dovuta a circostanze. ~etereologiche eccezionali e, contrariamente a quanto disposto dall'art. 9, n. 3, le deroghe riguardano sostanze tossiche (allegato I, sub D). Inoltre, la Repubblica italiana non si � avvalsa della procedura contemplata dall'art. 20, che consente, sotto il control'lo della commissione del consiglio, di faT fronte a difficolt� causate dalla trasposizione della direttiva entro il termine prescritto dall'art. 18. 12. -L'art. 10, n. 1, della direttiva n. 80/778 recita: � In caso di circostanze accidentali gravi, le competenti autorit� nazionali possono autorizzare, per un periodo di tempo limitato e fino al . ' PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E Il-<TERNAZIONALB raggiungimento di un valore massimo che esse stabiliscono, un superamento delle concentrazioni massime ammissibili di cui all'allegato I, nella misura in cui tale superamento non presenti assolutamente un rischio inaccettabile per la salute pubblica e l'approvvigionamento d'acqua destinata al consumo umano_ non possa essere assicurato in nessun altro modo�. 13. -Si deve rilevare che detta disposizione � pi� elastica dell'art. 5, n. 2, . della proposta di direttiVia della commissione (G.U. C 214, pag. 2), la quale non _consentiva deroghe per quanto riguarda taluni fattori tossici, e, in particolare, i pesticidi e i prodotti affini. Ciononostante, nel consentire deroghe-in materia di fattori pericolosi per la salute umana, la direttiva le ha subordinate a condizioni tassative. 14. -In primo luogo, dalle varie versioni linguistiche del sopra citato art. 10, n. l, emerge che la nozione �circostanze accidentali gravi� dev'essere interpretata come una situazione di urgenza nella quale le autorit� responsabili debbano fare repentinamente fronte a difficolt� di aipprovvigionamento di acqua destinata al consumo umano. 15. -In secondo luogo, il superamento delle concentrazioni massime ammissibili � autorizzato soltanto per un periodo limitato, corrispondente al tempo normalmente necessario per ripristinare la qualit� delle acque interessate. 16. -In terzo luogo � necessario che detto superamento non comporti rischi inaccettabili per la salute pubblica. Compete agli Stati membri giudicare, in base ai dati scientifici conosciuti, se sussistano simili rischi. 17. -Infine, occorre che l'approvvigionamento di acqua destinata al consumo umano non possa essere garantito in nessun altro modo. Questa impossibilit� dev'essere valutata tenendo conto dei mezzi di cui dispongono i pubblici poteri. 18. -Si deve poi rilevare che a tenore dell'art. 16 della direttiva gli Stati membri possono adottare per le acque destinate al consumo umano, disposizioni pi� severe di quelle contemplate dalla direttiva stessa, ad eccezione dei provvedimenti che costituiscano un ostacolo alla libera circolazione di prodotti alimentari per i quali l'acqua utilizzata � conforme alla direttiva. L'art. 10, n. l, non impedisce dunque al legislatore nazionale di subordinare l'autorizzazione del superamento delle concentrazioni a condizioni pi� rigorose o addirittura di vietare detto superamento. 19. -Spetta al giudice nazionale accertare se la normativa interna contenga o no disposizioni che limitino le possibilit� di deroga contemplate dalla direttiva. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D:'JLLO STATO 294 20. -La questione pregiudiziale sollevata dal Pretore di Torino deve pertanto essere risolta nel senso che: -L'autorizzazione del superamento delle concentrazioni massime ammissibili figuranti nell'allegato I della direttiva n. 80/778 sulla qualit� delle acque destinate al consumo umano, contemplata dall'art. 10, n. 1, della stessa direttiva, dev'essere concessa solo in presenza di una situazione di urgenza in cui le autorit� nazionali debbano far fronte repentinamente a difficolt� di approvvigionamento di acqua destinata al consumo umano. -Detta autorizzazione dev'essere limitata al tempo normalmente necessario per il ripristino del1a qualit� delle acque interessate, non deve comportare rischi inaccettabili per la salute pubblica, ed � possibile solo se J'approvvigionamento di acqua destinata al consumo umano non possa essere garantito altrimenti. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. Plen., 5 otto-f. bre 1988, nella causa 53/87 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. Mischo -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Milano nella causa Consorzio Italiano della Componentistica di ricambio per Autoveicoli e Maxicar c. R�gie Nationale des Usines Renault -Interv.: Governi francese (avv. Belliard e Pouzoulet), della Rep. fed. di Germania (ag. Seidel),, spagnolo (avv.ti Conde de Saro e Garcia-Valdecasas), italiano (avv. Stato Braguglia) e britannico (ag. Purse) e Commissione C.E. (ag. Marenco e Banks). Comunit� Europee -Libera circolazione delle merci -Tutela della propriet� industriale -Esercizio di diritti al modello sulle parti componenti la carrozzeria di autovetture. (Trattato CEE, artt. 30-36; legge 25 agosto 1940, n. 1411, e succ. mod.). Comunit� Europee -Concorrenza -Abuso di posizione dominante -Brevetti per modelli ornamentali -Fattispecie. (Trattato CEE, artt. 36 e 86). Le norme relative alla libera circolazione delle merci non ostano all'applicazione di una normativa nazionale secondo cui un fabbricante di autoveicoli, titolare di un brevetto per modello ornamentale su pezzi di ricambio destinati alle vetture di sua fabbricazione, ha il diritto di interdire a terzi di fabbricare, ai fini di vendita sul mercato interno o di esportazione, pezzi tutelati o di impedire l'importazione da altri Stati membri di pezzi tutelati che vi siano stati fabbricati senza il suo consenso (1). (1-2) Cfr. anche la parallela sentenza della Corte della stessa data, nella causa 238/87, emessa su domanda pregiudiziale proposta dalla High Court PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 295 Il semplice fatto di conseguire brevetti per modelli ornamentali relativi a parti della carrozzeria di autovetture non costituisce abuso di posizione dominante, ai sensi dell'art. 86 del Trattato; l'esercizio del diritto esclusivo corrispondente a siffatti brevetti pu� essere vietato dall'art. 86 del Trattato, se d� luogo, da parte di un'impresa in posizione dominante, a taluni comportamenti abusivi quali il rifiuto arbitrario di fornire pezzi di ricambio a riparatori indipendenti, la fissazione dei prezzi dei pezzi di ricambio ad un livello troppo elevato o la decisione di non produrre pi� pezzi di ricambio per un determinato modello mentre circolano ancora molte vetture del modello stesso, a condizione che tali comportamenti possano essere pregiudizievoli per il commercio tra Stati membri (2). (omissis) 1. -Con ordinanza 18 settembre 1986, pervenuta alla Corte il 20 febbraio 1987, il Tribunale Civile e Penale di Milano ha proposto, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 30-36 e 86 del Trattato CEE al fine di valutare, in primo luogo, la compatibilit� di una normativa nazionale che consente di tutelare, mediante brevetto per modello ornamentale, delle parti della carrozzeria di autovetture, con le norme comunitarie riguardanti la libera circolazione delle merci e, in secondo fuogo, il carattere abusivo che, in talune circostanze, pu� assumere l'esercizio tale diritto. 2. -Queste questioni sono state poste nell'ambito di una controversia che oppone il Consorzio italiano della Componentistica di Ricambio per Autoveicoli (in prosieguo: il Consorzio), associazione professionale che raggruppa diverse imprese italiane che fabbricano e smerciano parti staccate della carrozzeria di autovetture, e la Maxicar, impresa aderente al Consorzio, alla R�gi� Nationale des Usines Renault (in prosieguo: Renault). 3. -Con la domanda proposta dinanzi a.il giudice nazionale, il Consorzio e la Maxicar chiedono, in primo luogo, che vengano dichiarati nulli i brevetti per modello ornamentale di cui la Renault � titolare, in quanto questi riguardino parti staccate della correzzeria di automobili, parti che, di per s�, non avrebbero alcun valore estetico autonomo, ed in secondo luogo che si constati che la produzione e la messa in commercio di pezzi di rioambio non originali non costituiscono un illecito alla luce delle norme nazionali relative alla concorrenza sleale. La Renault, in via riconof Justice d'Inghilterra e del Galles nella causa A.B. VoLvo c. ERIK VENG (UK) Ltd, dove � stato statuito che � il rifiuto opposto dal titolare di un diritto di modello, che copre elementi di carrozzeria, di concedere a terzi, anche in contropartita di commissioni ragionevoli, una licenza per la fornitura di pezzi che comprendono il modello, non pu� essere considerata di per s� uno sfruttamento abusivo di posizione dominante, ai sensi dell'art. 86 del Trattato CEE �. 7 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 296 venzionale, chiede che venga constatata la contraffazione dei brevetti da parte delle societ� attrici. 4. -Il giudice nazionale considera conforme alla normativa italiana la tutela quale modello ornamentale di parti staccate della carrozzeria di autovetture, ma ritiene che l'esercizio dei diritti esclusivi risultanti da tale tutela appaia nella fattispecie in contrasto con le norme del Trattato. 5. -A tal proposito, rileva che il compenso del titolare del diritto � gi� garantito dal diritto esclusivo relativo alla carrozzeria nel suo complesso e che la tutela di parti stacoate di essa considerate separatamente non � pertanto giustificata. Osserva inoltre che la Renault, che � naturale destinataria di una parte delle ordinazioni dei consumatori per i pezzi destinati alle vetture di sua fabbricazione, gode di una posizione di monopolio che le consente di eliminare la concorrenza dei fabbricanti indipendenti di pezzi di ricambio, pur continuando a praticare prezzi elevati. 6. -Secondo il giudice nazionale, risulta dalle considerazioni che precedono che la tutela di cui gode la Renault potrebbe costituire un mezzo di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata al commercio fra gli Stati membri, ai sensi dell'art. 36 del Trnttato, e che la posizione di monopolio in tal modo garantita all'interessata pu� ricadere sotto l'applicazione dell'art. 86 del Trattato. 7. -In tali condizioni, il giudice nazionale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: � 1. Se gli artt. 30-36 del Trattato CEE debbano o no essere interpretati nel senso di impedire che il titolare di un brevetto per modello ornamentale concesso in uno Stato membro possa far valere il corrispondente diritto assoluto per interdire a terzi la fabbricazione e la vendita nonch� l'esportazione in altro Stato membro di parti staccate che integrano nel loro insieme la carrozzeria di un'automobile gi� immessa sul mercato, e cio� di parti staccate destinate alla vendita come pezzi di ricambio della stessa automobile. 2. Se l'art. 86 del Trattato CEE sia o meno applicabile per �vietare l'abuso della posizione dominante che ciascU!lJa casa automobilistica detiene sul mercato dei ricambi delle automobili di sua fabbricazione, consistente nel perseguire, con ~pratica della hrevettazione e della repressione giudiziaria, lo scopo de11'eliminazione totale della concorrenza delle imprese dei ricambisti indipendenti �. 8. -Per una pi� ampia esposizione dei fatti e dell'ambito giuridico della controversia nazionale, dello svolgimento del procedimento nonch� PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E L'IUERNAZIONALE delle osservazioni presentate alla Corte, si rinvia al1a relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati nel prosieguo solo nella misura necessaria alle deduzioni della Corte. Sulla prima questione 9. -Risulta dall'ordinanza di rinvio che ralcuni fabbricanti indipendenti di pezzi di ricambio per autovetture hanno fatto valere le norme relative alla libera circolazione delle merci per indurre il giudice nazionale a non applicare la normativa nazionale sulla propriet� industriale secondo cui un fabbricante di autoveicoli pu� ottenere, mediante brevetto per modello ornamentale, una tutela di taluni pezzi di ricambio destinati alle vetture di sua fabbricazione. Questi fubbricanti indipendenti hanno inteso in tal modo mettersi al riparo da azioni per contraffazione dirett� ad impedir loro di fabbricare, ai fini di vendita sul mercato interno o di esportazione, pezzi su oui grava il diritto esclusivo o ad interdire loro di importare da altri Stati membri pezzi tutelati che vi siano stati fabbricati senza il consenso del titolare del brevetto per modello. 10. -Occorre in primo luogo sottolineare che, come la Corte ha ritenuto nella sentenza 14 settembre 1982 (causa 144/81, Keurkoop, Racc. pag. 2853), relativa alla tutela di disegni e modelli, nello stato attuale .del diritto comunitario e in mancanza di unificazione nell'ambito della Comunit� o di un ravvicinamento delle legislazioni, la determinazione dei casi e delle modalit� di tale tutela dipende dalle norme nazionali. Spetta quindi al legislatore na,zionale stabilire quali prodotti beneficino di tale tutela anche qualora facciano parte di un complesso che � gi� tutelato in quanto tale. 11. -Si deve in seguito rilevare che :i.a facolt� del titolare di un brevetto per modello ornamentale di opporsi alla fabbricazione da parte di terzi, ai fini di vendita sul mercato interno o di esportazione, di prodotti che incorporano il modello o di impedire l'importazione di siffatti prodotti che siano stati fabbricati senza il suo consenso in altri Stati membri, costituisce il contenuto del suo diritto esclusivo. Impedire l'applicazione della normativa nazionale in siffatte condizioni equivarrebbe quindi a rimettere in causa l'esistenza stessa di tale diritto. 12. -Va ancora ricordato che in forza dell'art. 36 le restrizioni all'importazione o all'esportazione giustificate da motivi di tutela della propriet� industriale e commerciale sono ammesse in quanto esse non costituiscano n� un mezzo di discriminazione arbitraria, n� una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri. A tal proposito � sufficiente constatare, alla luce degli atti di causa, che il diritto esclu 298 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DW.LO STATO sivo accordato dalla normativa nazionale ai titolari di brevetti per modelli ornamentali, relativi a parti di carrozzeria di autovetture, � indifferentemente opponibile sia a chi i�abbrica i pezzi di ricambio sul territorio nazionale sia a chi li importa da altri Stati membri e che tale normativa non mira a favorire i prodotti nazionali rispetto a quelli originari di altri Stati membri. 13. -In tali condizioni, la prima questione del giudice nazionale deve essere risolta nel senso che le norme relative alla libera circolazione delle merci non ostano all'applicazione di una normativa nazionale secondo cui un fabbricante di autoveicoli, titolare di un brevetto per modello ornamentale su pezzi di ricambio destinati alle vetture di sua fabbricazione, ha il diritto di interdire a terzi di i�abbricare, ai fini di vendita sul mercato interno o di esportazione, pezzi tutelati che vi siano stati fabbricati senza il suo consenso. Sulla seconda questione 14. -Con la seconda questiom:, il giudice nazionale intende sapere, in sostanm, se il conseguimento di brevetti per modelli ornamentali relativi a parti di carrozzeria di autovetture, e l'esercizio dei diritti esclusivi che ne risultano, costituiscano un abuso di posizione dominante, ai sensi dell'art. 86 del Trattato. 15. -A tal proposito pu� subito rilevarsi che il fatto stesso di ottenere il beneficio di un diritto esclusivo concesso dalla legge, diritto il cui contenuto consiste nel potere di impedire la fabbricazione e la vendita dei prodotti tutelati da parte di terzi non autorizzati, non pu� essere considerato come un metodo abusivo di eliminazione della concorrenza. 16. -Per quanto riguarda l'esercizio del diritto esclusivo, questo pu� essere vietato dall'art. 86 se d� luogo, da parte di un'impresa in posizione dominante, a taluni comportamenti abusivi quali il rifiuto arbitrario di fornire pezzi di ricambio a riparatori indipendenti, la fissazione dei prezzi dei pezzi di ricambio ad un livello troppo elevato o la decisione di non produrre pi� pezzi di ricambio per un determinato modello mentre circolano ancora molte vetture del modello stesso, a condizione che tali comportamenti possano essere pregiudizievoli al commercio tra Stati membri. 17. -Pi� specificamente in merito alla differenza di prezzo tra i pezzi di ricambio venduti dal costruttore e quelli venduti dai fabbricanti indipendenti, va osservato che, secondo la giurisprudenza della Corte (sentenza 29 febbraio 1968, oausa 24/67, Parke Davis, Racc. pag. 75), PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE l'ammontare superiore del prezzo dei primi rispetto a quello dei secondi non costituisce necessariamente un abuso, poich� il titolare di un brevetto per modello ornamentale pu� legittimamente pretendere un compenso per le spese sostenute per la messa a punto del modello brevettato. 18. -In queste condizioni, bisogna risolvere la seconda questione sottoposta dal giudice nazionale nel senso che -il semplice fatto di conseguire brevetti per modelli ornamentali relativi a parti della carrozzeria di autovetture non costituisce abuso di posizione dominante, ai sensi dell'art. 86 del Trattato; -l'esercizio del diritto esclusivo corrispondente a siffatti brevetti pu� essere vietato dall'art. 86 del Trattato se d� luogo, da parte di una impresa in posizione dominante, a taluni comportamenti abusivi quali il rifiuto arbitrario di consegnare pezzi di ricambio a riparatori indipendenti, la fissazione dei prezzi dei pezzi di ricambio ad un livello troppo elevato o la decisione di non produrre pi� pezzi di ricambio per un determinato modello mentre circolano ancora molte vetture del modello stesso, a condizione che tali comportamenti possano essere pregiudizievoli per il commercio tra Stati membri. (omissis) SF.ZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 luglio 1988, n. 4480 -Pres. Zucconi Galli Fonseca -Rel. Cherubini -P. M. Virgilio -Cassa per il Mezzogiorno (avv. Stato Conti) c. Angus s.p.a. (avv. Bonatti e Guidi). Mezzogiorno � Cassa per il Mezzogiorno -Contributi a fondo perduto � Inadempimento del concessionario -Revoca della sovvenzione -Con� troversia � Rapporto di natura paritetica -Giurisdizione dell'A.G.O. La facolt� della Cassa per il Mezzogiorno di pretendere la restitu zione di somma pari all'importo della sovvenzione erogata ai sensi dell'art. 102 del d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523 per la costruzione e l'ampliamento di impianti industriali, nel caso di inadempimento del concessionario a particolari obblighi a lui imposti, non pu�, in difetto di norma attributiva, assurgere al rango di potere pubblico, ma va collocata tra i rapporti di natura paritetica, con conseguente cognizione della relativa controversia da parte del giudice ordinario (1). (omissis) 2. -Passando all'esame dei ricorsi, va affrontata in primo Juogo la questione di giurisdizione, posta col primo motivo del ricorso principale. La Cassa per il Mezzogiorno � ben conscia che le Sezioni Unite, decidendo analoghe fattispecie, hanno affermato la giurisdizione del giudice ordinario, ma auspica un'inversione di tendenza, mettendo in luce che, nel caso oggi in esame, gli obblighi del beneficiari.o, il cui inadempimento ha determinato la � revoca � della sovvenzione, non sono contenuti in una convenzione stipulata contestualmente al provvedimento, ma costituiscono clausola del provvedimento medesimo. Peraltro, la Cassa svolge la sua tesi generale con argomentazioni che possono sintetizzarsi nel modo seguente. Il provvedimento con cui � stato concesso il contributo ex art. 102 del D.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523 non si esaurisce con l'erogazione della sovvenzione, ma ha dato vita ad un rapporto di durata. (1) La pronuncia (su cui cfr. Giust. Civ. 1988, I, 2938 con breve nota di richiami) conferma l'orientamento gi� manifestato da Cass. 8 maggio 1976, n. 1611 (in Giust. Civ. 1976, I, 620, con nota di riferimenti di dottrina) e ribadito da Cass. 28 maggio 1986, n. 3600. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Invero, la previsione che il beneficiario della sovvenzione utilizzi per un certo tempo i macchinari e le opere murarie non � elemento accidentale, del provvedimento, ma costituisce espressione dell'interesse pubblico preso in considerazione per la concessione del contributo. Ci� comporta il sorgere di un rapporto di durata,.. i cui connotati sono costituiti da un potere di controllo della Cassa e da un onere del concessionario di utilizzare le opere agevolate per un certo periodo. L'esercizio del potere di controllo consente la revoca, nel caso che il concessionario non adempia all'onere assunto. Quindi, tutte le vicende del rapporto di sovvenzione non possono essere collocate in un ambito privatistico, ma vanno valutate in un contesto pubblicistico, loro congeniale, il cui aspetto pi� rilevante, ai fini che interessano il presente giudizio, � il potere discrezionale della Amministrazione di far cessare la sovvenzione quando viene meno l'interesse pubblico ad essa originariamente collegato. Il mezzo non � fondato. La costante giurisprudenza di questa Corte � nel senso che: la posizione soggettiva del privato cui sia stata accordata la sovvenzione � suscettibile di varia configurazione, in quanto egli -se, da un lato, ha un diritto di credito verso l'amministrazione, debitrice della somma di danaro oggetto della sovvenzione e per la tutela di esso pu� di certo adire il giudice ordinario -dall'altro � titolare verso la medesima di un interesse legittimo in considerazione dei poteri di autotutela che le spettano fa base a principi fondamentali dell'ordinamento, beninteso entro i limiti in cui tali poteri sono di volta in volta configurabili. Ed in questa prospettiva si � precisato che l'amministrazione -in funzione del generale interesse ial corretto; ordinato ed efficiente svolgimento della propria attivit� -pu�, mediante procedimenti talora definiti � di secondo grado �, riesaminare il provvedimento per verificarne la validit�, ovvero attuare una revisione del risultato di esso (e del rapporto che ne � derivato), per saggiare la sua persistente corrispondenza all'interesse pubblico in vista del quale fu emanato (S.C. n. 1611/76). Questi principi operano, come � evidente, a prescindere dalla circostanza che la clausola, con la quale siano stati imposti al beneficiario degli obblighi il cui inadempimento sia sanzionato con la �revoca�, abbia natura convenzionale; e, invero, questo aspetto del caso concreto � stato valorizzato dalla giurisprudenza (vedi sentenza n. 1611/76 citata) solo per ribadire l'inesistenza di un potere autoritativo della Cassa per il Mezzogiorno, 1a cui carenza era gi� rilevabile in forza dei principi generali. Sicch� non � decisivo il preliminare rilievo della ricorrente principal� circa la natura non convenzionafo della clausola che fissa alla so 302 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO ciet� ANGUS l'obbligo di utilizzare macchinari ed opere per un certo tempo. Ci� posto, � necessario controllare se, nella specie, s1a identil�icabile l'esercizio da parte della Cassa di un potere nell'ambito di un procedi mento � di secondo grado �, in conformit� ai principi pi� sopra ricordati.. Al riguardo va subito constatato che non � configurabile un riesame, sotto il profilo della validit� del provvedimento, perch� nessun vizio di legittimit� � prospettabile o viene fatto valere. Neppure pu� individuarsi l'eserci:zJio di un potere di 'revisione perch� l'interesse pubblico, preso in considerazione a11'atto della emanazione del provvedimento, non � rimesso in discussione. A questo proposito va saggiata la tesi della Cassa, la quale sostiene, in sostanza, che l'interesse pubblico sottostante al1a sovvenzione sarebbe quello realizzabile mediante l'utilizzazione temporanea di macchinari ed impianti da parte del coneessionario; in altri termini, quello che si concretizzerebbe con gli obblighi assunti, nel caso in esame, da11a so ciet� ANGUS. Ma questa opinione � inaccettabile perch� l'interesse pubblico che giustifica la sovvenzione in causa �, ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523, lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, attraverso la costruzione di nuovi impianti o l'ampliamento di quelli esistenti. Pertanto oade la tesi della ricorrente principale -che ha per fonda mento la premessa qui sopra confutata -sull'esistenza di un rapporto di durata, nato dalla sovvenzione, e sull'esercizio di un particolare potere di natura pubblica da parte della Cassa. Viene, inoltre, confermata la non configurabilit� di un provvedimento di revisione. In particolare non pu� ipotizzarsi, con la ricorrente principale, l'esistenza di una revoca per motivi sopravvenuti perch� un tale :provvedimento presuppone, pur sempre, una comparazione del1a nuova situazione con l'interesse pubblico preso in esame per l'emanazione del provvedimento soggetto a revoca, laddove, nella specie, si tratterebbe di � considerare le conseguenze di un comportamento del beneficiario, senza alcuna nuova comparazione con l'interesse pubblico suddetto. Infine, non � neppure possibile configurare una � declariatoria di decadenza � -anche essa da annoverare tra gli atti di autotutela perch� un siffatto provvedimento pu� intervenire solo in un rapporto di durata, che nella specie, come si � visto, non sussiste. L'esito negativo della indagine sin qui svolta porta -alla luce del principio di legalit� dell'azione amministrativa, in forza del quale nessuna posizione di preminenza o di favore spetta all'amministrazione se non in virt� di una disposizione di legge e che nessun potere � configurabile in difetto di norma attributiva (sent. n. 4010 del 1975) -alla PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 303 necessaria conclusione che la facolt� della Cassa di pretendere la restituzione di somma pari all'importo della sovvenzione erogata, nel caso di inadempimento del concessionario a particolari obblighi a lui imposti, non pu� assurgere al rango di potere pubb1ko, ma va collocata tra rapporti di natura paritetica. 3. -Ragioni di ordine logico-sistematico suggeriscono di passare, superato il problema di giurisdizione, all'esame del ricorso incidentale, con il quale la societ� TRADECO lamenta, sotto il profilo di violazione dell'art. 102 del D.P.R. n. 1523 del 1967 e di insufficiente e contraddittoria motivazione, la statuizione con la quale la Corte del merito ha ritenuto che l'apertura della liquidazione della societ� ANGUS fosse idonea a realizzare l'inadempimento previsto come causa di �revoca� della sovvenzione. M riguardo, la ricorrente incidentale osserva: che il citato art. 102 ha di mira lo sviluppo economico ed industriale del Mezzogiorno, attraverso la costruzione di nuovi impianti o l'ampliamento di quelli preesistenti, senza tener conto della loro concreta uti1izzazione; che, pertanto, la clausola in disoussione andava interprntata come divieto di sottrarre gli impianti alla destinazione loro impressa all'atto della concessione della sovvenzione, dando loro una destinazione diversa da quella ori ginaria; che, invece, la Corte di Milano ha interpretato la detta clausola con riferimento alla utilizzazione concreta di detti beni e perci� finendo col violare l'art. 102 suddetto; che, inoltre, la sentenza impugnata � contraddittoria perch�, da un canto, ammette che l'apertura del procedimento di liquidazione non d� luogo ad una situazione irreversibile; dall'altro, afferma che, per effetto della liquidazione stessa, veniva compromesso, per un periodo indeterminato, lo scopo dell'agevolazione. Il motivo non � fondato. La censura muove dal presupposto che la clausola in discussione debba essere interpretata con specifico riferimento all'interesse pubblico, in vista del quale la sovvenzione � stata concessa. Questo collegamento non esprime alcuna necessit� logico-giuridica perch� � altrettanto fogico e non contraddice alcun principio di diritto il sostenere che, invece, la clausola in esame ha voluto assicurare pro prio la utilizzazi�ne degli impianti. In altri termini, la censura � basata su di una premessa accettabile ma non inderogabile. In questa situazione appare inconsistente la censura che denuncia una violazione di legge e si profila, piuttosto, un problema di interpre RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 304 tazione della clausola del provvedimento, la cui valutazione � insindacabile se sorretta da motivazione priva di vizi logici. Sotto questo ultimo aspetto non si ravvisa la contraddizione indicata dalla ricorrente incidentale posto che la sentenza impugnata contiene, da un canto, l'affermazione che, in astratto, la messa in liquidazione della societ� non determina una situazione irreversibile; e, dall'altro, la considerazione che, in concreto, si � verificata la sospensione dell'attivit� produttiva e la conseguente mancata utilizzazione dei macchinari ed opere murarie per un periodo di tempo indeterminato. Si tratta di due proposizioni che sono logicamente compatibili e, quindi, non sussiste il vizio denunciato. 4. -Rimane da esaminare il secondo motivo del ricorso principale, con il quale viene denunciata la violazione degli articoli 102, ultimo comma, e 103 del T.U. 30 giugno 1967, n. 1523, nonch� difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia. La Cassa si duole della statuizione con cui la Corte di appello ha ritenuto che il termine quinquennale di utilizzazione dei macchinari fosse decorso al momento della deliberazione di messa in liquidazione della societ� ANGUS ed osserva che la decisione appare assolutamente immotivata e frutto di equivoco tra la data di ultimazione dei controlli di cui all'art. 102, ultimo comma, del T.U. 1523/67 -costituente il vero dies a quo, fissato nel provvedimento di sovvenzione -e la data del �parere di conformit��, previsto nel successivo art. 103. La controricorrente ammette la correttezza della censura proposta dalla controparte, ma, dichiarandola valida solo da un punto di v~sta formale, contesta il \'izio di legittimit� dedotto osservando che, nella specie, il parere di conformit� -costituente presupposto fondamentale per l'ammissibilit� a contributo delle opere in progetto ai sensi dell'articolo 103, .primo comma, del T.U. 1523/67 -non � stato rifasciato sulla base di un semplice progetto, ma per opere ed impianti entrati in funzione gi� dal 1969; che, inoltre, la Cassa avrebbe commesso l'errore di indicare, nell'art. 4 dell'atto di sovvenzione, la decorrenza del quinquennio dalla data dei controlli richiamati dall'art. 2, in quanto, nel sistema della legge, deve tenersi conto, come dies a quo, della data della verifica di conformit� delle opere progettate, a cui fa riferimento l'art. 103 suddetto. Pertanto, conclude la societ� TRADECO, la decisione censurata si giustifica in base alle suddette considerazioni, che la Corte di appello ha avuto certamente presenti. Osservano le Sezioni Unite che -a parte la accettabilit� o meno delle deduzioni della controricorrente -non � possibile attribuire alla Corte di appello intenti ed opinioni che non risultano nemmeno accennate in motivazione. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 305 La sentenza impugnata si limita a calcolare il periodo quinquennale dalla data del � parere di confovmit� � che identifica, puramente e semplicemente, con i controlli previsti nell'art. 2 dell'atto di concessione. Evidente �, quindi, l'errore logico e giuridico del[a motivazione sul punto e fa necessit� di porvi riparo con la cassazione di questa parte della sentenza impugnata e il rinvio, per nuovo esame, ad altro giudice, che si indica in altra Sezione della Corte di appello di Milano. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 luglio 1988, n. 4503 -Pres. Bile - Rel. Di Ci� -P. M. Grossi (conf.) -Silvestri (avv. Esposito) c. Istituti di previdenza (avv. Stato Stipo). Pensioni � Trattamento provvisorio di pensione � Questioni volte alla restituzione di assegni trattenuti, alla corresponsione degli interessi legali e rivalutazione monetaria � Giurisdizione esclusiva della Corte dei conti. L'attribuzione della pensione provvisoria costituisce una fase del procedimento diretto alla determinazione dell'assegno pensionistico; pertanto anche in costanza del trattamento provvisorio di pensione sussiste la giurisdizione della Corte dei conti per le controversie volte alla restituzione di somme indebitamente trattenute dagli assegni pensionistici mensili, al risarcimento del danno da svalutazione monetaria ed alla corresponsione degli interessi legali (1). (omissis) L'istante dott. Carlo Silvestri sostiene la giurisdizione amministrativa in relazione alla controversia da lui promossa, riguar dante ,il provvedimento di sospensione dell'assegno integrativo speciale ed il recupero delle somme erogate a tale titolo, da effettuare mediante trattenute mensili sull'assegno pensionistico. Assume invece la giurisdizione del ~iudice ordinario, per l'esame della domanda attinente agli interessi legali ed ai danni prodotti, a' sensi dell'art. 1224 e.e., della mancata corresponsione della parte in conte stazione dell'assegno pensionistico. Le cennate tesi non possono essere condivise, dovendo l'esame del� l'intera controversia essere attribuito alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti. Queste sezioni unite hanno ritenuto, con giurisprudenza consolidata, .che a norma degli artt. 13 e 62 del t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, le Liti (1) Anche il Consiglio di Stato si era espresso per la giurisdizione della Corte dei conti nelle controversie riguardanti il trattamento provvisorio di pensione (Cons. Stato, VI, 8 ottobre 1982, n. 469). 306 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA n.n.LO STATO riguardanti i provvedimenti dell'amministrazicne che concedono, rifiutano o modificano il trattamento di pensione, sono comprese in detta giurisdizione (vedi, per tutte, la sentenza 4 febbraio 1985, n. 746), ed hanno precisato che essa si estende alle dispute su1le indennit� accessorie poich� queste, essendo dirette ad adeguare fa misura minima della pensione alle reali e specifiche condizioni personali del pensionato nonch� a quelle economiche generali (svalutazione monetaria), sono in sostanza parti integranti dell'assegn� pensionistico (v. sent. 21 mag� gio 1986, n. 3373). La giurisdizione esclusiva della Corte dei oonti comprende anche la controversia riguardante la legittimit� del recupero degli assegni accessori erogati, contestata sotto il profiilo dell'avvenuta riscossione in buona fede e delle modalit� della pretesa restituzione (cfr. sentenza n. 3373 del 1986, citata in tema di indennit� integ:riativa speciale). Alla giurisdizione della Corte dei conti sono devolute le istanze del Silvestri volte alla restituzione delle somme a suo dire indebitamente trattenute dai suoi assegni pensionistici mensili, al risarcimento del danno da svalutazione monetaria ed a!Ha corresponsione degli interessi legali. Invero si tratta di pretese accessorie, direttamente legate e dipendenti dalla domanda principale, inerenti sostanzialmente all'entit� dell'assegno pensionistico spettante all'odierno riconente; il giudizio sulla loro fondatezza, quindi, non pu� essere disgiunto da quello sulla questione patrimoniale da cui derivano. La restituzione delle somme recuperate dall'amministrazione ha infatti origine nell'assunto che le trattenute eseguite siano illegittime; gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, poi, sono richiesti allo scopo di conseguire il recupero in modo adeguato all'effettivo valore delle somme trattenute. Non ha rilievo, infine, che oggetto della controversia Slia una pensione provvisoria. L'attribuzione della pensione provvisoria -al fine di evitare che al pensionato manchi, nei tempi tecnici necessari per la liquida21ione della pensione definitiva, il minimo vitale -costituisce pur sempre una fase del procedimento diretto alla determinazione dell'assegno pensionistico e, quindi, come tale rientra nella giurisdizione esclusiva della Corte dei conti, essendo una parte necessaria dell'iter che sfocia nena liquidazione defii.nitiva dell'assegno dovuto al pensionato. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 ottobre 1988, n. 5379 -Pres. Lo Coco -Rel. Nuovo -P. M. Paolucci (conf.) -Marangi Francesco c. Regione Puglia. Giurisdizione civile � Ritardato adempimento del pagamento di crediti pecuniari derivanti da rapporto di pubblico impiego � Richiesta di rivalutazione e interessi -Giurisdizione amministrativa. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI tiIURISDIZIONE 307 Giurisdizione civile � Ritardato adempimento del pagamento di crediti pecuniari derivanti da rapporto di pubblico impiego . Richiesta di danno superiore alla rivalutazione � Giurisdizione A.G.O. previa costituzione in mora e dimostrazione del danno in concreto subito. Il credito di lavoro deve definirsi un credito indicizzato, in relazione al quale il pagamento della somma necessaria ad integrare il potere di acquisto originario della retribuzione � da intendersi come adempimento di un'obbligazione in s� unitaria e non come risarcimento del danno; pertanto la pretesa di ottenere (anche in via autonoma) la rivalutazione del credito di lavoro, costituendo una domanda di esatto adempimento dell'obbligazione retributiva, � proponibile davanti al giudice che ha la giurisdizione sul rapporto di lavoro (il giudice amministrativo nel caso di rapporto di pubblico impiego) ed � irrilevante che la richiesta venga proposta sotto il profilo di un risarcimento del danno per un asserito comportamento illegittimo del datore di lavoro,� ugualmente � da dirsi per gli interessi che, in quanto dovuti dalla maturazione del credito sulla somma rivalutata, prescindendo dalla costituzione in mora e dalla colpa del debitore, sono da definirsi corrispettivi (art. 1282 cod. civ.) e accessori del credito principale (1). La giurisdizione del giudice ordinario in materia di rivalutazione di crediti pecuniari derivanti da rapporto di pubblico impiego sussiste nella ipotesi in cui il pubblico impiegato deduca di aver subito dall'inadempimento del suo datore di lavoro un danno che supera la somma rivalutata percepita; l'accoglimento della domanda dipender� oltre che dalla costituzione in mora anche dalla allegazione e dalla dimostrazione del danno in concreto subito (2). (omissis) Con il primo motivo si denuncia 1a violazione ed erronea applicazione degli artt. 2 e 7 legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 29 n. 1 T.U. 6 giugno 1924, n. 1054, art. 4 primo comma T.U. 26 giugno 1924, n. 1058, art. 420 cpc. per avere il tribunale omesso di considerare la lunga azione svolta dai dipendenti della Regione per ottenere l'inquadramento richiesto sia in sede sindacale, sia dinanzi al TAR di Puglia, 1 sia in sede di ulteriori trattative, per super�are il comportamento diJ.atorio e colposo della datrice di lavoro: se tali circostanze fossero state valutate, il Tribunale non si sarebbe spogliato della giurisdizione ma avrebbe accolto le domande dei lavoratori. (1-2) Si va sempre pi� affermando la giurisdizione del giudice del rapporto in materia di rivalutazione e interessi sulle somme percepite in ritardo, indipendentemente dalla prospettazione data dalla parte alle questioni da risolvere. Lo stesso principio dovrebbe valere per l'affermazione della giurisdizione della Corte dei conti, sul ritardo nel pagamento delle pensioni. 308 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA !:'ELLO STATO Con il secondo motivo si lamenta l'omessa motivazione su un punto decisivo per non avere il Tribunale esaminato le circostanze suddette, costituenti fatti pacifici in causa. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell'art. 437 cpc. per non essersi il giudice di merito pronunciato sulla richiesta di prova testimoniale sempre sulle sopraindicate circostanze e per non avere esaminato i documenti di causa e in particolare 1a delibera sul nuovo inquadramento. I tre motivii., che per evidenti ragioni di connessione vanno esaminati congiuntamente, sono infondati. L'applicabilit� al rapporto di pubblico impiego della rivalutazione monetaria e il conseguente riparto della giurisdizione sono foa le questioni pi� tormentate detla giurisprudenza pi� recente. Com'� noto, l'art. 429 c.p.c. e l'art. 150 disp. att. c.p.c., che prevedono per i crediti di lavoro la rivalutazione automatica della somma dovuta secondo l'indice dei prezzi ca:lcolati dall'ISTAT per la scala mobile per i lavoratori dell'industria oltre gli interessi, trovano dii.retta ed espressa applicazione solo ai rapporti di lavoro devoluti alla cognizione del giudice ordinario, indicati nell'art. 409 c.p.c. Questa limitazione esclusiva non era stata dalla Corte Costituzionale ritenuta in contrasto con i principi della Costituzione (vedi Corte Cost. 20 gennaio 1977, n. 43; Corte Cost. 26 maggio 1981, n. 71) e la giurisprudenza amministrativa, adeguandosi a tali decisioni aveva ritenuto inapplicabile ai crediti di lavoro dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici il principio della rivalutazione automatica. Agli impiegati pubblici, che avevano percepito in ritardo le loro spettanze e che erano stati pregiudicati dall'inflazione verificatasi nel frattempo, non rimaneva altra strada, per ottenere il risarcimento di tale danno, che quella prevista dal codice civile per tutte le obbligazioni pecuniarie, e cio� l'art. 1224 secondo comma e.e. La conseguente situazione di minor tutela dell'impiegato pubblico rispetto al dipendente privato degradava ulteI1iormente in una posizione di evidente inferiorit�, allorch� datore di larvoro era lo Stato o altro ente pubblico, soggetto alle norme sulla contabilit� generale dello Stato. In base a tali norme un credito anche di lavoro, scaduto e determinato nel suo ammontare, e quindi dal punto di vista civilistico liquido ed esigibile, non poteva essere riscosso fino a quando non vi fosse stata l'effettiva disponibilit� dei fondi, l'impegno di spesa e l'emissione dei mandati di pagamento: il che rendeva inapplicabili gli interessi corri, spettivi e vanificava H diritto agli interessi moratori (e quindi anche all'ulteriore risarcimento del danno ex art. 1224 e.e.), salvo che non si fosse dimostrato che l'espletamento di tali procedure fosse stato ingiustificatamente ritardato o peggio ancora non fosse stato nemmeno attivato. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI JIURISDIZIONE Di fronte a questa giurisprudenza i pubblici dipendenti cercarono di aggirare l'ostacolo della ritenuta inapplicabilit� al pubblico impiego deHa rivalutazione automatica dei crediti di lavoro, proponendo davanti al giudice ordinario la richiesta, a titolo di risarcimento del danno, della rivalutazione monetaria di detti crediti, liquidati a seguito di un giudizio dal giudice amministrativo o riconosciuti tardivamente dall'ente pubblico, datore di lavoro. Tali controversie si basarono in genere su una combinazione ibrida di due azioni diverse, deducendo ex art. 1224 e.e. quale causa petendi un comportamento colposo e dilatorio della pubblica amministrazione richiedendo quale petitum la rivailutazione automatica e gli interessi legali della maturazione del credito ex art. 429 c.p.c. Nel frattempo si verificava una svolta radicale nella giurisprudenza amministrativa. Cominci� <l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che con due decisioni (7 aprile 1981, n. 2 e 30 ottobre 1981, n. 7) rilev� che, pur non essendo applicabile direttamente al rapporto di pubblico impiego l'art. 429 c.p.c., si poteva dal vigente sistema ricavare la rilevanza della svalutazione monetaria con riferimento a tutti indistintamente i crediti di lavoro, compresi queJ!li dei dipendenti pubblici, per cui la detta rivalutazione, riconosciuta in sede di liquidazione del danno ex art. 1218 e 1224 e.e., non introduceva un incremento ulteriore nelle ragioni creditorie dei dipendenti, ma opera-oo una quantificazione di valore ontologicamente e funzionalmente coincidente con i momenti originari di maturazione del diritto alla Tetribuzione: da ci� conseguiva che la cognizione della relativa domanda non compmtava l'esame di una questione conseguenziale e apparteneva quindi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Questo orientamento giurisprudenziale, che si � andato successivamente consolidando, tanto da essere ormai considerato �diritto vivente� (vedi Corte Cost. 24 marzo 1986, n. 52), fu immediatamente valutato da queste Sezioni Unite in relazione al riparto della giurisdizione. E questa Corte, ribadito il principio che le situazioni precluse all'intervento del giudice amministrativo sono quelie da cui il pregiudizio lamentato dal dipendente si aggiunga alla lesione gi� da costui sub�ta nella sua posizione di parte del rapporto d'impiego e quindi non eliminabile con i poteri ili quel giudice, condivideva l'opinione dell'alto consesso amministrativo nel ricomprendere neLla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo Ja rivalutazione automatica e gli interessi (questi ultimi da definiTsi corrispettivi e non gi� moratori, come aveva ritenuto l'Adunanza Plenaria) ma riaffermava l'attribuzione al ~udice ordinario non solo della domanda di risarcimento del danno in misura superiore a quella risultante dalla riva1utazione, ma anche di quella di rivalutazione automatica secondo gli inilici ISTAT e di interessi legali se, a base di tale richiesta, veniva dedotto uno specifico comportamento dilatorio della pub 310 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DO.LO STATO blica amministrazione (vedi Cass. 12 ottobre 198.'2, n. 5225; Cass. 3 novembre 1982, n. 5750; Cass. 5 maggio 1983: in tutte queste sentenze era stata dichiarata la giur.isdizione del giudice ordinario, proprio perch� si era verificata quest'ultima ipotesi). Su tale giurisprudenza divenuta ormai costante (vedi da u!Hmo Cass. 26 febbraio 1987, n. 1949; Cass. 9 settembre 1986, n. 5507; Cass. 27 luglio 1985, n. 4539) si basa il ricorrente per sostenere la gitmisdizione del giudice ordinario riguardo alla presente domail!da in cui la richiesta di rivalutazione e interessi si fonda su un comportamento dilatorio e colposo della Regione. Ma detta giurisprudenza non pu� essere condivisa proprio nella parte in cui, pur rimanendo immutati i fatti costitutivi della domanda (il ritardo nell'adempimento dell'obbligazione di pagamento della retribuzione) e il petitum (rivailutaziione automatica del credito secondo gli indici ISTAT e gli interessi nella misura legaJle), �stabilisce una giurisdizione diversa, a seconda che il lavoratore deduca o no un comportamento dilatorio della pubblica amministrazione, deduzione questa non solo superflua ai fini dell'accoglimento della domanda (spettando la rivalutazione e gli interessi anche se il ritardo sia incolpevole) ma addirittura controproducente (in quanto la rivalutazione e gli interessi dovrebbero decorrere non gi� dal1a maturazione del credito ex art. 429 c.p.c., ma dal momento diverso, e necessariamente posteriore, della costituzione in mora del debitore). Un siffatto riparto della giurisdizione comporta, altres�, il pericolo che l'attribuzione della controversia ad uno o ad altro giudice avvenga con riferimento non al petitum sostanziale, ma alla prospettazione data dalla parte alla questione da risolvere. Sembra quindi al Collegio che detta giurisprudenza vada it"imeditata. La questione fondamentale � costituita dalla natura giuridica dell'istituto della rivalutazione automatica, e cio� se essa costituisca una misuva risarcitoria tipica del credito retributivo inadempiuto o � qualcosa di diverso. Fino a quando ci si lascia suggestionare dalla lettera de1la legge, che vede nella rivalutazione il risarcimento del � maggior danno eventualmente sub�to dal favoratore per la diminuzione di valore� del suo credito o peggio ancora quando si ravvisa in detta norma, come fa l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, �una riscrittura, se non addirittura una interpretazione autentica � degli artt. 1218 e 1224 e.e., si rimane necessariamente nel campo delle questioni relative al risarcimento del danno da inadempimento che sono le tipiche questioni attinenti ai diritti patrimoniali conseguenziali, di cui parla l'art. 7 III comma legge 6 dicembre 1971, n. 1034. E anche quando si aggiunge che detta rivalutazione � opeva la quantificazione di vaiori ontologicamente e occasionalmente coincidenti con .i momenti originari di maturazione del PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI JIURISDIZIONE diritto alla retribuzione� (vedi Ad. plen. Cons. St. 30 ottobre 1981, n. 7) e serve a conservare � il Valore in senso economico della prestazione dovuta al lavoratore� consentendo di preservare (o, comunque, ripristinare) quel potere di acquisto di beni reali che si connette alla retribuzione (vedi Corte Cost. 14 gennaio 1977, n. 13) in fondo ci si limita a descrivere il funzionamento e la giustificazione di un siffatto sistema e non a darne una defi.Illizione giuridica diversa. N� appaiono sotto questo profilo risolutive, anche se pi� attente all'evoluzione che in materia si stava verificando nella giurisprudenza della Sezione lavoro sull'art. 429 c.p.c., le motivazioni di queste Sezioni Unite, laddove giustificavano l'attribuzione della giurisdizione su11a rivalutazione automatica al giudice amministrativo per il fatto che la rivalutazione derivi �da comportamento dell'ente datore di lavoro contrastante unicamente con la disciplina del rapporto e .incidente immediatamente e direttamente sui dirritti del dipendente� (vedi Cass. 3 novembre 1982, n. 5750; �Cass. 12 ottobre 1982, n. 5225; Cass. 5 maggio 1983, n. 3075) oppure �in ragione dell'accessoriet� (della rivalutazione) che attiene a diritti e obblighi strettamente inerenti al rapporto devoluto alla giurisdizione del giudice amministrativo, venendo in considerazione il purn e semplice ritardo nell'emanazione del titolo di spesa� rilevando che l'accessoriet� � cosa diversa dalla conseguenzialit� (vedi Cass. 11 febbraio 1987, numero 1468) -: tutte queste considerazioni, infatti, servono a sottolineare il carattere specifico deiH'istituto in relazione al rapporto di lavoro e la semplificazione del procedimento di accertamento e di liquidazione della� svalutazione. Ma fino a quando si rimane su questo piano, � estremamente empi� rico e in definitiva insignificante distinguere fra le varie motivazioni addotte dall'impiegato a fondamento della sua richiesta di rivalutazione, perch� la giurisdizione in ordine a una domanda di risarcimento del danno di inadempimento non pu� mutare a seconda della sua tipicit� o della indagine pi� o meno complessa che richiede. Il fatto che la legge abbia parlato di rivalutazione come un mezzo per compensare il lavoratore della perdita di valore del suo credito non prova sul piano dell'inquadramento automatico, sia perch� la norma ha semplicemente carattere descrittivo della funzione della rivalutazione, sia perch� non tocca al legislatore ma all'interprete inquadrare i singoli istituti nella sistematica giu11idica. , D'altronde non vi � dubbio che la diminuzione di valore della moneta intervenuta dopo la scadenza dell'obbligazione rappresenti un danno per il creditore di un'obbligazione pecuniaria, ma il problema � se la rivailutazione di detto credito, riconosciuta dalla legge, � attribuita a titolo di risarcimento del danno o rientra nel carattere stesso di una particolare obbligazione pecuniaria. 312 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA LELLO STATO Collocare la rivalutazione automatica del credito di lavoro nel pi� ampio quadro del risarcimento del danno da inadempimento, nonostante che detta rivalutazione spetti di ufficio, da1 momento dehla maturazione del credito, indipendentemente da qualsiasi colpa del debitore e secondo parametri prefissati dalla legge e uguali per tutti, in deroga quindi a tutti g1i elementi che il codice richiede per la sussistenza cli detto risarcimento (costituzione in mora, domanda espressa di parte, sussistenza della colpa ex parte debitoris, prova de'l danno e Hquidazioni cli esso in relazione alla personalit� e all'attivit� del creditore) vuol dire privare di qualsiasi oaratteriz2lazione l'istituto del rrsarcimento del danno di inadempimento. E ci� sta sicuramente a significare che tale inquadramento � errato e che 1a rivalutazione per tla rilevanza' delle conseguenze che comporta � elemento che incide sulla natura stessa del credito. D'altronde l'adeguamento della retribuzione al potere di aoquisto di beni reali non � solo un effetto ,sanzionatorio deH'iinadempimento del debitore (come aVVliene per tutte le altre obbligazioni pecuniarie soggette al principio nominaiistico, per le quali il rischio della svalutazione monetaria incombe sul creditore fino al momento della maturazione del credito e passa a carico del debitore, come causa di danno in caso cli iinadempimento) perch� costituisce una caratteristica costante del credito retributivo. Esso infatti � sempre un credito indicizzato, anche quando viene soddisfatto al momento della sua scadenza. Le parti sindacali, quando stipulano i contratti collettivi pubb1ici o privati (ma lo stesso avviene nei contratti individuali) si limitano a stabilire la parte fissa e costante della retribuzione per tuUa la durata del contratto medesimo, e ci� perrch� la retribuzione cos� determinata viene continuamente adeguata al costo della yita con un'indennit� integrativa cal� colata in base all'indice dei prezzi di alcuni beni rilevati periodicamente dall'ISTAT proprio a questi effetti. E che la rivalutazione monetaria abbia la stessa funzione di ulteriore integrazione della retribwnone dovuta al momento deMa sua matuTazione, per adeguarua all'Ulteriore aumento del costo della vita esistente al momento del suo effettivo percepimento, � dimostrato dall'utilizzo dello stesso meccanismo della scala mobile e dal fatto che gli interes,si, pure previsti dahl'art. 429 c.p.c., vadano calcolati non sulla retribuzione originaria ma su quella rivalutata: il che, se conferma da una parte 1a natura corrispettiva (e non moratoria) di detti interessi, costituisce dall'altra Ia riprova che la rivalutazione integra a posteriori iJ credito �originario fin dal momento della sua maturazione. Del resto in questa direzione si � evoluta la giurisdizione di questa Corte nell'esame dei vari problemi posti dalla app'licazione dell'isti tuto in esame. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE Partita da una concezione che, pvivilegiando }a lettera della norma, sottolineava la natura risarcitoria della rivalutazione temperata, rispetto all'art. 1224 e.e., da alcuni correttivi dettati a tutela del contraente pi� debole, detta giurisprudenza ha successivamente separato la rivalutazione dal risarcimento del danno, previsto per le altre obbligazioni pecuniarie inadempiute, rilevando che l'art. 429 c.p.c. � attraendo i momenti di maturazione del credito, sua valutazione e liquidazione in unica fattispecie complessa, persegue l'intento di � conservare alla retribuzione, sottratta alla brutale legge del prezzo di mercato, la sua funzione in parte alimentare e in parte sociale, acch� non ivenga meno; dopo la maturazione del credito, quel processo di parziale adeguamento, assicurato, prima di quel momento, dal meccanismo della scala mobile (per l'idennit� di contingenza) e dalla negoziazione collettiva sollecitata dalle spinte sindacali per la parte residua� (vedi Cass. 8 febbraio 1975, n. 495). Ancora pi� significativamente questa Corte, nel risolvere positivamente la questione dell'estensione del privilegio (previsto daLI'art. 2751 bis C.C. per fo retribuzioni e l'indennit� di fine �lavoro) anche alla somma rappresentata dalla rivalutazione monetarria di detti crediti, ha osservato che � se nella logica ispiratrice del meccanismo apprestato dal~ l'art. 429 comma 3� c.p.c. a tutela del lavoratore, i~ credito per retribuzione � assunto nella sua corrispondenza al quantitativo dei beni reali fruibili con la quantit� di numerario in cui� essa pecuniariamente si esprime al momento del suo maturarsi, ne segue che il quid pluris monetario in cui essa si traduce al momento della liquidazione giudiziale non pu�, per sua natura, essere un diversum dalla retribuzione, ma � anche esso �retribuzione� (Cass. 18 gennaio 1979 n. 349). In questo solco si inserisce la sentenza 2 apriie 1982 n. 2034 con la quale la Cassazione, rifacendosi a questa configurazione deHa rivalutazione monetaria, ha deciso che essa non costituisce un accessorio del credito, ma � uno strumento di quantificazione dello stesso, per cui l'adempimento parziale dell'obbligazione retributiva, avvenuto in corso di causa, non d� luogo ad alcuna possibHit� di imputazione del pagamento secondo le previsiioni degli artt. 1193 e 1194 C.C., ma costituisce una causa di estinzione parziale del credito, la cui rivalutazione deve essere necessariamente calcolata, per il tempo successivo e fino a'.l:la data della decisione, sulla differenza ancora dovuta al lavoratore. Inoltre queste Sezioni Unite, componendo il contrasto determinatosi nella giurisprudenza deHa sezione lavoro sulla possibilit� di una separata azionabilit� della pretesa del lavoratore di ottenere la rivalutazione del proprio credito di lavoro, gi� soddisfatto tardivamente nel suo importo originario, ha risolto positivamente la questione, rilevando che l'art. 429 3� comma c.p.c. integra una disposizione di carattere sostanziale, rivolta ad affiancare una componente d'indicizzazione al debito nominalistico del 314 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D:JLLO STATO datore di lavoro, per realizzare una retribuzione con connotati di realit�, sia pure nei limiti del meccanismo dell'indennit� di contingenza: da ci� deriva che il credito del lavoratore pu� ritenersi soddisfatto solo ove siano state oggetto di adempimento entrambe le indicate coIIl!ponenti del suo trattamento, con l'ulteriore conseguenza che, quando il credito stesso sia stato tardivamente soddiJSfatto solo nel suo importo originario, a prescindere dalla colpevolezza o meno. del ritardo, non pu� non riconoscersi al lavoratore medesimo, al pari di quals1asi creditore che abbia ricevuto un pagamento parziale, il diritto di agire separatamente per ottenere il residuo importo (Cass. 16 febbraio 1984 n. 1148 e da ultimo Cass. 28 gen. naio 1987 n. 841; Cass. 28 agosto 1986 n. 5294; Cass. 25 luglio 1986 n. 4789). Infine ancora pi� recentemente la s�ezione lavoro di questa Corte, affrontando il problema del trattamento fisca1e della rivalutazione mo netaria, ha escluso che essa rappresenti una forma di risarcimento del danno (come tale intassabile) e ha ritenuto invece che essa rappresenti una componente essenziale del credito di lavoro e pertanto rientra, al pari dclla retribuzione nominale, nella ,nozione di reddito da favoro dipen dente prevista dall'art. 46 1� comma D.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (vedi Cass. 15 maggio 1987 n. 4496; Cass. 3 aprile 1987 n. 3253; Cass. 21 giugno 1986 n. 4129; Cass. 2 febbraio 1985 n. 717). Se dunque il credito di lavoro deve defini:rsi un credito indicizzato, in relazione al quale il pagamento della somma necessaria ad integrare il potere di acquisto originario della retribuzione � da intendersi come adempimento di un'obbligazione in s� unitaria e non come obbligo sosti tutivo di risarcimento del danno, la soluzione del problema del riparto della giurisdizione diventa molto pi� semplice e lineare. La pretesa di ottenere (anche in via autonoma) la rivalutazione del credito di lavoro costituisce in questa prospettiva una domanda di esatto adempimento dell'qbbligazione retributiva ed � quindi proponibile davanti al giudice che ha la giurisdizione sul rapporto di lavoro (il giu dice amministrativo nel caso di rapporto di pubblico impiego). Ed � irrilevante che detta richiesta venga proposta sotto il profilo di un risarcimento del danno per un asserito comportamento illegittimo del datore di lavoro, perch�, per stabilire la giurisdizione, � al petitum sostanziale che bisogna far riferimento e non gi� alla prospettazione data dalla parte alle questioni da risolvere (vedi i casi in cui gli stipendi arre trati vengano richiesti a titolo di r.isarcimento del danno: Cass. 8 aprile 1983 n. 2491; Oass. 16 febbraio 1976 n. 490; Cass. 7 gennaio 1975 n. 15). Lo stesso dicasi per gli interessi, che, in quanto dovuti dalla matura zione del credito sulla somma rivalutata, prescindendo dalla costituzione in mora e dalla colpa del debitore, sono da definirsi corrispettivi ~ (art. 1282 C.C.) e accessori del credito principale, e quindi appartenenti i I I I II ��1�1��1�-111t11aw111r1&1r�111�111t1161a1 I PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 3i5 alla giurisdizione del giudice amministrativo (nel caso di pubblico impiego). La giurisdizione in materia del giudice ordinario si restringe dunque alla sola ipotesi in cui il pubblico impiegato deduca di aver subito dall'inadempimento del suo datore di [avoro un danno che supera la somma rivalutata percepita; in tal caso per� il fondamento della domanda star� non nella natura dell'obbligazione retributiva ma nel comportamento illecito del debitore e l'accoglimento di essa dipender� oltre che dalla costituzione in mora anche daM'allegazione e dalla dimostrazione del danno in concreto subito dalil'attore. Nella specie, il pubblico impiegato, dopo una vertenza con '1a Regione Puglia durata parecchi anni, si era visto riconoscere dalla datrice di lavoro il diritto ad un pi� favorevole inquadramento e anzianit� e aveva percepito i relativi arretrati nell'importo originario ancor prima dell'inizio del presente giudizio. In questa causa l'attore aveva dedotto, sia in sede di richiesta di decreto ingiuntivo che neH'ulteriore giudizio di merito, il diritto ad ottenere sugli arretrati gi� percepiti la rivalutazione automatica secondo gli indici ISTAT e gli interessi nella misura legale dalla maturazione dei singoli crediti al saldo. Tale domanda che, al momento della richiesta di decreto ingiuntivo, era immotivata, veniva successivamente giustificata con un asserito comportamento dilatorio della Regione. Mai nel corso del giudizio � stato chiesto un 11isarcimento del danno, che eccedesse l'importo di detta rivalutazione. Indipendentemente dalla tempestivit� di tale giustificazione (del resto del tutto krHevante per quel che si � detto) che deve essere valutata dal giudice cui appartiene la giurisdizione, non vi � dubbio che la presente azione � diretta ad ottenere la differenza retributiva rnppresentata dalla rivalutazione, che avrebbe dovuto essere corrisposta all'impiegato unitamente al credito originario al momento del pagamento degli arretrati. E 'la cognizione su tale pretesa, comunque motivata, appartiene sicuramente alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, cosi come deciso nella sentenza impugnata. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 ottobre 1988, n. 5630 -Pres. Zucco ni Galli Fonseca -Rel. Morsillo -P.M. Grossi (conf.) Campi Luigi (avv. Sorrentino) c. Ministero Tesoro (avv. Stato Stipo). Pensioni � Domanda avente ad oggetto arretrati di pensione � Intervento nelle more della liquidazione dei ratei di pensione � Domanda limitata agli interessi e rivalutazione automatica per il ritardo � Giurisdizione '""""'""della Corte dei conti. 316 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dh'LLO STATO Pensioni � Domanda di interessi di mora e rivalutazione basati su comportamenti colposi dell'Amministrazione � Giurisdizione del giudice ordinarlo. Intervenuto nelle more del giudizio il pagamento degli assegni arretrati di pensione, permane la giurisdizione della Corte dei conti anche nel caso che la controversia resta limitata alla corresponsione della rivalutazione e degli interessi sui ratei di pensione a causa del mero ritardo dell'Amministrazione nel pagamento. Esula dalla giurisdizione esclusiva e spetta alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto investe questioni attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali, la pretesa rivolta alla corresponsione di un risarcimento superiore a quello consentito dalla rivalutazione automatic� e quella attinente agli interessi di mora, fondati sulla denuncia di comportamenti dilatori o comunque colposi dell'amministrazione esorbitanti dal puro e semplice ritardo nella emissione del titolo di spesa (1). Assume il ricorrente, con l'unico, complesso motivo di gravame che la controversia non riguarderebbe il diritto aHa pensione o il suo ammontare, gi� riconosciuti e determinati con decreto ministeriale, n� tantomeno un provvedimento amministrativo costitutivo di tali diritti, bens� le modalit� di esecuzione dell'obbligazione di corrispondere la pensione ed il pagamento dei relativi assegni, ed in particolare il riconoscimento degli interessi sulla somma gi� corrisposta ed il ristoro del pregiudizio conseguente alla svalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT. La controversia, pertanto, rientrerebbe a giudizio del ricorrente, nell'ambito della giurisdizione del Giudice ordinario. Il Ministero del Tesoro, con il proposto controricorso, assume che la domanda pone in discussione lo stesso ammontare della pensione e chiede, in conseguenza, che sia dichiarata la giurisdizione deHa Corte dei Conti. Osserva questa Corte che, essendo nelle more del giudizio venuta a cessare fa materia del contendere in ordine alla domanda oruginariamente proposta al pretore tendente ad ottenere gli arretrati di pensione per avvenuta emissione da parte della Direzione provinciale del tesoro di Genova degli ordinativi di pagamento n. 102154 e 102155 per la corresponsione degli assegni arretrati ed avendo il detto ufficio provveduto all'aggiornamento della rata mensile di pensione, del che il ricorrente ha dato atto, fa controversia resta limitata al pagamento della rivalutazione e degli interessi sui ratei di pensione riscossi in ritardo. Con riguardo, pertanto, a'lla cennat<a limitazione della domanda, il problema che si pone � se nelle more del giudizio l'intervenuto riconosci (1) La sentenza in Rassegna integra e completa la precedente delle stesse Sezioni Unite 3 dicembr~ 1987, n. 9019, retro, 1988, I, 79. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 317 mento della sorte capitale abbia influenza ai fini della soluzione della questione rispetto all'indirizzo di questa Corte, per cui le questioni attinenti a crediti nascenti dal rapporto di impiego rientrano nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La delimitazione della domanda, come prospettata, non incide sulla cennata giurisdizione esclusiva poich� il diritto al pagamento degli interessi e della rivalutazione, anche se dovuti, costituisce pur sempre un elemento accessorio dell'obbligazione principale (pensione). L'obbligazione, infatti, di pagare gli interessi corrispettivi e di risarcire il dann� da svaJutazione monetaria non � avulsa, nel suo momento genetico, dall'obbligazione principale che, nel caso di specie, � data dall'esistenza di un titolo giuridico. Tra l'una e l'altra obbligazione esiste un vincolo di dipendenza assoluta per cui non � concepibi!le giuridicamente l'obbligo di pagare gli interessi e di rivalu~e il credito se non esiste, oppure prima che esista, l'obbligo di pagare un determinato capitale pensionistico (Cass. S.U. 3 dicembre 1987 n. 9019). Ci� posto deve, per�, dirsi che, a seguito dell'indirizzo ormai costantemente seguito da questa Corte, e che va in questa sede riconfermato, la domanda del pubblico dipendente, anche se intesa al riconoscimento su crediti di lavoro, della rivalutazione monetaria, secondo i criteri di calcolo automatico fissati dall'art. 150 disp. att. c.p.c. od altri analoghi criteri, ovvero degli interessi corrispettivi nella misura legale, in correlazione del mero ritardo dell'amministrazione nel pagamento, rientra nell'ambito di giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto trova titolo immediato nel rapporto di pubblico impiego e nei doveri da esso scaturenti a carico del datore di lavoro (Cass. S.U. 24 febbraio 1974 n. 1949) mentre esulano dalla giurisdizione esclusiva, e spettano alla giurisdizione del Giudice ordinario, perch� �nvestono questioni .attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali, la diversa pretesa rivolta alla corresponsione di un risarcimento superiore a quello consentito dalla predetta rivalutazione e quella attinente agli interessi di mora, fondati sulla denuncia di comportamenti dilatori o comunque colposi dell'amministrazione medesima esorbitanti dal puro e semplice ritardo nell'emissione del titolo di spesa (Cass. S.U. 2 giugno 1984 n. 3352; Cass. S.U. 25 gennaio 1985 n. 357; Cass. S.U. 18 dicembre 1985 n. 6455). Nella specie la domanda del ricorrente, come gi� sopra precisato, � intesa al riconoscimento della rivalutazione monetaria su crediti di pen� sione ed alla corresponsione degli interessi a causa del mero ritardo dell'amministrazione nei pagamenti e non profila domande attinenti a diritti patrimoniali conseguenzia1i, nei limiti pi� sopra indicati. Ne consegue che la cognizione sui crediti richiesti trovando pur sempre questi titolo immediato nel rapporto pensionistico, rientra nel� l'ambito di giurisdizione della Corte dei conti. SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 novembre 1988, n. 5995 -Pres. e Rel. Caturani -P.M. Dettori (concl. conf.) -Motolese (avv.ti Lipari e Mastrangelo) c. ERSAP (avv. Stato G. Russo). Avvocatura dello Stato -Patrocinio di Enti pubblici -ERSAP -Necessit� di apposita delibera autorizzativa -Esclusione. Obbligazioni (in generale) � Obbligazioni pecuniarie � Somme liquidate in sede di lodo arbitrale -Maggior danno per ritardata corresponsione Autonoma azione risarcitoria -Ammissibilit�. Obbligazioni (in generale) -Pagamento -Quietanza -Non implica rinuncia ad ulteriori pretese creditorie in mancanza di esplicita dichiarazione in tal senso. A seguito dell'autorizzazione conferita con d.P.R. 6 ottobre 1978 n. 873, il patrocinio dell'Avvocatura d.ello Stato in favore dell'ERSAP resta soggetto alle innovazioni introdotte dall'art. 11 della legge 3 aprile 1979 n. 103 (modificativo dell'art. 43 del R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611) in tema di estensione agli enti regionali delle regole dettate per la rappresentanza e difesa delle amministrazioni sottoposte a tutela e vigilanza dello Stato: pertanto, salvi i casi di conflitto con lo Stato o le Regioni, compete ex lege, senza che si richieda un'apposita deliberazione dell'ente medesimo (necessaria solo per derogare alla norma, attribuendo lo ius postulandi ad un avvocato del libero foro) (1). � ammissibile la proposizione di un autonomo giudizio, dopo la pronuncia di un lodo arbitrale, per ottenere il risarcimento dei maggiori danni, ai sensi dell'art. 1224 secondo comma e.e., dipendenti dal ritardo con cui siano state corrisposte le somme liquidate nella pronuncia degli arbitri. La quietanza costituisce atto unilaterale recettizio che contiene esclusivamente il riconoscimento di aver riscosso quanto � stato pagato dal (1) In senso conforme, cfr. fra le pi� recenti Cass. SS.UU. 21 marzo 1987 n. 2807, in Giust. Civ. Mass. 1987, fase. 3; Cass. SS.UU. 24 aprile 1987 n. 3990, idem, fase. 4; Cass. 19 maggio 1986 n. 3320, in Nuovo Dir. Agrario 1986, 505; Si veda anche l'ordinanza della Corte Costituzionale 10 dicembre 1987 n. 495, esaminata in motivazione, in Giur. Cost. 1987, fase. 12, che ha dichiarato la manifesta inammissibilit� della questione di legittimit� costituzionale del d.P.R. 6 ottobre 1978 n. 873. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 319 debitore. Essa, quindi, non esclude, in mancanza di una volont� transattiva o di rinuncia dalla stessa risultante, che il creditore possa comunque pretendere l'integrale pagamento del credito vantato (2). 2. -Col primo motivo del ricorso principale si assume che l'atto di appello proposto dalla difesa dell'Amministrazione in nome e per conto dell'E.R.S.A.P. avverso la sentenza 15 febbraio 1981 del tribunale di Taranto � inesistente per difetto di jus postulandi dell'Avvocatura dello Stato, in mancanza della deliberazione dell'ente prevista da:ll'art. 11 legge 3 aprile 1979 n. 103. La censura non � fondata. Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, a seguito dell'autorizzazione conferita con d.P.R. 6 ottobre 1978 n. 873 (pubblicato 1'11 gennaio 1979), il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato in favore dell'ER.S.A.P. resta soggetto alle innovazioni introdotte dall'art. 11 della legge 3 aprile 1979 n. 103 (modificativo dell'art. 43 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611), in tema di estensione agli enti regionali delle regole dettate per la rappresentanza e difesa delle amministrazioni sottoposte a tutela o vigi1anza dello Stato, e, pertanto, salvo i casi di conflitto con lo Stato e le regioni, compete ex lege, senza che si richieda un'apposita deliberazione dell'ente medesimo (necessaria solo per derogare alla norma, attribuendo lo jus postulandi ad un avvocato del libero foro) (sentenze delle Sezioni Unite, nn. 2807 e 3990/87; 3320/86). La difesa del ricorrente principale ha proposto con la memoria una riconsiderazione del problema in seguito all'ordinanza 10 dicembre 1987 n. 495 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilit� della questione di legittimit� costituzionale del d.P.R. 6 ottobre 1978 n. 873 (riflettente il conferimento all'Avvocatura generale dello Stato della rappresentanza e della difesa in giudizio dell'E.R.S.A.P.), sollevata in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione per essere stato emanato in difetto di potere legislativo delegato da parte del governo. La tesi difensiva si articola in una duplice prospettazione: a) in seguito alla pronunzia costituzionale non � pi� utilizzabile l'indirizzo giurisprudenziale di cui sopra, posto che H decreto n. 873/78 deve ritenersi tamquam non esset nel sistema delle fonti normative; b) n� potrebbe assumersi la natura meramente provvedimentale del suddetto decreto perch� nella specie mancherebbe il contenuto proprio dell'atto amministrativo sia nei suoi presupposti che nella sua essenza deliberativa con (2) Giurisprudenza costante: cfr., tra le pi� recenti, Cass. 22 settembre 1986 n. 5702, in Mass. Foro lt. 1986. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dd.LO STATO 320 la conseguenza della sua disapplicazione da parte del giudice ordinario ex art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E. Entrambe le argome:q.tazioni non colgono nel segno e non possono pertanto essere condivise dal Coliegio. g sufficiente rilevare che, come risulta dai precedenti giurisprudenziali cui si � fatto riferimento in questa sede, Je Sezioni Unite non soltanto hanno motivato il principio accolto sul presupposto della natura regolamentare (e non legislativa) del d.P.R. 873/78, -onde l'irrilevanza in questo giudizio della pronunzia costituzionale 495/87 la quale si � Hmitata a rilevare appunto la natura non legislativa dell'atto impugnato in quella sede -ma hanno riscontrato la legittimit� del provvedimento amministrativo alla luce della disciplina giuridica vigente in materia. Si � infatti osservato che il riferimento che ii decreto n. 873 ha operato all'art. 43 del T.U. del 1933 deve intendersi compiuto nella formulazione che fa norma presentava in seguito all'entrata in vigore della legge 103/79 fa cui efficacia anticipata al 1� gennaio 1979 era gi� operante quando il decreto del 1978 fu pubb1icato (11 gennaio 1979). E si � concluso che sussiste, pertanto, nel caso in esame l'atto autorizzato (che non deve provenire ovviamente dall'ente) previsto dall'art. 43 anche per gli enti regionali, onde lo jus postulandi dell'Avvocatura deUo Stato in via organica ed esclusiva trae fondamento giuridico dell'art. 11 della legge n. 103, la quale in presenza del suddetto atto autorizzativo (contenuto nel decreto del 1978) attribuisce ipso iure anche agli enti regionali il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato e richiede invece per singoli casi la previa delibera degli organi competenti ove l'ente voglia far ricorso ad avvocati del libero foro. In base all'indirizzo gi� accolto dalle Sezioni Unite di questa Corte, il primo motivo del ricorso deve essere pertanto respinto. 3. -Col ricorso incidentale la difesa dell'Amministrazione sostiene che erroneamente l'impugnata sentenza ha respinto '.l'eccezione di inammissibilit� della domanda principale per la preclusione derivante dal giudicato risultante dal lodo arbitrale. La censura non � fondata. La Corte di appello ha dato atto in narrativa che la somma liquidata al ricorrente principale, nella spiegata qualit�, dal lodo arbitrale, pronunziato il 3 luglio 1975, rifletteva l'indennit� per i miglioramenti apportati al fondo dall'originario assegnatario, in lire 23.264.716 con gli interessi dal 21 settembre 1973 al soddisfo; che fa somma capitale � stata corrisposta dall'ERSAP il 20 novembre 1975, mentre gli mteressi sono stati versati successivamente, ma comunque in epoca anteriore all'instaurazione del presente giudizio (avvenuta con citazione del 7 gennaio 1980). Come l'impugnata sentenza ha rilevato, con la suddetta citazione il ricorrente principale, dopo la pronuncia del lodo arbitrale, ha chiesto in PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB autonomo giudizio (oltre agli interessi gi� liquidati nel lodo e perci� giustamente non riconosciuti) i maggiori danni dipendenti dal ritardo con cui le somme liquidate nella pronuncia degli arbitri gli sono state corrisposte, ai sensi dell'art. 1224 comma 2 e.e. La domanda giudiziale, contrariamente all'assunto dell'ERSAP, � quindi fondata su presupposti di fatto distinti. rispetto a quelli presi in esame nel lodo, non trattandosi di danni che il creditore avrebbe potuto chiedere con il giudizio arbitrale, ma di danni diversi e fa relativa pre� tesa come pu� essere proposta in appello ex art. 345 c.p.c. (che consente di chiedere in sede di gravame il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza di primo grado) cosi pu� farsi valere dal creditore in autonomo giudizio (cfr. per la novit� della domanda, la sentenza n. 771/83 e le non recenti: 188/58, 774/53). A sostegno della tesi accolta pu�, infine, osservarsi che il lodo, dichia� rato esecutivo, esplica inter. partes la stessa efficacia della sentenza passata in giudicato (in mancanza di impugnazione per nullit� (art. 825 comma 3� c.p.c.), onde il titolo del credito azionato nel presente giudizio � la pronunzia arbitrale, ormai irrevocabile. Il ricorso incidentale deve essere, pertanto, respinto. 4. -Passando al merito del ricorso principale nell'ordine logico � pregiudiziale l'esame del sesto e del settimo motivo con i quali, denunziando violazione degli artt. 1199 e 2729 e.e. nonch� omesso esame di punto decisivo delila controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), il ricorrente sostiene che la Corte d'appello ha errato allorch� ha riconosciuto alla quietanza l'efficacia di riconoscimento di non avere altre pretese da far valere nei confronti del debitore. La censura � fondata. Dalla circostanza che il ricorrente principale ha riscosso il capitale e gli interessi risultanti dal lodo axbitrale del 7 luglio 1975, rilasciando apposita quietanza, la Corte d'appello ha desunto che in tale comporta� mento dovessero ravvisarsi gli estremi della rinunzia a qualsiasi altra pretesa nei confronti dell'ente debitore, ma � evidente che su questo punto l'impugnata sentenza � incorsa nella violazione delle norme denunziate in questa sede. La quietanz�a costituisce, invero, atto �unilaterale recettizio che contiene esclusivamente il riconoscimento di avere riscosso quanto � stato pagato dal debitore (art. 1199 e.e.). Essa quindi non esclude, in mancanza di una volont� transattiva o rinunzia dalla stessa risultante, che il credi� tore possa comunque pretendere l'integrale pagamento: ed a tal fine si richiede una (ulteriore) dichiarazione del creditore di non avere pi� alcun diritto nei confronti del debitore. H che � applicabile a maggior ragione nel presente giudizio, ove la pretesa di risarcimento dei danni da ritardo nell'adempimento della 322 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO obbligazione pecuniaria, cui si riferisce la quietanza, trae titolo da un fatto giuridico del tutto autonomo e indipendente da'l fatto costitutivo dell'obbligo riflettente :il capitale e gli interessi legali (cui si era riferito il lodo) e precisamente dal dedotto ritardo con cui quell'obbligo era stato adempiuto, fonte -secondo la tesi del ricorrente -dell'autonoma obbligazione di risarcimento dei danni ex art. 1224 comma secondo e.e. CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 24 novembre 1988, n. 6314 -Pres. Bologna -Rel. Borruso -P. M. Dettori (concl. conf.) -I.C.A.G. s.r.l. (avv. Giacobbe) c. Opera pia collegio Nazareno (avv. Fazzalari) e Ministero delle Finanze (avv. Zotta). Obbligazioni (in generale) -Contratti della P.A. -Validit� -Presupposti Necessaria corrispondenza fra il contenuto del contratto stipulato dall'organo investito dalla rappresentanza e la volont� manifestata dall'organo cui spetta di deliberare � Criteri per tale corrispondenza. Enti pubblici -Enti di assistenza e beneficenza -Delibere concernenti trasformazioni o diminuzione <!el patrimonio � Mancata approvazione da parte del CO.RE.CO. nei casi previsti dalla legge � Inefficacia Irrilevanza della buona fede del contraente privato -Inapplicabilit� dell'art. 1444 2� comma e.e. Atto amministrativo -Controlli -Approvazione dell'organo tutorio -Approvazione implicita -Possibilit� -Presupposti. Giurisdizione civile � Tributi erariali indiretti � INVIM -Efficacia dell'atto soggetto al tributo -Accentamento -Giurisdizione ordinaria. Il contratto stipulato dall'organo investito della rappresentanza di un ente pubblico deve ritenersi valido soltanto nei limiti della sua corrispondenza alla volont� manifestata dall'organo cui spetta di deliberare. Tale corrispondenza dovr� per� essere negata (e conseguentemente accolta la domanda dell'ente pubblico rivolta all'annullabilit� del contratto) soltanto quando il contenuto del contratto stipulato risulti, globalmente considerato per lo scopo pratico che persegue e per le modalit� con cui lo persegue, incompatibile o anche semplicemente diverso da quello voluto dall'organo deliberante: non invece quando tale contenuto, pur non essendo stato specificato nella deliberazione presa da tale organo, risulti uno dei possibili sviluppi logici necessari sul piano operativo di tale delibera e, quindi, coerente allo spirito che storicamente l'ha informata, se non alla lettera con cui � stata espressa (1). (1) In senso conforme, v. Cass. 22 maggio 1973 n. 1493, citata in motivazione, in Giust. Civ., 1973, I, 1499, nonch� in Foro It. 1974, I, 193; sull'annullabilit� dei contratti della P.A. cfr. � amplius � Cass. 20 novembre 1985, n. 5712, in ;:iuesta Rassegna, 1986, I, 208. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 323 Tutte le delibere relative a trasformazioni o diminuzioni del patrimonio di un'Opera Pia per un valore superiore ad un certo limite, in difetto dell'approvazione dell'organo tutorio (attualmente il Comitato Regionale di Controllo), devono intendersi inefficaci (2). Non pu� invocare il principio della buona fede o dell'affidamento o quello sancito nell'art. 1444, 2� comma codice civile, il contraente privato che voglia, con ci�, far dichiarare efficace nei suoi confronti una delibera di un'Opera Pia non sottoposta alla prescritta approvazione dell'organo tutorio. All'approvazione diretta di un atto amministrativo, espressa in un formale documento inteso a tale finalit�, pu� equivalere, nella sostanza, un'approvazione implicita, quando questa risulti per processo logico necessario, sebbene non esplicitamente, da un documento scritto formale con il quale l'approvazione sia in posizione indissociabile di presupposto o di conseguenza (3). Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario allorch� si tratti di accertare, in contraddittorio con l'Amministrazione delle Finanze, ai fini della debenza di imposte relative alla registrazione di un atto, se questo sia o meno da ritenersi efficace. (omissis) Col primo motivo di ricorso principale l'I.C.A.G. denunzia la violazione degli artt. 1175, 1362 e segg. e.e. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. lamentando che la Corte d'appello di Roma in primo luogo non abbia valutato adeguatamente la poSI�zione soggettiva dell'ICAG che avrebbe dovuto considerare di diritto soggettivo suscettibile di ampia tutela anche nei confronti della P.A., in secondo luogo abbia fatto discendere automaticamente dall'annullamento dell'atto di aggiudicazione (per difetto di uno dei suoi presupposti) anche l'annullamento del contratto stipulato 9 anni dopo dal notaio Badur.ina, ,senza affatto chiedersi se una tale soluzione non fosse in contrasto con i principi di affidamento e di buona fede che caratterizzano ogni rapporto contrattuale, ancorch� posto in essere dall~ P.A. Col secondo motivo I'ICAG denunzia la violazione degli a:rtt. 1362 e segg. e.e., della legge 17 luglio 1890, n. 6972 (artt. 26 e segg. e 35 e segg. del R.D. 23 maggio 1924, n. 827 art. 65; del R.D. 1923, n. 2841 art. 10 e segg. del R.D. 3 marzo 1934, n. 383 (artt. 296, 98 e segg.) in relazione agli artt. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. sostenendo che i giudici di merito, nel ritenere erroneamente la mancata corrispondenza tra fa delibera del 12 luglio 1968 e l'aggiudicazione, avrebbero innanzitutto omesso di ricostruire la volont� globale delle parti quale emergeva da tutto il complesso procedimento a (2) In senso conforme Cass. 13 marzo 1972 n. 726, in Mass. Foro It., 1972. (3) � ius receptum �: cfr. fra tutte, Cass., sez. u:n., 30 marzo 1968 n. 975, in Foro It. 1968, I, 25%, e in Giust. Civ. 1968, I, 1199. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dlll.LO STATO pairtire dalla delibera del 6 dicembre 1968, in secondo luogo ,avrebbero � deciso la causa in contraddizione <:ol principio esposto in motivazione. secondo cui l'organo che ha la rappresentanza di un Ente, quando agisce nell'esercizio delle sue funzioni, esprime all'esterno la volon~� di quest'ultimo; in terzo luogo avrebbero omesso di considerare che l'Opera Pia aveva costantemente manifestato la volont� di concludere il contratto secondo le modalit� definite nel rogito Badurina anche mediante atti di esecuzione, che costituivano univoca manifestazione di volont� diretta a ritenere valido l'atto e vigente il conseguente rapporto. Pi� in particolare la ricorrente stigmatizza che i giudici di merito non abbiano percepito che l'intera operazione era finalizzata al conseguimento del risultato di dare attuazione al programma di costruzione della nuova sede: in tale contesto, infatti, si legittimerebbero perfettamente le diverse modalit� esecutive contenute nel bando di gara rispetto alla delibera della Commissione Amministratrice in quanto esse -se doverosamente rapportate al fine perseguito -si rivelerebbero perfettamente conformi alla causa del contratto, facendo, quindi, escludere alterazioni nel processo formativo della volont� dell'Ente. Ai giudici di merito in sostanza sarebbe sfuggito il nucleo essenziale della vicenda e che, cio�, lo scopo per il quale la vendita era stata deliberata -costruzione della nuova sede senza interruzione dell'attivit� scolastica -poteva essere realizzato solo� attraverso le modalit� contenute nel bando di vendita ed attuate mediante l'atto di aggiudicazione e il successivo contratto. Se tale esame teleologico avessero compiuto innanzitutto mediante doverosa considerazione della prima delibera del 1966, sarebbero giunti certamente alla conclusione che gli atti posti in essere dall'organo esecutivo non travalicavano �affatto i poteri ad esso conferiti. Comunque -ammesso e non concesso che tale travalicamento oggettivamente ci fosse stato -i giudici di merito si sarebbero dovuti chiedere se esso fosse riconoscibile dalla controparte di buona fede e, quindi, opponibile alla medesima, anche in cons1derazione dell'approvazione da parte del CO.RE.CO. In altro grave errore i giudici di merito sarebbero incorsi nel ritenere irrilevante la delibera della Commissione Amministratrice dell'Ente del 7 agosto 1968 (con cui approvava l'ag~udicazione aM'ICAG alle condizioni stabilii.te nel bando di gara) sol perch� non era stata, a sua volta, approvata dal Comitato Provinciale di Assistenza e Beneficenza. Essa, infatti, aveva indubbiamente il valore di una convalida dell'operato del Presidente dell'Opera Pia e non gi� di una nuova delibera di vendere. Al riguardo, peraltro, ai giudici di merito sarebbe sfuggito che, ai sensi della legge n. 6972 del 1890, la procedura ivi prevista si applica alle �opere pie� per quanto concerne solo la scelta del contraente, non anche le modalit� e i termini del contratto. PARm I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Col terzo motivo di ricorso, infine, si denuncia la violazione della legge 1444 e.e., in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., lamentando che la Corte di merito abbia trascurato di considerare quanto pure era stato dedotto dall'ICAG segnatamente nella fase d'appello e cio� che, -ove pure il bando di gara, ~�atto di aggiudicazione e il rogito Badurina si fossero dovuti considerare annuHabili per contrasto con la delibera del 1968 della Commissione Amministrntrice, -in ogni caso questa invalidit� sarebbe stata convalidata non soltanto attraverso la delibera del 7 agosto 1968, ma anche e soprattutto attraverso i comportamenti successivi (tra i quali i'accettazione del 40 % del prezzo) tutti diretti a dare esecuzione alla manifestazione di volont� che si pretende invalida. Tutti i predetti motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente in quanto, sia pure sotto diverisi profili giuridici, con essi si stigmatizza pur sempre l'errore logico giuridico commesso dai giudici di merito nel valutare una certa, identica situazione di fatto. Il ricorso dell'ICAG, in relazione alle ragioni che saranno esposte, merita accoglimento. Invero, -a prescindere dalla premessa svolta dalla ricorrente per dimostrare che nella specie versavasi in una situazione di diritto soggettivo, premessa sulla quale non � necessario pronunciarsi esplicitamente non essendo stata mai messa in dubbio, nelle sentenze sia di 1� che di 2� grado emesse nel corso del presente giudizio neHe quali l'Opera Pia -salvo che per la questione fiscale -si � limitata a chiedere in sostanza sempre e soltanto la conferma, non pu� non rilevarsi il vizio di motivazione contenuto nella impugnata sentenza per giustificare il convincimento che il bando d'asta e la successiva aggiudicazione all'ICAG il 7 agosto 1968 avessero costituito un totale stravolgimento della volont� espressa dalla Commissione Amministratrice dell'Opera Pia nella delibera del 12 luglio 1968 (debitamente approvata dall'organo di controHo). E infatti, se si considera che 'la stessa Opera Pia, nel primo grado di questo giudizio, eccep� tra l'altro, sia pure in �subordine�, d'essere caduta in errore nel ritenersi obbligata per una vendita che doveva ritenersi sottopost� alla condizione sospensiva della disponibilit� di altra sede, presupposto espresso unico del negozio, non verificatasi e non pi� verificabile, e che l'ICAG, nel proporre .}'appello, aveva espressamente richiamato l'attenzione del giudice sul dovere di considerare che: a) elemento essenziale . della volont� della predetta Commissione Amministratrice era il proposito fermo e preciso, che l'attivit� scolastica der � Nazareno � non subisse alcuna interruzione nonostante i.I c;ambiamento di sede: interruzione � ictu oculi � esiziale agli interessi della scolaresca e della stessa fama del �Nazareno�; b) sul piano logico la realizzazione di tale proposito, in mancanza di altre soluzioni non mai neppure profilate, comportava nooessariamente 326 \ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D&.LO STATO che la vecchia sede venisse consegnata all'acquirente solo dopo l'ultimazione della nuova, tantoch� tale differimento nel tempo della consegna dell'immobile rispetto al momento della sua vendita doveva intendersi chiaramente sottinteso nella volont� di destinare immediatamente il prezzo all'acquisto del terreno su cui erigere la sua nuova sede e alla realizzazione della medesima; a fronte di tali deduzioru non poteva la Corte di appe1lo ritenere sussistente un radicale ed evidente contrasto (tale da portare all'annullamento dell'aggiudicazione all'ICAG avvenuta il 7 agosto 1968) tra le clausole di detto atto e la delibera presa da1la Commissione Amministratrice il 12 luglio 1968, limitandosi a considerare che, mentre in queJ.la delibera si era stabilito che �occorreva procedere senza ulteriori indugi alla alienazione dell'immobile�, con l'atto di aggiudicazione, invece, si era s� conclusa una vendita ma con pagamento dilazionato del prezzo e che tale dilazione faceva venire meno qualsiasi corrispondenza tra la delibera e l'aggiudicazione anohe perch�: a) il richiamo contenuto in detta delibera a quella del 6 dicembre 1966 risultava �fanitato soltanto alla destinazione del ricavato dell'asta �; b) la Commissione Amministratrice aveva autorizzato una vendita ad effetti reali, non ad effetti obbligatori. Cos� argomentando, infatti, si elude completamente nella ricostruzione della volont� dell'organo deliberante dell'Opera Pia, la valutazione di quell'elemento essenziale (pacificamente emergente da tutte le carte processuali -ed in specie daHa delibera del 6 dicembre 1966 -come prima si � rilevato) di non interrompere comunque l'attivit� scolastica e che comportava necessariamente, pur nell'urgenza di stipulare subito un contratto di vendita, il differimento della consegna del vecchio edifiieio al compratore e quindi -come ulteriore conseguenza anch'essa imprenscindibile -la necessit� di compensare in qualche modo il sacrificio imposto con tale differimento all'acquirente (Nella delibera del dicembre 1966 si era profilata, come si ricorder�, una moratoria al dguardo non inferiore a 3 anni). Tale compensazione si attu� stabilendo, gi� al momento del bando di gara, che il 60 % del prezzo sarebbe stato pagato daH'acquirente solo al momento della consegna dell'immobile: determinazione questa che avrebbe potuto anche essere censurata sul piano della convenienza economica in considerazione delle possibilit� eventualmente pi� vantaggiose ottenibili sul mercato, ma che oertamente aveva una seria giustificazione di fatto e non era neppure minimamente contraria alle disposizioni di legge da osservarsi in materia. Al dguardo basta ricordare l'art. 65 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827 (regolamento di contabiHt� generale dello PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Stato), secondo cui �l'avviso d'asta deve indicare ... il tempo e il luogo ... del pagamento per le vendite... �, formulazione questa che non lascia dubbio sulla possibilit�, anche per gli enti pubblici, di consentire dilazioni di pagamento nena vendita dei loro beni. In tale situazione non potevasi -'dedurre dall'urgenza di stipulare il contratto di vendita, l'aprioristica esolusione di consentire una qualsiasi dilazione anche solo di una parte del prezzo (come poi comprensibilmente avvenne), non potendosi presumere che l'organo deliberante dell'Opera Pia potesse seriamente pretendere che l'acquirente dell'immobile non ottenesse contropartite di sorta in corrispettivo del sacrificio impostogli. In altre parole, l'urgenza della compravendita, il differimento della consegna del bene venduto e un regolamento di interessi compensativo anche sottoforma di pagamento dilazionato di una parte del prezzo dovevano apparire elementi che il giudice del merito avrebbe dovuto considerare -da un punto di vista logico e date tutte le circostanze del caso, -non gi� inconciliabili ma, al contrario, legati da un nesso di normale conseguenzialit�. E se l'urgenza di provvedere vi fu, essa doveva considerarsi soddisfatta con l'atto di aggiudicazione dell'immobile all'ICAG in quanto, non risultando -come accert� il Tribunale -la volont� dell'Opera Pia di rinviare la costituzione del vincolo contrattuale 'al momento successivo alla stipula del contratto, detto atto di aggiudicazione equivaleva per ogni effetto legale anche nei confronti della stessa Opera Pia ad un contratto di compravendita definitivo (in tal senso vedi, tra le tante sent. Cass. n. 2938 del 1984): definitivit� che non va confusa, n� poteva essere pregiudicata, dagli effetti reali ovvero obbligatori che si fossero voluti riconnettere a detto contratto, n� con il momento convenuto per la consegna dell'immobile compravenduto. Egualmente illogica appare la considerazione addotta dalla Corte d'appello circa l'arbitraria sostituzione da parte del Presidente dell'Opera Pia di un contratto con effetti obbligatori a quello con effetti reali che, invece, sarebbe stato voluto dalla Commissione Amministratrice. � di tutta evidenza, infatti, che, dati i concreti obiettivi additati dalla Commissione predetta, quel che doveva essere ritenuto rilevante per giudicare se il Presidente si fosse mantenuto fedele al perseguimento dei medesimi, era non tanto il momento in cui dal punto di vista giuridico la propriet� sarebbe passata dall'Opera Pia all'ICAG, ma quando, indipendentemente da tale aspetto tecnico-giuridico, l'Opera Pia avrebbe riscosso il prezzo necessario per costruire la nuova sede e quando avrebbe dovuto consegnare � di fatto �, l'edificio venduto. Infine, neppure pu� andare esente da censura il rifiuto dei giudici di merito di annettere il bench� minimo valore alla delibera presa dalla Commissione Amministratrice il giorno stesso in cui era avvenuta l'aggiu 328 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Drl.LO STATO dicazione all'ICAG per confermare l'operato del Pres~dente dell'Opera Pia. Se � vero, infatti, che, per le ragioni di cui si dir� in seguito, tale delibera, per avere il valore giuridico di ratifica, avrebbe dovuto essere approvata dall'organo tutorio, � vero anche, per�, che, in una indagine di fatto volta ad accertare quale fosse stata la volont� dell'organo deliberante espressa precedentemente e se il Presidente ne avesse tradito H mandato, non poteva essere deL tutto trascurata sul piano storico la cin:ostanza che lo stesso organo deliberante avesse successivamente fatto proprio l'operato del Presidente. Tale circostanza, invero, -se da sola considerata poteva ingenerare sul piano logico il dubbio che con ci� la Commissione avesse voluto sanare un qualche difetto di potere del Presidente, -unita, invece, a tutte le altre circostanze come sopra iilustrate, era suscettibile d'essere valutata come elemento a favore della tesi che il Presidente, aggiudicando all'ICAG l'immobile alle condizioni previste nel bando d'asta, altro non abbia fatto se non specifioare tutte quelle condizioni che era necessarJo sviluppare per realizzare nello spirito, oltrech� ne1la Iettera, la volont� dell'organo deliberante. Risultando, quindJ, costituita la motivazione della sentenza impugnata da argomentazioni tutte ct:nsurabili, essa non pu� che essere cassata e la causa ximessa ad altro giudice perch�, ovviando alle facune e illogicit� come sopra stigmatizzate nella ricostruzione della volont� dell'organo deliberante d~ una persona giuridica, applichi H seguente principio di diritto: �Il contratto stipulato dall'organo investito della rappresentanza di un ente pubblico (come nella specie i,l Presidente dell'Opera Pia Nazareno) deve ritenersi s� valido soltanto nei limiti della sua corrispondenza alla volont� manirestata dall'organo cui spetta deliberare (nella specie la Commissione Amministratrice dell'Opera Pia stessa: vedi in tal senso Cass. sent. n. 839 del 1973), ma tale corrispondenza dovr� essere negata (e conseguentemente accolta la domanda dell'ente pubblico rivolta all'annullabilit� del contratto vedi nel senso dell'annullabilit� Cass. sent. nn. 1493 e 839 del 1973 e 2891 del 1964) soltanto quando il contenuto del contratto stipulato risulti, globalmente considerato per lo scopo pratico che persegue e per le modalit� con cui lo persegue, incompatibile o anche semplicemente diverso da quello voluto dall'organo deliberante: non invece, quando tale contenuto, pur non essendo stato specificato nella delibera presa da tale organo, risulti uno, dei possibili sviluppi logici necessari sul piano operativo di tale delibera e, quindi, coerente allo spirito che storicamente l'ha informata, se non alla lettera con cui � stata espressa �. L'applicazione del predetto principio -qualora porti H giudice di rinvio a propendere per questa seconda ipotesi e, quindi, a ritenere valido l'atto Ricciotti di aggiudicazione all'ICAG del vecchio edificio del Nazareno -dovr�, per� essere integrato con quelli che seguono. 111�1�11r11w1111�11�1111l:11111111C���~� PARTE I, SBZ. I.V, GIURISPRUDENZA CI.VILE 329 Tutte le delibere relative a trasformazioni o diminuzioni del patrimonio di un'Opera Pia per un valore superiore a un certo Limite (quali senza alcun dubbio quelle delle quaili qui trattasi) devono, in base alla normativa speciale concernente gli enti di assistenza e beneficenza, essere sottoposte, per la verifica della loro convenienza, a controllo di mer~to da parte dell'organo tutorio (Giunta Provinciale Amministrativa secondo l'art. 35 della legge 17 luglio 1890, n. 6972, poi sostituita, per effetto dell'art. 5 del d.1.1. 22 marzo 1945, n. 173, da un Comitato Provinciale di assistenza e beneficenza pubblica e successivamente, in base all'art. 1 del D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9, dal CO.RE.CO. (Comitato Regionale di Controllo). In tal senso dispone infatti, l'art. 19 dell R.D. 30 dicembre 1923, n. 2841 modificativo del'l'art. 36 della citata 1. (legge sulle istituzioni pubbliche di beneficenza) n. 6972 del 1890, a sua volta richiamato con le modificazioni ad esso apportate nell'u1timo comma del D.P.R. n. 9 del 1972 anch'esso gi� citato. In difetto di tale approvazione dette delibere devono intendersi inefficaci (v. in tal senso Cass. sent. 726 del 1972). L'esistenza di tale normativa �Speciale rende superfluo l'esame della tesi sostenuta dall'ICAG, secondo cui l'art. 26 della l. 6972 del 1890 cos� come modificato dall'art. 10 del R.D. n. 2841 del 1923 (a tenore del quale � Le alienazioni... si fanno, sotto pena di nullit�, all'asta pubblica colle forme stabilite per i contratti e per le opere dello Stato�) si riferirebbe solo al modo di scelta del contraente e di conclusione del contratto (asta pubblica), non alla necessit� di delibare �ab intrinseco� la convenienza delle singole clausole del contratto, come avviene, invece, per i contratti dello Stato ai sensi dell'art. 19 del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 stilla contabilit� generale dello Stato. � necessario, a!ltres�, precisare che, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente principale, poich� norme come gli ar.tt. 35 e 36 della 1. 6972 del 1890 (e successive modificazioni) sono dettate nel pubblico interesse in quanto rivolte ad assicurare il buon andamento della gestione di enti pubblici, la loro osservrunza � preminente r,ispetto alla tutela degli interessi privati. Non pu� pertanto, invocare il principio della tutela della buona fede o dell'affidamento o quello sancito nell'art. 1444 (2� comma) cod. civ. (secondo cui il contratto � conva!lidato se il contraente cui spettava l'azione di annullamento vi ha dato volontariamente esecuzione conoscendo il motivo di annullabilit�) il contraente privato che voglia, con ci�, far dichiarare efficace nei suoi confronti una delibera di un'Opera Pia non sottoposta all'approvazione dell'organo tutorio come la legge impone. Ovviamente, ~semprech� ne ricorrano tutti i presupposti, potr� reagire a tale omissione, anche ai sensi dell'art. 28 della Costituzione, nelle sedi pi� opportune (eventualmente anche penale per omissione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 330 d'atti di ufficio e civile per il risarcimento del danno), ma non potr� mai pretendere che tale delibera sia dichiarata efficace. In altri termini, qui si vuol dire che ben si pu�, al momento di stipulare un contratto, integrare il mandato, a tal fine ricevuto, con tutte quelle specificazioni che si rivelino necessarie per il miglior raggiungimento dello scopo del mandato. stesso e che tale integrazione non costituisce n� violazione, n� travalicamento di esso, ma ci� non toglie che il modo, particolare e discrezionale, con cui tale integrazione (.in s� e per s� necessaria) sia stata attuata debba essere soggetto ad un giudizio di convenienza da parte di un organo tutorio, quando il suo controllo � imposto dalla legge. A sostegno e della liceit� di detta integrazione e della necessit� della sua approvazione sembra potersi richiamare, per analogia, l'art. 107 del regolamento della contabilit� generale dello Stato secondo cui �Se nelle trattative occorse e nella stipulazione di un contratto si fosse variata alcuna delle condizioni prestabilite o altre ne fossero state eliminate e altre aggiunte e se gi� sul progetto del contratto fosse stato sentito il parere del Consiglio di Stato � necessario, prima di approvare e rendere eseguibile il contratto, sentire il parere del Consiglio medesimo sulla convenienza delle occorse modificazioni �. Ci� posto, devesi ritenere che, nella specie, andavano sottoposte ad approvazione da parte dell'organo tutorio l'aggiudicazione all'I.C.A.G. del 7 agosto 1968 con il bando di gara che ne specificava le modalit� e/o la delibera della Commissione Amministratrice che tale aggiudicazione conferm� quel giorno stesso. Infatti, anche ammettendo -come il giudice di rinvio verificher� che tanto l'uno quanto l'altra costituissero nient'altro che l'integrazione necessaria e coerente di quanto gi� deliberato dalla stessa Commissione il 12 luglio 1968 e approvato dall'organo tutorio il 16 successivo, tuttavia � innegabile che con tali atti siano state aggiunte modalit� relative alla vendita del patrimonio immobiliare del Nazareno cos� rilevanti sul piano economico e cos� discrezionalmente apprezzabili rispetto alle concrete possibilit� che offriva il mercato comparate con le esigenze dell'Istituto, da non potersi consentire che andassero esenti da quel controllo di merito che -come s'� detto -la legge impone per le trasformazioni o diminuzioni di patrimonio degli enti pubblici di assistenza e beneficenza. In tale complessa situazione di fatto la causa dovr� essere decisa dal giudice di merito tenendo presente, per le questioni avanti a questa Corte trattate (e quindi, senza pregiudizio di tutte le altre fin ad ora in esse ritenute assorbite), che: 1) Dato il ritenuto collegamento genetico e funzionale esistente tra gli atti dell'Opera Pia posti in essere rispettivamente entro l'agosto del 1968 e nel 1977, qualora i primi risultassero invalidi per difetto di corrispondenza tra la volont� della Commissione Amministratrice e l'Operato PARm I, SBZ. IV, GiuRISPRUDBNZA CIVILE del Presidente, dovrebbero essere considerati invalidi anche i secondi. Per converso, qualora tale difetto non fosse ritenuto sussistente e quindi validi i primi, la mancanza del1a loro specifica approvazione da parte dell'organo tutorio potrebbe considerarsi sanata per effetto dell'approvazione dei secondi. Questa Corte, infatti, ha pi� volte ritenuto che all'approvazione diretta di un atto amministrativo, espressa in un formale documento inteso a tale finalit�, pu� equivalere, nella sostanza un'approvazione implicita, quando questa risulti per processo logico necessario, sebbene non esplicitamente, da un documento scritto formale con il quale l'approvazione sia in posizione indissociabile di presupposto o di conseguenza (conf. Cass. S.U. �sent. 975 del 1968 nonch� Cass. 1249 del 1968; n. 133 del 1966, 1457 del 1967, 839 del 1973). Al fine di considerare implicitamente approvati gli atti dell'agosto 1%8 sopramenzionati per effetto de1l'approvazione riportata dagli atti successivi, potr� tenersi conto anche della delibera dell'Opera Pia approvata dall'organo tutorio il 10 settembre 1968, qualora in essa fossero state richiamate le modalit� dell'operazione economica costituente la fonte del denaro impiegato per Pacquisto del terreno (avvenuto poi con il rogito De Benedetto) da destinarsi a nuova sede del Nazareno. In tal caso, infatti, non sarebbe illogico presumere che l'organo tutorio sia venuto necessariamente a conoscenza di tali modalit� e che, approvando la destinazione del loro frutto, abbia, sia pure indirettamente ma con sufficiente chiarezza, approvato il modo di costituzione della sua fonte: unica via questa che nella specie appare ammissibile, sul piano giuridico, per consentire, nel giudizio di rinvio, una qualche considerazione di una circostanza del cui mancato esame nei pregressi gradi di giudizio l'ICAG ora tanto si duole (sia pure sotto il profilo della convalida ex art. 1444, 2� comma cod. civ., inaocettabile per le ragioni qui esposte) e che, cio�, all'aggiudicazione in favore dell'ICAG l'Opera Pia avrebbe dato volontaria esecuzione, estrinsecatasi innanzitutto con l'immediata e irreversibile utilizzazione derla parte non irrilevante del prezzo (il 40 %) pagato dal I.C.A.G. pochi mesi dopo l'aggiudicazione stessa. 2) Il visto prefettizio in data 27 agosto 1988 ai sensi dell'art. 296 della legge comunale e prov. (n. 383 del 1934) della delibera con cui la Commissione Amministratrice conferm� l'operato del Presidente non pu� essere considerato equipollente all'approvazione da parte dell'organo tutorio sancito dagli artt. 35 e 36 della legge n. 6972 del 1890 e sue successive modificazioni. :B ben vero, infatti, che tale �visto� � esteso al merito, in quanto il Prefetto pu� rifiutaruo non solo per ragioni attinenti all'osservanza delle forme prescritte, ma anche � per gravi motivi d'interesse dell'Ente o per altri di interesse pubblico �. Tuttavia sembra dover prevalere la con 332 RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA l>PLLO STATO siderazione che, come autorevolmente sostenuto in dottrina, il predetto art. 296, in quanto diretto a restringere la capacit� o la libert� delle persone, fisiche o giuridiche, non pu�: essere applicato per analogia a casi non contemplati in modo espresso: e, quindi, neppure agli istituti di assistenza e beneficenza per il controllo dei cui atti v'� una disciplina speciale (quella dettata dalla legge n. 6972 del 1890 qui pi� volte richiamata), che ovviamente deroga a quella generale costitui,ta dalla legge comunale e provinciale. A ci� consegue ovviamente l'irrilevanza (gi� esattamente stigmatizzata in questa causa della sentenza del Tribunale) dell'inserimento negli atti dei quali qui trattasi della clausola intesa a subordinare la foro esecutoriet� al visto prefettizio nell'evidente presupposto (erroneo) che esso fosse prescritto da11a legge (sulla mancanza dell'obbligo da parte degli enti di assistenza e beneficenza pubblica di comunicare le loro delibere al Prefetto vedi Cass. sent. 1131 del 1972). 3) L'annullamento da parte dell'organo tutorio di un atto in considerazione sia pure soltanto di una parte del suo contenuto, comporta diniego di approvazione dell'atto nella sua globalit� e costringe, quindi, l'Ente a modificarlo e a sottoporlo nuovamente all'approvazione deH'organo tutorio, salvo il caso in cui, da un'attenta indagine sul contenJUto e sulle premesse de:l provvedimento preso da1l'organo tutorio, risultasse sia che anche la parte non annullata abbia costituito oggetto di esame riportando un'approvazione implicita, sia che la parte annullata abbia rautonomia sufficiente a rendere possibile la sua disapplicazione senza compromettere l'applicazione della residua parte. 4) Qualora gli atti posti in essere dall'Opera Pia nel 1977 dovessero ritenersi mancanti di approvazione da parte del CO.RE.CO. dovrebbero necessariamente considerarsi innanzitutto inefficaci essi medesimi, rendendo, cosi, del tutto vana la questione (su cui lungamente insiste la difesa dell'LC.A.G.) se in essi potesse ravvisarsi una convalida degli atti precedenti. L'indagine rimessa al giudice di rinvio sull'effettiva e controversa portata dei provvedimenti presi dal CO.RE.CO. in relazione ail rogito Badurina del 15 ottobre 1977 si rivela comunque decisiva anche in relazione al ricorso incidentale proposto dall'Opera Pia per contestare l'imposizione dell'INVIM conseguente alla registrazione di tale atto. (Questione questa sulla quale non si � formato alcun giudicato in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dall'Avvocatura Generale dello Stato net suo controricorso, 'l'Opera Pia ha proposto al riguardo ricorso incidentale autonomo, che risulta notificato alla Finanza presso la predetta Avvocatura il 16 dicembre 1987 e quindi ritualmente e tempestivamente tenuto conto che la sentenza impugnata risulta depositata il 2 giugno 1987 e non notificato). PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Pi� specificamente, con l'unico motivo del ricorso incidentale l'Opera Pia �Collegio Nazareno� denunzia la violazione degli artt. 14 e 36 D.P.R. n. 634/1972 e dell'art. 296 del R.D. n. 383/1934 in �relazione a11'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., lamentando che i giudici di merito si siano rifiutati di far discendere dall'annuHamento dell'atto di vendita la non debenza dell'INVIM senza considerare che: A) l'Opera Pia non pu� considerarsi parte del negozio annullato, avendo negoziato un terzo, e, cio�, il presidente dell'Opera, del tutto privo del relativo potere; B) gli atti soggetti ad approvazione o ad omologazione, quali quel!.i dei quali qui trattasi, sono da registrare solo dopo che i relativi provvedimenti amministrativi �siano validamente intervenuti, iii che, nella �specie, certamente non sarebbe avvenuto. In �riferimento a quest'ultima considerazione contenuta nel Ticorso, incidentale, risulta evidente che, se il giudice di rinvio ritenesse il contenuto del rogito Baidurina privo di approvazione da parte dell'organo tutorio, si avrebbe che, ai sensi degli artt. 14 e 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 disciplinante l'imposta di registro e in vigore all'epoca, il termine per la Tichiesta di Tegistrazione dell'atto non sarebbe mai iniziato a decorrere e, comunque, prima di tale scadenza sarebbe stata dovuta la sola imposta fissa di registro non considerandosi ancora avvenuto agli effetti fiscali quel trasferimento dei diritti che � il presupposto non solo dell'imposta di registro, ma anche dell'INVIM. Si sarebbe cos� verificato un caso di non debenza del tributo richiesto, ben pi� radicale di quello previsto dall'art. 36 della medesima legge (non debenza dell'imposta di registro quando l'atto sia stato dichiarato nullo o annullato per causa non imputabile alle parti contraenti con sentenza emessa in contraddittorio anche con �l'amministrazione Finanziaria e non sia ,suscettibile d\ ratifica, convalida o conferma). Ma, nonostante la diversit� della norma di legge d'applicare e la riserva generale di giurisdizione a favore del giudice tributario, il giudice ordinario di merito potr� ben fare applioazione nella specie dei citati artt. 14 e 26, sia perch� spetta al giudice individuare ila norma di legge pi� direttamente applicabile alla fattispecie per accogliere o negare la pretesa sostanziale fatta valere dall'una contro l'altra (nel caso, in esame, appunto la debenza dell'INVIM), sia perch� l'eadem ratio che ispira l'~t. 36 (l� dove rimette al giudice ordinario di decidere sulla nullit� o sull'annullamento dell'atto soggetto al tributo con un'unica sentenza valevole anche agli effetti fiscali purch� emessa in contTaddittorio anche con 1a Finanza) sussiste, e quindi si applica al caso indubbiamente analogo in cui si debba decidere, sempre in materia di imposte dovute per la registrazione �di un atto (qual'� l'INVIM di cui qui trattasi), se esso sia RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DllLLO STATO 334 stato o meno approvato dall'organo tutorio come previsto dalla legge e sia, quindi, efficace. � innegabile, infatti, che anche in questo caso vi sia l'opportunit�, per evitare sconcertanti contrasti di giudicati e, per economia di giudizi, di avere un'unica decisione in esito al contraddittorio e alla cognizione pi� ampi possibili. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 12 dicembre 1988, n. 6759 � Pres. Sandulli � Rel. Senese � P. M. Minetti (conci. conf.) � Ministero dell'Interno e Prefettura di Frosinone (avv. Stato Palatiello) c. S.r.l. CISA (avv. Casavola). Lavoro � lnvaldi � Assunzioni obbligatorie � Contravvenzione all'obbligo di richiesta di assunzione � Definizione amministrativa � Decreto prefettizio ex art. 24 legge n. 482/1968 � Opposizione � Giurisdizione del giudice civile � Non sussiste trattandosi di materia riservata al giudice penale. I decreti con i quali il Prefetto determina, a norma dell'art. 24 legge n. 482/1968, l'ammontare delle somme dovute per la definizione ammini� strativa delle contravvenzioni all'obbligo di richiesta di assunzione di lavoratori invalidi non sono suscettibili di opposizione dinanzi al giudice civile, in quanto ineriscono a violazioni che -non rientrando tra quelle depenalizzate dalla legge n. 689/1981 -sono riservate alla cognizione del giudice penale (1). Con il primo motivo, si denuncia violazione degli artt. 23 e 24 legge n. 482/1968, 12, 22, 23, 32 e 34 legge n. 689/1981, I c.p.c., difetto di giurisdi� zione o almeno di competenza funzionale (il tutto con riferimento all'art. 360 nn. 1 e 2 stesso codice) e si deduce che erroneamente il pretore avrebbe ritenuto opponibili ai sensi degli artt. 22 e 23 della legge n. 689/1981 i decreti con i quali il Prefetto di Frosinone aveva determinato, a norma dell'art. 24 legge n. 482/1968, l'ammpntare della somma dovuta per la definizione amministrativa delle contravvenzioni all'obbligo di richiesta di assunzione, da parte della societ� CISA, di lavoratori invaHdi. Tali decreti, infatti, -prosegue il ricorrente -non potrebbero in al�un modo esser assimilati all'ordinanza-ingiunzione prevista dall'art. 18 della legge n. 689/1981, in quanto la violazione dell'obbligo posto dagli artt. 11 e 16 della legge sulle assunzioni obbligatorie d'invalidi, punita a termini dell'art. 23/2 stessa legge con la pena dell'ammenda, non rientra tra quelle che la ricordata legge n. 689/1981 ha trasformato in illeciti (1) Decisione di evidente esattezza, di cui non constano precedenti. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB amministrativi, s� che �l decreto del Prefetto di cui al citato art. 23 legge n. 482/1968 non costituisce provvedimento di applicazione di una sanzione amministrativa ma semplice atto di determinazione della somma che la citata legge n. 482 ammette il contravventore a pagare, entro i termini dalla stessa disposizione previsti, a titolo di oblazione con effetto estintivo del reato. Il motivo � fondato. La legge n. 689/1981, nel prevedere all'art. 32/1 che �non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro ,tutte le violazioni per le quali � prevista la sola pena dell'ammenda... �, ha tuttavia escluso dall'ambito di applicazione generale di tale disposizione una serie d'ipotesi di reato, tra le quali rientra anche la contravvenzione di cui agli artt. 11, 16 e 23/2 della legge n. 482/1968. Dispone, infatti, il successivo art. 34 della legge n. 689/1981 che �la disposizione del primo comma dell'art. 32 non si applica ai reati previsti: ... omissis... dalle leggi relative ai rapporti di lavoro, anche per quanto riguarda l'assunzione dei lavoratori e le assicurazioni sociali, salvo quanto previsto dal successivo art. 35... �. Non � contestabile che la legge su11e assunzioni obbligatorie sia una legge relativa ai rapporti di lavoro, ed in particolare all'assunzione dei lavoratori, che -gi� regolata in via generale come materia di una pubblica funzione (v. legge n. 264/1949) -ha costituito oggetto di numerosi interventi legislativi in favore di particolari categorie e di una disciplina generale sulle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private, dettata con la legge in esame. N� la suddetta legge n. 482/1968 pu� esser confusa con �Je Jeggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie�, in relazione alle cui violazioni, purch� punite con la sola ammenda, l'art. 35 legge n. 689/1981 (dchiamato come deroga al disposto dell'art. 34 lett. m) estende la depenalizzazione. Anzi, proprio l'espressa previsione di tale eccezione all'operativit� del precetto di cui al ricordato art. 34 lett. m), costituisce ulteriore conferma del carattere onnicomprensivo di tale precetto e della sua estensione (salve le esplicite eccezioni poste dalla legge stessa) e tutte le violazioni delle norme comunque attinenti alla materia del lavoro. Del resto, la giurisprudenza di questa Corte Suprema non ha avuto dubbi nel ritenere sottratte alla depenalizzazione le violazioni, penalmente sanzionate, alle disposizioni della legge n. 482/1968 (cfr. cass. pen., sez. III, 6 maggio 1985, imp. Ottone; cass. pen., sez. III, 31 maggio 1986, imp. Cancarini; Cass. pen., sez. III, 12 giugno 1986, rie. Vagnoli; ca:ss. pen. sez. III, Della Sala rie., ove si affronta anche il problema del rapporto tra procedura conciliativa e procedimento penale; e, sulla portata generale della formula di cui all'art. 34 lett. m legge n. 689/1981, cass. pen., sez. III, 20 marzo 1984, imp. Di Benedetto). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dli.LO STATO 336 N� a diverse conclusioni � mai pervenuta la dottrina. Deve pertanto concludersi che i decreti prefettizi di cui � causa (che del resto, non contengono alcuna ingiunzione e si lin�tano a determinare fa somma dovuta dal contravventore in conformit� di quanto previsto dall'art. 24/2 legge n. 482/1968) non erano suscettibili di opposizione dinanzi al giudice civile; e che il soggetto, nei cui confronti sono stati emessi, ovie avesse ritenuto di contestarne i presupposti, non avrebbe avuto altro da fare che astenersi dal versare le somme in tali provvedimenti indicate e far valere le proprie ragioni dinanzi al giudice penale, cui gLi atti avrebbero dovuto esser trasmessi una volta scaduto inutilmente il termine di cui all'ultimo comma dell'art. 24 legge n. 482/1%8. Correlativamente, il giudice civile, adito per l'opposizione a tali decreti, avrebbe dovuto declinare la propria competenza giurisdizionale in materia. La sentenza impugnata, che ha invece dtenuto di poter conoscere di una controversia riservata al giudice penale, dev'esser, pertanto, cassata senza rinvio (art. 382/3 c.p.c.). Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso, con i qua1i il ricorrente denuncia violazione dei limiti della giurisdizione del giudice civile nei confronti della P.A. (secondo motivo), violazione delle norme sulla chiamata in giudizio delle amministrazioni dello Stato (terzo motivo) e violazione della normativa in materia di computo degli invalidi da assumere obbligatoriamente (quarto motivo). SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 27 agosto 1988, n. 1006 -Pres. Laschena Est. Luce -Ministero defila Pubblica Istruzione (avv. Stato Palatiello) c. Fiori e Tavola Valdese (avv.ti Barile e Mauceri). Istruzione e Scuole -Pubblica istruzione -Insegnamento della religione cattolica -Attivit� alternative -Obbligatoriet� -Legittimazione al ri� corso � Tavola Valdese � :Il: legittimata. Istruzione e scuole � Pubblica istruzione � Insegnamento della religione cattolica -Attivit� alternative � Obbligatoriet� per chi ha scelto di non avvalersi dell'insegnamento religioso � Legittimit�. Istruzione e scuole � Pubblica istruzione � Insegnamento della religione cattolica � Eccezione di illegittimit� costituzionale � :Il: manifestamente infondata. (Legge 25 marzo 1985, n. 121, art. 9; legge 11 agosto 1984, n. 449, art. 9; Cost., artt. 2, 3, 19, 21, 33, 97). La Tavola Valdese, in quanto ente posto quale rappresentante isti� tuzionale delle chiese di culto valdese, � soggetto esponenziale degli interessi di cui tali chiese sono portatrici; perci� essa � legittimata ad impugnare le circolari ministeriali che regolano l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali, essendo la sua azione sorretta dal peculiare intento di salvaguardare le sue stesse primarie finalit� culturali. Il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica non � violato dall'imposizione dell'obbligo, per chi abbia scelto di non avvalersene, di frequentare le c.d. attivit� alternative, perch� l'esigenza di non discriminazione tra l'avvalente e il non avvalente impone che ogni alunno abbia, in eguale misura, diritti e doveri: e cio�, la stessa quantit� di tempo scuola, nonch�, nei limiti del possibile, la stessa opportunit� educativa e formativa. E manifestamente infondato il dubbio di illegittimit� costituzionale dell'art. 9 della legge n. 121/85, con riferimento ai princ�pi costituzionall che sanciscono la tutela dei diritti fondamentali (art. 2), l'eguaglianza di tutti i cittadini (art. 3), la libert� religiosa (art. 19), la libert� di coscienza (art. 21), la libert� d'insegnamento (art. 33), l'organizzazione della P.A. 338 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA LELLO STATO (art. 97), perch� la laicit� dello Stato non esclude la possibilit� dell'insegnamento religioso (1). (omissis) 1. -Quanto al ricorso n. 1572/87, l'Amministrazione appellante ripropone, preliminarmente, l'eccezione di inammissibilit� del ricorso stesso, gi� dedotta in primo grado e disattesa dal T.A.R., secondo cui l'obbligo di frequenza delle attivit� integrative e la collocazione dell'insegnamento della religione cattolica nel quadro dell'orario ordinario delle lezioni discendeva, pi� che dalla circolare impugnata n. 302 del 29 ottobre 1986, gi� dalla legge, nonch� dai programmi scolastici e da precedenti circolari, non impugnati dall'appellata. L'eccezione � infondata e legittimamente il T.A.R. l'ha respinta. Come osservato dalla Tavola Valdese, le �attivit� integrative�, alternative all'insegnamento deHa religione cattolica, hanno assunto carattere (1) A titolo di commento, si ritiene opportuno pubblicare la memoria redatta dall'avv. Antonio Palatiello (compresa la parte dedicata al �fatto�, che d� conto degli esatti termini del problema dibattuto). L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di Stato (omissis) Con ricorso notificato il 22 dicembre 1986, la Tavola Valdese chiese al T.A.R. Lazio l'annullamento, previa sospensione, della circolare del Ministero della Pubblica Istruzione 29 ottobre 1986, n. 302, � nella parte in cui prevede, per gli alunni che non abbiano dichiarato di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, attivit� alternativa all'insegnamento religioso, con obbligo di frequenza da parte degli alunni stessi�. Sostenne la ricorrente che l'art. 9 della legge 11 agosto 1984, n. 449, imporrebbe la collocazione dell'orario di insegnamento della religione cattolica in tempi tali � da permettere a chi non se ne avvale di essere assente� e di non partecipare all'attivit� alternativa, di per s� discriminante: la circolare impugnata violerebbe tale Jiisciplina legale sia perch� pone l'insegnamento della reli� gione come opzionale �invece che facoltativo, sia perch� obbliga chi non ha scelto di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica a frequentare l'attivit� integrativa, data come alternativa. La circolare impugnata, in particolare, violerebbe l'accordo bilaterale sot� toscritto dal Governo e dalla Tavola Valdese il 21 febbraio 1984, che, recepito nella legge n. 449/84, imporrebbe la collocazione del:l'insegnamento religioso fuori dal quadro ordinario delle lezioni. Il Ministero intimato si costituiva in giudizio. Intervennero ad adiuvandum la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia ed altri �enti esponenziali delle rispettive confessioni religiose �. Con sentenza n. 1274/87 il T .A.R. ha annullato l'impugnata circolare n. 302/ 1986 �nella parte in cui sancisce, per chi abbia scelto di non avvalersi dell'insegnamento religioso cattolico, l'obbligatoriet� degli insegnamenti integrativi o della frequenza nella libera attivit� di studio, offerti in opzione, rispetto ad esso, nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado �. Il T.A.R. Lazio, con la sentenza oggi all'esame, ha svolto il seguente ragionamento sul quale ha fondato il parziale accoglimento del ricorso: premesso che la Tavola Valdese trarrebbe la propria legittimaZ:ione ad agire �dal pecu PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMIN1STRATIVA 339 obbligatorio nei confrnnti di tutti gli alunni soltanto con la circolare impugnata n. 302 del 1986, la quale di:spone, tassativamente, il che non era avvenuto nelle precedenti circolari, l'obbligatoriet� della frequenza delle attivit� stesse per gli alunni che � comunque � non avessero dichiarato di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. L'avverbio (comunque) impiegato, escludendo a priori qualsiasi eccezione, consente quindi l'imposizione coattiva deHe attivit� integrative anche agli alunni che abbiano esercitato lo specifico diritto, riconosciuto dall'art. 9 della legge 449 del 1984, �di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso �, conoretizzando la lesione deH'interesse fatto valere dalla Tavola Valdese; solo con tale circolare, pertanto, si � affermata l'obbligatoriet� della frequenza delle attivit� integrative anche per gli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica, perch� appartenenti alle Chiese rappresentate dalla Tavola medesima che, quindi, legittimamente solo dopo ta:le circolare ha proposto ricorso. liare intento di salvaguardia delle sue stesse primarie finalit� culturali�, ed atteso che l'obbligo di frequenza della scuola (per le attivit� alternative e per lo studio individuale) sarebbe stato introdotto per la prima volta con la circolare n. 302/86, sarebbe illegittimo porre il detto obbligo a carico di chi abbia scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica perch�, in buona sostanza, non previsto da alcuna l�gge: la legge, infatti, darebbe solo la facolt� di scegliere tra l'avvaiersi e non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, senza oneri alternativi in ragione della scelta da ciascuno liberamente operata; nemmeno potrebbe invocarsi, a detta del T.A.R., l'esigenza dell'� eguale tempo scuola�, perch�, oggi, il tempo scuola sarebbe quello che risulta senza considerare l'ora di religione, facoltativa, e perci� � aggiuntiva'" con il chiarimento che per � aggiuntivo � si intende, nel caso in esame, �un quid pluris, che si aggiunge per gli avvalenti agli altri insegnamenti curriculari ... (che) pur collocati nelle normali fasce orarie e non al di fuori di esse ... costituisce un di pi�, offerto agli avvalenti, senza, peraltro, alcun correlativo onere di frequenza di altri insegnamenti per i non avvalenti�. La sentenza del T.A.R. Lazio � stata fatta oggetto di tempestivo appello da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, che ha riproposto le ecceziorii preliminari, pregiudiziali e di merito gi� sollevate, ed ampiamente illustrate, in prima cure. Il Consiglio di Stato ha, per quanto di ragione, accolto la domanda inci� dentale di sospensione dell'esecutivit� della sentenza impugnata. La causa viene oggi all'esame del Collegio per il merito. * * * Con ricorso notificato 1'8 gennaio 1987 Fiori Gian Mario, genitore esercente la potest� sui figli minori Stefano e Flavia, alunni di scuola media, impugnava davanti al T.A.R. Lazio �l'orario delle lezioni adottato dal Preside della S.M.S. �Tacito� di Roma-Vitinia per l'anno scolastico 1986-87, delle relative deliberazioni del Collegio dei docenti, non conosciute, e delle conseguenti disposizioni del Preside della predetta S.M.S., per quanto concerne l'obbligo degli alunni che hanno scelto di non avvalersi dell'I.R.C. ad essere presenti a scuola per le c.d. attivit� alternative e l'utilizzazione del personale docente per tali attivit�, nonch� delle CC.MM. n. 368 del 20 dicembre 1985, n. 130 del 3 maggio 1986, n. 211 del 24 luglio 1986, e n. 302 del 29 ottobre 1986, e, per quanto di RASSEGNA DELL'AWOCATURA IJELLO STATO 340 Sempre in via preliminare, nello stesso ricorso n. 1572/87, l'Amminif: strazione appellante ripropone, ulteriormente, l'eccezione di inammissibilit� 'dell'originario ricorso per carenza di legittimazione attiva della I ~ Tavola Valdese. Anche ta!le eccezione � infondata e legittimamente � stata respinta dal T.A.R. La Tavola Valdese � ente morale dotato di capacit� giuridica per antico possesso di stato ed ente esponenziale delle chiese valdesi; ed in tale qualit�, ha stipulato l'intesa con lo Stato italiano che � alla base della legge n. 449/1984. Correttamente, pertanto, il T.A.R. ha osservato che, essendosi l'ente posto come rappresentante istituzionale delle chiese di culto valdese e cio� come soggetto esponenziale degli interessi di cui tali chiese sono ragione, del D.P.R. del 16 dicembre 1985, con cui � stata data esecuzione all'in� tesa tra il Ministero P.I. e il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana del 14 dicembre 1985, in parte de qua, e della deliberazione del Consiglio dei Ministri con cui � stato autorizzato il Ministro P.I., nonch� di ogni altro atto presup posto, connesso e conseguente �. Premessa la trascrizione delle norme che disciplinano l'insegnamento della religione cattolica, e riportato il contenuto degli atti impugnati per la parte ritenuta rilevante, il ricorrente chiariva che i propri figli frequentavano la Scuola Media � Tacito� ed avevano scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica; egli si doleva del fatto che, mentre gli altri ragazzi seguivano l'ora di religione, i suoi figli erano costretti a restare a scuola, im pegnati nelle c.d. attivit� alternative. Osservando che il sistema, per come organizzato dalle disposizioni impu gnate, si risolverebbe in una oggettiva discriminaziOllle in odio a coloro che hanno scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione, il ricorrente affi. dava il gravame ad otto motivi di ricorso. Con i primi tre motivi il ricorrente lamentava la violazione dell'art. 9 della legge 25 marzo 1985, n. 121, dell'art. 5 del relativo Protocollo, dell'art. 9 della legge 11 agosto 1984, n. 449, con riferi mento agli artt. 2, 3, 8, 19, 21, 33 della Costituzione; lamentava altres� il vizio di eccesso di potere. In buona sostanza affermava che la legge 121/85, e, prima, la legge 449/84, avrebbero disposto il principio della facoltativit� dell'insegnamento della religio. ne cattolica; tale principio sarebbe stato violato prima dall'Intesa, di cui al D.P.R. n. 751/85, e poi dalle circolari ministeriali, perch� queste avrebbero introdotto il diverso criterio della � opzione obbligatoria senza alternativa�; a suo dire, insegnamento facoltativo sarebbe quello � che si sceglie in aggiunta agli insegnamenti obbligatori per tutti�, e che � quindi dovr� essere collocato in orario aggiuntivo�; gli atti impugnati-avrebbero invece trasformato tale insegnamento facoltativo in � insegnamento opzionale che si sceglie obbligatoriamente in alternativa ad altro insegnamento, entrambi collocati in orario obbligatorio per tutti�. In concreto, le disposizioni impugnate avrebbero violato la legge nella parte in cui questa configurerebbe l'insegnamento della religione cattolica come un insegnamento � che deve essere esplicitamente richiesto in aggiunta agli insegnamenti obbligatori per tutti�; l'aver invece collocato tale materia nell'orario obbligatorio per tutti avrebbe dato vita, ad avviso del ricorrente, PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMlNISTRATIVA 341 portatrici, l'azione da essa proposta a tutela di quegli interessi, appare sorretta da una chiara posizione legitt�!Illamente, donde l'ammissibilit� del :ricorso in relazione aU'eccezione esaminata, atteso che la Tavola Valdese non agisce quale mero sostituto processuaile dei propri fedeli, bens� per un concreto interesse proprio (e delle chiese da essa rappiresentate) qualificato non da1'1a ricerca del mero rispetto della norma pattizia, bens� dal peculiare intento di salvaguardia de11e sue stesse primarie finalit� culturali. Sempre in via preliminare, infine, nel ricorso 1572/84, viene riproposta l'eccezione, anch'essa da ritenere infondata, di improponibilit� del ricorso stesso per diretto di giurisdizione del giudice amministrativo. Non si pu� condividere, infatti, l'assunto deM'appellante secondo cui ia Tavola Valdese avrebbe fatto valere un interesse di mero fatto, ovvero un diritto soggettivo, dru momento che l'ente ha inteso censurare le moda- ad un vizio di impostazione, che si rifletterebbe sui seguenti aspetti dell'organizzazione, di conseguenza illegittimi: a) sull'obbligo di chi non si avvale dell'insegnamento predetto di frequentare l'attivit� alternativa; b) sul dovere dei docenti, pur nei limiti del loro orario di servizio, di svolgere l'attivit� alternativa o quella di assistenza agli alunni che scelgono lo studio individuale. Tutto ci� rivelerebbe l'intento ministeriale di spingere la scelta in favore della religione cattolica, con chiaro eccesso di potere e con effetti discriminatori per i � non avvalenti�. Con il quarto motivo si osservava che l'attivit� alternativa (ed anche, per le scuole superiori, lo studio individuale) offerta a chi dichiara di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, sarebbe stata �inventata� dall'Amministrazione, con un �fiat" creativo che l'ordinamento non conosce; e ci� sarebbe tanto pi� illegittimo, in quanto l'organizzazione dell'attivit� didattica sarebbe di competenza esclusiva degli Organi collegiali (Collegio dei docenti: art. 4 D.P.R. n. 416/74; Consiglio di circolo o d'istituto art. 6 D.P.R. n. 416/74) in ordine alle cui determinazioni il Ministero non avrebbe potere d'alcun genere. Con il quinto motivo, il ricorrente lamentava la violazione di alcune norme della Costituzione: a suo dire, se la legge n. 121/85 dovesse interpretarsi nel senso indicato dal Ministero (doversi cio� collocare l'insegnamento della religione cattolica nell'orario obbligatorio per tutti), la stessa legge risulterebbe incostituzionale perch�, di fatto, quell'insegnamento sarebbe � obbligatorio con possibilit� di esonero �, con violazione dei princ�pi costituzionali della libert� di coscienza, della libert� di insegnamento, dell'eguaglianza e dell'efficiente organizzazione del servizio pubblico. Con il sesto motivo si disse che l'orario di servizio e le funzioni dei docenti sono disciplinati per legge; gli atti impugnati avrebbero disapplicato la legge (in particolare, gli artt. 2, 3, 88 D.P.R. n. 417/74, e gli artt. 14 e 17 della legge n. 270/82) la quale vorrebbe che il docente sia utilizzato esclusivamente nell'attivit� di insegnamento nella classe assegnatagli, salve le eccezioni tassativamente previste; dunque, continuava il ricorrente, � aver imposto agli organi collegiali l'organizzazione delle c.d. attivit� alternative ed aver imposto l'utilizzazione del personale docente per tali attivit� diverse dall'insegnamento, o addirittura per assistere al c.d. studio individuale� sarebbe illegittimo; e ci� risulte 342 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DrLLO STATO lit� di esercizio deil potere, riconosciuto all'Amministrazione della Pubblica Istruzione, di organizzare e gestire con atti autoritativi il servizio scolastico, lamentando, pertanto, la lesione di un vero e proprio interesse legittimo, la cui tutela � affidata rulla cognizione del giudice amministrativo. 2. -Passando, ora, all'esame del merito dei due ricorsi, va rilevato che l'insegnamento della religione cattolica nella scudla italiana risale alla legge sarda (Casati) del 13 novembre 1859, n. 3725 e fu ribadito nell'art. 3 del R.D. 1� ottobre 1923, n. 2185 (riforma Gentile) secondo cui � a fondamento e coronamento dell'istruzione elementare in ogni suo grado � posto l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica �. rebbe ancora pi� evidente ove si consideri che la legge n. 93/83 ha riservato al procedimento degli �accordi� l'organizzazione del lavoro. N� si potrebbe dire, continuava il ricorrente, che le attivit� alternative rientrano nella tipologia dei corsi di recupero o di integrazione o delle attivit� parascolastiche o interscolastiche di r.ui parla l'art. 88 D.P.R. n. 417/74, perch� questi ultimi, a differenza delle prime, rappresenterebbero �una prosecuzione dell'attivit� di insegnamento curriculare �. In particolare, per le scuole superiori, l'alternativa dello studio individuale data a chi, dichiarando di non avvalersi dell'insegnamento della religione, �neppure vuole fruire dell'attivit� alternativa, finisce con il comportare, a carico dei docenti, un onere di vigilanza ben diverso da quello coessenziale all'attivit� di insegnamento, e, dunque, un compito non previsto dal � mansionario �. Con il settimo motivo, il ricorrente osservava che l'organizzazione della c.d. attivit� alternativa, per la parte in cui si prevede la possibilit� di � accorpare gli alunni oltre che per classi parallele anche in senso verticale�, darebbe luogo ad altra ragione di illegittimit�, perch� esautorerebbe gli Organi collegiali e, soprattutto, si porrebbe in contrasto �con il principio del rapporto docente-classe, cos� come configurato dagli artt. 2 e 3 e pi� in generale con l'attuale organizzazione dell'attivit� didattica�, con ulteriore discriminazione dei � non avvalenti�. Con l'ottavo motivo il ricorrente osservava che gli atti impugnati violerebbero alcune norme dei D.P.R. 31 maggio 1974 n. 416 e 417, perch� avrebbero dimenticato che, in materia di � formulazione dell'orario delle lezioni � e di � svolgimento delle altre attivit� scolastiche�, la �competenza � esercitata dal Capo d'Istituto su proposta del Collegio dei docenti, il quale deve tener conto dei criteri generali indicati dal Consiglio d'Istituto. Gli atti impugnati avrebbero del tutto dimenticato la competenza del Consiglio d'Istituto e si sarebbe omesso di sentire le proposte del Collegio dei docenti. Il ricorrente, in conclusione, chiedeva l'annullamento degli atti impugnati e, � in ipotesi �, domandava � che sia ritenuta non infondata la questione di illegittimit� costituzionale della legge 25 marzo 1985, n. 121, in parte de qua (e segnatamente l'art. 9 dell'Accordo e n. 5 del protocollo addizionale) per violazione degli artt. 2, 3, 19, 21, 33, 97 della Costituzione�. Con sentenza in data 3-26 giugno 1987, pubblicata il 7 luglio 1987, n. 1273/87, il T.A.R. adito ha accolto per quanto di ragione il ricorso, ritenendolo inam PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMI1USTRATIVA 343 Principio, quello indicato, successivamente confermato con l'art. 27 del R.D. 5 febbraio 1928, n. 577 che configurava, anch'esso, ila dottrina cristiana, secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica, come � fondamento e coronamento dell'istruzione elementaTe �. L'insegnamento, concretamente discirplinato da[ regolamento di cui al R.D. 26 aprile 1928, n. 1297 (artt. 108-112 e allegato B) veniva configurato come obbligatorio, anche se era consentita �l'esenzione dei fanciulli i cui genitori dichiaravano di volervi provvedere personalmente� (4� comma detto art. 27 R.D. n. 577/1928). Con il Concordato dell'll febbraio 1929, reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929, n. 810, si provivedeva ad una maggiore estensione dell'insegnamento in discorso (art. 36) considerato, questa volta, � fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica (non solo elementare)�. missibile per il resto, annullando la C.M. 29 ottobre 1986 n. 302 � laddove implica, per la scuola media, l'obbligo di frequenza alle attivit� integrative'" nonch� � l'orario delle lezioni in quella sede gravato nella parte in cui implica l'obbligatoriet� di tali insegnamenti �. La motivazione di tale sentenza � eguale, per quanto interessa, alla coeva n. 1274, prima riassunta. L'Amministrazione ha proposto tempestivo appello. Il Consiglio di Stato ha accolto, per quanto di ragione, la domanda incidentale di sospensione dell'esecutivit� della sentenza impugnata. La parte appellata ha notificato appello incidentale, per riproporre � tutti i motivi di censura che nella sentenza appellata sono stati dichiarati inammissibili � e, a quanto sembra, anche le prospettazioni dichiarate infondate. Nell'appello incidentale si sostiene, in sintesi, quanto segue: 1) l'ora di religione � meramente facoltativa, e non opzionale; essa va dunque collocata fuori dell'orario scolastico obbligatorio per tutti, cio� in un orario � aggiuntivo"� per tale dovendosi intendere quello che si tiene quando le altre attivit� didattiche sono sospese; 2) chi ha scelto di non avvalersi dell'insegnamento predetto non pu� essere obbligato ad alcuna scelta alternativa; 3) l'attivit� alternativa � comunque discriminante, perch� di contenuto vago ed ambiguo, per di pi� individuata nelle e.cl. attivit� integrative, di cui all'art. 7 della legge n. 517/77, che hanno tutt'altro scopo; 4) l'attivit� alternativa � illegittimamente organizzata, sia perch� si sono ignorate le competenze degli Organi collegiali, sia perch� si � preteso di im porre a carico dei docenti un'attivit� non prevista dai mansionario, sia perch�, infine, si � disposto l'accorpamento, in un unico gruppo, di alunni appartenenti a classi diverse; 5) se, poi, l'insegnamento della religione fosse da collocare nell'orario ordinario, gli artt. 9 della legge n. 121/85 e 5 del Protocollo si porrebbero in contrasto con gli artt. 2, 3, 19, 21, 33, 97 Cost., sia perch� violerebbero i fonda mentali princ�pi della libert� religiosa, sia perch� introdurrebbero un sistema organizzativo di manifesta irrazionalit�. DIRITTO I due appelli principali, e quello incidentale del Fiori, vengono oggi all'esame del Collegio per il merito. 10 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA rw.o STATO 344 Veniva, perci�, consentito che lo stesso avesse un ulteriore sviluppo nella scuola media, secondo programmi da stabilirsi di comune accordo tra la Santa Sede e lo Stato italiano. Era, cos�, emanata la legge 5 giugno 1930, n. 824 che (art. 1) istituiva negli istituti medi d'istruzione olassica, scientifica e magistrale, nelle scuole e negli istituti artistici l'insegnamento religioso. Restava salva (art. 2) la dispensa dall'obbligo di frequentare l'inseg0amento in esame � per gli alunni i cui genitori o chi ne fa le veci, ne facciano richiesta per iscritto al capo d'istituto all'inizio dell'anno 1scolastico �. Con successivo R.D. 10 luglio 1930, n. 1015, venivano, poi, elaborati i programmi della materia, che erano, quindi, riveduti con l'istituzione della scuola media unificata e che erano fissati con D.M. 24 aprile 1963. ~utti i suocessivi provvedimenti volti ad introdurre riforme dei corsi Essi propongono, nel loro insieme, il problema (dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana) nella sua globalit�: nel loro insieme gli appelli affrontano il tema in tutti i suoi vari profili e implicazioni, sicch� � opportuna la redazione di un'unica memoria. :E!. tuttavia necessario, prima di trattare il tema di fondo, dare la debita attenzione alle questioni pregiudiziali esaminate dal T.A.R. con la sentenza n. 1274/87, riguardante il ricorso della Tavola Valdese, puntualmente riproposte in appello. * * * Si � sollevata in primo grado, e si � riproposta in appello, l'eccezione di inammissibilit� del ricorso della Tavola Valdese, perch� l'obbligo di frequenza dell'attivit� alternativa, e la collocazione dell'insegnamento della religione cattolica nel quadro orario delle lezioni, non sono affatto disposti dalla impugnata circolare, derivando, invece, in parte dalla legge, in parte dai programmi ministeriali, in parte dalle precedenti circolari. L'insegnamento della religione cattolica nell'orario ordinario delle lezioni � disposto dall'art. 9 della legge 25 marzo 1985, n. 121, dal relativo protocollo e dal D.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751; dall'art. 2 della legge n. 1859/62 per la scuola media e dal D.M. 9 febbraio 1979; dal D.P.R. 14 giugno 1955, n. 503, di recente sostituito dal D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104 per le elementari; dal D.P.R. 10 settembre 1969, n. 647, di recente sostituito dal D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539, per la materna. L'attivit� integrativa, come alternativa per chi non si � avvalso dell'insegnamento della religione cattolica, � disposta con carattere di obbligatoriet� dalla C.M. 3 maggio 1986 n. 129 (per le elementari) e dalla coeva circolare n. 130 (per le medie), con disposizioni ribadite dalla C.M. 24 luglio 1986, n. 211. 11 T.A.R. Lazio ha rigettato tale eccezione esaminandola insieme con il � merito'" per tale essendosi inteso il problema interpretativo delle c.d. novme neo-concordatarie. L'eccezione di inammissibilit� � stata mal valutata, e tautologicamente risolta: non basta, invero; dire che le norme concordatarie vietano l'imposizione di oneri a carico del non avvalente per inferirne che � quindi,. le circolari che precedettero la � 302 � non avessero � imposto � simili oneri: le circolari che precedettero la � 302 � storicamente nacquero, come meglio si dir� tra poco, dall'esigenza di dare esecuzione o, almeno, seguito, alla Risoluzione della Camera dei Deputati del 15 gennaio 1986, con la quale si era sottolineata la necessit� di assicurare �la scelta tra alternative entrambe note e definite � PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 345 cli istruzione, ovvero ad istituire nuove scuole compresero sempre, tra le materie curriculari, l'insegnamento della Teligione cattolica; per~tro, con la facolt� della dispeil!sa. Da sottolineare ohe alle solenni enunciazioni di principio, contenute nell'art. 36 del Concovdato del 1929, cui si ricdllega tutta l'evoluzione della successiva legislazione, non faceva riscontTo un adeguato piano attuativo, dal momento che iJ.e leggi le quali, concretamente, attuavano i principi enunciati nel Concordato, riconoscevano un ruolo ma'l'ginale all'insegnamento della religione nella scuola, dato che lo Stato consentiva soltanto la sua introduzione nei programmi delle scuole secondarie superiori, sempre, per�, quasi considerandolo estraneo ana funzione pubblica in ma- che doveva essere garantita a tutti gli interessati; in particolare, tra queste circolari precedenti la �302 �, vi � la � 211 �, la quale segue la legge del 18 giugno 1986, n. 281 (del tutto ignorata dal T.A.R.) la quale dispone: �Gli studenti della scuola secondaria inferiore esercitano personalmente ... il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica ... Le scelte in ordine ad insegnamenti opzionali e ad ogni altra attivit� culturale e formativa sono effettuate personalmente dallo studente... "� La cronologia dei provvedimenti dimostra che l'onere della scelta e dei conseguenti doverosi comportamenti era gi� previsto nelle circolari che precedettero la � 302 �, ed in particolare in quella, �211 �, destinata a portare a compimento il sistema faticosamente emergente: ci�, a torto o a ragione che sia stato (e, come si vedr� oltre, a ragione), certo avvenne ben prima della circolare �302 �, che si limit� a dichiarare quanto era gi� contenuto negli atti precedenti. Il ricorso della Tavola Valdese doveva dunque essere dichiarato inammissibile, perch� rivolto contro un atto amministrativo meramente dichiarativo della volont�, in ipotesi anche solo provvedimentale o discrezionale, contenuta neJ1e circolari del maggio '86 e nella �211 "� * * * Si sollev� in primo grado, e si � riproposta in appello, l'eccezione di inammissibilit� 'del ricorso per difetto di legittimazione attiva, perch� la Tavola Valdese rappresenta le Comunit� valdesi, ma non ha il potere di agire in giudizio in � sostituzione processuale " per le persone che professano quella fede. Si rilev�, ancora, in primo grado, con eccezione riproposta in appello, l'improponibilit� del ricorso per difetto di giurisdizione, per la parte in cui si lamentava la lesione dell'interesse proprio della Tavola, che si sarebbe avuta per la violazione dell'Intesa: questa posizione non ha sicuramente la natura di interesse legittimo: o � un diritto soggettivo di tipo contrattuale, oppure -pi� verosimilmente -� interesse di fatto, giacch� l'Intesa trova il filtro della legge. Il T.A.R. Lazio ha risposto a tali eccezioni cos� argomentando: a) la Tavola Valdese agisce in giudizio �nella qualit� di contraente nell'Intesa di cui alla legge 11 agosto 1984, n. 449 �; b) la circolare viola, nella prospettazione di parte, �i principi contenuti nella citata legge 449 �, la quale legge vuole � evitare discriminazioni in danno delle Chiese valdesi e dei loro fedeli �; c) dunque � la Tavola, come soggetto esponenziale degli interessi di cui le Chiese (valdesi) sono portatrici ... (ben pu� agire) a tutela di quegli inte 346 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA QELLO STATO teria cli istruzione: attribuendogli, cio�, un ruolo che venne segnato sin dalla legge 5 giugno 1930 n. 825, attuathra del Concordato stesso, che disponeva che per tale insegnamento non vi sarebbero stati, comunque, n� voti, n� esame, n� frequenza assolutamente obbl]jgatoria (art. 2). L'ambiguit� del sistema si spiegava con l'esigenza, da un lat~, di armonizzazione dell'intero ordinamento e, quindi, anche di quello scolastico, al principio del confessionismo statale, che con hl. Concordato veniva riaffermato; dall'altro lato, con la contraddizione che la proclamata funzione attribuita all'insegnamento della religione conf'liggeva con la concezione. idealistica dello Stato etico allooa imperante, e con il ruolo preminente nell'educazione che da tale concezione derivava e che rivendicava il diritto de11o Stato di educare in piena autonomia del magistero della Chiesa. ressi '" qualificati �non dalla ricerca del mero rispetto della norma pattizia, ma dal peculiare intento di salvaguardia delle sue stesse primarie finalit� culturali,., L'argomento sub a) � inutilmente tautologico: nessuno ha mai contestato alla Tavola di essere contraente dell'Intesa �sulla base� (art. 8 Cost.) della quale la legge 11 agosto 1984, n. 449, dett� �norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Chiese rappresentate dalla Tavola Valdese�. Degli argomenti sub b) e sub e) sorprende non tanto l'erroneit�, quanto I il paralogismo che � alla base dell'errore; quegli argomenti, infatti, postulano la configurabilit� di leggi statali non rivolte a tutti i cittadini, non invoca~. bili, indistintamente, da qualunque membro della collettivit�, generali ed astratfil te, ma invocabili e utilizzabili solo da determinate categorie di persone; ci sarebbe la �legge dei Valdesi�, e �quella dei Cattolici�; correlativamente -� fecito presumere -ci sarebbe la legge dei lavoratori e quella degli impren* ditori; la legge degli inquilini e quella dei proprietari d'alloggi, e cosi via I all'infinito. Non � cosi: almeno da quando gli Stati cessarono d'essere confederazione di � tribus � o di � familiae �, non esiste la legge di � questo � o di �quello�; la legge � sempre �dello Stato�, e tutti vincola al rispetto ed I a tutti � destinata; cosi come � legge dello Stato -e non dei Cattolici quella di ratifica del Concordato con la Santa Sede, cosi non � la � legge dei I Valdesi�, ma dello Stato, rivolta a tutti, e da tutti da osservare, la 449/84. Ci� che dispone l'art. 9 di questa legge deve, ovviamente, essere osservato dall'Amministrazione, parola per parola, virgola per virgola; tutto e bene; con lealt� e correttezza. Ma quello che dice l'art. 9 vale per il valdese come per l'ebreo, per il cattolico, come per l'ateo, o il musulmano; qualunque alunno ha diritto di veder garantita �la libert� di coscienza � e quindi, ex art. 9, ha �diritto di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso (cattolico) �. Nelle scuole della Repubblica non vi sono alunni la cui � coscienza libera� valga di pi� di quella di altri; i Valde.si meritano, � ovvio, ogni rispetto, ma non sono loro i soli destinatari dell'art. 9, il quale va osservato (anche) dallo Stato, tutto e bene, con lealt� e correttezza, non perch� esso fu preceduto da un pattQ stipulato tra un Presidente del Consiglio e un Pastore d'anime, ma perch� quell'art. 9 � legge dello Stato. E se � cosi, se l'art. 9, del quale la Tavola ha lamentato la lesione, vale tutto e per intero per qualunque cittadino, in quanto legge dello Stato, se, in una parola, l'art. 9 non � la �legge dei Valdesi�, ma la legge di tutti, allora bisogna ammettere che PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 347 3. -Completamente diversa � fa motivazione dell'insegnamento, nelle scuole pubbliche, della religione cattolica, adottata dai Concordato revisionato. Il che, se comporta un evidente superamento delle precedenti ambiguit� e contraddizioni, implica, tuttavia, una diversa chiave interpretativa delle relative disposizioni e delle modalit� concernenti la loro attuazione. Al punto 2 dell'art. 9 del nuovo accordo tira la Repubblica Italiana e la Santa Sede, reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121, si afferma, innanzitutto, il riconoscimento da parte della Repubblica Italiana della cultura religiosa (di ogni specie di religione). Lo Stato, cio�, pur nella sua laicit�, non resta indifferente al fenomeno religioso (intesa l'espressione in senso lato ed a prescindere dalla soluzione che ai problemi posti dalla religione ognuno intenda daire); adegua, bens�, i suoi fini essenziali, relativi al miglioramento dell'uomo, l'aspettativa al rispetto dell'art. 9 non vede i Valdesi in posizione giuridica differenziata rispetto a quella di qualsiasi altro cittadino, o ente esponenziale, o associazione culturale, che voglia, come tutti devono volere, il pieno rispetto della legge. Dopo l'Intesa tra il Governo e la Tavola c'� stata la legge; l'ordinamento deve rispettare la legge, in favore e nei confronti di tutti; e tutti (Valdesi o meno) sono portatori dei diritti attribuiti dall'art. 9. La mancanza di situazione differenziata in capo alla Tavola Valdese rendeva dunque inammissibile il ricorso di primo grado, rivolto, come era, ad eccepire l'illegittimit� della circolare � 302 � (rivolta a tutti) per violazione dell'art. 9 della legge n. 449/84, e di altre norme di legge, relative a tutti. * * * Nel merito le due sentenze del T.A.R. sono sicuramente errate. Il diritto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica implicherebbe, secondo il primo Giudice, la necessit� di escludere che sia prevista � come obbligatoria la frequenza a corsi di insegnamento per cos� dire alternativi... sicch� l'alternativa ad una facolt� verrebbe, in effetti, a convertirsi in obbligo (per di pi� imposto solo) ai non avvalenti �; la � facoltativit�� dell'insegnamento della religione cattolica dimostrerebbe che il relativo orario sarebbe � aggiuntivo >>, per cui il � tempo-scuola� si sarebbe, dal momento dell'introduzione del sistema della facoltativit�, automaticamente ridotto in proporzione; liberi, dunque, i non avvalenti di non essere a scuola durante l'ora di religione, o di fruire dei servizi loro offerti in alternativa, o di restare a scuola senza far nulla, con l'onere dell'Amministrazione di �garantire un idoneo servizio di vigilanza�. Il modulo organizzativo proposto dal T.A.R. nella quadriplice possibilit� (dell'ora di religione, della mera assenza, dell'ora alternativa, e dell'ora che si potrebbe definire del �nulla vigilato�) e lo schema logico che quel modulo dovrebbe sorreggere (dato dall'equazione facoltativit� = aggiuntivit�, ma con il dovere della scuola di garantire almeno la sorveglianza) non hanno precedenti noti nell'esperienza giuridica delle altre Nazioni civili, che, a quanto risulta, n� considerano la Scuola quale ospizio d'adolescenti, n� tollerano che siano le scelte individuali a condizionare l'organizzazione. Ma soprattutto ,. 348 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA l>ELLO STATO � considerandone la connaturnle religiosit� � nel quadro delle finalit� della scuola�. D'a!ltra parte (seconda enunciazione contenuta nell'indicata norma) tiene anche conto � ,che i principi del cattolicesimo fanno parte del patri monio storico del �popolo italiano�, Che tali principi, cio�, hanno, tuttora, un rfilevante radicamento nehla cosciel12Ja (quanto meno della maggioranza) del popolo italiano, che trova, essenzialmente, neUa cwturn, nella tradizione e nella vita quotidiana i segni ed i simboli di tale tipo di religione; con la conseguenza che non possono essere ignorati da una scuola, la cui funzione � anche quella di interpretare e povtare a livello di conoscenza individuale i fenomeni pi� diffusi della realt� socia'le. Scaturisce la conseguenza che l'insegnamento della religione cattolica non � pi� considerato come est!l"aneo alla scuola pubblica; non � pi� una � da dire che il confuso modello immaginato dal TA.R. non trova il bench� minimo supporto nel diritto positivo vigente. * * * L'insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana ha ongme preconcordataria. L'art. 315 della legge sarda 13 novembre 1859, n. 3725 (c.d. legge Casati), che certamente non � di ispirazione clericale, e poi l'art. 3 del r.d. 1� ottobre 1923, n. 2185 (c.d. riforma Gentile) dispongono tale insegnamento nella scuola elementare, con l'affermazione che esso � fondamento e coronamento di quell'istruzione. L'art. 27 del R.D. 5 febbraio 1928, n. 577, pone, sempre per la scuola elementare, la � dottrina cristiana secondo la forma ricevuta da!lla tradizione cattolica " come fondamento e coronamento dell'istruzione; l'insegnamento in dettaglio � disciplinato dalle norme del relativo regolamento di cui al R.D. 26 aprile 1928, n. 1297 (in particolare, artt. 108, 112 e allegato B). L'insegnamento in esame � impartito come obbligatorio, salva la facolt� di esonero. Con l'art. 36 del Concordato, di cui alla legge 27 maggio 1929, n. 810, �l'Italia considera fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica� e perci� (quasi a sottolineare l'autonomia della scelta) �consente che l'insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d'accordo tra la Santa Sede e lo Stato �. Fu dunque emanata la legge 5 giugno 1930, n. 824, con la quale venne istituito �negli istituti medi d'istruzione classica scientifica e magistrale, nelle scuole e negli istituti d'istruzione tecnica e nelle scuole e negli istituti d'istruzione artistica l'insegnamento religioso � (articolo 1) con facolt� di chiederne la dispensa (art. 2). L'insegnamento religioso Ǐ impartito secondo i programmi approvati con decreto reale per un'ora settimanale in ogni classe di ciascun istituto ... � (art. 3). Seguono norme sulla �valutazione� (art. 4), sull'affidamento degli incarichi (art. 5), sui diritti e i doveri degli insegnanti (art. 6 segg.). Con R.D. 10 luglio 1930, n. 1015, vennero elaborati i programmi di insegnamento religioso. PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMI1{ISTRATIVA 349 mera �concessione fatta alla Chiesa cattolica, rientrando, bensl, a titolo proprio, nelle finalit� dello Stato in ordine alla elevazione defila cultura e della coscienza del singolo cittadino. La Repubblica Italiana, pertanto (terzo enunciato dell'anzidetto punto 2 dell'art. 9 della legge n. 121/1985), in tale diversa prospettiva �continuer� ad assicurare, nel quadro delle fimdit� della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado�, Come � dato dedurre dalle norme richiamate e come, poi, sar� ribadito nel relativo protocollo addizionale, il nuovo testo del Concordato non ha accolto il suggerimento di sostituire all'insegnamento della religione un insegnamento 'sulla religione: suggerimento teso a trasformare l'insegnamento stesso in un corso di cultura religiosa, o di storia delle \I'eligioni o di sociologia religiosa che, forse, avrebbe reso pi� agevole il successivo operato dell'Amministrazione della Pubblica Istruzione. Con l'istituzione della �media unificata,. fu necessario rivedere quei programmi che vennero dunque stabiliti, per la media inferiore, con il D.M. 24 aprile 1963. I provvedimenti che, negli anni, furono rivolti a riforme dei corsi d'istruzione, o all'istituzione di nuove scuole, non dimenticarono mai di espressamente prevedere, tra gli insegnamenti curriculari, quello della religione, sempre con la facolt� di chiederne la dispensa (ad esempio, legge 15 giugno 1931, n. 889, sul riordinamento dell'istruzione tecnica: la � religione � � insegnamento curriculare; D.P.R. 1� maggio 1972, n. 825, per l'Istituto Tecnico per Geometri; D.P.R. 22 aprile 1972, n. 556 per il corso di arti grafiche dell'Istituto Tecnico Industriale, e cos� via). I programmi dell'insegnamento della religione nelle scuole superiori, gi� determinati dal R.D. 10 luglio 1930, n. 1015, vennero riformulati con il D.P.R. 30 giugno 1967, n. 756 (restato in vigore fino all'adozione dell'attuale D.P.R. 21 luglio 1987, n. 339), dove si legge: � ��� tale insegnamento intende contribuire all'armonico ed integrale sviluppo dell'alunno, nel rispetto delle esigenze personali proprie della sua et� e della sua vocazione � (art. 1). Nelle � avvertenze particolari� il D.P.R. in esame valorizza particolarmente l'aspetto formativo del dialogo che, sui temi religiosi, deve essere impostato tra il docente e la classe. Per la scuola media 1;J.Ilificata i programmi, originariamente previsti dal D.M. 24 aprile 1963, sono stati rielaborati con il D.P.R. 6 febbraio 1979, n. 50 (rimasto in vigore fino all'adozione dell'attuale D.P.R. 21 luglio 1987, n. 350), che mette in risalto il valore formativo di tale insegnamento e i suoi aspetti di interdisciplinariet�, nel quadro di un armonico sviluppo dell'alunno. Per la scuola elementare i programmi, originariamente previsti dal d.lgt. 24 maggio 1945, n. 459, furono sostituiti da quelli contenuti nel D.P.R. 14 giugno 1955, n. 503; l'insegnamento della religione cattolica, qui definito come � fondamento e coronamento di tutta l'opera educativa �, non ha una individualit� netta, specie per le prime due classi, a motivo dell'esigenza di apprendimento dei bambini pi� piccoli. Il programma dell'insegnamento religioso ha acquistato la propria individualit� con il D.P.R. 12 febbraio 1985 n. 104. 350 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA tEI.J..0 STATO � stato, cio�, indiscutibilmente ribadito il carattere confessionale dell'insegnamento della religione cattolica. Ci� ha comportato la necessit� di salvaguardare la libert� di coscienza dei singoli cittadini, di cui all'art. 19 della Costituzione stessa; e proda� mata, del resto, anche nella dichiarazione conciliare Dignitatis humanae. Conseguentemente, pertanto, al secondo comma dell'art. 9 del Con� cordato rinnovato, si � affermato l'ulteriore principio secondo cui �nel rispetto della libert� di coscien1Ja e della responsabilit� educativa dei genitori, � garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento �, aggiungendosi che � all'atto della iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richie� sta dell'autorit� scolastica, senza che la loro scelta pos1sa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione �. I L'esplicita enunciazione, quindi, del principio secondo cui la scelta di avvalersi o di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica I Per la scuola materna i programmi (che qui si chiamano Orientamenti) I vennero stabiliti con D.P.R. 10 settembre 1969, n. 647 (restati in vigore fino alla loro sostituzione avvenuta con il D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539). Anche questi Orientamenti del 1969 sottolineavano la necessit� che l'educazione reli� l giosa avvenisse nel pieno rispetto delle esigenze del bambino; e si affermava I" che tale educazione � consente il pieno e arn;10nico sviluppo della sua personalit�, l'affinamento del suo senso morale e dei valori, e radica in lui sentimenti di autentica socialit�, animati, cio�, dal rispetto e dall'amore f per il prossimo e dall'ideale della pace tra gli uomini �. :E;: interessante notare f f come il D.P.R. del 1969 avvertiva essere �indispensabile che l'educatrice sia ~ sempre guidata dalla piena consapevolezza della possibile presenza in classe di bambini che provengono da famiglie con diverse concezioni religiose o con ! orientamento non religioso... �. In questi Orientamenti l'aspetto pi� stretta� mente confessionale � particolarmente sfumato, preferendosi dare al bambino I ~ il senso degli � aspetti universali della religiosit� e insieme quelli specifici delle varie forme religiose � pi� che i contenuti dogmatici della sola dottrina cattolica. Alla vigilia degli Accordi con la Santa Sede del 18 febbraio 1984, dunque, l'insegnamento della religione cattolica era caratterizzato dai seguenti elementi: a) si trattava di insegnamento curricurale, inserito nel quadro orario ordinario delle lezioni, con diritto di dispensa per chi non volesse seguirlo; b) l'insegnamento era impartito nel rispetto della personalit� degli alunni; questa esigenza era sottolineata nei programmi delle scuole di ciascun ordine, in relazione alle cui caratteristiche trovava concreta attuazione; e) la confessionalit� dell'insegnamento trovava temperamento nella di� sposta valorizzazione degli aspetti per cosi dire universali della dottrina, e, in particolare, degli elementi di amore, fratellanza, solidariet�; d) attraverso l'insegnamento della religione cattolica, secondo i pro grammi e gli orientamenti, lo Stato operava, pi� che una scelta culturale, una opzione educativa, essendo i principi fondamentali del cattolicesimo coincidenti con i principi fondamentali del comune sentire. In questa dimensione storica e logica deve essere interpretata la norma pattizia contenuta nell'Accordo del 18 febbraio 1984, introdotta nell'ordina PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 351 non deve dar luogo ad alcuna forma di discriminazione costituisce un altro dei principi fondamentali del concordato revisionato. L'avvalersi o il non avvalersi di detto insegnamento non deve portare ad alcuna forma di differenziazione di trattamento per gli alunni. Il servizio scolastico, cio�, non deve essere organizzato in modo da differenziare il non avvalente; ma non deve nemmeno risolversi in un aggravio per chi, invece, dell'insegnamento religioso intende avvalersi. Ed � in tale prospettiva che deve interpretarsi il 2� comma lett. b dell'art. 5 del protocollo aggiuntivo al nuovo Concordato secondo cui: �con successiva intesa tra la competente autorit� scolastica e la Conferenza episcopale italiana verranno determinate...; 2) le modalit� di organizzazione di tale insegnamento, anche in relazione aHa collocazione nel quadro orario deMe Jezioni �. mento dalla legge 25 febbraio 1985, n. 121, quasi in parallelo con l'adozione della legge 11 agosto 19B4, n. 449 che ha dato � norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla Tavola Valdese�, Tanto nell'art. 9 della legge n. 449/84, quanto nell'art. 9 dell'Accordo, introdotto nel sistema con la legge n. 121/85, si dice che la Repubblica Italiana assicura l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (non universitarie) di ogni ordine e grado; nell'art. 9 della legge 121 si fa premettere, a tale affermazione, il riconoscimento del � valore della cultura religiosa � e del fatto � che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano �; si fa inoltre espresso richiamo al � quadro delle finalit� della scuola �. Dunque, l'insegnamento della religione cattolica continua ad essere impartito nelle scuole italiane ad opera dello Stato, nel quadro delle finalit� della scuola: l'insegnamento non esce dalla scuola, per tornarvi praticato soltanto nei locali di essa; quell'insegnamento continua ad essere impartito agli studenti in quanto tali, e non gi� ai ragazzi in et� scolare fuori dagli ordinari ritmi della comunit� scolastica. L'obbligo che lo Stato si � assunto con la Santa Sede, che � attuato con la legge n. 121 e che � ricognito dalla legge 449, � il medesimo obbligo preesistente: quello di insegnare la religione cattolica a scuola e agli alunni, non solo nei locali della scuola o ai ragazzi in et� scolare. Quando si sostiene che l'insegnamento della religione cattolica dovrebbe avvenire fuori dell'orario scolastico, su espressa richiesta degli alunni o .dei loro genitori, si svolge un discorso che non tien conto del dato positivo: se lo Stato si limitasse a mettere a disposizione i propri mezzi (personali e reali) per l'insegnamento in parola, fuori dell'ordinaria vita scolastica, non rispetterebbe il patto concordatario, n� le leggi citate, perch�, invece di � assicurare, nel quadro delle finalit� della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado �, finirebbe con il surrogarsi alla Parrocchia nell'organizzare corsi di catechesi aventi, di � scolastico �, non molto di pi� dei locali (la mattina adibiti a scuola e, per esempio, di pomeriggio o di sera utilizzati per il corso di catechismo): e ci� in contrasto: a) con l'impegno d'insegnare la religione cattolica a � scuola � (e non nei locali della scuola), e agli alunni (e non ai ragazzi fino a diciotto anni); b) con il riconosciuto �valore della cultura religiosa� che, come tale, ben merita di restare �a pieno titolo nel processo educativo scolastico; RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBl..LO STATO 352 Quindi, nessuna marginalizzazione dell'ora di religione ha voluto introdUNe il nuovo Concordato, considerando, anzi, la materia alla stessa stregua degli aJtri insegnamenti e demandando ad un futuro accordo fa sua , collocazione nel quadro orario delle lezioni. Accordo, peraltro, �che � stato puntualmente redatto, successivamente, tra il Miniistro della Pubblica istruzione dell'epoca e :la Conferenza episcopale e tradotto, dopo l'autorizzazione del Consiglio dei Ministri alla sottoscrizione, nel D.P.R. n. 751 del 16 dicembre 1985. Aocordo in cui, nelle premesse (2.1.), � stato esplicitamente cribadito ed ulteriormente chiarito che H diritto �Se arvvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattdlica assicurato dallo Stato non deve determinare alcuna forma di discriminazione, neppure in relazione ai criteri per la formazione delle classi, ana durata dell'orario scolastico gior e) con l'affermata ricognizione dei principi del cattolicesimo quali facenti parte del patrimonio storico del popolo italiano (e che quindi ben meritano di essere considerati nel momento formativo degli studenti); d) con l'indubbia statalit� degli insegnanti, che quindi non possono restare estranei all'organizzazione della scuola (art. 5 del Protocollo); e) con la prevista collocazione � nel quadro orario delle lezioni� (e non a margine o in appendice: art. 5 del Protocollo). Se dunque la scelta dello Stato, non certo estemporanea, n� improvvisa, n� nuova, � stata quella di impegnarsi all'insegnamento della religione cattolica a scuola (e non solo nei locali scolastici), nel quadro dell'attivit� educativa in favore degli alunni (e non dei ragazzi minori di diciotto anni) appare di assai dubbia credibilit� la pretesa sostanziale azionata dagli odierni appellati, quella cio� di far uscire l'insegnamento della religione cattolica dalla scuola per relegarlo nei locali delle scuole, e per indirizzarlo non gi� agli alunni, ma, ben diversamente, ai ragazzi minori di diciotto anni che ne facciano richiesta (quasi che la Chiesa Cattolica non avesse in Italia la capacit� di organizzarsi da sola i propri corsi parrocchiali o diocesani di catechesi!). In questo contesto va interPretata la disposizione che compare nell'art. 9 della legge 121/85, secondo cui �nel rispetto della libert� di coscienza e della responsabilit� educativa dei genitori, � garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento �. Che questo diritto sia strettamente legato allo status di studente � reso palese dal riferimento alle modalit� di esercizio, che deve avvenire �all'atto dell'iscrizione, su richiesta dell'autorit� scolastica�. La disposizione, letta nel contesto in cui � inserita, sta chiaramente ad indicare che l'organizzazione dell'insegnamento della religione cattolica precede la singola scelta individuale e ne prescinde; la scuola offre a tutti i suoi alunni detto insegnamento, e, all'atto dell'iscrizione, ciascuno � chiamato a dire se intenda avvalersene o non avvalersene. La scelta coinvolge la � responsabilit� educativa dei g�nitori �, ed � data a tutela della � libert� di coscienza �; � una scelta che ha ad oggetto un insegnamento � offerto �, e perci� gi� organizzato e previsto nei programmi curriculari; quello che l'utente fa non � di chiedere che venga attivato l'insegnamento della religione, ma di scegliere se vuole avvalersene o meno. Quando gli appellati affermano che l'art. 9 darebbe loro la mera facolt� di domandare l'insegnamento della religione cattolica per inferirne che questo non farebbe pi� parte degli insegnamenti curriculari, e quindi dovrebbe essere PAR.TB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMI~ISTRATIVA 353 naliero ed alla cdllocazione di detto insegnamento nel quadro orario delle lezioni. Specificandosi, poi, (2.2.) che neHe souole secondarie di primo e secondo gr~.do, compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, l'insegnamento della religione cattolica � organizzato attribuendo ad esso, nel quadro dell'orario settimanale, '1e ore di lezione previste dagli ordinamenti didattici attualmente in vigore, salvo successive intese. La collocazione oraria, inoltre, di tali 'lezioni � effettuata dal cape d'Istituto sulla base delle proposte del collegio dei docenti, secondo il normale criterio di equi1ibrata distribuzione delle diverse discipline nella giornata e neila settimana, nell'ambito della scuola e per ciascuna classe. Nulla di diverso rispetto a quanto sin qui ricordato si rinviene, poi, nell'intesa tra lo Stato itarliano e la Tavola Valdese di cui alla legge n. 449 dell'll agosto 1984, che ribadisce, anch'essa, il principio secondo il quale relegato, al pi�, nei locali della scuola, in orario pomeridiano e serale, esasperano il momento soggettivo della scelta e di conseguenza lo enfatizzano, scoordinandolo dall'aspetto organizzativo dell'istituzione scolastica e dall'obbligo che lo Stato si � assunto con la Santa Sede. :E!. certamente vero che ciascuno ha il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento; ma � altrettanto vero che la scelta cade su una realt� preesistente: la legge, in altre parole, non d� il diritto di chiedere che lo Stato organizzi l'ora di religione; la legge, ben diversamente, offre a tutti la possibilit� di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'ora di religione, gi� prevista dai programmi e obbligatoriamente organizzata. r * * * Questa scelta, dice la legge, non pu� � dar luogo ad alcuna forma di discriminazione� (art. 9 u.c. legge n. 121/85). :E!. logico che sia cosi, dato il coinvolgimento dei fondamentali valori della libert� di pensiero e di coscienza. La non discriminazione, se vuole essere piena e reale, oltre a:ll'esigenza del pieno rispetto della scelta operata, comporta due momenti di attenzione: al negativo, non discriminare significa non emarginare a motivo della scelta; al positivo, non discriminare significa dare l'equivalente educativo e formativo di ci� che l'interessato ha legittimamente disvoluto. L'aspetto negativo della non discriminazione � stato, per primo, considerato nell'art. 9 della legge 449/84: chi sceglie di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica non pu� trovarsi a dover subire quell'insegnamento in ma niera criptica .o subdola, o ad esser costretto ad affrontare orari discriminanti. Al positivo l'esigenza della non discriminazione richiede che non sia dato dalla scuola di meno al non avvalente rispetto a quanto � dato all'avvalente, e viceversa; e siccome la scuola d� istruzione, educazione e cultura, non discriminare significa dare al non avvalente l'equivalente di istruzione, educa zione e cultura che l'avvalente riceve dall'insegnamento della religione; e, vice versa, dare all'avvalente l'equivalente di ci� che � dato all'altro. L'esigenza di impostare l'organizzazione in modo che l'ovvia necessit� di non discriminare trovasse piena attuazione, nella sua duplice valenza oggettiva e soggettiva (che impone una sostanziale parit� di trattamento tra gli avva lenti e i non avvalenti) ha trovato considerazione nella stessa legge 121, che ha segnato le direttive generali dell'azione successiva. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBU.0 STATO 354 la Repubblica Italiana, nell'assicurare l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, materne, elementam, medie e secondarie superiori, riconosce agli alunni di dette scuole, al fine di garantire la libert� di coscienza di tutti, il diritto di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso, per loro dichiarazione, se maggiorenni o, altrimenti, per dichiarazione di uno dei loro genitori. Ed aggiunge che, per dare reaile efficacia all'attuazione di tale diritto, l'ordinamento scolastico provvede a che l'insegnamento ireligioso ed ogni eventuale pratica religiosa, nel.'la classe in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersene, non abbiano �luogo in oocasione dell'insegnamento di altre materie, n� secondo orari che abbiano per detti alunni effetti comunque discniminanti. Da richiamare, infine, ancora sull'argomento fa legge 18 giugno 1986, n. 281, �secondo cui (art. 3) le scelte 'in ordine ad .insegnamenti opzionali Il problema, che il Legislatore ha espressamente considerato, era quello di adeguare. l'organizzazione preesistente dell'insegnamento religioso al � garantito diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento � pur rimanendo questo � nel quadro delle finalit� della scuola,. e nella scuola; la legge 121, peraltro, apprezza la complessit� del tema a livello operativo; e infatti il Protocollo addizionale, il quale � parte della legge 121, mentre chiarisce che la religione cattolica � impartita � in conformit� alla dottrina della Cihesa " (cosi ribadendo la vocazione prettamente educativa della materia, escludendo che essa sia ridotta ad insegnamento sulla religione e cio� ad un capitolo di storia) e � nel rispetto della libert� di coscienza degli alunni � (che vanno � educati �, e non �costretti�), prevede che una successiva intesa bilaterale tra l'Autorit� scolastica e la Conferenza Episcopale determini i vari aspetti di quell'insegnamento (i programmi, le modalit� di organizzazione, la collocazione nel quadro orario delle lezioni, i criteri per la scelta dei libri di testo, i profili della qualificazione professionale degli insegnanti). Questi vari aspetti sono rimessi alla successiva Intesa perch� propongono temi prevalentemente operativi; la cornice entro la quale detti aspetti sono destinati a trovare concreta disciplina � chiaramente fissata dalla legge 121, la quale, come si � accennato, vuole l'insegnamento religioso a scuola, nel quadro delle finalit� di essa, come insegnamento specialmente formativo ed educativo, nel pieno rispetto della coscienza di coloro che se ne avvalgono (che vanno educati, ma non �costretti�) e di coloro che non se ne avvalgono (che non devono trovarsi a subirlo subdolamente o cripticamente). L'importanza dell'Intesa, destinata a rappresentare il momento attuativo ed operativo dei princ�pi del Concordato, non poteva ovviamente sfuggire nelle sedi istituzionali; e infatti, gi� nella seduta del 20 marzo 1985, in occasione del definitivo esame della legge di ratifica ed esecuzione dell'Accordo, la Camera dei Deputati impegn� il Governo � a sottoporre preventivamente al Parlamento ogni proposta o ipotesi di intesa concernente... l'attuazione di principi sanciti dall'accordo concordatario al fine di consentire alle Camere di esercitare in tempo utile i propri poteri di indirizzo� (Atti Camera IX Legislatura pag. 26241). Il Ministro della Pubblica Istruzione, quindi, port� all'esame del Parlamento lo schema dell'Intesa con la CEI in corso di perfezionamento: questo esame inizi� il giorno 10 dicembre 1985 davanti all'VIII Commissione permanente della Camera (Bollettino Commissione, pag. 73). PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDBNZA AMMINISTRATIVA 355 e ad ogni altra attivit� culturale e formativa sono effettuate personalmente dallo studente. Da sottolineare, infine, per quanto pu� valere sulla complessiva interpretazione del sistema, la mozione parlamentare della Camera dei Deputati del 16 gennaio 1986, la quale, tra l'altro, impegna il Governo a fissare natura, indirizzi, modalit� di svolgimento e di valutazione delle attivit� cultua:-alii e formative offerte dalla scuola nei suoi diversi gradi a chi intende non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, al fine di assicurare la scelta tra alternative entrambe note e definite predisponendo, entro il 30 aprile, le misure di conseguenza necessarie, anche con eventmtle provvedimento di legge. 4) Cos� ricostruito il complessivo sistema normativo, la sua interpretazione, letterale, logica, storica e sistematica, ad opinione del Col e in questa sede che per la prima volta si delinea il problema della c.d. alternativa da offrire a coloro che abbiano scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. Il tema trova una certa attenzione nelle sedute dell'll e del 12 dicembre 1985 (Giurite e Commissioni, pag. 24 segg.; Bollettino Commissioni, pag. 38 segg.), ma � trattato ad un livello, per cosi dire, problematico, domandandosi, pi� che affermando, da alcuni degli oratori, se non sia il caso che la scuola offra al non avvalente una qualche � alternativa �; dagli interventi traspare, da un lato, che il tema non � considerato di pressante urgenza e dall'altro che esso potr� essere esaminato in occasione della riforma della scuola. Quello che preme ai deputati, intervenuti nel dibattito, � sottolineare l'esigenza che l'Intesa rispetti il Concordato e che la scelta garantita da questo non sia, di fatto, sterilizzata a mera domanda di esonero. Il Ministro della Pubblica Istruzione propone, dunque, al Consiglio dei Ministri di essere autorizzato a firmare l'Intesa; il Consiglio dei Ministri auto-� rizza nella riunione del 14 dicembre 1985, e pertanto l'Intesa viene sottoscritta nella medesima data, ed ottiene la �piena ed intera esecuzione" con D.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751. A questo punto il Ministro adotta la prima circolare sull'insegnamento della religione, in data 20 dicembre 1985, n. 368; con essa si dispone in ordine alle modalit� della scelta, alla formazione dell'orario settimanale, ai programmi, ai libri di testo, nell'intenzione di dare operative disposizioni in attuazione delle nuove norme; e si fa un cenno in ordine all'alternativa, dove si dice che � la scuola... assicura agli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica ogni opportuna attivit� culturale e di studio con l'assistenza degli insegnanti, escluse le attivit� curriculari comuni a tutti gli allievi �. Si dice ancora nella circolare che ii diritto di scelta va esercitato all'atto della iscrizione, cio� (per le prime classi della materna, dell'elementare e della media) entro il 25 gennaio 1986. Si dispone, ancora, che l'orario settimanale dell'insegnamento religioso, che � quello vigente, possa, per l'elementare e la materna, essere frazionato in periodi inferiori all'ora. Questa circolare ha l'effetto di portare alla diretta attenzione di tutte le componenti sociali e politiche il problema dell'insegnamento religioso; l'impatto � di enorme portata. Piovono le osservazioni, le critiche, le proteste, le adesioni; c'� chi imputa al Ministro di non aver rispettato l'Intesa, e chi si duole della eccessiva corrivit�; vi sono molti che sostengono che il non avvalente ha diritto 356 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBJ.J..O STATO legio, porta, in sintesi, a ritenere ohe l'insegnamento deMa religione cattolica nelle ,scuole secondarie non universitarie sia, oggi, materia curriculare, che lo Stato � obbligato a praticare in quanto ritenuta attinente alle finalit� della scuola ed in quanto inerente al patrimonio storico del popdlo italiano. Trattasi, peraltro, di insegnamento facoltativo, nel solo senso, per�, ohe � data facolt� aglli �a<lunni di non avvalersene per loro libera scelta o, se minori, nella scuola secondaria inferiore e ne1la scuola elementare e materna, per sce'lt:a di uno dei genitori esercente la potest� genitoriale; purtuttavia, esso contribuisce alla determinazione del complessivo quadro orario, dal che consegue che la scuola � tenuta ad offrire in alternativa ai non avvalenti altro insegnamento, ovvero attivit� culturali e formative equivalenti, che, una volta esercitata l'opzione, � obbligatorio frequentare. di starsene a casa durante l'ora di religione, e molti che affermano essere diritto del non avvalente di stare a scuola, impegnato in una dignitosa attivit� alternativa; c'� chi si duole di non poter scegliere se avvalersi o non avvalersi, perch� non gli viene spiegato il contenuto dell'alternativa, e chi osserva che la scelta non pu� considerarsi risolutivaraente condizionata dai contenuti dell'alternativa: sorgono, insomma, le pi� varie e disparate proteste, e le pi� articolate dichiarazioni di adesione. Il tema torna in Parlamento, e il dibattito si focalizza sulla circolare n. 368, pur non mancando le prevedibili voci di chi si perita di ridiscutere l'Intesa: nella seduta del 15 gennaio 1986 (Atti Camera, Resoconto sommario n. 416, pag. 4 segg.) prendono la parola quasi tutte le parti politiche, chi rimettendo in discussione addirittura il Concordato, chi criticando l'intesa, chi limitandosi a parlare della circolare 368; emergono due posizioni fondamentali, che rispecchiano altrettante impostazioni culturali: da tutti si sostiene che ai non avvalenti vada data una concreta attivit� alternativa, ma alcuni affermano e altri negano che la qualit� dell'alternativa possa condizionare la scelta tra l'avvalersi o il non avvalersi dell'insegnamento religioso. La Camera adotta una Risoluzione che � impegna il Governo a fissare natura, indirizzi e modalit� di svolgimento e di valutazione delle attivit� cultu rali e formative offerte dalla scuola... a chi intenda non avvalersi dell'insegna mento della religione cattolica, al fine di assicurare la scelta tra alternative entrambe note e definite ... �; nel frattempo il termine per la scelta deve essere differito; l'ora di religione e dell'attivit� alternativa vanno collocate � entram be� nell'ora iniziale o finale delle lezioni; entrambe devono essere valutate su � apposito modulo distinto dalla pagella�. La Risoluzione parlamentare �, ovviamente, un atto politico; l'opinione che in essa si esprime non vincola in termini giuridici; ma il Ministro si pone subito all'opera nel rispetto delle indicazioni avute: sposta il termine delle iscri zioni, d� impulso agli atti indicati nella Risoluzione e pone allo studio, in ter mini operativi concreti, l'organizzazione dell'attivit� alternativa. Di questa si parla ampiamente alla Camera (VIII Commissione permanente) e al Senato (Istruzione, 78); nel dibattito torna a prevalere l'opinione che l'attivit� alterna tiva non � elemento indispensabile per l'esercizio del diritto di scelta dato dalla legge; essa � senz'altro da dare al non avvalente, ma � impossibile organizzarla, in ogni dettaglio, senza sapere a quanti sar� destinata, e senza che gli organi collegiali delle singole scuole e dell'apparato scolastico possano pronunciarsi; � PARm I, SEZ. V, GIU�u:SPRUDBNZA AMMINISTRATIVA 357 La scelta tra l'avvalersi ed il non avvalersi dell'insegnamento in discorso non deve portare aid alcuna forma di discriminazione o differenziazione tra gli alunni; H che implica, tra l'altro, un equilibrato inserimento della materia con le altre discipline della giornata e della settimana �scolastica per ciascuna Classe, senza alcuna marginalizzazione. L'obbligo della frequenza delle attivit� alternative non deve risolversi, in concreto, in un'<ingiustificata forma di discriminazione, in relazione aihle materie ed alle pratiche offerte ai non avvalenti; esso, peraltro, in s�, non � discriminatorio, dal momento che evita un disvalore asso� luto quafo sarebbe il dirotto non gi� di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica � ma di potersi disimpegnare a volont� da qualsiasi altra :attivit� alternativa e sostitutiva �. 5) In contrasto con quanto precedentemente riassunto, gli or1gmari ricorrenti, attuali appellati e con essi il T.A.R., hanno ritenuto che non invece opportuno che si delineino subito, con la concretezza del caso, le ridette alternative, tenendosi conto delle esigenze dei vari ordini e gradi di scuola, affinch� tutti abbiano la certezza che la lorv scelta (l'unica che la legge accorda: avvalersi, oppure non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica) non dar� luogo a discriminazione alcuna, e che vi sar�, per chi non si avvale dell'insegnamento religioso, una reale alternativa (Bollettino Commissioni Camera, seduta 19 febbraio 1986, pag. 60; Giunte e Commissioni Senato, seduta del TI febbraio, 6 marzo, 29 aprile 1986, pagg. 26 segg., 15 segg., 3 segg.). In questo ampio dibattito parlamentare sull'attivit� alternativa emerge la convinzione che l'organizzazione di essa vada subito garantita, ma vada attuata, attraverso la partecipazione degli Organi collegiali, dopo l'avvenuta scelta, quando si conosca la dimensione quantitativa delle esigenze da soddisfare, per ogni singola realt� scolastica. Emerge anche l'opportunit� di adoperare gli strumenti legislativi gi� in vigore (quelli cio� delia legge 517/77) per le elementari e le medie. Cqsl, il 3 maggio 1986, il Ministro adotta le quattro circolari 128, 129, 130, 131, rispettivamente per la materna, l'elementare, la media, la secondaria, nelle quali l'attivit� alternativa per i non avvalenti � garantita come segue: a) per la materna: attivit� nel quadro degli Orientamenti in vigore, da definire, entro il primo mese dall'inizio della scuola, dal Collegio dei docenti, sentiti i genitori; tali attivit� si collocano contestualmente all'insegnamento religioso, di preferenza all'inizio o alla fine dell'orario giornaliero di funzionamento della scuola; b) per l'elementare: attivit� educative, da definire entro il primo mese dall'inizio delle lezioni dai Consigli di interclasse, sentiti i genitori; tali attivit� vengono � realizzate nel quadro di quanto previsto dall'art. 2 della legge 4 agosto 1977, n. 517 �; devono concorrere al processo formativo della personalit� degli alunni � e saranno particolarmente dirette all'approfondimento di quelle parti dei programmi pi� strettamente attinenti ai valori della vita e della convivenza civile�; la collocazione oraria � quella sopra ricordata sub a); e) per la media: attivit� formativa, da definire entro il primo mese dall'inizio delle lezioni dai Collegi dei docenti, sentiti i genitori; queste attivit� sono realizzate � nel quadro di quanto previsto dall'art. 7 della legge 4 agosto 1977, n. 517 �; esse �devono concorrere al processo formativo della personalit� degli allievi e saranno particolarmente rivolte all'approfondimento di quelle RASSEGNA DEIJ.'AVVOCATURA DELLO STATO 358 sarebbe consentito imporre, a chi intenda non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, la scelta di altro insegnamento o di altra attivit� o pratica culturale alternativa. L'insegnamento della .religione cattolica avrebbe, infatti, perduto il carattere della obbligatoriet� in virt� della legge n. 121/85 e della legge n. 449/84, per cui sarebbe manifestamente illogico ed intimamente contraddittorio prevedere come obbligatoriet� la frequenza a corsi di dnsegnamento alternativi rispetto al primo, sicch� l'alternativa ad una facolt� verrebbe, in effetti, a convertirsi in un obbligo; e poich� questo investirebbe solo i non avvalenti, sairebbe manifesta la discriminazione da essi patita, in palese contraddizione colle disposizioni di cui alle leggi sopracitate. Anche se apparentemente suggestiva, la tesi non � condivisibile, dal momento che la questione cos� come risulta prospettata, in termini, cio�, parti dei programmi di storia e di educazione civica pi� strettamente attinenti alle tematiche relative ai valori fondamentali della vita e della convivenza civile�; d) per le superiori: attivit� culturali e di studio programmate dal Collegio dei docenti; esse devono concorrere al processo formativo della personalit� degli alunni; � saranno particolarmente rivolte all'approfondimento di quelJle parti dei programmi... che hanno pi� stretta attinenza con i documenti del pensiero e dell'esperienza umana relativi ai valori fondamentali della vita e della convivenza civile �; chi non vuole seguire queste attivit� culturali, potr� dedicarsi allo � studio individuale�. Poco dopo vengono approvate le � specifiche e autonome attivit� educative in ordine all'insegnamento della religione cattolica� nella scuola materna (D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539) ed � emanata la legge 18 giugno 1986, n. 281. Questa legge riconosce agli studenti delle superiori il diritto di scegliere �personalmente se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica� ed aggiunge che � le scelte in ordine ad insegnamenti opzionali e ad ogni altra attivit� culturale e formativa sono effettuate personalmente dallo studente� (art. 1, 3� comma). Segue la circolare 211/86 che, tra l'altro, ribadendo l'esigenza che le attivit� alternative siano programmate � subito� � appena iniziato l'anno scolastico �, ricorda che tali attivit� sono svolte dai docenti in servizio (anche DOA) nei limiti dell'orario di servizio; in mancanza pu� farsi ricorso al lavoro straordinario (con il consenso dei docenti); in mancanza, possono assumersi supplenti. Con successiva circolare, la n. 302/86, il Ministero chiarisce che tutti gli alunni hanno il diritto-dovere di fruire di eguale � tempo-scuola �; il non avva� lente ha dunque il diritto-dovere di frequentare l'attivit� alternativa, cosi come l'avvalente ha il � diritto-dovere � di frequentare l'ora di religione. I docenti, si afferma inoltre, hanno il dovere di dedicarsi all'attivit� alternativa, nei limiti dell'orario di servizio, ex art. 88 D.P.R. n. 417/74. L'ultima circolare in argomento � la n. 11 del 21 gennaio 1987: con essa si dispone che tanto l'insegnamento della religione cattolica quanto l'attivit� alternativa sono oggetto di valutazione, da predisporre su una nota personale allegata alla pagella (o alla �scheda�) firmata dal docente e vistata dal capo d'Istituto; quando l'attivit� � svolta da docenti � non della stessa classe o da supp!ente appositamente nominato� questi docenti hanno titolo per partecipare PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 359 semplicemente di facoltativit� o di obbligatoriet�, implica un'impostazione riduttiva del problema dell'insegnamento della religione cattolica, soprattutto se considerato alla stregua dei due indicati criteri che, nelle premesse deH'art. 9 del Concordato irinnovato, sorreggono fa motivazione dell'obbligo dello Stato a continuare a prestare l'insegnamento medesimo nelle scuole di ogni ordine e grado a <:arattere non universitado. D'altra parte, a ben riflettere, appare evidente il sa:lto logico insito nella tesi qui ciriticata, dato che, tanto la legge n. 449/1984, tanto la legge n. 121/85, prevedono soltanto il d~ritto di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso svolto normalmente nelle scuole non universitarie; diritto valevole, ovviamente, anche per chi � di fede cattolica. Nulla � previsto, invece, in relazione alle opzioni alternative da offrire a chi dichiara di non volersi avvalere -di detto insegnamento, n� in merito alla obbligatoriet� o meno di sottostare a tali alternative, che si al consiglio di classe o di interclasse; si chiarisce, infine, che per gli studenti delle superiori che abbiano scelto lo studio individuale viene rilasciata apposita attestazione dalla scuola. Il problema di fondo che il Consiglio di Stato � chiamato ad affrontare ha ad oggetto il quesito � se dal ricordato complesso di disposizioni risulti operata una discriminazione in danno di coloro che hanno esercitato il diritto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica �. Se la questione si imposta senza enfasi, risulta subito evidente che il tema di indagine porta necessariamente all'esame del quesito �se sia stato assicurato ai non avvalenti un trattamento equivalente a quello garantito agli avvalenti �. Per rispondere al quesito bisogna considerare non solo ci� che � dato a chi non si avvale dell'insegnamento della religione cattolica, ma, prima di tutto, ci� che � dato a chi se ne avvale. � sicuro che la Scuola italiana, come quella di ogni Nazione civile, non ha solo una funzione di istruzione, n� � � fabbrica di nozioni�; la vocazione educativa della Scuola risponde alla logica della sua stessa ragion d'essere e trova comunque coerente riscontro positivo nell'impostazione dei programmi e nelle affermazioni legislative che hanno dato vita ai singoli ordini e gradi. Vi sono, per cos� dire, due momenti nei quali la Scuola svolge la sua coessenziale funzione educativa: uno � quello della stessa aggregazione dei gruppi nella comunit� scolastica, che impegna al reciproco rispetto, alla convivenza, alla solidariet�; l'altro � quello dei singoli insegnamenti, ognuno dei quali � voluto, dai singoli programmi, come rivolto non solo a dare nozioni, ma a formare i giovani: i quali non sono �vasi da riempire�, ma � fuochi da accendere�. Nel quadro della finalit� educativa e formativa della Scuola italiana, alcune materie hanno, � vero, una consistenza in cui l'aspetto informativo prevale su quello educativo; ma ve ne sono altre in cui la vocazione educativa nettamente fa premio su quella � istruttiva �. La religione cattolica � una di queste: e non perch�, si badi, 10 Stato italiano voglia che dalla sua Scuola escano dei buoni cristiani, ma perch� i principi fondamentali del cattolicesimo � fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano �. Se si scorrono i programmi vigenti dell'insegnamento religioso, ci si avvede che esso � intende contribuire all'armonico ed integrale sviluppo dell'alunno� (D.P.R. 30 giugno 1967, n. 756, per le Superiori; analoghe proposizioni si leggono nel vigente D.P.R. 21 luglio 1987, n. 339, e nel D.P.R. 21 luglio 11 RASSEGNA DBI.J..'AWOCATURA DELLO STATO 360 evince invece considel"ando l'intero sistema, dovendo la scuola, per la quale peraltro l'irtsegnamento della religione cattolica � oggettivamente obbligatorio, adopera!1Si per evitare ogni forma di discriminazione sia dei non avvalenti, sia per coloro che abbiano, invece, scelto di avV1alersi del- 1'.insegnamento stesso. Del resto, anche alla stregua. del precedente ordinamento, l'insegnamento della religione cattolica finiva per avere riconosciuto il carnttere della facoltativit�, sotto il profilo soggettivo, avendo la giurisprudenza ritenuto di consideriare l'esonero come un vero e proprio diritto soggettivo. Si trattava, per�, di una facoltativit� che implicava, quella s�, una macroscopica discriminazione, proprio perch� imponeva all'esonero un dovere di non frequenza e cio� un'espulsione, sia pure temporanea, dalla comunit� scolastica. 1987, n. 350 relativo alla scuola media :inferiore), nel riconoscimento �dei valori religiosi nella vita dei singoli e della societ� ... � (perch�) �la realt� religiosa � un dato storicamente, culturalmente e moralmente incarnato nella realt� sociale in cui il fanciullo vive� (D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104, per le Elementari); fin dai primi anni il bambino va educato � agli aspetti universali della religiosit�,. valorizzandosi � il messaggio evangelico dell'amore, della fratellanza, della pace� (D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539, per la Materna). Che l'insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana avvenga �in conformit� alla dottrina della Chiesa� � sicuro; ma � altrettanto sicuro che di questa dottrina � valorizzato l'aspetto educativo nella sua dimensione, per cos� dire, � apollinea� e luminosa, di universale solidariet� e amore. Se si fa attenzione ai dati positivi dei programmi ministeriali, ci si accorge che l'aspetto rigorosamente confessionale della dottrina sfuma in favore dell'educazione dell'alunno ai valori fondamentali della nostra cultura; nei programmi in esame non c'� il buio angosciante di antiche impostazioni quasi dionisiache, n� c'� il medioevale � cupio dissolvi �; non si valorizzano l'aspetto della �colpa�, il senso del peccato, l'orgoglio del possesso privilegiato della verit�; vi sono, invece, la luce dell'amore e dell'universalit�, i sentimenti della comprensione e della solidariet�, il senso della vita, della fratellanza e della pace. Se, dunque, a chi si avvale dell'insegnamento della religione cattolica (secondo la dottrina di una Chiesa postconciliare che ha nettamente superato, nella �evoluzione interna del dogma�, di cui parlano i suoi teologi, certe antiche insofferenze e tenebrose cupezze) � dato un momento scolastico di netta prevalenza dell'aspetto educativo in ordine ai valori fondamentali dell'umanit�, della pace, della solidariet�, dell'amore, il giudizio di equivalenza rispetto al trattamento dei non avvalenti va svolto considerandosi se a costoro sia riservato un analogo momento formativo-educativo. Ovvio � che l'identit� � impossibile, giacch� l'insegnamento religioso � l'unico capace di fondare l'etica sul soprannaturale, e quindi di ancorare le regole del comportamento sociale alla placida certezza di una verit� immutabile, laddove qualunque altra disciplina le medesime regole non pu� non formulare come conquista del razionale, cio� dell'umano, sulla stimolante angoscia del dubbio. La Scuola non � chiamata a risolvere il problema di coscienza che ogni genitore dovrebbe porsi in ordine alla scelta educativa dei figli nel momento pi� intimo, che � quello di decidere se l'educazione debba trovare fondamento metafisico, oppure soltanto razio PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 361 Partendo dal presupposto, orm�i generalmente riconosciuto, che la scuo'la d� cultura e che ogni forma di insegnamento in essa praticato contribuisce all'elevazione spirituale ed etica dell'allievo, era ohiaira la discriminazione per l'esonerato, costretto ad av�valersi del servizio per un tempo .inferiore a quello riservato ag1i altri allievi e tenuto addirittura fuori daHa comunit� scolastica. Diversa, invece, � la situazione derivante dal Concordato revisionato, in base al quale il non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica non � considerato un disvalore, bens� costituisce l'esercizio di un diritto soggettivo ed implica l'u1teriore pretesa, costituente ranch'essa un vero e proprio diritto a non essere, perci�, discriminati con l'esclusione dalla comunit� scolastica, ma a poter usufruire di un tempo scuola non inferiore rispetto a quello praticato agli avvalenti. nale; la Scuola interviene quando, operata la scelta di fondo, a ciascun alunno va data la stessa attenzione educativa e formativa. Se si guardano le circolari del maggio 1986, ci si avvede che le attivit� alternative hanno tutte, e per ogni ordine di scuola, la medesima vocazione educativa e formativa dell'insegnamento della religione cattolica: queste attivit� sono tutte dichiaratamente indicate tra quelle � pi� strettamente attinenti ai valori della vita e della convivenza civile>>, o � alle tematiche relative ai valori fondamentali della vita e della convivenza civile>>, o, � dovendo concorrere al processo formativo della personalit� degli alunni>>, � saranno particolarmente rivolte all'approfondimento di quelle parti dei programmi... che hanno pi� stretta attinenza con i documenti del pensiero e dell'esperienza umana relativi ai valori fondamentali della vita e della convivenza civile�. Se dunque i programmi di religione sono mirati all'educazione e alla formazione del giovane nella sua dimensione sociale, non pu� dirsi sostanzialmente diversa da tale finalit� -e quindi discriminante -l'impostazione dell'attivit� alternativa, riservata a chi, avendo scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, � nondimeno destinato a ricevere, con lo stesso impegno, l'attenzione dell'opera educativa e formativa dello Stato. * * * Anche il TAR ammette che �:l'insegnamento religioso cattolico... non ha cessato di essere materia collocantesi nel normale quadro orario delle lezioni �; ed � logico che sia cos�, data la vocazione formativa di tale insegnamento la quale, a pieno titolo, lo rende degno di partecipare al momento dell'educazione e dell'istruzione, � nel quadro delle finalit� della scuola � (art. 9 legge n. 121/85) per il riconosciuto �valore della cultura religiosa� (art. 9 cit.). L'aggiuntivit� dell'insegnamento religioso rispetto agli altri insegnamenti curriculari non va dunque vista in relazione alla funzione formativa, educativa ed istruttiva che la legge gli assegna ma, ben diversamente, ai contenuti che liberamente possono essere voluti o disvoluti. Ci� che l'ordinamento riconosce a tutti � il diritto d'avvalersi o di non avvalersi del ridetto insegnamento ma non certo il diritto di rinunciare ad una porzione del tempo-scuola. Se la scuola realizza la sua funzione attraverso dei ritmi temporali .che � la legge ad indicare (i c.d. orari minimi: art. 9 della legge 9 agosto 1978, n. 463, per la Materna; art. 88 D.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, per l'Elementare; art. 3 della legge 31 dicembre 1962, n. 1859, come modificato dall'art. 2 della legge 16 giu 362 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ.O STATO Come ben messo in evidenza dall'Avvocatura dello Stato, l'insegnamento della religione cattolica non � oggi un quid pluris, un qualcosa, cio�, di aggiuntivo per gli alunni che di tale insegnamento intendano avvalersi, bens�, come osservato precedentemente, un valore culturale e didattico riconosciuto dalla scuola, che il giovane ha non solo iil diritto ma .anche il dovere di acquisire (ovviamente fatta salva la sua libert� di coscienza in materia) per la realizzazione delle finalit� della scuola che devono essere, indefettibilmente, perseguite in conformit� dell'orario curriculare. Per non discriminare, pertanto, il non avvalente, appare necessario offrirgli un'alternativa che abbia il massimo possibile di equivalen2la, sotto ii profilo del valore didattico e formativo, dell'insegnamento della religione cattolica, in modo da attuare, anche per esso, il principio so-� lennemente enunciato nel primo inciso del punto 2 dell'art. 9 del nuovo I gno 1977, n. 348, per la Media; art. 47 R.D. 30 aprile 1924, n. 965, che fa rinvio f, ai singoli decreti di approvazione degli orari e dei programmi dei vari tipi r: di scuola: per esempio, D.P.R. 1� maggio 1972, n. 825, per le Superiori) e se I l'insegnamento religioso � ed � rimasto ad occupare una o due di quelle ore, non � assolutamente lecito dire che il tempo-scuola si � ridotto di una o di due i ore per effetto del diritto di scelta a ciascuno accordato in ordine all'insegna f: mento in questione; chi sceglie di avvalersene fruisce di un insegnamento ):' curriculare perch� � nei programmi e nell'ordinario tempo scolastico; chi non ~ f ' se ne avvale esercita il �diritto di non fruire di tale insegnamento, ma non I f: gi� di rinunciare ad una parte del tempo-scuola. La legge permette a ciascuno, sul piano soggettivo, di credere o non cre dere al �valore della cultura religiosa �; di confidare o non confidare nella validit� di un insegnamento religioso impartito dallo Stato; di dubitare della I coerenza di un apparato laico che si fa maestro di dottrine trascendenti; di ~� non guardare con favore l'atteggiamento di una Scuola di tutti che insegna ad I onorare il Dio di alcuni; di aver paura di un � Dio obbligatorio �; di comporff tarsi di conseguenza sul piano della scelta individuale; ma ci� che la legge non f ~ d� di mettere in discussione � la valutazione legislativa dei ritmi necessari per la realizzazione del fine formativo ed educativo della Scuola. Le ripetute norme neoconcordatarie, cos� come l'art. 9 della legge 449/84, danno il diritto di scelta tra l'avvalersi o il non avvalersi del ridetto insegnamento, non tra l'avvalersi e il non avvalersi di una porzione del tempo normativamente stabilito per il processo formativo ed educativo della scuola. In una parola, ogni alunno deve essere a scuola per il tempo minimo previsto dai programmi; di una por zione di quel tempo ciascuno pu� legittimamente disvolere i contenuti curricu lari; e siccome si � dichiaratamente superato il sistema della dispensa, quel disvolere non pu� pi� significare mera assenza; l'alunno, che disvuole i conte nuti dell'insegnamento religioso, ha oggi il diritto (e il dovere) di aspettarsi dallo Stato (e di dedicarsi a) qualcosa di equivalente a quello che ricevono coloro che abbiano invece scelto di avvalersi dell'ora di religione. Una delle novit� del sistema neoconcordatario � proprio questa: fermo l'insegnamento religioso nel quadro delle finalit� della scuola, e nel curriculum scolastico, fermi il valore della cultura religiosa e la vocazione educativa e formativa di quell'insegnamento, chi sceglie di non avvalersene non � visto come un �dispensato�, ma come uno che, avendo esercitato un diritto, non va sotto . . ..lit . , .. ,;.,, .x PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 363 Conco1idato, secondo cui la Repubblica �riconosce il � valore � della cultura religiosa. D'altra parte, poi, se si volesse aderire alla tesi prospettata dagli appellati, cui � sottesa la inammissibile concezione della scuola non come luogo di cultura e di formazione, ma come luogo di sofferente costrizione, allora la discriminazione si realizzerebbe per coloro che dell'insegnamento della �religione cattolica abbiano dichiarato di volersi avvalere, perch� ad un maggior onere di orario per essi deriverebbe un maggior sacrificio di carattere personale. Inoltre, se cos� fosse, si f�avorirebbe un mascherato disimpegno dalla frequenza dell'insegnamento della religione cattolica che ne usciTebbe mat; ginalizzata; cosa certamente non voluta dal nuovo Concordato e che, oltrettutto, vanifioherebbe il riconoscimento da parte dello Stato del va:lore della cultura .religiosa. posto ad alcuna forma di discriminazione, c10e uno che non deve avere n� di pi� n� di meno di quello che gli altri ragazzi, in quanto alunni, hanno nell'organizzazione scolastica. Non deve stupire allora che, tra le soluzioni possibili, lo Stato abbia fatto sua quella di cui oggi si parla, e cio� abbia dato l'attivit� alternativa al non avvalente nel tempo e per il tempo concesso all'avvalente. La risposta data dallo Stato al grave problema nei termini predetti, di confermare l'identit�, per ciascuno, del tempo-scuola, la cui obbligatoriet� deriva dalla valutazione legale dei ritmi quantitativi del processo educativo, � coonestata dalla legge 18 giugno 1986, n. 281, alla quale il TAR non ha prestato alcuna attenzione. Questa legge dispone nell'art. 1 che � gli studenti della scuola secondaria superiore esercitano personalmente all'atto dell'iscrizione... il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della reli gione cattolica�. Aggiunge l'art. 1 che � le scelte in ordine ad insegnamenti opzionali e ad ogni altra attivit� culturale e formativa sono effettuate perso nalmente dallo studente. I moduli relativi alle scelte di cui ai precedenti commi devono essere allegati alla domanda di iscrizione �. Questa legge dimostra senza ombra di dubbio quantomeno una cosa: e cio� che la soluzione data al pro blema da parte dell'Amministrazione scolastica era una delle soluzioni possi bili, cio� consentite dal nuovo sistema normativo; forse l'unica; certo la pi� opportuna, se . si considera che dare a tutti l'eguale significa, nell'organizza zione della scuola, dare a tutti gli stessi doveri e gli stessi diritti in ordine al processo di apprendimento e di educazione. E se l'avvalente riceve dalla scuola istrtizione e cultura per 24 o per 30 ore settimanali, anche il non avvalente ha il diritto e il dovere di ricevere dalla scuola istruzione e cultura per 24 o per 30 ore settimanali, in difetto di che sia l'avvalente che il non avvalente -a seconda del punto di vista -si vedrebbero l'un l'altro con (( un'ora di meno �, o con � un'ora di pi� �: la logica un po' curiosa di chi valuta � mezzo vuoto � o � mezzo pieno � il bicchiere colmo a met�, a seconda delle sue soggettive inclinazioni, non pu� trovare alcuno spazio in un tema tanto grave. Non �, insomma, una frazione di tempo ci� che la legge consente di volere o non volere; �, ben diversamente, H contenuto curriculare di quella frazione di tempo, cio�, appunto, l'insegnamento della religione cattolica. * * * Secondo il TAR colui che sceglie di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica dovrebbe essere considerato libero di starsene a casa du RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 364 Occorre, poi rilevare, come sottolineato da autorevole dottrina, che oggi il sistema appare,. tra l'.altro, aperto alla possibilit� di un insegna� mento sulla religione introdotto dallo Stato nella sua sovrana autonomia non avente oarattere confessionale. Insegnamento che potrebbe raocordaire, efficacemente, i due parametri introdotti dall'art. 9 del nuovo Concordato: vale a dire quello della ritenuta essenzialit� dell'approccio con la problematica religiosa per il perseguimento delle fina1it� pTOprie della scuola, che presuppone la non facoltativit� dell'approccio stesso attraverso un insegnamento curricu� fare e quello della confessionalit� dell'insegnamento della religione cattolka, che presuppone la non obbligatoriet� della sua frequenza dal punto di vista soggettivo dello studente, ma al tempo stesso la sua ritenuta idoneit� a soddisfare ana pi� generale esigenza didattica dell:a scuola nei confronti del fenomeno religioso. rante l'ora di religione: e questa libert� deriverebbe, in particolare, dalla corretta interpretazione dell'art. 9-della legge 11 agosto 1984, n. 449. Questa norma dispone che � nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato � di non avvalersi ddle pratiche e dell'insegnamento religioso cattolico � l'ordinamento scolastico provvede a che l'insegnamento religioso ed ogni eventuale pratica religiosa ... non abbiano luogo in occasione dell'insegnamento di altre materie, n� secondo orari che abbiano per detti alunni effetti comunque discriminanti�: dunque, secondo il TAR, mentre si svolge l'ora di religione, il non avvalente dovrebbe non essere costretto a stare a scuola per l'attivit� alternativa. Questa interpretazione non pu� assolutamente essere condivisa, neppure se fosse possibile leggere la norma in modo del tutto avulso dal sistema nel quale essa � inserita, di cui gi� s'�. detto. Ai fini della retta interpretazione della ripetuta norma, non si pu� comun� que prescindere dalla considerazione del contesto in cui la disposizione andava ad inserirsi anche se potesse ignorarsi la successiva normazione. All'epoca, come si � ricordato, l'insegnamento della religione cattolica, con le sue pratiche di culto, costituiva il � coronamento � dell'educazione del cittadino, ed era impartito, specie nella scuola materna e nena scuola elementare, in modo che ad alcuni appariva �diffuso e pervasivo �. Vigeva, bensi, all'epoca l'istituto della � dispensa '" in virt� del quale chiunque ne facesse richiesta aveva il diritto di essere esonerato dall'insegnamento della religione cattolica; ma da molte parti veniva segnalato che la dispensa non raggiurigeva pienamente il suo scopo, perch�, specialmente per la �materna� e I'� elementare�, i programmi erano nel loro complesso � imbevuti � di cattolicit� (si vedano in proposito le dichiarazioni di principio contenute nel D.P.R. 10 settembre 1969, n. 47 per la materna; nel D.P.R. 14 giugno 1955, n. 503, per le elementari). La preoccupazione del legislatore del 1984, in un momento in cui peraltro era gi� stato firmato l'accordo del 18 febbraio 1984 con la Santa Sede (che sostituiva l'antico sistema della dispensa con il pi� moderno strumento della �scelta�) era quella di rendere concretamente operante la facolt� di scegliere tra l'avvalersi e il non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica; si voleva cio� evitare che chi avesse scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione potesse egualmente trovarsi a presenziare pratiche di culto o di educazione cattolica in occasione dell'insegnamento di altre materie o PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 365 Va �ritenuto, pertanto, che la distinzione tra materie obbligatorie, opzionali e facoltative, sui cui si basa tutta la costruzione degli appellati, � una distinzione puramente nominalistica e che, comunque, non pu� riferirsi, nella sua astratta e rigorosa formulazione, all'insegnamento della religione cattolica. E che, peraltro, la facoltativit� dell'insegnamento della religione cattolica, alla stregua della esaminata normativa, non possa essere intesa nel senso voluto dagli appellati, � anche dimostrato dal dibattito parlamentare che ha preceduto e seguito l'iter del nuovo concordato e che, sul punto, � stato, essenzialmente, teso ad individuare le materie alternative da offrire in opzione ai non avvalenti. E del resto, del problema sembra avere preso piena coscienza lo stesso legislatore che, nella menzionata legge n. 281/1986, quasi mostrando di Tecepire le critiche derivanti dalla asserita contraddittoriet� tra fa- comunque nell'ordinario svolgersi della vita scolastica: preoccupazione non remota per le materne e le elementari, e non del tutto teorica neppure per le medie, dove, pur avendo la � religione cattolica� una sua precisa e individua collocazione (ex art. 2 della legge n. 1859/62 e D.M. 9 febbraio 1979), non era certo sconosciuta la consuetudine di pratiche cattoliche (si pensi all'uso della recita di preghiere all'inizio e alla fine della giornata scolastica). L'art. 9 della legge n. 449/84 si preoccupa, dunque, di avvertire, con disposizione coordinata con quella contenuta nell'art. 9 dell'Accordo con la Santa Sede gi� firmato il 18 febbraio 1984, e con l'art. 5 del relativo Protocollo Addizionale, che il diritto riconosciuto a ciascuno di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, non solo non deve dar luogo a discriminazioni (il che �, in buona misura, tautologico) ma impegna l'ordinamento scolastico ad una conseguente riconsiderazione dell'impostazione dei programmi, per togliere da questi gli elementi di cattolicesimo confessionale " diffuso� la cui sopravvivenza avrebbe potuto rendere, in concreto, meno significativi i risultati dell'esercizio del diritto di scelta. L'esigenza di ridurre l'insegnamento cattolico ad una dimensione specifica ed individua, subito anticipato dalle relative circolari, ha trovato attuazione nei pi� volte ricordati D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539 (per la �materna�) e D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104 (per le �elementari�); per la scuola media, dove un problema normativo di ridimensionamento non esisteva perch� gi� il D.M. 9 febbraio 1979 collocava l'insegnamento della religione cattolica in un quadro orario specifico ed individuo (un'ora settimana;le), si poneva la diversa, operativa necessit� di non far debordar~ l'educazione confessionale cattolica da quell'ora settimanale; ed a ci� si �� subito provveduto con le circolari in esame. L'esigenza, avvertita dal legislatore, nel momento in cui veniva approvato !'art. 9 della legge n. 449/84, fu dunque quella di anticipare l'effetto della disciplina allora in via di elaborazione: evitarsi, cio�, che, attraverso l'educazione confessionale "diffusa'" si frustrasse l'esercizio del diritto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. In questa dimensione storica e logica, l'art. 9 della legge n. 449/84 sta a dire: a) nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso, quelle pratiche e quell' 366 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO co'ltativit� della materia ed obbligo di seguire le materie stesse ovvero le pratiche alternative, pare propenso a riqualificare l'insegnamento della religione cattolica come opzionale e non facoltativo. 6) Quanto rilevato precedentemente circa la collocazione nel quadro orario delle lezioni dell'insegnamento della religione cattolica e drca la obbligatoriet� delle materie, ovvero delle attivit� culturali e formative ad esso alte:mative, comporta, sul punto, l'accoglimento dell'appello princi� pale dell'amministrazione. Comporta, altresl, la reiezione dell'appello incidentale proposto dai Fiori, il oui primo motivo � specificato come asserita violazione del� l'art. 9 e dell'art. 5 del protocollo aggiuntivo della legge 25 marzo 1985, n. 121, nonch� de1l'art. 9 della legge 11 agosto 1984, n. 449, con riferimento agli artt. 2, 3, 19, 21 e 33 della Costituzione, nonch� eccesso di potere insegnamento non devono avvenire in occasione dell'insegnamento di altre materie: tanto per fare un esempio, nell'ora di italiano non pu� essere recitata I'� Ave Maria�; n�, nell'ora di storia, pu� insegnarsi che, tra le religioni storiche, l'unica �vera � � la cattolica; b) l'orario dell'insegnamento e delle pratiche di religione non pu� essere � emulativo �: non si pu�, tanto per fare un esempio, frantumare l'ora di religione in frazioni di pochi minuti nell'arco della settimana, tali da costringere i non avvalenti ad un odioso andirivieni dalla classe; n� si pu�, tanto per fare un. altro esempio, pretendere che la giornata scolastica inizi o termini con la preghiera, facend9si allontanare il � non avvalente �. Quello che la norma sicuramente non d�, � il divieto di organizzare attivit� � alternative in favore di coloro che abbiano dichiarato di non avvalersi dell'insegnamento cattolico, o il diritto per questi ultimi di essere esonerati dalla frequenza scolastica per il tempo corrispondente all'insegnamento della religione cattolica. La norma non pu� essere letta come contenente tale divieto o tale diritto, non solo perch� di essi non c'� cenno nella disposizione, ma soprattutto perch� simili contenuti precettivi sarebbero antistorici e di dubbia costituzionalit�: antistorici, perch� reintrodurrebbero l'istituto della � dispensa� dichiaratamente superato dal ben pi� chiaro sistema del diritto di scelta; di dubbia costituzionalit�, perch� finirebbero con il dare un diverso � temposcuola � a seconda della scelta operata, cos� discriminando i non avvalenti D'altronde, il � tempo-scuola� � di per s� educativo, giusta le valutazioni operate dal legislatore (delle quali si � gi� parlato: art. 1 della legge n. 1859/62; legge 348/77; dichiarazioni di principio contenute nel D.M. 9-2-1979: la socializzazione, cio� il vivere nella comunit� scolastica, � un momento qualificante I dell'educazione) che ha voluto la scuola elementare e media �obbligatoria � come indicato dall'art. 34 Cost. e quella Superiore di libera scelta, ma con onere di frequenza obbligatoria. !! Obbligatoriet� della scuola � obbligatoria frequenza del � tempo-scuola ,, nel quale essa si svolge e, come si � gi� detto, � il tempo '" � fissato dalla I legge, vuoi quando essa direttamente imponga certi ritmi (come fa l'art. 2 della L. 1859/62 che indica le materie di insegnamento) vuoi quando essa rimetta all'autorit� scolastica la programmazioe di � attivit� scolastiche d'integrazione anche� . .a carattere interdisciplinare� come fanno gli artt. 2 e 7 della L. 517/77 I al . dichiarato � fine di agevolare l'attuazione del diritto allo studio, e la piena I I I I I I PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 367 per illogicit�, contraddittoriet� e sviamento, dal momento che all'indicata conclusione si � pervenuti proprio sulla base dell'interpretazione delle norme sostanziali richiamate dall'appellante incidentale, le quali non appaiono contrastare con a1cuna delle indicate norme costituzionali, in quanto salvaguardano comunque la libert� di coscienza. Infondato �, poi, anche il secondo' motivo dell'appello incidentale proposto dallo stesso Fiori di asserita violazione e falsa appHcazione dell'art. 9 legge 11 agosto 1984, n. 449, eccesso di potere, particolarmente sotto il profilo dello sviamento, atteso che la previsione di cui all'art. 9 della richiamata L. 449/84, 'I.a quale esclude che l'insegnamento della religione cattolica possa realizzare, per gli alunni che 'dichiarino di non avvalersene � secondo .orari che abbiano effetti comunque discriminanti �, soprattutto se interpretata sistematicamente con la legge n. 121/85, impli� cherebbe necessariamente il caratteTe facoltativo pieno dell'insegnamento formazione della personalit� degli alunni �; attivit� che, una volta stabilite, non possono non essere obbligatorie per gli alunni, perch� entrano a far parte del processo di istruzione e di educazione. Quello che in realt�, con la pretesa di rendere facoltativa la partecipa� zione all'attivit� alternativa, viene chiesto, � una cosa che nella sede odierna non pu� in nessun caso essere concessa: la modifica, cio�, dell'organizzazione del � servizio � scolastico, con particolare riguardo al � tempo-scuola�: si finirebbe infatti con il discriminare gli avvalenti dai non avvalenti, perch�, da un lato, per i primi si avrebbe un impegno educativo di durata superiore, e dall'altro all'onere dJ. frequeJ1,Za della religione (imposto a chi ha scelto di avvalersene) corrisponderebbe un non-onere di frequenza dell'equivalente attivit� alternativa. L'esigenza di non discriminare � esigenza di imporre a tutti gli stessi doveri e riconoscere a tutti gli stessi diritti: a cominciare dall'onere della frequenza (che � un obbligo per le prime otto classi) cui si sottopone, nel quadro dell'organizzazione, chi chiede di essere ammesso a scuola. Far restare a casa, come oggi si chiede, i ragazzi che hanno scelto di non avvalersi dell'insegnamento religioso, non sarebbe certo per loro pi� proficuo, in una obiettiva valutazione delle cose, perch� si farebbe loro intendere che la scuola italiana chiude le porte in faccia al giovinetto �non cattolico�, e rischierebbe di far loro credere che la scelta dei loro genitori � motivo di repulsa della comunit� scolastica. N� proficua per i ragazzi, o razionale .per l'organizzazione, sarebbe la mera facolt� di partecipare o non partecipare all'attivit� alternativa (mentre gli altri hanno l'onere di seguire l'insegnamento della religione) perch� risul terebbe messa in serio dubbio la sostanziale equivalenza educativa e formativa tra l'attivit� alternativa e l'ora di religione: quasi che quella fosse un quid minus rispetto a questo. * * * L'appellante incidentale Fiori, pur dichiarando di volere per il �non avavvalente � un trattamento equivalente a quello dato all'� avvalente�, sostiene che il delineato sistema non sarebbe idoneo allo scopo, perch� l'ii.ttivit� alternativa sarebbe stata introdotta senza il supporto di una, a suo dire indispensabile, disposizione legislativa. Questo discorso � di difficile comprensione, perch� se si vuole l'attivit� alternativa non si vede quale sia l'interesse (proces RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO medesimo e la sua collocazione in orario che permetta agli alunni che dichiarino di non avvalersene di non partecipaTe alle attivit� <Scolastiche durante le ore dedicate all'insegnamento della religione cattolica o comunque di scegliere liberamente se partecipare o meno alle attivit� alternative. Come dimostrato precedentemente, l'art. 9 della legge n. 449 del 1984 non pu� essere interpretato nel senso voluto dall'appellante incidentale, secondo cui tenderebbe a garantke il diritto degli alunni, che ne� chiedano l'applicazione, di non essere costretti n� a seguire l'ora di religione, n� a seguire le attivit� alternative previste negli orari in cui viene svolto l'insegnamento della religione cattolica. Se cos� fosse, la norma si porrebbe in contrasto, e ne risulterebbe pertanto modificato il contenuto, con fa legge n. 121/1985 di ricezione del nuovo Concordato, di cui si sono ampiamente i'llustrati lo spirito e suale) a dolersi dell'ipotetica illegittimit� della sua introduzione; ma soprattutto il prospettato dubbio di illegittimit� � infondato, perch�: 1) per la Materna: l'attivit� educativa, nella quale si sostanzia l'alternativa, trova sicura base nell'art. 1 jella legge 18 marzo 1968, n. 44, dove si dice che la scuola materna � si propone fini di educazione, di sviluppo della personalit� infantile, di assistenza e di preparazione alla frequenza della scuola dell'obbligo, integrando l'opera della famiglia�; 2) per l'Elementare: l'attivit� integrativa, nella quale si sostanzia l'alternativa, � �spressamente prevista dall'art. 2 della L. 517/77, dove si assegna a tale attivit� integrativa (anche) il fine di � agevolare. . . la promozione della piena formazione della personalit� degli alunni �, e cio� le si assegna una vocazione nettamente educativa; 3) per le Medie: l'attivit� integrativa, nella quale si sostanzia l'attivit� alternativa, � espressamente prevista dall'art. 7 della legge n. 517/77, cit., dove si dice che tale attivit� integrativa ha (anche) il fine di attuare � la piena formazione della personalit� degli alunni � e, cio�, le si assegna una vocazione nettamente formativa; 4) per le Superiori: il terzo comma dell'art. 1 della legge 18 giugno 1986, n. 281, ha fornito l'interpretazione autentica del sistema, in ordine alla possibilit� di organizzare l'attivit� alternativa, nella forma di �attivit� culturale e formativa�, di cui, appunto, parlano le circolari. Ovvio � che la legge 517/77 non parla affatto di attivit� alternativa rispetto all'insegnamento della religione cattolica, per l'ottima ragione che all'epoca non si poneva il problema di cui oggi si parla. Ma questo non significa ci� che pensa l'appellante incidentale, e cio� che l'attivit� integrativa di cui alla legge n. 517/77 non possa essere utilizzata come alternativa all'ora di religione: una volta, infatti, che la �non discriminazione� imponga di dare al � non avvalente � attivit� scolastica analoga a quella di cui fruisce l'avvalente, ed una volta che all'avvalente � dato, in buona sostanza, un insegnamento educativo e formativo, non pu� che farsi ricorso a quelle attivit� educative e formative di cui il sistema gi� dispone. Se si vuole che il problema venga mantenuto nei limiti di sostanza (e non trasferito nell'empireo evanescente di fuorvianti nominalismi) allora non pu� affermarsi che l'alternativa sia illegittima perch� l'attivit� educativa di cui alla legge n. 517/77 non nacque in vista di tale alternativa; il fatto che non nacque a quello scopo � ovvio; PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 369 la finalit� e soprattutto con la sua previsione relativa alla collocazione dell'insegnamento 'religioso cattolico nel quadro orario delle lezioni; si porrebbe in contrasto, inoltre, con la lett. b) dell'art. S del protocollo aggiuntivo al nuovo Concordato, secondo cui non poteva immaginarsi ancora alcuna predeterminazione circa la collocazione oraria de'll'insegnamento della religione cattolica, venendo anzi demandato ad una successiva intesa tra Ia �competente autorit� scolastica e la Conferenza episcopale italiana, tria l'altro, �le modalit� di organizzazione di tale insegnamento anche in re'lazione alla collocazione nel quadro degli orari delle lezioni�. D'altra parte, poi, che all'obbligatoriet� della frequenza delle materie o attivit� �didattiche alternative non possa riconoscer:si alcun carattere discriminatorio, essendo anzi vero il contrario, lo si � dimostrato precedentemente, per cui nemmeno per il secondo motivo prospettato la dedotta censura pu� essere accolta. ma � altrettanto ovvio che, nel sistema, la legge n. 517/77 ha introdotto attivit� educative non curriculari e destinate ad essere non necessariamente rivolte all'intera classe, tali da poter oggi ben essere utilizzate ai fini che interessano. *** L'appellante incidentale osserva che gli insegnanti. non sarebbero affatto tenuti ad occuparsi dell'attivit� alternativa, poich� ci� esulerebbe dai limiti del loro mansionario. La doglianza � manifestamente inammissibile per difetto di interesse; ed � comunque infondata, apparendo essa sintomo di una parziale valutazione del ruolo dell'insegnante nella scuola italiana. A parte le molte dichiarazioni di principio che si rinvengono nelle varie norme, rivolte a sottolineare la centralit� della funzione docente nel suo momento educativo (ben oltre l'aspetto meramente trasmissivo di nozioni), ribadendosi che tra i compiti dell'insegnamento � anche quello di � partecipare alla realizzazione dell'iniziativa educatrice della scuola� (art. 2 D.P.R. n. 417/74), va ricordato che l'art. 88 D.P.R. n. 417/74, nel fissare l'orario di servizio, espressamente dice che nei limiti di tale orario � i docenti . . . sono tenuti al completamento dell'orario . . . mediante l'utilizzazione . . . nei corsi . . . di integrazione ed extracurriculari �. Anche l'art. 14 della legge 20 maggio 1982, n. 270, ricorda che il personale di ruolo, compreso quello DOA, pu� essere utilizzato in attivit� didattico-educative. Il problema che si pone � quello di stabilire se l'attivit� alternativa sia attivit� scolastica o meno: se lo �, i docenti (nel limite del loro orario) non possono rifiutarsi di svolgerla, perch� nel loro mansionario (e, prima ancora, nella logica della loro funzione) c'� anche il dovere di prestarsi per le attivit� non curriculari. Si noti che nessun docente ha lamentato di essere stato obbligato a prestare servizio oltre l'orario d'obbligo, e nessuno ha lamentato di essere stato richiesto di svolgere insegnamenti diversi da quelli propri della sua professionalit�: le circolari in esame sottolineano, infatti, che, quando l'attivit� alternativa richieda competenze che gli utilizzandi non abbiano, si deve far ricorso ai supplenti muniti di titolo. * * * L'appellante incidentale osserva che, per le Superiori, lo studio individuale (che gli alunni non avvalenti possono preferire all'attivit� alternativa 370 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO. STATO In parte fondato �, quindi, il terzo motivo dell.'appello incidentale ritenendo il collegio di convenire con l'appellante circa la veridicit� di alcune delle enunciazioni ivi prospettate. Si assume, al riguardo, che vi sarebbe vio1azione deWart. 9 dell'accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede e del punto 5 del protocollo aggiuntivo resi esecutivi �con la legge 23 maggio 1985 n. 121, con riferimento alll'art. 7 legge 4 agosto 1977, n. 517 ed agli artt. 2, 3, 13, 21, 23, 97 della Costituzione italiana con riferimento alla risoluzione approvata dalla Camera dei Deputati ne11a seduta del giorno 15 gennaio 1986; ed agli artt. 3, 6 e 14 della legge 29 marzo 1983; ecces;so di potere per sviamento, illogicit� e contraddittoriet�. Vero �, come � .implicito nella censura dell'appellante, che se vi fosse stato un atto legislativo che avesse determinato ie materie o le attivit� alternative da offrire in opzione ai non avvalenti l'insegnamento all'ora di religione) imporrebbe agli insegnanti un ruolo di mera sorveglianza e custodia, certamente estraneo al mansionario. Non � chiaro in che modo il Fiori sia interessato a sollevare questo problema; certo � che la doglianza � frutto di equivoco. Seguire infatti gli alunni che hanno optato pet lo studio individuale non significa assolutamente limitarsi ad una passiva attivit� di sorveglianza o di mera custodia; l'insegnante che sia consapevole del suo ruolo guider� l'alun;no nello studio individuale, sapr� consigliarlo, sapr�, insomma, svolgere l'opera .educativa e culturale che � �propria della funzione docente (e che, quindi, non pu� essere affidata ad altri se non ai docenti). * * * Nella concreta organizzazione dell'attivit� alternativa, come immaginata e impostata con le circolari impugnate, sarebbero state violate le norme sulle attribuzioni degli Organi collegiali: il Ministero, a detta dell'appellante incidentale, avrebbe del tutto esautorato i Consigli di circolo e di istituto, i quali avrebbero l'inalienabile compito di fissare i criteri generali in ordine alla formulazione dell'orario delle lezioni e allo svolgimento delle attivit� scolastiche; lo stesso Collegio dei docenti, poi, sarebbe stato leso nelle sue prerogative, attraverso l'indicazione ministeriale di organizzare necessariamente l'attivit� alternativa. Neppure queste censure colgono nel segno. Invero, il potere di dettare disposizioni generali agli apparati, anche collegiali, delia Scuola certamente va riconosciuto al Ministro, perch� quegli apparati sicuramente appartengono al complesso organizzatorio della pubblica istruzione; e d'altronde, la necessit� di occuparsi � subito� dell'attivit� alternativa � un'esigenza che deriva dalla generale impostazione seguita nella pratica applicazione del principio legislativo della non discriminazione tra avvalenti e non avvalenti. :� un errore di prospettiva, in buona sostanza di insensibilit� storica, quello di leggere i � decreti delegati � come se, dal 1974, non fosse accaduto nulla, cio� come se non vi fossero n� l'Intesa con i Valdesi n� il nuovo Concordato con la Santa Sede, e come se la programmazion� dell'attivit� alternativa non fosse un corollario del nuovo sistema della parit� di trattamento educativo tra alunni avvalentisi e non avvalentisi dell'insegnamento religioso. La Scuola deve garantire la non discriminazione, e cio�, secondo la concreta scelta operativa adottata sul piano generale, dare a tutti gli alunni un tempo-scuola quantitativamente identico e qualitativamente il pi� possibile PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 371 della religione cattolica, tutto sarebbe stato pi� agevole per l'amministrazione della pubblica .istruzione e, verosimilmente, non vi sarebbero state le condizioni per una contestazione cos� netta e radicale delle scelte dalla stessa in concreto praticate. Purtuttavia, cos� non � stato: l'amministrazione scolastica, infatti, si � trovata nella necessit� di dare attuazione ad una normativa carente su di un punto fondamentale ed ha cercato di supplirvi provvisoriamente utilizzando i mezzi a sua disposizione; ricorrendo, cio�, alle materie ed attivit� previste dall'ordinamento scolastico, sfornandosi di adattarle alle finalit� del nuovo Concordato, relativamente agli scopi dell'insegnamento della ,religione cattolica, come in precendenza precisati. Ha fatto, cos�, ricorso alla legge 4 agosto 1977, n. 517 e pi� particolarmente, per le scuole medie inferiori, alle attivit� integrative previste dall'art. 7 al fine di agevolare il diritto allo studio e la piena formazione della personalit� degli alunni. simile; dunque � necessario che i singoli organi collegiali, appartenenti all'apparato, si muovano di conseguenza. Quale sia l'organo competente a dare concreta attuazione al disegno organizzativo generale lo dice la legge (D.P.R. n. 416/74); e .infatti le circolari oggi in esame hanno rispettato tali competenze: tocca al Collegio dei docenti definire l'attivit� alternativa, perch� l'art. 4 D.P.R. n. 416 cit. gli assegna il compito di curare la programmazione educativa, e lo svolgimento, in genere, dell'attivit� scolastica; e perch� gli artt. 2 e 7 della legge n. 517/77 a tale organo, in particolare, attribuscono la funzione di programmare e organizzare le attivit� integrative. Parimenti � da dire per i Consigli di interclasse della scuola elementare, pure destinatari delle circolari in esame. In quanto all'indicazione, nelle dette circolari, della necessit�, ove possibile, di far coincidere l'insegnamento della religione con la prima o l'ultima ora di lezione, in contemporanea con l'attivit� alternativa, va osservato che trattasi di un criterio di massima, da preferirsi ove possibile, che lascia intatta la competenza degli ordinari organi in ordine alle definitive determinazioni, nella considerazione delle singole realt� operative. Quindi il principio della collegialit� scolastica non � in alcun modo vulnerato dalle circolari ministeriali; �, semmai, valorizzato attraverso la considerazione della componente dei genitori, sui quali soprattutto grava la � responsabilit� educativa�. * * * L'appellante incidentale ripropone, in subordine, eccezione di illegittimit� costituzionale dell'art. 9 dell'Accordo e del punto 5 del Protocollo, di cui alla legge 25 marzo 1985, n. 121, per violazione degli artt. 2, 3, 8, 19, 21, 33, 97 della Costituzione. Le norme denunciate: a) avrebbero operato una scelta confessionale incompatibile con la natura laica dell'ordinamento: in buona sostanza, lo Stato non potrebbe in trodurre nella propria scuola l'insegnamento della religione confessionale; b) avrebbero comunque discriminato gli alunni in ragione della scelta operata, perch� ai non avvalenti si darebbe di meno di quanto si d� agli avvalenti; e) sarebbe stato tradito lo spirito dell'Intesa con i Valdesi, la cui legge di attuazione avrebbe copertura costituzionale. 372 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Offrendo, in tal modo, con una valutazione tecnico-discrezionale, di cui la censurabilit� � limitata al profilo della legittimit�, una possibilit� di �scelta, da realizzarsi anche attraverso i suggerimenti degli interessati, ccn l'indicazione che tali attivit� avrebbero dovuto essere particolarmente dirette all'approfondimento di quelle parti dei programmi pi� stretta mente attinenti ai valori della vita e convivenza civile (fine proprio del l'insegnamento religioso). Ha anche :previsto il cosiddetto studio individuale, cui ha dichia rato tenuti gli studenti che, avendo comunque scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, non avessero inteso ugual mente fruire delle attivit� alternative programmate dal Collegio dei do centi, offrendo in tal modo un'u1teriore opzione che consentiva ampia mente l'esplicazione della libert� di coscienza in materia di religione se condo le inclinazioni individuali di ciascun interessato, invitando, tra Il diritto vivente, come sopra illustrato, e la retta interpretazione delle norme coinvolte, fugano il sospetto che la legge n. 121 abbia introdotto disposizioni in violazione dei principi costituzionali denunciati, e quindi con vincono della manifesta infondatezza delle questioni di legittimit� costitu� zionale appena riassunte sub b) e e): a proposito di quest'ultima, peraltro, � appena il caso di sottolineare che l'art. 9 dell'Intesa con la Tavola Valdese � esattamente riprodotto nell'art. 9 della legge n. 449/84, che a sua volta � del tutto analogo all'art. 9 del Concordato (in ordine all'insegnamento della religione cattolica come curriculare, e al diritto di scegliere se avvalersene, senza discriminazione alcuna). Resta da dire dell'eccezione sopra riassunta sub a). Secondo l'appellato, lo Stato non potrebbe prevedere, tra gli insegnamenti curriculari, quello religioso, perch� tale insegnamento si porrebbe in con trasto con la libert� di pensiero che ognuno ha diritto di professare e con la �laicit�� della Repubblica; in sostanza sarebbe inibito allo Stato di ope rare, nei programmi di insegnamento, scelte non conformi al pensiero dei singoli cittadini, mentre, per converso, lo Stato �laico� non potrebbe legitti� mamente scegliere tra le materie d'insegnamento una dottrina religiosa. Non pu� negarsi che il rispetto di qualunque opinione costituisca l'in s� della democrazia; e tutti sanno che la libert� di fede e di pensiero � uno dei mo menti qualificanti della nostra Costituzione. Come gli odierni appellanti hanno �pieno diritto di professarsi agnostici (o non cattolici) in materia religiosa, qualunque altro cittadino ha i�l pieno diritto di professare il pensiero che crede in qualunque altro campo, compreso quello delle discipline che si insegnano a scuola. Orbene, se fosse vero che l'ateo o l'agnostico ha il diritto di pretendere che, per il dovuto rispetto alla sua opinione, la Scuola dismetta l'insegnamento della dottrina cattolica, sarebbe parimenti vero che analogo diritto avrebbe, poniamo, il regionalista con riguardo all'insegnamento della lingua � italiana, il parmenideo (che nega il divenire) in ordine all'insegnamento della storia, il negatore dei postulati di Euclide in ordine all'insegnamento della ma� tematica, e cos� via; ancor piii in dettaglio, ciascuno avrebbe il diritto, nell'ambito di una certa materia, di non sentirsela insegnare secondo metodi non condivisi: il pacifista, per esempio, potrebbe pretendere che i programmi di storia fossero rielaborati trascurando le guerre; certi nazionalisti potreb� bero chiedere riduttive illustrazioni della geografia dei paesi stranieri; e cos� PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 373 l'altro, al fine di un'ottimale realizzazione delle finalit� perseguite, ad una regdlarizzazione anche di tale tipo di impegno, con la previsione di � appositi spazi cos� da corrispondere nel modo migliore al dovere di vigilanza per tutto il tempo scuola �. Ci� posto, se � vero che le attivit� integmtive previste dalla legge 4 agosto 1977 n. 517, non hanno la specifica finalit� di costituire una definitiva alternativa allo studio della religione cattolica, purtuttavia, va considerato che esse, per la vasta gamma di programmazione educativa che .consentono, ben potevano, temporaneamente ed in attesa di una definitiva scelta legislativa, essere adattate ad un'alternativa valida sotto il profilo culturale (scelta, ad es., di un approfondimento storico relativo a:llo svilupparsi ed all'evolverisi del fenomeno religioso) all'insegnamento della ll'eligione cattolica. N� � esatto quanto affermato dall'appellante incidentale, secondo cui l'illegittimit� relativa al ricorso alle materie alternative deriverebbe anche dal fatto che risulterebbero violati i diritti degli insegnanti, non tenu di seguito, fino ad una esasperata frantumazione dell'intero sistema scolastico. Esiste, dunque, nell'ordinamento, una norma che accordi al cittadino il � diritto � di avere, a scuola, soltanto le materie o i programmi conformi alle sue libere, e perci� teoricamente illimitate, opinioni? No certamente: e non perch�, si badi, vi sia una legge ordinaria a negarlo (la legge ordinaria, infatti, �, in ipotesi, suscettibile di rimozione da parte della Corte Costituzionale), ma perch� l'art. 33 Cost. attribuisce alla Repubblica il compito di dettare le norme generali sull'istruzione e di istituire le sue scuole per tutti gli ordini e gradi. In tanto c'� la scuola di Stato, in quanto lo Stato possa (e debba) scegliere le materie-e i programmi di insegnamento, tenendo conto, � ovvio, delle aspettative dei cittadini, ma niente affatto essendo vincolato alle individuali opinioni di ciascuno: la scuola statale non pu� significare scuola fatta su misura di ogni singolo� alunno. Quando dunque si pretende di esercitare, in nome del libero pensiero, il veto in ordine ad una materia o ad un programma, si pretende in realt� di far valere un diritto (alla elaborazione del programma o alla scelta della materia) che non solo non � previsto da nessuna norma, ma che, anzi, � positivamente escluso dall'art. 33 Cost. Venendo alla sostanza delle avverse argomentazioni, non � inutile premettere che l'insegnamento della religione nella scuola pubblica non � affatto precluso allo Stato �non confessionale �, n�, in Italia, tale insegnamento � precluso dalla Costituzione. Intanto, Stato � non confessionale�, o, come dicono alcuni tra gli appellati, � laico �, non significa affatto Stato anticonfessionale o antireligioso: la piena libert� di fede, che l'art. 19 Cost. accorda a chiunque, non significa affatto che lo Stato debba combattere, o ignorare, il fenomeno religioso (positivamente, gli artt. 7 e 8 dimostrano che il fenomeno di cui si parla non pu� essere osteggiato). Neppure il separatismo estremista ha mai potuto ignorare detto fenomeno, come insegna, innanzitutto, la storia: e infatti non solo negli ordinamenti degli Stati Uniti d'America e del Belgio, ma neppure, alla fine del XIX secolo e nel primo decennio del XX, in quelli della stessa Francia e del Portogallo, che a lungo sono stati citati come i classici del 374 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ti ad oocuparsi di tali attivit�, dal momento che tra i loro compiti vi � anche quello di � partecipare alla Lrealizzazione delle iniziative educative della scuola� (a:rt. 2 D.P.R. n. 417/74) e che �i docenti ... sono tenuti ... al completamento dell'orario mediante l'utilizzazione ... nei corsi di integrazione ed extracur,riculari � (art. 8 D.P.R. n. 417/74). Lo studio individuale, invece, se pur in �astratto poteva anch'esso, temporaneamente, servire allo s�copo di chi intendesse effettuare un approfondimento individuale della materia, attraverso, ad es., una ricerca, o comunque, se non interessato affatto al fenomeno religioso, avesse voluto impiegare diversamente, magari con una lettura, il tempo scuola ad esso dedicato, non sembra al collegio fosse, in concreto, adeguatamente organizzato, in maniera da evitare una sorta di abbandono a se medesimi di coloro che l'avessero scelto, con un disinteresse da parte della scuola implicante marginalizzazione e, quindi, disoriminazione rispetto agli altri studenti. separatismo, esso pot� attuarsi in pieno; come � stato osservato, �un laicismo assoluto dello Stato �, prima di tutto, un non senso, perch� lo Stato � l'organizzazione giuridica del popolo, e non pu� non riflettere, nel suo ordinamento, anche le convinzioni e le aspirazioni spirituali di quella che si usa dire la coscienza popolare �. N� � inutile ricordare che molte Costituzioni contemporanee prevedono l'insegnamento religioso, pur garantendo, da un lato, il diritto-dovere dei genitori di educare i figli, e, dall'altro, la piena libert� di pensiero (art. 7 della Costituzione della Repubblica Federale Tedesca; art. 41 della Costituzione d'Irlanda; art. 49 di quella svizzera; art. 2 di quella norvegese; altri esempi possono trovarsi ne:l:la Costituzione del Liechnstein, 15 e 16; di Malta, artt. 10 e 41; di Svezia, art. 9; di Grecia, art. 3; i Paesi comunisti vietano, invece, l'insegnamento di dottrine diverse da quella professata dallo Stato; art. 38 Cost. di Bulgaria; art. 30 Cost. di Romania; art. 124 Cost. URSS, etc. etc). 1!. sicuro che lo Stato italiano non sia � confessionale�, ed � proprio per questo che non esistono preclusioni di principio in ordine alla � filosofia � che sottende qualsiasi �scelta�, e cio� qualsiasi atto di normazione. Non confessionalit�, quindi, significa possibilit� di scegliere le materie di insegnamento senza preclusioni di principio; significa possibilit� di valutare, nei modi istituzionali, le aspettative � medie � del popolo, soddisfacendole di conseguenza; significa, insomma, possibilit� di impartire l'insegnamento della religione cattolica ad un popolo che nella quasi totalit� � (o dice di essere, il che � lo stesso) cattolico. Scegliere una soluzione �, necessariamente, escludere tutte le altre soluzioni possibili: ma lo Stato esiste proprio per operare delle scelte, senza le quali, ovviamente, il popolo non sarebbe che �orda�. Lo Stato italiano dunque ben pu� decidere di impartire l'insegnamento della dottrina cattolica nelle sue scuole (come si � ricordato, tale scelta fu operata anche prima del Concordato, pur in tempi di anticlericalismo: la legge Lanza del 1857, la gi� ricordata Casati nel 13 novembre 1859, la Riforma Coppino del 1887 e poi il T.U. 5 febbraio 1928, n. 577, sono tutte leggi che prevedono l'insegnamento della religione nelle scuole di Stato, e son tutte leggi preconcordatarie): ci� rende irrilevante qualsiasi dubbio di costituzionalit� in ordine alle norme di attuazione del Concordato con la Santa Sede, PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 375 Per tale secondo profilo, pertanto, '.l'appello incidentale va accolto e la circolare impugnata va, sul punto, annullata. Infondato � il quarto motivo dell'appello incidentale del FIORI, secondo cui vi sarebbe stata violazione degli artt. 2 e 3 del D.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, nonch� degli artt. 4 e 6 del D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416; ed ancora dei principi generali ed eccesso di potere per illogicit� e disparit� di trattamento, sul rilievo che la circolare n. 302/86 ha stabilito che �qualora i contenuti delle attivit� (alternative) siano tali da renderlo utile ed opportuno, si potr� procedere all'-accorpamento degli alunni, oltre che per classi parallele, anche in senso v�erticale �. Con tale 1suggerimento, secondo l'appellante, ancora una volta il Ministero della Pubblica Istruzione interferirebbe arbitrariamente in materia, come quella della formazione delle classi, che � di competenza (artt. 4 e 6 D.P.R. n. 416/74 e art. 3 D.P.R. 417/74) anzitutto degli organi collegiali e poi � sulla base dei criteri generali stabiliti dal Consiglio di perch�, in ipotesi, espunto dal sistema l'obbligo che lo Stato si � assunto, resterebbe pur sempre la facolt�, garamita dall'art. 33 Cost. e dalla non confessionalit�, questa rettamente intesa come esclusione di pregiudiziali limitazioni in ordine alle scelte di cui trattasi. Le eccezioni di illegittimit� costituzionale avanzate dagli appellati con riguardo alle norme che dispongono l'insegnamento della religione sono, comunque, manifestamente infondate. L'insegnamento della dottrina cattolica nella scuola statale va valutato nel suo aspetto � concordatario� (cio� come � obbligo� assunto verso la Santa Sede) e nel suo aspetto extra-concordatario. Sotto il primo aspetto, l'obbligo di insegnare a scuola la dottrina cattolica, assunto con i:1 Concordato, va costituzionalmente valutato con riguardo ai supremi principi dell'ordinamento, cui, come � noto, la Corte fa costante riferimento, nella materia concordataria, data la c.d. copertura di cui all'articolo 7 Cost. (C. Cost. 1� marzo 1971, n. 30 e 32; id. 8 luglio 1971, n. 169; id. 11 dicembre 1973, n. 175 e 176; 29 dicembre 1972, n. 195, e cos� via, fino alle pi� recenti 7 febbraio 1978, n. 16, e 28 marzo 1985, n. 86). Premesso che tra i principi supremi dell'ordinamento non rientra l'esigenza di trattare in modo identico tutte le confessioni religiose (Corte Cost. 28 marzo 1985, n. 86), la preferenza data alla religione cattolica nel momento dell'insegnamento non comporta affatto che non sia rispettata la libert� dei non-cattolici o violata la loro autonomia di pensiero: lo Stato, si badi, non impone di essere cattolici, n� richiede una discriminante professione di fede per l'ammissione nella scuola; lo Stato, ben diversamente, insegna la dottrina cattolica, in ordine alla quale non pretende una adesione diversa o superiore rispetto a quella che pretende per qualsiasi ailtra disciplina. I principi supremi dell'ordinamento, tra i quali � da annoverare la libert� di pensiero e di fede, non solo non ne risultano coinvolti, ma vengono addirittura valorizzati, attraverso il diritto di scelta, che, rispetto alle altre discipline, non � dato. Anche sotto il secondo profilo (possibilit� di porre tra le materie d'insegnamento la dottrina cattolica a prescindere dall'obbligo concordatario), va osservato che i dubbi di costituzionalit� prospettati ex adverso sono manifesta mente infondati. 12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 376 circolo o di istituto e delle proposte del collegio dei docenti del personale direttivo �. Sempre secondo il Fiori, il suindicato suggerimento sarebbe, poi, soprattutto i11egittimo perch� in contrasto con il principio del rapporto docente classe, cos� come configurato dagli artt. 2 e 3 D.P.R. n. 417/74, e pi� in generale dall'attuale organizzazione dell'attivit� didattica; � vero che fa legge n. 517/77 consente la formazione di gruppi di alunni di classi diverse, ma ci� sarebbe consentito solo in 1relazione ad una progmmma� zione didattica, che muova delle reali esigenze delle classi e non dall'esi� genza esclusivamente organizzativa conseguente alla responsabilit� del personale docente. Valgono al a:-iguardo le osservazioni dell'Avvocatura in merito alla -generale potest� organizzatoria dell'attivit� scolastica riconosciuta al Ministro della Pubbli�a Istruzione, con l'ulteriore rilievo che l'impugnata circola:re non esclude l'osservanza del rispetto del rapporto docente classe come per legge stabilito, n� esautora gli organi collegiali, atteso che le Con riguardo all'art. 3 Cost., � innegabiile che, per la maggior parte, gli Italiani si professino cattolici, e dunque una scelta che li privilegi non suona affatto ingiustificata: come gi� diceva Ahrens, � il trattare in modo eguale rap� porti giuridici disuguali � altrettanto ingiusto che il trattare in modo disuguale rapporti giuridici uguali �. Ruffini scrisse, a proposito dell'insegnamento della religione nella scuola, che ci� non pu� considerarsi discriminatorio per i non cattolici poich� �vi � una parit� nel senso falso, che � quello dell'uguaglianza assoluta, astratta, matematica, ed una parit� nel senso giusto, che � quello dell'uguaglianza relativa, concreta, giuridica, poich�, come scrisse giusta� mente Kahl, il vero principio di parit� non suona "a ciascuno lo stesso", ma " a ciascuno il suo"�. Il diritto di scelta � peraltro particolare omaggio alla piena libert� di coscienza. Gli artt. 7 e 8 Cost. non fanno che confermare l'importanza che lo Stato annette al fenomeno religioso, e positivamente provano che non vi � divieto costituzionale di impartire l'insegnamento di cui trattasi. Gli artt. 19 (libert� di fede) e 21 (libert� di pensiero) vanno coordinati con le esigenze del sistema costituzionale; quelle due libert� non significano diritto di veto in ordine ad ogni scelta non condivisa, perch�, in tal caso, non si �avrebbe� lo Stato, ma un confuso aggregato di milioni di � monadi�. Lo Stato, � ovvio, non deve conculcare o limitare tali libert�, come, nell~ specie, infatti, non 'limita n� conculca, non pretendendo adesione ai principi del cattolicesimo, e, addirittura, concedendo il diritto di scelta. Gli artt. 33 '(libert� dell'arte e della scienza) e 97 (organizzazione per legge dei pubblici uffici) non sembrano minimamente in tema. Resta da dire del D.P.R. 751/85, che l'appellante incidentale ha impugnato, da un lato lamentandone l'illegittimit� rispetto alle leggi 121/85 e 449/84, dal� l'altro eccependone l'invalidit� rispetto .ai principi costituzionali della libert� d'insegnamento e di pensiero, nonch� rispetto alle norme sullo stato giuridico degli insegnanti (che solo la legge potrebbe modificare). L'indagine circa la natura giuridica del D.P.R. in questione non ha ancora avuto dalla dottrina l'approfondimento che il tema meriterebbe; certo � che il PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 377 determinazioni adottate nella circolare hanno la forma del suggerimento e non dell'imposizione agli organi stessi. Destituito di fondamento, infine, � il quinto ed ultimo motivo dell'appello incidentale del Fiori, con il quale viene nuovamente dedotta l'asserita violazione degli artt. 2, 3, 19, 21, 33 e 97 della Costituzione, in base al 'rilievo che la collocazione de1l'insegnamento della religione cattolica nell'orario obbligatorio, con conseguente necessit� dei non avvalenti di seguire le attivit� alternative, avrebbe mantenuto ed anzi accentuato la discriminazione tra gli alunni con grave conseguenza in ordine al regolare svolgimento dell'azione educativa e didattica. In tale prospettiva, secondo l'appenante, l'art. 9, 2� comma, della legge n. 121/1985 e l'art. 5 del trelativo protocollo addizionale si dovrebbero ritenere contrastanti con ii p!rincipi costituzionali che sanciscono la tute.la dei diritti fondamentali (art. 2) l'uguaglianza di tutti i cittadini senza possibilit� di discriminazione per motivi religiosi (art. 3) la libert� D.P.R. n. 751/85 non pu� essere considerato un atto amministrativo di tipo tradizionale. Se si segue fimpostazione logica che la Corte Costituzionale ha adottato con le sentenze avanti ricordate a proposito delle leggi di esecuzione e di attuazione del Concordato, dovrebbe distinguersi il dato formale dal dato sostanziale: come le leggi di esecuzione del Concordato hanno la forma di legge ordinaria, ma la forza (cio� la sostanza) di leggi para-costituzionali (seconde soltanto ai principi fondamentali dell'ordine costituzionale), cosi al D.P.R. (in quanto relativo all'esecuzione di norme pattizie, e previsto addirittura nella legge di esecuzione del Concordato) andrebbe riconosciuta la forma dell'atto amministrativo, ma la forza (cio� la sostanza) di atto legislativo. La tesi di coloro che, in dottrina, hanno affermato che la � copertura costituzionale� dell'art. 7 riguarderebbe i Patti Lateranensi, e non le loro modifiche, non tien conto della natura di � norma sulla normazione � che a quell'art. 7 va riconosciuta: se infatti � le modific�zioni dei Patti, accettate dalle due Parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale�, appare inevitabile affermare, a contrariis, che quel procedimento richiedano 1e modifiche unilaterali dello Stato; dunque, per modificare i Patti, serve o il procedimento di revisione costituzionale, oppure l'accettazione delle due Parti: ergo, l'accettazione delle due Parti equivale al procedimento di revisione costituzionale. E se un fatto di produzione normativa � capace di modificare la Costituzione, vuol dire che quel fatto ha la forza di legge costituzionale. Si dovrebbe allora ritenere: a) anche le modifiche bilaterali dei Patti Lateranensi hanno � copertura costituzionale �, perch� altrimenti non si spiegherebbe come mai potrebbero rappresentare l'equivalente del procedimento di revisione della Costituzione; b) l'Intesa, come il Concordato, � bilaterale, ma di rango inferiore a quest'ultimo: se la legge concordataria d� vita ad un atto di sostanza costituzionale, allora l'Intesa, ad essa immediatamente e direttamente connessa, ha quantomeno la resistenza sostanziale della legge ordinaria; e) come la legge concordataria � suscettibile di essere esaminata dalla Corte Costituzionale, ma solo con riguardo ai supremi principi deLl'ordinamento costituzionale, cos� il D.P.R. (che fondamentalmente � un atto ammi 378 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO religiosa (art. 19), la libert� di coscienza (art. 21) la libert� di insegnamento (art. 33). La normativa, in ogni caso, se interpretata nel senso sopraindicato, violerebbe comunque l'art. 97 della Costituzione dal momento che, se l'insegnamento della religione cattolica deve essere inserito nel quadro dell'orario obbligatorio per tutti, non solo in nessun modo si potrebbe garantire un uguale trattamento a tutti gli alunni, ma soprattutto non si potrebbe garantire un'efficiente organizzazione dell'attivit� didattica. Nelle considerazioni che si sono precedentemente svolte, circa le ragioni .per le quali, secondo il Concovdato revisionato, lo Stato ha assunto 'l'obbligo di continuare a praticare l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole non univevsitarie e la previsione relativa alla garanzia della tutela della libert� di coscienza, con la previsione della facolt� di non avvalersi di tale insegnamento, vi � la 'risposta a tutti i dubbi di costituzionalit� avanzati dall'appellante. nistrativo) � suscettibile di esame da parte del GA. ma solo con riguardo a quei supremi principi e alla legge concordataria. Il grave e delicato tema della forza sostanziale del D.P.R n. 751/85 non appare, tuttavia, nella presente occasione, di risolutivo interesse, perch� tale decreto non solo � perfettamente in linea con la legge 121 (la quale a sua volta certamente rispetta i principi costituzionali) ma neppure urta contro precetti di legge ordinaria, n� modifica precedenti principi legislativi: in particolare, il 1 D.P.R. (che va letto cQme facente parte del corpo degli Accordi, giusta l'indicazione fornita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 22 marzo 1984, n. 1920, a proposito di un D.P.R. esecutivo di un patto internazionale, ,a seguito di un trattato ratificato per legge) non costringe gli insegnanti ad impartire l'insegnamento religioso, n� a tradire le proprie convinzioni, n� modifica lo stato giuridico di alcuno, n� introduce per la prima volta il ius ad loquendum dell'autorit� canonica (cfr. art. 5 della legge 5 giugno 1930, n. 824, e punto 5 del Protocollo addizionale, dove espressamente si parla di � insegnanti che siano riconosciuti idonei dadl'autorit� ecclesiastica nominati, d'intesa con essa, dall'autorit� scolastica), n� tanto meno introduce per la prima volta I'� ora di religione �. . * * * Il sistema complessivamente derivante dalle circolari impugnate appare, dunque, in perfetta linea con le norme legislative; e, come ha gi� avuto occasione di osservare il Consiglio di Stato con le due ordinanze dell'll luglio 1986 (a proposito di due delle circolari oggi in esame) esse � tendono a disciplinare il momento organizzativo ... � ponendo adempimenti e norme di condotta � funzionalmente preordinati alla corretta e regolare organizzazione dell'attivit� scolastica (in relazione ai quali) non si apprezza la lesione che si assume essersi verificata nella sfera soggettiva dei ricorrenti per i quali, invero, non sembra in alcun modo compromesso l'esercizio della facolt� di scelta di cui sopra, tanto pi� che � rimessa alla successiva determinazione dei competenti organi collegiali scolastici la predisposizione delle possibilit� alternative�. (omissis) L'Avvocato dello Stato ANTONIO PALATIELLO I I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 379 La laicit� dello Stato e la posizione di pari uguaglianza di tutti i cittadini non esclude, necessariamente, un'attenzione al fenomeno religioso della maggioranza del popolo sotto il profilo educativo. La scelta, come materia di insegnamento, della religione cattolica � giustificata dal rilievo che �i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano �, Essa non contrasta con la Costituzione che, per gli stessi motivi, ha pure dedicato una specifica regolamentazione (art. 7) per tale oredo religioso. E soprattutto l'asserzione, ribadita nel Concordato revisionato, di garantire a chiunque la libert� di coscienza, con la pDevisione del diritto di non avvalersi di tale insegnamento, rende evidente come, in definitiva, non si sia attentato ad alcuno dei diritti fondamentali dell'individuo, n� ad alcuno dei diritti di libert� specificamente richiamati dall'appellante. N� sembra comprensibile l'asserita violazione deWart. 97 della Costituzione circa il buon andamento della pubblica amministrazione, atteso che non � condivisibile la tesi secondo cui l'inserimento della religione cattolica tra le materie curriculari impr:direbbe una � efficiente organizz, azione dell'attivit� didattica�. (omissis) CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 settembre 1988, n. 1043 -Pres. Laschena -Est. Camera -Ministero Pubblica Istruzione (avv. Stato Stipo) c. Martucci (avv. Romanelli). Giurisdizione civile -Domanda di ricongiunzione della posizione assicu� rativa statale a quella INPS -Provvedimento statale di diniego della ricongiunzione -Ricorso � Giurisdizione AGO. Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia riguardante l'accertamento del diritto alla ricongiunzione in sede INPS dei periodi assicurativi a carico dell'Amministrazione della pubblica istruzione (1). (omissis) Ritiene il Collegio di esaminare in via preliminai:re l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a decidere la controversia, la quale ha per oggetto il lamentato diniego, da parte del (1) In argomento cfr. Cass. 22 aprile 1988 n. 3134. Qualora la Pubblica Amministrazione abbia gi� concesso al proprio dipendente il'trattamento di quiescenza nella forma dell'indennit� una tantum (tale � il caso della sentenza della Cassazione ora citata) ovvero della pensione (tale � il caso della sentenza in rassegna), i'accoglimento della richiesta dello stesso ex dipendente rivolta ad ottenere la ricongiunzione dei contributi in favore 380 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ministero della Pubblica Istruzione -presso il quale l'attuale appellato era in servizio -di provvedere alla ricongiunzione della sua posizione assicurativa con quel'l:a I.N.P.S. ex art. 1 della legge 7 fobbraio 1979, n. 29, per i periodi di lavoro da lui prestati anteriormente alla sua nomina in ruolo, oltre per i contributi volontari versati. La legge 7 febbraio 1979, n. 29 ha consentito -su libera opzione del lavoratore -la ricongiunzione di tutti i periodi di contribuzione obbligatoria, volontaria e figurativa ai fini del diritto della misura di un'unica pensione. In tal modo, da una parte � stata attribuita al lavoratore la facolt� di esercitare una scelta, indirizzandola a quel tipo di trattamento previdenziale che si presenta pi� favorevole, e dall'altra � stato individuato l'unico debitore tenuto all'unica pensione da liquidare all'atto della cessazione dal servizio. Il T.A.R. ha ritenuto di superare l'eccezione di giurisdizione del giu I dice adito sull'assunto che gli impugnati provvedimenti, in quanto espressione di un'attivit� preordinata alla creazione dei presupposti per il diritI to a pensione, sono sottratti alla competenza giurisdizionale della Corte dei Conti che, a norma dell'art. 62 del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, presup I j pone l'esistenza di �provvedimenti definitivi di liquidazione di pensione i I Ia carico dello Stato� ovvero �l'esercizio di un'azione diretta a far valere la titolarit� del diritto al trattamento di quiescenza�. Ha ritenuto, altres�, infondata la sostenuta competenza dell'A.G.O. in quanto non si verte sul disconoscimento di un diritto alla ricongiunzione da parte dell'I.N.P.S.. I Sostiene l'Avvocatura Generale dello Stato, censurando l'impugnata I sentenza, che erroneamente il T.A.R. avrebbe affermato la propria com petenza a decidere. , l Assume in particolare che i primi giudici, per affermare una loro i competenza nella materia, pongono una distinzione tra provvedimento I definitivo e provvisorio di pensione, irrilevante agli effetti della giu risdizione. I I I dell'INPS (preferendo tale tipo di pensione), presuppone necessariamente l'an nullamento del provvedimento amministrativo di concessione del trattamento I di quiescenza. Ora, il giudice ordinario non pu� annullare il suddetto provvedimento, perch� al riguardo sussiste la giurisdizione della Corte dei conti, giudice esclu sivo delle pensioni e di altre forme di trattamento di quiescenza in genere. I Nessuna influenza pu� ave.re la circostanza che trattasi di pensione provvi soria, perch� ci� non vale ad escludere la giurisdizione della Corte dei conti (v. Cons. Stato, VI, 8 ottobre 1982,� n. 469; Cass., SS.UU., 7 luglio 1988, n. 4503 retro, pag. 305). Sulla giurisdizione della Corte dei Conti nel caso di domanda di condanna all'INPS a trasferire presso la CPDEL i contributi ricevuti v. Cass. 5 marzo 1985 n. 1824. PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Il Collegio ritiene fondata l'eccezione. di difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo. La questione all'esame riguaivda l'accertamento della spettanza e del: l'ammontare,del diTitto vantato dal resistente alla ricongiunzione in sede I.N.P.S. dei periodi assicurativi a carico dell'Amministrazione della Pubblica Istruzione. Con domanda diretta all'I.N.P.S. in data 19 settembre 1983, l'interessato ha chiesto, infatti, la ricongiunzione dei contributi, scegliendo lo I.N.P.S., quale Ente tenuto ,all'intera pensione. Tale scelta comporta che la competenza a decidere sia del Giudice Ordinario ex art. 442 c.p.c.. L'accoglimento di detta eccezione pregiudiziale :di .difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, preclude l'esame delle altre questioni di rito e �di merito. In riforma dell'appellata sentenza, va dichiarato, pertanto, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nei confronti dell'Autorit� Giudiziaria ordinaria rin ordine alla controversia proposta con ricorso n. 1976/85 al T.A.R. per la Lombardia da Martucci Gualtiero avverso il provvedimento n. 14827 del 16 aprile 1985 del Provveditore agli Studi di Como e la nota del Ministero della Pubblica Istruzione n. 3518/A/3 del 5 aprile 1985, con i quali � stata negata la sua richiesta di ricongiunzione ex art. 1, legge 7 febbraio 1979, n. 23 (omissis). SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 gennaio 1988 n. 138 -Pres. Bologna Est. Sensa:le -P. M. Paolucci (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. Stato Corti) c. Camilleri. Tributi in genere -Contenzioso tributario -Solidariet� � Accertamento notificato ad uno soltanto dei debitori � Decisone del relativo ricor� so � Impugnazione da parte di altri condebitori -Inammissibilit� � Successivo accertamento � Impugnabilit� autonoma. Sulla base delle regole della solidariet� comune, valide anche nel rapporto tributario, il condebitore che non abbia ricevuto la notifica dell'accertamento e non sia stato parte nel giudizio promosso da altro condebitore non ha interesse ad impugnare la decisione ad esso inopponibile, mentre resta integro il potere di impugnare autonomi atti di accertamento non influenzati dal giudicato (1). (omissis) n ricorso � fondato. Le circostanze di fatto pacifiche tra le parti e dalle quali la controversia trae origine, sono 1e seguenti. Deceduto in Palermo, il 29 agosto 1963, Calogero Camilleri lasciando a succedergli i figli Antonietta, Letizia e Gaetano ed il coniuge Salvatrice Angela Nobile; e presentata da quest'ultima la denunzia di successione, l'ufficio emise solo nei confronti della Nobile, in proprio e quale esercente la patria potest� sul figlio minore, Gaetano, ingiunzione di pagamento dell'imposta supplettiva di successione, notificata esclusivamente alla Nobile e senza che ne fosse data notizia agli aHri eredi. (1) La decisione � evidentemente corretta. La separazione delle pos1z1oni fra condebitori, nei confronti di ciascuno dei quali il rapporto pu� definirsi autonomamente, esclude che possa estendersi a soggetto diverso la regola del rapporto fissata nei confronti del destinatario dell'accertamento e del successivo giudicato; ne consegue che non si verifica situazione di cause inscindibili ed � problematico anche l'intervento in giudizio, volontario o . iussu iudicis, il che conseguentemente esclude l'impugnazione da parte del condebitore estraneo il quale oltre tutto non vi ha interesse non potendo risentire effetti pregiudizievoli dal giudicato inter alias. Sul punto vi � ancora qualche dissenso in dottrina (RUSSO, Processo tributario, in Enciclopedia del diritto, XXXVI, 768 ss.), ma la giurisprudenza � hen ferma. Nella motivazione si accenna alla applicabilit� de1l'art. 1306 C. C.; � questo per� un delicato problema che merita pi� approfondita trattazione. Nel caso PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 383 Soltanto tra la Nobile, in proprio e per i'I figlio Gaetano, e l'ufficio che aveva emesso l'ingiunzione si svolse il giudizio dinanzi alle Commissioni tributarie, a1 quale rimasero estranee, Antonietta e Letizia Camilleri e che si concluse con la decisione in data 18 ottobre 1977 della Commissione di secondo grado, che giudic� legittimo l'operato dell'Ufficio. In seguito a tale decisione, il 25 febbraio 1978 fu notificato ad Antonietta Camilleri, nei cui confronti non era stata in precedenza emessa alcuna ingiunzione di pagamento e che, perci�, non aveva partecipato al giudizio in sede tributaria, un avviso di liquidazione, contro il quale il Camilleri insorse con la citazione del 17 maggio 1978 davanti alla Corte 1 di appello di Palermo per impugnoce la decisione della Commissione di secondo grado. !!., altresi, pacifico e risulta dalle decisioni tributarie di primo e di secondo grado che nel relativo giudizio non vi fu alcun coinvolgimento di Antonietta Camilleri, n� sotto il profilo propriamente processuale n� sotto l'aspetto sostanziale quale parte del rapporto tributario in contestazione, che potesse fada considerare fra i destinatari della decisione; questa, cio�, non solo fu pronunciata in un processo nel quale la Camiilleri non aveva assunto la qualit� di parte, ma lasci� quest'ultima al di fuori della controversia anche con riguardo al rapporto sostanziale che vi era stato dedotto. Se si considera che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale numero 48 del 16 maggio 1968 (la quale, in relazione all'articolo 24 -1� comma, cost., ha dichiarato costituzionalmente iillegittimi gli articoli 20 e 21 del r.d.l. 7 agosto 1936 numero 1639 limitatamente alla parte. in cui dalla contestazione dell'accertamento di maggior imponibile nei confronti di uno solo dei coobbligati si facevano decorrere i termini per l'impugnazione giudiziale anche nei confronti degli altri) � venuto meno il principio della solidariet� processuale in materia tributaria, ne consegue, che, non essendo stata emessa nei confronti della Camilleri l'ingiun-. zione relativa all'imposta supplettiva e non essendole stato contestato il maggior imponibile, la decisione della Commissione di secondo grado non spiega nei suoi confronti alcun effetto e che non � configurabile una sua legittimazione ad impugnarla, sia perch� non era stata parte nel relativo giudizio, nel quale sotto nessun aspetto era stata coinvolta, sia perch�, conseguentemente, mancava un suo interesse alla impugnazione; deciso, riguardante l'imposta di successione, si presentava un'ulteriore questione. La dichiarazione era stata presentata da un solo erede, ma non risulta se essa fosse a contenuto generale e tale da giovare a tutti a norma dell'ultimo comma dell'art. 36 del D.P.R. n. 633/1972; nell'affermativa si poneva il problema se l'accertamento notificato al solo dichiarante producesse effetto anche nei confronti degli altri; in caso negativo nei confronti degli altri eredi si doveva procedere sul presupposto di dichiarazione omessa. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO potendo, la sua posizione, essere definita in modo indipendente ed autonomo. Quanto precede � coerente con la disposizione contenuta nell'articolo 13Cl6 C. C., che, espunto dall'ordinamento il principio della solidariet� processuale in materia tributaria, �, per concorde opinione, applicabile anche alle decisioni del giudice tributario. Secondo tale norma, la sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido o tra il debitore ed uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori, ma sono gli altri debitori a poterla opporre al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore; e sono gli altri creditori a poterla far valel'e contro il debitore, salvo le eccezioni personali che questi pu� opporre a ciascuno �di essi. Del resto, la Camilleri, di fronte alla notificazione dell'avviso di liquidazione, non era priva di tutela, potendo ella opporsi con ricorso alla Commissione di primo grado per far accertare fa mancanza di fondamento della pretesa nei suoi confronti. Questo rimedio � oggi espressamente previsto dall'articolo 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972 -numero 636, come modificato dal D.P.R. 3 novembre 1981 -numero 739, ma � da ['itenere fosse consentito anche in base al testo originario del suddetto articolo, nonostante non menzionasse espressamente l'avviso di liquidazione. � noto che la Corte Costituzionale, occupandosi della denunciata illegittimit� costituzionale dell'articolo 16, vecchio testo, in quanto non contemplava l'avviso di mora ed i rimedi contro di esso esperibili, ha ritenuto inammissibile la questione, superata dalla interpretazione che del testo normativo era lecito dare (sentenza 6 dicembre 1985 -numero 313). E questa Corte ha poi espressamente affermato che l'avviso di liquidazione � assimilabile all'avviso di accertamento di cui all'articolo 16 non ancora modificato dal D.P.R. del 1981 (v. S.U. 3 febbraio 1986 -numero 661), ed integra � avviso di accertamento � secondo la norma medesima (vedere questa prima sezione, con sentenza numero 2527 dell'll marzo 1987), con la conseguenza che contro di esso � proponibile il ricorso del contribuente alla Commissione tributaria di primo grado nelle materie indicate nell'articolo 1 del D.P.R. numero 636 del 1972, fra le quali sono comprese, alla 'lettera G), le �Controversie relative all'imposta di successione. La Corte d'appello avrebbe, quindi, dovuto dichiarnre inammissibile l'impugnazione della decisione della Commissione di secondo grado, proposta dinanzi ad essa Corte dalla Camilleri, e, conseguentemente, la sentenza qui impugnata, in accoglimento del ricorso dell'Amministrazione, va cass.ata senza rinvio ai sensi dell'articolo 382 ultimo comma, C.P.C. (omissis). PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 385 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 gennaio 1988 n. 194 -Pres. Bologna Est. Sgroi -P. M. Lo Cascio (coni'.). Soc. Europer (avv. Belli) c. Mi nistero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Societ� in liquidazione � ~ capace di produrre reddito. {D.M. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 125 e 265). La societ� di ogni tipo in liquidazione � pur sempre un soggetto capace di produrre reddito per il quale soggiace alle normali imposte (1). (omissis) Col pdmo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell'art. 2309 e.e. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, os.servando che la liquidazione della societ� non � produttrice di reddito per cui manca il presupposto dell'imposta di R.M. Lo scioglimento della societ� e fa cessazione di essa -secondo la ricorrente -sono fatti anteriori alla messa in liquidazione la quale � il procedimento formale che porta all'estinzione della Societ�; la liquidazione ha il solo scopo di pagare i creditori sociali e di ripartire i beni fra i soci. Col secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 4, 5 del D.L. 5 novembre 1973 n. 660 conv. in 1. 19 dicembre 1973 n. 823, osservando che tale legge ha fatto riferimento alla srtruttura dell'imposta di R.M., che colpisce i singoli redditi, prodotti dalla propria causa (art. 81 del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645) e cio� una ricchezza nuova, la quale cessa nel momento in cui viene a mancare la fonte produttiva. Secondo la ricorrente, l'atto di messa in liquidazione di una societ� comporta la cessazione del reddito sotto entrambi i suddetti profili, ed in tal senso va interpretato l'art. 2 del D.L. citato, nonch� la risoluzione ministeriale del 25 febbraio 1975 che si riferisce alla cessazione di attivit�. Il ricorso � infondato. Per sottolineare la confusione della ricorrente fra �liquidazione� della Societ� e � cessazione dell'attivit� sociale �, basta richiamare gli artt. 125, 265 del T.U. n. 645 del 1958. Il primo, sotto la rubrica � Liquidazione di soggetti tassabili in base a bilancio � dispone � quando la liquidazione dei soggetti tassabili in base a bilancio si protrae oltre l'esercizio nel quale ha avuto inizio, gli imponibili determinati per ciascun esercizio sono soggetti a conguaglio sulla base del bilancio finale di liquidazione � ed al secondo comma apporta due deroghe al comma precedente (v. anche l'art. 22, sui termini per presentare le dichiarazioni). (1) Decisione di evidente esattezza. Lo stato di liquidazione, che pu� durare a lungo, non estingue la capacit� produttiva del soggetto, come emerge anche soltanto dall'art. 2279 e.e. che vieta di intraprendere nuove iniziative, ma non di proseguire quelle iniziate; senza dire che anche per le inizi�tive intraprese contro il divieto il reddito prodotto � comunque soggetto all'imposta. 386 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'art. 265, a sua volta, sotto la rubrica � Responsabilit� dei iliquidatori � sancisce la responsabilit� dei suddetti in caso di inadempimento dell'obbligo di pagare le imposte dovute dal soggetto per il periodo della liquidazione (oltre che per quello anteriore). La suddetta normativa (oltre che direttamente applicabile ai soggetti che optano per la tassazione facoltativa in base a bilancio, ai sensi dell'art. 104 fra cui rientrano le societ� in accomandita semplice) detta regole peculiari sulla base del presupposto generale secondo cui la fase di liquidazione (anche delle societ� non tassabili in base a bilancio) non esclude affatto la soggezione a tutte le imposte, fra cui � compresa quella di r.m., per l'attivit� di liquidazione ed in relazione ai redditi di r.m. che si producono in tale fase (� tipico l'esempio delle plusvalenze che si U'.'ealizzano nelle vendite dei beni sociali; dr. Cass. 27 giugno 1986 n. 4265). Nessuna deroga a tale principio elementare � apportata dall'art. 2 del d.l. n. 660 del 1973 conv. in legge n. 823, che facendo riferimento ai periodi di imposta non distingue affatto fra i periodi nei quali l'impresa svolge un'attivit� normale ovvero � in liquidazione. Sulla base dei presupposti di fatto che risultano, e cio� della richiesta di determinazione automatica, ai sensi dell'art. 4 della legge da ultimo citata, dei redditi per l.'anno 1973 (accertata dalla Commissione Centrale) e della permanenza dello stato di liquidazione della Societ� almeno ancora nel 1981, e cio� nell'anno di proposizione del presente .ricorso, � evidente l'esattezza della decisione impugnata che ha affermato la soggezione ad imposta di r.m. per gli anni 1971 e 1972 in quanto non risultava un bilancio fina~e di liquidazione e quindi la cancellazione della Societ� dal registro delle imprese. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 gennaio 1988 n. 324 -Pres. &anzano � Est. Cantillo � P. M. Caristo (conf.). -Rubeo (avv. Di Gravio) c. Mini stero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) ed altri. Riscossione delle imposte dirette � Sanzioni � Fallimento fiscale � Presupposti � Dichiarazione oltre l'anno dalla cessazione della attivit� � Esclusione. (d.P.R. 29 settembre 1972, n. 602, art. 97; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 10). Riscossione delle imposte dirette � Sanzioni � Fallimento fiscale � Iscrizione a ruolo provvisoria � Anteriore domanda di condono � Sospensione della riscossione � Esclusione del fallimento. (d.P.R. 29 settembre 1972, n. 602, art. 97; d.!. 10 luglio 1982, n. 429, art. 32). Il fallimento fiscale, bench� non richieda lo stato di insolvenza, ha pur sempre come presupposto che l'esercizio dell'impresa non sia cessato da oltre un anno (1). (1-2) Decisione di notevole interesse. Sulla seconda massima non constano precedenti specifici. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 387 Poich� l'art. 32 del d.l. 10 luglio 1982 n. 429 convertito nella legge 7 agosto 1982 n. 516 sul condono prevede, oltre alla sospensione dei giu-� dizi in corso, la sospensione della: possibilit� di iscrizioni a ruolo provvisorie e tale sospensione va riferita anche alle iscrizioni a ruolo anteriori, dall'entrata in vigore del decreto e successivamente a seguito della presentazione della domanda di condono, non sussistono i presupposti (mancato pagamento) per la dichiarazione di fallimento fiscale. (2) (omissis) 2. -Nell'ordine 'logico-giuridico debbono essere esaminati con precedenza ed insieme, perch� strettamente connessi, il secondo, il quinto e il sesto motivo di ricorso, con i quali .il Rubeo critica la ,sentenza impugnata per avere escluso che egli avesse cessato l'attivit� pi� di un anno prima della dichiarazione di fallimento. Denunziando la violazione dell'art. 10 legge fall., degli artt. 2733 e 2735 e.e. e dell'art. 116 c.p.c., nonch� vizi della motivazione, il ricorrente sostiene che la decorrenza del termine annuale, valido anche per la dichiarazione di fallimento fiscale, nella specie risultava da un complesso di testimonianze assolutamente univoche, confortate dal certificato della Camera di Commercio de L'Aquila e non contraddette dalla dichiarazione resa da. esso Rubeo a fini fiscali, frutto di evidente errore nella compilazione del modulo. La censura � infondata. Il suo rigetto viene argomentato dalla difesa di uno dei resistenti ponendo in dubbio la stessa applicabilit� dell'art. 10 della legge f.allimentare al fallimento fiscale, che potrebbe essere dichiarato anche oltre il termine annuale stabilito dalla norma. Ma il dubbio non ha consistenza, ove si consideri, da un lato, che le peculiarit� del fallimento fiscale riguardano i presupposti e il procedimento dichiarativo, mentre, alla stregua del principio che si evince dall'art. 4 secondo comma 1. fall., rper ogni altro aspetto non derogato dalle norme speciali tributarie vale la disciplina ordinaria; e, dall'altro, che la vigenza del termine annuale per la dichiarazione non trova ostacolo nella diversit� del presupposto oggettivo, cio� nel fatto che il fallimento fiscale prescinde dallo specifico accertamento dello stato di insolvenza e postula, invece, un inadempimento qualificato (costituito, ex art. 97, terzo comma d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, dall'omesso pagamento di tutte o di un'unica rata di un medesimo ruolo per un ammontare superiore a cinquecentomilalire), essendo evidente che il termine suddetto adempie esclusivamente al1a funzione di consentire il fallimento di soggetti che non hanno pi� la qualit� di imprenditori commerciali, tuttavia evitando che rimangano esposti a1la procedura oltre un termine. ritenuto ragionevole perch� si manifesti il preesistente stato di insolvenza. Nella specie, per�, la Corte di appello ha positivamente escluso, in base ad un complesso di elementi, che il Rubeo avesse cessato l'attivit� pi� di un anno prima del fallimento. 388 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In particolare, essa ha fatto leva sulle analitiche e reiterate informazioni fornite dalla P.S. ai fini del procedimento concorsuale e sulla dichiarazione fatta il 15 giugno 1982 all'Ufficio IVA de L'Aquila personalmente dal Rubeo; e ha esposto le ragioni che la indocevano a ritenere non attendibili .Je generiche testimonianze fatte assumere dal Rubeo e il certificato camerale del 21 giugno 1982 (riferito ad una ditta diversa), elementi -codesti -contrastati anche dalle risultanze del fascicolo fallimentare. Questo accertamento di fatto, cos� sorretto da congrua e logica motivazione, non � qui sindacabile. 3. -Nell'ordine logico deve essere esaminato, poi, il terzo motivo di ricorso, concernente le conseguenze della presentazione della domanda di condono sulla dichiarazione di fallimento fiscale. Denunziando la violazione dell'art. 97 d.P.R. 29 settembre 1973 , n. 602, dell'art. 32, terzo comma, d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito nella '1egge n. 516 del 1982, nonch� vizi della motivazione, il !ricorrente sostiene che il fallimento non poteva essere dichiarato perch�: a) ~'efficacia esecutiva del ruolo era rimasta sospesa fiino al 15 ma<rzo 1983 per le imposte iscritte in via provvisoria; b) per effetto della domanda di condono era venuto a mancare un credito tributario insoddisfatto liquido ed esigibile, cio� il presupposto del fallimento fiscale; e) la sospensione prevista dall'art. 32 cit. riguaroava non solo le controversie tributarie pendenti innanzi alle commissioni, ma anche i procedimenti penali e quelli pre4'allimentari di natura fiscale, ci� che era stato erroneamente escluso dalla Corte di appello, la quale aveva confuso il giudizio di opposizione al fallimento con la fase istruttoria precedente ia dichiarazione. Le censure sono fondate nei sensi appresso precisati. Si discute se il fallimento fiscale (o per debito d'imposta) possa essere dichiarato anche per Ja morosit� nel pagamento di Tate di imposte iscritte a ruolo in via provvisoria, ex art. 15 d.P.R. n. 602 del 1983: al quesito la prevalente dottrina d� risposta positiva e allo stesso modo sembra orientata questa Corte, ancorch� con riferimento alla vecchia nocmativa (artt. 261 e 26 T.U. n. 645 del 1958, che richiedeva il mancato pagamento di sei Tate di imposta). Nella specie, per�, il delicato problema non viene immediatamente in rilievo, in quanto � in contestazione la stessa efficacia dell'iscrizione a ruolo; e sotto questo pxofilo occorre stabilire quali siano le conseguenze ! del c.d. condono fiscale rispetto ad un debito di imposta iscritto a ruolo in via provvisoria e, prima ancora, quali siano i limiti del sindacato consentito al giudice dell'opposizione al fallimento fiscale in ordine ai pTe� I supposti del medesimo. ~= jj A quest'ultimo riguardo, � anzitutto pacificamente ammesso il conf f trollo sulla legittimit� formale della pretesa della finanza, dovendosi ricoi:. !' 2 f noscere al giudice dell'opposizione il potere-dovere di accertare, alla stre f I i PARm I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA gua dei documenti prodotti dall'istante, la rituale iscrizione a ruolo del tributo e l'esistenza della particolare morosit� richiesta dalla legge. Quanto al sindacato sostanziale, ii.nvece, occorre distinguere fra presupposto soggettivo e presupposto oggettivo del fallimento. In ordine al primo, dottrina e giurisprudenza sono ora orientate (ma incertezze si sono avute anche dopo l'abolizione del solve et repete) nel senso che al giudice compete di stabilire se il contribuente effettivamente rivesta la qualifica di imprenditore commerciale; e ci� sul rilievo che l'art. 4 della legge 20 maggio 1865 n. 2248 all. E vieta la revoca o la modifica dell'atto amministrativo di imposizione del tributo, ma non di verificare l'esistenza dei requisiti che costituiscono il necessario presupposto della dichiarazione di fallimento, nonch� si atteggino diversamente da quelli ordinari (v., sent. Corte Costituzionale n. 215 del 1975). In ordine al presupposto oggettivo, per la stessa ragione si � orientati ad ammettere l'opponente a dimostrare che il tributo non � relativo all'attivit� commerciale o che non sussiste l'inadempimento dedotto dal1' Amministrazione finanziaria; � unanimamente escluso, invece, sia che il contribuente possa dimostrare l'inesistenza del debito d'imposta risultante dal .ruolo e sia che abbia rilievo, sulla procedibilit� del fallimenro fiscale, l'impugnativa innanzi alle commissioni tributarie o, comunque, la contestazione giudiziaria del ruolo, Ja cui efficacia non pu� �essere sospesa. In particolare, con riferimento alle iscrizioni a ruolo a titolo provvisorio, per le quali, essendo pendente il giudizio tributario, manca un accertamento definitivo e si fa luogo alla procedura concorsuale solo perch� il ruolo ha efficacia di titolo esecutivo (� stato impugnato l'accertamento o direttamente il ruolo), � pacifico che il fallimento non pu� essere dichiarato se medio tempore, cio� dopo l'istanza, ma prima della sentenza dichiarativa, il debito di imposta risulti insussistente o di ammontare inferiore a quello minimo richiesto per il fallimento (cio� lire 500.000) con pronuncia del giudice tributario, ed altres� se venga meno l'efficacia esecutiva del ruolo, perch�, ad es., l'Intendente di finanza ne sospenda la riscossione. Inoltre � pacifico che anche dopo 1a dichiarazione di fallimento questo deve essere revocato se il debito tributario venga escluso (o ridotto in ammontare inferiore a quello richiesto) con pronunzia passata in giudicato; ed altres� che il giudice dell'opposizione pu� sospendere il processo in attesa della decisione della controversia d'imposta da parte del giudice tributario. 4. -Ci� posto, con riguardo al condono tributario di cui al d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito -con modificazioni -nella fogge 7 agosto 1982, n. 516, occorre considerare il quarto comma dell'art. 32, il quale dispone che nel periodo di sospensione dei giudizi in corso (decorrente 390 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dalla data di entrata in vigore del decreto legge) Ǐ altres� sospesa l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 �, cio� delle norme che consentono l'iscrizione provvisoria in presenza di accertamenti non definitivi perch� impugnati. La disposizione � stata talvolta interpretata nel senso che si riferisca solo alle iscrizioni successive all'entrata in vigore della legge di condono, non anche 1a quelle precedenti, gi� effettuate alla data suddetta, la cui riscossione non sarebbe affatto influenzata dalla normativa sulla definizione delle controve11sie pendenti. Ma la tesi non pu� essere condivisa almeno per due ordini di argomenti. Anzitutto, l'interpretazione restrittiva non � imposta dall'enunciato testuale, che -facendo generioo riferimento alle disposizioni dell'art. 15 cit. -investe l'applicabilit� dell'intera disciplina sostanziale sulla riscossione provvisoria delle imposte, non solo il .futuro esercizio della potest� di iscrivere a ruolo tributi non ancora definitivamente accertati; e la ratio della disposizione cos� interpretata sta in ci�, che 1a riscossione coattiva di tali tributi vanificherebbe la finalit� del condono annullandone gli effetti economici, posto che la stessa legge preclude il rimborso delle imposte gi� pagate. In secondo luogo, l'esegesi restrittiva darebbe luogo ad un'evidente ed irrazionale disparit� di trattamento fra contribuenti in uguali condizioni soggettive, cio� che abbiano presentato o siano abilitati a presentare domanda di definizione (automatica o mediante dichiarazione integrativa) delle controversie pendenti, nei cui confronti la riscossione sarebbe consentita o preclusa in dipendenza di eventi -quali la maggiore o minore sollecitudine nell'iscrizione a ruolo o nel rendere esecutivo il ruolo -rimessi a circostanze fortuite relative all'attivit� ed alla operosit� degli uffici finanziari e perci� assolutamente inidonei a forniire un ragionevole supporto alla discriminazione (v., per un analogo discorso in relazione all'art. 16 della legge n. 516 del 1982, Corte Cost. 27 giugno 1986, n. 175). Pertanto la disposizione di cui al quarto comma dell'art. 32 dt. deve essere interpretata nel senso che preclude in ogni caso la riscossione provvisoria dei tributi cui si riferisce la legge n. 516 del 1982, a prescindere dalla circostanza che non sia avvenuta o sia gi� avvenuta l'iscrizione 1 a ruolo, non potendo la riscossione medesima aver luogo dopo la presentazione della domanda di condono o in pendenza del termine per presentarla. 5 . ..,_ Questa esegesi trova conferma nella disciplina successivamente dettata per le iscrizioni a ruolo effettuate prima del 30 marzo 1985 in base a decisioni, sentenze o accertamenti diventati definitivi dopo il 15 marzo 1983 per imposte sui redditi relative a periodi per i quali sono PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA state presentate dichiarazioni integmtive o istanze di definizione automatica: ai sensi dell'art. l, terzo comma, della legge 14 mairzo 1985, n. 101, la <riscossione di ta1i tributi � sospesa fino alla liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni integrative o alle istanze di definizione (comunque non oltre il 31 dicembre 1988), senza imporre al contribuente neppure l'onere di presentare all'uopo appoSiita istanza ~prima dell'art. 1 della legge n. 101 del 1985 era stato emanato il. d.l. 22 dicembre 1984, n. 902, poi decaduto per mancata conversione, che all'art. 3 conteneva una disposizione analoga, tuttavia condizionando la sospensione della riscossione ad un'istanza all'intendenza di finanza). La norma � rilevante perch�, nello stabilire la sospensione della riscossione per le pronunzie giudiziali e gli accertamenti divenuti definitivi dopo la scadenza del termine di sospensione previsto dall'art. 32 della legge originaria, prorogato al 15 marzo 1983 dalla legge n. 27 del 1983, a fortiori esclude che possa procedersi all'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio ovvero alla riscossione di tributi gi� iscritti a ruolo a tale titolo, in relazione ai quali, per essere rimasto sospeso il giudizio, non poteva neppure aversi uria decisione definitiva. La disposizione suddetta si � resa necessaria per gli accertamenti non impugnati in conseguenza del condono e, dunque, formalmente diventati definitivi dopo il 15 marzo 1983 (scadenza del periodo di sospensione) e per le pronunzie anteriori al condono, non impugnate per la stessa ragione; e la disposizione non avrebbe senso, manifestamente, se non fossero rimaste sospese, ex art. 32, anche le iscrizioni provvisorie gi� effettuate in base 1a tali accertamenti e a tali decisioni. In definitiva, si deve affermare che, in forza dell'art. 32, quarto comma, del d.l. n. 429 del 1982, sul c.d. condono tributario, convertito nella legge n. 516 del 1982, e succ. modif., l'applicabilit� della disciplina delle iscrizioni a molo provvisorie delle imposte dirette, di cui all'art. 15 del d.P.R. n. 602 del 1973, rimase sospesa fino al 15 marzo 1983 (termine per la presentazione delle dichiarazioni integrative e delle istanze di definizione automatica), con la conseguenza che per i tributi non accertati definitivamente alla data di entrata ~n vigore del d.l. n. 429 del 1982, non poteva procedersi n� a nuove iscrizioni a titolo provvisorio n� alla riscossione delle iscrizioni provvisorie effettuate in precedenza; e tali iscrizioni o riscossioni sono poi rimaste definitivamente precluse per effetto della presentazione e dell'accoglimento delle diohiaraziorni. e domande suddette, venendo l'originaria pretesa fiscale sostituita dalla nuova liquidazione del tributo, eseguita (o da eseguire) in base alle norme agevolative della definiri.one delle pendenze tributarie di cui alle leggi innanzi menzionate. 6. -Ci� posto, risulta agevole (['isolvere lo specifico problema giuridico che suscita il (['icorso, se, cio�, sia consentito dichiarare il fallimento fiscale <in base ad un'iscrizione a ruolo effettuata in via provvisoria, ex 392 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO art. 15 d.P.R. n. 602 del 1973, per un debito d'1mposta derivante da un accertamento impugnato, perci� non definitivo, in relazione al quale sia stata presentata (ovviamente, prima della sentenza di fallimento) dichiarazione integrativa con def�inizione rautomatica, ai sensi degli artt. 14 e 16 della legge di condono suddetta. Si � visto che il fallimento fiscale postula l'inadempimento di un debito di imposta iscritto in un ;ruolo valido ed efficace, che c�stitudsca idoneo titolo per la riscossione coattiva del tributo, anche alJ.a quale � finaliz2lata la speciale procedura concorsuale (che; com'� noto, adempie ad una duplice funzione, sia esecutiva e satisfattiva, essendo diretto a consentire alla finanza il soddisfacimento del proprio credito nella forma universale dell'esecuzione concorsuale, sia intimidatrice e sanzionatoria, siccome i gravi effettti personali e patrimoniali della dichiarazione� di fallimento, ordinariamente relazionati all'insolvenza, si producono in relazione ad un fatto meno grave, qual'� la mera inadempi�nza,� che potrebbe essere vinta, in ipotesi, con l'esecuzione singolare}. E si � anche vristo che ili. controllo circa l'esistenza �di tale presupposto � demandato al giudice, il quale -se non pu� interloquire quanto all'esistenza del debito -deve accertare che il titolo sia formalmente valido ed operante, in particolare verJ:ficando, anche in relazione alle eventuali� eccezioni del debitore, che non siano sopravvenuti fatti o atti i quali abbiano privato il ruolo dell'efficacia esecutiva sua propria; il quale requisito assume particolare significato per le iscrizioni provvisorie, posto che fu tal caso -come pure si � detto -la pronuncia di fallimento pu�� giustificarsi solo con l'esecutoriet� dell'atto. In forza del principio dnnanzi enunciato, nel periodo dall'entrata in vigore del d.l. n. 429 del 1982 al 15 marzo 1983, e a maggior ragione dopo la presentazione della dichiarazione integrativia con definizione automatica, le iscrizioni a ruolo (provvisorie) di t�ributi ricadenti nell'area del condono non costituivano titolo per la riscossione, erano, cio�, provvisoriamente prive di efficacia esecutiva; ed erano destinate a perdere tale qualit�, diventando definitivamente inefficaci, in seguito all'accettazione della dichiarazione integrativa, in virt� della quale all'originario tributo si sostituiva que!llo dovuto in base alla legge di condono. Nel periodo suddetto, dunque, non era consentito dichiarare H fallimento fiscale in forza di iscrizioni provvisorie a ruolo riguardanti tributi per i quali era ammessa la definizrione automatica, con la conseguenza che l'istanza di fallimento andava rigettata o, comunque, ogni determinazione sulla stessa doveva essere so.spesa fino al 15 marzo 1983; pertanto, se dichiarato, il fallimento doveva essere revocato dal giudice del- l'opposizione, specie se frattanto era stata presentata domanda di condono. (omissis) PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 393 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 gennaio 1988 n. 669 -Pres. Falcone -Est. Corda -P. M. Minetti (conf.). P.roto c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Cenerini). Tributi erariali diretti -Imposta complementare sul reddito -Accertamento induttivo -Presunzione -Disponibilit� di capitali dimostrata Presunzione di accumulo in due esercizi precedenti -Esclusione. La dimostrata disponibilit� di capitali in un determinato esercizio non giustifica la presunzione di accumulo di capitali nei due esercizi precedenti come dimostrativa di un reddito superiore a quello dichiarato (1). (omissis). -Col primo motivo (denunciando il vizio logico e la contraddittoriet� della motivazione) il ricorrente censura la decisione impugnata per avere presunto, dal supposto accumulo graduale del capitale, un capacit� cont:dbutiva superiore a quella risultante dagli elementi noti, risultanti daUa dichiarazione (fatta dal contribuente). Sostiene che la decisione awebbe dovuto, invece, considerare che la disponibilit� di capitali manifestata in un anno successivo a quello cui � riferito l'accertamento induttivo non necessariamente rivela una produzione di redditi realizzata negli anni immediatamente precedenti. E ci� pel'ch� quel capitale pu� essere stato realizzato proprio nello stesso anno in cui, mediante l'impiego, ne viene rivelata l'esistenza, ovvero pu� essere il frutto di un lento accumulo, attuato in un numero di anni ben superiore a quello presunto dalla decisione impugnata. Col secondo (denunciando la violazione o falsa applicazione dell'articolo 137 del T.U. 1958) censurava la decisiione impugnata per 1avere ritenuto che Ja capacit� contributiva poss� esisere rivelata dall'accumulo del (1) Conforme � l'altra decisione in pari data n. 670. La disponibilit� di un capitale in un certo momento non dimostra che essa si sia accumulata nei due esercizi precedenti perch� potrebbe essere di accumulo assai pi� lento come pure potrebbe essersi creata nello stesso esercizio in cui il capitale � stato speso; ed � forse esatta l'affermazione che l'induzione tentata si basa solo su una possibilit� e non una probabilit�. No:cy'� sembra tuttavia condividibile l'affermazione che nel caso si sia impostato 'l'accertamento su una praesumptio de praesumpto. La capacit� contributiva superiore al dichiarato � una faccia della stessa presunzione di accumulo negli esercizi precedenti non gi� una ulteriore presunzione derivata da una prima presunzione: se la somma oggi disponibile � 100 e si presume (prima ed unica presunzione) che questa disponibilit� si sia creata con un reddito di 50 e 50 nei due esercizi precedenti, nei quali i redditi dichiarati erano stati 25 e 25, la conclusione della produzione di maggior reddito � l'effetto della unica presunzione. Per una analoga ricostruzione cfr. Cass. 17 febbraio 1986, n. 934 in Dir. prat. trib., 1986, Il, 795. 394 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DE.I.LO STATO capitale. Deduce che, ai sensi della norma indicata come vio~ata, l'accertamento induttivo � 1egittimo quando ad esso si perviene attraverso manifestazioni di 1reddito �speso� (non �accumulato�). Il ricorso � fondato. La ratio della decisione impugnata pu� esse.re cos� sintetizZiata: dal fatto noto del possesso della somma di lire 141 milioni nel 1973 si risale, per presunzione, a1 fotto del graduate accumulo della somma stessa nei due anni immediatamente precedenti 1971 e 1972 (la controversia attinente al 1972, separata' dalla presente perch� decisa dalla Commissione Tributaria Oentirale con separata pronuncia e relativa al ricorso per cassarione n. 6305/84, viene da questa Corte esaminata contemporaneamente a1la presente e decisa contestualmente ad essa). Da ci� deri~a la presunzione che per gli anni precedenti il contribuentle avesse avuto una capacit� contributiva superiore 1a quella dichiarata. Siffatto ragionamento denuncia, per�, un uso distorto dello strument� logico delle presunzioni per due evidenti rngioni. La prima � che dal fatto (noto) della disponibilit� dell'intera somma nel 1973 fa discendere il fatto (presunto) del parziale �accumulo� nell'anno qui considerato in base a un calcolo che non � neppure di ilontana probabilit�, ma � di semplice, astratta possibilit�. � 1infatti, solo possibile che in ciascuno dei due anni considerati da1l'Ufficio (1971 e 1972) il contribuente avesse � accumulato � la somma di lire 30 milioni, cos� come era peraltro possibile che ne avesse 'accumulato un'aHra di entit� diversa, ovvero non ne avesse accumulato alcuna. Ma non � in base alla mera possibilit� che pu� essere costruito il ragionamento probatorio fondato sulle presunzioni, occorrendo, invece, che il fatto presunto sia collegato a quello noto da un vincolo logico a;1meno di probabilit�, in base al principio dell'id quod plerumque accidit. La seconda ragione che denuncia l'uso distorto dello strumento probatorio logico adoperato daH'Ufficio e fatto proprio dalla Commissione Tributaria Centrale consiste nell'avere fondato il fatto presunto non direttamente sul fatto noto, ma, a questo per il tramite di un fatto anch'esso presunto (praesumptio de praesumpto). La presunzione di una maggiore disponibilit� economica, rivelatrice della maggiore capacit� ,contributiva, deriva dalla presunzione del graduale �accumulo� del denaro attuato nei due anni 1971 e 1972. Ma se gi� quel graduale � accumulo � del denaro � presunto, ci si trova, palesemente, di fronte a quella praesumptio de praesumpto che, per costante giurisprudenza non pu�, in 1alcuna sede processuale, essere adoperata ai fini probatori. La conclusione di tutto il discorso � che l'Ufficio non ha dato una valida prova deil'asserito fatto che il contribuente, nell'anno in conside PARTE I, SEZ. VI,' GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 395 ~azione, avesse a\"Uto una capacit� reddituale contributiva superiore a queUa dichiarata. L'ulteriore conclusione � che, in accoglimento del ricorso, deve essere pronunciata la cas�sazione della decisione impugnata. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 gennaio 1988 n. 824, -Pres. Scanzano -Est. Lupo -P. M. Visalli (conf.). Ministero deHe Finanze (avv. Stato D'Amato) e Fallimento Sare (avv. Manunza). Tributi in genere -Riscossione -Esecuzione esattoriale -Devoluzione -Decreto di revoca -Natura -Impugnabilit� con ricorso per Cassazione -Ammissibilit�. (Cost., art. 111, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 87}. Riscossione imposte dirette � Esecuzione esattoriale -Devoluzione -Effetti -Procedimento -Fallimento del debitore -Non la impedisce. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 51 e 87). Premesso che il ricorso per Cassazione a norma dell'art. 111 Cost. � ammissibile contro tutti i provvedimenti giurisdizionali aventi carattere di decisoriet� e definitivit�, � da ritenersi ammissibile il ricorso contro un decreto del pretore che nell'esecuzione esattoriale abbia revocato la devoluzione allo Stato di immobile per il quale non sia stato autorizzato o ab.bia avuto esito negativo il terzo incanto (1). Nell'esecuzione esattoriale la devoluzione a norma dell'art. 87 D.P.R. n. 29 settembre 1973 n. 602 avviene di diritto e senza bisogno di decreto di trasferimento (necessario invece in caso di aggiudicazione) per il verificarsi dell'esito negativo del terzo incanto o per la sua mancata autorizzazione, tanto che il verbale che fa constare questi presupposti � il titolo per la trascrizione e la cancellazione delle ipoteche; la devoluzione si verifica anche quando il debitore sia fallito e l'esecuzione individuale venga proseguita a norma dell'art. 51 del D.P.R citato. Conseguentemente il pretore, che non deve emettere alcun provvedimento ai fini della devoluzione, non pu� nemmeno revocare o comunque escludere la devoluzione (2). (1-2) Decisione da condividere pienamente. Sulla problematica generale del ricorso ex art. 111 Cost. la giurisprudenza � vastissima (Cass. 6 novembre 1984, n. 3603 in Foro it. 1985, 2056). Molto puntuale la motivazione sulla devoluzione di diritto a raffronto con le diverse ipotesi del trasferimento per aggiudicazione. Importante l'affermazione che l'esecuzione esattoriale indivi' duale in costanza di fallimento ex art. 51 d.P.R. n. 602/1973, possa essere proseguita fino alla devoluzione, sul punto � intervenuta anche la Corte Costituzionale con ordinanza 31 marzo 1988, n. 383. 396 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con il primo motivo la parte ricorrente, lamentando la violazione dell'art. 87 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (suHa riscossione delle imposte sul reddito) e dell'art. 487 c.p.c., deduce che la devoluzione dell'immobile allo Stato, previista dalla prima delle due indicate disposizioni normative, si realizza di diritto, onde al pretore non � conferito dalla .legge il potere n� di emettere una pronuncia (costitutiva o anche soltanto meramente dichiarativa) che abbia per oggetto d1 trasferimento del bene pignorato nel patrimonio dello Stato, n� di fare V�enire meno questo effetto, con un contrarius actus che non � previsto dall'ordinamento. Con il secondo motivo, la ricorrente, deducendo violazione dell'articolo 51 del citato d.P.R. n. 602/73, �si duole che H provvedimento impugnato abbia negato il diritto dell'esattore di iniziare o portare a compimento la procedura di espropriazione forzata anche nei confronti del debitore fallito. Il ricorso, proposto ai sensd dell'art. 111 Cost., deve ritenersi ammissibile, onde � infondata l'eccezione di inammissibilit� opposta dalla difesa del fallimento nella discussione orale. � noto che secondo una risalente giurisprudenza di questa Corte (a partire dalla Sez. Un. 30 lugLio 1953 n. 2593), l'art. 111, 2� comma della Costituzione, nell'ammettere il ricorso per cass�azione contro � le sentenze �, comprende non soltanto tutti i provvedimenti giurisdizionali che devono rivestire la forma della sentenza indipendentemente dal loro contenuto, ma anche gli alt11i provvedimenti decisori, ancorch� rivestano una forma diversa da quella della sentenza. L'evoluzione giurisprudenziale consente di precisare le caratteristiche di questa seconda categoria di provvedimenti, che hanno la natura sostanziale di �sentenza�, pur essendo emanati sotto forma di 011dinanza o di decreto. Si tratta dei provvedimenti che hanno i requisiti della �decisoriet� � e de1la �definitivit��: a) la decisoriet� ha riguardo agli effetti di diriitto sostanziale del provvedimento, che � decisorio quando, incidendo su dl!ritti soggettivi, abbia attitudine a produrre gli effetti di giudicato nella composizione degli interessi contrapposti; b) la definitivit� assume rilievo sul piano processuale, come assenza di rimedi idonei a consentire un riesame del provvedimento (v., di recente, Sez. Un. 6 novembre 1984 n. 5603). Occorre ora stabilire se questi due requisiti siano o meno presenti nel decreto impugnato, con il quale il pretore, in una procedura di esecuzione esattoriale immobiliare, ha revocato il precedente decreto, emesso dallo stesso pretore, che 1aveva dichiarato devoluti allo Stato determinati beni immobili, ai sensi dell'art. 87 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602. Secondo il primo comma di tale articolo � quando il terzo incanto non � stato autorizzato o quando ha esito negativo l'immobile � devo PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA luto di diritto allo Stato per il minor prezzo tra il prezzo base dell'incanto determinato <ai sensi del secondo comma dell'art. 85 e l'ammontare dell'imposta e della relativa soprattassa, pene pecuniarie e interessi per i quali ha avuto Juogo l'esecuzione �. Per effetto della trascritta disposizione, l'esito negativo del terzo incanto (che � l'ultimo effettuabile) ovvero la manoata autorizzazione (da parte dell'intendente di finanza) al terzo incanto (quando la vendita non abbia avuto luogo al secondo incanto) determina la devoluzione allo Stato del bene immobile pignorato. Si ha, quindi, il trasferimento forzato di detto bene, e cio� lo stesso effetto che si realizza con l'aggiudicazione; ed infatti l'art. 90 del d.P.R. n. 602/73 prevede H riscatto degli immobili espropriati sia nell'ipotesi di aggiudicazione, sia in quella di devoluzione allo� Stato. Secondo l'espressa previsione della stessa disposizione, il trasferimento del bene espropriato .allo Stato avviene �di diritto �, e cio� senza bisogno del decreto di trasferimento previsto, per l'aggiudicazione, dall'art. 586 c:p.c. (applicabile anche nell'espropriazione immobiliare esattoriale: Ca:ss. 20 gennaio 1982 n. 362). Quindi, mentrie nehla ipotesi di aggiudicazione, l'aggiudicatario diviene titolare del diritto di propriet� sul bene espropriato solo in forza del decreto di trasferiimento (Cass. 15 aprile 1980 n. 2463), di questo decreto non vi � bisogno perch� si realizzi il trasferimento del bene a seguito di devoluzione, il quale avviene per H semplice verificarsi di una delle due slituazioni contemplate dall'art. 87 del d.P.R. n. 602/73: eS'i.to negativo del terzo incanto (autocizzato dall'intendente di finanza) ovvero mancata autorizzazione al terzo incanto. Siffatta interpretazione trova una esplicita conferma nel secondo comma dello stesso art. 87, ove si precisa che �il verbale di esito negativo del terzo incanto, corredato dal provvedimento autorizzativo dell'intendente di finanza, costituisce titolo per la trascrizione della devoluzione sui registri immobildari e per la cancellaz;ione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie relative all'immobile stesso �. Chiaira � <la contrapposizione tra la trascritta disposizione e l'ultimo comma delJ'art. 586 c.p.c., ove si attribuisce fa qualit� di �titolo per la trascrizione della vendita sui libri fondiari�, al decreto di trasferimento all'aggiudicatario. Irrilevante �, poi, che, nel secondo comma dell'art. 87 citato, sia contemplata soltanto una delle due situazioni che determinano la devoluzione allo Stato, e cio� l'esito negativo del terzo dncanto (e non anche Ja mancata autorizzazione al terzo incanto): secondo il primo comma dell'art. 87, Ja devoluzione opera � di diritto � in ambedue fo ipotesi, onde il secondo comma va applicato analogicamente anche alla situazione (ricorrente nel caso di specie) deHa mancata autorizzazione al terzo incanto; in quest'ultima ipotesi il titolo (per la trascrizione della devoluzione) � costituito dal verbale di es:ito negativo del secondo incanto, corredato dal 398 RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DEl.J.O STATO provvedimento dell'intendente di finanza di diniego dell'autorizzazione al terzo incanto. Concludendo sull'interpretazione dell'art. 87 d.P,R. n. 602/73 (necessaria per poter definire la natura sostanziale del decreto impugnato), deve dirsi che, nella devoluzione allo Stato, il trasferimento del bene immobile avv�iene senza bisogno di un provvedimento del pretore, bens� come diretto effetto di una delle due situazioni previste in detto articolo. Il decreto impugnato, revocando il precedente decreto con cui � si .dichiaravano devoluti. ano Stato � determinati beni immobili, per i quali l'intendente di fiinanza non aveva autorizzato iJ terzo incanto, ha inteso negare il trasferimento di propriet� dei beni stessi, avvenuto prima ed indipendentemente dalla pronunzia .del decreto revocato. Il P�retore di Crema, pertanto, accogl!�endo l'istanza proposta dal curatore del fallimento del debitore espropriato, ha inciso sul diritto di propriet� gi� entrato nel patrimonio.deMo Stato, decidendo nel senso della insussistenza dello stesso, �tanto che ha disposto anche la trascrizione del proprio decreto sui registri immobiliari. Questo decreto, in particolare, ha pronunciato sugli interessi contrapposti dello Stato (a conservare la propriet� del bene gi� acquistato per effetto deHa devoluzione) e della curatela fallimentare (ad acquisire all'attivo della procedura gli immobili espropriati, anzich� il prezzo della devoluzione versato dallo Stato). Il provvedimento di decisione su tale conflitto adottato dal pretore � idoneo a produrre effetti sostanziali analoghi a quelli derivanti dal giudicato, se si tiene presente che, in esecuzione di esso, il curatore fallimentare avrebbe potuto p!rocedere a11a liquidazione dei beni in sede concorsuale, nonostante l'avvenuto versamento del prezzo della devoluzione da parte dello Stato (da effettuarsi a norma dell'art. 79 del d.P.R. 15 maggio 1963 n. 858). A conferma della natura decisoria del decreto impugnato pu� essere indicato l'orientamento di questa Corte che ha ritenuto ricorribili ex art. 111 Cost. sia H provvedimento del tdbunale fallimentare che aveva ritenuto determinati beni soggetti alla procedura fallimentare, anzich� alla esecuzione esattoriale (Cass. 16 marzo 1972 n. 770), sia il provvedimento dello stesso tribunale che, in sede di reclamo avverso l'ordinanza del giudice delegato dispositiva di vendita, aveva affermato la Jegittimit� di questa vendita pur in pendenza di esecuzione individuale promossa sul medesimo bene da istituto per H credito fondiario (che gode di privilegio analogo a quello dell'esattore) (Cass. 30 gennaio 1985 n. 582; 2 febbraio 1978 n. 458). Per quanto attiene al secondo requisito prescritto perch� il provvedimento sia impugnabile ex art. 111 Cost., e cio� l'assenza di altri mezzi processuali idonei a consentirne un riesame (definitivit�), � sufficiente osservare che 11 decreto in esame, ponendosi al di fuori tli un PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA procedimento disciplinato ex lege, non � inquadrabile in una determinata catego['ia giuridioa deltla quale l'ordinamento definisca la revocabalit� o l'impugnabilit�. In particolare tale atto non � revocabile ex art. 487 c.p.c., in quanto esso, qualificato espressamente dal giudicante come decreto, va cos� considerato, incidendo sul trasferimento del bene espropriato, con effetto per il quale il d.P.R. n. 602/73 prevede, in ipotesi diverse dalla devoluzione, che il pretore provveda con decreto (art. 89: decreto di decadenza dell'aggiudicatario per mancato versamento del prezzo; art. 90: decreto che ritrasferisce all'espropriato l'immobile a seguito di riscatto). N� avvevso il provvedimento impugnato l'amministrazione ricorrente av�rebbe potuto proporre opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): per quanto si voglia allargare la sfera dei soggetti legittimati attivi a detta opposizione, anche al di l� del debitore e del terzo assoggettato alla esecuzione, devesi osservare che lo Stato a cui favore avviene la devoluzione �rimane estraneo alla esecuzione esattoriafo, onde non sarebbe in .grado di rispettare il termine di cinque giorni dal compimento dell'atto (ad esso non comunicato) ovvero anche dalla comunicazione o notificazione di un atto successivo che necessariamente presuppone quello impugnato (secondo la interpretazione che Cass. 27 gennaio 1982 n. 551 ha dato a1la norma che fissa il dies a quo per la decorrenza del termine), posto che non vi �, dopo il verificarsi della devolurione, alcun atto es�ecutivo che abbia lo Stato come destinatado. L'amm1ssibilit� del presente ricorso ex art. 111 Cost. � stata contestata, dal difensore del fallimento, sotto il profilo della assoluta anomalia del provvedimento impugnato, che, come si � gi� detto, � stato emesso al di fuori di un procedimento previsto dall'ordinamento (provviedimento � abnOTme � lo qualifica il ricorrente). Q�esta tesi si ricollega implicitamente all'orientamento secondo cui l"atto processuale giuridicamente inesistente, essendo insuscettibile di passare in giudicato, non � impugnabile ex art. 111 Cost., potendo l'inesistenza giuridica essere fatta valere senza limiti di tempo sia in via di azione di accertamento, sia in via di eccezione nel corso delle procedure all'uopo previste dall'ordinamento (cos� Cass. 14 marzo 1985 n. 1984). Va, per�, osservato che il decreto impugnato, per �quanto anomafo possa essere considerato, non � inesistente, e cio� non � tale da essere assolutamente inidoneo a produrre aJcun effetto sostanziale o processuale, analogamente al provvedimento non sottoscritto dal giudice (ipotesi di provvedimento inesistente espressamente configurata dall'art. 161, cpv c.p.c.). Esso, invero, si presenta munito di tutti gli elementi indispensabili per essere identificato come decreto del giudice dell'esecuzione, e ricevere perci� esecuzione, come si � gi� detto, attraverso la sua trascrizione nei registri immobiliari. 400 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N� la qualifica di � abnormit� � del provvedimento -attribuitagli dal ricorrente -implioa la sua inesistenza giuridica, �.n quanto -come si � esattamente osservato in dottrina -llabnormit�, intesa come fenomeno per il quale un provvedimento giudiziale abbia un contenuto diverso da quello stabilito daHe norme prncessual'i che lo disciplinano o comunque un contenuto non previsto da alcuna norma, pu� consistere sia in un vizio di nullit� (che si converte in motivo di impugnazione: art. 161, 1� comma c.p.c.), sia in una causa di inesistenza giuridica, che impedisce il formarsi del giud~cato (inesistenza che, come si � detto, qui non ricorre). In concluisione il ricorso della Amministrazione finanziaria � ammissibile, onde deve passarsi all'esame dei due motivi con esso dedotti e gi� 1innanzi esposti. Il ricorso � fondato. Il decreto impugnato, infatti ha violato sia I l'art. 87 sia l'art. 51 del d.P.R. n. 602/73, onde devono accogliersi ambedue le �censure mosse dalla parte ricorrente. I La violazione dell'art. 87 citato si desume dall'analisi che delle di-l sposizioni in esso contenute si � dovuta fare per valutare l'ammissibilit� del ricorso. Poich�, come si � detto, la devoluzione allo Stato si verifica di diritto, il pretore, come non ha il potere di emettere un provvedimento l ~ che disponga il trasferimento del bene allo Stato, cos� non pu� far ~ venire meno il trasferimento gi� avvenuto o comunque accertare, come ~ . giudice dell'esecuzione, che non si � verificata fa situazione giuridica in . presenza della quale la devoluzione si determina. Ogni eventuale conte- I stazione in ordine all'avvenuto prodursi o meno di detta situazione deve ~ formare oggetto di un proeesso di cognizione, mentre al giudice dell'ese~= t~ cuzione 'il d.P.R. n. 602/73 attribuisce solo poteri relativi alla distri ~~ buzione del prezzo ricavato dalla devoluz�.one (art. 88). I[l\ ' N� .la devoluzione allo Stato � impedita dal fatto che, prima dell'inizio dell'esecuzione esattoriale, il debitore sia stato dichiarato fallito. Il decreto impugnato, nel ritenere che l'avvenuto faHimento del debitore comportasse la insussistenza dei � presupposti di legge � per la devo I luzione, ha violato anche ~�art. 51 del d.P.R. n. �l'esattore pu� procedere all'espropriazione anche sia dichiarato fallito �. I rapporti tra l'espropriazione esattoriale e la w.= .tare sono stati chiariti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 12 maggio 1978 n. 2325, la quale ha precisato che il privilegio processuale attribuito dalla Jegge -alfosattore (in . deroga al principio posto daJ.I'art. 51 I. faH.) dei creditori �ed il riparto tanto pu� soddisfarsi sul 602/73, secondo cui quando il debitore I m :::l prooedum fallimen~'/. r.:::"~ � compatibile con il :rispetto del concorso in sede concorsuale. L'esattore, infatti, in ricavato dell'esecuzione da lui promossa in ! ~[�\ 1rn @i Ilii� ~::-::-::� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 401 quanto egli insinui il proprio credito nel passivo fallimentare, onde egli, di tale ~icavato, pu� conservare solo la somma corrispondente alla quota che risulta spettargli in sede di riparto (nello stesso senso sono anche le sentenze n. 1716/80 e 4226/78). In applicazione degli esposti princip.i, deve ritenersi che la esistenza di una procedura fallimentare non impedisce t!Ja devoluzione allo Stato dell'immobile espropriato dall'esattore, in quanto H curatore fallimentare pu� fatr valere Je sue ragioni sul prezzo della devoluzione. In conclusione, il ricorso dell'amministrazione finanziaria va accolto ed il decreto impugnato va cassato. Poich� il procedimento promosso dal curatore fallimentare, con l'istanza di revoca aocolta dal decreto pretorile cassato, non poteva essfile instaurato, non va disposto il rinvio della presente causa (art. 382, 3� comma, ultima parte c.p.c.). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 febbraio 1988, n. 1468 -Pres. Granata -Est. Maiella -P.M. Colica (conf.). Tirotti (avv. Tentori) c. Min: lstero delle Finanze (avv. Stato Zecca). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Appello � Enunciazione dei motivi . Necessit� � Motivi aggiunti � Esclusione. (d:P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 23). Tributi in genere � Repressione delle violazioni � Sanzioni civili � Trasmissibilit� agli eredi � Si verifica. (I. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 3; I. 24 novembre 1981, n. 689, art. 7). L'appello alla commissione tributaria di secondo grado � soggetto alle regole generali del processo civile per quanto concerne la specificazione dei motivi e l'impossibilit� di dedurre successivamente altri motivi; lo conferma l'art. 23 del d.P.R. n. 636/1972 che nel rinviare alle norme del giudizio di primo grado, esclude dal richiamo l'art. 19 bis. (1) . .Alle pene pecuniarie dell'art. 3 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, quali sanzioni civili, non si applica la norma dell'art. 7 della legge 24 novembre 1981 n. 689 sulla non trasmissibilit� agli eredi che riguarda le sanzioni amministrative (2). (1-2) Sulla prima massima, in senso conforme Cass. 16 febbraio 1988, n. 1674 di cui si omette la pubblicazione; la giurisprudenza � pacifica (Cass. 28 maggio 1987 n. 4772 in questa Rassegna, 1977, I, 453). Importante la seconda massima. La non estensione della regola della non trasmissibilit� agli eredi delle pene pecuniarie in mat~ria tributaria va ricercata non soltanto sulla incerta distinzione tra sanzioni civili e sanzioni amministrative, ma anche sulla specialit� ed autonomia del sistema sanzionatorio tributario fatto salvo dall'art. 39 della legge n. 689/1981. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con il secondo mezzo di ricorso, gli eredi Tirotti censurano la sentenza impugnata per quanto �riguarda la ritenuta inammissibilit� della questione relativa alla prescriziione delle pene pecuniarie e sostengono che l'art. 15 del d.P.R. n. 639 del 1972 consente al contribuente di formulare motivi ed eccezioni, ancorich� non indicati nel ricorso aLla CommisS1i.one tributaria, fino al momento in cui pu� essere presentata Ja memoria prev~sta dall'art. 19 dello stesso decreto. L'assunto dei ricorrenti non ha pregio. In punto di fatto, devesi precisare che la questione �relativa alla prescrizione delle pene pecuniarie non fu sollevata dai Tirntti con l'atto di appello a!J.a Commissione tributaria di secondo grado, ma soltanto nella successiva memoria difensiva per l'udienza di discussione. Oi� posto, va osservato che i.I diritto di impugnazione si consuma con il suo valido esercizo, sicch� l'avvenuta proposdzione del gravame preclude la possibilit� di dedurre successivamente ulteriori motivi, persino nel caso in cui Jl termine per l'impugnaziione non sia ancora scaduto (cfr. sentenze n. 3228/87, n. 3227/86, n. 1953/85). A tale regola non deroga la disciplina dettata per il giudizio di appello dal d.P.R. n. 636 del 1972. Invero, attesa l'applicabHit� davanti alla Commissione tributania di secondo grado dei pnincipi generali del processo civile, in quanto compatibili (cfr. sentenze n. 4385/83 e n. 1210/78) � da escludere che il rinvio operato dall'art. 23 del d.P.R. n. 636 del 1972 ad alcune disposizioni concernenti il giudizio davanti alla Commissione tributaria di primo grado, comprenda anche la facolt� per la parte istante di dedurre, nel giudizio di appello, motivi aggiiunti con la memo:da difensiva presentata prima della d1scussfone della causa (cfr. sentenze n. 2645/87, n. 1705/85, n. 4536/84, e n. 3540/84). In particolare va ribadito, come precisato nella sentenza n. 1705 del 1985 gi� citata, che il richiamo contenuto nell'art. 23 ad alcune norme dettate per il giudli.Zlio di primo grado -fra cui l'art. 19 che nel testo originario conteneva la disposizione, oggi passata nell'art. 19 bis, relativa alla deducibilit� di motivi nuovi in memoria, sl�. riferisce alle sole norme procedi.mentali e non anche a quelli attinenti al contenuto de1la domanda (e quindi per il giudizio di secondo grado, all'atto di appello). Del tutto pretestuoso, infine, � il terzo mezzo del Ticorso, con il quale gli eredi Tirotti sostengono che le pene pecuniarie di cui all'art. 3 della legge n. 4 del 7 gennaio 1929 non sono trasmiss!i.bi1i agli eredi in virt� dell'art. 7 della legge n. 689 del 24 novembre 1981. In contrario, basta osservare che l'obbligazione del pagamento delle pene pecuniarie in favore dello Stato, come risulta dalla testuale formulazione dell'art. 3 della legge n. 4 del 1929, ha carattere civile, in quanto integra una sanzione, non solo afflittiva, ma anche e soprattutto PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 403 risarcitoria, mediante la quale � tutelato l'interesse pubblico al buon funzionamento dell'amministrazione tributaria e del servizio di riscossione dei tributi (cfr. sent. n. 1703 del 1962), non essendo applicabile l'art. 7 della legge n. 689 del 24 novembre 1981, che riguarda esclusivamente le sanzioni di natura amministrativa. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 febbraio 1988 n. 2040 -Pres. Vela Est. Cantillo -P.M. Dettori (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Favara) c. Soc. Autovie Venete. Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone giuridiche Accantonamenti -Nozione -Fondo per opere di ammodernamento ed innovazione -Indeducibilit�. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 5; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, 67; I. 28 aprile 1971, n. 287, art. 1). Il fondo previsto dall'art. 1 della legge 28 aprile 1971 n. 287 per le societ� concessionarie di autostrade destinato alle opere di ammodernamento e innovazione va definito come accantonamento, inteso come onere il cui evento numerario non � ancora certo ma attendibilmente. sicuro nel successivo verificarsi; tuttavia tale accantonamento non � deducibile ai fini fiscali perch� non rientrante dal novero degli accantonamenti previsti dalla legge in numero chiuso (1). (omissis) Con l'unico mot.ivo di ricorso, denunziando la vfolazione degli artt. 3, 5 e 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, e degli artt. 67 e 70 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, nonch� vizi deHa motivazione, ~'Amministrazione finanziaria critica la decisione ii.mpugnata perch�, dopo avere (1) L'art. 1 della legge 28 aprile 1971 n. 287 sulla legislazione autostradale stabilisce che a decorrere dal terzo anno di apertura dell'autostrada saranno devoluti allo Stato come canone di concessione i diritti di pedaggio che risulteranno eccedenti dopo aver dedotto le spese di gestione e manutenzione, gli ammortamenti finanziario ed industriale, � l'accantonamento per innovazioni, ammodernamenti e completamenti � e un dividendo al capitale dell'ente concessionario; l'ammontare dell'accantonamento annuo per innovazioni ammodernamento e completamenti non potr� superare il 10 % dell'introito annuale per diritti di pedaggio; al termine della concessione saranno devolute allo Stato le quote non utilizzate dell'accantonamento e dell'ammortamento industriale. Il fondo per innovazioni ammodernamenti e completamenti � contabilmente evidenziato solo al fine della determinazione della somma da devolvere allo Stato e non ha una sua ragione d'essere nel conto dei profitti e delle perdite come componente ordinaria. Un fondo del genere non � forse nemmeno definibile come accantona� mento perch� manca, nella sua generica destinazione, la concretezza e verosi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 404 correttamente escluso che l'accantonamento in questione costituisca un fondo di ammortamento, come tale deducibile dai ricavi ai sensi dell'art. 68 oit., ha .tuttavia ritenuto che esso non sia una componente di reddito imponibile, �laddove gli accantonamenti rilevanti ai fini della normativa fiscale sono soltanto quelli tassativamente previsti dagli artt. 65 e 67 del d.P.R. n. 597 del 1973. La censura � fondata: La commissione tributaria centrale, chiamata a stabilire se il fondo costituito dalla Societ� Autovie con riferimento all'art. 1 della legge 28 aprile 1971, n. 287, dovesse essere inquadrato fra gli ammortamenti o fra gli accantonamenti, ha risposto in quest'ultimo senso; e la qualificazione � esatta, posto che, ;secondo la nozione elaborata dalla dottmna contabile, sostanzialmente recepita dalla normativa civilistica e da quehla fiscale del bilancio di esercizio, gli accantonamenrti corrispondono a costi ed oneri il cui evento numerario non � ancora 'certo e suscettibile di definitiva quantifiicazione, ma attendibilmente sicuro nel suo verificavsi, sicch� � legittimo tenerne conto imputandoli. anticipatamente all'esercizio �ritenuto di competenza. Sotto il p:rofilo contabile, quindi, non � dubbio che il fondo in questione debba essere qualificato come accantonamento, essendo stato costituito in funzione del previsto impiego in opere di ammodernamento; innovazione, . etc. ritenute sicure. Sennonch� la Commissione tributar.ia non ha considerato che la nuova disciplina fiscale, pur essendo �al riguardo pi� -liberale di quella precedente alla riforma (che consentiva la detrazione solo dell'accantonamento per le indennit� di fine rapporto ai dipendenti), prevede in modo analitico alcune fattispecie di accantonamento fiscale rilevanti e dichiara miglianza dell'onere da sostenere (tanto che si prevede la devoluzione delle quote non utilizzate) mentre � da escludere l'immanenza di un rischi�. In realt� un 'l:ondo del genere, se non fosse considerato dalla legge con finalit� particolari, sarebbe da definire come fondo di rinnovamento impianti che � una riserva di utili, che va tenuta ben distinta dagli ammortamenti, e che non pu� essere portata al passivo. 1' comunque fuori di dubbio che un fondo del genere non poteva essere dedotto al passivo n� come accantonamento, per la chiarissima norma dell'art. 67 del d.P.R. n. 597/1973 che non ammette accantonamenti diversi da quelli considerati da norme espresse, n� come ammortamento. Sul punto se il fondo potesse essere ricompreso nell'ammortamento dal quale sarebbe stato scorporato ai fini del rapporto di concessione, la sentenza � molto sommaria. Sembrerebbe comunque che il fondo che � previsto in aggiunta all'ammortamento finanziario e all'ammortamento industriale, non abbia nessuno dei caratteri dell'ammortamento, inteso come quota iscritta al passivo che corrisponde al deperimento ed al consumo degli impianti (art. 2425 e.e.), essendo destinato non ad assicurare la stabilit� al valore degli impianti esistenti bens� all'eventuale potenziamento futuro. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA espressamente non deducibili tutti gli altri tipi di accantonamento non compresi fra quelli tassativamente menzionati. In particolare, alouni accantonamenti (per trattamenti di quiescenza, rischi �s�.i crediti, imposte e tasse: art. 6, 65, 67 d.P.R. n. 597 del 1973) sono �sempre ammessi in deduzione nella determinazione del reddito d'.impresa (tranne le imprese minori) e altri sono consentiti soltanto alle societ� di capitali ed enti assimilati (concorsi a premio, riserve tecniche delle imprese di assicurazione: artt. 13 e 18 d.P.R. n. 598 del 1973), mentre per gli imprenditori e le societ� personali rientrnnti nel regime delle imprese minori l'unico accantonamento permes�so � quello relativo al trattamento di fine rapporto (che si fa rientrare nella previsione dell'art. 72 n. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973). Ogni altro accantonamento imputato al conto dei profitti e delle perdite non pu� essere computato ai fiini della tassazione, sicch� risultano fiscalmente non deducibili anche tipi di accantonamento ormai entrati nella prassi azienda1e -quaH, ad es., quelli per oscillazione titoli, 'fluttuazione dei cambi, obsolenza del magazzino -ovvero previsti e regolati ad altri effetti da apposite leggi, con l'ulteriore conseguenza che in queste ipotesi il bilancio fiscale necessariamente diverge da quello civilistico (gli accantonamenti indeducibili oonsiderati in quest'ul~ timo vanno inseriti, quindi, come variazioni in aumento nella dichiarazione dei �redditi dell'esercizio). Gli accantonamenti previsti dagli artt. 1 e 3 della legge 28 aprile 1971, n. 287, in relazione agli introiti lordi realizzati dalle societ� concessionarie di autostrade, non rientrano l�ra quelli come sopra tassativamente previsti per le societ� ed enti soggetti all'irpeg e sono, dunque, fiscalmente indeducibili, essendo rilevanti solo ai fini della determinazione del canone di concessione, nei rapporti, aio�, fra lo Stato e gli enti concessionari, come testualmente risulta, del resto dalle norme suddette. Consapevole di ci�,� la �societ� resistente (che -giova ricOl'darlo neHa dichiarazione dei redditi aveva cautelativamente gi� iscritto l'ammontare della posta accantonata fra le variazioni in aumento dell'utile di bilancio) nelle sue difese in questa sede prefedsce ragionare in termini di ammodernamento (in relazione al logoramento tecnologico degli impianti), sostenendo che il fondo .in questione i.solo contabilmente era stato scorporato daHa quota annua di ammortamento, determinata nei limiti previsti dalla normativa fiscale e perci� deducihile. Come dnnanzi si � detto, questa tesi � oggettivamente infondata e, comunque, tale � stata ritenuta dalla decisione impugnata, che ha qualificato la posta come accantonamento (in conformit� all'enunciato dell'art. 1 della 1egge n. 287 del 1971) e ha positivamente escluso, per converso, che fosse da qualificare ammortamento, in via di principio 406 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e con specifico riferimento al bilando in questione. E questa statuizione, che involge (alla stregua della prospettazione della stessa resistente) anche indagini di fatto, � ormai incontestabile, non essendo stata censurata da alcuno. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 18 marzo 1988 n. 2476 -Pres Scribano -Est. Cantillo -P. M. Paolucci (conf.). Cingol� c. Ministero delle F:inanze (avv. Stato Lettera). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giurisdizione delle commissioni -Generalit� -Residua giurisdizione dell'AGO -Indebito oggettivo -�Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 1). La giurisdizione delle commissioni tributarie relativamente alle imposte elencate nell'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 � generale ed esclusiva e comprende tutte le questioni attinenti all'esistenza e all'entit� dell'obbligazione tributaria, senza che abbia rilievo a questi fini la distinzione fra atti emessi dall'Amministrazione in carenza di potere e atti costituenti illegittimo esercizio del potere. (1) (omissis) Con l'unico motivo di �I1icorso, denunziando la violazione delle norme sul riparto della giurisdizione tra i giudici ordinaci e le commissioni tributarie (art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, !in refazione agli artt. 1 e 9 c.p.C. e 3 t.u. 15 aprile 1910, n. 639), i ricorrenti sostengono che erroneamente la Corte di appello ha negato Ia giurisdizione del giudice ordinario, senza considerare che nella specie era stato contestato in radice il potere dell'Amministrazione di emettere l'ingiunzione e di agire in executivis, siccome la mera segnalazione del Comune circa l'esistenza dell'asserita violazione edHizia, essendo del (1) La giurisprudenza � costante sul punto (Cass. 3 febbraio 1986, n. 660, Foto lt. 1986, 1902; 24 febbraio 1987 n. 1948 in questa Rassegna 1987, I, 423); � per� importante la netta affermazione che non rileva al fine dell'individuazione della giurisdizione la distinzione tra carenza di potere e illegittimo esercizio di potere spesso utilizzata per riproporre il tentativo di investire l'AGO specie nei casi di rimborso presentati come indebito oggettivo (sulla specifica materia dei rimborsi cfr. le sentenze 27 aprile 1988 n. 3174 e 28 aprile 1988 n. 3197, in questo fascicolo pagg. 421-422). Se la somma � stata pretesa o versata a titolo di imposta, per quanto infondata possa essere la pretesa, si rimane sempre nella giurisdizione delle Commissioni soggetta alle relative regole procedimentali. Nella sentenza si fa menzione dell'art. 16 del d.P.R. n. 636 per chiarire che anche l'azione di mero accertamento, inammissibile innanzi alle commissioni, PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 407 tutto sfornita di prova, non poteva legittimaire la sanzione fiscale ex art. 15 della legge n. 765 del 1967, pe:rici� inflitta senza alcun accertamento in ordine ai presupposti dell'obbligazione tcibutaria. La -censura � destituita di fondamento. Nel sistema del vigente contenzioso tributario appartengono alla giurisdizione delle commissioil!i tributare le controversie .relativ.e ai tributi elencati nell'art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, tra i quali l'imposta di �registro; e tale giurisdizione � esclusiva, comprendendo tutte le questioni attinenti all'esistenza e all'entit� della obbligazione tribu~ ria, �senza che abbia rilievo a questi fini la distinzione tra atti emessi dalla Amministrazione in carenza cli potere ed atti costituenti illeg.ittimo esercizio del potere. Al riguardo, questa Corte ha pi� volte precisato che la tutela giuriisdizionale dei diritti del contribuente si svolge attraverso 'l'impugnazione di specifici atti dell'Amministrazione di accertamento, di impos.fafone o di rifiuto di rimborso di somme riscosse, elenoa: ti nell'art. 16 della l�gge suddetta, con esclusione di ogni azione di accertamento negativo del debito d'imposta sia dnnanzi alle commissioni tributarie e sia innanzi al giudice o:ridinal'lio, dovendosi ritenere abrogate lepresistenti disposizioni (compreso l'art. 6 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, aH. E) che consentdvano tale ultima azione (v. sent. n. 942 del 1977, n. 6262 del 1980, n. 2118 del 1981 e, da ultima, n. 1948 del 1987). Nella specie, la domanda del cont�ribuente era diretta a contestare Ja legittimit� delle ingiunzioni emesse dall'Ufficio del Registro di S. Benedetto del Tronto, sostenendosi l'inesistenza dei presupposti della revoca dei benefici fiscali ex art. 15 legge 6 agosto 1967, n. 765. Per le opere realizzate in contrasto con fa concessione edilizia, infatti, tale disposizione prevede -quale ulteriore sanzione dell'illecito edilizio -l'esclusione de iure delle vigenti agevolazioil!i fiscali nel caso che fo difformit� riguardino W.olazioni di altezza, distacchi cubatura e superficie coperta, le quali eccedano, per ogni singola unit� immobiliare, il due per cento delle misure presoritte. All'uopo il Comune � obbligato � sottratta alla giurisdizione dell'AGO, il che � esattissimo. L'art. 16 tuttavia deve essere interpretato in modo che la giurisdizione delle commissioni non risulti limitata o esclusa in talune situazioni pur relative alle imposte di cui all'art. 1. Assumendo come tassativa l'elencazione degli atti dell'art. 16 e inter� ipretando gli atti in senso strettamente lettera:le possono risultare dei vuoti che o alimentano la tentazione di riaccedere alla giurisdizione dell'AGO o suscitano dubbi di legittimit� costituzionale. Si deve ritenere che la elencazione non sia tassativa e che comunque nell'espressione accertamento vada ricompreso qualunque atto, comunque denominato, che dichiara l'obbligazione o un suo elemento; in tal senso Cass. 25 ottobre 1980 n. 6262 in questa Rassegna, 1981, I, 579 e Corte Cost. 3 dicembre 1985 n. 313 e ord. 25 marzo 1987 n. 91; vedi anche C. BAFILE, Considerazioni diverse sulla natura del processo tributario in Rass. trib., 1986, I, 393. 14 408 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO a segnalare entro un certo termine siffatte violazioni all'Amministrazione finanziaria, la quale, non essendo normativamente previsti specifici atti al riguardo, applica la sanzione attraverso un provvedimento o di din�ego del beneficio non ancora concesso o di revoca (o decadenza) di quello gi� concesso; ma tale provvedimento pu� essere anche contenuto direttamente nell'ingiunzione di pagamento del maggior tributo, ci� che in concreto � accaduto. Pertanto, come esattamente ha osservato Ia Corte di merito, si era in presell2la di una tipica controversia di imposta, originaria da un atto di imposizione compreso tra quelli elencati nell'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972 (modif. dal d.P.R. n. 739 del 1981), cio� l'ingiunzione, contro Ia quale il contribuente doveva proporre impugnazione innanzi alla ,competente commisStione tribut�ria di primo grado. Il ricorso deve, essere rigeHato, dichiarandosi che la cognizione della controversia appartiene alla giurisdizione speciale tributaria. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 marzo 1988 n. 2532 -Pres. Tilocca Est. Sensale -P. M. Paolucci (conf.) -Lag1ia (avv. Susani) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Attivit� di insegnamento -Libert� costituzionalmente garantita -Esenzione d'imposta -Esclusione. (Cast., artt. 33, 41 e 53). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Attivit� di insegnamento -Organizzazione in forma di impresa -Doveri formali dell'imprenditore -Vi � soggetta -Difetto -Accertamento induttivo -Legittimit�. (e.e. art. 2214 e 2215; T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 118). L'attivit� di insegnamento, bench� libera nel suo contenuto, pu� ben concretarsi in una iniziativa economica soggetta alle regole comuni dell'imposizione tributaria. (1) L'attivit� di insegnamento pu� configurarsi come una impresa commerciale quando ne abbia i connotati della organizzazione e della professionalit�, ricadendo cos� nei doveri formali imposti agli imprenditori relativamente alle scritture contabili, la cui inosservanza legittima l'ufficio all'accertamento induttivo. (2) (1-2) Decisione da condividere pienamente. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (omissis) Con il primo motivo �sd denuncia l'errata interpretazione ed applicazione della legge in punto dell'attivit� scolastica come oggetto di tassazione (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. in !relazione all'art. 277, stesso codice, e agli artt. 33 e 34 cost.) e, pTemesso che la funzione costituzionalmente riconosciuta alla scuola, la sua libert� e la sua autonomia esigono lo sgravio da ogni onere come corrispettivo della esenzione per lo Stato da analoghi oneri che ad esso deriverebbero dalla gestione della scuola, deduce che l"art. 84 del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645 esentava da imposta i redditi derivanti da attivit�, aventi come contenuto l'istruzione, l'educazione, l'assistenza 'Sociale, il culto, la beneficenza ecc., e che non esiste una norma che specificamente colpisca l'eventuale reddito della 1scuola privata. La censura � infondata. Conviene innanzi tutto osservare che la libert� d'in'Segnamento, sancita dall'art. 33 Cost., deve intendersi, con la prevalente dottrina, non tanto come libert� di aprire e di organizzare scuole (che potrebbe piuttosto inquadrarsi nel principio di libert� dell'ini2fativa economica e/o nel lavoro autonomo), ma come diritto di chi � p'I'eposto all'insegnamento di insegnare liberamente nell'interesse della scuola, degli alunni e della scienza. Ci� -si � esattamente rilevato -� dimostrato dallo stretto collegamento tra libert� d'insegnamento e libert� della scienza (art. 33, 1� comma, Cost.); dalla considerazione che il ,precetto costituzionale garantisce l'insegnamento in quanto tale, e non altro; dalla esigenza del possesso da parte degl'insegnanti di requisiti che ne attestino l'idoneit� didattica; dalla dnterpretazione, che si � sempr� data dell'art. 33, nel senso non che tutti possono insegnare, ma che viene garantito -a chi insegna possedendo ii Tequisiti cui si � accennato -di farlo liberamente. In altri termini, il priricipio di libert� garantito dall'art. 33 attiene al contenuto dell'insegnamento nell'ambito del compito di promozione culturale assegnato allo Stato dall'art. 9 Cost., ma non esenta chi svolga tale attiviit� dagli oneri, anche patdmoniali ed economici, che essa comporta, tan�to che lo stesso art. 33, al secondo comma, dispone che enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato. Sotto un diverso aspetto, l'insegnamento pu� .interessare l'ordinamento in quanto espressione d'iniziativa economica, la cui Ubert� � garantita dall'art. 41 Cost. Ma si tratta di due libert� costituzionali che operano su piani diversi e che non si escludono vicendevolmente, con la conseguenza che, se !"insegnamento viene attuato in forma di attivit� economica, non si sottrae ai limiti entro i quali questa deve svolgersi n� agli oneri di carattere tributario cui � assoggettata. 410 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Esatto, quindi, � il rilievo, contenuto neHa 1sentenza impugnata, che, se l'art. 33 Cost. venisse inteso nel senso prospettato dal ricor�rente, il concetto di libert� d'insegnamento, conseguente e correlato alla libert� dell'arte e della scienza, vernebbe a mutarsi iin un vero e proprio privilegio �contra tenorem rationis, inconcepibile di uno Stato di diritto, salvo che una specifica norma di legge lo istituisca; e che ci� vale, in particolare, con riguardo alla potest� tributaria dello Stato, solennemente affermata dalla stessa Carta Costituzionale all'art. 53, con la conseguenza che Io Stato, nella sua potest� d'imperio, indica le situazioni effettuali cui ricollegare l'insorgere del tributo, ancorando quest'ultimo a circpstanze di fatto, sia soggettive che oggettive, aventi sempre carattere generale ed astratto, di per 1s� idonee a segnalare le situazioni da colpire. Ed esatta � la conclusione -cui la sentenza impugnata perVtiene -che qualsiasi attivit� produttrice di reddito viene a ricadere, salvo espressa esenzione, sotto la potest� tributaria dello Stato e quindi anche l'attivit� d'insegnamento, sia in una sfera individuale, sia considerata nella pi� vasta sfera d'impresa organizzata allo scopo, venendo, sotto tale aspetto, in rilievo non gi� come espressione del principio della libert� d'insegnamento, ma come attivit� economica produttiva di reddito, assoggettabile, nel regime anteriore alla riforma tributaria, ad imposta complementare, ai sensi dell'art. 130 del T.V. 29 gennaio 1958 n. 645, e ad �imposta di ricchezza mobile di categoria B (in quanto prodotto dal concorso di capitale e lavoro), ai sensi degli artt. 81 e 85 del detto T.V. N� -come pretende il ricorrente -una norma di esenzione pu� ravvisarsi nell'art. 84, lettera g), che esenta dall'imposta di r.m. non gi� i redditi prodotti dall'esercizio deH'attivit� d'istruzione (e quindi i soggetti che svolgono tale attivit�), ma Ie somme erogate da altri soggetti d'imposta a titolo di liberalit� iri favore di enti, istituti o associazioni legalmente riconosciuti (e soltanto fino a concorrenza del 5 % del reddito dichiarato), quando scopo speoifico della liberalit� � l'istruzione, l'educazione, l'assistenza sociale, il culto e }a beneficenza. Diverso �, dunque il soggetto esentato (chiunque produca il reddito e non specificamente chi lo produca attraverso l'esevci:mo dell'attivit� d'insegnamento); diversa la parte di reddito esente (quella erogata a favorn di altri e non quella prodotta a vantaggio proprio); tipico e specifico lo �scopo della erogazione, che dev'essere fatta per spirito di liberalit� e non deve costituire impJego di capitali al fine dello svolgimento di un'attivit� economica; chiaro il fine deHa norma d'incoraggiare il compimento di atti di liberalit� per uno scopo meritevole del beneficio fiscale e non di sottrarre all'imposizione fiscale i redditi che l'esercente dell'attivit� d'insegnamento fa propri. Con il secondo motivo il ni:corrente censura la sentenza impugnata, sotto il profilo della violazione degli artt. 277 c.p.c. e 37, 2� comma, T.V. 645/58 e sotto quello del difetto di motivazione, nella parte in cui ha PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 411 ritenutp che la gestione di una scuola privata � attivit� commerciale e implica la tenuta dei libri, documenti e scritture contabili, la cui mancanza giustificherebbe il 'Ilicorso, da parte del Fisco, aH'accertamento induttivo. Ritiene, per contro, il ricorrente che non � esatta la premessa dalla quale muovono i giudici del merito e che, pertanto, � errata l'affermazione qella legittimit� del metodo induttivo seguito dall'Amministrazione delle finanze, anche perch� era stata presentata tutta la documentazione dalla quale poteva analiticamente accertarsi la sussistenza o meno di un reddito e in refazione alla quale la Corte d'appello non ha portato il suo esame. Correlato al secondo motivo � il terzo, con il quale il 11icorrente si duole della mancata indagine sull'operato dell'Ufficio che aveva applicato un ricarico pruri al 12,50 per cento in relazione alle spese e al giro complessivo del denaro circolato. Trattasi di censure infondate. Invero, tra l'art. 2082 e.e.,. che contiene la definizione dell'imprenditore, l'art. 2135, che definisce l'imprenditore agricolo, e l'art. 2195 (che assoggetta all'obbligo d'iscrizione nel registro delle imprese gl'imprenditori che, fra l'altro, esercitano un'attivit� industriale diretta alla produzione di beni o servizi o un'attivit� intermediaria nella circolaZJione dei beni) il collegamento operato dalla dottrina prevalente � nel senso che l'imprenditore � o agricolo o commerciale e che, pertanto, l'art. 2135 ha la funzione non solo di predsare le caratteristiche dell'impresa agricola, ma anche queHa di determinare per esclusione le caratteristiche de1Jlimpresa commerciale, che l'art. 2195 non ha inteso indicare in modo esauriente. In questa ottica si � anche precisato che il carattere industriale dell'attivit� non va individuato nel suo significato tecnico-economico di trasformazione della materfa, ma va inteso in senso generico, in modo da comprendersi ogni attivit� di produzione di beni, mentre sempre commercifile (tin 1senso stretto) � l'attivit� di produzione di servizi. Ed � significativo, al riguardo, che, a norma dell'art. 2238 cic., anche l'esercizio della professione !intellettuale, se costituisce elemento di un�attivit� organizzata in forma d'impresa, � assoggettata alla disciplina dell'imprenditore. Se cos� �, � evidente che anche l'attivit� d'insegnamento, in quanto attuazione della libert� d'iniziativa economica ed in quanto diretta a produrre un servizio, pu� configurarsi, in astmtto, come attivit� d'impresa commerciale, quando ne abbia i connotati della organizzaztione, della professionalit� (nel senso di stabilit� e continuit�), dell'attivit� economica (qual � quella diretta alla produzione di ricchezza), e dello scopo di lucro in senso oggettivo, come idoneit� in s� dell'impresa a dare un profitto. La esistenza, nel caso concreto, di tali connotati � stata insindacabilmente accertata dalla Corte del merito, la quale ha rHevato come la gestione di una scuola privata, quale quella di oui si controverte, istituita unicamente a scopo di lucro, trovi il proprio impulso nell'impiego di capi 412 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO fil tali e lavoro e nell'organizzazione dell'attivit�, sl che non pu� sussistere dubbio sulla sua natura d'impresa commerciale, come, del resto, era stato 1:: implicitamente ammesso dallo stesso contribuente attraverso la presentaf:' zione, per gli anni 1972 e 1973, della dichiarazione dei redditi cLi ricchezza . mobile di categoria B. l Da ci� la Corte del merito ha tratto la corretta conclusione che la scuola, denominata �Centro italiano di meccanograffa �, fosse obbligata, ai sensi dell'art. 2214 e.e., alla tenuta dei prescritti libri, documenti e scritture contabili con l'osservan:z;a delle disposizioni di cui agli artt. 2215 e segg. e.e. e che, in mancanza dei libri e delle scritture prescritte, l'Ufficio avesse I I legittimamente proceduto induttivamente all'accertamento del reddito in base all'art. 118 del T.U. 645/58, conformemente a quanto gi� ritenuto da questa Corte (sent. 11 ottobre 1979 n. 5279) e cio� che la mancata tenuta iI ~ dei libri e registri contabili prescritti dall'art. 2214 e.e. va equiparata al rif�iuto della produzione di detti documenti ed implica che l'Amministrazione, senza necessiit� di procedere preventivamente alle ispezioni e verbalizzazioni �di cui agli artt. 39 e 42 del citato T.U., � legittimata all'accertamento induttivo dei redditi imponibHi, ai sensi ed agli effetti deH'art. 118, ~ Zo comma, del medesimo T.U. N� la legittimit� dell'accertamento induttivo I pu� essere contestata, assumendosi, da parte del ricorrente, di avere ,,fil esibito all'Ufficio altri documenti, perch�, da un lato, tale legittimit� susii ~ siste per il solo fatto della mancata esibizione dei libri e delle scritture fil contabili prescr�tte dalla legge, dall'altro la Corte ha accertato in fatto che, f: f: in difetto di tale esibizione, non era stata fornita, ai sensi del 2� comma I & 1 dell'art. 118, 1a prova contraria all'accertamento dell'Ufficio; incombente al contribuente e risultante da documenti dai quahl si potessero desumere ~ chiaramente e distintamente gli elementi attivi e passivi in conformit� " al modello della dichiarazione dei redditi. (omissis) ~ 1: I ~ j: CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 marrro 1988, n. 2535 -Pres. Scanzano Est. Maiella -P. M. Romagnoli (conf.) -Oapua (avv. Lupoi) c. Ministero delle F�inanze (avv. De Stefano). I Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza � Intento speculativo � Mero frazionamento di terreno I Insufficienza. I (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). E '~ L'intento speculativo che � alla base della tassabilit� della plusvalenza ! realizzata da soggetto non imprenditore, pu� sopravvenire dopo l'acquisto del bene ma deve manifestarsi con concreti atti diretti ad agevolare e potenziare l'incidenza di fattori incrementativi; nel caso di terreni agricoli I I i I I I .,..,,.,.,.,.,,...,.,,��,��II PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA non � idoneo ad integrare l'intento speculativo il mero frazionamento del suolo, essendo necessaria la trasformazione della utilizzazione attraverso il ricorso a strumenti urbanistici (convenzioni con il comune) o il compimento di opere (costruzione di strade, fognature ed infrastrutture). (1) (omissis) Con i due mezzi del ricorso, strettamente connessi tra loro, viene denunciata la violazione e fa falsa rapplicazione degl� artt. 2729 e.e. e 81 del Testo Unico n. 645 del 1958, anche sotto il profilo dell'omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia. Si assume che la Commissione tributaria centrale, nel ritenere che � l'animus lucrandi appare pi� che evidente dalle caratteristiche della operazione, mentre le ragioni addotte dalle parti appaiono assai poco attendibili�, si � avvalsa di una presunzione semplice, priva dci oaratteri della gravit�, della precisione e della conoordanza. Si osserva, inoltre, che la Commissione tributaria centrale ha inesattamente affermato che il terreno, a~ momento dell'acquisto, era diviso in tre lotti, mentJre in rrealt� si tmttava di un unico appezmmento f�razionato in due parti al momento della rivendita, avvenuta ben tredici anni dopo l'acquisto, senza che fosse 1stata compiuta alcuna operazione mig1iorativa o incrementativa. Si sostiene quindi che la decisione impugnata h� erroneamente ravvisato nella specie un -intento speculativo, pur non avendo l'Ufficio fornito la bench� minima prova di esso. I motivi sono fondati. Come � stato recentemente puntualizzato da questa Corte Suprema, l'intento speculativo -il quale rOOstitUJisce condizione per l'assoggettamento ad �imposta di �ricchezza mobile ai sensi e nel vigore dell'art. 81 del d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, delle plusvalenre realizzate da un soggetto non imprenditore e corrispondenti all'aumento del valore di scambio che assume nel tempo un cespite patrimoniale rispetto al costo iniziale -va accertato, sia pure per mezzo di presunzioni, alla stregua di ogni modalit� e circostanza inerenti alle relative operazioni, tenendo conto che esso postula un comportamento del v�enditore logicamente precedente l'atto di cessione e strumentale rispetto all'aumento di valore. Tale comportamento pu� essere insito nello stesso acquisto, se accompagnato dalla sua preOI'dinazione al conseguimento della plusvalenza, oppure in una attivit� successiva, rivolta ad agevolare o potenziare l'incidenza di fattori incrementativii. Non sono tuttavia idonei ad integrare l'dntento speculativo la mera divisione o il frazionamento di un suolo, essendo invece necessaria la trasformazione del suolo stesso da agricolo ad edificatorio attraverso il ricorso agli strumenti urbanistici (convenzioni con il comune) o mediante il compimento di altre opere (costru7lione di strade, fognature, infrastrutture, ecc.) che ______,__,; (1) Il criterio offerto � utile ma non esclusivo; l'intento di speculazione pu� esservi anche quando il terreno � rivenduto senza trasformazioni urbanistiche. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 414 rendano evidente lo scopo perseguito dalla parte (cfr. sentenza n. 7056 del 1986). Nel caso de quo, la Commissione tributaria centrale si � apertamente discostata dai suddetti principi, in quanto ha ["itenuto che il Capua e gli altri cointeressati fossero stati mossi da un intento speculativo e lo avessero coltivato durante il �lungo periodo di tempo intercorso dal momento dell'acquisto a quel'lo della rivendita del fondo, sulla base di circostanze di fatto, assolutamente inidonee ad avvalorare tale convincimento. Invero, se il terreno non aveva subito alcuna modificazione incrementativa e se i propretari si erano limitati a div1ide:re il fondo in due parti prima della rivendita, la Commissione tributarfa centrale, avrebbe dovuto dimostrare resistenza di ulteriori elementi, sdgnificativi nel senso dianzi chiarito, per potere pervenire alla statuizione adottata. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1988, n. 2670 -Pres. Scanzano Est. Oaizzone -P.M. Lo Cascio (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato Onufrio) c. Soc. Marmi Garofalo. Tributi in genere -Accertamento -Notificazione � Irregolarit� . Proposizione del ricorso � Sanatoria. (c.p.c., art. 156). L'invalidit� della notificazione dell'avviso di accertamento � sanata con effetto ex tunc dalla proposizione del ricorso alla Commissione. (1) (omissis) Con l'unico mezzo, articolato in duplke censura, l'Ammini� straziane ricorrente deduce: a) la regolarit� della notificazione risultante dagli atti non esaminati dalla Commissione Tributaria centrale (tra i quali due relate di notifica non andata a buon fine) da cui sarebbe ["isultato che l'Ufficio aveva esperito tutte le indagini possibili, non limitandosi agli accertamenti anagrafici; b) fa sanatoria di cui all'art. 156 c.p.c., ultimo comma, avendo l'atto raggiunto in concreto l'effetto che era destinato a produrre e cio� la tempestiva produzione del ricorso in data 26 gennaio 1971. La seconda censura � fondata e determina l'assorbimento della prima. Questa Suprema Corte ha da tempo (Cass. 4265/79) affermato il principio che, Jn tema di imposta di ricchezza mobile, l'invalidit� della noti (1) Riaffermazione opportuna dell'effetto di sanatoria, anche in ipotesi diversa dalla costituzione nello stesso giudizio introdotto con l'atto irregolare, ed in particolare della retrodatazione de:ll'effetto che toglie ogni dubbio sulla validit� sostanziale della notificazione. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 415 ficazione dell'avviso di accertamento, purch� eseguita in violazione delle disposizioni)dettate dall'art. 38 d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645 (Testo Unico delle Imposte Dirette), resta sanata, con effotto ex tunc, qualora il contribuente impugn[ tempestivamente l'accertamento medesimo con ricorso alla oompetente Commissione T0ribrutaria, ci� evidenziando che l'atto ha raggiunto il suo scopo (dr. anche Cass. 1506/86, 4562/86, 5968-7664/86, 428-3182-49853110/ 87 che tutte esaminano diverse fattispecie di nullit� della notificazione sanabili dalla costituzione in giudizio dell'intimato). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 apri1e 1988, n. 2968 -Pres. Scanzano Est. Oaizzone -P. M. Lo Cascio (diff.). Proverbio c. Ministero, delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi in genere � Contenzioso tributario � Impugnazione di terzo grado . Altemativit� � Presentazione di ricorso tardivo alla Commissione centrale � Preclude il ricorso alla Corte di appello. (d.P.R. 26 ottobre 1982, n. 636, art. 40). Il ricorso alla Corte di appello � sempre precluso dalla proposizione del ricorso alla Commissione centrale, anche se tardivo e se � sopravvenuta rinunzia. (1) (omissis) Con l'unico mezzo i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 40 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 in Telazione all'art. 630 n. 3 c.p., sul rilievo che, siiccome il ricorso alla Commissione Tributaria Centrnle era stato proposto fuori termine, esso doveva considerarsi come non proposto, donde la piena ammissibilit� della impugnazione davanti alla Corte d'appello. La censura � infondata. La proposizione del ricorso alla Commissione Tributaria Centrale avverso fa decisione della Commissione Tributaria di secondo grado ;rende improponibile l'impugnazione della decisione medesima davanti alla Corte d'appello, stante il principio dell'alternativit� fra i due ricorsi, ancorch� il. ricorrente abbia rinunziato al ricorso, essendo gi� consumato, con la sua proposizione, il potere d'impugnazione con la correlativa facolt� di scelta, n� avendo tale rinunzia effetto retroattivo (Cass. 4189/80). Essa non esclude, ed anzi presuppone che l'impugnazione rinunziata sia stata presentata effettivamente. Non rpu�, perci�, ritenersi che, in (1) Decisione da condividere in contrasto con la precedente 29 ottobre 1981 n. 5700 in Foro it., 1981, 2654 con annotazione di Proto Pisani. Sullo specifico problema e su altri collegati cfr. C. BAFILE, Sull'alternativit� dell'impugnazione di terzo grado, in Dir. e prat. trib., 1989, II, 80. 11111111111111rr1a111111r11111111111111r1111������ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 416 virt� di essa, il ricorso sia da considerare � tamquam non esset e che la condizione impeditiva del gravame innanzi il giudice ordinario non si sia anteriormente verificata. I ricorrenti ammettono che la sentenza qui impugnata non meriterebbe alcuna censura �se essi avessero prodotto ricorso avverso la decisione della Commissione Tributaria �di secondo grado di Foggia nel termine di sessanta giorni dalla not1fica della decisione. Nella specie, H �ricorso pervenne alla Segreteria della Commissione suddetta 1'8 febbraio 1982, quando il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di notifica della decisione (7 dicembre 1981) era gi� scaduto. Di tanto i Proverbio furono edotti solo dopo la ricezione della cartolina di avviso di ricevimento. Avendo avuto, pertanto, scienza della tardivit� del ricorso, impugnarono la decisoine della Commissione di second.o grado di Foggia, sul presupposto che tale ricorso dovesse considerarsi come mai proposto. La tesi dei ricorrenti � elusiva del rigido principio di alternativit� tra le due impugnazioni sancito dalla norma -l'art. 40 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 -che essi pretendono violata d~la Corte d'appello. Ma la detta norma prende in considerazione -ai fini dell'effetto preclusivo insito nel principio electa una vita, non datur recursus ad alteram -esclusivamente il fatto in s� della presentazione del ricorso alla Commissione Tributaria Centrale e non attribuisce alcun effetto giuridico derogatorio al principio dell'alternativit� in ragione del tempo della presentazione suddetta -se prima o dopo il decorso del termine per l'impugnazione della decisione di 2� grado davanti alla Commissfone Tributaria Centrale e nel secondo caso, dunque, pendente in astratto il termine per l'impugnazione davanti alla Corte d'appello, iii. quale pende, solo se il diritto di impugnazione non sia stato consumato. In alri termini, la norma citata, non attribuisce rilevanza giuridica al fatto che il �ricorso alla Commissione Tributaria Centrale �sia tempestivo e, pertanto, ammissibile n� all'estinzione del processo pendente davanti alla suddetta Commissione per rinuncia agli atti del giudizio, o per qualsiasi altro motivo agli effetti della preclusione della domanda davanti alla Corte d'appello, configurando come causa di tale effetto preclusivo -per evidenti ragioni di ecenomia processuale e di certezza del regime delle impugnazioni -esclusivamente la presentazione della domanda alla Commissione Tiributaria Centrale secondo il principio: quod factum infectum fieri nequit. In effetti i ricorrenti sostengono una inte:ripretazione della norma che assumono, a torto, violata -non consentita, dall'art. 12 delle disposi ziond sulla legge in generale, secndo il quale �nell'applicare la legge non si pu� ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal signi PARm I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA ficaito proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore �. Il principio crisulterebbe, senz'altro, �violato, se ubi lex non distinguit l'interprete riconoscesse effetti giuridiJCi a cause non previste dal<la legge e, neHa specie, conferisse alla parte diritti processuali che la legge esipressamente non le riconosce. Se Ja fogge cos� si esprime: � Decorso inutilmente rper tutte le parti il termine per riccmrere alfa Commissione Tributaria Centrale, la decisione pu� essere 1mpugnata entro novanta giorni avanti la Corte d'appello �, non pu� l'interprete considerare l'avverbio �inutilmente � come non scritto, quando, come nel caso di specie, un ricorso alla Commissione Tributaria Centrale era stato, cO!llJ.unque, presentato. In proposito deve, conclusiivamente, considerarsi che la domanda giudiziale in genere tende, comunque, ad un provvedimento del giudice anche se queste dovesse limitarsi alla delibazione -positiva o negativa -di un presupposto processuale o, per vicende meramente processuali attinenti aMe inattivit� delle parti o alfa �revoca della domanda�, in che consiste la rinuncia, alla dichiarazione di estinzione del processo. Nella fattiispecie, la pretesa dei ricorrenti di considerare il ricorso alla Commissione Tributaria Centrale giuridicamente inesistente, pur se�pacificamente sussistente sul piano fenomenico, contraddice a tale ovvia e fondamentafo considerazione ed ignora H potere-dovere di qualsiasi giudice, nella specie il giudice tributario, l'esercizio del quale diviene automatico quale effetto della domanda giudiziale. In definitiva, il fatto che quel giudice fosse stato investito della controversia, divenendo cos� -attualmente -egli solo arbitro deHa soluzione che avesse ritenuto conforme a giustizia (soluzione che altro giudice non pu� con assoluta certezza supporre) precludeva definitivamente l'alternativa della impugnazione avanti alla Corte d'appello. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 18 aprile 1988 n. 3030 -Pres. Zucconi Galli Fonseca -Est. Rocchi -P.M. Oaristo (conf.). Soc. Siemens (avv. Fazzalari) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta). Tributi in genere -Potest� tributaria di imposizione � Obbligazione tributaria -Indisponibilit� -Declaratorie e risoluzioni amministrative Irrilevanza. Tributi erariali indiretti -Imposta generale sull'entrata -Agevolazione per il Mezzogiorno -Primo impianto di stabilimenti industriali -Contratti di appalto -Sono esclusi. (d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523, art. 109). In forza del principio di legalit� che presiede alla imposizione tributaria, � inesistente il potere della P. A. di rinuncia totale o parziale 418 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DEILO STATO ad un credito di imposta che � sempre assolutamente indisponibile; di conseguenza in nessun caso un atto amministrativo sia generale che particolare pu� pregiudicare la percezione �di una imposta che sia dovuta per legge (1). Nell'agevolazione dell'art. 109 del T. U. 30 giugno 1967 n. 1523 sulle leggi sul Mezzogiorno per il primo impianto, la trasformazione, la ricostruzione, la riattivazione e l'ammodernamento degli stabilimenti industriali, consistente nella riduzione a met� dell'imposta generale sull'entrata, non sono ricompresi i contratti di appalto (2). (omissis). -Con il pTimo motivo di ricorso -denunziando violazione dell'art. 4 della legge n. 2248/1865, all. E., nonch� incongrua e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia -la Soc. Siemens deduce che la Corte di appello di Milano avrebbe violato il disposto di cui alfa normativa sopracitata, in quanto con 1a propria interpretazione dell'art. 2, 3� comma, del D.L.C.P.S. 14 dicembre 1957 n. 1598, si sarebbe �sovrapposta� ai provvedimenti amministrativi con i quali, a suo tempo, le vennero riconosciuti i benefici in oggetto ed alla risoluzione del 3 gennaio 1972, n. 601478. Si assume in sostanza che i provvedimenti intendentizi, con i quali l'iniziativa industriale era stata a suo tempo ammessa ad usufruire delle agevolazioni tributarie previste dalla legge, nonch� la portata che a tali provvedimenti dovrebbe essere attribuita in ragione della risoluzione ministeriale citata, impedirebbero al giudice ordinario di interpretare la norma tributaria di cui si discute in senso diverso da queHo a suo tempo affermato in sede ministeriale. La censura � priva di fondamento. Va innanzitutto rilevato che le declaratorie delle competenti Intendenze di finanza alle quali � riferita la censura ammettevano la societ� ricorrente soltanto a godere dei benefici di cui al terzo comma dell'art. 2 del D.L.C.P.S. n. 1598/1947, e cio� a corrispondere l'I.G.E. ridotta per gli acquisti di macchinari e materiali impiegati, installati o destinati stabilmente agli opifici, cos� come voluto dalla legge (art. 9 D.M. 14 dicembre 1965 in G. U. 18 dicembre 1965, n. 315). In ogni caso, � di tutta evidenza che n� le declaratorie intendentizie (quali atti di mero accertamento non vincolanti sul piano della corretta intel'pl'etazione della normativa applicabile anche in relazione al principio della indisponibilit� del credito d'imposta), n� la ;risoluzione ministeriale citata (avente carattere ed affetti ,di atto puramente �interno�) possono far nascere diritti soggettivi in capo alla societ� ricol'lrente (1-2) Conforme � la sentenza in pari data n. 3031. Giurisprudenza costante della quale � sempre opportuna una riconferma. FARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (come effetto delle declaratorie) o in capo a tutti gli imprenditori edili (come effetto della risoluzione). In forza del principio di Iega!lit� che presiede aliJ.a imposizione tributaria e per la pi� specifica considerazione della inesistenza di un potere della PA. di rinuncia, totale o parziale, ad un credito di imposta, questo deve, infatti, ritenersi assolutamente indisponibile, con la conseguenza che in nessun caso l'atto amministrativo pu� pregiudicare la perce� zione di un'imposta dovuta, in conformit� di quanto disposto dalla legge (Cass. 4041/74). Nella sentenza impugnata non esiste quindi, interpretazione della legge (art. 2 del D.L. n. 1598/47) che si sarebbe sovrapposta agli atti amministrativi di riconoscimento di particolari benefici previsti dalla norma, ma, semplicemente, la corretta interpretazione della norma medesima adottata a dimostrazione dell'infondatezza della domanda di rimborso avanzata dalla societ� ricorrente. Con il secondo motivo -denunziando vio'1azione ancora dell'art. 2, terzo comma, del D.L.C.P.S. n. 1598/1947, e dell'art. 109 del D.P.R. 1523/1967, nonch� motivazione incongrua su un punto decisivo della controversia, la societ� ricorrente, deduce che la Corte del merito avrebbe errato nel rimanere ancorata all'interpretazione meramente letterale della norma agevolativa, con 'la conseguente esclusione del beneficio per i servizi di appalto, mentre la pi� corretta interpretazione, in coerenza con la ratio della norma medesima e con l'intero sistema legislativo degli incentivi per la industrializzazione del mezzogiorno, non avrebbe potuto non far ricomprendere nel beneficio i detti servizi, anch'essi beni di contenuto economico. Soggiunge la ricorrente che l'art. 109 citato, laddove fa riferimento a � tutto quanto pu� occorrere per l'attuazione delle iniziative industriali � previste nello stesso articolo, ha valore di chiarificazione e di interpretazione della norma del D.L. 1598/1947, nel senso pi� favorevole al contribuente. La censura � infondata. Va, anzitutto, precisato che l'art. 109, ultimo comma, del D.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523 (T.U. del'la Legge sul Mezzogiorno) -il quale corrisponde all'abrogato art. 2, terzo comma, del D.L.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1598 -non pu� essere interpretato nel senso che il Governo, delegato a procedere alla riunione di tutte le leggi in materia in un testo unico, ai sensi deH'art. 25 della legge 16 giugno 1965, n. 717, abbia provveduto, in tale occasione, ad estendere .il beneficio tributario della riduzione dell'I.G.E., a met� per i mater~ali di costruzione, le macchine e tutto quanto pu� occorrere per l'attuazione delle iniziative industriali consistenti nel primo impianto, nell'ampliamento, nella trasformazione, nella ricostruzione, nella riattivazione dell'ammodernamento 420 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO degli stabilimenti industriali, anche ai contratti d'appalto posti in essere per il medesimo fine, in quanto, mancando nella legge delega l'espressa previ!sione del rpotere di apportare aggiunte o innovazioni nella legislazione pregressa, l'autorit� delegata non era autorizzata a prevedere nuove situazioni giuridiche, in precedenza non contemplate (Cass. 4138/80). In tale prospettiva, la normativa in oggetto nella parte ;in cui prevede . il beneficio della riduzione alla met� dell'imposta generale sull'entrata, oltre che per i materiali da costruzione e le macchine, anche per tutto quanto pu� occorrere per l'attuazione delle iniziative industriali indicate al primo comma, non pu� intendersi comprensiva dei corrispettivi degli appalti stipulati per l'esecuzione delle relative opere, e ci� in particolare tenuto conto della formulazione fotterale della norma agevolatrice, che ha ad oggetto non gi� �servizi�, bens� quei beni materiali che per destinazione tecnica non potrebbero comprendersi in quelli definiti � materiali da costruzione � e � macchine �, e della correlativa inammissibilit� di una sua dnterpretazione analogica, nonch� del collegamento di detto decreto con la previgente legislazione (D.L.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1598), da cui si evince rl'intento di coordinare Ie agevo 1 lazioni gi� concesse, e non di concederne nuove (Cass. 4882/80, 222/81, 3468/81). Con :il terzo motivo -denunziando violazione degli att. 101, 61 e segg. c.p.c. e dell'art. 2729 e.e., nonch� motivazione incongrua su un punto decisivo della controversia -la societ� ricorrente censura la sentenza deHa Corte del merito per non avere di!sposto il rimborso deHa met� deH'imposfa pagata sui materiali, nel riflesso del difetto di prova al riguardo, e ci�, non adeguatamente, motivando sul punto e rifiutando, sempre immotivatamente, di disporre al riguardo cons�ulenza tecnica, senza, peraHro, considerare che si sarebbe potuto in merito far ricorso anche a prnsunzioni sicUII'e e concordanti. La censura non merita accoglimento, ancorch� la motivazione adottata dalla Corte del merito, in punto di esclusione dal beneficio con riguardo ai materiali, vada corretta nei termini delle proposizioni che seguono. L'art. 10 del D. M. delegato del 14 dicembre 1965 sulle modalit� di applicazione delle agevolazioni fiscali per il mezzogiorno prevede che � ove i favori agevolati siano in tutto o in parte commessi in appalto, l'ammissone al beneficio della riduzione a met� dell'IGE, sugli acquisti, da parte degli appaltatori, dei materiali e macchinari che verranno impiegati nelle opere appaltate, pu� essere richiesta all'intendenza di finanza, con le modalit� di cui al precedente artico~o, oltre che dagli esercenti di opifici a nome delle ditte appaltatrici, anche direttamente da queste ultime. � In ogni caso, per�, il beneficio fiscale alle ditte appaltatrici, per i menzionati lavori, competer� sempreoh�, dal contesto PARTB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA '421 del relativo contratto registrato o da separata dichiarazione dell'esercente l'opificio che ha commesso l'appalto, risulti che nella determinazione d�l corrispettivo contrattuale si � tenuto conto del beneficio di cui fruisce l'appaltatore �. Dal quadro generale deH.a riportata disposizione risulta che, in pratica, nella ipotesi contemplata, destinataria del beneficio sull'acquisto dei materiali � la �ditta appaltatrice�, mentre �l'opificio che ha commesso l'appalto � risentir� della agevolazione, attraverso iJ.a considerazione che della �riduzione I.G.E. sull'acquisto dei materiali da impiegare nell'appalto, in favore dell'appa!ltatore, venga (eventualmente) fatta nella � determinazione del corrispettivo contrattuale dell'appalto �. Pertanto, la prova doveva essere preliminarmente richiesta (e articolata), in ordine alla drcostan:m che l'opificio appaltante non aveva gi� scontato (in via indiretta e in �sede contrattuale) i benefici della agevolazione, con la conseguenza che il difetto di ogni allegazione e capitolazione in tal �senso �risdlve a monte (senza, cio�, la necessit� di � indi'V'iduazione � dei materiali) ogni questione proposta in ordine alla concreta ;ripetibHit� della riduzione. (omissis). I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 aprile 1988 n. 3174 -Pres. Vela Est. Favara -P.M. Amirante (conf.). Fantini (avv. PaJ.atta) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi erariali diretti -Contenzioso Tributario � Rimborsi � Somme riscosse mediante ruolo . Difetto di impugnazione del ruolo � Inammissibilit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). Tributi erariali diretti � Contenzioso tributario � Rimborsi � Contestazione della dichiarazione . Stesso termine quinquennale assegnato all'ufficio � Esclusione. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43). Poich� il ruolo, anche quando contiene la sola ripetizione di quanto dichiarato, ha valore di provvedimento suscettibile di diventare irretrattabile, � inammissibile la domanda di rimborso di quanto versato in base a ruolo non impugnato tempestivamente anche se si deducono errori della dichiarazione sulla quale � stato basato il ruolo (1). (1-3) Due importanti sentenze che, partendo dalla�questione specifica del rimborso, contengono enunciati di pi� ampia validit� la cui importanza � superfluo sottolineare. 422 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Gli errori della dichiarazione vanno contestati nei modi e nei termini previsti non essendo riconosciuto al contribuente un potere paritetico a quello dell'ufficio, di contestare la dichiarazione entro il 31 dicembre del quinto anno successivo alla presentazione secondo quanto dispone l'art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 (2). II CORTE �DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 aprile 1988 n. 3197 -Pres. Granata Est. CantHlo -P. M. Lo Cascio (diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Pa1atiello) c. Ricci. Tributi erariali diretti -Contenzioso Tributario -Rimborsi -Norma di imposizione dichiarata illegittima -Rapporti esauriti -Riscossione mediante ruolo non impugnato -Definitivit� -Riscossione mediante versamento diretto -Decadenza dal rimborso decorso il termine di 18 mesi. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38). La domanda di rimborso di imposta non pi� dovuta a seguito della dichiarazione di illegittimit� costituzionale della norma di imposizione, non pu� essere avanzata come una domanda di indebito oggettivo, ma sottost� alle regole proprie del rapporto tributario; di conseguenza � inammissibile la domanda di rimborso di somma riscossa mediante ruolo non impugnato ex art. 16 d.P.R. n. 636/1972 ovvero mediante versamento diretto quando l'istanza non sia stata proposta nel termine di 18 mesi dell'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973, non potendosi riconoscere al contribuente il potere concesso all'ufficio di rettificare la dichiarazione nel termine stabilito nell'art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 (3). Limitando il commento solo ad alcune delle enunciazioni contenute nelle due ampie motivazioni, si pu� rilevare (la massima) l'importante affermazione �del valore del ruolo come atto a contenuto accertativo suscettibile di irretrattabilit� in ogni caso, anche quando contiene Ia sola liquidazione dell'imposta dichiarata ed anche se si assume che la dichiarazione fosse errata. Notevole a tal fine la giustificazione della necessit� di definizione delle situazioni in tempi ragionevoli per sottrarre l'Amministrazione dal pericolo di flussi di rimborsi dopo lungo tempo dalla esazione. Va ancora sottolineata la netta esclusione sotto tutti gli aspetti del tentativo di costruire la domanda di rimborso come indebito oggettivo e di sottrarla alle regole dei procedimenti tributari e dei relativi termini. Ed a tal fine � importante l'affermazione che la domanda di rimborso ex art. 38 d.P.R. n. 602, bench� riferita al rimborso� dei versamenti diretti, copre tutte le ipotesi di rimborso e non lascia spazio ad altre possibilit� di rimborso con diversi modi e in altra sede. II -I I - I PARTE I, SE7. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 423 I (omissis). -Col primo mezzo di ricorso il Fantini deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 16 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 nella formulazione precedente alle modifiche introdotte con d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739 e sostiene che erroneamente <la Corte di Appello �di Bologna ha ritenuto necessaria, la impugnazione del ruolo al fine di ottenere dall'Amministrazione finanziaria la restituzione di somme non dovute, versate all'Erar.io in ottemperanza alla cartella esattoriale notificata, considerando cosi inapplicabile il disposto del terzo comma deHo stesso articolo, che consente il ricorso alle Commissioni tributarie quando il pagamento del tributo ha avuto luogo senza preventiva imposizione. Secondo il r.icorrente, quando l'iscrizione a ruolo e la conseguente notifica della cartella esattoriale venga effettuata dall'Uft�ioio in modo pedissequamente ripetitivo dell'autoliquidazione contenuta nella dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente, non sussiste atto di imposizione, essendo lliscrtlzione atto meramente esecutivo della dichiarazone stessa e non atto volitivo di determinazione dell'imposta, tanto pi� che ai sensi dell'art. 43 dello stesso d.P.R. n. 600/1973, essendo consentito al contribuente, a!l pari che all'Ufficio, la rettifica della propria dichiarazione (che � manifestazione di scienza e non di volont�) fino al 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui � stata presentata la dichiarazione, il rapporto tributario fino a tale data � da considerare aperto ad accertamenti e �rettifiche. Con il secondo motivo poi il Fantini, deducendo appunto, violazilone anche di �tale disposizione, sostiene che erroneamente la Corte .di merito ha negato detta facolt� di rettifica del contribuente circa lai propria dichiarazione, al f.ine di ottenere cosi la eliminazione dello errore e porre in grado l'amministrazione di provvedere sull'indebito segnalato. Col terzo motivo �di ricorso, infine, il Fantini denuncia violazione degli artt. 2033 e 2042 e.e., per avere la corte di merito negato rilevanza al riconoscimento del debito contenuto nelle osservazioni difensive presentate dall'Ufficio davanti la Commissione Tributaria di secondo grado, sul presupposto che tale riconoscimento sarebbe intervenuto in tempo successivo alla scadenza del termine per l'impugnazione, quando cio� si era gi� verificata la decadenza dall'impugnazione del ruolo; e ci� in quanto, anche ad ammettere fa necessit� di proporre detta impugnazione nel termine previsto dall'art. 16 del d.P.R. n. 600/1972, la decadenza da tale azione non poteva precludere til diritto alla restituzione dell'indebito per effetto del riconoscimento dell'errore da parte dell'amministrazione che, ancorch� avvenuto dopo la detta decadenza, sostituisce e rende superfiluo l'accertamento giudiziaJ.e del vizio della iscrizione a ruolo, cosicch� la Corte di Bologna avrebbe dovuto ugualmente ordinare 'la restituzione della somma versata in pi� da esso ricorrente. 15 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Il ricorso, in tutti i suoi motivi;� � privo di fondamento. Nel sistema del contenzioso tributario introdotto con il d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, prima delle modifiche apportate con d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, l'impugnazione a mezzo di ricorso alle Commissioni tributarie -in mate.Pia di imposte dirette e in caso di imposizione effettuata mediante notificazione dell'avviso di accertamento, dell'ingiiunzione, del ruolo (e cio� della cartella esattoriale) o del provvedimento che irr�ga le ,sanzioni pecuniarie -deve essere proposta entro sessanta giorni da detta notificazione (airt. 16, 1� � 2� cc.). E pertanto quasiasi errore che sia rlievabile da uno degli indicati atti di concreta imposizione del tributo deve essere dedotto dal contribuente -prima che sia effettuato il pagamento -mediante ~l descritto ricorso alle Commissioni, chiamate ad accertare il corretto ammontare delfimposta. Nel caso invece in cui il pagamento del tributo abbia avuto luogo senza imposizione, qualora cio� manchi uno dei predetti atti di accertamento e di imposi:zlione e perci� il contribuente abbia provveduto al pagamento diretto del tributo, cos� come nel caso in cui sia sopravvenuto H diritto al rimborno, l'art. 16, terzo comma (nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.P.R. n. 739/1981), precisa che si considera imposizione il rifiuto di restituzione della rsomma pagata, ovvero il silenzio all'amministrazione per 90 giorni dall'intimazione a provv,edere (alla restituzione), e che il ricorso deve essere proposto, entro 60 giorni, contro hl l."ifiuto di restituzione o contro il silenzio-rifiuto formatosi alla scadenza dei novanta giorni. L'erroneo pagamento da parte del contribuente di 'somme a titolo di imposta che si assumono non dovute trova esito, fa mancanza di ruolo o altro atto impositivo da impugnare, e a pagamento gi� effet� tuato (per er.rore), in una richiesta di restituzione della somma indebitamente pagata, al fine di provocare un provvedimento (espresso di I1igetto, o, implicito, di si'lenzio-rifiuto) da impugnare, poi, davanti le Commissioni. Ci� sigillifica che, con riferimento alla disciplina contenuta nel citato art. 16 prima delle modifiche introdotte col d.P.R. n. 729/1981, poteva dedursi l'indebito solo nell'ipotesi in cui n�n vi era stato preventivo atto di imposizione, ovvero quando il dinitto al rimborso fosse sopravvenuto (rispetto al momento in cui il pagamento era stato eseguito comecch� dovuto); non anche nell'ipotesi in cui fosse stato notifi<:ato al contribuente l'atto impositivo, cos� ponendo in grado di rilevare l'errore e denunziarlo con l'opportuno ricorso alle Commissioni, tuttavia entro il termine di decadenza previsto dalla legge, di sessanta giorni dalla notifica. E ci� in quanto la tempestiva .impugnazione del mofo, diretta ad evidenziare la non debenza (in tutto o, �!ll parte) del tr.ibuto, anche in conseguenza di errore, commesso nella dichiarazione dallo stes,so contribuente, consente di precisare -in tempi ragionevoli e tenuto conto PARTB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA dell'esigenza di certezza correlata all'interesse dello Stato (e degli altri enti muniti di potest� impositiva) di conoscere l'entit� delle entrare con le quali fare fronte al.la spesa pubblica -l'esatto ammontare del tributo dovuto evitando cos� pagamenti indebiti da parte del contribuente e successive sue richieste di rimborso. Costituisce poi effetto legale della decisione sul ricorso al g<iudice tributario, come della decadenza conseguente alla mancata impugnazione (nelle ipotesi dn cui � ammesso il riicorso), fa incontestabirlit� ed il consolidamento della pretesa tributaria (Cass. 8 novembre 1986 n. 6551, Cass. 10 marzo 1982 n. 1544 per tutte), stante la natura sostanziale, oltre che processuale, del. termine concesso per ricorrere contro l'iscrizione a ruolo (v..anche Cass. Sez. Un. 16 gennaio 1986 n. 5861). M fine di escludere l'onere del contribuente di dedurre l'errore di dichiarazione con l'impugna:z�one avverso il ruolo (quando, aii sensi dell'art. 11 d.P.R. n. 602/1973, applicabile in virt� dell'art. 8 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599 sull'I.LO.R., si sia proceduto all'iscrizione nei ruoli principali delr.imposta dovuta in base a:Ha d�chi:arazione presentata dal contribuente) non vale sostenere che il ruolo non � atto impositivo e pu� essere impugnato, ai sensi dell'art. 16 d.P.R. n. 636/1972, solo per vi:z� suoi propri, essendo invece iJ. ricorso !ivi disciplinato anche, e anzi principa1mente, inteso a provocare 1e possibili contestazioni della pretesa tributaria (Cass. 22 ottobre 1981 n. 5529), tra le quali devono essere incluse quelle concernenti gli errori od omilssioni commessi dal contribuente nella dichiarazione (Cass. 17 novembre 1981 n. 6095), quando sia mancata una preventiva comunicazione al contribuente dell'adesione dell'Amministrazione a tale dichiarazione. La distinzione perci� posta nell'art. 16 d.P.R. n. 636/1972 tra rapporti tdbutari conseguenti ad atto d'imposfaione, (mediante notificazione di avviso di accertamento, di cartella esattoriale re1ativa a iscrizione a ruolo o di provvedimento che irroga sanzioni pecuniarie (primi due commi) e rapporto tributario che si instaura senza ll!D. preventivo atto d'imposizione, a 1seguito d� pagamento diretto del tributo (terzo comma), lascia intendere ben chiaramente che nella prima ipotesi l'errore di dichiararazione deve essere dedotto sempre e solo dinanzi alle Commissioni mediante ricorso, entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla notifica dell'atto impositivo e, in mancanza di ci�, non pu� essere pi� denunziato per essere il rapporto tributario divenuto incontestabile; mentre nella seconda ipotesi, a pagamento gi� effettuato dell'imposta non dovuta, � possibile ricorrere alla procedura dell'impugnazione del silenzio-rifiuto o del provvedimento di rigetto solo nel caso di imposta pagata senm preventiva imposizione, quando manchi cio� un accertamento o l'iscrizione del tributo nei ruo1i da parte dell'Ufficio. 426 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sulla base di tali premesse, risulta evidente l'inconsistenza delle tesi giuridiche svolte dal ricorrente. Al fine di superare la timitazione che .U terzo comma dell'art. 16 prevede, quando alla possibilit� di chiedere la restituzione delle somme indebitamente pagate, alte sole ipotesi sopra rico11date del didtto sopravvenuto al rimborso e della mancanza di preventiva imposizione, il Fantini col primo motivo dii dcorso, ha cercato di sostenere, con rifer,imento a tale seconda ipotesi, che la liquidazione d'imposta operata dall'Ammimstra:z�one, seguita da conforme iscrizione a ruolo e da notifica della cartella esattoriale 1Sul1a base della sola dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente e senza alcuna modificazione o rettif�icazione della >stessa (in modo che egli pemi� qualifica �pedissequamente ripetitivo� di questa), non costituisce atto di imposizione in quanto privo di autonomo contenuto volitivo ed avente perci� carattere meriamente esecutivo dell'autoliquidazione effettuata dallo stesso contribue,nte. Ma gi� la Corte di Bologna ha esattamente rilevato, senza che sul punto siano state dedotte nuove argomentazioD!i. in contrario, che costituisce atto di accertamento dell'imposta anche quello cui l'Amministriazione perviene, nella fase di controllo della denunzia fiscaile, quando fa proprio l'imponibile dichliarato dal contribu~ nte, perch� al momento ritenuto corretto, determinando dn conformit� l'ammontare del tributo. E l'iscrizfone dell'imposta che conseguenzialmente viene fatta nei ruoli costitlllisce, anche nel sistema antecedente al regime dell'autotassazione poi introdotto, :atto di imposizione promanante dall'Amministrazione finanziaria e non mero atto esecutivo dell'autoliquidazione fatta dai! contvibuente in via di cooperazione con l'Amministrazione predetta, cui istituzionalmente � dservata la facolt� impositiva. Ci� salvo la facolt� di rettificazione che, ai sensi dell'art. 43, 3� comma d.P.R. n. 600/1973, compete alLa stessa amministra7lione quando venga a conoscenza di nuovi fotti impositivi, entro il 31 dicembre del 5� anno successivo a que!Jo della presentazione della dichiarazione dei redditi. Non � tuttavia lecito (come il Fantini fa col secondo mezzo di ricorso) fare Tichiamo a tale potere di rettificazione dell'Ufficio al fine di arguire un corrispondente potere del contribuente di rettifica della propria dichiarazione entro lo stesso termine, a prescindere dall'eventuale accertamento d'imposta nel frattempo compiuto dall'amministrazione, anche se divenuto dei;Wtivo. In realt�, il potere di 'rettificazione spettante agli uffici delle imposte, in sede di controllo del:le dichiara� zioni presentate dai contribuenti; si giustifica, anche quanto all'ampiezza del termine concesso, per la necessit� di procedere al riscontro delle numerose dichiarazioni che affiluiscono ogni anno, in base alla quali l'imposta venne iscritta a ruolo e che riflettono situazioni disparate, tutte ignote agli uffici; laddove ben diversa � la posiziione dei singoli contribuenti, i quali -come � lecito presumere -conoscono bene la PART!l I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA propria situazione economica e possono in tempi brevi avvedersi della erroneit� dei dati indicati nella denuncia dei redditi, cos� come possono avegolmente, dopo la notifica dell'atto impositvo, segnalare l'errore a mezzo dell'impugnazione alle Commissioni, naturalmente per� entro termini di decadenza all'uopo previsti. Non esiste dunque un potere del contl'ibuente di �apportare rettifilche (cio� di correggere ed eliminare errori) alla dichiarazione dei redditi nel periodo ~di cinque anni) con� cesso dall'art. 43, 3� comma, in via esclusiva a:ll'Ufficio per effettuare accertamenti suppletivi, dopo che sia decorso il termine per proporre ricorso alle Commissioni contro l'iscrizione a ruolo (o l'accertamento. principale o altra forma di atto d'imposizione). N� conseguentemente, � possibile, una volta intervenuta la �decadenza da detta impugnazione e l'incontestabilit� deUa ptretesa fiscale, chiedere il rimborso di imposte per re~diti erroneamente dichiarati e pagati quando l'eI"rore non sia stato tempestivamente denunciato a mezzo di ricorso contro il ruolo, come � confermato dagli artt. 37 e ss. del d.P.R. 602/1973, che per i iiedditi iscritti a ruolo (art. 39 e 40) fanno richiamo al disposto dell'art. 16 del d.P.R. n. 636/1972 sopra riportato oiiica la necessit� del ricorso e prevedono rimborsi (salvo che nel caso di omessa dichiarazione di ritenute d'acconto) solo in consegue~a della decisione delle commis sioni tributarie favorevoli al contribuente, mentre per i versamenti diretti (art. 37 e 38) prescrivono (conformemente alla disciplina dell'art. 16, 3� comma d.P.R. n. 636/1972) il rkorso alle Commissioni solo contro il silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso. Parimenti priva di fondamento giuridico � la censura di cui al terzo mezzo di ricorso, concernente H riconoscimento del debito che l'amministrazione avrebbe effettuato nelle osservazioni difensive presentate davanti alla Commissione di secondo grado; 'la proponibilit� deH'azione di ripetizione d'indebito di cui all'art. 2033 e.e. (come pure l'azione generale di arricchimento senza causa di cUI� al successivo arti� colo 2042, azione peraltro nel presente giudizio prima d'ora enunciata) � esdusa, per quanto sopra osservato, come rimedio di carattere generiale extra ordinem rispetto al sistema del contenzioso tributario e in particolare rispetto ai rimedi �di cui a:ll'art. 16 d.P.R. n. 600/1973. (nel testo antecedente alle modifiche introdotte dal d.P.R. n. 739/1981, non applicabili alla specie in esame) quando sia divenuto incontestabile l'accertamento o l'iscrizione a ruolo per intervenuta decadenza dal rico~so al giudice tributario e data la inammissibilit� di un nuovo giudizio, nei termini ordinari di presmizione (art. 2946 e.e. sulla doman� da di rimborso), che implicherebbe un accertamento negativo circa la debenza del tl'ibuto in contrasto non solo con quanto gi� accertato in via definitiva e non pi� contestabile dal giudice tributario, ma anche da parte di una diversa giurisdizione. Ci� a parte le pur giuste considera� I 428 RASSEGNA DEIL'AWOCATURA DELLO STATO I zioni fatte dalla Corte di Bologna in ordine al valore di un riconoscimento di debito che avrebbe dovuto desumersi da scritti difensivi !j! fatti dall'Amministrazione davanti alla Commissione di secondo grado. Deve pertanto considerarsi corretta la dichiarazione di inammissi ' bilit� dell'impugnazione per tardivit�, pronunciata dalle Commissioni di primo e secondo grado e confermata dalla Corte di Appello di Bologna. (omissis) II (omimissis) 1. -Il presente ricorso e altri discussi nella stessa udienza sottopongono all'esame de1la Corte, per la prima volta in modo puntuale, la complessa problematica relativa ag1i effetti della sentenza della Corte costituzionale 25 marzo 1980, n. 42,, dichiarativa deH'i1legittimit� costituzionale dell'art. 4 n. 1 della legge di delega per la riforma tributaria (legge 9 ottobre 1971, n. 825) e dell'art. 1 del decreto delegato istitutivo dell'imposta locale sui redditi (d.P.R. 29 settembre 1973, numero 599) nella parte in cui assoggettaV'allo al tributo i redditi di lavoro autonomo non assimilabili a quelli di impresa. La questione -che ha dato luogo a decisioni contrastanti nella giurispruden2'!a delle commissioni tributar1ie -concerne il diritto dei percettori di reddito di lavoro autonomo di ottenere il rimborso dell'imposta pagata prima della pubblicazione della sentenza costituzionale; in particolare, occorre stabilire se e in quali casi i'efficacia della pronuncia incontri il limite del rapporto esaurito, con riferimento sia ai pagamenti eseguiti in base a ruolo, sia a quelli eseguiti mediante versamenti diretti. Nel sistema di riscossione dell'l.LO.R., infatti, si sono su�cedute due diverse �discipline: fino al 1976 (in pratica, per gli anni 1974, 1975 e 1976) l'imposta veniva riscossa mediante ruoli esattoriali emessi in base ai redditi esposti in dichiarazione; a partire dall'anno 1977, invece, il tributo viene riscosso mediante autotassazione, cio� con versamenti diretti dei contribuenti nel termine stabilito per la dichiarazione (salvo in ogni caso il potere dell'ufficio finanziario di procedere ad accertamento entro cinque anni dalla dichiarazione, ex art. 43 (del d.P.R. n. 600 del 1973). Quanto alla prima vicenda solutoria, l'orientamento dell'Amministrazione -riproposto e diffusamente argomentato con H ricorso che si esamina -� nel �senso che la 1senten2la deMa Corte Costittrai.onale non opera rispetto ai pagamenti eseguiti in forza di iscrizione a ruolo che, alla data della pronuncia, era diventata definitiva perch� non impugnata nel termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella esattoriale; e ci� secondo la disciplina .risultante dagli artt. 39 del I PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA d.P.R. n. 602 del 1973 e 16 del d.P.R. n. 636 del 1972, per cui il rimborso delle somme corrisposte in base a ruolo si pu� ottenere solo attraverso fimpugnativa del medesimo, che, una volta divenuto inoppugnabile, rende jncontestabile H pagamento. Quanto alle fattispecie di versamento diretto l'Amministrazione ritiene che la definitivit�, o meno, del rapporto tributario debba essere verifioata alla stregua dell'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, per cui � nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parz~ ale dell'obbligo di versamento �, il rimbovso deve essere chiesto con istanza presentata all'Intendenza di finanza nel termine di decadenza di diciotto mesi dal versamento medesimo; pertanto la sentenza costituzionale non opera rispetto ai pagamenti per i quali, alla data della stessa, era scaduto il termine suddetto. 2. -Per contro, l'esaurimento del rapporto in tali situazioni viene negato da una parte della dottrina e della giurisprudenza tributaria in base ad un duplice ordine di argomenti, che si trovano trasfusi, in sostanza, nella decisione impugnata. Da un lato, si sostiene che nel pagamento eseguito in forza di una norma dichiarata incostituzionale, perci� invalida fin dall'origine, si configura un indebito oggettivo cui non si applicano le norme proprie del rapporto tributario, bens� quelle relative 'a11'ordinaria condictio indebiti, di cui all'art. 2033 e.e., con la. conseguenza che l'azione pu� essere proposta in qualsiasi tempo, con il solo limite della presecrizione decennale; dall'altro, l'inapplicabilit� delle preclusioni suddette viene so . stenuta alla stregua della stessa disciplina del rapporto, in base ad una serie di ragioni che saranno pi� oltre esaminate. 3. -L'equivoco che inficia il primo di questi airgomenti, che fa perno sulla natura di indebito oggettivo del pagamento eseguito in base alla norma poi dichiarata incos1li.tuzianale, si coglie agevolmente in ci�, che da tale qualifica si pretende di desumere l'inapplicabilt� delle regole proprie del rapporto tributario, senza considerare che -secondo i principi riguardanti l'effilcacia nel tempo delle ,sentenze di incostituzionalit� (anche) in materia tributaria -la possibilit� di accertare la qualit� di indebito del pagamento in concreto effettuato presuppone che H rapporto cui questo si riferisce non sia ancora definito, cio� che non si siano verificate quelle stesse preclusioni, stabi1ite dalla legge del medesimo rapporto, che si vorrebbero ritenere irrilevanti. Il riferimento tout court alla disciplina dell'indebito, con conseguenziale ivrilevanza della legge del rapporto, potrebbe in ipotesi avere fondamento se la sentenza di accoglimento operasse alla stregua di una pronuncia �di annullamento, in modo da 'travolgere tutti gli atti compiuti e i rapporti conclusi secondo i parametri della legge incosti 430 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tuzionale, sicch� residuerebbe soltanto un pagamento che, risultando essere sine causa direttamente in virt� della pronuncia costituzionale, potrebbe dn ogni caso formare oggetto di condictio indebiti. Ma ormai pi� non si dubita, in via generale, che il c.d. effetto retroattivo della sentenza costituzionale di accoglimento consiste nella disapplicazione della norma dichiarata illegittima nci .rapporti anteriori in cui essa risulti comunque potenzialmente appliicabile; che tale efficacia incontra, quindi, il limite del rapporto esaurito, quale deve in� tendevsi queUo in cui !'�applicazione della norma incostitumonale non pu� essere rimessa in discussione per l'effetto ostativo di altre disposizioni, diverse da quella illegittima, le quali rispetto allo stesso rappor� to renderebbero irrilevante la questione di costituzionalit� anche se non fosse stata gi� decisa; e che conseguentemente si sottragg�no agli effetti della pronuncia, oltre ai rapporti oggetto di una decisione passata in giudicato, le situazioni giuridiche divenute intangibili in conseguenza del verificarsi di una prescrizione o dell'operare di preolusioni stabilite da regole non colpi�te dalla pronuncia di incostituzionalit�. In particolare, nella materia tributaria, l'orientamento di questa Corte -elaborato principalmente in relaz�.one alle vicende, l?er molti aspetti analoghe a quelle che oggi si considerano, originate dalla dichiarazione di illegittimit� costituzionale dell'art. 25, secondo comma, della legge 5 marzo 1963, n. 246, istitumva dell'imposta sulle aree fabbricabili, pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 23 maggio 1%6, n. 44 -si � consolidato nel senso che la pronuncia di incosti� tuzionallit� della norma impositiva incide anche sud rapporti tributari precedentemente sorti e non ancom esauriti alla data di pubblicazione della stessa, qua<li devono considerarsi non solo quelli in cui il con� tribuente non abbia provveduto al pagamento del tributo, ma anche quelli in cui abbia pagato in base ad un'iscrizione a ruolo impugnata ovvero abbia versato spontaneamente il tributo e proposto istanza di rimbovso; e che, per converso, la sentenza medesima non esplica alcun effetto rispetto ai rapporti gduridici definiti, per ii qual.i sia intervenuto un giudicato, sia diventato inoppugnabile un atto di imposizione preclusivo (per l'esaurimento o la mancata tempestiva proposizione dei rimedi previsti) ovvero siano decorsi i termini di prescrizione o di decadenza stabiliti daUa normativa del rapporto, con la conseguenza che la situazione generata dalla disposizione incostituzionale non pu� pi� essere rimossa o regolata diversamente (v., fra numerose altre, sent. n. 794 del 1977; n. 883 e 3490 del 1975; n. 2497 del 1973; per una recentissima applicazione, v. S.U. n. 9101 del 1987). Sulla base di questi principi, il tributo pagato in attuazione di una norma impositiva incostituzionale pu� essere in concreto riconosciuto giuridicamente indebito, e se ne deve ammettere la ripetizione, sempre PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 431 che non si sia verificata una delle SI�tuazioni suddette, che rendono incontestabile l'obbligazione tributaria estinta con il pagamento e impediscono al giudice (come a ogni altro operatore del diritto) di prendere cognizione dell'appiica:llione fatta della legge illegittima. Deve essere rovesciata, dunque, l'impostazione della tesi che qui si contrasta: nel senso che l'accertamento dell'originairia inefficacia giuridica della legge incostitUZI�.onale non consente di per s� di ritenere indebito il pagamento, a prescindere dalle preclusioni derivanti dalla disciplina' della fattispecie; e che, per converso, proprio alla stregua di tale normativa occorre stabilire se, per eS'sere ancora pendente dl rapporto alla data della sentenza costituzionale, sia possibile disapplicaTe la norma iiHegittima e qualificare giuridicamente indebito il pagamento, riconoscendo il diritto aJILa ripetizione. 4. -Sotto altro profilo l'orientamento che si disattende non merita accoglimento, cio� perch� ritiene ammissibile -nei casi di (asserita) mancanza originaria o sopravvenuta di un valido rapporto d'iimposta l'azione di ripetizione d'indebito di cui all'art. 2033 e.e., considerata come rimedio di carattere generale svincolato dalle norme del contenzioso tributario. L'inoons~stenza della tesi -che a rigore dovrebbe condurre addirittura a negare in tali controversie '1a speciale giurisdizione tributaria � stata da tempo evidenziata da questa Corte, nella considerazione che con la riforma la condictio indebiti, per i tributi di cui all'art. 1 del d.P.R. n. 636 del 1972, � stata specificamente e compiutamente regolata in coerenza con iJ sistema del nuovo contenzioso, nel quale il processo � strutturato come impugnativa di tipici provvedimenti dell'Amministrazione, che scandiscono le varie fa:si del rapporto di imposta; il cud accertamento � circoscritto, quindi, alla fase corrispondente alla sequenza procedimenta:le che mette capo al provvedimento impugnato, rimanendo preclusa quaisiasi contestazione riflettente Ja fase precedente conclusa con un atto compreso fra quelli impugnabili, ma non impugnato o altrimenti. diventato definitivo. Anche nelle ipotesii in cui, mancando un atto di imposizione che costituisca il titolo del pagamento, assume autonomo rilievo il diritto alla restituzione del 1Jvibuto spontaneamente corrisposto, l'azione di rip~tizione � strutturata come azione di annullamento del provvedimento esp�icito o implicito di rifiuto del rimborso, reso dall'Amministrazione sulla domanda che deve es.sere all'uopo necessariamente presentata in via amministrativa prima del giudizio (art. 16 cit.; al riguardo, v. fra numerose altre, sent. n. 4852 del 1987; n. 2285 del 1986; n. 3047 del 1984). Non v'� spazio, quindi, per un'azione generale di indebito, che dovrebbe ancora ritenersi consentita accanto alle forme di repetitio specifi RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO camente previste dalle leggi sostanziali e processuali tributarie: una tale azione non pu� ammettersi in forza del rapporto di specialit� che esiste tra fa normativa fiscale (segnatamente l'art. 16 cit.) e que1la generale prevista daUa disciplina aivilismoa; e soprattutto non pu� ammettersi perch� assolutamente incompatibile con il sistema di tutela procedimentale e giurisdizionale del contribuente apprestato in coerenza con la finalit� pubblicistica del prelievo: comportando il diretto accerta� mento dell'esistenza o meno, dell'obbligazione tributaria, tale azione verrebbe a snaturare l'intero assetto della disciplina delfi�nposizione, vaillificando le predlusioni, le decadenze e tutti i tel1ll1�ni stabiliti dalle leggi tributarie. 5. -Passando a considerare gli orgomenti che, ii.n senso contrario �ll'indirizzo dell'Amministriazione, si adducono in base al.La disciplina del rapporto, nell'ordine logico-giuridico va considerato per primo quello che ritiene irrilevanti �sia la mancata impugnazione del ruolo e sia la mancanza di una domanda di rimbol'So nel termine di cui all'art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973, in quanto il rapporto dowebbe considerarsi easurito soltanto con la scadenza del termine quinquennale daJla dichia� razione del contribuente stabilito dall'art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, entro il quaile l'Amministrazione � tenuta ad esercitare, a pena di decadenza, il potere di procedere ad accertamenti in rettifica e ad integrazioni o modifiche iin aumento di precedenti accertamenti (per La sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi). Si sostiene che il termine deve Titenersi operante anche per il contribuente in forza del principio di eguaglianza di cui ail.1'art. 3 Cost.: come l'accertamento tributario � suscettibile di essere modificato dall'ente impositore, cosi -per il principio defila par condicio che deve caratterizzare ogni rapporto in cUJ� si contrappongono diritti soggettivi patrimoniaili -va 'riconosciuta a:l contribuente la facolt� cli rettificare gli errori commessi nella dichiarazione dei redditi, avente natura di manifestazione di scienza, e di presentare eventua!li domande di rimbor: so; e ci� -secondo i principi innanzi ricordati -impone di ri� tenere esaurito il rapporto solo dopo la scadenza del termine suddetto, con la conseguenza che in precedenza [a senten:m costituzionale spiega in ogni caso efficacia. La tesi -su cui maggiormente si diffonde la decisii.one impugnata non pu� essere condivisa. Non ha giuridico fondamento, anzitutto, l'affermazione secondo cui nel rapporto tributario l'ente imposli.tore e il soggetto passivo de[ tri� buto si trovano, o dovrebbero trova!I'si, in condizioni di parit�. � ben noto, invece, che all'ente creditore de[ tributo, titolare della funzione pubblica di imposizione, dopo la costituzione del rapporto d'imposta sono conferiti, nei confironti del soggetto passivo, poteri di PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA retti a determinare gli elementi dell'obbligazione tributaria e a procurarne 1l'adempimento, poteri che vengono eseivcitati nell'ambito del procedimento attraverso la pronuncia di atti amministrativi autoritari ed esecutori, precisamente regolati daMa legge nei loro presupposti, contenuti e modalit�. Anche 'il soggetto passivo del tributo -che � parte del rapporto sia sotto il profilo sostanziale, in quanto debitore dell'impos�ta, sia sotto �il profilo forma:le o procedimentale, in quanto destinatario dell'attivit� amministrativa -oltre ad essere assoggettato ad obblighi ed oneri accessori vari, � titolare di facolt� di natura diversa finalizzate al corretto esercizio dell'attivit� di accertamento e alla giusta tassazione, nonch�, eventualmente, di diritti sostanzialii (essenzialmente quello di rimborso). Ma si tratta di �situazioni soggettive ontologicamente diverse ed � del tutto evidente che a tali facolt� e diritti, del pari precisamente regolati dalla [egge, non possono essere applicati modalit� e termini stabiiliti per l'attivit� ammini:strati.va del['ente impositore; n� � lecito trasferire al rapporto pubblico di imposta regole o principi dei rapporti patrimoniali privati, come il declamato, ma non ben precisato principio della par condicio (postulato per ta1i rapporti), sioch� risuJ.ta del tutto non pertinente il richiamo aM'art. 3 Cost. In realt�, rart. 43 ait. -collocato nel titolo della legge dedicato aJ!la di:sciplina dei procedimenti di contro1lo e di accertamento -riguarda esclusivamente ['attivit� dell'Amministrazione, in quanto delimitata nel tempo, mediante un preciso termine di decadenza, l'esercizio del potere di aocertamento anche .in relazione alle eventuali integrazioni o correzioni rese necessarie dall'acquisizione di nuovi elementi. E nessuna operazione ermeneutica pu� condurre a ritenere applicabile quel termine a facolt� o diritti del contribuente che hanno tutt'altra natura e sono specificamente regdlati i:n altre leggi (come l'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, l'airt. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972); senza dire che le norme che stabiliscono termini di decadenza sono norme a fattispecie esclusiva, perci� di per s� insuscettibfil.i di applicazione analogica. Deve esclude11si, quindi, che fil termine in oggetto assuma rilievo ai fini dell'azione di �rimborso e, conseguentemente, dell'intangibilit� del rapporto nei confronti del contribuente, che � correlata, invece, al veri� ficarsi degli eventi preclusivi che specificamente �lo riguavdano. 6. -In relazione alle fattispecie in cui il pagamento dell'imposta � stato eseguito in seguito ad iscrizione a ruolo effettuata in base alla dichiarazione (ci� si � verificato fino a:ll'anno 1976 compreso), giova ricordare che le disposizioni cui occorre far riferimento sono essenzialmente gli artt. 39 e 40 del d.P.R. n. 602 del 1973, che in caso di RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DELLO STATO iscrizione a ruolo indicano come unico rimedio per iJ. cOI11tribuente il ricorso giurisdizionale entro sessanta giorni dalla notifica della cartella esattorialle, prevedendo il rimbovso deil tributo solo in conseguenza dell'accoglimento totale o parziale del ricorso medesimo; nonch� l'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972 sul contenzioso tributrurio, nel testo precedente alla novetl� d.P.R. 21 novembre 1981, n. 739 (cui occovre far riferimento nelle vicende in esame), il quale dispone nel secondo comma -che il ricorso contro il ruolo � ammesso solo se questo non � stato preceduto dall'avviso di accertamento e -nel terzo comma -che l'azione di rimborso (da esercitare con le modalit� di cui si dir� pi� avanti) � data � nei casi in cui ill pagamento ha avuto luogo senza preventiva imposizione �. Da queste disposizioni dsulta che, per .le somme riscosse mediante iscrizione nei ruoli, non � prevista fa facolt� �di proporre �autonoma domanda di rimborso, giacch� in tal caso per contestare la prete I sa fiscale e conseguire le eventuali restituzioni � necessario insorgere ~ contro il ruolo; se questo viene annullato il rimborso va disposto di uf* r: ficio, ma il contribuente pu� a.lJlora tutelarsi attivando la procedura ex I art. 16 cit. (in quanto � venuto meno il titolo del pagamento); se il ~ ruolo non viene annullato e, iin ogni caso, se non sia stato tempestiva~ !: mente impugnato, il pagamento diventa irretrattabile e la restituzione Ifil del versato � definitivamente preclusa. Nel tentativo di infirmare l'assolutezza di ques.ta conolusione, in numerose decisioni (compresa quella in esame) si sostiene, secondo il s1:1gger. imento di una certa dottrina, che le iscrizioni a ruolo non hanno sempre la stessa natura, in quanto occorre distinguere quelle aventli funzione meramente esecutiva, effettuate in conformit� della dichiarazione o di I un precedente accertamento definitivo, e le iscrizioni che reailiz:ziano veri ' e propri atti di imposizione, che sono espressione di una nuova prete. sa tributaria, come, ad es., nelle ipotesi di cui ailJ'art. 36 bis, secondo I comma, d.P.R. n. 600 del 1973. Da tale premessa si desume che la preclu sione deMa ripeti21.ione derivante dalla definitivit� dell'iscrizione concer- I ne solo i ruoli del secondo tipo, che sono artti di imposizione, e non quelli del primo tipo, in relazione ai quaili, invece, il pagamento deve ritenersti avvenuto � senza previa imposizione � e peo:d� si ricade nella I previsione di cui all'ultimo comma dell'art. 16. La tesi � infondata sia con riguardo alla distinzione ora delineata I {1 e sia con specifico rifeirimento alll'eseges� deMa norma suddetta. Sotto il p:rlimo aspetto, va anzitutto considerato che nel sistema i:: w della riforma, sebbene la fase dell'accertamento e quella della riscossione ~~ siano state pi� nettamente distinte, l'area delle ipotesi in cui il ruolo 1:: ~~ adempie a funzione di accertamento di taluni profilli dell'obbligazione tributaria si � notevolmente accresciuta: acca:nto alle fattispecie corre-~~ t=! t . t PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA late all'art. 36 bis -per cui ruffido isc11ive direttamente a ruolo le imposte !liquidate nell'esercizio del potere di correggere errori materiali e di cakolo nelle dichiairazioni. dei contribuenti, di escludere o ridurre detrazioni non spettanti o non documentate, etc. -si possono ricordare, ancora esemplificativamente, le ipotesi di reiscrizione di somme erroneamente rimborsate, ex art. 43 d.P.R. n. 602, e di iscrizione di soprattase per ritardati od omessi versamenti diretti, ex art. 98, quinto comma, delJo stesso d.P.R. Comunque, oltre che neHe ipotesi suddette, il ruolo ha una valenza sostanzJia!le pure quando l'iscrizione avvenga in conformit� della dichiarazione, perch� a tanto l'Amministrazione perviene sempre attraverso una complessa attivit� di controllo -che, come si evince dallo stesso art. 36 bis, implica l'esame e, se necessario, l'interpretazione della dichiarazione, 'la verifica dei documenti allegati, della spettanza, o meno, di detrazioni, etc. -nonch� attraverso un'operazione di liquidazione dell'imposta. In ogni caso, cio�, l'iscrizione a ruolo costituisce l'atto esterno a mezzo del quale viene concretamente definita l'obbligazione tributaria e manifestata la relativa pretesa fiscale, sicch� si � certamente in presenza di un atto di imposizione e non soltanto di un titolo esecutivo meramente riproduttivo di situazioni anteriormente perfezionatesi. D'altra parte fa duplice natura del ruolo � del tutto inrilevante a lirello normativo, nel senso che la disciplina dei ruo1i �, sotto questo profilo, assolutamente identica, a prescindere dalla docostanza che nella concreta iscrizione sia prevalente la funzione di riscossione oppure assuma peculiare importanza quella lato sensu di accertamento. Tanto direttamente risulta proprio dall'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972, il cui secondo oomma (sempre nel testo previgente) stabilisce -come si � visto -che il ruolo � impugnabi1e non solo per vizi propri, ma anche per ogni altro motivo quando non preceduto da avviso di accertamento, ci� che si verifica appunto neMe i!scrjzioni effettuate in base alla sola dichiarazione: l'oaere di impugnare il ruolo per qualsiasi ragione procedimentale o sostanziale idonea ad inficiare in tutto o in parte fiscrizione, dimostra inequivocabilmente tanto la sua vall.enza di atto sostanziale di imposizione, in quanto tiene il luogo, in pratica, dell'accertamentio mancante, quanto l'effetto preclusivo correlato alla sua definitivit�, ohe rende incontestabile l'obbligazione tributaria cos� come risulta definita attraverso l'iscrizione medesima. Si deve pertanto ribadire quanto gi� ailtre volte affermato da questa Corte, cio� che il contribuente decade dal diritto di ripetere quanto indebitamente pagato in esecuzione di un'iscrizione a ruolo i!llegittima non impugnata nel termine stabilito dall'art. 16 dell d.P.R. n. 636 del 1972 436 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (v., da ultimo, sent. n. 3059 del 1986); e che pertanto la defimtivit� del ruolo, rendendo incontestabile l'obbligaztlone tributaria, esclude che in relazione a questa possa spiegare effetto la sentenza di incostituzionalit� della norma impositiva. 8. -Nelle fattispecie in cui il pagamento dell'I.LO.R. � avvenuto mediante versamento diretto (autotassazione o ritenuta alla fonte) vengono in considerazione -come si � detto -l'art. 38 del d.P.R. n. 602 deil. 1973, per cui Il soggetto che ha effettuato iil vevsamento pu�, nel termine di decadenza di diciotto mesi dallo stesso, presentare istanza di rimborso nei casi di � errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o pairziale de1l'obbiigo di versamento�; e l'art. 16 del d.P.R. n. 636 de�l. 1972 (nel testo precedente alla novena del 1981), il quaile, nei casi di pagamento senza preventiva imposizione e � nei oasi in cui il contribuente affermi essere sopravvenuto il diritto al mmborso �, stabilJ.isce che la domanda di ripetizione va proposta mediante ricorso alla commissione tributaria entro 'sessanta giorni dal rifiluto espresso dell'intendenza o dal silenziorifliuto. Per escluder:e ['ap)Jlicabilit� della preclusione connessa alfa scadenza del termine dell'art. 38, si sostiene che la disposizione non riguarda l'obbligazione tributaria, scaturente ex lege dal presupposto di imposta, bens� il.'obbligo di versamento che sorge a carico del contribuente o del sostituto di imposta per il solo fatto della �dichiM"azione; e l'argomento che si adduce al rigual'do si incentra su:lla diversa formulaztlone dell'art. 37, che, con riferimento ail. diritto del contribuente dipendente dello Stato al rimbovso delle ritenute dirette operate dall'amministrazione di appartenenza, usa la dicitura � obbligaziione tributaria � e non prevede un termine di decadenza per la domanda di rimborso, che pu� essere presentata nell'ordinario termine di prescrizione. Da ci� si desume che, quando la ripetizione dell'indebito non riguanla vizi relativi aliJ.'ob , bligo di V�ersaimento, ma resistenza stessa dell'obbHgazione tributaria (come nei casi di illegittimit� costituzionale), la domanda non � soggetta al termine .di decadenza di diciotto mesi, ma a quello ol'dinario di presorizione; e a conforto di questa esegesi si invoca la sentenza della Corte Costituzionale n. 365 del 19 novembre 1985, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale deld'art. 38 ipotizzando -si .sostiene -la distinzione suddetta fra i due tipi di obbligaz:ione. Anche questa tesi non pu� essere condivisa. In realt�, l'enunciato dell'art. 37 e quello delrart. 38 sono assolutamente uguali nella parte relativa alla definizione deLl'ambito di applicazione delle due norme, in quanto entrambi 1Sli riferiscono ai casi di � errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziiale � della PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA obbiigazione; [a quafo formtrla designa, in pratica, la totalit� dei motivi deducibili nei confronti dei prelievi e, rispettivamente, dei versamenti, comprendendo tutte [e ragioni relative all'an e al quantum della prestazione oggetto deLl'obbligazione tributaria. L'unica diversit� riguaroante questo aspetto delle due previsioni cio� l'uso del.la dizione � obbl~go di veo:-samento � nell'art. 38 -� del tutto in~donea a supporre un diverso oggetto di tale disposizione rispetto alla precedente, �attribuendo, I�n pratica, dignit� di fonti di un'autonoma obbligazione aLle norme che prevedono il versamento diretto e le relative operazioni, laddove �si �tratta, manifestamente, di prescri:llioni disciplinanti una modalit� della prestazione oggetto dcl1a (stessa) obbligaz; ione �tributaria. Nulla autorizza a ritenere, cio�, che con quella dicitura si sia inteso dare ri'lievo gitll'idico autonomo; ai fini del rimborso, ad una (imprecisata) obbligazione accessoria di versamento, sicch� nelle fattispecie previste dall'art. 38 verrebbero in considerazione due distinti rapporti obbligatori -quefilo accessorio relativo al versamento e quello principale attinente all'obbligazione tributaria -solo per lil primo dei quali sarebbe stata dettata Wla specifica disciplina: e d� sebbene la norma sia assolutamente muta al riguardo e, per converso, [a disposwone dell'airt. 37 concerna proprio l'obbligazione tributaria, sicch� l'indebito ad essa connessa sarebbe regolato in un ooso e non ncll'aUro. Non potendosi far carico al legislatore fiscale di simili deficienze e incongruenze, J'art. 38 deve essoce interpretato nel significato fatto palese dal tenore testuale dell'enunciato, per cui la norma si riferisce a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all'adempimento dell'obbligazione tributaria nelle fattispecie che si considerano, qualunque sia fa ragione per cui il versamento � tutto o in parte mdebito, a partire, cio� dal mero errore materiale; ai casi di inesistenza dell'obbligazione; e l'uso del termine � versamento � � pienamente giustificato, sia perch� questo � il modo di adempimento dell'obbli~azione medesima e sia perch� anche nelle operazioni di versamento �possono dwsi errori che generano un !indebito. La diversa dizione, cio�, lungi dal restringere la portata dehla disposizione, la rende pi� ampia, per comprendervi tutte le situazioni di indebito che si possono verificare in conseguenza dell'adempimento dell'obbligazione; la qua'le tuttavia resta i!l parametro di riferimento dell'indebito, come risuftta anche dallla rilevata identit� dell'enunciato con quello dell'art. 37, daU'ampiezza del medesimo e dal riferimento alle duplicazioni, che assumono rilievo giuridico appunto rispetto alla obbligazione tributaria. Non occorre attardarsi, poi, sulla ratio della divezisa disciplina dettata dall'art. 37, in oui l'assenza di un termine decadenziale del diritto 438 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO al rimborso � correlata alla circostanza che il contribuente � del tutto estraneo al prelievo mediante ritenuta, la quale viene operata autoritariamente dall'amministrazione dello Stato. N� � significativa, d:n senso coI111lrario, la ricordata pronuncia della Corte Costituziona'le, la quale, nel ritenere manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 38 cit., si � limitata ad affermare che la disposizione ha � finalit� restitutoria, circoscritta agli ambiti connessi aU'obblligo di versamento�, cogliendo sotto tale prof.ilo la specificit� della norma rispetto a'Ll'art. 37, ma senza prendere posizione funditus sulla problematica in esame. All'opposto, un ulteriore argomento sul carattere omnicomprensivo del termine di decadenza 1si ricava ora dal nuovo testo delll'art. 16, introdotto con il d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, che ha riwhlegato espressamente l'esercizio del diritto al rimborso� in sede giurisdizionale alla :presentazione dell'istanza �amministrativa nei termini stabiliti nelle singdle leggi d'imposta e, in mancanza, nel termine iJ."esiduale di due anni dal pagamento; '1a quale disposizione, accomunando sotto la stessa disciplina qua1sia:si tipo di Timborso, esclude in radice che l'art. 38 possa essere riferito solo alle restituzioni riguardanti le operazioni di versamento. In definitiva, va affermato che il rimedio previsto da detta norma � imposto per tutte 'le ragioni che possono giustificare la ripetibilit� del versato, tanto se afferenti le operazioni di versamento, cio� errori riguardanti i versamenti come ta:li, quanto se afferenti il fondamento deH'obbligazione tributaria, cio� l'an o il quantum del tributo; e conseguentemente la scadenza del termine di diciotto mesi, senza che sia stata presentata l'istanza di rimborso, rende i!Ilsensibile il rapporto agli effetti della pronuncia di incostituzionalit�. Giova accennare, per completezza, ad un ulteriore argomento in senso �contrari.o (che non si ritrova nella decisione impugnata) prospettato in dottrina nel convincimento che l'ipotesi della dichiarazione di incostituziona[it� della norma impositrice �sia da ricondurre fra � i casi in cui il contribuente afferma essere sopravvenuto il diritto al rimborso �, cui fa riferimento l'art. 16 vecchio testo, con la conseguenza che ugualmente non operer.ebbe la preclusione ex art. 38 (e neppure quella connessa allJ:a definitivit� del ruolo). Ma l'inconsistenza dell'assunto risulta chiara appena si consideri che si ha sopravvenienza del diritto al rrimborso quando questo sorge per effetto di un evento successivo al pagamento (come accade per talune fattispecie espressamente previste dalle leggi di imposta), mentre si � fuori da questi casi nell'ipotesi della pronuncia di incostituzionalit�. La norma incostituzionale �, !infatti, originariamente illegittima e perci� il diritto al rimborso pu� essere fatto valere dal solvens in ogni momento, eccependo appunto l'illegittimit� �della norma impositrice, mediante I I I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA istanza di 1rimborso il cui accoglimento dipenda dahla dichiarazione di incostituzionalit�; e il contribuente ohe non abbia proposto tempestivamente l'istanza non pu�, quindi, rimediare alla sua ii.nerzia dopo la decisione della Corte Costituzionale, deducendo che solo da questo momento ha avuto cognizione dell'indebito. 9. -Nella specie, la Commissione tributa~fa centrale ha condiviso la decisione di accoglimento del:la domanda del ricorrente in quanto ha ritenuto irrilevanti, ai fini dell'esaurimento del rapporto, la definitivit� del ruolo e la decadenza di cui all'art. 38 cit. Peritanto, iil ricorso dell'Amministrazione va accolto e 'la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio aila stessa Commissione tributaria centrale, la quale proceder� a nuovo esame della controversia attenendosi al seguente principio di diritto: �La sentenza della Corte Costituzionale 25 marzo 1980, n. 42, che ha dichiamto incostituzionale la tassazione con l'Ilor dei redditi di lavoro autonomo non assimilabili ai redditi di impresa, incide nei rapporti tributari pendenti alla data della pronuncia, nei quali la norma illegittima dovrebbe ancora operare, mentre non spiega alcun effetto rispetto a quelli esauriti, per i quali sia intervenuto un giudicato, sia diven~ato definitivo un atto amministrativo ovvero siano decorsi i termini di prescrizione o di decadenza stabiliti dalle leggi che regolano i rapporti medesimi. Pertanto la sentenza suddetta non trova applicazione, e conseguentemente il contribuente non ha diritto al rimborso dell'imposta pagata, n� nel caso in cui il pagamento sia stato eseguito in base ad un'iscrizione a ruolo diventata definitiva per mancata impugnazione entro il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella esattoriale, previsto dall'articolo 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, n� nel caso di versamento diretto (autotassazione) per il quale si sia verificata la decadenza stabilita dall'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non avendo iil contribuente non ha diretto al rimborso dell'imposta pagata, n� nel caso in termine di diciotto mesi dal pagamento�. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 giugno 1988, n. 3888 -Pres. Tilocca Est. Sensale -P. M. Di Renzo (conf.) -Auletta (avv. Fantozzi e Irti) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amato). Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenze -Intento di speculazione -Investimenti su titoli azionari Accertamento dell'intento di speculazione in relazione alle singole operazioni -Abitualit� o professionalit� di operazioni di investimen� to � Valore sussidiarlo. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). 440 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Redditl di capitale � Presunzione di fruttuosit� � Distinta presunzione di impiego di capitali disponibili -Legittimit�. (t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 86). L'intento di speculazione, che � il presupposto della tassabilit� delle plusvalenze realizzate da soggetto non imprenditore, anche in relazione ad attivit� di investimento di titoli azionari, va verificato rispetto alle singole operazioni avuto riguardo al momento della cessione ed a un ulteriore momento che pu� anche essere successivo a quello dell'acquisto; tuttavia la abitualit� in tal genere di operazioni, specie se a tal punto sistematica da assumere caratteri di professionalit�, pu� costituire un indizio che, insieme ad altri elementi, pu� contribuire ad integrare la prova per presunzioni dell'esistenza dell'intento speculativo (1). La presunzione posta dall'art. 86 del t. u. 29 gennaio 1958, n. 645 riguarda soltanto la fruttuosit� dell'impiego di capitale del quale sia data altrimenti la dimostrazione; � tuttavia consentito ricorrere ad autonoma presunzione, senza incorrere nel divieto della praesumptio .de praesumpto, per dimostrare l'impiego di capitali, quanto meno al livello minimo del deposito bancario, quando risulti la disponibilit� di un rilevante capi tale (2). (omissis) 11. -Con il terzo motivo del ricorso principale sono denunziate la violazione e la fa;J:sa applicazione deM'art. 81, 2� comma, del T. U. 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione al recupero a tassazione di plusva (1-2) Decisione di molto interesse che fa il punto su due rilevanti que stioni. La prima massima, affermando ripetutamente che la prova dell'intento speculativo deve emergere dalle modalit� di attuazione deHe singole operazioni e non dal comportamento complessivo del soggetto (che altrimenti si appli� cherebbe per il soggetto non imprenditore la regola stabilita per l'imprendi. tore), tuttavia ammette che da una valutazione complessiva del soggetto che opera con abituailit�, se non con professionalit�, nel campo delle operazioni su titoli possono trarsi indizi utili per rafforzare la presunzione di intento speculativo. L'affermazione � evidentemente ragionevole. Ma fino a che punto si pu� dire che l'esercizio abituale o addirittura professionale di attivit� di inve stimento su titoli non qualifichi il soggetto come imprenditore? Ragionando secondo le norme del d.P .R. 29 �settembre 1973 n. 597, che sono pi� dettagliate ma non sostanzialmente diverse da quelle del t.u. del 1958, si rileva facilmente che la qualit� di imprenditore � desumibile dalla sola attivit�, oggettivamente considerata, indipendentemente da qualunque status personale e anche se non organizzata in forma di impresa (art. 51); precisa poi l'art. 53, secondo comma, che i titoli azionari, obbligazionari e similari si comprendono fra i beni al cui scambio � diretta l'attivit� deH'impresa quando questa ha per oggetto specifico, ancorch� non esclusivo, l'assunzione di parte cipazioni in societ� o enti, la compravendita, il possesso e la gestione di titoli. PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 441 lenze patrimoniali erroneamente considerate come derivanti da operazioni specufative per gli anni 1970 e 1971 e, con Tiferimento ad Angela Armenise, per l'anno 1972. Si denuncia, inoltre, il vizio di insufficienza e contraddittoriet� della motivazione sul punto. Sostiene fil ricorrente che la cessione di 20.000 diritti di optlone e delle 8.000 azioni della Banca nazionale dell'agricoltura da lui effettuata negli anni 1970 e 1971 a favore della soc. Nazionale sviluppo bonifiche (poi Siele) e quella delle 233.445 azioni effettuata nel 1972 a suo favore della madre Angela Armenise, costituivano l'attuazione di un"ampia operazione di spersonalizzazione del controllo di una delle pi� importanti banche italiane imposta sin dal 1967 dalla Banca d'Italia. La cessione -la quale, avendo per oggetto titoli quotati nel mercato ristretto, non poteva avvenire se non per valori effettivi e quindi cospicui -non era, quimdi, attuativa di alcun intento 1specUilativo, ma mirava a mantenere il controllo sulla B.N.A. tramite una societ� (la Siele) attualmente non operativa e perseguiva fini conservativi del patrimonio che costituiva la !fonte di sostentamento della famiglia Auletta A.o:'menise, incompatibiU con l'intento speculativo. L'errore in cui era incorsa la Commisisone centrale, nel ritenere l'intento speculativo delle suddette cessioni, consisteva sostanzialmente nell'avere creato una figura intermedia, non prevista dalla legge n� logi.cament~ configurabile, tra imprenditore finanziario ed operatore occasionale, creando di fatto una nuova forma di operazione speculativa, attribuibile all'operatore che del �possesso, acquisto e vendita dei titoli azionari ha fatto la propria professione � e quindi tassabile indipendentemente dal riscontro temporale, invece necessario, tra acquisto e vendita, Se si considera che per integrare la qualifica di imprenditore non � rilevante la dimensione (sono imprenditori i commercianti ambulanti, i microtrasportatori, i prestatori di umili servizi), � facile arrivare a concludere che una abituale o addirittura professionale attivit� nel campo degli investimenti su titoli, tale da costituire indizio sussidiario ailla presunzione ancorata su singole operazioni, si trova ai limiti dell'imprenditorialit� e pu� con essa confondersi. La seconda massima esprime con ampiezza l'evoluzione della giurisprudenza in materia di reddito di capitale e delle relative presunzioni e fa chiarezza sull'equivoca allegazione del divieto di praesumptio de praesumpto (per altro aspetto del problema cfr. Cass. 26 gennaio 1988, n. 669 in questo fascicolo pag. 393). La presunzione legale dell'art. 86 del t.u. del 1958 � indipendente dalla prova, che pu� essere data con ogni mezzo e quindi anche con presunzioni semplici, dell'impiego del capitale. Trattasi di due autonome presunzioni e non di una presunzione appoggiata sull'altra. NeH'annotazione a:lla sent. 23 aprile 1987 n. 3929, in questa Rassegna 1987, I, 442 era stato notato che la distinta presunzione semplice attinente all'impiego del capitale � relativa alla prova dell'esistenza del presupposto e quindi implica una questione di valutazione estimativa sottratta al giudice di terzo grado, a differenza dell'altra presunzione sulla fruttuosit� che concerne l'applicazione dell'art. 86. H2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quale elemento sintomatico dell'esistenza dell'intento speculativo. Fuorviata da tale errore, la Commisi!sone centrale non aveva osservato il principio in base al quale J'intento speculativo dev'essere accertato in �oncreto con riferimento ad ogni singola operazione e non aveva considerato che la trasformazione del controllo dcl1a B.N.A. da personale in societario non variava la consistenza patrimoniale del cedente e che, se il controllo era destinato ad accrescersi, ci� poteva avvenire solo attraverso la sottoscrizione di aumenti di capitale, insusoettibile di produrre plusva1.enze tassabili. Il ricol1I'ente sostiene in particolare: a) che, essendo i diritti. di opzione direttamente collegati al pos�sesso di azioni acquistate nel 1965 e nel 1968, la cessrione degli stessi nel 1970 non pu� considerarsi operazione speculativa dato il lungo intervallo di tempo tra acquisto e vendita; b) che lo stesso doveva ritenersi per le azioni, acquistate negli anni 1965 e 1968 e rivendute ncl 1971; e) che a maggior ragione doveva escludersi l'intento ,speculativo con riferiiment~ alle azioni acqui<State da Angela Armenise nel 1947 e cedute al figlio nel 1972. Tali censure devono accogliersi nei limiti che saranno di seguito precisati. 12. -Occorre, innanzi tutto, richiamare, per la parte che interessa il caso in esame e con gli adattamenti che questo richiede, i principi affermati, in tema di intento speculativo, da1.la sentenza delle Sezioni Unite n. 5960 del 13 ottobre 1983. Essri possono cos� riassumersi: a) Sotto il vigore del T. U. n. 645 del 1958, l'intento speculativo costituisce una condizione per la tassabilit� de1le plusvalenze, realizzate da un soggetto non imprenditore e rappresentata dall'aumento del valore di scambio che assume nel tempo uno stesso cespite patrimoniale rispetto al costo inriziale, e pertanto non pu� essere genericamente supposto, ma va concretamente accertato, sia pure per mezzo di presunzioni, con esauriente esame di ogni modalit� e circostanza inerenti alle II'elative operazioni; b) l'accertamento delfintento speculativo postula il �riscontro di un'attivrit� de1 venditore, logicamente e cronologicamente precedente l'atto di cessione del bene e strumentale rispetto all'incremento di valore; essa pu� oons1stere nello stesso acquisto del bene, purch� accompagnato dalla sua preordinazione al conseguimento della plusvalenza, o anche da un'attivit� posteriore aH'acquisto, rivolta ad agevolare o potenziare l'incidenza di fattori incrementativi; e) quando un'attivit� di questo tipo manchi e nella ricerca de1l'intento �speculativo debba risalirisi a ritroso dal momento della vendita a quello dell'acqui!sto, questo pu� assumere un �rilevante valore indi~ ziario per esdudere l'intento speculativo se le modalit� o il titolo di tale acquisto siano, per loro natura, incompatibili con la esistenza, in quel momento, di un intento speoulativo, cos� come analogo valore sintomatico pu� assumere la destinazione del ricavato della vendita per PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA escludere che il disegno speculativo sia 1stato portato a ultimazione e che la vendita sia stata effettuata in esecuzione di tale disegno; d) l'accertamento in concreto de1l'intento speculativo costituisce indagine di merito non sindacabile in �sede di legittimit� se non sotto il profilo della congruit� della motivazione. Ribadendo tali principi con la successiva sentenza n. 2871 del 9 maggio 1985, le Sezioni Unite hanno ulteriormente precisato che la provenienza ereditaria del bene, se non consente di rricollegare al momento dell'acquisto la presenza di un intento speculativo, tuttavia non esclude che quell'intento possa essere rivelato da un'attivit� diversa, successiva all'acquisto e logicamente e crono1ogicamente anteriore alla vendita; che la sottoscrizione di un aumento di capitale �, di per s�, fenomeno dive11so dall'acquisto di azioni, specialmente quando la maggior parte del pacchetto azionario appartiene a membri di uno stesso gruppo familiare e fa sottoscrizione � rivolta al fine di conservare la propria posizione nell'ambito della compagine sociale; che il caraittere speculativo deve essere provato con riguardo �all'operazione che si assume produttiva della plusvalenza e che si 1Mlole tassabile e non pu� essere desunto dal compimento di altre e diverse operazioni. In ordine a quest'UJltimo punto, � necessario precisare che, quando operazioni dello stesso tipo siano compiute con carattere di abitualit�, ~� ci� non esclude che l'intento speculativo debba essere valutato con riferimento alla operazione, della cui tassazione si tratta, secondo il principio or ora richiamato; ma pu� costituire un indizio che, insieme agli ele~ menti ed alle modalit� propri della singola operazione, pu� contribuire ad integrare la prrova per presunzioni circa la esistenza del1'intento speculativo, 1specialmente se l'abituali!t� sia a tal punto sistematica da far pensare ad una attivit� svolta con carattere di professionalit�. Questa precisazione induce a due considerazioni, alla luce delle quali deve valutarsi la congruit� della motivazione della decisione impugnata nella parte in cui contiene l'accertamento dell'intento speculativo. La prima � che , il carattere abituale, o addirittura professionale, di operazioni di acquisto e vendita di beni, contrariamente a ci� che sembra costituire il fulcro del ragionamento della Commiissione centrale, non dispensa dal ricercare gli estremi dell'intento speculativo con specifico riferimento alla singola operazione produttiva di plusvalenza che si vuole tassata; perch� diversamente si finisce col riprodurre per il soggetto non imprenditore, in relazione al quale l'intento speculativo deve essere di volta in volta dimostrato, lo stesso regime delle plusvalenze e delle sopravvenienze imponibili realizzate dall'imprenditore nell'ipotesi di cui all'art. 100 del T. U. 645/58 (che non richiede quella prova), operando una equiparazione che, invece, risulta positivamente esclusa dalla legge. La seconda � che, ai fini dell'accertamento -in concreto e con 444 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO riferimento alla singola operazione -dell'intento speculativo, iJ carattere abituale deM'operaz.ione, pur non essendo da solo sufficiente (ch�, se lo fosse, ,si ricadrebbe in quella equiparazione esclusa dalla legge), non � indifferente, come mostlra di ritenere il ricorrente, perch� altrimenti si porrebbe un limite del tutto irrazionale ed ingiustificato alla �ricerca degli elementi presuntivi dai quali pu� trarsi la prova dell'intento speculativo, dovendosene, se mai, valutare la complessiva concludenza e la capacit� di ciascuno di collegarsi con l'altro ovvero di escluderne il valore indiziario. L'ottica, entro la quale la controversia va esaminata, ne risulta, dunque, rovesciata rispetto alla impostazione del'la decisione impugnata. Non � l'abitualit� o professionaiit� del compimento, da parte del contribuente, di operazioni di compravendita nel campo dei titoli azionari ad I ~ attribuire a11e vendite 'Specificamente tassate, in quanto produttive di plusvalenze, carattere di specufativit�, ma tale cara:ttere dev'essere proprio di ta:li vendite in virt� delle modalit� e circostanze del caso concreto, da apprezzarsi anche alla 'luce dell'abitualit� o professionalit� dell'attivit� del contribuente, ove non forniscano gi� sicure indicazioni in un senso o nell'altro. (omissis) I Con il quinto motivo il ricorrente principale denunzia ~a violazione ~ e falsa applicazione dell'art. 86 del T. U. 29 gennaio 1958, n. 645, in rela ~ I ~zione al recupero a tassazione di prestmti interessi derivanti dal presunto ~ reimpiego deLle somme ricavate dalla vendita, nel 1970 e nel 1972, di azioni della B.N.A., nonch� il vizio d'insufficiente e contmddittoria motivazione sul punto. Tali somme -sostiene rl ricorrente -erano state quasi interamente utilizzate per la capitalizzazione dlella Societ� controlfata Siele e per la copertura di esposizioni debitorie. Inoltre, l'Ufficio I aveva illegittimamente fondato la propria pretesa su una inammissibile doppia presunzione, costruendo una presunzione di fruttuosit� su una I ulteriore presunzione di reimpiego a titolo oneroso. Altro errore commesso dalla Commisi:sonle centrale sairebbe quello di avere ritenuto di I poter fondare il proprio ragionamento sull'art. 137 del T. U., neihl'erroneo i presupposto che l'Ufficio avesse seguito, sostanzialmente, un metodo ! � � sintetico � di accertamento, diretto 'alla ricostruzione del reddito com! ' plessivo netto del contribuente sulla base di � altri elementi o circoi stanze di fatto� indicativi delil'esistenza di un reddito superiore a quello I risultante da una ricosW1lzione analitica delle fonti di reddito. R�leva il ricorrente che si era, invece, trattato di accertamento analitico e che I 1 l'Ufficio nell'atto di accertamento aveva .richiamato l'art. 135, insistendo, \ poi, per la conferma del recupero a tassazione � analitico � della posta !! in questione. j Ta:li censure, che 1riguardano esclusivamente l'accertamento per l'eser t cizio 1973, sono infondate. I I PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 16. -Occorre premettere che il lapsus in cui, secondo iil ricorrente, sarebbe incorsa la Commissione centrale nel ritenere eseguito l'accertamento ai sensi dell'art. 137 del T. U. 645/58 e non dell'art. 135, e cio� sinteticamente e non analiticamente, ammesso che di lapsus realmente si tratti, � privo di conseguenze in ordine alla decisione adottata. Poich�, nella disciplina del T. U. 645/58, ad integrare il reddito complessivo assoggettabile a:d imposta complementare (cui le dette no!1IIle si riferiscono) concorrono an(;he i redditi di R. M. (art. 135, 2� comma, lett. B) in misura pari ai redditi netti determinati ai fini di tale imposta, questa determinazione �, dal punto di vista 'logico, preliminare rispetto a quella del reddito di complementare e per ci� � deMe norme che presiedono alla determinazione dei reddi'ti di R. M. che deve farsi applicazione anche ai fini dell'accertamento del reddito di complementare (in particdlaire, con riguardo al caso concreto, all'art. 86), con la conseguenza che se, in base a ta'le norma, il reddito di R. M. risultasse accertato, nessun'altra questione potrebbe in ordine ad esso sollevarsi ai fini della imposta complementare, cos� come, se risultasse escluso, non potrebbe ovviamente concorrere a formare il reddito soggetto ad imposta complementare. 17. -Se, dunque, decisiva ai fini della decisione � l'interpretazione da dare ali'art. 86, conviene richiamare [a giurisprudenza di questa Corte formatasi al riguardo. Confermando un indirizzo gi� affermato da questa sezione (v. sentenze 2412/79 e 2294183), le Sezioni Unite, con le decisioni n. 2871 e 5250 del 1985, ritennero che la suddetta norma pone una presunzione che non ha ad oggetto la esistenza del titolo dell'impiego di capitale, ma il reddito che non �risulti (o risulti in misura inferiore a quella effettiva) da:l titolo stesso, di cui deve, invece, dimostrarsi l'effettiva esistenza. Pervennero, quindi, alla conclusione che non � sufficiente la riscossione di una somma di denaro dalla vendita d'immobiili (ch� di ci� si trattava nelle ipotesi esaminate) per doverne trarre la conseguenza dell'impiego di essa, senza svuotare di contenuto l'art. 86, che distingue la provata esistenza di un titolo dalla presunzione di un reddito, e senza incorrere nella violazione dell'art. 2729 e.e., a norma del qua!le le presunzioni semplici non possono ammettersi se non siano gravi, precise e concordanti. . Successivamente questa sezione (sent. 17 febbraio 1986, n. 934), senza tuttavia dare atto del precedente indirizzo confermato dalle Sezioni Unite, espresse il diverso principio, secondo cui deve .considerarsi con� sentito, in difetto di verosimile ipotesi contraria, presumere l'impiego di capitali, almeno al 1ivello minimo del deposito bancairio, e quindi il percepimento dei relativi interessi e fondandolo sullle seguenti argo '446 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mentazioni: a) in tema di prova per presunzioni, non occorre che i fatti, su cui la presunzione si fonda, siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio �Secondo un legame di necessariet� assoluta ed esclusiva, bastando che l'operata inerenza sia effettuata alla �stregria di un canone di probabilit�; b) la fruttuosit� dell'impiego del denaro non rappresenta, rispetto alla presunzione dell'impiego stesso, un'ulteriore ed autonoma inerenza presuntiva, costituendo, alla luce del principio de11a naturale fecondit� del denaro, di cui all'art. 1282 e.e., un momento dell'unica presunzione di reimpiego. Chiamata a riesaminare la questione, questa sezione, con sentenza 23 aprile 1987, n. 3929 (e con altre due deliberate nella stessa data, ma pubblicate in epoca successiva), pur uniformandosi all'indirizzo gi� tracciato dalle Sezioni Unite, ne ha fornito alcune precisazioni, peraltro gi� implicitamente contenute in quell'indirizzo. Ha, cio�, ribadito che la norma in esame ha attribuito il potere -e imposto il dovere _: alla Amministrazione di accertare lo specifico titolo del reimpiego, �senza del quale la presunzione del reddito di cui al 2� comma dell'art. 86 non pu� operare, ma ha ritenuto essere consentito all'Amministrazione di fornire la prova del titolo con i normali mezzi previsti dall'ordinamento e, quindi, anche in base a presunzioni, nella disciplina e nel modo di operare di questo mezzo di prova secondo le norme di diritto comune contenute nel codice civik Ha, quindi, precisato che, ai fini della prova per presunzioni, utilizzabile anche nell'ambito del 1� comma dell'art. 86, � sufficiente che l'inerenza del fatto noto al fatto ignoto sia effettuata alla stregua di un canone di probabilit� e che il convindmento del giudice pu� fondarsi anche su una sola presunzione, ma occorre che iii grado di probabilit� del fatto ignoto indotto dal fatto noto .si ponga con carattere di prevalenza rispetto agli a1itri fatti, ignoti, che sulla base di esso possono ritenersi in astratto esistenti, e che la gravit� e precisione dell'unica possibile presunzione sia valutata in relazione alla fattispecie concreta. Nell'escludere che, come si era ritenuto con la sentenza 934/86, la presunzione posta dal secondo comma deli'art. 86 (cio� la presunzione di interessi) costituisce un momento di un'unica presunzione, si � precisato che, consentita dalla norma tributaria per il solo fatto dell'accertata esistenza del titolo, essa si fonda esclusivamente su tale esistenza I e non (<mche o it1vece) sul dive11so fatto noto che pu� fornire presunti ! vamente la prova del titolo stesso. Questo � oggetto della presunzione, �: " utilizzabile dall'Amministrazione come qualsiasi altro mezzo di prova ! per acquisire la certezza della sua esistenza; il reddito �, invece, �l'oggetto I della presunzione posta dalla norma tributaria ed opera in un momento logicamente e cronologicamente successivo, postulando il positivo esau- I I II I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA cimento dell'accertarmento del titolo. Inoltre, a differenza della prima presunzione, che pu� fondarsi su qua!lsiasi fatto noto (compreso il possesso del denaro, quando, secondo le circostanze del caso concreto, consenta l'inerenza del fatto ignoto-reimpiego con un grado di maggiore probabilit� rispetto ad altre, parimenti possibili in astratto, utilizzazioni del denaro), la seconda si fonda su un unico ed esclusivo fatto noto, perch� accertato in concreto, che � il titolo del reimpiego. 18. -AMa stregua di ta!li principi, deve essere esaminato �l quinto motivo del ricorso, con ~a premessa, in fatto (('isultante dalla decisione impugnata, che l'ammontare delle somme reimpiegate, determinato ini� zialmente in L. 15.960.000.000 con un imponibHe di L. 1.915.200.000, fu poi ridotto dall'Ufficio, nel corso del giudizio, a L. 5.531.850.000 con conse� guente riduzione del['imponibile a L. 662.726.884, essendosi ritenuta non provata la natura non (('eddituale di una parte del reimpiego delle somme; e che di L. 5.531.850.000, erano state versate sul c/c 24805 della B.N.A., intestato a Giovanni Auletta Armenise, L. 2.470.467.799. Per tale somma vi �, quindi, la pirova del reimpiego sulla quale ben poteva fondarsi la presunzione, ex 2� comma deli'art. 86, di percezione di interessi, determinata nella misura, non specificamente contestata, degli interessi bancari mediamente correnti all'epoca del deposito; e le censure del ricorire:hte sono manifestamente prive di qualsiasi fondamento. Ad analoghe conclusioni, ma con un ragionamento pi� articolato, la Commissione centrale � pervenuta in ordine al reimpiego della restante somma di L. .3.061.382.261, ritenuta <reimpiegata allo stesso modo della somma di L. 2.470.467.799. La prova presuntiva di tale reimpiego che, come si � visto, era consentita all'Amministrazione la Commissione centrale ha ritenuto raggiunta, considerando che -esclusane la utilizzazione non reddituale riconosciuta ad altra parte del ricavato da:lla vendi�ta delle azioni, per la quale il contribuente era stato in grado di fornire concreti elementi non era ragionevole ritenere che un capitale cos� ingente potesse essere rimasto infruttifero' nelle mani del proprietario, specialmente di una persona come !'Auletta Armenise, particolarmente esperta ed attiva sul mercato finanziario, e non fosse stata quanto meno depositata in banca. La Commissione centrale, cio�, ha ritenuto raggiunta [a prova del reimpiego sulla base di presunzioni correttamente utilizzate. Dal fatto noto del possesso del denaro essa � risalita al fatto ignoto-reimpiego, cui ha attribuito un grado di maggiore probabilit� rispetto ad altre, astratta� mente possibili, utilizzazioni del denaro stesso, in ordine alle quali, non sarebbe stato difficile al contribuente fornire elementi idonei a far dubitare della ritenuta inerenza. E ci� ha fatto tenendo conto delle circostanze del caso concreto che quella maggiore probabilit� suffraga� vano, quali 'l'attivit� sul mercato finanziario dell'esperto contribuente, 448 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la rilevante entit� della somma suscettibile di fornire ulteriore ricchezza anche nella pi� elementare forma d'investimento costituita dal deposito bancario, la gi� avvenuta utilizzazione, per altre somme, di questa modalit� di reimpiego. N� potrebbe obiettarsi che, in tal modo, si sarebbe individuato un titolo ipotetico e non identificato nella sua specificit�. '� agevole rispondere che -quando debba escludersi una pi� pr�>ficua forma� di reimpiego, perch� ne manchi la prova, e d'altra ,parte debba escludersi una utilizzazione non reddituale del denaro (come � appunto, nel caso concreto) -l'unica residuale forma di reimpiego, che � quella del deposito bancario, non costituisce pi� una � ipotesi �, ma assume, per esclusione, connotati di specifica certezza. L'ipoteticit� postula, infatti, l'individuazione tra pi� fatti possibili e deve essere superata mediante l'attribuzione ad uno di essi della probabilit� del verificarsi, si che, quando sia invece I eliminata ogni possibile alternativa tra pi� fatti diversi, quello di essi, che rimanga come l'unico e l'ultimo possibile, acquista inevitabilmente I carattere di certezza. Accertato, quindi, il titolo del reimpiego, ne conseguiva la presun I zione d'interessi posta daH'art. 86, 2� comma del T. U. che la Commis I sione centrale ha calcolato in misura adeguata a[ titolo stesso. (omissis) ~ CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 giugno 1988, n. 4178 -Pres. Vela . Est. Senofonte -P.M. Martinelli (conf.). Ministero deille Frinanze (Avv. Stato D'Amico) c. Marcantonio. . ' Tributi in genere -Contenzioso Tributario -Procedimento -Intervento in I:) appello � Inammissibilit�. (c.p.c., art. 344 e 404). ' Tributi in genere -Contenzioso Tributario � Ricorso per cassazione -Cassazione senza rinvio � Ammissibilit�. (c.p.c., art. 382). ;) I Nel processo speciale tributario non � ammesso l'intervento in appello (1). Nel processo tributario � applicabile l'art. 382 c.p.c. in forza del quale I la Corte di Cassazione cassa senza rinvio quando ritiene che la causa w non poteva essere proposta o il processo proseguito (2). ~ 1:: ~== f f:: (1-2) La prima massima � da condividere non tanto perch� gli artt. 344 e ;: 404 non sono collocati nel primo libro cod. proc. civ., ma piuttosto perch� essendo il processo ancorato a ricorso contro atti capaci di diventare irretrat-I~ fil r= ,,.,���,.,��,.,���� ~,,,,.41 PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 449 (omissis) -La ricorrente denuncia: 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 344 e 404 cod. proc. civ. e dell'art. 39 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, perch� a suo avviso non � ammesso, nel processo tributario, l'intervento di terzi, che � , istituto processuale previsto nel secondo libro del codice di rito ordinario, del quale non � stata prevista iJ.'applicabilit� nel processo tributario. 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 44 del citato decreto presidenziale, nonch� deH'art. 1306 cod. civ., sostenendo che la prima norma impedisce che l'opposizione del contribuente, una volta dichiarato estinto il processo per omessa presentazione della istanza di trattazione, possa risorgere nella forma di intervento di terzo o in qualsiasi altro modo, mentre la seconda non pu� cancellare il principio che ove i condebitori solidali abbiano instaurato separati giudizi, vale per ognuno degli attori l'esito del giudizio da lui instaurato, non di quello promosso dal coobbligato. 3) Contraddittoriet� di motivazione, avendo la Commissione centrale fondato l'ammissibilit� dell'intervento dei Pugliese sulla supposta necessit� di evitare le conseguenze, per essi pregiudizievoli, 'dell'eventuale soccombenza della societ� venditrice, fraintendendo cos� la portata della sentenza n. 48 del 1968 delila Corte costi<tuzionale, che ha dichiarato illegi�ttimo, per contrasto con l'aTt. 24 Cost., l'istituto della mutua Tappresentanza dei contribuenti nel processo tributario e quindi ha reso impossibile proprio il verificarsi degli effetti paventati dai Pugliese. tabili nei confronti di ciascun destinatario, � problematico anche l'intervento in prima istanza che pure le norme (art. 31 e 35) suppongono senza disciplinare. Importante � la seconda massima. In passato la S.C. aveva ritenuto (10 novembre 1981 n. 5947 in Comm. Trib. Centr., 1982, Il, 49; 1� febbraio 1984 n. 778, in Div. prot. trib., 1984, Il, 880) che nei casi di ricorso ex art. 111 Cost. essa non avesse H potere di sopperiTe all'omessa pronunzia del giudice del merito in tema �di error in procedendo e non potesse pertanto pronunziare la cassazione senza rinvio. In verit� la limitazione non appariva giustificata sia perch� il ricorso ex art. 111 Cost. non differisce dal ricorso ordinario, specie in tema nullit� della sentenza e del procedimento, sia perch� la Corte non si � mai sottratta all'esercizio del suo potere di verifica, anche in fatto, dei vizi del procedimento. Sembra pertanto pi� corretta la pronunzia ora intervenuta, ampiamente motivata. Si pu� ricordare che la S.C. aveva (sent. 20 maggio 1986 n. 3340, in questa Rassegna, 1986, I, 299) ritenuto possibile, in applicazione dell'art. 383 c.p.c., rinviare direttamente alla Commissione di prima istanza in un caso in cui aveva rilevato la nullit� di quel giudizio per la quale il giudice di appello (e il giudice di terzo grado) avrebbero dovuto rimettere le parti al primo giudice (artt. 24 e 29 d.P.R. n. 636/1972). Anche in questo caso la Corte di Cassazione interviene direttamente a correggere i vizi del processo, senza passare necessariamente attraverso il normale rinvio al giudice di terzo grado. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 450 Il primo motivo � fondato: conseguentemente restano assorbiti gli altri due. Poich� n� Sailvatore Pug1iese, n�, dopo di lui, i suoi eredi furono pairti del giudizio di primo grado introdotto con il ricorso della societ� Gicappa, avendo il Pugliese proposto una propria, autonoma opposizione all'ingiunzione di pagamento dell'Ufficio del registro, definita poi con altra pronuncia, la Commissione centrale ha dovuto �ricondurre l'intervento dei predetti eredi nel'la fase di appeHo seguita a quel giudizio, nell'ambito della previsione risultante dagli artt. 344 e 404 cod. proc. civ., a norma deMa quale � ammesso nel giudizio d'appello l'intervento dei terzi soltanto quando costoro sono pregiudicati daltla sentenza di primo grado. Senonch� tale forma di intervento non � consentita nel processo tributario (onde non � neppure il caso di attardarsi a stabilire se, tenuto conto di quanto dispone l'art. 1306 cod. civ., essa sia utilizzabile dal debitore solidale e quale sia il suo rapporto, nella specie, con l'avvenuta estinzione del giudizio promosso da Salvatore Pugliese). Nel processo tributario sono applicabili, in forza del rinvio contenuto nell'art. 39 d.P.R. 26 ottobre 1972, ID.. 636, ed in quanto siano compatibili con tal decreto e con le leggi che disciplinano le singole imposte, �le norme contenute nel libro primo del codiice di procedura civile�, escluse alcune; '1'art. 344 � collocato, invece, nel secondo libro di quel codice e quindi � -formai1mente -fuori dalla portata del rinvio. Inoltre -ed il 1rilievo � decisivo -� lo stesso carattere impugnatorio del processo tributario che rende impossibile l'intervento in appello di soggetti i quali, essendo stati destinatari di uno degli atti menzionati nell'art. 16 del citato decreto, nori. si siano opposti a questi nei tempi e nei modi previsti dalla disciplina processuale, o, comunque -deve dirsi con specifico riguardo al caso concreto -non abbiano coltivato le proprie ragioni nella sede in cui le avevano prospettate. Per conseguenza, la Commissione centrale av.rebbe dovuto ribadire che l'impugnazione degli eredi Pugliese non poteva avere ingresso nel giudizio introdotto dalla societ� Gicappa ed occuparsi esclusivamente dell'impugnazione proposta dall'Ufficio nei confronti di tale societ� (in ordine alla cui sorte non sono state sollevate contestazioni). L'errore importa la cassazione senza rinvio deMa statuizione fatta oggetto de11'attuale ricorso, perch� tale � la pronuncia prevista dall'articolo 382, terzo comma, seconda parte, cod. proc. civ., per �ogni caso� in cui la Corte ritiene che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito. Vero � che recenti sentenze hanno deciso ricorsi analoghi con formula diversa, rinviando, cio�, la causa, previa cassazione della decisione impugnata, alla stessa Commissione tributaria centrale, affinch� fosse da questa dichiarata l'inammissibilit� (sent. 10 novembre 1981, n. � 5947 e PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 451 1� febbraio 1984, -n. 778). Tuttavia il Collegio non trova ragione per aderire a siffatto orientamento. Che nel contenzioso tributario la Corte di cassazione sia chiamata a pronunciarsi in virt� dell'art. 323 cod. proc. civ. sulle sentenze delle corti di appello, non costitmsce un valido motivo per !ll.egare anzich� riconoscere alla Corte stessa uguali poteri di provvedimento. Invero, l'esclusione della possibilit� di cassare senza rinvio le decisioni della Commissione centrale pone le parrti che vittoriosamente sono insorte contro tali decisioni in una situazione deteriore rispetto a coloro che altrettanto vittoriosamente hanno impugnato sentenze di corte d'appello, costringendo solo 1e prime a riassumere, e per di pi� senza speranza di rimborso della relativa spesa, un processo che ovmai � stato gi� giudicato incontestabilmente incapace di proseguire. La disparit�, anzi, appare tanto pi� grave quando si consideri che, come emerge dal raffronto fra gli artt. 26 e 40 del decreto n. 636 del 1972 e da elementarri esigenze di coeren:z.a del sistema, Commissione centrale e Corti d'appello occupano uguali spazi nel contenzioso tributario. Ma pi� in generale deve dirsi che da!lla pura e semplice molteplicit� delle fonti di legittimazione del rricorso per cassazione non pu� trarsi argomento per ricavare i caratteri propri del conseguente giudizio. Questo trova l'aochetipo della sua disciplina nel codice di procedura civile, sicch� se la norma si limita a rendere esperibile il ricorso, bisogna applicare quella disciplina indipendentemente dal fatto che autore del provvedimento impugnato sia il giudice ordinario o un giudice speciale. 13 per questo che l'art. 111 Cost., avendo assegnato senza condizionamenti al giudizio di legittimit� il ruolo di rimedio generale per tutte le decisioni dei giudici specali diversi dal Consiglio di Stato e dailla Corte dei conti (nonch� rispettivi giudici sottordinati), ha conferito un pi� consistente significato all'art. 65 r1d. 30 gennaio 1941 n. 12, che perentoriamente definisce la Corte di cassazione organo supremo di giustizia. Esso ha favorito ~�opera di uniformizzazione del processo di cassazione che 1a Corte, quale espressione della sostanziale unicit� della funzione giurisdizionale, � da sempre impegnata a realizzare, mediante l'applicazione vieppi� estesa e sicura delle disposizioni del codice ai ricorsi avverso le decisioni di giudici speciali (ad esempio, inscrivendo neHa violazione di legge le carenze e gli e:r.rori di motivazione anche l� dove specifiche norme non facciano menzione di tali vizi; oppure estendendo l'art. 327 cod. proc. civ. a tutte le decisioni, ancorch� non ne sia prevista la notificazione alle parti). Pu�, ovviamente, profilarsi talvolta la necessit� di raccordi: cos�, proprio nell'ambito del processo tributario, si riteneva, all'epoca del vecchio .regime, che il rinvio alla commissione avesse in alcuni casi portata diversa da quello fatto a1 giudice ordinario; esistono disposizioni RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 452 apposite sul termine di proposizione di a:lcuni ricorsi, oppure sull'individuazione delle parti necessarie nel giudizio di legittimit�. Ma proprio l'esistenza di tali casi, se per un verso avverte che occorre comunque procedere ad una puntuale ricognizione dell'intero contesto normativo nel quale � inserita l'impugnazione, per un altro verso fa apparire in tutta la sua evidenza il ruolo di discipiina generale che � proprio del codice di procedura civile. Con riguardo alla cassazione senza rinvio, trattasi di pronuncia che deriva pienamente dal potere, �spettante alla Corte, di verificare la regolarit� dello svolgimento del processo di merito: essa �, anzi, la sola, coerente misura che l'ordinamento pu� apprestare di fronte alla presenza di certi errori (non a caso, infatti, era prevista gi� nell'art. 544 dell'abrogato codice del 1865, quando era meno drammatico di oggi il bisogno di una tempestiva definizione delle contese giudiziarie). Cos� come, in correlazione con la competenza della Corte a cogliere, in tutte le decisioni che le vengano denunciate, un vizio che dimostri l'esigell2!a di riesaminare la causa, non � discutibN.e l'obbligo del giudice del rinvio, qualunque egli sia, di procedere appunto a tale riesame, nella direzione e nei limiti segnatigli dalla Corte stessa, cos� non � possibile sottrarre la pronuncia di merito, solo perch� proveniente da un giudice speciale, alla cassazione senza rinvio -che oltre tutto non implica u!lteriore svolgimento di attivit� giurisdizionale vincolata -ogni volta in cui essa risulti emanata in carenza dei presupposti che consentono l'inizio o il prosieguo di una lite. (omissis) SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 novembre 1988, n. 6068 -Pres. Montanari -Visco -Est. Rotunno -P. M. Di Renzo (conf.) -Comune di Brescia (avv. Voltaggio Lucchesi) c. Ministero LL.PP. ed altri (avv. Stato Imponente). Acque -Acque pubbliche -Ricorsi avverso il piano regolatore generale degli acquedotti -Giurisdizione del Tribunale superiore AA.PP. (r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 43; d.P.R. 3 agosto 1968). Spetta al Tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell'art. 143, lett. a), del r.d. 11 dicembre ~33, n. 1775, la cognizione dei ricorsi per violazione di legge ed eccesso di potere avverso il piano regolatore generale degli acquedotti. (1) Ai fini della risoluzione della proposta questione di giurisdizione, giova rammentare che, precedentemente alla sentenza di queste Sezioni Uriite 26 ottobre 1981, � n. 5576, il Consiglio di Stato aveva ritenuto che rientrassero nella sfera di cognizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche le controversie relative all'utilizzazione delle acque pubbliche, sempre che tale utilizzazione fosse diretta e immediata, come in particolare quelle riguardanti l'atto di concessione o i provvedimenti volti all'esecuzione o alla manutenzione delle opere idrauliche, di bonifica, di derivazione, di distribuzione, ecc., e che rientrasse invece nella sfera di cognizione generale dello Stesso Consiglio di Stato (ora del tribunale amministrativo regionale in primo grado) la controversia avente ad oggetto il decreto presidenziale di approvazione del piano regolatore generale degli acquedotti. Senonch�, con la indicata pronunzia, queste Sezioni Unite, dopo aver riconosciuto la natura di atto amministrativo definitivo al piano regolatore generaie predisposto dalle competenti amministrazioni in base alla legge 4 febbraio 1963 n. 129 ed approvato col d.P.R. 3 agosto 1966 e dopo aver ricordato che l'art. 143 lett. a), del r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775 devolve alla cognizione diretta del Tribunale Superiore delle Acque Pub (1) Cfr. Cass., S. U., 26 ottobre 1981, n. 5576, in questa Rassegna 1982, I, 193 ed ivi nota di richiami. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dm.J..O STATO 454 bliche i � ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi daM'amministrazione in materia di acque pubbliche �, affermarono la giurisdizione di detto Tribunale relativamente alla controversia avente ad oggetto l'impugnazione, per eccesso di potere e per violazione di legge, del menzionato decreto di approvazione del piano regolatore generale degli acquedotti, trattandosi di provvedimento amministrativo definitivo che, contenendo anche precise e concrete disposizioni in materia di acque pubbliche, incide direttamente sugli interessi dei singoli comuni. Non ricorrendo alcuna ragione che suggerisca un mutamento di indirizzo, deve affermarsi, per la controversia in oggetto, la giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (che � giudice speciale in unico grado relativamente alle materie indicate nell'art. 143 rid. 11 dicembre 1933 n. 1775, essendogli attribuita una giurisdizione genera1e di 'legittimit� rispetto a tutti i provvedimenti amministrativi definitivi in materia di acque pubbliche, tranne per quanto riguarda i consorzi, e una giurisdizione . particolare di merito nei confronti di alcuni provvedimenti espressarWente indicati). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 novembre 1988, n. 6332 -Pres. Scanzano -Est. Maltese -P. M. Di Renzo (conf.) -Corrieri (avv. A. Pallottino) c. Ente F.S. (avv. Stato Palmieri). Appalto -Appalto di opere pubbliche -Appalti delle Ferrovie dello Stato Capitolato generale � Disciplina delle riserve � Termini per la formulazione. (decreto 9 aprile 1909). Appalto � Appalto di opere pubbliche -Appalti delle Ferrovie dello Stato � Capitolato generale � Clausole in materia di riserve dell'appautatore � Necessit� di�specifica approvazione � Esclusione. ((cod. civ., art. 1341; decreto 9 aprile 1909, art. 41). A norma dell'art. 41 del Capitolato generale amministrativo di appalto delle opere che si eseguono dall'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, il termine di cinque giorni entro il quale l'appaltatore, a pena di decadenza, deve avanzare la domanda di maggiori compensi decorre, quando la contestazione non riguardi le prescrizioni impartite con ordine di servizio o le risultanze dei computi metrici, dal giorno in cui si siano verificati il fatto o la circostanza che danno motivo alla maggiore pretesa. Non ricorre la figura del contratto per adesione nella ipotesi di contratto d'appalto stipulato a seguito di licitazione privata, con la conse guenza che non richiede specifica approvazione per iscritto la clausola PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 455 del Capitolato generale d'appalto per le opere ferroviarie, di natura contrattuale, relativa al termine di decadenza per la formulazione delle riserve. (1) Col primo mezzo l'impresa ricorrente sostiene che il termine cli decadenza cli cinque giorni previsto dall'art. 41 del �Capitolato generale amministrativo di appalto delle opere che si eseguono dall'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato �, approvato dal Consiglio di amministrazione il 9 aprile 1909, si riferisce sempre alla �controversia� -sorta, nella specie, nel marzo del 1967 -non al mero �fatto �, accaduto, nella specie, il 28 settembre 1965. Questo, invero, deve esser conosciuto, apprezzato e valutato dal contraente, per poterne denunciare tutte le possibili conseguenze incidenti sull'equilibrio delle prestazioni contrattuali. Occorre, insomma, che la pretesa abbia preso corpo traducendosi in � controversia �, cui si collega il decorso del termine breve di cinque giorni dalla � domanda � dell'appaltatore. Tale interpretazione sarebbe confermata, data la natura non regolamentare ma contrattuale dei capitolati FF.SS., dallo stesso comportamento successivo dell'Amministrazione appaltante, che mai, nello svolgimento del rapporto, aveva eccepito pregresse decadenze. Comunque, il testo dell'art. 41 precostituito dal Consiglio cli Amministrazione dell'Azienda dovrebbe essere interpretato nel senso pi� favorevole alla controparte. Con i motivi secondo, terzo e quarto, strettamente collegati al primo e da esaminare congiuntamente ad esso, l'appaltatrice sostiene la tesi della nullit� della norma contrattuale di decadenza contenuta nel citato art. 41, perch� contraria al disposto dell'art. 2965 e.e. e non approvata specificamente per iscritto ai sensi dell'art. 1341 e.e. (secondo motivo), nonch� la tesi dell'infondatezza del richiamo, da parte del giudice d'appello, all'art. 54 r.d. 25 maggio 1895, contenente il regolamento degli appalti di competenza del Ministero dei LL.PP., non applicabile agli appalti della FF.SS., oggetto della speciale normativa del capitolato del 1909 (terzo motivo). In base a queste erronee premesse -continua la ricorrente -la Corte d'appello avrebbe illegittimamente negato ingresso ai mezzi istruttori proposti dall'impresa per provare nei fatti e avvalorare in sede tecnica le richieste di merito (quarto motivo). La complessa censura appare infondata e deve essere disattesa. (1) Di diverso avviso Cass. 29 settembre 1984, n. 4822, in Foro it., 1984, I, 2442, nonch� Cass. 22 gennai� 1986, n. 398, in questa Rassegna 1986, I, 66. l? 456 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Dispone l'art. 41, pi� volte citato: �Quando sorgano contestazioni fra l'ingegnere dirigente e l'appaltatore, oppure quando questi opponga che le prescrizioni dategli sono contrarie ai patti contrattuali, l'ingegnere dirigente decide nel pi� bveve termine ed in ogni caso entro venti giorni dal ricevimento della domanda dell'appaltatore. Questa deve essere presentata non oltre i cinque giorni dal ricevimento degli ordini di servizio se si tratta di contestazioni riguardanti '1e prescrizioni date con gli stessi, dalla firma dei computi metrici, se le contestazioni riguardano le risul� tanze dei computi stessi; ed in ogni altro caso dal giorno in cui _il fatto o la circostanza che d� motivo alla domanda si sono verificati� (primo comma). La domanda deve inoltre essere formulata in modo specifico e de� terminato, indicare le ragioni suHe quali � fondata e le cifre di compenso a oui l'appaltatore crede di aver diritto e la relativa loro dettagliata giustificazione ~secondo comma). � Quando l'appaltatore non presenti la domanda entro il termine di tempo e nei modi sopra indicati decade dal diritto di far valere in qua� lunque tempo le proprie ragioni� (terzo comma). Bisogna, quindi, distinguere, secondo il dettato normativo dell'art. 41 (di natura -com'� pacifico -contrattuale), la �contestazione�, la �domanda� che pone la contestazione, e la �circostanza� o il �fatto�, nominato o innominato, che d� motivo alla domanda. Circostanze o fatti nominati sono, rispettivamente, il ricevimento dell'ordine di servizio, se la contestazione riguarda le pvescriizioni date con l'ordine stesso, e la firma del computo metrico, se la contestazione riguarda le risultanze del computo. In questi casi, dal ricevimento dell'ordine o dalla firma del computo decorve il termine di decadenza di cinque giorni per inoltrare la doman� da che d� luogo alla contestazione. In ogni altro caso, riflettente fatti e circostanze innominati, che danno motivo alla domanda, il termine decorre dal giorno in cui il fatto o la circostanza si sono verificati. E poich�, secondo i principi, non potrebbe decorrere il termine di decadenza dal mero accadimento ignorato o non adeguatamente apprez� zato dal contraente, questa Corte ha elaborato una nozione non mera� mente naturalistica del �fatto�, enunciando, con giurisprudenza ormai consolidata, la massima secondo la quale la tempestivit� dell'onere della riserva � deve essere valutata con riferimento al momento nel quale di� venta obiettivamente apprezzabile la rilevanza causale della situazione considerata, nella sua idoneit� a rendere pi� gravosa la prestazione del� l'appaltatore, salva la possibilit� di quest'ultimo di quantificare, al ter� mine dei lavori, la pretesa medesima, in quanto riferibile alla sua prestazione complessiva� (Sez. I, 15 dicembre 1982, n. 6911). 1�t:11l��lllllllll~lllllllllllllllllfllllllll��1111111 PARIB I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE Talch� � in presenza di un fatto di natura continuativa, che possa determinare maggiori costi e oneri per l'appaltatore che ne pretende, poi, l'indennizzo, l'onere della riserva diventa attuale e va adempiuto nel momento in cui emerga, secondo una valutazione coerente con i canoni della diligenza e della buona fede, la concreta idoneit� di tale fatto a produrre aggravi giustificativi di ulteriori compensi o indennizzi�. (Sez. I, 15 dicembre 1982, n. 6911, citata). Con la riserva -prosegue la sentenza -l'appaltatore oppone la sua valutazione in ovdine ad elementi capaci di alterave il sinallagma e richiama, in definitiva, l'Amministrazione committente alla sua osservanza, pretendendo che gli venga data ragione della diversa valutazione degli elementi anzidetti. Con puntuale osservanza di questi precetti elaborati dalla giurispruden2: a di legittimit�, la Corte di appello di Ancona ha rilevato: a) la mancanza di qualsiasi riserva contestuale al'1a stipulazione del contratto d'appello (16 ottobre 1965), a distanza di diciassette giorni dal verificarsi di un avvenimento -la frana, determinante l'ostruzione della strada statale -di tali proporzioni da non poter lasciar luogo a dubbi sulle negative conseguenze della diminuita agibilit� del cantiere; b) l'assenza, nella lettera del 22 novembre 1965, di una precisa manifestazione d'intento, volta a conseguire un maggior compenso; e) l'assenza, pure nella domanda di proroga_ del 5 gennaio 1966 -di tre mesi posteriore all'interruzione della strada -di qualsiasi riserva; d) la tardivit� de1la lett. racc. 14 maggio 1966 (l'unica richiamata nella domanda del 6 marzo 1967), di otto mesi successiva all'evento e di appena un mese anteriore alla riapertura della strada. La Corte d'appello ha in tal modo dimostrato, con argomentazione ineccepibile e in perfetta aderenza al suddetto indirizzo giurisdizionale, che almeno al tempo in cui era stata inoltrata la prima domanda di proroga (5 gennaio 1966) l'impresa appaltatrice non poteva non essere in grado di valutare, secondo i canoni della diligenza e della buona fede, la concreta idoneit� del fatto continuativo -consistente nell'interruzione di quell'importante via d'accesso al cantiere -a rendere pi� gravosa la propria prestazione. Secondo i principi, pertanto, l'onere della riserva diveniva, almeno in quel momento, attuale e doveva essere osservato, per la � concreta attitudine del fatto a produrre aggravi giustificativi di ulteriori compensi e indenniz:z;i �. Correttamente, dunque, la Corte d'appello ha ritenuto inammissibile la domanda, per decadenza derivante da intempestiva formulazione della riserva di maggior compenso. Ritiene, inoltre, il Collegio di dover disattendere le eccezioni di nullit� della clausola dell'art. 41 per violazione dell'art. 2965 e.e. e per 458 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'asserita mancata osservanza della presorizione dell'art. 1341 sull'approvazione specifica per iscritto della clausola di decadenza. 1:: inapplicabile, invero, J'art. 2965 e.e. sulla nullit� del patto che renda eccessivamente difficile a una delle parti l'esercizio del diritto, in quanto nella specie, lo � spatium temporis � di cinque giorni si deve ritenere pi� che sufficiente per formulare le oppOTtune riserve, una volta constatata l'attitudine della situazione di fatto ad alterare l'equilibrio contrattuale. Per quanto riguarda, poi, il richiamo all'art. 1341, e.e. basta ricordare che, secondo la giurisprudenza, non sussiste un contratto per adesione, soggetto alla specifica approvazione per iscritto, deHe clausole onerose previste dall'art. 1341, secondo comma cx:., nell'ipotesi di contratto d'appalto stipulato in forma pubblica amministrativa, a seguito di ljcitazione privata, svoltasi con la partecipazione dell'aggiudicatario, il quaJ.e abbia avuto in tal modo la possibilit� di esaminare e conoscere tutte le clausole e condizioni deU'appalto (Sez. I, 13 maggio 1971, n. 1383). I � Sotto ogni aspetto, pertanto, i primi quattro motivi del ricorso ili devono essere disattesi e si rende superflua ogni ulteriore indagine sull'applicabilit� di norme diverse da quella, gi� esaminata, dell'art. 41 del Capitolato del 1909. (omissis) fil ili CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 dicembre 1988, n. 6729 -Pres. Scanzano -Est. Rossi. -P. M. Di Renzo (conf.) -Impresa Bernardi fI (avv. De Filippis) c. Ministero beni culturali e ambientali (avv. Stato D'Amato). I Appalto -Appalto opere pubbliche -Revisione prezzo � Interessi sul I compenso revisionale -Decorrenza. (d.lvo C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 3; legge 9 maggio 1950, n. 329). I Appalto � Appalto di opere pubbliche � Revisione prezzo � Interessi � I ~ Misura stabilita con legge 21 dicembre 1974, n. 700 � Applicabilit� � Limiti. (legge 21 dicembre 1974, n. 700; d.P .R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36). Attesa la natura costitutiva dell'atto di riconoscimento della revisione del prezzo d'appalto, gli interessi sulle somme a tale titolo dovute I non possono decorrere da un momento anteriore a quello in cui l'inte resse dell'appaltatore, col predetto riconoscimento, abbia assunto consi� I stenza di diritto soggettivo. (1) 1 ~ i= i (1) Sull'istituto della revisione, in genere, cfr. Cass., S. U., 23 febbraio i f 1983 n. 1366, in questa Rassegna, 1983, I, 403. Cass., S.U., 5 aprile 1986, n. 2368, f f citata in motivazione, � pubblicata in questa Rassegna, 1986, I, 303. 1 ~ Il . . I ��,.,��, ... ,.,,���,....,,. i 'f PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE Agli effetti della applicazione della misura degli interessi prevista, in ipotesi di ritardo nella corresponsione di compensi revisionali, dalla legge 21 dicembre 1974, n. 700, rileva soltanto la parte dei lavori non ancora materialmente eseguiti alla data di entrata in vigore della legge stessa. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazJione ed erronea applicazione dell'art. 1 della legge n. 329 del 9 maggio 1950 di conversione e modifica del D.L.C.P.S. n. 1501 del 6 dicembre 1947 (art. 3, comma IV), censura la sentenza impugnata per non aver riconosciuto il suo diritto agli interessi legali (5 %) sUilla somma revisione liquidata, con decorrenza da un anno dopo l'approvazione degli atti di collaudo, cos� come dispone il comma quarto del citato art. 3. La Corte bolognese, continua il ricorrente, ha erroneamente ritenuto di rigettare tale richiesta sul riflesso che versandosi in situazioni giuridiche rette dall'interesse legittimo, l'obbligazione revisione nascerebbe soltanto dall'esercizio da parte della P.A. del potere discrezionale di natura costitutiva; e ci�, senza considerare, come invece avrebbe dovuto, che con il ripetuto art. 3, comma IV, il legislatore ha stabilito sull'importo dovuto per la revisione dei prezzi la corresponsione degli interessi legali a decorrere da un anno dall'approvazione degli atti di collaudo, collegando tali interessi ad un termine prestabilito indipendentemente dal provvedimento revisionale. Il motivo � infondato. La soluzione data dalla Corte bolognese alla questione � infatti conforme a consolidato orientamento giurisdizionale di questa Corte di Cassazione (cfr. sent. Sez. Un. 2368/1986 ed anche sent. 4099/87). Secondo il quale, in tema di revisione del prezzo di appalto di oo.pp., la posizione dell'appaltatore, che ha natura di interesse legittimo nella fase in cui l'amministrazione � chiamata a stabi1ire se tale revisione possa essere o meno accordata, vertendosi in materia di determinazione discrezionale correlata a preminenti interessi pubblicistici, assume consistenza di diritto soggettivo solo dopo che l'amministrazione medesima abbia positivamente eseocitato detto potere discrezionale, accordando esplicitamente o implicitamente la revisione, e, pertanto, � tutelabile davanti al giudice ordinario, al pari di qualsiasi altra ragione creditoria, anche per quanto riguarda la responsaMlit� della debitrice per interessi ed eventuale maggior danno a norma dell'art. 1224, comma 2� e.e., a partire dalla data della insorgenza della obbligazione, cio� da quella del suddetto riconoscimento della revisione stessa. Esattamente muovendo da tafo presupposto, la Corte bolognese, dopo aver evidenziato la natura costitutiva e non dichiarativa di quel riconoscimento alla revisione, ha quindi rifiutato l'interpretazione data 460 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dall'appaltatore alla modifica al decreto legislativo 6 dicembre 1947 n. 1501 apportata dall'art. I della legge n. 329 del 9 maggio 1950, che testualmente recita: � Dopo un anno dalla approvazione degli atti di coHaudo decorreranno gli interessi legali a favove dell'impresa sull'im-. pocto dovuto per la revisione dei prezzi �, t!. infatti evidente -ha argomentato quella Corte -che pu� parlarsi di importo dovuto per revisione dei prezzi, solo in quanto sia stato emesso l'atto amministrativo che, riconoscendolo, ha dato vita al relativo diritto di credito. Sicch� il dies a quo della decorrenza degli interessi di cui tratta la norma in esame, va inteso come posto a favore della P.A., nel senso che, anche nel caso in cui esista il diritto al compenso revisionale, esso non � fruttifero se non dopo l'approvazione degli atti di collaudo e mai prima. Perci� deve escludersi che, una volta riconosciuto il diritto alla revisione, il relativo credito frutti interessi dal precedente momento del I collaudo, perch� ci� significherebbe negare la natura costitutiva dell'atto di riconoscimento e conferire ad esso mera natura dichiarativa, in contrasto con la ribadita natura di interesse legittimo di cui l'appaltatore l � portatore prima del riconoscimento discrezionale da parte dell'amministrazione. La pronunzia si sottrae a censura in quanto l'art. 3 del D.L.C.P.S. l 12501/1947, come modificato con la legge 329/1950) opera nel senso che il diritto al compenso revisionale, qualora gi� sorto in forza del riconoscimento della �P.A., diviene fruttifero solo con il decorso di un anno dall'approvazione degli atti di coliaudo. I La norma in esame apporta cio� una deroga solo alla regola che I vuole, per la produttivit� degli interessi, la liquidit� ed esigibilit� del credito; che deve per� essere certo nella sua esistenza: quale non � I prima del riconoscimento da parte della P.A. di un credito dell'appalf. I i tatore per compenso revisionale. Addirittura ovvia � al fine la non configurabilit� di interessi legali decovrenti da un momento anteriore al sorgere del credito. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che la Corte bolognese abbia ritenuto inapplicabile la legge 21 dicembre 1974 n. 700, limitandone restrittivamente l'applicabilit� alla parte dei lavori eseguita dopo la sua I entrata in vigore; e si duole inoltre che quella Corte non abbia utilizzato il � sistema moratorio � della legge stessa atl.meno come strumento di I valutazione del danno da risarcire ex art. 1226 cod. civ. anche d'ufficio. Anche tale motivo va Tespinto. 1 La Corte del merito ha innanzitutto osservato che la legge n. 700 del l I 1974 non ha in nulla immutato il regime di cui alla legge n. 329 I del 1950, se non quanto aH'ammontare degli interessi che oggi sono . I 1���,,.,,����,,,",��,_.,__ 1,_,. PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE quelli di cui agli artt. 35 e 36 del Capitolato Generale d'Appalto e non quelli di cui all'art. 1224 e.e. Non solo, ma quella Corte ha immediatamente dopo affermato la inapplicabilit� di detta legge al caso in esame, rilevando che la legge stessa prevede l'applicabilit� del nuovo trattamento a quella parte dei lavori eseguita dopo la sua entrata in vigore, nulla rilevando che non fosse ancora compiutamente eseguito il contratto per il fatto che non si era ancora proceduto al collaudo: in quanto non l'esecuzione del contratto va presa in considerazione, ma la concreta esecuzione dei lavori, al fine di stabilire se furono materialmente effettuati prima o dopo l'entrata in vigore della nuova nol1Illativa. Della esattezza di siffatta interpretazione non pu� minimamente dubitarsi, atteso l'inequivoco tenore letterale del comma 3� del suo articolo unico, che detta: �Le norme di cui ai precedenti commi (che prevedono il diritto agli interessi di cui al Capitolato Generale) si applicano anche ai contratti in corso di esecuzione, limitatamente alla parte di, lavori eseguita dopo l'entrata in vigore della presente legge �. Correttamente pertanto la Corte bolognese ha escluso che il trattamento previsto dalla norma possa essere esteso alle opere gi� compiute prima della sua entrata in vigore, come preteso dal ricorrente. Quanto alla ulteriore deduzione mossa dal ricorrente con lo stesso secondo motivo -secondo la quale la Corte del merito avrebbe dovuto utilizzare anche d'ufficio il sistema moratorio della legge stessa ai fini di una valutazione equitativa del risarcimento del danno -�ne va rilevata la inammissibilit�: intanto, come questione del tutto nuova, che il ricorrente ha proposto senza neanche dire che essa abbia formato oggetto di deduzione e di dibattito tra le parti nella pregressa fase dei giudizio (senza essere presa in consideratlone dalla Corte d'appello) ed anche attinente a profilo di valutazione equitativa del danno da inadempimento contrattuale che esula del tutto dall'ambito della controversia (in relazione al quale la Corte del merito ha comunque escluso ogni ritardo colpevole della P.A.). (omissis) SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE TRIBUNALE DI BOLOGNA, I Sez. Penale, 29 novembre 1988 -Pres. Iuzzolino -Rel. Avolio -Imp. Maoauda. Responsabilit� civile -Amministrazione pubblica -Reato doloso del dipendente -Interruzione del rapporto organico . Conseguenze. Lo Stato pu� essere chiamato a rispondere per la condotta dei dipen� denti quando la stessa sia stata posta in essere nel raggiungimento di un fine proprio dell'Amministrazione di appartenenza, oltre che a causa e nell'esercizio delle funzioni di cui � titolare l'agente, mai nell'ipotesi in cui l'attivit� del soggetto concreti gli estremi del reato doloso (1). (1) Il princ1p10 � stato affermato dal Tribunale in procedimento penale nel quale le Amministrazioni della Difesa, degli Interni e di Grazia e Giustizia erano state citate in qualit� di responsabili civili per i reati commessi dal� l'imputato consistenti in falso ideologico in verbale di polizia giudiziaria (arti� colo 479 c.p.) e in reiterati fatti cli calunnia materiale (art. 368 c.p.) posti in essere nel corso di perquisizioni effettuate a' sensi dell'art. 41 T.P.P.S.. Alla falsa incolpazione, attuata mediante il simulato rinvenimento di eroina, proiettili, agende falsificate volte a dimostrare collegamenti con am� bienti mafiosi in realt� insussistenti, era seguita l'ingiusta detenzione dei soggetti incolpati ed un sensibile ritardo nelle indagini relative a duplice omicidio di appartenenti all'Arma dei Carabinieri. L'abuso delle funzioni -contestato come aggravante a' sensi dell'art. 61 n. 9 c.p. -appariva, nella specie, di chiara evidenza, sia con riferimento al mezzo utilizzato (perquisizione ex art. 41 T.U.P.S.) sia avuto riguardo alla utilizzazione, da parte dell'imputato, del patrimonio conoscitivo dell'Arma dei Carabinieri per costruire le false incolpazioni. L'intera trama delittuosa si inseriva nel corso delle indagini volte ad identificare gli autori del duplice omicidio, ed aveva la finalit� di definitiva� mente accreditare agli occhi degli inquirenti falsa informativa asseritamente proveniente da fonte confidenziale ma in realt� creata artificiosamente dal� l'imputato. Dagli atti del processo, infine, emergevano anche le finalit� dei comportamenti deiittuosi; in drammatico interrogatorio l'imputato infatti dichiarava di aver agito in odio dell'Arma al solo fine di accaparrarsi il premio stabilito per i confidenti prima di congedarsi. Il decisum del Tribunale appare conforme ad indirizzi giurisprudenziali consolidati che possono qui riassumersi attraverso la massima di recente deci� sione della S. C. (Cass. IV, 21 maggio 1985 Adorno in Cass. pen. 1986, 1107) secondo la quale � la Pubblica Amministrazione risponde direttamente dei fatti illeciti commessi dai suoi impiegati o dipendenti (che costituiscono il mezzo attraverso cui la P.A. spiega la propria attivit�) sempre che i fatti stessi PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 463 (omissis) -Per quanto concerne la citazione del �responsabile civile ritiene il Collegio che problema principale ed assorbente sia quello riguardante la legittimazione passiva delilo Stato rispetto alla richiesta di risai:-cimento danni prodotti dal reato doloso commesso da un pubblico dipendente. A tale problema il Collegio ritiene di dover dare risposta negativa in quanto, secondo l'insegnamento assolutamente pre siano commessi in atti diretti ad attuare i. fini istituzionali dell'Amministrazione stessa; ove tali atti tuttavia non abbiano pi� per oggetto o non siano pi� diretti a realizzare i fini dell'ente, bens� fini propri ed esclusivi dell'impiegato o del dipendente che nulla hanno a che fare con quelli dell'ente o siano ad essi contrari, non vi � pi� per gli stessi e limitatamente ad essi, la rappre. sentanza organica perch� � venuto a cessare il presupposto, la natura ed il fine p'r:1bblico degli atti compiuti dal dipendente che ha agito esclusivamente per fini privati >>. � L'ipotesi del reato doloso come causa di interruzione del rapporto organico tra P.A. e dipendente � presa in esame anche da Cass. civ. 28 gennaio 1985 n. 485 (pubblicata per esteso e con nota adesiva in Resp. civ. e prev. 1986, 73 ss.) secondo la quale �il reato commesso da un dipendente della P.A. per scopi egoistici privati interrompe il rapporto organico e la possibilit� di riferire la sua attivit� illecita alla P.A. stante l'assoluta incompatibilit� tra il fine persom~ le dell'autore dell'appropriazione (nella specie si trattava di reato di peculato) e quelli istituzionali dell'Amministrazione>>. Entrambe le decisioni appaiono conformi al generale principio affermato nella subiecta materia secondo il quale � perch� sussista la responsabilit� della Pubblica Amministrazione per fatti illeciti dei suoi dipendenti, devono concorrere due elem�nti: il nesso di causalit� obiettiva tra il comportamento del dipendente e l'evento dannoso, nonch� la riferibilit� all'Amministrazione del fatto del dipendente autore del comportamento. �L'attivit� del dipendente pu� essere riferita all'ente pubblico e costituisce fonte di responsabilit� diretta, in quanto sia e si manifesti come esplicazione dell'attivit� dell'ente stesso, cio� sia diretta al conseguimento dei suoi fini istituzionali nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio al quale il dipendente � addetto; si verifica, viceversa, una frattura del rapporto organico, con esclusione della responsabilit� della Pubblica Amministrazione, allorquando il funzionario agisca come semplice privato per una finalit� strettamente personale, configurandosi in tal caso l'attivit� da lui posta �in essere come del tutto estranea all'amministrazione e priva di ogni collegamento con i poteri propri dell'agente� (Cass. III, 17 dicembre 1986 n. 7631. Massima ufficiale parzialmente divergente nell'articolazione letterale da quella pubblicata in Giust. civ. Mass. 1986, p. 2187). Numerosi, invece, sono i casi nei quali la giurisprudenza ha affermato la responsabilit� risarcitoria dell'Amministrazione per illecito colposo del dipendente ritenendo 'Sussistente, nelle ipotesi decise, un collegamento sia pure anomalo tra l'abuso di funzioni e la realizzazione dei fini istituzionali dell'ente di appartenenza (v. tra :le moltissime Trib. S. Maria Capua Vetere 9 maggio 1978, Ragazzino e altro in Foro it. 1981, Il, 170 che ha affermato la responsabilit� risarcitoria del Ministero di Grazia e Giustizia per i danni provocati agli internati in caso di omessa vigilanza e sorveglianza del direttore e degli agenti di custodia; Cass. IV, 19 dicembre 1979 Rocco e altro in Foro it. 1981, Il, 145 che ha ritenuto la responsabilit� diretta del Ministero di Grazia e Giustizia per ille . .. . I 464 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I valente della S.C., lo Stato pu� essere chiamato a rispondere per la i ~~ condotta dei suoi dipendenti quando la stessa sia stata posta in essere ~:: nel raggiungimento di un fine proprio dell'Amministrazione di apparten. enza, oltre che 1a 'causa e nell'esercizio delle funzioni di cui � titolare l'agente; mai nell'ipotesi in cui ['attivit� del soggetto concreti gli estremi di un reato doloso, per definizione commesso con viola:ztlone dei doveri e con abuso dei poteri inerenti ad una pubbblica funzione, sia perch� in tale caso non � dato parlare neppure in astratto di un raggiungimento dei fini propri della Pubblica Amministrazione, 1sia perch� quest'ultima I cito imputabile a medico incaricato del carcere; Cass. Sez. IV, 11 dicembre 1980, Rossi in Giur. it. 1982, Il, 225 che ha affermato sussistere la responsabilit� del Ministero della Difesa per lesioni colpose cagionate da un carabiniere ausiliario che, scaricando la pistola d'ordinanza, accidentalmente faceva partire un colpo che attingeva un commilitone in violazione delle disposizioni che facevano divieto di tenere l'arma carica in caserma; Cass. IV, 14 aprile 1981 Di Palo, in Cass. pen. 1983, 312 la quale ha affermato la responsabilit� risarcitoria del Ministero della Difesa per lesioni colpose provocate a commilitone da militare addetto a servizio di guardia armata; Cass. Ili, 18 giugno 1983 n. 4195, F. S. c. Giovannelli in Arch. giur. circol. sinistri 1983, 740 che ha affermato la responsabilit� dell'Azienda Ferroviaria per i danni verificatisi a seguito dell'investimento di un veicolo da parte di un treno ad un passaggio a livello custodito negando rilevanza alla circostanza che il casellante aveva aperto il passaggio a livello al di fuori dell'orario di servizio e su richiesta di terzi; Cass. III, 22 ottobre 1984 n. 5333 Tartagli c. Ministero Difesa in Giust. civ. Mass. 1984, 1742 che, in ipotesi di incidente stradale ha escluso la responsabilit� risarcitoria dell'Am� ministrazione mancando un collegamento immediato e diretto del viaggio (posto in essere dal dipendente) con incombenze e compiti istituzionali (nella specie si trattava di mero rientro in citt�, all'approssimarsi della scadenza delle ferie con libera scelta del giorno, del mezzo e del percorso); Trib. Messina 6 giugno 1984, D'Amma e altro c. Ministero Interno in Giust. merito 1985, 320 che ha affermato la responsabilit� del Ministero dell'Interno nel caso di eccesso colposo nell'uso legittimo delle Armi da parte di appartenenti a corpi di Polizia; Cass. IV, 14 giugno 1984, Cipriani in Giust. pen. 1986 Il, 396 ss. relativa ad ipotesi di lesioni colpose gravi cagionate a terzi durante un servizio di vigilanza armata; Cass. III 5 settembre 1985 n. 4620 �Coni c. Blasevich in Giur. it. 1986, I, 863 ss. con nota di riferimenti). Al concetto di occasionalit� necessaria, peraltro, fa anche esclusivo riferimento altra pronunzia della S. C. (Cass. I, 2 settembre 1982 Leanza in Cass. pen. 1984, 912 ss.) affermando il principio; esposto nella massima ufficiale, secondo il quale neppure il dolo del dipendente costituirebbe causa di interruzione del rapporto organico. L'interpretazione, peraltro, non pu� essere condivisa proprio alla luce dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza; il mero abuso di poteri e funzioni da parte del dipendente non appare infatti sufficiente ad integrare la riferibilit� del comportamento delittuoso alla P.A. dovendosi anche accertare se l'illecito costituisca lo strumento, sia pure anomalo, per la realizzazione delle finalit� istituzionali dell'ente pubblico. FRANCESCO MENARINI PARTB I, SBZ, VIII, GIURISPRUDENZA PENALE potrebbe addirittura avere subito un danno conseguente alla rottura del rapporto di immedesimazione orgamca. L'assunto� ha certamente maggior valore nell'ipotesi in cui, come nel caso di specie, l'attivit� del dipendente risulta essere stata caratterizzata, almeno allo stato degli atti, dalla volont� di raggiungere finalit� personali e soggettive, in assoluto contrasto con i fini istituzionali dell'Amministrazione di appartenenza, alla quale incombe il compito di individuare i veri responsabili di azioni delittuose. L'appartenenza all'arma dei CC. risulta pertanto essere stata unicamente una condizione soggettiva dolosamente sfruttata, da considerarsi �ircostanza di collegamento meramente occasionale, idonea ad agevdlare la condotta delittuosa, ma non ad attribuirne la responsabilit� alla Pubblica Amministrazione. N� per giustificare una diversa conclusione potrebbe farsi riferimento all'addebito eventualmente ascrivibile alla P. A. di mancato controllo, addebito che farebbe sorgere una responsabilit� a titolo diverso, incapace di proporsi come proiezione di un danno immediato e diretto conseguente a11a commissione dell'illecito penale del dipendente. Queste le conclusioni alle quali iJl Tribunale � tenuto a pervenire � de iure condito �. La soluzione del problema rende superflua ogni determinazione sulle altre eccezioni dell'Avvocatura dello Stato, comportando di rper s� la estromissione dei responsabili civili. ~ r, I ~ II I" Ii II i I I i II I I PARTE SECONDA I I I! I I \ i 1 I ! ! II ! I QUESTIONI IL � DIRITTO CIVILE E POLITICO � DEL CITTADINO NELLA COGNIZIONE DELL'AUTORIT� GIUDIZIARIA ORDINARIA: IPOTESI DI GENESI STORICA DELL'INTERESSE LEGITTIMO Il presente articolo � tratto da una relazione presentata al Settimo Convegno di Studi giuridici organizzato dalla Sezione Toscana del CISA, intitolato �Contributi per la storia dell'interesse legittimo (Legge 31 marza 1889, n. 5992) � e tenutosi a Firenze in date 2-3 dicembre 1988. SOMMARIO 1. -PREMESSA: L'interesse legittimo. Ipotesi di genesi storica. 2. -LA LEGGE ABOLITRICE DEL CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO. 3. -I RELATIVI LAVORI PREPARATORI. 4. -L'INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE: a) i diritti civili e politici; b) la disapplicazione; e) il criterio di riparto delle competenze. 5. -CONFRONTO CON L'ESPERIENZA BELGA. 6. -IPOTESI EZIOLOGICHE. 7. -L'AWOCATURA ERARIALE. 8. -LA RIFORMA CRISPI E L'INTERESSE LEGITTIMO. Storia di una genesi ed attualit� di una crisi. Auspicio di superamento. 1. -Premessa: l'interesse legittimo. Ipotesi di genesi storica. L'interesse legittimo, da sempre singolare protagonista del nostro diritto amministrativo, � oggi al centro di una rinnovata attenzione ed � stato detto in proposito che se � prematuro parlare di morte del diritto amministrativo non � per� prematuro formulare una prognosi infausta a breve scadenza per l'interesse legittimo. La sua affollata � rivisitazione � cui oggi stiamo assistendo, assomiglia quindi molto all'affannarsi di medici al capezzale di un morente nella speranza che almeno in punto di morte ,si arrivi a cogliere la misteriosa essenza della �informe creatura� (1) malata. Una � informe creatura � che, a parte questa non certo lus[nghiera qualificazione, ha meritato, nei quasi cento anni della sua storia, anche quelle di � inesistente quiddit� � (2), �criterio inafferrabile ed dmponderabile � (3), � dil'itto soggettivo sottosviluppato� (4), �fantasma� (5), �oggetto misterioso� (6), �esclusiva e poco invidiabile peculiarit� del nostro sistema� (7), �figura mitologica che non si pu� n� comprendere n� discutere � (8), � pseudo-concetto di misteriosofia giuridica � (9), � allu� cinazione � (10), per non citarne che alcune in ordine cronologico. Sembra ormai ooncordemente accettata, in ogni caso, l'affermazione che � nelle radici storiche degli istituti che vanno individuate le ragioni de1la ,singolarit� del nostro sistema e deH'attuale crisi del processo amministrativo. Effettivamente soltanto la storia pu� spiegare come, fra tante decine di Paesi a regime amministrativo, con un giudice amministrativo distinto dal giudice ordinario, solo il nostro abbia elaborato la singolarissima categoria dell'interesse legittimo, situazione soggettiva sostanziale ancipite fra diritto ed. interesse, le cui intime contraddizioni si sono andate facendo sempre pi� evidenti nel nuovo corso del giudizio amministrativo introdotto dalla istituzione dei Tribunali regionali. La profonda evoluzione subita dal giudizio ammini:strativo negli ultimi tre lustri, non poteva, d'altronde lasciare intoccato il suo oggetto, attesa, in generale, la necessaria interrelazione che sempre esiste fra (1) G. BERTI, Amministrazione a�tonoma e giustizia amministrativa nella legislatura unificatrice del 1865: il contributo del deputato Francesco Borgatti, in L'unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, a cura di F. Benvenuti e G. Miglio, Milano, 1969, 418. (2) G. D. TIEPOLO, La giustizia amministrativa e il discentramento, in Giustizia amministrativa, III, 1892, 103. (3) V. E. ORLANDO, Contenzioso Amministrativo, in Il Digesto Italiano, voi. VIII; prt. 2a, Torino, 1895-98, 988. (4) M. S. GIANNINI -A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa, in Enciclopedia del diritto, XIX, 281. (5) E. FAZZALARI, Il futuro del processo amministrativo visto da un processualcivilista, Foro amm., 1985, II, 349. (6) E. FAZZALARI, op. loc. cit. (7) F. LoNGO, proposta per una riforma del supremo organo regolatore del riparto delle giurisdizioni e delle questioni di attribuzione giurisdizionale, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, III, 1368. (8) M. NIGRO, Ma che cos'� questo interesse legittimo? Illlterrogativi vecchi e nuovi spunti di riflessione, in Foro it., 1987, V, 470. (9) R. CARBONI, Gli aiuti comunitari fra diritto soggettivo e interesse legittimo, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1985, 137. (10) F. SCOCA, Relazione alla Tavola Rotonda �Ma cos'� questo interesse legittimo? '" Foro Amm. 1988, 331. 88 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO diritto sostantivo e divitto processuale; considerata, in particolare, la singolare vicenda, di tipo simbiotico, che lega storicamente in Italia la categoria giuridica dell'interesse legittimo al g1udizio dinanzi al giudice amministrativo (11). La prima affermazione � ovvia: ogni tipo di giudizio � congruente con le rispettive materie giudicabili e non con altre, tanto che la stessa � verit� processuale � � un concetto relativo, correlato alla ,regola di giudizio applicabile in un certo tipo di processo (12). La seconda poggia sulle vicende storiche ben note (ma mai abbastanza ricordate) che condussero a quella singolarissima -e per tanti versi ambigua -costruzione del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato italiano, nato nell'amministrazione ed evoluto nella giurisdizione per giudicare di un interesse legittimo considerato come situaziione �Sostan- ziale fino alle soglie del giudizio, al cui accesso legittimava, per perdere poi in esso tale connotato, in quanto la natura cassatoria della pronuncia non riconosceva o disconosceva alcun bene della vita, limitandosi ad annullare -o non annullare -un atto amministrativo. Quello che � certo, comunque, � che la categoria giuridica dell'interesse legittimo, con tutte le sue contraddizioni gi� in embrione, nasce dalla insoddisfacente tutela offerta agli amministrati dalla legge del 1865 -o meglio dalla interpretazione che ne fu data -e dal tipo di rimedio offerto, un quarto di secolo dopo, dalla riforma Crispi. 2. -La legge abolitrice del contenzioso amministrativo Passando all'esame della legge abolitrice del contenzioso amministrativo, giover� osservare subito come anche la legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, che, come � noto, abol� i Tribunali ordinari del contenzioso � amministrativo, devolvendo alla giurisdizione ordinaria . . . � tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione e ancorch� siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorit� amministrativa � non sfugga al bizzarro destino che � proprio di tante leggi in materia amministrativa: quello di provocare effetti paradossalmente opposti ai fini avuti di mira dal legislatore. Il primo e pi� vistoso esempio di tale anomalia � addirittura quello delle leggi francesi, a cavallo fra '700 e '800, che costituirono la matrice prima del diritto amministrativo. Un diritto il cui nascere fu valutato da Alexis de Tocqueville (13) come espressione di dispotismo ed ebbe la funzione, secondo gli studiosi pi� accreditati, di fornire a:lla borghesia emergente nuovi manici per meglio maneggiare antiche mannaie (14). Fatto si � per�, che da quelle leggi, che costruivano una � amministrazione senza giudice � seppe evolversi un sistema di giustizia amministrativa capace di fornire cospicue garanzie agli amministrati. (11) I. F. CARAMAZZA, La riforma del processo amministrativo, in Atti della Tavola Rotonda 19 aprile 1980, in Riv. Amm. 1980. (12) I. F. CARAMAZZA -M. L. GUIDA, La prova nel processo amministrativo, in Rass. Avv. Stato, 1985, II, 87. (13) A. de TOCQUEVILLE, Scritti politici, a cura di N. Matteucci, Torino 1%9, I, 234 ss. (14) M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, voce della Enciclopedia del Diritto, XII 855. PARTE II, QUESTIONI 89 Il contrario sembra essere avvenuto per la legge italiana abolitrice del contenzioso amministrativo, riforma di schietto stampo liberale e � progressivo � e che segn� per�, nei fatti, una perdita di tutela da parte degli amministrati �rispetto al previgente �sistema del contenzioso (15). Sul punto, � noto, non tutte le opinioni concordano. Sembra, per� -e torneremo sul punto poco pi� avanti -che cos� la ratio ispiratrice, come la voluntas legislatoris come la stessa lettera della legge avrebbero postulato una stia interpretazione in termini ben pi� liberali di quanto non sia accaduto nella realt�. I Tribunali del contenzioso esistenti negli Stati italiani preunitari erano stati tutti ispirati al sistema francese introdotto nel periodo napoleonico (e non � certo un caso �che i vari sovrani assoluti restaurati trovassero comodo adottare il nuovo strumento, bench� figlio de1la Rivoluzione del 1789). Il sistema piemontese -che pi� da vicino riguarda il nostro problema -dopo l'ultima riforma del 1859, prevedeva l'affidamento ad un plesso di giudici ordinari. del contenzioso (Consigli di Governo in primo grado e Consiglio di Stato in appello) del compito di conoscere di tutte le controversie fra cittadini e Stato, che non fossero di puro diritto privato, restando invece queste ultime riservate al giudice ordinario. L'attribuzione di competenza non era per clausola generale, ma per enumerazione di materie in ordine alle quali la giurisprudenza ammetteva una modesta estensione analogica, purch� per� sempre si restasse in tema di amministrazione �contenziosa� (o �regolata�, o � libellata �) a fronte della quale si poneva un diritto dell'amministrato. Nessuna tutela che non fosse quella da cercare presso gli stessi organi di amministrazione attiva era invece offerta, in via di principio, contro gli atti di amministrazione � pura � o � discrezionale � o � graziosa �, che potevano ledere semplici interessi. Nel regolare il rapporto sottoposto al loro esame, i Tribunali del contenzioso non avevano alcun potere sull'atto amministrativo, che non poteva essere n� sospeso, n� annullato, n� revocato. I Tribunali del contenzioso si presentavano quindi come un foro d'eccezione (o di privilegio) qualificato dalla natura, pubblica invece che privata, di una delle parti e della normativa regolatrice del rapporto e caratterizzato dal suo inserimento nel plesso dell'esecutivo e dalla carenza �di quelle (pur imperfette) garanzie di indipendenza di cui godeva il giudice ordinario. In tale situazione non sorprende che essi venissero considerati espressione di dispotismo amministrativo da 1sopprimere come tutti gli altri fori speciali del passato. La spinta abolizionista -connaturata con l'ideologia liberale e caratterizzante infatti le rivoluzioni di met� secolo -precede d'altronde, e non di poco, l'unificazione. Gi� il progetto Galvagno del 2 dicembre 1850 (forse sotto l'influenza della costituzione di Francoforte del 1849) prevedeva tout court il passaggio al giudice ordinario di tutte le competenze del sopprimendo giudice del contenzioso amministrativo. (15) S. SPAVENTA, La giustizia nell'amministrazione, in Codice della giustizia amministrativa (per cura dell'avv. Ranieri Porrini), Firenze, 1900, 29. 90 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sulla stessa linea il testo del Progetto Minghetti del 1862 che, all'articolo 2 (relazione Panattoni) (16), prevedeva: �appartengono ... alla giurisdizione ordinaria tutte le questioni che fin qui erano conosciute e decise dai Consigli e Tribunali del contenzioso amministrativo �. L'approfondimento del problema port� presto per� ad emersione la constatazione del fatto che nell'esercizio delle proprie competenze � per materia � i Tribunali del contenzioso conoscevano talvolta, per necessaria connessione connaturata a particolari settori dell'amministrazione, anche di atti discrezionali (di amministrazione cio� �pura�, secondo la terminologia del tempo) e quindi tutelavano in tali casi interessi semplici oltre che diritti (17). Da tale constatazione furono tratte due conseguenze: la prima si risolveva in una ulteriore ragione di soppressione dei Tribunali del contenzioso che o giudicavano di diritti -e prevaricavano allora sulla naturale competenza del giudice ordinario -o giudicavano di interessi ed invadevano allora la sfera riservata all'amministrazione attiva (18). La seconda fu che, per rispetto al principio della divisione dei poteri, solo la materia dei diritti doveva essere devoluta al giudice ordinario. Si arriva cos� alla formula dei � diritti civili e politici � del disegno che doveva diventare quella della legge abo'litrice, accompagnata dal divieto di revoca e modifica degli atti amminist-rativi (ferma la cognizione degli effetti dell'atto in relazione all'oggetto dedotto in giudizio) e dal divieto di applicare atti e regolamenti se non conformi alle leggi. Legge_ ispirata, come � noto, ai principi contenuti nella Costituzione belga del 1831. Sono ben conosciute le tante diverse opinioni in proposito. Da quella dei propugnatori della legge, Mancini per primo, che videro in essa il successo di un principio di libert� sul dispotismo amministrativo, a quella dei suoi oppositori contemporanei (Crispi, Rattazzi e Cordova, per tutti) che vi ravvisarono una operazione peggio che gattopardesca, in quanto volta non a conservare intatta ma addirittura a ridurre l'area delle garanzie del cittadino sotto le mentite spoglie di un apparente suo ampliamento (�sotto colore di progredire si fa un regresso,�) (19). Dalla . storiografia classica, che vi ravvisa una riforma liberale tradita dai suoi interpreti ad alcuni recenti ripensamenti che vedono nella riforma del 1865 una scelta di campo in favore dell'amministrazione e delle sue prerogative; scelta di campo effettuata addirittura scontando, con machiavellica preveggenza, le timidezze, i timori e le connivenze della magi .stratura e quindi la giurisprudenza che si sarebbe formata (20). � La nostra opinione, che cercheremo di illustrare adesso, � che sia da condividere l'ipotesi de11a riforma liberale tradita dai suoi interpreti. (16) Rel. 8 aprile 1862, Atti parlamentari Camera dei Deputati, Sessione 1861-1862, I Ed., 1080. (17) M. MINGHE'ITI, Rel. al Progetto omonimo, Atti ult. cit., Doc. n. 46, 2a ristampa, 79 ss.; M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, 76. (18) Per tutti, P. S. MANCINI, Discorso 9 giugno 1864, Atti parlamentari Camera dei Deputati, I ed., Voi. dal 20 marzo al 29 giugno 1864, 5157. (19) F. CRISPI, ivi, 2900-2901. . (20) S. SAMBATARO, L'abolizione del contenzioso nel sistema di giustizia amministrativa, Milano 1977, 64. PARm II, QUESTIONI 91 3. -I relativi lavori preparatori Suole comunemente dirsi che il legislatore del tempo non avesse� le idee chiare sul significato della locuzione � diritti civili e politici � sulla scorta dell'autorit� del Cammeo, che parla appunto di � intenzioni non chiaramente spiegate� (21). L'affermazione del chiaro autore va per� intesa, a noi pare, solo con riferimento a qualche ambiguit� lessicale ed in particolare ad una certa tendenza di alcuni parlamentari a qualificare gli interessi come �diritti minori� (22). Il difetto di chiarimento attiene quin.di solo ad un problema terminologico: chiarissima � invece la �voluntas legislatoris � nel senso di intendere la . locuzione nella sua massima estensione possibile. Cos� ad esempio il Mancini, parlando dei diritti politici, li definisce come quelli � che al cittadino sono assicurati dalla costituzione di un paese libero; la libert� individuale, la libert� di coscienza, la libert� di stampa, la libera associazione, il diritto della nazione di concorrere al voto delle imposte � (23), precisando anche come fossero comprensivi � di tutti i rapporti giuridici che si possono concepire in qualunque guisa esistenti fra i privati e la pubblica amministrazione� (24). I membri della Commissione della Camera investita del Progetto, in particolare, erano tutti convinti che la formula � diritti civili e politici � equivalesse a quella �diritti di qualunque natura� (25). E se t<tle formula non era stata proposta, ci� era perch� la Commissione � volendo appunto esonerarsi dal carico e dalla responsabilit� dell'adozione di una nuova formula, che certo non � agevole, anzi fu a giudizio di molti esperimentata malagevolissima, preferl di quasi trascrivere nel suo progetto di legge gli articoli anzidetti della costituzione belgica (artt. 92 e 93 N.dA.) e quindi di accettare una formula gi� compresa ed illustrata dalla giurisprudenza di un altro paese libero � (26) (giurisprudenza, come subito vedremo, assai liberale). La stessa opinione � fatta propria dal Cammeo, il quale afferma: �L'espressione diritti civili e politici doveva avere lo stesso significato che essa ha nell'art. 24 dello statuto e negli artt. 92 e 93 della Costituzione belga � (27). Della stessa opinione il Mantellini, il quale sottoline� la liberalit� della legislazione be1ga e l'intendimento dei legislatori italiani di adeguarsi a quella (28). 4. -La interpretazione giurisprudenziale: a) i diritti civili e politici; b) la disapplicazione,� c) il criterio di riparto della competenza. Come � noto, la interpretazione che si ,consolid� nella giurisprudenza fu invece assai pi� restrittiva e ridusse in confini molto angusti la tutela dell'amministrato nei confronti dell'amministrazione operando lungo tre direttive: la definizione dei diritti civili e politici, la delimita (21) F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d., I, 434. (22) G. MANTELLINI, I conflitti di attribuzione, Firenze, 1871, I, 34. (23) Atti ult. cit., Tornata del 9 giugno 1864. (24) ivi, Tornata del 16 giugno 1864. (25) Relazione Borgatti, ivi, 2461. (26) Discorso di P. S. Mancini, ivi, Tornata del 9 giugno 1864. (27) F. CAMMEO, op. cit., I, 430. (28) G. MANTELLINI, op. cit., 23 e ss., 35 e ss. e passim. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione dei propri poteri di disapplicazione, la individuazione del criterio di riparto della competenza fra autorit� giudiziaria e autorit� amministrativa. a) I diritti civili e politici. I diritti civili e politici furono considerati, infatti, nella limitata accezione rispettiva di diritti a prevalente contenuto patrimoniale e di diritti di partecipazione al governo della cosa pubblica (29). Quanto riduttiva questa visione rispetto a quella fatta propria dagli ispiratori della :riforma e sopra ricovdata e quanto riduttiva anche rispetto alla interpretazione che de1la stessa formula veniva data in Belgio (30) � inutile sottolineare. Fu persa allora un'occasione per la creazione di una categoria di diritti pubblici soggettivi capace di inglobare molte �di queHe situazioni che saranno poi qualificate interessi legittimi (31). Un'ulteriore riduzione fu poi talvolta operata con l'escludere dalla categoria dei diritti civili e politici le situazioni soggettive regolate da leggi amministrative (32): esclusione che n� la lettera della legge n� la ratio giustificavano. Dai lavori preparatori risulta infatti solo che era opinione di alcuni parlamentari che dalle leggi amministrative non potessero essere creati diritti ma solo precisata la natura ed il modo di essere di diritti da altre norme creati. Lo stesso Mantellini, non certo sospettabile di corrivit�, sia pure prima di assumere la responsabilit� di Avvocato Generale Erariale, scriveva che le leggi �sebbene amministrative non cessano d'essere leggi per questo � e che se il contenzioso che ne deriva doveva essere lasciato all'arbitrio dell'Amministrazione attiva, �tanto valeva non fare la legge� (33). In realt�, -proseguiva lo scrittore toscano -la formula �diritti civili e politici � si riferisce a qualunque diritto, quale che sia la legge o il principio generale del diritto che ne � fonte, cos� come � nel Belgio �del quale si poteva rifiutare la formula nella legge del '65, non la giurisprudenza nella identica formula� (34). La verit� � che il legislatore del 1865 aveva inteso rimettere al giudice ordinario tutta la competenza dei soppressi tribunali in materia di amministrazione contenziosa, alias relativa a diritti, secondo la terminologia del tempo, con esclusione soltanto della -peraltro eccezionale -competenza in materia di interessi a fronte dei quali si ponesse un potere discrezionale dell'amministrazione. Tutto l'ultradecennale dibattito dottrinario e politico che aveva preceduto la legge abolitrice aveva, appunto, ruotato intorno all'alternativa se attribuire o meno al giudice ordinario la cognizione della � amministrazione contenziosa �. Ma che, una volta fatta la scelta, questa dovesse passargli in blocco, era fuori discussione (35). (29) V. CERULLI IRELLI, Il problema del riparto delle giurisdizioni, Pescara, 1979, 16; F. Cammeo, op. cit., I, 431. (30) G. MANTEILINI, op. cit., I, 110 ss.; V. Cerulli Irelli, op. cit., 16. (31) F. BENVENUTI, Giustizia Amministrativa, Enciclopedia del Diritto, XIX, 600. (32) L. MEucc1, Istituzioni di diritto amministrativo, Roma, 1879, 77, 96, 99. (33) G. MANTEILINI, op. cit., I, 116. (34) G. MANTEILINI, op. cit., I, 110-113. (35) M. MINGHETTI, Rel. cit., 81. PARTE Il, QUESTIONI 91 La relazione Tegas al progetto Rattazzi 9 gennaio 1957 � inuminante in proposito e cos� corre: �l'amministrazione nell'abituale suo andamento pu� dar luogo a richiamo per parte del privato. O questo ricorre per lesione di un suo interesse, ovvero si oppone ad un atto amministrativo perch� violerebbe il suo diritto. Si pu� ledere un interesse privato nel vasto campo del potere discrezionale, ma si viola soltanto un diritto quando il reclamante invoca una espressa violazione di legge in suo appoggio. Nel primo caso voi non vedete che uri appello fatto dal cittadino alla coscienza dell'amministratore, il quale accoglie il ricorso in via amministrativa chiama la riflessione sul primo suo provvedimento, la riforma se crede non ostarvi interesse pubblico, la conferma nel caso opposto: poich� come dice il Romagnosi � dovere dell'amministrazione il far prevalere la cosa pubblica sulla privata col minor sacrificio della privata propriet� e libert�. Questo ricorrere al funzionario che eman� l'atto contro il quale altri si richiama od al superiore di lui diretto per una specie o forma di appello in via amministrativa � ci� che dicono giurisdizione graziosa o officiosa . . . Ma quando l'opposizione contro l'atto � amministrativo si fonda sopra un diritto, che si pretende manomesso allora l'amministrazione � per cos� dire libellata, � citata a difendersi, quindi la controversia prende il carattere di un giudizio e vuol essere definita con un criterio legale e con forme giuridiche. Ed � qui solo che si dubit� se questi atti di amministrazione, come dicono, regolata, perch� fondati sovra un testo espresso di legge o di regolamento, debbano essere rimessi al giudizio di tribunali ordinari, ovvero di giudici speciali presi in seno all'amministrazione stessa. Che se per la giurisdizione discrezionale non � iuogo a questione (perch� il tradurre in questi atti l'amministrazione davanti al giudice ordinario renderebbe ogni governo impossibile) il dubbio sorse per gli atti dell'altra specie. La tendenza a rafforzare la libert� d'azione dell'amministrazione diede vita all'istituzione dei Tribunali amministrativi . . . Ma la distinzione fra il diritto legale e il semplice interesse � la norma che venne sin qui adottata . . . per determinare i limiti fra l'amministrazione pura . . . e l'amministrazione contenziosa� (36). Altrettanto chiaro il Mancini il quale nel suo discorso 18 giugno 1984, nel corso dei lavori preparatori alla legge abolitrice precisava: � Quando l'amministrazione ha un'autorit� puramente discrezionale le sue decisioni possono contrariare quelli che ne soffrono, ma non feriscono che semplici interessi e non danno luogo a diritti. Il cittadino pregiudicato pu� invocare il favore dell'amministrazione, cercare di conciliarsi la sua buona volont�: ma non sarebbe fondato ad elevare una vera pretensione, perch� egli non potrebbe appoggiarsi n� al testo di una legge n� alla lettera di un contratto. Ma non � lo stesso, quando si tratta di atti per i quali l'amministrazione non gode di una piena autorit�: allora essa si trova in presenza non di semplici interessi, ma di veri diritti, ed allorquando questi diritti disconosciuti reclamano, si impugna fra coloro che l� invocano e l'amministrazione una vera contestazione �. �Dunque� -seguitava il Mancini -�pu� sorgere la questione, se l'amministrazione anche in materia di sua competenza abbia provveduto circa l'intrinseco dell'atto amministrativo ~n conformit� della legge: potendo bens� talvolta il giudizio sull'esistenza delle condi (36) in F. CAMMEO, op. cit., I, 399. 9.4 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO zioni prevedute dalla legge appartenere unicamente all'autorit� amnumstrativa, come allorch� sia giudizio prudenziale di criterio, di apprezzamento, di fiducia, di convenienza amministrativa; ma potendo pure altre volte dipendere l'esistenza di un vero e rigoroso diritto, da circostanze di tempo, di luogo, di et�, di stato o qualit� giuridica ed insomma di condizioni legalmente accertabili ed affatto indipendenti dall'arbitrio e dal criterio dell'amministratore� (37). Dunque nella dottrina giuridica dell'epoca e nell'intenzione del legislatore del 1865 -e all'intenzione � conforme la lettera della legge a fronte di ogni attivit� vincolata dell'amministrazione l'interesse dell'amministrato assurgeva a1la dignit� di bene della vifa la cui perdita o deterioramento dava titolo a chiedere riparazione. Non assurgeva a �diritto solo finteresse per fa cui realizzazione era necessaria fintermediazione dell'esercizio di un potere discrezionale dell'amministrazione, essendo in tale situazione l'amministrato titolare soltanto di una legittima aspettativa a che l'amministratore esercitasse i propri poteri conformemente a legge (38). La giurisprudenza trad� dunque ['intenzione del legislatore. b) La disapplicazione. Quanto alla delimitazione dei criteri di disapplicazione dell'atto amministrativo, anche in questo caso, a fronte del generalissimo enunciato legislativo e della chiarissima �voluntas � emersa dai lavori preparatori, venne formandosi una giurisprudenza restrittiva. Nel suo discorso di replica, a nome della Commissione, fatto il 18 giugno 1864, il Mancini, richiamando ancora una volta l'autorit� del precedente belga, citava il seguente passo del Bivort (39), relativo al commento dell'art. 107 della Costituzione del 1831 di quel Paese (da cui, come � noto, � mutuato l'art. 5 della legge abolitrice): �Questo articolo presuppone che un oggetto di competenza del� potere giudiziario gli sia sottoposto e la relativa decisione dipenda dall'applicazione di un provvedimento del potere esecutivo. In questa ipotesi sia che il provvedimento sia deferito per azione diretta, sia che esso sia invocato per via di eccezione, sul quale punto l'articolo non distingue, esso autorizza il potere giudiziario a discutere e ad esaminare la legalit� dell'atto; ma ci� al solo effetto, se non � conforme alla legge, di dichiararne l'inapplicabilit� all'oggetto litigioso e di pronunciare su questo oggetto conformemente alla legge, come se il provvedimento non esistesse �. Pur in un quadro tanto poco suscettibile di interpretazioni restrittive come anche sottolineato dalla pi� autorevole dottrina (40) la giurisprudenza adott� il pi� rigoroso self-restraint, elaborando la teoria della disapplicazione dell'atto in via di sola eccezione, negandone invece la possibilit� quando la illegalit� dell'atto fosse dedotta in via diretta e principale, in quanto immediatamente lesiva di una posizione tutelata (41). (37) F. CAMMEO, op. cit., I, 438. (38) cfr. L. Mllucc1, Istituzioni cit., 104. (39) B. BIVORT, Commep.taire � la Constitution de la Belgique, cit. in Cammeo, op. cit., I, 435. (40) F. CAMMEO, op. cit., I, 437. (41) G. GRECO, L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980, 76. PARTE II, QUESTIONI ')f e) Il riparto 'delle competenze. Sul criterio di riparto delle competenze fra giurisdizione e amministrazione, infine, a fronte del chiaro dettato legisfativo che poneva come linea discriminatrice la esistenza o meno di un diritto civile o politico, venne affermandosi il diverso e ben pi� limit~to criterio della distinzione fra attivit� iure gestionis e attivit� iure imperii (42). Di fronte alla prima soltanto l'Autorit� giudiziaria riconobbe la propria competenza, sulla scorta della coni;iiderazione che a fronte dell'atto autoritativo non potesse configurarsi alcun diritto. Singolarmente, una teoria nata nella vicina Francia per aumentare i poteri del giudice ordinario e consentirgli di sindacare alcune attivit� amministrative senza incappare nei rigori delle sanzioni penali comminate dalle leggi rivoluzionarie (43) veniva trapiantata in Italia con l'opposto effetto -attesa la ben diversa struttura del sistema di giustizia instaurato -di vedere limitati quei poteri in modo radicale. Delle tre autolimitazioni che il giudice italiano si era imposto in quegli anni e di cui si � detto, quest'ultima era certo la pi� grave e significativa, riducendo la tutela del nostro concittadino di cento anni fa a quella gi� goduta, oltre un secolo prima, dai sudditi di molti regimi assoluti. Di qui la necessit� presto avvertita di un completamento della tutela dell'amministrato. 5. -L'esperienza belga. Sembra illuminante in proposito un parallelo con il caso del Belgio, dalla cui normativa il legislatore del 1865 aveva tratto dichiarata ispirazione. Qualcosa di pi�, anzi, di una semplice ispirazione, in quanto gli artt. 2, 4 e 5 della legge abolitrice rappresentano la quasi letterale trascrizione (con un tocco, anzi, di permissivismo in pi�) degli articoli 92, 93 e 107 della Costituzione belga del 1831, portata ad esempio dagli studiosi di allora -insieme con il sistema inglese -di una modernit� e liberalit� da contrapporsi all'autoritarismo del sistema francese. Orbene, la giurisprudenza belga, assai pi� liberale di quella italiana, interpretando in senso estensivo fa formula � diritti civili e politici � permise al sistema di funzionare senza inconvenienti -o quasi -per pi� di un secolo. � Ogni giorno i Tribunali del Belgio risolvono questioni ... di pubblico come di privato diritto � scriveva il Mantellini nel 1871 (44) e sono � costanti nel rifiutare applicazione ... agli atti am (42) Nonostante alcune diverse opinioni deve ritenersi che fu quello il criterio generalmente seguito: cfr. G. VACCHELLI, La difesa giurisdizionale dei diritti dei cittadini verso l'autorit� amministrativa, in Primo Trattato completo di diritto amministrativo italiano, Milano, 1901, Vol. III, 437, nota (1); adde M. NIGRO, op. ult. cit., 89; F. BENVENUTI, op. loc. cit.; F. BATISTONI FERRARA, La difesa dello Stato in giudizio e la soluzione italiana, in �L'Avvocatura dello Stato �, Studio storico-giuridico per la celebrazione del centenario, Roma, 1976, 278 ss. (43) M. S. GIANNINI e A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria, in Enciclopedia del Diritto, XIX, 278. (44) G. MANTELLINI, op. cit., I, 25. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 96 ministrativi che appariscano non conformi alle leggi ... � senza aver da temere �censura dalla Cassazione che allorquando del regolamento e dell'atto pronunzino l'annullamento� (45). Tanto vero che le Corti belghe non ebbero difficolt� a condannare quello Stato a risarcire i danni causati da una inondazione artificialmente indotta dalle autorit� militari per la difesa di Ostenda. Il confronto con il consimile caso italiano dell'argine del fosso Polesella e della sua diversa soluzione (46) � immediato. :�. interessante notare in proposito come una polemica sulla sufficienza o meno della tutela offerta dal giudice unico sia sorta in Belgio a cavallo fra Ottocento e Novecento in coincidenza con una oscillazione della giurisprudenza di quella Cassazione, che, abbandonando le proprie tradizionali posizioni, aveva fatto propria, in alcune decisioni, la teoria francese degli atti d'impero come limite al sindacato del giudice ordinario(47). Ne deriv� una accesa disputa dottrinale e politica nel corso della quale venne proposta la reintroduzione in Belgio del Consiglio di Stato (48). La crisi fu per� superata con un deciso �ritorno alle origini� sotto 'la suggestione della dottrina del Wodon, che denunci� l'indulgenza agli schemi dottrinari francesi come incompatibile con la Costituzione belga (49). La Cassazione di Bruxelles infatti riafferm� decisamente la propria tradizionale giurisprudenza ripudiando l'idea della doppia personalit� dello Stato sovrano e dello Stato persona civile ed affermando: � Argomentanto sul principio della separazione dei poteri, a volte si perde di vista che in Belgio esso ha una portata del tutto differente da quella francese, e si confondono principi distinti ... Il principio ... consacrato dalle leggi della Rivoluzione, � stato interamente alterato dalla Costituzione belga ... Obbligando i tribunali a non applicare i decreti ed i regolamenti generali se non in quanto siano conformi alle leggi, l'art. 107 li obbliga esattamente a quanto le leggi rivoluzionarie vietavano loro: cio� di disturbare in qualsiasi maniera le operazioni dei corpi amministrativi� (50). E ancora: �La Costituzione ha consacrato una teoria della " separazione dei poteri " che scorge una condizione della libert� politica nella separazione delle funzioni pubbliche in tre gruppi distinti ed indipendenti fra di loro, ma la medesima espressione serve anche a designare una regola assai antica del diritto francese, gi� ammessa ai tempi dell'assolutismo monarchico. Ai sensi di questa regola, � interdetto ai corpi giudiziari di giudicare le controversie in cui siano interessati lo Stato o le altre persone di diritto pubblico. Questa "separazione dei poteri", nata da un sentimento di sfiducia e di sfavore nei riguardi dei corpi giudiziari, che consentiva all'amministrazione di disporre sovranamente e senza ricorsi della per (45) G. MANTELLINI, op. cit., I, 24. (46) G.' MANTELLINI, op. cit., I, 26; Appello Venezia 21 maggio 1885, in Foro Italiano 1885, I, 377. (47) M. SoMERHAUSEN, Belgio, in � Il controllo giurisdizionale della pubblica Amministrazione�, a cura di A. Piras, Torino, 1971, 31. (48) M. BoURGUIN, La prot�ction des droits individuels contre les abus de pouvoir de l'autorit� administrative en Belgique, Bruxelles, 1912, passim. (49) L. WoooN, Le contr�le juridictionnel de l'administration et la responsabilit� des pouvoirs publics en Belgique, Bruxelles, 1920, 81, 93. (50) Cass. belga 5 marzo 1917 in Pasicrisie, 1917, I, 118. PARm II, QUESTIONI 97 sona e dei beni dei cittadini, non � stata consacrata dalla Costituzione belga. Al contrario, il regime che questa ha organizzato � ispirato ad un sentimento di sfiducia nei riguardi delle pratiche amministrative dei regimi anteriori e mira a porre i diritti privati al riparo degli attacchi dell'amministrazione e sotto la salvaguardia del potere giudiziario� (51). � Una febbre maligna aveva colto la nostra giurisprudenza -commenter� l'Avvocato Generale Leclercq -La causa di questa malattia � facile a scoprirsi e Wodon l'ha segnalata� (52). Nel Belgio occorre dunque arrivare agli ultimi anni del periodo fra le due guerre mondiali e quindi ad un momento in cui l'intervento della pubblica amministrazione nei vari settoci si era fatto particolarmente esteso e penetrante perch� venisse veramente avvertita la necessit� di una integrazione della tutela del giudice ordinario con la introduzione di un giudice amministrativo fornito del potere di annullamento degli atti (53). Di qui fistituzione in Belgio, nel 1946, di un Consiglio di Stato, giudice amministrativo con potere di annullamento ma non a competenza generale. � Sembra legittimo a questo punto concludere che se anche in Italia si fosse adottata l'interpretazione della legge abolitrice fatta propria dai giudici belgi -e che era oltretutto molto pi� aderente alla lettera della legge di quella riduttiva adottata -la tutela dell'amministrato sarebbe stata, quanto meno per molti decenni ancora, pienamente sufficiente, ed � doveroso notare nella classe dirigente italiana la singolarit� di una cultura comparatistica di notevole livello (anche se anteriore all'atto di nascita del diritto comparato) che, dopo aver fatto sfoggio di s� nelle aule parlamentari e in opere dottrinarie svan� nelle aule giudiziarie. 6. -Ipotesi eziologiche. Le ragioni tradi:i!rlonalmente elencate per spiegare l'atteggiamento restrittivo assunto dalla magistratura italiana nell'interpretare la legge del 1865 sono in genere individuate nella disciplina dei conflitti da queMa legge dettata e nella scarsa indipendenza di cui godevano �allora i magistrati. 1:. vero infatti che l'art. 13 dell'allegato E devolvette (sia pure in via transitoria) al Consiglio di Stato -cio� all'Esecutivo -la funzione di giudice dei comlitti di attribuzione fra giurisdizione e amministrazione ed era quindi prevedibile che il Consiglio di Stato procedesse secondo lo schema paralogico del � tu hai torto, perci� ti nego il giudice�. Vero � anche che la magistratura dell'epoca era costituita da un insieme non ancora amalgamato di giudici dei vari Stati preunitari, forniti di ben modeste garanzie nei confronti del Governo. Vero �, infine, che i magistrati -o quanto meno quelli di alto grado -erano espressione di quella stessa classe sociale -artistocrazia e borghesia agraria -che forniva i quadri alla politica ed all'alta burocrazia (54). (51) Cass. belga 5 novembre 1920, ivi, 1920, I, 239. (52) M. SoMERHAUSEN, op. cit., 34. (53) M. SOMERHAUSEN, op. cit., 35. (54) M. NIGRO, op. ult. cit., 87. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Sta di fatto, per�, che l'errore di grammatica costituzionale dell'art. 13 della legge abolitrice -d'altronde non premeditato e dettato solo dalla fretta (55) -fu subito corretto con la legge del 1877, che affid� alla Cassazione romana il compito di decidere dei conflitti. Sta di fatto, ancora, che l'orientamento restrittivo assunto dalla giurisprudenza fu tutt'altro che generale e tutt'altro che coerente nel tempo con le ragioni di cui sopra. Vi fu, anzi, una iniziale apertura della giurisprudenza verso interpretazioni liberali (56) nonostante l'arcigna guardia del Censiglio di Stato giudice dei conflitti; iniziale apertUTa cui fa riscontro un progressivo self-restraint, nonostante l'avvento della Cassazione romana al posto del Consiglio di Stato (57). Si tratta di Cass. Roma 13 marzo 1876 (58) le cui massime recitano: tanti rinvenibili nei repertori dei primi anni successivi alla riforma e che sembra emblematico sia in s� che per la nota redazionale che lo accompagna. Si tratta di Cass. Roma 13 marzo 1876 (58) le cui massime recitano: � Chiunque da un provvedimento generale Tegol.amentare dell'autonit� amministrativa riceva danno con offesa dei suoi diritti pu� domandare il risarcimento dinanzi all'autorit� giudiziaria. Cos� pu� dimandarlo il prestinaio, che abbia ricevuto qualche pregiudizio da un provvedimento del Comune, con cui venne fissata una tariffa obbligatoria pel prezzo di vendita delle farine e del pane. V.autorit� giudiziaria investita della <dimanda, riconosciuta l'irregolarit� di un provvedimento non deve revocarlo, ma soltanto dichiarare la responsabilit� dell'autorit� amministrativa, di fronte alla prova del danno. Fra i danni che i prestinai, nella specie suddetta, possono dimandare, si comprendono quelli per pretese contravvenzioni, o dalle limitazioni apportate alla loro industria, o da altre circostanze �. La nota redazionale del Foro italiano commenta, poi, i principi affevmati e massimati come espressione di indirizzo consolidato, citando, tutta una lunga serie di precedenti analoghi. Inutile sottolineaTe quanto pi� liberale sia questa giurisprudenza che afferma la risarcibilit� del danno recato ad una situazione regolata da leggi amministrative da un atto autoritativo, e che quell'atto di� sapplica in via di impugnativa principale -rispetto a .quella che si sarebbe andata formando e consolidando anno dopo anno, man mano che ci si allontanava dal 1865 e di cui si � detto. Una giurisprudenza� alla cui genesi sembra essere stata tutt'altro che estranea l'opera del l'Avvocatura Erariale, istituita proprio nel 1876. 7. �L'Avvocatura Erariale. Il nome di Giuseppe Mantellini viene molto pi� spesso citato dai cultori della materia per evocare il giuspubblicista autore dello � Stato (55) G. MANTELLINI, op. cit., I, 36; B. SORDI, Giustizia e amministrazione riel- l'Italia liberale, Milano, 1985, 45. (56) V. CERULLI lRELLI, op. cit., 24; G. GRECO, op. loc. cit .. (57) F. BENVENUTI, op. cit., 599. (58) Foro it. 1876, I, 842. PARTE II, QUESTIONI 99 e il codice civile� piuttosto che non il primo Avvocato Generale Erariale ed in genere la citazione viene fatta per criticare -non senza durezza -un misoneismo giudicato eccessivo (59). In realt�, come risulta anche dalJe citazioni sin qui fatte, il suo pensiero fu tutt'altro che illiberale. Suo torto fu -se torto questo si pu� chiamare per un avvocato una volta investito delle funzioni, quello di vincere le cause dello Stato affidategli adottando la linea difensiva pi� radicale possibile, quella di negare in capo al giudice la potest� di giudicare. La tesi della responsabilit� storica dell'Avvocatura Erariale nel determinare la linea interpretativa restrittiva di 'Cui si � detto fu gi� enunciata, nell'infuocato dibattito parlamentare sulla legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, dal senatore Pierantoni (genero del Mancini) il quale, opponendosi strenuamente al disegno, vedeva come unico vero rimedio alla Jnsufficiente difesa degli amministrati una pi� esatta lettura, da parte del giudice ordinario italiano, della legge del 1865, una lettura conforme alla lettera della norma ed all'interpretazione datane dalla giurisprudenza belga di fronte ad analogo testo e, criticando la distinzione fra atti di igestione e atti di imperio, ammoniva gli onorevoli colleghi come tale interpretazione, fatta propria dal giudice italiano, fosse errata: �l'opera della Cassazione -precis� fu spinta su questa via dalla Avvocatura Brariale, forte istituto, prevalente nell'opera del potere amministrativo e giudiziario� (60). In effetti l'istituto dell'Avvocatura -la cui originaria denominazione di � erariale � forse gi� denunziava le limitate dimensioni che Jo Stato intendeva att?ribuire al proprio contenzioso -nacque con il dichiarato intento di concorrere, con l'adozione di criteri di difesa unitaI1�, alla elaborazione ' giurisprudenziale della distinzione fra diritti ed .interessi e a definire i limiti oggettivi del potere del giudice ordinario in ordine all'atto amministrativo (61). A fronte della formula generale del legislatore del 1865, �di semplicit� ingannatrice� (62) parve infatti necessaria l'istituzione di un oTgano unitario di difesa in giudizio (63) per supplire alla soppressione di un foro amministrativo speciale (64), soprattutto in previsione del passaggio alla Cassazione della competenza sui conflitti. Ci� a differenza di quanto accadeva in Francia, dove � ... si fidano del Pubblico Ministero e del Prefetto: e potevano dispensarsi da un istituto di consiglieri, di avvocati demaniali o erariali, in grazia di quel loro foro amministrativo che ne avoca le maggiori cause e dove l'amministrazione trova nei giudici quanta assistenza a lei bisogna� (65). A capo dell'Istituto veniva posto Giuseppe Mantellini, il quale portava nella sua nuova attivit� non solo la fama del cultore di (59) Cfr., per tutti, B. SORDI, op. cit., 174. (60) Atti parlamentari, Senato del Regno, Discussioni, Tornata del 20 marzo 1888, 1170. (61) F. BATISTONI FERRARA, op. loc. cit. (62) L. ARMANNI, Il Consiglio di Stato, in Trattato di V. E. Orlando, s.d., I, 949. (63) F. BATISTONI FERRARA, op. cit., 254 ss. (64) Relazione al Regolamento 16 gennaio 1876, n. 2914, serie II, pubblicata in allegato alla Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per il 1876, pag. 74. (65) Relazione ult. cit. 100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO diritto pubblico di livello internazionale, non solo il prestigio del laticlavio, ma anche la specifica esperienza di Direttore del Contenzioso, di consigliere di Stato, di consig1iere di Cassazione e, soprattutto, di Avvocato regio di Toscana nel decennio precedente l'unificazione. Nella nuova istituzione, da lui stesso voluta, port�, quindi, tutto il bagaglio professionale accumulato nell'antico istituto lorenese e gli schemi logici e dialettici maturati in un regime che, bench� illuminato -e quanto illuminato! (66) -era pur sempre stato un regime assoluto. Fin dall'inizio dell'attivit� di istituto Mantellini elabor� la linea difensiva della distinzione fra atti di impero e atti di gestione e della sindacabilit� incidenter tantum dell'atto di impero solo in via di eccezione e solo quando lo stesso atto aggiungesse al rapporto � politico � un �rapporto accidentale e contingente di natura civile� (67), coordinando con molta energia e molta fermezza le attivit� delle varie Avvocature distrettuali (68). Particolare cura mise nello spingere quanto pi� avanti possibile la linea di difesa della negazione al giudice della potestas iudicandi, soprattutto in materia di responsabilit� aquiliana, attraverso l'argomento che sotto le mentite spoglie di una pretesa risarcitoria si sindacava inammissibilmente -l'emanazione o la mancata emanazione di un atto amministrativo: �Tanto fa chiedere la condanna del sindaco quale ufficiale di Governo a rilasciare il certificato di buoni costumi, quanto il chiedere la condanna del sindaco a soddisfare al danno lamentato dall'attore per negatogli certificato� (69). L'autorevolezza, l'esperienza organizzativa, l'uniformit� di indirizzo difensivo, la grande capacit� ed esperienza professionale, si imposero ad una magistratura di varie matrici geo-culturali e ancora separata tra tante Cassazioni -spesso abilmente giocate le une contro le altre -e la pi� restrittiva delle interpretazioni della legge del 1865 divenne �diritto vivente�. Con palese capovolgimento dei concetti ispiratori della riforma si afferm�, quindi, la regola -come fu detto con qualche pessimismo -che il punto di equilibrio fra principio di libert� e principio di autorit� andava trovato nell'assioma che dove vi � esercizio di autorit� non pu� esservi libert�. 8. -La riforma Crispi e l'interesse legittimo � Storia di una genesi ed attualit� di una crisi � Auspicio di superamento. La acuta insoddisfazione per le limitatissime garanzie che quel � diritto vivente � offriva al cittadino port�, come � noto, alla istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato per la tutela di tutte quelle situazioni rimaste sprovviste di tutela. Davanti al legislatore del 1889 si aprivano due strade: o ampliare magari in via di interpretazione autentica -il numero delle situazioni (66) cfr. I. F. CARAMAZZA, L'Avvocato Regio di Toscana, in L'Avvocatura dello Stato cit., 185 ss. (67) Relazione dell'Avvocato Generale Eraliale per l'anno 1880, 49 ss. (68) Relazione dell'Avvocato Generale Eraliale per l'anno 1878, pagg. 18 e ss., e 1879, pagg. 22 e ss. (69) Relazione cit. 1882, 6. ,��,,...,.,,��,..,.,,,.,,,,,.,. PARTE II, QUESTIONI 101 soggettive tutelate dinnanzi al giudice ordinario, disconoscendo i risul� tati giurisprudenziali raggiunti, come suggerivano alcuni (70), o accettare per buono quel �diritto vivente� che si era creato, dando per ammesso che~ diritti civili e politici da tutelare come situazioni sostanziali meritevoli di un giudice del rapporto fossero soltanto quelli enucleati dalla giurisprudenza del tempo, ed istituire allora altro organo per tutelare situazioni diverse dai diritti. Fu scelta tale seconda via e fu giocoforza allora accettare il postulato che ci� che andava tutelato per riportare la giustizia nell'amministrazione erano meri � interessi �, non meritevoli di protezione� giurisdizionale in quant� non aventi ad oggetto � beni della vita � ottenibili senza la intermediazione dell'esercizio di un potere discrezionale da parte dell'Amministrazione. Congruente con tale scelta fu anche, ovviamente, la natura meramente cassatoria del rimedio offerto. La forza delle cose super� per� la forza delle forme: tutte le situazioni soggettive che la dottrina dell'attivit� iure gestionis aveva lasciate orfane di giudice perch� prive della tutela del giudice ordinario, furono portate dinanzi al Consiglio di Stato per ottenere quel tanto di giustizia che il sistema offriva. La coscienza del magistrato amministrativo avvert� per. prima lo spessore della domanda e lo stesso accadde, subito dopo, per la �coscienza del Paese. Non sorprende, quindi, che la riforma del 1889, consistente nella istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato, nata come garanzia oggettiva di legalit� dell'azi�ne amministrativa, da tutelare contro le intromissioni del potere politico (in ordine a cui l'interesse offeso del cittadino costituiva solo �motivo e oocasione �) (71), sia stata interpretata ex post come creazione di una istanza giurisdizionale in ragione della materia del contendere portata al relativo esame. Da ci� scaturirono ulteriori conseguenze. La prima, immediata, fu l'equiparazione di tutte le situazioni sostanziali rimaste prive di giudice a quegli � interessi coordinati agli interessi generali nei quali vanno a confondersi � (72) che erano stati l'oggetto obbligato del sindacato avuto di mira dal legislatore del 1889 (73). Venivano cos� unificate in un unico contenitore -che doveva pi� tardi assumere l'etichetta di ,interesse legittimo -situazioni assoluta� mente eterogenee. La seconda, mediata come � espediente esegetico � dalla dottrina, fu la qualificazione di tali situazioni come situazioni soggettive sostanziali intermedie fra diritto e interesse. La terza, conseguenziale, fu la configurazione di un processo inadeguato al suo (ampliato) oggetto in quanto chiamato a conoscere, con i mezzi e le regole previsti per le sue originarie, limitate (e formali) fun (70) Cfr. Atti parlamentari Senato 20 marzo 1888 cit. (71) S. SPAVENTA, Per l'inaugurazione della IV Sezione del Consiglio di Stato, in La politica della destra, Scritti e discorsi raccolti da B. Croce, Bari, 1910, 456. (72) Relazione dell'Ufficio centrale sul disegno di legge di riforma del 1889 cit. in B. Sordi, op. cit., 199. (73) Illuminante in proposito il discorso pronunziato dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione di Roma, De Falco, il 3 gennaio 1884 cit. in B. Sordi, op. cit., 187, nota 33. 19 102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zioni, anche situazioni soggettive che avrebbero richiesto un pi� affinato e ricco istrumentario, sia sotto il profilo cognitorio che sotto quello decisorio. Di qui l'origine della singolare storia dell'interesse legittimo e del nostro processo amministrativo, sino alla crisi attuale. Fu detto a suo tempo che, con l'istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato, una parte della classe dirigente fu chiamata a controllare s� stessa (74): questo in linea con quella tradizione transalpina che riconosceva nel Conseil d'Etat -nato come massima espressione logica di una � amministrazione senza giudice � ed evolutosi in giudice dell'amministrazione (75) -il duplice ruolo di garante dei diritti del cittadino contro gli abusi dell'amministrazione e di protettore delle prerogative del potere pubblico (76), considerato non solo �parte� da giudicare, ma anche apparato da dirigere e da consigliare (77). Alla conseguente ambiguit� del relativo giudizio si aggiunge poi quella ulteriore derivante logicamente da un sindacato di tipo cassatorio non omogeneamente collegato con un previo giudizio �di merito �. In tale ambiguit� di fondo nacque e prosper� l'interesse legittimo come creatura di laboratorio o pianta di serra: forse sarebbe oggi di moda dire � concepita in provetta �. Nato come espediente es~getico (78) per superare le aporie del sistema di giustizia creato dalle leggi del 1865 e del 1889 (o piuttosto dalla loro interpretazione) fu teorizzato come situazione giuridica soggettiva sostanziale unitaria sulla scorta del seguente sillogisma: se alla IV Sezione doveva riconoscersi natura giurisdizionale e se l'interesse davanti ad essa fatto valere poteva essere protetto denunciando uno qualunque dei tre vizi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, occorreva allora riconoscere che la riforma del 1889 aveva attribuito natura giuridica a situazioni diverse al tempo stesso dal diritto civile e politico e dall'interesse semplice, materiale, economico (79). L'argomento appare discutibile in s� e comunque condizionato dal postulato della situazione giuridica soggettiva come � prodotto immutabile della ragione � (80). Se il diritto fosse una scienza esatta, tale operazione logica potrebbe essere paragonata a quella attuata dagli astronomi quando, dallo studio delle orbite dei pianeti esterni del sistema solare, deducono l'esistenza di un invisibile decimo pianeta e ne misurano massa e orbita. Non essendo per� il diritto una scienza esatta, l'operazione somiglia di pi� -e specularmente -a quella del manzoniano don Ferrante, morto di quella peste che, non essendo n� accidente n� sostanza, non poteva esistere secondo quanto conosciuto dalla sua filosofia. (74) L. PICCARDI, Intervento al X Convegno di studi di scienza dell'amministrazione, 1964, Atti, 97. (75) G. VEDEL, op. cit. (76) A. MEsTRE, Le Conseil d'Etat, protecteur des pr�rogatives de ['Administration, Parigi, 1974. (77) M. HAURIOU, Principes de droit public, Parigi, 1910, 491. (78) E. GUICCIARDI, Concetti tradizionali e principi ri�ostruttivi della giustizia amministrativa in Studi di giustizia amministrativa, Torino, 1967, 8. (79) O. RANELLETTI, cit. in B. SORDI, op. cit., 271-272. (80) L. MENGONI, Diritto e politica nella dottrina giuridica, Iustitia, 1974, 337 ss. PARTE Il, QUESTIONI iOJ Pur con tutti i suoi vizi di origine, sta per� di fatto che l'interesse legittimo crebbe e si svilupp� al centro di quella elegantissima costruzione giuridica che il Consiglio di Stato italiano ha creato in tre quarti di secolo, una costruzione in cui non si sa mai se ammirare di pi� la fantasia nell'escogitare nuove soluzioni (basti ricordare il sileniio e l'atto paritetico), il rigore giuridico nell'argomentarle o il pragmatismo nel raggiungere sostanziali risultati di giustizia attraverso un armamentario normativo rozzo e limitatissimo. Condizione di vita per l'interesse legittimo in quanto � fiore di serra � era per� il permanere della serra, cio� di quello specialissimo giudizio di cui si � detto e che era, s�, processo di parti, ma in cui una parte � �meno parte dell'altra � (81) ed in cui il giudice � anche il �padre spirituale� di quella (82). Un processo, insomma, � datato � e connotato da peculiarissimi dati politologici, sociologici e culturali. Quel processo oggi non esiste pi�: i vetri della serra sono stati rotti dalla legge istitutiva dei T.A.R. Non si vuole dire con .questo che la legge 1034/71 contenga rivoluzionarie innovazioni normative: essa appare, anzi, rispettosa in larghis� sima misura delle formule tradizionali. Sul piano normativo-organizzatorio si potrebbe addirittura dire che le ambiguit� e contraddittoriet� del processo amministrativo si sono moltiplicate con la creazione di un doppio grado di giudizio �di .legittimit� che � in s� un nonsenso logico e che ancora meno sensato appare quando si rifletta al fatto che con il venir meno delle giunte provinciali amministrative e dei ricorsi gerarchici (in conseguenza della non pi� necessaria definitivit� dell'atto) si � cancellato anche quello schema procedurale preesistente al giudizio che poteva apparentarsi strutturalmente ad un giudizio di merito e fondare quindi logicamente un sindacato di tipo cassatorio (83). La vera innovazione � esplosa invece a livello di realt� sociale. La creazione di una nuova 'classe di giudici amministrativi, di estrazione diversa da quella �tradizionale del Consiglio di Stato e sganciati da ogni funzione di consulenza ha fatto s� che nei confronti dell'Amministrazione la giurisdizione amministrativa abbia manifestato, per 'la prima volta nella sua storia, un netto distacco, cui si aggiunge una nota di diffidenza e sospetto ogni qualvolta la questione sottoposta al giudizio abbia una particolare rilevanza politica o comunque incida su fatti politicamente rilevanti (84). La diffusione � sul territorio � dei giudici amministrativi ha reso, poi, di massa una domanda di giustizia che era prima solo elitaria. (81) L. PICCARDI, Il Problema della difesa dello Stato in giudizio e la soluzione italiana, Riv. dir. pubbl., 1931, 595. (82) E. CANNADA BARTOLI, in Atti parlamentari, Camera, I Commissione permanente, Audizioni sullo stato della giustizia amministrativa, seduta 30 ottobre 1984. (83) G. GRECO, L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano 1980, 92 ss. (84) F. PIGA, 150 anni del Consiglio di Stato, in Atti del Convegno celebrativo del 15()<> anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, �Milano, 1983, 391. 104 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La forza delle cose ha imposto quindi al nuovo giudice amministrativo di soddisfare un'esigenza di giustizia sostanziale. La richiesta sempre crescente montante dalla societ� era che egli si trasformasse da giudice dell'atto in giudice del rapporto per la conseguibilit� nel processo amministrativo di quel �bene della vita� che dovrebbe pur essere conseguibile se � vero che l'interesse legittimo � una situazione sostanziale. Orbene, bench� stretto nelle angustie di una giurisdizione generale di legittimit� che rimane pur sempre una giurisdizione di annullamento, il giudice amministrativo � riuscito a rendere giustizia nel rapporto attraverso lo strumento cautelare. Il fenomeno � troppo noto perch� vi si debba indugiare; basti ricordare come in buona sostanza il processo amministrativo oggi si risolva con la concessione o il diniego della sospensiva (85). Da un lato ci� pu� essere ricondotto a quella funzione di supplenza cui ogni tipo di giurisdizione � oggi chiamata da un eccesso di domanda di giustizia. Non occorre, in proposito, ricorrere a raffinate analisi sociologiche per constatare come al giudice italiano tocchi in sorte pagare il prezzo di colpe non sue, l'eccesso di contenzioso essendo dovuto ad una carenza o ad un difetto di funzionamento di quei meccanismi fisiologici della j societ� e delle istituzioni che dovrebbero ridurre a sparuta eccezione i casi di mancato� spontaneo adeguamento dell'essere del fatto al dover essere della norma (86). I Chiamato a porre rimedio alla preoccupante forbice che .si va aprendo tra evolvere della realt� ed evolvere dell'ordinamento, il giudice I italiano si � trovato costretto -il pi� delle volte per necessit� e non I i~ per scelta protagonistica -ad esercitare una funzione di vera e propria supplenza. La via maestra imboccata � stata quella del ricorso alla misura cautelare: non potendo dare risposta definitiva in tempi ragionevoli, il nostro giudice d� risposta provvisoria in tempi giusti, privilegiando l'efficacia rispetto alla meditazione. Questo � vero sia in sede I di giudizio civile, dove Fazzalari ha parlato di � settecentizzazione della giustizia � (87) con riferimento all'uso e all'abuso che il pretore fa dell'art. 700 c.p.c. � vero, purtroppo, nel processo penale, come anno I tava malinconicamente Andrioli (88), in cui troppo spesso la vera pena non � quella che segue alla condanna, ma � quella scontata dagli imputati in sede di custodia preventiva, colpevoli o innocenti che siano. � vero, infine, nel processo amministrativo, dove la curva statistica della percentuale di sospensive si impenna a freccia, divaricandosi da quella, pur montante, dei ricorsi (89). E questo induce a certo non confortanti considerazioni. (85) M. NIGRO, in Atti parlamentari -audizioni cit., seduta 16 ottobre 1984. (86) I. F. CARAMAZZA -M. G. MANGIA, Le misure cautelari nel processo amministrativo in Rass. Avv. Stato, 1986, II, 87. (87) E. FAZZALARI, Il futuro del procedimento amministrativo visto da un processualcivilista, cit., 349. (88) V. ANDRIOLI, Relazione, in � Atti tavola rotonda romana �, 1982, 1688 cit. in M. E. Schinaia, Brevi note sul giudizio amministrativo cautelare, in Riv. amm., 1985, I, 591-604. (89) I. F. CARAMAZZA -M. G. MANGIA, Le misure cautelari nel processo amministrativo, cit. PARTE II, QUESTIONI 10J D'altro lato, per�, occorre rilevare come nel momento cautelare il giudice amministrativo diventi fisiologicamente giudice del rapporto e quindi del bene della vita da riconoscere o da negare. . Nella fase di merito, infatti, tradizionalmente, la valutazione dell'interesse sostanziale tutelato ha sempre condizionato solo l'ammissibilit� del giudizio: nella fase cautelare, dovendo il giudice conoscere della �gravit� e irreparabilit� del pregiudizio�, la valutazione dell'interesse sostanziale condiziona anche il merito della decisione: decisione che regola, dunque, il rapporto (90). L'evoluzione della giurisprudenza amministrativa in tema di sospensiva (e in sede di giurisdizione generale di legittimit�) nell'ultimo decennio � troppo nota perch� vi si debba indugiare: � stata, infatti, affermata e sistematizzata la sospendibilit� di una serie di atti amministrativi (quali dinieghi di ammissione, atti intermedi di procedimenti, atti negativi di controllo, ecc.) esclusi dalla sospendibilit� secondo le teorie classiche perch� atti negativi. Oltretutto, il giudice amministrativo ha utilizzato con estrema duttilit� lo strumento cautelare, piegandolo, per esempio, a fini istruttori o mirandolo meglio al fine attraverso l'introduzione di elementi accessori come il termine o la condizione. Si � cos� giunti a soddisfare, in sede di sospensiva, non solo � interessi oppositivi �, ma anche �interessi pretensivi � (quanto meno quelli �a soddisfazione pre-regolata �) (91), restando quindi esclusi, come posizioni sostanziali conoscibili, soltanto quegli interessi pretensivi per la cui soddisfazione l'Amministrazione conservi margini di discrezionalit� in ordine all'an, al quomodo ed al quando. E ne restano esclusi, a nostro avviso, perch� posizioni sostanziali non sono, non potendo preesistere ad una nascita condizionata da quella vera e propria �variabile indipendente� che � l'esercizio della discrezionalit� amministrativa (92). Da quanto sopra sembra potersi trarre la conclusione che si accomunino sotto la stessa etichetta di interesse legittimo, come gi� si � accennato, situazioni assolutamente eterogenee. Interessi oppositivi e interessi pretensivi a soddisfazione preregolata sembrnno infatti presentare tante analogie con i diritti soggettivi da chiedersi se, per caso -e quanto meno in gran parte -diritti soggettivi non siano (o non siano divenuti) (93) e se tali non siano stati. considerati sin dal 1865 solo per quell'eccessivo � self-restraint � adottato dal giudice ordinario nell'interpretare la legge abolitrice del contenzioso amministrativo, di cui si � detto. Certo, per tale via, il giudice amministrntivo sconfina un po' da quel mero �effetto anticipatorio � della pronuncia di merito che dovrebbe avere la decisione cautelare alla luce dell'insegnamento chiovendiano secondo cui il tempo necessario ad avere ragione nel processo non deve (90) E. FoLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tutelati, Milano, 1981, 46 ss. (91) E. Fou.1ERI, op. loc. cit. (92) S. GIACCHETTI, L'oggetto del giudizio amministrativo in Studi per il centocinquantenario cit., III, 1489-1490. (93) V. ALLEGRETTI, Pubblica Amministrazione e ordinamento democratico, in Foro it. 1985, V, 206 ss. 106 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO tornare a danno di chi ha ragione (94). In qualche modo il giudice amministrativo rimedia con quelle prescrizioni � ordinatorie � o � ad effetto conformativo� (95) che costituiscono idoneo ponte fra le attuali conquiste dell'evoluzione giurisprudenziale e le emanande norme di riforma del processo amministrativo che, sintomaticamente, prevedono una statuizione del giudice pienamente satisfattiva dell'interesse del ricorrente ad eccezione dei casi in cui alla pubblica amministrazione siano attribuiti poteri discrezionali in ordine alle modalit� ed al tempo dell'adozione dell'atto o del comportamento (%). Al fenomeno sopra accennato (e che per� dovrebbe indurre il giudice della cautela amministrativa a motivare anche sul fumus boni juris) si accompagna una nettissima tendenza all'�mpliamento delle materie attri� buite al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. La legge istitutiva dei T.A.R. segn� l'avvio, con l'attribuzione a detta competenza della materia delle concessioni, cos� attaccando per la prima volta un criterio di ripartizione non pi� basato sulla contrapposizione (o, nella specie, possibile confusione) fra diritto e interesse legittimo ma su una distinzione di �blocchi di materie� (97). Sulla stessa via sembra d'altronde essersi posta la Corte di Cassazione (98), in una linea di tendenza che sembra destinata a privare del suo principale significato quella distinzione di situazioni soggettive che tradizionalmente segna il discrillline fra le due giurisdizioni (99). Il tendenziale aumento dei casi di giurisdizione esclusiva (confermato dalle leggi 28 gennaio 1977, n. 10, 20 marzo 1980, n. 75 e 24 marzo 1981, n. 145) (100) riceve una corposa conferma dal testo dell'ultimo disegno di legge-delega (101) che prevede una estensione della giurisdizione esclusiva alle materie � connesse e conseguenti � a quelle a tale (94) G. CHIOVENDA, Nota a Cass. Roma 7 marzo 1921 in Giur. civ. comm. 1921, 362 ss. (95) Fra le pi� tipiche decisioni in tal senso vedasi T.A.R. Toscana 21 giugno 1978, n. 344, in. I T.A.R. 1978, I, 349, che recita, in parte qua: �L'accogli� mento del ricorso giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale non comporta soltanto l'annullamento dell'atto impugnato, ma altres� l'accertamento della situazione giuridica fatta valere dinanzi al giudice amministrativo, ossia in un certo modo la situazione giuridica controversa; pertanto, allorch� l'annullamento dell'atto non sia pienamente satisfattorio della pretesa di ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, quest'ultima soggiace, nella rinnovazione dell'atto annullato, al vincolo, derivante dal giiudicato, di non pregiudicare l'interesse del ricorrente, nei limiti in cui dalla decisione sia stato riconosciuto giuridicamente protetto�. � (96) Art. 1-3-N-2 del disegno di legge di iniziativa parlamentare presentato dai deputati Martinazzoli ed altri il 9 luglio 1987 (Camera dei Deputati n. 788) intitolato � Delega al Governo per l'emanazione di norme sul processo amministrativo di;nanzi ai Tribunali Amministrativi regionali, al Consiglio di Stato ed al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, nonch� sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e sui ricorsi amministrativi '" Il relativo testo riproduce quello approvato in sede referente dalla I Commissione nella IX Legislatura (A. C. 1353-1803-A). (97) F. BENVENUTI, Atti parlamentari ult. cit., seduta del 24 ottobre 1984. (98) M. NIGRO, Atti parlamentari ult. cit., seduta del 16 ottobre 1984. (99) A. NOCCEI.LI, Prin�ipio di partecipazione e funzione del giudice amministrativo, in Studi per il centocinquantenario cit., III, 1671-1672. (100) M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, 103. (101) cfr. nota (96). PARTE II, QUESTIONI 107 giurisdizione gi� attribuite, all'espropriazione e all'occupazione di urgenza e alle prestazioni dei "-Pubblici servizi di sanit�, istruzione e assistenza pubbliche (102). Altra c�onferma viene dall'ultimo disegno di legge governativo sul procedimento, che riserva alla giurisdizione esclusiva le controversie in materia di accordi (103). Ove si ponga mente al fatto che normalmente la giurisdizione per materie � una � giurisdizione piena � (104), sembra potersi concludere che in via tendenziale attraverso l'evoluzione della giurisprudenza ed in via conclusiva attraverso le riforme legislative in itinere e che sembrano ormai mature (105), gran parte delle situazioni soggettive sostanziali finora qualificate come interessi legittimi � avviata a trovare nel processo amministrativo quella soluzione pienamente satisfattiva che il tradizionale giudizio rigorosamente cassatorio non assicurava se non in alcuni casi di degradazione o di affievolimento. N� a tale tipo di conclusione potrebbe opporsi il dettato della Costituzione in materia di situazioni soggettive e di riparto di giurisdizioni.A parte l'ovvia considerazione che ogni problema, anche formale, risulterebbe superato con l'ampliamento dell'area della giurisdizione esclusiva (la cui forza espansiva non sembra limitata in modo categorico dal costituente) (106), giova osservare come il compito del legislatore costituzionale sia quello di porre delle norme di principio e non quello di scrivere un dizionario giuridico: i termini ed i concetti usati nella Costituzione del '47 rispecchiano �i dati semantici che la cultura del tempo forniva� (107); riflettono, quindi, ovviamente un diritto vivente che era, in tema di interesse legittimo e di processo amministrativo, come si � accennato, tutto una intima anche s� elegante contraddizione. Sembra sussistere dunque per l'interprete un largo margine di manovra anche in materia di ridefinizione dei concetti di diritto e di interesse. In realt�, in materia di tutela giurisdizionale e di riparto delle giurisdizioni, fa voluntas legis del costituente mir� soprattutto (se non soltanto) ad assicurare il massimo di garanzia della giurisdizione per ogni possibile situazione giuridica soggettiva rilevante (diritti e interessi legittimi fu l'endiadi ritenuta esaustiva) e nei confronti di �tutti gli atti della p. a. � con esclusione di tutte quelle eccezioni (per categorie di atti e per mezzi di impugnazione) �di cui il precedente regime autoritario aveva offerto ricco florilegio (108). (102) Art. 1-3-b-3 del disegno di legge delega n. 788 cit. a nota (96). (1Q3) Art. 12 del disegno di legge presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 19 novembre 1987 (Camera dei deputati n. 1913), intitolato � Nuove . norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi "� (104) F. MERUSI, Atti parlamentari ult. cit., seduta del 23 ottobre 1984. (105) Cfr. disegni di legge precedentemente citati. (106) F. LoNGO, Proposte per una riforma cit., 1350, nota 22. (107) A. ROMANO, IJ giudice amministrativo di fronte alla tutela degli interessi c.d. diffusi, Foro it., 1979, V, 8. (108) Sembra opportuno riport�re la dichiarazione formulata in occasione della discussione dell'art. 103 del Presidente Ruini: � Non occorre che ricordi da quali criteri era stata dettata la disposizione. Vi � stata, durante il fascismo, .}'abitudine di privare del ricorso giurisdizionale molte categorie di atti dell'autorit� amministrativa lesivi degli interessi . e dei diritti dei privati. Ad ogni pi� sospinto veniva una legge e pi� spesso un decreto-legge fascista 108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Per un prossimo definitivo superamento della crisi del processo amministrativo sembra dunque doversi trarre favorevole auspicio dalla evoluzione della giurisprudenza e dalle innovazioni normative prossime venture in tema di processo e di procedimento. Il quadro della giustizia amministrativa ohe va delineandosi in pro spettiva prevede infatti innanzitutto una piena tutela delle situazioni sostanziali qualificabili come diritti soggettivi e interessi legittimi oppo sitivi o pretensivi a soddisfazione preregolata, con riparto di competenza giurisdizionale fra il giudice ordinario e un giudice amministrativo for nito di poteri istruttori, cautelari e decisori atti a garantire il consegui mento del bene della vita (un giudice amministrativo operante, quanto meno tendenzialmente, in sede di giurisdizione esclusiva) (109). Prevede in secondo luogo -soprattutto attraverso la tutela degli interessi dif fusi e di quelli procedimentali in genere (110) -una indiretta tutela di tutti quegli interessi non contemplati nell'ordinamento come posi zioni sostanziali attraverso la (possibile) partecipazione ad un procedi mento connotato da caratteristiche giustiziali ed il cui atto terminale � comunque assoggettato ad un sindacato giurisdizionale di tipo cassatorio affidato al giudice amministrativo a garanzia del �rispetto delle regole del giusto procedimento. Mutatis mutandis il quadro appare singolarmente somigliante all'as setto dettato dal legislatore del 1865/1889 'letto, naturalmente, in chiave evolutiva. Teoria dei corsi e ricorsi storici messa da parte, � questo un para dosso che dimostra quanto in anticipo sui tempi fossero quelle riforme e quanto restrittiva fosse l'interpretazione a suo tempo fattane. Una interpretazione �liberale� degli artt. 2, 3, 4 e 5 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo ben avrebbe consentito, infatti, al giudice ordinario italiano -come analoga normativa aveva consentito .al suo collega belga -di conoscere di � diritti civili � ancorch� direttamente aggrediti da atti amministrativi illegittimi (111) e di interpretare la locuzione �diritti politici� nel senso dei diritti soggettivi pubblici della dottrina tedesca (112). 81 sarebbe cos� realizzata una accettabile tutela di quelli che si qualificherebbero oggi interessi oppositivi e interessi pretensivi a. sod disfazione preregolata (o quanto meno di buona parte di essi) restando riservata la tutela degli interessi condizionati dal potere discrezionale �che diceva: per questi atti non � ammesso alcun ricorso n� davanti ai tribunali n� davanti al Consiglio di Stato. Ci� ha preoccupato la Commissione ed abbiamo di conseguente stabilito che non si pu� togliere ai cittadini, per segmento di materie e di atti, la garanzia del ricorso giurisdizionale. Nessun dubbio che filn qui tutti noi della Assemblea siamo d'accordo � (M. RUINI, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell'assemblea Costituente, vol. V, Camera dei Depu tati, p. 4194). (109) cfr. G. BERTI, Momenti della trasformazione della giustizia amministrativa, Riv. Trim. dir. pubbl., 1972, 1861. (110) I. F. CARAMAZZA -F. SCLAFANI, Interesse legittimo e procedimento, in Rass. Avv. Stato 1988, Il, 1. (111) Cass. Napoli, 24 f~bbraio 1876, in Foro it., 1876, I, 202; G. GRECO, L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980, 77. (112) F. BENVENUTI, op. cit., 600. PARTE II, QUESTIONI 109 della p. a. al procedimento � quasi giudiziale � contemplato dall'art. 3 de1la Jegge del 1865, cui la riforma del 1889 doveva poi offrire l'ulteriore garanzia del contro11o cassatorio della IV Sezione del Consiglio di Stato. Le �cose, come si sa, andarono � diversamente. Probabilmente la legge abolitrice del 'contenzioso, come ha notato un autorevolissimo studioso della materia (113), era troppo in anticipo sui tempi. Speriamo che le leggi prossime venture che riformeranno il processo amministrativo e regoleranno il procedimento non siano troppo in ritardo. I. F. CARAMAZZA -F. QUADRI (113) M. NIGRO, op. ult. cit., 86. ! ! ~ I I ! I I I ~ RASSEGNA DI LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I -NORME PICHIARATE INCOSTITUZIONALI codice di procedura civile, art. 404, nella parte in cui non ammette opposi� zione di terzo avverso l'ordinanza con la quale il Pretore dispone l'affranca� zione del fondo ex art. 4, legge 22 luglio 1966, n. 607. Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1105, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. codice penale, art. 219, terzo comma, nella parte in cui, per i casi ivi previsti, subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia al previo accertamento della pericolosit� sociale, derivante dalla seminfermit� , di mente, soltanto nel momento in cui la misura di sicurezza viene disposta e non anche nel momento della sua esecuzione. Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1102, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. codice penale, art. 626, primo comma, n. 1, nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta. Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1085, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. codice di procedura penale, art. 399, primo comma [come sostituito ad opera dell'art. 11 della legge 31 luglio 1984, n. 400] nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti dell'art. 152, secondo comma, del codice di procedura penale, avverso la sentenza del pretore che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per prescrizione. Sentenza 28 luglio 1988, n. 922, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. codice di procedura penale, art. 399, primo comma [come sostituito dal� l'art. 11 della legge 31 luglio 1984, n. 400], nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti dell'art. 152, secondo comma, del codice di procedura penale, avverso la sentenza del pretore che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia. Sentenza 28 luglio 1988, n. 922, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 8, ultimo comma, e cLP.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. l, lett. b), nella parte in cui non prevedono che siano esentati dall'obbligo del servizio militare coloro che abbiano perduto la cittadinanza italiana a seguito dell'acquisto di quella di un altro Stato nel quale abbiano gi� prestato servizio militare. Sentenza 19 ottobre 1988, n. 974, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 112 RASSEGNA DEU.'AV.VOCATURA DELLO STATO r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 247 [nel testo sostituito con legge 27 giugno 1942, n. 851]. Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988; n. 42. r.dJ. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 128 e legge 30 aprile 1969 n. 153, art. 69, nella parte in cui non consentono, entro i limiti stabiliti dall'art. 2 n. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, la pignorabilit� per crediti alimentari delle pensioni corrisposte dall'INPS. Sentenza 30 novembre 1988, n. 1041, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, art. 69, primo comma [conv. in legge 9 gennaio 1939, n. 41], nella parte in cui non prevede la facolt� di riscattare i periodi corrispondenti alla durata legale di corsi speciali di perfezionamento, il cui diploma di specializzazione sia stato richiesto, in aggiunta alla laurea, quale condizione necessaria per l'ammissione in servizio. Sentenza 9 novembre 1988, n. 1016, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 190, secondo comma, nella parte in cui fa decorrere il termine di decadenza di dieci giorni per il reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato di cessazione degli effetti dell'amministrazione controllata, dalla data del decreto anzich� dalla sua rituale comunicazione all'inI teressato. fil Sentenza 26 luglio 1988, n. 881, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. ili .J I d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 2, primo comma, n. 3, nella parte in cui non prevede la pignorabilit� e la sequestrabilit� degli stipendi, salari e retribuI zioni corrisposti dallo Stato, fino alla concorrenza di un quinto, per ogni credito vantato nei confronti del personale. I Sentenza 26 luglio 1988, n. 878, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. I ~ legge 10 agosto 1950, n. 648, art. 64, secondo comma, limitatamente alle parole � non oltre il termine di un anno dalla cessazione dello stato di guerra'" Sentenza 21 luglio 1988, n. 828, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. legge prov. aut. di Bolzano 12 agosto 1951, n. 1, art. 6 [modificata dalla legge provinciale 1� settembre 1971, n. 12], nella parte in cui prevede che i due rappresentanti degli artigiani nella commissione per l'assistenza creditizia all'artigianato IIsiano �scelti da due terne designate dall'Associazione provinciale dell'artigianato � anzich� dalle organizzazioni artigiane pi� rappresentative della provincia. Sentenza 19 ottobre 1988, n. 975, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. f: {: f: d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, art. 39, primo comma, lett. c), e quarto comma, t ' nella parte in cui non prevede che la sospensione di diritto abbia a cessare quando venga concessa la libert� provvisoria. ! I Sentenza 7 luglio 1988, n. 766, G. U. � 13 luglio 1988, n. 28. ! f r . I! i ��������,.....,,,,,,,,.,,,,.,.j! f ~ PARm II, RASSEGNA DI LBGISLAZIONB 1.H dJ. P .R.S. 29 ottobre 1955, n. 6, art. 122, primo, secondo, terzo e quarto com m11 [riapprovato con legge regionale 15 marzo 1963, n. 16]. Sentenza 3 novembre 1988, n. 1007, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. d.l.p. reg. sic. 29 ottobre 1955, n. 6, art. 236, nella parte in cui non prevede, in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare. Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge reg. Trentino-Alto Adige 17 maggio 1956, n. 7, art. 34, terzo comma, nella parte in cui prevede la notificazione dell'atto di opposizione alla stima all'espropriante e all'espropriato. Sentenza 7 luglio 1988, n. 767, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85, lett. a), nella parte in cui non prevede, in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare. Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89, ultimo comma e 140, ultimo comma, nella parte in cui non prevedono che dall'imponibile da assoggettare ad imposta vada detratta anche una somma pari alla percentuale dell'indennit� di buonuscita corrispondente al rapporto esistente, alla data del collocamento a riposo, tra il contributo posto a carico del pubblico dipendente e l'aliquota complessiva del contributo previdenziale obbligatorio versato all'INADEL. Sentenza 26 luglio 1988, n. 877, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 18 marzo 1958, n. 311, art. 12, secondo comma, nella parte in cui non richiama, ai fini della sua applicazione ai professori universitari di ruolo, anche l'art. 120 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Sentenza 22 dicembre 1988, n. 1128, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 66, lett. a). Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 24, nella parte in cui non prevede, per le vigilatrici d'infanzia munite di diploma rilasciato dalle scuole convitto di cui all'art. 7 della legge 19 luglio 1940, n. 1098, la facolt� di riscatto del biennio corrispondente al relativo corso di studi, purch� il predetto diploma sia stato prescritto per l'ammissione ad uno dei posti occupati durante la carriera. Sentenza 7 luglio 1988, n. 765, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 1, lett. b) e legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 8, ultimo comma, nella parte in cui non prevedono che siano esentati dall'obbligo del servizio militare coloro che abbiano perduto la cittadinanza italiana 11.4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO a seguito dell'acquisto di quella di un altro Stato nel quale abbiano gi� prestato servizio militare. Sentenza 19 ottobre 1988, n. 974, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 1 e 4, nella parte in cui non prevedono l'assicurazione obbligatoria a favore degli artigiani italiani che lavorano all'estero. Sentenza 26 luglio 1988, n. 880, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 215, primo comma, nella parte in cui, per i casi di infortunio sul lavoro in agricoltura, richiede, ai fini della corresponsione della rendita, un grado di inabilit� permanente parziale superiore al quindici per cento, anzich� al dieci per cento. Sentenza 22 dicembre 1988, n. 1129, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma, nella parte in cui non consente l'integrazione al minimo della pensione di riversibilit� erogata dalla Gestione Speciale Commercianti per i titolari di pensione diretta INPS. Sentenza 13 dicembre 1988 G. U. 21 �dicembre 1988, n. 51. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2 primo comma, lett. a), b), e c), nella parte in cui prevede che il dipendente iscritto all'INADEL consegue il diritto all'indennit� premio di servizio qualora abbia almeno due anni di iscrizione all'ente ed abbia prestato servizio per un periodo variabile da quindici a venticinque anni, secondo la causa di cessazione dal servizio medesimo. Sentenza 30 giugno 1988, n. 763, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, nella parte in cui subordina il diritto dei collaterali dell'iscritto all'INADEL all'erogazione dell'indennit� premio di servizio nella forma indiretta alle condizioni della loro inabilit� a proficuo lavoro, della nullatenenza e della convivenza a carico dell'iscritto stesso. Sentenza 14 luglio 1988, n. 821, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 69 e r.d.I. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 128, nella parte in cui non consentono, entro i limiti stabiliti dall'art. 2, n. 1 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, la pignorabilit� per crediti alimentari delle pensioni corri sposte dall'INPS. Sentenza 30 novembre 1988, n. 1041, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 15, primo comma, nella parte in cui esclude dal diritto all'indennit� giornaliera pari all'80% della retribuzione, per il periodo compreso tra la fine del terzo mese dopo il parto e la fine del settimo mese dopo il parto, la lavoratrice madre addetta a lavori pericolosi, faticosi e insalubri che, non potendo essere spostata ad altre mansioni, sia costretta ad assentarsi dal lavoro per avviso del competente Ispettorato del lavoro. Sentenza 19 ottobre 1988, n. 972, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. PARIB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE t1J legge prov. di Bolzano 20 agostp 1972, n. 15, art. 14 [nel testo modificato' dall'art. 8 della legge prov. di Bolzano 22 maggio 1978, n. 23] nella parte in cui prevede la notificazione all'espropriante dell'atto di opposizione alla stima. Sentenza 7 luglio 1988, n. 767, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 14, primo comma [nel testo modificato dall'art. 8 della I. prov. 6 maggio 1976, �n. 10], nella parte in cui prevede che l'opposizione alla stima dell'ufficio tecnico provinciale sia proposta � davanti alla Corte d'appello competente per territorio �. Sentenza 7 luglio 1988, n. 767, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 2 febbraio 1973, n. 12, art. 20, primo comma, lett. a), nella parte in cui esclude dal diritto a pensione di riversibilit� il coniuge superstite quando � sia stata pronunciata sentenza di separazione legale per colpa dello stesso �. Sentenza 3 novembre 1988, n. 1009, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 1 [quale sostituito ad opera dell'art. 45 della legge 14 aprile 1975; n. 103], nella parte in cui ricomprende nella previsione del suo primo comma gli apparecchi radioelettrici ricetrasmittenti di debole potenza di tipo portatile indicati nell'art. 334, primo comma, dello stesso d.P.R., anzich� includerli tra le ipotesi di assoggettamento ad autorizzazione contemplate dal secondo comma del medesimo art. 1. Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 6, nella parte in cui dispone che il concessionario del servizio telefonico non � tenuto al risarcimento dei danni per le interruzioni del servizio dovute a sua colpa, al di fuori dei limiti fissati nell'art. 89, secondo comma, del r.d. 19 luglio 1941, n. 1198. Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1104, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 183, primo comma [quale sostituito ad opera dell'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103], nella parte in cui prevede l'assogget� tamento a concessione, anzich� ad autorizzazione, degli apparecchi contemplati dall'art. 334, primo comma, dello stesso d.P.R. � Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 [quale sostituito ad opera dell'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103], nella parte in cui comprende gli apparecchi contemplati dall'art. 334 dello stesso d.P.R. tra gli impianti radioelettrici soggetti a concessione, anzich� tra quelli sottoposti ad autorizzazione. Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 334, terzo, quarto, quinto e sesto comma4 nella parte in cui assoggetta gli apparecchi contemplati dal primo comma del medesimo articolo alla concessione anzich� all'autorizzazione. Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030; G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 13 maggio 1975, n. 157, art. 1, secondo comma. Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 2, terzo comma, e legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 4, primo comma, nella parte in cui non prevedono che il calcolo della riserva matematica ai fini della determinazione del contributo per la ricongiunzione dei periodi assicurativi sia effettuato anche per i dipendenti pubblici di sesso femminile secondo le tabelle predisposte, in applicazione dell'art. 13, ultimo comma, della legge 12 agosto 1962, n. 1338, per i dipendenti di sesso maschile. Sentenza 7 luglio 1988, n. 764, G.U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 57, lett. a). Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, tabella allegato 2, nella parte in cui non prevede l'inquadramento nella posizione funzionale di assistente sociale coordinatore del personale proveniente dagli enti locali e trasferito alle UU.SS.LL. che, alla data del 20 dicembre 1979, abbia prestato attivit� di servizio per almeno otto anni con la qualifica di assistente sociale nell'ente di provenienza. Sentenza 21 luglio 1988, n. 827, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. I legge reg. Sicilia 4 gennaio 1980, n. 1, art. 13, ultimo comma, nella parte in cui prescrive che le convenzioni ivi previste sono stipulate � prescindendo I dal parere prescritto dall'art. 5 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, e ~ f:: successive modificazioni �. I ~ Sentenza 27 ottobre 1988, n. 991, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge 11 febbraio 1980, n. 19, nella parte in cui non contempla tra i desti I natari dei benefici in essa previsti i pensionati della C.P.D.E.L. che fruiscano di pensioni o assegni privilegiati nella misura e per le infermit� previste dall'art. 1 di detta legge. Sentenza 26 luglio 1988, n. 875, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. I legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 4, primo comma, e legge 7 febbraio 1979, n; 29, art. 2, terzo comma, nella parte in cui non prevedono che il calcolo della riserva matematica ai fini della determinazione del contributo per la ricongiunzione dei periodi assicurativi sia effettuato anche per i dipendenti pubblici di sesso femminile secondo le tabelle predisposte in applicazione dell'art. 13, ultimo comma, della legge 12 agosto 1962, n. 1338, per i dipendenti di sesso maschile. Sentenza 7 luglio 1988, n. 764, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 2, sesto comma. Sentenza 3 novembre 1988, n. 1008, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. I I I PARTE II, RASSEGNA DI UlGISLAZIONB legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 2, ottavo comma, nella parte in cui dispone che il supplemento della pensione, spettante a coloro che dopo la maturazione del diritto a pensione continuano per cinque anni l'esercizio della professione, � � pari, per ognuno di tali anni, alla met� delle percentuali di cui al primo e al quinto comma, riferite alla media dei redditi professionali risultanti dalle dichiarazioni successive a quelle considerate per il calcolo del pensionamento � anzich� alle percentuali intere. Sentenza 3 novembre 1988, n. 1008, G. u, 9 novembre 1988, n. 45. legge regione Valle d'Aosta riapprovata il 17 ottobre 1980. Sentenza 15 novembre 1988, n. 1029, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legg� reg. Veneto� 31 ottobre 1980, n. 88, art. 39, primo comma, lett. b). Sentenza 27 ottobre 1988, n. 993, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge reg. Liguria approvata il 16 settembre 1981, art. 4, quinto comma. Sentenza 30 giugno 1988, n. 728, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, art. 8, lett. a). Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge provincia di Trento 26 aprile 1982, n. 8. Sentenza 26 luglio 1988, n. 876, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, ottavo comma, nella parte in cui non prevede, per i lavoratori prossimi alla pensione al momento della sua entrata in vigore, o gi� pensionati, il mantenimento in vigore, ai fini della liquidazione della pensione stessa, dei criteri dettati dall'art. 26, terzo comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160. Sentenza 14 luglio 1988, n. 822, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 32, quarto comma, e legge 22 dicembre 1984, n. 887, art. 15, nella parte in cui non consentivano -con le stesse modalit� ivi contemplate ai fini della assunzione della spesa a carico del Servizio sanitario nazionale -fa eseguibilit� delle prestazioni di diagnostica specialistica ad alto costo anche presso strutture private convenzionate, allorch� queste ultime fossero le uniche detentrici delle relative apparecchiature e gli inerenti accertamenti risultassero indispensabili. Sentenza 27 ottobre 1988, n. 992, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 23, quarto comma (artt. 108 e 117 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 727, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 20 118 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 22 dicembre 1984, n. 887, art. 15 e legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 32, nella parte in cui non consentivano -con le stesse modalit� ivi contemplate ai fini della assunzione della spesa a carico del Servizio sanitario nazionale la eseguibilit� delle prestazioni di diagnostica specialistica ad alto costo anche presso strutture private convenzionate allorch� queste ultime fossero le uniche detentrici delle relative apparecchiature e gli inerenti accertamenti risultassero indispensabili. Sentenza 27 ottobre 1988, n. 992, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge reg. Liguria riapprovata il 25 marzo 1985. Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1103, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge interpretativa della regione Lombardia 27 marzo 1985, n. 22, art. 1, terzo comma, lett. b), nella parte in cui, vincolando l'interpretazione dell'art. 36, comma quarto, lett. c/3 della l.r. 29 novembre 1984, n. 60, stabilisce che nel� l'espressione � analoghi '" riferita ai centri regionali di formazione professionale, si debbano considerare esclusivamente i centri e le scuole della Regione, e non anche quelli organizzati a livello comunale. Sentenza 26 luglio 1988, n. 879, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 17 maggio 1985, n. 210, artt. 20 e 21, nella parte in cui non prevedono l'applicazione della disciplina normativa vigente per la provincia autonoma di Bolzano, in materia di proporzionale etnica e di parit� linguistica. Sentenza 7 luglio 1988, n. 768, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge reg. Sardegna approvata il 4 febbraio 1986 e riapprovata il 15 mag� gio 1986 (artt. 51, primo comma, e 97, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 726, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge 5 dicembre 1986, n. 856, art. 3, quarto comma, nella parte in cui, ai fini del pensionamento anticipato obbligatorio del personale esuberante, fissa per le donne un limite d'et� (cinquant'anni) diverso ed inferiore rispetto a quello (cinquantacinque anni) stabilito per gli uomini. Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1106, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, art. 1, ultimo comma [convertito in legge 6 feb� braio 1987, n. 15]. Sentenza 26 luglio 1988, n. 882, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. Veneto approvata il 28 febbraio 1986 e riapprovata il 19 dicembre 1986, art. 3, secondo comma. Sentenza 19 ottobre 1988, n. 973, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. d.l. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440], nella parte in cui dispone che � le somme dovute a titolo di riliquidazione della indennit� premio di servizio non danno luogo a corresponsione di interessi �. Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1060, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. m '� ;� .� Z�� . :.::,_? ;'.. @. .x� PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE dJ. 7 settembre 1987, n. 371, art. 1, lett. a) [conv. dall'art. 1, primo comma, della legge 29 ottobre 1987, n. 449], nella parte in cui si riferisce ai �musei e biblioteche di enti locali �. Sentenza 28 luglio 1988, n. 921, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. Campania approvata il 2 luglio 1986 e riapprovata il 27 novembre 1987. � Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1061, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50., legge reg. Emilia-Romagna 13 gennaio 1988, n. 131. Sentenza 30 novembre 1988, n. 1042, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge reg. Liguria riapprovata il 27 gennaio 1988. Sentenza 22 dicembre 1988, n. 1127, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 2120, terzo comma [modificato dalla legge 29 maggio 1982, n. 297] (art. 52, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 14 luglio 1988, n. 802, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. codice civile, art. 2947, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 732, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. codice penale, art. 528 (artt. 3, primo comma, e 21, primo e secondo comma, della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1063, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. codice penale, art. 724, primo comma (artt. 2, 3, 7, 8 e 19 della: Costituzione). Sentenza 28 luglio 1988, n. 925, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. codice penale, art. 724, primo comma (art. 25 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1988, n. 925, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. codice di procedura penale, art. 26 (artt. 3, 25, primo comma, e 103, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 7 luglio 1988, n. 773, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. R.D.L. 3 marzo 1938, n. 680, art. 5, lett. p) (art. 117 della Costituzione). Sentenza 19 ottobre 1988, n. 979, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 1.20 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 24 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Sentenza 7 luglio 1988, n. 778, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 101, secondo comma (artt. 3 e 34 della Costituzione). Sentenza 30 novembre 1988, n. 1045, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6, ultimo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1021, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 2 marzo 1949, n. 144, art. 15 (artt. 3 e 35 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1064, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. dJ. 5 maggio 1957, n. 271, art. 13, primo comma [conv. in legge 2 luglio 1957, n. 474] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 26 luglio 1988, n. 887, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 12 agosto 1962, n. 1338, artt. 2, 4 e 5 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1109, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge 29 novembre 1962, n. 1680, art. 1, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1113, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge reg. Sicilia 3 febbraio 1968, n. 1, art. 4, terzo comma (artt. 5, 114 e 128 della Costituzione e 14 statuto spec. reg. siciliana). Sentenza 3 novembre 1988, n. 1010, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 2 aprile 1968, n. 482, art: 5 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1088, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 1� dicembre 1970, n. 898, art. 9, secondo comma [modif. dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 7 luglio 1988, n. 777, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge reg. siciliana 23 marzo 1971, n. 7, art. 52, primo comma (artt. 3 e 97 della Costituzione e 14 statuto reg. Sicilia). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1032, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 12, primo comma, e 17, secondo comma (art. 42, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1022, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 50 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1018, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge prov. Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 14 [nel testo modificato dal� l'art. 8 della 1. prov. Bolzano 22 maggio 1978, n. 23], nella parte in cui prevede la notificazione dell'atto di opposizione alla stima alla Provincia di Bolzano (artt. 108, 116, 117 della Costituzione e 4, 8, 9 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 7 luglio 1988, n. 767, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1 e 183 [quali sostituiti ad opera dell'art. 45 legge 103 del 1975] (artt. 3, 15, 21 e 41 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1 e 183 [quali sostituiti ad opera dell'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 21 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, combinato disposto artt. 1, 183 e 195 (artt. 21, primo comma, 41, primo comma, 9, 33 e 34 della Costituzione). Sentenza 14 luglio 1988, n. 826, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 [quale sostituito ad opera dell'art. 45 legge 103 del 1975] (art. 21 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 195, 183, 213, 322, 190, 191 e 218 [i primi due quali sostituiti dall'art. 45 della legge 103 del 1975] (artt. 41 e 43 della Costi� tuzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 12 giugno 1973, n. 349, art. 7, ultimo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). (Sentenza 6 ottobre 1988, n. 958, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge prov. di Trento 30 settembre 1974, n. 26, art. 8 (artt. 4 e 8 dello statuto Trentino-Alto Adige). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1107, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge 20 marzo 1975, n. 70, art. 8 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1988, n. 928, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 17 luglio 1975, n. 355, articolo unico (artt. 3, primo comma, e 21, primo e secondo comma, della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1063, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 26 luglio. 1975, n. 354, art. 22 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1087, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. d.P.R. 4 luglio 1977, n. 436 (artt. 8, n. 4; 9, n. 2; 16, 19 e 68 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 30 giugno 1988, n. 741, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge 11 agosto 1977, n. 675, artt. 4, sesto comma; 5, quinto comma; 22, penul� timo comma; 29, ultimo comma (artt. 8 n. 23, 9 nn. 4 e 5; 15 e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 30 giugno 1988, n. 734, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge 27 dicembre 1977, n. 968, artt. 1, 2 e 11 (artt. 8, nn. 15 e 16 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige e 116 della Costituzione). Sentenza 27 ottobre 1988, n. 1002, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge reg. Abruzzo approvata il 30 dicembre 1977 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 735, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 59 e 60 (artt. 3, 10, 42 e 47 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1028, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge reg. Abruzzo, riapprovata il 22 novembre 1978 (artt. 51, 97 e 117 della Costituzione). Sentenza 27 ottobre 1988, n. 997, G. U. 2 novembTe 1988, n. 44. legge reg. Toscana 13 dicembre 1978, n. 79, art. 1 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 7 luglio 1988, n. 772, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge reg. Piemonte 20 febbraio 1979, n. 6, art. 16 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 7 luglio 1988, n. 772, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge reg. Sicilia 4 gennaio 1980, n. 1, artt. 3 e 32 (art. 14, lett. l, dello statuto reg. Sicilia). Sentenza 27 ottobre 1988, n. 991, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 4, ultimo comma (artt. 3 e 97 della Costi� tuzione). Sentenza 25 ottobre 1988, n. 990, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 1.21 legge 21 febbraio 1980, n. 28, artt. � 12, lett. o) e 4, lett. c) (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 31 marzo 1980, n. 126, artt. 2 e 3 (artt. 8 n. 25, 9 n. 10, 16, primo comma e 18, secondo comma dello statuto prov. Trento e Bolzano). Sentenza 13 ottobre .1988, n. 963, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, artt. 6 e 36, secondo, terzo e quarto co~ (art. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 25 ottobre 1988, n. 990, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36, ottavo comma (art. 36 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, n. 8 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1020, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legjge reg. Veneto 30 aprile 1981, n. 16, art. 8, secondo comma (artt. 1170 primo e secondo comma, e 128 della Costituzione). Sentenza 3 novembre 1988, n. 1012, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. d.l. 6 giugno 1981, n. 283, artt. 11 e 11-ter [conv. in legge 6 agosto 1981, n. 432] (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.l. 6 giugno 1981, n. 283, artt. 11 e 11-ter [conv. in legge 6 agosto 1981, n. 432] (art. 76 della Costituzione). � � Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge reg. Toscana riapprovata il 30 giugno 1981 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 21 luglio 1988, n. 829, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. � legge 15 ottobre 1981, n. 590, (artt. 8, nn. 13, 17, 21, 24; 16, primo comma; 107 e seguenti dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 13 ottobre 1988, n. 965, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 14 novembre 1981, n. 648, art. 3 (artt. 3, lett. p), dello statuto reg. sardo e 4, n. 10, dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 28 luglio 1988, n. 924, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 124 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, art. 13, quarto, quinto e sesto comma [conv. in legge 26 febbraio 1982, n. 51] (artt. 100 e 130 della Costituzione e artt. 15 e 23 dello statuto reg. Sicilia). Sentenza 13 ottobre 1988, n. 961, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge prov. autonoma di Bolzano, riapprovata il 15 gennaio 1982 (artt. 5 e 9, n. 10, dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 3 novembre 1988, n. 1011, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 22 gennaio 1982, n. 6, art. 1 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, artt. 6, 7, 8 e 9 [conv. in legge 25 marzo 1982, n. 94] (art. 3, lett. f) statuto reg. Sardegna e art. 117 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1033, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 25 gennaio 1982, n. 17, art. 4 undicesimo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 19 ottobre 1988, n. 978, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge reg. Friuli-Venezia Giulia, approvata il 16 ottobre 1981 e riapprovata il 1� febbraio 1982 (artt. 117 della Costituzione e 4, n. 4, dello statuto FriuliVenezia Giulia). Sentenza 19 ottobre 1988, n. 976, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge reg. Liguria 17 febbraio 1982, n. 8, art. 4 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 733, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge reg. Puglia 19 marzo 1982, n. 12, art. 77 (art. 117 della 'Costituzione). Sentenza 19 ottobre 1988, n. 979, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge reg. Lombardia 28 giugno 1982, n. 29, art. 2, terzo comma (artt. 3, 4, 5, 97 e 117 della Costituzione). Sentenza 26 luglio 1988, n. 879, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. Lombardia 30 giugno 1982, n. 30, art. 1, secondo comma (artt. 3, 4, 51 e 97 della Costituzione). Sentenza 13 ottobre 1988, n. 964, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 14 agosto 1982, n. 590, art. 34 (art. 33, ultimo comma della CostitU7jone). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1017, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 13 settembre 1982, n. 646, [cosi come sostituito dall'art. 1 della legge 12 ottobre 1982, n. 726] (artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione), Sentenza 9 novembre 1988, n. 1023, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.I. 27 settembre 1982, n. 681, art. 1 [conv. in legge 20 novembre 1982, n. 869] (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.I. 27 settembre 1982, n. 681, art. 1, ultimo comma [conv. in legge 20 novembre 1982, n. 869] (art. 76 della Costituzione). Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 31 dicembre 1982, n. 979, art. 1, ultimo comma (artt. 4, nn. 3, 10, 12 e 5, n. 16, dello statuto spec. reg. Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1031, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 31 dicembre 1982, n. 979, artt. 1, 25, 26, 27, 28 e 31 (artt. 4, nn. 3, 10, 12 e 5, n. 16, dello statuto spec. reg. Friuli-Venezia Giulia). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1031, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 31 dicembre 1982, n. 979, artt. 25, 26, 27, 28 e 31 (artt. 117 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1031, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. cl.I. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 6 [conv. in legge 25 marzo 1983, n. 79] (artt. 3 e 31 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1067, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge reg. Lombardia riapprovata il 19 maggio 1983 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1108, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.I. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, ottavo comma [conv. in legge 11 novem� bre 1983, n. 638] (artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1118, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge prov. Trento 23 novembre 1983, n. 41, art. 7 (artt. 4 e 8 dello statuto Trentino-Alto Adige). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1107, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge 19 dicembre 1983, n. 696, art. 1 (artt. 8, n. 9; 9, n. 8; 15; 16; 78 e 79 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 14 �luglio 1988, n. 7%, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 23, primo comma, lett. b) (art. 117 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 727, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 1.26 "RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 26, primo e secondo comma (art. 117 della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1115, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.l. 17 aprlle 1984, n. 70, art. 2, secondo comma [conv. in legge 12 giugno 1984, n. 219] (artt. 3 e 31 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1067, G. U. 14 dicembre 1988, n. SO. legge 16 maggio 1984, n. 138, art. 5, primo e ultimo comma (art. 3, lett. a) statuto spec. Sardegna). Sentenza 27 ottobre 1988, n. 998, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 2, primo comma, e 12, primo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1116, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge 4 agosto 1984, n. 424, art. 1 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 729, G. U 6 luglio 1988, n. 27. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 4, terzo, quarto, ottavo e tredicesimo eomma (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1089, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge reg. siciliana 10 agosto 1984, n. 46, art. 9 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1988, n. 923, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. siciliana 21 agosto 1984, n. 67, art. 1 (art. 17 dello statuto regionale della Sicilia e artt. 2, 3, 25, secondo comma, e 32, primo comma, della Costituzione). Sentenza 19 ottobre 1988, n. 981, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. d.I. 6 dicembre 1984, n. 807, artt. 3, primo, secondo e terzo comma, e 4, <:omma terzo bis [come conv. in legge 4 febbraio 1985, n. 10] (artt. 3 e 21 della Costituzione). Sentenza 14 luglio 1988, n. 826, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. d.l. 6 dicembre 1984, n. 807, art. 4, comma terzo bis [conv. in legge 4 febbraio 1985, n. 10] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge prov. Trento 28 dicembre 1984, n. 17, art. 2 (artt. 4 e 8 dello statuto Trentino-Alto Adige). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1107, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. ��. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB legge 17. maggio 1985, n. 210, artt. 1, 2, 14, 15, 18, 22 e 25 (artt. 3; 8, nn. 5, 18 e 29; 14; 16; 68 e 107 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 7 luglio 1988, n. 768, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.I. 2 dicembre 1985, n. 688, art. 4 [conv. in legge 31 gennaio 1986, n. 11] (artt. 3, primo comma, 42, 81 e 119 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 742, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. dJ. 6 gennaio 1986, n. 2, art. 1, sesto comma [conv. in legge 7 marzo 1986, n. 60] (artt. 3 e 35 della Costituzione). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1114, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. dJ. 18 giugno 1986, n. 282, artt. 7, primo e terzo comma; 16; 18, primo e terzo comma; 20; 23 [conv. in legge 7 agosto 1986, n. 462] (artt. 2, 8, nn. 1 e 21; 9, n. 10; 16 e 78 dello statuto spec. per il Trentino-Alto Adige). Sentenza 30 giugno 1988, n. 745, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge reg. Marche approvata il 29 luglio 1986 e riapprovata il 2 dicembre 1986 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 30 giugno 1988, n. 746, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. legge reg. Veneto, approvata il 28 febbraio 1986 e riapprovata il 19 dicembre 1986, art. 2 (artt. 97 e 117 della Costituzione). Sentenza 19 ottobre 1988, n. 973, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 28 febbraio 1987, n. 56, art. 5, lett. b) e d) (artt. 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 14 luglio 1988, n. 799, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. legge 3 marzo 1987, n. 61, art. 1, tredicesimo comma (art. 3 della Costi� tuzione). Sentenza 26 luglio 1988, n. 885, G. U. 3 agosto 1988. n. 31. dJ. 4 agosto 1987, n. 326, art. 2, quarto comma, e 3, primo comma [nel testo sost. dalla legge 3 ottobre 1987, n. 403] (artt. 14, lett. q, 17, lett. i, 19 e 36 dello statuto reg. siciliana). Sentenza 6 ottobre 1988, n. 959, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. dJ. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440], nella parte in cui dispone che � le somme dovute a titolo di riliquidazione delle indennit� premio di servizio non danno luogo a rivalutazione monetaria � (artt. 3, 24, 36, 38, 97 e 113 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1060, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. 1.28 RASJSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 30 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (art. 77 della Costituzione). Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1060, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. d.I. 7 settembre 1987, n. 371, artt. 1, lett. b) e c), 2 e 4, commi secondo, terzo, quarto e quinto [come convertito in legge 29 ottobre 1987, n. 449] (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). Sentenza 28 luglio 1988, n. 921, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. d.l. 19 settembre 1987, n. 384, [conv. in legge 19 novembre 1987, n. 470] (artt. 8, primo comma, nn. 5, 9, 10, 13, 18, 20, 21; 9, primo comma, nn. 3, 8, 11; 16, primo comma; 52 e 79 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Sentenza 13 ottobre 1988, n. 966, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.I. 2 febbraio 1988, n. 22, artt. 1, quarto e sesto comma, 2, primo comma, 5, primo comma, 6, primo e secondo comma, 7, terzo comma, e 8, secondo com� ma (artt. 9, n. 11, 16 e da 69 a 86 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1111, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. I d.l. 2 febbraio 1988, n. 22, art. 1, quinto comma (artt. 9, n. 11, 16 e da 69 fil a 86 dello Statuto speciale Trentino-Alto Adige). fil Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1111, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. ' , d.l. 1 aprile 1988, n. 103, art. 1 [conv. in legge 1 giugno 1988, n. 176] (artt. 117, 118, 119, 77 e 97 della Costituzione). ' ! Sentenza 30 novembre 1988, n. 1044, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. fil legge reg. Valle d'Aosta riapprovata il 6 aprile 1988 (artt. 3, 5, 41, 81, 97, primo comma, 120 e 127 della Costituzione e 3 e 51 dello statuto speciale Valle d'Aosta). I Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1066, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. I III � QUESTIONI PROPOSTE II Codice civile, artt. 2086, 2087, 2095, 2099 e 2103 (art. 41 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 18 novembre 1986, n. 370/88, G. U. 14 settem~ bre 1988, n. 37. codice civile, art. 2120, terzo comma (art. 52 della Costituzione). Pretore di Brunico, ordinanza 4 maggio 1988, n. 454, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. codice civile, art. 2909 (artt. 3, 24, 102 e 106 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 9 marzo 1988, n. 418, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. . i ���,,,,,...,,,,,,,,,,,,,.��,,���� PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 129 di!lposizioni attuazione codice civile, artt. 64, 118, 119 e 120 (artt. 3 e 101 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. codice di procedura civile, artt. 44 e 45 (art. 25 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 14 marzo 1988, n. 419, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. codice di procedura civile, art. 103, secondo comma (art. 25 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 14 marzo 1988, n. 419, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. codice di procedura civile, artt. 113, secondo comma e 324 (artt. 3, 24, 102 e 106 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 9 marzo 1988, n. 418, G. U. 28 settembre 1988, n.. 39. codice di procedura civile, art. 131 (artt. 3 e 28 della Costituzione). Tribunale di Biella, ordinanza 10 maggio 1988, n. 327, G.. U. 27 luglio 1988, n. 30. codice di procedura civile, art. 131 [nel comma aggiunto dalla legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 16, secondo e terzo punto] (artt. 3, 97, 101 e 108 della Costi� tuzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 3 maggio 1988, n. 448, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. codice di procedura civile, art. 131, ultimo comma [aggiunto dall'art. 16, secondo comma, della legge 13 aprile 1988, n. 117] (artt. 3, 97, 101 e 1041 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 12 maggio 1988, n. 681, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. Tribunale di Roma, ordinanze (due) 10 e 2 maggio 1988, nn. 721-722, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. Tribunale di Catanzar�, ordinanza 2 maggio 1988, n. 762, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. codice di procedura civile, art. 131, ultimo comma [introdotto dall'art. 16, secondo comma, della legge 13 aprile 1988, n. 117] (artt. 3, 101 e 104 della Costituzione). Tribunale di Catanzaro, ordinanza 2 maggio 1988, n. 350, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. " ��,,,,.11,11�1ra1W111111..,.,,,,.,,��� HO RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO Tribunale di Catanzaro, ordinanze (sette) 4 maggio 1988, nn. 599-605, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. Tribunale di Catanzaro, ordinanze (due) 4 maggio 1988, nn. 635 e 636, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. Tribunale di Catanzaro, ordinanze (tre) 2 maggio 1988, nn. 766-768, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. codice di procedura civile, art. 131, ultimo comma [aggiunto dalla legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 16, secondo comma] (artt. 101 e 104 della Costitu� zione). Tribunale di Roma, ordinanza 4 maggio 1988, n. 326, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. codice di procedura civile, art. 382, primo comma (art. 25 della Costituzione). Corte d'appello di Milano, ordinanza 13 aprile 1988, n. 642, G. U. 23 novem� bre 1988, n. 47. codice di procedura civile, art. 644 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Militello Val di Catania, ordinanza 12 marzo 1988, n. 563, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. codice di procedura civile, art. 650 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Monza, ordinanza 13 aprile 1988, n. 643, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. codice di procedura civile, art. 738, primo comma (artt. 97 e 101 della Costituzione). Giudice relatore del tribunale di Firenze, ordinanza 25 giugno 1988, n. 634, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. codice penale, artt. 9, secondo comma, e 11, secondo comma (artt. 3, 107 e 110 della Costituzione). Tribunale di Padova, ordinanza 23 maggio 1983, n. 668/88, G. U. 30 novem� bre 1988, n. 48. codice penale, art. 157 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 2 maggio 1988, n. 724, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. codice penale, art. 177, primo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di sorveglianza di Genova, ordinanza 27 maggio 1988, n. 739, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. codice penale, art. 266 (art. 3 della Costituzione). Corte d'assise di Roma, ordinanza 10 giugno 1988, n. 451, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Ht codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Sampierdarena, ordinanza 23 giugno 1988, n. 646, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. codice penale, art. 649 (artt. 3 e 31 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 23 febbraio 1988, n. 322, G. U. 27 luglio .1988, n. 30. codice penale, art. 724 (artt. 3, 7 e 8 della Costituzione). Pretore di Monfalcone, ordinanza 18 febbraio 1988, n. 376, G. U. 14 settem� bre 1988, n. 37. codice di procedura penale, art. 28 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 4 giugno 1988, n. 682, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. codice di procedura penale, art. 41-bis (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanza 5 aprile 1988, n. 449, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. codice di procedura penale, artt. 91, 93, 94, 101, 102 e 106 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. codice di procedura penale, art. 261 (art. 13 della Costituzione). Giudice istruttore presso tribunale di Perugia, ordinanza 3 maggio 1988, n. 368, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. codice di procedura penale, art. 272, settimo comma (art. 24 della Costi� tuzione). Corte di cassazione, ordinanza 27 giugno 1988, n. 606, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. codice di procedura penale, art. 387, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costi� tuzione). Corte di cassazione, ordinanza 25 maggio 1988, n. 769, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. codice di procedura penale, art. 399 (artt. 3, 24 e 136 della Costituzione). Sezione istruttoria corte d'appello di Trento, ordinanza 20 maggio 1988, n. 687, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. codice di procedura penale, art. 399, primo comma [come modificato dal� l'art. 11 della legge 31 luglio 1984, n. 400] (art. 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 19 aprile 1988, n. 383, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. 1J2 RASSEGNA D!lLL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di procedura penale, artt. 431 e 432 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Montebelluna, ordinanza 3 maggio 1988, n. 336, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. codice di procedura penale, art. 513, n. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 29 marzo 1988, n. 738, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. codice di procedura penale, art. 532, 533, 534 e 536 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. codice penale militare di pace, art. 90 (artt. 3 e 27, terzo comma della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 27 aprile 1988, n. 335, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. codice penale militare, art. 170 (artt. 2, 3, 13 e 52 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 17 marzo 1988, n. 303, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. r.d. 23 dicembre 1865, n. 2701, art. 103 (artt. 3 e 42 della Costituzione}. Tribunale di Bologna, ordinanze (tre) 16 giugno 1986, nn. 617-619/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. r.d. 21 febbraio 1895, n. 70, art. 123 [modificato dalla legge 19 n. 135] (artt. 2 e 3 della Costituizone). Corte dei conti, ordinanza 5 giugno 1985, n. 301/88, G. U. 13 n. 28. r.d. 17 agosto 1907, n. 642, art. 26 (artt. 3 e 24 della Costituzione1. aprile 1906, luglio 1988, Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta, ordinanza 29 gennaio 1988, n. 436, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. r.d.l. 3 dicembre 1922, n. 1584, artt. 10 e 14 (art. 5 della Costituztone7. Tribunale di Aosta, ordinanza 5 maggio 1988, n. 31. r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, art. 29, ultimo Costituzione). Pretore di Palestrina, ordinanza 19 luglio 1988, n. 49. n. 347, G. U. 3 agosto 1988, comma (artt. 2, 3 e 24 della n. 712, G. U. 7 dicembre 1988, I I ~ I ~ Ii ! i ~ PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 1H r.d. 26 giugnQ 1924, n. 1054, art. 44, primQ comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta, ordinanza 29 gennaio 1988, n. 436, G. U. 12 ottobre 1988, ~� 41. r.d. 28 agosto 1924, n. 1422, art. 80, terzo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanza 21 ottobre 1988, n. 743, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. d.P.R. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 6 (art. 24 della Costituzione). Pretore di Vercelli, ordinanza 5 febbraio 1988, n. 433, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. t.u.Lc.p. 3 marzo 1934, n. 383, art. 247, terzo comma (artt. 3, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 13 novembre 1987, n. 399/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 254 (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanza 27 maggio 1988, n. 568, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. r.d. 3 marzo 1934, 'n. 383, art. 254 (artt. 3, 24, 28, 97 e 103 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 5 maggio 1987, n. 465/88, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. r.dl. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9, primo comma (art. 25 della Cost�tuzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 10 maggio 1988, n. 351, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. r.d.I. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 28 [conv. in legge 6 aprile 1936, n. 1155] (artt. 3 e 29 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 11 giugno 1988, n. 675, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, artt. 34, primo e secondo comma, e 38 (art. 106 della Costituzione). Pretore di Gravina in Puglia, ordinanze (sette) 28 luglio, 4, 12, 13, 25, 28 agosto 1988, nn. 660-666; G. U. 30 novembre 1988, n. 48. r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 48 (artt. 97 e 101 della Costituzione). Giudice relatore del tribunale di Firenze, ordinanza 25 giugno 1988, n. 634, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 21 114 ' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 1 (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 maggio 1988, n. 304, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 5 maggio 1988, nn. 331 e 332, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. Tribunale mHitare di Padova, ordinanze (otto) 3 e 5 maggio 1988, nn. 337-344, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 1 (artt. 3, 13, 28, 97, 105, 107 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 maggio 1988, n. 333, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. Tribunale militare di Padova, ordinanze (tre) 17 maggio 1988, nn. 386-388, G. U. 31 agosto 1988, n. 35. Tribunale militare di Padova, ordinanze (quattro) 19 maggio 1988, nn. 389-392, G. U. 7 settembre 1988, n. 36. Tribunale militare di Padova, ordinanze (trentaquattro) 26 maggio 1988, nn. 515-548, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 1, primo comma, n. 1 (artt. 101, 103 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (diciassette) 24 maggio 1988, nn. 479-495, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (sedici) 22 giugno 1988, nn. 496-511, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (quattro) 22 giugno 1988, nn. 571-574, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 726, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 758, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 1, primo comma, n. 1, 3 e 25 (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunale militare di Padova, ordinanza 30 giugno 1988, n. 595, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, artt. 3 e 25 (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della Costituzione). Giudice istruttore presso tribunale militare di Padova, ordinanze (quindici) 17 giugno 1988, nn. 580-594, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. Giudice istruttore presso tribunale militare di Padova, ordinanza 20 giugno 1988, n. 658, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB HJ r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 54 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 5 luglio 1988, n. 720, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 54, terzo comma, e 55, primo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale di Monza, ordinanza 18 febbraio 1988, n. 452, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 55, �primo comma, e 54, terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale di Savona, ordinanza 5 maggio 1988, n. 550, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 101, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 27 gennaio 1988, n. 329, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 236, cpv, n. 1 (art. .3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 11 aprile 1988, n. 560, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. d.l.C.p.S. 13 settembre 1946, n. 233, art. 21 [ratificato con legge 17 aprllej 1956, n. 561] (artt. 3, 23 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 20 giugno 1988, n. 667, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. di. 4 marzo 1948, n. 137, art. 11 (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 1� luglio 1987, n. 562/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 9, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Corte d'appello di Torino, ordinanza 8 aprile 1988, n. 445, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. . d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, artt. 1 e 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 19 gennaio 1988, n. 514, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, artt. 1 e 2, primo comma, n. 3 (art. 3 dell~ Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 27 febbraio 1988, n. 367, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. :116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 2, primo comma, n. 3 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Taranto, ordinanza 16 febbraio 1988, n. 409, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 4, n. 1 , (art. 3 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 1� aprile 1987, n. 352/88, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. Sicilia 20 marzo 1951, n. 29, art. 10, primo comma, n. 4, e ultima comma (art. 51 della Costituzione). Corte d'appello di Palermo, ordinanza 24 giugno 1988, n. 477, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. legge 23 febbraio 1952, n. 92, art. 2 (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). Pretore di .Roma, ordinanza 1� luglio 1987, n. 562/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 10, quinto comma (artt. 3 e 38 della Costitu� zione). Pretore di Messina, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 442/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 29, terzo comma (artt. 3 e 47 della Costituzione). Giudice conciliatore di Ferrara, ordinanza 20 luglio 1988, n. 638, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 2 luglio 1952, n. 703, art. 47, ultimo comma (art. 108 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 3 marzo 1988, n. 607, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27 (artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 dicembre 1987, n. 398/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 13 novembre 1987, n. 399/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 27 dicembre 1953, n. 968, art. 52, primo comma (artt. 3 e 35, quarto comma, della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 23 maggio 1988, n. 678, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 117 legge 12 novembre 1955, n. 1137, art. 26 (artt. 3, 52, 97 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 16 marzo 1988, n. 473, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 della Costi. tuzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 dicembre 1987, n. 398/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 2 maggio 1988, n. 724, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 2 luglio 1957, n. 474, art. 13, primo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Pretore di Cividale del Friuli, ordinanza 4 ottobre 1988, n. 752, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. 11 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 15 aprile 1987, n. 371/88, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. 12, sesto comma (artt. 2 e 3 della Costi� tuzione). Corte dei Conti, ordinanza 5 giugno 1985, n. 301/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 20 febbraio 1958, n. 93, art. 2 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Tribunale di Enna, ordinanza 5 aprile 1985, n. 719/88, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 9-bis, terzo comma (artt. 3 e 51 della Costituzione). Tribunale di Lecce, ordinanza 10 ottobre 1988, n. 729, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. decreto presid. reg. Sicilia 20 agosto 1960, n. 3, art. 5, n. 3 (artt. 3 e 51 della Costituzione). Tribunale di Trapani, ordinanza 14 novembre 1985, n. 393/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. decreto presid. reg. Sicilia 20 agosto 1960, n. 3, art. S, nn. 3 e 7 (artt. 3 e 51 della Costituzione). Tribunale di Catania, ordinanze (tre) 26 aprile e 8 novembre 1985, nn. 402404/ 88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. .��::/ .. ���*�:: - H8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 483 (art. 76 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 23 giugno 1988, n. 611, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 442/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 9, ultimo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). � Pretore di Messina, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 442/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 12 agosto 1962, n. 1339, art. 1 (artt. 3 e 38 della Costituzfone). Pretore di Milano, ordinanza 15 marzo 1988, n. 349, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 12 agosto 1962, n. 1339, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 2 settembre 1988, n. 576, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. Pretore di Siena, ordinanze (due) 30 settembre 1988, nn. 735 e 736, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 24 (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 4 novembre 1987, n. 615/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Lucca, ordinanza 2 febbraio 1988, n. 413, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. Pretore di Siena, ordinanze (due) 2 settembre 1988, nn. 576 e 598, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. Pretore di Modena, ordinanze (tre) 30 maggio 1988, nn. 696-698, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 1 e 4 (artt. 3, 35 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 27 gennaio 1988, n. 417, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 80 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Vigevano, ordinanza 26 febbraio 1988, n. 672, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 13 luglio 1965, n. 836, art. 5 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Bologna, ordinanze (tre) 16 giugno 1986, nn. 617.{)19/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. PARTB II, RASSEGNA DI LBGISLAZIONB 1J9 legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Siena, ordinanza 30 settembre 1988, n. 734, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 23 dicembre 1966, n. 1147, art. S (artt. 3 e 51 della Costituzione). Tribunale di Lecce, ordinanza 10 ottobre 1988, n. 729, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 3 maggio 1967, n. 315, art. 26 (art. 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 11 dicembre 1987, n. 711/88, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 10, primo comma (artt. 2, 3 e 4 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 17 giugno 1988, n. 731, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 10, primo comma, e 16, quarto comma (artt. 2, 3 e 4 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 1� marzo 1988, n. 631, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. Pretore di Bologna, ordinanza 5 aprile 1988, n. 654, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 18, primo e secondo comma (artt. 3 e 38 della� Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 9 febbraio 1988, n. 655, G. U. 23 novembre 1988, n. 47.. legge 5 novembre 1968, n. 1115, art. 2 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanze (due) 18 gennaio 1988, nn. 608-609, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 69 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 10 febbraio 1988, n. 297, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. Pretore di Roma, ordinanza 10 gennaio 1988, n. 297, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 24 maggio 1970, n. 336, art. 4 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione). Pretore di Ascoli Piceno, ordinanza 16 luglio 1987, n. 745/88, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 10 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies (artt. 3 e 25 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 12 luglio 1988, n. 763, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 30 marzo 1971, n. 118, art. 12, ultimo comma (artt. 3, 24 e 38 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanze (nove) 28 marzo, 29 febbraio e 19 maggio 1988, nn. 699-707, G. il. 30 novembre 1988, n. 48. legge 13 aprile 1971, n. 114, artt. 4, 5, primo comma, 17 e 20 (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Foggia, ordinanza 17 febbraio 1988, n. 305, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 9 ottobre 1971, n. 82, art. 6 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione). Pretore di Ascoli Piceno, ordinanza 16 luglio 1987, n. 745/88, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 11 novembre 1971, n. 1046, art. 2, secondo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Vercelli, ordinanza 8 giugno 1988, n. 558, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432, art. 10 (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Torino, ordinanza 6 luglio 1988, n. 685, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 8 agosto 1972, n. 464, art; 1 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanze (due) 18 gennaio 1988, nn. 608-609, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 4, lett. e) (artt. 11 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Pinerolo, ordinanze (due) 22 settembre 1986, nn. 430 e 431/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 4, lett. e), tar. ali. A (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 4 marzo 1987, n. 375/88, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 80, secondo comma (artt. 3 e 47 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 6 maggio 1986, n. 302/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 23 marzo 1988, n. 645, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 2, secondo comma (artt. 3 e 76 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 26 ottobre 1987, n. 364/88, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 2, settimo e ottavo comma (artt. 76, 77, 108 e 110 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 21 dicembre 1987, n. 355/88, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 13 e 13-bis (artt. 108 e 110 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 21 dicembre 1987, n. 355/88, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 20, terzo comma e 28, primo comma (artt. 3 e 108 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 21 marzo 1988, n. 356, G. U. 3 agosto 1988, n. 31, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35, quinto comma (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 12 ottobre 1987, n. 561/88, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39, primo comma (art. 101 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 21 marzo 1988, n. 357, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, artt. 6 e 55 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Messina, ordinanza 9 maggio 1988, n. 765, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 39 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Catania, ordinanza 28 ottobre 1985, n. 421/88, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 3, 6, 14 e 15 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 2 novembre 1987, n. 597/88, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23, primo comma (art. 76 della Costituzione). Commissione tributaria centrale di Roma, ordinanza 7 novembre 1985, n. 298/88, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. (art. 3 della Costitu� 30 marzo 1988, n. 366, (art. 3 della Costitu� 30 marzo 1988, n. 366, , .X . @ ~-x 1.42 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 5, primo comma zione). Giudice istruttore Tribunale di Rimini, ordinanza G. U. 14 settembre 1988, n. 37. legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 8, secondo, terzo e ultim!> comma (artt. 2, 3, 13, 25, 27 e 103 della Costituzione). Tribunale militare di Napoli, ordinanze (otto) 5 maggio 1988, nn. 459, 466-472, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. legge 23 gennaio 1973, n. 43, art. 301 (artt. 3, 24 e 42 della Costituzione). Corte d'appello di Salerno, ordinanza 29 aprile 1988, n. 306, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 74 (art. 81 della Costituzione). Pretore di Castelfranco Veneto, ordinanza 24 maggio 1988, n. 621, G. U. �16 novembre 1988, n. 46. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 195 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Sannicandro Garganico, ordinanza 5 febbra�o 1988, n. 330, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 (artt. 25 e 76 della Costituzione). Pretore S. Vito al Tagliamento, ordinanza 23 giugno 1988, n. 649, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195, n. 2 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Cavalese, ordinanza 2 giugno 1988, n. 657, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.I. 24 luglio 1973, n. 426, art. 1, quarto comma [conv. in legge 4 agosto 1973, n. 495] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Padova, ordin�nza 29 ottobre 1985, n. 624/88, G. U. 16 novembre ~a~ , d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10 (artt. 3, 42 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria centrale di Roma, ordinanza 3 dicembre 1987, n. 295/88, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 10 e 15 (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Foggia, ordinanza 17 febbraio 1988, n. 305, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 14; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 4, terzo comma (artt. 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 15 dicembre 1987, n. 674/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis (art. 24 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Napoli, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 623/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 46, primo comma (art. 3 della Costi� tuzione). Commissione tributaria di primo grado di Lecce, ordinanza 1 dicembre 1987, n. 620, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47, in relazione agli artt. 9, ultimo comma, e 12 dello stesso decreto (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Mantova, ordinanza 25 maggio 1988, n. 626, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Pistoia, ordinanza 9 febbraio 1988, n. 288, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. Tribunale di Pistoia, ordinanza 20 settembre 1988, n. 730, G. U. 14 dicem� bre 1988, n. 50. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma (art. 112 della Costituzione). ' Giudice istruttore presso tribunale di Bologna, ordinanza 7 marzo 1988, n. 374, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 32, secondo comma (artt. 3 e 47 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 6 maggio 1986, n. 302/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria" di primo grado di Savona, ordinanze (tre) 5 giugno 1979, nn. 748-750/88, G; U. 21 dicembre 1988, n. 51. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 44-bis [introdotto dalla legge 31 maggio 1977, n. 247, art. 3] (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 8 marzo 1988, n. 412, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. 144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 52 (artt. 3 e 24 della Costituzione). I I Pretore di Francavilla Fontana, ordinanza 3 maggio 1988, n. 474, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 54 (art. 24 della Costituzione). :: Pretore di Vercelli, ordinanza 5 febbraio 1988, n. 433, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92, primo comma (artt. 3, 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Pesaro, ordinanza 4 marzo 1988, n. 613, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 10 dicembre 1973, n. 804, art. 7 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 11 aprile 1988, n. 708, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. combinato disposto legge 14 dicembre 1973, n. 829, art. 14 e legge 17 mag� gio 1985, n. 210 art. 21, quarto comma (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 13 giugno 1988, n. 610, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 14 dicembre 1973, n. 829, artt. 14, 15, 16 e 36 (art. 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 3 maggio 1988, n. 679, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 14 dicembre 1973, n. 829, art. 44, terzo comma (art. 3 della 'Costitu� zione). Pretore di Bologna, ordinanza 31 marzo 1988, n. 648, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 13, primo comma (art. 3 della Costi� tuzione). Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, ordinanza 22 aprile 1980, n. 411/88, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. d~P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 83 (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 5 giugno 1985, n. 301/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 83 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 15 aprile 1987, n. 371/88, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, artt. 4 e 124 (artt. 3, 36, 76 e 97 della Costi� tuzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 21 marzo 1988, n. 549; G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. PARm II, RASSEGNA DI LEGISIAZIONB legge 20 marzo 1975, n. 70, art. 13 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 12 febbraio 1987, n. 348/88, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 20 maggio 1975, n. 164, art. 20 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanze (due) 18 gennaio 1988, nn. 608-609, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale . di sorveglianza di Torino, ordinanza 30 maggio 1988, n. 710, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54, primo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). Tribunale di sorveglianza di Torino, ordinanza 18 aprile 1988, n. 559, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amrn'.inistrativo regionale del Lazio, ordinanze (due) 24 giugno 1987, n. 461 e 462/88, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9 (artt. 3, 36, 42 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 29 ottobre 1986, n. 381/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 maggio 1986, n. 555/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, terzo comma (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Foggia, ordinanza 17 febbraio 1988, n. 305, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 17, ultimo comma (artt. 3, 24, 29 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Terni, ordinanza 9 marzo 1985, n. 628/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 17, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Terni, ordinanza 28 settembre 1987, n. 627/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.l. 4 maggio 1977, n. 187, art. 5, secondo comma [conv. in legge 11 luglio 1977, n. 395] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Catania, ordinanza 1� luglio 1988, n. 641, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. � � .X w:: ,� .� ,,;' m :X, ..� . . *. X X - . �~ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1.46 legge 8 agosto 1977, n. 532, artt. 6 e 7 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 12 agosto 1977, n. 675, art. 2 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanze (due) 18 gennaio 1988, nn. 608-609, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 4, primo comma, (artt. 3, 4, 37 e 38 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 28 maggio 1987, �n. 637/88, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12, secondo comma (artt. 24 e 30 della Costituzione). Giudice tutelare presso la pretura di La Spezia, ordinanza 26 novembre 1987, n. 372/88, G. U. 14 novembre 1988, n. 37. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 6, primo comma (artt. 2. e 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 24 maggio 1988, n. 718!) G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 12 e 14 (artt. 41 e 42 della Costituzione). Pretore di Acireale, ordinanza 16 marzo 1988, n. 300, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. Pretore di Acireale, ordinanza 27 �aprile 1988, n. 420, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, ultimo comma [come sost. dal dJ. 9 dicembre 1986, n. 832, art. 1, conv. in legge 6 febbraio 1987, n. 15] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 30 giugno 1988, n. 747, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 1! (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Piacenza, ordinanza 12 gennaio 1988, n. 307, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 5 agosto 1978, n. 457, art. 35 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 27 febbraio 1988, n. 647, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 5 agosto 1978, n. 457, art. 35, lett. a) (artt. 3 e 53 della Costituzione). Pretore di La Spezia, ordinanza 19 maggio 1988, n. 513, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, artt. 62, primo comma, e 64, secondo comma (artt. 2 e 3 della Costituzione). Corte dei conti, ordinanza 5 giugno 1985, n. 301/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. legge 11 gennaio 1979, n. 12, art. 40 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Treviso, ordinanza 17 marzo 1988, n. 353, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. Sardegna 5 luglio 1979, n. 59, artt. 4 e 5 (art. 27 statuto spec. reg. Sardegna). Pretore di Alghero, ordinanza 20 aprile 1988, n. 553, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. d.P.R. 27 settembre 1979, n. 506, art. 2 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 15 dicembre 1987, n. 674/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, allegato 2 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Veneto, ordinanza 28 gennaio 1988, n. 299, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 29, primo, secondo e terzo comma (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 19 ottobre 1987, n. 435/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 2 [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 13 ottobre 1987, n. 728/88, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 7, ottavo comma, lett. g) (art. 3 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanza 5 giugno 1987, n. 379/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 12, primo comma, lett. o) (art. 76 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Veneto, ordinanza 14 gennaio 1988, n. 354, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 2, secondo comma (art. 38 della Costituzione). Tribunale di Siena, ordinanza 7 settembre 1988, n. 759, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 31 marzo 1988, n. 648, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 162 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 1� luglio 1987, n. 294/88, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 (artt. 3, 35 e 97 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 23 marzo 1988, n. 569, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36 (artt. 76 e 77 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Veneto, ordinanza 14 gennaio 1988, n. 354, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 58, primo comma, lett. b) (art. 3 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanza 5 giugno 1987, n. 379/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 10, terzo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 9 giugno 1988, n. 677, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 17, 18 e 23 (artt. 3, 24 e 53 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanza 1� agosto 1988, n. 676, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 10 aprile 1981, n. 151, art. 4, ultimo comma (artt. 3, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione). � Corte d'appello di Milano, ordinanza 12 luglio 1988, n. 733, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 23 aprile 1981, n. 155, art. 19 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 4 maggio 1988, n. 362, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. legge 7 maggio 1981, n. 180, artt. 1 cpv. 2, primo e secondo comma (artt. 101, 103 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di � La Spezia, ordinanze (diciassette) 24 maggio 1988, nn. 479-495, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (sedici) 22 giugno 1988, nn. 496-511, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (quattro) 22 giugno 1988, nn. 571574, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 726, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 758, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 7 maggio 1981, n. 180, artt. 1, primo comma, e 5, ultimo comma (art. 108 della Costituzione). Procuratore militare della repubblica di Cagliari, ordinanza 10 giugno 1988, n. 401, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2 (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 maggio 1988, n. 304, .G. U. 13 luglio 1988, n. 28. Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 5 maggio 1988, n. 331 e 332, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. Tribunale militare di Padova, ordinanze (otto) 3 e 5 maggio 1988, nn. 337-344, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2 (artt. 3, 13, 28, 97, 101, 105, 107 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanze (tre) 17 maggio 1988, nn. 386-388, G. U. 31 agosto 1988, n. 35. Tribunale militare di Padova, ordinanze (quattro) 19 maggio 1988, nn 389-392, G. U. 7 settembre 1988, n. 36. Tribunale militare di Padova, ordinanze (trentaquattro) 26 maggio 1988, nn. 515-548, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2 (artt. 3. 13, 28, 97, 105, 107 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 maggio 1988, n. 333, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2, secondo comma, n. 3 (artt. 3, 101 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 27 aprile 1988, nn. 334 e 335, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 7 maggio 1981, n. 180, art. S, ultimo comma (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della Costituzione). Giudice istruttore presso il tribunale militare di Padova, ordinanza 30 giugno 1988, n. 595, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. ifO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO d.L 6 giugno 1981, n. 283, art. 17, terzo comma [conv. In legge 6 agosto 1981, n. 432] (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 15 gennaio i 1987, n. 625/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. dJ. 29 luglio 1981, n. 402, art. 13, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). I Pretore di Piacenza, ordinanza 3 giugno 1988, n. 632, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 23 marzo 1988, n. 645, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 22 aprile 1982, n. 168, art. 3 (artt. 3 e 45 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Lecce, ordinanza 19 febbraio 1988, n. 753, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 20 maggio 1982, n. 270, artt. 34 e 57 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 26 ottobre 1987, n. 725/88, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 76 (artt. 3, 35 e 97 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, ordinanza 5 novembre 1986, n. 671/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 1 (art. 52 della Costituzione). Pretore di Brunico, ordinanza 4 maggio 1988, n. 454, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, ottavo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). ( Pretore di Torino, ordinanza 6 luglio 1988, n. 685, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, tredicesimo comma (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale d� Torino, ordinanza 4 maggio 1988, n. 362, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. legge 29 maggio 1982, n. 297, artt. 4 e 5 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 6 febbraio 1986, n. 443/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 2, 3, 24 e 53 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bergamo, ordinanza 2 novembre 1987, n. 434/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, primo comma [conv. in legge 7 agosto� 1982, n. 516] (artt. 2, 3 e 25 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Mantova, ordinanze (due) 3 ottobre 1986, nn. 384 e 385/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. cl.I. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, primo comma [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Fermo, ordinanza 13 febbraio 1987, n. 432/88, G. U 12 ottobre 1988, n. 41. Commissione tributaria di primo grado di Taranto, ordinanze (quattro) 24 giugno 1987, nn. 564-567/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. dl. 10 luglio 1982, n. 429, art. 26 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 3 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Catania, ordinanza 23 febbraio 1988, n. 378, G. U. 31 agosto 1988, n. 35. d.I. 10 luglio 1982, n. 429, art. 26, primo comma [come conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] (artt. 3 e _97 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Palermo, ordinanze (quattro) 28 maggio 1987, nn. 424427/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 2, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Teramo, ordinanza 7 aprile 1988, n. 423, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, n. 7 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale di Verbania, ordinanza 26 aprile 1988, n. 346, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. Tribunale di Verbania, ordinanze (due) 13 maggio 1988, nn. 457 e 458, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. Tribunale di Foggia, ordinanza 7 giugno 1988, n. 475, G.U. 19 ottobre 1988, n. 42. Tribunale di Monza, ordinanza 29 giugno 1988, n. 556, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. Sezione istruttoria della Corte d'appello di Venezia, ordinanza 2 maggio 1988, n. 614, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. Tribunale di Genova, ordinanza 14 giugno 1988, n. 686, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. Tribunale di Verbania, ordinanza 22 luglio 1988, n. 740, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. RASSEGNA DEll'AVVOCATURA DELLO STATO Tribunale di Salerno, ordinanza 5 ottobre 1988, n. 742, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. Tribunale di Lodi, ordinanza 22 settembre 1988, n. 746, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, n. 7 (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 11 aprile 1988, n. 394, G. U. 7 settembre 1988, n. 36. Tribunale di Torino, ordinanza 11 aprile 1988, n. 395, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. Tribunale di Torino, ordinanze (otto) 18 e 29 aprile, 24 giugno e 7 luglio 1988, nn. 688-695, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. Tribunale di Torino, ordinanze (quattro) 7 luglio 1988, nn. 754-757, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, primo comma, n. 7 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale di Alba, ordinanza 22 aprile 1988, n. 440, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. Corte d'appello di Torino, ordinanza 1� giugno 1988, n. 441, G. U. 12 ottobre 1988, Il. 41. Tribunale di Mondov�, ordinanze (due) 26 maggio 1988, nn. 463464, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. Tribunale di Livorno, ordinanza 6 maggio 1988, n. 551, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. Tribunale di Trieste, ordinanza 3 maggio 1988, n. 570, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. Tribunale di Isernia, ordinanza 11 maggio 1988, n. 616, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. Corte d'appello di Torino, ordinanza 16 maggio 1988, n. 446, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. Corte di cassazione, ordinanza 12 febbraio 1988, n. 683, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. Tribunale di Isernia, ordinanze (due) 21 settembre 1988, nn. 714 e 715, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. Tribunale di Isernia, ordinanza 25 maggio 1988, n. 761, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, primo comma, n. 7 (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Vicenza, ordinanza 18 aprile 1988, n. 363, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. Tribunale di Lanusei, ordinanza 23 settembre 1988, n. 717, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 31 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Caserta, ordinanza 2 dicem� bre 1987, n. 554/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. I ! I I I PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE tJJ d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 25, primo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Castelfiorentino, ordinanza 13 aprile 1988, n. 640, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [conv. in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3, 23 e 24 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 23 febbraio 1988, n. 723, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [conv. in legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 12 aprile 1988, n. 716, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 20 novembre 1982, n. 890, art. 7 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Morbegno, ordinanza 21 marzo 1988, n. 439, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, ten:o comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Gallipoli, ordinanza 8 giugno 1988, n. 653, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 24, quinto comma [conv. in legge 26 aprile 1983, n. 131] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Pinerolo, ordinanza 13 maggio 1988, n. 737, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 26 man:o 1983, n. 84, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3 e 10 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 7 luglio 1988, n. 673, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.I. 12 settembre 1983, n. 463, art. 5, sesto comma [conv. in legge 11 novem� bre i983, n. 638] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Lecce, ordinanza 19 marzo 1988, n. 437, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 12 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Pinerolo, ordinanza 13 maggio 1988, n. 737, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge reg. Emilia-Romagna 14 man:o 1984, n. 12, artt. 19, secondo e terzo comma, e 23, primo comma, lett. d) (art. 3 della Costituzione). Pretore di Bologna, ordinanza 9 novembre 1987, n. 612/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 1J4 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO I legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 26, primo e secondo comma (artt. 117 della Costituzione). Pretore di Ferrara, ordinanze (quattro) 26 aprile 1988, nn. 405-408, G. U. I 21 settembre 1988, n. 38. I legge 9 maggio 1984, n. 118 (artt. 3, 41 e 53 della Costitlizione). Pretore di Ascoli Piceno, ordinanza 16 luglio 1987, n. 745/88, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 16 luglio 1984, n. 326, artt. 1 e 19 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Tribunale amm~nistrativo regionale per la Toscana, ordinanza 15 ottobre 1986, n. 669/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 16 luglio 1984, n. 326, art. 3, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, ordinanza 5 febbraio 1987, n. 670/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48: r legge 6 agosto 1984, n. 425, artt. 1, secondo comma, e 8 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 27 aprile 1988, n. 596, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 4 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Consiglio di Stato, ordinanza 26 gennaio 1988, n. 345, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge reg. Liguria 27 agosto 1984, n. 44, art. 27, secondo, quinto, sesto, decimo e sedicesimo comma (artt. 3, 35, 36, 51, 97 e 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 9 aprile 1987, n. 512/88, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 13 e 22 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Sorrento, ordinanza 21 aprile 1988, n. 456, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. Pretore di Sorrento, ordinanza 18 luglio 1988, n. 732, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 22 (art. 112 della Costituzione). Pretore di Avola, ordinanza 29 giugno 1988, n. 293, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. Pretore di Avola, ordinanza 11 marzo 1988, n. 428, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. PARm lI, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB 1.JJ legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 34, 35,, 38 e 44 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trentola, ordinanza 30 giugno 1988, n. 633, G. U. 23 novem� bre 1988, n. 47. legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. da 31 a 44 (artt. 3, 77 e 128 della Costi� tuzione). Pretore di Pietrasanta, ordinanza 29 giugno 1987, n. 397/88, G. U. 21 settem� bre 1988, n. 38. . legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 38, primo comma (art. 112 della Costi� tuzione). Pretore di Cagliari, ordinanza 13 ottobre 1988, n. 764, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 4o (art. 3 della Costituzione). Pretore di Capri, ordinanza 9 maggio 1988, n. 652, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 25 marzo 1985, n. 121, art. 5, lett. b), n. 2, prob. add. (artt. 2, 3 e 19 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 30 marzo 1987, n. 575/88, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. legge 25 marzo 1985, n. 121, art. 9, punto 2 (artt. 2, 3 e 19 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 30 marzo 1987, n. 575/88, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. , legge 15 aprile 1985, n. 140, art. 6, n. 1 (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 1� luglio 1987, n. 562/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 15 aprile 1985, n. 140, art. 6, secondo comma (art. 3 della Costituzione), Pretore di Torino, ordinanze (due) 1� giugno 1988, nn. 577 e 578, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 15 aprile 1985, n. 140, art. 9 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 4 maggio 1988, n. 362, G.U. 14 settembre 1988, n. 37. d.l. 23 aprile 1985, n. 146, art. 8-quater [convertito in legge 21 giugno 1985, n. 288] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Avola, ordinanza 11 marzo 1988, n. 429, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. Pretore di Sortino, ordinanza 18 aprile 1988, n. 438, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 156 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 17 maggio 1985, n. 210, art. 23 (artt. 3 e 25 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 19 febbraio 1987, n. 325/88, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. legge 21 giugno 1985, n. 298, art. 8-quater (art. 3 della Costituzione). Pretore di Sorrento, ordinanza 21 aprile 1988, n. 456, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. Pretore di Sorrento, ordinanza 18 luglio 1988, n. 732, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 24 luglio 1985, n. 409, artt. 4, 5 e 20 (artt. 3, 4 e 33 della Costituzione). Tribunale di Verona, ordinanza 10 luglio 1987, n. 365/88, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 8 agosto 1985, n. 443, art. 13, sesto comma (artt. 3, 38 e 116 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanza 13 settembre 1988, n. 727, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. legge 26 settembre 1985, n. 482, artt. 2 e 4 (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Bergamo, ordinanza 26 aprile 1988, n. 639, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 26 settembre 1985, n. 482, artt. 2 e 4, primo e quarto comma (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 16 giugno 1988, n. 644, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 26 settembre 1985, n. 482, artt. 2 e 4, primo e quarto comma (art. 53 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 25 marzo 1988, n. 328, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. d.l. 30 dicembre 1985, n. 789, art. 25 [sost. dal d.l. 28 febbraio 1986, n. 47, art. 26] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Pinerolo, ordinanza 13 maggio 1988, n. 737, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 14 dicembre 1987, n. 416/88, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo, nono, decimo, tredicesimo e quattordicesimo comma (artt. 3 e 53, primo comma della Costituzione). Pretore di Lodi, ordinanza 6 luglio 1987, n. 369/88, G. U. 24 agosto 1988, n. 34. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 1.f7 legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo, decimo, tredicesimo e quattordicesimo comma (artt. 3, 53 e 81 della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 17 marzo 1987, n. 444/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, decimo, tredicesimo e quattordicesimo comma (art. 53, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Lodi, ordinanza 6 luglio 1987, n. 369/88, G. U. 24 agosto 1988, n. 34. legge 5 dicembre 1986, n. 856, art. 3, quarto comma, in relazione al secondo comma (artt. 3, 4, 35 e 37 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 15 aprile 1988, n. 629, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, art. 1 [conv. in legge 6 febbraio 1987, n. 15] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Rimini, ordinanze (due) 17 marzo e 27 gennaio 1988, nn. 323 e 324, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. Pretore di Rimini, ordinal'!-za 14 aprile 1988, n. 380, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. Pretore di Rimini, ordinanza 14 aprile 1988, n. 476, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, art. 1 [conv. in legge 6 febbraio 1987, n. 15] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Rimini, ordinanza 22 giugno 1988, n. 659, G. �. 30 novembre 1988, n. 48. legge 13 dicembre 1986, n. 912, art. 1, primo comma (artt. 3, 24 e 38 della Costituzione). Pretore di Modena, ordinanze (nove) 28 marzo, 29 febbraio e 19 maggio 1988, nn. 699-707, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 17 dicembre 1986, n. 880, art. 11 (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Commissione tributaria di secondo grado di Novara, ordinanza 18 aprile 1988, n. 447, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 17, primo comma (artt. 3, 38 e 53 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 16 giugno 1988, n. 644, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. legge 6 febbraio 1987, n. 15, art. 1 (artt. 3 e 42 della Costituzione). Pretore di Ailbano Laziale, ordinanza 24 agosto 1988, n. 741, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. 1f8 ' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 18 febbraio 1987, n. 34, art. 3 (artt. 79 e 87 della Costituzione). Tribunale di Teramo, ordinanza 27 febbraio 1988, n. 410, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 28 febbraio 1987, n. 56, art. 21, settimo comma (art. 3 della Costituzione). Pretore di Milano, ordinanza 19 marzo 1988, n. 377, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 6 marzo 1987, n. 74, art. 23 (artt. 3 e 29 della Costituzione). Pretore di Venezia, ordinanza 11 giugno 1988, n. 675, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.P.R. .13 aprile 1987, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Salerno, ordinanza 10 dicembre 1987, n. 373/88, G. U. 24 agosto 1988, n. 34. Pretore di Salerno, ordinanze (due) 1� marzo 1988, nn. 650 e 651, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (artt., 3 24 e 113 della Costituzione). Pretore di Bari, ordinanza 6 giugno 1988, n. 630, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Tribunale di Pistoia, ordinanze (quattordici) 13 gennaio 1988, nn. 308-321, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. Tribunale di Pistoia, ordinanza 13 gennaio 1988, n. 455, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Firenze, ordinanza 23 novembre 1987, n. 296/88, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. d.l. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23 quarto comma [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (art. 3 della Costituzione). Corte di Cassazione, ordinanza 8 aprile 1988, n. 770, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. d.l. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma [convertito in legge 29 ot� tobre 1987, n. 440] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Pretore di Pisa, ordinanze (due) 2 febbraio 1988, nn. 359-360, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. PARTB II, RASSEGNA DI. LBGISLAZIONB 1J9 Pretore di Firenze, ordinanza 10 dicembre 1987, n. 361/88, G. U. 24 agosto 1988, n. 34. Pretore di Firenze, ordinanze (due) 16 novembre 1987, n. 414 e 415/88, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. d.I. 25 settembre 1987, n. 393, art. 2 [conv. in legge 25 novembre 1987, n. 478] (artt. 3 e 42 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 14 aprile 1988, n. 478, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. Tribunale di Roma, ordinanza 1� giugno 1988, n. 656, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. d.I. 30 dicembre 1987, n. 536, art. 5, nono comma [conv. in legge 29 feb� braio 1988, n. 48] (art. 3 della Costituzione). Pretore di Trento, ordinanza 20 luglio 1988, n. 751, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. d.I. 30 dicembre 1987, n. 536, art. 5, nono comma [conv. in legge 29 feb� braio 1988, n. 48] (artt. 3, 38 e 116 della Costituzione). Pretore di Trieste, ordinanza 13 settembre 1988, n. 727, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50). � d.I. 8 febbraio 1988, n. 25, art. 1, primo comma (artt. 3, 24, 38 e 113 della Costituzione). Pretore� di Parma, ordinanza 8 aprile 1988, n. 453, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 9, punto 5 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Piacenza, ordinanza 3 giugno 1988, n. 632, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 11 (artt. 3, 36, 38 e 101 della Costituzione). Pretore di Parma, ordinanza 7 giugno 1988, n. 744, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 11 marzo. 1988, n. 67, art. 22, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). � Pretore di La Spezia, ordinanza 19 maggio 1988, n. 513, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 8 aprile 1988, n. 108, artt. 1 e l�bis (art. 3 della Costituzione). Pretore di Gravina in Puglia, ordinanza 11 settembre 1988, n. 684, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 16 (artt. 3, 10, 16, 101, 104 e 108 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 12 maggio 1988, n. 460, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40). 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 1, 2, S, 7 e 8 (artt. 3, 28, 101, 103, 108 e 113 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 12 mag. gio 1988, n. 579, G. U. 9 �novembre 1988, n. 45. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 1, 7, terzo comma, e 8, quarto comma! (artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Ravenna, ordinanza 28 aprile 1988, n. 422, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. legge 12 aprile 1988, n. 117 artt. 1 e 16, cpv., terzo comma (artt. 36, 101 cpv., 104, primo comma, e 107 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Brescia, ordinanza 7 luglio 1988, n. 760, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 1, secondo comma, 2 e 16 (artt. 3 e 28 della Costituzione). Tribunale di Biella, ordinanza 10 maggio 1988, n. 327, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 1, secondo comma e 16, secondo, quinto, e sesto comma (artt. 3, 24, 101 e 104 della Costituzione). Corte d'appello di T�rento, ordinanza 2 settembre 1988, n. 622, G. U. 16 no� vembre 1988, n. 46. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 2, 7, 9 e 16 (artt. 101, 103 e 108 della Costi� tuzione). Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (diciassette) 24 maggio 1988, nn. 479-495, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (sedici) 22 giugno 1988, nn. 496.511, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (quattro) 22 giugno 1988, nn. 571� 574, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 726, G. U. 14 di� cembre 1988, n. 50. Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 758, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 2, terzo comma, lett. b) e c), e 7, terzo comma (artt. 101, 102, 104, 107 e 108 della Costituzione). Tribunale di Bari, ordinanza 2 maggio 1988, n. 396, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 2, terzo comma, lett. b) e c), e 16, primo e terzo comma (artt. 3 e 101 della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONll legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 7 e 16 (artt. 10 e 101 della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 13 maggio 1988, n. 450, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 7, primo e terzo comma (artt. 3, 101 e 108 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 18 maggio 1988, n. 709, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 7, terzo comma (artt. 3, 101, secondo comma e 108 secondo comma, della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 27 aprile 1988, nn. 334 e 335, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 7, terzo comma, e 2, terzo comma (art. 3 delle Costituzione). Pretore di Roma, ordinanza 2 maggio 1988, n. 358, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 7, terzo comma, e 8, quarto comma (art. 3 della Costituzione). Commissione tributaira di primo grado di Aosta, ordinanza 30 aprile 1988, n. 552, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 9 (artt. 3, 13, 28, 97, 101, 105, 107 e 108 della Costituzione). Tribunale militare di Padova, ordinanze (tre) 17 maggio 1988, n. 386-388, G. U. 31 agosto 1988, n. 35. Tribunale militare di Padova, ordinanze (quattro) 19 maggio 1988, n. 389-392, G. U. 7� settembre 1988, n. 36. Tribunale militare di Padova, ordinanze (trentaquattro) 26 maggio 1988, nn. 515-548, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 16 (artt. 3 e 97 della Costituzione). Corte d'appello di Trieste, ordinanza 26 aprile 1988, n. 382, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 16, secondo comma (artt. 97 e 101 della Costituzione). Giudice relatore tribunale di Firenze, ordinanza 25 giugno 1988, n. 634, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, artt. 4, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 17 (artt. 76, 117 e 118 della Costituzione). Regione Liguria ricorso 19 luglio 1988, n. 21, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Piemonte, 16 giugno 1988 (art. 118, 119, 121 e 128 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 16 luglio 1988, n. 20, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. legge prov. aut. di Trento 18 luglio 1988 (art. 8, punto 1�, statuto spec. Trentino�lto Adige). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 11 agosto 198.8, n. 22, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. legge reg. Marche, 26 luglio 1988 (delibera CIPE 19 novembre 1981, paragrafo 3, sub f). Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 20 agosto 1988, n. 23, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. legge reg. Lazio, 27 luglio 1988 (legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 2). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 26 agosto 1988, n. 25, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. legge reg. Lazio 27 luglio 1988 (artt. 97 e 117 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 26 agosto 1988, n. 27, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge reg. Abruzzo 28 luglio 1988 (artt. 3, 5, 117 e 128 della Costituzione). Presidente Consigilio dei Ministri, ricorso 26 agosto 1988, n. 26, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. legge reg. Abruzzo 28 luglio 1988 (artt. 97, 117 e 121 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 23 agosto 1988, n. 24, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. legge S agosto 1988, n. 330, art. 7 (artt. 13, 102, 107 e 112 della Costituzione). Giudice istruttore presso tribunale di Cagliari, ordinanza 12 settembre 1988, n. 713, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. legge 23 agosto 1988, n. 400, artt. 2, secondo comma, lettera d), h), e p), e 24, primo comma, lett. c) (art. 117, 118 e 125 della Costituzione). Regione Veneto, ricorso 19 ottobre 1988, n. 33, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 23 agosto 1988, n. 400, artt. 2, lettera d), e), h) e p), primo comma, lett. e, e secondo comma, 19, lett. p), 23, sesto comma, e 24, primo comma, lett. c) (art. 116 della Costituzione e artt. 4, 5, 16, 41, 44, 87 e 88 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige). Reg. Trentino-Alto Adige, ricorso 19 ottobre 1988, n. 34, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 16J legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 2, terzo comma, lettere d) e p) (artt. 4, 5, 58 e 60 dello statuto speciale reg. Friuli e 115 della Costituzione). Giunta reg. Friuli-Venezia Giulia ricorso 18 ottobre 1988, n. 30, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 2, terzo comma, lettere d) e p) (artt. 5, 115, 125, 126 e 134 della Costituzione e 3, 8, 9, 16, 33, ,38, 52, 97 e 107 dello statuto regionale). Prov. aut. di Trento, ricorso 18 ottobre 1988, n. 29, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 23 agosto 1988, n. 400, artt. 2, terzo comma, lettere d) e p), 5, secondo comma, lettere e) e f), e 12, quinto comma, lettera b) (art. 134 della Costituzione e art. 3 e 6 dello statuto reg. Sardegna). Regione. Sardegna, ricorso 18 ottobre 1988, n. 32, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 23 agosto 1988, n. 400, artt. 2, terzo comma, lett. d) e p), 12, quinto comma, lett. b), e settimo comma, 13, primo comma, lettere b) ed e), e secondo comma, 19, primo comma, lett. p), e 24, primo comma, lett. c) (artt. 3, 4, 5, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 19, 33, 38, 49, 61, 78, 87, 88, 90, 91, 92, 97, 98, 103, 104, 107 dello statuto regione Trentino-Alto Adige e artt. 5, 6, 116, 125 e 134 della Costituzione). Prov. aut. di Bolzano, ricorso 18 ottobre 1988, n. 31, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 2, terzo comma, lett. p) (artt. 5, 115, 118, 125, 126 e 134 della Costituzione). Regione Lombardia, ricorso 18 ottobre 1988, n. 28, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. legge reg. Marche 29 settembre 1988, n. 148 (artt. 3, 97 e 117 della Costituzione). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 27 ottobre 1988, n. 35, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. legge reg. Molise 18 ottobre 1988 (artt. 3 e 97 della Costituzione e legge reg. Molise 3 gennaio 1983, n. 1). Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 17 novembre 1988, n. 36, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49.