ANNO XL -N. 4-5-6 LUGLIO -DICEMBRE 1988 

RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



I 

Pubblicazione bimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
ROMA 1989 




ABBONAMENTI ANNO 1989 

ANNO L. 40.000 
UN NUMERO SEPARATO . . . . . . . . . � . . . . . . . . . . . . � 7.500 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in Italy 

Autorizzazione Tribunale di Roma Decreto n. 11089 del 13 lu11lio 1966 

(1219087) Roma, 1989 -Istituto Poligrat�co e Zecca dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: 
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura dell'avv. 
Franco Favara) pag. 213 

Sezione seconda: 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura dell'avv. Oscar Fiumara) . > 280 

Sezione terza: 
GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 
(a cura degli avvocati Antonio Cingolo e 
Giuseppe Stipo) � 3�00 

Sezione quarta: 
GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura dell'avvocato 
Antonio Cingolo) )) 318 

Sezione quinta: 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli 
avv. Raffaele Tamiozzo e ~. � 337 

Sezione sesta: 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato 
Carlo Bafi/e) )) 382 

Sezione settima: 
GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio 
Laporta e P~). )) 453 l~. 

Sezione ottava: 
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura degli avvocati 
Paolo di Tarsia di Be/monte e Nicola Bruni) . )) 462 

Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE. BIBLIOGRAFICO 
\ 

QUESTIONI 83 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE . � 111 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 

UGO GARGIULO 


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PONDENTI DELLA RA$SEGNA 
ESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 

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./ Avvocati 

Glauco NORI, Anco!-f~{E.vullJlee \pe 1; i'n i, Carlo B 
sia MANcuso, Pa,l'�rmo; Rocco BE~I, Potenza; M 
Tren~9{Paolo SCOTTI, Triesf~iancarlo M 

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ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

I. F. CARAMAZZA e F. QUADRI, Il �diritto civile e politico� del cittadino 
nella cognizione dell'autorit� giudiziaria ordinaria: ipotesi di genesi 
storica dell'interesse legittimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II, 83 
A. 
PALATIELLO, L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di 
Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 338 

PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ACQUE PUBBLICHE 

-Ricorsi avverso il piano regolatore 
generale degli acquedotti -Giurisdi:
llione del Tribunale superiore AA.PP., 

453. 
APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Appalti 
delle Ferrovie dello Stato -Capitolato 
generale -Clausole in materia 
di riserve dell'appaltatore -Necessit� 
di specifica approvazione 
Esclusione, 454. 

-Appalto di opere pubbliche -Appalti 
delle Ferrovie dello Stato -Capitolato 
generale -Disciplina delle 
riserve -Termini per la formulazione, 
454. 

-Appalto di opere pubbliche -Revisione 
prezzo -Interessi -Misura stabilita 
con legge 21 dicembre 1974, 

n. 700 -Aplicabilit� -Limiti, 458. 
- 
Appalto di opere pubbliche -Revisione 
prezzo -Interessi sul compenso 
revisionale -Decorrenza, 458. 

ATTO AMMINISTRATIVO 

-Controlli -Approvazione dell'organo 
tutorio -Approvazione implicita 
-Possibilit� -Presupposti, 322. 

AVVOCATURA DELLO STATO 

-Patrocinio di Enti pubbLici -ERSAPNecessit� 
di apposita delibera autorizzativa 
-Esclusione, 318. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Concorrenza -Abuso di posizione 
dominante -Brevetti per modelli 
ornamentali -Fattispecie, 294. 

-Libera circolazione delle merci -Paste 
alimentari -Obbligo di usare 
esclusivamente grano duro, 284. 

-Libera circolazione delle merci -Tutela 
della propriet� industriale Esercizio 
di diritti al modello sulle 
parti componenti la carrozzeria di 
autovetture, 294. 

-Sanit� pubblica -Ravvicinamento 
delle legislazioni -Qualit� delle acque 
destinate al consumo umano, 

290. 
CORTE COSTITUZIONALE 

-Deleghe stabilmente devolute date 
alle regioni -Criteri di inviduazione 
-� Ammissibilit� del ricorso per 
conflitto di attribuzione, 244. 

DOGANA 

-Sottrazione delle merci -Sussistenza 
dell'obbLigazione doganale, 242. 

ENTI PUBBLICI 

-Enti di assistenza e beneficienza Delibere 
concernenti trasformazioni 
o diminuzione del patrimonio Mancata 
approvazione da parte del 
CO.RE.CO, nei casi previsti dalla 
legge -Inefficacia -IrI1ilevanza della 
buona fede del contraente privato 
-Inapplicabilit� dell'art. 1444 
secondo comma e.e., 322. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Domanda di ricongiunzione della 
posizione assicurativa statale a quella 
I.N.P.S. -Provvedimento statale 
di diniego della ricongiunzione -Riicorso 
-Giurisdizione A.G.O., 379. 



INDICE DEU..A GIURISPRUllENZA 

-Ritardato adempimento del pagamento 
di crediti pecuniari derivanti 
da rapporto di pubblico impiego 
-Richiesta di danno superiore 
alla rivalutazione -Giurisdizione 
A.G..O. previa costituzione in mora 
e dimostrazione del danno in concreto 
sub�to, 3fJ7. 

-Ritardato adempimento del pagamento 
di crediti pecuniari derivanti 
da rapporto di pubblico impiego 
-Richiesta di rivalutazione e interessi 
-Giurisdrizione amministrativa, 
306. 

-Tributi erariali indiretti -INVIM Efficacia 
dell'atto soggetto al tributo 
-Accertamento -Giurisdizione 
ordinaria, 322. 

ISTRUZIONE E SCUOLE 

-Pubblica istruzione -Insegnamento 
della religione cattolica -Attivit� alternative 
-Obbligatoriet� -Legittimazione 
al ricorso -Tavola Valdese g 
legittimata, con nota di A. PALATIELLO, 
337. 

-Pubblica istruzione -Insegnamento 
della religione cattolica -Attivit� alternative 
-Obbligatoriet� per chi 
ha scelto di non avvalersi dell'insegnamento 
religioso -Legittimit�, con 
nota di A. PALATIELLO, 337. 

-Pubblica istruzione -Insegnamento 
della religione cattolica -Eccezione 
di illegittimit� costituzionale -g manifestamente 
infondata, con nota di 

A. PALATIELLO, 337. 
LAVORO 

-Invalidi -Assunzioni obbligatorie Contravvenzione 
all'obbligo di richiesta 
di assunzione -Definizione amministrativa 
-Decreto prefettizio ex 

art. 24 legge n. 482/68 -Opposizione Giurisdizione 
del giudice civile -Non 
sussiste trattandosi di materia riservata 
al giudice penale, 334. 

MEZZOGIORNO 

-Cassa per il Mezzogiorno -Contributi 
a fondo perduto -Inadempimento 
del concessionario -Revoca 
della sovvenzione -Controversia Rapporto 
di natura paritetica -Giurisdizione 
dell'A.G.O., 300. 

OBBLIGAZIONI (in generale) 

-Contratti della P.A. -Validit� -Presupposti 
-Necessaria corrispondenza 
fra il contenuto del contratto stipulato 
dall'organo investito dalla 
rappresentanza e la volont� manifestata 
dall'opgano cui spetta di deliberare 
-Criteri per tale corrispondenza, 
322. 

-Obbligazioni pecuniarie -Somme liquidate 
in sede di lodo arbitrale � 
Maggior danno per ritardata corresponsione 
� Autonoma azione risarcitoria 
-Ammissibilit�, 318. 

-Pagamento -Quietanza -Non implica 
rinuncia di esplicita dichiarazione 
in tal senso, 318. 

PENSIONI 

-Domanda avente ad oggetto arretrati 
di pensione � Intervento nelle 
more della liquidazione de.i ratei di 
pensione -Domanda limitata agli 
interessi e rivalutazione automatica 
per il ritardo � Giurisdizione della 
Corte dei conti, 315. 

-Domanda di dnteressi di mora e rivalutazione 
basati su comportamenti 
colposi dell'Amministrazione -Giurisdizione 
del giudice ordinario, 316. 

-Trattamento provvisorio di pensione 
� Questioni volte alla restituzione 
di assegni trattenuti, alla corresponsione 
degli interessi legali e rivalutazione 
monetaria -Giurisdizione 
esclusiva della Corte dei conti, 305. 

REATO 

-C.d. condono edilizio -g istituto a 
s� stante, non riconducibile alle 
cause di estinzione del reato, 226. 

REGIONI 

-Atti degli enti locali � Comminatoria 
della decadenza -Competenza 
regionale -Non sussiste, 265. 

-Autorizzazione governativa agli acquisti 
-g necessaria, anche per le 
regioni a statuto speciale, 262. 

-Avvalimento di uffici regionali per 
esercizio di funzioni statali -Disposto 
mediante atto amministrativo 
statale, 244. 


vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLLO STATO 

-Controlld sugli organi degli enti locali 
� Spettano allo Stato, 270. 

-Controllo sugli atti delle unit� sanitarie 
locali � Attribuzione ai comitati 
regionali di controllo sulle 
province � Legittimit� costituzionale, 

265. 
-Delega di funzioni -Direttive date 
in via amministrativa . Non possono 
essere tanto dettagliate da implicare 
revoca della delega, 245. 

-Distributori di carburanti � Lungo 
le autostrade oppure utilizzati da 
veicoli statali � Non delega delle 
funzioni, 245. 

-Fun2lione statale di indirizzo e coordinamento 
-Fondamento costitu� 
zionale e finalit�, 213. 

-Limite dell'interesse nazionale � Criteri 
del giudizio sulla sua consistenza 
e rilevanza, 213. 

-Norme di 'principio � Nozione, 213. 

-Potere statale di sostituzione � Natura 
e limiti, 213. 

-Turismo ed industria alberghiera � 
Soggiorni brevi presso affittacamere 
� Competenza regionale, 272. 

RESPONSABILIT� CIVILE 

-Amministrazione pubblica � Reato 
doloso del dipendente � Interruzione 
del rapporto organico � Conseguenze, 
con nota di F. MENARINI, 462. 

RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE 
E DELLE ENTRATE PATRIMONIALI 

-Esecuzione esattoriale . Devoluzione 
� Effetti � Procedimento � Fallimento 
del debitore � Non la impedisce, 
395. 

-Sanzioni � Fallimento fiscale � Iscrizione 
a ruolo provvisoria . Anteriore 
domanda di condono � Sospen� 
sione della riscossione � Esclusione 
del fal1imento, 386. 

-Sanzioni � Fallimento fiscale � Presupposti 
� Dichiarazione oltre l'anno 
dalla cessazione dell'attivit� � Esclusione, 
386. 

SARDEGNA 

-Trasporti sulle ferrovie dello Stato . 
Condizioni e tariffe � Modificazioni 
di portata nazionale � Competenza 
statale, 272. 

SICILIA 

-Assicurazioni � Rischi entro i limiti 
territoriali della regione � Nozione, 
277. 

-Trasporti marittimi � Aumento ta� 
riffe passeggeri � Parere della regione 
� Necessit�, 272. 

-Trasporti marittimi interna2lionali � 
Competenza statale, 272. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Contenzioso tributario � Rimborsi � 
Contestazione della dichiarazione � 
Stesso termine quinquennale assegnato 
all'ufficio � Esclusione, 421. 

-Contenzioso Tributario � Rimborsi � 
Norma di imposizione dichiarata il� 
legittima � Rapporti esauriti � Riscossione 
mediante ruolo non impugnato 
� Definitivdt� � Riscossione mediante 
versamento diretto � Decadenza 
dal rimborso decorso il ter� 
mine di 18 mesi, 422. 

-Contenzioso Tributario � Rimborsi � 
Somme riscosse mediante ruolo � 
Difetto di impugnazione del ruolo � 
lnammdssibilit�, 421. 

-Imposta complementare sul reddito 
� Accertamento induttivo � Presunzione 
� Disponibilit� di capitali 
dimostrata � Presunzione di accumulo 
in due esercizi precedenti � 
Esclusione, 393. 

-Imposta sui redditd di ricchezza mobile 
� Attivit� di insegnamento � Li� 
bert� costituzionalmente garantita . 
Esenzione d'imposta � Esclusione, 408. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
� Attiv.it� di insegnamento � Organizzazione 
in forma di impresa � 
Doveri formali dell'imprenditore � 
Vi � soggetta � Difetto � Accerta� 
mento induttivo � Legittimit�, 408. 



INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 

-Imposta sui redditi dd ricchezza mobile 
-Plusvalenze -Intento di speculazione 
-Investimenti su titoli azionari 
-Accertamento dell'intento di 
speculazione in relazione alle singole 
operazioni -Abitualit� o professionalit� 
di operazioni di investimento Valore 
sussidiario, 439. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
-Plusvalenza -Intento speculativo 
-Mero frazionamento di terreno 
-Insufficienza, 412. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
-Redditi di capitale -Presunzione 
di fruttuosit� -Distinta presunzione 
di dmpiego di capitali disponibili 
-Legittimit�, 440. 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
-Societ� in liquidazione -� capace 
di produrre reddito, 385. 

-Imposta sul reddito delle persone 
giuridiche -Accantonamenti -Nozione 
-Fondo per opere di ammodernamento 
ed innovazione -Indeducibilit�, 
403. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta generale sull'entrata -Agevolazione 
per il Mezzogiorno -Primo 
impianto di stabilimenti dndustriali 
-Contratti di appalto -Sono 
esclusi, 417. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Accertamento -Notificazione -Irregolarit� 
-Proposizione del ricorso 
-Sanatoria, 414. 

-Contenzioso tributario -Appello Enunciazione 
dei motivi -Necessit� 
-Motivi aggiunti -Esclusione, 401. 

-Contenzioso tributario -Giurisdizione 
delle commissdoni -Generalit� Residua 
giurisdizione dell'A.G.O. Indebito 
oggettivo -Esclusione, 406. 

-Contenzioso tributario -Impugnazione 
di terzo grado -Alternativit� Presentazione 
di ricorso tardivo alla 
Commissione centrale -Preclude il 
ricorso alla Corte di appello, 415. 

-Contenzioso Tributario -Procedimento 
-Intervento in appello -Inammissibilit�, 
448. 

-Contenzioso Tributario -Ricorso per 
cassazione -Cassazione senza rinvio 
-Ammissdbilit�, 448. 

-Contenzioso tributario -Solidariet� 
-Accertamento notificato ad uno 
soltanto dei debitori -Decisione del 
relativo ricorso -Impugnazione da 
parte di altri condebitori -Inammdssibilit� 
-Successivo accertamento 
-Impugnabilit� autonoma, 382. 

-Potest� tributaria di imposizione Obbligazione 
tributaria -Indisponibilit� 
-Declaratorie e risoluzioni 
ammindstrative -Irrilevanza, 417. 

-Prestazioni patrimoniali imposte -Ri� 
serva di legge -Elementi sufficienti, 
259. 

-Repressione delle violazioni -Sanzioni 
civild -Trasmissibilit� agli eredi 
-Si verifica, 401. 

-Riscossione -Esecuzione esattoriale Devoluzione 
-Decreto di revoca Natura 
-Impugnabilit� con ricorso 
per Cassazione -Ammissibilit�, 395. 


5 maggio 1988, n. 507 . 
5 maggio 1988, n. 512 . 
19 maggio 1988, n. 556 
19 maggio 1988, n. 559 
10 giugno 1988, n. 612 
10 giugno 1988, n. 613 
10 giugno 1988, n. 618 
10 giugno 1988, n. 625 
10 giugno 1988, n. 627 
10 giugno 1988, n. 634 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 
Sed. plen., 14 luglio 1988, nelle cause 407/85 e 90/86 
III Sez., 22 settembre 1988, nella causa 228/87 
Sed. Plen., 5 ottobre 1988, nella causa 53/87 . . . 
GIURISDIZIONI CIVILI 
CORTE DI CASSAZIONE 
Sez. I, 12 gennaio 1988, n. 138 
Sez. I, 14 gennaio 1988, n, 194 
Sez. I, 18 gennaio 1988, n. 324 
Sez. I, 2p gennaio 1988, n. 669 
Sez. I, 29 gennaio 1988, n. 824 
Sez. I, 11 febbraio 1988, n. 1468 
Sez. I, 26 febbraio 1988, n. 2040 
Sez. Un., 18 marzo 1988, n. 2476 
Sez. I, 23 marzo 1988, n. 2532 
Sez. I, 23 marzo 1988, n. 2535 
Sez. I, 30 marzo 1988, n. 2670 
Sez. I, 14 aprile 1988, n. 2968 
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244 
265 
270 
272 
272 
272 
277 
284 
290 
294 
382 
385 
386 
393 
395 
401 
403 
406 
408 
412 
414 
415 
5 maggio 1988, n. 507 . 
5 maggio 1988, n. 512 . 
19 maggio 1988, n. 556 
19 maggio 1988, n. 559 
10 giugno 1988, n. 612 
10 giugno 1988, n. 613 
10 giugno 1988, n. 618 
10 giugno 1988, n. 625 
10 giugno 1988, n. 627 
10 giugno 1988, n. 634 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 
Sed. plen., 14 luglio 1988, nelle cause 407/85 e 90/86 
III Sez., 22 settembre 1988, nella causa 228/87 
Sed. Plen., 5 ottobre 1988, nella causa 53/87 . . . 
GIURISDIZIONI CIVILI 
CORTE DI CASSAZIONE 
Sez. I, 12 gennaio 1988, n. 138 
Sez. I, 14 gennaio 1988, n, 194 
Sez. I, 18 gennaio 1988, n. 324 
Sez. I, 2p gennaio 1988, n. 669 
Sez. I, 29 gennaio 1988, n. 824 
Sez. I, 11 febbraio 1988, n. 1468 
Sez. I, 26 febbraio 1988, n. 2040 
Sez. Un., 18 marzo 1988, n. 2476 
Sez. I, 23 marzo 1988, n. 2532 
Sez. I, 23 marzo 1988, n. 2535 
Sez. I, 30 marzo 1988, n. 2670 
Sez. I, 14 aprile 1988, n. 2968 
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277 
284 
290 
294 
382 
385 
386 
393 
395 
401 
403 
406 
408 
412 
414 
415 
INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 
CORTE COSTITUZIONALE 

18 febbraio 1988, 
31 marzo 1988, n. 
31 marzo 1988, n. 
27 aprile 1988, n. 

n. 177 
369 
373 
470 
pag. 

" 

� 

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� 
� 

,, 

213 

226 

242 
244 
259 
262 


INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA 

Sez. Un., 18 aprile 1988, n. 3030 
Sez. I, 27 aprile 1988, n. 3174 
Sez. I, 28 aprile 1988, n. 3197 
Sez. I, 8 giugno 1988, n. 3888 

Sez. I, 18 giugno 1988, n. 
Sez. Un., 7 luglio 1988, n. 
Sez. Un., 7 luglio 1988, n. 
Sez. Un., 6 ottobre 1988, 
Sez. Un., 17 ottobre 1988, 
Sez. I, 7 novembre 1988, 


4178 
4480 
4503 

n. 

n. 

n. 

Sez. Un., 11 novembre 1988, 

5379 
5630 
5995 

n. 6068 

Sez. I, 24 novembre 1988, n. 6314 
Sez. I, 25 novembre 1988, n. 6332 
Sez. I, 12 dicembre 1988, n. 6729 
Sez. Un., 12 dicembre 1988, n. 6759 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI .STATO 

Sez. VI, 27 agosto 1988, n. 1006 
Sez. VI, 19 settembre 1988, n. 1043 

GIURISDIZIONI PENALI 

TRIBUNALE DI BOLOGNA 

Sez. I penale, 29 novembre 1988 

Xl 

pag. 417 

,. 

421 

,. 

422 
� 439 
I> 448 
� 300 
I> 305 
� 306 
I> 315 

,, 

318 
� 453 
� 322 

,, 

454 
� 458 
� 334 

pag. 337 
� 379 

pag. 462 


PARTE SECONDA 
Questioni pag. 83 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE: 
I -Norme dichiarate incostituzionali pag. 111 
II -Questioni dichiarate non fondate � 119 
III -Questioni proposte . . . . . . . " 128 



PARTE PRIMA 



1GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALLE, 18 febbraio 1988, n. 177 -Pres. Saja -
Rel. Baldassarre -P~oviince di Bolzano e di T�rento (avv. Panunzio), 
regione Toscana (avv. Predieri), regione Lombardia (avv. Onida) e 
Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Azzariti). 

Regioni -Norme di principio -Nozione. 

(Cost., artt. 117 e 118; Statuto Trentino A.A., art. 9; l. 22 dicembre 1984 n. 892, artt. 1, 
2, 3, 4 e 6). 

Regioni -Funzione statale di indirizzo e coordinamento -Fondamento costituzionale 
e finalit�. 
(Cost., artt. 117 e 118; Statuto Trentino A.A., art. 9; l. 22 dicembre 1984, n. 892, artt. 1, 
2, 3, 4 e 6). 

Regioni � Limite dell'interesse nazionale -Criteri del giudizio sulla sua 
consistenza e rilevanza. 
(Cost., artt. 117 e 118; Statuto Trentino A.A., art. 9; I. 22 dicembre 1984, n. 892, artt. 1, 
2, 3, 4 e 6). 

Regioni -Potere statale di sostituzione -Natura e limiti. 
(Cost., artt. 117, 118, 124 e 125; Statuto Trentino A.A., art. 87; legge 22 dicembre 1~84 

n. 892, art. 5). 
Il legislatore ordinario statale pone norme di principio quando esprime 
scelte politiche-legislative fondamentali o, quanto meno, criteri o 
modalit� generali tali da orientarie l'esercizio del potere legislativo regionale. 
Non sono di principio norme aventi efficacia temporanea o natura 
sostanzialmente provvedimentale (1). 

La funzione di indirizza e coordinamento, ancorch� non espressamente 
classificata e definita da norme costituzionali, deve essere confi


(1-4) Sentenza di grande importanza. In essa la Corte ha tracciato un disegno 
organico, che verosimilmente costituir� per parecchi anni punto di riferimento 
per la giurisprudenza costituzionale. 

Di particolare interesse parrebbero: 

-il radicamento direttamente nella Costituzione (e non gi� in fonti primarie 
attuative) della funzione di indirizzo e coordinamento (rectius, di 
indirizzo anche mediante coordinamento); � 

-la conferma che. il concetto di � interesse nazionale >>, oltre ad essere 
� elastico e relativo>>, va oltre la c.d. � infrazionabilit� � e pu� assumere conte


nuti ed applicazioni molto ampi e vari; 
-il collegamento tra potest� sostitutive statali e funzione di indirizzo 
e coordinamento. 



214 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

gurata non gi� come mani/ est azione di un limite � ulteriore �, ma piuttosto 
come pura espressione dei limiti costituzionalmente prefissati alla 
potest� legislativa e amministrativa delle regioni (e delle province autonome): 
i principi fondamentali della materia (per la competenza legislativa 
ripartita) o quelli generali dell'ordinamento giuridico (per le 
autonome speciali, per le quali � stata significativamente richiesta la 
concorrenza dell'attuazione di un valore di rango costituzionale), gli 
obblighi internazionali, le norme comunitarie, le riforme economicosociali 
e la programmazione, gli interessi nazionali. Gli atti (legislativi e 
non) di indirizza e di coordinamento possono essere configurati in rielazione 
a due distinte funzioni: I) quella di porsi -quando � prevalso il 
collegamento con i limiti anzidetti -come momento di mediazione e di 
armonizzazione, nell'ambito di una catena di atti normativi di attuazione 
di disposizioni generali, diretto a segnare il passaggio graduale e circostanziato 
da una disciplina pi� generale ed astratta ad una pi� particolare 
e concreta,� e Il) quella di fissare -quand'� prevalso il collegamento 
con l'interesse nazionale -i criteri minimali di uniformit�, i requisiti 

o contenuti minimi, che, pur se dotati di un ridotto grado di generalit� 
o pur se addirittura di carattere specifico, siano diretti a costituire il 
nucleo normativo unitario intorno al quale le regioni (o le province 
autonome) possano aggregare una disciplina integrativa o di ulteriore 
sviluppo. La funzione di indirizza e di coordinamento dev,e essere aliena 
da forme espressive cos� analitiche e dettagliate da non lasciare alle 
regioni (e province autonome) un necessario spazio di autonomia entro 
il quale poter legittimamente svolgere la propria competenza legislativa 
e/o la propria azione amministrativa; peraltro lo Stato pu� legittimamente 
adottare una disciplina legislativa di dettaglio pur nell'ambito di 
I 

materie attribuite in via generale alla competenza regionale (o provinciale) 
(2). 
A differenza di tutti gli altri limiti costituzionalmente posti all'au


I 

tonomia legislativa delle regioni (o province autonome), l'interesse nazionale 
non presenta affatto un contenuto astrattamente predeterminabile 
n� sotto il profilo sostanziale n� sotto quello strutturale; l'interesse 

I 

nazionale pu� giustificare interventi del legislatore statale di ordine 
tanto generale e astratto quanto dettagliato e concreto. Con riguardo 
all'� interesse nazionale �, le disposizioni statali devono essere sottoposte 
alle seguenti verifiche: a) che il discrezionale apprezzamento del legislatore 
statale circa la ricorrenza e la rilevanza dell'interesse nazionale 
non sia irragionevole, arbitrario o pretestuoso,� b) che la natura dell'interesse 
posto a base della disciplina impugnata sia, per dimensione o per 
complessit�, tale che una sua adeguata soddisfazione non possa avvenire 
senza disciplinare profili o aspetti che esorbitano dalle competenze 
regionali (o provinciali) e tuttavia sono necessariamente connessi con 
il tema oggetto della normativa in questione ( c.d. in/razionabilit� del-~ 

I 

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, Mf . �� . ,.. . ,i@ . m �'" :::::m � 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

l'interesse), ovvero che, anche se non necessariamente infrazionabile, 
l'interesse invocato appaia, a una valutazione ragionevole, cos� imperativo 
o stringente oppure esiga una soddisfazione cos� urgente da non 
poter essere adeguatamente perseguito dall'intervento normativo di singole 
regioni (o province autonome); c) che, in qualsiasi caso, l'intervento legislativo 
dello Stato risulti in ogni sua parte giustificato e contenuto nei 
limiti segnati dalla reale esigenza di soddisfare l'interesse nazionale posto 
a proprio fondamento (3). 

In virt� del potere sostitutivo un soggetto o un organo gerarchicamente 
superiore oppure uno investito di una funzione di indirizza o di 
vigilanza nei confronti di altri soggetti, provvede, �in casi di persistente 
inattivit� di questi ultimi, a compiere in loro vece atti rientranti nelle 
competen:{)e degli stessi. Detto potere a) pu� essere esercitato dallo Stato 
soltanto in relazione ad attivit� regionali sostanzialmente prive di discrezionalit� 
nell'an (anche se non necessariamente nel quid o nel 
quomodo), ora perch� sottoposte per legge (o norme equiparate) a termini 
perentori, ora per la natura degli atti da compiere, nel senso che la 
loro omissione risulterebbe tale da mettere in serio pericolo l'esercizio 
di funzioni fondamentali ovvero il perseguimento di interessi essenziali 
che sono affidati alla responsabilit� finale dello Stato; b) pu� essere 
legislativamente previsto a favore dello Stato soltanto come potere strumentale 
rispetto alllesecuzione o all'adempimento di obblighi ovvero 
rispetto all'attuazione di indirizzi o di criteri operativi, i quali siano basati 
su interessi tutelati costituzionalmente come limiti all'autonomia regionale; 
e) pu� esser esercitato nei confronti delle regioni (o delle province 
autonome) soltanto da un'autorit� di governo, nello specifico senso di 
cui all'art. 92 Cast., dal momento che questo � il piano costituzionalmente 
individuato per l'adozione di indirizzi o di direttive verso l'amministrazione 
regionale; d) dev'esser assistito da garanzie, sostanziali e 
procedurali, rispondenti ai valori fondamentali cui la Costituzione informa 
i pred�etti rapporti e, specialmente, al principio della � leale cooperazione 
�, che viene in particolare evidenza in ogni ipotesi, come la 
presente, nelle quali non sia (eccezionalmente) applicabile l'opposto 
principio della separazione delle sfere di attribuzione (4). 

(omissis) Oggetto dei presenti giudizi � la legge 22 dicembre 1984, 

n. 892, contenente norme sulla gestione in via provvisoria delle farmacie 
rurali nonch� alcune modificazioni delle precedenti leggi regolanti il servizio 
farmaceutico. (omissis) 
Una prima serie di censure � rivolta dalla Prowncia di Bolzano nei 
confronti degli artt. l, 2, 3, 4, e 6 della iLegge n. 892 del 1984 e, Hmitatamente 
all'art. 3 della stessa legge, da11a &egiOllle Toscana. JJI motivo comune 
posto a base di ambedue le impugnazioni � che negli articoli 


216 

RASSEGNA DEIJ.'AVVOCATURA DELLO STATO 

anzidetti si rinvengono disposizioni in materia di sanit� o, pi� precisamente, 
in materia di servi2li farmaoeutici, che, a giudizio delle ricorrenti, 
rivelano un carattere specifico e di dettaglrio, tale da escludere che si 
sia in presenza di norme di principio o di indirizro. Su tale base; e nei 
dimiti delle �rispettive impugnazioni, tanto la Provincia di Bolzano quanto 
la Regione Toscana ne chiedono la dichiarazione d'illegittimit� costituzionale 
per violazione della autonomia legislativa (ooncorrente) e amministrativa 
costituzionalmente garantita, ailla prima, dagli artt. 9, n. 10, 
e 16, primo comma, St. T.A.A. e, al[a seconda, dagli artt. 117 e 118 della 
Costituzione. 

A dire H vero, l'insieme delle disposizioni oggetto della presente 
impugnazione presenta profili di costituzionalit� che sono nettamente 
distinguibili secondo una duplioe articolazione. Mentre un primo gruppo 
di disposizioni, costituito dai primi tre articoli della legge impugnata, 
contiene un complesso omogeneo di norme, .relativo aJI conferimento 
delila titolarit� di farmacie rurali o di faI11I1acie ubicate in comuni dichiarati 
disastrati o terremotati a favore di chi ne aves1se una gestione 
provvisoria da almeno tre anni, un secondo gruppo di disposizioni invece 
-e preoisamente quello costituito dagli artt. 4 e 6 della legge 
impugnata -pone noI11I1e modificative della precedente disciplina generale 
sulle farmacie, prevedendo in particolare alcuni criteri innovativi, 
tanto sulla localizzazione de1le sedi farmaceutiche, quanto sull'acquisto 
deHe stesse, in mancanza di concorso, per determinati soggetti (persOIIle 
dichiarate idonee in concorsi .per il conferimento della titolarit� di farmacie, 
persone con pratica professionale di almeno un biennio). 

Poich� ne1l'uno e nell'altro caso si pongono differenti problemi di 
costituzionalit�, � opportuno tenerne distinta la trattazione. 
Pochi dubbi possono sussistere sul fatto che gH artt. 1-3 della legge 

n. 892 del 1984 contengano disposizioni specifiche, puntuali e di immediata 
applicazione. Ai farmacisti che da almeno un t:riieilill.io alla data 
di entrata in vigore della legge gesti:scO!Ilo in via provvisoria una farmacia 
rurale viene riconosciuto, all'art. 1, .i[ diritto a conseguire, per una 
sola volta, la titolarit� deMa farmacia, semprech� questa, al momento 
della domanda, non sia �stata gi� assegnata o non sia in corso di assegnazione 
a seguito di un concorso gi� espletato. Nei commi seguenti dello 
stesso articolo si stabiliscono le regole per il computo del triennio di 
gestione provvisoria, nonch� l'esclusione dal beneficio di chi abbia gi�
1

trasferito la titolarit� di altra farmacia, ai sensi delll'art. 12, quarto 
comma, della legge n. 475 del 1968. Con l'art. 2, poi, il beneficio ora 
menzionato viene esteso al di iJ.� dell'ambito delle farmacie ruirali, per 
collegairlo ailila gestione provvisoria triennale di farmacie ubicate in 
comuni dichiarati disastrati (ai sensi del D.P.C.M. 30 aprile 1981) e 
alle sedi farmaceutiche divenute vacanti in conseguenza del verificarsi 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

delle condizioni di cui all'art. 1, u.c., della legge n. 12 del 1982 (chiusura 
a seguito del sisma occorso in Basilicata e in Campania nel 1980 e nel 
1981). Infine, oon rart. 3 si dispone che le domande degli interessati 
dirette a ottenere i predetti benefici debbano pervenire, debitamente 
documentate, all'autorit� saind:taria competente per territorio nel termine 
perentorio di 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge impugnata. 
Lo stesso art. 3 stabilisce in chiusura che l'accertamento dei requisiti 
richiesti per ottenere i benefici di cui alla Jegge in questione debba 
essere effettuato entro un mese daMa presentazione delle domande. 

Come aippare evidente, qui 1si � iin presenza di un insieme di clisposizioni 
contenente una disciplina in s� compiuta e autoapplicativa, che, 
come tale, non lascia il minimo spazio non solo per un'�.potetica Iegiferamone 
ulteriore, ma persino per una normazione secondaria di mera 
esecuzione. 

Sotto questo profilo va, dunque, respinta la prospettazione avanzata 
dall'Avvocatura dello Stato che riscontra nelle disposizioni appena menzionate 
il carattere cli norme di principio relativamente a11a materia 
farmaceutica ovvero quello di lllorme dirette a stabi[ire standards minimi 
e uniformi per l'efficienza del servizio farmaceu1lico, secondo uno dei 
paradigmi delila funzione di indirizzo e coordinamento spettante allo 
Stato nelle materie attribuite alla competenza legislatirva (che, nel caso, 
� di tiipo concorrente) e amministrativa delle Regioni e delle Pirovince 
autonome. 

Dei pirinc�pi defila materia mancano alle disposizioni impugnate sia 
i oaraitteri sostanziali sia quelli strutturali che, secondo ila costante 
giurisprudenza di questa Corte, dov>rebbero esse.re loro propri. 

Non sii. pu� certo rinvenire nelle disposi:zfoni oggetto della presente 
questione la natura di norme espressive di scelte politico-legislative 
fondamentali o, quantomeno, di criteri o di moda1it� generali tali da 
costituire un sa[do punto di riferimento in grado di orientare l'esercizio 
del potere '1egislativo regionale. Al contrario, qui si � in presenza 
di una disciplina che ha il. carattere della temporaneit� e una natura 
sostanzialmente provvedimentale, in quanto appare diretta a sanare 
una situazione particolarissima che il legislatore nazionale, nel suo 
discrezionale apprezzamento, ha considerato di dover risolvere. 

Neppure sotto il profifo strutturale pu� riconoscersii alle disposizioni 
impugnate la natura di norme di principio, poich� in ipotesi si tratta 
di statuizioni al pi� basso grado di astirattezza, che, per iJ loro carattere 
di estremo dettaglio, non solo sono insuscettibili di sviluppi o di svolgimenti 
ulteriori, ma richiedono, ai fini defila loro concreta applicazione, 
soltanto un'attivit� di materiale esecuzione. 

Sotto i rprofili esaminati, in nessuna delle disposizioni contenute 
negli artt. 1-3 della legge n. 892 del 1984 possono dunque rinvenirsi i 


218 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

caratteri essenziaii che la giurisprudenza di questa Corte ha scorto nei 
principi delle materie (sentt. nn. 153 del 1985 e 83 del 1982). 

Analogamente non pu� neppure affermarsi, come sembra dire l'Avvocatura 
dello Stato, che nelle disposizioni impugnate possono riscontrarsi 
quantomeno le caratteristiche proprie della funzione di indirizzo 
e di coordinamento. Anche di quesfa funzione mancano alle no:rnne in 
esame �tanto i caraitteri strutturali quanto le rationes che la giurisprudenza 
di questa Corte ha individuato come tratti es1senziali della medesima. 


Dalila sentenza n. 39 del 1971 fino alle pi� recenti pronunzie (come le 
rm. 150 del 1982, 340 del 1983, 195 del 1986, 64 del 1987), la funzione di 
indirizw e coordinamento, ancorch� non espressamente classificata e 
definita da nonne costituzionali, � stata configurata, da questa Corte, 
non gi� come manifestazione di un limite �ulteriore�, ma piuttosto 
come pura espressione dei Umi.ti costituzionalmente prefissati alla potest� 
[egislativa e amministrativa delle regiO'IlJi (e deHe province autonome): 
i princ�pi fondamenta!li della materia (per la competenza ~egislativa 
ripartita) o quelili generali dell'ordinamento giu(['idico (per le autonomie 
speciali, per le quaH � stata significatiivamente richiesta la concorrenza 
dell'attuazione di un valore di rango costituzionaie), gli obblighi internazionali, 
le norme comunitarie, [e riforme economico-sociali e la programmazione, 
gli interesis�i nazionali. SuMa base di questo legame di 
essenziale strumentalit� con la variet� dei predetti limi1ti -peraltro 
giustif.icato, al['indomam delle leggi del 1970, dal!la necessit� di render 
pi� salda, nel pi� complesso processo di coordinamento delle autonomie 
regionali allom avviato, la loro comune radice nelle imprescindibiihl. esigenze 
unitarie (art. 5 Cost.) -, gli atti di indi�rizzo e di coordinamento 
sono stati configurati da questa Corte in base a due distinte funzioni: 

a) quella di porsi -quando � prevalso i[ collegamento con i il.imiti 
dei principi, degli obblighi internazionali, delle norme comuillitarie, della 
programmazione -come momento di mediazione e di armonizzazione, 
neH'ambito di una catena di atti normativi di attuazione di disposizioni 
generali, diretto a segnare il passaggio graduale e circostanziato da una 
disciplina pi� generale e astratta ad una pi� particolare e concreta; 

b) quella di fissare -quand'� prevalso :iii collegamento con finteresse 
nazionale -ii criteri minimali idi uniformit�, i requisiti o contenuti 
minimi, che, pur se dotati di un ridotto grado di generalit� o pur 
se addirittura di carattere spedfioo, siano diretti a costituire il nucleo 
normativo unitario intorno al quale le regioni (o le province autonome) 
possano aggregare una disciplina integrativa o di ulteriore sviluppo. 

Ambedue i paradiigmi sono abbondantemente presenti nella giurisprudemia 
di questa Corte, ora separatamente ora congiuntamente. Tut



PARTE I, SEZ. I, GIURISP�RUDENZA COSTITUZIONALE 

tavia, nelle disposizioni impugnate non � possibile riscontrare n� i 
tratti dell'uno, n� queHi dehl'altro. In esse, infatti, non si pu� rinvenire 
la minima traccia di norme di indirizzo o di criteri direttivi, di obiettivi 
da perseguire o di prescrizioni di massima valevoli per un'ulteriore e 
pi� particolare attivit� norma,tiva; n�, per il vero, si d� !la possibilit� 
di riscontrarvi una bench� minima finaHt� v�lta ad ordinare l'eventuale 
espressione delle autonomie regionaJli in un disegno arr.i:J.onico e unitario. 
Tantomeno, rpoi, pu� scorgersi nelle stesse disposizioni quel nucleo normativo 
di base v�lto a fissare gli standards minimali di unitariet� e di 
uniformit�, intomo al quale talora il fogislatore nazionale intende organizzare 
in modo armonico e coerente l'ulteriore normazione regionale. 
La disciplina che si ha di fronte � un'insieme conchiuso di disposizioni 
di dettaglio che attende soltanto di essere attuato nei concreti rapporti 
della vita reale. 

Questo carattere, .del resto, preclude ogni ulteriore possibile giustificazione 
ailla prospettazione deM'Avvocatura erariale ora discussa. Secondo 
il costante e consolidato insegnamento di questa Corte, � proprio della 
funzione di indirizzo e coordinamento, in ragione del suo stesso concetto 
pdma .che di qua1sivoglia sua definizione giuridica, l'essere aliena 
da forme espressive cos� anaHtiche e dettagliate da non lasciare alle 
regioni (e province autonome) un necessario spazio di autonomia entro 
il quale poter legittimamente svolgere la propria competenza legrsfativa 
e/o la propria azione amministrativa (v. ad es. sentt. nn. 307 e 340 del 
1983; 245 del 1984; 356 del 1985; 195 del 1986; 64, 304 e 433 del 1987). Il 
totale assorbimento, da parte della disciplina impugnata, di ogni possibile 
spazio per l'ulteriore normazione pu� dunque esser considerato 
come un altro indizio, in assenza di un manifesto e obiettivo intento 
contrario, della volont� del legislatore di escludere che nel caso �si tratti 
di disposizioni dirette ad asisolvere a una funzione di indirizzo e di 
coordinamento. 

D'altra parte, non pu� essere accolta neppure la contrapposta prospettazione 
delle �ricorrenti, secondo la quale l'autonomia legislativa e 
amministrativa costituzionalmente garantita a!lle regioni (o alle province 
autonome) dov,rebbe ritenersi violata per il solo faltto che nelle materie 
attribuite alla competenza di queste ultime sia intervenuta una legge 
statale contenente disposizioni di dettaglio (e prive di qualsivoglia funzione 
di coordinamento). Nei termini appena detti tale consequenzialit� 
non pu� ammettersi, poich� non si pu� affatto escludere che, in considerazione 
della rilevanza che in ailcuni casi pu� assumere l'interesse nazionale, 
lo Stato possa 1legittimamente adottare una disciplina legislativa 
di dettaglio ipur nell'ambito di materie attribuite in via generale alla 
competenza regionale (o provinciale). A ben vedere, anzi, proprio la 
ricorrenza di questo motivo induce, nel caso di specie, a rigettare i 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO

220 

dubbi di costituzionalit� sollevati nei confronti degli artt. 1-3 della [egge 

n. 892 del 1984. 
A differenza di ,tutti gli altri limiti costituzionalmente posti all'autonomia 
legislativa delle regioni (o province autonome), l'inrteresse nazionale 
non presenta affatto un contenuto astrattamente predeterminabile n� 
sotto il iprofiJo sostanziale n� sotto quello strutturaile. Al conrtrario, si 
tratta di un concetto dal contenuto elastico e relativo, che non si pu� 
racchiudere in una definizione generale dai confini netti e chiari. Come 
ogni nazione dai margini incerti o mobili, che acquisrta un significato 
concreto soltanto in relazione al caso da giudicare, l'interesse nazionale 
pu� giustificare interventi del legislatore statale di ordine tanto generaile 
e astratto quanto dettagliato e concreto. La ragione di ci� sta nel fatto 
che, per raggiungere lo scopo che si prefiggono, le leggi deputate a soddisfare 
l'interesse nazionale nelle sue mutevoli valenze non possono non 
seguirne 1sino in fondo i molteplici e vari percorsi, i quali, in taluni casi, 
pongono in evidenza problemi la cui risoluzione pu� avvenire soltanto 
mediante una disciplina dettagliata e rpuntuale. 

Proprio in considerazione di questa sua particO'lare natura, l'interesse 
nazionale, se non pu� essere brandito dal legislatore statale come un'arma 
per aprirsi qualsiasi varco, deve esser sottoposto, in sede di giudizio di 
costituzionalit�, a un controMo particolarmente severo. Se cos� non fosse, 
la variabilit�, se non la vaghezza, del suo contenuto semantico potrebbe 
tradursi, nei casi in cui il legislatore statale ne abusasse, in un'intollerabille 
incertezza e in un'assoluta imprevedibilit� dei confini che la Cost1tuzione 
ha voluto porre a garanzia delle autonomie regionali (o provinciali). E, 
allo stesso modo, la sua potenziale pervasivit�, fin troppo evidente nel 
caso di legislazione di dettaglio, potrebbe causare, in mancanza di un'approfondita 
verifica dei IJTesurpposti di costituzionalit� relativi alla sua 
effettiva sussistenza, una sostanziale corrosione e un'illegittima compressione, 
se pure circoscritta alle fattispecie disciplinate, dell'autonomia costituzionalmente 
garantita alle regioni (e alle province autonome). Per 
queste ragioni, l'orientamento consolidato di questa Corte (v. sentt. nn. 
340 del 1983, 165 del 1986, 49 del 1987) � quello di procedere, di fronte 
all'eccezionale intervento statale nelle materie di competenza regionale (o 
provinciale) effettuato in nome dell'interesse nazionale, a un controllo di 
costituzionalit� particolarmente penetrante del relativo apprezzamento 
discrezionale compiuto dal legislatore. 

Nel corso della sua giurisprudenza questa Corte ha elaborato, con 

riguardo all'interesse nazionale, determinati criteri di giudizio, sulla base 

dei quali occorre sottoporre le disposizioni impugnate alle seguenti veri


fiche: 

a) che il discrezionale apprezzamento del legislatore statale circa la 
ricorrenza e la rilevanza dell'interesse nazionale non sia irragionevole, 



\ 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

221 

arbitrario o pretestuoso, tale da comportare un'ingiustificata compressione 
deLl'autonomia regionale (v. spec. sent. n. 49 del 1987); 

b) che la natura dell'interesse posto a base della disciplina impugnata 
sia, per dimensioni o per complessit�, tale che una sua adeguata 
soddisfazione, tenuto conto dei valori costituzionali da rispettare o da 
garantire, non possa avvenire senza disciplinare profili o aspetti che 
esorbitano dalle competenze regionali (o provinciali) e tuttavia sono necessariamente 
connessi con il tema oggetto della norimativa in questione 

(c.d. infrazionabilit� dell'interesse: v. sentt. nn. 340 del 1983, 177, 195 e 
294 del 1986, 49 e 304 del 1987); � 
-ovvero che, anche se non necessariamente infrazionabile, l'interesse 
invocato aippaia, a una valutazione ragionevole, cos� imperativo o 
stringente oppure esiga una soddisfazione cos� urgente da non poter 
es�sere adeguatamente perseguito, avendo sempre presenti i valori costituzionali. 
da garantire, dall'intervento normativo di singole regioni (o 
province autonome) (sentt. nn. 49 e 304 del 1987); 

e) che, in qualsiasi caso, l'intervento legislativo deHo Stato, considerato 
nella sua concreta articolazione, risu1ti in ogni sua parte giustificato 
e contenuto nei limiti 'segnati dalla reale esigenza di soddisfare 
l'interesse nazionale posto a proprio fondamento (sent. n. 49 del 1987). 

Poich�, nel caso di specie, oggetto dell'impugnazione � la disciplina 
d'un fenomeno, diffuso in tutto il territorio nazionale, che riguarda un 
aspetto, quello della copertura delle sedi vacanti di farmacie rurali, sostanzialmente 
collaterale rispetto alila materia di competenza regionale 
qui in contestazione, vale a dire la sanit�, � sufficiente verificare, al fine 
di definire hl giudizio di costituzionalit�, che l'interesse posto a base della 
disciplina impugnata, oltrech� infrazionabile, sia frutto di una scelta 
legislativa non irragionevole e sia perseguito con mezzi normativi non 
incongrui. 

Sottoposta aiJ.la prova di un siffatto scrutinio, la disciplina contenuta 
negli artt. 1-3 della legge n. 892 del 1984 appare del tutto rispondente 
ai requisiti indicati e, come �tale, giustificata sotto il profilo della 
legittimit� costituzionale, in ragione dell'interesse nazionale che la sorregge. 


Non v'� dubbio, innanzitutto, che l'apprezzamento operato dal legislatore 
statale dell'interesse posto a base della disciplina normativa 
oggetto della presente impugnazione appaia tutt'altro che irragionevole 

o pretestuoso. 1::, infatti, indiscutibile la notevole rilevanza sociale di un 
fenomeno, diffuso in tutto il territorio nazionale, che il legislatore ha 
non arbitrariamente considerato come fonte di profondo disagio sociale, 
di ingiusta precariet� e di trattamento deteriore a danno di un consistente 
grlllppo di pe11sone, rimaste escluse dalla titolarit� di farmacie 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(rurali) per !la riconosciuta cattiva utilizzazione in sede locale dei nor� 
mali meccanismi concorsuali o per cause legate a calamit� naturali. 
A testimonianza di siffatta valutazione si pu� anche ricordare l'elevato 
numero di proposte di legge depositate alle Camere rper dare risoluzione 
al problema poi affrontato con la legge impugnata e [a notevole ampiezza 
dei consensi da questa riscossi tanto in sede di deliberazione 
parlamentare quanto nei commenti successivii. In secondo luogo, una 
volta riconosciuta come una delle cause del fenomeno regolato dalle 
disposizioni in contestazione .ili cattivo o l'impossibile funzionamento degli 
ordinari meccanismi di copertura delle 1sedi e una volta prescelta la 
via della .sanatoria come soluzione pi� opportuna per far fronte aille 
conseguenze negative che ne erano derivate, appare evidente la necessaria 
connessione della disciplina impugnata con profili normativi esorbitanti 
dalle competenze regionali (o provinciali): �trattandosi, infatti, di 
un'eccezionale e provvisoria deroga al principio generale dell'assegnazione 
deHa titolarit� di farmacie in base a un concorso e non rientrando 
nelle ipotesi derogatorie gi� previste dalla legislazione nazionale, la disciplina 
impugnata incide di.rettamente e necessariamente su interessi 
di cui soltanto il legislatore statale pu� disporre (cos� come, dcl resto, 
aveva gi� fatto con la legge n. 34 del 1981, senza subire contestazione 
alcuna). Inoltre, tenendo ancora presente la causa principa1e del fenomeno 
regolato dalle disposizioni impugnate, non v'� dubbio che lo stru� 
mento della sanatoria si configura quale mezzo indiisrpensaMle per l'adeguata 
soddisfazione dell'interesse sottostante alle novme sospettate di 
incostituzionalit�. E, a dire il vero, se si hanno presenti le condizioni e 
i termini previsti, i quali sono chiaramente diretti a prevenire i pericoli 
di ingiustificate estensioni dei benefici concessi, non si pu� nemmeno 
dubitare che la disciplina dettata dal ilegislatore statale oltrepassi i rigorosi 
limiti richiesti dall'effettiva esigenza di soddisfare l'interesse nazionale. 
(omissis) 

Un'ultima censura, prospettata tanto dalle Province di Trento e di 
Bolzano quanto dalle Regioni Lombardia e Toscana, si appunta contro 
l'art. S della legge n. 892 del 1984. Questo articolo dispone che, ove le 
regioni e le province autonome non provvedano a bandire il concorso 
per l'assegnazione deHe farmacie vacanti o di nuova istituzione entro il 
termine previsto dall'art. 3 della legge n. 475 del 1968, il. Commissario 
del governo, previa diffida, provvede entro 30 giorni dal predetto termine 
a nominare un commissario ad acta, responsabile verso di lui, il 
quale � incaricato dell'indizione del bando di concorso e del relativo 
espletamento fino all'assegnazione delle farmacie ai vincitori. 

I profili in relazione ai quali le ricorrenti dubitano deMa legittimit� 
costituzionale del predetto art. S sono molteplici. Per le P.rovince di 
Trento e di Bolzano le disposizioni citate contrastano �con l'art. 87, n. 2 

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... . .. I 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

St. T.A.A., in base al quale i poteri del Commissario del governo sono 
circoscritti alla vigilanza sull'esercizio delle sole funzioni delegate dallo 
Stato alle province e alla comunicazione di eventuaH rilievi al Presidente 
della Giunta provinciale. Per [a Regione Toscana l'art. 5 contrasta con 
gli artt. 117, 118, 124 e 125 Cost., sia perch� attribuisce i11egittimamente 
allo Stato funzioni amministrative spettanti alle regioni, sia perch� conferisce 
indebitamente un potere di controllo sostitutivo nei confronti di 
atti amministratirvi della regione che, oltre a spettare ex art. 125 Cost. 
ad organi diversi, non rientra comunque nel �quadro delle competenze 
riconosciute dalla Costituzione al Commissario del governo. Infine, per 
la Regione Lombardia l'art. 5 contrasta con gli artt. 124 e 125 Cost. in 
quanto il potere ivi di1sdplinato non pu� iscriversi tra le ipotesi di controllo 
sostitutivo costituzionalmente previste �on �riguardo alle relazioni 
fra l'amministrazione statale e quella regionale, trattandosi di un potere 
che inerisce a rapporti �di gerarchia o di tutela e che, comunque, quando 
� previsto fra Stato e regioni, dev'essere assistito da particolari garanzie 
sostanziali (come i[ collegamento con funzioni di indirizzo e coordinamento, 
rapporti di �.leale cooperazione�, etc.) o formali (come l'imputazione 
al governo naziona1e, il parere di una commissione parilamentare, 
etc.), che nel caso 1sono assenti. (omissis) 

Nel merito, tuttavia, le censure prospettate contro l'art. 5 lella legge 

n. 892 del 1984 si rivelano fondate. 
� ben vero, come afferma una delle ricorrenti, che il controllo 
sostitutivo � un istituto presente in svariati settori del diritto pubblico, 
consistente in un potere eccezionale, particolarmente penetrante, in virt� 
del quale un soggetto o un organo gerarchicamente superiore oppure 
uno investito di una .funzione di indirizzo o di vigilanza nei confronti di 
altri soggetti, provvede, in casi di pe11Sistente inattivit� di questi ultimi, 
a compiere in loro vece atti I"ientranti nelle competenze degli stessi. Tuttavia, 
�quando � previsto nei rapporti tra Stato e regioni in relazio}le alle 
materie proprie di queste, il controllo sostitut:ivo, pur conservando i suoi 
caratteri essenzia!li, assume connotazioni .particolari, .legate al fatto che, 
nel caso, tale potere ha di fronte a s� un'autonomia politica e amministrativa 
cos�tituzionalmente defini�ta e garantita. 

Innanzitutto, �si tratta di un potere collegato a posizioni di controllo 

o di vigilanza, ovviamente esulanti da relazioni di tipo gerarchico, che 
pu� esser esercitato dallo Stato soltanto in relazione ad attivit� regionali 
sostanzia!lmente prive di �discrezionalit� neM'an (anche se non necessariamente 
nel quid o nel quomodo), ora perch� sottoposte per 1legge (o nonne 
equiparate) a tennini perentori, ora per la natura degli atti da compiere, 
nel senso che la loro omissione Tisulterebbe tale da mettere in serio 
pericolo l'esercizio di funzioni .fondamentali ovvero il perseguimento di 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

interessi essenziali che sono affidati alla responsabilit� finale dello 
Stato. 

In secondo luogo, il controllo sostitutivo nei confronti di attivit� 
proprie delle regioni pu� esser legislativamente previsto a favore dello 
Stato soltanto come potere strumentale Tispetto all'esecuzione o all'adempimento 
di obblighi ovvero rispetto all'attuazione di indirizzi o di criteri 
operativi, i quali siano basati su interessi tutelati costituzion~mente come 
Jimiti all'autonomia regionale (v. sentt. nn. 177 e 294 del 1986, 64 e 
304 del 1987). Solo in tali ipotesi, infatti, possono riscontrarsi interessi in 
grado di permettere allo Stato, quando ricorrano le necessarie condizioni 
di forma e di sostanza per un intervento sostitutivo, di superare eccezionalmente 
la separazione di competenza tra lo Stato stesso e le regioni 
stabilita dalla Costituzione (o dagli Statuti speciali) nelle materie attribuite 
all'autonomia regionale (o provinciale). 

In terzo luogo, il potere sostitutivo pu� esser eserdtato nei confronti 
delle regioni (o delle province autonome) soltanto da un'autorit� di 
governo, nello specifico senso di cui all'art. 92 Cost., dal momento che 
questo � il piano costituzionalmente individuato per l'adozione di indirizzi 
o di diirettive verso l'amministrazione regionale e per [a vigilanza e 
il controllo nei confronti dell'attuazione regionale dei princ�pi o dei 
vincoli legittimamente disposti a livello nazionale (ovvero sovranazionale 

o internazionale). 
Infine, l'esercizio del controllo sostitutivo nei rapporti tra Stato e 
regioni (o province autonome) dev'esser assistito da garanzie, sostanziali 
e procedurali, rispondenti ai valori fondamentali cui la Costituzione informa 
i predetti rapporti e, specialmente, al principio della � leale cooperazione 
�, che viene in particolare evidenza in ogni ipotesi, come la presente, 
nelle quali non sia (eccezionalmente) applicabile l'opposto principio 
della separazione delle sfere di attribuzione (v. sentt. nn. 153 e 294 del 
1986). E fra queste garanzie deve considerarsi inclusa l'esigenza del 
rispetto di una regola di proporzionalit� tra i presupposti che, nello 
specifico caso in considerazione, �legittimano l'intervento sostitutivo e il 
contenuto e l'estensione del relativo potere, in mancanza della quale quest'ultimo 
potrebbe ridondare in un'ingiustificata compressione dell'autonomia 
regionale (v. sentt. n .. 177 e 294 del 1986). 

Esaminato sulla base di tali criteri valutativi, l'art. 5 della legge 

n. 892 del 1984 appare viziato di illegittimit� costituzionale, in quanto 
� diretto a istituire una forma di controllo sostitutivo che, per lo meno, 
risulta attribuita a un organo, il Commissario del governo, inidoneo ad 
esser titolare del relativo potere. L'inidoneit� deriva dal fatto che tale 
organo �, per un verso, costituzionalmente sprovvisto dei poteri che rappresentano 
la necessaria premessa per la titolarit� di una qualche specie 
di controllo sostitutivo verso le regioni e, per altro verso, non si identifica 

PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

in nessuno degli organi che l'art. 92 Cost. comprende nel concetto di 
governo. 

Sotto il primo profilo, va sottolineato che la figura del controllo 
sostitutivo non pu� venir collegata a nessuno dei poteri che la Costituzione 
attribuiS'ce positivamente al Commissario del governo nei confronti 
delle attivit� amministrative proprie delle regioni. Secondo l'art. 124 
Cost., il Commissario � un organo decentrato dello Stato, operante in 
ciascuna regione, che sovraintende soltanto alle funzioni amministrative 
statali per coordinarle, su una base paritaria, con quelle regionali. Inoltre, 
al Commissario, come tale, non spetta neppure il controllo sugli atti 
amministrativi delle Regioni, che, sulla base dell'art. 125 Cost., � stato 
attribuito dalla legge a un organo collegiale decentrato, la Commissione 
di controllo, di cui � presidente il Commissario medesimo. Infine, anche 
in relazione alle ipotesi di scioglimento dei Consigli regionali ex art. 126 
Cost., al Cominissario del governo possono riconoscersi poteri di informazione 
e di controllo, che tuttavia non sono in grado di giustificare eventuali 
interventi sostitutivi. E, poich� i controlli nei confronti di una 
autonomia costituzionalmente definita e garantita sono da considerarsi 
di stretta interpretazione, si deve escludere che una legge ordinaria dello 
Stato possa introdurne di nuovi in mancanza di una precisa base costituzionale. 


D'altra parte, � difficilmente contestabile � che forme di controllo 
sostitutivo verso le regioni sono imputabili dalla legge soltanto ad organi 
che, per poter legittimamente adottare indirizzi ed esercitare controlli

1

nei confronti dell'amministrazione regionale e della relativa istanza di 
vertice (la Giunta), non possono esser che organi di governo (art. 92 Cost.). 
� solo su questo piano, infatti, che operano organi in grado di vigilare 
sull'unitariet� e sul buon andamento deHa complessiva amministrazione 
pubblica e che possono intervenire nei confronti �di autonoinie costituzionalmente 
tutelate con poteri cos� penetranti come quelli sostitutivi nel 
rispetto delJe garanzie fondamentali proprie del nostro sistema costituzionale, 
prima fra tutte queHa di doverne rispondere al Parlamento nazionale. 

L'illegittimit� costituzionale dell'art. S della legge n. 892 del 1984 
appare ancor pi� evidente in relazione alle censure mossegli dalle Province 
di Trento e di Bolzano. La particolare configurazione del Commissario 
del governo nelle due province, come delineata dall'art. 87 St. T.A.A., 
restringe il potere di vigilanza di tale organo nei confronti delle attivit� 
amministrative esercitate dalle province stesse (oltrech� dagli altri enti 
pubblici locali) soltanto alle funzioni ad esse delegate dallo Stato. Sotto 
tale profilo, la carenza di una base costituzionale diretta a legittimare un 
potere sostitutivo del Commissario del governo verso attivit� amministrative 
proprie delle due province autonome � cos� netta ed evidente da 
non meritare ulteriori motivazioni. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

226 

CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1988 n. 369 -Pres. Saja -Rel. Dell'Andro 
-Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato TaUarida). 

Reato -C.d. condono edilizio -~ istituto a s� stante, non riconducibile 

alle cause di estinzione del reato. 

(Cost. artt. 3, 25, 79 e 101; l. 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 35, 38, 39 e 44). 

Il decreto di amnistia estingue direttamente, senza mediazioni f attuali, 
alcuni effetti determinati da norme incriminatrici; gli effetti estin� 
tivi derivano dal decreto di amnistia e non dalla volont� dell'interessato. 
Il c.d. condono edilizio non integra gli estremi dell'amnistia. D'altro canto, 
il pagamento integrale della oblazione � soltanto l'ultimo momento di una 
complessa fattispecie estintiva, la quale produce anche la concessione 
della sanatoria amministrativa. Il c.d. condono edilizio non pu� essere 
ricondotto ai tradizionali istituti di clemenza o comunque estintivi del 
reato,� esso � istituto a s� stante, che presuppone una netta distinzione 
tra reato e punibilit�, e che d� luogo ad una causa di sopravvenuta improcedibilit� 
(processuale) dell'azione penale (1). 

2. -La prima questione sottoposta all'esame della Corte attiene alla 
natura giuridica del c.d. �condono edilizio� di cui alla legge 28 febbraio 
1985, n. 47. Risultano, infatti, impugnati dal Pretore di Pietrasanta gli 
artt. 31, 35, 38, 39 e 44 e dal Pretore di Mal� gli artt. 31, 35 e 38 della sopra 
citata legge, assumendosi anzitutto che le predette norme configurino 
un provvedimento, non emesso con le garanzie di cui all'art. 79 Cost., 
d'amnistia � mascherato �. I giudici a quibus escludono che il condono 
edilizio integri un'ipotesi d'oblazione, come sostenuto dall'Avvocatura 
dello Stato; questa Corte, pertanto, � necessitata a prendere posizione, 
nei limiti, s'intende, di questa sede, anzitutto sulle figure dell'amnistia 
e dell'oblazione (al fine di stabilire se le norme impugnate integrino l'una 
o l'altra figura) e, nel caso l'indagine risulti negativa (nel senso che le 
predette norme non s'inquadrino nelle citate figure giuridiche) a delineare 
la natura �atipica� (anche questa tesi � sostenuta da altre ordinanze di 
(1) Sulla base di una attenta analisi della funzione �deterrente e d'orientamento 
culturale� assegnata alla sanzione penale ai giorni nostri, la Corte 
supera gli schemi dei � tradizionali istituti di clemenza � e permette al legislatore 
ordinario di configurare cause (per cos� dire atipiche) di sopravvenuta 
improcedibilit� dell'azione penale, le quali incidono sull'azione penale e sul 
processo. Solo in via indiretta -per lo stretto collegamento tra reato, sua 
punibilit�, azione penale e processo -tali cause incidono anche sulla qualificazione 
dell'illecito. 
La sentenza � di grande importanza, non solo sul piano teorico: in molte 
� materie� (si pensi ad esempio a quella tributaria) potranno aversi applicazioni 
dei principi in essa affermati. 



PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

rimessione citate in epigrafe) del �condono ediilizio � qui in discussione. 
Il Pretore di Pietrasanta fa riferimento agli artt. 3, 25, primo comma, 79 
e 101, secondo� comma, Cost. mentre il Pretore di Mal�, agli artt. 25, 
primo comma, 101, secondo comma e 79 Cost. (omissis) 

Il dibattito sulla natura giuridica del c.d. � condono edilizio � di cui 
alle norme impugnate si � sviluppato, durante i lavori preparatori della 
legge in discussione e successivamente all'emanazione della stessa legge, 
partendo da tre distinte posizioni: per la prima, il condono edilizio in 
esame costituirebbe forma (per i pi� anomala) d'amnistia condizionata; 
per la seconda, lo stesso condono costituirebbe forma particolare d'oblazione 
extraprocessuale; per la terza, infine, rilevata la difficolt� d'inquadrare 
le norme impugnate in una delle due figure, rilevato altres� il vizio 
concettualistico e I'� apriorismo logico � di volere a tutti i costi inquadrare 
in una delle due citate figure il condono edilizio in esame, il medesimo integrerebbe 
un provvedimento di clemenza atipico. 

Qui va, anzitutto, rilevato che � davvero �arduo � tentare d'inquadrare 
(utilizzando la terminologia dei sostenitori delle prime due tesi 
innanzi indicate) un'anomala ipotesi d'amnistia condizionata ed una particolare 
forma d'oblazione extraprocessuale negli istituti generali, rispettivamente, 
dell'amnistia e dell'oblazione, quando non v'� ancora certezza 
o, comunque, sufficiente chiarezza in ordine ai predetti istituti. 

Dottrina e giurisprudenza, infatti, pur avendo a lungo ed approfonditamente 
discusso intorno al concetto (di genere) causa d'estinzione del 
reato (entro questo concetto il codice penale inserisce sia l'amnistia sia 
['oblazione) non hanno dedicato complete indagini su tutte le pairticolarri 
cause d'estinzione, non sottolineando a dovere che il codice penale 
riconduce al concetto �di genere� le pi� svariate figure (dall'amnistia 
alla morte del reo, alla prescrizione ecc.) sulla base d'una sola nota effettuale, 
quella d'estinguere il reato. Il necessario dibattito sul significato 
di questa formula (com'� noto, una novit� del vigente codice penale) 
non esclude l'esame del diverso fondamento, dei diversissimi modi di 
funzionamento delle singole cause d'estinzione: anzi, da questo esame 
pu�, invero, pervenire nuova luce proprio intorno al concetto generale di 
causa d'estinzione del reato. 

Le necessit� della � pratica � richiamano l'attenzione su due specifiche, 
particolari cause d'estinzione (l'amnistia e l'oblazione) e in generale 
sul �condono edilizio� di cui alla legge n. 47 del 1985, moderna ed 
ormai diffusa forma di � clemenza�, che mostra, fra l'altro, come anche 
l'estinzione del reato di cui all'art. 38, secondo comma, della precitata 
legge � da tener distinta, dati i diversi presupposti, dall'estinzione del 
reato di cui all'art. 13 della stessa legge. 

Il condono edilizio di cui alle norme impugnate non integra gli 
estremi dell'istituto dell'amnistia. L'amnistia (come l'indulto) �, invero, 


228 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO SlATO 


una particolarissima causa d'estinzione. Intanto, in ordine ad essa, una 
legge (il codice penale) prevede il decreto d'amnistia (ed indulto) come 
estintivo (si vedr� subito �di che�) senza far riferimento ad alcuna fattispecie 
concretamente estintiva. Dal fondamento dell'amnistia (misura 
di clemenza generalizzata) deriva un suo specifico modo di funzionare, 
w.(�:�4; I.� 
' . 
. 
una particolare struttura che la diversifica dalle altre cause d'estinzione. 
Mentre, in generale, le altre cause (ma si dovrebbero, poi, distinguere, 
una per una le �altre� cause) operano, producono l'estinzione attrav~rso 
la mediazione d'un fatto, d'una fattispecie concreta, l'amnistia produce, 
direttamente, l'effetto estintivo senza mediazione fattuale alcuna. Il codice 
penale, per le altre cause d'estinzione, di cui agli artt. 150 e segg., indica 
specificamente i fatti, le fattispecie, poste in essere le quali, in concreto 
si produce l'effetto estintivo (i fatti ad es. della morte del reo, del decorso 
del tempo ecc.); per l'amnistia, invece, fa discendere (a parte l'amnistia 
c.d. �condizionata�, alla quale si accenner� fra breve) l'effetto estintivo 
direttamente, senza mediazioni di sorta, dal decreto d'amnistia, quasi 
unanimemente riconosciuto di natura legislativa. 
Carattere peculiare dell'amnistia �, infatti, anzitutto quella d'incidere 
sulla � punibilit� � determinata da alcune norme penali incriminatrici. Si 
badi: della � punibilit� � che � gi� effetto della norma e che, pertanto, 
ben pu� essere � estinta � prima ancora che siano accertati i fatti di reato 
dai quali �potrebbe conseguire� l'effettiva punibilit� del reo. 
Dall'esame delle relazioni tra la disposizione, di parte generale, di 
cui all'art. 151 c.p. e le disposizioni incriminatrici di parte speciale si 
evince che il legislatore ordinario, nel determinare, nelle singole disposizioni 
incriminatrici, la punibilit� (principale ed accessoria, l'applicabilit� 
�delle misure di sicurezza e l'eventuale responsabilit� per le obbligazioni 
civili per l'ammenda) dei soggetti realizzatori di alcune fattispecie 
tipiche, prevede anche l'eventualit� che la stessa punibilit� venga estinta 
da un (futuro) decreto d'amnistia (ed indulto). L'art. 151 c.p. viene, pertanto, 
ad integrare le singole disposizioni incriminatrici: alcune situazioni 
effettuali, di punibilit�, previste da queste ultime disposizioni, vengono 
cos� a cadere sotto l'eventuale ambito d'influenza della disposizione 
integratrice di cui all'art. 151 c.p., rimanendo soggette all'eventualit� dell'estinzione 
ad opera d'un futuro decreto d'amnistia. 
Nessuno pu� fondatamente ritenere d'identificare il decreto d'amnistia, 
sol perch� incide su alcuni effetti predisposti da norme incriminatrici, 
impedendo ai medesimi di permanere in relazione ad alcuni fatti 
coperti dal beneficio, con la norma abrogatrice. Non si pu� tacere, tuttavia, 
che. il decreto d'amnistia estingue (peraltro soltanto in relazione a 
fatti tipici relativi ad un tempo circoscritto) direttamente, senza mediazioni 
fattuali, alcuni effetti determinati da norme incriminatrici precedenti. 




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Gli effetti estintivi del decreto d'amnistia si diversificano da quelli 
prodotti dalla legge abrogatrice non tanto perch� quest'ultima riguarda 
normalmente il futuro quanto per il rilievo che la legge abolitiva d'incriminazioni 
estingue tutti gli effetti determinati dalla legge incriminatrice: 
l'amnistia incide, invece; soltanto sulla punibilit�, principale ed � accessoria 
�, sull'applicabilit� delle misure di sicurezza, e sulle obbligazioni civili 
per l'ammenda relative ai fatti tipici, commessi in un circoscritto periodo 
di tempo, anteriore alla proposta di delegazione. Gli effetti penali ( � e 
non�) determinati dalla legge incriminatrice permangono, invece, tutti, 
intatti, in relazione a tutti i fatti, precedenti e successivi, non rientranti 
nel periodo beneficiato. 

Incidendo sul �dover essere� della pena (determinato da alcune 
norme incriminatrici, per l'ipotesi che si verifichino alcuni fatti tipicamente 
indicati) ossia sU!lla punibilit� (astratta) dei fatti commessi nel 
periodo di tempo previsto d!.il relativo decreto, l'amnistia � propria � opera, 
sul piano processuale (a parte l'amnistia c.d. condizionata) anzitutto 
quale fattispecie costitutiva dell'obbligo di dichiarare di non doversi procedere, 
salve ovviamente le ipotesi di oui a11'art. 152 c.p.p. Gli effetti estintivi 
derivano dal decreto d'amnistia e non dalla volont� dell'interessato. 
Ed ogni �ulteriore� efficacia, sostanziale o processuale del predetto 
decreto, discende, quale ulteriore conseguenza, dalla prima, diretta incidenza 
del decreto stesso su alcuni effetti determinati dalle norme incriminatrici. 
Ed � per questa incidenza che l'amnistia (impropria) opera 
anche dopo la condanna, estinguendo, con le pene accessorie, l'esecuzione 
della pena. 

Le ordinanze dei Pretori di Pietrasanta e Mal� assumono che, attraverso 
le disposizioni impugnate, sarebbe stata concessa ull'ammsua sottoposta 
alla condizione del pagamento d'una somma a titolo d'oblazione. 

Or � ben vero che l'amnistia pu� essere sottoposta a condizioni o ad 
obblighi, secondo la lettera dell'art. 151, quarto comma, c.p. e, pertanto, 
anche al pagamento d'una somma di danaro: ma non di �condizioni� in 
senso proprio si tratta. La condizione (sospensiva) infatti, presuppone 
sempre (essa �, appunto, elemento futuro) precedenti elementi c.d. essenziali, 
la produzione, da parte dei quali-, di concreti effetti giuridici � 
appunto condizionata e, pertanto, paralizzata dal mancato avveramento 
della medesima: la condizione, cos�, completa e conclude una serie precedente 
di altri elementi (c.d. essenziali). Per l'amnistia �propria� tutto 
ci� non avviene, non pu� strutturalmente avvenire: anche quando il decreto 
d'amnistia prevede il pagamento d'una somma di danaro come 

c.d. condizione (sospensiva) dell'effetto estintivo, tal pagamento non si 
trasforma mai in � condizione � in senso tecnico, perch� mancano i precedenti 
elementi c.d. essenziali. Tant'� vero che, nell'amnistia propria, 
non � data neppure la possibilit� di previsione di condizioni risolutive 

230 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

in senso proprio: queste ultime presuppongono, infatti, gi� prodotti (in 
concreto, si badi) da precedenti c.d. elementi essenziali della fattispecie, 
effetti giuridici, che vengono a risolversi poi, ex tunc, attraverso l'avveramento 
della condizione risolutiva. Ma ci� non pu� verificarsi, relativamente 
all'amnistia, appunto per la mancanza d'una completa fattispecie 
che, per le �altre� cause d'estinzione, di regola, media la produzione dell'effetto 
giuridico estintivo. La ragione della regola ora indicata sta nel 
rilievo che il decreto d'amnistia, pur condizionato, determina sempre, 
autonomamente, l'effetto estintivo: e per tal motivo non pu� attribuire 
ad alcuna fattispecie la virt� concretamente mediatrice dell'effetto stesso. 
Anche se l'unica ragione della concessione del beneficio penale, di cui 
alle disposizioni impugnate, fosse il pagamento (oblazione) d'una somma 
di danaro da parte dell'autore del J:eato (fra l'altro le disposizioni impugnate 
richiedono il predetto pagamento anche a soggetti diversi dall'autore 
del reato) a parte i limiti �esterni� di costituzionalit� delle 
disposizioni stesse, tutto si sarebbe potuto ravvisare nelle predette disposizioni 
meno che la concessione d'una classica amnistia. 

Il discorso si pone diversamente per l'amnistia �impropria�; ma le 
disposizioni impugnate non possono certamente, come si chiarir� fra 
breve, essere interpretate come concessione d'amnistia �impropria� (ove i 
questa fosse configurabile anche in mancanza di concessione d'amnistia W: 
�propria�). 

I

L'amnistia � propria � pu�, dunque, ben esser sottoposta a positivi 

f. 
obblighi (non, dunque, a �condizioni� in senso tecnico) la mancata esecut: 
~ 
zione dei quali non paralizza, tuttavia, alcuna viTt� effettuale di (precedenti 
temporalmente) elementi essenziali e la cui esecuzione elimina 
l'ostacolo che, per volont� dello stesso decreto, paralizza l'effetto estintivo. 
Questa diretta produzione dell'effetto estintivo, da parte del decreto 


I 

d'amnistia, � ben sottolineata dall'Avvocatura dello Stato. 
Le disposizioni impugnate dai Pretori di Pietrasanta e Mal�, preve


I 

dono, invece, una complessa e varia fattispecie produttiva di effetti 

I

estintivi, che rende del tutto inavvicinabili le stesse disposizioni a quelle 
concessive della classica amnistia (�propria� od �impropria�). L'equi


I 

voco nasce, forse, dall'aver la dottrina troppo insistito sul rilievo per il 
quale � l'oblazione ad estinguere il .reato. Per vero, non � l'oblazione, 

I

isolatamente, che ha tal virt�; dagli artt. 31, 35, 38, 39 e 44 della legge 

in esame (gli articoli, appunto, impugnati dalle ordinanze innanzi richia


I 
mate) � prevista una complessa fattispecie estintiva, che si compone, t 
per sintetizzare, anzitutto della domanda di sanatoria e del pagamento 

' 

della (prima) rata di cui al primo comma dell'art. 35 (e questi elementi, 

per il disposto di cui al primo comma dell'art. 38, gi� producono effetti 

preliminari, la sospensione del processo penale e di quello per le san


I

zioni amministrative) dell'intero procedimento amministrativo, non giu


l

II 

I 



PARTB I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

risdizionale, per la sanatoria ed, infine, del pagamento integrale della 
oblazione. Tal pagamento �, soltanto, l'ultimo elemento della precitata 
complessa fattispecie estintiva, la quale, almeno di regola (salvo, infatti, 
il caso di opere insanabili) produce, oltre all'effetto penalmente estintivo, 
anche l'effetto, costitutivo, determinato dalla concessione della sanatoria 
amministrativa. Una stessa fattispecie viene ad essere, pertanto, almeno 
di regola, costitutiva (di effetti amministrativi) ed estintiva (di effetti 
penali). 

Dalle disposizioni normative impugnate risulta che tutti i precitati 
effetti sono unicamente rimessi alla volont�, per quanto � condizionata � 

(v. art. 40 e capo I della legge) degli interessati; questi cos� divengono, 
insieme alle competenti autorit� amministrative, fattori determinanti i 
previsti sviluppi delle vicende giuridiche sostanziali e processuali. Gli 
effetti previsti dalle norme impugnate si producono in concreto non come 
ulteriori conseguenze d'una diretta, preliminare estinzione della punibilit� 
� astratta � di alcune norme incriminatrici di parte speciale, bens� 
soltanto a seguito delle manifestazioni di concrete volont� degli interessati 
e dell'autorit� amministrativa. 
D'altra parte, poich� il procedimento penale e quello per le sanzioni 
amministrative, ai sensi del primo comma dell'art. 38 della legge n. 47 
del 28 febbraio 1985, vengono sospesi, a seguito della presentazione della 
domanda di cui all'art. 31 e dell'attestazione del versamento deHa somma 
di cui al primo comma dell'art. 35 della stessa legge, non sorge, dalla 
domanda (di concessione della sanatoria) e dal precitato pagamento, 
alcun obbligo, nel giudice, d'immediata declaratoria di � non doversi 
procedere�: anzi, il �giudizio� pu� riprendere ove non si verifichino 
gli altri adempimenti, rimessi sempre alla volont� degli interessati. 
L'effetto definitivamente impeditivo dell'ulteriore corso del procedimento 
penale e quello estintivo dei reati, di cui al secondo comma dell'art. 38 
della legge n. 47 del 1985 (lo stesso comma usa la locuzione � estinguere 
i reati�, come il codice penale negli artt. 150 e segg., sicch� � qui superfluo 
aggiungere che, ove si ritenga che l'oblazione in esame costituisca, 
come � altre� situazioni di estinzione del reato, causa sopravvenuta di 
non procedibilit�, l'effetto sostanziale si produrrebbe in conseguenza 
dell'effetto processuale) deriva dunque dall'intera �mediatrice� fattispecie 
sopra descritta (dal fatto mediatore dell'efficacia estintiva) e non 
dall'integrale corresponsione dell'oblazione, determinata, in via definitiva, 
dal Sindaco, ai sensi del nono comma dell'art. 35 della legge in esame, 
contestualmente al rilascio, di regola, della concessione od autorizzazione 
in sanatoria. 

N� il � condono � di cui alle disposizioni impugnate pu� esser inquadrato 
fra le cause d'estinzione della pena: quest'ultima, ai sensi delle 
predette disposizioni, non pu� essere concretamente irrogata; conse



232 r� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

guentemente non pu� � estinguersi � ci� che . non � sorto, cio� una pena 
non concretamente inflitta. Anzi, a questo proposito, va sottolineato che 
significativo � che le norme impugnate, mentre consentono l'applicazione 
del beneficio ivi previsto durante il procedimento penale, prima della 
decisione definitiva di merito (e �singolare� � che, tuttavia, come si 
� notato, il giudice non pu� � chiudere � � ipso iure � il processo ma 
deve attendere il versamento, nel termine stabilito dalla legge, dell'integrale 
oblazione che, come si � visto, �, almeno di regola, determinata 
contemporaneamente alla concessione od autorizzazione in sanatoria) 
dopo la definitiva condanna il � condono � in discussione opera in 
maniera quasi opposta all'amnistia impropria: quest'ultima fa cessare 
l'esecuzione delle pene principali ed accessorie ma non incide, di regola, 
sugli � effetti penali � della condanna mentre il � condono � in esame 
non interferisce sull'esecuzione delle predette pene e, tuttavia, incide 
su alcuni �effetti penali�: ai sensi del terzo comma dell'art. 38 della 
legge n. 47 del 1985, infatti, non si tien conto della condanna ai fini 
dell'applicazione della recidiva e della sospensione condizionale della 
pena, � fatta menzione della oblazione nel casellario giudiziale � dell'au


tore del reato. 

V'� anche da escludere che il � condono � di cui agli artt. 31 e segg. 
della legge in esame possa esser ricondotto ad una delle �altre� tipiche, 
ex art. 150 e segg. c.p., cause d'estinzione del .reato: le particolarit�, 
notevolissime, del predetto condono non consentono, infatti, d'inquadrarlo 
ad es. nell'oblazione di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p. A parte 
ogni discussione su quest'ultima, non da pochi Autori considerata, essa 
stessa, una grave anomalia nel sistema, � ben vero che il � condono � 
penale in esame opera, a differenza dell'amnistia, esclusivamente a seguito 
della realizzazione della fattispecie estintiva pi� volte indicata: 
ma l'oblazione di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p., commisurata (terza 
parte o met� del massimo) all'ammenda stabilita dalla legge per la 
� contravvenzione � commessa, equivaile ad una, per cos� dire, anticipata 
esecuzione della pena pecuniaria. Di tal che, a parte altri rilievi in 
ordine alla necessit� del pagamento dell'ammenda, di cui agli artt. 162 e 
162 bis c.p., entro ben precisi termini processuali (prima dell'apertura 
del dibattimento ovvero prima del decreto di condanna) ed anche non 
tenendo presenti le � vecchie � tesi per le quali la stessa oblazione 
�trasformerebbe� l'illecito penale in illecito amministrativo, l'esame 
del fondamento della causa d'estinzione di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p., 
approfondita nella sua specificit�, dimostra agevolmente che ben poco 
essa ha a che vedere con la causa d'estinzione di cui alle norme impugnate, 
con l'uso cio�, da parte del legislatore ordinario, della punibilit�, 
considerata distinta ed autonoma dal reato, quale mezzo per � orientare 
� condotte susseguenti all'illecito sotto il miraggio del premio del




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

l'estinzione del reato. Le finalit� del condono penale in esame hanno 
conseguentemente anche ben poco a che vedere con il generale istituto 
della conciliazione amministrativa. 

Il �condono edilizio�, di cui agli artt. 31 e segg. della legge n. 47 
del 1985, non pu� esser ricondotto ai tradizionali (forse arcaici) istituti 
di clemenza o, comunque, estintivi del reato, perch� possiede una propria, 
particolare ragion d'essere e cos� una propria fisionomia: esso va 
studiato a s�, singolarmente, a prescindere da ogni formalistico, inattuale 
avvicinamento a vecchie formule o ad antichi istituti. 

. Il condono penale in esame presuppone, sistematicamente, una 
netta distinzione, se non una separazione, tra reato e punibilit�. Da 
sempre, � vero, le ipotesi delle cause, successive alla commissione del 
fatto di reato, d'esclusione della punibilit� hanno costituito oggetto di 
radicali, profondi quanto irrisolti dubbi. Si trattava, tuttavia, di dubbi 
dommatici: non si riusciva a �sistemare� la punibilit� come categoria 
autonoma, dato il presupposto che la medesima era necessaria, immediata, 
diretta conseguenza della commissione del reato. Vero � che il 
legislatore moderno, repentinamente destando la dottrina e la giurisprudenza 
(non dal � sonno � ma) da � sogni � dommatici, non solo d� per 
scontato che la � punibilit� � abbia una � consistenza � autonoma, un 
valore autonomo, rispetto al reato ma dimostra che la medesima pu� 
essere usata per ottenere dall'autore dell'illecito prestazioni �utili� a fini 
spesso estranei alla tutela del bene � offeso � dal reato. Facendo balenare 
all'autore dell'iillecito, punibile, l'esclusione od attenuazione della punibilit�, 
il legislatore � orienta �, � dirige � la condotta del reo susseguente al 
reato al raggiungimento di fini dallo stesso legislatore � desiderati �. 

Or qui non s'intende in alcun modo entrare nel merito politico d'un 
siffatto orientamento legislativo. A parte quanto si dir� fra poco sui 
limiti costituzionali del potere di clemenza, qui le precedenti notazioni 
valgono soltanto a chiarire il fondamento ed il particolare meccanismo 
operativo del �condono (penale) edilizio�, di cui alle norme impugnate, 
al fine di scegliere, quanto pi� possibile in maniera consapevole, l'� etichetta 
� da � imprimere � allo stesso condono. 

Il legislatore del 1985, nel tentativo di porre ordine nell'intricata, 
farraginosa materia dell'edilizia, preso atto dell'illegalit� di massa in 
tale materia verificatasi, ha inteso � chiudere � un passato illegale: ed ha 
ritenuto, con valutazioni insindacabili in questa sede, d'indurre (attraverso 
la previsione delle sanzioni di cui agli artt. 40 e del capo I) autori 
(e non) di violazioni edilizie a chiedere la concessione in sanatoria relativa 
ad opere realizzate abusivamente. La predetta domanda, costituente 
in certo modo � autodenuncia �, � indubbiamente utile, almeno, data la 
precedente illegalit� di massa, a fini di chiarezza catastale, tributaria, 
ecc. Sarebbe contraddittorio, pertanto, � punire � coloro che hanno 


234 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

proposto la predetta domanda: usando, dunque, della � punibilit� � in 
maniera autonoma, svincolata dalle relazioni con il reato commesso, 
il legislatore del 1985 dispone �l'estinzione� dei reati di cui al secondo 
comma dell'art. 38 della legge in esame, in conseguenza degli atti e 
procedimenti di cui alla preindicata fattispecie estintiva. Finalit� economico-
finanziarie non sono certo estranee alle disposizioni in discussione, 
tenuto conto del predisposto meccanismo d'estinzione e del fatto 
che l'oblazione va corrisposta anche nelle ipotesi in cui le opere non 
sono sanabi�i. Ma tali disposizioni vanno riguardate (si ripete: a parte i 
�limiti� del potere di clemenza) nella loro oggettiva tutela di oggettivi 
valori. 

A differenza dell'estinzione di cui all'art. 13, nella quale si profila 
una fattispecie estintiva che contiene in s� tutta intera la fattispecie 
costitutiva della sanatoria amministrativa ed insieme l'effetto (concessione 
della sanatoria) il fondamento sostanziale dell'estinzione di cui 
all'art. 38, secondo comma, della legge n. 47 del 1985, va ricercato nella 
valutazione �positiva � che l'ordinamento compie dei comportamenti del 
reo, successivi al reato ( � autodenuncia � attraverso la richiesta di sanatoria, 
pagamento dell'oblazione ecc.) che inducono a credere ad 'un sia 
pur parziale ��ritorno �, anche se non del tutto spontaneo, deli'agente 
alla �normalit��. Tal fondamento molto s'avvicina a quello delle comuni 
cause sopravvenute di non punibilit� (per chi le ammetta e sempre che 
i casi riportati sotto quella sigla non siano configurati come speciali 
cause d'estinzione del reato). Poich�, tuttavia, non pu� assumersi che 
sia concretamente sorta la punibilit�, non risultando essa accertata n� 
con sentenza n�, almeno di regola, durante il procedimento penale, e 
neppure risultando accertati i pr�esupposti extrapenali del suo �sorgere
�, durante il procedimento per l'inflizione delle sanzioni amministrative 
(la domanda di sanatoria delle opere abusive, infatti, sospende 
entrambi i procedimenti) sembra dubbio poter dichiarare � estinta�, 
appunto perch� non trattasi di amnistia propria, una punibilit� che 
ancora non � accertato sia concretamente sorta. Pertanto, fermo rimanendo 
il sostanziale fondamento al quale si � accennato, il condono penale 
in esame, dal punto di vista del suo meccanismo operativo, � una 
ipotesi di causa d'improcedibilit� sopravvenuta, tenuto conto che il 
giudice penale, a seguito della verificazione della fattispecie estintiva 
di cui agli articoli impugnati, � tenuto a concludere il processo con 
sentenza di � non doversi procedere � per estinzione del reato (formale 
usuale) essendogli inibito entrare in valutazioni di merito in ordine 
alla fattispecie estintiva e tantomeno concludere il processo con sentenza 
di merito. 

Pu� non risultare soddisfacente la formula processuale ma, nel caso 
in esame, � l'unica �preferibile�, pur dovendosi tener conto di tutte 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

le precedenti osservazioni sul fondamento sostanziale della causa d'estinzione 
qui in discussione. Autorevole dottrina, peraltro, riconduce tutte 
le cause d'estinzione del reato (di cui agli artt. 150 e segg.) alla categoria 
delle cause sopravvenute d'improcedibilit� dell'azione penale: pertanto, 
perch� non si creda che, riconducendo al �genere� causa d'estinzione 
del reato anche la particolare causa d'estinzione di cui al secondo comma 
dell'art. 38 della legge in esame, non si operi che un � rinvio �, del tutto 
formale, al � genere '" senza precisazioni in ordine alla � specie '" va qui 
aggiunto e sottolineato che l'� estinzione� di cui al precitato art. 38 si 
differenzia nettamente dalle �altre� cause d'estinzione di cui agli articoli 
150 e segg., ed iri particolare dall'amnistia, sulla cui natura di 
causa d'estinzione della punibilit� derivante dalla norma penale incriminatrice 
si � prima insistito. In ogni caso, nel richiamare quanto innanzi 
precisato in ordine all'imprescindibile necessit� dello studio delle singole, 
particolari cause d'estinzione (non solo di quelle �raggruppate� dal 

codice penale negli artt. 150 e segg.) va ancora sottolineato che il ricoi;idurre 
ai concetti generali, di natura effettuale, di causa d'estinzione del 
reato, della pena, della punibilit� (astratta o concreta) od a quelli, 
anch'essi generali, di non punibilit� sopravvenuta ed anche, di sopravvenuta 
non procedibilit� ecc., non vale a chiarire n� il fondamento n� 
il meccanismo operativo delle singole ipotesi (c.d. estintive) e, conseguentemente, 
non vale a chiarire adeguatamente, in ordine alle diverse 
cause, le particolarit� dello (stesso) effetto (ad esempio l'oggetto di 

quest'ultimo, cosa, particolarmente, si � estingua >>, l'estensione ai com


partecipi dell'effetto stesso, e via dicendo). L'inconfondibilit�, l'atipicit�, 

il meccanismo, davvero inedito, d'operativit� del condono �penale� di 

cui agli articoli impugnati, descritto in precedenza, valgono, ben pi� 

della sigla �causa sopravvenuta di non procedibilit�>>, a chiarire fonda


mento, struttura ed effetti del condono stesso. 

A questo punto la Corte, essendo stato fatto riferimento anche all'articolo 
3 Cost., non pu� esimersi dal considerare, sta pur sommariamente, 
sotto questo profilo, il problema dei vincoli costituzionali al potere di 
clemenza, in generale, ed in particolare al limite dell'uso della punibilit�, 
svincolata dal reato, per ottenere dall'autore del medesimo comportamento 
uti<1i a fini diversi da quelli relativi alla tutela del bene �offeso� 
dal reato. 

Di recente, il tema � stato prospettato con specifico riferimento 
all'amnistia, notoriamente contrastante con i fini di prevenzione perseguiti 
in sede penale. Poich� l'amnistia costituisce una deroga al principio 
d'efficacia generale della legge penale si � sostenuto che la medesima 
debba essere emanata nelle sole ipotesi compatibili con criteri di ragionevolezza 
sostanziale. 


236 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Or il tema, riferito esclusivamente all'amnistia, non atterrebbe a 
questa sede. Ma, ove si facesse riferimento ad un concetto generale di 
�misura di clemenza�, entro il quale s'inserisca, oltre ai recenti condoni 
(previdenziale e tdbutairio) anche quello edilizio, di cui agli artt. 31 e 
segg. della legge n. 47 del 1985, il tema stesso atterrebbe anche a questa 
sede. Va, infatti, sottolineato che la predetta legge, pur non potendosi 
ritenere, nelle disposizioni impugnate dalle ordinanze in esame, implicante 
la concessione della tipica figura dell'amnistia, di cui all'art. 151 
c.p., costituisce senza dubbio � specie � d'una generale nozione di � misura 
di clemenza �. 

Ma c'� di pi�. Lo � Stato sociale �, aumentando notevolmente la sua 
� incidenza � in vari campi d'attivit�, ripone fiducia, forse eccessiva, 
nella funzione deterrente e d'� orientamento culturale� della sanzione 
penale e finisce cos� con l'aggiungere a divieti contenutisticamente 
riferiti alle pi� svariate materie (appunto previdenziali, tributarie, ecc.) 
la sanzione penale. Si produce cos� un aumento delle sanzioni penali (a 
ci� si deve anche il troppo frequente ricorso, anche dopo l'entrata in 
vigore della Costituzione, a misure � clemeniiali �: almeno nelle intenzioni 
dei Costituenti doveva, invece, essere ridotta la frequenza dell'emanazione 
di provvedimenti di clemenza); il sistema penale, anzich� essere 
tutela di pochi, fondamentali beni, costituzionalmente rilevanti, diviene, 
sia pur seguendo i mutamenti della realt� sociale, quasi �soltanto� od 
�ulteriormente � sanzionatorio di precetti (non sempre di notevole importanza) 
relativi alle pi� diverse materie. Con la conseguenza che il legislatore, 
allorch� intende modificare la disciplina di queste ultime (ad 
es., dopo periodi d'illegalit� di massa) � quasi necessitato, nel � cancellare 
� il passato, ad incidere sulle sanzioni penali poste a rafforzamento 
delle sanzioni extrapenali. I vari � moderni � condoni non integrano, 
certo, per i loro fini, per i loro del tutto inediti meccanismi di funzionamento, 
la tipica, tradizionale amnistia ma costituiscono alcune delle 
moderne forme d'esercizio della generale �potest�� di clemenza dello 
Stato. E, dunque, anche nei confronti dei condoni in discussione va 
posto il problema dei limiti costituzionali all'esercizio di tale potest�. 

Tutte le volte in cui si rompe il nesso costante tra reato e punibilit� 
e quest'ultima viene utilizzata per fini estranei a quelli relativi alla difesa 
dei beni tutelati attraverso l'incriminazione penale, tale uso, nell'incidere 
negativamente sul principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., deve trovare 
la sua � giustificazione � nel quadro costituzionale che determina il fondamento 
ed i limiti dell'intervento punitivo dello Stato. 

La �non punibilit�� o la �non procedibilit��, dovuta a situazioni 
successive al commesso reato deve comunque essere valutata in funzione 
delle finalit� �proprie� della pena: ove l'estinzione della punibilit� 
irrazionalmente contrastasse con tali finalit�, ove risultasse variante 

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PARTI! I; SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

arbitraria, tale, come � stato esattamente sottolineato, da svilire il senso 
stesso della comminatoria edittale e della punizione, non potrebbe co:psiderarsi 
costituzionalmente legittima. 

Per le predette ragioni questa Corte, con sentenza n. 36 del 19 febbraio 
1986, pur ribadendo di non poter entrare nel merito della valutazione 
politica in base alla quale era stata emanata una misura di clemenza 
(si trattava, in quella sede, d'amnistia) ribadito ancora una volta 
il carattere eccezionale dell'amnistia e la necessit� di contenere, nei pi� 
ristretti limiti, l'esercizio della relativa potest�, sottolineava che detti 
limiti vanno ancor pi� richiamati quando l'effetto estintivo debba spiegarsi 
nei confronti di reati che, direttamente od indirettamente, violano 
precetti, costituzionaLmente sanciti, posti a tutela �di fondamentali esigenze 
della comunit�. 

Le predette considerazioni vanno ripetute e ribadite anche nei confronti 
dei moderni condoni, e, in particolare, del � condono penale � di 
c.i agli artt. 31 e segg. della legge n. 47 del 1985. La �non punibilit�� 
e la � non. procedibilit� �, di cui ai moderni condoni penali, specie quando 
� cancellano � reati lesivi di beni fondamentali della comunit�, va usata 
negli stretti limiti consentiti dal sistema costituzionale; quest'ultimo precisa 
(ed in maniera non generica) fondamento, finalit� e limiti dell'intervento 
punitivo dello Stato. Contraddire, vanificare, sia pur temporaneamente, 
le �ragioni prime� della �punibilit��, attraverso l'esercizio arbi~ 
trario della �non punibilit��, .equivale non soltanto a violare l'art. 3 
Cost. ma ad alterare, con il principio dell'obbligatoriet� della pena, l'intero 
�volto� del sistema costituzionale in materia penale. 

Alla verifica del rispetto, da parte delle norme impugnate, dei vincoli 
� esterni � posti dalla Costituzione al potere di clemenza si � accennato 
in precedenza. Il legislatore, con la legge citata, ha inteso chiudere un 
passato d'illegalit� di massa, alla quale aveva anche contribuito la non 
sempre perfetta efficienza delle competenti autorit� amministrative ed 
ha mirato a porre �sicure� basi normative per la repressione futura di 
fatti che violano fondamentali esigenze sottese al governo del territorio, 
come la sicurezza dell'esercizio dell'iniziativa economica privata, il suo 
coordinamento a fini sociali (art. 41, secondo e terzo comma, Cost.) la 
funzione sociale della propriet� (art. 42, secondo comma, Cost.) la tutela 
del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico (art. 9, secondo 
comma, Cost.) ecc. E questi beni, secondo la discrezionale, ed incensurabile 
in questa sede, valutazione del legislatore del 1985, non potevano 
esser validamente difesi per il futuro se non attraverso la � cancellazione 
� del notevole, ingombrante � carico pendente � relativo alle passate 
illegalit� di massa. 

D'altra parte, se � vero che, per le disposizioni impugnate, l'effettiva 

concessione della sanatoria amministrativa non � antecedente necessario 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DBLLO STATO

238 

dell'estinzione dei reati di cui all'art. 38, secondo comma, della legge 

n. 47 del 1985, � anche vero che il procedimento penale viene sospeso, 
ai sensi del primo comma dello stesso articolo, in base alla sola domanda 
di autorizzazione o concessione in sanatoria e l'importo definitivo dell'oblazione 
viene detemninato dal Sindaco nel momento stesso in cui 
concede Ia sanatoria. Pevtanto (tranne le ipotesi di opere abusive insanabili) 
J'estinzione dei reati in discussione, pur non essendo subordinata 
(come invece avviene per ,l'art. 22, terzo comma, della legge in esame) 
al rilascio della concessione in sanatoria, diviene, tuttavia, operativa, di 
regola, contemporaneamente al rilascio della citata concessione; uno 
stesso versamento normalmente integra d'ultimo elemento d'una fattispecie 
che � insieme' costitutiva in ordine all'effetto-concessione della 
sanatoria ed estintiva in ordine ai reati in esame. Sicch�, contemporaneamente, 
di regola, mentre il Sindaco dichiara non pi� � attuale � Ja sanzione 
amministrativa, il . giudice dichiara non pi� (( attuale )) fa samione 
penale. Il che (tenuto conto dehla normale � costruzione � dei predetti 
reati sulla base della sola illiceit� extrapenale) se non vaie a subordinare 
la � non punibilit� � dei reati stessi ailila � cancellazione � deH'illiceit� 
extrapenale, vale almeno a spiegare le ragioni sostanziali per if.e quali il 
legislatore ritiene � non (pi�) punibili � i reati in discussione. 
Le precedenti considerazioni rendono incondividibili anche le altre, 
specmcne osservazioni proposte dalle citate ordinanze dei Pretori di 
Pietrasanta e Mal� (omissis). 

N� maggior pregio ha il rilievo secondo il. quale, poich� gli effetti 
estintivi dell'oblazione � de qua � sono disposti esclusivamente in favore 
di colui che versa la somma di danaro appunto a titolo d'oblazione e 
non di eventuali compartecipi della stessa �violazione edilizia� (che non 
mettano in moto la procedura di sanatoria di cui agli articoli impugnati) 
la sanatoria in discussione non costituirebbe una � vera e propria � sanatoria, 
del tipo previsto dall'art. 13 della legge in esame, non determinando 
essa automaticamente il rientro nella legalit� delle opere abusive. 

Va, intanto, ancora una volta ribadito che le disposizioni della legge 

n. 47 �del 1985 relative al futuro (es. art. 13) e quelle della stessa legge 
relative al passato (es. sanatoria per gli abusi verificatisi entro il 1� ottobre 
1983) vanno tra loro qui confrontate soltanto ai fini della rilevazione 
di eventuali illegittimit� costituzionali e non per sottolinearne le 
diversit�: queste, .infatti, sono � scontate �, essendo le prime disposizioni 
determinate dall'esigenza di riordinare definiHvamente l'intera materia 
e le seconde dalla necessit� di chiudere (appunto per consentire un 
altrimenti impossibile riordino della materia) un passato (relativo all'assetto 
urbanistico del tevritorio) che la pubblica amministrazione non era 
stata sempre in grado di controllare. Ma, di pi�, anche per rispondere 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

all'altra obiezione, secondo la quale, poich�, ex art. 39 della legge n. 47 
del 1985, � prevista l'estinzione dei reati contravvenzionali anche quando 
l'abuso edilizio � insanabile (e ci� �maschererebbe� la concessione, con 
le norme impugnate, d'un vero e proprio provvedimento d'amnistia) va 
qui ancora una volta sottolineato che, per quanto riguarda il passato, 
la legge in esame intende per un verso, sotto il .profilo amministrativo, 
consentire le sanatorie (fin dove possibili) degli abusi commessi entro 
la data del 1� ottobre 1983 e per altro verso, sotto il profilo penale, 
consentire l'estinzione dei reati contravvenzionali realizzati in occasione 
di tali abusi;� tentando, in ogni caso, anche attraverso uno stimolo alla 
autodenuncia delle illegittime costruzioni e delle connesse violazioni 
penali, la regolarizzazione (fin dove possibile) dell'assetto del territorio. 
Ove il legislatore, per le opere non suscettive di sanatoria, non consen


tisse l'estinzione, autonoma, dei reati connessi alla costruzione delle 

stesse opere, non stimolerebbe, convenientemente, la denuncia delle opere 

abusive non amministrativamente sanabili. D'altra parte, una volta � sti


molate� le private �denunce� (anche a mezzo delle minacciate sanzioni 

di cui all'art. 40 della legge in esame) non pu� il legislatore lasciare 

� intatte � le sanzioni penali connesse alle irregolarit� delle opere � non 

sanabili �, cos� ... � premiando � le � autodenunce � di queste ultime 

(omissis). 

Le ordinanze ... sollevano, in riferimento all;art. 3 Cost., eccezioni di 
legittimit� costituzionale degli artt. 38, primo e terzo comma e 44 deMa 
legge n. 47 del 1985, nella parte in cui non prevedono la sospensione 
dell'esecuzione della pena a favore dei richiedenti la concessione in sanatoria, 
gi� condannati con sentenza definitiva in data antecedente alla 
entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, i quali, trovandosi nelle 
condizioni previste dall'art. 31 della stessa legge, presentino domanda 
di sanatoria, entro il termine perentorio di legge, accompagnata dall'attestazione 
del versamento delle somme di cui al primo comma dell'articolo 
35 (omissis). 

La questione sollevata dalla ricordata ordinanza del Pretore di Vittoria, 
esaminata nel merito, va dichiarata non fondata. Corretta appare 
l'interpretazione che il Pretore d� dei primi commi dell'art. 38, anche 
con .riferimento all'art. 44 della legge in discussione, in ordine all'esclusione 
degli effetti estintivi dell'esecuzione della pena, comminata a seguito 
di condanna definitiva pronunciata prima dell'entrata in vigore 
della legge in esame. Nulla, in proposito, esplicitamente la stessa legge 
dichiara: e non si pu�, certo, ricavare una misura eccezionale d'estinzione 
della pena da una �implicita� volont� legislativa. Vero � che non 
solo mancano, nella legge in discussione, disposizioni dalle quali si 
possa, sia pur implicitamente, desumere una volont� di comprendere 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

negli effetti estintivi, connessi all'oblazione di cui al secondo comma 

dell'art. 38, anche l'esecuzione della pena ma esistono, invece, chiaris


simi segni dai quali risulta la prova contraria. La formulazione letterale 

del terzo comma dell'art. 38, l'interpretazione logica di tutto intero lo 

stesso articolo nonch� il confronto con l'art. 44, sono, in proposito, ele


menti d'indubbio rilievo. In tanto l'amnistia fa cessare l'esecuzione della 

pena (quando, s'intende, interviene a condanna definitiva pronunciata) 

in quanto estingue, come si � notato innanzi, in radice, la punibilit� 

principale (accessoria ecc.) nascente dalle norme penali incriminatrici, 

che prevedono i fatti coperti dal beneficio: esclusa, dal decreto d'amni


stia, l'ulteriore permanenza (sempre e solo, ovviamente, in relazione ai 

fatti coperti dal beneficio) della �possibilit� giuridica� d'applicare la 

pena, nelle ipotesi in cui il predetto decreto interviene durante il proce


dimento, non si pu� ulteriormente � procedere � mentre, nelle ipotesi 

nelle quali lo stesso de.creta interviene a condanna definitiva pronun


ciata, l'effetto estintivo non pu� non investire l'esecuzione delle pene 

principali, accessorie ecc. 

Il legislatore del 1985 non ha scelto, per la concessione del condono 
edilizio, lo si � ribadito pi� volte, la strada dell'amnistia: coerentemente 
ed in ossequio ai princ�pi generali, ha � bloccato � gli effetti estintivi 
del condono � dinanzi � alla sentenza definitiva di condanna. Il legislatore 
ordinario avrebbe anche potuto diversamente disporre; ma (a parte 
il rilievo per il quale, in tal caso, avrebbe avvicinato il condono alla 
amnistia, con le inevitabili conseguenze in ordine al processo di forma. 
zione del provvedimento di clemenza) avrebbe dovuto esplicitamente 

dichiararlo: e ci� non ha fatto. 

In conclusione, non pu� ritenersi � irrazionale � .fil non aver previsto, 

a favore dei richiedenti la concessione in sanatoria gi� condannati con 

sentenza definitiva, l'estinzione dell'esecuzione della pena. 

D'altro canto, situazioni diverse sono, certamente, quelle nelle quali 

si trovano da una parte i soggetti imputati, durante il procedimento pe


nale e dall'altra i soggetti condannati, a seguito di sentenza definitiva: le 

predette situazioni ben possono pertanto, esser diversamente disciplinate 

dalla legge. 

Va, da ultimo, ricordato che il disposto di cui al terzo comma del


l'art. 38 della legge n. 47 del 1985 (per il quale, annotato nel casellario giu


diziale del condannato con sentenza defintiva il versamento dell'oblazione, 

della condanna non si tien conto ai fini dell'applicazione della recidiva e 
�della sospensione condizionale della pena) � dovuto ad una considerazione 
attinente alla condotta sopravvenuta del condannato (che nulla ha a che 
vedere con l'esecuzione della pena principale ecc.); lo stesso condannato, 
avendo chiesto la sanatoria dell'opera abusiva ed avendo corrisposto 
l'oblazione, rende, f;ra l'altro possibile i;l raggiungimento dei fini di chiarez-\ 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

za catastale, fiscale ecc., anche in vista dei quali � stata emanata la legge 

n. 47 del 1985. In tal modo vengono, fra l'altro, equ~1iibrati svantaggi e 
vantaggi delle due diverse, ed incomparabili, situazio:i� dei soggetti (richiedenti 
ila concessione in sanatoria, in regola col pagamento dell'oblazione) 
�non ancora� condannati e gi� condannati: questi ultimi non ottengono 
la cessazione dell'esecuzione della pena ma godono dei benefici di cui 
al terzo comma dell'art. 38 della legge in esame e possono ottenere la 
sanatoria dell'opera posta in essere nello svolgimento di attivit� penalmente 
illecita. (omissis) 
Attenta considerazione merita l'ordinanza emessa il 14 ottobre 1985 
dal Pretore di Roma con la quale viene proposta questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 38, quinto comma, della legge 28 febbraio 
1985, n. 47 nella parte in cui non comprende tra i soggetti legittimati 
a presentare domanda d'oblazione i concorrenti nel reato di cui all'art. 17 
della legge 28 gennaio 1977, n. 10: e ci� !�il riferimento all'art. 3 Cost. 

Va, intanto, osservato che durante i lavori preparatori della legge 

n. 47 del 1985 era stata prevista, oltre all'estinzione dei reati di cui dall'art. 
17 della legge n. 10 del 1977, anche quella dei c.d. reati connessi: 
e fra questi veniva individuato quello d'omissione di atti d'ufficio (ex 
art. 328 c.p.) anche contestato agli imputati nel procedimento � a quo �. 
Nel testo definitivo della legge in esame l'estensione del beneficio non 
compare: deve ritenersi, pertanto, che non possano beneficiare dell'estinzione, 
di cui alle disposizioni impugnate, gli amministratori-pubblici uf. 
ficiali (sindaci, assessori ecc.) imputati del delitto di cui all'art. 328 c.p. 
Resta da stabilire se gli stessi amministratori debbano rispondere, 
come qualsiasi altro concorrente, anche dei reati di cui all'art. 17 lettera 
b), della legge 28 gennaio 1977, n. 10. Il Pretore di Roma, infatti, 
lamenta che nella legge n. 47 del 1985 sia stata esclusa la facolt� 
di oblazione ai concorrenti nei reati edilizi oblabili da parte dei soggetti 
di cui agli artt. 38, quinto e sesto comma, della stessa legge. 

Va, a questo proposito, rilevato che la legge in esame, all'art. 31 
terzo comma, prevede che alla richiesta di sanatoria ed agli adempimenti 
relativi pu� provvedere (anche) ogni �soggetto interessato al conseguimento 
della sanatoria� in discussione. Da ci� discende che, quailora i 
concorrenti (diversi da quelli espressamente abilitati dal:le disposizioni 
impugnate a chiedere l'autorizzazione o concessione in sanatoria) nei 
reati edilizi risultino, nelfindagine processuale (che compete, pertanto, 
al giudice �a quo�) interessati al r.ilascio della predetta sanatoria, ben 
possono richiederla e conseguentemente porre in essere le condizioni idonee 
ad estinguere i reati edilizi. 

Il legislatore del 1985 non prevede, invece, che possa estendersi il 
beneficio � penale � anche a coloro che non solo non siano soggettivamente 
�qualificati�, nella commissione dei reati edilizi �propri�, ma non 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dl�.LO STATO

242 

abbiano neppure interesse al rilascio della sanatoria in discussione. Non 
va, peraltro, dimenticato, a questo proposito, che scopo precipuo della 
legge n. 47 del 1985 non � quello di concedere � clemenza � ma di stimolare 
le � denunce � degli illeciti edilizi, soprattutto ai fini d'una completa 
conoscenza dell'assetto edilizio del territorio e del riordino del medesimo. 

Al giudice � a quo � resta, dunque, affidata l'indagine tesa a chiarire 
se i pubblici ufficiali imputati abbiano o meno interesse ad ottenere la 
sanatoria prevista dalle disposizioni impugnate, ai sensi dell'art. 31, terzo 
comma, della legge in discussione. Tutto quanto sopra osservato vale ove 
lo stesso giudice � a quo � non ritenga, per il principio di sussidiariet�, 
che il reato edilizio di cui all'art. 17 lettera b) del 28 gennaio 1977, n. 10 
venga assorbito dal delitto di cui all'art. 328 c.p. 

La questione di costituzionalit�, sollevata dal Pretore di Roma con 
la precitata ordinanza, va pertanto, dichiarata non fondata. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1988, n. 373 � Pres. e rel. Saja � Soc. 
Esercizio Magazzini generali di Catania (avv. Monterosso) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Braguglia). 

Dogana . Sottrazione delle merci � Sussistenza dell'obbligazione doganale. 

(Cost. artt. 3 e 53; d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, art. 37; l. 22 dicembre 1980 n. 891, 
art. 23 bis). 

Non contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost. la disposizione che esclude l'obbligazione 
doganale solo in caso di distruzione o completo deterioramento 
della merce, e non anche nel caso di sottrazione di essa. 

L'art. 37 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, come interpretato autenticamente 
dall'art. 23 ter d.l. 31 ottobre 1980 n. 693, convertito nella 1. 22 di� 
cembre 1980 n. 891, stabilisce che l'obbligazione doganale � esclusa in caso 
di perdita deMa merce, da intendere come dispersione e non pure come 
sottrazione della disponibilit� della stessa. (omissis) 

Al riguardo occorre premettere che l'art. 36, primo comma, d.P~R. 
23 gennaio 1973 n. 43 stabilisce testualmente, quale presupposto dei diritti 
di confine sulle merci estere (i pi� importanti nell'ambito dei diritti 
doganali: art. 24 d.P.R. cit.), la loro destinazione al consumo entro il 
territorio doganale: destinazione da indicare nella dichiarazione ex art. 56 

d.P.R. cit., con cui l'operatore economico rende nota all'Amministrazione 
finanziaria l'intenzione di importare definitivamente la merce stessa. 
Aggiunge l'art. 37 che si considera non avvenuto il presupposto dell'obbligazione 
tributaria quando il soggetto passivo dimostri, tra l'altro, 
che la mancanza in tutto o in parte della merce (estera) dipende dalla 
sua �perdita�; ed il citato art. 22 ter del cit. d.l. n. 693 del 1980 convertito 



-


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 2..3 

dalla legge n. 891 del 1980, interpretando autenticamente la suddetta 
espressione � perdita �, dispone -come s'� detto -che essa va intesa 
come � dispersione � e non come � sottrazione della disponibilit� del prodotto
�. 

Tale norma, com'� chiaro, d� rilievo unicamente all'elemento oggettivo, 
nel senso che esclude l'obbligazione tributaria soltanto se la merce, 
per essere venuta meno nella sua consistenza fisica, non possa essere 
immessa nel circuito commerciale nazionale; per contro, non attribuisce 
importanza al fatto che tale immissione avvenga ad opera dell'importa


" tore ovvero di persona che ne abbia acquistato la materiale disponibilit� 
anche mediante reato. 
� appena il caso di aggiungere che la disposizione impugnata, secondo 
l'intenzione del legislatore esplicitamente dichiarata nel capoverso dell'art. 
23 ter cit., ha funzione interipretativa e perci� efficacia �retroattiva, 
consentita nel nostro sistema costituzionale, che la �esclude soltanto nella 
materfa penale. 
Ci� premesso, osserva la Corte che le ordinanze di rimessione deducono, 
come gi� si � detto, la violazione del principio di eguaglianza 
in quanto il 'legislatore irrazionalmente avrebbe distinto tra � dispersione � 
e �sottrazione della disponibilit� del prodotto�. 
La proposta questione non � fondata. L'obbligazione tributaria doganale 
per le merci � indissolubilmente collegata all'ingresso delle medesime 
nel mercato nazionale, e proprio in ci� trova il suo fondamento e 
la sua ragion d'essere. La distruzione od il completo deterioramento 
dei beni rendono impossibile tale ingresso e perci� impediscono il sorgere 
dell'obbligazione tributaria. Per converso, la perdita della soggettiva 
disponibilit� non rende il bene inutilizzabile, trasferendosi soltanto ad 
altra persona la concreta possibilit� di disporne e di effettuarne cos� 
l'immissione nel circuito commerciale: dal che consegue l'esclusione di 
una immutazione oggettiva della situazione da cui nasce l'obbligazione 
tributaria, conformemente a quanto disposto dalla normativa impugnata. 
Vale aggiungere che tale disciplina, essendo connaturata, secondo la 
comune concezione, alla finalit� intrinseca del tributo doganale, non � 
esclusiva del nostro Paese, ma � significativamente accolta in altri ordinamenti. 
Essa invero, si applica nell'ambito della Comunit� economica 
europea, secondo il disposto della direttiva del Consiglio delle Comunit� 
25 giugno 1979 n. 623, emanata per armonizzare le diverse norme nazionali 
su1l'obbligazione doganale (art. 4): ed in tale senso � ila sentenza 
della Corte di giustizia emessa dalla IV Sez. il 5 ottobre 1983 in cause 
186 e 187/82, la quale ha espressamente dichiarato la disciplina italiana, 
attualmente impugnata, conforme a quella comunitaria. 
Inoltre la stessa regola � accolta, al di l� dello spazio europeo, anche 
su piano internazionale, in base alla convenzione di Kioto 18 maggio 1973 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO

244 

sulla semplificazione ed armonizzazione dei regimi doganali: essa, infatti, 
dopo aver disposto al punto 22 dell'allegato E3 che �les marchandises 
entrepos�es qui sont d�truites ou irr�m�diablement perdues, par suite 
d'accident ou de force majeure, ne sont pas soumises au droits et taxes 
� l'importation �, precisa poi neH'allegato Bl che � les marchandises 
vol�es ne sont pas consiid�r�es d�truites ou irr�mediablement perdues �. 

(omissis) 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 27 aprile 1988 n. 470 -Pres. Saja -Rel. 

Baldassarre -Regione Lombardia (avv. Steccanella) e Presidente 

Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). 

Regioni -Avvalimento di uffici regionali per esercizio di funzioni statali � 
Disposto mediante atto amministrativo statale. 

Spetta allo Stato avvalersi di uffici regionali (nella specie, degli Osservatori 
per le malattie delle piante) per lo svolgimento di compiti inerenti 
a funzioni statali,� l'avvalimento pu� essere legittimamente disposto 
con atto amministrativo unilaterale dello Stato (ancorch� siano opportuni 
previ accordi, intese o convenzioni) (1). 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 maggio 1988 n. 559 -Pres. Saja -Rei. 
Baldassarre -Regione Lombavdia (avv. Pototschnig), regione Lazio 
(avv. Panunzio), regione Veneto (avv. Cevolotto), regione Toscana (avv. 
Narese) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Azzariti). 

Corte costituzionale -Deleghe stabilmente devolutive date alle regioni � 
Criteri di individuazione � Ammissibilit� del ricorso per conflitto di 
attribuzione. 

(1-2) Due sentenze di notevole importanza. La prima (n. 470) riconosce 
spazio e legittimit� all'istituto dello � avvalimento �, diverso dalla � delega,. 
e ad essa per cert:i versi alternativo. La seconda (n. 559), in esito ad una 
analisi di solido impianto, apre lo strumento del conflitto di attribuzione 
per le materie oggetto di deleghe stabilmente � devolutive �. In particolare 
questa seconda sentenza ha una portata sensibilmente innovativa, nel senso 
di un rafforzamento sostanziale delle autonomie regionali. Queste due pronunce 
potrebbero indurre in taluni casi (ad esempio, in materia di sanit�), 
a riconsiderare le scelte fatte dal legislatore tra gli alternativi strumenti 
considerati (trasferimento delle funzioni, delega � devolutiva >>, delega non 
� devolutiva >>, avvalimento). 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTll1JZIONALB 

Regioni -Distributori di carburanti -Lungo le autostrade oppure utilizzati 
da veicoli statali -Non delega delle funzioni. 

Regioni -Delega di funzioni � Direttive date in via amministrativa -Non 
possono essere tanto dettagliate da implicare revoca della delega. 

All'interno delle deleghe di funzioni statali alle regioni occorre distinguere 
la � species � delle deleghe � devolutive �, date stabilmente per 
rendere possibile l'� esercizio organico� delle competenze trasferite alle 
regioni. Tali deleghe stabilmente � devolutive � sono individuabili sulla 
base di una serie di elementi (conferimento di funzioni anche normative 
�di organizzazione e di spesa� e �di attrazione�, trasferimento anche 
di uffici e personale, possibilit� di subdelega, preponderante finalizzazione 
all'� esercizio organico� predetto). In relazione all'ambito delle competenze 
assegnate alle regioni con deleghe stabilmente � devolutive �, � ammesso 
conflitto di attribuzione (2). 

Non sono state delegate alle regioni a statuto ordinario le funzioni 
in tema di distributori di carburanti situati lungo le autostrade oppure 
destinati ad essere utilizzati soltanto per autoveicoli dello Stato. 

Allorch� lo Stato formula direttive nei confronti dell'esercizio delle 
funzioni da esso delegate alle regioni, non pu� spingersi fino al punto 
di enunciare criteri tanto dettagliati da dar corpo a un vero e proprio 
svolgimento diretto delle funzioni delegate; un tale comportamento avrebbe 
il significato di una revoca implicita della delegazione stabilita per 
via amministrativa, la quale, con riferimento al caso di specie, non potrebbe 
ritenersi consentita nei termini ipotizzati, sia perch�, a norma dell'art. 
118, secondo comma Cost., la revoca delle predette funzioni potrebbe 
essere compiuta soltanto con un atto di valore legislativo, sia perch�, 
data la natura della delega disposta in materia dal d.P.R. n. 616 del 1977, 
vi sarebbe spazio soltanto per una revoca esplicita . . 

I 

La questione su cui la Corte � chiamata a pronunciarsi � la seguente: 
se un decreto del Ministro dell'Agricoltura e delle Foreste, con il quale 
viene affidato ad un ufficio regionale l'esercizio di funzioni statali, sia 
invasivo o meno delle attribuzioni regionali in materia di organizzazione 
degli uffici e di individuazione degli organi muniti di potest� provvedimentale 
esterna. Nel caso di specie, infatti, il Ministro dell'Agricoltura 
e delle Finanze, con il decreto impugnato, ha affidato agli Osservat�ri per 
le malattie delle piante, che sono stati espressamente trasferiti alle regioni 
con il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (art. 74), il compito di verificare se i 
prodotti sementieri destinati all'importazione risultino conformi alle 
prescrizioni del nulla-osta ministeriale. 


246 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DEl..LO STATO 

Considerato che le due parti concordano nel ritenere che le funzioni 
attinenti al controllo di conformit�, come sopra definito, sono di spettanza 
statale e che l'oggetto del conflitto riguarda soltanto se lo Stato 
possa affidare l'esercizio di quelle funzioni ad uffici regionali, come gli 
Osservat�ri per le malattie delle piante, il ricorso va rigettato. 

Secondo una recente pronuncia di questa Corte (sent n. 216 del 
1987) -che ha ribadito, peraltro, un principio gi� affermato nella sentenza 
n. 35 del 1972 -non si pu� dubitare della �legittimit� di disposizioni 
che consentono allo Stato, senza utilizzare l'istituto della delega 
all'ente di cui al secondo comma dell'art. 118 Cost., di avvalersi di uffici 
regionali�. Per un verso, infatti, sarebbe assurdo negare allo Stato una 
facolt� riconosciuta alle regioni nei confronti degli altri enti locali territoriali 
e, per un altro, questo principio, come ha pi� volte affermato 
questa Corte (sentt. n. 359 del 1985 e n. 221 del 1988), risponde alle esigenze 
della � leale cooperazione � fra le componenti essenziali dello Stato 
regionale, che deve necessariamente caratterizzare i rapporti tra organi 
statali e regionali in un'amministrazione pubblica ispirata, a norma dell'art. 
5 Cost., al riconoscimento delle autonomie nell'ambito di un disegno 
unitario. 

In siffatto quadro, questa Corte non pu� esimersi dal sottolineare 
l'opportunit� di intese, di accordi o di convenzioni tra lo Stato e le 
regioni interessate, allorquando dall'avvalimento degli uffici regionali derivino, 
per questi ultimi, particolari oneri ovvero particolari problemi 
incidenti sullo svolgimento delle proprie funzioni. 

II 

Prima di ogni altra, va esaminata la questione pregiudiziale se i 
conflitti di attribuzione sollevati con i ricorsi di cui in epigrafe, i quali 
attengono a funzioni amministrative delegate alle regioni a norma dell'art. 
118, secondo comma, Cost., siano ammissibili. Con riferimento al 
caso di specie, la questione va risolta in senso positivo. 

Quello della delega amministrativa � un fenomeno estremamente vario 
e complesso, per il quale non sembra possibile fornire soluzioni interpretative 
generali valide per ciascuna delle ipotesi che il diritto positivo 
disciplina come delegazione di funzioni amministrative. 

� sufficiente considerare a tal fine che ipotesi di delegazione intervengono 
tanto nell'ambito di rapporti interorganici quanto in quello di 
rapporti intersubiettivi e, in quest'ultimo caso, tanto fra :soggetti dotati 
di autonomia costituzionale quanto fra soggetti che non lo sono. Inoltre, 
oggetto di delegazione � talora la titolarit� di funzioni o, addirittura, di 
attribuzioni (cio� di un complesso di funzioni unitariamente considerato), 
talaltra il mero esercizio di determinate funzioni o il compimento di de




-


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITPZIONALE 247 

terminati atti o attivit�. La delega, poi, pu� essere frutto di una libera 
scelta del titolare di determinate funzioni ovvero pu� dipendere dal ricor" 
rer� di condizioni obiettive discrezionalmente valutabili dallo stesso soggetto 
o, ancora, pu� esser configurata come un atto necessario o dovuto 
da parte del titolare per l'esercizio di determinate funzioni. 

N� quelle considerate sono le sole alternative rilevanti ai fini della 
caratterizzazione giuridica della delegazione amministrativa. Nel diritto 
positivo, infatti, si riscontrano deleghe che comportano trasferimento di 
uffici (mezzi e personale) e deleghe che non lo comportano, ve ne sono 
alcune conferibili (o revocabili) solo esplicitamente e altre anche implicitamente, 
alcune che prevedono in capo al delegante un potere di supremazia 
(se pure impropria) o di direttiva e altre che non lo prevedono, 
alcune che autorizzano il delegante ad adottare istruzioni vincolanti ed 
altre sulla cui base possono essere adottate istruzioni aventi un'efficacia 
meramente dfoettiva, alcune che conservano al delegante un potere cli 
intervento �concorrente� sulla materia delegata e altre che lo escludono, 
aloune su oggetti determinati e altre su oggetti generici o indetevminati, 
alcune a tempo ~prestabilito e altre a tempo indeterminato. 

Si tratta, come appare evidente, di alternative in grado di caratterizzare 
il fenomeno della delega amministrativa in modo di volta in volta 
diverso e che, se si rimane legati al diritto positivo attualmente vigente, 
� molto difficile, se non impossibile, razionalizzare secondo tipologie 
omogenee. 

Le alternative ricordate, infatti, non coincidono per nulla con la distinzione 
tra deleghe interorganiche e deleghe intersoggettive, ma si rinvengono, 
nella loro totalit�, tanto all'interno dell'una ipotesi quanto all'interno 
dell'altra. Alcune cli loro anzi -e non certo quelle di importanza 
secondaria ai fini della caratterizzazione giuridica del fenomeno si 
rinvengono persino nell'ambito di uno stesso atto legislativo, come ne] 
caso qui considerato del d.P.R. n. 616 del 1977. Di modo che si impone 
comunque l'esigenza logica di procedere a un esame caso per caso allo 
scopo di enucleare, attraverso un'analisi empirica, i caratteri propri della 
particolare fattispecie di delegazione amministrativa dedotta in giudizio 
e di verificare, quindi, se i poteri oggetto della delega stessa vadano ad 
integrare, o meno, la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle 
regioni. 

Il problema dell'ammissibilit� dei conflitti di attribuzione fra Stato 

e regioni vertenti su funzioni delegate � gi� pervenuto alla cognizione di 

questa Corte. In un primo caso, che riguardava la delega alle regioni del


l'esercizio delle funzioni amministrative in ordine alle opere di ricostru


zione nei territori colpiti da calamit� naturali, le quali erano residuate 

alla competenza statale dopo il trasferimento delle attribuzioni proprie 

degli uffici del genio civile e dei provveditorati regionali (art. 13, d.P.R. 

4 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DBTLO STATO

248 

15 gennaio 1972, n. 8), la Corte ha dichiarato l'inammissibilit� del conmtto. 
A base di questa decisione stava �l'argomento che, poich� si trattava 
di una delega che lo Stato poteva conferire, o non, alle regioni (c.d. 
delega libera), non era minimamente possibile configurare tanto le norme 
che concretamente la prevedevano, quanto le competenze che da essa 
derivavano, come dirette a integrare la sfera di autonomia costituzionalmente 
garantita alle regioni, la cui lesione soltanto legittima queste 
ultime a tutelarsi mediante lo strumento processuale del conflitto di 
attribuzione, previsto dall'art. 134 Cost. (sent. n. 97 del 1977). 

In una serie di casi successivi, vertenti tutti sulla particolare disciplina 
prevista dalla delega di funzioni in materia di paesaggio (art. 82, 

d.P.R. n. 616 del 1977), la Corte � giunta alla medesima conclusione ~sentt. 
nn. 359 del 1985, 152 e 153 del 1986). Tuttavia, in queste pronunzie, pur 
riaffermando il principio precedentemente enunciato, la Corte ha posto 
a base delle sue decisioni una massima differente, la quale si confaceva 
alla diversa ipotesi di delega dedotta nei giudizi in questione. Per riprendere 
le stesse parole allora usate, si � affermato, pi� precisamente, � che 
le attribuzioni soltanto delegate alla Regione non sono, in linea di principio, 
defendibili col rimedio del conflitto di attribuzione (sent. n. 97 del 
1977), e che, in particolare, non lo sono le attribuzioni devolute alla Regione 
con l'art. 82 d�l d.P.R. n. 616 del 1977, in quanto caratterizzate 
dalla conservazione allo Stato di poteri concorrenti � (sentt. nn. 152 e 15~ 
del 1986, nonch� gi� prima n. 359 del 1985). E, a chiarimento della stessa 
massima, si � aggiunto subito dopo che �la previsione di questi ultimi 
(poteri concorrenti), a fini di estensione e di effettivit� della tutela del 
paesaggio, esclude infatti la garanzia costituzionale delle competenze delegate 
� (v. spec. sent. n. 152 del 1986, che cita sul punto la sent. n. 359 
del 1985). 
In altri termini, nel primo caso la Corte ha escluso che le competenze 
delegate rientrassero nell'autonomia costituzionalmente garantita 
alle regioni, in quanto la loro assegnazione a queste ultime, dipendendo 
da una libera scelta del legislatore statale (che, nel caso del d.P.R. n. 8 
del 1972, era giustificata soltanto dall'opportunit� di non conservare allo 
Stato le funzioni residuali svolte da uffici periferici trasferiti alle regioni), 
mancava di qualsiasi aggancio logico con le norme costituzionali concernenti 
la ripartizione di competenze fra Stato e regioni. Negli altri casi, 
invece, trovandosi di fronte a una disciplina che, come questa Corte ha 
ribadito anche in una recente pronunzia (sent. n. 302 del 1988), prevede 
sulla medesima materia la compresenza di poteri regionali e di poteri 
statali aventi lo stesso contenuto e oggetto (pur se i secondi previsti in 
posizione di supremazia, a estrema difesa del vincolo paesaggistico), la 
Corte ha dedotto da ci� che, non essendosi lo Stato privato della piena 
titolarit� della relativa funzione, i poteri delegati attenessero al mero 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

esercizio della funzione stessa (come, del resto, in altri casi precedenti: 

v. sentt. nn. 39 del 1957, 11 del 1959, 36 del 1960, 40 del 1972) o, se si 
preferisce, allo svolgimento di attivit� rispetto alle quali non era stata 
nel contempo negata la competenza dello Stato, e che, pertanto, non 
potevano integrare in alcun modo la sfera di attribuzioni costituzion~lmente 
assegnata alle regioni. 
Il caso oggetto dei presenti giudizi, relativo alla delegazione alle re


gioni delle funzioni amministrative concernenti i distributori di carbu


rante (art. 52, lett. a, d.P.R. n. 616 del 1977), attiene a un'ipotesi di 

delega diversa dalle precedenti. 

Innanzitutto, si tratta di una delegazione mediante la quale la tito


larit� di una determinata funzione viene (temporaneamente) tolta dalla 

sfera di competenza dello Stato .e assegnata nel contempo a quella� regio


nale, con la conservazione in capo al primo del solo potere di indirizzo. 

Si tratta, in altre parole, di quella che in dottrina � chiamata � delega de


volutiva o traslativa�, la quale, come � noto, costituisce l'ipotesi di dele


gazione pi� prossima al trasferimento di funzioni, in quanto in essa 

l'accrescimento di competenza del delegato � consequenziale a una cor


relativa diminuzione della stessa nel soggetto delegante. 

Tuttavia, la circostanza che la funzione delegata di cui si tratta sia 
entrata a far parte del patrimonio di competenze delle regioni, a seguito 
dell'art. 52 del� d.P.R. n. 616 del 1977, � una condizione necessaria, ma 
non sufficiente, perch� i conflitti oggetto dei presenti giudizi siano ritenuti 
ammissibili. Infatti, come questa Corte ha costantemente ribadito 
(cfr., ad es., sentt. nn. 111 del 1976, 97 del 1977, 359 del 1985, 152 e 153 del 
1986), appartengono alla competenza del giudice costituzionale, e soltanto 
ad essa, unicamente quei conflitti nei quali si controverte di lesioni prodotte 
sulla sfera di competenze de1lo Stato o delle regioni, semprech� 
tale sfera risulti costituzionalmente garantita. E perch� questa garanzia 
ricorra nel caso delle funzioni delegate non � sufficiente, pur se � ovviamente 
necessario, che l'atto legislativo contenente la delega medesima 
(nel caso il d.P.R. n. 616 del 1977) sia da consaderare, secondo la consolidata 
e costante giurisprudenza costituzionale (cfr., ad es., sentt. nn. 223 
del 1984 e 217 del 1985), come esecutivo o integrativo di disposizioni formalmente 
costituzionali, per il fatto che, nell'ipotesi di funzioni delegate, 
l'astratta idoneit� della norma che le dispone a fungere da parametro dei 
~giudizi sui conflitti potrebbe esser neutralizzata in concreto, come ha 
gi� riconosciuto questa Corte (sent. n. 97 del 1977), dal carattere puramente 
volontario o possibilistico della delega stessa (c.d. delega libera). 

Perch� le funzioni delegate possano esser considerate parte integrante 
della sfera di competenze costituzionalmente garantita alle regioni c'� 
bisogno di un ulteriore e decisivo elemento: che le competenze delegate, 
per il modo in cui sono disciplinate e per il fine in vista del quale sono 


iso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D::lLLO STATO 

conferite, costituiscano un'integrazione necessaria deH.e competenze ((proprie 
�, di modo che la lesione delle prime comporti anche una menomazione 
delle seconde. 

Nell'interpretare il sistema costituzionale relativo alla ripartizione 
delle competenze fra Stato e regioni e nel dare ad esso attuazione positiva, 
il legislatore, attraverso la legge 22 luglio 1975 n. 382 e il d.P.R. 
24 luglio 1977 n. 616, ha previsto, tra l'altro, un particolare tipo di delega 
amministrativa, diretto essenzialmente a un duplice scopo: innanzitutto, 
costituire un modello organizzatorio dei rapporti fra Stato e regioni pi� 
flessibile delle altre forme di separazione di competenze e tale da permettere 
indirizzi statali in grado di assicurare una maggiore uniformit� 
su tutto il territorio nazionale, nonch� una maggiore unitariet� tra momento 
direttivo e momento attuativo; in secondo luogo, istituire uno 
strumento di ricomposizione delle competenze in capo alle regioni in 
grado di garantire lord un � servizio organico � delle funzioni trasferite. 

Sotto quest'ultimo profilo, sulla base di un preciso criterio dettato 
~falla legge n. 382 del 1975 (art. l, lett. e), il d.P.R. n. 616 del 1977, nell'ambito 
di una disciplina diretta ad assicurare alle regioni un'amministrazione 
per programmi, ha provveduto a delegare alle stesse le funzioni 
amministrative ritenute necessarie per rendere loro possibile l'� esercizio 
organico � delle competenze trasferite. Si � stabilita, cos�, una 
saldatura funzionale fra le competenze delegate e quelle trasferite, che, 
sebbene smentita in alcune delle fattispecie previste (come il ricordato 
art. 82 o, per fare altri esempi, gli artt. 77, lett. b, e 111 secondo comma), 
pu� tuttavia ritenersi affermata per la maggioranza delle deleghe conferite 
alle regioni con il d.P.R. n. 616 del 1977. Di modo che, ove tale legame 
non risulti contraddetto dalla particolare disciplina positiva prevista per 
ogni singola delega, si deve concludere che l'eventuale limitazione o invasione 
delle competenze delegate alle -regioni finisca per impedire o contraddire 
quell'esercizio �organico� che si � voluto garantire alle funzioni 
� proprie � delle regioni e menomarne cos� la consistenza costituzionale, 
come interpretata e attuata dalla legge n. 382 del 1975 e dal 

d.P.R. n. 616 del 1977. 
Del resto, � essenzialmente con riguardo a questa loro funzione di 
completamento organico delle materie trasferite alle regioni che si giustifica 
la relativa stabilit� assicurata alle deleghe qui considerate, stabilit� 
che, oltre a ricavarsi dal loro carattere di deleghe a tempo indeterminato, 
pu� agevolmente dedursi da una una serie di elementi della loro 
disciplina positiva. Innanzitutto, dal potere riconosciuto alle regioni di 
adottare nelle materie sulle quali sono state conferite funzioni delegate 
non solo provvedimenti amministrativi, ma anche � norme legislative di 
organizzazione e di spesa�, nonch� � norme di attuazione ai sensi dell'ultimo 
comma dell'art. 117 della Costituzione� (art. 7, primo comma, f. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 25l 

d.P.R. n. 616 del 1977). In secondo foogo, da<l fatto che, con il. conferimento 
delle funzioni delegate, sono contestualmente trasferiti gli uffici, 
il personale e i beni strumentali necessari allo svolgimento delle medesime 
funzioni (art. l, lett. e, 1. n. 382 del 1975). In terzo luogo, dalla 
possibilit� conferita alle regioni di subdelegare, con proprie leggi, ai 
comuni e agli altri enti locali le funzioni derivanti dalla delega statale e 
di stabilire i relativi indirizzi (art. 7, secondo comma, d.P.R. n. 616 del 
1977). Infine, dal carattere non derogatorio dell'ordine delle competenze 
generalmente riconosciuto alle funzioni delegate (d.P.R. n. 616 del 1977), 
il quale evidenzia la prevalente natura devolutiva o traslativa propria 
delle deleghe qui considerate: in una parola, la loro preponderante 
finalizzazione all' � organico � esercizio delle competenze trasferite. 
La delega di funzioni amministrative in materia di distributol;'i di 
carburanti, prevista dall'art. 52, fott. a), del d.P.R. n. 616 del 1977; si 
iscrive perfettamente nei caratteri propri delle deleghe volte al comple~ 
tamento organico delle competenze trasferite, che si sono appena ricordati. 
Si tratta, infatti, di funzioni conferite alle regioni nell'ambito di 
una competenza pi� generale, Telativa a un complesso di attivit� commerciali, 
che, come riconoscono tutte le parti dei presenti giudizi, integrano 
sostanzialmente la materia � fiere e mercati � attribuita alle regioni 
dall'art. 117 della Costituzione. 

Inoltre, poich� il suddetto art. 52 non prevede che lo Stato possa 
esercitare in materia �poteri concorrenti� o altri poteri (di annullamento, 
di integrazione, di inibitoria, e simili) comunque interferenti nei 
confronti degli atti adottati nello svolgimento delle funzioni delegate, ma 
conserva allo Stato (o, pi� precisamente, al Governo) soltanto poteri di 
indirizzo, si deve supporre che l'ipotesi di delega amministrativa oggetto 
dei presenti giudizi comporti una devoluzione piena delle funzioni interessate 
e, quindi, una cessione alle regioni della titolarit� delle funzioni 
stesse, che il legislatore ha operato nella misura e nei limiti necessari 
per l'esercizio organico delle competenze �proprie�. 

E poich�, su tali basi, si prospetta la violazione di parametri formalmente 
costituzionali o, comunque, di norme integrative o attuative 
di disposizioni formalmente costituzionali (il d.P.R. n. 616 del 1977), con 
riferimento a funzioni che, come s'� detto, sono state delegate alle regioni, 
non gi� per una libera scelta dello Stato, ma in base alla ricorrenza di 
condizioni, di limiti ed obiettivi costituzionalmente rilevanti (necessit� 
di integrazione organica delle attribuzioni regionali trasferite), semhra a 
questa Corte che sussistano i requisiti essenziali perch� sia dichiarata 
l'ammissibilit� dei conflitti di attribuzione sollevati con i ricorsi di cui 
in epigrafe. 

Entrando nel merito delle questioni, va peraltro dichiarata l'inammissibilit� 
di alcune censure contenute nel ricorso proposto dalla Regio



RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

ne Lazio. Secondo la ricorrente, le direttive contenute nei punti anzidetti 
prevedono contributi a carico dei concessionari degli impianti pi� remunerativi 
(punti 4, penultimo .comma, e 6) ovvero conferiscono al Ministro 
dell'industria poteri relativi alla. determinazione del numero massimo degli 
impianti nell'ambito nazionale e all'imposizione di altri limiti all'esercizio 
della libert� d'impresa (punto 7, che peraltro � stato soppresso dall'art. 
5 del successivo decreto emesso sulla stessa materia nel 1982), 
ponendo cos� in essere una disciplina amministrativa in violazione della 
riserva di legge garantita dagli artt. 23 e 41, secondo comma, della 
Costituzione. 

Tuttavia, poich� questa Corte, con giurisprudenza costante e consolidata 
(cfr., ad es., sentt. nn. 72 del 1961, 18 del 1970, 157 del 1975, 191 
del 1976, 152 del 1986), ha affermato che le regioni possono sollevare conflitto 
di attribuzione soltanto in relazione a norme dalla cui violazione 
consegua una lesione delle competenze ad esse costituzionalmente garantite 
e poich� le disposizioni che nel caso si assumono violate non hanno 
alcuna incidenza sulla ripartizione di competenze fra Stato e regioni, deve 
concludersi che nessuna delle censure qui considerate appare sorretta da 
quell'interesse a ricorrere in mancanza del quale non possono esser sottoposte 
alla cognizione di questa Corte. 

Vanno, invece, respinti i ricorsi per tutti i restanti profili in base ai 
quali le regioni hanno sollevato conflitto di attribuzione nei presenti 
giudizi. Le Regioni Lombardia, Lazio, Veneto e Toscana impugnano i 
punti 8 e 9 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, in quanto, riconoscendo che le competenze 
ivi contemplate siano esercitate da organi statali, non porrebbero 
in essere direttive concernenti l'esercizio di funzioni delegate alle 
regioni, ma disporrebbero sulla spettanza delle relative funzioni, ripristinando, 
in un caso, la competenza statale (punto 8) e non distinguendo, 
nell'altro, fra le competenze riconosciute al prefetto quelle che devono 
intendersi delegate alle regioni (punto 9). In ambedue i casi, comunque, 
le disposizioni impugnate conterrebbero, secondo le ricorrenti, una revoca 
implicita della delegazione di funzioni effettuata con l'art. 52, lett. a, del 

d.f.R. n. 616 del 1977 a favore delle regioni, che, essendo compiuta con 
atto amministrativo, sarebbe in contrasto con l'art. 118, secondo comma, 
Cast., il qua.ile prevede che :le deleghe in questione siano conferite, e 
quindi revocate, in modo esplicito e soltanto con atto di natura legislativa 
(riserva di legge). 
Le censure prospettate dalle ricorrenti, semprech� accompagnate dai 
requisiti di ammissibilit� precedentemente esposti, sarebbero fondate se 
fosse vera la premessa di fatto da esse posta a base delle proprie argomentazioni: 
che si tratti, cio�, di competenze delegate alle regioni anteriormente 
al decreto in cui sono contenute le disposizioni impugnate. 
Ma� cos� non �. 

I


I 

I 


PAR.m I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

In realt�, il punto 8 contiene una disposizione interpretativa dell'art. 
52, lett. a, del d.P.R. n. 616 del 1977, con la quale, in ordine alle 
incertezze manifestatesi riguardo al significato da attribuire al predetto 
art. 52, si precisa che � le funzioni amministrative relative agli impianti 
ubicati lungo le autostrade e sui raccordi con caratteristiche autostradali 
continuano ad essere esercitate dal Ministro dell'industria, del commercio 
e dell'artigianato, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, 
presidente dell'A.N.A.S., e sentito il Ministro delle Finanze�. Questa dispo. 
sizione non � chiaramente una direttiva rivolta alle regioni perch� esercitino 
in un certo modo le funzioni loro delegate in materia di distributori 
di carburanti. Si pu� dire, tutt'al pi�, che lo � in senso improprio, 
in quanto indica alle regioni che le foro competenze non si estendono agli 
impianti ubicati lungo le autostrade e i raccordi di tipo autostradale. Ma 
questo fatto non concreta, certo, un illegittimo uso di un potere statale 
ridondante in menomazione di competenze regionali, poich� la disposizione 
impugnata � sostanzialmente corrispondente all'art. 16, secondo comma 
(ultimo periodo), del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, che, per la parte interessata, 
non � stato assorbito e abrogato dall'art. 52, lett. a, del d.P.R. 
616 del 1977, correttamente interpretato. 

Quest'ultimo, infatti, nel delegare alle regioni le funzioni amministrative 
in materia di distributori di carburanti, non ha inteso ricomprendere 
in tale materia gli impianti situati lungo le autostrade, per il semplice 
fatto che le funzioni amministrative concernenti siffatti impianti 
coinvolgono ponderazioni di interessi che vanno compiute su scala nazionale 
o, comunque, su scala interregionale. Basta considerare, tanto per 
fare un esempio, che la distribuzione geografica di tali esercizi pu� essere 
adeguatamente decisa soltanto attraverso una visione globale della rete 
autostradale, la quale oltrepassa, ovviamente, l'ambito delle competenze 
regionali. 

Questa interpretazione trova conforto in altri elementi tendenti� verso 

la stessa direzione. Innanzitutto, gli impianti situati lungo le autostrade 

erano sottratti al comune regime dei distributori di carburanti anche 

nella legislazione anteriore al d.P.R. n. 616 del 1977, nella quale, mentre 

si attribuiva ai prefetti le funzioni provvedimentali relative agli impianti 

comuni, si affidava invece al Ministro dell'industria quelle attinenti ai 

distributori ubicati lungo le autostrade, con l'evidente giustificazione della 

dimensione nazionale delle relative funzioni (cfr. il citato art. 16, secondo 

comma, d.l. 26 ottobre 1970, n. 745, convertito nella legge 18 dicembre 

1970, n. 1034). Inoltre, l'art. 54 del d.P.R. n. 616 del 1977, nell'attribuire ai 

comuni le funzioni amministrative concernenti l'� autorizzazione� all'in


stallazione dei distributori di carburanti nel territorio comunale, esclude 

espressamente dalla materia gli impianti ubicati lungo le autostrade: e 

ci� � di particolare significato, dovendosi riconoscere, come ha affermato 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELJ..O STATO

254 

l'Avvocatura dello Stato, un sostanziale parallelismo tra le competenze 
di regolazione e di direttiva delle regioni e i poteri provvedimentali dei 
comuni nella stessa materia. 

Lo Stato ha correttamente esercitato un proprio potere anche quando 
ha disposto, al punto 9 del d.P.C.M. 8 luglio 1978, che �gli impianti di 
distribuzione di carburanti utilizzati esclusivamente per autoveicoli di 
propriet� della pubblica amministrazione, rimangono soggetti all'aut�rizzazione 
del prefetto �, secondo quanto disposto dall'art. 21 del d.P:R. 
27 ottobre 1971, n. 1269. 

In base a un elementare canone ermeneutico le disposizioni contenute 
in atti sottordinati alle leggi devono esser interpretati adeguandone, 
per quanto possibile, il senso alle norme legislative vigenti. Questa � la 
conseguenza tanto dell'assioma per il quale l'ordinamento normativo de. 
v'esser postulato, in sede interpretativa e applicativa, come una totalit� 
unitaria, quanto del principio di conservazione dei valori giuridici, il qtiale 
induce a presumere che una disposizione non sia dichiarata illegittima 
fintantoch� sia possibile enucleare da essa almeno un significato conforme 
alle leggi. Su tali premesse, dal momento che l'art. 52 del d.P.R. 

n. 616 del 1977 delega alle regioni le funzioni amministrative sugli impianti 
di distribuzione dei carburanti nell'ambito dell'ordnamento regionale e 
dal momento che l'art. 54 dello stesso decreto attribuisce ai comuni 
1'� autorizzazione� all'installazione degli stessi, si deve ritenere che, quando 
la disposizione impugnata si riferisce ai distributori assoggettati alla 
autorizzazione del prefetto, in quanto utilizzati esclusivamente per autoveicoli 
di propriet� della � pubblica amministrazione >>, intende circoscrivere 
quest'ultima espressione all'amministrazione statale. 
Solo se interpretata in tal senso, la disposizione impugnata assume 
un significato logico e coerente con le ricordate norme legislative, come 
del resto ha ,riconosciuto lo stesso Governo alilorch� ha aggiornato le 
�direttive� in questione (v. art. 6 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982). (omissis) 

La Regione Toscana, con due distinti ricorsi, impugna l'intero punto 
4 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 e gli artt. 6 e 7 del d.P.C.M. 31 dicembre 1982, 
in quanto ritiene le direttive ivi contenute troppo dettagliate e concrete, 
tali da eliminare ogni discrezionalit� nello svolgimento delle funzioni 
delegate alle regioni cui si riferiscono. Analoga censura � prospettata dalla 
Regione Lazio nei confronti del punto 15 del citato decreto del 1978. 

(omissis) 

Al contrario, vere e proprie direttive nei confronti dell'esercizio del1e 
funzioni delegate alle regioni s6no quelle contenute nell'art. 7 del d.P.C.M. 
31 dicembre 1982 e nell'art. 15 del d.P.C.M. 8 luglio 1978 (salvo l'ultimo 
comma, che, riferendosi agli impianti ubicati sulle autostrade, � assorbito 
dalle argomentazioni gi� svolte in relazione al punto 8 dello stesso decre



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

to). Tuttavia, tanto nell'uno, quanto nell'altro caso, il Governo ha esercitato 
il proprio potere di indirizzo restando nei limiti propri di questo. 

:� ben vero, infatti, che, allorch� lo Stato formula direttive nei confronti 
dell'esercizio delle funzioni da esso delegate alle regioni, non pu� 
spingersi fino al punto di enunciare criteri tanto dettagliati da dar corpo 
a un vero e proprio svolgimento diretto delle funzioni delegate; un tale 
comportamento avrebbe il significato di una revoca implicita della delegazione 
stabilita per via amministrativa, la quale, con riferimento al caso 
di specie, non potrebbe ritenersi consentita nei termini ipotizzati, sia 
perch�, a norma dell'art. 118, secondo comma Cost., la revoca delle predette 
funzioni potrebbe essere compiuta soltanto con un atto di valore 
legislativo, sia perch�, data la natura della delega disposta in materia 
dal d.P.R. n. 616 del 1977, vi sarebbe spazio soltanto per una revoca 
esplicita. 

Tuttavia i limiti appena enunciati non sono certo contraddetti n� dal 
punto 15 del decreto del 1978, n� dall'art. 7 di quello del 1982. Nel primo 
caso, infatti, si stabiliscono i livelli minimi degli orari di apertura dei 
distributori per il periodo invernale (non meno di nove ore e mezzo per 
ogni giorno feriale); si prevede, inoltre, la percentuale minima, in rela~ 
zione al territorio regionale, degli esercizi che devono restare aperti nei 
giorni festivi (non meno del 25 %) e durante la notte (non meno del 
3 %); e, infine, si dispone l'apertura ininterrotta per gli impianti selfservice. 
Nel secondo caso, invece, si prevede che le regioni possono consentire 
il rilascio delle concessioni per l'installazione e l'esercizio degli 
impianti di distribuzione per uso privato all'interno di stabilimenti, cantieri 
e simili, purch� si tratti di serbatoi con capacit� superiori ai dieci 
metri cubi e si siano accertate le reali .fnalit� in relazione all'attivit� 
svolta dall'impresa e alla consistenza del relativo parco di automezzi. In 
tutte e due le ipotesi, insomma, l'autonomia delle regioni � indubbiamente 
salvaguardata, poich�, mentre in un caso sono stabiliti alcuni 
criteri essenziali perch� le funzioni delegate siano svolte in modo uniforme 
in tutto il territorio nazionale con la garanzia di un sufficiente margine 
di discrezionalit� a favore delle regioni, nell'altro sono previsti alcuni 
requisiti minimi perch� il particolare regime ivi contemplato non dia 
luogo a disfunzioni o ad abusi, trattandosi di direttive rivolte, per un 
verso, a prevenire un'eccessiva polverizzazione degli impianti e, per un 
altro, a raccomandare severi controlli sulle effettive finalit� delle relative 
attivit�. 

Pi� complesso, ma analogo, � il giudizio da dare sul punto 4 del 

d.P.C.M. del 1978, peraltro integralmente sostituito, con disposizioni pi� 
stringate, dall'art. 3 del successivo decreto del 1982. La maggioranza 
delle disposizioni ivi contenute stabiliscono criteri dotati di un basso 
grado di astrattezza, ma in esse si trovano formulate alcune esigenze 

256 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEJ..O STATO 

relative all'efficacia del servizio, a un'adeguata distribuzione geografica 
degli impianti, e cos� via, che lasciano comunque, in sede di attuazione, 
un sufficiente spazio di discrezionalit� alle scelte regionali. Gli unici 
obblighi previsti sono quelli relativi alla necessit� di adottare un piano 
di irazionalizzazione della rete distributiva nel territorio regionale, al 
dovere di predisporlo entro la data del 31 marzo 1979 e al susseguente 
obbligo di comunicarlo al Ministro dell'industria entro la stessa data. Ma, 
com'� evidente, si tratta � di comportamenti dovuti, peraltro non sanzionati, 
diretti a porre alcuni punti fermi essenziali relativi al modo di 
procedere da parte delle regioni affinch� sia assicurato un coordinamento 
delle politiche regionali in materia, in mancanza del quale non sarebbe 
.neppure possibile la stessa funzione di indirizzo affidata dall'art. 52, 

lett. a, del d.P.R. n. 616 del 1977 al Governo. 

Del resto, affermare che le direttive non possono . costituire una 

forma, ancorch� surrettizia, di esercizio diretto delle funzioni delegate, 

non significa certo che esse non possano prevedere doveri, come quello 

di predisporre un piano, ovvero termini temporali per l'adozione o la 

comunicazione dello stesso. Non si pu� escludere, infatti, che il carat


tere concreto e dettagliato o il vincolo puntuale eventualmente connessi 

a qualche disposizione possano riguardare singoli elementi della funzio


ne interessata, al fine di ricondurla a parametri generali di uniformit� 

e di coordinamento: ci� che non � permesso � che la specifica funzione 

considerata possa essere complessivamente degradata, attraverso un uso 

improprio del potere di direttiva, a un'attivit� vincolata, priva di un 

sufficiente grado di discrezionalit�. 

i 

La Regione Veneto impugna i punti 10 e 11 del d.P.C.M. 8 luglio 
1978, in quanto, anzich� prevedere direttive sull'esercizio di competenze 
delegate, interverrebbero sul riparto di competenze fra comuni e regioni, 
affidando a queste ultime, con lo strumento improprio dell'atto amministrativo 
e pertanto in violazione della riserva di legge contenuta nell'art. 
118, secondo comma, Cost., competenze che l'art. 54, lett. f, del 

d.P.R. n. 616 del 1977, assegna ai Comuni. 
Pi� in particolare, il punto 10 dispone che le regioni, � per il rilascio 
delle autorizzazioni ( ...) per l'installazione e l'esercizio degli impianti 
di distribuzione per uso privato, ubicati all'interno di stabilimenti, cantieri 
e simili �, debbono accertare le reali finalit� connesse al tipo di 
attivit� svolta dagli operatori. Il punto 11 stabilisce, invece, che � le 
regioni provvedono anche al rilascio della autorizzazione per l'installazione 
di impianti di distribuzione di carburanti destinati all'esclusivo 
rifornimento di natanti, ferme restando Ie facolt� spettanti alla compe


tente autorit� marittima�. 

Il problema che ambedue le disposizioni pongono 
le ricorrenti a sospettarne l'illegittimit� deriva dal 

e che ha indotto 
fatto che, mentre 

I 

I 
II 

I 

! 

I 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTIT�ZIONALE 

le statuizioni appena lette sembrano ritenere che l'autorizzazione alla 
installazione dei distributori di carburanti sia di spettanza delle regioni, 
al contrario l'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977 attribuisce ai 
comuni la competenza a rilasciare, sulla base delle prescrizioni del 

C.I.P.E. e nell'ambito di criteri generali determinati dalla regione, � l'autorizzazione 
� all'installazione di distributori di carburanti nel territorio 
comunale, ad eccezione di quelli ubicati sulle autostrade. In altri termini, 
poich� le disposizioni impugnate sembrano operare una redistribuzione 
di competenze difforme tanto dalla norma legislativa appena 
menzionata, quanto dai principi di cui all'art. 118, secondo comma, Cost., 
se ne chiede l'annullamento. 
Tuttavia, di fronte a una formulazione tutt'altro che chiara, prima 
di accogliere eventuali censure d'illegittimit�, l'interprete deve verificare, 
come si � precedentemente ricordato, se le disposizioni impugnate possono 
esprimere almeno un significato non contrastante con le leggi ad 
esse sopraordinate e, in particolare, con l'art. 54, lett. f) del d.P.R. n. 616 
del 1977, che prevede I'� autorizzazione� ..comunale per l'installazione e 
l'esercizio dei distributori di carburanti. Ad una considerazione sistematica 
dell'intero decreto appare chiaro che il Governo, nell'emanare l'atto 
impugnato, non ha inteso pretermettere il livello comunale con riferimento 
alla installazione dei distributori di carburante. Pertanto, le 
ambigue formule contenute nei punti 10 e 11, se non debbono essere 
interpretate in contraddizione con altre disposizioni del decreto stesso e 
con le leggi che ne stanno a fondamento, posson� essere intese soltanto 
come un riconoscimento alle regioni di funzioni ulteriori in relazione 
al rilascio della predetta � autorizza~ione �, come quelle di stabilire indirizzi 
o criteri in ordine a tale provvedimento o, pi� in generale, alla 
materia dei distributori oggetto della �disciplina contenuta nelle disposizioni 
impugnate. 

Cos� interpretate, le direttive formulate dal Governo nei punti contestati 
possono acquistare un senso che altrimenti non avrebbero, o, se 
lo avessero, sarebbe illegittimo: un senso che, mentre in un caso 
(punto 10), porta a configurarle come direttive vincolanti le regioni a 
prevedere severi accertamenti in relazione al rilascio della � autorizzazione 
� all'installazione dei distributori ad uso privato, nell'altro (punto 
11), invece, come indirizzi v�lti a esigere un coordinamento fra le 
competenze regionali in ordine ai distributori adibiti all'esclusivo rifornimento 
dei natanti e quelle conservate in materia alla competente autorit� 
marittima. In ambo i casi si tratta, comunque, di direttive che 
rientrano perfettamente nei poteri propri dello Stato nei confronti dell'esercizio 
di funzioni delegate alle regioni. 

Anche l'ultima delle questioni proposte, quella relativa al punto 13 
del d.P.C.M. 8 luglio 1978, comporta probleini analoghi. Le Regioni Lom



258 

RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA Dm.LO STATO 

bardia, Lazio, Veneto e Toscana ritengono che la disposizione impugnata, 
nel prevedere che l'autorizzazione prevista dall'art. 54, lett. f), del d.P.R. 

n. 616 del 1977 � necessaria per il rilascio delle concessioni per l'installazione 
di nuovi distributori o di nuove attrezzature presso impianti 
gi� esistenti ovvero per il rinnovo delle concessioni in scadenza o per 
il trasferimento degli impianti su nuove ubicazioni, contrasti con il 
predetto art. 54 e con l'art. 118, secondo comma, Cost. per una duplice 
e alternativa ragione: in quanto prevede una concessione regionale in 
luogo di quella comunale oppure in quanto ne subordina illegittimamente 
il rilascio a una preventiva autorizzazione comunale. 
Per questi profili i ricorsi vanno rigettati poich�, anche in tal caso, 
la pur oscura formulazione del punto 13 pu� ricevere un'interpretazione 
in armonia con le norme di legge e della Costituzione rispetto alle quali 
si suppone il contrasto. E questa interpretazione � quella che conferisce 
al punto contestato un valore essenzialmente descrittivo, nel senso che 
con il punto 13 non si intende affatto introdurre, per via amministrativa; 
nuove competenze in ordine ai provvedimenti concessori collegati alla 
installazione o all'esercizio degli impianti di distribuzione dei carburanti, 
n� subordinare ipotetiche concessioni regionali all'autorizzazione comunale, 
ma si mira semplicemente a descrivere, per via interpretativa, i 
casi in cui va adottata I'� autorizzazione� prevista dall'art. 54, lett. f), 
del d.P.R. n. 616 del 1977. 

Per essere pi� precisi, va ricordato che, nel delegare alle regioni 
le funzioni amministrative sui distributori di carburante (art. 52, lett. a) 
e, nel contempo, nell'attribuire ai comuni il potere di rilasciare I'� autorizzazione 
� per l'installazione e l'esercizio dei distributori stessi (art. 54, 
lett. f), il d.P.R. n. 616 del 1977 ha effettuato una ripartizione di competenze 
conforme al disegno costituzionale, affidando alle regioni la programmazione 
e l'indirizzo e ai comuni l'amministrazione attiva e la 
gestione concreta del settore. Per non apparire in contrasto con tale 
quadro costituzionale, il punto 13 non pu� essere interpretato come 
diretto a prevedere, per via amministrativa, una concessione regionale 
e, tantomeno, una concessione subordinata a una preventiva autorizzazione 
comunale (come potrebbe far pensare un'affrettata analogia con 
il vecchio parere comunale). Al contrario, esso pu� e deve esser interpretato 
come una norma svolgente una funzione esplicativa e indicativa 
dei casi in cui I'� autorizzazione � spettante al comune, in base al ricordato 
art. 54, va rilasciata. 

N�, in contrario, pu� valere l'argomento letterale per cui il punto 13, 
al pari dell'art. 54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977, parla di �autorizzazione 
�, ritenendola 'lecessaria per il rilascio di una serie di concessioni 
(per nuove attrezzature, per il trasferimento di impianti, etc.). Come � 
unanimemente riconosciuto in dottrina, il provvedimento che l'art. 54 e 



PARm I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA cosnruZIONALB 259 

la disposizione ora impugnata chiamano autorizzazione �, in realt�, una 
concessione. Di modo che, ove lo si intenda nel suo significato sostanziale, 
il punto 13 dice semplicemente che il provvedimento concessorio, 
di cui al predetto art. 54, va necessariamente adottato per tutte le susseguenti 
ipotesi di concessione ivi menzionate. 

E che quel provvedimento, come precisa ancora il richiamato art. 54, 
sia di spettanza del comune, non pu� certo venir contraddetto dalla 
pretesa inidoneit� di tale ente a valutare gli interessi sottesi alla materia, 
i quali non sono del tutto circoscrivibili all'ambito meramente locale. 
Infatti, contro questa assunzione sta, innanzitutto, il rilievo che il comune 
� in ogni caso l'autorit� pubblica preposta all'adozione dei provvedimenti 
amministrativi di disposizione e di uso concreto del territorio; 
in secondo luogo sta il fatto che le concessioni comunali si iscrivono, a 
norma del citato art. 54, in un tessuto di interessi gi� delineato sia a 
livello nazionale (indicazioni del CIPE), sia a livello regionale (piano 
di razionalizzazione della rete dei distributori, indirizzi e criteri); e, 
infine, non si pu� trascurare il rilievo che, anche coloro che intendono 
ridurre la competenza del comune a un atto interno al procedimento 
concessorio (che si assume, in ipotesi, di spettanza regionale), non negano 
che, comunque, l'espressione di una volont� contraria del comune 
sia talmente decisiva da impedire il rilascio della concessione stessa. 

In definitiva, tanto un'interpretazione adeguatrice e sistematica della 
disposizione impugnata, quanto la collocazione degli interessi sottesi 
alla ripartizione di competenze fra regioni e comuni nella materia considerata, 
portano a conferire al punto 13 un senso meramente descrittivo 
delle ipotesi in cui appare necessario il provvedimento previsto nell'art. 
54, lett. f), del d.P.R. n. 616 del 1977. Anche se si pu� dubitare 
dell'efficacia di una disposizione del genere, resta il fatto che, solo se, 
interpretato in tal modo, il punto 13 non appare lesivo delle competenze 
delegate alle regioni in materia di distributori di carburanti (art. 52, 

9 

lett. a,' d.P.R. n. 616 del 1977). 

CORTE COSTITUZIONALE, 5 maggio 1988 n. 507 -Pres. Saja -Rel. Caianiello 
-Consorzio di credito oo.pp. (avv. Scoca), s.p.a. Dalmine Italsider 
e Finsider (avv. Lemme e Savarese), Camera di commercio 
di Milano (avv. Onida) e s.p.a. Italsider (avv. Lemme). 

Tributi in genere -Prestazioni patrimoniali imposte -Riserva di legge � 
Elementi sufficienti. 
(Cost., art. 23; r.d. 20 settembre 1934 n. 2011, artt. 53 e 80). 

Ai fini dell'osservanza dell'art. 23 Cost. � sufficiente che la legge ordinaria 
individui i soggetti obbligati alla prestazione patrimoniale imposta, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBll.O STATO

260 

l'oggetto della stessa (ovvero oggettivi e razionali criteri per determinarlo), 
ed un adeguato modulo procedimentale per l'emanazione degli 
occorrenti provvedimenti amministrativi (1). 

(omissis) Nel merito le questioni non sono fondate. La giurisprudenza 
di questa Corte ritiene che il principio della riserva di legge, 
previsto dall'art. 23 Cost., sia rispettato anche in assenza di una espressa 
indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare 
l'ambito di discrezionalit� de1l'amministrazione, purrch� gli stessi 
siano desumibili dalla destinazione della prestazione, ovvero dalla composizione 
e dal funzionamento degli organi competenti a determinarne 
la misura (sentt. nn. 4 del 1957, 55 del 1963; 67 del 1973, 51 del 1%0 e 21 
del 1969). Si esclude altres� da questa Corte (sent. n. 34 del 1986) la violazione 
della norma costituzionale citata quando esista, per l'emanazione 
dei provvedimenti amministrativi concernenti il.e prestazioni, un modulo 
procedimentale a mezzo del quale si realizzi la collaborazione di pi� 
organi, al fine di evitare eventuali arbitrii dell'amministrazione. 

La normativa oggetto della questione di costituzionalit� risponde ai 
requisiti indicati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale. Poich�. 
come si � detto, la norma istitutiva della prestazione in parola � l'art. 7 
del regolamento approvato con il R.D. 4 gennaio 1925, n. 29, -il cui 
contenuto, come si � rilevato, ha assunto rango di legge ordinaria, per 
effetto del richiamo di cui all'art. 80 del R.D. 20 settembre 1934 -� 
a tale norma che bisogna riferirsi per individuare gli elementi di 
detta prestazione patrimoniale imposta. 

Orbene, detta norma stabilisce che la Camera di commercio e indu� 
stria provvede ai locali ed a quanto altro occorre per il funzionamento 
delle Borse di �ommercio alle proprie dipendenze e dei relativi uffici 
forrnendo anche tutto il personale necessario sia per ie riunioni che per 

' il funzionamento di detti uffici. Stabilisce altres� che le spese relative 
alla pubblicazione del listino di borsa sono a carico della Camera di 
commercio e che le entrate sono, fra l'altro, costituite dai diritti di borsa 
che vengono ivi elencati, come si vedr� in prosieguo. 
Quanto all'organo competente alla determinazione di quei diritti, la 
stessa norma prevede che le tariffe siano deliberate dailla Camera di commercio 
e che siano approvate con decreto del Capo dello Stato. 

(1) La sentenza conferma e puntualizza con chiarezza l'orientamento della 
Corte in ordine agU � elementi sufficienti � in presenza dei quali deve ritenersi 
osservata la riserva relativa di legge posta dall'art. 23 Cost. -Nella specie 
esaminata si � trattato di prestazioni patrimoniali imposte (diritti inerenti 
ai servizi di borsa) ma non aventi carattere tributario; peraltro, come ovvio, 
il parametro costituzionale opera parimenti anche per i tributi. 

PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTI1UZIONALE 

Quanto alla portata del secondo comma dell'art. 53 del t.u. del 1934, 

n. 2011 (che � la norma denunciata in tutte le ordinanze di rinvio) va 
rilevato che in realt� si � in presenza di una disposizione dal contenuto 
meramente procedimentale, in quanto essa si limita a stabilire che l'indicato 
decreto del Capo dello Stato, per l'istituzione dei � diritti inerenti 
ai servizi delle borse di commercio, � promosso, per i diritti d�ile borse 
valori, dal Ministro delle finanze e per i diritti delle borse merci, dal 
Ministro per l'agricoltura e foreste di concerto con il Ministro dell'industria
�. 
Da quanto precede risulta dunque che, dal contesto in cui gli artt. 53 
e 80 del t.u. del 1934 si collocano, � certamente possibile desumere la 
presenza di quegli elementi che la giurisprudenza di questa Corte (in particolare 
da ultimo v. sul punto la sentenza n. 34 del 1986) ritiene sufficienti 
ai fini della �rispondenza all'art. 23 Cost. dei tributi o comunque delle 
prestazioni imposte in genere. Tali elementi sono: i soggetti tenuti ailla 
prestazione e l'oggetto della �stessa, razionali ed adeguati criteri per fa 
concreta individuazione dell'onere, e, infine, il modulo procedimentale 
che, come � stato precisato da questa Corte nella sentenza per ultima 
richiamata, concorre ad escludere -l'eventualit� di arbitrii da parte 
deM'amministrazione. 

Per quel che riguarda i soggetti, dal contenuto delle norme denunciate 
� possibile individuarli in coloro che abbiano interesse rispetto � ai 
servizi delle borse di commercio�, dovendosi rilevare che l'art. 7 del R.D. 
del 4 gennaio 1925, n. 29, diversifica i diritti relativi a tali servizi: a) in 
quelli per la quotazione dei titoli sul listino di borsa; b) in quelli per iJ 
rilascio delle tessere d'ingresso ai recinti ed agli spazi riservati; c) in 
quelli per l'uso dei telefoni, di tavoli, cabine e per ogni servizio a disposizione 
delle borse. 

Da queste indicazioni risultano dunque ben individuabili i soggetti 
tenuti a tali prestazioni, cos� per i diritti di quotazione nel listino, tali 
soggetti possono ravvisarsi nelle persone fisiche o societ�, aventi appunto 
interesse alla quotazione dei titoli nel listino di borsa. 

Parimenti, dalle stesse indicazioni, � chiaramente individuabile l'oggetto 
della prestazione patrimoniale imposta che ha, come punto di riferimento, 
gli elencati servizi di borsa, onde le prestazioni in parola devono 
avere attinenza con quei servizi e gravare perci� sui soggetti che rispettivamente 
si avvalgono di tali servizi. 

Dalla individuazione di tali elementi discende, come automatica 
conseguenza, anche il requisito della desumibilit� di criteri tecnici per la 
quantificazione delle tariffe, relative a ciascuno dei diritti di borsa indicati. 
Difatti i provvedimenti amministrativi, determinativi di tali tariffe, 
debbono prendere in considerazione il complesso delle spese sostenute 
dalle borse, ripartendo di conseguenza i diritti (rectius le prestazioni pa



262 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D11U.O STATO 

trimoniali imposte) indicate sub a) b) e c), in misura ovviamente pro


Iporzionale all'incidenza di ciascuna voce sul complesso di tali spese, 
attribuendo l'onere alle categorie di soggetti rispettivamente interessate e, 
facendolo infine gravare, nell'ambito di ciascuna categoria di destinatari 

ldei servizi, sui singoli soggetti, secondo criteri ispirati a princ�pi di ragio


-~ 

nevolezza che esplicitamente o implicitamente siano desumibili dai decreti 
del Presidente della Repubblica che approvano le tariffe. 
Dalle elencate indicazioni risulta perci� soddisfatta l'esigenza, posta 
in risalto dalla pi� recente giurisprudenza di questi;t Corte (sentenza 

n. 34 del 1986) in tema di prestazioni patrimoniali imposte, secondo cui 
� la delimitazione della potest� amministrativa non deve necessariamente 
risultare dalla formula della norma stessa, ma ben pu� risultare da tutto 
il contesto della disciplina relativa alla materia di cui essa fa parte�. 
Anche l'esigenza di un modulo procedimentale, che metta al riparo 
dall'eventualit� di arbitrii dell'amministrazione, rendendo possibile l'indagine 
sulle varie fasi del procedimento, appare nella specie soddisfatto. 
Basta al riguardo considerare che, secondo la normativa indicata, � previsto, 
per i diritti sub a) e sub b) -che sono quelli aventi la maggiore 
rilevanza -una delibera della Camera di commercio nonch� l'approvazione 
con decreto del Presidente della Repubblica (art. 7, comma quarto, 

R.D. n. 29 del 4 gennaio 1925), su proposta del Ministro competente (art. 53, 
comma secondo, t.u. 20 settembre 1934, n. 2011). 
Si � dunque in presenza di un procedimento ben articolato che consente 
un adeguato controllo nel loro susseguirsi, delle varie fasi del procedimento 
per verificare fa ragionevolezza �deHe dete11minazioni adottate. 

Quanto infine ai diritti indicati sub c), per i quali � solo prevista la 
delibera della Camera di commercio, questa semplificazione procedimentale 
� giustificata dalla natura dei servizi cui i dirittti in parola si riferiscono, 
perch� essi concernono l'uso dei telefoni, dei tavoli, delle cabine e 

i

di ogni altro servizio (chiaramente affine a quelli test� elencati), cio� di 
un complesso di prestazioni di carattere meramente materiale, rispetto 

I 

alle quali la garanzia procedimentale pu� gi� ritenersi soddisfatta, con la 

previsione della sola delibera della Camera di 

CORTE COSTITUZIONALE, 5 maggio 1988 n. 512 goni 
-Regione Valle d'Aosta (avv. Romanelli) 
dei Ministri (vice avv. gen. Azzariti). 

Regioni -Autorizzazione governativa agli acquisti 
per le regioni a statuto speciale. 

commercio. (omissis) 

I

Pres. Saja -Rel. Men!
ie Presidente Consiglio 

!

'~ 

8 

~ 

I 
~ 

-�1. necessaria, anche 

Spetta allo Stato il potere di autorizzare le regioni, e in particolare ~ 
la Regione Autonoma Valle d'Aosta, ad acquistare beni immobili e ad 

I! 

I 

. 1 

I

I 

I 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITTTZIONALE 263 

accettare lasciti o donazioni, quando l'acquisto sia deliberato con atto 
amministrativo della regione (1). 

Occorre precisare preliminarmente che l'assoggettamento delle regioni 
al requisito dell'autorizzazione governativa per gli acquisti di immobili 
a titolo oneroso e per l'accettazione di liberalit� pu� fondarsi soltanto 
sulla legge 5 giugno 1850 n. 1036 (c.d. legge Siccardi), applicabile a tutti i 
� corpi morali �, ossia come precisa l'art. 1 del regolamento di esecuzione 
approvato con r.d. 26 giugno 1864 n. 1817, a �qualunque istituzione�. Non 
sono applicabili alle regioni n� la legge 21 giugno 1896 n. 218 e il regolamento 
di esecuzione approvato con r.d. 26 luglio 1896 n. 361, che riguardano 
le province, i comuni e le istituzioni pubbliche di beneficenza, n� 
l'art. 17 cod. civ. e l'art. 5 delle disposizioni di attuazione, concernenti le 
sole persone giuridiche private (arg. ex art. 11 cod. civ.). 

Pertanto, nei confronti delle regioni l'istituto dell'autorizzazione agli 
acquisti -ritenuto applicabile dal Consiglio di Stato nel parere in data 
19 maggio 1978, cui si � conformata l'impugnata circolare della Presidenza 
del Consiglio dei Ministri -non implica la funzione tutoria di controllo 
della convenienza dell'acquisto e della disponibilit� dei mezzi occorrenti, 
che per gli altri enti pubblici e le persone giuridiche private l'art. 2 n. 5 
del r.d. n. 361 del 1896 e, rispettivamente, l'art. 5 disp. att. cod. civ. hanno 
aggiunto e quasi sovrapposto alla funzione originaria, identificata dalla 
sentenza n. 62 del 1973 di questa Corte nell'� esigenza fondamentale e sempre 
attuale di contenere nei limiti del necessario gli acquisti patrimoniali 
destinati a mero scopo di investimento e di reddito�. In questi termini il 
requisito dell'autorizzazione governativa � compatibile con l'autonomia 
riconosciuta alle regioni dall'art. 115 Cost., e anche con l'autonomia riconosciuta 
alla Valle d'Aosta dall'art. 1 de11o statuto speciale. L'autonomia 
delle regioni, che, pur avendo carattere politico, �non � da confondere 
con la sovranit�� (C. cost. n. 143 del 1968), � limitata alla valutazione 
e al perseguimento degli interessi specifici della regione. 

Invece l'autorizzazione agli acquisti, secondo la configurazione della 
legge Siccardi, � ordinata alla tutela di un interesse della collettivit� 
generale, della quale � esponente lo Stato, e precisamente dell'interesse a 

(1) Sentenza di notevole interesse, ancorch� dal tono un po' paleo-liberista 
laddove afferma in modo � tranchant � essere tuttora � interesse della collettivit� 
generale� evitare una incontrollata espansione della �mano pubblica� 
(all'epoca della legge Siccardi reputata �manomorta�). L'Italia di oggi, affollata 
di uomini e di imprese produttive, ha grande bisogno di spazi di salvaguardia 
ambientale e in genere sottratti allo sfruttamento � produttivo '" 
Inoltre, l'esperienza dell'ultimo sessantennio ha evidenziato sia la opportunit� 
(anzi, sovente la necessit�) di una ampia utilizzazione dello strumento proprietario 
da parte dello Stato e di enti pubblici, sia la molteplicit� delle 
modalit� di partecipazione della �mano pubblica � alle attivit� produttive 
e commerciali. 
5 



264. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
� ridurre nella misura dello stretto indispensabile i mezzi patrimoniali 
destinati ad attivit� non produttive, affinch� la maggiore quantit� possibile 
delle risorse economiche del paese possa concorrere ad aumentare la 
produzione e quindi la ricchezza nazionale �. Alla stregua di questa ratio 
legis appare infondata la pretesa della Regione ricorrente che gli acquisti 
immobiliari delle regioni siano � assoggettati a un regime analogo a quello 
dei beni statali, per i quali lo Stato stesso valuta l'opportunit� dell'acquisto 
in relazione all'esigenza di evitare la costituzione di manomorte �. 
D'altra parte non � esatto che l'alternativa sia l'assoggettamento delle 
regioni � a un regime analogo a quello degli enti locali �: come si � gi� 
sottolineato, nei confronti delle regioni rimane estranea all'autorizzazione 
l'ulteriore funzione tutoria che essa svolge nei rapporti con gli altri enti, 
cio� la funzione di un sindacato governativo sull'opportunit� dell'acquisto 
dal punto di vista dell'interesse dell'ente, e di tutela degli eredi legittimi 
del testatore o del donante. 

Cade di conseguenza anche l'argomento che la ricorrente ritiene 
offerto dall'art. 15 del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, nel senso che �se le 
regioni hanno competenza ad assentiire agli acquisti di enti locali e di 
persone giuridiche private, appare incongruo e privo di razionalit� che si 
neghi ad esse la competenza di valutare l'opportunit� dei propri acquisti 
immobiliari �. Anzitutto il trasferimento delle funzioni amministrative 
previsto dalla norma citata riguarda soltanto gli �enti pubblici locali 
operanti nelle materie di cui al presente decreto �, restando esclusi in 
primo luogo le province e i comuni, i cui acquisti continuano ad essere 
soggetti all'autorizza,zione governativa. Secondariamente, tra l'autorizzazione 
agli acquisti immobiliari degli enti locali e l'autorizzazione agli 
acquisti della regione non vi � � simmetria, perch� per quest'ultima il 
controllo non si estende all'opportunit� dell'acquisto. 

Non sussistono nemmeno le altre violazioni dello statuto regionale 
lamentate dalla Valle d'Aosta. (omissis) 

Non � violato l'art. 3 lett. c), che attribuisce alla Regione potest� 
legislativa (concorrente) in materia di �espropriazione per pubblica utilit� 
per opere non a carico dello Stato �. � vero che � l'espropriazione 
conduce inevitabilmente alla realizzazione di un acquisto immobiliare �, 
ma ci� significa soltanto che, alla condizione indicata, la norma statutaria 
estende, in via eccezionale, agli acquisti immobiliari mediante espropriazione 
per pubblica utilit� l'esonero dalla necessit� dell'autorizzazione governativa 
previsto dall'art. 5, primo comma, del r.d. n. 1817 del 1864 per 
gli acquisti a seguito di procedimenti di esecuzione forzata immobiliare. 

Altrettanto inconsistente � la pretesa violazione degli artt. 5 e 6 dello 
statuto regionale. Il trasferimento al demanio o al patrimonio della 
Regione dei beni del demanio o del patrimonio dello Stato, disposto dalla 
legge costituzionale n. 4 del 1948, non esclude che atti successivi di acqui




PARm I, SEZ. �I, GIURISPRUDENZA COSTITTTZIONALE 

sto di beni immobili, destinati a far parte del demanio o del patrimonio 
regionali, siano soggetti all'autorizzazione governativa richiesta per tutte 
le pubbliche istituzioni dalla legge n. 1037 del 1850. 

Non sussiste, infine, la lamentata violazione del principio di coincidenza 
tra competenza amministrativa e competenza legislativa della Regione, 
risultante dall'art. 4 dello statuto speciale. Con questo principio 
contrasterebbe, secondo la ricorrente, �la possibilit� di evitare la richiesta 
di autorizzazione governativa attraverso l'emanazione di una legge regionale 
�, riconosciuta dalla circolare impugnata, la quale limita la necessit� 
dell'autorizzazione governativa agli acquisti delle regioni � che non vengono 
effettuati attraverso atti legislativi�. 

Il detto principio non � richiamato a proposito. L'autorizzazione 
governativa di cui si discute non si sovrappone alla competenza amministrativa 
della Regione in una materia inclusa nella sua competenza 
legislativa, bens� si aggiunge alla delibera dell'amministrazione regionale 
come modalit� del procedimento di formazione dell'atto negoziale col 
quale la Regione acquista un bene immobile o accetta un lascito o una 
donazione. 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 maggio 1988 n. 556 -Pres. Saja -Rel. Caia� 
niello -Comune di Bosa (n.p.) e regione Sardegna (avv, Panunzio). 

Regioni � Atti degli enti locali -Comminatoria della decadenza -Competenza 
regionale -Non sussiste. 
(Statuto Sardegna, artt. 3, 4 e 5; legge Sardegna 23 ottobre 1978 n. 62, art. 22). 

La previsione di una sanzione di � decadenza � per atti di enti locali 
non attiene alla materia dei controlli su tali atti; alla regione non spetta 
potest� legislativa in materia. di ordinamento degli enti locali. 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988 n. 612 -Pres. Saja -Rel. Baldassarre 
-Regione Toscana (avv. Barile) e Presidente Consiglio dei 
Ministri (vice avv. gen. Azzariti). 

Regioni -Controllo sugli atti delle unit� sanitarie locali -Attribuzione 

ai comitati regionali di controllo sulle province � Legittimit� costitu


zionale. 

(Cost. artt. 117, 123 e 130; legge 26 aprile 1982 n. 181, art. 13). 

La materia dei controlli sugli atti degli enti locali non � assimilabile a 
quella dell'ordinamento degli uffici ed enti regionali. In ordine ai controlli 


266 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

si ha una ripartizione delle competenze fra Stato e regioni tale che, mentre 
al primo � riservata la regolamentazione degli aspetti_ fondamentali e 
dei princ�pi (vale a dire, oltre alla composizion.e, le norme pi� rilevanti 
sulla competenza e sulle procedure di controllo), spetta invece alle regioni 
la disciplina residuale e, in particolare, quella relativa al funzionamento 
dell'organo di controllo (1). 

I 

Oggetto della questione di legittimit� costituzionale � l'art. 22 della 
legge regionale della Sardegna, che commina la decadenza delle deliberazioni 
degli enti locali territoriali, nonch� dei loro Consorzi e Comprensori, 
non pubblicate entro dieci giorni dall'adozione. 

Ad avviso del giudice a quo tale disposizione si porrebbe in contrasto 
con gli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto regionale, che non attribuiscono 
alcuna competenza legislativa alla regione in materia di ordinamento 
degli enti locali. 

La questione � fondata, si~ pure solo parzialmente. 

La norma denunciata, fatte salve le disposizioni di legge speciali 
che prevedono termini e periodi diversi di pubblicazione, stabilisce che 
le deliberazioni degli enti in parola sono pubblicate negli appositi albi 
entro dieci giorni dall'adozione e per la durata di quindici giorni, a pena 
di decadenza. 

Osserva la Corte che tale norma, per la parte che concerne l'obbligo 
della pubblicazione delle deliberazioni degli enti locali entro un certo 
termine, non pu� considerarsi illegittima, in quanto la pubblicazione, nel 
dare notizia ai cittadini delle deliberazioni stesse, consente ad essi di 
partecipare, seppur indirettamente, alla funzione di controllo, mediante 
la proposizione di opposizioni ai competenti organi preposti a questa 
funzione che, anche attraverso tale strumento partecipativo, sono posti 
in grado di esercitare in modo pi� ampio e completo. Nei sensi anzidetti 
trattasi di una previsione fra l'altro gi� esistente nella legislazione statale, 
perch� difatti l'art. 163 del regolamento di esecuzione della legge 
comunale e provinciale, approvato con r.d. 12 febbraio 1911 n. 297, stabiliva 
che il certificato dell'eseguita pubblicazione delle deliberazioni 
comunali e provinciali, � deve far menzione se siansi prodotte opposizioni 
�. 

(1) La Corte ha avuto cura di prendere le distanze dalla configurazione 
delle U.S.L. alla stregua di �strutture operative dei comuni e delle comunit� 
montane �. Ed in effetti tale configurazione si palesa sempre meno congrua. 
Anzi, poco razionale -specie dopo che il numero delle U.S.L. sar� ridotto appare 
il collegamento tra detti organismi e le realt� dei comuni (singoli od 
associati); mentre questi sono sovraccarichi di funzioni, proprio la provincia 
� ente di dimensione adeguata e non privo di una esperienza in materia. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

In quanto diretta a disciplinare i termini della pubblicazione che, per 
quel che si � detto, assume rilievo anche con riferimento al controllo sulle 
deliberazioni, la disposizione rientra dunque nella competenza della 
regione cui spetta, neMa materia dei controlli, potest� legislativa ai sensi 
dell'art. 46 dello Statuto regionale Sardegna. 

A diverse conclusioni devesi invece pervenire per quel che riguarda la 
comminatoria di decadenza prevista dall'articolo in esame, nell'ipotesi in 
cui non si provveda alla pubblicazione nei termini e per la durata indicata. 
Quella della decadenza � difatti una previsione che non attiene alla 
materia dei controlli, bens� alla disciplina dell'efficacia delle deliberazioni, 
in quanto il mancato adempimento delle formalit� di pubblicazione determina 
appunto, secondo la norma denunciata, la decadenza degli effetti 
delle deliberazioni stesse. 

Sotto quest'ultimo aspetto la norma esula dalla competenza della 
Regione, cui non spetta la potest� legislativa in materia di ordinamento 
degli enti locali, e, quindi, limitatamente alla previsione della decadenza, 
deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima. 

II 

La questione di costituzionalit� posta al giudizio di questa Corte 
concerne l'art. 13 della legge 26 aprile 1982, n. 181, nella parte in cui, 
estendenqo la competeza dei comitati per il controllo sulle province 
(art. 55, 1. 10 febbraio 1953, n. 62) agli atti delle U.S.L., prevede che tale 
forma di controllo sia esercitata a livello regionale � in unica sede �. Da 
parte della Regione Toscana si dubita della legittimit� costituzionale di 
tale disposizione per l'asserito contrasto con le seguenti disposizioni: 
a) l'art. 130 Cost., come attuato dall'art. 56 della legge 10 febbraio 1953, 

n. 62, in quanto attribuisce alle regioni e, pi� in particolare, alla loro 
competenza statutaria la scelta di prevedere se il controllo sugli atti dei 
comuni debba esser svolto in forma accentrata o decentrata nei capoluoghi 
di provincia; b) l'art. 123 Cost., che affida la disciplina degli organi 
regionali, e quindi anche quella degli organi di controllo, alla competenza 
statutaria, la quale, nel suo svolgimento concreto (art. 70, secondo comma, 
St. Reg. Toscana), ha stabilito che il controllo sugli atti degli enti 
locali debba venir esercitato da un organo suddiviso in sezioni decentrate 
nei capoluoghi di provincia e dotato delle competenze stabilite dalla 
legge regionale; e) con l'art. 117, primo comma, Cost., che prevede la 
competenza legislativa delle regioni a statuto ordinario in materia di 
organi e di uffici regionali. 
Nei termini di cui si dir� in motivazione, la questione non � fondata. 
Come � chiaramente stabilito dall'art. 130 Cost. e come questa Corte 
ha da tempo riconosciuto (v. sent. n. 40 del 1972), non vi pu� esser dubbio 


268 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

che sia riservata alla legge dello Stato la disciplina relativa al modo di 
composizione dei comitati regionali di controllo sugli enti locali minori. 
In pari tempo, questa stessa Corte ha pi� in generale affermato, secondo 
la precisa sintesi contenuta in una successiva pronunzia (sent. n. 245 del 
1984), che �spetta in prima linea alle leggi della Repubblica, in attuazione 
dell'art. 130 Cost., l� disciplina dei controlli sugli atti degli enti 
locali �. Ci� significa, in altre parole, che esiste in materia una ripartizione 
delle competenze fra Stato e regioni tale che, mentre al primo � riservata 
la regolamentazione degli aspetti fondamentali e dei pinc�pi (vale a dire, 
oltre alla composizione, le norme pi� rilevanti sulla competenza e sulle 
procedure di controllo), spetta invece alle regioni la disciplina residuale 
e, in particolare, quella relativa al funzionamento dell'organo di controllo. 

A differenza di quanto assume la ricorrente, questo quadro normativo 
non risulta scalfito o, comunque, modificato in conseguenza della pur 
necessaria interrelazione dell'art. 130 Cost. con gli artt. 117, primo comma, 
e 123, primo comma, Cost., che affidano, rispettivamente, alla competenza 
legislativa e a quella statutaria l'ordinamento degli uffici e degli enti 
regionali e l'organizzazione interna della Regione, poich�, come ha ripetutamente 
affermato questa Corte, la materia dei controlli non � del tutto 
assimilabile alle materie da ultimo menzionate, n�, tantomeno, � integralmente 
riassorbibile nelle stesse. E per la verit�; non pu� essere invocata 
nel senso ora contestato neppure la disposizione contenuta nell'art. 70 
St. Reg. Toscana, poich� quest'ultima, nel disporre che nei capoluoghi di 
provincia sono istituite sezioni decentrate dell'organo regionale di controllo, 
mentre non stabilisce affatto in relazione a quali forme di controllo 

o a quali atti debbano operare tali sezioni decentrate, nello stesso tempo 
rinvia la determinazione delle competenze dell'organo regionale_ di controllo 
e delle sue sezioni decentrate alla legge regionale, la quale, come 
� noto, pu� disciplinare la materia soltanto nel rispetto dei limiti costitu~ 
zionalmente previsti e, in particolare, nel rispetto del limite dei princ�pi 
stabiliti sulla materia dalle leggi dello Stato. 
Posta a confronto con tale complesso di norme costituzionali, la 
disposizione impugnata non appare illegittima. 

Nel corretto esercizio della propria competenza, lo Stato ha attuato 
l'art. 130 Cost. essenzialmente attraverso gli artt. 55 e 56 della legge 10 febbraio 
1953, n. 62, stabilendo, nel_ primo, le norme fondamentali sul controllo 
degli atti delle province e, nel secondo, quelle relative al controllo 
sugli atti dei comuni. Soltanto in quest'ultimo caso, peraltro, la legge 
statale prevede che gli statuti regionali possano eventualmente prevedere 
sezioni distaccate del medesimo organo di controllo. 

Nell'istituire successivamente le Unit� Sanitarie Locali, la legge 23 dicembre 
1978, n. 833, ha previsto, all'art. 49, che il controllo sugli atti di 


PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALB 

tali enti dovesse seguire le norme predisposte dall'art. 56 della legge n. 62 
del 1953, sull'evidente presupposto che il regime degli atti adottati dalle 

U.S.L. dovesse essere assimilato a quello proprio degli atti dei comuni, 
in quanto le anzidette Unit� sono da considerare � strutture operative � 
dei comuni medesimi (oltrech� delle comunit� montane). 
Questa scelta effettuata dal legislatore statale del 1978 � stata modifi�ata 
dall'art. 13, quarto comma, della legge 26 aprile 1982, n. 181, che �, 
appunto, la disposizione oggetto del presente giudizio. Come appare evidente 
dal fatto stesso del suo inserimento nella legge finanziaria del 
1982, tale disposizione rientra in un complesso di norme v�lto a rendere 
pi� rigorosa la gestione della spesa pubblica imputata alle U.SL.. ~ in 
questo quadro che si giustifica, infatti, tanto l'inserimento di un rappresentante 
del_ Ministero del Tesoro nel Comitato di controllo, quanto 
l'accentramento in un'unica sede, a livello regionale, del controllo sugli 
atti delle U.S.L., a seguito dell'assimilazione di quest'ultimo a quello previsto 
per gli atti delle province (art. 55, I. n. 62 del 1953). 

Se, dunque, non appare irragionevole che il legislatore statale, nella 
sua discrezionalit� politica, preveda una composizione dell'organo di controllo 
regionale ritenuta pi� idonea a combattere gli eccessi di spesa 
pubblica nel settore sanitario (v. sent. n. 107, punto 6, del 1987), allo stesso 
modo non appare irragionevole che le regole cos� stabilite, in attuazione 
dell'art. 130 Cost., possano comportare un mutamento dell'organizzazfone 
del controllo medesimo, diretto a facilitarne lo svolgimento nei modi 
anzidetti. Sotto questo profilo, la scelta del legislatore statale relativa 
all'accentramento in un'unica sede regionale del controllo sugli atti delle 

U.S.L. appare logicamente conseguenziale alle nuove regole previste sulla 
composizione dell'organo. E l'una e l'altra, come s'� detto, sono giustificate 
dalla politica di contenimento della spesa pubblica nel settore sanitario, 
resasi necessaria in un periodo storico di forti disavanzi nel bilancio statale, 
che appesantiscono l'economia generale e le stesse possibilit� di sviluppo 
e di progresso sociale. 
Resta il fatto che, finch� le U.S.L. sono configurate nel diritto positivo 
come � strutture operative � dei comuni e delle comunit� montane, ovvie 
esigenze di coerenza dovrebbero indurre il legislatore statale ad assimilare 
il controllo sugli atti delle U.S.L. a quello sugli atti dei comuni, con la conseguente 
possibilit�, garantita dall'art. 56 della legge n. 62 del 1953, che le 
regioni organizzino il relativo controllo in forma decentrata. Tanto pi� 
ci� vale se si tiene conto del fatto che la disciplina oggetto della presente 
impugnazione pu� essere fonte di effetti irrazionali sotto un duplice 
profilo. 

Innanzitutto per il fatto che l'accentramento in un'unica sede regionale 
degli atti di esercizio della gestione sanitaria introduce un criterio 


270 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cli ripartizione delle competenze nel sistema cli controllo degli atti degli 
enti locali il quale � eterogeneo rispetto a quello contenuto nella legge 

n. 62 del 1953 (dipendente, com'� noto, dal livello, provinciale o comunale, 
in cui � collocato l'autore dell'atto). Inoltre, per il fatto che, essendo 
in Toscana le U.S.L. titolari anche di gran parte delle funzioni di assistenza 
sociale, anche gli atti adottati nell'esercizio di tale funzione 
finiscono per essere assoggettati, insieme alle deliberazioni in materia 
sanitaria, al controllo del Comitato regionale. 
Tuttavia, se esigenze legate a particolari contingenze storiche di 
primario interesse nazionale inducono a giustificare il fatto che il legislatore 
statale, nel legittimo esercizio deHe proprie competenze, preveda 
una particolare composizione dell'organo di controllo; e se da questa 
previsione discende logicamente che il controllo stesso possa pi� efficacemente 
svolgersi ove sia esercitato in un'unica sede regionale, non si 
pu� certo dubitare della legittimit� costituzionale di una disposizione 
come quella impugnata fin tanto che quest'ultima sia funzionale, com'� 
ora, alla particolare composizione dell'organo di controllo prescelta per 
meglio fronteggiare gli eccessi di spesa pubblica nel settore sanitario. 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 613 -Pres. Saja -Rel. Baldassarre 
-Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amato) e 
Regione Toscana (avv. Barile). 

Regioni -Controlli sugli organi degli enti locali -Spettano allo Stato. 

Spettano allo Stato e non alle regioni i controlli sugli organi degli 
enti locali (nella specie, il potere di nomina del collegio commissariale 
di unit� sanitaria locale). 

(omissis) Nel merito, il ricorso dello Stato va accolto, poich� non 
si pu� certo consid~rare come rientrante fra le attribuzioni regionali la 
nomina di un collegio commissariale per la gestione di un'Unit� Sanitaria 
Locale che si trovi nell'impossibilit� temporanea di funzionare. 

A base di tale decisione va posto il principio, costantemente affermato 
da questa Corte (v., specialmente, le sentt. nn. ,164 del 1972 e 245 
del 1984), per il quale, mentre i controlli sugli atti degli enti locali sono 
di pertinenza delle regioni, che li esercitano per il tramite degli appositi 
comitati regionali (art. 130 Cost., nonch� artt. 55 e segg. della legge 
10 febbraio 1953, n. 62), al contrario i controlli sugli organi degli stessi 
enti locali rientrano nelle competenze dello Stato, in quanto espressione 
dell'indefettibile momento di unitariet� proprio dell'ordinamento complessivo. 
E, poich� le Unit� Sanitarie Locali, quali � strutture operative � 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

dei comuni e delle comunit� montane (ex artt. 13, primo e secondo comma, 
e 15, primo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833), sono 
assimilate e sottoposte, in base all'espressa previsione dell'art. 49, primo 
e secondo comma, della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, 
allo stesso regime dei corrispondenti controlli disposto per i comuni e 
le province, ne consegue che il principio regolativo appena menzionato 
trova applicazione anche al caso di specie (sent. n. 245 del 1984). 

Che la nomina del � Collegio commissariale per la gestione dei servizi 
dell'U.S.L. n. 7 -Val di �Nievole �, effettuata dal Consiglio regionale 
della Toscana con l'atto impugnato, debba esser considerata attivit� 
rientrante nell'ambito del controllo sugli organi, e non gi� in quello del 
controllo sugli atti, deriva da un duplice e concorrente rilievo. 

Innanzitutto, la stessa premessa della delibera da cui ha origine 
il presente conflitto pone in evidenza l'incontestabile collegamento della 
nomina del predetto Collegio commissariale con una decisione giurisprudenziale, 
come quella del T.A.R. per la Toscana precedentemente ricordata, 
che, avendo annullato l'elezione del Comitato di gestione della 

U.S.L. n. 7, ha direttamente colpito quest'ultimo organo, dichiarandone 
illegittima la sua stessa formazione, e non gi� il compimento di singoli 
atti. Di modo che il presupposto della nomina del C�llegio commissariale 
qui in contestazione � dato, non certo dall'inerzia o dal ritardo 
del Comitato di gestione nel compiere determinati atti, ma dal fatto che 
esso era disciolto e pertanto, come si legge testualmente nella stessa 
delibera di nomina, non era � in grado di espletare alcuna funzione di 
amministrazione ordinaria o straordinaria �. 
In �secondo luogo, va osservato che la delibera impugnata, in piena 
coerenza con il presupposto da cui muove, non ha previsto un'ipotesi 
di commissariamento ad acta, come sostiene invece la difesa della Regione, 
ma ha dato vita, piuttosto, a una forma di sostituzione in ufficio, 
la quale risulta chiaramente dalle attribuzioni che la delibera medesima 
ha inteso conferire al predetto Collegio commissariale, consistenti nei 
� poteri di ordinaria amministrazione propri degli organi dell'Unit� Sanitaria 
Locale � (se pure con la puntuale ed espressa esclusione di alcuni 
di essi). 

Da tutto ci� deriva che l'attribuzione qui in contestazione rientra 
nell'ambito dei controlli sugli organi e, in particolare, nell'ambito dei 
poteri di sostituzione in ufficio spettanti allo Stato in base all'art. 19, 
quinto comma (ultima parte), del T.U.L.C.P. 3 marzo 1934, n. 383, che 
attribuisce al prefetto il potere di nominare commissari per reggere le 
amministrazioni degli enti locali -e quindi anche gli organi di gestione 
delle � strutture .operative � di questi ultimi -per il periodo di tempo 
strettamente necessario in cui non siano in grado, per qualsiasi ragione, 
di funzionare. (omissis) 


272 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 618 � Pres. Saja -Rel. Corasaniti 
-Regione Veneto (avv. Ammassari) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (avv. Stato Bruno). 

Regioni � Turismo ed industria alberghiera � Soggiorni brevi presso affittacamere 
� Competenza regionale. 

Non spetta allo Stato di disporre le deroghe, previste dall'art. 3, 
comma secondo, della legge 16 giugno 1939, n. 1111, al divieto, posto dal 
primo comma del medesimo articolo, per gli affittacamere di fornire 
alloggio per un periodo inferiore a sette giorni. 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 625 -Pres. Saja -Rel. Corasaniti 
� Regione Sicilia (avv. Aula) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Zagari). 

Sicilia � Trasporti marittimi . Aumento tariffe passeggeri � Parere della 
regione � Necessit�. 
Sicilia � Trasporti marittimi internazionali � Competenza statale. 

Non spetta allo Stato disporre l'aumento delle tariffe passeggeri ed 
auto al seguito sui collegamenti marittimi con la Sicilia, senza avere preliminarmente 
sentito il parere dell'amministrazione regionale. 

Spetta allo Stato disporre la variazione degli orari delle linee di navigazione 
tra il porto di Tunisi e la Sicilia, senza necessit� di sentire preliminarmente 
il parere dell'amministrazione regionale. 

III 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 627 -Pres. Saja � Rel. Co-

I1

rasaniti -Regione Sardegna (avv. Panunzio) e Presidente Consiglio 
dei Ministri (avv. Stato Favara). j 

f

i

f 
Sardegna � Trasporti sulle ferrovie dello Stato � Condizioni e tariffe � Mof 


I 
~ 

dificazioni di portata nazionale � Competenza statale. f 

Spetta allo Stato determinare condizioni e tariffe per il trasporto 
delle persone e delle cose sulle ferrovie dello Stato senza la partecipa-

l 

I 


I 

I 

............... 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALl! 

zione della Regione Sardegna al relativo procedimento, qualora la Regione 
non possa vantare in proposito un interesse diretto e qualificato. 

I 

La Regione Veneto ha promosso conflitto di attribuzioni nei confronti 
del Presidente del Consiglio dei ministr:i in ordine alla deliberazione 
della Commissione di controllo 14 aprile 1980, con la quale � stato 
annullato il provvedimento n. 1430 del 18 marzo 1980 della Giunta regionale, 
diretto a disporre deroga al divieto, posto agli affittacamere con 
l'art. 3, comma secondo, legge 16 giugno 19391 n. 1111, di fornire alloggio 
per un periodo inferiore a sette giorni. 

Sostiene la regione che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione 
di controllo, la competenza a disporre deroghe al detto divieto 
spetta ad essa regione in quanto rientrante nelle funzioni in materia 
di turismo e industria alberghiera, ad essa trasferite, in attuazione 
dell'art. 117 Cost., dal d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6 e, ora, dal d.P.R. 
24 luglio 1977, n. 616. 

La Commissione di controllo ha posto a base del proprio contrario 
avviso il tenore testuale dell'art. 3, comma secondo, della legge n. 1111 
del 1939, secondo il quale deroghe giustificate al divieto posto dal comma 
primo del medesimo art. 3 possono essere disposte dal Prefetto, che 
" ne dar� comunicazione all'Ente regionale per il turismo �. 

Ora, finalit� della limitazione della durata dell'alloggio � soltanto 
quella di evitare fenomeni di concorrenza tra affittacamere ed alberghi, 
pensioni o esercizi similari, nella prospettiva del coordinamento fra attivit� 
propriamente alberghiere ed attivit� complementari, quali quella 
dell'affittacamere per brevi periodi. Le funzioni amministrative di vigilanza 
sull'osservanza delle disposizioni contenute nella suddetta legge, 
di cui fa menzione l'art. 11 della medesima, attengono pertanto alla 
materia del turismo e dell'industria alberghiera. 

Ma le funzi�ni suddette, gi� di competenza del Ministro del turismo 
e spettacolo, sono state trasferite alle regioni, in attuazione dell'art. 117 
Cost., con il d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 6. Con norma di chiusura, dettata 
all'art. 1, comma terzo, lett. 1), viene �attribuita alle Regioni �ogni altra 
funzione amministrativa esercitata dagli organi centrali e periferici dello 
Stato in materia�, fatte salve le esclusioni contenute nei successivi articoli. 
Il trasferimento � stato completato con l'art. 50 del d.P.R. n. 616 
del 1977, che, all'art. 56, precisa il contenuto delle funzioni trasferite 
con formula assai ampia. 

Non rileva, dunque, che l'osservanza delle disposizioni contenute 
nella citata legge n. 1111 del 1939 fosse affidata al Prefetto -che 
fa esercitava avvalendosi indifferentemente dell'Autorit� di pubblica sicu



274 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

rezza -'-dall'art. 11 della stessa legge e, successivamente, dall'art. 24 
del d.P.R. 28 giugno 1955, n. 630. Nel quadro della legge n. 1111 del 1939 
tale attribuzione si spiega con la qualit� del Prefetto di organo cui competeva 
nell'ambito della provincia l'esercizio dei poteri ministeriali, e 
cio�, nel caso, del Ministro del turismo e spettacolo. E, ferma restando 
la materia, si spiega con la disciplina del decentramento, nel quadro del 

d.P.R. 28 giugno 1955, n. 630, anche esso anteriore peraltro al trasferimento 
delle funzioni statali in tema di turismo e industria alberghiera 
alle regioni come sopra operato. Ed � appena da aggiungere che, poten� 
dosi il prefetto servire indifferentemente dell'autorit� di polizia, come 
era d'altronde normale in qualsiasi materia, e dei funzionari degli Enti 
provinciali per il turismo, solo l'impiego di questi ultimi era significante. 
N� rirleva che relativamente all'attivit� degli affittacamere siano pure 
previste funzioni di pubblica sicurezza. La previsione, infatti, non concerne 
l'osservanza delle disposizioni della legge n. 1111 del 1939, bens� 
l'acquisizione, ai sensi degli artt. 108 t.u.l.p.s., dettato con R.D. 18 giugno 
1931, n. 773, e 192 del relativo regolamento di esecuzione, dettato 
con R.D. 6 maggio 1940, n. 635, degli elementi obbiettivi (numero delle 
camere e dei letti offerti e, nel caso degli affittacamere, il mutamento 
di tali condizioni e della sede dell'azienda) necessari ad esercitare i 
controlli sulla identit� delle persone alloggiate e sui loro movimenti: 
controlli, questi s�, rientranti in quella vigil�nza che � il proprium della 
polizia di sicurezza. 

E analogamente deve ritenersi per l'acquisizione delle comunicazioni 
che l'affittacamere ha l'obbligo di effettuare all'autorit� di pubblica sicurezza 
in occasione dei singoli soggiorni (art. 109 t.u.l.p.s.), obbligo 
esteso a chiunque ceda a terzi la propriet� o il godimento di un alloggio 
per un tempo superiore a un mese con l'art. 12 d.l. 21 marzo 1978, n. 59, 
convertito nella legge 18 maggio 1978, n. 191. Disposizione, questa, che 
non innova affatto, contrariamente a quanto sostiene la Presidenza del 
Consiglio dei ministri, nel senso di attrarre la disciplina dell'attivit� 
degli affittacamere racchiusa nella legge n. 1111 del 1939 nell'orbita della 
materia della pubblica sicurezza (art. 4 d.P.R. n. 616 del 1977). 

Che, poi, all'autorit� di pubblica sicurezza sia utile venire a cono� 
scenza delle deroghe al divieto eventualmente disposte per tenerne conto 
nell'organizzare la propria attivit� di vigilanza, altro non vuol dire che 
� sua cura sollecitare dalla regione notizie in proposito. E pu� semmai 
ritenersi non sia estraneo all'osservanza del principio di leale cooperazione, 
cui devono essere informati i Tapporti fra Stato e re!��one, che 
questa fornisca all'autorit� di p.s., per agevolare alla medesima lo 
svolgimento dei suoi compiti, utili informazioni sulle deroghe adottate. 
Ma tutto ci� non toglie che restino ferme le rispettive competenze, 
come sopra individuate. 

t 

I

I 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COST:'TUZIONALB 

Il 

(omissis) Alla stregua delle considerazioni appare fondato il ricorso 
con il quale � stato sollevato conflitto, ad opera della Regione Sicilia, 
avverso la nota del Ministro della marina mercantile, in data 9 maggio 
1981, recante l'aumento delle tariffe passeggeri ed auto al seguito sui 
collegamenti marittimi con la Sicilia. Non vi � dubbio, infatti, che la fattispecie 
rientra nell'ambito di applicazione degli artt. 22 dello Statuto speciale 
ed 8 del d.P.R. n. 1113/1953, sicch� era necessaria la preventiva consultazione 
della Regione Sicilia, che � invece illegittimamente mancata. 
(omissis) 

Con ricorso n. 5 del 1982, la Regione Sicilia ha sollevato conflitto 
avverso la nota del Ministro della marina mercantile, in data 20 febbraio 
1982, n. 311/311, con la quale � stata disposta, a seguito di determinazioni 
adottate dalle autorit� marittime della Tunisia, la variazione 
degli orari delle linee di navigazione gestite dalla Societ� Tirrenia tra 
il porto di Tunisi e la Sicilia. Lamenta infatti la ricorrente che, anche 
in questo caso, il provvedimento � stato adottato dall� Stato senza 
acquisire il parere della regione ai sensi degli artt. 22 dello Statuto 
speciale e 8 del d.P.R. n. 1113/1953. 

Il ricorso non � fondato. Osserva la Corte che nella specie vengono 
in considerazione trasporti marittimi internazi.onali (tra l'Italia e la 
Tunisia), sicch� non pu� essere invocata l'applicazione delle suindicate 
disposizioni, che rigua'I'dano esclusivamente i servizi � nazionali � di comunicazione 
e trasporti terrestri, marittimi ed aerei. 

III 

La regione Sardegna ha proposto conflitto di attribuzione in ordine 
al decreto del Ministro dei trasporti 25 ottobre 1984 (Modificazioni alle 
condizioni e tariffe per i trasporti delle persone e delle cose sulle ferrovie 
dello Stato), del quale ha chiesto anche la sospensione. In particolare 
la regione lamenta la violazione degli artt. 3, lett. g), e 53 dello 
Statuto speciale per la Sardegna (legge Cost. 26 febbraio 1948, n. 3), 
nonch� degli artt. 59, 61 e 67 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 (recante 
� Norme di attuazione del medesimo Statuto in riferimento alla legge 
22 luglio 1975, n. 382 ed al d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 �). Tanto, in 
ragione della mancata partecipazione della Regione al procedimento di 
formazione, partecipazione che si assume imposta in particolare dal 
menzionato art. 53 dello Statuto di autonomia. 

Il ricorso non � fondato. Dispone l'art. 53 dello Statuto speciale che 
la Regione sia �rappresentata nella elaborazione delle tariffe ferroviarie 
e della regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti 
terrestri, marittimi ed aerei che possano direttamente interes



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELt..O STATO 

sarla �, mentre gli artt. 65, 66 e 67 del citato d.P.R. n. 348 disegnano le 
forme della relativa partecipazione regionale (che si differenziano a 
seconda che i provvedimenti siano di competenza del Consiglio dei ministri, 
di una diversa sede collegiale, o di un organo individuale). 

Risulta cos� dalla formazione del precetto statutario (ripresa dall'art. 
65, comma primo, del d.P.R. n. 348 del 1979) che la partecipazione 
della Regione alla formulazione dei provvedimenti in materia di tariffe 
e di regolamentazione dei servizi di comunicazione e trasporto � richiesta 
solo in presenza di interesse della regione particolarmente qualificato 
perch� diretto. E non sembra che la formulazione medesima sia priva di 
significato, ove si consideri che essa � anche pi� restrittiva di quella 
contenuta nell'art. 22 dello Statuto della Regione siciliana, a tenore 
del quale �la Regione ha diritto di partecipare con un suo rappresentante, 
nominato dal Governo regionale, alla formazione delle tariffe 
ferroviarie dello Stato ed alla istituzione e regolamentazione dei servizi 
nazionali di comunicazione e trasporti, terrestri, marittimi ed aerei, che 
possano comunque interessare la Regione �. 

Occorre dunque domandarsi se un interesse � diretto � della regione 
Sardegna nel senso assunto dal precetto statutario possa configurarsi 
in relazione all'emanazione di un provvedimento come quello impugnato, 
concernente �condizioni e tariffe per i trasporti delle persone e 
delle cose sulle ferrovie dello Stato�, da valere uniformemente per l'intero 
territorio nazionale: se, cio�, un siffatto interesse possa ravvisarsi in 
relazione alla circostanza che le condizioni e tariffe adottate, pur 
senza a:iguardare specificamente iii. territorio della regione, riguardassero 
� anche � il detto territorio, in quanto compreso in quello nazionale. 

Ma al quesito non pu� darsi che risposta negativ�, ove si consideri 
che un � interesse diretto � nel senso suindicato non pu� individuarsi 
se non l� dove esso si inscrive in un rapporto esclusivo, o particolarmente 
intenso, fra la materia, o l'affare, o la regolazione dell'una o 
dell'altro, e la singola regione ad autonomia speciale: ipotesi che qui 
non si verifica, versando la materia e la sua regolazione in un rapporto 
indifferenziato con tutte le regioni. 

Esattamente ricorda l'Avvocatura dello Stato che gi� in precedenti 
occasioni (v. le sentt. nn. 34 e 166 del 1976) questa Corte ha avuto 
modo di sottolineare, in presenza di analoghe formule statutarie, l'esigenza 
di una differenziazione dell'interesse regionale, che giustifichi la 
partecipazione delle Regioni all'esercizio di competenze riservate allo 
Stato: in quelle evenienze si trattava dell'art. 40, comma secondo, dello 
Statuto per il Trentino-Alto Adige (il Presidente della Giunta regionale 
� interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando si trattano 
questioni che riguardano la Regione�) e dell'art. 21 dello Statuto siciliano 
(il Presidente della Regione � col rango di Ministro partecipa al 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTIT'JZIONALE 

Consiglio dei ministri con voto deliberativo nelle materie che interessano 
la Regione�). Tale esigenza va qui riaffermata con forza particolare, 
perch� la formula statutaria in giuoco � ancora pi� rigida di quelle 
ora menzionate, e richiede espressamente che la Regione sia � direttamente 
� interessata alle determinazioni riservate alla competenza dello 
Stato. 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1988, n. 634 -Pres. Saja -Rel. Mengoni 
-Regione Sicilia (avv. Virga) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(avv. Stato Laporta). 

Sicilia � Assicurazioni � Rischi entro i limiti territoriali d�lla regione � 
Nozione. 

Spetta allo Stato autorizzare imprese di assicurazione aventi sede 
in Sicilia a esercitare attivit� assicurativa avente per oggetto l'assunzione 
di rischi che possono verificarsi fuori dal territorio della Regione 
siciliana, restando esclusa, per quanto riguarda specificamente l'assicurazione 
obbligatoria della responsabliit� civile derivante dalla circolazione 
dei veicoli a motore e dei natanti, ogni competenza della Regione 
in ordine all'esercizio di tale assicurazione, anche limitatamente al rischio 
connesso alla circolazione degli autoveicoli e dei natanti nell'ambito territoriale 
della Sicilia. 

(omissis) Nel merito il ricorso � fondato. L'art. 17 lett. e) dello 
Statuto siciliano attribuisce alla Regione una competenza legislativa secondaria 
in materia, tra l'altro, di disciplina delle assicurazioni, � entro 
i limiti dei principi e degli interessi generali cui si informa la legislazione 
dello Stato e al fine di soddisfare condizioni particolari e interessi propri 
della Regione�; a norma dell'art. 20, le correlative funzioni esecutive 
e amministrative sono svolte dal Presidente e dall'assessore regionale. 
In attuazione di tali norme, l'art. 4, primo comma, del d.P.R. 5 novembre 
1949, n. 1182, determina la misura in cui le attribuzioni del Ministero 
dell'industria sono trasferite all'Assessorato regionale indicando due 
criteri concorrenti, l'uno soggettivo, l'altro oggettivo: la competenza 
regionale � circoscritta alle imprese di assicurazione che a) abbiano 
la sede in Sicilia, e b) �assumano i rischi entro i limiti territoriali della 
Regione �. Non viene qui in considerazione il limite ulteriore previsto 
dal secondo comma in ordine alle assicurazioni sulla vita e a quelle 
individuali sugli infortuni, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente 
equivocando sulla natura dell'assicurazione-auto sotto il profilo della 
responsabilit� per danni alle persone trasportate. 


278 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA PELI.O STATO 

Il conflitto di attribuzione, oggetto del presente giudizio, nasce da 
un contrasto di interpretazioni del secondo criterio, indicato sub b). Il 
Ministero dell'industria -confortato da un parere del Consiglio di Stato 
in data 16 ottobre 1973, comunicato dal Ministro al Presidente della 
Regione siciliana in data 20 luglio 1974 -intende il criterio dell'assunzione 
territorialmente limitata del rischio come requisito di localizzazione 
dei rischi assicurati nel territorio della Regione. Questa, invece, 
lo intende come requisito di localizzazione nel detto ambito territoriale 
della stipulazione dei contratti di assicurazione. 

L'interpretazione caldeggiata dalla resistente � insostenibile sia sul 
piano letterale, sia sul piano della ratio normativa. La frase � entro i 
limiti territoriali della Regione� qualifica sintatticamente i rischi assunti 
in s� considerati, non gli atti (contratti) con cui l'impresa ass.icuratrice 
li assume obbligandosi a risarcire i danni sofferti dagli assicurati in 
conseguenza del loro verificarsi. Solo se interpretato come requisito di 
localizzazione geografica dei sinistri che costituiscono il contenuto potenziale 
del rischio assicurato il criterio sub b) riceve senso e valore dal 
punto di vista della ratio della norma, la quale risponde allo scopo di 
fissare dei criteri di individuazione della necessit� di soddisfare condizioni 
particolari e interessi propri della Regione, prevista dall'art. 17 
dello Statuto come requisito della competenza regionale in discorso. 

(omissis) 

In Unea genernle, con riferimento alle ass.icurazioni facoltative, si 
deve concludere che l'Assessorato regionale per l'industria � competente 
ad autorizzare imprese aventi sede in Sicilia a esercitare attivit� assicurativa 
limitatamente a rischi per loro natura localizzati nel territorio 
della Regione. Pertanto il decreto impugnato � illegittimo in quanto autorizza 
la soc. Tuttolomondo ad assicurare rischi che possono verificarsi 
anche fuori del territorio della Regione siciliana, alla sola condizione 
che i relativi contratti di assicurazione siano stipulati in SicUa. 

Per quanto riguarda l'� assicurazione auto >>, il vizio di illegittimit� 
� ancora pi� grave, essendo sopravvenuta in questa materia, in seguito 
alla legge 4 dicembre 1969, n. 990, che ha sancito l'obbligatoriet� della 
assicurazione, una specifica causa preclusiva di ogni competenza regionale, 
anche limitatamente al rischio connesso alla circolazione degli 
autoveicoli nel territorio della Regione. 

La legge citata ha rftdicalmente innovato la disciplina della respon


sabilit� civile derivante dalla cricolazione dei veicoli a motore e dei 

natanti, in funzione di interessi generali, uniformemente valutati, ai 

quali corrisponde un regime unitario e centralizzato comportante una 

competenza esclusiva dello Stato. Basti ricordare la necessit� che i mas


simali minimi, validi per tutto il territorio dello Stato, siano determinati 

da un unico organo, cio� dal Ministro; cos� pure unico deve essere 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

l'organo di controllo dell'adempimento degli obblighi assicurativi, dovendo 
il controllo essere ispirato a unit� di indirizzo; inscindibili, infine, 
appaiono le attivit� amministrative connesse all'istituzione presso l'Istituto 
nazionale delle assicurazioni di un �conto consortile� e di un 
�Fondo di garanzia per le vittime della strada� (artt. 14 e 19). A proposito 
di quest'ultimo la competenza esclusiva del Ministero dell'industria 
risulta chiaramente dall'art. 20, il quale dispone, tra l'atro, che spetta 
al Ministrd la designazione, � per ogni regione, o per gruppi di regioni, 
del territorio nazionale�, dell'impresa tenuta a liquidare agli aventi 
diritto le somme loro dovute a carico del Fondo. 

Perci� la competenza regionale -che per i veicoli immatricolati 
in Sicilia presupporrebbe la frazionabilit� del rischio, in guisa da assoggettarlo 
a una disciplina diversificata per la frazione corrispondente 
alla circolazione del veicolo nel territorio della Sicilia -� gi� esclusa 
in base al criterio dell'art. 17 dello Statuto siciliano, interpretato da 
questa Corte, nella sentenza n. 175 del 1975, come criterio di competenza 
esclusiva dello Stato quando � esiste l'esigenza di garantire unit� di 
indirizzo e armonica disciplina per l'intero territorio nazionale �. 

Inoltre, come ha rilevato il Consiglio di Stato nel parere sopra 
richiamato, la competenza esclusiva dello Stato anche nell'ambito della 
Regione siciliana si fonda specificamente sulla valutazione del regime di 
assicurazione obbligatoria statuito dalla legge n. 990 come integrante 
gli estremi di una � riforma economico-sociale della Repubblica �, sia 
in ragione della preminenza dell'interesse generale alla tutela delle vittime 
della strada, sia per le correlative strutture istituzionali e normative 
qualificate dallo scopo di assicurare uniformit� di trattamento. 
Sebbene la dizione usata dall'art. 14 dello Statuto siciliano (�senza 
pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente 
del popolo italiano�) sia diversa da quella adottata per altre 
regioni ad autonomia speciale, non si pu� dubitare che le � norme fondamentali 
delle riforme economico-sociali della Repubblica � debbano 
essere rispettate anche dal legislatore e dall'amministrazione della Regione 
siciliana. 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


NoTA � La Corte di giustizia delle Comunit� europee nel corso dell'an� 
no 1988 ha pronunciato 206 sentenze (escluse quelle in cause di personale) 
29 di queste sentenze hanno interessato cause alle quali ha partecipato l'Italia: 
sono stati risolti 14 ricorsi della Commissione delle C.E. contro l'Italia, 1 ri� 
corso di altro Stato contro la Commissione con intervento dell'Italia, 11 domande 
pregiudiziali ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, 2 domande pregiudiziali 
ai sensi del protocollo 3 giugno 1971 concernente l'interpretazione della 
convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale 
e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Numerose altre 
cause alle quali ha partecipato l'Italia si sono concluse in sede stragiudiziale 
con conseguente cancellazione dal ruolo. 

Oltre quelle pubblicate in questo numero e nei numeri precedenti della 
Rassegna, le sentenze in cause alle quali ha partecipato l'Italia sono state 
le seguenti: 

-14 gennaio 1988, nella causa 63/86, Commissione c. Italia, con la 
quale la Corte ha� dichiarato che �la Repubblica italiana � venuta meno agli 
obblighi impostile dagli artt. 52 e 59 del Trattato CEE, riservando ai soli 
cittadini italiani, con varie disposizioni di diritto interno, l'accesso alla� 
propriet� e alla locazione di alloggi costruiti o restaurati mediante finanziamenti 
pubblici, nonch� l'accesso al credito fondiario agevolato �; 

-4 febbraio 1988, nell~ causa 113/86, Commissione c. Italia, dove la 
Corte ha dichiarato che �la Repubblica italiana, non trasmettendo entro i 
termini prescritti i dati statistici contemplati dall'art. 10 del reg. del Consiglio 

n. 2782/75, e dagli artt. 4, n. l, e 6 del reg. della Commissione n. 1868/77 
(settore delle uova e del pollame), � venuta meno agli obblighi impostile dal 
Trattato CEE �; 
-23 febbraio 1988, nella causa 429/85, Commissione c. Italia, dove la Corte 
ha statuito che �la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi impostile 
dal Trattato accordando agli importatori, in contrasto con l'art. 8, n. l, 
1� comma, della direttiva del Consiglio n. 67/548, concernente il ravvicinamento 
.delle disposizioni di legge, di regolamento ed amministrative relative alla 
classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose, come 
modificata dalla direttiva del Consiglio n. 79/831, l'esenzione dall'obbligo di 
notifica contemplato dall'art. 6 della stessa direttiva �; 

-2 marzo 1988, nella causa 309/86, Commissione c. Italia, con la quale 
� stato dichiarato che � non avendo adottato nel termine stabilito le disposizioni 
necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 31 marzo 1982, 

n. 82/242, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri 
relative ai metodi di controllo della biodegradabilit� dei tensioattivi non ionici 
e recante modifica della direttiva n. 73/404/CEE, e alla direttiva del Consiglio 
31 marzo 1982, n. 82/243, che modifica la direttiva n. 73/405/CEE, 
il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative 
di controllo della biodegradabilit� dei tensioattivi anionici, la 

concernente 
ai metodi 
Repubblica \!
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INIBRNAZIONALP. 281 

italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato 
CEE�; 

-3 marzo 1988, nella causa 116/86, Commissione c. Italia, dove la 
Corte ha dichiarato che � la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi 
impostile dal Trattato CEE non adottando, entro il termine prescritto, le 
disposizioni necessarie per conformarsi agli artt. 6, punto b), secondo trattino, 
7 e 8 della direttiva del Consiglio 24 gennaio 1979, n. 79/109, che modifica, 
per quanto riguarda la bruct'llosi, la direttiva del Consiglio 26 giugno 1964, 

n. 64/432, relativa a problemi di polizia sanitaria in materia di scambi intracomunitari 
di animali delle specie bovine e suine, e non adottando le disposizioni 
necessarie per autorizzare l'importazione di bovini assoggettati nello 
Stato membro di provenienza a controlli effettuati secondo metodi non adottati 
in Italia, ma adottati da altri Stati membri in base alla facolt� di scelta 
autorizzata dagli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 9 della stessa direttiva�; 
-8 marzo 1988, nella causa 9/87, Arcado s.r.l., con la quale � stato 
stabilito che � una controversia avente ad oggetto la disdetta arbitraria di 
un contratto di agenzia commerciale autonoma e il pagamento di provvigioni 
dovute in esecuzione di detto contratto costituisce una controversia in materia 
contrattuale ai sensi dell'art. 5, punto 1�, della convenzione di Bruxelles 
27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni 
in materia civile e commerciale �; 

-21 aprile 1988, nella causa 338/85, F.lli Pardini s.p.a., con la quale 
la Corte ha dichiarato, in tema di fissazione anticipata di importi compensativi 
monetari, che �la Commissione, con il regolamento 20 maggio 1983, n. 1245, 
ha validamente stabilito che gli adeguamenti degli ICM fissati in anticipo, di 
cui all'art. 7, n. l, del regolamento della Commissione 14 maggio 1982, n. 1160, 
in caso di modifica dei tassi rappresentativi, devono essere effettuate per 
tutte le prefissazl.oni la cui domanda � stata depositata dopo il 16 maggio 1983, 
purch� l'operazione di cui trattasi sia stata effettuata dopo il 22 maggio 1983 �; 
e che �il combinato disposto dell'art. 4, n. l, 2� comma, del regolamento 
del Consiglio 30 luglio 1968, n. 1134, e dell'art. 4, n. 2, del regolamento del 
Consiglio 20 maggio 1983, n. 1223, dev'essere interpretato nel senso che l'annullamento 
delle prefissaziO!Ili. pu� essere sempre ottenuto se ricorrono le con� 
dizioni fissate da tali disposizioni; pertanto, il regolamento della Commissione 
20 maggio 1983, n. 1244, � invalido in quanto limita il diritto all'annulla� 
mento alle prefissazioni operate prima del 17 maggio 1983 �; 

-27 aprile 1988, nella causa 225/86, Commissione c. Italia, �on la 
quale la Repubblica italiana � stata ritenuta inadempiente agli obblighi di 
cui all'art. 171 del Trattato CEE per non essersi conformata alla precedente 
sentenza della Corte 7 febbraio 1984, nella causa 166/82, in tema di fissazione 
del prezzo del latte; 

-24 maggio 1988, nella causa 122/87, Commissione c. Italia, dove la 
Corte ha statuito che � la Repubblica italiana, esentando dall'imposta sul 
valore aggiunto le prestazioni rese dai veterinari nell'esercizio della loro 
professione, � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della sesta 
direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE �; 

-9 giugno 1988, nella causa 56/87, Commissione c. Italia, con la quale 
� stato dichiarato che � la Repubblica italiana, adottando il nuovo metodo 
di determinazione dei prezzi delle specialit� medicinali di cui al provvedimento 
del Comitato interministeriale dei prezzi 24 ottobre 1984 ed alla delibera del 
Comitato interministeriale per la programmazione economica 11 ottobre 1984, 


282 R!SSEGNA DELL'AVVOCATURA '!ELLO STATO 

� venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 30 del Trattato 
CEE�; 

-21 giugno 1988, nella causa 257/86, Commissione c. Italia, con la 
quale la Corte ha stabilito che � adottando e mantenendo in vigore una normativa 
che non esenta dall'IVA tutte le importazioni di campioni gratuiti di 
modico valore, che manca dei requisiti di chiarezza e precisione nei confronti 
dell'esenzione di talune importazioni di questi campioni e che, nel contempo, 
prevede l'esenzione dei medesimi campioni di produzione nazionale, la Repubblica 
italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli 
artt. 95 del Trattato e 14 della direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, numero 
77/388 �; 

-28 giugno 1988, nella causa 3/86, Commissione c. Italia, dove la 
Corte ha statuito che � la Repubblica italiana, stabilendo, in fatto di imposta 
sul valore aggiunto e nell'ambito del regime forfettario dei produttori agricoli, 

al 15 % dal 1981, e poi, nel 1983, al 14 % le aliquote forfettarie di compensazione 
per i settori delle carni bovine, delle carni suine e del latte fresco, 
non concentrato e non zuccherato, e disponendo l'applicazione delle aliquote 
forfettarie di compensazione alle forniture e alle prestazioni di servizi destinate 
agli agricoltori, � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del 
Trattato e dell'art. 25, nn. 3, 5 e 8, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 
1977 �; 

-12 luglio 1988, nella causa 326/87, Commissione c. Italia, con la 
quale si � statuito che � non adottando entro il termine prescritto le disposizioni 
necessarie per conformarsi alla direttiva della Commissione 28 luglio 
1984, n. 84/414, per l'adeguamento al progresso tecnico della direttiva 

n. 76/764 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative 
ai termometri clinici di vetro al mercurio del tipo a massima, la Repubblica 
italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato 
CEE�; 
-12 luglio 1988, nella causa 322/86, Commissione c. Italia, con la 
quale la Repubblica italiana � stata dichiarata inadempiente agli obblighi 
impostile dal Trattato CEE per aver omesso di adottare nei termini stabiliti 
i provvedimenti necessari per conformarsi alla direttiva del Consiglio 18 luglio 
1978, n. 78/659, sulla qualit� delle acque dolci che richiedono protezione 

o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci; 
-12 luglio 1988, nella causa 310/86, Commissione c. Italia, con la 
quale la Repubblica italiana � stata dichiarata inadempiente agli obblighi 
impostile dal Trattato per non aver adottato entro il termine prescritto 
le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 29 gennaio 
1982, n. 82/470, in tema di libert� di stabilimento e libera prestazione di 
servizi per le attivit� non salariate di taluni ausiliari dei trasporti e dei 
titolari di agenzie di viaggio; 

-27 settembre 1988, nella causa 189/87, Kalfelis, dove la Corte, in 
relazione alla convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza 
giurisdizionale e sull'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, 

ha dichiarato: � 1. -Ai fini dell'applicazione dell'art. 6, n. 1, de1la Convenzione, 
deve sussistere tra le varie cause promosse da uno stesso attore nei confronti 
di diversi convenuti un legame di connessione tale che vi sia interesse a 
deciderle congiuntamente onde evitare soluzioni che potrebbero essere incom:
� 
patibili ove le cause siano decise separatamente; 2. -a) la nozione di � materia f 

~ 

di delitti o di quasi-delitti � di cui all'art. 5, n. 3, della Convenzione deve i 

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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INl'ERNAZIONALE 

essere considerata come una nozione autonoma che comprende ogni domanda 
tendente all'accertamento della responsabilit� di un convenuto, e che non 
si riallacci alla �materia contrattuale� di cui all'art. 5, n. 1; b) un giudice 
competente ai sensi dell'art. 5, n. 3, a conoscere della parte �di una domanda 
basata su un fondamento extracontrattuale non � competente a conoscere 
delle altri parti della stessa domanda basate su fondamentali non extracontrattuali 
�; 

-27 settembre 1988, nella causa 114/86, Regno Unito c. Commissione 
con intervento dell'Italia, con la quale la Corte ha ritenuto irricevibile il ricorso 
del Regno Unito in quanto diretto contro un atto della Commissione 
(in tema di determinazione delle liste dei candidati per gli appalti di servizi 
conclusi nell'ambito della seconda convenzione ACP-CEE di Lom�) privo di 
contenuto decisorio e vincolante; 

-27 settembre 1988, nella causa 114/86, Regno Unito c. Commissione, 
Corte ha dichiarato, in tema di libera circolazione dei lavoratori, che: � 1 -Ai 
sensi del Trattato CEE, fa parte dell'insegnamento professionale un anno 
di studi rientrante in un corso di studi che costituisca un insegnamento unitario 
per la preparazione ad ima qualifica professionale, a un mestiere o a 
un impiego specifico o che conferisca una particolare attitudine a esercitare 
detta professione, mestiere o impiego; 2. -L'art. 59 del Trattato CEE va 
interpretato nel senso che i corsi impartiti in un istituto tecnico rientranti 
nell'insegnamento secondario all'interno ciel sistema di istruzione pubblica 
non possono essere considerati servizi ai sensi del suddetto articolo; 3. L'art. 
12 del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla 
libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunit�, va interpretato 
nel senso che esso non osta a che uno Stato membro imponga un ' minerva!', 
quale condizione di accesso a corsi di insegnamento scolastico generale impartiti 
nel suo territorio, ai figli dei lavoratori migranti residenti in un altro 
Stato membro, anche se esso non imponga detto onere ai cittadini di questo 
stesso Stato membro �; 

-27 settembre 1988, nella causa 313/86, Lenoir, con la quale la Corte 
ha dichiarato, ancora in tema di libera circolazione dei lavoratori � previdenza 
sociale, che � il tenore dell'art. 77 del regolamento n. 1408/71, quale figura al� 
l'allegato I del regolamento del Consiglio 2 giugno 1983, n. 2001/83, va 
interpretato nel senso che riserva al titolare delle prestazioni familiari, cittadino 
di uno Stato membro e residente nel territorio di un altro Stato membro, 
soltanto il beneficio del pagamento, da parte degli organismi di previdenza 
sociale del suo paese di origine, degli 'assegni familiari', restando escluse 
le altre prestazioni familiari, come gli assegni di ' inizio dell'anno scolastico' 
e di 1 stipendio unico� contemplati dalla normativa francese�; 

-27 settembre 1988, nella causa 235/87, Matteucci, con la quale � 
stato dichiarato che �l'art. 7 del regolamento n. 1612/68, relativo alla libera 
circolazione dei lavoratori all'interno della Comunit� va interpretato nel senso 
che non consente alle autorit� di uno Stato membro di rifiutare il beneficio 
di una borsa, per seguire studi in un altro Stato membro, ad un lavoratore 
che risiede ed esercita un'attivit� dipendente sul territorio del primo Stato 
membro, ma che ha la nazionalit� di un terzo Stato membro, per il motivo 
che tale lavoratore non ha la nazionalit� dello Stato membro di residenza. 
Un accordo bilaterale che riserva il beneficio delle borse di cui trattasi ai 
soli cittadini dei due Stati membri, parti all'accordo, non pu� opporsi all'applicazione 
della norma di parit� di trattamento tra lavoratori nazionali e 
comunitari stabiliti sul territorio di uno di questi due Stati membri �; 


284 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA LEIJ.O STATO 

-14 dicembre 1988, nella causa 269/87, Ventura, dove, sempre in tema 
di libera circolazione dei ,zavoratori -previdenza sodale, con la quale � stato 
dichiarato che l'art. 44, n. 3, del regolamento n. 1408/71 dev'essere interpretato 
nel senso che le pensioni per orfani sono disciplinate esclusivamente dal capitolo 
8 di detto regolamento, integrato, eventualmente, dagli altri capitoli del 
regolamento cui le disposizioni del capitolo 8 rinviano espressamente �. 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. plen., 14 luglio 
1988, nelle cause 407/85 e 90/86 -Pres. Due -Avv. Gen. Mancini � 
Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Pretore di Bolzano, 
nella causa Drei Glocken GmbH e Kritzinger c. U.S.L. Centro Sud e 
Provincia autonoma di Bolzano, ,e dal Pretore di Milano, nel procedimento 
penale c. Zoni -Interv.: Governi italiano (avv. Stato Braguglia), 
francese (�g. Guillaume) e olandese (ag. Fierstra) e Commissione 
delle C.E. (ag. De Marche e White). 

Comunit� Europee � Libera circolazione delle merci � Paste alimentari � 
Obbligo di usare esclusivamente grano duro. 
(Trattato CEE, artt. 30 e 36; legge 4 luglio 1967, n. 580, artt. 29, 33, 36 e 50~. 

L'estensione ai prodotti importati di un divieto di vendere pasta 
prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano 
duro, come quello contenuto nella legge italiana sulle paste alimentari 
4 luglio 1967, n. 580, � incompatibile con gli artt. 30 e 36 del Trattato (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 31 ottobre 1985, pervenuta nella 
cancelleria della Corte il 9 dicembre dello stesso anno, il Pretore di 
Bolzano ha sollevato, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni 
pregiucliziali relative all'interpretazioni degli artt. 30 e 36 del Trattato 
CEE, onde determinare la compatibilit� con il diritto comunitario 
di una normativa nazionale che vieti la vendita di pasta prodotta con 
grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro. 

2. -Dette questioni sono insorte nell'ambito di una controversia 
che oppone l'Unit� Sanitaria Locale ad un produttore tedesco, La Drei 
Glocken, e ad un dettagliante italiano, la sig.ra Kritzinger. La Drei Glocken 
esportava in Italia pasta prodotta con una miscela di grano tenero 
e di grano duro, che la Kritzinger rivendeva. Poich� l'U.S.L. intimava 
loro di pagare una sanzione amministrativa pecuniaria per violazione 
dell'art. 29 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (G.U.R.I. n. 189 del 29 luglio 
(1) Si trascrive solo il testo della sentenza nella causa 407/85, identica 
essendo la motiv=ione della sentenza nella causa 90/86. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E IN:ERNAZIONALB 

1967), che disciplina la produzione e il commercio delle paste alimentari 
(in prosieguo: legge sulle paste alimentari), la Drei Glocken e la Kritzinger 
proponevano ricorso dinanzi al Pretore di Bolzano. 

3. -L'art. 29 della legge sulle paste alimentari dispone che per la 
produzione industriale di paste secche, che possono essere conservate 
per un certo tempo prima di essere consumate, deve essere usato esclusivamente 
grano duro. Gli artt. 33 e 50, 1� comma, di detta legge, autorizzano 
invece l'uso di grano tenero sia per la produzione artigianale di 
paste fresche, destinate al consumo immediato, sia per la produzione di 
pasta destinata all'esportazione. 
4. -L'art. 36, primo comma, della legge sulle paste alimentari, vieta 
di vendere in Italia pasta avente caratteristiche diverse da quelle stabilite 
dalla legge, cio�, in particolare, paste secche prodotte con grano tenero 
o con una miscela di grano tenero e grano duro. L'art. 50, secondo comma, 
della legge precisa che questo divieto di vendita si applica anche 
alle paste d'importazione. 
5. -Come il Governo italiano ha osservato, il legislatore � stato 
indotto ad imporre ai produttori di pasta di usare esclusivamente grano 
duro da due ordini di considerazioni. Il legislatore ha voluto, in primo 
luogo, garantire la qualit� della pasta, poich� quella prodotta esclusivamente 
con grano duro resiste molto meglio alla cottura. In secondo luogo, 
ha inteso favorire lo sviluppo della coltivazione del grano duro, i cui 
produttori hanno nella Com�nit� solo Io sbocco del mercato delle paste 
e, nelle regioni del Mezzogiorno ove sono stabiliti, non hanno alcuna 
possibilit� concreta di riconvertirsi ad altre colture. 
6. -A sostegno del ricorso, la Drei Glocken e la Kritzinger hanno 
asserito che l'applicazione dell'art. 29 della legge sulle paste alimentari 
alla pasta d'importazione � incompatibile con l'art. 30 del Trattato. Stando 
cos� le cose, il giudice nazionale ha sospeso il procedimento e ha sollevato 
due questioni pregiudiziali: 
� 1) Se il divieto di misure aventi effetto di restrizioni quantitative 
all'importazione di cui all'art. 30 Trattato CEE vada interpretato p.el senso 
di escludere, in caso di importazione di pasta alimentare, l'applicazione 
delle disposizioni italiane in materia alimentare che vietano l'impiego di 
farina di grano tenero nella produzione della pasta alimentare, ove la 
medesima pasta sia stata lecitamente prodotta e messa in commercio in 
altro Stato membro della Comunit� Europea; 

2) se comunque il divieto di arbitrarie discriminazioni o di restrizioni 
travisate nel commercio tra Stati membri di cui all'art. 36, punto 2 del 


286 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DI:t-LO STATO 

Trattato CEE, vada interpretato nel senso di escludere l'applicazione delle 
suddette �disposizioni nazionali; �. 

7. -Per una pi� ampia illustrazione degli antefatti della causa principale, 
dello svolgimento del procedimento e delle osservazioni presentate 
alla Corte, si fa rinvio a:Ila relazione d'udienza. Questi elementi del fa. 
scicolo sono riprodotti in prosieguo solo nella misura necessaria per il 
ragionamento della Corte. 
8. -Le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono, in sostanza, 
sulla compatibilit� con gli artt. 30 e 36 del Trattato dell'estensione ai prodotti 
importati di un divieto di vendere pasta prodotta con grano tenero 
o con una miscela di grano tenero e di grano duro, come quello contenuto 
nella legge sulle paste alimentari. 
a) Sull'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione delle merci. 

9. -� opportuno ricordare la giurisprudenza costante della Corte 
(anzitutto la sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville, Racc. pag. 
837), secondo cui il divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni 
quantitative sancite dall'art. 30 comprende �ogni normativa commerciale 
degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, 
in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari �. 
10. -Risulta inoltre da una giurisprudenza costante della Corte (cfr. 
anzitutto la sentenza 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe, Racc. pag. 649), 
che, in mancanza di una normativa comune, gli ostacoli per la circolazione 
intracomunitaria derivanti da disparit� delle legislazioni nazionali relative 
alla composizione dei prodotti vanno accettati qualora tali normative 
nazionali, indistintamente applicate ai prodotti nazionali e a quelli importati, 
siano necessarie per rispondere ad esigenze imperative come la difesa 
dei consumatori e la lealt� dei negozi commerciali. La Corte ha tuttavia 
precisato che dette normative debbono essere proporzionate agli 
scopi perseguiti e che, se uno Stato membro dispone di mezzi meno 
restrittivi che consentano di raggiungere gli stessi scopi, � tenuto a farvi 
ricorso. 
11. -Occorre constatare che un divieto di vendere pasta prodotta con 
grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro costituisce 
un ostacolo all'importazione di paste lecitamente prodotte con grano 
tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro in altri Stati 
membri. Pertanto resta da accertare se detto ostacolo possa essere giustificato 
da ragioni di tutela della salute pubblica ai sensi dell'art. 36 del 
Trattato o da esigenze imperative come quelle summenzionate. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 287 

b) Sulla possibilit� di giustificare l'ostacolo di cui � causa per ragioni 
di tutela della salute pubblica. 

12. -Il Governo italiano ha attirato l'attenzione della Corte sul 
problema dell'uso di additivi chimici e di coloranti che sarebbero spesso 
usati per conferire alla pasta prodotta con grano tenero o con una miscela 
di grano tenero e di grano duro le caratteristiche organolettiche e, 
in particolare, il colore ambrato, naturalmente proprie della pasta prodotta 
esclusivamente con grano duro. �A suo parere, un sensibile assorbimento 
di detti additivi chimici e coloranti pu� comportare effetti dannosi 
per la salute dell'uomo. 
13. -In risposta ad un quesito posto dalla Corte, il Governo italiano 
ha tuttavia ammesso di non disporre di dati che gli consentano di affermare 
che la pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di 
grano tenero e di grano duro contenga necessariamente additivi chimici 
o coloranti. 
14. -Un divieto generale di smerdare paste d'importazione prodotte 
con grano tenero o con una miscela di grano tenero e grano duro � 
pertanto in ogni caso contrario al principio di proporzionalit� e non � 
giustificato da ragioni di tutela della salute pubblica ai sensi dell'art. 36 
del Trattato. 
c) Sulla possibilit� di giustificare l'ostacolo di cui � causa per talune 
esigenze imperative 

15. -Si � sostenuto che un divieto di vendere pasta prodotta con 
grano tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro � necessario 
per tutelare i consumatori, per garantire la lealt� dei negozi commerciali 
e, infine, per assicurare la piena efficienza dell'organizzazione 
comune dei mercati nel settore dei cereali. 
16. -Il primo argomento, secondo cui la legge sulle paste alimentari 
intende tutelare i consumatori in quanto ha lo scopo di garantire la 
qualit� superiore della pasta, prodotto italiano di antica tradizione, non 
pu� essere accolto. � certamente legittimo voler dare ai consumatori, 
che attribuiscono qualit� particolari 'alla pasta prodotta esclusivamente 
con grano duro, la possibilit� di operare la propria scelta sulla base di 
questo elemento. Tuttavia, come Ia Corte ha gi� sottolineato (sentenze 
9 dicembre 1981, causa 193/80, Commissione c/ Italia, Racc. pag. 3019 
e 12 marzo 1987, causa 178/84, Commissione c/ Repubblica federale di 
Germania, non ancora pubblicata), tale possibilit� pu� essere garantita 
con mezzi che non ostacolino l'importazione di prodotti legalmente fab

288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

bricati e posti in commercio in altri Stati membri e; in particolare, con 
�l'obbligo di apporre un'etichetta appropriata, che specifichi le caratteristiche 
del prodotto venduto �. 

17. -� opportuno osservare poi che il legislatore italiano pu� non 
soltanto prescrivere che vengano elencati gli ingredienti, a norma della 
direttiva del Consiglio sull'etichettatura e la presentazione dei prodotti 
alimentari (G.U. n. L 33 deH'8 febbraio 1979, pag. 1), ma che inoltre 
nulla gli impedisce di riservare la denominazione di � pasta di semola di 
grano duro � alla pasta prodotta esclusivamente con grano duro. 
18. -Dato che la pasta � un prodotto che pu� essere servito nei 
luoghi di ristorazione, si deve aggiungere che � possibile adottare un sistema 
di informazione del consumatore relativamente alla natura della 
pasta che gli viene offerta. 
19. -Si � obiettato che un'etichettatura appropriata relativa alla 
natura del prodotto venduto non basterebbe a rendere i consumatori 
itlaliani sufficientemente attenti alla natura della pasta che acquistano, 
poich� � pasta � significherebbe per loro un prodotto ottenuto esclusivamente 
con grano duro. 
20. -Questa obiezione va respinta. Il termine � pasta � � usato dal 
legislatore italiano stesso, come risulta dagli artt. 33 e 50 della legge 
sulle paste alimentari, per designare prodotti fabbricati con grano 
tenero o con una miscela di grano tenero e di grano duro, cio� paste 
fresche e paste destinate all'esportazione. Inoltre, l'art. 29 determina che 
cosa debba intendersi per � pasta di semola di grano duro �. Il legislatore 
italiano stesso fa dunque ricorso alle parole � semola di grano duro � 
per specificare un tipo di pasta, il che dimostra che di per s� il termine 
�pasta� ha un significato generico e non implica affatto che nella produzione 
sia stato usato solo grano duro. 
21. -In secondo luogo, si � sostenuto che, per quanto attiene alla 
pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano tenero e di 
grano duro, un elenco degli ingredienti non basterebbe a garantire la 
lealt� dei negozi commerciali. Allo stato attuale delle tecniche di analisi, 
non sarebbe possibile accertare l'esattezza delle indicazioni che vi compaiono, 
per cui , i produttori potrebbero indicare una proporzione di 
grano duro pi� elevata di quella realmente presente nella pasta. Tenuto 
conto della differenza di prezzo tra il grano duro e il grano tenero, i 
produttori po~rebbero cos� far pagare al consumatore un prezzo pi� alto 
di quello giustificato dalla proporzione effettiva di grano duro impiegato. 
Stando cos� le cose, solo il divieto di vendere pasta prodotta con grano 
I( 

tenero potrebbe prevenire una frode del genere. I\: 

1

1 

f.
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f 

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I ~ 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E :r.NTERNAZIONALE 

22. -Anche questo argomento va respinto. E sufficiente osservare 
che il Governo italiano dispone, comunque, di un mezzo meno restrittivo 
per garantire la lealt� dei negozi commerciali. Infatti, riservando la 
denominazione � pasta di semola di g_rano duro � alla pasta prodotta 
esclusivamente con grano duro, dar� al consumatore italiano la possibilit� 
di esprimere le sue preferenze per il prodotto al quale � abituato 
e la certezza che la differenza di prezzo � senz'altro giustificata da una 
differenza di qua:lit�. 
23. -In terzo luogo, si � sostenuto che, garantendo uno sbocco 
ai coltivatori, la legge sulle paste alimentari integra la politica comune 
nel settore di cereali, la quale ha per finalit� di garantire un reddito minimo 
ai coltivatori di grano duro grazie alla � determinazione di un 
prezzo d'intervento nettamente pi� elevato per il grano duro rispetto a 
quello stabilito per il grano tenero, nonch� di incentivare la coltivazione 
del grano duro con la concessione di aiuti diretti alla produzione. L'abrogazione 
della legge sulle paste alimentari indurrebbe i produttori italiani 
ad usare grano tenero per la pasta destinata al mercato italiano. Il grano 
duro verrebbe cos� ad essere progressivamente privato dei suoi sbocchi, 
il che provocherebbe eccedenze con la conseguenza di ulteriori acquisti 
d'intervento a carico del bilancio comunitario. 
24. -Il Governo italiano ha sostenuto, inoltre, che senza uno sbocco 
garantito la coltivazione del grano duro scomparirebbe nelle regioni del 
Mezzogiorno dove � praticata. Questa scomparsa comporterebbe l'abban� 
dono della terra, dato ch� le possibilit� di riconversione sono, in quelle 
zone, quasi inesistenti e creerebbe un movimento di emigrazione con 
grave danno sociale ed ambientale. 
25. -Occorre sottolineare anzitutto che � in causa l'estensione della 
legge sulle paste alimentari ai prodotti di importazione e che il diritto 
comunitario non esige che il legislatore abroghi la legge per quanto attie� 
ne ai produttori di pasta stabiliti sul territorio italiano. 
26. -Si deve inoltre ricordare che, come risulta dalla sentenza delfa 
Corte 23 febbraio 1988 (causa 216/84, Commissione c/ Repubblica francese, 
non ancora pubblicata), una volta che la Comunit� abbia istituito una 
organizzazione comune di mercato in un determinato settore, gli Stati 
membri devono astenersi da ogni provvedimento unilaterale, anche se 
atto a servire da sostegno alla politica comune della Comunit�. Spetta 
alla Comunit� cercare una soluzione al summenzionato problema nell'ambito 
della politica agricola comune, e non ad uno Stato membro. 
27. -Occorre osservare infine che l'andamento della situazione sui 
mercati rl'~suortazione dimostra che la concorrenza attraverso la qualit� 

290 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEl.J.O STATO 

va a �vantaggio del grano duro. Infatti, dai dati statistici forniti alla 
Corte risulta che la quota di meroato occupata dalla pasta prodotta esclusivamente 
con grano duro in altri Stati membri, dove subisce sin d'ora la 
concorrenza delle paste prodotte con grano tenero o con miscele di gr�no 
tenero e di grano duro, aumenta continuamente. I timori del Governo 
italiano quanto alla scomparsa della coltura del grano duro sono pertanto 
infondati. 

28. -Stando cos� le cose, le questioni sollevate dal giudice nazionale 
vanno risolte nel senso che l'estensione ai prodotti importati di un divieto 
di vendere pasta prodotta con grano tenero o con una miscela di grano 
tenero e di grano duro, come quello contenuto nella legge italiana sulle 
paste alimentari, � incompatibile con gli artt. 30 e 36 del Trattato. 
(omissis) 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, III sez., 22 settembre 
1988, ne1'la causa 228/87 ~ Pres. Moitinho de Almeida -Avv. 
Gen. Lenz -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore 
di Torino in procedimento pena�e contro ignoti -Interv.: Governo italiano 
(avv. Stato Ferri) e Commissione delle C.E. 

Comunit� Europee -Sanit� pubblica -Ravvicinamento delle legislazioni Qualit� 
delle acque destinate al consumo umano. 

(Direttiva CEE del Consiglio 15 luglio 1980, n. 80/778, art. 10, n. 1; d.P.C.M. 8 febbraio 
1988). 

L'autorizzazione del superamento delle concentrazioni massime ammissibili 
figuranti nell'allegato I della direttiva n. 80/778, sulla qualit� 
delle acque destinate al consumo umano, contemplata dall'art. 10, n. 1, 
della stessa direttiva, deve essere concessa solo in presenza di una situazione 
d'urgenza in cui le autorit� nazionali devono far fronte repentinamente 
a difficolt� di approvvigionamento di acqua destinata al consumo 
umano. Detta autorizzazione dev'essere limitata al tempo normalmente 
necessario per il ripristino della qualit� delle acque interessate, non 
deve comportare rischi inaccettabili per la salute pubblica ed � possibile 
solo se l'approvvigionamento di acqua destinata al consumo umano 
non possa essere garantito altrimenti. 

1. -Con ordinanza 22 luglio 1987, pervenuta in cancelleria il 27 luglio 
1987, la Pretura unificata di Torino ha sottoposto a questa Corte, a 
norma dell'art. 177 del trattato CEE, una questione pregiudiziale relativa 
all'interpretazione dell'art. 10, n. l, della direttiva del consiglio 15 lu

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E :NTERNAZIONALE 291 

glio 1980 n. 80/778/CEE, sulla qualit� delle acque destinate al consumo 
umano (G.U. L 229, pag. 11). 

2. -Detta questione � stata sollevata nell'ambito di un procedimento 
penale contro ignoti, che il Pretore di Torino ha promosso dopo aver 
preso visione dei risultati dell'analisi di taluni campioni prelevati da una 
unit� socio-sanitaria locale da acque destinate al consumo umano. Detta 
analisi metteva in evidenza Ia presenza, in alcuni pozzi, di atrazina in 
quantit� superiore al valore limite (per componente separato) di 0,1 microgrammi 
per litro stabilito per gli antiparassitari dal decreto del presidente 
del consiglio dei ministri 8 febbraio 1985 (in prosieguo: dpcm), 
emanato per l'attuazione della direttiva sopramenzionata. 
3. -Emerge dal fascicolo che, con varie ordinanze che derogavano 
al predetto dpcm, il ministro della sanit� e le competenti autorit� della 
regione Piemonte elevavano, per un periodo complessivo compreso tra il 
25 giugno 1986 e il 31 dicembre 1987, il limite massimo di atrazina a 1 
microgrammo per litro d'acqua destinata al consumo umano. In nuove 
ordinanze riferentisi ad un periodo co::nplessivo compreso tra il 3 aprile 
1987 e il 31 marzo 1988 il ministro della sanit� e la regione Piemonte 
riproducevano le disposizioni in precedenza adottate per l'atrazina e 
stabilivano il limite massimo consentito del molinate in 6 microgrammi 
e, rispettivamente, 3,5 microgrammi per litro d'acqua destinata al consumo 
umano. 
4. -Il procedimento penale riguarda il reato di omissione di atti di 
ufficio contemplato dall'art. 328 c.p. italiano, che le pubbliche autorit� 
avrebbero commesso non vietando il consumo umano di acque non 
rispondenti ai requisiti stabiliti dal sopramenzionato dpcm. Secondo il 
Pretore di Torino, la responsabilit� penale delle pubbliche autorit� 
sarebbe tuttavia esclusa qualora le deroghe al dpcm disposte dalle predette 
ordinanze fossero conformi alle deroghe consentite dalla direttiva n. 80/ 
778. Per risolvere tale problema, il pretore ha ritenuto necessario sottoporre 
alla corte la questione �se la direttiva n. 80/778/CEE e, in particolare 
l'art. 10, � l, di tale direttiva, debba essere inteso nel senso che 
autorizzi gli Stati membri a introdurre deroghe -nei modi e nelle circostanze 
di cui alle ricMamate ordinanze del ministero della sanit� e della 
regione Piemonte �. 
5. -Per un'ampia esposlZlone degli antefatti della causa principale, 
delle pertinenti norme nazionali e comunitarie, dello svolgimento del procedimento 
e delle osservazioni presentate alla Corte si rinvia alla relazione 
d'udienza. Detti elementi del fascicolo sono riprodotti in prosieguo 
solo se necessario al ragionamento della Corte. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEiO STATO

292 

6. -Considerato il testo della questione sollevata dal Pretore cli 
Torino, si deve ricordare che la Corte, secondo la sua costante giurisprudenza, 
non � competente, nell'ambito dell'applicazione dell'art. 177 del 
I 

trattato CEE, a statuire sulla compatibilit� di una disposizione nazio~: 
nale con il diiritto comunitario (vedasi, da ultimo, sentenza 11 giugno 
1987, causa 14/86, Pretore di Sal�, non ancora pubblicata). 


I 

7. -Tuttavia, la Corte pu� ricavare dal testo delle questioni formulate 
dal giudice a quo, tenuto conto dei dati da questo forniti, gli elementi 
relativi all'interpretazione del diritto comunitario al fine di consentire 
a detto giudice di risolvere il problema giuridico sottopostogli. 
8. -Dal testo dell'ordinanza di rinvio emerge che in sostanza il 
giudice a quo interroga la Corte sull'interpretazione dell'art. 10, n. 1, 
de1la direttiva, e, in particolare, sulle condizioni alle quali detta disposizione 
subordina l'autorizzazione del superamento delle concentrazioni 
massime consentite stabilite nell'allegato I. 
9. -Occorre innanzitutto rilevare che la direttivia n. 80/778 impone 
agli Stati membri obblighi precisi per quanto riguarda la qualit� delle 
acque destinate al consumo umano. Infatti, dette acque debbono essere 
almeno conformi ai valori indicati per i pariametri che figurano nell'allegato 
I (art. 7, n. 6) entro il termine di cinque anni dalla notifica della 
direttiva (art. 19). Per garantire il rispetto di detto obbligo, gli Stati membri 
debbono effettuare controlli regolari in conformit� all'allegato II, 
adottando i metodi di analisi menzionati nell'allegato III (art. 12). 
10. -Sono consentite deroghe alla direttiva solo alle condizioni contemplate 
dagli artt. 9, 10 e 20 della stessa. Dette disposizioni debbono 
essere interpretiate in senso restrittivo. 
11. -Le deroghe contemplate dagli artt. 9 e 20 non riguardano la 
fattispecie di cui al procedimento principale. Innanzitutto le ordinanze 
non sono basate sulla natura e sulla struttura dei terreni dell'area di cui 
� tributaria la risorsa idrica considerata, la loro adozione non � dovuta a 
circostanze. ~etereologiche eccezionali e, contrariamente a quanto disposto 
dall'art. 9, n. 3, le deroghe riguardano sostanze tossiche (allegato I, 
sub D). Inoltre, la Repubblica italiana non si � avvalsa della procedura 
contemplata dall'art. 20, che consente, sotto il control'lo della commissione 
del consiglio, di faT fronte a difficolt� causate dalla trasposizione 
della direttiva entro il termine prescritto dall'art. 18. 
12. -L'art. 10, n. 1, della direttiva n. 80/778 recita: 
� In caso di circostanze accidentali gravi, le competenti autorit� nazionali 
possono autorizzare, per un periodo di tempo limitato e fino al 


. ' 


PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E Il-<TERNAZIONALB 

raggiungimento di un valore massimo che esse stabiliscono, un superamento 
delle concentrazioni massime ammissibili di cui all'allegato I, nella 
misura in cui tale superamento non presenti assolutamente un rischio 
inaccettabile per la salute pubblica e l'approvvigionamento d'acqua destinata 
al consumo umano_ non possa essere assicurato in nessun altro 
modo�. 

13. -Si deve rilevare che detta disposizione � pi� elastica dell'art. 5, 
n. 2, . della proposta di direttiVia della commissione (G.U. C 214, pag. 2), 
la quale non _consentiva deroghe per quanto riguarda taluni fattori tossici, 
e, in particolare, i pesticidi e i prodotti affini. Ciononostante, nel consentire 
deroghe-in materia di fattori pericolosi per la salute umana, la direttiva 
le ha subordinate a condizioni tassative. 
14. -In primo luogo, dalle varie versioni linguistiche del sopra 
citato art. 10, n. l, emerge che la nozione �circostanze accidentali gravi� 
dev'essere interpretata come una situazione di urgenza nella quale le 
autorit� responsabili debbano fare repentinamente fronte a difficolt� di 
aipprovvigionamento di acqua destinata al consumo umano. 
15. -In secondo luogo, il superamento delle concentrazioni massime 
ammissibili � autorizzato soltanto per un periodo limitato, corrispondente 
al tempo normalmente necessario per ripristinare la qualit� delle acque 
interessate. 
16. -In terzo luogo � necessario che detto superamento non comporti 
rischi inaccettabili per la salute pubblica. Compete agli Stati membri 
giudicare, in base ai dati scientifici conosciuti, se sussistano simili rischi. 
17. -Infine, occorre che l'approvvigionamento di acqua destinata al 
consumo umano non possa essere garantito in nessun altro modo. Questa 
impossibilit� dev'essere valutata tenendo conto dei mezzi di cui 
dispongono i pubblici poteri. 
18. -Si deve poi rilevare che a tenore dell'art. 16 della direttiva 
gli Stati membri possono adottare per le acque destinate al consumo 
umano, disposizioni pi� severe di quelle contemplate dalla direttiva stessa, 
ad eccezione dei provvedimenti che costituiscano un ostacolo alla libera 
circolazione di prodotti alimentari per i quali l'acqua utilizzata � conforme 
alla direttiva. L'art. 10, n. l, non impedisce dunque al legislatore nazionale 
di subordinare l'autorizzazione del superamento delle concentrazioni a 
condizioni pi� rigorose o addirittura di vietare detto superamento. 
19. -Spetta al giudice nazionale accertare se la normativa interna 
contenga o no disposizioni che limitino le possibilit� di deroga contemplate 
dalla direttiva. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D:'JLLO STATO

294 

20. -La questione pregiudiziale sollevata dal Pretore di Torino deve 
pertanto essere risolta nel senso che: 
-L'autorizzazione del superamento delle concentrazioni massime ammissibili 
figuranti nell'allegato I della direttiva n. 80/778 sulla qualit� 

delle acque destinate al consumo umano, contemplata dall'art. 10, n. 1, 
della stessa direttiva, dev'essere concessa solo in presenza di una situazione 
di urgenza in cui le autorit� nazionali debbano far fronte repentinamente 
a difficolt� di approvvigionamento di acqua destinata al consumo 
umano. 

-Detta autorizzazione dev'essere limitata al tempo normalmente 
necessario per il ripristino del1a qualit� delle acque interessate, non deve 
comportare rischi inaccettabili per la salute pubblica, ed � possibile solo 
se J'approvvigionamento di acqua destinata al consumo umano non possa 
essere garantito altrimenti. 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. Plen., 5 otto-f. 
bre 1988, nella causa 53/87 -Pres. Mackenzie Stuart -Avv. Gen. 
Mischo -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale 
di Milano nella causa Consorzio Italiano della Componentistica di 
ricambio per Autoveicoli e Maxicar c. R�gie Nationale des Usines 
Renault -Interv.: Governi francese (avv. Belliard e Pouzoulet), della 
Rep. fed. di Germania (ag. Seidel),, spagnolo (avv.ti Conde de Saro 
e Garcia-Valdecasas), italiano (avv. Stato Braguglia) e britannico (ag. 
Purse) e Commissione C.E. (ag. Marenco e Banks). 

Comunit� Europee -Libera circolazione delle merci -Tutela della propriet� 

industriale -Esercizio di diritti al modello sulle parti componenti la 

carrozzeria di autovetture. 

(Trattato CEE, artt. 30-36; legge 25 agosto 1940, n. 1411, e succ. mod.). 

Comunit� Europee -Concorrenza -Abuso di posizione dominante -Brevetti 
per modelli ornamentali -Fattispecie. 
(Trattato CEE, artt. 36 e 86). 

Le norme relative alla libera circolazione delle merci non ostano 
all'applicazione di una normativa nazionale secondo cui un fabbricante 
di autoveicoli, titolare di un brevetto per modello ornamentale su pezzi 
di ricambio destinati alle vetture di sua fabbricazione, ha il diritto di 
interdire a terzi di fabbricare, ai fini di vendita sul mercato interno o di 
esportazione, pezzi tutelati o di impedire l'importazione da altri Stati 
membri di pezzi tutelati che vi siano stati fabbricati senza il suo consenso 
(1). 

(1-2) Cfr. anche la parallela sentenza della Corte della stessa data, nella 
causa 238/87, emessa su domanda pregiudiziale proposta dalla High Court 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 295 

Il semplice fatto di conseguire brevetti per modelli ornamentali relativi 
a parti della carrozzeria di autovetture non costituisce abuso di posizione 
dominante, ai sensi dell'art. 86 del Trattato; l'esercizio del diritto 
esclusivo corrispondente a siffatti brevetti pu� essere vietato dall'art. 86 
del Trattato, se d� luogo, da parte di un'impresa in posizione dominante, 
a taluni comportamenti abusivi quali il rifiuto arbitrario di fornire pezzi 
di ricambio a riparatori indipendenti, la fissazione dei prezzi dei pezzi di 
ricambio ad un livello troppo elevato o la decisione di non produrre 
pi� pezzi di ricambio per un determinato modello mentre circolano ancora 
molte vetture del modello stesso, a condizione che tali comportamenti 
possano essere pregiudizievoli per il commercio tra Stati membri (2). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 18 settembre 1986, pervenuta alla Corte 
il 20 febbraio 1987, il Tribunale Civile e Penale di Milano ha proposto, a 
norma dell'art. 177 del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali relative 
all'interpretazione degli artt. 30-36 e 86 del Trattato CEE al fine di valutare, 
in primo luogo, la compatibilit� di una normativa nazionale che 
consente di tutelare, mediante brevetto per modello ornamentale, delle 
parti della carrozzeria di autovetture, con le norme comunitarie riguardanti 
la libera circolazione delle merci e, in secondo fuogo, il carattere 
abusivo che, in talune circostanze, pu� assumere l'esercizio tale diritto. 

2. -Queste questioni sono state poste nell'ambito di una controversia 
che oppone il Consorzio italiano della Componentistica di Ricambio 
per Autoveicoli (in prosieguo: il Consorzio), associazione professionale che 
raggruppa diverse imprese italiane che fabbricano e smerciano parti staccate 
della carrozzeria di autovetture, e la Maxicar, impresa aderente al 
Consorzio, alla R�gi� Nationale des Usines Renault (in prosieguo: Renault). 
3. -Con la domanda proposta dinanzi a.il giudice nazionale, il Consorzio 
e la Maxicar chiedono, in primo luogo, che vengano dichiarati nulli 
i brevetti per modello ornamentale di cui la Renault � titolare, in quanto 
questi riguardino parti staccate della correzzeria di automobili, parti che, 
di per s�, non avrebbero alcun valore estetico autonomo, ed in secondo 
luogo che si constati che la produzione e la messa in commercio di pezzi 
di rioambio non originali non costituiscono un illecito alla luce delle 
norme nazionali relative alla concorrenza sleale. La Renault, in via riconof 
Justice d'Inghilterra e del Galles nella causa A.B. VoLvo c. ERIK VENG (UK) 
Ltd, dove � stato statuito che � il rifiuto opposto dal titolare di un diritto 
di modello, che copre elementi di carrozzeria, di concedere a terzi, 
anche in contropartita di commissioni ragionevoli, una licenza per la fornitura 
di pezzi che comprendono il modello, non pu� essere considerata di per s� 
uno sfruttamento abusivo di posizione dominante, ai sensi dell'art. 86 del 
Trattato CEE �. 

7 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

296 

venzionale, chiede che venga constatata la contraffazione dei brevetti 
da parte delle societ� attrici. 

4. -Il giudice nazionale considera conforme alla normativa italiana 
la tutela quale modello ornamentale di parti staccate della carrozzeria 
di autovetture, ma ritiene che l'esercizio dei diritti esclusivi risultanti da 
tale tutela appaia nella fattispecie in contrasto con le norme del Trattato. 
5. -A tal proposito, rileva che il compenso del titolare del diritto � 
gi� garantito dal diritto esclusivo relativo alla carrozzeria nel suo complesso 
e che la tutela di parti stacoate di essa considerate separatamente 
non � pertanto giustificata. Osserva inoltre che la Renault, che � naturale 
destinataria di una parte delle ordinazioni dei consumatori per i pezzi 
destinati alle vetture di sua fabbricazione, gode di una posizione di monopolio 
che le consente di eliminare la concorrenza dei fabbricanti indipendenti 
di pezzi di ricambio, pur continuando a praticare prezzi elevati. 
6. -Secondo il giudice nazionale, risulta dalle considerazioni che 
precedono che la tutela di cui gode la Renault potrebbe costituire un 
mezzo di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata al commercio 
fra gli Stati membri, ai sensi dell'art. 36 del Trnttato, e che la 
posizione di monopolio in tal modo garantita all'interessata pu� ricadere 
sotto l'applicazione dell'art. 86 del Trattato. 
7. -In tali condizioni, il giudice nazionale ha deciso di sospendere 
il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
� 1. Se gli artt. 30-36 del Trattato CEE debbano o no essere interpretati 
nel senso di impedire che il titolare di un brevetto per modello 
ornamentale concesso in uno Stato membro possa far valere il corrispondente 
diritto assoluto per interdire a terzi la fabbricazione e la vendita 
nonch� l'esportazione in altro Stato membro di parti staccate che integrano 
nel loro insieme la carrozzeria di un'automobile gi� immessa sul 
mercato, e cio� di parti staccate destinate alla vendita come pezzi di 
ricambio della stessa automobile. 
2. Se l'art. 86 del Trattato CEE sia o meno applicabile per �vietare 
l'abuso della posizione dominante che ciascU!lJa casa automobilistica detiene 
sul mercato dei ricambi delle automobili di sua fabbricazione, consistente 
nel perseguire, con ~pratica della hrevettazione e della repressione 
giudiziaria, lo scopo de11'eliminazione totale della concorrenza delle imprese 
dei ricambisti indipendenti �. 
8. -Per una pi� ampia esposizione dei fatti e dell'ambito giuridico 
della controversia nazionale, dello svolgimento del procedimento nonch� 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E L'IUERNAZIONALE 

delle osservazioni presentate alla Corte, si rinvia al1a relazione d'udienza. 
Questi elementi del fascicolo sono richiamati nel prosieguo solo nella misura 
necessaria alle deduzioni della Corte. 

Sulla prima questione 

9. -Risulta dall'ordinanza di rinvio che ralcuni fabbricanti indipendenti 
di pezzi di ricambio per autovetture hanno fatto valere le norme 
relative alla libera circolazione delle merci per indurre il giudice nazionale 
a non applicare la normativa nazionale sulla propriet� industriale 
secondo cui un fabbricante di autoveicoli pu� ottenere, mediante brevetto 
per modello ornamentale, una tutela di taluni pezzi di ricambio destinati 
alle vetture di sua fabbricazione. Questi fubbricanti indipendenti hanno 
inteso in tal modo mettersi al riparo da azioni per contraffazione dirett� 
ad impedir loro di fabbricare, ai fini di vendita sul mercato interno o di 
esportazione, pezzi su oui grava il diritto esclusivo o ad interdire loro di 
importare da altri Stati membri pezzi tutelati che vi siano stati fabbricati 
senza il consenso del titolare del brevetto per modello. 
10. -Occorre in primo luogo sottolineare che, come la Corte ha 
ritenuto nella sentenza 14 settembre 1982 (causa 144/81, Keurkoop, Racc. 
pag. 2853), relativa alla tutela di disegni e modelli, nello stato attuale .del 
diritto comunitario e in mancanza di unificazione nell'ambito della Comunit� 
o di un ravvicinamento delle legislazioni, la determinazione dei casi 
e delle modalit� di tale tutela dipende dalle norme nazionali. Spetta 
quindi al legislatore na,zionale stabilire quali prodotti beneficino di tale 
tutela anche qualora facciano parte di un complesso che � gi� tutelato in 
quanto tale. 
11. -Si deve in seguito rilevare che :i.a facolt� del titolare di un 
brevetto per modello ornamentale di opporsi alla fabbricazione da parte 
di terzi, ai fini di vendita sul mercato interno o di esportazione, di prodotti 
che incorporano il modello o di impedire l'importazione di siffatti 
prodotti che siano stati fabbricati senza il suo consenso in altri Stati 
membri, costituisce il contenuto del suo diritto esclusivo. Impedire l'applicazione 
della normativa nazionale in siffatte condizioni equivarrebbe 
quindi a rimettere in causa l'esistenza stessa di tale diritto. 
12. -Va ancora ricordato che in forza dell'art. 36 le restrizioni 
all'importazione o all'esportazione giustificate da motivi di tutela della 
propriet� industriale e commerciale sono ammesse in quanto esse non 
costituiscano n� un mezzo di discriminazione arbitraria, n� una restrizione 
dissimulata al commercio tra gli Stati membri. A tal proposito 
� sufficiente constatare, alla luce degli atti di causa, che il diritto esclu

298 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DW.LO STATO 

sivo accordato dalla normativa nazionale ai titolari di brevetti per modelli 
ornamentali, relativi a parti di carrozzeria di autovetture, � indifferentemente 
opponibile sia a chi i�abbrica i pezzi di ricambio sul territorio 
nazionale sia a chi li importa da altri Stati membri e che tale 
normativa non mira a favorire i prodotti nazionali rispetto a quelli originari 
di altri Stati membri. 

13. -In tali condizioni, la prima questione del giudice nazionale 
deve essere risolta nel senso che le norme relative alla libera circolazione 
delle merci non ostano all'applicazione di una normativa nazionale 
secondo cui un fabbricante di autoveicoli, titolare di un brevetto per 
modello ornamentale su pezzi di ricambio destinati alle vetture di sua 
fabbricazione, ha il diritto di interdire a terzi di i�abbricare, ai fini di 
vendita sul mercato interno o di esportazione, pezzi tutelati che vi siano 
stati fabbricati senza il suo consenso. 
Sulla seconda questione 

14. -Con la seconda questiom:, il giudice nazionale intende sapere, 
in sostanm, se il conseguimento di brevetti per modelli ornamentali relativi 
a parti di carrozzeria di autovetture, e l'esercizio dei diritti esclusivi 
che ne risultano, costituiscano un abuso di posizione dominante, ai sensi 
dell'art. 86 del Trattato. 
15. -A tal proposito pu� subito rilevarsi che il fatto stesso di ottenere 
il beneficio di un diritto esclusivo concesso dalla legge, diritto il cui 
contenuto consiste nel potere di impedire la fabbricazione e la vendita dei 
prodotti tutelati da parte di terzi non autorizzati, non pu� essere considerato 
come un metodo abusivo di eliminazione della concorrenza. 
16. -Per quanto riguarda l'esercizio del diritto esclusivo, questo 
pu� essere vietato dall'art. 86 se d� luogo, da parte di un'impresa in posizione 
dominante, a taluni comportamenti abusivi quali il rifiuto arbitrario 
di fornire pezzi di ricambio a riparatori indipendenti, la fissazione dei 
prezzi dei pezzi di ricambio ad un livello troppo elevato o la decisione di 
non produrre pi� pezzi di ricambio per un determinato modello mentre 
circolano ancora molte vetture del modello stesso, a condizione che tali 
comportamenti possano essere pregiudizievoli al commercio tra Stati 
membri. 
17. -Pi� specificamente in merito alla differenza di prezzo tra i 
pezzi di ricambio venduti dal costruttore e quelli venduti dai fabbricanti 
indipendenti, va osservato che, secondo la giurisprudenza della Corte 
(sentenza 29 febbraio 1968, oausa 24/67, Parke Davis, Racc. pag. 75), 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

l'ammontare superiore del prezzo dei primi rispetto a quello dei secondi 
non costituisce necessariamente un abuso, poich� il titolare di un brevetto 
per modello ornamentale pu� legittimamente pretendere un compenso 
per le spese sostenute per la messa a punto del modello brevettato. 

18. -In queste condizioni, bisogna risolvere la seconda questione 
sottoposta dal giudice nazionale nel senso che 
-il semplice fatto di conseguire brevetti per modelli ornamentali 
relativi a parti della carrozzeria di autovetture non costituisce abuso di 
posizione dominante, ai sensi dell'art. 86 del Trattato; 

-l'esercizio del diritto esclusivo corrispondente a siffatti brevetti 
pu� essere vietato dall'art. 86 del Trattato se d� luogo, da parte di una 
impresa in posizione dominante, a taluni comportamenti abusivi quali 
il rifiuto arbitrario di consegnare pezzi di ricambio a riparatori indipendenti, 
la fissazione dei prezzi dei pezzi di ricambio ad un livello troppo 
elevato o la decisione di non produrre pi� pezzi di ricambio per un 
determinato modello mentre circolano ancora molte vetture del modello 
stesso, a condizione che tali comportamenti possano essere pregiudizievoli 
per il commercio tra Stati membri. (omissis) 


SF.ZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI 
DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 luglio 1988, n. 4480 -Pres. Zucconi 
Galli Fonseca -Rel. Cherubini -P. M. Virgilio -Cassa per il Mezzogiorno 
(avv. Stato Conti) c. Angus s.p.a. (avv. Bonatti e Guidi). 

Mezzogiorno � Cassa per il Mezzogiorno -Contributi a fondo perduto � 
Inadempimento del concessionario -Revoca della sovvenzione -Con� 
troversia � Rapporto di natura paritetica -Giurisdizione dell'A.G.O. 

La facolt� della Cassa per il Mezzogiorno di pretendere la restitu


zione di somma pari all'importo della sovvenzione erogata ai sensi dell'art. 
102 del d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523 per la costruzione e l'ampliamento 
di impianti industriali, nel caso di inadempimento del concessionario 
a particolari obblighi a lui imposti, non pu�, in difetto di norma 
attributiva, assurgere al rango di potere pubblico, ma va collocata tra 
i rapporti di natura paritetica, con conseguente cognizione della relativa 
controversia da parte del giudice ordinario (1). 

(omissis) 

2. -Passando all'esame dei ricorsi, va affrontata in primo Juogo la 
questione di giurisdizione, posta col primo motivo del ricorso principale. 
La Cassa per il Mezzogiorno � ben conscia che le Sezioni Unite, decidendo 
analoghe fattispecie, hanno affermato la giurisdizione del giudice 
ordinario, ma auspica un'inversione di tendenza, mettendo in luce che, 
nel caso oggi in esame, gli obblighi del beneficiari.o, il cui inadempimento 
ha determinato la � revoca � della sovvenzione, non sono contenuti 
in una convenzione stipulata contestualmente al provvedimento, ma 
costituiscono clausola del provvedimento medesimo. 

Peraltro, la Cassa svolge la sua tesi generale con argomentazioni che 
possono sintetizzarsi nel modo seguente. 

Il provvedimento con cui � stato concesso il contributo ex art. 102 
del D.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523 non si esaurisce con l'erogazione della 
sovvenzione, ma ha dato vita ad un rapporto di durata. 

(1) La pronuncia (su cui cfr. Giust. Civ. 1988, I, 2938 con breve nota di 
richiami) conferma l'orientamento gi� manifestato da Cass. 8 maggio 1976, 
n. 1611 (in Giust. Civ. 1976, I, 620, con nota di riferimenti di dottrina) e ribadito 
da Cass. 28 maggio 1986, n. 3600. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

Invero, la previsione che il beneficiario della sovvenzione utilizzi per 
un certo tempo i macchinari e le opere murarie non � elemento accidentale, 
del provvedimento, ma costituisce espressione dell'interesse pubblico 
preso in considerazione per la concessione del contributo. 

Ci� comporta il sorgere di un rapporto di durata,.. i cui connotati 
sono costituiti da un potere di controllo della Cassa e da un onere del 
concessionario di utilizzare le opere agevolate per un certo periodo. 

L'esercizio del potere di controllo consente la revoca, nel caso che 
il concessionario non adempia all'onere assunto. 

Quindi, tutte le vicende del rapporto di sovvenzione non possono 
essere collocate in un ambito privatistico, ma vanno valutate in un contesto 
pubblicistico, loro congeniale, il cui aspetto pi� rilevante, ai fini 
che interessano il presente giudizio, � il potere discrezionale della Amministrazione 
di far cessare la sovvenzione quando viene meno l'interesse 
pubblico ad essa originariamente collegato. 

Il mezzo non � fondato. 

La costante giurisprudenza di questa Corte � nel senso che: la posizione 
soggettiva del privato cui sia stata accordata la sovvenzione � 
suscettibile di varia configurazione, in quanto egli -se, da un lato, 
ha un diritto di credito verso l'amministrazione, debitrice della somma 
di danaro oggetto della sovvenzione e per la tutela di esso pu� di certo 
adire il giudice ordinario -dall'altro � titolare verso la medesima di 
un interesse legittimo in considerazione dei poteri di autotutela che le 
spettano fa base a principi fondamentali dell'ordinamento, beninteso 
entro i limiti in cui tali poteri sono di volta in volta configurabili. Ed 
in questa prospettiva si � precisato che l'amministrazione -in funzione 
del generale interesse ial corretto; ordinato ed efficiente svolgimento 
della propria attivit� -pu�, mediante procedimenti talora definiti � di 
secondo grado �, riesaminare il provvedimento per verificarne la validit�, 
ovvero attuare una revisione del risultato di esso (e del rapporto che 
ne � derivato), per saggiare la sua persistente corrispondenza all'interesse 
pubblico in vista del quale fu emanato (S.C. n. 1611/76). 

Questi principi operano, come � evidente, a prescindere dalla circostanza 
che la clausola, con la quale siano stati imposti al beneficiario 
degli obblighi il cui inadempimento sia sanzionato con la �revoca�, 
abbia natura convenzionale; e, invero, questo aspetto del caso concreto 
� stato valorizzato dalla giurisprudenza (vedi sentenza n. 1611/76 citata) 
solo per ribadire l'inesistenza di un potere autoritativo della Cassa per 
il Mezzogiorno, 1a cui carenza era gi� rilevabile in forza dei principi 
generali. 

Sicch� non � decisivo il preliminare rilievo della ricorrente principal� 
circa la natura non convenzionafo della clausola che fissa alla so



302 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

ciet� ANGUS l'obbligo di utilizzare macchinari ed opere per un certo 

tempo. 

Ci� posto, � necessario controllare se, nella specie, s1a identil�icabile 

l'esercizio da parte della Cassa di un potere nell'ambito di un procedi


mento � di secondo grado �, in conformit� ai principi pi� sopra ricordati.. 

Al riguardo va subito constatato che non � configurabile un riesame, 

sotto il profilo della validit� del provvedimento, perch� nessun vizio di 

legittimit� � prospettabile o viene fatto valere. 

Neppure pu� individuarsi l'eserci:zJio di un potere di 'revisione perch� 

l'interesse pubblico, preso in considerazione a11'atto della emanazione 

del provvedimento, non � rimesso in discussione. 

A questo proposito va saggiata la tesi della Cassa, la quale sostiene, 

in sostanza, che l'interesse pubblico sottostante al1a sovvenzione sarebbe 

quello realizzabile mediante l'utilizzazione temporanea di macchinari ed 

impianti da parte del coneessionario; in altri termini, quello che si 

concretizzerebbe con gli obblighi assunti, nel caso in esame, da11a so


ciet� ANGUS. 

Ma questa opinione � inaccettabile perch� l'interesse pubblico che 

giustifica la sovvenzione in causa �, ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1967, 

n. 1523, lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, attraverso la costruzione 
di nuovi impianti o l'ampliamento di quelli esistenti. 
Pertanto oade la tesi della ricorrente principale -che ha per fonda


mento la premessa qui sopra confutata -sull'esistenza di un rapporto 

di durata, nato dalla sovvenzione, e sull'esercizio di un particolare 

potere di natura pubblica da parte della Cassa. 

Viene, inoltre, confermata la non configurabilit� di un provvedimento 

di revisione. 

In particolare non pu� ipotizzarsi, con la ricorrente principale, l'esistenza 
di una revoca per motivi sopravvenuti perch� un tale :provvedimento 
presuppone, pur sempre, una comparazione del1a nuova situazione 
con l'interesse pubblico preso in esame per l'emanazione del provvedimento 
soggetto a revoca, laddove, nella specie, si tratterebbe di 
� considerare le conseguenze di un comportamento del beneficiario, senza 

alcuna nuova comparazione con l'interesse pubblico suddetto. 

Infine, non � neppure possibile configurare una � declariatoria di 

decadenza � -anche essa da annoverare tra gli atti di autotutela 


perch� un siffatto provvedimento pu� intervenire solo in un rapporto 

di durata, che nella specie, come si � visto, non sussiste. 

L'esito negativo della indagine sin qui svolta porta -alla luce del 
principio di legalit� dell'azione amministrativa, in forza del quale nessuna 
posizione di preminenza o di favore spetta all'amministrazione se 
non in virt� di una disposizione di legge e che nessun potere � configurabile 
in difetto di norma attributiva (sent. n. 4010 del 1975) -alla 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 303 

necessaria conclusione che la facolt� della Cassa di pretendere la restituzione 
di somma pari all'importo della sovvenzione erogata, nel caso 
di inadempimento del concessionario a particolari obblighi a lui imposti, 
non pu� assurgere al rango di potere pubb1ko, ma va collocata tra 

rapporti di natura paritetica. 

3. -Ragioni di ordine logico-sistematico suggeriscono di passare, 
superato il problema di giurisdizione, all'esame del ricorso incidentale, 
con il quale la societ� TRADECO lamenta, sotto il profilo di violazione 
dell'art. 102 del D.P.R. n. 1523 del 1967 e di insufficiente e contraddittoria 
motivazione, la statuizione con la quale la Corte del merito ha 
ritenuto che l'apertura della liquidazione della societ� ANGUS fosse 
idonea a realizzare l'inadempimento previsto come causa di �revoca� 
della sovvenzione. 
M riguardo, la ricorrente incidentale osserva: che il citato art. 102 
ha di mira lo sviluppo economico ed industriale del Mezzogiorno, attraverso 
la costruzione di nuovi impianti o l'ampliamento di quelli preesistenti, 
senza tener conto della loro concreta uti1izzazione; che, pertanto, 
la clausola in disoussione andava interprntata come divieto di sottrarre 
gli impianti alla destinazione loro impressa all'atto della concessione 
della sovvenzione, dando loro una destinazione diversa da quella ori


ginaria; 

che, invece, la Corte di Milano ha interpretato la detta clausola 

con riferimento alla utilizzazione concreta di detti beni e perci� finendo 

col violare l'art. 102 suddetto; 

che, inoltre, la sentenza impugnata � contraddittoria perch�, da 

un canto, ammette che l'apertura del procedimento di liquidazione 

non d� luogo ad una situazione irreversibile; dall'altro, afferma che, per 

effetto della liquidazione stessa, veniva compromesso, per un periodo 

indeterminato, lo scopo dell'agevolazione. 

Il motivo non � fondato. 

La censura muove dal presupposto che la clausola in discussione 

debba essere interpretata con specifico riferimento all'interesse pubblico, 

in vista del quale la sovvenzione � stata concessa. 

Questo collegamento non esprime alcuna necessit� logico-giuridica 

perch� � altrettanto fogico e non contraddice alcun principio di diritto 

il sostenere che, invece, la clausola in esame ha voluto assicurare pro


prio la utilizzazi�ne degli impianti. 

In altri termini, la censura � basata su di una premessa accettabile ma 
non inderogabile. 
In questa situazione appare inconsistente la censura che denuncia 
una violazione di legge e si profila, piuttosto, un problema di interpre



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

304 

tazione della clausola del provvedimento, la cui valutazione � insindacabile 
se sorretta da motivazione priva di vizi logici. 

Sotto questo ultimo aspetto non si ravvisa la contraddizione indicata 
dalla ricorrente incidentale posto che la sentenza impugnata contiene, 
da un canto, l'affermazione che, in astratto, la messa in liquidazione 
della societ� non determina una situazione irreversibile; e, dall'altro, 
la considerazione che, in concreto, si � verificata la sospensione 
dell'attivit� produttiva e la conseguente mancata utilizzazione dei macchinari 
ed opere murarie per un periodo di tempo indeterminato. 

Si tratta di due proposizioni che sono logicamente compatibili e, 
quindi, non sussiste il vizio denunciato. 

4. -Rimane da esaminare il secondo motivo del ricorso principale, 
con il quale viene denunciata la violazione degli articoli 102, ultimo 
comma, e 103 del T.U. 30 giugno 1967, n. 1523, nonch� difetto di motivazione 
circa un punto decisivo della controversia. 
La Cassa si duole della statuizione con cui la Corte di appello ha 
ritenuto che il termine quinquennale di utilizzazione dei macchinari 
fosse decorso al momento della deliberazione di messa in liquidazione 
della societ� ANGUS ed osserva che la decisione appare assolutamente 
immotivata e frutto di equivoco tra la data di ultimazione dei controlli 
di cui all'art. 102, ultimo comma, del T.U. 1523/67 -costituente il vero 
dies a quo, fissato nel provvedimento di sovvenzione -e la data del 
�parere di conformit��, previsto nel successivo art. 103. 

La controricorrente ammette la correttezza della censura proposta 
dalla controparte, ma, dichiarandola valida solo da un punto di v~sta 
formale, contesta il \'izio di legittimit� dedotto osservando che, nella 
specie, il parere di conformit� -costituente presupposto fondamentale 
per l'ammissibilit� a contributo delle opere in progetto ai sensi dell'articolo 
103, .primo comma, del T.U. 1523/67 -non � stato rifasciato sulla 
base di un semplice progetto, ma per opere ed impianti entrati in 
funzione gi� dal 1969; che, inoltre, la Cassa avrebbe commesso l'errore 
di indicare, nell'art. 4 dell'atto di sovvenzione, la decorrenza del quinquennio 
dalla data dei controlli richiamati dall'art. 2, in quanto, nel 
sistema della legge, deve tenersi conto, come dies a quo, della data 
della verifica di conformit� delle opere progettate, a cui fa riferimento 
l'art. 103 suddetto. Pertanto, conclude la societ� TRADECO, la decisione 
censurata si giustifica in base alle suddette considerazioni, che la Corte 
di appello ha avuto certamente presenti. 

Osservano le Sezioni Unite che -a parte la accettabilit� o meno 
delle deduzioni della controricorrente -non � possibile attribuire alla 
Corte di appello intenti ed opinioni che non risultano nemmeno accennate 
in motivazione. 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 305 

La sentenza impugnata si limita a calcolare il periodo quinquennale 
dalla data del � parere di confovmit� � che identifica, puramente e 
semplicemente, con i controlli previsti nell'art. 2 dell'atto di concessione. 

Evidente �, quindi, l'errore logico e giuridico del[a motivazione sul 

punto e fa necessit� di porvi riparo con la cassazione di questa parte 

della sentenza impugnata e il rinvio, per nuovo esame, ad altro giudice, 

che si indica in altra Sezione della Corte di appello di Milano. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 luglio 1988, n. 4503 -Pres. Bile -
Rel. Di Ci� -P. M. Grossi (conf.) -Silvestri (avv. Esposito) c. Istituti 
di previdenza (avv. Stato Stipo). 

Pensioni � Trattamento provvisorio di pensione � Questioni volte alla 
restituzione di assegni trattenuti, alla corresponsione degli interessi 
legali e rivalutazione monetaria � Giurisdizione esclusiva della Corte 
dei conti. 

L'attribuzione della pensione provvisoria costituisce una fase del 
procedimento diretto alla determinazione dell'assegno pensionistico; pertanto 
anche in costanza del trattamento provvisorio di pensione sussiste 
la giurisdizione della Corte dei conti per le controversie volte alla restituzione 
di somme indebitamente trattenute dagli assegni pensionistici 
mensili, al risarcimento del danno da svalutazione monetaria ed alla 
corresponsione degli interessi legali (1). 

(omissis) L'istante dott. Carlo Silvestri sostiene la giurisdizione 

amministrativa in relazione alla controversia da lui promossa, riguar


dante ,il provvedimento di sospensione dell'assegno integrativo speciale 

ed il recupero delle somme erogate a tale titolo, da effettuare mediante 

trattenute mensili sull'assegno pensionistico. 

Assume invece la giurisdizione del ~iudice ordinario, per l'esame 

della domanda attinente agli interessi legali ed ai danni prodotti, a' sensi 

dell'art. 1224 e.e., della mancata corresponsione della parte in conte


stazione dell'assegno pensionistico. 

Le cennate tesi non possono essere condivise, dovendo l'esame del� 

l'intera controversia essere attribuito alla giurisdizione esclusiva della 

Corte dei conti. 

Queste sezioni unite hanno ritenuto, con giurisprudenza consolidata, 
.che a norma degli artt. 13 e 62 del t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, le Liti 

(1) Anche il Consiglio di Stato si era espresso per la giurisdizione della 
Corte dei conti nelle controversie riguardanti il trattamento provvisorio di 
pensione (Cons. Stato, VI, 8 ottobre 1982, n. 469). 

306 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA n.n.LO STATO 

riguardanti i provvedimenti dell'amministrazicne che concedono, rifiutano 
o modificano il trattamento di pensione, sono comprese in detta 
giurisdizione (vedi, per tutte, la sentenza 4 febbraio 1985, n. 746), ed 
hanno precisato che essa si estende alle dispute su1le indennit� accessorie 
poich� queste, essendo dirette ad adeguare fa misura minima della 
pensione alle reali e specifiche condizioni personali del pensionato 
nonch� a quelle economiche generali (svalutazione monetaria), sono in 
sostanza parti integranti dell'assegn� pensionistico (v. sent. 21 mag� 
gio 1986, n. 3373). 

La giurisdizione esclusiva della Corte dei oonti comprende anche 
la controversia riguardante la legittimit� del recupero degli assegni 
accessori erogati, contestata sotto il profiilo dell'avvenuta riscossione in 
buona fede e delle modalit� della pretesa restituzione (cfr. sentenza 

n. 3373 del 1986, citata in tema di indennit� integ:riativa speciale). 
Alla giurisdizione della Corte dei conti sono devolute le istanze del 
Silvestri volte alla restituzione delle somme a suo dire indebitamente 
trattenute dai suoi assegni pensionistici mensili, al risarcimento del 
danno da svalutazione monetaria ed a!Ha corresponsione degli interessi 
legali. Invero si tratta di pretese accessorie, direttamente legate e dipendenti 
dalla domanda principale, inerenti sostanzialmente all'entit� dell'assegno 
pensionistico spettante all'odierno riconente; il giudizio sulla 
loro fondatezza, quindi, non pu� essere disgiunto da quello sulla questione 
patrimoniale da cui derivano. La restituzione delle somme recuperate 
dall'amministrazione ha infatti origine nell'assunto che le trattenute 
eseguite siano illegittime; gli interessi legali e la rivalutazione 
monetaria, poi, sono richiesti allo scopo di conseguire il recupero in 
modo adeguato all'effettivo valore delle somme trattenute. 

Non ha rilievo, infine, che oggetto della controversia Slia una pensione 
provvisoria. L'attribuzione della pensione provvisoria -al fine di 
evitare che al pensionato manchi, nei tempi tecnici necessari per la 
liquida21ione della pensione definitiva, il minimo vitale -costituisce 
pur sempre una fase del procedimento diretto alla determinazione 
dell'assegno pensionistico e, quindi, come tale rientra nella giurisdizione 
esclusiva della Corte dei conti, essendo una parte necessaria dell'iter che 
sfocia nena liquidazione defii.nitiva dell'assegno dovuto al pensionato. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 ottobre 1988, n. 5379 -Pres. Lo 
Coco -Rel. Nuovo -P. M. Paolucci (conf.) -Marangi Francesco c. 
Regione Puglia. 

Giurisdizione civile � Ritardato adempimento del pagamento di crediti 
pecuniari derivanti da rapporto di pubblico impiego � Richiesta di 
rivalutazione e interessi -Giurisdizione amministrativa. 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI tiIURISDIZIONE 307 

Giurisdizione civile � Ritardato adempimento del pagamento di crediti 
pecuniari derivanti da rapporto di pubblico impiego . Richiesta di 
danno superiore alla rivalutazione � Giurisdizione A.G.O. previa costituzione 
in mora e dimostrazione del danno in concreto subito. 

Il credito di lavoro deve definirsi un credito indicizzato, in relazione 
al quale il pagamento della somma necessaria ad integrare il potere di 
acquisto originario della retribuzione � da intendersi come adempimento 
di un'obbligazione in s� unitaria e non come risarcimento del danno; 
pertanto la pretesa di ottenere (anche in via autonoma) la rivalutazione 
del credito di lavoro, costituendo una domanda di esatto adempimento 
dell'obbligazione retributiva, � proponibile davanti al giudice che ha la 
giurisdizione sul rapporto di lavoro (il giudice amministrativo nel caso 
di rapporto di pubblico impiego) ed � irrilevante che la richiesta venga 
proposta sotto il profilo di un risarcimento del danno per un asserito 
comportamento illegittimo del datore di lavoro,� ugualmente � da dirsi 
per gli interessi che, in quanto dovuti dalla maturazione del credito 
sulla somma rivalutata, prescindendo dalla costituzione in mora e dalla 
colpa del debitore, sono da definirsi corrispettivi (art. 1282 cod. civ.) e 
accessori del credito principale (1). 

La giurisdizione del giudice ordinario in materia di rivalutazione di 
crediti pecuniari derivanti da rapporto di pubblico impiego sussiste nella 
ipotesi in cui il pubblico impiegato deduca di aver subito dall'inadempimento 
del suo datore di lavoro un danno che supera la somma rivalutata 
percepita; l'accoglimento della domanda dipender� oltre che dalla costituzione 
in mora anche dalla allegazione e dalla dimostrazione del danno 
in concreto subito (2). 

(omissis) Con il primo motivo si denuncia 1a violazione ed erronea 
applicazione degli artt. 2 e 7 legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 29 

n. 1 T.U. 6 giugno 1924, n. 1054, art. 4 primo comma T.U. 26 giugno 1924, 
n. 1058, art. 420 cpc. per avere il tribunale omesso di considerare la 
lunga azione svolta dai dipendenti della Regione per ottenere l'inquadramento 
richiesto sia in sede sindacale, sia dinanzi al TAR di Puglia,
1

sia in sede di ulteriori trattative, per super�are il comportamento diJ.atorio 
e colposo della datrice di lavoro: se tali circostanze fossero state valutate, 
il Tribunale non si sarebbe spogliato della giurisdizione ma avrebbe 
accolto le domande dei lavoratori. 

(1-2) Si va sempre pi� affermando la giurisdizione del giudice del rapporto 
in materia di rivalutazione e interessi sulle somme percepite in ritardo, 
indipendentemente dalla prospettazione data dalla parte alle questioni da 
risolvere. 

Lo stesso principio dovrebbe valere per l'affermazione della giurisdizione 
della Corte dei conti, sul ritardo nel pagamento delle pensioni. 



308 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA !:'ELLO STATO 

Con il secondo motivo si lamenta l'omessa motivazione su un punto 
decisivo per non avere il Tribunale esaminato le circostanze suddette, 
costituenti fatti pacifici in causa. 

Con il terzo motivo si deduce la violazione dell'art. 437 cpc. per non 
essersi il giudice di merito pronunciato sulla richiesta di prova testimoniale 
sempre sulle sopraindicate circostanze e per non avere esaminato 
i documenti di causa e in particolare 1a delibera sul nuovo inquadramento. 

I tre motivii., che per evidenti ragioni di connessione vanno esaminati 
congiuntamente, sono infondati. 

L'applicabilit� al rapporto di pubblico impiego della rivalutazione 
monetaria e il conseguente riparto della giurisdizione sono foa le 
questioni pi� tormentate detla giurisprudenza pi� recente. 

Com'� noto, l'art. 429 c.p.c. e l'art. 150 disp. att. c.p.c., che prevedono 
per i crediti di lavoro la rivalutazione automatica della somma dovuta 
secondo l'indice dei prezzi ca:lcolati dall'ISTAT per la scala mobile per i 
lavoratori dell'industria oltre gli interessi, trovano dii.retta ed espressa 
applicazione solo ai rapporti di lavoro devoluti alla cognizione del giudice 
ordinario, indicati nell'art. 409 c.p.c. 

Questa limitazione esclusiva non era stata dalla Corte Costituzionale 
ritenuta in contrasto con i principi della Costituzione (vedi Corte Cost. 
20 gennaio 1977, n. 43; Corte Cost. 26 maggio 1981, n. 71) e la giurisprudenza 
amministrativa, adeguandosi a tali decisioni aveva ritenuto inapplicabile 
ai crediti di lavoro dei dipendenti dello Stato e degli enti 
pubblici non economici il principio della rivalutazione automatica. 

Agli impiegati pubblici, che avevano percepito in ritardo le loro 
spettanze e che erano stati pregiudicati dall'inflazione verificatasi nel 
frattempo, non rimaneva altra strada, per ottenere il risarcimento di 
tale danno, che quella prevista dal codice civile per tutte le obbligazioni 
pecuniarie, e cio� l'art. 1224 secondo comma e.e. 

La conseguente situazione di minor tutela dell'impiegato pubblico 
rispetto al dipendente privato degradava ulteI1iormente in una posizione 
di evidente inferiorit�, allorch� datore di larvoro era lo Stato o altro 
ente pubblico, soggetto alle norme sulla contabilit� generale dello Stato. 
In base a tali norme un credito anche di lavoro, scaduto e determinato 
nel suo ammontare, e quindi dal punto di vista civilistico liquido ed 
esigibile, non poteva essere riscosso fino a quando non vi fosse stata 
l'effettiva disponibilit� dei fondi, l'impegno di spesa e l'emissione dei 
mandati di pagamento: il che rendeva inapplicabili gli interessi corri,
spettivi e vanificava H diritto agli interessi moratori (e quindi anche 
all'ulteriore risarcimento del danno ex art. 1224 e.e.), salvo che non 
si fosse dimostrato che l'espletamento di tali procedure fosse stato 
ingiustificatamente ritardato o peggio ancora non fosse stato nemmeno 
attivato. 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI JIURISDIZIONE 

Di fronte a questa giurisprudenza i pubblici dipendenti cercarono 
di aggirare l'ostacolo della ritenuta inapplicabilit� al pubblico impiego 
deHa rivalutazione automatica dei crediti di lavoro, proponendo davanti 
al giudice ordinario la richiesta, a titolo di risarcimento del danno, 
della rivalutazione monetaria di detti crediti, liquidati a seguito di un 
giudizio dal giudice amministrativo o riconosciuti tardivamente dall'ente 
pubblico, datore di lavoro. Tali controversie si basarono in genere su 
una combinazione ibrida di due azioni diverse, deducendo ex art. 1224 e.e. 
quale causa petendi un comportamento colposo e dilatorio della pubblica 
amministrazione richiedendo quale petitum la rivailutazione automatica e 
gli interessi legali della maturazione del credito ex art. 429 c.p.c. 

Nel frattempo si verificava una svolta radicale nella giurisprudenza 
amministrativa. Cominci� <l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 
che con due decisioni (7 aprile 1981, n. 2 e 30 ottobre 1981, n. 7) rilev� 
che, pur non essendo applicabile direttamente al rapporto di pubblico 
impiego l'art. 429 c.p.c., si poteva dal vigente sistema ricavare la rilevanza 
della svalutazione monetaria con riferimento a tutti indistintamente 
i crediti di lavoro, compresi queJ!li dei dipendenti pubblici, per 
cui la detta rivalutazione, riconosciuta in sede di liquidazione del danno 
ex art. 1218 e 1224 e.e., non introduceva un incremento ulteriore nelle 
ragioni creditorie dei dipendenti, ma opera-oo una quantificazione di 
valore ontologicamente e funzionalmente coincidente con i momenti 
originari di maturazione del diritto alla Tetribuzione: da ci� conseguiva 
che la cognizione della relativa domanda non compmtava l'esame di una 
questione conseguenziale e apparteneva quindi alla giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo. Questo orientamento giurisprudenziale, 
che si � andato successivamente consolidando, tanto da essere ormai 
considerato �diritto vivente� (vedi Corte Cost. 24 marzo 1986, n. 52), 
fu immediatamente valutato da queste Sezioni Unite in relazione al 
riparto della giurisdizione. 

E questa Corte, ribadito il principio che le situazioni precluse 
all'intervento del giudice amministrativo sono quelie da cui il pregiudizio 
lamentato dal dipendente si aggiunga alla lesione gi� da costui sub�ta 
nella sua posizione di parte del rapporto d'impiego e quindi non eliminabile 
con i poteri ili quel giudice, condivideva l'opinione dell'alto consesso 
amministrativo nel ricomprendere neLla giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo Ja rivalutazione automatica e gli interessi (questi ultimi 
da definiTsi corrispettivi e non gi� moratori, come aveva ritenuto l'Adunanza 
Plenaria) ma riaffermava l'attribuzione al ~udice ordinario non 
solo della domanda di risarcimento del danno in misura superiore a quella 
risultante dalla riva1utazione, ma anche di quella di rivalutazione automatica 
secondo gli inilici ISTAT e di interessi legali se, a base di tale 
richiesta, veniva dedotto uno specifico comportamento dilatorio della pub



310 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DO.LO STATO 

blica amministrazione (vedi Cass. 12 ottobre 198.'2, n. 5225; Cass. 3 novembre 
1982, n. 5750; Cass. 5 maggio 1983: in tutte queste sentenze era stata 
dichiarata la giur.isdizione del giudice ordinario, proprio perch� si era 
verificata quest'ultima ipotesi). 

Su tale giurisprudenza divenuta ormai costante (vedi da u!Hmo 
Cass. 26 febbraio 1987, n. 1949; Cass. 9 settembre 1986, n. 5507; Cass. 
27 luglio 1985, n. 4539) si basa il ricorrente per sostenere la gitmisdizione del 
giudice ordinario riguardo alla presente domail!da in cui la richiesta di 
rivalutazione e interessi si fonda su un comportamento dilatorio e colposo 
della Regione. 

Ma detta giurisprudenza non pu� essere condivisa proprio nella parte 
in cui, pur rimanendo immutati i fatti costitutivi della domanda (il 
ritardo nell'adempimento dell'obbligazione di pagamento della retribuzione) 
e il petitum (rivailutaziione automatica del credito secondo gli 
indici ISTAT e gli interessi nella misura legaJle), �stabilisce una giurisdizione 
diversa, a seconda che il lavoratore deduca o no un comportamento 
dilatorio della pubblica amministrazione, deduzione questa non 
solo superflua ai fini dell'accoglimento della domanda (spettando la 
rivalutazione e gli interessi anche se il ritardo sia incolpevole) ma addirittura 
controproducente (in quanto la rivalutazione e gli interessi dovrebbero 
decorrere non gi� dal1a maturazione del credito ex art. 429 
c.p.c., ma dal momento diverso, e necessariamente posteriore, della 
costituzione in mora del debitore). Un siffatto riparto della giurisdizione 
comporta, altres�, il pericolo che l'attribuzione della controversia ad 
uno o ad altro giudice avvenga con riferimento non al petitum sostanziale, 
ma alla prospettazione data dalla parte alla questione da risolvere. 

Sembra quindi al Collegio che detta giurisprudenza vada it"imeditata. 

La questione fondamentale � costituita dalla natura giuridica dell'istituto 
della rivalutazione automatica, e cio� se essa costituisca una misuva 
risarcitoria tipica del credito retributivo inadempiuto o � qualcosa di 
diverso. 

Fino a quando ci si lascia suggestionare dalla lettera de1la legge, 
che vede nella rivalutazione il risarcimento del � maggior danno eventualmente 
sub�to dal favoratore per la diminuzione di valore� del suo 
credito o peggio ancora quando si ravvisa in detta norma, come fa 
l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, �una riscrittura, se non 
addirittura una interpretazione autentica � degli artt. 1218 e 1224 e.e., si 
rimane necessariamente nel campo delle questioni relative al risarcimento 
del danno da inadempimento che sono le tipiche questioni attinenti 
ai diritti patrimoniali conseguenziali, di cui parla l'art. 7 III comma 
legge 6 dicembre 1971, n. 1034. E anche quando si aggiunge che detta 

rivalutazione � opeva la quantificazione di vaiori ontologicamente e occasionalmente 
coincidenti con .i momenti originari di maturazione del 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI JIURISDIZIONE 

diritto alla retribuzione� (vedi Ad. plen. Cons. St. 30 ottobre 1981, n. 7) 
e serve a conservare � il Valore in senso economico della prestazione 
dovuta al lavoratore� consentendo di preservare (o, comunque, ripristinare) 
quel potere di acquisto di beni reali che si connette alla retribuzione 
(vedi Corte Cost. 14 gennaio 1977, n. 13) in fondo ci si limita a 
descrivere il funzionamento e la giustificazione di un siffatto sistema e 
non a darne una defi.Illizione giuridica diversa. 

N� appaiono sotto questo profilo risolutive, anche se pi� attente 
all'evoluzione che in materia si stava verificando nella giurisprudenza della 
Sezione lavoro sull'art. 429 c.p.c., le motivazioni di queste Sezioni Unite, 
laddove giustificavano l'attribuzione della giurisdizione su11a rivalutazione 
automatica al giudice amministrativo per il fatto che la rivalutazione 
derivi �da comportamento dell'ente datore di lavoro contrastante unicamente 
con la disciplina del rapporto e .incidente immediatamente e 
direttamente sui dirritti del dipendente� (vedi Cass. 3 novembre 1982, 

n. 5750; �Cass. 12 ottobre 1982, n. 5225; Cass. 5 maggio 1983, n. 3075) oppure 
�in ragione dell'accessoriet� (della rivalutazione) che attiene a diritti e 
obblighi strettamente inerenti al rapporto devoluto alla giurisdizione 
del giudice amministrativo, venendo in considerazione il purn e semplice 
ritardo nell'emanazione del titolo di spesa� rilevando che l'accessoriet� 
� cosa diversa dalla conseguenzialit� (vedi Cass. 11 febbraio 1987, numero 
1468) -: tutte queste considerazioni, infatti, servono a sottolineare 
il carattere specifico deiH'istituto in relazione al rapporto di lavoro e 
la semplificazione del procedimento di accertamento e di liquidazione 
della� svalutazione. 
Ma fino a quando si rimane su questo piano, � estremamente empi� 
rico e in definitiva insignificante distinguere fra le varie motivazioni 
addotte dall'impiegato a fondamento della sua richiesta di rivalutazione, 
perch� la giurisdizione in ordine a una domanda di risarcimento del 
danno di inadempimento non pu� mutare a seconda della sua tipicit� 

o della indagine pi� o meno complessa che richiede. 
Il fatto che la legge abbia parlato di rivalutazione come un mezzo per 
compensare il lavoratore della perdita di valore del suo credito non prova 
sul piano dell'inquadramento automatico, sia perch� la norma ha semplicemente 
carattere descrittivo della funzione della rivalutazione, sia 
perch� non tocca al legislatore ma all'interprete inquadrare i singoli 
istituti nella sistematica giu11idica. , 

D'altronde non vi � dubbio che la diminuzione di valore della moneta 
intervenuta dopo la scadenza dell'obbligazione rappresenti un danno 
per il creditore di un'obbligazione pecuniaria, ma il problema � se la 
rivailutazione di detto credito, riconosciuta dalla legge, � attribuita a 
titolo di risarcimento del danno o rientra nel carattere stesso di una 
particolare obbligazione pecuniaria. 


312 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA LELLO STATO 

Collocare la rivalutazione automatica del credito di lavoro nel pi� 
ampio quadro del risarcimento del danno da inadempimento, nonostante 
che detta rivalutazione spetti di ufficio, da1 momento dehla maturazione 
del credito, indipendentemente da qualsiasi colpa del debitore e secondo 
parametri prefissati dalla legge e uguali per tutti, in deroga quindi a 
tutti g1i elementi che il codice richiede per la sussistenza cli detto risarcimento 
(costituzione in mora, domanda espressa di parte, sussistenza 
della colpa ex parte debitoris, prova de'l danno e Hquidazioni cli esso 
in relazione alla personalit� e all'attivit� del creditore) vuol dire privare 
di qualsiasi oaratteriz2lazione l'istituto del rrsarcimento del danno di 
inadempimento. E ci� sta sicuramente a significare che tale inquadramento 
� errato e che 1a rivalutazione per tla rilevanza' delle conseguenze 
che comporta � elemento che incide sulla natura stessa del credito. 

D'altronde l'adeguamento della retribuzione al potere di aoquisto 
di beni reali non � solo un effetto ,sanzionatorio deH'iinadempimento 
del debitore (come aVVliene per tutte le altre obbligazioni pecuniarie 
soggette al principio nominaiistico, per le quali il rischio della svalutazione 
monetaria incombe sul creditore fino al momento della maturazione 
del credito e passa a carico del debitore, come causa di danno in 
caso cli iinadempimento) perch� costituisce una caratteristica costante 
del credito retributivo. Esso infatti � sempre un credito indicizzato, anche 
quando viene soddisfatto al momento della sua scadenza. Le parti sindacali, 
quando stipulano i contratti collettivi pubb1ici o privati (ma lo 
stesso avviene nei contratti individuali) si limitano a stabilire la parte 
fissa e costante della retribuzione per tuUa la durata del contratto medesimo, 
e ci� perrch� la retribuzione cos� determinata viene continuamente 
adeguata al costo della yita con un'indennit� integrativa cal� 
colata in base all'indice dei prezzi di alcuni beni rilevati periodicamente 
dall'ISTAT proprio a questi effetti. E che la rivalutazione monetaria abbia 
la stessa funzione di ulteriore integrazione della retribwnone dovuta al 
momento deMa sua matuTazione, per adeguarua all'Ulteriore aumento del 
costo della vita esistente al momento del suo effettivo percepimento, � 
dimostrato dall'utilizzo dello stesso meccanismo della scala mobile e dal 
fatto che gli interes,si, pure previsti dahl'art. 429 c.p.c., vadano calcolati 
non sulla retribuzione originaria ma su quella rivalutata: il che, se 
conferma da una parte 1a natura corrispettiva (e non moratoria) di 
detti interessi, costituisce dall'altra Ia riprova che la rivalutazione integra 
a posteriori iJ credito �originario fin dal momento della sua 
maturazione. 

Del resto in questa direzione si � evoluta la giurisdizione di questa 

Corte nell'esame dei vari problemi posti dalla app'licazione dell'isti


tuto in esame. 



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

Partita da una concezione che, pvivilegiando }a lettera della norma, 
sottolineava la natura risarcitoria della rivalutazione temperata, rispetto 
all'art. 1224 e.e., da alcuni correttivi dettati a tutela del contraente pi� 
debole, detta giurisprudenza ha successivamente separato la rivalutazione 
dal risarcimento del danno, previsto per le altre obbligazioni pecuniarie 
inadempiute, rilevando che l'art. 429 c.p.c. � attraendo i momenti di maturazione 
del credito, sua valutazione e liquidazione in unica fattispecie 
complessa, persegue l'intento di � conservare alla retribuzione, sottratta 
alla brutale legge del prezzo di mercato, la sua funzione in parte alimentare 
e in parte sociale, acch� non ivenga meno; dopo la maturazione del 
credito, quel processo di parziale adeguamento, assicurato, prima di quel 
momento, dal meccanismo della scala mobile (per l'idennit� di contingenza) 
e dalla negoziazione collettiva sollecitata dalle spinte sindacali per 
la parte residua� (vedi Cass. 8 febbraio 1975, n. 495). 

Ancora pi� significativamente questa Corte, nel risolvere positivamente 
la questione dell'estensione del privilegio (previsto daLI'art. 2751 bis 

C.C. per fo retribuzioni e l'indennit� di fine �lavoro) anche alla somma 
rappresentata dalla rivalutazione monetarria di detti crediti, ha osservato 
che � se nella logica ispiratrice del meccanismo apprestato dal~ 
l'art. 429 comma 3� c.p.c. a tutela del lavoratore, i~ credito per retribuzione 
� assunto nella sua corrispondenza al quantitativo dei beni reali 
fruibili con la quantit� di numerario in cui� essa pecuniariamente si 
esprime al momento del suo maturarsi, ne segue che il quid pluris monetario 
in cui essa si traduce al momento della liquidazione giudiziale 
non pu�, per sua natura, essere un diversum dalla retribuzione, ma � 
anche esso �retribuzione� (Cass. 18 gennaio 1979 n. 349). 
In questo solco si inserisce la sentenza 2 apriie 1982 n. 2034 con la 
quale la Cassazione, rifacendosi a questa configurazione deHa rivalutazione 
monetaria, ha deciso che essa non costituisce un accessorio del 
credito, ma � uno strumento di quantificazione dello stesso, per cui 
l'adempimento parziale dell'obbligazione retributiva, avvenuto in corso di 
causa, non d� luogo ad alcuna possibHit� di imputazione del pagamento 
secondo le previsiioni degli artt. 1193 e 1194 C.C., ma costituisce una causa 
di estinzione parziale del credito, la cui rivalutazione deve essere necessariamente 
calcolata, per il tempo successivo e fino a'.l:la data della decisione, 
sulla differenza ancora dovuta al lavoratore. 

Inoltre queste Sezioni Unite, componendo il contrasto determinatosi 
nella giurisprudenza deHa sezione lavoro sulla possibilit� di una separata 
azionabilit� della pretesa del lavoratore di ottenere la rivalutazione del 
proprio credito di lavoro, gi� soddisfatto tardivamente nel suo importo 
originario, ha risolto positivamente la questione, rilevando che l'art. 429 
3� comma c.p.c. integra una disposizione di carattere sostanziale, rivolta 
ad affiancare una componente d'indicizzazione al debito nominalistico del 


314 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D:JLLO STATO 

datore di lavoro, per realizzare una retribuzione con connotati di realit�, 
sia pure nei limiti del meccanismo dell'indennit� di contingenza: da ci� 
deriva che il credito del lavoratore pu� ritenersi soddisfatto solo ove siano 
state oggetto di adempimento entrambe le indicate coIIl!ponenti del suo 
trattamento, con l'ulteriore conseguenza che, quando il credito stesso sia 
stato tardivamente soddiJSfatto solo nel suo importo originario, a prescindere 
dalla colpevolezza o meno. del ritardo, non pu� non riconoscersi al 
lavoratore medesimo, al pari di quals1asi creditore che abbia ricevuto un 
pagamento parziale, il diritto di agire separatamente per ottenere il residuo 
importo (Cass. 16 febbraio 1984 n. 1148 e da ultimo Cass. 28 gen. 
naio 1987 n. 841; Cass. 28 agosto 1986 n. 5294; Cass. 25 luglio 1986 n. 4789). 
Infine ancora pi� recentemente la s�ezione lavoro di questa Corte, 

affrontando il problema del trattamento fisca1e della rivalutazione mo


netaria, ha escluso che essa rappresenti una forma di risarcimento del 

danno (come tale intassabile) e ha ritenuto invece che essa rappresenti 

una componente essenziale del credito di lavoro e pertanto rientra, al pari 

dclla retribuzione nominale, nella ,nozione di reddito da favoro dipen


dente prevista dall'art. 46 1� comma D.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 ai 

fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (vedi Cass. 15 maggio 

1987 n. 4496; Cass. 3 aprile 1987 n. 3253; Cass. 21 giugno 1986 n. 4129; 

Cass. 2 febbraio 1985 n. 717). 

Se dunque il credito di lavoro deve defini:rsi un credito indicizzato, 

in relazione al quale il pagamento della somma necessaria ad integrare 

il potere di acquisto originario della retribuzione � da intendersi come 

adempimento di un'obbligazione in s� unitaria e non come obbligo sosti


tutivo di risarcimento del danno, la soluzione del problema del riparto 

della giurisdizione diventa molto pi� semplice e lineare. 

La pretesa di ottenere (anche in via autonoma) la rivalutazione del 

credito di lavoro costituisce in questa prospettiva una domanda di 

esatto adempimento dell'qbbligazione retributiva ed � quindi proponibile 

davanti al giudice che ha la giurisdizione sul rapporto di lavoro (il giu


dice amministrativo nel caso di rapporto di pubblico impiego). 

Ed � irrilevante che detta richiesta venga proposta sotto il profilo di 

un risarcimento del danno per un asserito comportamento illegittimo 

del datore di lavoro, perch�, per stabilire la giurisdizione, � al petitum 

sostanziale che bisogna far riferimento e non gi� alla prospettazione data 

dalla parte alle questioni da risolvere (vedi i casi in cui gli stipendi arre


trati vengano richiesti a titolo di r.isarcimento del danno: Cass. 8 aprile 

1983 n. 2491; Oass. 16 febbraio 1976 n. 490; Cass. 7 gennaio 1975 n. 15). 

Lo stesso dicasi per gli interessi, che, in quanto dovuti dalla matura


zione del credito sulla somma rivalutata, prescindendo dalla costituzione 

in mora e dalla colpa del debitore, sono da definirsi corrispettivi ~ 

(art. 1282 C.C.) e accessori del credito principale, e quindi appartenenti 

i 

I 

I 

I 

II 

��1�1��1�-111t11aw111r1&1r�111�111t1161a1 I 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 3i5 

alla giurisdizione del giudice amministrativo (nel caso di pubblico impiego). 


La giurisdizione in materia del giudice ordinario si restringe dunque 
alla sola ipotesi in cui il pubblico impiegato deduca di aver subito dall'inadempimento 
del suo datore di [avoro un danno che supera la somma 
rivalutata percepita; in tal caso per� il fondamento della domanda star� 
non nella natura dell'obbligazione retributiva ma nel comportamento 
illecito del debitore e l'accoglimento di essa dipender� oltre che dalla 
costituzione in mora anche daM'allegazione e dalla dimostrazione del danno 
in concreto subito dalil'attore. 

Nella specie, il pubblico impiegato, dopo una vertenza con '1a Regione 
Puglia durata parecchi anni, si era visto riconoscere dalla datrice 
di lavoro il diritto ad un pi� favorevole inquadramento e anzianit� e 
aveva percepito i relativi arretrati nell'importo originario ancor prima 
dell'inizio del presente giudizio. 

In questa causa l'attore aveva dedotto, sia in sede di richiesta di 
decreto ingiuntivo che neH'ulteriore giudizio di merito, il diritto ad ottenere 
sugli arretrati gi� percepiti la rivalutazione automatica secondo 
gli indici ISTAT e gli interessi nella misura legale dalla maturazione dei 
singoli crediti al saldo. Tale domanda che, al momento della richiesta 
di decreto ingiuntivo, era immotivata, veniva successivamente giustificata 
con un asserito comportamento dilatorio della Regione. Mai nel corso 
del giudizio � stato chiesto un 11isarcimento del danno, che eccedesse 
l'importo di detta rivalutazione. 

Indipendentemente dalla tempestivit� di tale giustificazione (del resto 
del tutto krHevante per quel che si � detto) che deve essere valutata dal 
giudice cui appartiene la giurisdizione, non vi � dubbio che la presente 
azione � diretta ad ottenere la differenza retributiva rnppresentata dalla 
rivalutazione, che avrebbe dovuto essere corrisposta all'impiegato unitamente 
al credito originario al momento del pagamento degli arretrati. 
E 'la cognizione su tale pretesa, comunque motivata, appartiene sicuramente 
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, cosi come 
deciso nella sentenza impugnata. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 ottobre 1988, n. 5630 -Pres. Zucco


ni Galli Fonseca -Rel. Morsillo -P.M. Grossi (conf.) Campi Luigi 

(avv. Sorrentino) c. Ministero Tesoro (avv. Stato Stipo). 

Pensioni � Domanda avente ad oggetto arretrati di pensione � Intervento 
nelle more della liquidazione dei ratei di pensione � Domanda limitata 
agli interessi e rivalutazione automatica per il ritardo � Giurisdizione 
'""""'""della Corte dei conti. 


316 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dh'LLO STATO 

Pensioni � Domanda di interessi di mora e rivalutazione basati su comportamenti 
colposi dell'Amministrazione � Giurisdizione del giudice ordinarlo. 


Intervenuto nelle more del giudizio il pagamento degli assegni arretrati 
di pensione, permane la giurisdizione della Corte dei conti anche nel 
caso che la controversia resta limitata alla corresponsione della rivalutazione 
e degli interessi sui ratei di pensione a causa del mero ritardo 
dell'Amministrazione nel pagamento. 

Esula dalla giurisdizione esclusiva e spetta alla giurisdizione del 
giudice ordinario, in quanto investe questioni attinenti a diritti patrimoniali 
conseguenziali, la pretesa rivolta alla corresponsione di un risarcimento 
superiore a quello consentito dalla rivalutazione automatic� e 
quella attinente agli interessi di mora, fondati sulla denuncia di comportamenti 
dilatori o comunque colposi dell'amministrazione esorbitanti dal 
puro e semplice ritardo nella emissione del titolo di spesa (1). 

Assume il ricorrente, con l'unico, complesso motivo di gravame che 
la controversia non riguarderebbe il diritto aHa pensione o il suo ammontare, 
gi� riconosciuti e determinati con decreto ministeriale, n� tantomeno 
un provvedimento amministrativo costitutivo di tali diritti, bens� 
le modalit� di esecuzione dell'obbligazione di corrispondere la pensione 
ed il pagamento dei relativi assegni, ed in particolare il riconoscimento 
degli interessi sulla somma gi� corrisposta ed il ristoro del pregiudizio 
conseguente alla svalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT. La controversia, 
pertanto, rientrerebbe a giudizio del ricorrente, nell'ambito 
della giurisdizione del Giudice ordinario. Il Ministero del Tesoro, con il 
proposto controricorso, assume che la domanda pone in discussione lo 
stesso ammontare della pensione e chiede, in conseguenza, che sia dichiarata 
la giurisdizione deHa Corte dei Conti. 

Osserva questa Corte che, essendo nelle more del giudizio venuta a 
cessare fa materia del contendere in ordine alla domanda oruginariamente 
proposta al pretore tendente ad ottenere gli arretrati di pensione per 
avvenuta emissione da parte della Direzione provinciale del tesoro di 
Genova degli ordinativi di pagamento n. 102154 e 102155 per la corresponsione 
degli assegni arretrati ed avendo il detto ufficio provveduto all'aggiornamento 
della rata mensile di pensione, del che il ricorrente ha dato 
atto, fa controversia resta limitata al pagamento della rivalutazione e 
degli interessi sui ratei di pensione riscossi in ritardo. 

Con riguardo, pertanto, a'lla cennat<a limitazione della domanda, il 
problema che si pone � se nelle more del giudizio l'intervenuto riconosci


(1) La sentenza in Rassegna integra e completa la precedente delle stesse 
Sezioni Unite 3 dicembr~ 1987, n. 9019, retro, 1988, I, 79. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 317 

mento della sorte capitale abbia influenza ai fini della soluzione della questione 
rispetto all'indirizzo di questa Corte, per cui le questioni attinenti 
a crediti nascenti dal rapporto di impiego rientrano nell'ambito della 
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 

La delimitazione della domanda, come prospettata, non incide sulla 
cennata giurisdizione esclusiva poich� il diritto al pagamento degli interessi 
e della rivalutazione, anche se dovuti, costituisce pur sempre un 
elemento accessorio dell'obbligazione principale (pensione). 

L'obbligazione, infatti, di pagare gli interessi corrispettivi e di risarcire 
il dann� da svaJutazione monetaria non � avulsa, nel suo momento 
genetico, dall'obbligazione principale che, nel caso di specie, � data dall'esistenza 
di un titolo giuridico. Tra l'una e l'altra obbligazione esiste un 
vincolo di dipendenza assoluta per cui non � concepibi!le giuridicamente 
l'obbligo di pagare gli interessi e di rivalu~e il credito se non esiste, 
oppure prima che esista, l'obbligo di pagare un determinato capitale 
pensionistico (Cass. S.U. 3 dicembre 1987 n. 9019). 

Ci� posto deve, per�, dirsi che, a seguito dell'indirizzo ormai costantemente 
seguito da questa Corte, e che va in questa sede riconfermato, 
la domanda del pubblico dipendente, anche se intesa al riconoscimento 
su crediti di lavoro, della rivalutazione monetaria, secondo i criteri di 
calcolo automatico fissati dall'art. 150 disp. att. c.p.c. od altri analoghi 
criteri, ovvero degli interessi corrispettivi nella misura legale, in correlazione 
del mero ritardo dell'amministrazione nel pagamento, rientra nell'ambito 
di giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto trova 
titolo immediato nel rapporto di pubblico impiego e nei doveri da esso 
scaturenti a carico del datore di lavoro (Cass. S.U. 24 febbraio 1974 

n. 1949) mentre esulano dalla giurisdizione esclusiva, e spettano alla giurisdizione 
del Giudice ordinario, perch� �nvestono questioni .attinenti a 
diritti patrimoniali conseguenziali, la diversa pretesa rivolta alla corresponsione 
di un risarcimento superiore a quello consentito dalla predetta 
rivalutazione e quella attinente agli interessi di mora, fondati sulla 
denuncia di comportamenti dilatori o comunque colposi dell'amministrazione 
medesima esorbitanti dal puro e semplice ritardo nell'emissione del 
titolo di spesa (Cass. S.U. 2 giugno 1984 n. 3352; Cass. S.U. 25 gennaio 
1985 n. 357; Cass. S.U. 18 dicembre 1985 n. 6455). 
Nella specie la domanda del ricorrente, come gi� sopra precisato, � 
intesa al riconoscimento della rivalutazione monetaria su crediti di pen� 
sione ed alla corresponsione degli interessi a causa del mero ritardo dell'amministrazione 
nei pagamenti e non profila domande attinenti a diritti 
patrimoniali conseguenzia1i, nei limiti pi� sopra indicati. 

Ne consegue che la cognizione sui crediti richiesti trovando pur 
sempre questi titolo immediato nel rapporto pensionistico, rientra nel� 
l'ambito di giurisdizione della Corte dei conti. 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 novembre 1988, n. 5995 -Pres. e Rel. 
Caturani -P.M. Dettori (concl. conf.) -Motolese (avv.ti Lipari e 
Mastrangelo) c. ERSAP (avv. Stato G. Russo). 

Avvocatura dello Stato -Patrocinio di Enti pubblici -ERSAP -Necessit� 
di apposita delibera autorizzativa -Esclusione. 

Obbligazioni (in generale) � Obbligazioni pecuniarie � Somme liquidate in 
sede di lodo arbitrale -Maggior danno per ritardata corresponsione Autonoma 
azione risarcitoria -Ammissibilit�. 

Obbligazioni (in generale) -Pagamento -Quietanza -Non implica rinuncia 
ad ulteriori pretese creditorie in mancanza di esplicita dichiarazione 
in tal senso. 

A seguito dell'autorizzazione conferita con d.P.R. 6 ottobre 1978 

n. 873, il patrocinio dell'Avvocatura d.ello Stato in favore dell'ERSAP 
resta soggetto alle innovazioni introdotte dall'art. 11 della legge 3 aprile 
1979 n. 103 (modificativo dell'art. 43 del R.D. 30 ottobre 1933 n. 1611) in 
tema di estensione agli enti regionali delle regole dettate per la rappresentanza 
e difesa delle amministrazioni sottoposte a tutela e vigilanza 
dello Stato: pertanto, salvi i casi di conflitto con lo Stato o le Regioni, 
compete ex lege, senza che si richieda un'apposita deliberazione dell'ente 
medesimo (necessaria solo per derogare alla norma, attribuendo lo ius 
postulandi ad un avvocato del libero foro) (1). 
� ammissibile la proposizione di un autonomo giudizio, dopo la pronuncia 
di un lodo arbitrale, per ottenere il risarcimento dei maggiori 
danni, ai sensi dell'art. 1224 secondo comma e.e., dipendenti dal ritardo 
con cui siano state corrisposte le somme liquidate nella pronuncia degli 
arbitri. 

La quietanza costituisce atto unilaterale recettizio che contiene esclusivamente 
il riconoscimento di aver riscosso quanto � stato pagato dal 

(1) In senso conforme, cfr. fra le pi� recenti Cass. SS.UU. 21 marzo 1987 
n. 2807, in Giust. Civ. Mass. 1987, fase. 3; Cass. SS.UU. 24 aprile 1987 n. 3990, 
idem, fase. 4; Cass. 19 maggio 1986 n. 3320, in Nuovo Dir. Agrario 1986, 505; Si 
veda anche l'ordinanza della Corte Costituzionale 10 dicembre 1987 n. 495, 
esaminata in motivazione, in Giur. Cost. 1987, fase. 12, che ha dichiarato la 
manifesta inammissibilit� della questione di legittimit� costituzionale del 
d.P.R. 6 ottobre 1978 n. 873. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 319 

debitore. Essa, quindi, non esclude, in mancanza di una volont� transattiva 
o di rinuncia dalla stessa risultante, che il creditore possa comunque 
pretendere l'integrale pagamento del credito vantato (2). 

2. -Col primo motivo del ricorso principale si assume che l'atto di 
appello proposto dalla difesa dell'Amministrazione in nome e per conto 
dell'E.R.S.A.P. avverso la sentenza 15 febbraio 1981 del tribunale di Taranto 
� inesistente per difetto di jus postulandi dell'Avvocatura dello Stato, 
in mancanza della deliberazione dell'ente prevista da:ll'art. 11 legge 
3 aprile 1979 n. 103. 
La censura non � fondata. 

Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio 
secondo cui, a seguito dell'autorizzazione conferita con d.P.R. 6 ottobre 
1978 n. 873 (pubblicato 1'11 gennaio 1979), il patrocinio dell'Avvocatura 
dello Stato in favore dell'ER.S.A.P. resta soggetto alle innovazioni introdotte 
dall'art. 11 della legge 3 aprile 1979 n. 103 (modificativo dell'art. 
43 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611), in tema di estensione agli 
enti regionali delle regole dettate per la rappresentanza e difesa delle 
amministrazioni sottoposte a tutela o vigi1anza dello Stato, e, pertanto, 
salvo i casi di conflitto con lo Stato e le regioni, compete ex lege, senza 
che si richieda un'apposita deliberazione dell'ente medesimo (necessaria 
solo per derogare alla norma, attribuendo lo jus postulandi ad un avvocato 
del libero foro) (sentenze delle Sezioni Unite, nn. 2807 e 3990/87; 
3320/86). 

La difesa del ricorrente principale ha proposto con la memoria una 
riconsiderazione del problema in seguito all'ordinanza 10 dicembre 1987 

n. 495 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilit� 
della questione di legittimit� costituzionale del d.P.R. 6 ottobre 
1978 n. 873 (riflettente il conferimento all'Avvocatura generale dello 
Stato della rappresentanza e della difesa in giudizio dell'E.R.S.A.P.), sollevata 
in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione per essere stato 
emanato in difetto di potere legislativo delegato da parte del governo. 
La tesi difensiva si articola in una duplice prospettazione: a) in seguito 
alla pronunzia costituzionale non � pi� utilizzabile l'indirizzo giurisprudenziale 
di cui sopra, posto che H decreto n. 873/78 deve ritenersi 
tamquam non esset nel sistema delle fonti normative; b) n� potrebbe 
assumersi la natura meramente provvedimentale del suddetto decreto 
perch� nella specie mancherebbe il contenuto proprio dell'atto amministrativo 
sia nei suoi presupposti che nella sua essenza deliberativa con 

(2) Giurisprudenza costante: cfr., tra le pi� recenti, Cass. 22 settembre 1986 
n. 5702, in Mass. Foro lt. 1986. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dd.LO STATO

320 

la conseguenza della sua disapplicazione da parte del giudice ordinario ex 
art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E. 
Entrambe le argome:q.tazioni non colgono nel segno e non possono 
pertanto essere condivise dal Coliegio. 

g sufficiente rilevare che, come risulta dai precedenti giurisprudenziali 
cui si � fatto riferimento in questa sede, Je Sezioni Unite non soltanto 
hanno motivato il principio accolto sul presupposto della natura regolamentare 
(e non legislativa) del d.P.R. 873/78, -onde l'irrilevanza in 
questo giudizio della pronunzia costituzionale 495/87 la quale si � Hmitata 
a rilevare appunto la natura non legislativa dell'atto impugnato in quella 
sede -ma hanno riscontrato la legittimit� del provvedimento amministrativo 
alla luce della disciplina giuridica vigente in materia. 

Si � infatti osservato che il riferimento che ii decreto n. 873 ha 
operato all'art. 43 del T.U. del 1933 deve intendersi compiuto nella formulazione 
che fa norma presentava in seguito all'entrata in vigore della legge 
103/79 fa cui efficacia anticipata al 1� gennaio 1979 era gi� operante 
quando il decreto del 1978 fu pubb1icato (11 gennaio 1979). E si � concluso 
che sussiste, pertanto, nel caso in esame l'atto autorizzato (che 
non deve provenire ovviamente dall'ente) previsto dall'art. 43 anche per 
gli enti regionali, onde lo jus postulandi dell'Avvocatura deUo Stato in 
via organica ed esclusiva trae fondamento giuridico dell'art. 11 della legge 

n. 103, la quale in presenza del suddetto atto autorizzativo (contenuto nel 
decreto del 1978) attribuisce ipso iure anche agli enti regionali il patrocinio 
dell'Avvocatura dello Stato e richiede invece per singoli casi la previa 
delibera degli organi competenti ove l'ente voglia far ricorso ad avvocati 
del libero foro. 
In base all'indirizzo gi� accolto dalle Sezioni Unite di questa Corte, 
il primo motivo del ricorso deve essere pertanto respinto. 

3. -Col ricorso incidentale la difesa dell'Amministrazione sostiene 
che erroneamente l'impugnata sentenza ha respinto '.l'eccezione di inammissibilit� 
della domanda principale per la preclusione derivante dal 
giudicato risultante dal lodo arbitrale. 
La censura non � fondata. 

La Corte di appello ha dato atto in narrativa che la somma liquidata 
al ricorrente principale, nella spiegata qualit�, dal lodo arbitrale, pronunziato 
il 3 luglio 1975, rifletteva l'indennit� per i miglioramenti apportati 
al fondo dall'originario assegnatario, in lire 23.264.716 con gli interessi 
dal 21 settembre 1973 al soddisfo; che fa somma capitale � stata corrisposta 
dall'ERSAP il 20 novembre 1975, mentre gli mteressi sono stati 
versati successivamente, ma comunque in epoca anteriore all'instaurazione 
del presente giudizio (avvenuta con citazione del 7 gennaio 1980). 

Come l'impugnata sentenza ha rilevato, con la suddetta citazione il 
ricorrente principale, dopo la pronuncia del lodo arbitrale, ha chiesto in 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 

autonomo giudizio (oltre agli interessi gi� liquidati nel lodo e perci� 
giustamente non riconosciuti) i maggiori danni dipendenti dal ritardo 
con cui le somme liquidate nella pronuncia degli arbitri gli sono state 
corrisposte, ai sensi dell'art. 1224 comma 2 e.e. 

La domanda giudiziale, contrariamente all'assunto dell'ERSAP, � 
quindi fondata su presupposti di fatto distinti. rispetto a quelli presi in 
esame nel lodo, non trattandosi di danni che il creditore avrebbe potuto 
chiedere con il giudizio arbitrale, ma di danni diversi e fa relativa pre� 
tesa come pu� essere proposta in appello ex art. 345 c.p.c. (che consente 
di chiedere in sede di gravame il risarcimento dei danni sofferti dopo la 
sentenza di primo grado) cosi pu� farsi valere dal creditore in autonomo 
giudizio (cfr. per la novit� della domanda, la sentenza n. 771/83 e le non 
recenti: 188/58, 774/53). 

A sostegno della tesi accolta pu�, infine, osservarsi che il lodo, dichia� 
rato esecutivo, esplica inter. partes la stessa efficacia della sentenza passata 
in giudicato (in mancanza di impugnazione per nullit� (art. 825 comma 
3� c.p.c.), onde il titolo del credito azionato nel presente giudizio � 
la pronunzia arbitrale, ormai irrevocabile. 

Il ricorso incidentale deve essere, pertanto, respinto. 

4. -Passando al merito del ricorso principale nell'ordine logico � 
pregiudiziale l'esame del sesto e del settimo motivo con i quali, denunziando 
violazione degli artt. 1199 e 2729 e.e. nonch� omesso esame di 
punto decisivo delila controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), il ricorrente 
sostiene che la Corte d'appello ha errato allorch� ha riconosciuto alla 
quietanza l'efficacia di riconoscimento di non avere altre pretese da far 
valere nei confronti del debitore. 
La censura � fondata. 

Dalla circostanza che il ricorrente principale ha riscosso il capitale 
e gli interessi risultanti dal lodo axbitrale del 7 luglio 1975, rilasciando 
apposita quietanza, la Corte d'appello ha desunto che in tale comporta� 
mento dovessero ravvisarsi gli estremi della rinunzia a qualsiasi altra pretesa 
nei confronti dell'ente debitore, ma � evidente che su questo punto 
l'impugnata sentenza � incorsa nella violazione delle norme denunziate 
in questa sede. 

La quietanz�a costituisce, invero, atto �unilaterale recettizio che contiene 
esclusivamente il riconoscimento di avere riscosso quanto � stato 
pagato dal debitore (art. 1199 e.e.). Essa quindi non esclude, in mancanza 
di una volont� transattiva o rinunzia dalla stessa risultante, che il credi� 
tore possa comunque pretendere l'integrale pagamento: ed a tal fine 
si richiede una (ulteriore) dichiarazione del creditore di non avere pi� 
alcun diritto nei confronti del debitore. 

H che � applicabile a maggior ragione nel presente giudizio, ove la 
pretesa di risarcimento dei danni da ritardo nell'adempimento della 


322 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

obbligazione pecuniaria, cui si riferisce la quietanza, trae titolo da un 
fatto giuridico del tutto autonomo e indipendente da'l fatto costitutivo 
dell'obbligo riflettente :il capitale e gli interessi legali (cui si era riferito 
il lodo) e precisamente dal dedotto ritardo con cui quell'obbligo era 
stato adempiuto, fonte -secondo la tesi del ricorrente -dell'autonoma 
obbligazione di risarcimento dei danni ex art. 1224 comma secondo e.e. 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 24 novembre 1988, n. 6314 -Pres. Bologna 
-Rel. Borruso -P. M. Dettori (concl. conf.) -I.C.A.G. s.r.l. (avv. 
Giacobbe) c. Opera pia collegio Nazareno (avv. Fazzalari) e Ministero 
delle Finanze (avv. Zotta). 

Obbligazioni (in generale) -Contratti della P.A. -Validit� -Presupposti Necessaria 
corrispondenza fra il contenuto del contratto stipulato dall'organo 
investito dalla rappresentanza e la volont� manifestata dall'organo 
cui spetta di deliberare � Criteri per tale corrispondenza. 

Enti pubblici -Enti di assistenza e beneficenza -Delibere concernenti 
trasformazioni o diminuzione <!el patrimonio � Mancata approvazione 
da parte del CO.RE.CO. nei casi previsti dalla legge � Inefficacia Irrilevanza 
della buona fede del contraente privato -Inapplicabilit� 
dell'art. 1444 2� comma e.e. 

Atto amministrativo -Controlli -Approvazione dell'organo tutorio -Approvazione 
implicita -Possibilit� -Presupposti. 

Giurisdizione civile � Tributi erariali indiretti � INVIM -Efficacia dell'atto 
soggetto al tributo -Accentamento -Giurisdizione ordinaria. 

Il contratto stipulato dall'organo investito della rappresentanza di 
un ente pubblico deve ritenersi valido soltanto nei limiti della sua corrispondenza 
alla volont� manifestata dall'organo cui spetta di deliberare. 
Tale corrispondenza dovr� per� essere negata (e conseguentemente 
accolta la domanda dell'ente pubblico rivolta all'annullabilit� del contratto) 
soltanto quando il contenuto del contratto stipulato risulti, globalmente 
considerato per lo scopo pratico che persegue e per le modalit� 
con cui lo persegue, incompatibile o anche semplicemente diverso 
da quello voluto dall'organo deliberante: non invece quando tale contenuto, 
pur non essendo stato specificato nella deliberazione presa da 
tale organo, risulti uno dei possibili sviluppi logici necessari sul piano 
operativo di tale delibera e, quindi, coerente allo spirito che storicamente 
l'ha informata, se non alla lettera con cui � stata espressa (1). 

(1) In senso conforme, v. Cass. 22 maggio 1973 n. 1493, citata in motivazione, 
in Giust. Civ., 1973, I, 1499, nonch� in Foro It. 1974, I, 193; sull'annullabilit� 
dei contratti della P.A. cfr. � amplius � Cass. 20 novembre 1985, n. 5712, in 
;:iuesta Rassegna, 1986, I, 208. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 323 

Tutte le delibere relative a trasformazioni o diminuzioni del patrimonio 
di un'Opera Pia per un valore superiore ad un certo limite, in 
difetto dell'approvazione dell'organo tutorio (attualmente il Comitato Regionale 
di Controllo), devono intendersi inefficaci (2). Non pu� invocare 
il principio della buona fede o dell'affidamento o quello sancito nell'art. 
1444, 2� comma codice civile, il contraente privato che voglia, con 
ci�, far dichiarare efficace nei suoi confronti una delibera di un'Opera 
Pia non sottoposta alla prescritta approvazione dell'organo tutorio. 

All'approvazione diretta di un atto amministrativo, espressa in un 
formale documento inteso a tale finalit�, pu� equivalere, nella sostanza, 
un'approvazione implicita, quando questa risulti per processo logico necessario, 
sebbene non esplicitamente, da un documento scritto formale 
con il quale l'approvazione sia in posizione indissociabile di presupposto 

o di conseguenza (3). 
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario allorch� si tratti di 
accertare, in contraddittorio con l'Amministrazione delle Finanze, ai fini 
della debenza di imposte relative alla registrazione di un atto, se questo 

sia o meno da ritenersi efficace. 

(omissis) Col primo motivo di ricorso principale l'I.C.A.G. denunzia 
la violazione degli artt. 1175, 1362 e segg. e.e. in relazione all'art. 360 

n. 3 c.p.c. lamentando che la Corte d'appello di Roma in primo luogo 
non abbia valutato adeguatamente la poSI�zione soggettiva dell'ICAG che 
avrebbe dovuto considerare di diritto soggettivo suscettibile di ampia 
tutela anche nei confronti della P.A., in secondo luogo abbia fatto discendere 
automaticamente dall'annullamento dell'atto di aggiudicazione 
(per difetto di uno dei suoi presupposti) anche l'annullamento del contratto 
stipulato 9 anni dopo dal notaio Badur.ina, ,senza affatto chiedersi 
se una tale soluzione non fosse in contrasto con i principi di affidamento 
e di buona fede che caratterizzano ogni rapporto contrattuale, ancorch� 
posto in essere dall~ P.A. 
Col secondo motivo I'ICAG denunzia la violazione degli a:rtt. 1362 e 
segg. e.e., della legge 17 luglio 1890, n. 6972 (artt. 26 e segg. e 35 e segg. 
del R.D. 23 maggio 1924, n. 827 art. 65; del R.D. 1923, n. 2841 art. 10 e 
segg. del R.D. 3 marzo 1934, n. 383 (artt. 296, 98 e segg.) in relazione agli 
artt. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. sostenendo che i giudici di merito, nel ritenere 
erroneamente la mancata corrispondenza tra fa delibera del 12 luglio 1968 
e l'aggiudicazione, avrebbero innanzitutto omesso di ricostruire la volont� 
globale delle parti quale emergeva da tutto il complesso procedimento a 

(2) In senso conforme Cass. 13 marzo 1972 n. 726, in Mass. Foro It., 1972. 
(3) � ius receptum �: cfr. fra tutte, Cass., sez. u:n., 30 marzo 1968 n. 975, in 
Foro It. 1968, I, 25%, e in Giust. Civ. 1968, I, 1199. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dlll.LO STATO 

pairtire dalla delibera del 6 dicembre 1968, in secondo luogo ,avrebbero 

� deciso la causa in contraddizione <:ol principio esposto in motivazione. 
secondo cui l'organo che ha la rappresentanza di un Ente, quando agisce 
nell'esercizio delle sue funzioni, esprime all'esterno la volon~� di quest'ultimo; 
in terzo luogo avrebbero omesso di considerare che l'Opera 
Pia aveva costantemente manifestato la volont� di concludere il contratto 
secondo le modalit� definite nel rogito Badurina anche mediante atti di 
esecuzione, che costituivano univoca manifestazione di volont� diretta 
a ritenere valido l'atto e vigente il conseguente rapporto. 

Pi� in particolare la ricorrente stigmatizza che i giudici di merito 
non abbiano percepito che l'intera operazione era finalizzata al conseguimento 
del risultato di dare attuazione al programma di costruzione 
della nuova sede: in tale contesto, infatti, si legittimerebbero perfettamente 
le diverse modalit� esecutive contenute nel bando di gara rispetto 
alla delibera della Commissione Amministratrice in quanto esse -se 
doverosamente rapportate al fine perseguito -si rivelerebbero perfettamente 
conformi alla causa del contratto, facendo, quindi, escludere 
alterazioni nel processo formativo della volont� dell'Ente. 

Ai giudici di merito in sostanza sarebbe sfuggito il nucleo essenziale 
della vicenda e che, cio�, lo scopo per il quale la vendita era stata 
deliberata -costruzione della nuova sede senza interruzione dell'attivit� 
scolastica -poteva essere realizzato solo� attraverso le modalit� contenute 
nel bando di vendita ed attuate mediante l'atto di aggiudicazione e 
il successivo contratto. Se tale esame teleologico avessero compiuto 
innanzitutto mediante doverosa considerazione della prima delibera del 
1966, sarebbero giunti certamente alla conclusione che gli atti posti in 
essere dall'organo esecutivo non travalicavano �affatto i poteri ad esso 
conferiti. Comunque -ammesso e non concesso che tale travalicamento 
oggettivamente ci fosse stato -i giudici di merito si sarebbero dovuti 
chiedere se esso fosse riconoscibile dalla controparte di buona fede e, 
quindi, opponibile alla medesima, anche in cons1derazione dell'approvazione 
da parte del CO.RE.CO. 

In altro grave errore i giudici di merito sarebbero incorsi nel ritenere 
irrilevante la delibera della Commissione Amministratrice dell'Ente del 
7 agosto 1968 (con cui approvava l'ag~udicazione aM'ICAG alle condizioni 
stabilii.te nel bando di gara) sol perch� non era stata, a sua volta, approvata 
dal Comitato Provinciale di Assistenza e Beneficenza. 

Essa, infatti, aveva indubbiamente il valore di una convalida dell'operato 
del Presidente dell'Opera Pia e non gi� di una nuova delibera 
di vendere. Al riguardo, peraltro, ai giudici di merito sarebbe sfuggito 
che, ai sensi della legge n. 6972 del 1890, la procedura ivi prevista si 
applica alle �opere pie� per quanto concerne solo la scelta del contraente, 
non anche le modalit� e i termini del contratto. 


PARm I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Col terzo motivo di ricorso, infine, si denuncia la violazione della 
legge 1444 e.e., in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., lamentando che 
la Corte di merito abbia trascurato di considerare quanto pure era stato 
dedotto dall'ICAG segnatamente nella fase d'appello e cio� che, -ove 
pure il bando di gara, ~�atto di aggiudicazione e il rogito Badurina si 
fossero dovuti considerare annuHabili per contrasto con la delibera del 
1968 della Commissione Amministrntrice, -in ogni caso questa invalidit� 
sarebbe stata convalidata non soltanto attraverso la delibera del 7 agosto 
1968, ma anche e soprattutto attraverso i comportamenti successivi 
(tra i quali i'accettazione del 40 % del prezzo) tutti diretti a dare esecuzione 
alla manifestazione di volont� che si pretende invalida. 

Tutti i predetti motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente 
in quanto, sia pure sotto diverisi profili giuridici, con essi si 
stigmatizza pur sempre l'errore logico giuridico commesso dai giudici 
di merito nel valutare una certa, identica situazione di fatto. 

Il ricorso dell'ICAG, in relazione alle ragioni che saranno esposte, 
merita accoglimento. 

Invero, -a prescindere dalla premessa svolta dalla ricorrente per 
dimostrare che nella specie versavasi in una situazione di diritto soggettivo, 
premessa sulla quale non � necessario pronunciarsi esplicitamente 
non essendo stata mai messa in dubbio, nelle sentenze sia di 1� 
che di 2� grado emesse nel corso del presente giudizio neHe quali l'Opera 
Pia -salvo che per la questione fiscale -si � limitata a chiedere in 
sostanza sempre e soltanto la conferma, non pu� non rilevarsi il vizio 
di motivazione contenuto nella impugnata sentenza per giustificare il 
convincimento che il bando d'asta e la successiva aggiudicazione all'ICAG 
il 7 agosto 1968 avessero costituito un totale stravolgimento della volont� 
espressa dalla Commissione Amministratrice dell'Opera Pia nella delibera 
del 12 luglio 1968 (debitamente approvata dall'organo di controHo). 

E infatti, se si considera che 'la stessa Opera Pia, nel primo grado 
di questo giudizio, eccep� tra l'altro, sia pure in �subordine�, d'essere 
caduta in errore nel ritenersi obbligata per una vendita che doveva 
ritenersi sottopost� alla condizione sospensiva della disponibilit� di altra 
sede, presupposto espresso unico del negozio, non verificatasi e non 
pi� verificabile, e che l'ICAG, nel proporre .}'appello, aveva espressamente 
richiamato l'attenzione del giudice sul dovere di considerare che: 

a) elemento essenziale . della volont� della predetta Commissione 
Amministratrice era il proposito fermo e preciso, che l'attivit� scolastica 
der � Nazareno � non subisse alcuna interruzione nonostante i.I c;ambiamento 
di sede: interruzione � ictu oculi � esiziale agli interessi della 
scolaresca e della stessa fama del �Nazareno�; 

b) sul piano logico la realizzazione di tale proposito, in mancanza 
di altre soluzioni non mai neppure profilate, comportava nooessariamente 


326 \ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA D&.LO STATO 

che la vecchia sede venisse consegnata all'acquirente solo dopo l'ultimazione 
della nuova, tantoch� tale differimento nel tempo della consegna 
dell'immobile rispetto al momento della sua vendita doveva intendersi 
chiaramente sottinteso nella volont� di destinare immediatamente il 
prezzo all'acquisto del terreno su cui erigere la sua nuova sede e alla 
realizzazione della medesima; 
a fronte di tali deduzioru non poteva la Corte di appe1lo ritenere sussistente 
un radicale ed evidente contrasto (tale da portare all'annullamento 
dell'aggiudicazione all'ICAG avvenuta il 7 agosto 1968) tra le clausole 
di detto atto e la delibera presa da1la Commissione Amministratrice 
il 12 luglio 1968, limitandosi a considerare che, mentre in queJ.la delibera 
si era stabilito che �occorreva procedere senza ulteriori indugi alla 
alienazione dell'immobile�, con l'atto di aggiudicazione, invece, si era 
s� conclusa una vendita ma con pagamento dilazionato del prezzo e 
che tale dilazione faceva venire meno qualsiasi corrispondenza tra la 
delibera e l'aggiudicazione anohe perch�: 

a) il richiamo contenuto in detta delibera a quella del 6 dicembre 
1966 risultava �fanitato soltanto alla destinazione del ricavato dell'asta
�; 

b) la Commissione Amministratrice aveva autorizzato una vendita 
ad effetti reali, non ad effetti obbligatori. 

Cos� argomentando, infatti, si elude completamente nella ricostruzione 
della volont� dell'organo deliberante dell'Opera Pia, la valutazione 
di quell'elemento essenziale (pacificamente emergente da tutte le carte 
processuali -ed in specie daHa delibera del 6 dicembre 1966 -come 
prima si � rilevato) di non interrompere comunque l'attivit� scolastica 
e che comportava necessariamente, pur nell'urgenza di stipulare subito 
un contratto di vendita, il differimento della consegna del vecchio edifiieio 
al compratore e quindi -come ulteriore conseguenza anch'essa 
imprenscindibile -la necessit� di compensare in qualche modo il sacrificio 
imposto con tale differimento all'acquirente (Nella delibera del 
dicembre 1966 si era profilata, come si ricorder�, una moratoria al dguardo 
non inferiore a 3 anni). 

Tale compensazione si attu� stabilendo, gi� al momento del bando 
di gara, che il 60 % del prezzo sarebbe stato pagato daH'acquirente solo 
al momento della consegna dell'immobile: determinazione questa che 
avrebbe potuto anche essere censurata sul piano della convenienza economica 
in considerazione delle possibilit� eventualmente pi� vantaggiose 
ottenibili sul mercato, ma che oertamente aveva una seria giustificazione 
di fatto e non era neppure minimamente contraria alle disposizioni di 
legge da osservarsi in materia. Al dguardo basta ricordare l'art. 65 del 

R.D. 23 maggio 1924, n. 827 (regolamento di contabiHt� generale dello 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Stato), secondo cui �l'avviso d'asta deve indicare ... il tempo e il luogo ... 
del pagamento per le vendite... �, formulazione questa che non lascia 
dubbio sulla possibilit�, anche per gli enti pubblici, di consentire dilazioni 
di pagamento nena vendita dei loro beni. 

In tale situazione non potevasi -'dedurre dall'urgenza di stipulare il 
contratto di vendita, l'aprioristica esolusione di consentire una qualsiasi 
dilazione anche solo di una parte del prezzo (come poi comprensibilmente 
avvenne), non potendosi presumere che l'organo deliberante dell'Opera 
Pia potesse seriamente pretendere che l'acquirente dell'immobile 
non ottenesse contropartite di sorta in corrispettivo del sacrificio impostogli. 
In altre parole, l'urgenza della compravendita, il differimento 
della consegna del bene venduto e un regolamento di interessi compensativo 
anche sottoforma di pagamento dilazionato di una parte del 
prezzo dovevano apparire elementi che il giudice del merito avrebbe 
dovuto considerare -da un punto di vista logico e date tutte le circostanze 
del caso, -non gi� inconciliabili ma, al contrario, legati da 
un nesso di normale conseguenzialit�. 

E se l'urgenza di provvedere vi fu, essa doveva considerarsi soddisfatta 
con l'atto di aggiudicazione dell'immobile all'ICAG in quanto, non 
risultando -come accert� il Tribunale -la volont� dell'Opera Pia di 
rinviare la costituzione del vincolo contrattuale 'al momento successivo 
alla stipula del contratto, detto atto di aggiudicazione equivaleva per 
ogni effetto legale anche nei confronti della stessa Opera Pia ad un 
contratto di compravendita definitivo (in tal senso vedi, tra le tante 
sent. Cass. n. 2938 del 1984): definitivit� che non va confusa, n� poteva 
essere pregiudicata, dagli effetti reali ovvero obbligatori che si fossero 
voluti riconnettere a detto contratto, n� con il momento convenuto per 
la consegna dell'immobile compravenduto. 

Egualmente illogica appare la considerazione addotta dalla Corte 
d'appello circa l'arbitraria sostituzione da parte del Presidente dell'Opera 
Pia di un contratto con effetti obbligatori a quello con effetti reali che, 
invece, sarebbe stato voluto dalla Commissione Amministratrice. � di 
tutta evidenza, infatti, che, dati i concreti obiettivi additati dalla Commissione 
predetta, quel che doveva essere ritenuto rilevante per giudicare 
se il Presidente si fosse mantenuto fedele al perseguimento dei 
medesimi, era non tanto il momento in cui dal punto di vista giuridico 
la propriet� sarebbe passata dall'Opera Pia all'ICAG, ma quando, indipendentemente 
da tale aspetto tecnico-giuridico, l'Opera Pia avrebbe 
riscosso il prezzo necessario per costruire la nuova sede e quando avrebbe 
dovuto consegnare � di fatto �, l'edificio venduto. 

Infine, neppure pu� andare esente da censura il rifiuto dei giudici 
di merito di annettere il bench� minimo valore alla delibera presa dalla 
Commissione Amministratrice il giorno stesso in cui era avvenuta l'aggiu



328 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Drl.LO STATO 

dicazione all'ICAG per confermare l'operato del Pres~dente dell'Opera 
Pia. Se � vero, infatti, che, per le ragioni di cui si dir� in seguito, tale 
delibera, per avere il valore giuridico di ratifica, avrebbe dovuto essere 
approvata dall'organo tutorio, � vero anche, per�, che, in una indagine 
di fatto volta ad accertare quale fosse stata la volont� dell'organo deliberante 
espressa precedentemente e se il Presidente ne avesse tradito H 
mandato, non poteva essere deL tutto trascurata sul piano storico la 
cin:ostanza che lo stesso organo deliberante avesse successivamente fatto 
proprio l'operato del Presidente. Tale circostanza, invero, -se da sola 
considerata poteva ingenerare sul piano logico il dubbio che con ci� 
la Commissione avesse voluto sanare un qualche difetto di potere del 
Presidente, -unita, invece, a tutte le altre circostanze come sopra 
iilustrate, era suscettibile d'essere valutata come elemento a favore della 
tesi che il Presidente, aggiudicando all'ICAG l'immobile alle condizioni 
previste nel bando d'asta, altro non abbia fatto se non specifioare tutte 
quelle condizioni che era necessarJo sviluppare per realizzare nello spirito, 
oltrech� ne1la Iettera, la volont� dell'organo deliberante. 

Risultando, quindJ, costituita la motivazione della sentenza impugnata 
da argomentazioni tutte ct:nsurabili, essa non pu� che essere 
cassata e la causa ximessa ad altro giudice perch�, ovviando alle facune 
e illogicit� come sopra stigmatizzate nella ricostruzione della volont� 
dell'organo deliberante d~ una persona giuridica, applichi H seguente 
principio di diritto: �Il contratto stipulato dall'organo investito della 
rappresentanza di un ente pubblico (come nella specie i,l Presidente 
dell'Opera Pia Nazareno) deve ritenersi s� valido soltanto nei limiti della 
sua corrispondenza alla volont� manirestata dall'organo cui spetta deliberare 
(nella specie la Commissione Amministratrice dell'Opera Pia 
stessa: vedi in tal senso Cass. sent. n. 839 del 1973), ma tale corrispondenza 
dovr� essere negata (e conseguentemente accolta la domanda dell'ente 
pubblico rivolta all'annullabilit� del contratto vedi nel senso dell'annullabilit� 
Cass. sent. nn. 1493 e 839 del 1973 e 2891 del 1964) soltanto quando 
il contenuto del contratto stipulato risulti, globalmente considerato per 
lo scopo pratico che persegue e per le modalit� con cui lo persegue, 
incompatibile o anche semplicemente diverso da quello voluto dall'organo 
deliberante: non invece, quando tale contenuto, pur non essendo stato 
specificato nella delibera presa da tale organo, risulti uno, dei possibili 
sviluppi logici necessari sul piano operativo di tale delibera e, quindi, 
coerente allo spirito che storicamente l'ha informata, se non alla lettera 
con cui � stata espressa �. 

L'applicazione del predetto principio -qualora porti H giudice di 
rinvio a propendere per questa seconda ipotesi e, quindi, a ritenere 
valido l'atto Ricciotti di aggiudicazione all'ICAG del vecchio edificio 
del Nazareno -dovr�, per� essere integrato con quelli che seguono. 

111�1�11r11w1111�11�1111l:11111111C���~� 



PARTE I, SBZ. I.V, GIURISPRUDENZA CI.VILE 329 

Tutte le delibere relative a trasformazioni o diminuzioni del patrimonio 
di un'Opera Pia per un valore superiore a un certo Limite (quali 
senza alcun dubbio quelle delle quaili qui trattasi) devono, in base alla 
normativa speciale concernente gli enti di assistenza e beneficenza, 
essere sottoposte, per la verifica della loro convenienza, a controllo di 
mer~to da parte dell'organo tutorio (Giunta Provinciale Amministrativa 
secondo l'art. 35 della legge 17 luglio 1890, n. 6972, poi sostituita, per 
effetto dell'art. 5 del d.1.1. 22 marzo 1945, n. 173, da un Comitato Provinciale 
di assistenza e beneficenza pubblica e successivamente, in base 
all'art. 1 del D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9, dal CO.RE.CO. (Comitato Regionale 
di Controllo). 

In tal senso dispone infatti, l'art. 19 dell R.D. 30 dicembre 1923, n. 2841 
modificativo del'l'art. 36 della citata 1. (legge sulle istituzioni pubbliche 
di beneficenza) n. 6972 del 1890, a sua volta richiamato con le modificazioni 
ad esso apportate nell'u1timo comma del D.P.R. n. 9 del 1972 
anch'esso gi� citato. 

In difetto di tale approvazione dette delibere devono intendersi inefficaci 
(v. in tal senso Cass. sent. 726 del 1972). 

L'esistenza di tale normativa �Speciale rende superfluo l'esame della 
tesi sostenuta dall'ICAG, secondo cui l'art. 26 della l. 6972 del 1890 cos� 
come modificato dall'art. 10 del R.D. n. 2841 del 1923 (a tenore del quale 
� Le alienazioni... si fanno, sotto pena di nullit�, all'asta pubblica colle 
forme stabilite per i contratti e per le opere dello Stato�) si riferirebbe 
solo al modo di scelta del contraente e di conclusione del contratto 
(asta pubblica), non alla necessit� di delibare �ab intrinseco� la convenienza 
delle singole clausole del contratto, come avviene, invece, per 
i contratti dello Stato ai sensi dell'art. 19 del R.D. 18 novembre 1923 

n. 2440 stilla contabilit� generale dello Stato. 
� necessario, a!ltres�, precisare che, contrariamente a quanto sostiene 
il ricorrente principale, poich� norme come gli ar.tt. 35 e 36 della 1. 6972 
del 1890 (e successive modificazioni) sono dettate nel pubblico interesse 
in quanto rivolte ad assicurare il buon andamento della gestione di enti 
pubblici, la loro osservrunza � preminente r,ispetto alla tutela degli interessi 
privati. Non pu� pertanto, invocare il principio della tutela della 
buona fede o dell'affidamento o quello sancito nell'art. 1444 (2� comma) 
cod. civ. (secondo cui il contratto � conva!lidato se il contraente cui spettava 
l'azione di annullamento vi ha dato volontariamente esecuzione 
conoscendo il motivo di annullabilit�) il contraente privato che voglia, 
con ci�, far dichiarare efficace nei suoi confronti una delibera di un'Opera 
Pia non sottoposta all'approvazione dell'organo tutorio come la legge 
impone. Ovviamente, ~semprech� ne ricorrano tutti i presupposti, potr� 
reagire a tale omissione, anche ai sensi dell'art. 28 della Costituzione, 
nelle sedi pi� opportune (eventualmente anche penale per omissione 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

330 

d'atti di ufficio e civile per il risarcimento del danno), ma non potr� mai 
pretendere che tale delibera sia dichiarata efficace. In altri termini, qui 
si vuol dire che ben si pu�, al momento di stipulare un contratto, integrare 
il mandato, a tal fine ricevuto, con tutte quelle specificazioni che 
si rivelino necessarie per il miglior raggiungimento dello scopo del mandato. 
stesso e che tale integrazione non costituisce n� violazione, n� travalicamento 
di esso, ma ci� non toglie che il modo, particolare e discrezionale, 
con cui tale integrazione (.in s� e per s� necessaria) sia stata attuata 
debba essere soggetto ad un giudizio di convenienza da parte di 
un organo tutorio, quando il suo controllo � imposto dalla legge. 

A sostegno e della liceit� di detta integrazione e della necessit� della 
sua approvazione sembra potersi richiamare, per analogia, l'art. 107 del 
regolamento della contabilit� generale dello Stato secondo cui �Se nelle 
trattative occorse e nella stipulazione di un contratto si fosse variata 
alcuna delle condizioni prestabilite o altre ne fossero state eliminate e 
altre aggiunte e se gi� sul progetto del contratto fosse stato sentito il 
parere del Consiglio di Stato � necessario, prima di approvare e rendere 
eseguibile il contratto, sentire il parere del Consiglio medesimo sulla 
convenienza delle occorse modificazioni �. 

Ci� posto, devesi ritenere che, nella specie, andavano sottoposte ad 
approvazione da parte dell'organo tutorio l'aggiudicazione all'I.C.A.G. del 
7 agosto 1968 con il bando di gara che ne specificava le modalit� e/o la 
delibera della Commissione Amministratrice che tale aggiudicazione conferm� 
quel giorno stesso. 

Infatti, anche ammettendo -come il giudice di rinvio verificher� 
che tanto l'uno quanto l'altra costituissero nient'altro che l'integrazione 
necessaria e coerente di quanto gi� deliberato dalla stessa Commissione 
il 12 luglio 1968 e approvato dall'organo tutorio il 16 successivo, tuttavia 
� innegabile che con tali atti siano state aggiunte modalit� relative alla 
vendita del patrimonio immobiliare del Nazareno cos� rilevanti sul piano 
economico e cos� discrezionalmente apprezzabili rispetto alle concrete 
possibilit� che offriva il mercato comparate con le esigenze dell'Istituto, 
da non potersi consentire che andassero esenti da quel controllo di merito 
che -come s'� detto -la legge impone per le trasformazioni o 
diminuzioni di patrimonio degli enti pubblici di assistenza e beneficenza. 

In tale complessa situazione di fatto la causa dovr� essere decisa 

dal giudice di merito tenendo presente, per le questioni avanti a questa 

Corte trattate (e quindi, senza pregiudizio di tutte le altre fin ad ora 

in esse ritenute assorbite), che: 

1) Dato il ritenuto collegamento genetico e funzionale esistente tra 
gli atti dell'Opera Pia posti in essere rispettivamente entro l'agosto del 
1968 e nel 1977, qualora i primi risultassero invalidi per difetto di corrispondenza 
tra la volont� della Commissione Amministratrice e l'Operato 



PARm I, SBZ. IV, GiuRISPRUDBNZA CIVILE 

del Presidente, dovrebbero essere considerati invalidi anche i secondi. 
Per converso, qualora tale difetto non fosse ritenuto sussistente e quindi 
validi i primi, la mancanza del1a loro specifica approvazione da parte 
dell'organo tutorio potrebbe considerarsi sanata per effetto dell'approvazione 
dei secondi. 

Questa Corte, infatti, ha pi� volte ritenuto che all'approvazione 
diretta di un atto amministrativo, espressa in un formale documento 
inteso a tale finalit�, pu� equivalere, nella sostanza un'approvazione 
implicita, quando questa risulti per processo logico necessario, sebbene 
non esplicitamente, da un documento scritto formale con il quale l'approvazione 
sia in posizione indissociabile di presupposto o di conseguenza 
(conf. Cass. S.U. �sent. 975 del 1968 nonch� Cass. 1249 del 1968; n. 133 
del 1966, 1457 del 1967, 839 del 1973). 

Al fine di considerare implicitamente approvati gli atti dell'agosto 
1%8 sopramenzionati per effetto de1l'approvazione riportata dagli atti successivi, 
potr� tenersi conto anche della delibera dell'Opera Pia approvata 
dall'organo tutorio il 10 settembre 1968, qualora in essa fossero state 
richiamate le modalit� dell'operazione economica costituente la fonte 
del denaro impiegato per Pacquisto del terreno (avvenuto poi con il rogito 
De Benedetto) da destinarsi a nuova sede del Nazareno. In tal 
caso, infatti, non sarebbe illogico presumere che l'organo tutorio sia 
venuto necessariamente a conoscenza di tali modalit� e che, approvando 
la destinazione del loro frutto, abbia, sia pure indirettamente ma con 
sufficiente chiarezza, approvato il modo di costituzione della sua fonte: 
unica via questa che nella specie appare ammissibile, sul piano giuridico, 
per consentire, nel giudizio di rinvio, una qualche considerazione di una 
circostanza del cui mancato esame nei pregressi gradi di giudizio l'ICAG 
ora tanto si duole (sia pure sotto il profilo della convalida ex art. 1444, 
2� comma cod. civ., inaocettabile per le ragioni qui esposte) e che, cio�, 
all'aggiudicazione in favore dell'ICAG l'Opera Pia avrebbe dato volontaria 
esecuzione, estrinsecatasi innanzitutto con l'immediata e irreversibile utilizzazione 
derla parte non irrilevante del prezzo (il 40 %) pagato dal


I.C.A.G. pochi mesi dopo l'aggiudicazione stessa. 
2) Il visto prefettizio in data 27 agosto 1988 ai sensi dell'art. 296 della 
legge comunale e prov. (n. 383 del 1934) della delibera con cui la Commissione 
Amministratrice conferm� l'operato del Presidente non pu� 
essere considerato equipollente all'approvazione da parte dell'organo tutorio 
sancito dagli artt. 35 e 36 della legge n. 6972 del 1890 e sue successive 
modificazioni. 
:B ben vero, infatti, che tale �visto� � esteso al merito, in quanto il 
Prefetto pu� rifiutaruo non solo per ragioni attinenti all'osservanza delle 
forme prescritte, ma anche � per gravi motivi d'interesse dell'Ente o per 
altri di interesse pubblico �. Tuttavia sembra dover prevalere la con



332 

RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA l>PLLO STATO 

siderazione che, come autorevolmente sostenuto in dottrina, il predetto 
art. 296, in quanto diretto a restringere la capacit� o la libert� delle 
persone, fisiche o giuridiche, non pu�: essere applicato per analogia a 
casi non contemplati in modo espresso: e, quindi, neppure agli istituti di 
assistenza e beneficenza per il controllo dei cui atti v'� una disciplina 
speciale (quella dettata dalla legge n. 6972 del 1890 qui pi� volte richiamata), 
che ovviamente deroga a quella generale costitui,ta dalla legge 
comunale e provinciale. 

A ci� consegue ovviamente l'irrilevanza (gi� esattamente stigmatizzata 
in questa causa della sentenza del Tribunale) dell'inserimento negli atti 
dei quali qui trattasi della clausola intesa a subordinare la foro esecutoriet� 
al visto prefettizio nell'evidente presupposto (erroneo) che esso fosse 
prescritto da11a legge (sulla mancanza dell'obbligo da parte degli enti 
di assistenza e beneficenza pubblica di comunicare le loro delibere al 
Prefetto vedi Cass. sent. 1131 del 1972). 

3) L'annullamento da parte dell'organo tutorio di un atto in considerazione 
sia pure soltanto di una parte del suo contenuto, comporta 
diniego di approvazione dell'atto nella sua globalit� e costringe, quindi, 
l'Ente a modificarlo e a sottoporlo nuovamente all'approvazione deH'organo 
tutorio, salvo il caso in cui, da un'attenta indagine sul contenJUto e sulle 
premesse de:l provvedimento preso da1l'organo tutorio, risultasse sia 
che anche la parte non annullata abbia costituito oggetto di esame 
riportando un'approvazione implicita, sia che la parte annullata abbia 
rautonomia sufficiente a rendere possibile la sua disapplicazione senza 
compromettere l'applicazione della residua parte. 

4) Qualora gli atti posti in essere dall'Opera Pia nel 1977 dovessero 
ritenersi mancanti di approvazione da parte del CO.RE.CO. dovrebbero 
necessariamente considerarsi innanzitutto inefficaci essi medesimi, rendendo, 
cosi, del tutto vana la questione (su cui lungamente insiste la 
difesa dell'LC.A.G.) se in essi potesse ravvisarsi una convalida degli 
atti precedenti. 

L'indagine rimessa al giudice di rinvio sull'effettiva e controversa 
portata dei provvedimenti presi dal CO.RE.CO. in relazione ail rogito 
Badurina del 15 ottobre 1977 si rivela comunque decisiva anche in relazione 
al ricorso incidentale proposto dall'Opera Pia per contestare l'imposizione 
dell'INVIM conseguente alla registrazione di tale atto. (Questione 
questa sulla quale non si � formato alcun giudicato in quanto, 
contrariamente a quanto sostenuto dall'Avvocatura Generale dello Stato 
net suo controricorso, 'l'Opera Pia ha proposto al riguardo ricorso incidentale 
autonomo, che risulta notificato alla Finanza presso la predetta 
Avvocatura il 16 dicembre 1987 e quindi ritualmente e tempestivamente 
tenuto conto che la sentenza impugnata risulta depositata il 2 giugno 
1987 e non notificato). 



PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

Pi� specificamente, con l'unico motivo del ricorso incidentale l'Opera 
Pia �Collegio Nazareno� denunzia la violazione degli artt. 14 e 36 D.P.R. 

n. 634/1972 e dell'art. 296 del R.D. n. 383/1934 in �relazione a11'art. 360 
nn. 3 e 5 c.p.c., lamentando che i giudici di merito si siano rifiutati di far 
discendere dall'annuHamento dell'atto di vendita la non debenza dell'INVIM 
senza considerare che: 
A) l'Opera Pia non pu� considerarsi parte del negozio annullato, 
avendo negoziato un terzo, e, cio�, il presidente dell'Opera, del tutto privo 
del relativo potere; 

B) gli atti soggetti ad approvazione o ad omologazione, quali quel!.i 
dei quali qui trattasi, sono da registrare solo dopo che i relativi provvedimenti 
amministrativi �siano validamente intervenuti, iii che, nella �specie, 
certamente non sarebbe avvenuto. 

In �riferimento a quest'ultima considerazione contenuta nel Ticorso, 
incidentale, risulta evidente che, se il giudice di rinvio ritenesse il contenuto 
del rogito Baidurina privo di approvazione da parte dell'organo tutorio, 
si avrebbe che, ai sensi degli artt. 14 e 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972 

n. 634 disciplinante l'imposta di registro e in vigore all'epoca, il termine 
per la Tichiesta di Tegistrazione dell'atto non sarebbe mai iniziato a decorrere 
e, comunque, prima di tale scadenza sarebbe stata dovuta la sola imposta 
fissa di registro non considerandosi ancora avvenuto agli effetti 
fiscali quel trasferimento dei diritti che � il presupposto non solo dell'imposta 
di registro, ma anche dell'INVIM. Si sarebbe cos� verificato un caso 
di non debenza del tributo richiesto, ben pi� radicale di quello previsto 
dall'art. 36 della medesima legge (non debenza dell'imposta di registro 
quando l'atto sia stato dichiarato nullo o annullato per causa non imputabile 
alle parti contraenti con sentenza emessa in contraddittorio anche 
con �l'amministrazione Finanziaria e non sia ,suscettibile d\ ratifica, convalida 
o conferma). 
Ma, nonostante la diversit� della norma di legge d'applicare e la riserva 
generale di giurisdizione a favore del giudice tributario, il giudice 
ordinario di merito potr� ben fare applioazione nella specie dei citati 
artt. 14 e 26, sia perch� spetta al giudice individuare ila norma di legge 
pi� direttamente applicabile alla fattispecie per accogliere o negare la 
pretesa sostanziale fatta valere dall'una contro l'altra (nel caso, in esame, 
appunto la debenza dell'INVIM), sia perch� l'eadem ratio che ispira 
l'~t. 36 (l� dove rimette al giudice ordinario di decidere sulla nullit� o 
sull'annullamento dell'atto soggetto al tributo con un'unica sentenza valevole 
anche agli effetti fiscali purch� emessa in contTaddittorio anche con 
1a Finanza) sussiste, e quindi si applica al caso indubbiamente analogo in 
cui si debba decidere, sempre in materia di imposte dovute per la registrazione 
�di un atto (qual'� l'INVIM di cui qui trattasi), se esso sia 


RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DllLLO STATO

334 

stato o meno approvato dall'organo tutorio come previsto dalla legge e 
sia, quindi, efficace. � innegabile, infatti, che anche in questo caso vi sia 
l'opportunit�, per evitare sconcertanti contrasti di giudicati e, per economia 
di giudizi, di avere un'unica decisione in esito al contraddittorio e 
alla cognizione pi� ampi possibili. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 12 dicembre 1988, n. 6759 � Pres. Sandulli 
� Rel. Senese � P. M. Minetti (conci. conf.) � Ministero dell'Interno 
e Prefettura di Frosinone (avv. Stato Palatiello) c. S.r.l. CISA (avv. 
Casavola). 

Lavoro � lnvaldi � Assunzioni obbligatorie � Contravvenzione all'obbligo 
di richiesta di assunzione � Definizione amministrativa � Decreto prefettizio 
ex art. 24 legge n. 482/1968 � Opposizione � Giurisdizione del 
giudice civile � Non sussiste trattandosi di materia riservata al giudice 
penale. 

I decreti con i quali il Prefetto determina, a norma dell'art. 24 legge 

n. 482/1968, l'ammontare delle somme dovute per la definizione ammini� 
strativa delle contravvenzioni all'obbligo di richiesta di assunzione di 
lavoratori invalidi non sono suscettibili di opposizione dinanzi al giudice 
civile, in quanto ineriscono a violazioni che -non rientrando tra quelle 
depenalizzate dalla legge n. 689/1981 -sono riservate alla cognizione del 
giudice penale (1). 
Con il primo motivo, si denuncia violazione degli artt. 23 e 24 legge 

n. 482/1968, 12, 22, 23, 32 e 34 legge n. 689/1981, I c.p.c., difetto di giurisdi� 
zione o almeno di competenza funzionale (il tutto con riferimento 
all'art. 360 nn. 1 e 2 stesso codice) e si deduce che erroneamente il pretore 
avrebbe ritenuto opponibili ai sensi degli artt. 22 e 23 della legge 
n. 689/1981 i decreti con i quali il Prefetto di Frosinone aveva determinato, 
a norma dell'art. 24 legge n. 482/1968, l'ammpntare della somma 
dovuta per la definizione amministrativa delle contravvenzioni all'obbligo 
di richiesta di assunzione, da parte della societ� CISA, di lavoratori invaHdi. 
Tali decreti, infatti, -prosegue il ricorrente -non potrebbero in 
al�un modo esser assimilati all'ordinanza-ingiunzione prevista dall'art. 18 
della legge n. 689/1981, in quanto la violazione dell'obbligo posto dagli 
artt. 11 e 16 della legge sulle assunzioni obbligatorie d'invalidi, punita a 
termini dell'art. 23/2 stessa legge con la pena dell'ammenda, non rientra 
tra quelle che la ricordata legge n. 689/1981 ha trasformato in illeciti 
(1) Decisione di evidente esattezza, di cui non constano precedenti. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILB 

amministrativi, s� che �l decreto del Prefetto di cui al citato art. 23 legge 

n. 482/1968 non costituisce provvedimento di applicazione di una sanzione 
amministrativa ma semplice atto di determinazione della somma che la 
citata legge n. 482 ammette il contravventore a pagare, entro i termini 
dalla stessa disposizione previsti, a titolo di oblazione con effetto estintivo 
del reato. 
Il motivo � fondato. 

La legge n. 689/1981, nel prevedere all'art. 32/1 che �non costituiscono 
reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una 
somma di danaro ,tutte le violazioni per le quali � prevista la sola pena 
dell'ammenda... �, ha tuttavia escluso dall'ambito di applicazione generale 
di tale disposizione una serie d'ipotesi di reato, tra le quali rientra anche 
la contravvenzione di cui agli artt. 11, 16 e 23/2 della legge n. 482/1968. 

Dispone, infatti, il successivo art. 34 della legge n. 689/1981 che �la 
disposizione del primo comma dell'art. 32 non si applica ai reati previsti: 
... omissis... dalle leggi relative ai rapporti di lavoro, anche per quanto 
riguarda l'assunzione dei lavoratori e le assicurazioni sociali, salvo quanto 
previsto dal successivo art. 35... �. 

Non � contestabile che la legge su11e assunzioni obbligatorie sia una 
legge relativa ai rapporti di lavoro, ed in particolare all'assunzione dei 
lavoratori, che -gi� regolata in via generale come materia di una 
pubblica funzione (v. legge n. 264/1949) -ha costituito oggetto di numerosi 
interventi legislativi in favore di particolari categorie e di una 
disciplina generale sulle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni 
e le aziende private, dettata con la legge in esame. 

N� la suddetta legge n. 482/1968 pu� esser confusa con �Je Jeggi in 
materia di previdenza ed assistenza obbligatorie�, in relazione alle cui 
violazioni, purch� punite con la sola ammenda, l'art. 35 legge n. 689/1981 
(dchiamato come deroga al disposto dell'art. 34 lett. m) estende la depenalizzazione. 
Anzi, proprio l'espressa previsione di tale eccezione all'operativit� 
del precetto di cui al ricordato art. 34 lett. m), costituisce ulteriore 
conferma del carattere onnicomprensivo di tale precetto e della sua 
estensione (salve le esplicite eccezioni poste dalla legge stessa) e tutte le 
violazioni delle norme comunque attinenti alla materia del lavoro. 

Del resto, la giurisprudenza di questa Corte Suprema non ha avuto 
dubbi nel ritenere sottratte alla depenalizzazione le violazioni, penalmente 
sanzionate, alle disposizioni della legge n. 482/1968 (cfr. cass. pen., sez. III, 
6 maggio 1985, imp. Ottone; cass. pen., sez. III, 31 maggio 1986, imp. Cancarini; 
Cass. pen., sez. III, 12 giugno 1986, rie. Vagnoli; ca:ss. pen. sez. III, 
Della Sala rie., ove si affronta anche il problema del rapporto tra procedura 
conciliativa e procedimento penale; e, sulla portata generale della 
formula di cui all'art. 34 lett. m legge n. 689/1981, cass. pen., sez. III, 
20 marzo 1984, imp. Di Benedetto). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dli.LO STATO

336 


N� a diverse conclusioni � mai pervenuta la dottrina. 
Deve pertanto concludersi che i decreti prefettizi di cui � causa (che 


del resto, non contengono alcuna ingiunzione e si lin�tano a determinare 
fa somma dovuta dal contravventore in conformit� di quanto previsto 
dall'art. 24/2 legge n. 482/1968) non erano suscettibili di opposizione dinanzi 
al giudice civile; e che il soggetto, nei cui confronti sono stati emessi, 
ovie avesse ritenuto di contestarne i presupposti, non avrebbe avuto altro 
da fare che astenersi dal versare le somme in tali provvedimenti indicate 
e far valere le proprie ragioni dinanzi al giudice penale, cui gLi atti 
avrebbero dovuto esser trasmessi una volta scaduto inutilmente il termine 
di cui all'ultimo comma dell'art. 24 legge n. 482/1%8. 

Correlativamente, il giudice civile, adito per l'opposizione a tali decreti, 
avrebbe dovuto declinare la propria competenza giurisdizionale in 
materia. 

La sentenza impugnata, che ha invece dtenuto di poter conoscere di 
una controversia riservata al giudice penale, dev'esser, pertanto, cassata 
senza rinvio (art. 382/3 c.p.c.). 

Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso, con i qua1i il ricorrente 
denuncia violazione dei limiti della giurisdizione del giudice civile 
nei confronti della P.A. (secondo motivo), violazione delle norme sulla 
chiamata in giudizio delle amministrazioni dello Stato (terzo motivo) e 
violazione della normativa in materia di computo degli invalidi da assumere 
obbligatoriamente (quarto motivo). 



SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 27 agosto 1988, n. 1006 -Pres. Laschena Est. 
Luce -Ministero defila Pubblica Istruzione (avv. Stato Palatiello) 

c. Fiori e Tavola Valdese (avv.ti Barile e Mauceri). 
Istruzione e Scuole -Pubblica istruzione -Insegnamento della religione 
cattolica -Attivit� alternative -Obbligatoriet� -Legittimazione al ri� 
corso � Tavola Valdese � :Il: legittimata. 

Istruzione e scuole � Pubblica istruzione � Insegnamento della religione 
cattolica -Attivit� alternative � Obbligatoriet� per chi ha scelto di non 
avvalersi dell'insegnamento religioso � Legittimit�. 

Istruzione e scuole � Pubblica istruzione � Insegnamento della religione 
cattolica � Eccezione di illegittimit� costituzionale � :Il: manifestamente 
infondata. 
(Legge 25 marzo 1985, n. 121, art. 9; legge 11 agosto 1984, n. 449, art. 9; Cost., artt. 2, 

3, 19, 21, 33, 97). 

La Tavola Valdese, in quanto ente posto quale rappresentante isti� 
tuzionale delle chiese di culto valdese, � soggetto esponenziale degli interessi 
di cui tali chiese sono portatrici; perci� essa � legittimata ad impugnare 
le circolari ministeriali che regolano l'insegnamento della religione 
cattolica nelle scuole statali, essendo la sua azione sorretta dal peculiare 
intento di salvaguardare le sue stesse primarie finalit� culturali. 

Il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento 
della religione cattolica non � violato dall'imposizione dell'obbligo, per 
chi abbia scelto di non avvalersene, di frequentare le c.d. attivit� alternative, 
perch� l'esigenza di non discriminazione tra l'avvalente e il non avvalente 
impone che ogni alunno abbia, in eguale misura, diritti e doveri: 
e cio�, la stessa quantit� di tempo scuola, nonch�, nei limiti del possibile, 
la stessa opportunit� educativa e formativa. 

E manifestamente infondato il dubbio di illegittimit� costituzionale 

dell'art. 9 della legge n. 121/85, con riferimento ai princ�pi costituzionall 

che sanciscono la tutela dei diritti fondamentali (art. 2), l'eguaglianza di 

tutti i cittadini (art. 3), la libert� religiosa (art. 19), la libert� di coscienza 

(art. 21), la libert� d'insegnamento (art. 33), l'organizzazione della P.A. 


338 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA LELLO STATO 

(art. 97), perch� la laicit� dello Stato non esclude la possibilit� dell'insegnamento 
religioso (1). 

(omissis) 1. -Quanto al ricorso n. 1572/87, l'Amministrazione appellante 
ripropone, preliminarmente, l'eccezione di inammissibilit� del ricorso 
stesso, gi� dedotta in primo grado e disattesa dal T.A.R., secondo 
cui l'obbligo di frequenza delle attivit� integrative e la collocazione dell'insegnamento 
della religione cattolica nel quadro dell'orario ordinario 
delle lezioni discendeva, pi� che dalla circolare impugnata n. 302 del 
29 ottobre 1986, gi� dalla legge, nonch� dai programmi scolastici e da 
precedenti circolari, non impugnati dall'appellata. 

L'eccezione � infondata e legittimamente il T.A.R. l'ha respinta. 
Come osservato dalla Tavola Valdese, le �attivit� integrative�, alternative 
all'insegnamento deHa religione cattolica, hanno assunto carattere 

(1) A titolo di commento, si ritiene opportuno pubblicare la memoria redatta 
dall'avv. Antonio Palatiello (compresa la parte dedicata al �fatto�, che d� conto 
degli esatti termini del problema dibattuto). 
L'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di Stato 

(omissis) Con ricorso notificato il 22 dicembre 1986, la Tavola Valdese 
chiese al T.A.R. Lazio l'annullamento, previa sospensione, della circolare del 
Ministero della Pubblica Istruzione 29 ottobre 1986, n. 302, � nella parte in cui 
prevede, per gli alunni che non abbiano dichiarato di avvalersi dell'insegnamento 
della religione cattolica, attivit� alternativa all'insegnamento religioso, con 
obbligo di frequenza da parte degli alunni stessi�. 

Sostenne la ricorrente che l'art. 9 della legge 11 agosto 1984, n. 449, imporrebbe 
la collocazione dell'orario di insegnamento della religione cattolica in 
tempi tali � da permettere a chi non se ne avvale di essere assente� e di non 
partecipare all'attivit� alternativa, di per s� discriminante: la circolare impugnata 
violerebbe tale Jiisciplina legale sia perch� pone l'insegnamento della reli� 
gione come opzionale �invece che facoltativo, sia perch� obbliga chi non ha 
scelto di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica a frequentare 
l'attivit� integrativa, data come alternativa. 

La circolare impugnata, in particolare, violerebbe l'accordo bilaterale sot� 
toscritto dal Governo e dalla Tavola Valdese il 21 febbraio 1984, che, recepito 
nella legge n. 449/84, imporrebbe la collocazione del:l'insegnamento religioso 
fuori dal quadro ordinario delle lezioni. 

Il Ministero intimato si costituiva in giudizio. Intervennero ad adiuvandum 
la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia ed altri �enti esponenziali 
delle rispettive confessioni religiose �. 

Con sentenza n. 1274/87 il T .A.R. ha annullato l'impugnata circolare n. 302/ 
1986 �nella parte in cui sancisce, per chi abbia scelto di non avvalersi dell'insegnamento 
religioso cattolico, l'obbligatoriet� degli insegnamenti integrativi o 
della frequenza nella libera attivit� di studio, offerti in opzione, rispetto ad 
esso, nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado �. 

Il T.A.R. Lazio, con la sentenza oggi all'esame, ha svolto il seguente ragionamento 
sul quale ha fondato il parziale accoglimento del ricorso: premesso 
che la Tavola Valdese trarrebbe la propria legittimaZ:ione ad agire �dal pecu




PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMIN1STRATIVA 339 

obbligatorio nei confrnnti di tutti gli alunni soltanto con la circolare 
impugnata n. 302 del 1986, la quale di:spone, tassativamente, il che non 
era avvenuto nelle precedenti circolari, l'obbligatoriet� della frequenza 
delle attivit� stesse per gli alunni che � comunque � non avessero dichiarato 
di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. 

L'avverbio (comunque) impiegato, escludendo a priori qualsiasi eccezione, 
consente quindi l'imposizione coattiva deHe attivit� integrative 
anche agli alunni che abbiano esercitato lo specifico diritto, riconosciuto 
dall'art. 9 della legge 449 del 1984, �di non avvalersi delle pratiche e 
dell'insegnamento religioso �, conoretizzando la lesione deH'interesse fatto 
valere dalla Tavola Valdese; solo con tale circolare, pertanto, si � affermata 
l'obbligatoriet� della frequenza delle attivit� integrative anche per 
gli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica, 
perch� appartenenti alle Chiese rappresentate dalla Tavola medesima 
che, quindi, legittimamente solo dopo ta:le circolare ha proposto ricorso. 

liare intento di salvaguardia delle sue stesse primarie finalit� culturali�, ed 
atteso che l'obbligo di frequenza della scuola (per le attivit� alternative e per 
lo studio individuale) sarebbe stato introdotto per la prima volta con la circolare 
n. 302/86, sarebbe illegittimo porre il detto obbligo a carico di chi abbia 
scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica perch�, in 
buona sostanza, non previsto da alcuna l�gge: la legge, infatti, darebbe solo 
la facolt� di scegliere tra l'avvaiersi e non avvalersi dell'insegnamento della 
religione cattolica, senza oneri alternativi in ragione della scelta da ciascuno 
liberamente operata; nemmeno potrebbe invocarsi, a detta del T.A.R., l'esigenza 
dell'� eguale tempo scuola�, perch�, oggi, il tempo scuola sarebbe quello che 
risulta senza considerare l'ora di religione, facoltativa, e perci� � aggiuntiva'" 
con il chiarimento che per � aggiuntivo � si intende, nel caso in esame, �un 
quid pluris, che si aggiunge per gli avvalenti agli altri insegnamenti curriculari ... 
(che) pur collocati nelle normali fasce orarie e non al di fuori di esse ... costituisce 
un di pi�, offerto agli avvalenti, senza, peraltro, alcun correlativo onere 

di frequenza di altri insegnamenti per i non avvalenti�. 

La sentenza del T.A.R. Lazio � stata fatta oggetto di tempestivo appello da 

parte del Ministero della Pubblica Istruzione, che ha riproposto le ecceziorii 

preliminari, pregiudiziali e di merito gi� sollevate, ed ampiamente illustrate, 

in prima cure. 

Il Consiglio di Stato ha, per quanto di ragione, accolto la domanda inci� 

dentale di sospensione dell'esecutivit� della sentenza impugnata. 

La causa viene oggi all'esame del Collegio per il merito. 

* * * 

Con ricorso notificato 1'8 gennaio 1987 Fiori Gian Mario, genitore esercente 
la potest� sui figli minori Stefano e Flavia, alunni di scuola media, impugnava 
davanti al T.A.R. Lazio �l'orario delle lezioni adottato dal Preside della 

S.M.S. �Tacito� di Roma-Vitinia per l'anno scolastico 1986-87, delle relative 
deliberazioni del Collegio dei docenti, non conosciute, e delle conseguenti disposizioni 
del Preside della predetta S.M.S., per quanto concerne l'obbligo degli 
alunni che hanno scelto di non avvalersi dell'I.R.C. ad essere presenti a scuola 
per le c.d. attivit� alternative e l'utilizzazione del personale docente per tali 
attivit�, nonch� delle CC.MM. n. 368 del 20 dicembre 1985, n. 130 del 3 maggio 
1986, n. 211 del 24 luglio 1986, e n. 302 del 29 ottobre 1986, e, per quanto di 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA IJELLO STATO

340 

Sempre in via preliminare, nello stesso ricorso n. 1572/87, l'Amminif: 
strazione appellante ripropone, ulteriormente, l'eccezione di inammissibilit� 
'dell'originario ricorso per carenza di legittimazione attiva della 

I ~ Tavola Valdese. 

Anche ta!le eccezione � infondata e legittimamente � stata respinta 

dal T.A.R. 

La Tavola Valdese � ente morale dotato di capacit� giuridica per 

antico possesso di stato ed ente esponenziale delle chiese valdesi; ed in 

tale qualit�, ha stipulato l'intesa con lo Stato italiano che � alla base della 

legge n. 449/1984. 

Correttamente, pertanto, il T.A.R. ha osservato che, essendosi l'ente 

posto come rappresentante istituzionale delle chiese di culto valdese e 

cio� come soggetto esponenziale degli interessi di cui tali chiese sono 

ragione, del D.P.R. del 16 dicembre 1985, con cui � stata data esecuzione all'in� 

tesa tra il Ministero P.I. e il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana del 

14 dicembre 1985, in parte de qua, e della deliberazione del Consiglio dei Ministri 

con cui � stato autorizzato il Ministro P.I., nonch� di ogni altro atto presup


posto, connesso e conseguente �. 

Premessa la trascrizione delle norme che disciplinano l'insegnamento della 

religione cattolica, e riportato il contenuto degli atti impugnati per la parte 

ritenuta rilevante, il ricorrente chiariva che i propri figli frequentavano la 

Scuola Media � Tacito� ed avevano scelto di non avvalersi dell'insegnamento 

della religione cattolica; egli si doleva del fatto che, mentre gli altri ragazzi 

seguivano l'ora di religione, i suoi figli erano costretti a restare a scuola, im


pegnati nelle c.d. attivit� alternative. 

Osservando che il sistema, per come organizzato dalle disposizioni impu


gnate, si risolverebbe in una oggettiva discriminaziOllle in odio a coloro che 

hanno scelto di non avvalersi dell'insegnamento della religione, il ricorrente affi. 

dava il gravame ad otto motivi di ricorso. Con i primi tre motivi il ricorrente 

lamentava la violazione dell'art. 9 della legge 25 marzo 1985, n. 121, dell'art. 5 

del relativo Protocollo, dell'art. 9 della legge 11 agosto 1984, n. 449, con riferi


mento agli artt. 2, 3, 8, 19, 21, 33 della Costituzione; lamentava altres� il vizio 

di eccesso di potere. 

In buona sostanza affermava che la legge 121/85, e, prima, la legge 449/84, 
avrebbero disposto il principio della facoltativit� dell'insegnamento della religio. 
ne cattolica; tale principio sarebbe stato violato prima dall'Intesa, di cui al 

D.P.R. n. 751/85, e poi dalle circolari ministeriali, perch� queste avrebbero introdotto 
il diverso criterio della � opzione obbligatoria senza alternativa�; a suo 
dire, insegnamento facoltativo sarebbe quello � che si sceglie in aggiunta agli 
insegnamenti obbligatori per tutti�, e che � quindi dovr� essere collocato in 
orario aggiuntivo�; gli atti impugnati-avrebbero invece trasformato tale insegnamento 
facoltativo in � insegnamento opzionale che si sceglie obbligatoriamente 
in alternativa ad altro insegnamento, entrambi collocati in orario obbligatorio 
per tutti�. In concreto, le disposizioni impugnate avrebbero violato la 
legge nella parte in cui questa configurerebbe l'insegnamento della religione cattolica 
come un insegnamento � che deve essere esplicitamente richiesto in aggiunta 
agli insegnamenti obbligatori per tutti�; l'aver invece collocato tale materia 
nell'orario obbligatorio per tutti avrebbe dato vita, ad avviso del ricorrente, 

PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMlNISTRATIVA 341 

portatrici, l'azione da essa proposta a tutela di quegli interessi, appare 
sorretta da una chiara posizione legitt�!Illamente, donde l'ammissibilit� del 
:ricorso in relazione aU'eccezione esaminata, atteso che la Tavola Valdese 
non agisce quale mero sostituto processuaile dei propri fedeli, bens� per 
un concreto interesse proprio (e delle chiese da essa rappiresentate) 
qualificato non da1'1a ricerca del mero rispetto della norma pattizia, bens� 
dal peculiare intento di salvaguardia de11e sue stesse primarie finalit� 
culturali. 

Sempre in via preliminare, infine, nel ricorso 1572/84, viene riproposta 
l'eccezione, anch'essa da ritenere infondata, di improponibilit� del 
ricorso stesso per diretto di giurisdizione del giudice amministrativo. 

Non si pu� condividere, infatti, l'assunto deM'appellante secondo cui 
ia Tavola Valdese avrebbe fatto valere un interesse di mero fatto, ovvero 
un diritto soggettivo, dru momento che l'ente ha inteso censurare le moda-

ad un vizio di impostazione, che si rifletterebbe sui seguenti aspetti dell'organizzazione, 
di conseguenza illegittimi: 
a) sull'obbligo di chi non si avvale dell'insegnamento predetto di frequentare 
l'attivit� alternativa; 

b) sul dovere dei docenti, pur nei limiti del loro orario di servizio, di 
svolgere l'attivit� alternativa o quella di assistenza agli alunni che scelgono lo 
studio individuale. 

Tutto ci� rivelerebbe l'intento ministeriale di spingere la scelta in favore 
della religione cattolica, con chiaro eccesso di potere e con effetti discriminatori 
per i � non avvalenti�. 

Con il quarto motivo si osservava che l'attivit� alternativa (ed anche, per 
le scuole superiori, lo studio individuale) offerta a chi dichiara di non avvalersi 
dell'insegnamento della religione cattolica, sarebbe stata �inventata� dall'Amministrazione, 
con un �fiat" creativo che l'ordinamento non conosce; e ci� sarebbe 
tanto pi� illegittimo, in quanto l'organizzazione dell'attivit� didattica sarebbe 
di competenza esclusiva degli Organi collegiali (Collegio dei docenti: art. 4 

D.P.R. n. 416/74; Consiglio di circolo o d'istituto art. 6 D.P.R. n. 416/74) in 
ordine alle cui determinazioni il Ministero non avrebbe potere d'alcun genere. 
Con il quinto motivo, il ricorrente lamentava la violazione di alcune norme 
della Costituzione: a suo dire, se la legge n. 121/85 dovesse interpretarsi nel senso 
indicato dal Ministero (doversi cio� collocare l'insegnamento della religione 
cattolica nell'orario obbligatorio per tutti), la stessa legge risulterebbe incostituzionale 
perch�, di fatto, quell'insegnamento sarebbe � obbligatorio con possibilit� 
di esonero �, con violazione dei princ�pi costituzionali della libert� di 
coscienza, della libert� di insegnamento, dell'eguaglianza e dell'efficiente organizzazione 
del servizio pubblico. 

Con il sesto motivo si disse che l'orario di servizio e le funzioni dei docenti 
sono disciplinati per legge; gli atti impugnati avrebbero disapplicato la legge 
(in particolare, gli artt. 2, 3, 88 D.P.R. n. 417/74, e gli artt. 14 e 17 della legge 

n. 270/82) la quale vorrebbe che il docente sia utilizzato esclusivamente nell'attivit� 
di insegnamento nella classe assegnatagli, salve le eccezioni tassativamente 
previste; dunque, continuava il ricorrente, � aver imposto agli organi 
collegiali l'organizzazione delle c.d. attivit� alternative ed aver imposto l'utilizzazione 
del personale docente per tali attivit� diverse dall'insegnamento, o addirittura 
per assistere al c.d. studio individuale� sarebbe illegittimo; e ci� risulte

342 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DrLLO STATO 

lit� di esercizio deil potere, riconosciuto all'Amministrazione della Pubblica 
Istruzione, di organizzare e gestire con atti autoritativi il servizio 
scolastico, lamentando, pertanto, la lesione di un vero e proprio interesse 
legittimo, la cui tutela � affidata rulla cognizione del giudice amministrativo. 


2. -Passando, ora, all'esame del merito dei due ricorsi, va rilevato 
che l'insegnamento della religione cattolica nella scudla italiana risale 
alla legge sarda (Casati) del 13 novembre 1859, n. 3725 e fu ribadito nell'art. 
3 del R.D. 1� ottobre 1923, n. 2185 (riforma Gentile) secondo cui 
� a fondamento e coronamento dell'istruzione elementare in ogni suo 
grado � posto l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma 
ricevuta dalla tradizione cattolica �. 
rebbe ancora pi� evidente ove si consideri che la legge n. 93/83 ha riservato al 
procedimento degli �accordi� l'organizzazione del lavoro. 

N� si potrebbe dire, continuava il ricorrente, che le attivit� alternative 
rientrano nella tipologia dei corsi di recupero o di integrazione o delle attivit� 
parascolastiche o interscolastiche di r.ui parla l'art. 88 D.P.R. n. 417/74, perch� 
questi ultimi, a differenza delle prime, rappresenterebbero �una prosecuzione 
dell'attivit� di insegnamento curriculare �. In particolare, per le scuole superiori, 
l'alternativa dello studio individuale data a chi, dichiarando di non avvalersi 
dell'insegnamento della religione, �neppure vuole fruire dell'attivit� alternativa, 
finisce con il comportare, a carico dei docenti, un onere di vigilanza ben diverso 
da quello coessenziale all'attivit� di insegnamento, e, dunque, un compito non 
previsto dal � mansionario �. 

Con il settimo motivo, il ricorrente osservava che l'organizzazione della 

c.d. attivit� alternativa, per la parte in cui si prevede la possibilit� di � accorpare 
gli alunni oltre che per classi parallele anche in senso verticale�, darebbe 
luogo ad altra ragione di illegittimit�, perch� esautorerebbe gli Organi collegiali 
e, soprattutto, si porrebbe in contrasto �con il principio del rapporto 
docente-classe, cos� come configurato dagli artt. 2 e 3 e pi� in generale con 
l'attuale organizzazione dell'attivit� didattica�, con ulteriore discriminazione 
dei � non avvalenti�. 
Con l'ottavo motivo il ricorrente osservava che gli atti impugnati violerebbero 
alcune norme dei D.P.R. 31 maggio 1974 n. 416 e 417, perch� avrebbero 
dimenticato che, in materia di � formulazione dell'orario delle lezioni � e di 
� svolgimento delle altre attivit� scolastiche�, la �competenza � esercitata dal 
Capo d'Istituto su proposta del Collegio dei docenti, il quale deve tener conto 
dei criteri generali indicati dal Consiglio d'Istituto. 

Gli atti impugnati avrebbero del tutto dimenticato la competenza del Consiglio 
d'Istituto e si sarebbe omesso di sentire le proposte del Collegio dei 
docenti. 

Il ricorrente, in conclusione, chiedeva l'annullamento degli atti impugnati e, 
� in ipotesi �, domandava � che sia ritenuta non infondata la questione di illegittimit� 
costituzionale della legge 25 marzo 1985, n. 121, in parte de qua (e segnatamente 
l'art. 9 dell'Accordo e n. 5 del protocollo addizionale) per violazione 
degli artt. 2, 3, 19, 21, 33, 97 della Costituzione�. 

Con sentenza in data 3-26 giugno 1987, pubblicata il 7 luglio 1987, n. 1273/87, 
il T.A.R. adito ha accolto per quanto di ragione il ricorso, ritenendolo inam




PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMI1USTRATIVA 343 

Principio, quello indicato, successivamente confermato con l'art. 27 
del R.D. 5 febbraio 1928, n. 577 che configurava, anch'esso, ila dottrina 
cristiana, secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica, come 
� fondamento e coronamento dell'istruzione elementaTe �. 

L'insegnamento, concretamente discirplinato da[ regolamento di cui 
al R.D. 26 aprile 1928, n. 1297 (artt. 108-112 e allegato B) veniva configurato 
come obbligatorio, anche se era consentita �l'esenzione dei fanciulli 
i cui genitori dichiaravano di volervi provvedere personalmente� (4� comma 
detto art. 27 R.D. n. 577/1928). 

Con il Concordato dell'll febbraio 1929, reso esecutivo con la legge 
27 maggio 1929, n. 810, si provivedeva ad una maggiore estensione dell'insegnamento 
in discorso (art. 36) considerato, questa volta, � fondamento 
e coronamento dell'istruzione pubblica (non solo elementare)�. 

missibile per il resto, annullando la C.M. 29 ottobre 1986 n. 302 � laddove 
implica, per la scuola media, l'obbligo di frequenza alle attivit� integrative'" 
nonch� � l'orario delle lezioni in quella sede gravato nella parte in cui implica 
l'obbligatoriet� di tali insegnamenti �. La motivazione di tale sentenza � eguale, 
per quanto interessa, alla coeva n. 1274, prima riassunta. 

L'Amministrazione ha proposto tempestivo appello. 
Il Consiglio di Stato ha accolto, per quanto di ragione, la domanda incidentale 
di sospensione dell'esecutivit� della sentenza impugnata. 

La parte appellata ha notificato appello incidentale, per riproporre � tutti 
i motivi di censura che nella sentenza appellata sono stati dichiarati inammissibili
� e, a quanto sembra, anche le prospettazioni dichiarate infondate. 

Nell'appello incidentale si sostiene, in sintesi, quanto segue: 

1) l'ora di religione � meramente facoltativa, e non opzionale; essa va 
dunque collocata fuori dell'orario scolastico obbligatorio per tutti, cio� in un 
orario � aggiuntivo"� per tale dovendosi intendere quello che si tiene quando 
le altre attivit� didattiche sono sospese; 

2) chi ha scelto di non avvalersi dell'insegnamento predetto non pu� 

essere obbligato ad alcuna scelta alternativa; 

3) l'attivit� alternativa � comunque discriminante, perch� di contenuto vago 

ed ambiguo, per di pi� individuata nelle e.cl. attivit� integrative, di cui all'art. 7 

della legge n. 517/77, che hanno tutt'altro scopo; 

4) l'attivit� alternativa � illegittimamente organizzata, sia perch� si sono 

ignorate le competenze degli Organi collegiali, sia perch� si � preteso di im


porre a carico dei docenti un'attivit� non prevista dai mansionario, sia perch�, 

infine, si � disposto l'accorpamento, in un unico gruppo, di alunni appartenenti 

a classi diverse; 

5) se, poi, l'insegnamento della religione fosse da collocare nell'orario 

ordinario, gli artt. 9 della legge n. 121/85 e 5 del Protocollo si porrebbero in 

contrasto con gli artt. 2, 3, 19, 21, 33, 97 Cost., sia perch� violerebbero i fonda


mentali princ�pi della libert� religiosa, sia perch� introdurrebbero un sistema 

organizzativo di manifesta irrazionalit�. 

DIRITTO 

I due appelli principali, e quello incidentale del Fiori, vengono oggi all'esame 
del Collegio per il merito. 

10 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA rw.o STATO

344 

Veniva, perci�, consentito che lo stesso avesse un ulteriore sviluppo 
nella scuola media, secondo programmi da stabilirsi di comune accordo 
tra la Santa Sede e lo Stato italiano. 

Era, cos�, emanata la legge 5 giugno 1930, n. 824 che (art. 1) istituiva 
negli istituti medi d'istruzione olassica, scientifica e magistrale, nelle 
scuole e negli istituti artistici l'insegnamento religioso. 

Restava salva (art. 2) la dispensa dall'obbligo di frequentare l'inseg0amento 
in esame � per gli alunni i cui genitori o chi ne fa le veci, ne 
facciano richiesta per iscritto al capo d'istituto all'inizio dell'anno 1scolastico 
�. 

Con successivo R.D. 10 luglio 1930, n. 1015, venivano, poi, elaborati i 
programmi della materia, che erano, quindi, riveduti con l'istituzione 
della scuola media unificata e che erano fissati con D.M. 24 aprile 1963. 

~utti i suocessivi provvedimenti volti ad introdurre riforme dei corsi 

Essi propongono, nel loro insieme, il problema (dell'insegnamento della 
religione cattolica nella scuola italiana) nella sua globalit�: nel loro insieme gli 
appelli affrontano il tema in tutti i suoi vari profili e implicazioni, sicch� � 
opportuna la redazione di un'unica memoria. 

:E!. tuttavia necessario, prima di trattare il tema di fondo, dare la debita 
attenzione alle questioni pregiudiziali esaminate dal T.A.R. con la sentenza 

n. 1274/87, riguardante il ricorso della Tavola Valdese, puntualmente riproposte 
in appello. 
* * * 

Si � sollevata in primo grado, e si � riproposta in appello, l'eccezione di 
inammissibilit� del ricorso della Tavola Valdese, perch� l'obbligo di frequenza 
dell'attivit� alternativa, e la collocazione dell'insegnamento della religione cattolica 
nel quadro orario delle lezioni, non sono affatto disposti dalla impugnata 
circolare, derivando, invece, in parte dalla legge, in parte dai programmi 
ministeriali, in parte dalle precedenti circolari. L'insegnamento della religione 
cattolica nell'orario ordinario delle lezioni � disposto dall'art. 9 della legge 
25 marzo 1985, n. 121, dal relativo protocollo e dal D.P.R. 16 dicembre 1985, 

n. 751; dall'art. 2 della legge n. 1859/62 per la scuola media e dal D.M. 9 febbraio 
1979; dal D.P.R. 14 giugno 1955, n. 503, di recente sostituito dal D.P.R. 
12 febbraio 1985, n. 104 per le elementari; dal D.P.R. 10 settembre 1969, n. 647, 
di recente sostituito dal D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539, per la materna. L'attivit� 
integrativa, come alternativa per chi non si � avvalso dell'insegnamento della 
religione cattolica, � disposta con carattere di obbligatoriet� dalla C.M. 3 maggio 
1986 n. 129 (per le elementari) e dalla coeva circolare n. 130 (per le medie), 
con disposizioni ribadite dalla C.M. 24 luglio 1986, n. 211. 
11 T.A.R. Lazio ha rigettato tale eccezione esaminandola insieme con il 
� merito'" per tale essendosi inteso il problema interpretativo delle c.d. novme 
neo-concordatarie. L'eccezione di inammissibilit� � stata mal valutata, e tautologicamente 
risolta: non basta, invero; dire che le norme concordatarie vietano 
l'imposizione di oneri a carico del non avvalente per inferirne che � quindi,. le 
circolari che precedettero la � 302 � non avessero � imposto � simili oneri: le 
circolari che precedettero la � 302 � storicamente nacquero, come meglio si dir� 
tra poco, dall'esigenza di dare esecuzione o, almeno, seguito, alla Risoluzione 
della Camera dei Deputati del 15 gennaio 1986, con la quale si era sottolineata 
la necessit� di assicurare �la scelta tra alternative entrambe note e definite � 



PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 345 

cli istruzione, ovvero ad istituire nuove scuole compresero sempre, tra le 
materie curriculari, l'insegnamento della Teligione cattolica; per~tro, con 
la facolt� della dispeil!sa. 

Da sottolineare ohe alle solenni enunciazioni di principio, contenute 
nell'art. 36 del Concovdato del 1929, cui si ricdllega tutta l'evoluzione della 
successiva legislazione, non faceva riscontTo un adeguato piano attuativo, 
dal momento che iJ.e leggi le quali, concretamente, attuavano i principi 
enunciati nel Concordato, riconoscevano un ruolo ma'l'ginale all'insegnamento 
della religione nella scuola, dato che lo Stato consentiva soltanto 
la sua introduzione nei programmi delle scuole secondarie superiori, sempre, 
per�, quasi considerandolo estraneo ana funzione pubblica in ma-

che doveva essere garantita a tutti gli interessati; in particolare, tra queste 
circolari precedenti la �302 �, vi � la � 211 �, la quale segue la legge del 18 giugno 
1986, n. 281 (del tutto ignorata dal T.A.R.) la quale dispone: �Gli studenti 
della scuola secondaria inferiore esercitano personalmente ... il diritto di scegliere 
se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica ... 
Le scelte in ordine ad insegnamenti opzionali e ad ogni altra attivit� culturale 
e formativa sono effettuate personalmente dallo studente... "� 

La cronologia dei provvedimenti dimostra che l'onere della scelta e dei 
conseguenti doverosi comportamenti era gi� previsto nelle circolari che precedettero 
la � 302 �, ed in particolare in quella, �211 �, destinata a portare a compimento 
il sistema faticosamente emergente: ci�, a torto o a ragione che sia 
stato (e, come si vedr� oltre, a ragione), certo avvenne ben prima della circolare 
�302 �, che si limit� a dichiarare quanto era gi� contenuto negli atti 
precedenti. 

Il ricorso della Tavola Valdese doveva dunque essere dichiarato inammissibile, 
perch� rivolto contro un atto amministrativo meramente dichiarativo 
della volont�, in ipotesi anche solo provvedimentale o discrezionale, contenuta 
neJ1e circolari del maggio '86 e nella �211 "� 

* * * 

Si sollev� in primo grado, e si � riproposta in appello, l'eccezione di 
inammissibilit� 'del ricorso per difetto di legittimazione attiva, perch� la Tavola 
Valdese rappresenta le Comunit� valdesi, ma non ha il potere di agire 
in giudizio in � sostituzione processuale " per le persone che professano 
quella fede. 

Si rilev�, ancora, in primo grado, con eccezione riproposta in appello, 
l'improponibilit� del ricorso per difetto di giurisdizione, per la parte in cui 
si lamentava la lesione dell'interesse proprio della Tavola, che si sarebbe avuta 
per la violazione dell'Intesa: questa posizione non ha sicuramente la natura 
di interesse legittimo: o � un diritto soggettivo di tipo contrattuale, oppure 
-pi� verosimilmente -� interesse di fatto, giacch� l'Intesa trova il filtro 
della legge. 

Il T.A.R. Lazio ha risposto a tali eccezioni cos� argomentando: 

a) la Tavola Valdese agisce in giudizio �nella qualit� di contraente 

nell'Intesa di cui alla legge 11 agosto 1984, n. 449 �; 

b) la circolare viola, nella prospettazione di parte, �i principi contenuti 

nella citata legge 449 �, la quale legge vuole � evitare discriminazioni in danno 

delle Chiese valdesi e dei loro fedeli �; 

c) dunque � la Tavola, come soggetto esponenziale degli interessi di cui 

le Chiese (valdesi) sono portatrici ... (ben pu� agire) a tutela di quegli inte




346 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA QELLO STATO 


teria cli istruzione: attribuendogli, cio�, un ruolo che venne segnato sin 
dalla legge 5 giugno 1930 n. 825, attuathra del Concordato stesso, che 
disponeva che per tale insegnamento non vi sarebbero stati, comunque, 
n� voti, n� esame, n� frequenza assolutamente obbl]jgatoria (art. 2). 

L'ambiguit� del sistema si spiegava con l'esigenza, da un lat~, di 
armonizzazione dell'intero ordinamento e, quindi, anche di quello scolastico, 
al principio del confessionismo statale, che con hl. Concordato veniva 
riaffermato; dall'altro lato, con la contraddizione che la proclamata funzione 
attribuita all'insegnamento della religione conf'liggeva con la concezione. 
idealistica dello Stato etico allooa imperante, e con il ruolo preminente 
nell'educazione che da tale concezione derivava e che rivendicava 
il diritto de11o Stato di educare in piena autonomia del magistero della 
Chiesa. 

ressi '" qualificati �non dalla ricerca del mero rispetto della norma pattizia, 
ma dal peculiare intento di salvaguardia delle sue stesse primarie finalit� 
culturali,., 

L'argomento sub a) � inutilmente tautologico: nessuno ha mai contestato 
alla Tavola di essere contraente dell'Intesa �sulla base� (art. 8 Cost.) della 
quale la legge 11 agosto 1984, n. 449, dett� �norme per la regolazione dei 
rapporti tra lo Stato e le Chiese rappresentate dalla Tavola Valdese�. 

Degli argomenti sub b) e sub e) sorprende non tanto l'erroneit�, quanto 

I

il paralogismo che � alla base dell'errore; quegli argomenti, infatti, postulano 
la configurabilit� di leggi statali non rivolte a tutti i cittadini, non invoca~. 
bili, indistintamente, da qualunque membro della collettivit�, generali ed astratfil 
te, ma invocabili e utilizzabili solo da determinate categorie di persone; ci 
sarebbe la �legge dei Valdesi�, e �quella dei Cattolici�; correlativamente -� 
fecito presumere -ci sarebbe la legge dei lavoratori e quella degli impren* 
ditori; la legge degli inquilini e quella dei proprietari d'alloggi, e cosi via 

I all'infinito. Non � cosi: almeno da quando gli Stati cessarono d'essere confederazione 
di � tribus � o di � familiae �, non esiste la legge di � questo � o 
di �quello�; la legge � sempre �dello Stato�, e tutti vincola al rispetto ed 

I 
a tutti � destinata; cosi come � legge dello Stato -e non dei Cattolici quella 
di ratifica del Concordato con la Santa Sede, cosi non � la � legge dei 

I

Valdesi�, ma dello Stato, rivolta a tutti, e da tutti da osservare, la 449/84. 
Ci� che dispone l'art. 9 di questa legge deve, ovviamente, essere osservato 
dall'Amministrazione, parola per parola, virgola per virgola; tutto e bene; 
con lealt� e correttezza. Ma quello che dice l'art. 9 vale per il valdese come 
per l'ebreo, per il cattolico, come per l'ateo, o il musulmano; qualunque 
alunno ha diritto di veder garantita �la libert� di coscienza � e quindi, ex 
art. 9, ha �diritto di non avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso 
(cattolico) �. Nelle scuole della Repubblica non vi sono alunni la cui � coscienza 
libera� valga di pi� di quella di altri; i Valde.si meritano, � ovvio, ogni rispetto, 
ma non sono loro i soli destinatari dell'art. 9, il quale va osservato (anche) 
dallo Stato, tutto e bene, con lealt� e correttezza, non perch� esso fu preceduto 
da un pattQ stipulato tra un Presidente del Consiglio e un Pastore d'anime, 
ma perch� quell'art. 9 � legge dello Stato. E se � cosi, se l'art. 9, del quale 
la Tavola ha lamentato la lesione, vale tutto e per intero per qualunque 
cittadino, in quanto legge dello Stato, se, in una parola, l'art. 9 non � la 
�legge dei Valdesi�, ma la legge di tutti, allora bisogna ammettere che 



PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 347 

3. -Completamente diversa � fa motivazione dell'insegnamento, nelle 
scuole pubbliche, della religione cattolica, adottata dai Concordato revisionato. 
Il che, se comporta un evidente superamento delle precedenti ambiguit� 
e contraddizioni, implica, tuttavia, una diversa chiave interpretativa 
delle relative disposizioni e delle modalit� concernenti la loro attuazione. 

Al punto 2 dell'art. 9 del nuovo accordo tira la Repubblica Italiana e 
la Santa Sede, reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121, si afferma, 
innanzitutto, il riconoscimento da parte della Repubblica Italiana della 
cultura religiosa (di ogni specie di religione). 

Lo Stato, cio�, pur nella sua laicit�, non resta indifferente al fenomeno 
religioso (intesa l'espressione in senso lato ed a prescindere dalla 
soluzione che ai problemi posti dalla religione ognuno intenda daire); 
adegua, bens�, i suoi fini essenziali, relativi al miglioramento dell'uomo, 

l'aspettativa al rispetto dell'art. 9 non vede i Valdesi in posizione giuridica 
differenziata rispetto a quella di qualsiasi altro cittadino, o ente esponenziale, 

o associazione culturale, che voglia, come tutti devono volere, il pieno rispetto 
della legge. 
Dopo l'Intesa tra il Governo e la Tavola c'� stata la legge; l'ordinamento 
deve rispettare la legge, in favore e nei confronti di tutti; e tutti (Valdesi o 
meno) sono portatori dei diritti attribuiti dall'art. 9. La mancanza di situazione 
differenziata in capo alla Tavola Valdese rendeva dunque inammissibile il 
ricorso di primo grado, rivolto, come era, ad eccepire l'illegittimit� della 
circolare � 302 � (rivolta a tutti) per violazione dell'art. 9 della legge n. 449/84, 
e di altre norme di legge, relative a tutti. 

* * * 

Nel merito le due sentenze del T.A.R. sono sicuramente errate. Il diritto 
di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica implicherebbe, secondo 
il primo Giudice, la necessit� di escludere che sia prevista � come 
obbligatoria la frequenza a corsi di insegnamento per cos� dire alternativi... 
sicch� l'alternativa ad una facolt� verrebbe, in effetti, a convertirsi in obbligo 
(per di pi� imposto solo) ai non avvalenti �; la � facoltativit�� dell'insegnamento 
della religione cattolica dimostrerebbe che il relativo orario sarebbe � aggiuntivo 
>>, per cui il � tempo-scuola� si sarebbe, dal momento dell'introduzione 
del sistema della facoltativit�, automaticamente ridotto in proporzione; liberi, 
dunque, i non avvalenti di non essere a scuola durante l'ora di religione, o 
di fruire dei servizi loro offerti in alternativa, o di restare a scuola senza far 
nulla, con l'onere dell'Amministrazione di �garantire un idoneo servizio di 
vigilanza�. 

Il modulo organizzativo proposto dal T.A.R. nella quadriplice possibilit� 
(dell'ora di religione, della mera assenza, dell'ora alternativa, e dell'ora che 
si potrebbe definire del �nulla vigilato�) e lo schema logico che quel modulo 
dovrebbe sorreggere (dato dall'equazione facoltativit� = aggiuntivit�, ma con 
il dovere della scuola di garantire almeno la sorveglianza) non hanno precedenti 
noti nell'esperienza giuridica delle altre Nazioni civili, che, a quanto 
risulta, n� considerano la Scuola quale ospizio d'adolescenti, n� tollerano 
che siano le scelte individuali a condizionare l'organizzazione. Ma soprattutto 



,. 

348 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA l>ELLO STATO 


� considerandone la connaturnle religiosit� � nel quadro delle finalit� della 

scuola�. 

D'a!ltra parte (seconda enunciazione contenuta nell'indicata norma) 

tiene anche conto � ,che i principi del cattolicesimo fanno parte del patri


monio storico del �popolo italiano�, 

Che tali principi, cio�, hanno, tuttora, un rfilevante radicamento nehla 
cosciel12Ja (quanto meno della maggioranza) del popolo italiano, che trova, 
essenzialmente, neUa cwturn, nella tradizione e nella vita quotidiana 
i segni ed i simboli di tale tipo di religione; con la conseguenza che non 
possono essere ignorati da una scuola, la cui funzione � anche quella di 
interpretare e povtare a livello di conoscenza individuale i fenomeni pi� 
diffusi della realt� socia'le. 

Scaturisce la conseguenza che l'insegnamento della religione cattolica 
non � pi� considerato come est!l"aneo alla scuola pubblica; non � pi� una 

� da dire che il confuso modello immaginato dal TA.R. non trova il bench� 
minimo supporto nel diritto positivo vigente. 

* * * 

L'insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana ha ongme 
preconcordataria. L'art. 315 della legge sarda 13 novembre 1859, n. 3725 (c.d. 
legge Casati), che certamente non � di ispirazione clericale, e poi l'art. 3 del 

r.d. 1� ottobre 1923, n. 2185 (c.d. riforma Gentile) dispongono tale insegnamento 
nella scuola elementare, con l'affermazione che esso � fondamento e coronamento 
di quell'istruzione. 
L'art. 27 del R.D. 5 febbraio 1928, n. 577, pone, sempre per la scuola elementare, 
la � dottrina cristiana secondo la forma ricevuta da!lla tradizione 
cattolica " come fondamento e coronamento dell'istruzione; l'insegnamento in 

dettaglio � disciplinato dalle norme del relativo regolamento di cui al R.D. 
26 aprile 1928, n. 1297 (in particolare, artt. 108, 112 e allegato B). 

L'insegnamento in esame � impartito come obbligatorio, salva la facolt� 
di esonero. 

Con l'art. 36 del Concordato, di cui alla legge 27 maggio 1929, n. 810, 
�l'Italia considera fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento 
della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione 
cattolica� e perci� (quasi a sottolineare l'autonomia della scelta) �consente 
che l'insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari 
abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi 
d'accordo tra la Santa Sede e lo Stato �. 

Fu dunque emanata la legge 5 giugno 1930, n. 824, con la quale venne 
istituito �negli istituti medi d'istruzione classica scientifica e magistrale, nelle 
scuole e negli istituti d'istruzione tecnica e nelle scuole e negli istituti d'istruzione 
artistica l'insegnamento religioso � (articolo 1) con facolt� di chiederne 
la dispensa (art. 2). L'insegnamento religioso Ǐ impartito secondo i programmi 
approvati con decreto reale per un'ora settimanale in ogni classe di 
ciascun istituto ... � (art. 3). Seguono norme sulla �valutazione� (art. 4), 
sull'affidamento degli incarichi (art. 5), sui diritti e i doveri degli insegnanti 
(art. 6 segg.). 

Con R.D. 10 luglio 1930, n. 1015, vennero elaborati i programmi di insegnamento 
religioso. 


PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMI1{ISTRATIVA 349 

mera �concessione fatta alla Chiesa cattolica, rientrando, bensl, a titolo 
proprio, nelle finalit� dello Stato in ordine alla elevazione defila cultura 
e della coscienza del singolo cittadino. 

La Repubblica Italiana, pertanto (terzo enunciato dell'anzidetto punto 
2 dell'art. 9 della legge n. 121/1985), in tale diversa prospettiva �continuer� 
ad assicurare, nel quadro delle fimdit� della scuola, l'insegnamento della 
religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine 
e grado�, 

Come � dato dedurre dalle norme richiamate e come, poi, sar� ribadito 
nel relativo protocollo addizionale, il nuovo testo del Concordato non 
ha accolto il suggerimento di sostituire all'insegnamento della religione 
un insegnamento 'sulla religione: suggerimento teso a trasformare l'insegnamento 
stesso in un corso di cultura religiosa, o di storia delle \I'eligioni 

o di sociologia religiosa che, forse, avrebbe reso pi� agevole il successivo 
operato dell'Amministrazione della Pubblica Istruzione. 
Con l'istituzione della �media unificata,. fu necessario rivedere quei programmi 
che vennero dunque stabiliti, per la media inferiore, con il D.M. 
24 aprile 1963. 

I provvedimenti che, negli anni, furono rivolti a riforme dei corsi d'istruzione, 
o all'istituzione di nuove scuole, non dimenticarono mai di espressamente 
prevedere, tra gli insegnamenti curriculari, quello della religione, sempre 
con la facolt� di chiederne la dispensa (ad esempio, legge 15 giugno 1931, n. 889, 
sul riordinamento dell'istruzione tecnica: la � religione � � insegnamento curriculare; 
D.P.R. 1� maggio 1972, n. 825, per l'Istituto Tecnico per Geometri; 

D.P.R. 22 aprile 1972, n. 556 per il corso di arti grafiche dell'Istituto Tecnico 
Industriale, e cos� via). 
I programmi dell'insegnamento della religione nelle scuole superiori, gi� 
determinati dal R.D. 10 luglio 1930, n. 1015, vennero riformulati con il D.P.R. 
30 giugno 1967, n. 756 (restato in vigore fino all'adozione dell'attuale D.P.R. 
21 luglio 1987, n. 339), dove si legge: � ��� tale insegnamento intende contribuire 
all'armonico ed integrale sviluppo dell'alunno, nel rispetto delle esigenze personali 
proprie della sua et� e della sua vocazione � (art. 1). Nelle � avvertenze 
particolari� il D.P.R. in esame valorizza particolarmente l'aspetto formativo 
del dialogo che, sui temi religiosi, deve essere impostato tra il docente e 
la classe. 

Per la scuola media 1;J.Ilificata i programmi, originariamente previsti dal 

D.M. 24 aprile 1963, sono stati rielaborati con il D.P.R. 6 febbraio 1979, n. 50 
(rimasto in vigore fino all'adozione dell'attuale D.P.R. 21 luglio 1987, n. 350), 
che mette in risalto il valore formativo di tale insegnamento e i suoi aspetti 
di interdisciplinariet�, nel quadro di un armonico sviluppo dell'alunno. 
Per la scuola elementare i programmi, originariamente previsti dal d.lgt. 
24 maggio 1945, n. 459, furono sostituiti da quelli contenuti nel D.P.R. 14 giugno 
1955, n. 503; l'insegnamento della religione cattolica, qui definito come 
� fondamento e coronamento di tutta l'opera educativa �, non ha una individualit� 
netta, specie per le prime due classi, a motivo dell'esigenza di 
apprendimento dei bambini pi� piccoli. 

Il programma dell'insegnamento religioso ha acquistato la propria individualit� 
con il D.P.R. 12 febbraio 1985 n. 104. 



350 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA tEI.J..0 STATO 

� stato, cio�, indiscutibilmente ribadito il carattere confessionale dell'insegnamento 
della religione cattolica. 


Ci� ha comportato la necessit� di salvaguardare la libert� di coscienza 
dei singoli cittadini, di cui all'art. 19 della Costituzione stessa; e proda� 
mata, del resto, anche nella dichiarazione conciliare Dignitatis humanae. 

Conseguentemente, pertanto, al secondo comma dell'art. 9 del Con� 
cordato rinnovato, si � affermato l'ulteriore principio secondo cui �nel 
rispetto della libert� di coscien1Ja e della responsabilit� educativa dei 
genitori, � garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non 
avvalersi di detto insegnamento �, aggiungendosi che � all'atto della 
iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richie� 
sta dell'autorit� scolastica, senza che la loro scelta pos1sa dar luogo ad 
alcuna forma di discriminazione �. 

I

L'esplicita enunciazione, quindi, del principio secondo cui la scelta di 
avvalersi o di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica 

I 

Per la scuola materna i programmi (che qui si chiamano Orientamenti) 

I 

vennero stabiliti con D.P.R. 10 settembre 1969, n. 647 (restati in vigore fino 
alla loro sostituzione avvenuta con il D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539). Anche 
questi Orientamenti del 1969 sottolineavano la necessit� che l'educazione reli� 

l

giosa avvenisse nel pieno rispetto delle esigenze del bambino; e si affermava 

I" 

che tale educazione � consente il pieno e arn;10nico sviluppo della sua personalit�, 
l'affinamento del suo senso morale e dei valori, e radica in lui 
sentimenti di autentica socialit�, animati, cio�, dal rispetto e dall'amore f 
per il prossimo e dall'ideale della pace tra gli uomini �. :E;: interessante notare f 
f 
come il D.P.R. del 1969 avvertiva essere �indispensabile che l'educatrice sia 

~ 

sempre guidata dalla piena consapevolezza della possibile presenza in classe 
di bambini che provengono da famiglie con diverse concezioni religiose o con ! 
orientamento non religioso... �. In questi Orientamenti l'aspetto pi� stretta� 
mente confessionale � particolarmente sfumato, preferendosi dare al bambino 


I 

~ 

il senso degli � aspetti universali della religiosit� e insieme quelli specifici 

delle varie forme religiose � pi� che i contenuti dogmatici della sola dottrina 

cattolica. 

Alla vigilia degli Accordi con la Santa Sede del 18 febbraio 1984, dunque, 

l'insegnamento della religione cattolica era caratterizzato dai seguenti elementi: 

a) si trattava di insegnamento curricurale, inserito nel quadro orario 

ordinario delle lezioni, con diritto di dispensa per chi non volesse seguirlo; 

b) l'insegnamento era impartito nel rispetto della personalit� degli 

alunni; questa esigenza era sottolineata nei programmi delle scuole di ciascun 

ordine, in relazione alle cui caratteristiche trovava concreta attuazione; 

e) la confessionalit� dell'insegnamento trovava temperamento nella di� 

sposta valorizzazione degli aspetti per cosi dire universali della dottrina, e, 

in particolare, degli elementi di amore, fratellanza, solidariet�; 

d) attraverso l'insegnamento della religione cattolica, secondo i pro


grammi e gli orientamenti, lo Stato operava, pi� che una scelta culturale, 

una opzione educativa, essendo i principi fondamentali del cattolicesimo 

coincidenti con i principi fondamentali del comune sentire. 

In questa dimensione storica e logica deve essere interpretata la norma 

pattizia contenuta nell'Accordo del 18 febbraio 1984, introdotta nell'ordina




PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 351 

non deve dar luogo ad alcuna forma di discriminazione costituisce un 
altro dei principi fondamentali del concordato revisionato. 

L'avvalersi o il non avvalersi di detto insegnamento non deve portare 
ad alcuna forma di differenziazione di trattamento per gli alunni. 
Il servizio scolastico, cio�, non deve essere organizzato in modo da differenziare 
il non avvalente; ma non deve nemmeno risolversi in un aggravio 
per chi, invece, dell'insegnamento religioso intende avvalersi. 

Ed � in tale prospettiva che deve interpretarsi il 2� comma lett. b 
dell'art. 5 del protocollo aggiuntivo al nuovo Concordato secondo cui: 
�con successiva intesa tra la competente autorit� scolastica e la 
Conferenza episcopale italiana verranno determinate...; 
2) le modalit� di organizzazione di tale insegnamento, anche in relazione 
aHa collocazione nel quadro orario deMe Jezioni �. 

mento dalla legge 25 febbraio 1985, n. 121, quasi in parallelo con l'adozione 
della legge 11 agosto 19B4, n. 449 che ha dato � norme per la regolazione dei rapporti 
tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla Tavola Valdese�, 

Tanto nell'art. 9 della legge n. 449/84, quanto nell'art. 9 dell'Accordo, 
introdotto nel sistema con la legge n. 121/85, si dice che la Repubblica Italiana 
assicura l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (non 
universitarie) di ogni ordine e grado; nell'art. 9 della legge 121 si fa premettere, 
a tale affermazione, il riconoscimento del � valore della cultura religiosa � e 
del fatto � che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico 
del popolo italiano �; si fa inoltre espresso richiamo al � quadro delle finalit� 
della scuola �. 

Dunque, l'insegnamento della religione cattolica continua ad essere impartito 
nelle scuole italiane ad opera dello Stato, nel quadro delle finalit� 
della scuola: l'insegnamento non esce dalla scuola, per tornarvi praticato 
soltanto nei locali di essa; quell'insegnamento continua ad essere impartito 
agli studenti in quanto tali, e non gi� ai ragazzi in et� scolare fuori dagli 
ordinari ritmi della comunit� scolastica. L'obbligo che lo Stato si � assunto 
con la Santa Sede, che � attuato con la legge n. 121 e che � ricognito dalla 
legge 449, � il medesimo obbligo preesistente: quello di insegnare la religione 
cattolica a scuola e agli alunni, non solo nei locali della scuola o ai ragazzi 
in et� scolare. Quando si sostiene che l'insegnamento della religione cattolica 
dovrebbe avvenire fuori dell'orario scolastico, su espressa richiesta degli alunni 
o .dei loro genitori, si svolge un discorso che non tien conto del dato 
positivo: se lo Stato si limitasse a mettere a disposizione i propri mezzi 
(personali e reali) per l'insegnamento in parola, fuori dell'ordinaria vita 
scolastica, non rispetterebbe il patto concordatario, n� le leggi citate, perch�, 
invece di � assicurare, nel quadro delle finalit� della scuola, l'insegnamento 
della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine 
e grado �, finirebbe con il surrogarsi alla Parrocchia nell'organizzare corsi 
di catechesi aventi, di � scolastico �, non molto di pi� dei locali (la mattina 
adibiti a scuola e, per esempio, di pomeriggio o di sera utilizzati per il 
corso di catechismo): e ci� in contrasto: 

a) con l'impegno d'insegnare la religione cattolica a � scuola � (e non nei 
locali della scuola), e agli alunni (e non ai ragazzi fino a diciotto anni); 
b) con il riconosciuto �valore della cultura religiosa� che, come tale, 
ben merita di restare �a pieno titolo nel processo educativo scolastico; 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBl..LO STATO

352 


Quindi, nessuna marginalizzazione dell'ora di religione ha voluto introdUNe 
il nuovo Concordato, considerando, anzi, la materia alla stessa stregua 
degli aJtri insegnamenti e demandando ad un futuro accordo fa sua 

,

collocazione nel quadro orario delle lezioni. 

Accordo, peraltro, �che � stato puntualmente redatto, successivamente, 
tra il Miniistro della Pubblica istruzione dell'epoca e :la Conferenza episcopale 
e tradotto, dopo l'autorizzazione del Consiglio dei Ministri alla sottoscrizione, 
nel D.P.R. n. 751 del 16 dicembre 1985. 

Aocordo in cui, nelle premesse (2.1.), � stato esplicitamente cribadito 
ed ulteriormente chiarito che H diritto �Se arvvalersi o non avvalersi dell'insegnamento 
della religione cattdlica assicurato dallo Stato non deve 
determinare alcuna forma di discriminazione, neppure in relazione ai 
criteri per la formazione delle classi, ana durata dell'orario scolastico gior


e) con l'affermata ricognizione dei principi del cattolicesimo quali facenti 
parte del patrimonio storico del popolo italiano (e che quindi ben meritano 
di essere considerati nel momento formativo degli studenti); 

d) con l'indubbia statalit� degli insegnanti, che quindi non possono 
restare estranei all'organizzazione della scuola (art. 5 del Protocollo); 
e) con la prevista collocazione � nel quadro orario delle lezioni� (e non a 
margine o in appendice: art. 5 del Protocollo). 

Se dunque la scelta dello Stato, non certo estemporanea, n� improvvisa, 
n� nuova, � stata quella di impegnarsi all'insegnamento della religione cattolica 
a scuola (e non solo nei locali scolastici), nel quadro dell'attivit� educativa in 
favore degli alunni (e non dei ragazzi minori di diciotto anni) appare di assai 
dubbia credibilit� la pretesa sostanziale azionata dagli odierni appellati, quella 

cio� di far uscire l'insegnamento della religione cattolica dalla scuola per relegarlo 
nei locali delle scuole, e per indirizzarlo non gi� agli alunni, ma, ben 
diversamente, ai ragazzi minori di diciotto anni che ne facciano richiesta (quasi 
che la Chiesa Cattolica non avesse in Italia la capacit� di organizzarsi da sola 
i propri corsi parrocchiali o diocesani di catechesi!). 

In questo contesto va interPretata la disposizione che compare nell'art. 9 
della legge 121/85, secondo cui �nel rispetto della libert� di coscienza e della 
responsabilit� educativa dei genitori, � garantito a ciascuno il diritto di scegliere 
se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento �. Che questo diritto 
sia strettamente legato allo status di studente � reso palese dal riferimento alle 
modalit� di esercizio, che deve avvenire �all'atto dell'iscrizione, su richiesta 
dell'autorit� scolastica�. La disposizione, letta nel contesto in cui � inserita, 
sta chiaramente ad indicare che l'organizzazione dell'insegnamento della religione 
cattolica precede la singola scelta individuale e ne prescinde; la scuola 
offre a tutti i suoi alunni detto insegnamento, e, all'atto dell'iscrizione, ciascuno 
� chiamato a dire se intenda avvalersene o non avvalersene. La scelta coinvolge 
la � responsabilit� educativa dei g�nitori �, ed � data a tutela della � libert� di 
coscienza �; � una scelta che ha ad oggetto un insegnamento � offerto �, e perci� 
gi� organizzato e previsto nei programmi curriculari; quello che l'utente fa non 
� di chiedere che venga attivato l'insegnamento della religione, ma di scegliere 
se vuole avvalersene o meno. 

Quando gli appellati affermano che l'art. 9 darebbe loro la mera facolt� di 
domandare l'insegnamento della religione cattolica per inferirne che questo 
non farebbe pi� parte degli insegnamenti curriculari, e quindi dovrebbe essere 



PAR.TB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMI~ISTRATIVA 353 

naliero ed alla cdllocazione di detto insegnamento nel quadro orario delle 
lezioni. 

Specificandosi, poi, (2.2.) che neHe souole secondarie di primo e secondo 
gr~.do, compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, l'insegnamento della 
religione cattolica � organizzato attribuendo ad esso, nel quadro dell'orario 
settimanale, '1e ore di lezione previste dagli ordinamenti didattici 
attualmente in vigore, salvo successive intese. 

La collocazione oraria, inoltre, di tali 'lezioni � effettuata dal cape 
d'Istituto sulla base delle proposte del collegio dei docenti, secondo il 
normale criterio di equi1ibrata distribuzione delle diverse discipline nella 
giornata e neila settimana, nell'ambito della scuola e per ciascuna classe. 

Nulla di diverso rispetto a quanto sin qui ricordato si rinviene, poi, 
nell'intesa tra lo Stato itarliano e la Tavola Valdese di cui alla legge n. 449 
dell'll agosto 1984, che ribadisce, anch'essa, il principio secondo il quale 

relegato, al pi�, nei locali della scuola, in orario pomeridiano e serale, esasperano 
il momento soggettivo della scelta e di conseguenza lo enfatizzano, scoordinandolo 
dall'aspetto organizzativo dell'istituzione scolastica e dall'obbligo che 
lo Stato si � assunto con la Santa Sede. :E!. certamente vero che ciascuno ha il 
diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento; ma � 
altrettanto vero che la scelta cade su una realt� preesistente: la legge, in altre 
parole, non d� il diritto di chiedere che lo Stato organizzi l'ora di religione; la 
legge, ben diversamente, offre a tutti la possibilit� di scegliere se avvalersi o 
non avvalersi dell'ora di religione, gi� prevista dai programmi e obbligatoriamente 
organizzata. 

r * * * 

Questa scelta, dice la legge, non pu� � dar luogo ad alcuna forma di 

discriminazione� (art. 9 u.c. legge n. 121/85). 

:E!. logico che sia cosi, dato il coinvolgimento dei fondamentali valori della 

libert� di pensiero e di coscienza. 

La non discriminazione, se vuole essere piena e reale, oltre a:ll'esigenza del 

pieno rispetto della scelta operata, comporta due momenti di attenzione: al 

negativo, non discriminare significa non emarginare a motivo della scelta; al 

positivo, non discriminare significa dare l'equivalente educativo e formativo di 

ci� che l'interessato ha legittimamente disvoluto. 

L'aspetto negativo della non discriminazione � stato, per primo, considerato 

nell'art. 9 della legge 449/84: chi sceglie di non avvalersi dell'insegnamento della 

religione cattolica non pu� trovarsi a dover subire quell'insegnamento in ma


niera criptica .o subdola, o ad esser costretto ad affrontare orari discriminanti. 

Al positivo l'esigenza della non discriminazione richiede che non sia dato 

dalla scuola di meno al non avvalente rispetto a quanto � dato all'avvalente, 

e viceversa; e siccome la scuola d� istruzione, educazione e cultura, non 

discriminare significa dare al non avvalente l'equivalente di istruzione, educa


zione e cultura che l'avvalente riceve dall'insegnamento della religione; e, vice


versa, dare all'avvalente l'equivalente di ci� che � dato all'altro. 

L'esigenza di impostare l'organizzazione in modo che l'ovvia necessit� di 

non discriminare trovasse piena attuazione, nella sua duplice valenza oggettiva 

e soggettiva (che impone una sostanziale parit� di trattamento tra gli avva


lenti e i non avvalenti) ha trovato considerazione nella stessa legge 121, che ha 

segnato le direttive generali dell'azione successiva. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBU.0 STATO

354 

la Repubblica Italiana, nell'assicurare l'insegnamento della religione cattolica 
nelle scuole pubbliche, materne, elementam, medie e secondarie 
superiori, riconosce agli alunni di dette scuole, al fine di garantire la 
libert� di coscienza di tutti, il diritto di non avvalersi delle pratiche e 
dell'insegnamento religioso, per loro dichiarazione, se maggiorenni o, altrimenti, 
per dichiarazione di uno dei loro genitori. 

Ed aggiunge che, per dare reaile efficacia all'attuazione di tale diritto, 
l'ordinamento scolastico provvede a che l'insegnamento ireligioso ed ogni 
eventuale pratica religiosa, nel.'la classe in cui sono presenti alunni che 
hanno dichiarato di non avvalersene, non abbiano �luogo in oocasione 
dell'insegnamento di altre materie, n� secondo orari che abbiano per 
detti alunni effetti comunque discniminanti. 

Da richiamare, infine, ancora sull'argomento fa legge 18 giugno 1986, 

n. 281, �secondo cui (art. 3) le scelte 'in ordine ad .insegnamenti opzionali 
Il problema, che il Legislatore ha espressamente considerato, era quello 
di adeguare. l'organizzazione preesistente dell'insegnamento religioso al � garantito 
diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento � pur 
rimanendo questo � nel quadro delle finalit� della scuola,. e nella scuola; la 
legge 121, peraltro, apprezza la complessit� del tema a livello operativo; e 
infatti il Protocollo addizionale, il quale � parte della legge 121, mentre chiarisce 
che la religione cattolica � impartita � in conformit� alla dottrina della Cihesa " 
(cosi ribadendo la vocazione prettamente educativa della materia, escludendo 
che essa sia ridotta ad insegnamento sulla religione e cio� ad un capitolo di 
storia) e � nel rispetto della libert� di coscienza degli alunni � (che vanno � educati
�, e non �costretti�), prevede che una successiva intesa bilaterale tra 
l'Autorit� scolastica e la Conferenza Episcopale determini i vari aspetti di 
quell'insegnamento (i programmi, le modalit� di organizzazione, la collocazione 
nel quadro orario delle lezioni, i criteri per la scelta dei libri di testo, i profili 
della qualificazione professionale degli insegnanti). 

Questi vari aspetti sono rimessi alla successiva Intesa perch� propongono 
temi prevalentemente operativi; la cornice entro la quale detti aspetti sono destinati 
a trovare concreta disciplina � chiaramente fissata dalla legge 121, la quale, 
come si � accennato, vuole l'insegnamento religioso a scuola, nel quadro delle 
finalit� di essa, come insegnamento specialmente formativo ed educativo, nel 
pieno rispetto della coscienza di coloro che se ne avvalgono (che vanno educati, 
ma non �costretti�) e di coloro che non se ne avvalgono (che non devono 
trovarsi a subirlo subdolamente o cripticamente). 

L'importanza dell'Intesa, destinata a rappresentare il momento attuativo 
ed operativo dei princ�pi del Concordato, non poteva ovviamente sfuggire nelle 
sedi istituzionali; e infatti, gi� nella seduta del 20 marzo 1985, in occasione del 
definitivo esame della legge di ratifica ed esecuzione dell'Accordo, la Camera 
dei Deputati impegn� il Governo � a sottoporre preventivamente al Parlamento 
ogni proposta o ipotesi di intesa concernente... l'attuazione di principi sanciti 
dall'accordo concordatario al fine di consentire alle Camere di esercitare in 
tempo utile i propri poteri di indirizzo� (Atti Camera IX Legislatura pag. 26241). 

Il Ministro della Pubblica Istruzione, quindi, port� all'esame del Parlamento 
lo schema dell'Intesa con la CEI in corso di perfezionamento: questo 
esame inizi� il giorno 10 dicembre 1985 davanti all'VIII Commissione permanente 
della Camera (Bollettino Commissione, pag. 73). 



PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDBNZA AMMINISTRATIVA 355 

e ad ogni altra attivit� culturale e formativa sono effettuate personalmente 
dallo studente. 

Da sottolineare, infine, per quanto pu� valere sulla complessiva interpretazione 
del sistema, la mozione parlamentare della Camera dei 
Deputati del 16 gennaio 1986, la quale, tra l'altro, impegna il Governo a 
fissare natura, indirizzi, modalit� di svolgimento e di valutazione delle 
attivit� cultua:-alii e formative offerte dalla scuola nei suoi diversi gradi a 
chi intende non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, al 
fine di assicurare la scelta tra alternative entrambe note e definite predisponendo, 
entro il 30 aprile, le misure di conseguenza necessarie, anche 
con eventmtle provvedimento di legge. 

4) Cos� ricostruito il complessivo sistema normativo, la sua interpretazione, 
letterale, logica, storica e sistematica, ad opinione del Col


e in questa sede che per la prima volta si delinea il problema della c.d. 
alternativa da offrire a coloro che abbiano scelto di non avvalersi dell'insegnamento 
della religione cattolica. Il tema trova una certa attenzione nelle 
sedute dell'll e del 12 dicembre 1985 (Giurite e Commissioni, pag. 24 segg.; Bollettino 
Commissioni, pag. 38 segg.), ma � trattato ad un livello, per cosi dire, 
problematico, domandandosi, pi� che affermando, da alcuni degli oratori, se 
non sia il caso che la scuola offra al non avvalente una qualche � alternativa �; 
dagli interventi traspare, da un lato, che il tema non � considerato di pressante 
urgenza e dall'altro che esso potr� essere esaminato in occasione della riforma 
della scuola. Quello che preme ai deputati, intervenuti nel dibattito, � sottolineare 
l'esigenza che l'Intesa rispetti il Concordato e che la scelta garantita 
da questo non sia, di fatto, sterilizzata a mera domanda di esonero. 

Il Ministro della Pubblica Istruzione propone, dunque, al Consiglio dei 
Ministri di essere autorizzato a firmare l'Intesa; il Consiglio dei Ministri auto-� 
rizza nella riunione del 14 dicembre 1985, e pertanto l'Intesa viene sottoscritta 
nella medesima data, ed ottiene la �piena ed intera esecuzione" con D.P.R. 16 dicembre 
1985, n. 751. 

A questo punto il Ministro adotta la prima circolare sull'insegnamento della 
religione, in data 20 dicembre 1985, n. 368; con essa si dispone in ordine alle 
modalit� della scelta, alla formazione dell'orario settimanale, ai programmi, ai 
libri di testo, nell'intenzione di dare operative disposizioni in attuazione delle 
nuove norme; e si fa un cenno in ordine all'alternativa, dove si dice che � la 
scuola... assicura agli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione 
cattolica ogni opportuna attivit� culturale e di studio con l'assistenza 
degli insegnanti, escluse le attivit� curriculari comuni a tutti gli allievi �. Si 
dice ancora nella circolare che ii diritto di scelta va esercitato all'atto della 
iscrizione, cio� (per le prime classi della materna, dell'elementare e della 
media) entro il 25 gennaio 1986. Si dispone, ancora, che l'orario settimanale dell'insegnamento 
religioso, che � quello vigente, possa, per l'elementare e la 
materna, essere frazionato in periodi inferiori all'ora. 

Questa circolare ha l'effetto di portare alla diretta attenzione di tutte le 
componenti sociali e politiche il problema dell'insegnamento religioso; l'impatto 
� di enorme portata. Piovono le osservazioni, le critiche, le proteste, le adesioni; 
c'� chi imputa al Ministro di non aver rispettato l'Intesa, e chi si duole della 
eccessiva corrivit�; vi sono molti che sostengono che il non avvalente ha diritto 



356 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBJ.J..O STATO 

legio, porta, in sintesi, a ritenere ohe l'insegnamento deMa religione cattolica 
nelle ,scuole secondarie non universitarie sia, oggi, materia curriculare, 
che lo Stato � obbligato a praticare in quanto ritenuta attinente 
alle finalit� della scuola ed in quanto inerente al patrimonio storico del 
popdlo italiano. 

Trattasi, peraltro, di insegnamento facoltativo, nel solo senso, per�, 
ohe � data facolt� aglli �a<lunni di non avvalersene per loro libera scelta 
o, se minori, nella scuola secondaria inferiore e ne1la scuola elementare 
e materna, per sce'lt:a di uno dei genitori esercente la potest� genitoriale; 
purtuttavia, esso contribuisce alla determinazione del complessivo quadro 
orario, dal che consegue che la scuola � tenuta ad offrire in alternativa 
ai non avvalenti altro insegnamento, ovvero attivit� culturali e formative 
equivalenti, che, una volta esercitata l'opzione, � obbligatorio frequentare. 

di starsene a casa durante l'ora di religione, e molti che affermano essere 
diritto del non avvalente di stare a scuola, impegnato in una dignitosa attivit� 
alternativa; c'� chi si duole di non poter scegliere se avvalersi o non avvalersi, 
perch� non gli viene spiegato il contenuto dell'alternativa, e chi osserva che la 
scelta non pu� considerarsi risolutivaraente condizionata dai contenuti dell'alternativa: 
sorgono, insomma, le pi� varie e disparate proteste, e le pi� articolate 
dichiarazioni di adesione. 

Il tema torna in Parlamento, e il dibattito si focalizza sulla circolare n. 368, 
pur non mancando le prevedibili voci di chi si perita di ridiscutere l'Intesa: 
nella seduta del 15 gennaio 1986 (Atti Camera, Resoconto sommario n. 416, pag. 4 
segg.) prendono la parola quasi tutte le parti politiche, chi rimettendo in discussione 
addirittura il Concordato, chi criticando l'intesa, chi limitandosi a parlare 
della circolare 368; emergono due posizioni fondamentali, che rispecchiano 
altrettante impostazioni culturali: da tutti si sostiene che ai non avvalenti 
vada data una concreta attivit� alternativa, ma alcuni affermano e altri negano 
che la qualit� dell'alternativa possa condizionare la scelta tra l'avvalersi o il non 
avvalersi dell'insegnamento religioso. 

La Camera adotta una Risoluzione che � impegna il Governo a fissare 

natura, indirizzi e modalit� di svolgimento e di valutazione delle attivit� cultu


rali e formative offerte dalla scuola... a chi intenda non avvalersi dell'insegna


mento della religione cattolica, al fine di assicurare la scelta tra alternative 

entrambe note e definite ... �; nel frattempo il termine per la scelta deve essere 

differito; l'ora di religione e dell'attivit� alternativa vanno collocate � entram


be� nell'ora iniziale o finale delle lezioni; entrambe devono essere valutate su 

� apposito modulo distinto dalla pagella�. 

La Risoluzione parlamentare �, ovviamente, un atto politico; l'opinione che 

in essa si esprime non vincola in termini giuridici; ma il Ministro si pone 

subito all'opera nel rispetto delle indicazioni avute: sposta il termine delle iscri


zioni, d� impulso agli atti indicati nella Risoluzione e pone allo studio, in ter


mini operativi concreti, l'organizzazione dell'attivit� alternativa. Di questa si 

parla ampiamente alla Camera (VIII Commissione permanente) e al Senato 

(Istruzione, 78); nel dibattito torna a prevalere l'opinione che l'attivit� alterna


tiva non � elemento indispensabile per l'esercizio del diritto di scelta dato dalla 

legge; essa � senz'altro da dare al non avvalente, ma � impossibile organizzarla, 

in ogni dettaglio, senza sapere a quanti sar� destinata, e senza che gli organi 

collegiali delle singole scuole e dell'apparato scolastico possano pronunciarsi; � 



PARm I, SEZ. V, GIU�u:SPRUDBNZA AMMINISTRATIVA 357 

La scelta tra l'avvalersi ed il non avvalersi dell'insegnamento in discorso 
non deve portare aid alcuna forma di discriminazione o differenziazione 
tra gli alunni; H che implica, tra l'altro, un equilibrato inserimento 
della materia con le altre discipline della giornata e della settimana 
�scolastica per ciascuna Classe, senza alcuna marginalizzazione. 

L'obbligo della frequenza delle attivit� alternative non deve risolversi, 
in concreto, in un'<ingiustificata forma di discriminazione, in relazione 
aihle materie ed alle pratiche offerte ai non avvalenti; esso, peraltro, 
in s�, non � discriminatorio, dal momento che evita un disvalore asso� 
luto quafo sarebbe il dirotto non gi� di non avvalersi dell'insegnamento 
della religione cattolica � ma di potersi disimpegnare a volont� da qualsiasi 
altra :attivit� alternativa e sostitutiva �. 

5) In contrasto con quanto precedentemente riassunto, gli or1gmari 
ricorrenti, attuali appellati e con essi il T.A.R., hanno ritenuto che non 

invece opportuno che si delineino subito, con la concretezza del caso, le ridette 
alternative, tenendosi conto delle esigenze dei vari ordini e gradi di scuola, 
affinch� tutti abbiano la certezza che la lorv scelta (l'unica che la legge accorda: 
avvalersi, oppure non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica) non 
dar� luogo a discriminazione alcuna, e che vi sar�, per chi non si avvale dell'insegnamento 
religioso, una reale alternativa (Bollettino Commissioni Camera, 
seduta 19 febbraio 1986, pag. 60; Giunte e Commissioni Senato, seduta del 
TI febbraio, 6 marzo, 29 aprile 1986, pagg. 26 segg., 15 segg., 3 segg.). In questo 
ampio dibattito parlamentare sull'attivit� alternativa emerge la convinzione che 
l'organizzazione di essa vada subito garantita, ma vada attuata, attraverso la 
partecipazione degli Organi collegiali, dopo l'avvenuta scelta, quando si conosca 
la dimensione quantitativa delle esigenze da soddisfare, per ogni singola realt� 
scolastica. Emerge anche l'opportunit� di adoperare gli strumenti legislativi gi� 
in vigore (quelli cio� delia legge 517/77) per le elementari e le medie. 

Cqsl, il 3 maggio 1986, il Ministro adotta le quattro circolari 128, 129, 130, 
131, rispettivamente per la materna, l'elementare, la media, la secondaria, nelle 
quali l'attivit� alternativa per i non avvalenti � garantita come segue: 

a) per la materna: attivit� nel quadro degli Orientamenti in vigore, da 
definire, entro il primo mese dall'inizio della scuola, dal Collegio dei docenti, 
sentiti i genitori; tali attivit� si collocano contestualmente all'insegnamento religioso, 
di preferenza all'inizio o alla fine dell'orario giornaliero di funzionamento 
della scuola; 

b) per l'elementare: attivit� educative, da definire entro il primo mese 
dall'inizio delle lezioni dai Consigli di interclasse, sentiti i genitori; tali attivit� 
vengono � realizzate nel quadro di quanto previsto dall'art. 2 della legge 4 agosto 
1977, n. 517 �; devono concorrere al processo formativo della personalit� degli 
alunni � e saranno particolarmente dirette all'approfondimento di quelle parti 
dei programmi pi� strettamente attinenti ai valori della vita e della convivenza 
civile�; la collocazione oraria � quella sopra ricordata sub a); 

e) per la media: attivit� formativa, da definire entro il primo mese dall'inizio 
delle lezioni dai Collegi dei docenti, sentiti i genitori; queste attivit� 
sono realizzate � nel quadro di quanto previsto dall'art. 7 della legge 4 agosto 
1977, n. 517 �; esse �devono concorrere al processo formativo della personalit� 
degli allievi e saranno particolarmente rivolte all'approfondimento di quelle 



RASSEGNA DEIJ.'AVVOCATURA DELLO STATO

358 

sarebbe consentito imporre, a chi intenda non avvalersi dell'insegnamento 
della religione cattolica, la scelta di altro insegnamento o di altra 
attivit� o pratica culturale alternativa. 

L'insegnamento della .religione cattolica avrebbe, infatti, perduto il 

carattere della obbligatoriet� in virt� della legge n. 121/85 e della legge 

n. 449/84, per cui sarebbe manifestamente illogico ed intimamente contraddittorio 
prevedere come obbligatoriet� la frequenza a corsi di dnsegnamento 
alternativi rispetto al primo, sicch� l'alternativa ad una facolt� 
verrebbe, in effetti, a convertirsi in un obbligo; e poich� questo investirebbe 
solo i non avvalenti, sairebbe manifesta la discriminazione da 
essi patita, in palese contraddizione colle disposizioni di cui alle leggi 
sopracitate. 
Anche se apparentemente suggestiva, la tesi non � condivisibile, dal 
momento che la questione cos� come risulta prospettata, in termini, cio�, 

parti dei programmi di storia e di educazione civica pi� strettamente attinenti 
alle tematiche relative ai valori fondamentali della vita e della convivenza 
civile�; 

d) per le superiori: attivit� culturali e di studio programmate dal Collegio 
dei docenti; esse devono concorrere al processo formativo della personalit� degli 
alunni; � saranno particolarmente rivolte all'approfondimento di quelJle parti dei 
programmi... che hanno pi� stretta attinenza con i documenti del pensiero e 
dell'esperienza umana relativi ai valori fondamentali della vita e della convivenza 
civile �; chi non vuole seguire queste attivit� culturali, potr� dedicarsi allo 
� studio individuale�. 

Poco dopo vengono approvate le � specifiche e autonome attivit� educative 
in ordine all'insegnamento della religione cattolica� nella scuola materna (D.P.R. 
24 giugno 1986, n. 539) ed � emanata la legge 18 giugno 1986, n. 281. 

Questa legge riconosce agli studenti delle superiori il diritto di scegliere 
�personalmente se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione 
cattolica� ed aggiunge che � le scelte in ordine ad insegnamenti opzionali e ad 
ogni altra attivit� culturale e formativa sono effettuate personalmente dallo 

studente� (art. 1, 3� comma). 

Segue la circolare 211/86 che, tra l'altro, ribadendo l'esigenza che le attivit� 
alternative siano programmate � subito� � appena iniziato l'anno scolastico �, 
ricorda che tali attivit� sono svolte dai docenti in servizio (anche DOA) nei 
limiti dell'orario di servizio; in mancanza pu� farsi ricorso al lavoro straordinario 
(con il consenso dei docenti); in mancanza, possono assumersi supplenti. 

Con successiva circolare, la n. 302/86, il Ministero chiarisce che tutti gli 
alunni hanno il diritto-dovere di fruire di eguale � tempo-scuola �; il non avva� 
lente ha dunque il diritto-dovere di frequentare l'attivit� alternativa, cosi come 
l'avvalente ha il � diritto-dovere � di frequentare l'ora di religione. I docenti, si 
afferma inoltre, hanno il dovere di dedicarsi all'attivit� alternativa, nei limiti 
dell'orario di servizio, ex art. 88 D.P.R. n. 417/74. 

L'ultima circolare in argomento � la n. 11 del 21 gennaio 1987: con essa 
si dispone che tanto l'insegnamento della religione cattolica quanto l'attivit� 
alternativa sono oggetto di valutazione, da predisporre su una nota personale 
allegata alla pagella (o alla �scheda�) firmata dal docente e vistata dal capo 
d'Istituto; quando l'attivit� � svolta da docenti � non della stessa classe o da 
supp!ente appositamente nominato� questi docenti hanno titolo per partecipare 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 359 

semplicemente di facoltativit� o di obbligatoriet�, implica un'impostazione 
riduttiva del problema dell'insegnamento della religione cattolica, soprattutto 
se considerato alla stregua dei due indicati criteri che, nelle 
premesse deH'art. 9 del Concordato irinnovato, sorreggono fa motivazione 
dell'obbligo dello Stato a continuare a prestare l'insegnamento medesimo 
nelle scuole di ogni ordine e grado a <:arattere non universitado. 

D'altra parte, a ben riflettere, appare evidente il sa:lto logico insito 
nella tesi qui ciriticata, dato che, tanto la legge n. 449/1984, tanto la legge 

n. 121/85, prevedono soltanto il d~ritto di non avvalersi delle pratiche e 
dell'insegnamento religioso svolto normalmente nelle scuole non universitarie; 
diritto valevole, ovviamente, anche per chi � di fede cattolica. 
Nulla � previsto, invece, in relazione alle opzioni alternative da offrire 
a chi dichiara di non volersi avvalere -di detto insegnamento, n� in 
merito alla obbligatoriet� o meno di sottostare a tali alternative, che si 

al consiglio di classe o di interclasse; si chiarisce, infine, che per gli studenti 
delle superiori che abbiano scelto lo studio individuale viene rilasciata apposita 
attestazione dalla scuola. 

Il problema di fondo che il Consiglio di Stato � chiamato ad affrontare ha 
ad oggetto il quesito � se dal ricordato complesso di disposizioni risulti operata 
una discriminazione in danno di coloro che hanno esercitato il diritto di non 
avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica �. Se la questione si imposta 
senza enfasi, risulta subito evidente che il tema di indagine porta necessariamente 
all'esame del quesito �se sia stato assicurato ai non avvalenti un trattamento 
equivalente a quello garantito agli avvalenti �. Per rispondere al quesito 
bisogna considerare non solo ci� che � dato a chi non si avvale dell'insegnamento 
della religione cattolica, ma, prima di tutto, ci� che � dato a chi se ne avvale. 

� sicuro che la Scuola italiana, come quella di ogni Nazione civile, non ha 
solo una funzione di istruzione, n� � � fabbrica di nozioni�; la vocazione 
educativa della Scuola risponde alla logica della sua stessa ragion d'essere e 
trova comunque coerente riscontro positivo nell'impostazione dei programmi 
e nelle affermazioni legislative che hanno dato vita ai singoli ordini e gradi. 
Vi sono, per cos� dire, due momenti nei quali la Scuola svolge la sua coessenziale 
funzione educativa: uno � quello della stessa aggregazione dei gruppi nella 
comunit� scolastica, che impegna al reciproco rispetto, alla convivenza, alla solidariet�; 
l'altro � quello dei singoli insegnamenti, ognuno dei quali � voluto, dai 
singoli programmi, come rivolto non solo a dare nozioni, ma a formare i giovani: 
i quali non sono �vasi da riempire�, ma � fuochi da accendere�. Nel 
quadro della finalit� educativa e formativa della Scuola italiana, alcune materie 
hanno, � vero, una consistenza in cui l'aspetto informativo prevale su quello 
educativo; ma ve ne sono altre in cui la vocazione educativa nettamente fa 
premio su quella � istruttiva �. 

La religione cattolica � una di queste: e non perch�, si badi, 10 Stato 
italiano voglia che dalla sua Scuola escano dei buoni cristiani, ma perch� 
i principi fondamentali del cattolicesimo � fanno parte del patrimonio storico 
del popolo italiano �. Se si scorrono i programmi vigenti dell'insegnamento religioso, 
ci si avvede che esso � intende contribuire all'armonico ed integrale sviluppo 
dell'alunno� (D.P.R. 30 giugno 1967, n. 756, per le Superiori; analoghe proposizioni 
si leggono nel vigente D.P.R. 21 luglio 1987, n. 339, e nel D.P.R. 21 luglio 

11 



RASSEGNA DBI.J..'AWOCATURA DELLO STATO

360 

evince invece considel"ando l'intero sistema, dovendo la scuola, per la 
quale peraltro l'irtsegnamento della religione cattolica � oggettivamente 
obbligatorio, adopera!1Si per evitare ogni forma di discriminazione sia dei 
non avvalenti, sia per coloro che abbiano, invece, scelto di avV1alersi del-
1'.insegnamento stesso. 

Del resto, anche alla stregua. del precedente ordinamento, l'insegnamento 
della religione cattolica finiva per avere riconosciuto il carnttere 
della facoltativit�, sotto il profilo soggettivo, avendo la giurisprudenza 
ritenuto di consideriare l'esonero come un vero e proprio diritto soggettivo. 

Si trattava, per�, di una facoltativit� che implicava, quella s�, una 
macroscopica discriminazione, proprio perch� imponeva all'esonero un 
dovere di non frequenza e cio� un'espulsione, sia pure temporanea, dalla 
comunit� scolastica. 

1987, n. 350 relativo alla scuola media :inferiore), nel riconoscimento �dei valori 
religiosi nella vita dei singoli e della societ� ... � (perch�) �la realt� religiosa � 
un dato storicamente, culturalmente e moralmente incarnato nella realt� sociale 
in cui il fanciullo vive� (D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104, per le Elementari); fin 
dai primi anni il bambino va educato � agli aspetti universali della religiosit�,. 
valorizzandosi � il messaggio evangelico dell'amore, della fratellanza, della pace� 

(D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539, per la Materna). Che l'insegnamento della religione 
cattolica nella scuola italiana avvenga �in conformit� alla dottrina della 
Chiesa� � sicuro; ma � altrettanto sicuro che di questa dottrina � valorizzato 
l'aspetto educativo nella sua dimensione, per cos� dire, � apollinea� e luminosa, 
di universale solidariet� e amore. Se si fa attenzione ai dati positivi dei programmi 
ministeriali, ci si accorge che l'aspetto rigorosamente confessionale 
della dottrina sfuma in favore dell'educazione dell'alunno ai valori fondamentali 
della nostra cultura; nei programmi in esame non c'� il buio angosciante di 
antiche impostazioni quasi dionisiache, n� c'� il medioevale � cupio dissolvi �; 
non si valorizzano l'aspetto della �colpa�, il senso del peccato, l'orgoglio del 
possesso privilegiato della verit�; vi sono, invece, la luce dell'amore e dell'universalit�, 
i sentimenti della comprensione e della solidariet�, il senso della vita, 
della fratellanza e della pace. 
Se, dunque, a chi si avvale dell'insegnamento della religione cattolica (secondo 
la dottrina di una Chiesa postconciliare che ha nettamente superato, nella 
�evoluzione interna del dogma�, di cui parlano i suoi teologi, certe antiche 
insofferenze e tenebrose cupezze) � dato un momento scolastico di netta prevalenza 
dell'aspetto educativo in ordine ai valori fondamentali dell'umanit�, della 
pace, della solidariet�, dell'amore, il giudizio di equivalenza rispetto al trattamento 
dei non avvalenti va svolto considerandosi se a costoro sia riservato un 
analogo momento formativo-educativo. Ovvio � che l'identit� � impossibile, 
giacch� l'insegnamento religioso � l'unico capace di fondare l'etica sul soprannaturale, 
e quindi di ancorare le regole del comportamento sociale alla placida 
certezza di una verit� immutabile, laddove qualunque altra disciplina le medesime 
regole non pu� non formulare come conquista del razionale, cio� dell'umano, 
sulla stimolante angoscia del dubbio. La Scuola non � chiamata a 
risolvere il problema di coscienza che ogni genitore dovrebbe porsi in ordine 
alla scelta educativa dei figli nel momento pi� intimo, che � quello di decidere 
se l'educazione debba trovare fondamento metafisico, oppure soltanto razio




PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 361 

Partendo dal presupposto, orm�i generalmente riconosciuto, che la 
scuo'la d� cultura e che ogni forma di insegnamento in essa praticato 
contribuisce all'elevazione spirituale ed etica dell'allievo, era ohiaira la 
discriminazione per l'esonerato, costretto ad av�valersi del servizio per un 
tempo .inferiore a quello riservato ag1i altri allievi e tenuto addirittura 
fuori daHa comunit� scolastica. 

Diversa, invece, � la situazione derivante dal Concordato revisionato, 
in base al quale il non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica 
non � considerato un disvalore, bens� costituisce l'esercizio di un diritto 
soggettivo ed implica l'u1teriore pretesa, costituente ranch'essa un 
vero e proprio diritto a non essere, perci�, discriminati con l'esclusione 
dalla comunit� scolastica, ma a poter usufruire di un tempo scuola non 
inferiore rispetto a quello praticato agli avvalenti. 

nale; la Scuola interviene quando, operata la scelta di fondo, a ciascun alunno 
va data la stessa attenzione educativa e formativa. 

Se si guardano le circolari del maggio 1986, ci si avvede che le attivit� 
alternative hanno tutte, e per ogni ordine di scuola, la medesima vocazione educativa 
e formativa dell'insegnamento della religione cattolica: queste attivit� 
sono tutte dichiaratamente indicate tra quelle � pi� strettamente attinenti ai 
valori della vita e della convivenza civile>>, o � alle tematiche relative ai valori 
fondamentali della vita e della convivenza civile>>, o, � dovendo concorrere al 
processo formativo della personalit� degli alunni>>, � saranno particolarmente 
rivolte all'approfondimento di quelle parti dei programmi... che hanno pi� 
stretta attinenza con i documenti del pensiero e dell'esperienza umana relativi 
ai valori fondamentali della vita e della convivenza civile�. 

Se dunque i programmi di religione sono mirati all'educazione e alla formazione 
del giovane nella sua dimensione sociale, non pu� dirsi sostanzialmente 
diversa da tale finalit� -e quindi discriminante -l'impostazione dell'attivit� 
alternativa, riservata a chi, avendo scelto di non avvalersi dell'insegnamento 
della religione cattolica, � nondimeno destinato a ricevere, con lo stesso impegno, 
l'attenzione dell'opera educativa e formativa dello Stato. 

* * * 

Anche il TAR ammette che �:l'insegnamento religioso cattolico... non ha 
cessato di essere materia collocantesi nel normale quadro orario delle lezioni �; 
ed � logico che sia cos�, data la vocazione formativa di tale insegnamento la 
quale, a pieno titolo, lo rende degno di partecipare al momento dell'educazione 
e dell'istruzione, � nel quadro delle finalit� della scuola � (art. 9 legge 

n. 121/85) per il riconosciuto �valore della cultura religiosa� (art. 9 cit.). 
L'aggiuntivit� dell'insegnamento religioso rispetto agli altri insegnamenti 
curriculari non va dunque vista in relazione alla funzione formativa, educativa 
ed istruttiva che la legge gli assegna ma, ben diversamente, ai contenuti che 
liberamente possono essere voluti o disvoluti. Ci� che l'ordinamento riconosce 
a tutti � il diritto d'avvalersi o di non avvalersi del ridetto insegnamento ma 
non certo il diritto di rinunciare ad una porzione del tempo-scuola. Se la 
scuola realizza la sua funzione attraverso dei ritmi temporali .che � la legge 
ad indicare (i c.d. orari minimi: art. 9 della legge 9 agosto 1978, n. 463, per la 
Materna; art. 88 D.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, per l'Elementare; art. 3 della 
legge 31 dicembre 1962, n. 1859, come modificato dall'art. 2 della legge 16 giu




362 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ.O STATO 

Come ben messo in evidenza dall'Avvocatura dello Stato, l'insegnamento 
della religione cattolica non � oggi un quid pluris, un qualcosa, 
cio�, di aggiuntivo per gli alunni che di tale insegnamento intendano 
avvalersi, bens�, come osservato precedentemente, un valore culturale 
e didattico riconosciuto dalla scuola, che il giovane ha non solo iil diritto 
ma .anche il dovere di acquisire (ovviamente fatta salva la sua libert� 
di coscienza in materia) per la realizzazione delle finalit� della scuola 
che devono essere, indefettibilmente, perseguite in conformit� dell'orario 
curriculare. 

Per non discriminare, pertanto, il non avvalente, appare necessario 
offrirgli un'alternativa che abbia il massimo possibile di equivalen2la, 
sotto ii profilo del valore didattico e formativo, dell'insegnamento della 
religione cattolica, in modo da attuare, anche per esso, il principio so-� 
lennemente enunciato nel primo inciso del punto 2 dell'art. 9 del nuovo 

I

gno 1977, n. 348, per la Media; art. 47 R.D. 30 aprile 1924, n. 965, che fa rinvio f, 
ai singoli decreti di approvazione degli orari e dei programmi dei vari tipi r: 
di scuola: per esempio, D.P.R. 1� maggio 1972, n. 825, per le Superiori) e se 

I

l'insegnamento religioso � ed � rimasto ad occupare una o due di quelle ore, 
non � assolutamente lecito dire che il tempo-scuola si � ridotto di una o di due 

i

ore per effetto del diritto di scelta a ciascuno accordato in ordine all'insegna


f: 
mento in questione; chi sceglie di avvalersene fruisce di un insegnamento ):' 
curriculare perch� � nei programmi e nell'ordinario tempo scolastico; chi non 
~ 

f 

' 

se ne avvale esercita il �diritto di non fruire di tale insegnamento, ma non 

I f:

gi� di rinunciare ad una parte del tempo-scuola. 

La legge permette a ciascuno, sul piano soggettivo, di credere o non cre


dere al �valore della cultura religiosa �; di confidare o non confidare nella 

validit� di un insegnamento religioso impartito dallo Stato; di dubitare della I 

coerenza di un apparato laico che si fa maestro di dottrine trascendenti; di ~� 

non guardare con favore l'atteggiamento di una Scuola di tutti che insegna ad I 

onorare il Dio di alcuni; di aver paura di un � Dio obbligatorio �; di comporff 


tarsi di conseguenza sul piano della scelta individuale; ma ci� che la legge non f 

~ 

d� di mettere in discussione � la valutazione legislativa dei ritmi necessari 

per la realizzazione del fine formativo ed educativo della Scuola. Le ripetute 

norme neoconcordatarie, cos� come l'art. 9 della legge 449/84, danno il diritto 

di scelta tra l'avvalersi o il non avvalersi del ridetto insegnamento, non tra 

l'avvalersi e il non avvalersi di una porzione del tempo normativamente stabilito 

per il processo formativo ed educativo della scuola. In una parola, ogni alunno 

deve essere a scuola per il tempo minimo previsto dai programmi; di una por


zione di quel tempo ciascuno pu� legittimamente disvolere i contenuti curricu


lari; e siccome si � dichiaratamente superato il sistema della dispensa, quel 

disvolere non pu� pi� significare mera assenza; l'alunno, che disvuole i conte


nuti dell'insegnamento religioso, ha oggi il diritto (e il dovere) di aspettarsi 

dallo Stato (e di dedicarsi a) qualcosa di equivalente a quello che ricevono 

coloro che abbiano invece scelto di avvalersi dell'ora di religione. 

Una delle novit� del sistema neoconcordatario � proprio questa: fermo 

l'insegnamento religioso nel quadro delle finalit� della scuola, e nel curriculum 

scolastico, fermi il valore della cultura religiosa e la vocazione educativa e 

formativa di quell'insegnamento, chi sceglie di non avvalersene non � visto come 

un �dispensato�, ma come uno che, avendo esercitato un diritto, non va sotto




. . ..lit . , .. ,;.,,

.x 

PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 363 

Conco1idato, secondo cui la Repubblica �riconosce il � valore � della cultura 
religiosa. 

D'altra parte, poi, se si volesse aderire alla tesi prospettata dagli 
appellati, cui � sottesa la inammissibile concezione della scuola non come 
luogo di cultura e di formazione, ma come luogo di sofferente costrizione, 
allora la discriminazione si realizzerebbe per coloro che dell'insegnamento 
della �religione cattolica abbiano dichiarato di volersi avvalere, perch� 
ad un maggior onere di orario per essi deriverebbe un maggior sacrificio 
di carattere personale. 

Inoltre, se cos� fosse, si f�avorirebbe un mascherato disimpegno dalla 
frequenza dell'insegnamento della religione cattolica che ne usciTebbe mat; 
ginalizzata; cosa certamente non voluta dal nuovo Concordato e che, oltrettutto, 
vanifioherebbe il riconoscimento da parte dello Stato del 
va:lore della cultura .religiosa. 

posto ad alcuna forma di discriminazione, c10e uno che non deve avere n� di 
pi� n� di meno di quello che gli altri ragazzi, in quanto alunni, hanno nell'organizzazione 
scolastica. Non deve stupire allora che, tra le soluzioni possibili, 
lo Stato abbia fatto sua quella di cui oggi si parla, e cio� abbia dato l'attivit� 
alternativa al non avvalente nel tempo e per il tempo concesso all'avvalente. 
La risposta data dallo Stato al grave problema nei termini predetti, di 

confermare l'identit�, per ciascuno, del tempo-scuola, la cui obbligatoriet� 

deriva dalla valutazione legale dei ritmi quantitativi del processo educativo, � 

coonestata dalla legge 18 giugno 1986, n. 281, alla quale il TAR non ha prestato 

alcuna attenzione. Questa legge dispone nell'art. 1 che � gli studenti della 

scuola secondaria superiore esercitano personalmente all'atto dell'iscrizione... 

il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della reli


gione cattolica�. Aggiunge l'art. 1 che � le scelte in ordine ad insegnamenti 

opzionali e ad ogni altra attivit� culturale e formativa sono effettuate perso


nalmente dallo studente. I moduli relativi alle scelte di cui ai precedenti commi 

devono essere allegati alla domanda di iscrizione �. Questa legge dimostra senza 

ombra di dubbio quantomeno una cosa: e cio� che la soluzione data al pro


blema da parte dell'Amministrazione scolastica era una delle soluzioni possi


bili, cio� consentite dal nuovo sistema normativo; forse l'unica; certo la pi� 

opportuna, se . si considera che dare a tutti l'eguale significa, nell'organizza


zione della scuola, dare a tutti gli stessi doveri e gli stessi diritti in ordine al 

processo di apprendimento e di educazione. E se l'avvalente riceve dalla scuola 

istrtizione e cultura per 24 o per 30 ore settimanali, anche il non avvalente ha 

il diritto e il dovere di ricevere dalla scuola istruzione e cultura per 24 o per 

30 ore settimanali, in difetto di che sia l'avvalente che il non avvalente -a 

seconda del punto di vista -si vedrebbero l'un l'altro con (( un'ora di meno �, 

o con � un'ora di pi� �: la logica un po' curiosa di chi valuta � mezzo vuoto � 
o � mezzo pieno � il bicchiere colmo a met�, a seconda delle sue soggettive 
inclinazioni, non pu� trovare alcuno spazio in un tema tanto grave. 
Non �, insomma, una frazione di tempo ci� che la legge consente di 
volere o non volere; �, ben diversamente, H contenuto curriculare di quella 
frazione di tempo, cio�, appunto, l'insegnamento della religione cattolica. 

* * * 
Secondo il TAR colui che sceglie di non avvalersi dell'insegnamento della 
religione cattolica dovrebbe essere considerato libero di starsene a casa du




RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

364 

Occorre, poi rilevare, come sottolineato da autorevole dottrina, che 
oggi il sistema appare,. tra l'.altro, aperto alla possibilit� di un insegna� 
mento sulla religione introdotto dallo Stato nella sua sovrana autonomia 
non avente oarattere confessionale. 

Insegnamento che potrebbe raocordaire, efficacemente, i due parametri 
introdotti dall'art. 9 del nuovo Concordato: vale a dire quello della 
ritenuta essenzialit� dell'approccio con la problematica religiosa per il 
perseguimento delle fina1it� pTOprie della scuola, che presuppone la non 
facoltativit� dell'approccio stesso attraverso un insegnamento curricu� 
fare e quello della confessionalit� dell'insegnamento della religione cattolka, 
che presuppone la non obbligatoriet� della sua frequenza dal punto 
di vista soggettivo dello studente, ma al tempo stesso la sua ritenuta 
idoneit� a soddisfare ana pi� generale esigenza didattica dell:a scuola 
nei confronti del fenomeno religioso. 

rante l'ora di religione: e questa libert� deriverebbe, in particolare, dalla 
corretta interpretazione dell'art. 9-della legge 11 agosto 1984, n. 449. 

Questa norma dispone che � nelle classi in cui sono presenti alunni che 
hanno dichiarato � di non avvalersi ddle pratiche e dell'insegnamento religioso 
cattolico � l'ordinamento scolastico provvede a che l'insegnamento religioso 
ed ogni eventuale pratica religiosa ... non abbiano luogo in occasione dell'insegnamento 
di altre materie, n� secondo orari che abbiano per detti alunni effetti 
comunque discriminanti�: dunque, secondo il TAR, mentre si svolge l'ora 
di religione, il non avvalente dovrebbe non essere costretto a stare a scuola 
per l'attivit� alternativa. 

Questa interpretazione non pu� assolutamente essere condivisa, neppure 
se fosse possibile leggere la norma in modo del tutto avulso dal sistema nel 
quale essa � inserita, di cui gi� s'�. detto. 

Ai fini della retta interpretazione della ripetuta norma, non si pu� comun� 
que prescindere dalla considerazione del contesto in cui la disposizione andava 
ad inserirsi anche se potesse ignorarsi la successiva normazione. All'epoca, 
come si � ricordato, l'insegnamento della religione cattolica, con le sue pratiche 
di culto, costituiva il � coronamento � dell'educazione del cittadino, ed era 
impartito, specie nella scuola materna e nena scuola elementare, in modo 
che ad alcuni appariva �diffuso e pervasivo �. Vigeva, bensi, all'epoca l'istituto 
della � dispensa '" in virt� del quale chiunque ne facesse richiesta aveva il 
diritto di essere esonerato dall'insegnamento della religione cattolica; ma da 
molte parti veniva segnalato che la dispensa non raggiurigeva pienamente il 
suo scopo, perch�, specialmente per la �materna� e I'� elementare�, i programmi 
erano nel loro complesso � imbevuti � di cattolicit� (si vedano in 
proposito le dichiarazioni di principio contenute nel D.P.R. 10 settembre 1969, 

n. 47 per la materna; nel D.P.R. 14 giugno 1955, n. 503, per le elementari). La 
preoccupazione del legislatore del 1984, in un momento in cui peraltro era 
gi� stato firmato l'accordo del 18 febbraio 1984 con la Santa Sede (che sostituiva 
l'antico sistema della dispensa con il pi� moderno strumento della 
�scelta�) era quella di rendere concretamente operante la facolt� di scegliere 
tra l'avvalersi e il non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica; 
si voleva cio� evitare che chi avesse scelto di non avvalersi dell'insegnamento 
della religione potesse egualmente trovarsi a presenziare pratiche di culto o 
di educazione cattolica in occasione dell'insegnamento di altre materie o 

PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 365 

Va �ritenuto, pertanto, che la distinzione tra materie obbligatorie, 
opzionali e facoltative, sui cui si basa tutta la costruzione degli appellati, 
� una distinzione puramente nominalistica e che, comunque, non pu� 
riferirsi, nella sua astratta e rigorosa formulazione, all'insegnamento della 
religione cattolica. 

E che, peraltro, la facoltativit� dell'insegnamento della religione 
cattolica, alla stregua della esaminata normativa, non possa essere intesa 
nel senso voluto dagli appellati, � anche dimostrato dal dibattito parlamentare 
che ha preceduto e seguito l'iter del nuovo concordato e che, 
sul punto, � stato, essenzialmente, teso ad individuare le materie alternative 
da offrire in opzione ai non avvalenti. 

E del resto, del problema sembra avere preso piena coscienza lo 
stesso legislatore che, nella menzionata legge n. 281/1986, quasi mostrando 
di Tecepire le critiche derivanti dalla asserita contraddittoriet� tra fa-

comunque nell'ordinario svolgersi della vita scolastica: preoccupazione non 
remota per le materne e le elementari, e non del tutto teorica neppure per 
le medie, dove, pur avendo la � religione cattolica� una sua precisa e individua 
collocazione (ex art. 2 della legge n. 1859/62 e D.M. 9 febbraio 1979), 
non era certo sconosciuta la consuetudine di pratiche cattoliche (si pensi 
all'uso della recita di preghiere all'inizio e alla fine della giornata scolastica). 

L'art. 9 della legge n. 449/84 si preoccupa, dunque, di avvertire, con disposizione 
coordinata con quella contenuta nell'art. 9 dell'Accordo con la Santa 
Sede gi� firmato il 18 febbraio 1984, e con l'art. 5 del relativo Protocollo 
Addizionale, che il diritto riconosciuto a ciascuno di scegliere se avvalersi o 
non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica, non solo non deve dar 
luogo a discriminazioni (il che �, in buona misura, tautologico) ma impegna 
l'ordinamento scolastico ad una conseguente riconsiderazione dell'impostazione 
dei programmi, per togliere da questi gli elementi di cattolicesimo confessionale 
" diffuso� la cui sopravvivenza avrebbe potuto rendere, in concreto, meno 
significativi i risultati dell'esercizio del diritto di scelta. 

L'esigenza di ridurre l'insegnamento cattolico ad una dimensione specifica 
ed individua, subito anticipato dalle relative circolari, ha trovato attuazione 
nei pi� volte ricordati D.P.R. 24 giugno 1986, n. 539 (per la �materna�) e 

D.P.R. 12 febbraio 1985, n. 104 (per le �elementari�); per la scuola media, 
dove un problema normativo di ridimensionamento non esisteva perch� gi� 
il D.M. 9 febbraio 1979 collocava l'insegnamento della religione cattolica in un 
quadro orario specifico ed individuo (un'ora settimana;le), si poneva la diversa, 
operativa necessit� di non far debordar~ l'educazione confessionale 
cattolica da quell'ora settimanale; ed a ci� si �� subito provveduto con le 
circolari in esame. 
L'esigenza, avvertita dal legislatore, nel momento in cui veniva approvato 
!'art. 9 della legge n. 449/84, fu dunque quella di anticipare l'effetto della 
disciplina allora in via di elaborazione: evitarsi, cio�, che, attraverso l'educazione 
confessionale "diffusa'" si frustrasse l'esercizio del diritto di non 
avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. 

In questa dimensione storica e logica, l'art. 9 della legge n. 449/84 sta 
a dire: 
a) nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non 
avvalersi delle pratiche e dell'insegnamento religioso, quelle pratiche e quell' 



366 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

co'ltativit� della materia ed obbligo di seguire le materie stesse ovvero le 
pratiche alternative, pare propenso a riqualificare l'insegnamento della 
religione cattolica come opzionale e non facoltativo. 

6) Quanto rilevato precedentemente circa la collocazione nel quadro 
orario delle lezioni dell'insegnamento della religione cattolica e drca la 
obbligatoriet� delle materie, ovvero delle attivit� culturali e formative ad 
esso alte:mative, comporta, sul punto, l'accoglimento dell'appello princi� 
pale dell'amministrazione. 

Comporta, altresl, la reiezione dell'appello incidentale proposto dai 
Fiori, il oui primo motivo � specificato come asserita violazione del� 
l'art. 9 e dell'art. 5 del protocollo aggiuntivo della legge 25 marzo 1985, 

n. 121, nonch� de1l'art. 9 della legge 11 agosto 1984, n. 449, con riferimento 
agli artt. 2, 3, 19, 21 e 33 della Costituzione, nonch� eccesso di potere 
insegnamento non devono avvenire in occasione dell'insegnamento di altre 
materie: tanto per fare un esempio, nell'ora di italiano non pu� essere recitata 
I'� Ave Maria�; n�, nell'ora di storia, pu� insegnarsi che, tra le religioni 
storiche, l'unica �vera � � la cattolica; 

b) l'orario dell'insegnamento e delle pratiche di religione non pu� essere 
� emulativo �: non si pu�, tanto per fare un esempio, frantumare l'ora di religione 
in frazioni di pochi minuti nell'arco della settimana, tali da costringere 
i non avvalenti ad un odioso andirivieni dalla classe; n� si pu�, tanto per fare 
un. altro esempio, pretendere che la giornata scolastica inizi o termini con 
la preghiera, facend9si allontanare il � non avvalente �. 

Quello che la norma sicuramente non d�, � il divieto di organizzare attivit�
� alternative in favore di coloro che abbiano dichiarato di non avvalersi 
dell'insegnamento cattolico, o il diritto per questi ultimi di essere esonerati 
dalla frequenza scolastica per il tempo corrispondente all'insegnamento della 
religione cattolica. La norma non pu� essere letta come contenente tale divieto 

o tale diritto, non solo perch� di essi non c'� cenno nella disposizione, ma 
soprattutto perch� simili contenuti precettivi sarebbero antistorici e di dubbia 
costituzionalit�: antistorici, perch� reintrodurrebbero l'istituto della � dispensa� 
dichiaratamente superato dal ben pi� chiaro sistema del diritto di scelta; di 
dubbia costituzionalit�, perch� finirebbero con il dare un diverso � temposcuola 
� a seconda della scelta operata, cos� discriminando i non avvalenti 
D'altronde, il � tempo-scuola� � di per s� educativo, giusta le valutazioni operate 
dal legislatore (delle quali si � gi� parlato: art. 1 della legge n. 1859/62; 
legge 348/77; dichiarazioni di principio contenute nel D.M. 9-2-1979: la socializzazione, 
cio� il vivere nella comunit� scolastica, � un momento qualificante I 
dell'educazione) che ha voluto la scuola elementare e media �obbligatoria � 
come indicato dall'art. 34 Cost. e quella Superiore di libera scelta, ma con 
onere di frequenza obbligatoria. !! 
Obbligatoriet� della scuola � obbligatoria frequenza del � tempo-scuola ,, 
nel quale essa si svolge e, come si � gi� detto, � il tempo '" � fissato dalla 

I legge, vuoi quando essa direttamente imponga certi ritmi (come fa l'art. 2 
della L. 1859/62 che indica le materie di insegnamento) vuoi quando essa rimetta 
all'autorit� scolastica la programmazioe di � attivit� scolastiche d'integrazione 
anche� . .a carattere interdisciplinare� come fanno gli artt. 2 e 7 della L. 517/77 

I

al . dichiarato � fine di agevolare l'attuazione del diritto allo studio, e la piena 

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PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 367 

per illogicit�, contraddittoriet� e sviamento, dal momento che all'indicata 
conclusione si � pervenuti proprio sulla base dell'interpretazione 
delle norme sostanziali richiamate dall'appellante incidentale, le quali 
non appaiono contrastare con a1cuna delle indicate norme costituzionali, 
in quanto salvaguardano comunque la libert� di coscienza. 

Infondato �, poi, anche il secondo' motivo dell'appello incidentale 
proposto dallo stesso Fiori di asserita violazione e falsa appHcazione 
dell'art. 9 legge 11 agosto 1984, n. 449, eccesso di potere, particolarmente 
sotto il profilo dello sviamento, atteso che la previsione di cui all'art. 9 
della richiamata L. 449/84, 'I.a quale esclude che l'insegnamento della 
religione cattolica possa realizzare, per gli alunni che 'dichiarino di non 
avvalersene � secondo .orari che abbiano effetti comunque discriminanti �, 
soprattutto se interpretata sistematicamente con la legge n. 121/85, impli� 
cherebbe necessariamente il caratteTe facoltativo pieno dell'insegnamento 

formazione della personalit� degli alunni �; attivit� che, una volta stabilite, 
non possono non essere obbligatorie per gli alunni, perch� entrano a far parte 
del processo di istruzione e di educazione. 

Quello che in realt�, con la pretesa di rendere facoltativa la partecipa� 
zione all'attivit� alternativa, viene chiesto, � una cosa che nella sede odierna 
non pu� in nessun caso essere concessa: la modifica, cio�, dell'organizzazione 
del � servizio � scolastico, con particolare riguardo al � tempo-scuola�: si 
finirebbe infatti con il discriminare gli avvalenti dai non avvalenti, perch�, 
da un lato, per i primi si avrebbe un impegno educativo di durata superiore, 
e dall'altro all'onere dJ. frequeJ1,Za della religione (imposto a chi ha scelto di 
avvalersene) corrisponderebbe un non-onere di frequenza dell'equivalente attivit� 
alternativa. 

L'esigenza di non discriminare � esigenza di imporre a tutti gli stessi 

doveri e riconoscere a tutti gli stessi diritti: a cominciare dall'onere della 

frequenza (che � un obbligo per le prime otto classi) cui si sottopone, nel 

quadro dell'organizzazione, chi chiede di essere ammesso a scuola. 

Far restare a casa, come oggi si chiede, i ragazzi che hanno scelto di non 
avvalersi dell'insegnamento religioso, non sarebbe certo per loro pi� proficuo, 
in una obiettiva valutazione delle cose, perch� si farebbe loro intendere che 
la scuola italiana chiude le porte in faccia al giovinetto �non cattolico�, e 
rischierebbe di far loro credere che la scelta dei loro genitori � motivo di 
repulsa della comunit� scolastica. 

N� proficua per i ragazzi, o razionale .per l'organizzazione, sarebbe la 

mera facolt� di partecipare o non partecipare all'attivit� alternativa (mentre 

gli altri hanno l'onere di seguire l'insegnamento della religione) perch� risul


terebbe messa in serio dubbio la sostanziale equivalenza educativa e formativa 

tra l'attivit� alternativa e l'ora di religione: quasi che quella fosse un quid 

minus rispetto a questo. 

* * * 

L'appellante incidentale Fiori, pur dichiarando di volere per il �non avavvalente 
� un trattamento equivalente a quello dato all'� avvalente�, sostiene 
che il delineato sistema non sarebbe idoneo allo scopo, perch� l'ii.ttivit� alternativa 
sarebbe stata introdotta senza il supporto di una, a suo dire indispensabile, 
disposizione legislativa. Questo discorso � di difficile comprensione, 
perch� se si vuole l'attivit� alternativa non si vede quale sia l'interesse (proces




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

medesimo e la sua collocazione in orario che permetta agli alunni che 
dichiarino di non avvalersene di non partecipaTe alle attivit� <Scolastiche 
durante le ore dedicate all'insegnamento della religione cattolica 

o comunque di scegliere liberamente se partecipare o meno alle attivit� 
alternative. 
Come dimostrato precedentemente, l'art. 9 della legge n. 449 del 1984 
non pu� essere interpretato nel senso voluto dall'appellante incidentale, 
secondo cui tenderebbe a garantke il diritto degli alunni, che ne� chiedano 
l'applicazione, di non essere costretti n� a seguire l'ora di religione, 
n� a seguire le attivit� alternative previste negli orari in cui viene svolto 
l'insegnamento della religione cattolica. 

Se cos� fosse, la norma si porrebbe in contrasto, e ne risulterebbe 
pertanto modificato il contenuto, con fa legge n. 121/1985 di ricezione 
del nuovo Concordato, di cui si sono ampiamente i'llustrati lo spirito e 

suale) a dolersi dell'ipotetica illegittimit� della sua introduzione; ma soprattutto 
il prospettato dubbio di illegittimit� � infondato, perch�: 

1) per la Materna: l'attivit� educativa, nella quale si sostanzia l'alternativa, 
trova sicura base nell'art. 1 jella legge 18 marzo 1968, n. 44, dove si 
dice che la scuola materna � si propone fini di educazione, di sviluppo della 
personalit� infantile, di assistenza e di preparazione alla frequenza della 
scuola dell'obbligo, integrando l'opera della famiglia�; 

2) per l'Elementare: l'attivit� integrativa, nella quale si sostanzia l'alternativa, 
� �spressamente prevista dall'art. 2 della L. 517/77, dove si assegna a 
tale attivit� integrativa (anche) il fine di � agevolare. . . la promozione della 
piena formazione della personalit� degli alunni �, e cio� le si assegna una 
vocazione nettamente educativa; 

3) per le Medie: l'attivit� integrativa, nella quale si sostanzia l'attivit� 
alternativa, � espressamente prevista dall'art. 7 della legge n. 517/77, cit., dove 
si dice che tale attivit� integrativa ha (anche) il fine di attuare � la piena 
formazione della personalit� degli alunni � e, cio�, le si assegna una vocazione 
nettamente formativa; 

4) per le Superiori: il terzo comma dell'art. 1 della legge 18 giugno 1986, 

n. 281, ha fornito l'interpretazione autentica del sistema, in ordine alla possibilit� 
di organizzare l'attivit� alternativa, nella forma di �attivit� culturale 
e formativa�, di cui, appunto, parlano le circolari. 
Ovvio � che la legge 517/77 non parla affatto di attivit� alternativa rispetto 
all'insegnamento della religione cattolica, per l'ottima ragione che all'epoca 
non si poneva il problema di cui oggi si parla. Ma questo non significa ci� 
che pensa l'appellante incidentale, e cio� che l'attivit� integrativa di cui alla 
legge n. 517/77 non possa essere utilizzata come alternativa all'ora di religione: 
una volta, infatti, che la �non discriminazione� imponga di dare al � non 
avvalente � attivit� scolastica analoga a quella di cui fruisce l'avvalente, ed 
una volta che all'avvalente � dato, in buona sostanza, un insegnamento educativo 
e formativo, non pu� che farsi ricorso a quelle attivit� educative e 
formative di cui il sistema gi� dispone. Se si vuole che il problema venga 
mantenuto nei limiti di sostanza (e non trasferito nell'empireo evanescente 
di fuorvianti nominalismi) allora non pu� affermarsi che l'alternativa sia 
illegittima perch� l'attivit� educativa di cui alla legge n. 517/77 non nacque 
in vista di tale alternativa; il fatto che non nacque a quello scopo � ovvio; 


PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 369 

la finalit� e soprattutto con la sua previsione relativa alla collocazione 
dell'insegnamento 'religioso cattolico nel quadro orario delle lezioni; si 
porrebbe in contrasto, inoltre, con la lett. b) dell'art. S del protocollo 
aggiuntivo al nuovo Concordato, secondo cui non poteva immaginarsi 
ancora alcuna predeterminazione circa la collocazione oraria de'll'insegnamento 
della religione cattolica, venendo anzi demandato ad una successiva 
intesa tra Ia �competente autorit� scolastica e la Conferenza episcopale 
italiana, tria l'altro, �le modalit� di organizzazione di tale insegnamento 
anche in re'lazione alla collocazione nel quadro degli orari delle 
lezioni�. 

D'altra parte, poi, che all'obbligatoriet� della frequenza delle materie 

o attivit� �didattiche alternative non possa riconoscer:si alcun carattere 
discriminatorio, essendo anzi vero il contrario, lo si � dimostrato precedentemente, 
per cui nemmeno per il secondo motivo prospettato la 
dedotta censura pu� essere accolta. 
ma � altrettanto ovvio che, nel sistema, la legge n. 517/77 ha introdotto attivit� 
educative non curriculari e destinate ad essere non necessariamente rivolte 
all'intera classe, tali da poter oggi ben essere utilizzate ai fini che interessano. 

*** 

L'appellante incidentale osserva che gli insegnanti. non sarebbero affatto 
tenuti ad occuparsi dell'attivit� alternativa, poich� ci� esulerebbe dai limiti 
del loro mansionario. La doglianza � manifestamente inammissibile per difetto 
di interesse; ed � comunque infondata, apparendo essa sintomo di una parziale 
valutazione del ruolo dell'insegnante nella scuola italiana. 

A parte le molte dichiarazioni di principio che si rinvengono nelle varie 
norme, rivolte a sottolineare la centralit� della funzione docente nel suo 
momento educativo (ben oltre l'aspetto meramente trasmissivo di nozioni), 
ribadendosi che tra i compiti dell'insegnamento � anche quello di � partecipare 
alla realizzazione dell'iniziativa educatrice della scuola� (art. 2 D.P.R. n. 417/74), 
va ricordato che l'art. 88 D.P.R. n. 417/74, nel fissare l'orario di servizio, 
espressamente dice che nei limiti di tale orario � i docenti . . . sono tenuti 
al completamento dell'orario . . . mediante l'utilizzazione . . . nei corsi . . . di 
integrazione ed extracurriculari �. Anche l'art. 14 della legge 20 maggio 1982, 

n. 270, ricorda che il personale di ruolo, compreso quello DOA, pu� essere 
utilizzato in attivit� didattico-educative. Il problema che si pone � quello di 
stabilire se l'attivit� alternativa sia attivit� scolastica o meno: se lo �, i 
docenti (nel limite del loro orario) non possono rifiutarsi di svolgerla, perch� 
nel loro mansionario (e, prima ancora, nella logica della loro funzione) c'� 
anche il dovere di prestarsi per le attivit� non curriculari. 
Si noti che nessun docente ha lamentato di essere stato obbligato a prestare 
servizio oltre l'orario d'obbligo, e nessuno ha lamentato di essere stato 
richiesto di svolgere insegnamenti diversi da quelli propri della sua professionalit�: 
le circolari in esame sottolineano, infatti, che, quando l'attivit� alternativa 
richieda competenze che gli utilizzandi non abbiano, si deve far ricorso 
ai supplenti muniti di titolo. 

* * * 

L'appellante incidentale osserva che, per le Superiori, lo studio individuale 
(che gli alunni non avvalenti possono preferire all'attivit� alternativa 



370 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO. STATO 

In parte fondato �, quindi, il terzo motivo dell.'appello incidentale 
ritenendo il collegio di convenire con l'appellante circa la veridicit� di 
alcune delle enunciazioni ivi prospettate. 

Si assume, al riguardo, che vi sarebbe vio1azione deWart. 9 dell'accordo 
tra la Repubblica italiana e la Santa Sede e del punto 5 del protocollo 
aggiuntivo resi esecutivi �con la legge 23 maggio 1985 n. 121, con 
riferimento alll'art. 7 legge 4 agosto 1977, n. 517 ed agli artt. 2, 3, 13, 
21, 23, 97 della Costituzione italiana con riferimento alla risoluzione approvata 
dalla Camera dei Deputati ne11a seduta del giorno 15 gennaio 1986; 
ed agli artt. 3, 6 e 14 della legge 29 marzo 1983; ecces;so di potere per 
sviamento, illogicit� e contraddittoriet�. 

Vero �, come � .implicito nella censura dell'appellante, che se vi 
fosse stato un atto legislativo che avesse determinato ie materie o le 
attivit� alternative da offrire in opzione ai non avvalenti l'insegnamento 

all'ora di religione) imporrebbe agli insegnanti un ruolo di mera sorveglianza 
e custodia, certamente estraneo al mansionario. Non � chiaro in che modo 
il Fiori sia interessato a sollevare questo problema; certo � che la doglianza 
� frutto di equivoco. Seguire infatti gli alunni che hanno optato pet lo studio 
individuale non significa assolutamente limitarsi ad una passiva attivit� di 
sorveglianza o di mera custodia; l'insegnante che sia consapevole del suo ruolo 
guider� l'alun;no nello studio individuale, sapr� consigliarlo, sapr�, insomma, 
svolgere l'opera .educativa e culturale che � �propria della funzione docente 
(e che, quindi, non pu� essere affidata ad altri se non ai docenti). 

* * * 

Nella concreta organizzazione dell'attivit� alternativa, come immaginata 
e impostata con le circolari impugnate, sarebbero state violate le norme sulle 
attribuzioni degli Organi collegiali: il Ministero, a detta dell'appellante incidentale, 
avrebbe del tutto esautorato i Consigli di circolo e di istituto, i quali 
avrebbero l'inalienabile compito di fissare i criteri generali in ordine alla 
formulazione dell'orario delle lezioni e allo svolgimento delle attivit� scolastiche; 
lo stesso Collegio dei docenti, poi, sarebbe stato leso nelle sue prerogative, 
attraverso l'indicazione ministeriale di organizzare necessariamente l'attivit� 
alternativa. 

Neppure queste censure colgono nel segno. Invero, il potere di dettare 
disposizioni generali agli apparati, anche collegiali, delia Scuola certamente 
va riconosciuto al Ministro, perch� quegli apparati sicuramente appartengono 
al complesso organizzatorio della pubblica istruzione; e d'altronde, la necessit� 
di occuparsi � subito� dell'attivit� alternativa � un'esigenza che deriva 
dalla generale impostazione seguita nella pratica applicazione del principio 
legislativo della non discriminazione tra avvalenti e non avvalenti. :� un errore di 
prospettiva, in buona sostanza di insensibilit� storica, quello di leggere i � decreti 
delegati � come se, dal 1974, non fosse accaduto nulla, cio� come se non vi fossero 
n� l'Intesa con i Valdesi n� il nuovo Concordato con la Santa Sede, e 
come se la programmazion� dell'attivit� alternativa non fosse un corollario 
del nuovo sistema della parit� di trattamento educativo tra alunni avvalentisi 
e non avvalentisi dell'insegnamento religioso. 

La Scuola deve garantire la non discriminazione, e cio�, secondo la concreta 
scelta operativa adottata sul piano generale, dare a tutti gli alunni 
un tempo-scuola quantitativamente identico e qualitativamente il pi� possibile 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 371 

della religione cattolica, tutto sarebbe stato pi� agevole per l'amministrazione 
della pubblica .istruzione e, verosimilmente, non vi sarebbero 
state le condizioni per una contestazione cos� netta e radicale delle 
scelte dalla stessa in concreto praticate. 

Purtuttavia, cos� non � stato: l'amministrazione scolastica, infatti, si 
� trovata nella necessit� di dare attuazione ad una normativa carente su 
di un punto fondamentale ed ha cercato di supplirvi provvisoriamente 
utilizzando i mezzi a sua disposizione; ricorrendo, cio�, alle materie ed 
attivit� previste dall'ordinamento scolastico, sfornandosi di adattarle alle 
finalit� del nuovo Concordato, relativamente agli scopi dell'insegnamento 
della ,religione cattolica, come in precendenza precisati. 

Ha fatto, cos�, ricorso alla legge 4 agosto 1977, n. 517 e pi� particolarmente, 
per le scuole medie inferiori, alle attivit� integrative previste 
dall'art. 7 al fine di agevolare il diritto allo studio e la piena formazione 
della personalit� degli alunni. 

simile; dunque � necessario che i singoli organi collegiali, appartenenti 
all'apparato, si muovano di conseguenza. Quale sia l'organo competente a 
dare concreta attuazione al disegno organizzativo generale lo dice la legge 

(D.P.R. n. 416/74); e .infatti le circolari oggi in esame hanno rispettato tali 
competenze: tocca al Collegio dei docenti definire l'attivit� alternativa, perch� 
l'art. 4 D.P.R. n. 416 cit. gli assegna il compito di curare la programmazione 
educativa, e lo svolgimento, in genere, dell'attivit� scolastica; e perch� gli 
artt. 2 e 7 della legge n. 517/77 a tale organo, in particolare, attribuscono 
la funzione di programmare e organizzare le attivit� integrative. Parimenti � 
da dire per i Consigli di interclasse della scuola elementare, pure destinatari 
delle circolari in esame. In quanto all'indicazione, nelle dette circolari, 
della necessit�, ove possibile, di far coincidere l'insegnamento della religione 
con la prima o l'ultima ora di lezione, in contemporanea con l'attivit� alternativa, 
va osservato che trattasi di un criterio di massima, da preferirsi ove 
possibile, che lascia intatta la competenza degli ordinari organi in ordine alle 
definitive determinazioni, nella considerazione delle singole realt� operative. 
Quindi il principio della collegialit� scolastica non � in alcun modo vulnerato 
dalle circolari ministeriali; �, semmai, valorizzato attraverso la considerazione 
della componente dei genitori, sui quali soprattutto grava la � responsabilit� 
educativa�. 
* * * 

L'appellante incidentale ripropone, in subordine, eccezione di illegittimit� 

costituzionale dell'art. 9 dell'Accordo e del punto 5 del Protocollo, di cui alla 

legge 25 marzo 1985, n. 121, per violazione degli artt. 2, 3, 8, 19, 21, 33, 97 

della Costituzione. 

Le norme denunciate: 

a) avrebbero operato una scelta confessionale incompatibile con la 

natura laica dell'ordinamento: in buona sostanza, lo Stato non potrebbe in


trodurre nella propria scuola l'insegnamento della religione confessionale; 

b) avrebbero comunque discriminato gli alunni in ragione della scelta 

operata, perch� ai non avvalenti si darebbe di meno di quanto si d� agli 

avvalenti; 

e) sarebbe stato tradito lo spirito dell'Intesa con i Valdesi, la cui 

legge di attuazione avrebbe copertura costituzionale. 



372 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Offrendo, in tal modo, con una valutazione tecnico-discrezionale, di 

cui la censurabilit� � limitata al profilo della legittimit�, una possibilit� 

di �scelta, da realizzarsi anche attraverso i suggerimenti degli interessati, 

ccn l'indicazione che tali attivit� avrebbero dovuto essere particolarmente 

dirette all'approfondimento di quelle parti dei programmi pi� stretta


mente attinenti ai valori della vita e convivenza civile (fine proprio del


l'insegnamento religioso). 

Ha anche :previsto il cosiddetto studio individuale, cui ha dichia


rato tenuti gli studenti che, avendo comunque scelto di non avvalersi 

dell'insegnamento della religione cattolica, non avessero inteso ugual


mente fruire delle attivit� alternative programmate dal Collegio dei do


centi, offrendo in tal modo un'u1teriore opzione che consentiva ampia


mente l'esplicazione della libert� di coscienza in materia di religione se


condo le inclinazioni individuali di ciascun interessato, invitando, tra 

Il diritto vivente, come sopra illustrato, e la retta interpretazione delle 

norme coinvolte, fugano il sospetto che la legge n. 121 abbia introdotto 

disposizioni in violazione dei principi costituzionali denunciati, e quindi con


vincono della manifesta infondatezza delle questioni di legittimit� costitu� 

zionale appena riassunte sub b) e e): a proposito di quest'ultima, peraltro, 

� appena il caso di sottolineare che l'art. 9 dell'Intesa con la Tavola Valdese 

� esattamente riprodotto nell'art. 9 della legge n. 449/84, che a sua volta 

� del tutto analogo all'art. 9 del Concordato (in ordine all'insegnamento della 

religione cattolica come curriculare, e al diritto di scegliere se avvalersene, 

senza discriminazione alcuna). 

Resta da dire dell'eccezione sopra riassunta sub a). 

Secondo l'appellato, lo Stato non potrebbe prevedere, tra gli insegnamenti 

curriculari, quello religioso, perch� tale insegnamento si porrebbe in con


trasto con la libert� di pensiero che ognuno ha diritto di professare e con la 

�laicit�� della Repubblica; in sostanza sarebbe inibito allo Stato di ope


rare, nei programmi di insegnamento, scelte non conformi al pensiero dei 

singoli cittadini, mentre, per converso, lo Stato �laico� non potrebbe legitti� 

mamente scegliere tra le materie d'insegnamento una dottrina religiosa. Non 

pu� negarsi che il rispetto di qualunque opinione costituisca l'in s� della 

democrazia; e tutti sanno che la libert� di fede e di pensiero � uno dei mo


menti qualificanti della nostra Costituzione. Come gli odierni appellanti hanno 
�pieno diritto di professarsi agnostici (o non cattolici) in materia religiosa, 
qualunque altro cittadino ha i�l pieno diritto di professare il pensiero che crede 
in qualunque altro campo, compreso quello delle discipline che si insegnano 
a scuola. Orbene, se fosse vero che l'ateo o l'agnostico ha il diritto di pretendere 
che, per il dovuto rispetto alla sua opinione, la Scuola dismetta l'insegnamento 
della dottrina cattolica, sarebbe parimenti vero che analogo diritto 
avrebbe, poniamo, il regionalista con riguardo all'insegnamento della lingua 
� italiana, il parmenideo (che nega il divenire) in ordine all'insegnamento della 
storia, il negatore dei postulati di Euclide in ordine all'insegnamento della ma� 
tematica, e cos� via; ancor piii in dettaglio, ciascuno avrebbe il diritto, nell'ambito 
di una certa materia, di non sentirsela insegnare secondo metodi 
non condivisi: il pacifista, per esempio, potrebbe pretendere che i programmi 
di storia fossero rielaborati trascurando le guerre; certi nazionalisti potreb� 
bero chiedere riduttive illustrazioni della geografia dei paesi stranieri; e cos� 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 373 

l'altro, al fine di un'ottimale realizzazione delle finalit� perseguite, ad una 
regdlarizzazione anche di tale tipo di impegno, con la previsione di � appositi 
spazi cos� da corrispondere nel modo migliore al dovere di vigilanza 
per tutto il tempo scuola �. 

Ci� posto, se � vero che le attivit� integmtive previste dalla legge 
4 agosto 1977 n. 517, non hanno la specifica finalit� di costituire una 
definitiva alternativa allo studio della religione cattolica, purtuttavia, va 
considerato che esse, per la vasta gamma di programmazione educativa 
che .consentono, ben potevano, temporaneamente ed in attesa di una 
definitiva scelta legislativa, essere adattate ad un'alternativa valida sotto 
il profilo culturale (scelta, ad es., di un approfondimento storico relativo 
a:llo svilupparsi ed all'evolverisi del fenomeno religioso) all'insegnamento 
della ll'eligione cattolica. 

N� � esatto quanto affermato dall'appellante incidentale, secondo cui 
l'illegittimit� relativa al ricorso alle materie alternative deriverebbe anche 
dal fatto che risulterebbero violati i diritti degli insegnanti, non tenu


di seguito, fino ad una esasperata frantumazione dell'intero sistema scolastico. 
Esiste, dunque, nell'ordinamento, una norma che accordi al cittadino il � diritto 
� di avere, a scuola, soltanto le materie o i programmi conformi alle 
sue libere, e perci� teoricamente illimitate, opinioni? No certamente: e non 
perch�, si badi, vi sia una legge ordinaria a negarlo (la legge ordinaria, infatti, 
�, in ipotesi, suscettibile di rimozione da parte della Corte Costituzionale), 
ma perch� l'art. 33 Cost. attribuisce alla Repubblica il compito di dettare le 
norme generali sull'istruzione e di istituire le sue scuole per tutti gli ordini 
e gradi. In tanto c'� la scuola di Stato, in quanto lo Stato possa (e debba) 
scegliere le materie-e i programmi di insegnamento, tenendo conto, � ovvio, 
delle aspettative dei cittadini, ma niente affatto essendo vincolato alle individuali 
opinioni di ciascuno: la scuola statale non pu� significare scuola 
fatta su misura di ogni singolo� alunno. Quando dunque si pretende di esercitare, 
in nome del libero pensiero, il veto in ordine ad una materia o ad 
un programma, si pretende in realt� di far valere un diritto (alla elaborazione 
del programma o alla scelta della materia) che non solo non � previsto 
da nessuna norma, ma che, anzi, � positivamente escluso dall'art. 33 
Cost. 

Venendo alla sostanza delle avverse argomentazioni, non � inutile premettere 
che l'insegnamento della religione nella scuola pubblica non � affatto 
precluso allo Stato �non confessionale �, n�, in Italia, tale insegnamento � 
precluso dalla Costituzione. 

Intanto, Stato � non confessionale�, o, come dicono alcuni tra gli appellati, 
� laico �, non significa affatto Stato anticonfessionale o antireligioso: la 
piena libert� di fede, che l'art. 19 Cost. accorda a chiunque, non significa 
affatto che lo Stato debba combattere, o ignorare, il fenomeno religioso (positivamente, 
gli artt. 7 e 8 dimostrano che il fenomeno di cui si parla non pu� 
essere osteggiato). Neppure il separatismo estremista ha mai potuto ignorare 
detto fenomeno, come insegna, innanzitutto, la storia: e infatti non solo 
negli ordinamenti degli Stati Uniti d'America e del Belgio, ma neppure, alla 
fine del XIX secolo e nel primo decennio del XX, in quelli della stessa 
Francia e del Portogallo, che a lungo sono stati citati come i classici del 



374 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ti ad oocuparsi di tali attivit�, dal momento che tra i loro compiti vi 
� anche quello di � partecipare alla Lrealizzazione delle iniziative educative 
della scuola� (a:rt. 2 D.P.R. n. 417/74) e che �i docenti ... sono tenuti ... 
al completamento dell'orario mediante l'utilizzazione ... nei corsi di integrazione 
ed extracur,riculari � (art. 8 D.P.R. n. 417/74). 

Lo studio individuale, invece, se pur in �astratto poteva anch'esso, 
temporaneamente, servire allo s�copo di chi intendesse effettuare un 
approfondimento individuale della materia, attraverso, ad es., una ricerca, 
o comunque, se non interessato affatto al fenomeno religioso, avesse 
voluto impiegare diversamente, magari con una lettura, il tempo scuola 
ad esso dedicato, non sembra al collegio fosse, in concreto, adeguatamente 
organizzato, in maniera da evitare una sorta di abbandono a se medesimi 
di coloro che l'avessero scelto, con un disinteresse da parte della scuola 
implicante marginalizzazione e, quindi, disoriminazione rispetto agli altri 
studenti. 

separatismo, esso pot� attuarsi in pieno; come � stato osservato, �un laicismo 
assoluto dello Stato �, prima di tutto, un non senso, perch� lo Stato 
� l'organizzazione giuridica del popolo, e non pu� non riflettere, nel suo 
ordinamento, anche le convinzioni e le aspirazioni spirituali di quella che 
si usa dire la coscienza popolare �. N� � inutile ricordare che molte Costituzioni 
contemporanee prevedono l'insegnamento religioso, pur garantendo, da 
un lato, il diritto-dovere dei genitori di educare i figli, e, dall'altro, la piena 
libert� di pensiero (art. 7 della Costituzione della Repubblica Federale Tedesca; 
art. 41 della Costituzione d'Irlanda; art. 49 di quella svizzera; art. 2 
di quella norvegese; altri esempi possono trovarsi ne:l:la Costituzione del 
Liechnstein, 15 e 16; di Malta, artt. 10 e 41; di Svezia, art. 9; di Grecia, 
art. 3; i Paesi comunisti vietano, invece, l'insegnamento di dottrine diverse 
da quella professata dallo Stato; art. 38 Cost. di Bulgaria; art. 30 Cost. di 
Romania; art. 124 Cost. URSS, etc. etc). 

1!. sicuro che lo Stato italiano non sia � confessionale�, ed � proprio 
per questo che non esistono preclusioni di principio in ordine alla � filosofia � 
che sottende qualsiasi �scelta�, e cio� qualsiasi atto di normazione. Non 
confessionalit�, quindi, significa possibilit� di scegliere le materie di insegnamento 
senza preclusioni di principio; significa possibilit� di valutare, nei 
modi istituzionali, le aspettative � medie � del popolo, soddisfacendole di conseguenza; 
significa, insomma, possibilit� di impartire l'insegnamento della 
religione cattolica ad un popolo che nella quasi totalit� � (o dice di essere, il 
che � lo stesso) cattolico. Scegliere una soluzione �, necessariamente, escludere 
tutte le altre soluzioni possibili: ma lo Stato esiste proprio per operare 
delle scelte, senza le quali, ovviamente, il popolo non sarebbe che �orda�. 

Lo Stato italiano dunque ben pu� decidere di impartire l'insegnamento 
della dottrina cattolica nelle sue scuole (come si � ricordato, tale scelta fu 
operata anche prima del Concordato, pur in tempi di anticlericalismo: la legge 
Lanza del 1857, la gi� ricordata Casati nel 13 novembre 1859, la Riforma 
Coppino del 1887 e poi il T.U. 5 febbraio 1928, n. 577, sono tutte leggi che 
prevedono l'insegnamento della religione nelle scuole di Stato, e son tutte 
leggi preconcordatarie): ci� rende irrilevante qualsiasi dubbio di costituzionalit� 
in ordine alle norme di attuazione del Concordato con la Santa Sede, 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 375 

Per tale secondo profilo, pertanto, '.l'appello incidentale va accolto 
e la circolare impugnata va, sul punto, annullata. 

Infondato � il quarto motivo dell'appello incidentale del FIORI, secondo 
cui vi sarebbe stata violazione degli artt. 2 e 3 del D.P.R. 31 maggio 
1974, n. 417, nonch� degli artt. 4 e 6 del D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416; 
ed ancora dei principi generali ed eccesso di potere per illogicit� e disparit� 
di trattamento, sul rilievo che la circolare n. 302/86 ha stabilito 
che �qualora i contenuti delle attivit� (alternative) siano tali da renderlo 
utile ed opportuno, si potr� procedere all'-accorpamento degli alunni, 
oltre che per classi parallele, anche in senso v�erticale �. 

Con tale 1suggerimento, secondo l'appellante, ancora una volta il 
Ministero della Pubblica Istruzione interferirebbe arbitrariamente in materia, 
come quella della formazione delle classi, che � di competenza 
(artt. 4 e 6 D.P.R. n. 416/74 e art. 3 D.P.R. 417/74) anzitutto degli organi 
collegiali e poi � sulla base dei criteri generali stabiliti dal Consiglio di 

perch�, in ipotesi, espunto dal sistema l'obbligo che lo Stato si � assunto, 
resterebbe pur sempre la facolt�, garamita dall'art. 33 Cost. e dalla non 
confessionalit�, questa rettamente intesa come esclusione di pregiudiziali limitazioni 
in ordine alle scelte di cui trattasi. 

Le eccezioni di illegittimit� costituzionale avanzate dagli appellati con 
riguardo alle norme che dispongono l'insegnamento della religione sono, comunque, 
manifestamente infondate. 

L'insegnamento della dottrina cattolica nella scuola statale va valutato 
nel suo aspetto � concordatario� (cio� come � obbligo� assunto verso la 
Santa Sede) e nel suo aspetto extra-concordatario. 

Sotto il primo aspetto, l'obbligo di insegnare a scuola la dottrina cattolica, 
assunto con i:1 Concordato, va costituzionalmente valutato con riguardo 
ai supremi principi dell'ordinamento, cui, come � noto, la Corte fa costante 
riferimento, nella materia concordataria, data la c.d. copertura di cui all'articolo 
7 Cost. (C. Cost. 1� marzo 1971, n. 30 e 32; id. 8 luglio 1971, n. 169; id. 11 dicembre 
1973, n. 175 e 176; 29 dicembre 1972, n. 195, e cos� via, fino alle pi� 
recenti 7 febbraio 1978, n. 16, e 28 marzo 1985, n. 86). Premesso che tra i principi 
supremi dell'ordinamento non rientra l'esigenza di trattare in modo identico 
tutte le confessioni religiose (Corte Cost. 28 marzo 1985, n. 86), la preferenza 
data alla religione cattolica nel momento dell'insegnamento non comporta affatto 
che non sia rispettata la libert� dei non-cattolici o violata la loro autonomia 
di pensiero: lo Stato, si badi, non impone di essere cattolici, n� richiede 
una discriminante professione di fede per l'ammissione nella scuola; lo Stato, 
ben diversamente, insegna la dottrina cattolica, in ordine alla quale non pretende 
una adesione diversa o superiore rispetto a quella che pretende per qualsiasi 
ailtra disciplina. I principi supremi dell'ordinamento, tra i quali � da annoverare 
la libert� di pensiero e di fede, non solo non ne risultano coinvolti, ma 
vengono addirittura valorizzati, attraverso il diritto di scelta, che, rispetto alle 
altre discipline, non � dato. 

Anche sotto il secondo profilo (possibilit� di porre tra le materie d'insegnamento 
la dottrina cattolica a prescindere dall'obbligo concordatario), va osservato 
che i dubbi di costituzionalit� prospettati ex adverso sono manifesta 
mente infondati. 

12 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

376 

circolo o di istituto e delle proposte del collegio dei docenti del personale 
direttivo �. 

Sempre secondo il Fiori, il suindicato suggerimento sarebbe, poi, 
soprattutto i11egittimo perch� in contrasto con il principio del rapporto 
docente classe, cos� come configurato dagli artt. 2 e 3 D.P.R. n. 417/74, e 
pi� in generale dall'attuale organizzazione dell'attivit� didattica; � vero 
che fa legge n. 517/77 consente la formazione di gruppi di alunni di classi 
diverse, ma ci� sarebbe consentito solo in 1relazione ad una progmmma� 
zione didattica, che muova delle reali esigenze delle classi e non dall'esi� 
genza esclusivamente organizzativa conseguente alla responsabilit� del 
personale docente. 

Valgono al a:-iguardo le osservazioni dell'Avvocatura in merito alla 

-generale potest� organizzatoria dell'attivit� scolastica riconosciuta al Ministro 
della Pubbli�a Istruzione, con l'ulteriore rilievo che l'impugnata 
circola:re non esclude l'osservanza del rispetto del rapporto docente classe 
come per legge stabilito, n� esautora gli organi collegiali, atteso che le 

Con riguardo all'art. 3 Cost., � innegabiile che, per la maggior parte, gli 
Italiani si professino cattolici, e dunque una scelta che li privilegi non suona 
affatto ingiustificata: come gi� diceva Ahrens, � il trattare in modo eguale rap� 
porti giuridici disuguali � altrettanto ingiusto che il trattare in modo disuguale 
rapporti giuridici uguali �. Ruffini scrisse, a proposito dell'insegnamento 
della religione nella scuola, che ci� non pu� considerarsi discriminatorio per i 
non cattolici poich� �vi � una parit� nel senso falso, che � quello dell'uguaglianza 
assoluta, astratta, matematica, ed una parit� nel senso giusto, che � 
quello dell'uguaglianza relativa, concreta, giuridica, poich�, come scrisse giusta� 
mente Kahl, il vero principio di parit� non suona "a ciascuno lo stesso", ma 
" a ciascuno il suo"�. 

Il diritto di scelta � peraltro particolare omaggio alla piena libert� di 
coscienza. 

Gli artt. 7 e 8 Cost. non fanno che confermare l'importanza che lo Stato 
annette al fenomeno religioso, e positivamente provano che non vi � divieto 
costituzionale di impartire l'insegnamento di cui trattasi. 

Gli artt. 19 (libert� di fede) e 21 (libert� di pensiero) vanno coordinati con 
le esigenze del sistema costituzionale; quelle due libert� non significano diritto 
di veto in ordine ad ogni scelta non condivisa, perch�, in tal caso, non si 

�avrebbe� lo Stato, ma un confuso aggregato di milioni di � monadi�. Lo Stato, 
� ovvio, non deve conculcare o limitare tali libert�, come, nell~ specie, infatti, 
non 'limita n� conculca, non pretendendo adesione ai principi del cattolicesimo, 
e, addirittura, concedendo il diritto di scelta. 

Gli artt. 33 '(libert� dell'arte e della scienza) e 97 (organizzazione per legge 
dei pubblici uffici) non sembrano minimamente in tema. 

Resta da dire del D.P.R. 751/85, che l'appellante incidentale ha impugnato, 
da un lato lamentandone l'illegittimit� rispetto alle leggi 121/85 e 449/84, dal� 
l'altro eccependone l'invalidit� rispetto .ai principi costituzionali della libert� 
d'insegnamento e di pensiero, nonch� rispetto alle norme sullo stato giuridico 
degli insegnanti (che solo la legge potrebbe modificare). 

L'indagine circa la natura giuridica del D.P.R. in questione non ha ancora 
avuto dalla dottrina l'approfondimento che il tema meriterebbe; certo � che il 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 377 

determinazioni adottate nella circolare hanno la forma del suggerimento 
e non dell'imposizione agli organi stessi. 

Destituito di fondamento, infine, � il quinto ed ultimo motivo dell'appello 
incidentale del Fiori, con il quale viene nuovamente dedotta 
l'asserita violazione degli artt. 2, 3, 19, 21, 33 e 97 della Costituzione, in 
base al 'rilievo che la collocazione de1l'insegnamento della religione cattolica 
nell'orario obbligatorio, con conseguente necessit� dei non avvalenti 
di seguire le attivit� alternative, avrebbe mantenuto ed anzi accentuato 
la discriminazione tra gli alunni con grave conseguenza in ordine al regolare 
svolgimento dell'azione educativa e didattica. 

In tale prospettiva, secondo l'appenante, l'art. 9, 2� comma, della 
legge n. 121/1985 e l'art. 5 del trelativo protocollo addizionale si dovrebbero 
ritenere contrastanti con ii p!rincipi costituzionali che sanciscono la 
tute.la dei diritti fondamentali (art. 2) l'uguaglianza di tutti i cittadini 
senza possibilit� di discriminazione per motivi religiosi (art. 3) la libert� 

D.P.R. n. 751/85 non pu� essere considerato un atto amministrativo di tipo 
tradizionale. 
Se si segue fimpostazione logica che la Corte Costituzionale ha adottato 
con le sentenze avanti ricordate a proposito delle leggi di esecuzione e di attuazione 
del Concordato, dovrebbe distinguersi il dato formale dal dato sostanziale: 
come le leggi di esecuzione del Concordato hanno la forma di legge 
ordinaria, ma la forza (cio� la sostanza) di leggi para-costituzionali (seconde 
soltanto ai principi fondamentali dell'ordine costituzionale), cosi al D.P.R. (in 
quanto relativo all'esecuzione di norme pattizie, e previsto addirittura nella legge 
di esecuzione del Concordato) andrebbe riconosciuta la forma dell'atto amministrativo, 
ma la forza (cio� la sostanza) di atto legislativo. 

La tesi di coloro che, in dottrina, hanno affermato che la � copertura 
costituzionale� dell'art. 7 riguarderebbe i Patti Lateranensi, e non le loro 
modifiche, non tien conto della natura di � norma sulla normazione � che a 
quell'art. 7 va riconosciuta: se infatti � le modific�zioni dei Patti, accettate 
dalle due Parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale�, 
appare inevitabile affermare, a contrariis, che quel procedimento richiedano 1e 
modifiche unilaterali dello Stato; dunque, per modificare i Patti, serve o il procedimento 
di revisione costituzionale, oppure l'accettazione delle due Parti: ergo, 
l'accettazione delle due Parti equivale al procedimento di revisione costituzionale. 
E se un fatto di produzione normativa � capace di modificare la Costituzione, 
vuol dire che quel fatto ha la forza di legge costituzionale. Si dovrebbe 
allora ritenere: 

a) anche le modifiche bilaterali dei Patti Lateranensi hanno � copertura 
costituzionale �, perch� altrimenti non si spiegherebbe come mai potrebbero 
rappresentare l'equivalente del procedimento di revisione della Costituzione; 

b) l'Intesa, come il Concordato, � bilaterale, ma di rango inferiore a 
quest'ultimo: se la legge concordataria d� vita ad un atto di sostanza costituzionale, 
allora l'Intesa, ad essa immediatamente e direttamente connessa, ha quantomeno 
la resistenza sostanziale della legge ordinaria; 

e) come la legge concordataria � suscettibile di essere esaminata dalla 
Corte Costituzionale, ma solo con riguardo ai supremi principi deLl'ordinamento 
costituzionale, cos� il D.P.R. (che fondamentalmente � un atto ammi




378 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

religiosa (art. 19), la libert� di coscienza (art. 21) la libert� di insegnamento 
(art. 33). 

La normativa, in ogni caso, se interpretata nel senso sopraindicato, 
violerebbe comunque l'art. 97 della Costituzione dal momento che, se 
l'insegnamento della religione cattolica deve essere inserito nel quadro 
dell'orario obbligatorio per tutti, non solo in nessun modo si potrebbe 
garantire un uguale trattamento a tutti gli alunni, ma soprattutto non si 
potrebbe garantire un'efficiente organizzazione dell'attivit� didattica. 

Nelle considerazioni che si sono precedentemente svolte, circa le 
ragioni .per le quali, secondo il Concovdato revisionato, lo Stato ha assunto 
'l'obbligo di continuare a praticare l'insegnamento della religione cattolica 
nelle scuole non univevsitarie e la previsione relativa alla garanzia 
della tutela della libert� di coscienza, con la previsione della facolt� di 
non avvalersi di tale insegnamento, vi � la 'risposta a tutti i dubbi di costituzionalit� 
avanzati dall'appellante. 

nistrativo) � suscettibile di esame da parte del GA. ma solo con riguardo a 
quei supremi principi e alla legge concordataria. 

Il grave e delicato tema della forza sostanziale del D.P.R n. 751/85 non 
appare, tuttavia, nella presente occasione, di risolutivo interesse, perch� tale 
decreto non solo � perfettamente in linea con la legge 121 (la quale a sua volta 
certamente rispetta i principi costituzionali) ma neppure urta contro precetti 
di legge ordinaria, n� modifica precedenti principi legislativi: in particolare, il

1

D.P.R. (che va letto cQme facente parte del corpo degli Accordi, giusta l'indicazione 
fornita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 
22 marzo 1984, n. 1920, a proposito di un D.P.R. esecutivo di un patto internazionale, 
,a seguito di un trattato ratificato per legge) non costringe gli insegnanti 
ad impartire l'insegnamento religioso, n� a tradire le proprie convinzioni, 
n� modifica lo stato giuridico di alcuno, n� introduce per la prima volta 
il ius ad loquendum dell'autorit� canonica (cfr. art. 5 della legge 5 giugno 
1930, n. 824, e punto 5 del Protocollo addizionale, dove espressamente si parla 
di � insegnanti che siano riconosciuti idonei dadl'autorit� ecclesiastica nominati, 
d'intesa con essa, dall'autorit� scolastica), n� tanto meno introduce per la 
prima volta I'� ora di religione �. 
. * * * 

Il sistema complessivamente derivante dalle circolari impugnate appare, 
dunque, in perfetta linea con le norme legislative; e, come ha gi� avuto occasione 
di osservare il Consiglio di Stato con le due ordinanze dell'll luglio 1986 
(a proposito di due delle circolari oggi in esame) esse � tendono a disciplinare 
il momento organizzativo ... � ponendo adempimenti e norme di condotta � funzionalmente 
preordinati alla corretta e regolare organizzazione dell'attivit� scolastica 
(in relazione ai quali) non si apprezza la lesione che si assume essersi 
verificata nella sfera soggettiva dei ricorrenti per i quali, invero, non sembra 
in alcun modo compromesso l'esercizio della facolt� di scelta di cui sopra, 
tanto pi� che � rimessa alla successiva determinazione dei competenti organi 
collegiali scolastici la predisposizione delle possibilit� alternative�. (omissis) 

L'Avvocato dello Stato 

ANTONIO PALATIELLO 

I 

I 

I 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 379 

La laicit� dello Stato e la posizione di pari uguaglianza di tutti i cittadini 
non esclude, necessariamente, un'attenzione al fenomeno religioso 
della maggioranza del popolo sotto il profilo educativo. 

La scelta, come materia di insegnamento, della religione cattolica � 
giustificata dal rilievo che �i principi del cattolicesimo fanno parte del 
patrimonio storico del popolo italiano �, 

Essa non contrasta con la Costituzione che, per gli stessi motivi, ha 
pure dedicato una specifica regolamentazione (art. 7) per tale oredo 
religioso. 

E soprattutto l'asserzione, ribadita nel Concordato revisionato, di 
garantire a chiunque la libert� di coscienza, con la pDevisione del diritto 
di non avvalersi di tale insegnamento, rende evidente come, in definitiva, 
non si sia attentato ad alcuno dei diritti fondamentali dell'individuo, n� 
ad alcuno dei diritti di libert� specificamente richiamati dall'appellante. 

N� sembra comprensibile l'asserita violazione deWart. 97 della Costituzione 
circa il buon andamento della pubblica amministrazione, atteso 
che non � condivisibile la tesi secondo cui l'inserimento della religione 
cattolica tra le materie curriculari impr:direbbe una � efficiente organizz,
azione dell'attivit� didattica�. (omissis) 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 19 settembre 1988, n. 1043 -Pres. Laschena 
-Est. Camera -Ministero Pubblica Istruzione (avv. Stato Stipo) 

c. Martucci (avv. Romanelli). 
Giurisdizione civile -Domanda di ricongiunzione della posizione assicu� 
rativa statale a quella INPS -Provvedimento statale di diniego della 
ricongiunzione -Ricorso � Giurisdizione AGO. 

Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla controversia riguardante 
l'accertamento del diritto alla ricongiunzione in sede INPS dei 
periodi assicurativi a carico dell'Amministrazione della pubblica istruzione 
(1). 

(omissis) Ritiene il Collegio di esaminare in via preliminai:re l'eccezione 
di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a decidere la 
controversia, la quale ha per oggetto il lamentato diniego, da parte del 

(1) In argomento cfr. Cass. 22 aprile 1988 n. 3134. 
Qualora la Pubblica Amministrazione abbia gi� concesso al proprio dipendente 
il'trattamento di quiescenza nella forma dell'indennit� una tantum (tale 
� il caso della sentenza della Cassazione ora citata) ovvero della pensione (tale 
� il caso della sentenza in rassegna), i'accoglimento della richiesta dello stesso 
ex dipendente rivolta ad ottenere la ricongiunzione dei contributi in favore 



380 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ministero della Pubblica Istruzione -presso il quale l'attuale appellato 
era in servizio -di provvedere alla ricongiunzione della sua posizione 
assicurativa con quel'l:a I.N.P.S. ex art. 1 della legge 7 fobbraio 1979, n. 29, 
per i periodi di lavoro da lui prestati anteriormente alla sua nomina in 
ruolo, oltre per i contributi volontari versati. 


La legge 7 febbraio 1979, n. 29 ha consentito -su libera opzione del 
lavoratore -la ricongiunzione di tutti i periodi di contribuzione obbligatoria, 
volontaria e figurativa ai fini del diritto della misura di un'unica 
pensione. 

In tal modo, da una parte � stata attribuita al lavoratore la facolt� 
di esercitare una scelta, indirizzandola a quel tipo di trattamento previdenziale 
che si presenta pi� favorevole, e dall'altra � stato individuato 
l'unico debitore tenuto all'unica pensione da liquidare all'atto della cessazione 
dal servizio. 

Il T.A.R. ha ritenuto di superare l'eccezione di giurisdizione del giu


I

dice adito sull'assunto che gli impugnati provvedimenti, in quanto espressione 
di un'attivit� preordinata alla creazione dei presupposti per il diritI 
to a pensione, sono sottratti alla competenza giurisdizionale della Corte 
dei Conti che, a norma dell'art. 62 del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, presup


I 

j

pone l'esistenza di �provvedimenti definitivi di liquidazione di pensione 

i 

I Ia carico dello Stato� ovvero �l'esercizio di un'azione diretta a far 

valere la titolarit� del diritto al trattamento di quiescenza�. 

Ha ritenuto, altres�, infondata la sostenuta competenza dell'A.G.O. in 
quanto non si verte sul disconoscimento di un diritto alla ricongiunzione 
da parte dell'I.N.P.S.. 

I 

Sostiene l'Avvocatura Generale dello Stato, censurando l'impugnata 

I

sentenza, che erroneamente il T.A.R. avrebbe affermato la propria com


petenza a decidere. , 

l

Assume in particolare che i primi giudici, per affermare una loro i 
competenza nella materia, pongono una distinzione tra provvedimento 

I

definitivo e provvisorio di pensione, irrilevante agli effetti della giu


risdizione. 

I

I

I

dell'INPS (preferendo tale tipo di pensione), presuppone necessariamente l'an


nullamento del provvedimento amministrativo di concessione del trattamento I 

di quiescenza. 

Ora, il giudice ordinario non pu� annullare il suddetto provvedimento, 

perch� al riguardo sussiste la giurisdizione della Corte dei conti, giudice esclu


sivo delle pensioni e di altre forme di trattamento di quiescenza in genere. I 

Nessuna influenza pu� ave.re la circostanza che trattasi di pensione provvi


soria, perch� ci� non vale ad escludere la giurisdizione della Corte dei conti 

(v. Cons. Stato, VI, 8 ottobre 1982,� n. 469; Cass., SS.UU., 7 luglio 1988, n. 4503 
retro, pag. 305). 
Sulla giurisdizione della Corte dei Conti nel caso di domanda di condanna 
all'INPS a trasferire presso la CPDEL i contributi ricevuti v. Cass. 5 marzo 
1985 n. 1824. 




PARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Il Collegio ritiene fondata l'eccezione. di difetto di giurisdizione del 
Giudice Amministrativo. 
La questione all'esame riguaivda l'accertamento della spettanza e del:
l'ammontare,del diTitto vantato dal resistente alla ricongiunzione in sede 

I.N.P.S. dei periodi assicurativi a carico dell'Amministrazione della Pubblica 
Istruzione. 
Con domanda diretta all'I.N.P.S. in data 19 settembre 1983, l'interessato 
ha chiesto, infatti, la ricongiunzione dei contributi, scegliendo lo 
I.N.P.S., quale Ente tenuto ,all'intera pensione. 

Tale scelta comporta che la competenza a decidere sia del Giudice 
Ordinario ex art. 442 c.p.c.. 

L'accoglimento di detta eccezione pregiudiziale :di .difetto di giurisdizione 
del giudice amministrativo, preclude l'esame delle altre questioni 
di rito e �di merito. 

In riforma dell'appellata sentenza, va dichiarato, pertanto, il difetto 
di giurisdizione del giudice amministrativo nei confronti dell'Autorit� 
Giudiziaria ordinaria rin ordine alla controversia proposta con ricorso 

n. 1976/85 al T.A.R. per la Lombardia da Martucci Gualtiero avverso il 
provvedimento n. 14827 del 16 aprile 1985 del Provveditore agli Studi di 
Como e la nota del Ministero della Pubblica Istruzione n. 3518/A/3 del 
5 aprile 1985, con i quali � stata negata la sua richiesta di ricongiunzione 
ex art. 1, legge 7 febbraio 1979, n. 23 (omissis). 

SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 gennaio 1988 n. 138 -Pres. Bologna Est. 
Sensa:le -P. M. Paolucci (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Corti) c. Camilleri. 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Solidariet� � Accertamento 
notificato ad uno soltanto dei debitori � Decisone del relativo ricor� 
so � Impugnazione da parte di altri condebitori -Inammissibilit� � 
Successivo accertamento � Impugnabilit� autonoma. 

Sulla base delle regole della solidariet� comune, valide anche nel 
rapporto tributario, il condebitore che non abbia ricevuto la notifica dell'accertamento 
e non sia stato parte nel giudizio promosso da altro condebitore 
non ha interesse ad impugnare la decisione ad esso inopponibile, 
mentre resta integro il potere di impugnare autonomi atti di accertamento 
non influenzati dal giudicato (1). 

(omissis) n ricorso � fondato. 
Le circostanze di fatto pacifiche tra le parti e dalle quali la controversia 
trae origine, sono 1e seguenti. 

Deceduto in Palermo, il 29 agosto 1963, Calogero Camilleri lasciando 
a succedergli i figli Antonietta, Letizia e Gaetano ed il coniuge Salvatrice 
Angela Nobile; e presentata da quest'ultima la denunzia di successione, 
l'ufficio emise solo nei confronti della Nobile, in proprio e quale esercente 
la patria potest� sul figlio minore, Gaetano, ingiunzione di pagamento 
dell'imposta supplettiva di successione, notificata esclusivamente alla 
Nobile e senza che ne fosse data notizia agli aHri eredi. 

(1) La decisione � evidentemente corretta. La separazione delle pos1z1oni 
fra condebitori, nei confronti di ciascuno dei quali il rapporto pu� definirsi 
autonomamente, esclude che possa estendersi a soggetto diverso la regola 
del rapporto fissata nei confronti del destinatario dell'accertamento e del 
successivo giudicato; ne consegue che non si verifica situazione di cause 
inscindibili ed � problematico anche l'intervento in giudizio, volontario o 
. iussu iudicis, il che conseguentemente esclude l'impugnazione da parte del 
condebitore estraneo il quale oltre tutto non vi ha interesse non potendo 
risentire effetti pregiudizievoli dal giudicato inter alias. 

Sul punto vi � ancora qualche dissenso in dottrina (RUSSO, Processo 
tributario, in Enciclopedia del diritto, XXXVI, 768 ss.), ma la giurisprudenza 
� hen ferma. 

Nella motivazione si accenna alla applicabilit� de1l'art. 1306 C. C.; � questo 
per� un delicato problema che merita pi� approfondita trattazione. Nel caso 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 383 

Soltanto tra la Nobile, in proprio e per i'I figlio Gaetano, e l'ufficio 
che aveva emesso l'ingiunzione si svolse il giudizio dinanzi alle Commissioni 
tributarie, a1 quale rimasero estranee, Antonietta e Letizia Camilleri 
e che si concluse con la decisione in data 18 ottobre 1977 della Commissione 
di secondo grado, che giudic� legittimo l'operato dell'Ufficio. 

In seguito a tale decisione, il 25 febbraio 1978 fu notificato ad Antonietta 
Camilleri, nei cui confronti non era stata in precedenza emessa 
alcuna ingiunzione di pagamento e che, perci�, non aveva partecipato al 
giudizio in sede tributaria, un avviso di liquidazione, contro il quale il 
Camilleri insorse con la citazione del 17 maggio 1978 davanti alla Corte

1

di appello di Palermo per impugnoce la decisione della Commissione di 
secondo grado. 

!!., altresi, pacifico e risulta dalle decisioni tributarie di primo e di 
secondo grado che nel relativo giudizio non vi fu alcun coinvolgimento 
di Antonietta Camilleri, n� sotto il profilo propriamente processuale n� 
sotto l'aspetto sostanziale quale parte del rapporto tributario in contestazione, 
che potesse fada considerare fra i destinatari della decisione; 
questa, cio�, non solo fu pronunciata in un processo nel quale la Camiilleri 
non aveva assunto la qualit� di parte, ma lasci� quest'ultima al di 
fuori della controversia anche con riguardo al rapporto sostanziale che vi 
era stato dedotto. 

Se si considera che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 
numero 48 del 16 maggio 1968 (la quale, in relazione all'articolo 24 -1� 
comma, cost., ha dichiarato costituzionalmente iillegittimi gli articoli 20 
e 21 del r.d.l. 7 agosto 1936 numero 1639 limitatamente alla parte. in 
cui dalla contestazione dell'accertamento di maggior imponibile nei confronti 
di uno solo dei coobbligati si facevano decorrere i termini per 
l'impugnazione giudiziale anche nei confronti degli altri) � venuto meno 
il principio della solidariet� processuale in materia tributaria, ne consegue, 
che, non essendo stata emessa nei confronti della Camilleri l'ingiun-. 
zione relativa all'imposta supplettiva e non essendole stato contestato il 
maggior imponibile, la decisione della Commissione di secondo grado 
non spiega nei suoi confronti alcun effetto e che non � configurabile una 
sua legittimazione ad impugnarla, sia perch� non era stata parte nel 
relativo giudizio, nel quale sotto nessun aspetto era stata coinvolta, sia 
perch�, conseguentemente, mancava un suo interesse alla impugnazione; 

deciso, riguardante l'imposta di successione, si presentava un'ulteriore questione. 
La dichiarazione era stata presentata da un solo erede, ma non risulta 
se essa fosse a contenuto generale e tale da giovare a tutti a norma dell'ultimo 
comma dell'art. 36 del D.P.R. n. 633/1972; nell'affermativa si poneva il problema 
se l'accertamento notificato al solo dichiarante producesse effetto anche nei 
confronti degli altri; in caso negativo nei confronti degli altri eredi si doveva 
procedere sul presupposto di dichiarazione omessa. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

potendo, la sua posizione, essere definita in modo indipendente ed 
autonomo. 

Quanto precede � coerente con la disposizione contenuta nell'articolo 
13Cl6 C. C., che, espunto dall'ordinamento il principio della solidariet� processuale 
in materia tributaria, �, per concorde opinione, applicabile anche 
alle decisioni del giudice tributario. 

Secondo tale norma, la sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei 
debitori in solido o tra il debitore ed uno dei creditori in solido, non ha 
effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori, ma sono gli 
altri debitori a poterla opporre al creditore, salvo che sia fondata sopra 
ragioni personali al condebitore; e sono gli altri creditori a poterla far 
valel'e contro il debitore, salvo le eccezioni personali che questi pu� 
opporre a ciascuno �di essi. 

Del resto, la Camilleri, di fronte alla notificazione dell'avviso di liquidazione, 
non era priva di tutela, potendo ella opporsi con ricorso alla 
Commissione di primo grado per far accertare fa mancanza di fondamento 
della pretesa nei suoi confronti. 

Questo rimedio � oggi espressamente previsto dall'articolo 16 del 

D.P.R. 26 ottobre 1972 -numero 636, come modificato dal D.P.R. 3 novembre 
1981 -numero 739, ma � da ['itenere fosse consentito anche in 
base al testo originario del suddetto articolo, nonostante non menzionasse 
espressamente l'avviso di liquidazione. 
� noto che la Corte Costituzionale, occupandosi della denunciata illegittimit� 
costituzionale dell'articolo 16, vecchio testo, in quanto non contemplava 
l'avviso di mora ed i rimedi contro di esso esperibili, ha ritenuto 
inammissibile la questione, superata dalla interpretazione che del testo 
normativo era lecito dare (sentenza 6 dicembre 1985 -numero 313). 

E questa Corte ha poi espressamente affermato che l'avviso di liquidazione 
� assimilabile all'avviso di accertamento di cui all'articolo 16 non 
ancora modificato dal D.P.R. del 1981 (v. S.U. 3 febbraio 1986 -numero 
661), ed integra � avviso di accertamento � secondo la norma medesima 
(vedere questa prima sezione, con sentenza numero 2527 dell'll marzo 
1987), con la conseguenza che contro di esso � proponibile il ricorso 
del contribuente alla Commissione tributaria di primo grado nelle materie 
indicate nell'articolo 1 del D.P.R. numero 636 del 1972, fra le quali sono 
comprese, alla 'lettera G), le �Controversie relative all'imposta di successione. 


La Corte d'appello avrebbe, quindi, dovuto dichiarnre inammissibile 
l'impugnazione della decisione della Commissione di secondo grado, 
proposta dinanzi ad essa Corte dalla Camilleri, e, conseguentemente, la 
sentenza qui impugnata, in accoglimento del ricorso dell'Amministrazione, 
va cass.ata senza rinvio ai sensi dell'articolo 382 ultimo comma, 

C.P.C. (omissis). 

PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 385 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 gennaio 1988 n. 194 -Pres. Bologna 


Est. Sgroi -P. M. Lo Cascio (coni'.). Soc. Europer (avv. Belli) c. Mi


nistero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). 

Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Societ� 
in liquidazione � ~ capace di produrre reddito. 

{D.M. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 125 e 265). 
La societ� di ogni tipo in liquidazione � pur sempre un soggetto capace 
di produrre reddito per il quale soggiace alle normali imposte (1). 

(omissis) Col pdmo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell'art. 
2309 e.e. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, os.servando 
che la liquidazione della societ� non � produttrice di reddito per cui 
manca il presupposto dell'imposta di R.M. 

Lo scioglimento della societ� e fa cessazione di essa -secondo la 
ricorrente -sono fatti anteriori alla messa in liquidazione la quale � il 
procedimento formale che porta all'estinzione della Societ�; la liquidazione 
ha il solo scopo di pagare i creditori sociali e di ripartire i beni fra 
i soci. 

Col secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione 
degli artt. 2, 3, 4, 5 del D.L. 5 novembre 1973 n. 660 conv. in 1. 19 
dicembre 1973 n. 823, osservando che tale legge ha fatto riferimento 
alla srtruttura dell'imposta di R.M., che colpisce i singoli redditi, prodotti 
dalla propria causa (art. 81 del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645) e cio� una 
ricchezza nuova, la quale cessa nel momento in cui viene a mancare la 
fonte produttiva. Secondo la ricorrente, l'atto di messa in liquidazione di 
una societ� comporta la cessazione del reddito sotto entrambi i suddetti 
profili, ed in tal senso va interpretato l'art. 2 del D.L. citato, nonch� la 
risoluzione ministeriale del 25 febbraio 1975 che si riferisce alla cessazione 
di attivit�. 

Il ricorso � infondato. Per sottolineare la confusione della ricorrente 

fra �liquidazione� della Societ� e � cessazione dell'attivit� sociale �, basta 

richiamare gli artt. 125, 265 del T.U. n. 645 del 1958. Il primo, sotto la 

rubrica � Liquidazione di soggetti tassabili in base a bilancio � dispone 

� quando la liquidazione dei soggetti tassabili in base a bilancio si protrae 

oltre l'esercizio nel quale ha avuto inizio, gli imponibili determinati per 

ciascun esercizio sono soggetti a conguaglio sulla base del bilancio finale 

di liquidazione � ed al secondo comma apporta due deroghe al comma 

precedente (v. anche l'art. 22, sui termini per presentare le dichiarazioni). 

(1) Decisione di evidente esattezza. Lo stato di liquidazione, che pu� 
durare a lungo, non estingue la capacit� produttiva del soggetto, come emerge 
anche soltanto dall'art. 2279 e.e. che vieta di intraprendere nuove iniziative, 
ma non di proseguire quelle iniziate; senza dire che anche per le inizi�tive 
intraprese contro il divieto il reddito prodotto � comunque soggetto all'imposta. 

386 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'art. 265, a sua volta, sotto la rubrica � Responsabilit� dei iliquidatori 
� sancisce la responsabilit� dei suddetti in caso di inadempimento 
dell'obbligo di pagare le imposte dovute dal soggetto per il periodo della 
liquidazione (oltre che per quello anteriore). 

La suddetta normativa (oltre che direttamente applicabile ai soggetti 
che optano per la tassazione facoltativa in base a bilancio, ai sensi dell'art. 
104 fra cui rientrano le societ� in accomandita semplice) detta regole 
peculiari sulla base del presupposto generale secondo cui la fase di 
liquidazione (anche delle societ� non tassabili in base a bilancio) non 
esclude affatto la soggezione a tutte le imposte, fra cui � compresa quella 
di r.m., per l'attivit� di liquidazione ed in relazione ai redditi di r.m. che 
si producono in tale fase (� tipico l'esempio delle plusvalenze che si U'.'ealizzano 
nelle vendite dei beni sociali; dr. Cass. 27 giugno 1986 n. 4265). 

Nessuna deroga a tale principio elementare � apportata dall'art. 2 
del d.l. n. 660 del 1973 conv. in legge n. 823, che facendo riferimento ai 
periodi di imposta non distingue affatto fra i periodi nei quali l'impresa 
svolge un'attivit� normale ovvero � in liquidazione. Sulla base dei presupposti 
di fatto che risultano, e cio� della richiesta di determinazione automatica, 
ai sensi dell'art. 4 della legge da ultimo citata, dei redditi per 
l.'anno 1973 (accertata dalla Commissione Centrale) e della permanenza 
dello stato di liquidazione della Societ� almeno ancora nel 1981, e cio� 
nell'anno di proposizione del presente .ricorso, � evidente l'esattezza della 
decisione impugnata che ha affermato la soggezione ad imposta di r.m. 
per gli anni 1971 e 1972 in quanto non risultava un bilancio fina~e di 
liquidazione e quindi la cancellazione della Societ� dal registro delle 
imprese. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 gennaio 1988 n. 324 -Pres. &anzano � 

Est. Cantillo � P. M. Caristo (conf.). -Rubeo (avv. Di Gravio) c. Mini


stero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) ed altri. 

Riscossione delle imposte dirette � Sanzioni � Fallimento fiscale � Presupposti 
� Dichiarazione oltre l'anno dalla cessazione della attivit� � 
Esclusione. 

(d.P.R. 29 settembre 1972, n. 602, art. 97; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 10). 
Riscossione delle imposte dirette � Sanzioni � Fallimento fiscale � Iscrizione 
a ruolo provvisoria � Anteriore domanda di condono � Sospensione 
della riscossione � Esclusione del fallimento. 

(d.P.R. 29 settembre 1972, n. 602, art. 97; d.!. 10 luglio 1982, n. 429, art. 32). 
Il fallimento fiscale, bench� non richieda lo stato di insolvenza, ha 
pur sempre come presupposto che l'esercizio dell'impresa non sia cessato 
da oltre un anno (1). 

(1-2) Decisione di notevole interesse. Sulla seconda massima non constano 
precedenti specifici. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 387 

Poich� l'art. 32 del d.l. 10 luglio 1982 n. 429 convertito nella legge 
7 agosto 1982 n. 516 sul condono prevede, oltre alla sospensione dei giu-� 
dizi in corso, la sospensione della: possibilit� di iscrizioni a ruolo provvisorie 
e tale sospensione va riferita anche alle iscrizioni a ruolo anteriori, 
dall'entrata in vigore del decreto e successivamente a seguito della presentazione 
della domanda di condono, non sussistono i presupposti 
(mancato pagamento) per la dichiarazione di fallimento fiscale. (2) 

(omissis) 2. -Nell'ordine 'logico-giuridico debbono essere esaminati 
con precedenza ed insieme, perch� strettamente connessi, il secondo, il 
quinto e il sesto motivo di ricorso, con i quali .il Rubeo critica la ,sentenza 
impugnata per avere escluso che egli avesse cessato l'attivit� pi� di un 
anno prima della dichiarazione di fallimento. Denunziando la violazione 
dell'art. 10 legge fall., degli artt. 2733 e 2735 e.e. e dell'art. 116 c.p.c., nonch� 
vizi della motivazione, il ricorrente sostiene che la decorrenza del termine 
annuale, valido anche per la dichiarazione di fallimento fiscale, nella 
specie risultava da un complesso di testimonianze assolutamente univoche, 
confortate dal certificato della Camera di Commercio de L'Aquila e non 
contraddette dalla dichiarazione resa da. esso Rubeo a fini fiscali, frutto 
di evidente errore nella compilazione del modulo. 

La censura � infondata. 

Il suo rigetto viene argomentato dalla difesa di uno dei resistenti ponendo 
in dubbio la stessa applicabilit� dell'art. 10 della legge f.allimentare 
al fallimento fiscale, che potrebbe essere dichiarato anche oltre il termine 
annuale stabilito dalla norma. 

Ma il dubbio non ha consistenza, ove si consideri, da un lato, che le 
peculiarit� del fallimento fiscale riguardano i presupposti e il procedimento 
dichiarativo, mentre, alla stregua del principio che si evince dall'art. 
4 secondo comma 1. fall., rper ogni altro aspetto non derogato dalle 
norme speciali tributarie vale la disciplina ordinaria; e, dall'altro, che la 
vigenza del termine annuale per la dichiarazione non trova ostacolo nella 
diversit� del presupposto oggettivo, cio� nel fatto che il fallimento fiscale 
prescinde dallo specifico accertamento dello stato di insolvenza e postula, 
invece, un inadempimento qualificato (costituito, ex art. 97, terzo comma 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, dall'omesso pagamento di tutte o di 
un'unica rata di un medesimo ruolo per un ammontare superiore a cinquecentomilalire), 
essendo evidente che il termine suddetto adempie esclusivamente 
al1a funzione di consentire il fallimento di soggetti che non 
hanno pi� la qualit� di imprenditori commerciali, tuttavia evitando che 
rimangano esposti a1la procedura oltre un termine. ritenuto ragionevole 
perch� si manifesti il preesistente stato di insolvenza. 
Nella specie, per�, la Corte di appello ha positivamente escluso, in 
base ad un complesso di elementi, che il Rubeo avesse cessato l'attivit� 
pi� di un anno prima del fallimento. 



388 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In particolare, essa ha fatto leva sulle analitiche e reiterate informazioni 
fornite dalla P.S. ai fini del procedimento concorsuale e sulla dichiarazione 
fatta il 15 giugno 1982 all'Ufficio IVA de L'Aquila personalmente 
dal Rubeo; e ha esposto le ragioni che la indocevano a ritenere non attendibili 
.Je generiche testimonianze fatte assumere dal Rubeo e il certificato 
camerale del 21 giugno 1982 (riferito ad una ditta diversa), elementi -codesti 
-contrastati anche dalle risultanze del fascicolo fallimentare. 

Questo accertamento di fatto, cos� sorretto da congrua e logica motivazione, 
non � qui sindacabile. 

3. -Nell'ordine logico deve essere esaminato, poi, il terzo motivo di 
ricorso, concernente le conseguenze della presentazione della domanda 
di condono sulla dichiarazione di fallimento fiscale. Denunziando la violazione 
dell'art. 97 d.P.R. 29 settembre 1973 , n. 602, dell'art. 32, terzo comma, 
d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito nella '1egge n. 516 del 1982, 
nonch� vizi della motivazione, il !ricorrente sostiene che il fallimento non 
poteva essere dichiarato perch�: a) ~'efficacia esecutiva del ruolo era 
rimasta sospesa fiino al 15 ma<rzo 1983 per le imposte iscritte in via provvisoria; 
b) per effetto della domanda di condono era venuto a mancare 
un credito tributario insoddisfatto liquido ed esigibile, cio� il presupposto 
del fallimento fiscale; e) la sospensione prevista dall'art. 32 cit. riguaroava 
non solo le controversie tributarie pendenti innanzi alle commissioni, ma 
anche i procedimenti penali e quelli pre4'allimentari di natura fiscale, 
ci� che era stato erroneamente escluso dalla Corte di appello, la quale 
aveva confuso il giudizio di opposizione al fallimento con la fase istruttoria 
precedente ia dichiarazione. 
Le censure sono fondate nei sensi appresso precisati. 

Si discute se il fallimento fiscale (o per debito d'imposta) possa essere 
dichiarato anche per Ja morosit� nel pagamento di Tate di imposte iscritte 
a ruolo in via provvisoria, ex art. 15 d.P.R. n. 602 del 1983: al quesito 
la prevalente dottrina d� risposta positiva e allo stesso modo sembra 
orientata questa Corte, ancorch� con riferimento alla vecchia nocmativa 
(artt. 261 e 26 T.U. n. 645 del 1958, che richiedeva il mancato pagamento 
di sei Tate di imposta). 

Nella specie, per�, il delicato problema non viene immediatamente 
in rilievo, in quanto � in contestazione la stessa efficacia dell'iscrizione a 
ruolo; e sotto questo pxofilo occorre stabilire quali siano le conseguenze 

!

del c.d. condono fiscale rispetto ad un debito di imposta iscritto a ruolo 
in via provvisoria e, prima ancora, quali siano i limiti del sindacato consentito 
al giudice dell'opposizione al fallimento fiscale in ordine ai pTe� 

I 

supposti del medesimo. 
~= jj 
A quest'ultimo riguardo, � anzitutto pacificamente ammesso il conf 
f 
trollo sulla legittimit� formale della pretesa della finanza, dovendosi ricoi:. 


!' 2 
f 

noscere al giudice dell'opposizione il potere-dovere di accertare, alla stre


f 

I i 


PARm I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

gua dei documenti prodotti dall'istante, la rituale iscrizione a ruolo del 
tributo e l'esistenza della particolare morosit� richiesta dalla legge. 

Quanto al sindacato sostanziale, ii.nvece, occorre distinguere fra presupposto 
soggettivo e presupposto oggettivo del fallimento. In ordine al 
primo, dottrina e giurisprudenza sono ora orientate (ma incertezze si 
sono avute anche dopo l'abolizione del solve et repete) nel senso che al 
giudice compete di stabilire se il contribuente effettivamente rivesta la 
qualifica di imprenditore commerciale; e ci� sul rilievo che l'art. 4 della 
legge 20 maggio 1865 n. 2248 all. E vieta la revoca o la modifica dell'atto 
amministrativo di imposizione del tributo, ma non di verificare l'esistenza 
dei requisiti che costituiscono il necessario presupposto della dichiarazione 
di fallimento, nonch� si atteggino diversamente da quelli ordinari 
(v., sent. Corte Costituzionale n. 215 del 1975). 

In ordine al presupposto oggettivo, per la stessa ragione si � orientati 
ad ammettere l'opponente a dimostrare che il tributo non � relativo 
all'attivit� commerciale o che non sussiste l'inadempimento dedotto dal1'
Amministrazione finanziaria; � unanimamente escluso, invece, sia che il 
contribuente possa dimostrare l'inesistenza del debito d'imposta risultante 
dal .ruolo e sia che abbia rilievo, sulla procedibilit� del fallimenro 
fiscale, l'impugnativa innanzi alle commissioni tributarie o, comunque, 
la contestazione giudiziaria del ruolo, Ja cui efficacia non pu� �essere 
sospesa. 

In particolare, con riferimento alle iscrizioni a ruolo a titolo provvisorio, 
per le quali, essendo pendente il giudizio tributario, manca un 
accertamento definitivo e si fa luogo alla procedura concorsuale solo 
perch� il ruolo ha efficacia di titolo esecutivo (� stato impugnato l'accertamento 
o direttamente il ruolo), � pacifico che il fallimento non pu� 
essere dichiarato se medio tempore, cio� dopo l'istanza, ma prima della 
sentenza dichiarativa, il debito di imposta risulti insussistente o di ammontare 
inferiore a quello minimo richiesto per il fallimento (cio� lire 
500.000) con pronuncia del giudice tributario, ed altres� se venga meno 
l'efficacia esecutiva del ruolo, perch�, ad es., l'Intendente di finanza ne 
sospenda la riscossione. 

Inoltre � pacifico che anche dopo 1a dichiarazione di fallimento questo 
deve essere revocato se il debito tributario venga escluso (o ridotto 
in ammontare inferiore a quello richiesto) con pronunzia passata in 
giudicato; ed altres� che il giudice dell'opposizione pu� sospendere il 
processo in attesa della decisione della controversia d'imposta da parte 
del giudice tributario. 

4. -Ci� posto, con riguardo al condono tributario di cui al d.l. 10 luglio 
1982, n. 429, convertito -con modificazioni -nella fogge 7 agosto 
1982, n. 516, occorre considerare il quarto comma dell'art. 32, il quale 
dispone che nel periodo di sospensione dei giudizi in corso (decorrente 

390 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dalla data di entrata in vigore del decreto legge) Ǐ altres� sospesa 
l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 15 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 602 �, cio� delle norme che consentono l'iscrizione provvisoria in 
presenza di accertamenti non definitivi perch� impugnati. 

La disposizione � stata talvolta interpretata nel senso che si riferisca 
solo alle iscrizioni successive all'entrata in vigore della legge di condono, 
non anche 1a quelle precedenti, gi� effettuate alla data suddetta, la cui 
riscossione non sarebbe affatto influenzata dalla normativa sulla definizione 
delle controve11sie pendenti. 

Ma la tesi non pu� essere condivisa almeno per due ordini di argomenti. 


Anzitutto, l'interpretazione restrittiva non � imposta dall'enunciato 
testuale, che -facendo generioo riferimento alle disposizioni dell'art. 15 
cit. -investe l'applicabilit� dell'intera disciplina sostanziale sulla riscossione 
provvisoria delle imposte, non solo il .futuro esercizio della potest� 
di iscrivere a ruolo tributi non ancora definitivamente accertati; e la 
ratio della disposizione cos� interpretata sta in ci�, che 1a riscossione 
coattiva di tali tributi vanificherebbe la finalit� del condono annullandone 
gli effetti economici, posto che la stessa legge preclude il rimborso 
delle imposte gi� pagate. 

In secondo luogo, l'esegesi restrittiva darebbe luogo ad un'evidente 
ed irrazionale disparit� di trattamento fra contribuenti in uguali condizioni 
soggettive, cio� che abbiano presentato o siano abilitati a presentare 
domanda di definizione (automatica o mediante dichiarazione integrativa) 
delle controversie pendenti, nei cui confronti la riscossione 
sarebbe consentita o preclusa in dipendenza di eventi -quali la maggiore 
o minore sollecitudine nell'iscrizione a ruolo o nel rendere esecutivo 
il ruolo -rimessi a circostanze fortuite relative all'attivit� ed alla 
operosit� degli uffici finanziari e perci� assolutamente inidonei a forniire 
un ragionevole supporto alla discriminazione (v., per un analogo discorso 
in relazione all'art. 16 della legge n. 516 del 1982, Corte Cost. 27 giugno 
1986, n. 175). 

Pertanto la disposizione di cui al quarto comma dell'art. 32 dt. deve 
essere interpretata nel senso che preclude in ogni caso la riscossione 
provvisoria dei tributi cui si riferisce la legge n. 516 del 1982, a prescindere 
dalla circostanza che non sia avvenuta o sia gi� avvenuta l'iscrizione 

1

a ruolo, non potendo la riscossione medesima aver luogo dopo la presentazione 
della domanda di condono o in pendenza del termine per 
presentarla. 

5 . ..,_ Questa esegesi trova conferma nella disciplina successivamente 
dettata per le iscrizioni a ruolo effettuate prima del 30 marzo 1985 in 
base a decisioni, sentenze o accertamenti diventati definitivi dopo il 
15 marzo 1983 per imposte sui redditi relative a periodi per i quali sono 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

state presentate dichiarazioni integmtive o istanze di definizione automatica: 
ai sensi dell'art. l, terzo comma, della legge 14 mairzo 1985, 

n. 101, la <riscossione di ta1i tributi � sospesa fino alla liquidazione delle 
imposte dovute in base alle dichiarazioni integrative o alle istanze di 
definizione (comunque non oltre il 31 dicembre 1988), senza imporre al 
contribuente neppure l'onere di presentare all'uopo appoSiita istanza 
~prima dell'art. 1 della legge n. 101 del 1985 era stato emanato il. d.l. 22 dicembre 
1984, n. 902, poi decaduto per mancata conversione, che all'art. 3 
conteneva una disposizione analoga, tuttavia condizionando la sospensione 
della riscossione ad un'istanza all'intendenza di finanza). 
La norma � rilevante perch�, nello stabilire la sospensione della 
riscossione per le pronunzie giudiziali e gli accertamenti divenuti definitivi 
dopo la scadenza del termine di sospensione previsto dall'art. 32 della 
legge originaria, prorogato al 15 marzo 1983 dalla legge n. 27 del 1983, 
a fortiori esclude che possa procedersi all'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio 
ovvero alla riscossione di tributi gi� iscritti a ruolo a tale titolo, 
in relazione ai quali, per essere rimasto sospeso il giudizio, non poteva 
neppure aversi uria decisione definitiva. La disposizione suddetta si � 
resa necessaria per gli accertamenti non impugnati in conseguenza del 
condono e, dunque, formalmente diventati definitivi dopo il 15 marzo 1983 
(scadenza del periodo di sospensione) e per le pronunzie anteriori al 
condono, non impugnate per la stessa ragione; e la disposizione non 
avrebbe senso, manifestamente, se non fossero rimaste sospese, ex art. 32, 
anche le iscrizioni provvisorie gi� effettuate in base 1a tali accertamenti 
e a tali decisioni. 

In definitiva, si deve affermare che, in forza dell'art. 32, quarto comma, 
del d.l. n. 429 del 1982, sul c.d. condono tributario, convertito nella 
legge n. 516 del 1982, e succ. modif., l'applicabilit� della disciplina delle 
iscrizioni a molo provvisorie delle imposte dirette, di cui all'art. 15 del 

d.P.R. n. 602 del 1973, rimase sospesa fino al 15 marzo 1983 (termine per 
la presentazione delle dichiarazioni integrative e delle istanze di definizione 
automatica), con la conseguenza che per i tributi non accertati definitivamente 
alla data di entrata ~n vigore del d.l. n. 429 del 1982, non 
poteva procedersi n� a nuove iscrizioni a titolo provvisorio n� alla riscossione 
delle iscrizioni provvisorie effettuate in precedenza; e tali iscrizioni 
o riscossioni sono poi rimaste definitivamente precluse per effetto della 
presentazione e dell'accoglimento delle diohiaraziorni. e domande suddette, 
venendo l'originaria pretesa fiscale sostituita dalla nuova liquidazione 
del tributo, eseguita (o da eseguire) in base alle norme agevolative della 
definiri.one delle pendenze tributarie di cui alle leggi innanzi menzionate. 
6. -Ci� posto, risulta agevole (['isolvere lo specifico problema giuridico 
che suscita il (['icorso, se, cio�, sia consentito dichiarare il fallimento 
fiscale <in base ad un'iscrizione a ruolo effettuata in via provvisoria, ex 

392 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

art. 15 d.P.R. n. 602 del 1973, per un debito d'1mposta derivante da un 
accertamento impugnato, perci� non definitivo, in relazione al quale sia 
stata presentata (ovviamente, prima della sentenza di fallimento) dichiarazione 
integrativa con def�inizione rautomatica, ai sensi degli artt. 14 e 16 
della legge di condono suddetta. 

Si � visto che il fallimento fiscale postula l'inadempimento di un 
debito di imposta iscritto in un ;ruolo valido ed efficace, che c�stitudsca 
idoneo titolo per la riscossione coattiva del tributo, anche alJ.a quale � 
finaliz2lata la speciale procedura concorsuale (che; com'� noto, adempie 
ad una duplice funzione, sia esecutiva e satisfattiva, essendo diretto a 
consentire alla finanza il soddisfacimento del proprio credito nella forma 
universale dell'esecuzione concorsuale, sia intimidatrice e sanzionatoria, 
siccome i gravi effettti personali e patrimoniali della dichiarazione� di 
fallimento, ordinariamente relazionati all'insolvenza, si producono in 
relazione ad un fatto meno grave, qual'� la mera inadempi�nza,� che 
potrebbe essere vinta, in ipotesi, con l'esecuzione singolare}. E si � 
anche vristo che ili. controllo circa l'esistenza �di tale presupposto � demandato 
al giudice, il quale -se non pu� interloquire quanto all'esistenza 
del debito -deve accertare che il titolo sia formalmente valido ed operante, 
in particolare verJ:ficando, anche in relazione alle eventuali� eccezioni 
del debitore, che non siano sopravvenuti fatti o atti i quali abbiano 
privato il ruolo dell'efficacia esecutiva sua propria; il quale requisito 
assume particolare significato per le iscrizioni provvisorie, posto che fu 
tal caso -come pure si � detto -la pronuncia di fallimento pu�� giustificarsi 
solo con l'esecutoriet� dell'atto. 

In forza del principio dnnanzi enunciato, nel periodo dall'entrata in 
vigore del d.l. n. 429 del 1982 al 15 marzo 1983, e a maggior ragione dopo 
la presentazione della dichiarazione integrativia con definizione automatica, 
le iscrizioni a ruolo (provvisorie) di t�ributi ricadenti nell'area del 
condono non costituivano titolo per la riscossione, erano, cio�, provvisoriamente 
prive di efficacia esecutiva; ed erano destinate a perdere tale 
qualit�, diventando definitivamente inefficaci, in seguito all'accettazione 
della dichiarazione integrativa, in virt� della quale all'originario tributo 
si sostituiva que!llo dovuto in base alla legge di condono. 

Nel periodo suddetto, dunque, non era consentito dichiarare H fallimento 
fiscale in forza di iscrizioni provvisorie a ruolo riguardanti tributi 
per i quali era ammessa la definizrione automatica, con la conseguenza 
che l'istanza di fallimento andava rigettata o, comunque, ogni determinazione 
sulla stessa doveva essere so.spesa fino al 15 marzo 1983; pertanto, 
se dichiarato, il fallimento doveva essere revocato dal giudice del-
l'opposizione, specie se frattanto era stata presentata domanda di condono. 
(omissis) 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 393 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 gennaio 1988 n. 669 -Pres. Falcone 
-Est. Corda -P. M. Minetti (conf.). P.roto c. Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Cenerini). 

Tributi erariali diretti -Imposta complementare sul reddito -Accertamento 
induttivo -Presunzione -Disponibilit� di capitali dimostrata Presunzione 
di accumulo in due esercizi precedenti -Esclusione. 

La dimostrata disponibilit� di capitali in un determinato esercizio 
non giustifica la presunzione di accumulo di capitali nei due esercizi precedenti 
come dimostrativa di un reddito superiore a quello dichiarato (1). 

(omissis). -Col primo motivo (denunciando il vizio logico e la contraddittoriet� 
della motivazione) il ricorrente censura la decisione impugnata 
per avere presunto, dal supposto accumulo graduale del capitale, 
un capacit� cont:dbutiva superiore a quella risultante dagli elementi noti, 
risultanti daUa dichiarazione (fatta dal contribuente). Sostiene che la 
decisione awebbe dovuto, invece, considerare che la disponibilit� di capitali 
manifestata in un anno successivo a quello cui � riferito l'accertamento 
induttivo non necessariamente rivela una produzione di redditi 
realizzata negli anni immediatamente precedenti. E ci� pel'ch� quel capitale 
pu� essere stato realizzato proprio nello stesso anno in cui, mediante 
l'impiego, ne viene rivelata l'esistenza, ovvero pu� essere il frutto di un 
lento accumulo, attuato in un numero di anni ben superiore a quello 
presunto dalla decisione impugnata. 

Col secondo (denunciando la violazione o falsa applicazione dell'articolo 
137 del T.U. 1958) censurava la decisiione impugnata per 1avere ritenuto 
che Ja capacit� contributiva poss� esisere rivelata dall'accumulo del 

(1) Conforme � l'altra decisione in pari data n. 670. La disponibilit� di 
un capitale in un certo momento non dimostra che essa si sia accumulata nei 
due esercizi precedenti perch� potrebbe essere di accumulo assai pi� lento 
come pure potrebbe essersi creata nello stesso esercizio in cui il capitale 
� stato speso; ed � forse esatta l'affermazione che l'induzione tentata si 
basa solo su una possibilit� e non una probabilit�. No:cy'� sembra tuttavia 
condividibile l'affermazione che nel caso si sia impostato 'l'accertamento su 
una praesumptio de praesumpto. La capacit� contributiva superiore al dichiarato 
� una faccia della stessa presunzione di accumulo negli esercizi precedenti 
non gi� una ulteriore presunzione derivata da una prima presunzione: 
se la somma oggi disponibile � 100 e si presume (prima ed unica presunzione) 
che questa disponibilit� si sia creata con un reddito di 50 e 50 nei due 
esercizi precedenti, nei quali i redditi dichiarati erano stati 25 e 25, la conclusione 
della produzione di maggior reddito � l'effetto della unica presunzione. 
Per una analoga ricostruzione cfr. Cass. 17 febbraio 1986, n. 934 in Dir. 
prat. trib., 1986, Il, 795. 

394 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DE.I.LO STATO 

capitale. Deduce che, ai sensi della norma indicata come vio~ata, l'accertamento 
induttivo � 1egittimo quando ad esso si perviene attraverso manifestazioni 
di 1reddito �speso� (non �accumulato�). 

Il ricorso � fondato. 

La ratio della decisione impugnata pu� esse.re cos� sintetizZiata: dal 
fatto noto del possesso della somma di lire 141 milioni nel 1973 si risale, 
per presunzione, a1 fotto del graduate accumulo della somma stessa nei 
due anni immediatamente precedenti 1971 e 1972 (la controversia attinente 
al 1972, separata' dalla presente perch� decisa dalla Commissione Tributaria 
Oentirale con separata pronuncia e relativa al ricorso per cassarione 

n. 6305/84, viene da questa Corte esaminata contemporaneamente a1la 
presente e decisa contestualmente ad essa). Da ci� deri~a la presunzione 
che per gli anni precedenti il contribuentle avesse avuto una capacit� 
contributiva superiore 1a quella dichiarata. 
Siffatto ragionamento denuncia, per�, un uso distorto dello strument� 
logico delle presunzioni per due evidenti rngioni. 

La prima � che dal fatto (noto) della disponibilit� dell'intera somma 
nel 1973 fa discendere il fatto (presunto) del parziale �accumulo� nell'anno 
qui considerato in base a un calcolo che non � neppure di ilontana 
probabilit�, ma � di semplice, astratta possibilit�. � 1infatti, solo possibile 
che in ciascuno dei due anni considerati da1l'Ufficio (1971 e 1972) il contribuente 
avesse � accumulato � la somma di lire 30 milioni, cos� come 
era peraltro possibile che ne avesse 'accumulato un'aHra di entit� diversa, 
ovvero non ne avesse accumulato alcuna. Ma non � in base alla mera 
possibilit� che pu� essere costruito il ragionamento probatorio fondato 
sulle presunzioni, occorrendo, invece, che il fatto presunto sia collegato 
a quello noto da un vincolo logico a;1meno di probabilit�, in base al principio 
dell'id quod plerumque accidit. 

La seconda ragione che denuncia l'uso distorto dello strumento probatorio 
logico adoperato daH'Ufficio e fatto proprio dalla Commissione 
Tributaria Centrale consiste nell'avere fondato il fatto presunto non 
direttamente sul fatto noto, ma, a questo per il tramite di un fatto 
anch'esso presunto (praesumptio de praesumpto). 

La presunzione di una maggiore disponibilit� economica, rivelatrice 
della maggiore capacit� ,contributiva, deriva dalla presunzione del graduale 
�accumulo� del denaro attuato nei due anni 1971 e 1972. Ma se 
gi� quel graduale � accumulo � del denaro � presunto, ci si trova, palesemente, 
di fronte a quella praesumptio de praesumpto che, per costante 
giurisprudenza non pu�, in 1alcuna sede processuale, essere adoperata ai 
fini probatori. 

La conclusione di tutto il discorso � che l'Ufficio non ha dato una 
valida prova deil'asserito fatto che il contribuente, nell'anno in conside



PARTE I, SEZ. VI,' GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 395 

~azione, avesse a\"Uto una capacit� reddituale contributiva superiore a 
queUa dichiarata. L'ulteriore conclusione � che, in accoglimento del 
ricorso, deve essere pronunciata la cas�sazione della decisione impugnata. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 gennaio 1988 n. 824, -Pres. Scanzano 
-Est. Lupo -P. M. Visalli (conf.). Ministero deHe Finanze (avv. 
Stato D'Amato) e Fallimento Sare (avv. Manunza). 

Tributi in genere -Riscossione -Esecuzione esattoriale -Devoluzione -Decreto 
di revoca -Natura -Impugnabilit� con ricorso per Cassazione 
-Ammissibilit�. 
(Cost., art. 111, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 87}. 

Riscossione imposte dirette � Esecuzione esattoriale -Devoluzione -Effetti 
-Procedimento -Fallimento del debitore -Non la impedisce. 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 51 e 87). 
Premesso che il ricorso per Cassazione a norma dell'art. 111 Cost. 
� ammissibile contro tutti i provvedimenti giurisdizionali aventi carattere 
di decisoriet� e definitivit�, � da ritenersi ammissibile il ricorso 
contro un decreto del pretore che nell'esecuzione esattoriale abbia revocato 
la devoluzione allo Stato di immobile per il quale non sia stato 
autorizzato o ab.bia avuto esito negativo il terzo incanto (1). 

Nell'esecuzione esattoriale la devoluzione a norma dell'art. 87 D.P.R. 

n. 29 settembre 1973 n. 602 avviene di diritto e senza bisogno di decreto 
di trasferimento (necessario invece in caso di aggiudicazione) per il verificarsi 
dell'esito negativo del terzo incanto o per la sua mancata autorizzazione, 
tanto che il verbale che fa constare questi presupposti � il titolo 
per la trascrizione e la cancellazione delle ipoteche; la devoluzione si 
verifica anche quando il debitore sia fallito e l'esecuzione individuale 
venga proseguita a norma dell'art. 51 del D.P.R citato. Conseguentemente 
il pretore, che non deve emettere alcun provvedimento ai fini della devoluzione, 
non pu� nemmeno revocare o comunque escludere la devoluzione 
(2). 
(1-2) Decisione da condividere pienamente. Sulla problematica generale 
del ricorso ex art. 111 Cost. la giurisprudenza � vastissima (Cass. 6 novembre 
1984, n. 3603 in Foro it. 1985, 2056). Molto puntuale la motivazione sulla 
devoluzione di diritto a raffronto con le diverse ipotesi del trasferimento per 
aggiudicazione. Importante l'affermazione che l'esecuzione esattoriale indivi'
duale in costanza di fallimento ex art. 51 d.P.R. n. 602/1973, possa essere 
proseguita fino alla devoluzione, sul punto � intervenuta anche la Corte Costituzionale 
con ordinanza 31 marzo 1988, n. 383. 



396 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Con il primo motivo la parte ricorrente, lamentando la 
violazione dell'art. 87 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (suHa riscossione 
delle imposte sul reddito) e dell'art. 487 c.p.c., deduce che la devoluzione 
dell'immobile allo Stato, previista dalla prima delle due indicate disposizioni 
normative, si realizza di diritto, onde al pretore non � conferito 
dalla .legge il potere n� di emettere una pronuncia (costitutiva o anche 
soltanto meramente dichiarativa) che abbia per oggetto d1 trasferimento 
del bene pignorato nel patrimonio dello Stato, n� di fare V�enire meno 
questo effetto, con un contrarius actus che non � previsto dall'ordinamento. 


Con il secondo motivo, la ricorrente, deducendo violazione dell'articolo 
51 del citato d.P.R. n. 602/73, �si duole che H provvedimento impugnato 
abbia negato il diritto dell'esattore di iniziare o portare a compimento 
la procedura di espropriazione forzata anche nei confronti del 
debitore fallito. 

Il ricorso, proposto ai sensd dell'art. 111 Cost., deve ritenersi ammissibile, 
onde � infondata l'eccezione di inammissibilit� opposta dalla 
difesa del fallimento nella discussione orale. 

� noto che secondo una risalente giurisprudenza di questa Corte 
(a partire dalla Sez. Un. 30 lugLio 1953 n. 2593), l'art. 111, 2� comma della 
Costituzione, nell'ammettere il ricorso per cass�azione contro � le sentenze
�, comprende non soltanto tutti i provvedimenti giurisdizionali che 
devono rivestire la forma della sentenza indipendentemente dal loro contenuto, 
ma anche gli alt11i provvedimenti decisori, ancorch� rivestano una 
forma diversa da quella della sentenza. L'evoluzione giurisprudenziale 
consente di precisare le caratteristiche di questa seconda categoria di 
provvedimenti, che hanno la natura sostanziale di �sentenza�, pur essendo 
emanati sotto forma di 011dinanza o di decreto. Si tratta dei provvedimenti 
che hanno i requisiti della �decisoriet� � e de1la �definitivit��: 
a) la decisoriet� ha riguardo agli effetti di diriitto sostanziale del provvedimento, 
che � decisorio quando, incidendo su dl!ritti soggettivi, abbia 
attitudine a produrre gli effetti di giudicato nella composizione degli 
interessi contrapposti; b) la definitivit� assume rilievo sul piano processuale, 
come assenza di rimedi idonei a consentire un riesame del provvedimento 
(v., di recente, Sez. Un. 6 novembre 1984 n. 5603). 

Occorre ora stabilire se questi due requisiti siano o meno presenti 
nel decreto impugnato, con il quale il pretore, in una procedura di 
esecuzione esattoriale immobiliare, ha revocato il precedente decreto, 
emesso dallo stesso pretore, che 1aveva dichiarato devoluti allo Stato 
determinati beni immobili, ai sensi dell'art. 87 del d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 602. 

Secondo il primo comma di tale articolo � quando il terzo incanto 
non � stato autorizzato o quando ha esito negativo l'immobile � devo




PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA 

luto di diritto allo Stato per il minor prezzo tra il prezzo base dell'incanto 
determinato <ai sensi del secondo comma dell'art. 85 e l'ammontare 
dell'imposta e della relativa soprattassa, pene pecuniarie e interessi per i 
quali ha avuto Juogo l'esecuzione �. 

Per effetto della trascritta disposizione, l'esito negativo del terzo 
incanto (che � l'ultimo effettuabile) ovvero la manoata autorizzazione 
(da parte dell'intendente di finanza) al terzo incanto (quando la vendita 
non abbia avuto luogo al secondo incanto) determina la devoluzione allo 
Stato del bene immobile pignorato. Si ha, quindi, il trasferimento forzato 
di detto bene, e cio� lo stesso effetto che si realizza con l'aggiudicazione; 
ed infatti l'art. 90 del d.P.R. n. 602/73 prevede H riscatto degli immobili 
espropriati sia nell'ipotesi di aggiudicazione, sia in quella di devoluzione 
allo� Stato. 

Secondo l'espressa previsione della stessa disposizione, il trasferimento 
del bene espropriato .allo Stato avviene �di diritto �, e cio� senza 
bisogno del decreto di trasferimento previsto, per l'aggiudicazione, dall'art. 
586 c:p.c. (applicabile anche nell'espropriazione immobiliare esattoriale: 
Ca:ss. 20 gennaio 1982 n. 362). Quindi, mentrie nehla ipotesi di aggiudicazione, 
l'aggiudicatario diviene titolare del diritto di propriet� sul bene 
espropriato solo in forza del decreto di trasferiimento (Cass. 15 aprile 
1980 n. 2463), di questo decreto non vi � bisogno perch� si realizzi il 
trasferimento del bene a seguito di devoluzione, il quale avviene per H 
semplice verificarsi di una delle due slituazioni contemplate dall'art. 87 
del d.P.R. n. 602/73: eS'i.to negativo del terzo incanto (autocizzato dall'intendente 
di finanza) ovvero mancata autorizzazione al terzo incanto. 

Siffatta interpretazione trova una esplicita conferma nel secondo comma 
dello stesso art. 87, ove si precisa che �il verbale di esito negativo 
del terzo incanto, corredato dal provvedimento autorizzativo dell'intendente 
di finanza, costituisce titolo per la trascrizione della devoluzione 
sui registri immobildari e per la cancellaz;ione delle trascrizioni dei pignoramenti 
e delle iscrizioni ipotecarie relative all'immobile stesso �. Chiaira 
� <la contrapposizione tra la trascritta disposizione e l'ultimo comma delJ'art. 
586 c.p.c., ove si attribuisce fa qualit� di �titolo per la trascrizione 
della vendita sui libri fondiari�, al decreto di trasferimento all'aggiudicatario. 
Irrilevante �, poi, che, nel secondo comma dell'art. 87 citato, sia 
contemplata soltanto una delle due situazioni che determinano la devoluzione 
allo Stato, e cio� l'esito negativo del terzo dncanto (e non anche 
Ja mancata autorizzazione al terzo incanto): secondo il primo comma dell'art. 
87, Ja devoluzione opera � di diritto � in ambedue fo ipotesi, onde il 
secondo comma va applicato analogicamente anche alla situazione (ricorrente 
nel caso di specie) deHa mancata autorizzazione al terzo incanto; 
in quest'ultima ipotesi il titolo (per la trascrizione della devoluzione) � 
costituito dal verbale di es:ito negativo del secondo incanto, corredato dal 


398 RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DEl.J.O STATO 

provvedimento dell'intendente di finanza di diniego dell'autorizzazione 
al terzo incanto. 

Concludendo sull'interpretazione dell'art. 87 d.P,R. n. 602/73 (necessaria 
per poter definire la natura sostanziale del decreto impugnato), 
deve dirsi che, nella devoluzione allo Stato, il trasferimento del bene 
immobile avv�iene senza bisogno di un provvedimento del pretore, bens� 
come diretto effetto di una delle due situazioni previste in detto articolo. 
Il decreto impugnato, revocando il precedente decreto con cui � si 
.dichiaravano devoluti. ano Stato � determinati beni immobili, per i quali 
l'intendente di fiinanza non aveva autorizzato iJ terzo incanto, ha inteso 
negare il trasferimento di propriet� dei beni stessi, avvenuto prima ed 
indipendentemente dalla pronunzia .del decreto revocato. Il P�retore di 
Crema, pertanto, accogl!�endo l'istanza proposta dal curatore del fallimento 
del debitore espropriato, ha inciso sul diritto di propriet� gi� 
entrato nel patrimonio.deMo Stato, decidendo nel senso della insussistenza 
dello stesso, �tanto che ha disposto anche la trascrizione del proprio 
decreto sui registri immobiliari. Questo decreto, in particolare, ha pronunciato 
sugli interessi contrapposti dello Stato (a conservare la propriet� 
del bene gi� acquistato per effetto deHa devoluzione) e della curatela 
fallimentare (ad acquisire all'attivo della procedura gli immobili espropriati, 
anzich� il prezzo della devoluzione versato dallo Stato). Il provvedimento 
di decisione su tale conflitto adottato dal pretore � idoneo a 
produrre effetti sostanziali analoghi a quelli derivanti dal giudicato, se 
si tiene presente che, in esecuzione di esso, il curatore fallimentare 
avrebbe potuto p!rocedere a11a liquidazione dei beni in sede concorsuale, 
nonostante l'avvenuto versamento del prezzo della devoluzione da parte 
dello Stato (da effettuarsi a norma dell'art. 79 del d.P.R. 15 maggio 1963 

n. 858). 
A conferma della natura decisoria del decreto impugnato pu� essere 
indicato l'orientamento di questa Corte che ha ritenuto ricorribili ex 
art. 111 Cost. sia H provvedimento del tdbunale fallimentare che aveva 
ritenuto determinati beni soggetti alla procedura fallimentare, anzich� 
alla esecuzione esattoriale (Cass. 16 marzo 1972 n. 770), sia il provvedimento 
dello stesso tribunale che, in sede di reclamo avverso l'ordinanza 
del giudice delegato dispositiva di vendita, aveva affermato la Jegittimit� 
di questa vendita pur in pendenza di esecuzione individuale promossa 
sul medesimo bene da istituto per H credito fondiario (che gode di 
privilegio analogo a quello dell'esattore) (Cass. 30 gennaio 1985 n. 582; 
2 febbraio 1978 n. 458). 

Per quanto attiene al secondo requisito prescritto perch� il provvedimento 
sia impugnabile ex art. 111 Cost., e cio� l'assenza di altri 
mezzi processuali idonei a consentirne un riesame (definitivit�), � sufficiente 
osservare che 11 decreto in esame, ponendosi al di fuori tli un 


PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

procedimento disciplinato ex lege, non � inquadrabile in una determinata 
catego['ia giuridioa deltla quale l'ordinamento definisca la revocabalit� 
o l'impugnabilit�. In particolare tale atto non � revocabile ex 
art. 487 c.p.c., in quanto esso, qualificato espressamente dal giudicante 
come decreto, va cos� considerato, incidendo sul trasferimento del bene 
espropriato, con effetto per il quale il d.P.R. n. 602/73 prevede, in 
ipotesi diverse dalla devoluzione, che il pretore provveda con decreto 
(art. 89: decreto di decadenza dell'aggiudicatario per mancato versamento 
del prezzo; art. 90: decreto che ritrasferisce all'espropriato l'immobile a 
seguito di riscatto). N� avvevso il provvedimento impugnato l'amministrazione 
ricorrente av�rebbe potuto proporre opposizione agli atti esecutivi 
(art. 617 c.p.c.): per quanto si voglia allargare la sfera dei soggetti 
legittimati attivi a detta opposizione, anche al di l� del debitore e del 
terzo assoggettato alla esecuzione, devesi osservare che lo Stato a cui 
favore avviene la devoluzione �rimane estraneo alla esecuzione esattoriafo, 
onde non sarebbe in .grado di rispettare il termine di cinque giorni dal 
compimento dell'atto (ad esso non comunicato) ovvero anche dalla comunicazione 
o notificazione di un atto successivo che necessariamente 
presuppone quello impugnato (secondo la interpretazione che Cass. 
27 gennaio 1982 n. 551 ha dato a1la norma che fissa il dies a quo per la 
decorrenza del termine), posto che non vi �, dopo il verificarsi della 
devolurione, alcun atto es�ecutivo che abbia lo Stato come destinatado. 

L'amm1ssibilit� del presente ricorso ex art. 111 Cost. � stata contestata, 
dal difensore del fallimento, sotto il profilo della assoluta anomalia 
del provvedimento impugnato, che, come si � gi� detto, � stato 
emesso al di fuori di un procedimento previsto dall'ordinamento (provviedimento 
� abnOTme � lo qualifica il ricorrente). Q�esta tesi si ricollega 
implicitamente all'orientamento secondo cui l"atto processuale giuridicamente 
inesistente, essendo insuscettibile di passare in giudicato, non 
� impugnabile ex art. 111 Cost., potendo l'inesistenza giuridica essere 
fatta valere senza limiti di tempo sia in via di azione di accertamento, 
sia in via di eccezione nel corso delle procedure all'uopo previste dall'ordinamento 
(cos� Cass. 14 marzo 1985 n. 1984). 

Va, per�, osservato che il decreto impugnato, per �quanto anomafo 
possa essere considerato, non � inesistente, e cio� non � tale da essere 
assolutamente inidoneo a produrre aJcun effetto sostanziale o processuale, 
analogamente al provvedimento non sottoscritto dal giudice (ipotesi 
di provvedimento inesistente espressamente configurata dall'art. 161, cpv 
c.p.c.). Esso, invero, si presenta munito di tutti gli elementi indispensabili 
per essere identificato come decreto del giudice dell'esecuzione, e ricevere 
perci� esecuzione, come si � gi� detto, attraverso la sua trascrizione nei 
registri immobiliari. 


400 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

N� la qualifica di � abnormit� � del provvedimento -attribuitagli 
dal ricorrente -implioa la sua inesistenza giuridica, �.n quanto -come 
si � esattamente osservato in dottrina -llabnormit�, intesa come 
fenomeno per il quale un provvedimento giudiziale abbia un contenuto 
diverso da quello stabilito daHe norme prncessual'i che lo disciplinano 

o comunque un contenuto non previsto da alcuna norma, pu� consistere 
sia in un vizio di nullit� (che si converte in motivo di impugnazione: 
art. 161, 1� comma c.p.c.), sia in una causa di inesistenza giuridica, 
che impedisce il formarsi del giud~cato (inesistenza che, come si � 
detto, qui non ricorre). 
In concluisione il ricorso della Amministrazione finanziaria � ammissibile, 
onde deve passarsi all'esame dei due motivi con esso dedotti 
e gi� 1innanzi esposti. 

Il ricorso � fondato. Il decreto impugnato, infatti ha violato sia 

I 

l'art. 87 sia l'art. 51 del d.P.R. n. 602/73, onde devono accogliersi ambedue 
le �censure mosse dalla parte ricorrente. 

I 

La violazione dell'art. 87 citato si desume dall'analisi che delle di-l 
sposizioni in esso contenute si � dovuta fare per valutare l'ammissibilit� 
del ricorso. Poich�, come si � detto, la devoluzione allo Stato si verifica 
di diritto, il pretore, come non ha il potere di emettere un provvedimento 

l

~ 

che disponga il trasferimento del bene allo Stato, cos� non pu� far ~ 
venire meno il trasferimento gi� avvenuto o comunque accertare, come 

~ 

.

giudice dell'esecuzione, che non si � verificata fa situazione giuridica in . 
presenza della quale la devoluzione si determina. Ogni eventuale conte-

I 

stazione in ordine all'avvenuto prodursi o meno di detta situazione deve ~ 
formare oggetto di un proeesso di cognizione, mentre al giudice dell'ese~= 


t~ 

cuzione 'il d.P.R. n. 602/73 attribuisce solo poteri relativi alla distri


~~ 

buzione del prezzo ricavato dalla devoluz�.one (art. 88). 

I[l\ 
' 

N� .la devoluzione allo Stato � impedita dal fatto che, prima dell'inizio 
dell'esecuzione esattoriale, il debitore sia stato dichiarato fallito. Il 
decreto impugnato, nel ritenere che l'avvenuto faHimento del debitore 
comportasse la insussistenza dei � presupposti di legge � per la devo


I 

luzione, ha violato anche ~�art. 51 del d.P.R. n. 
�l'esattore pu� procedere all'espropriazione anche 
sia dichiarato fallito �. 

I rapporti tra l'espropriazione esattoriale e la 

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.tare sono stati chiariti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la 
sentenza 12 maggio 1978 n. 2325, la quale ha precisato che il privilegio 
processuale attribuito dalla Jegge -alfosattore (in . deroga al principio 

posto daJ.I'art. 51 I. faH.) 
dei creditori �ed il riparto 
tanto pu� soddisfarsi sul 

602/73, secondo cui 
quando il debitore 

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prooedum fallimen~'/.



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� compatibile con il :rispetto del concorso 
in sede concorsuale. L'esattore, infatti, in 
ricavato dell'esecuzione da lui promossa in 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 401 

quanto egli insinui il proprio credito nel passivo fallimentare, onde egli, 
di tale ~icavato, pu� conservare solo la somma corrispondente alla 
quota che risulta spettargli in sede di riparto (nello stesso senso sono 

anche le sentenze n. 1716/80 e 4226/78). 

In applicazione degli esposti princip.i, deve ritenersi che la esistenza 
di una procedura fallimentare non impedisce t!Ja devoluzione allo Stato 
dell'immobile espropriato dall'esattore, in quanto H curatore fallimentare 
pu� fatr valere Je sue ragioni sul prezzo della devoluzione. 

In conclusione, il ricorso dell'amministrazione finanziaria va accolto 
ed il decreto impugnato va cassato. Poich� il procedimento promosso 
dal curatore fallimentare, con l'istanza di revoca aocolta dal decreto 
pretorile cassato, non poteva essfile instaurato, non va disposto il rinvio 
della presente causa (art. 382, 3� comma, ultima parte c.p.c.). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 febbraio 1988, n. 1468 -Pres. Granata 
-Est. Maiella -P.M. Colica (conf.). Tirotti (avv. Tentori) c. Min:
lstero delle Finanze (avv. Stato Zecca). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Appello � Enunciazione dei 
motivi . Necessit� � Motivi aggiunti � Esclusione. 

(d:P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 23). 
Tributi in genere � Repressione delle violazioni � Sanzioni civili � Trasmissibilit� 
agli eredi � Si verifica. 

(I. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 3; I. 24 novembre 1981, n. 689, art. 7). 
L'appello alla commissione tributaria di secondo grado � soggetto 
alle regole generali del processo civile per quanto concerne la specificazione 
dei motivi e l'impossibilit� di dedurre successivamente altri motivi; 
lo conferma l'art. 23 del d.P.R. n. 636/1972 che nel rinviare alle norme del 
giudizio di primo grado, esclude dal richiamo l'art. 19 bis. (1) . 

.Alle pene pecuniarie dell'art. 3 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, quali 
sanzioni civili, non si applica la norma dell'art. 7 della legge 24 novembre 
1981 n. 689 sulla non trasmissibilit� agli eredi che riguarda le 
sanzioni amministrative (2). 

(1-2) Sulla prima massima, in senso conforme Cass. 16 febbraio 1988, n. 1674 
di cui si omette la pubblicazione; la giurisprudenza � pacifica (Cass. 28 maggio 
1987 n. 4772 in questa Rassegna, 1977, I, 453). 

Importante la seconda massima. La non estensione della regola della non 
trasmissibilit� agli eredi delle pene pecuniarie in mat~ria tributaria va ricercata 
non soltanto sulla incerta distinzione tra sanzioni civili e sanzioni amministrative, 
ma anche sulla specialit� ed autonomia del sistema sanzionatorio 
tributario fatto salvo dall'art. 39 della legge n. 689/1981. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Con il secondo mezzo di ricorso, gli eredi Tirotti censurano 
la sentenza impugnata per quanto �riguarda la ritenuta inammissibilit� 
della questione relativa alla prescriziione delle pene pecuniarie 
e sostengono che l'art. 15 del d.P.R. n. 639 del 1972 consente al contribuente 
di formulare motivi ed eccezioni, ancorich� non indicati nel 
ricorso aLla CommisS1i.one tributaria, fino al momento in cui pu� essere 
presentata Ja memoria prev~sta dall'art. 19 dello stesso decreto. 

L'assunto dei ricorrenti non ha pregio. 

In punto di fatto, devesi precisare che la questione �relativa alla 
prescrizione delle pene pecuniarie non fu sollevata dai Tirntti con l'atto 
di appello a!J.a Commissione tributaria di secondo grado, ma soltanto 
nella successiva memoria difensiva per l'udienza di discussione. 

Oi� posto, va osservato che i.I diritto di impugnazione si consuma 
con il suo valido esercizo, sicch� l'avvenuta proposdzione del gravame 
preclude la possibilit� di dedurre successivamente ulteriori motivi, persino 
nel caso in cui Jl termine per l'impugnaziione non sia ancora 
scaduto (cfr. sentenze n. 3228/87, n. 3227/86, n. 1953/85). 

A tale regola non deroga la disciplina dettata per il giudizio di appello 
dal d.P.R. n. 636 del 1972. 

Invero, attesa l'applicabHit� davanti alla Commissione tributania 
di secondo grado dei pnincipi generali del processo civile, in quanto 
compatibili (cfr. sentenze n. 4385/83 e n. 1210/78) � da escludere che il 
rinvio operato dall'art. 23 del d.P.R. n. 636 del 1972 ad alcune disposizioni 
concernenti il giudizio davanti alla Commissione tributaria di primo 
grado, comprenda anche la facolt� per la parte istante di dedurre, nel 
giudizio di appello, motivi aggiiunti con la memo:da difensiva presentata 
prima della d1scussfone della causa (cfr. sentenze n. 2645/87, n. 1705/85, 

n. 4536/84, e n. 3540/84). 
In particolare va ribadito, come precisato nella sentenza n. 1705 del 
1985 gi� citata, che il richiamo contenuto nell'art. 23 ad alcune norme 
dettate per il giudli.Zlio di primo grado -fra cui l'art. 19 che nel testo 
originario conteneva la disposizione, oggi passata nell'art. 19 bis, relativa 
alla deducibilit� di motivi nuovi in memoria, sl�. riferisce alle sole 
norme procedi.mentali e non anche a quelli attinenti al contenuto de1la 
domanda (e quindi per il giudizio di secondo grado, all'atto di appello). 

Del tutto pretestuoso, infine, � il terzo mezzo del Ticorso, con il 
quale gli eredi Tirotti sostengono che le pene pecuniarie di cui all'art. 3 
della legge n. 4 del 7 gennaio 1929 non sono trasmiss!i.bi1i agli eredi 
in virt� dell'art. 7 della legge n. 689 del 24 novembre 1981. 

In contrario, basta osservare che l'obbligazione del pagamento delle 
pene pecuniarie in favore dello Stato, come risulta dalla testuale formulazione 
dell'art. 3 della legge n. 4 del 1929, ha carattere civile, in 
quanto integra una sanzione, non solo afflittiva, ma anche e soprattutto 


PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 403 

risarcitoria, mediante la quale � tutelato l'interesse pubblico al buon 
funzionamento dell'amministrazione tributaria e del servizio di riscossione 
dei tributi (cfr. sent. n. 1703 del 1962), non essendo applicabile 
l'art. 7 della legge n. 689 del 24 novembre 1981, che riguarda esclusivamente 
le sanzioni di natura amministrativa. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 febbraio 1988 n. 2040 -Pres. Vela 
Est. Cantillo -P.M. Dettori (conf.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Favara) c. Soc. Autovie Venete. 

Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone giuridiche Accantonamenti 
-Nozione -Fondo per opere di ammodernamento ed 
innovazione -Indeducibilit�. 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 5; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, 67; I. 28 aprile 
1971, n. 287, art. 1). 
Il fondo previsto dall'art. 1 della legge 28 aprile 1971 n. 287 per le 
societ� concessionarie di autostrade destinato alle opere di ammodernamento 
e innovazione va definito come accantonamento, inteso come 
onere il cui evento numerario non � ancora certo ma attendibilmente. 
sicuro nel successivo verificarsi; tuttavia tale accantonamento non � deducibile 
ai fini fiscali perch� non rientrante dal novero degli accantonamenti 
previsti dalla legge in numero chiuso (1). 

(omissis) Con l'unico mot.ivo di ricorso, denunziando la vfolazione 
degli artt. 3, 5 e 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, e degli artt. 67 e 70 

d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, nonch� vizi deHa motivazione, ~'Amministrazione 
finanziaria critica la decisione ii.mpugnata perch�, dopo avere 
(1) L'art. 1 della legge 28 aprile 1971 n. 287 sulla legislazione autostradale 
stabilisce che a decorrere dal terzo anno di apertura dell'autostrada saranno 
devoluti allo Stato come canone di concessione i diritti di pedaggio che risulteranno 
eccedenti dopo aver dedotto le spese di gestione e manutenzione, gli 
ammortamenti finanziario ed industriale, � l'accantonamento per innovazioni, 
ammodernamenti e completamenti � e un dividendo al capitale dell'ente concessionario; 
l'ammontare dell'accantonamento annuo per innovazioni ammodernamento 
e completamenti non potr� superare il 10 % dell'introito annuale 
per diritti di pedaggio; al termine della concessione saranno devolute allo 
Stato le quote non utilizzate dell'accantonamento e dell'ammortamento industriale. 
Il fondo per innovazioni ammodernamenti e completamenti � contabilmente 
evidenziato solo al fine della determinazione della somma da devolvere 
allo Stato e non ha una sua ragione d'essere nel conto dei profitti e delle 
perdite come componente ordinaria. 

Un fondo del genere non � forse nemmeno definibile come accantona� 
mento perch� manca, nella sua generica destinazione, la concretezza e verosi




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

404 

correttamente escluso che l'accantonamento in questione costituisca un 
fondo di ammortamento, come tale deducibile dai ricavi ai sensi dell'art. 
68 oit., ha .tuttavia ritenuto che esso non sia una componente 
di reddito imponibile, �laddove gli accantonamenti rilevanti ai fini della 
normativa fiscale sono soltanto quelli tassativamente previsti dagli 
artt. 65 e 67 del d.P.R. n. 597 del 1973. 

La censura � fondata: 

La commissione tributaria centrale, chiamata a stabilire se il fondo 
costituito dalla Societ� Autovie con riferimento all'art. 1 della legge 
28 aprile 1971, n. 287, dovesse essere inquadrato fra gli ammortamenti 

o fra gli accantonamenti, ha risposto in quest'ultimo senso; e la 
qualificazione � esatta, posto che, ;secondo la nozione elaborata dalla 
dottmna contabile, sostanzialmente recepita dalla normativa civilistica 
e da quehla fiscale del bilancio di esercizio, gli accantonamenrti corrispondono 
a costi ed oneri il cui evento numerario non � ancora 'certo 
e suscettibile di definitiva quantifiicazione, ma attendibilmente sicuro 
nel suo verificavsi, sicch� � legittimo tenerne conto imputandoli. anticipatamente 
all'esercizio �ritenuto di competenza. 
Sotto il p:rofilo contabile, quindi, non � dubbio che il fondo in 
questione debba essere qualificato come accantonamento, essendo stato 
costituito in funzione del previsto impiego in opere di ammodernamento; 
innovazione, . etc. ritenute sicure. 

Sennonch� la Commissione tributar.ia non ha considerato che la 
nuova disciplina fiscale, pur essendo �al riguardo pi� -liberale di quella 
precedente alla riforma (che consentiva la detrazione solo dell'accantonamento 
per le indennit� di fine rapporto ai dipendenti), prevede in modo 
analitico alcune fattispecie di accantonamento fiscale rilevanti e dichiara 

miglianza dell'onere da sostenere (tanto che si prevede la devoluzione delle 
quote non utilizzate) mentre � da escludere l'immanenza di un rischi�. In 
realt� un 'l:ondo del genere, se non fosse considerato dalla legge con finalit� 
particolari, sarebbe da definire come fondo di rinnovamento impianti che � 
una riserva di utili, che va tenuta ben distinta dagli ammortamenti, e che non 
pu� essere portata al passivo. 

1' comunque fuori di dubbio che un fondo del genere non poteva essere 
dedotto al passivo n� come accantonamento, per la chiarissima norma dell'art. 
67 del d.P.R. n. 597/1973 che non ammette accantonamenti diversi da 
quelli considerati da norme espresse, n� come ammortamento. Sul punto se 
il fondo potesse essere ricompreso nell'ammortamento dal quale sarebbe stato 
scorporato ai fini del rapporto di concessione, la sentenza � molto sommaria. 
Sembrerebbe comunque che il fondo che � previsto in aggiunta all'ammortamento 
finanziario e all'ammortamento industriale, non abbia nessuno dei caratteri 
dell'ammortamento, inteso come quota iscritta al passivo che corrisponde 
al deperimento ed al consumo degli impianti (art. 2425 e.e.), essendo destinato 
non ad assicurare la stabilit� al valore degli impianti esistenti bens� all'eventuale 
potenziamento futuro. 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

espressamente non deducibili tutti gli altri tipi di accantonamento non 
compresi fra quelli tassativamente menzionati. 

In particolare, alouni accantonamenti (per trattamenti di quiescenza, 
rischi �s�.i crediti, imposte e tasse: art. 6, 65, 67 d.P.R. n. 597 del 1973) 
sono �sempre ammessi in deduzione nella determinazione del reddito 
d'.impresa (tranne le imprese minori) e altri sono consentiti soltanto 
alle societ� di capitali ed enti assimilati (concorsi a premio, riserve 
tecniche delle imprese di assicurazione: artt. 13 e 18 d.P.R. n. 598 
del 1973), mentre per gli imprenditori e le societ� personali rientrnnti 
nel regime delle imprese minori l'unico accantonamento permes�so � 
quello relativo al trattamento di fine rapporto (che si fa rientrare nella 
previsione dell'art. 72 n. 4 del d.P.R. n. 597 del 1973). 

Ogni altro accantonamento imputato al conto dei profitti e delle 
perdite non pu� essere computato ai fiini della tassazione, sicch� risultano 
fiscalmente non deducibili anche tipi di accantonamento ormai 
entrati nella prassi azienda1e -quaH, ad es., quelli per oscillazione 
titoli, 'fluttuazione dei cambi, obsolenza del magazzino -ovvero previsti 
e regolati ad altri effetti da apposite leggi, con l'ulteriore conseguenza 
che in queste ipotesi il bilancio fiscale necessariamente diverge da 
quello civilistico (gli accantonamenti indeducibili oonsiderati in quest'ul~ 
timo vanno inseriti, quindi, come variazioni in aumento nella dichiarazione 
dei �redditi dell'esercizio). 

Gli accantonamenti previsti dagli artt. 1 e 3 della legge 28 aprile 
1971, n. 287, in relazione agli introiti lordi realizzati dalle societ� 
concessionarie di autostrade, non rientrano l�ra quelli come sopra tassativamente 
previsti per le societ� ed enti soggetti all'irpeg e sono, 
dunque, fiscalmente indeducibili, essendo rilevanti solo ai fini della 
determinazione del canone di concessione, nei rapporti, aio�, fra lo 
Stato e gli enti concessionari, come testualmente risulta, del resto 
dalle norme suddette. 

Consapevole di ci�,� la �societ� resistente (che -giova ricOl'darlo neHa 
dichiarazione dei redditi aveva cautelativamente gi� iscritto l'ammontare 
della posta accantonata fra le variazioni in aumento dell'utile 
di bilancio) nelle sue difese in questa sede prefedsce ragionare in termini 
di ammodernamento (in relazione al logoramento tecnologico degli impianti), 
sostenendo che il fondo .in questione i.solo contabilmente era 
stato scorporato daHa quota annua di ammortamento, determinata nei 
limiti previsti dalla normativa fiscale e perci� deducihile. 

Come dnnanzi si � detto, questa tesi � oggettivamente infondata e, 
comunque, tale � stata ritenuta dalla decisione impugnata, che ha qualificato 
la posta come accantonamento (in conformit� all'enunciato dell'art. 
1 della 1egge n. 287 del 1971) e ha positivamente escluso, per 
converso, che fosse da qualificare ammortamento, in via di principio 


406 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

e con specifico riferimento al bilando in questione. E questa statuizione, 
che involge (alla stregua della prospettazione della stessa resistente) 
anche indagini di fatto, � ormai incontestabile, non essendo stata 
censurata da alcuno. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 18 marzo 1988 n. 2476 -Pres Scribano 
-Est. Cantillo -P. M. Paolucci (conf.). Cingol� c. Ministero 
delle F:inanze (avv. Stato Lettera). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giurisdizione delle commissioni 
-Generalit� -Residua giurisdizione dell'AGO -Indebito oggettivo 
-�Esclusione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 1). 
La giurisdizione delle commissioni tributarie relativamente alle imposte 
elencate nell'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 � generale ed 
esclusiva e comprende tutte le questioni attinenti all'esistenza e all'entit� 
dell'obbligazione tributaria, senza che abbia rilievo a questi fini la 
distinzione fra atti emessi dall'Amministrazione in carenza di potere e 
atti costituenti illegittimo esercizio del potere. (1) 

(omissis) Con l'unico motivo di �I1icorso, denunziando la violazione 
delle norme sul riparto della giurisdizione tra i giudici ordinaci e le 
commissioni tributarie (art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, !in refazione 
agli artt. 1 e 9 c.p.C. e 3 t.u. 15 aprile 1910, n. 639), i ricorrenti 
sostengono che erroneamente la Corte di appello ha negato Ia giurisdizione 
del giudice ordinario, senza considerare che nella specie era 
stato contestato in radice il potere dell'Amministrazione di emettere 
l'ingiunzione e di agire in executivis, siccome la mera segnalazione del 
Comune circa l'esistenza dell'asserita violazione edHizia, essendo del 

(1) La giurisprudenza � costante sul punto (Cass. 3 febbraio 1986, n. 660, 
Foto lt. 1986, 1902; 24 febbraio 1987 n. 1948 in questa Rassegna 1987, I, 423); � 
per� importante la netta affermazione che non rileva al fine dell'individuazione 
della giurisdizione la distinzione tra carenza di potere e illegittimo esercizio 
di potere spesso utilizzata per riproporre il tentativo di investire l'AGO specie 
nei casi di rimborso presentati come indebito oggettivo (sulla specifica materia 
dei rimborsi cfr. le sentenze 27 aprile 1988 n. 3174 e 28 aprile 1988 n. 3197, in 
questo fascicolo pagg. 421-422). Se la somma � stata pretesa o versata a titolo di 
imposta, per quanto infondata possa essere la pretesa, si rimane sempre nella 
giurisdizione delle Commissioni soggetta alle relative regole procedimentali. 
Nella sentenza si fa menzione dell'art. 16 del d.P.R. n. 636 per chiarire che 
anche l'azione di mero accertamento, inammissibile innanzi alle commissioni, 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 407 

tutto sfornita di prova, non poteva legittimaire la sanzione fiscale ex 
art. 15 della legge n. 765 del 1967, pe:rici� inflitta senza alcun accertamento 
in ordine ai presupposti dell'obbligazione tcibutaria. 

La -censura � destituita di fondamento. 

Nel sistema del vigente contenzioso tributario appartengono alla 
giurisdizione delle commissioil!i tributare le controversie .relativ.e ai tributi 
elencati nell'art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, tra i quali 
l'imposta di �registro; e tale giurisdizione � esclusiva, comprendendo tutte 
le questioni attinenti all'esistenza e all'entit� della obbligazione tribu~
ria, �senza che abbia rilievo a questi fini la distinzione tra atti emessi 
dalla Amministrazione in carenza cli potere ed atti costituenti illeg.ittimo 
esercizio del potere. Al riguardo, questa Corte ha pi� volte precisato 
che la tutela giuriisdizionale dei diritti del contribuente si svolge attraverso 
'l'impugnazione di specifici atti dell'Amministrazione di accertamento, 
di impos.fafone o di rifiuto di rimborso di somme riscosse, elenoa:
ti nell'art. 16 della l�gge suddetta, con esclusione di ogni azione di 
accertamento negativo del debito d'imposta sia dnnanzi alle commissioni 
tributarie e sia innanzi al giudice o:ridinal'lio, dovendosi ritenere abrogate 
lepresistenti disposizioni (compreso l'art. 6 della legge 20 marzo 1865, 

n. 2248, aH. E) che consentdvano tale ultima azione (v. sent. n. 942 
del 1977, n. 6262 del 1980, n. 2118 del 1981 e, da ultima, n. 1948 del 1987). 
Nella specie, la domanda del cont�ribuente era diretta a contestare 
Ja legittimit� delle ingiunzioni emesse dall'Ufficio del Registro di S. Benedetto 
del Tronto, sostenendosi l'inesistenza dei presupposti della revoca 
dei benefici fiscali ex art. 15 legge 6 agosto 1967, n. 765. 

Per le opere realizzate in contrasto con fa concessione edilizia, infatti, 
tale disposizione prevede -quale ulteriore sanzione dell'illecito edilizio 
-l'esclusione de iure delle vigenti agevolazioil!i fiscali nel caso 
che fo difformit� riguardino W.olazioni di altezza, distacchi cubatura e 
superficie coperta, le quali eccedano, per ogni singola unit� immobiliare, 
il due per cento delle misure presoritte. All'uopo il Comune � obbligato 

� sottratta alla giurisdizione dell'AGO, il che � esattissimo. L'art. 16 tuttavia 
deve essere interpretato in modo che la giurisdizione delle commissioni non 
risulti limitata o esclusa in talune situazioni pur relative alle imposte di cui 
all'art. 1. Assumendo come tassativa l'elencazione degli atti dell'art. 16 e inter� 
ipretando gli atti in senso strettamente lettera:le possono risultare dei vuoti 
che o alimentano la tentazione di riaccedere alla giurisdizione dell'AGO o 
suscitano dubbi di legittimit� costituzionale. 

Si deve ritenere che la elencazione non sia tassativa e che comunque nell'espressione 
accertamento vada ricompreso qualunque atto, comunque denominato, 
che dichiara l'obbligazione o un suo elemento; in tal senso Cass. 25 ottobre 
1980 n. 6262 in questa Rassegna, 1981, I, 579 e Corte Cost. 3 dicembre 1985 

n. 313 e ord. 25 marzo 1987 n. 91; vedi anche C. BAFILE, Considerazioni diverse 
sulla natura del processo tributario in Rass. trib., 1986, I, 393. 
14 



408 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO 

a segnalare entro un certo termine siffatte violazioni all'Amministrazione 
finanziaria, la quale, non essendo normativamente previsti specifici 
atti al riguardo, applica la sanzione attraverso un provvedimento 

o di din�ego del beneficio non ancora concesso o di revoca (o decadenza) 
di quello gi� concesso; ma tale provvedimento pu� essere anche contenuto 
direttamente nell'ingiunzione di pagamento del maggior tributo, 
ci� che in concreto � accaduto. 
Pertanto, come esattamente ha osservato Ia Corte di merito, si era 
in presell2la di una tipica controversia di imposta, originaria da un 
atto di imposizione compreso tra quelli elencati nell'art. 16 del d.P.R. 

n. 636 del 1972 (modif. dal d.P.R. n. 739 del 1981), cio� l'ingiunzione, 
contro Ia quale il contribuente doveva proporre impugnazione innanzi 
alla ,competente commisStione tribut�ria di primo grado. 
Il ricorso deve, essere rigeHato, dichiarandosi che la cognizione della 
controversia appartiene alla giurisdizione speciale tributaria. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 marzo 1988 n. 2532 -Pres. Tilocca Est. 
Sensale -P. M. Paolucci (conf.) -Lag1ia (avv. Susani) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Palatiello). 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Attivit� 
di insegnamento -Libert� costituzionalmente garantita -Esenzione 
d'imposta -Esclusione. 
(Cast., artt. 33, 41 e 53). 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Attivit� 
di insegnamento -Organizzazione in forma di impresa -Doveri formali 
dell'imprenditore -Vi � soggetta -Difetto -Accertamento induttivo 
-Legittimit�. 

(e.e. art. 2214 e 2215; T.U. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 118). 
L'attivit� di insegnamento, bench� libera nel suo contenuto, pu� ben 
concretarsi in una iniziativa economica soggetta alle regole comuni dell'imposizione 
tributaria. (1) 

L'attivit� di insegnamento pu� configurarsi come una impresa commerciale 
quando ne abbia i connotati della organizzazione e della professionalit�, 
ricadendo cos� nei doveri formali imposti agli imprenditori 
relativamente alle scritture contabili, la cui inosservanza legittima l'ufficio 
all'accertamento induttivo. (2) 

(1-2) Decisione da condividere pienamente. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(omissis) Con il primo motivo �sd denuncia l'errata interpretazione 
ed applicazione della legge in punto dell'attivit� scolastica come oggetto 
di tassazione (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. in !relazione all'art. 277, stesso 
codice, e agli artt. 33 e 34 cost.) e, pTemesso che la funzione costituzionalmente 
riconosciuta alla scuola, la sua libert� e la sua autonomia 
esigono lo sgravio da ogni onere come corrispettivo della esenzione per 
lo Stato da analoghi oneri che ad esso deriverebbero dalla gestione 
della scuola, deduce che l"art. 84 del T.U. 29 gennaio 1958 n. 645 esentava 
da imposta i redditi derivanti da attivit�, aventi come contenuto l'istruzione, 
l'educazione, l'assistenza 'Sociale, il culto, la beneficenza ecc., e 
che non esiste una norma che specificamente colpisca l'eventuale reddito 
della 1scuola privata. 

La censura � infondata. 

Conviene innanzi tutto osservare che la libert� d'in'Segnamento, sancita 
dall'art. 33 Cost., deve intendersi, con la prevalente dottrina, non 
tanto come libert� di aprire e di organizzare scuole (che potrebbe piuttosto 
inquadrarsi nel principio di libert� dell'ini2fativa economica e/o 
nel lavoro autonomo), ma come diritto di chi � p'I'eposto all'insegnamento 
di insegnare liberamente nell'interesse della scuola, degli alunni e della 
scienza. 

Ci� -si � esattamente rilevato -� dimostrato dallo stretto collegamento 
tra libert� d'insegnamento e libert� della scienza (art. 33, 1� comma, 
Cost.); dalla considerazione che il ,precetto costituzionale garantisce 
l'insegnamento in quanto tale, e non altro; dalla esigenza del possesso 
da parte degl'insegnanti di requisiti che ne attestino l'idoneit� 
didattica; dalla dnterpretazione, che si � sempr� data dell'art. 33, nel 
senso non che tutti possono insegnare, ma che viene garantito -a 
chi insegna possedendo ii Tequisiti cui si � accennato -di farlo liberamente. 


In altri termini, il priricipio di libert� garantito dall'art. 33 attiene 
al contenuto dell'insegnamento nell'ambito del compito di promozione 
culturale assegnato allo Stato dall'art. 9 Cost., ma non esenta chi svolga 
tale attiviit� dagli oneri, anche patdmoniali ed economici, che essa comporta, 
tan�to che lo stesso art. 33, al secondo comma, dispone che enti 
e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza 
oneri per lo Stato. 

Sotto un diverso aspetto, l'insegnamento pu� .interessare l'ordinamento 
in quanto espressione d'iniziativa economica, la cui Ubert� � 
garantita dall'art. 41 Cost. Ma si tratta di due libert� costituzionali che 
operano su piani diversi e che non si escludono vicendevolmente, con 
la conseguenza che, se !"insegnamento viene attuato in forma di attivit� 
economica, non si sottrae ai limiti entro i quali questa deve svolgersi 
n� agli oneri di carattere tributario cui � assoggettata. 


410 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Esatto, quindi, � il rilievo, contenuto neHa 1sentenza impugnata, che, 
se l'art. 33 Cost. venisse inteso nel senso prospettato dal ricor�rente, il 
concetto di libert� d'insegnamento, conseguente e correlato alla libert� 
dell'arte e della scienza, vernebbe a mutarsi iin un vero e proprio privilegio 
�contra tenorem rationis, inconcepibile di uno Stato di diritto, 
salvo che una specifica norma di legge lo istituisca; e che ci� vale, in 
particolare, con riguardo alla potest� tributaria dello Stato, solennemente 
affermata dalla stessa Carta Costituzionale all'art. 53, con la conseguenza 
che Io Stato, nella sua potest� d'imperio, indica le situazioni 
effettuali cui ricollegare l'insorgere del tributo, ancorando quest'ultimo 
a circpstanze di fatto, sia soggettive che oggettive, aventi sempre carattere 
generale ed astratto, di per 1s� idonee a segnalare le situazioni da 
colpire. Ed esatta � la conclusione -cui la sentenza impugnata perVtiene 
-che qualsiasi attivit� produttrice di reddito viene a ricadere, 
salvo espressa esenzione, sotto la potest� tributaria dello Stato e quindi 
anche l'attivit� d'insegnamento, sia in una sfera individuale, sia considerata 
nella pi� vasta sfera d'impresa organizzata allo scopo, venendo, 
sotto tale aspetto, in rilievo non gi� come espressione del principio della 
libert� d'insegnamento, ma come attivit� economica produttiva di reddito, 
assoggettabile, nel regime anteriore alla riforma tributaria, ad 
imposta complementare, ai sensi dell'art. 130 del T.V. 29 gennaio 1958 

n. 645, e ad �imposta di ricchezza mobile di categoria B (in quanto 
prodotto dal concorso di capitale e lavoro), ai sensi degli artt. 81 e 85 
del detto T.V. N� -come pretende il ricorrente -una norma di esenzione 
pu� ravvisarsi nell'art. 84, lettera g), che esenta dall'imposta di 
r.m. non gi� i redditi prodotti dall'esercizio deH'attivit� d'istruzione (e 
quindi i soggetti che svolgono tale attivit�), ma Ie somme erogate da 
altri soggetti d'imposta a titolo di liberalit� iri favore di enti, istituti o 
associazioni legalmente riconosciuti (e soltanto fino a concorrenza del 5 % 
del reddito dichiarato), quando scopo speoifico della liberalit� � l'istruzione, 
l'educazione, l'assistenza sociale, il culto e }a beneficenza. Diverso �, dunque 
il soggetto esentato (chiunque produca il reddito e non specificamente chi 
lo produca attraverso l'esevci:mo dell'attivit� d'insegnamento); diversa la 
parte di reddito esente (quella erogata a favorn di altri e non quella prodotta 
a vantaggio proprio); tipico e specifico lo �scopo della erogazione, che 
dev'essere fatta per spirito di liberalit� e non deve costituire impJego di 
capitali al fine dello svolgimento di un'attivit� economica; chiaro il fine 
deHa norma d'incoraggiare il compimento di atti di liberalit� per uno 
scopo meritevole del beneficio fiscale e non di sottrarre all'imposizione 
fiscale i redditi che l'esercente dell'attivit� d'insegnamento fa propri. 
Con il secondo motivo il ni:corrente censura la sentenza impugnata, 
sotto il profilo della violazione degli artt. 277 c.p.c. e 37, 2� comma, T.V. 
645/58 e sotto quello del difetto di motivazione, nella parte in cui ha 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 411 

ritenutp che la gestione di una scuola privata � attivit� commerciale e 
implica la tenuta dei libri, documenti e scritture contabili, la cui mancanza 
giustificherebbe il 'Ilicorso, da parte del Fisco, aH'accertamento induttivo. 
Ritiene, per contro, il ricorrente che non � esatta la premessa dalla quale 
muovono i giudici del merito e che, pertanto, � errata l'affermazione qella 
legittimit� del metodo induttivo seguito dall'Amministrazione delle finanze, 
anche perch� era stata presentata tutta la documentazione dalla quale 
poteva analiticamente accertarsi la sussistenza o meno di un reddito e in 
refazione alla quale la Corte d'appello non ha portato il suo esame. 

Correlato al secondo motivo � il terzo, con il quale il 11icorrente si 
duole della mancata indagine sull'operato dell'Ufficio che aveva applicato 
un ricarico pruri al 12,50 per cento in relazione alle spese e al giro complessivo 
del denaro circolato. 

Trattasi di censure infondate. 

Invero, tra l'art. 2082 e.e.,. che contiene la definizione dell'imprenditore, 
l'art. 2135, che definisce l'imprenditore agricolo, e l'art. 2195 (che assoggetta 
all'obbligo d'iscrizione nel registro delle imprese gl'imprenditori che, fra 
l'altro, esercitano un'attivit� industriale diretta alla produzione di beni o 
servizi o un'attivit� intermediaria nella circolaZJione dei beni) il collegamento 
operato dalla dottrina prevalente � nel senso che l'imprenditore � o agricolo 
o commerciale e che, pertanto, l'art. 2135 ha la funzione non solo di 
predsare le caratteristiche dell'impresa agricola, ma anche queHa di determinare 
per esclusione le caratteristiche de1Jlimpresa commerciale, che 
l'art. 2195 non ha inteso indicare in modo esauriente. In questa ottica 
si � anche precisato che il carattere industriale dell'attivit� non va individuato 
nel suo significato tecnico-economico di trasformazione della materfa, 
ma va inteso in senso generico, in modo da comprendersi ogni attivit� 
di produzione di beni, mentre sempre commercifile (tin 1senso stretto) � 
l'attivit� di produzione di servizi. Ed � significativo, al riguardo, che, a 
norma dell'art. 2238 cic., anche l'esercizio della professione !intellettuale, 
se costituisce elemento di un�attivit� organizzata in forma d'impresa, � 
assoggettata alla disciplina dell'imprenditore. 

Se cos� �, � evidente che anche l'attivit� d'insegnamento, in quanto 
attuazione della libert� d'iniziativa economica ed in quanto diretta a produrre 
un servizio, pu� configurarsi, in astmtto, come attivit� d'impresa 
commerciale, quando ne abbia i connotati della organizzaztione, della professionalit� 
(nel senso di stabilit� e continuit�), dell'attivit� economica 
(qual � quella diretta alla produzione di ricchezza), e dello scopo di lucro 
in senso oggettivo, come idoneit� in s� dell'impresa a dare un profitto. 

La esistenza, nel caso concreto, di tali connotati � stata insindacabilmente 
accertata dalla Corte del merito, la quale ha rHevato come la 
gestione di una scuola privata, quale quella di oui si controverte, istituita 
unicamente a scopo di lucro, trovi il proprio impulso nell'impiego di capi




412 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fil

tali e lavoro e nell'organizzazione dell'attivit�, sl che non pu� sussistere 
dubbio sulla sua natura d'impresa commerciale, come, del resto, era stato 1:: 
implicitamente ammesso dallo stesso contribuente attraverso la presentaf:' 
zione, per gli anni 1972 e 1973, della dichiarazione dei redditi cLi ricchezza . 
mobile di categoria B. 

l

Da ci� la Corte del merito ha tratto la corretta conclusione che la 
scuola, denominata �Centro italiano di meccanograffa �, fosse obbligata, 
ai sensi dell'art. 2214 e.e., alla tenuta dei prescritti libri, documenti e scritture 
contabili con l'osservan:z;a delle disposizioni di cui agli artt. 2215 e segg. 

e.e. e che, in mancanza dei libri e delle scritture prescritte, l'Ufficio avesse 
I I

legittimamente proceduto induttivamente all'accertamento del reddito in 
base all'art. 118 del T.U. 645/58, conformemente a quanto gi� ritenuto da 
questa Corte (sent. 11 ottobre 1979 n. 5279) e cio� che la mancata tenuta 

iI 
~ 

dei libri e registri contabili prescritti dall'art. 2214 e.e. va equiparata al 
rif�iuto della produzione di detti documenti ed implica che l'Amministrazione, 
senza necessiit� di procedere preventivamente alle ispezioni e verbalizzazioni 
�di cui agli artt. 39 e 42 del citato T.U., � legittimata all'accertamento 
induttivo dei redditi imponibHi, ai sensi ed agli effetti deH'art. 118, ~ 
Zo comma, del medesimo T.U. N� la legittimit� dell'accertamento induttivo I 
pu� essere contestata, assumendosi, da parte del ricorrente, di avere ,,fil 
esibito all'Ufficio altri documenti, perch�, da un lato, tale legittimit� susii 


~ 

siste per il solo fatto della mancata esibizione dei libri e delle scritture 

fil

contabili prescr�tte dalla legge, dall'altro la Corte ha accertato in fatto che, f:
f: 
in difetto di tale esibizione, non era stata fornita, ai sensi del 2� comma 

I & 

1

dell'art. 118, 1a prova contraria all'accertamento dell'Ufficio; incombente 

al contribuente e risultante da documenti dai quahl si potessero desumere 

~ 

chiaramente e distintamente gli elementi attivi e passivi in conformit� 

" 

al modello della dichiarazione dei redditi. (omissis) ~ 

1: 
I ~ 
j: 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 marrro 1988, n. 2535 -Pres. Scanzano Est. 
Maiella -P. M. Romagnoli (conf.) -Oapua (avv. Lupoi) c. Ministero 
delle F�inanze (avv. De Stefano). 

I 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenza 
� Intento speculativo � Mero frazionamento di terreno 


I 

Insufficienza. 

I 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). E
'~ 

L'intento speculativo che � alla base della tassabilit� della plusvalenza ! 
realizzata da soggetto non imprenditore, pu� sopravvenire dopo l'acquisto 
del bene ma deve manifestarsi con concreti atti diretti ad agevolare e 
potenziare l'incidenza di fattori incrementativi; nel caso di terreni agricoli 

I 

I i 

I

I

I

.,..,,.,.,.,.,,...,.,,��,��II 


PARIB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

non � idoneo ad integrare l'intento speculativo il mero frazionamento del 
suolo, essendo necessaria la trasformazione della utilizzazione attraverso il 
ricorso a strumenti urbanistici (convenzioni con il comune) o il compimento 
di opere (costruzione di strade, fognature ed infrastrutture). (1) 

(omissis) Con i due mezzi del ricorso, strettamente connessi tra loro, 
viene denunciata la violazione e fa falsa rapplicazione degl� artt. 2729 e.e. e 
81 del Testo Unico n. 645 del 1958, anche sotto il profilo dell'omessa motivazione 
circa un punto decisivo della controversia. Si assume che la Commissione 
tributaria centrale, nel ritenere che � l'animus lucrandi appare 
pi� che evidente dalle caratteristiche della operazione, mentre le ragioni 
addotte dalle parti appaiono assai poco attendibili�, si � avvalsa di una 
presunzione semplice, priva dci oaratteri della gravit�, della precisione e 
della conoordanza. Si osserva, inoltre, che la Commissione tributaria centrale 
ha inesattamente affermato che il terreno, a~ momento dell'acquisto, 
era diviso in tre lotti, mentJre in rrealt� si tmttava di un unico appezmmento 
f�razionato in due parti al momento della rivendita, avvenuta ben tredici 
anni dopo l'acquisto, senza che fosse 1stata compiuta alcuna operazione 
mig1iorativa o incrementativa. Si sostiene quindi che la decisione impugnata 
h� erroneamente ravvisato nella specie un -intento speculativo, pur 
non avendo l'Ufficio fornito la bench� minima prova di esso. 

I motivi sono fondati. 

Come � stato recentemente puntualizzato da questa Corte Suprema, 
l'intento speculativo -il quale rOOstitUJisce condizione per l'assoggettamento 
ad �imposta di �ricchezza mobile ai sensi e nel vigore dell'art. 81 
del d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, delle plusvalenre realizzate da un soggetto 
non imprenditore e corrispondenti all'aumento del valore di scambio che 
assume nel tempo un cespite patrimoniale rispetto al costo iniziale -va 
accertato, sia pure per mezzo di presunzioni, alla stregua di ogni modalit� 
e circostanza inerenti alle relative operazioni, tenendo conto che esso postula 
un comportamento del v�enditore logicamente precedente l'atto di 
cessione e strumentale rispetto all'aumento di valore. Tale comportamento 
pu� essere insito nello stesso acquisto, se accompagnato dalla sua preOI'dinazione 
al conseguimento della plusvalenza, oppure in una attivit� successiva, 
rivolta ad agevolare o potenziare l'incidenza di fattori incrementativii. 
Non sono tuttavia idonei ad integrare l'dntento speculativo la mera divisione 

o il frazionamento di un suolo, essendo invece necessaria la trasformazione 
del suolo stesso da agricolo ad edificatorio attraverso il ricorso agli strumenti 
urbanistici (convenzioni con il comune) o mediante il compimento 
di altre opere (costru7lione di strade, fognature, infrastrutture, ecc.) che 
______,__,; 

(1) Il criterio offerto � utile ma non esclusivo; l'intento di speculazione pu� 
esservi anche quando il terreno � rivenduto senza trasformazioni urbanistiche. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

414 

rendano evidente lo scopo perseguito dalla parte (cfr. sentenza n. 7056 
del 1986). 

Nel caso de quo, la Commissione tributaria centrale si � apertamente 
discostata dai suddetti principi, in quanto ha ["itenuto che il Capua e 
gli altri cointeressati fossero stati mossi da un intento speculativo e lo 
avessero coltivato durante il �lungo periodo di tempo intercorso dal momento 
dell'acquisto a quel'lo della rivendita del fondo, sulla base di circostanze 
di fatto, assolutamente inidonee ad avvalorare tale convincimento. 
Invero, se il terreno non aveva subito alcuna modificazione incrementativa 
e se i propretari si erano limitati a div1ide:re il fondo in due parti prima 
della rivendita, la Commissione tributarfa centrale, avrebbe dovuto dimostrare 
resistenza di ulteriori elementi, sdgnificativi nel senso dianzi chiarito, 
per potere pervenire alla statuizione adottata. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 marzo 1988, n. 2670 -Pres. Scanzano Est. 
Oaizzone -P.M. Lo Cascio (conf.). Ministero delle Finanze (Avv. 
Stato Onufrio) c. Soc. Marmi Garofalo. 

Tributi in genere -Accertamento -Notificazione � Irregolarit� . Proposizione 
del ricorso � Sanatoria. 
(c.p.c., art. 156). 

L'invalidit� della notificazione dell'avviso di accertamento � sanata 
con effetto ex tunc dalla proposizione del ricorso alla Commissione. (1) 

(omissis) Con l'unico mezzo, articolato in duplke censura, l'Ammini� 
straziane ricorrente deduce: 

a) la regolarit� della notificazione risultante dagli atti non esaminati 
dalla Commissione Tributaria centrale (tra i quali due relate di notifica 
non andata a buon fine) da cui sarebbe ["isultato che l'Ufficio aveva 
esperito tutte le indagini possibili, non limitandosi agli accertamenti 
anagrafici; 

b) fa sanatoria di cui all'art. 156 c.p.c., ultimo comma, avendo l'atto 
raggiunto in concreto l'effetto che era destinato a produrre e cio� la 
tempestiva produzione del ricorso in data 26 gennaio 1971. 

La seconda censura � fondata e determina l'assorbimento della 
prima. 
Questa Suprema Corte ha da tempo (Cass. 4265/79) affermato il principio 
che, Jn tema di imposta di ricchezza mobile, l'invalidit� della noti


(1) Riaffermazione opportuna dell'effetto di sanatoria, anche in ipotesi 
diversa dalla costituzione nello stesso giudizio introdotto con l'atto irregolare, 
ed in particolare della retrodatazione de:ll'effetto che toglie ogni dubbio sulla 
validit� sostanziale della notificazione. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 415 

ficazione dell'avviso di accertamento, purch� eseguita in violazione delle 
disposizioni)dettate dall'art. 38 d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645 (Testo Unico 
delle Imposte Dirette), resta sanata, con effotto ex tunc, qualora il contribuente 
impugn[ tempestivamente l'accertamento medesimo con ricorso alla 
oompetente Commissione T0ribrutaria, ci� evidenziando che l'atto ha raggiunto 
il suo scopo (dr. anche Cass. 1506/86, 4562/86, 5968-7664/86, 428-3182-49853110/
87 che tutte esaminano diverse fattispecie di nullit� della notificazione 
sanabili dalla costituzione in giudizio dell'intimato). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 apri1e 1988, n. 2968 -Pres. Scanzano Est. 
Oaizzone -P. M. Lo Cascio (diff.). Proverbio c. Ministero, delle 
Finanze (avv. Stato Palatiello). 

Tributi in genere � Contenzioso tributario � Impugnazione di terzo grado 
. Altemativit� � Presentazione di ricorso tardivo alla Commissione 
centrale � Preclude il ricorso alla Corte di appello. 

(d.P.R. 26 ottobre 1982, n. 636, art. 40). 
Il ricorso alla Corte di appello � sempre precluso dalla proposizione del 
ricorso alla Commissione centrale, anche se tardivo e se � sopravvenuta 
rinunzia. (1) 

(omissis) Con l'unico mezzo i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 
40 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 in Telazione all'art. 630 n. 3 c.p., 
sul rilievo che, siiccome il ricorso alla Commissione Tributaria Centrnle 
era stato proposto fuori termine, esso doveva considerarsi come non proposto, 
donde la piena ammissibilit� della impugnazione davanti alla Corte 
d'appello. 

La censura � infondata. 

La proposizione del ricorso alla Commissione Tributaria Centrale avverso 
fa decisione della Commissione Tributaria di secondo grado ;rende 
improponibile l'impugnazione della decisione medesima davanti alla Corte 
d'appello, stante il principio dell'alternativit� fra i due ricorsi, ancorch� il. 
ricorrente abbia rinunziato al ricorso, essendo gi� consumato, con la 
sua proposizione, il potere d'impugnazione con la correlativa facolt� di 
scelta, n� avendo tale rinunzia effetto retroattivo (Cass. 4189/80). 

Essa non esclude, ed anzi presuppone che l'impugnazione rinunziata 
sia stata presentata effettivamente. Non rpu�, perci�, ritenersi che, in 

(1) Decisione da condividere in contrasto con la precedente 29 ottobre 1981 
n. 5700 in Foro it., 1981, 2654 con annotazione di Proto Pisani. Sullo specifico 
problema e su altri collegati cfr. C. BAFILE, Sull'alternativit� dell'impugnazione 
di terzo grado, in Dir. e prat. trib., 1989, II, 80. 
11111111111111rr1a111111r11111111111111r1111������ 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

416 


virt� di essa, il ricorso sia da considerare � tamquam non esset e che 
la condizione impeditiva del gravame innanzi il giudice ordinario non 
si sia anteriormente verificata. 

I ricorrenti ammettono che la sentenza qui impugnata non meriterebbe 
alcuna censura �se essi avessero prodotto ricorso avverso la decisione 
della Commissione Tributaria �di secondo grado di Foggia nel 
termine di sessanta giorni dalla not1fica della decisione. 

Nella specie, H �ricorso pervenne alla Segreteria della Commissione 
suddetta 1'8 febbraio 1982, quando il termine perentorio di sessanta 
giorni dalla data di notifica della decisione (7 dicembre 1981) era gi� 
scaduto. 

Di tanto i Proverbio furono edotti solo dopo la ricezione della 
cartolina di avviso di ricevimento. Avendo avuto, pertanto, scienza della 
tardivit� del ricorso, impugnarono la decisoine della Commissione di 
second.o grado di Foggia, sul presupposto che tale ricorso dovesse considerarsi 
come mai proposto. 

La tesi dei ricorrenti � elusiva del rigido principio di alternativit� 
tra le due impugnazioni sancito dalla norma -l'art. 40 d.P.R. 26 ottobre 
1972 n. 636 -che essi pretendono violata d~la Corte d'appello. 

Ma la detta norma prende in considerazione -ai fini dell'effetto 
preclusivo insito nel principio electa una vita, non datur recursus ad 
alteram -esclusivamente il fatto in s� della presentazione del ricorso 
alla Commissione Tributaria Centrale e non attribuisce alcun effetto giuridico 
derogatorio al principio dell'alternativit� in ragione del tempo 
della presentazione suddetta -se prima o dopo il decorso del termine 
per l'impugnazione della decisione di 2� grado davanti alla Commissfone 
Tributaria Centrale e nel secondo caso, dunque, pendente in astratto 
il termine per l'impugnazione davanti alla Corte d'appello, iii. quale 
pende, solo se il diritto di impugnazione non sia stato consumato. 

In alri termini, la norma citata, non attribuisce rilevanza giuridica al 
fatto che il �ricorso alla Commissione Tributaria Centrale �sia tempestivo 
e, pertanto, ammissibile n� all'estinzione del processo pendente davanti 
alla suddetta Commissione per rinuncia agli atti del giudizio, o per 
qualsiasi altro motivo agli effetti della preclusione della domanda davanti 
alla Corte d'appello, configurando come causa di tale effetto preclusivo 
-per evidenti ragioni di ecenomia processuale e di certezza del 
regime delle impugnazioni -esclusivamente la presentazione della domanda 
alla Commissione Tiributaria Centrale secondo il principio: quod 
factum infectum fieri nequit. 

In effetti i ricorrenti sostengono una inte:ripretazione della norma 


che assumono, a torto, violata -non consentita, dall'art. 12 delle disposi


ziond sulla legge in generale, secndo il quale �nell'applicare la legge non 

si pu� ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal signi




PARm I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

ficaito proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione 
del legislatore �. 

Il principio crisulterebbe, senz'altro, �violato, se ubi lex non distinguit 
l'interprete riconoscesse effetti giuridiJCi a cause non previste dal<la 
legge e, neHa specie, conferisse alla parte diritti processuali che la 
legge esipressamente non le riconosce. Se Ja fogge cos� si esprime: � Decorso 
inutilmente rper tutte le parti il termine per riccmrere alfa Commissione 
Tributaria Centrale, la decisione pu� essere 1mpugnata entro novanta 
giorni avanti la Corte d'appello �, non pu� l'interprete considerare l'avverbio 
�inutilmente � come non scritto, quando, come nel caso di specie, 
un ricorso alla Commissione Tributaria Centrale era stato, cO!llJ.unque, 
presentato. 

In proposito deve, conclusiivamente, considerarsi che la domanda giudiziale 
in genere tende, comunque, ad un provvedimento del giudice 
anche se queste dovesse limitarsi alla delibazione -positiva o negativa 
-di un presupposto processuale o, per vicende meramente processuali 
attinenti aMe inattivit� delle parti o alfa �revoca della domanda�, 
in che consiste la rinuncia, alla dichiarazione di estinzione del processo. 

Nella fattiispecie, la pretesa dei ricorrenti di considerare il ricorso alla 
Commissione Tributaria Centrale giuridicamente inesistente, pur se�pacificamente 
sussistente sul piano fenomenico, contraddice a tale ovvia e 
fondamentafo considerazione ed ignora H potere-dovere di qualsiasi giudice, 
nella specie il giudice tributario, l'esercizio del quale diviene automatico 
quale effetto della domanda giudiziale. In definitiva, il fatto che quel 
giudice fosse stato investito della controversia, divenendo cos� -attualmente 
-egli solo arbitro deHa soluzione che avesse ritenuto conforme 
a giustizia (soluzione che altro giudice non pu� con assoluta certezza 
supporre) precludeva definitivamente l'alternativa della impugnazione 
avanti alla Corte d'appello. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 18 aprile 1988 n. 3030 -Pres. Zucconi 
Galli Fonseca -Est. Rocchi -P.M. Oaristo (conf.). Soc. Siemens 
(avv. Fazzalari) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta). 

Tributi in genere -Potest� tributaria di imposizione � Obbligazione tributaria 
-Indisponibilit� -Declaratorie e risoluzioni amministrative Irrilevanza. 


Tributi erariali indiretti -Imposta generale sull'entrata -Agevolazione per 
il Mezzogiorno -Primo impianto di stabilimenti industriali -Contratti 
di appalto -Sono esclusi. 

(d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523, art. 109). 
In forza del principio di legalit� che presiede alla imposizione tributaria, 
� inesistente il potere della P. A. di rinuncia totale o parziale 


418 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DEILO STATO 

ad un credito di imposta che � sempre assolutamente indisponibile; di 
conseguenza in nessun caso un atto amministrativo sia generale che 
particolare pu� pregiudicare la percezione �di una imposta che sia dovuta 
per legge (1). 

Nell'agevolazione dell'art. 109 del T. U. 30 giugno 1967 n. 1523 sulle 
leggi sul Mezzogiorno per il primo impianto, la trasformazione, la ricostruzione, 
la riattivazione e l'ammodernamento degli stabilimenti industriali, 
consistente nella riduzione a met� dell'imposta generale sull'entrata, 
non sono ricompresi i contratti di appalto (2). 

(omissis). -Con il pTimo motivo di ricorso -denunziando violazione 
dell'art. 4 della legge n. 2248/1865, all. E., nonch� incongrua e 
insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia -la 
Soc. Siemens deduce che la Corte di appello di Milano avrebbe violato 
il disposto di cui alfa normativa sopracitata, in quanto con 1a propria 
interpretazione dell'art. 2, 3� comma, del D.L.C.P.S. 14 dicembre 1957 

n. 1598, si sarebbe �sovrapposta� ai provvedimenti amministrativi con 
i quali, a suo tempo, le vennero riconosciuti i benefici in oggetto ed 
alla risoluzione del 3 gennaio 1972, n. 601478. 
Si assume in sostanza che i provvedimenti intendentizi, con i quali 
l'iniziativa industriale era stata a suo tempo ammessa ad usufruire delle 
agevolazioni tributarie previste dalla legge, nonch� la portata che a tali 
provvedimenti dovrebbe essere attribuita in ragione della risoluzione 
ministeriale citata, impedirebbero al giudice ordinario di interpretare 
la norma tributaria di cui si discute in senso diverso da queHo a suo 
tempo affermato in sede ministeriale. 

La censura � priva di fondamento. 

Va innanzitutto rilevato che le declaratorie delle competenti Intendenze 
di finanza alle quali � riferita la censura ammettevano la societ� 
ricorrente soltanto a godere dei benefici di cui al terzo comma dell'art. 2 
del D.L.C.P.S. n. 1598/1947, e cio� a corrispondere l'I.G.E. ridotta per gli 
acquisti di macchinari e materiali impiegati, installati o destinati stabilmente 
agli opifici, cos� come voluto dalla legge (art. 9 D.M. 14 dicembre 
1965 in G. U. 18 dicembre 1965, n. 315). 

In ogni caso, � di tutta evidenza che n� le declaratorie intendentizie 
(quali atti di mero accertamento non vincolanti sul piano della corretta 
intel'pl'etazione della normativa applicabile anche in relazione al principio 
della indisponibilit� del credito d'imposta), n� la ;risoluzione ministeriale 
citata (avente carattere ed affetti ,di atto puramente �interno�) 
possono far nascere diritti soggettivi in capo alla societ� ricol'lrente 

(1-2) Conforme � la sentenza in pari data n. 3031. Giurisprudenza costante 
della quale � sempre opportuna una riconferma. 


FARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(come effetto delle declaratorie) o in capo a tutti gli imprenditori edili 
(come effetto della risoluzione). 

In forza del principio di Iega!lit� che presiede aliJ.a imposizione tributaria 
e per la pi� specifica considerazione della inesistenza di un potere 
della PA. di rinuncia, totale o parziale, ad un credito di imposta, questo 
deve, infatti, ritenersi assolutamente indisponibile, con la conseguenza 
che in nessun caso l'atto amministrativo pu� pregiudicare la perce� 
zione di un'imposta dovuta, in conformit� di quanto disposto dalla 
legge (Cass. 4041/74). 

Nella sentenza impugnata non esiste quindi, interpretazione della 
legge (art. 2 del D.L. n. 1598/47) che si sarebbe sovrapposta agli atti 
amministrativi di riconoscimento di particolari benefici previsti dalla 
norma, ma, semplicemente, la corretta interpretazione della norma medesima 
adottata a dimostrazione dell'infondatezza della domanda di 
rimborso avanzata dalla societ� ricorrente. 

Con il secondo motivo -denunziando vio'1azione ancora dell'art. 2, 
terzo comma, del D.L.C.P.S. n. 1598/1947, e dell'art. 109 del D.P.R. 
1523/1967, nonch� motivazione incongrua su un punto decisivo della 
controversia, la societ� ricorrente, deduce che la Corte del merito avrebbe 
errato nel rimanere ancorata all'interpretazione meramente letterale 
della norma agevolativa, con 'la conseguente esclusione del beneficio per 
i servizi di appalto, mentre la pi� corretta interpretazione, in coerenza 
con la ratio della norma medesima e con l'intero sistema legislativo 
degli incentivi per la industrializzazione del mezzogiorno, non avrebbe 
potuto non far ricomprendere nel beneficio i detti servizi, anch'essi 
beni di contenuto economico. 

Soggiunge la ricorrente che l'art. 109 citato, laddove fa riferimento a 
� tutto quanto pu� occorrere per l'attuazione delle iniziative industriali � 
previste nello stesso articolo, ha valore di chiarificazione e di interpretazione 
della norma del D.L. 1598/1947, nel senso pi� favorevole al contribuente. 


La censura � infondata. 

Va, anzitutto, precisato che l'art. 109, ultimo comma, del D.P.R. 
30 giugno 1967, n. 1523 (T.U. del'la Legge sul Mezzogiorno) -il quale 
corrisponde all'abrogato art. 2, terzo comma, del D.L.C.P.S. 14 dicembre 
1947, n. 1598 -non pu� essere interpretato nel senso che il Governo, 
delegato a procedere alla riunione di tutte le leggi in materia 
in un testo unico, ai sensi deH'art. 25 della legge 16 giugno 1965, n. 717, 
abbia provveduto, in tale occasione, ad estendere .il beneficio tributario 
della riduzione dell'I.G.E., a met� per i mater~ali di costruzione, le macchine 
e tutto quanto pu� occorrere per l'attuazione delle iniziative 
industriali consistenti nel primo impianto, nell'ampliamento, nella trasformazione, 
nella ricostruzione, nella riattivazione dell'ammodernamento 


420 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

degli stabilimenti industriali, anche ai contratti d'appalto posti in essere 
per il medesimo fine, in quanto, mancando nella legge delega l'espressa 
previ!sione del rpotere di apportare aggiunte o innovazioni nella legislazione 
pregressa, l'autorit� delegata non era autorizzata a prevedere nuove 
situazioni giuridiche, in precedenza non contemplate (Cass. 4138/80). 

In tale prospettiva, la normativa in oggetto nella parte ;in cui prevede 
. il beneficio della riduzione alla met� dell'imposta generale sull'entrata, 
oltre che per i materiali da costruzione e le macchine, anche 
per tutto quanto pu� occorrere per l'attuazione delle iniziative industriali 
indicate al primo comma, non pu� intendersi comprensiva dei corrispettivi 
degli appalti stipulati per l'esecuzione delle relative opere, e 
ci� in particolare tenuto conto della formulazione fotterale della norma 
agevolatrice, che ha ad oggetto non gi� �servizi�, bens� quei beni materiali 
che per destinazione tecnica non potrebbero comprendersi in quelli 
definiti � materiali da costruzione � e � macchine �, e della correlativa 
inammissibilit� di una sua dnterpretazione analogica, nonch� del collegamento 
di detto decreto con la previgente legislazione (D.L.C.P.S. 14 dicembre 
1947, n. 1598), da cui si evince rl'intento di coordinare Ie agevo


1

lazioni gi� concesse, e non di concederne nuove (Cass. 4882/80, 222/81, 
3468/81). 

Con :il terzo motivo -denunziando violazione degli att. 101, 61 e 
segg. c.p.c. e dell'art. 2729 e.e., nonch� motivazione incongrua su un 
punto decisivo della controversia -la societ� ricorrente censura la 
sentenza deHa Corte del merito per non avere di!sposto il rimborso 
deHa met� deH'imposfa pagata sui materiali, nel riflesso del difetto 
di prova al riguardo, e ci�, non adeguatamente, motivando sul punto e 
rifiutando, sempre immotivatamente, di disporre al riguardo cons�ulenza 
tecnica, senza, peraHro, considerare che si sarebbe potuto in merito far 
ricorso anche a prnsunzioni sicUII'e e concordanti. 

La censura non merita accoglimento, ancorch� la motivazione adottata 
dalla Corte del merito, in punto di esclusione dal beneficio con 
riguardo ai materiali, vada corretta nei termini delle proposizioni che 
seguono. 

L'art. 10 del D. M. delegato del 14 dicembre 1965 sulle modalit� 
di applicazione delle agevolazioni fiscali per il mezzogiorno prevede che 
� ove i favori agevolati siano in tutto o in parte commessi in appalto, 
l'ammissone al beneficio della riduzione a met� dell'IGE, sugli acquisti, 
da parte degli appaltatori, dei materiali e macchinari che verranno 
impiegati nelle opere appaltate, pu� essere richiesta all'intendenza di finanza, 
con le modalit� di cui al precedente artico~o, oltre che dagli 
esercenti di opifici a nome delle ditte appaltatrici, anche direttamente 
da queste ultime. � In ogni caso, per�, il beneficio fiscale alle ditte 
appaltatrici, per i menzionati lavori, competer� sempreoh�, dal contesto 


PARTB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA '421 

del relativo contratto registrato o da separata dichiarazione dell'esercente 
l'opificio che ha commesso l'appalto, risulti che nella determinazione 
d�l corrispettivo contrattuale si � tenuto conto del beneficio di cui 
fruisce l'appaltatore �. 

Dal quadro generale deH.a riportata disposizione risulta che, in 
pratica, nella ipotesi contemplata, destinataria del beneficio sull'acquisto 
dei materiali � la �ditta appaltatrice�, mentre �l'opificio che ha 
commesso l'appalto � risentir� della agevolazione, attraverso iJ.a considerazione 
che della �riduzione I.G.E. sull'acquisto dei materiali da impiegare 
nell'appalto, in favore dell'appa!ltatore, venga (eventualmente) fatta 
nella � determinazione del corrispettivo contrattuale dell'appalto �. 

Pertanto, la prova doveva essere preliminarmente richiesta (e articolata), 
in ordine alla drcostan:m che l'opificio appaltante non aveva 
gi� scontato (in via indiretta e in �sede contrattuale) i benefici della 
agevolazione, con la conseguenza che il difetto di ogni allegazione e 
capitolazione in tal �senso �risdlve a monte (senza, cio�, la necessit� di 
� indi'V'iduazione � dei materiali) ogni questione proposta in ordine alla 
concreta ;ripetibHit� della riduzione. (omissis). 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 aprile 1988 n. 3174 -Pres. Vela Est. 
Favara -P.M. Amirante (conf.). Fantini (avv. PaJ.atta) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Palatiello). 

Tributi erariali diretti -Contenzioso Tributario � Rimborsi � Somme riscosse 
mediante ruolo . Difetto di impugnazione del ruolo � Inammissibilit�. 


(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). 
Tributi erariali diretti � Contenzioso tributario � Rimborsi � Contestazione 
della dichiarazione . Stesso termine quinquennale assegnato 
all'ufficio � Esclusione. 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43). 
Poich� il ruolo, anche quando contiene la sola ripetizione di quanto 
dichiarato, ha valore di provvedimento suscettibile di diventare irretrattabile, 
� inammissibile la domanda di rimborso di quanto versato in 
base a ruolo non impugnato tempestivamente anche se si deducono errori 
della dichiarazione sulla quale � stato basato il ruolo (1). 

(1-3) Due importanti sentenze che, partendo dalla�questione specifica del 
rimborso, contengono enunciati di pi� ampia validit� la cui importanza � 
superfluo sottolineare. 



422 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Gli errori della dichiarazione vanno contestati nei modi e nei termini 
previsti non essendo riconosciuto al contribuente un potere paritetico 
a quello dell'ufficio, di contestare la dichiarazione entro il 31 dicembre 
del quinto anno successivo alla presentazione secondo quanto dispone 
l'art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 (2). 

II 

CORTE �DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 aprile 1988 n. 3197 -Pres. Granata Est. 
CantHlo -P. M. Lo Cascio (diff.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Pa1atiello) c. Ricci. 

Tributi erariali diretti -Contenzioso Tributario -Rimborsi -Norma di 
imposizione dichiarata illegittima -Rapporti esauriti -Riscossione 
mediante ruolo non impugnato -Definitivit� -Riscossione mediante 
versamento diretto -Decadenza dal rimborso decorso il termine di 
18 mesi. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38). 
La domanda di rimborso di imposta non pi� dovuta a seguito della 
dichiarazione di illegittimit� costituzionale della norma di imposizione, 
non pu� essere avanzata come una domanda di indebito oggettivo, ma 
sottost� alle regole proprie del rapporto tributario; di conseguenza � 
inammissibile la domanda di rimborso di somma riscossa mediante ruolo 
non impugnato ex art. 16 d.P.R. n. 636/1972 ovvero mediante versamento 
diretto quando l'istanza non sia stata proposta nel termine di 18 mesi 
dell'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973, non potendosi riconoscere al contribuente 
il potere concesso all'ufficio di rettificare la dichiarazione nel 
termine stabilito nell'art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 (3). 

Limitando il commento solo ad alcune delle enunciazioni contenute nelle 
due ampie motivazioni, si pu� rilevare (la massima) l'importante affermazione 

�del valore del ruolo come atto a contenuto accertativo suscettibile di irretrattabilit� 
in ogni caso, anche quando contiene Ia sola liquidazione dell'imposta 
dichiarata ed anche se si assume che la dichiarazione fosse errata. Notevole a 
tal fine la giustificazione della necessit� di definizione delle situazioni in tempi 
ragionevoli per sottrarre l'Amministrazione dal pericolo di flussi di rimborsi 
dopo lungo tempo dalla esazione. 

Va ancora sottolineata la netta esclusione sotto tutti gli aspetti del tentativo 
di costruire la domanda di rimborso come indebito oggettivo e di sottrarla 
alle regole dei procedimenti tributari e dei relativi termini. Ed a tal fine � 
importante l'affermazione che la domanda di rimborso ex art. 38 d.P.R. n. 602, 
bench� riferita al rimborso� dei versamenti diretti, copre tutte le ipotesi di 
rimborso e non lascia spazio ad altre possibilit� di rimborso con diversi modi 
e in altra sede. 

II

-I 
I -
I 


PARTE I, SE7. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 423 

I 

(omissis). -Col primo mezzo di ricorso il Fantini deduce violazione 
e falsa applicazione dell'art. 16 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 nella formulazione 
precedente alle modifiche introdotte con d.P.R. 3 novembre 1981 

n. 739 e sostiene che erroneamente <la Corte di Appello �di Bologna ha 
ritenuto necessaria, la impugnazione del ruolo al fine di ottenere dall'Amministrazione 
finanziaria la restituzione di somme non dovute, versate 
all'Erar.io in ottemperanza alla cartella esattoriale notificata, considerando 
cosi inapplicabile il disposto del terzo comma deHo stesso articolo, 
che consente il ricorso alle Commissioni tributarie quando il pagamento 
del tributo ha avuto luogo senza preventiva imposizione. Secondo il 
r.icorrente, quando l'iscrizione a ruolo e la conseguente notifica della 
cartella esattoriale venga effettuata dall'Uft�ioio in modo pedissequamente 
ripetitivo dell'autoliquidazione contenuta nella dichiarazione dei redditi 
presentata dal contribuente, non sussiste atto di imposizione, essendo 
lliscrtlzione atto meramente esecutivo della dichiarazone stessa e non 
atto volitivo di determinazione dell'imposta, tanto pi� che ai sensi dell'art. 
43 dello stesso d.P.R. n. 600/1973, essendo consentito al contribuente, 
a!l pari che all'Ufficio, la rettifica della propria dichiarazione 
(che � manifestazione di scienza e non di volont�) fino al 31 dicembre 
dell'anno successivo a quello in cui � stata presentata la dichiarazione, 
il rapporto tributario fino a tale data � da considerare aperto ad accertamenti 
e �rettifiche. Con il secondo motivo poi il Fantini, deducendo 
appunto, violazilone anche di �tale disposizione, sostiene che erroneamente 
la Corte .di merito ha negato detta facolt� di rettifica del contribuente 
circa lai propria dichiarazione, al f.ine di ottenere cosi la eliminazione 
dello errore e porre in grado l'amministrazione di provvedere sull'indebito 
segnalato. Col terzo motivo �di ricorso, infine, il Fantini denuncia 
violazione degli artt. 2033 e 2042 e.e., per avere la corte di merito negato 
rilevanza al riconoscimento del debito contenuto nelle osservazioni difensive 
presentate dall'Ufficio davanti la Commissione Tributaria di secondo 
grado, sul presupposto che tale riconoscimento sarebbe intervenuto in 
tempo successivo alla scadenza del termine per l'impugnazione, quando 
cio� si era gi� verificata la decadenza dall'impugnazione del ruolo; e 
ci� in quanto, anche ad ammettere fa necessit� di proporre detta impugnazione 
nel termine previsto dall'art. 16 del d.P.R. n. 600/1972, la decadenza 
da tale azione non poteva precludere til diritto alla restituzione 
dell'indebito per effetto del riconoscimento dell'errore da parte dell'amministrazione 
che, ancorch� avvenuto dopo la detta decadenza, sostituisce 
e rende superfiluo l'accertamento giudiziaJ.e del vizio della iscrizione 
a ruolo, cosicch� la Corte di Bologna avrebbe dovuto ugualmente ordinare 
'la restituzione della somma versata in pi� da esso ricorrente. 

15 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Il ricorso, in tutti i suoi motivi;� � privo di fondamento. 

Nel sistema del contenzioso tributario introdotto con il d.P.R. 26 ottobre 
1972 n. 636, prima delle modifiche apportate con d.P.R. 3 novembre 
1981 n. 739, l'impugnazione a mezzo di ricorso alle Commissioni tributarie 
-in mate.Pia di imposte dirette e in caso di imposizione effettuata 
mediante notificazione dell'avviso di accertamento, dell'ingiiunzione, 
del ruolo (e cio� della cartella esattoriale) o del provvedimento che irr�ga 
le ,sanzioni pecuniarie -deve essere proposta entro sessanta giorni da 
detta notificazione (airt. 16, 1� � 2� cc.). E pertanto quasiasi errore che sia 
rlievabile da uno degli indicati atti di concreta imposizione del tributo 
deve essere dedotto dal contribuente -prima che sia effettuato il pagamento 
-mediante ~l descritto ricorso alle Commissioni, chiamate 
ad accertare il corretto ammontare delfimposta. Nel caso invece in cui 
il pagamento del tributo abbia avuto luogo senza imposizione, qualora 
cio� manchi uno dei predetti atti di accertamento e di imposi:zlione e 
perci� il contribuente abbia provveduto al pagamento diretto del tributo, 
cos� come nel caso in cui sia sopravvenuto H diritto al rimborno, 
l'art. 16, terzo comma (nel testo antecedente alle modifiche apportate 
dal d.P.R. n. 739/1981), precisa che si considera imposizione il rifiuto di 
restituzione della rsomma pagata, ovvero il silenzio all'amministrazione 
per 90 giorni dall'intimazione a provv,edere (alla restituzione), e che il 
ricorso deve essere proposto, entro 60 giorni, contro hl l."ifiuto di restituzione 
o contro il silenzio-rifiuto formatosi alla scadenza dei novanta 
giorni. L'erroneo pagamento da parte del contribuente di 'somme a titolo 
di imposta che si assumono non dovute trova esito, fa mancanza di 
ruolo o altro atto impositivo da impugnare, e a pagamento gi� effet� 
tuato (per er.rore), in una richiesta di restituzione della somma indebitamente 
pagata, al fine di provocare un provvedimento (espresso di 
I1igetto, o, implicito, di si'lenzio-rifiuto) da impugnare, poi, davanti le 
Commissioni. 

Ci� sigillifica che, con riferimento alla disciplina contenuta nel citato 
art. 16 prima delle modifiche introdotte col d.P.R. n. 729/1981, poteva dedursi 
l'indebito solo nell'ipotesi in cui n�n vi era stato preventivo atto 
di imposizione, ovvero quando il dinitto al rimborso fosse sopravvenuto 
(rispetto al momento in cui il pagamento era stato eseguito comecch� 
dovuto); non anche nell'ipotesi in cui fosse stato notifi<:ato al contribuente 
l'atto impositivo, cos� ponendo in grado di rilevare l'errore e 
denunziarlo con l'opportuno ricorso alle Commissioni, tuttavia entro il 
termine di decadenza previsto dalla legge, di sessanta giorni dalla notifica. 
E ci� in quanto la tempestiva .impugnazione del mofo, diretta ad 
evidenziare la non debenza (in tutto o, �!ll parte) del tr.ibuto, anche in 
conseguenza di errore, commesso nella dichiarazione dallo stes,so contribuente, 
consente di precisare -in tempi ragionevoli e tenuto conto 


PARTB I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

dell'esigenza di certezza correlata all'interesse dello Stato (e degli altri 
enti muniti di potest� impositiva) di conoscere l'entit� delle entrare 
con le quali fare fronte al.la spesa pubblica -l'esatto ammontare del 
tributo dovuto evitando cos� pagamenti indebiti da parte del contribuente 
e successive sue richieste di rimborso. Costituisce poi effetto 
legale della decisione sul ricorso al g<iudice tributario, come della decadenza 
conseguente alla mancata impugnazione (nelle ipotesi dn cui � 
ammesso il riicorso), fa incontestabirlit� ed il consolidamento della pretesa 
tributaria (Cass. 8 novembre 1986 n. 6551, Cass. 10 marzo 1982 n. 1544 
per tutte), stante la natura sostanziale, oltre che processuale, del. termine 
concesso per ricorrere contro l'iscrizione a ruolo (v..anche Cass. 
Sez. Un. 16 gennaio 1986 n. 5861). 

M fine di escludere l'onere del contribuente di dedurre l'errore di 
dichiarazione con l'impugna:z�one avverso il ruolo (quando, aii sensi dell'art. 
11 d.P.R. n. 602/1973, applicabile in virt� dell'art. 8 d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 599 sull'I.LO.R., si sia proceduto all'iscrizione nei ruoli 
principali delr.imposta dovuta in base a:Ha d�chi:arazione presentata dal 
contribuente) non vale sostenere che il ruolo non � atto impositivo e 
pu� essere impugnato, ai sensi dell'art. 16 d.P.R. n. 636/1972, solo per 
vi:z� suoi propri, essendo invece iJ. ricorso !ivi disciplinato anche, e anzi 
principa1mente, inteso a provocare 1e possibili contestazioni della pretesa 
tributaria (Cass. 22 ottobre 1981 n. 5529), tra le quali devono essere 
incluse quelle concernenti gli errori od omilssioni commessi dal contribuente 
nella dichiarazione (Cass. 17 novembre 1981 n. 6095), quando sia 
mancata una preventiva comunicazione al contribuente dell'adesione 
dell'Amministrazione a tale dichiarazione. 

La distinzione perci� posta nell'art. 16 d.P.R. n. 636/1972 tra rapporti 
tdbutari conseguenti ad atto d'imposfaione, (mediante notificazione di 
avviso di accertamento, di cartella esattoriale re1ativa a iscrizione a ruolo 

o di provvedimento che irroga sanzioni pecuniarie (primi due commi) 
e rapporto tributario che si instaura senza ll!D. preventivo atto d'imposizione, 
a 1seguito d� pagamento diretto del tributo (terzo comma), lascia 
intendere ben chiaramente che nella prima ipotesi l'errore di dichiararazione 
deve essere dedotto sempre e solo dinanzi alle Commissioni 
mediante ricorso, entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla 
notifica dell'atto impositivo e, in mancanza di ci�, non pu� essere pi� 
denunziato per essere il rapporto tributario divenuto incontestabile; 
mentre nella seconda ipotesi, a pagamento gi� effettuato dell'imposta 
non dovuta, � possibile ricorrere alla procedura dell'impugnazione del 
silenzio-rifiuto o del provvedimento di rigetto solo nel caso di imposta 
pagata senm preventiva imposizione, quando manchi cio� un accertamento 
o l'iscrizione del tributo nei ruo1i da parte dell'Ufficio. 

426 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Sulla base di tali premesse, risulta evidente l'inconsistenza delle 
tesi giuridiche svolte dal ricorrente. Al fine di superare la timitazione 
che .U terzo comma dell'art. 16 prevede, quando alla possibilit� di chiedere 
la restituzione delle somme indebitamente pagate, alte sole ipotesi 
sopra rico11date del didtto sopravvenuto al rimborso e della mancanza 
di preventiva imposizione, il Fantini col primo motivo dii dcorso, ha 
cercato di sostenere, con rifer,imento a tale seconda ipotesi, che la liquidazione 
d'imposta operata dall'Ammimstra:z�one, seguita da conforme 
iscrizione a ruolo e da notifica della cartella esattoriale 1Sul1a base della 
sola dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente e senza alcuna 
modificazione o rettif�icazione della >stessa (in modo che egli pemi� qualifica 
�pedissequamente ripetitivo� di questa), non costituisce atto di 
imposizione in quanto privo di autonomo contenuto volitivo ed avente 
perci� carattere meriamente esecutivo dell'autoliquidazione effettuata 
dallo stesso contribue,nte. Ma gi� la Corte di Bologna ha esattamente 
rilevato, senza che sul punto siano state dedotte nuove argomentazioD!i. 
in contrario, che costituisce atto di accertamento dell'imposta anche 
quello cui l'Amministriazione perviene, nella fase di controllo della denunzia 
fiscaile, quando fa proprio l'imponibile dichliarato dal contribu~
nte, perch� al momento ritenuto corretto, determinando dn conformit� 
l'ammontare del tributo. E l'iscrizfone dell'imposta che conseguenzialmente 
viene fatta nei ruoli costitlllisce, anche nel sistema antecedente 
al regime dell'autotassazione poi introdotto, :atto di imposizione promanante 
dall'Amministrazione finanziaria e non mero atto esecutivo 
dell'autoliquidazione fatta dai! contvibuente in via di cooperazione con 
l'Amministrazione predetta, cui istituzionalmente � dservata la facolt� 
impositiva. Ci� salvo la facolt� di rettificazione che, ai sensi dell'art. 43, 
3� comma d.P.R. n. 600/1973, compete alLa stessa amministra7lione quando 
venga a conoscenza di nuovi fotti impositivi, entro il 31 dicembre del 
5� anno successivo a que!Jo della presentazione della dichiarazione dei 
redditi. Non � tuttavia lecito (come il Fantini fa col secondo mezzo di 
ricorso) fare Tichiamo a tale potere di rettificazione dell'Ufficio al fine 
di arguire un corrispondente potere del contribuente di rettifica della 
propria dichiarazione entro lo stesso termine, a prescindere dall'eventuale 
accertamento d'imposta nel frattempo compiuto dall'amministrazione, 
anche se divenuto dei;Wtivo. In realt�, il potere di 'rettificazione 
spettante agli uffici delle imposte, in sede di controllo del:le dichiara� 
zioni presentate dai contribuenti; si giustifica, anche quanto all'ampiezza 
del termine concesso, per la necessit� di procedere al riscontro delle 
numerose dichiarazioni che affiluiscono ogni anno, in base alla quali 
l'imposta venne iscritta a ruolo e che riflettono situazioni disparate, 
tutte ignote agli uffici; laddove ben diversa � la posiziione dei singoli 
contribuenti, i quali -come � lecito presumere -conoscono bene la 



PART!l I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

propria situazione economica e possono in tempi brevi avvedersi della 
erroneit� dei dati indicati nella denuncia dei redditi, cos� come possono 
avegolmente, dopo la notifica dell'atto impositvo, segnalare l'errore a 
mezzo dell'impugnazione alle Commissioni, naturalmente per� entro 
termini di decadenza all'uopo previsti. Non esiste dunque un potere del 
contl'ibuente di �apportare rettifilche (cio� di correggere ed eliminare 
errori) alla dichiarazione dei redditi nel periodo ~di cinque anni) con� 
cesso dall'art. 43, 3� comma, in via esclusiva a:ll'Ufficio per effettuare 
accertamenti suppletivi, dopo che sia decorso il termine per proporre 
ricorso alle Commissioni contro l'iscrizione a ruolo (o l'accertamento. 
principale o altra forma di atto d'imposizione). N� conseguentemente, 
� possibile, una volta intervenuta la �decadenza da detta impugnazione 
e l'incontestabilit� deUa ptretesa fiscale, chiedere il rimborso di imposte 
per re~diti erroneamente dichiarati e pagati quando l'eI"rore 
non sia stato tempestivamente denunciato a mezzo di ricorso contro 
il ruolo, come � confermato dagli artt. 37 e ss. del d.P.R. 602/1973, che 
per i iiedditi iscritti a ruolo (art. 39 e 40) fanno richiamo al disposto 
dell'art. 16 del d.P.R. n. 636/1972 sopra riportato oiiica la necessit� del 
ricorso e prevedono rimborsi (salvo che nel caso di omessa dichiarazione 
di ritenute d'acconto) solo in consegue~a della decisione delle commis


sioni tributarie favorevoli al contribuente, mentre per i versamenti diretti 
(art. 37 e 38) prescrivono (conformemente alla disciplina dell'art. 16, 
3� comma d.P.R. n. 636/1972) il rkorso alle Commissioni solo contro il 

silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso. 

Parimenti priva di fondamento giuridico � la censura di cui al 
terzo mezzo di ricorso, concernente H riconoscimento del debito che 
l'amministrazione avrebbe effettuato nelle osservazioni difensive presentate 
davanti alla Commissione di secondo grado; 'la proponibilit� 
deH'azione di ripetizione d'indebito di cui all'art. 2033 e.e. (come pure 
l'azione generale di arricchimento senza causa di cUI� al successivo arti� 
colo 2042, azione peraltro nel presente giudizio prima d'ora enunciata) 
� esdusa, per quanto sopra osservato, come rimedio di carattere generiale 
extra ordinem rispetto al sistema del contenzioso tributario 
e in particolare rispetto ai rimedi �di cui a:ll'art. 16 d.P.R. n. 600/1973. 
(nel testo antecedente alle modifiche introdotte dal d.P.R. n. 739/1981, 
non applicabili alla specie in esame) quando sia divenuto incontestabile 
l'accertamento o l'iscrizione a ruolo per intervenuta decadenza 
dal rico~so al giudice tributario e data la inammissibilit� di un nuovo 
giudizio, nei termini ordinari di presmizione (art. 2946 e.e. sulla doman� 
da di rimborso), che implicherebbe un accertamento negativo circa la 
debenza del tl'ibuto in contrasto non solo con quanto gi� accertato 
in via definitiva e non pi� contestabile dal giudice tributario, ma anche 
da parte di una diversa giurisdizione. Ci� a parte le pur giuste considera� 


I

428 RASSEGNA DEIL'AWOCATURA DELLO STATO 

I 

zioni fatte dalla Corte di Bologna in ordine al valore di un riconoscimento 
di debito che avrebbe dovuto desumersi da scritti difensivi 

!j!

fatti dall'Amministrazione davanti alla Commissione di secondo grado. 
Deve pertanto considerarsi corretta la dichiarazione di inammissi


' 

bilit� dell'impugnazione per tardivit�, pronunciata dalle Commissioni di 
primo e secondo grado e confermata dalla Corte di Appello di Bologna. 
(omissis) 

II 

(omimissis) 1. -Il presente ricorso e altri discussi nella stessa 
udienza sottopongono all'esame de1la Corte, per la prima volta in modo 
puntuale, la complessa problematica relativa ag1i effetti della sentenza 
della Corte costituzionale 25 marzo 1980, n. 42,, dichiarativa deH'i1legittimit� 
costituzionale dell'art. 4 n. 1 della legge di delega per la riforma 
tributaria (legge 9 ottobre 1971, n. 825) e dell'art. 1 del decreto delegato 
istitutivo dell'imposta locale sui redditi (d.P.R. 29 settembre 1973, numero 
599) nella parte in cui assoggettaV'allo al tributo i redditi di lavoro 
autonomo non assimilabili a quelli di impresa. 

La questione -che ha dato luogo a decisioni contrastanti nella 
giurispruden2'!a delle commissioni tributar1ie -concerne il diritto dei 
percettori di reddito di lavoro autonomo di ottenere il rimborso dell'imposta 
pagata prima della pubblicazione della sentenza costituzionale; 
in particolare, occorre stabilire se e in quali casi i'efficacia della 
pronuncia incontri il limite del rapporto esaurito, con riferimento sia 
ai pagamenti eseguiti in base a ruolo, sia a quelli eseguiti mediante 
versamenti diretti. 

Nel sistema di riscossione dell'l.LO.R., infatti, si sono su�cedute due 
diverse �discipline: fino al 1976 (in pratica, per gli anni 1974, 1975 e 1976) 
l'imposta veniva riscossa mediante ruoli esattoriali emessi in base ai 
redditi esposti in dichiarazione; a partire dall'anno 1977, invece, il tributo 
viene riscosso mediante autotassazione, cio� con versamenti diretti 
dei contribuenti nel termine stabilito per la dichiarazione (salvo 
in ogni caso il potere dell'ufficio finanziario di procedere ad accertamento 
entro cinque anni dalla dichiarazione, ex art. 43 (del d.P.R. 

n. 600 del 1973). 
Quanto alla prima vicenda solutoria, l'orientamento dell'Amministrazione 
-riproposto e diffusamente argomentato con H ricorso che 
si esamina -� nel �senso che la 1senten2la deMa Corte Costittrai.onale 
non opera rispetto ai pagamenti eseguiti in forza di iscrizione a ruolo 
che, alla data della pronuncia, era diventata definitiva perch� non 
impugnata nel termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella 
esattoriale; e ci� secondo la disciplina .risultante dagli artt. 39 del 

I 



PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

d.P.R. n. 602 del 1973 e 16 del d.P.R. n. 636 del 1972, per cui il rimborso 
delle somme corrisposte in base a ruolo si pu� ottenere solo attraverso 
fimpugnativa del medesimo, che, una volta divenuto inoppugnabile, 
rende jncontestabile H pagamento. 
Quanto alle fattispecie di versamento diretto l'Amministrazione ritiene 
che la definitivit�, o meno, del rapporto tributario debba essere 
verifioata alla stregua dell'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, per cui 
� nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parz~
ale dell'obbligo di versamento �, il rimbovso deve essere chiesto con 
istanza presentata all'Intendenza di finanza nel termine di decadenza 
di diciotto mesi dal versamento medesimo; pertanto la sentenza costituzionale 
non opera rispetto ai pagamenti per i quali, alla data della 
stessa, era scaduto il termine suddetto. 

2. -Per contro, l'esaurimento del rapporto in tali situazioni viene 
negato da una parte della dottrina e della giurisprudenza tributaria in 
base ad un duplice ordine di argomenti, che si trovano trasfusi, in 
sostanza, nella decisione impugnata. 
Da un lato, si sostiene che nel pagamento eseguito in forza di una 
norma dichiarata incostituzionale, perci� invalida fin dall'origine, si 
configura un indebito oggettivo cui non si applicano le norme proprie 
del rapporto tributario, bens� quelle relative 'a11'ordinaria condictio indebiti, 
di cui all'art. 2033 e.e., con la. conseguenza che l'azione pu� essere 
proposta in qualsiasi tempo, con il solo limite della presecrizione decennale; 
dall'altro, l'inapplicabilit� delle preclusioni suddette viene so


. stenuta alla stregua della stessa disciplina del rapporto, in base ad 
una serie di ragioni che saranno pi� oltre esaminate. 

3. -L'equivoco che inficia il primo di questi airgomenti, che fa perno 
sulla natura di indebito oggettivo del pagamento eseguito in base alla 
norma poi dichiarata incos1li.tuzianale, si coglie agevolmente in ci�, che 
da tale qualifica si pretende di desumere l'inapplicabilt� delle regole 
proprie del rapporto tributario, senza considerare che -secondo i 
principi riguardanti l'effilcacia nel tempo delle ,sentenze di incostituzionalit� 
(anche) in materia tributaria -la possibilit� di accertare la 
qualit� di indebito del pagamento in concreto effettuato presuppone 
che H rapporto cui questo si riferisce non sia ancora definito, cio� che 
non si siano verificate quelle stesse preclusioni, stabi1ite dalla legge 
del medesimo rapporto, che si vorrebbero ritenere irrilevanti. 
Il riferimento tout court alla disciplina dell'indebito, con conseguenziale 
ivrilevanza della legge del rapporto, potrebbe in ipotesi avere 
fondamento se la sentenza di accoglimento operasse alla stregua di 
una pronuncia �di annullamento, in modo da 'travolgere tutti gli atti 
compiuti e i rapporti conclusi secondo i parametri della legge incosti



430 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tuzionale, sicch� residuerebbe soltanto un pagamento che, risultando 
essere sine causa direttamente in virt� della pronuncia costituzionale, 
potrebbe dn ogni caso formare oggetto di condictio indebiti. 

Ma ormai pi� non si dubita, in via generale, che il c.d. effetto 
retroattivo della sentenza costituzionale di accoglimento consiste nella 
disapplicazione della norma dichiarata illegittima nci .rapporti anteriori 
in cui essa risulti comunque potenzialmente appliicabile; che tale efficacia 
incontra, quindi, il limite del rapporto esaurito, quale deve in� 
tendevsi queUo in cui !'�applicazione della norma incostitumonale non 
pu� essere rimessa in discussione per l'effetto ostativo di altre disposizioni, 
diverse da quella illegittima, le quali rispetto allo stesso rappor� 
to renderebbero irrilevante la questione di costituzionalit� anche se 
non fosse stata gi� decisa; e che conseguentemente si sottragg�no agli 
effetti della pronuncia, oltre ai rapporti oggetto di una decisione passata 
in giudicato, le situazioni giuridiche divenute intangibili in conseguenza 
del verificarsi di una prescrizione o dell'operare di preolusioni stabilite 
da regole non colpi�te dalla pronuncia di incostituzionalit�. 

In particolare, nella materia tributaria, l'orientamento di questa 
Corte -elaborato principalmente in relaz�.one alle vicende, l?er molti 
aspetti analoghe a quelle che oggi si considerano, originate dalla dichiarazione 
di illegittimit� costituzionale dell'art. 25, secondo comma, 
della legge 5 marzo 1963, n. 246, istitumva dell'imposta sulle aree fabbricabili, 
pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 23 maggio 
1%6, n. 44 -si � consolidato nel senso che la pronuncia di incosti� 
tuzionallit� della norma impositiva incide anche sud rapporti tributari 
precedentemente sorti e non ancom esauriti alla data di pubblicazione 
della stessa, qua<li devono considerarsi non solo quelli in cui il con� 
tribuente non abbia provveduto al pagamento del tributo, ma anche 
quelli in cui abbia pagato in base ad un'iscrizione a ruolo impugnata 
ovvero abbia versato spontaneamente il tributo e proposto istanza 
di rimbovso; e che, per converso, la sentenza medesima non esplica 
alcun effetto rispetto ai rapporti gduridici definiti, per ii qual.i sia intervenuto 
un giudicato, sia diventato inoppugnabile un atto di imposizione 
preclusivo (per l'esaurimento o la mancata tempestiva proposizione dei 
rimedi previsti) ovvero siano decorsi i termini di prescrizione o di 
decadenza stabiliti daUa normativa del rapporto, con la conseguenza che 
la situazione generata dalla disposizione incostituzionale non pu� pi� 
essere rimossa o regolata diversamente (v., fra numerose altre, sent. 

n. 794 del 1977; n. 883 e 3490 del 1975; n. 2497 del 1973; per una recentissima 
applicazione, v. S.U. n. 9101 del 1987). 
Sulla base di questi principi, il tributo pagato in attuazione di una 
norma impositiva incostituzionale pu� essere in concreto riconosciuto 
giuridicamente indebito, e se ne deve ammettere la ripetizione, sempre 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 431 

che non si sia verificata una delle SI�tuazioni suddette, che rendono 
incontestabile l'obbligazione tributaria estinta con il pagamento e impediscono 
al giudice (come a ogni altro operatore del diritto) di prendere 
cognizione dell'appiica:llione fatta della legge illegittima. 

Deve essere rovesciata, dunque, l'impostazione della tesi che qui si 
contrasta: nel senso che l'accertamento dell'originairia inefficacia giuridica 
della legge incostitUZI�.onale non consente di per s� di ritenere 
indebito il pagamento, a prescindere dalle preclusioni derivanti dalla 
disciplina' della fattispecie; e che, per converso, proprio alla stregua di tale 
normativa occorre stabilire se, per eS'sere ancora pendente dl rapporto 
alla data della sentenza costituzionale, sia possibile disapplicaTe la 
norma iiHegittima e qualificare giuridicamente indebito il pagamento, 
riconoscendo il diritto aJILa ripetizione. 

4. -Sotto altro profilo l'orientamento che si disattende non merita 
accoglimento, cio� perch� ritiene ammissibile -nei casi di (asserita) 
mancanza originaria o sopravvenuta di un valido rapporto d'iimposta l'azione 
di ripetizione d'indebito di cui all'art. 2033 e.e., considerata 
come rimedio di carattere generale svincolato dalle norme del contenzioso 
tributario. 
L'inoons~stenza della tesi -che a rigore dovrebbe condurre addirittura 
a negare in tali controversie '1a speciale giurisdizione tributaria � 
stata da tempo evidenziata da questa Corte, nella considerazione 
che con la riforma la condictio indebiti, per i tributi di cui all'art. 1 
del d.P.R. n. 636 del 1972, � stata specificamente e compiutamente regolata 
in coerenza con iJ sistema del nuovo contenzioso, nel quale il 
processo � strutturato come impugnativa di tipici provvedimenti dell'Amministrazione, 
che scandiscono le varie fa:si del rapporto di imposta; 
il cud accertamento � circoscritto, quindi, alla fase corrispondente 
alla sequenza procedimenta:le che mette capo al provvedimento impugnato, 
rimanendo preclusa quaisiasi contestazione riflettente Ja fase 
precedente conclusa con un atto compreso fra quelli impugnabili, ma 
non impugnato o altrimenti. diventato definitivo. 

Anche nelle ipotesii in cui, mancando un atto di imposizione che 
costituisca il titolo del pagamento, assume autonomo rilievo il diritto 
alla restituzione del 1Jvibuto spontaneamente corrisposto, l'azione di 
rip~tizione � strutturata come azione di annullamento del provvedimento 
esp�icito o implicito di rifiuto del rimborso, reso dall'Amministrazione 
sulla domanda che deve es.sere all'uopo necessariamente presentata 
in via amministrativa prima del giudizio (art. 16 cit.; al riguardo, v. 
fra numerose altre, sent. n. 4852 del 1987; n. 2285 del 1986; n. 3047 
del 1984). 

Non v'� spazio, quindi, per un'azione generale di indebito, che dovrebbe 
ancora ritenersi consentita accanto alle forme di repetitio specifi



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

camente previste dalle leggi sostanziali e processuali tributarie: una 
tale azione non pu� ammettersi in forza del rapporto di specialit� che 
esiste tra fa normativa fiscale (segnatamente l'art. 16 cit.) e que1la 
generale prevista daUa disciplina aivilismoa; e soprattutto non pu� 
ammettersi perch� assolutamente incompatibile con il sistema di tutela 
procedimentale e giurisdizionale del contribuente apprestato in coerenza 
con la finalit� pubblicistica del prelievo: comportando il diretto accerta� 
mento dell'esistenza o meno, dell'obbligazione tributaria, tale azione 
verrebbe a snaturare l'intero assetto della disciplina delfi�nposizione, 
vaillificando le predlusioni, le decadenze e tutti i tel1ll1�ni stabiliti dalle 
leggi tributarie. 

5. -Passando a considerare gli orgomenti che, ii.n senso contrario 
�ll'indirizzo dell'Amministriazione, si adducono in base al.La disciplina 
del rapporto, nell'ordine logico-giuridico va considerato per primo quello 
che ritiene irrilevanti �sia la mancata impugnazione del ruolo e sia 
la mancanza di una domanda di rimbol'So nel termine di cui all'art. 38 
d.P.R. n. 602 del 1973, in quanto il rapporto dowebbe considerarsi 
easurito soltanto con la scadenza del termine quinquennale daJla dichia� 
razione del contribuente stabilito dall'art. 43 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 600, entro il quaile l'Amministrazione � tenuta ad esercitare, 
a pena di decadenza, il potere di procedere ad accertamenti in 
rettifica e ad integrazioni o modifiche iin aumento di precedenti accertamenti 
(per La sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi). 
Si sostiene che il termine deve Titenersi operante anche per il contribuente 
in forza del principio di eguaglianza di cui ail.1'art. 3 Cost.: 
come l'accertamento tributario � suscettibile di essere modificato dall'ente 
impositore, cosi -per il principio defila par condicio che deve 
caratterizzare ogni rapporto in cUJ� si contrappongono diritti soggettivi 
patrimoniaili -va 'riconosciuta a:l contribuente la facolt� cli rettificare 
gli errori commessi nella dichiarazione dei redditi, avente natura di 
manifestazione di scienza, e di presentare eventua!li domande di rimbor:
so; e ci� -secondo i principi innanzi ricordati -impone di ri� 
tenere esaurito il rapporto solo dopo la scadenza del termine suddetto, 
con la conseguenza che in precedenza [a senten:m costituzionale spiega 
in ogni caso efficacia. 

La tesi -su cui maggiormente si diffonde la decisii.one impugnata non 
pu� essere condivisa. 

Non ha giuridico fondamento, anzitutto, l'affermazione secondo cui 
nel rapporto tributario l'ente imposli.tore e il soggetto passivo de[ tri� 
buto si trovano, o dovrebbero trova!I'si, in condizioni di parit�. 

� ben noto, invece, che all'ente creditore de[ tributo, titolare della 
funzione pubblica di imposizione, dopo la costituzione del rapporto 
d'imposta sono conferiti, nei confironti del soggetto passivo, poteri di



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

retti a determinare gli elementi dell'obbligazione tributaria e a procurarne 
1l'adempimento, poteri che vengono eseivcitati nell'ambito del procedimento 
attraverso la pronuncia di atti amministrativi autoritari ed 
esecutori, precisamente regolati daMa legge nei loro presupposti, contenuti 
e modalit�. 

Anche 'il soggetto passivo del tributo -che � parte del rapporto 
sia sotto il profilo sostanziale, in quanto debitore dell'impos�ta, sia 
sotto �il profilo forma:le o procedimentale, in quanto destinatario dell'attivit� 
amministrativa -oltre ad essere assoggettato ad obblighi ed 
oneri accessori vari, � titolare di facolt� di natura diversa finalizzate 
al corretto esercizio dell'attivit� di accertamento e alla giusta tassazione, 
nonch�, eventualmente, di diritti sostanzialii (essenzialmente quello 
di rimborso). 

Ma si tratta di �situazioni soggettive ontologicamente diverse ed � 
del tutto evidente che a tali facolt� e diritti, del pari precisamente 
regolati dalla [egge, non possono essere applicati modalit� e termini 
stabiiliti per l'attivit� ammini:strati.va del['ente impositore; n� � lecito 
trasferire al rapporto pubblico di imposta regole o principi dei rapporti 
patrimoniali privati, come il declamato, ma non ben precisato principio 
della par condicio (postulato per ta1i rapporti), sioch� risuJ.ta del tutto 
non pertinente il richiamo aM'art. 3 Cost. 

In realt�, rart. 43 ait. -collocato nel titolo della legge dedicato 
aJ!la di:sciplina dei procedimenti di contro1lo e di accertamento -riguarda 
esclusivamente ['attivit� dell'Amministrazione, in quanto delimitata 
nel tempo, mediante un preciso termine di decadenza, l'esercizio 
del potere di aocertamento anche .in relazione alle eventuali 
integrazioni o correzioni rese necessarie dall'acquisizione di nuovi elementi. 
E nessuna operazione ermeneutica pu� condurre a ritenere applicabile 
quel termine a facolt� o diritti del contribuente che hanno tutt'altra 
natura e sono specificamente regdlati i:n altre leggi (come l'art. 38 
del d.P.R. n. 602 del 1973, l'airt. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972); senza 
dire che le norme che stabiliscono termini di decadenza sono norme a 
fattispecie esclusiva, perci� di per s� insuscettibfil.i di applicazione analogica. 


Deve esclude11si, quindi, che fil termine in oggetto assuma rilievo ai 
fini dell'azione di �rimborso e, conseguentemente, dell'intangibilit� del 
rapporto nei confronti del contribuente, che � correlata, invece, al veri� 
ficarsi degli eventi preclusivi che specificamente �lo riguavdano. 

6. -In relazione alle fattispecie in cui il pagamento dell'imposta 
� stato eseguito in seguito ad iscrizione a ruolo effettuata in base alla 
dichiarazione (ci� si � verificato fino a:ll'anno 1976 compreso), giova 
ricordare che le disposizioni cui occorre far riferimento sono essenzialmente 
gli artt. 39 e 40 del d.P.R. n. 602 del 1973, che in caso di 

RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DELLO STATO 

iscrizione a ruolo indicano come unico rimedio per iJ. cOI11tribuente il 
ricorso giurisdizionale entro sessanta giorni dalla notifica della cartella 
esattorialle, prevedendo il rimbovso deil tributo solo in conseguenza dell'accoglimento 
totale o parziale del ricorso medesimo; nonch� l'art. 16 
del d.P.R. n. 636 del 1972 sul contenzioso tributrurio, nel testo precedente 
alla novetl� d.P.R. 21 novembre 1981, n. 739 (cui occovre far riferimento 
nelle vicende in esame), il quale dispone nel secondo comma -che il 
ricorso contro il ruolo � ammesso solo se questo non � stato preceduto 
dall'avviso di accertamento e -nel terzo comma -che l'azione di 
rimborso (da esercitare con le modalit� di cui si dir� pi� avanti) � data 
� nei casi in cui ill pagamento ha avuto luogo senza preventiva imposizione 
�. 

Da queste disposizioni dsulta che, per .le somme riscosse mediante 
iscrizione nei ruoli, non � prevista fa facolt� �di proporre �autonoma 
domanda di rimborso, giacch� in tal caso per contestare la prete


I

sa fiscale e conseguire le eventuali restituzioni � necessario insorgere 

~ 

contro il ruolo; se questo viene annullato il rimborso va disposto di uf*
r: 
ficio, ma il contribuente pu� a.lJlora tutelarsi attivando la procedura ex 

I 

art. 16 cit. (in quanto � venuto meno il titolo del pagamento); se il 

~ 
ruolo non viene annullato e, iin ogni caso, se non sia stato tempestiva~ 


!: 

mente impugnato, il pagamento diventa irretrattabile e la restituzione 

Ifil 

del versato � definitivamente preclusa. 

Nel tentativo di infirmare l'assolutezza di ques.ta conolusione, in numerose 
decisioni (compresa quella in esame) si sostiene, secondo il s1:1gger.
imento di una certa dottrina, che le iscrizioni a ruolo non hanno sempre 
la stessa natura, in quanto occorre distinguere quelle aventli funzione 
meramente esecutiva, effettuate in conformit� della dichiarazione o di 

I 

un precedente accertamento definitivo, e le iscrizioni che reailiz:ziano veri 

' 
e propri atti di imposizione, che sono espressione di una nuova prete. 
sa tributaria, come, ad es., nelle ipotesi di cui ailJ'art. 36 bis, secondo 


I 

comma, d.P.R. n. 600 del 1973. Da tale premessa si desume che la preclu


sione deMa ripeti21.ione derivante dalla definitivit� dell'iscrizione concer-

I

ne solo i ruoli del secondo tipo, che sono artti di imposizione, e non 

quelli del primo tipo, in relazione ai quaili, invece, il pagamento deve 

ritenersti avvenuto � senza previa imposizione � e peo:d� si ricade nella 

I 

previsione di cui all'ultimo comma dell'art. 16. 
La tesi � infondata sia con riguardo alla distinzione ora delineata 


I

{1

e sia con specifico rifeirimento alll'eseges� deMa norma suddetta. 

Sotto il p:rlimo aspetto, va anzitutto considerato che nel sistema i::
w 

della riforma, sebbene la fase dell'accertamento e quella della riscossione ~~ 

siano state pi� nettamente distinte, l'area delle ipotesi in cui il ruolo 1:: 

~~ 

adempie a funzione di accertamento di taluni profilli dell'obbligazione 
tributaria si � notevolmente accresciuta: acca:nto alle fattispecie corre-~~ 


t=! 

t 

. t 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

late all'art. 36 bis -per cui ruffido isc11ive direttamente a ruolo le 
imposte !liquidate nell'esercizio del potere di correggere errori materiali 
e di cakolo nelle dichiairazioni. dei contribuenti, di escludere o 
ridurre detrazioni non spettanti o non documentate, etc. -si possono 
ricordare, ancora esemplificativamente, le ipotesi di reiscrizione di somme 
erroneamente rimborsate, ex art. 43 d.P.R. n. 602, e di iscrizione di 
soprattase per ritardati od omessi versamenti diretti, ex art. 98, quinto 
comma, delJo stesso d.P.R. 

Comunque, oltre che neHe ipotesi suddette, il ruolo ha una valenza 
sostanzJia!le pure quando l'iscrizione avvenga in conformit� della dichiarazione, 
perch� a tanto l'Amministrazione perviene sempre attraverso 
una complessa attivit� di controllo -che, come si evince dallo stesso 
art. 36 bis, implica l'esame e, se necessario, l'interpretazione della dichiarazione, 
'la verifica dei documenti allegati, della spettanza, o meno, di 
detrazioni, etc. -nonch� attraverso un'operazione di liquidazione dell'imposta. 


In ogni caso, cio�, l'iscrizione a ruolo costituisce l'atto esterno a 
mezzo del quale viene concretamente definita l'obbligazione tributaria 
e manifestata la relativa pretesa fiscale, sicch� si � certamente in presenza 
di un atto di imposizione e non soltanto di un titolo esecutivo 
meramente riproduttivo di situazioni anteriormente perfezionatesi. 

D'altra parte fa duplice natura del ruolo � del tutto inrilevante a 
lirello normativo, nel senso che la disciplina dei ruo1i �, sotto questo 
profilo, assolutamente identica, a prescindere dalla docostanza che nella 
concreta iscrizione sia prevalente la funzione di riscossione oppure assuma 
peculiare importanza quella lato sensu di accertamento. 

Tanto direttamente risulta proprio dall'art. 16 del d.P.R. n. 636 del 1972, 
il cui secondo oomma (sempre nel testo previgente) stabilisce -come 
si � visto -che il ruolo � impugnabi1e non solo per vizi propri, ma 
anche per ogni altro motivo quando non preceduto da avviso di accertamento, 
ci� che si verifica appunto neMe i!scrjzioni effettuate in base 
alla sola dichiarazione: l'oaere di impugnare il ruolo per qualsiasi 
ragione procedimentale o sostanziale idonea ad inficiare in tutto o in 
parte fiscrizione, dimostra inequivocabilmente tanto la sua vall.enza di 
atto sostanziale di imposizione, in quanto tiene il luogo, in pratica, dell'accertamentio 
mancante, quanto l'effetto preclusivo correlato alla sua 
definitivit�, ohe rende incontestabile l'obbligazione tributaria cos� come 
risulta definita attraverso l'iscrizione medesima. 

Si deve pertanto ribadire quanto gi� ailtre volte affermato da questa 

Corte, cio� che il contribuente decade dal diritto di ripetere quanto 

indebitamente pagato in esecuzione di un'iscrizione a ruolo i!llegittima 

non impugnata nel termine stabilito dall'art. 16 dell d.P.R. n. 636 del 1972 


436 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(v., da ultimo, sent. n. 3059 del 1986); e che pertanto la defimtivit� del 
ruolo, rendendo incontestabile l'obbligaztlone tributaria, esclude che in 
relazione a questa possa spiegare effetto la sentenza di incostituzionalit� 
della norma impositiva. 

8. -Nelle fattispecie in cui il pagamento dell'I.LO.R. � avvenuto mediante 
versamento diretto (autotassazione o ritenuta alla fonte) vengono 
in considerazione -come si � detto -l'art. 38 del d.P.R. n. 602 deil. 1973, 
per cui Il soggetto che ha effettuato iil vevsamento pu�, nel termine di 
decadenza di diciotto mesi dallo stesso, presentare istanza di rimborso 
nei casi di � errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o pairziale 
de1l'obbiigo di versamento�; e l'art. 16 del d.P.R. n. 636 de�l. 1972 
(nel testo precedente alla novena del 1981), il quaile, nei casi di pagamento 
senza preventiva imposizione e � nei oasi in cui il contribuente affermi 
essere sopravvenuto il diritto al mmborso �, stabilJ.isce che la domanda 
di ripetizione va proposta mediante ricorso alla commissione tributaria 
entro 'sessanta giorni dal rifiluto espresso dell'intendenza o dal silenziorifliuto. 
Per escluder:e ['ap)Jlicabilit� della preclusione connessa alfa scadenza 
del termine dell'art. 38, si sostiene che la disposizione non riguarda 
l'obbligazione tributaria, scaturente ex lege dal presupposto di imposta, 
bens� il.'obbligo di versamento che sorge a carico del contribuente o del 
sostituto di imposta per il solo fatto della �dichiM"azione; e l'argomento 
che si adduce al rigual'do si incentra su:lla diversa formulaztlone dell'art. 
37, che, con riferimento ail. diritto del contribuente dipendente 
dello Stato al rimbovso delle ritenute dirette operate dall'amministrazione 
di appartenenza, usa la dicitura � obbligaziione tributaria � e non 
prevede un termine di decadenza per la domanda di rimborso, che pu� 
essere presentata nell'ordinario termine di prescrizione. Da ci� si desume 
che, quando la ripetizione dell'indebito non riguanla vizi relativi aliJ.'ob


, bligo di V�ersaimento, ma resistenza stessa dell'obbHgazione tributaria 
(come nei casi di illegittimit� costituzionale), la domanda non � soggetta 
al termine .di decadenza di diciotto mesi, ma a quello ol'dinario di 
presorizione; e a conforto di questa esegesi si invoca la sentenza della 
Corte Costituzionale n. 365 del 19 novembre 1985, che ha dichiarato 
manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale deld'art. 
38 ipotizzando -si .sostiene -la distinzione suddetta fra i due 
tipi di obbligaz:ione. 

Anche questa tesi non pu� essere condivisa. 

In realt�, l'enunciato dell'art. 37 e quello delrart. 38 sono assolutamente 
uguali nella parte relativa alla definizione deLl'ambito di applicazione 
delle due norme, in quanto entrambi 1Sli riferiscono ai casi di 
� errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziiale � della 


PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

obbiigazione; [a quafo formtrla designa, in pratica, la totalit� dei motivi 
deducibili nei confronti dei prelievi e, rispettivamente, dei versamenti, 
comprendendo tutte [e ragioni relative all'an e al quantum della prestazione 
oggetto deLl'obbligazione tributaria. 

L'unica diversit� riguaroante questo aspetto delle due previsioni cio� 
l'uso del.la dizione � obbl~go di veo:-samento � nell'art. 38 -� del 
tutto in~donea a supporre un diverso oggetto di tale disposizione rispetto 
alla precedente, �attribuendo, I�n pratica, dignit� di fonti di un'autonoma 
obbligazione aLle norme che prevedono il versamento diretto e le relative 
operazioni, laddove �si �tratta, manifestamente, di prescri:llioni disciplinanti 
una modalit� della prestazione oggetto dcl1a (stessa) obbligaz;
ione �tributaria. 

Nulla autorizza a ritenere, cio�, che con quella dicitura si sia inteso 
dare ri'lievo gitll'idico autonomo; ai fini del rimborso, ad una (imprecisata) 
obbligazione accessoria di versamento, sicch� nelle fattispecie previste 
dall'art. 38 verrebbero in considerazione due distinti rapporti obbligatori 
-quefilo accessorio relativo al versamento e quello principale 
attinente all'obbligazione tributaria -solo per lil primo dei quali 
sarebbe stata dettata Wla specifica disciplina: e d� sebbene la norma 
sia assolutamente muta al riguardo e, per converso, [a disposwone 
dell'airt. 37 concerna proprio l'obbligazione tributaria, sicch� l'indebito 
ad essa connessa sarebbe regolato in un ooso e non ncll'aUro. 

Non potendosi far carico al legislatore fiscale di simili deficienze e 
incongruenze, J'art. 38 deve essoce interpretato nel significato fatto 
palese dal tenore testuale dell'enunciato, per cui la norma si riferisce 
a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all'adempimento dell'obbligazione 
tributaria nelle fattispecie che si considerano, qualunque sia 
fa ragione per cui il versamento � tutto o in parte mdebito, a partire, 
cio� dal mero errore materiale; ai casi di inesistenza dell'obbligazione; 
e l'uso del termine � versamento � � pienamente giustificato, sia perch� 
questo � il modo di adempimento dell'obbli~azione medesima e sia 
perch� anche nelle operazioni di versamento �possono dwsi errori che 
generano un !indebito. 

La diversa dizione, cio�, lungi dal restringere la portata dehla disposizione, 
la rende pi� ampia, per comprendervi tutte le situazioni di 
indebito che si possono verificare in conseguenza dell'adempimento 
dell'obbligazione; la qua'le tuttavia resta i!l parametro di riferimento 
dell'indebito, come risuftta anche dallla rilevata identit� dell'enunciato 
con quello dell'art. 37, daU'ampiezza del medesimo e dal riferimento 
alle duplicazioni, che assumono rilievo giuridico appunto rispetto alla 
obbligazione tributaria. 

Non occorre attardarsi, poi, sulla ratio della divezisa disciplina dettata 
dall'art. 37, in oui l'assenza di un termine decadenziale del diritto 


438 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

al rimborso � correlata alla circostanza che il contribuente � del tutto 
estraneo al prelievo mediante ritenuta, la quale viene operata autoritariamente 
dall'amministrazione dello Stato. 

N� � significativa, d:n senso coI111lrario, la ricordata pronuncia della 
Corte Costituziona'le, la quale, nel ritenere manifestamente infondata la 
questione di legittimit� costituzionale dell'art. 38 cit., si � limitata ad 
affermare che la disposizione ha � finalit� restitutoria, circoscritta agli 
ambiti connessi aU'obblligo di versamento�, cogliendo sotto tale prof.ilo 
la specificit� della norma rispetto a'Ll'art. 37, ma senza prendere posizione 
funditus sulla problematica in esame. 

All'opposto, un ulteriore argomento sul carattere omnicomprensivo 
del termine di decadenza 1si ricava ora dal nuovo testo delll'art. 16, introdotto 
con il d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, che ha riwhlegato espressamente 
l'esercizio del diritto al rimborso� in sede giurisdizionale alla :presentazione 
dell'istanza �amministrativa nei termini stabiliti nelle singdle 
leggi d'imposta e, in mancanza, nel termine iJ."esiduale di due anni dal 
pagamento; '1a quale disposizione, accomunando sotto la stessa disciplina 
qua1sia:si tipo di Timborso, esclude in radice che l'art. 38 possa essere 
riferito solo alle restituzioni riguardanti le operazioni di versamento. 

In definitiva, va affermato che il rimedio previsto da detta norma � 
imposto per tutte 'le ragioni che possono giustificare la ripetibilit� del 
versato, tanto se afferenti le operazioni di versamento, cio� errori 
riguardanti i versamenti come ta:li, quanto se afferenti il fondamento 
deH'obbligazione tributaria, cio� l'an o il quantum del tributo; e conseguentemente 
la scadenza del termine di diciotto mesi, senza che sia 
stata presentata l'istanza di rimborso, rende i!Ilsensibile il rapporto agli 
effetti della pronuncia di incostituzionalit�. 

Giova accennare, per completezza, ad un ulteriore argomento in 
senso �contrari.o (che non si ritrova nella decisione impugnata) prospettato 
in dottrina nel convincimento che l'ipotesi della dichiarazione di 
incostituziona[it� della norma impositrice �sia da ricondurre fra � i casi 
in cui il contribuente afferma essere sopravvenuto il diritto al rimborso
�, cui fa riferimento l'art. 16 vecchio testo, con la conseguenza che 
ugualmente non operer.ebbe la preclusione ex art. 38 (e neppure quella 
connessa allJ:a definitivit� del ruolo). 

Ma l'inconsistenza dell'assunto risulta chiara appena si consideri che 
si ha sopravvenienza del diritto al rrimborso quando questo sorge per 
effetto di un evento successivo al pagamento (come accade per talune 
fattispecie espressamente previste dalle leggi di imposta), mentre si � 
fuori da questi casi nell'ipotesi della pronuncia di incostituzionalit�. La 
norma incostituzionale �, !infatti, originariamente illegittima e perci� il 
diritto al rimborso pu� essere fatto valere dal solvens in ogni momento, 
eccependo appunto l'illegittimit� �della norma impositrice, mediante 

I 

I

I 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

istanza di 1rimborso il cui accoglimento dipenda dahla dichiarazione di 
incostituzionalit�; e il contribuente ohe non abbia proposto tempestivamente 
l'istanza non pu�, quindi, rimediare alla sua ii.nerzia dopo la 
decisione della Corte Costituzionale, deducendo che solo da questo 
momento ha avuto cognizione dell'indebito. 

9. -Nella specie, la Commissione tributa~fa centrale ha condiviso 
la decisione di accoglimento del:la domanda del ricorrente in quanto ha 
ritenuto irrilevanti, ai fini dell'esaurimento del rapporto, la definitivit� 
del ruolo e la decadenza di cui all'art. 38 cit. 
Peritanto, iil ricorso dell'Amministrazione va accolto e 'la decisione 
impugnata deve essere cassata con rinvio aila stessa Commissione tributaria 
centrale, la quale proceder� a nuovo esame della controversia 
attenendosi al seguente principio di diritto: �La sentenza della Corte Costituzionale 
25 marzo 1980, n. 42, che ha dichiamto incostituzionale la 
tassazione con l'Ilor dei redditi di lavoro autonomo non assimilabili ai 
redditi di impresa, incide nei rapporti tributari pendenti alla data della 
pronuncia, nei quali la norma illegittima dovrebbe ancora operare, 
mentre non spiega alcun effetto rispetto a quelli esauriti, per i quali 
sia intervenuto un giudicato, sia diven~ato definitivo un atto amministrativo 
ovvero siano decorsi i termini di prescrizione o di decadenza 
stabiliti dalle leggi che regolano i rapporti medesimi. Pertanto la sentenza 
suddetta non trova applicazione, e conseguentemente il contribuente 
non ha diritto al rimborso dell'imposta pagata, n� nel caso in 
cui il pagamento sia stato eseguito in base ad un'iscrizione a ruolo 
diventata definitiva per mancata impugnazione entro il termine di 
sessanta giorni dalla notifica della cartella esattoriale, previsto dall'articolo 
16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, n� nel caso di versamento 
diretto (autotassazione) per il quale si sia verificata la decadenza stabilita 
dall'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, non avendo iil contribuente 
non ha diretto al rimborso dell'imposta pagata, n� nel caso in 
termine di diciotto mesi dal pagamento�. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 giugno 1988, n. 3888 -Pres. Tilocca Est. 
Sensale -P. M. Di Renzo (conf.) -Auletta (avv. Fantozzi e Irti) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato D'Amato). 
Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Plusvalenze 
-Intento di speculazione -Investimenti su titoli azionari Accertamento 
dell'intento di speculazione in relazione alle singole 
operazioni -Abitualit� o professionalit� di operazioni di investimen� 
to � Valore sussidiarlo. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 81). 

440 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Redditl 
di capitale � Presunzione di fruttuosit� � Distinta presunzione di 
impiego di capitali disponibili -Legittimit�. 

(t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 86). 
L'intento di speculazione, che � il presupposto della tassabilit� delle 
plusvalenze realizzate da soggetto non imprenditore, anche in relazione 
ad attivit� di investimento di titoli azionari, va verificato rispetto alle 
singole operazioni avuto riguardo al momento della cessione ed a un 
ulteriore momento che pu� anche essere successivo a quello dell'acquisto; 
tuttavia la abitualit� in tal genere di operazioni, specie se a tal punto 
sistematica da assumere caratteri di professionalit�, pu� costituire un 
indizio che, insieme ad altri elementi, pu� contribuire ad integrare la 
prova per presunzioni dell'esistenza dell'intento speculativo (1). 

La presunzione posta dall'art. 86 del t. u. 29 gennaio 1958, n. 645 

riguarda soltanto la fruttuosit� dell'impiego di capitale del quale sia data 

altrimenti la dimostrazione; � tuttavia consentito ricorrere ad autonoma 

presunzione, senza incorrere nel divieto della praesumptio .de praesumpto, 

per dimostrare l'impiego di capitali, quanto meno al livello minimo del 

deposito bancario, quando risulti la disponibilit� di un rilevante capi


tale (2). 

(omissis) 11. -Con il terzo motivo del ricorso principale sono denunziate 
la violazione e la fa;J:sa applicazione deM'art. 81, 2� comma, del T. U. 
29 gennaio 1958, n. 645, in relazione al recupero a tassazione di plusva


(1-2) Decisione di molto interesse che fa il punto su due rilevanti que


stioni. 

La prima massima, affermando ripetutamente che la prova dell'intento 
speculativo deve emergere dalle modalit� di attuazione deHe singole operazioni 
e non dal comportamento complessivo del soggetto (che altrimenti si appli� 
cherebbe per il soggetto non imprenditore la regola stabilita per l'imprendi. 
tore), tuttavia ammette che da una valutazione complessiva del soggetto che 
opera con abituailit�, se non con professionalit�, nel campo delle operazioni su 
titoli possono trarsi indizi utili per rafforzare la presunzione di intento speculativo. 
L'affermazione � evidentemente ragionevole. Ma fino a che punto si 
pu� dire che l'esercizio abituale o addirittura professionale di attivit� di inve


stimento su titoli non qualifichi il soggetto come imprenditore? 

Ragionando secondo le norme del d.P .R. 29 �settembre 1973 n. 597, che sono 

pi� dettagliate ma non sostanzialmente diverse da quelle del t.u. del 1958, 

si rileva facilmente che la qualit� di imprenditore � desumibile dalla sola 

attivit�, oggettivamente considerata, indipendentemente da qualunque status 

personale e anche se non organizzata in forma di impresa (art. 51); precisa 

poi l'art. 53, secondo comma, che i titoli azionari, obbligazionari e similari si 

comprendono fra i beni al cui scambio � diretta l'attivit� deH'impresa quando 

questa ha per oggetto specifico, ancorch� non esclusivo, l'assunzione di parte


cipazioni in societ� o enti, la compravendita, il possesso e la gestione di titoli. 


PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 441 

lenze patrimoniali erroneamente considerate come derivanti da operazioni 
specufative per gli anni 1970 e 1971 e, con Tiferimento ad Angela 
Armenise, per l'anno 1972. Si denuncia, inoltre, il vizio di insufficienza 
e contraddittoriet� della motivazione sul punto. Sostiene fil ricorrente che 
la cessione di 20.000 diritti di optlone e delle 8.000 azioni della Banca 
nazionale dell'agricoltura da lui effettuata negli anni 1970 e 1971 a favore 
della soc. Nazionale sviluppo bonifiche (poi Siele) e quella delle 233.445 
azioni effettuata nel 1972 a suo favore della madre Angela Armenise, 
costituivano l'attuazione di un"ampia operazione di spersonalizzazione 
del controllo di una delle pi� importanti banche italiane imposta sin 
dal 1967 dalla Banca d'Italia. La cessione -la quale, avendo per oggetto 
titoli quotati nel mercato ristretto, non poteva avvenire se non per 
valori effettivi e quindi cospicui -non era, quimdi, attuativa di alcun 
intento 1specUilativo, ma mirava a mantenere il controllo sulla B.N.A. tramite 
una societ� (la Siele) attualmente non operativa e perseguiva fini 
conservativi del patrimonio che costituiva la !fonte di sostentamento 
della famiglia Auletta A.o:'menise, incompatibiU con l'intento speculativo. 
L'errore in cui era incorsa la Commisisone centrale, nel ritenere l'intento 
speculativo delle suddette cessioni, consisteva sostanzialmente nell'avere 
creato una figura intermedia, non prevista dalla legge n� logi.cament~ 
configurabile, tra imprenditore finanziario ed operatore occasionale, 
creando di fatto una nuova forma di operazione speculativa, attribuibile 
all'operatore che del �possesso, acquisto e vendita dei titoli azionari 
ha fatto la propria professione � e quindi tassabile indipendentemente 
dal riscontro temporale, invece necessario, tra acquisto e vendita, 

Se si considera che per integrare la qualifica di imprenditore non � rilevante 
la dimensione (sono imprenditori i commercianti ambulanti, i microtrasportatori, 
i prestatori di umili servizi), � facile arrivare a concludere che una 
abituale o addirittura professionale attivit� nel campo degli investimenti su 
titoli, tale da costituire indizio sussidiario ailla presunzione ancorata su singole 
operazioni, si trova ai limiti dell'imprenditorialit� e pu� con essa confondersi. 


La seconda massima esprime con ampiezza l'evoluzione della giurisprudenza 
in materia di reddito di capitale e delle relative presunzioni e fa chiarezza 
sull'equivoca allegazione del divieto di praesumptio de praesumpto (per 
altro aspetto del problema cfr. Cass. 26 gennaio 1988, n. 669 in questo fascicolo 
pag. 393). La presunzione legale dell'art. 86 del t.u. del 1958 � indipendente 
dalla prova, che pu� essere data con ogni mezzo e quindi anche con presunzioni 
semplici, dell'impiego del capitale. 

Trattasi di due autonome presunzioni e non di una presunzione appoggiata 
sull'altra. NeH'annotazione a:lla sent. 23 aprile 1987 n. 3929, in questa Rassegna 
1987, I, 442 era stato notato che la distinta presunzione semplice attinente 
all'impiego del capitale � relativa alla prova dell'esistenza del presupposto e 
quindi implica una questione di valutazione estimativa sottratta al giudice di 
terzo grado, a differenza dell'altra presunzione sulla fruttuosit� che concerne 
l'applicazione dell'art. 86. 



H2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

quale elemento sintomatico dell'esistenza dell'intento speculativo. Fuorviata 
da tale errore, la Commisi!sone centrale non aveva osservato il 
principio in base al quale J'intento speculativo dev'essere accertato in 
�oncreto con riferimento ad ogni singola operazione e non aveva considerato 
che la trasformazione del controllo dcl1a B.N.A. da personale in 
societario non variava la consistenza patrimoniale del cedente e che, se 
il controllo era destinato ad accrescersi, ci� poteva avvenire solo attraverso 
la sottoscrizione di aumenti di capitale, insusoettibile di produrre 
plusva1.enze tassabili. Il ricol1I'ente sostiene in particolare: a) che, essendo 
i diritti. di opzione direttamente collegati al pos�sesso di azioni acquistate 
nel 1965 e nel 1968, la cessrione degli stessi nel 1970 non pu� considerarsi 
operazione speculativa dato il lungo intervallo di tempo tra acquisto e 
vendita; b) che lo stesso doveva ritenersi per le azioni, acquistate negli 
anni 1965 e 1968 e rivendute ncl 1971; e) che a maggior ragione doveva 
escludersi l'intento ,speculativo con riferiiment~ alle azioni acqui<State da 
Angela Armenise nel 1947 e cedute al figlio nel 1972. 

Tali censure devono accogliersi nei limiti che saranno di seguito 
precisati. 

12. -Occorre, innanzi tutto, richiamare, per la parte che interessa 
il caso in esame e con gli adattamenti che questo richiede, i principi 
affermati, in tema di intento speculativo, da1.la sentenza delle Sezioni 
Unite n. 5960 del 13 ottobre 1983. Essri possono cos� riassumersi: a) Sotto 
il vigore del T. U. n. 645 del 1958, l'intento speculativo costituisce una 
condizione per la tassabilit� de1le plusvalenze, realizzate da un soggetto 
non imprenditore e rappresentata dall'aumento del valore di scambio che 
assume nel tempo uno stesso cespite patrimoniale rispetto al costo 
inriziale, e pertanto non pu� essere genericamente supposto, ma va concretamente 
accertato, sia pure per mezzo di presunzioni, con esauriente 
esame di ogni modalit� e circostanza inerenti alle II'elative operazioni; 
b) l'accertamento delfintento speculativo postula il �riscontro di 
un'attivrit� de1 venditore, logicamente e cronologicamente precedente 
l'atto di cessione del bene e strumentale rispetto all'incremento di 
valore; essa pu� oons1stere nello stesso acquisto del bene, purch� accompagnato 
dalla sua preordinazione al conseguimento della plusvalenza, o 
anche da un'attivit� posteriore aH'acquisto, rivolta ad agevolare o 
potenziare l'incidenza di fattori incrementativi; 

e) quando un'attivit� di questo tipo manchi e nella ricerca de1l'intento 
�speculativo debba risalirisi a ritroso dal momento della vendita 
a quello dell'acqui!sto, questo pu� assumere un �rilevante valore indi~ 
ziario per esdudere l'intento speculativo se le modalit� o il titolo di 
tale acquisto siano, per loro natura, incompatibili con la esistenza, 
in quel momento, di un intento speoulativo, cos� come analogo valore 
sintomatico pu� assumere la destinazione del ricavato della vendita per 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

escludere che il disegno speculativo sia 1stato portato a ultimazione e 
che la vendita sia stata effettuata in esecuzione di tale disegno; 

d) l'accertamento in concreto de1l'intento speculativo costituisce 
indagine di merito non sindacabile in �sede di legittimit� se non sotto 
il profilo della congruit� della motivazione. 

Ribadendo tali principi con la successiva sentenza n. 2871 del 9 maggio 
1985, le Sezioni Unite hanno ulteriormente precisato che la provenienza 
ereditaria del bene, se non consente di rricollegare al momento 
dell'acquisto la presenza di un intento speculativo, tuttavia non esclude 
che quell'intento possa essere rivelato da un'attivit� diversa, successiva 
all'acquisto e logicamente e crono1ogicamente anteriore alla vendita; che 
la sottoscrizione di un aumento di capitale �, di per s�, fenomeno dive11so 
dall'acquisto di azioni, specialmente quando la maggior parte del pacchetto 
azionario appartiene a membri di uno stesso gruppo familiare e 
fa sottoscrizione � rivolta al fine di conservare la propria posizione 
nell'ambito della compagine sociale; che il caraittere speculativo deve 
essere provato con riguardo �all'operazione che si assume produttiva 
della plusvalenza e che si 1Mlole tassabile e non pu� essere desunto dal 
compimento di altre e diverse operazioni. 

In ordine a quest'UJltimo punto, � necessario precisare che, quando 
operazioni dello stesso tipo siano compiute con carattere di abitualit�, ~� 
ci� non esclude che l'intento speculativo debba essere valutato con riferimento 
alla operazione, della cui tassazione si tratta, secondo il principio 
or ora richiamato; ma pu� costituire un indizio che, insieme agli ele~ 
menti ed alle modalit� propri della singola operazione, pu� contribuire 
ad integrare la prrova per presunzioni circa la esistenza del1'intento speculativo, 
1specialmente se l'abituali!t� sia a tal punto sistematica da far 
pensare ad una attivit� svolta con carattere di professionalit�. 

Questa precisazione induce a due considerazioni, alla luce delle quali 
deve valutarsi la congruit� della motivazione della decisione impugnata 
nella parte in cui contiene l'accertamento dell'intento speculativo. La 
prima � che , il carattere abituale, o addirittura professionale, di operazioni 
di acquisto e vendita di beni, contrariamente a ci� che sembra 
costituire il fulcro del ragionamento della Commiissione centrale, non 
dispensa dal ricercare gli estremi dell'intento speculativo con specifico 
riferimento alla singola operazione produttiva di plusvalenza che si 
vuole tassata; perch� diversamente si finisce col riprodurre per il soggetto 
non imprenditore, in relazione al quale l'intento speculativo deve 
essere di volta in volta dimostrato, lo stesso regime delle plusvalenze 
e delle sopravvenienze imponibili realizzate dall'imprenditore nell'ipotesi 
di cui all'art. 100 del T. U. 645/58 (che non richiede quella prova), operando 
una equiparazione che, invece, risulta positivamente esclusa dalla 
legge. La seconda � che, ai fini dell'accertamento -in concreto e con 


444 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

riferimento alla singola operazione -dell'intento speculativo, iJ carattere 
abituale deM'operaz.ione, pur non essendo da solo sufficiente (ch�, se lo 
fosse, ,si ricadrebbe in quella equiparazione esclusa dalla legge), non � 
indifferente, come mostlra di ritenere il ricorrente, perch� altrimenti si 
porrebbe un limite del tutto irrazionale ed ingiustificato alla �ricerca 
degli elementi presuntivi dai quali pu� trarsi la prova dell'intento speculativo, 
dovendosene, se mai, valutare la complessiva concludenza e la 
capacit� di ciascuno di collegarsi con l'altro ovvero di escluderne il 
valore indiziario. 

L'ottica, entro la quale la controversia va esaminata, ne risulta, dunque, 
rovesciata rispetto alla impostazione del'la decisione impugnata. 
Non � l'abitualit� o professionaiit� del compimento, da parte del contribuente, 
di operazioni di compravendita nel campo dei titoli azionari ad 


I ~ 

attribuire a11e vendite 'Specificamente tassate, in quanto produttive di 
plusvalenze, carattere di specufativit�, ma tale cara:ttere dev'essere proprio 
di ta:li vendite in virt� delle modalit� e circostanze del caso 
concreto, da apprezzarsi anche alla 'luce dell'abitualit� o professionalit� 
dell'attivit� del contribuente, ove non forniscano gi� sicure indicazioni 
in un senso o nell'altro. (omissis) 

I

Con il quinto motivo il ricorrente principale denunzia ~a violazione 

~ 

e falsa applicazione dell'art. 86 del T. U. 29 gennaio 1958, n. 645, in rela


~ 

I 
~zione al recupero a tassazione di prestmti interessi derivanti dal presunto 

~ 

reimpiego deLle somme ricavate dalla vendita, nel 1970 e nel 1972, di 
azioni della B.N.A., nonch� il vizio d'insufficiente e contmddittoria motivazione 
sul punto. Tali somme -sostiene rl ricorrente -erano state 
quasi interamente utilizzate per la capitalizzazione dlella Societ� controlfata 
Siele e per la copertura di esposizioni debitorie. Inoltre, l'Ufficio 

I

aveva illegittimamente fondato la propria pretesa su una inammissibile 
doppia presunzione, costruendo una presunzione di fruttuosit� su una 

I 

ulteriore presunzione di reimpiego a titolo oneroso. Altro errore commesso 
dalla Commisi:sonle centrale sairebbe quello di avere ritenuto di 

I 

poter fondare il proprio ragionamento sull'art. 137 del T. U., neihl'erroneo 

i 

presupposto che l'Ufficio avesse seguito, sostanzialmente, un metodo 
! 
�

� sintetico � di accertamento, diretto 'alla ricostruzione del reddito com! 
' 
plessivo netto del contribuente sulla base di � altri elementi o circoi 
stanze di fatto� indicativi delil'esistenza di un reddito superiore a quello 

I

risultante da una ricosW1lzione analitica delle fonti di reddito. R�leva il 
ricorrente che si era, invece, trattato di accertamento analitico e che 

I 

1 

l'Ufficio nell'atto di accertamento aveva .richiamato l'art. 135, insistendo, 
\ 

poi, per la conferma del recupero a tassazione � analitico � della posta 
!!

in questione. 

j

Ta:li censure, che 1riguardano esclusivamente l'accertamento per l'eser


t

cizio 1973, sono infondate. 

I 

I 



PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

16. -Occorre premettere che il lapsus in cui, secondo iil ricorrente, 
sarebbe incorsa la Commissione centrale nel ritenere eseguito l'accertamento 
ai sensi dell'art. 137 del T. U. 645/58 e non dell'art. 135, e cio� 
sinteticamente e non analiticamente, ammesso che di lapsus realmente 
si tratti, � privo di conseguenze in ordine alla decisione adottata. Poich�, 
nella disciplina del T. U. 645/58, ad integrare il reddito complessivo 
assoggettabile a:d imposta complementare (cui le dette no!1IIle si riferiscono) 
concorrono an(;he i redditi di R. M. (art. 135, 2� comma, lett. B) 
in misura pari ai redditi netti determinati ai fini di tale imposta, questa 
determinazione �, dal punto di vista 'logico, preliminare rispetto a quella 
del reddito di complementare e per ci� � deMe norme che presiedono 
alla determinazione dei reddi'ti di R. M. che deve farsi applicazione 
anche ai fini dell'accertamento del reddito di complementare (in particdlaire, 
con riguardo al caso concreto, all'art. 86), con la conseguenza 
che se, in base a ta'le norma, il reddito di R. M. risultasse accertato, 
nessun'altra questione potrebbe in ordine ad esso sollevarsi ai fini 
della imposta complementare, cos� come, se risultasse escluso, non 
potrebbe ovviamente concorrere a formare il reddito soggetto ad imposta 
complementare. 
17. -Se, dunque, decisiva ai fini della decisione � l'interpretazione 
da dare ali'art. 86, conviene richiamare [a giurisprudenza di questa 
Corte formatasi al riguardo. 
Confermando un indirizzo gi� affermato da questa sezione (v. sentenze 
2412/79 e 2294183), le Sezioni Unite, con le decisioni n. 2871 e 
5250 del 1985, ritennero che la suddetta norma pone una presunzione 
che non ha ad oggetto la esistenza del titolo dell'impiego di capitale, 
ma il reddito che non �risulti (o risulti in misura inferiore a quella 
effettiva) da:l titolo stesso, di cui deve, invece, dimostrarsi l'effettiva 
esistenza. Pervennero, quindi, alla conclusione che non � sufficiente la 
riscossione di una somma di denaro dalla vendita d'immobiili (ch� di 
ci� si trattava nelle ipotesi esaminate) per doverne trarre la conseguenza 
dell'impiego di essa, senza svuotare di contenuto l'art. 86, che 
distingue la provata esistenza di un titolo dalla presunzione di un 
reddito, e senza incorrere nella violazione dell'art. 2729 e.e., a norma 
del qua!le le presunzioni semplici non possono ammettersi se non siano 
gravi, precise e concordanti. . 

Successivamente questa sezione (sent. 17 febbraio 1986, n. 934), senza 
tuttavia dare atto del precedente indirizzo confermato dalle Sezioni 
Unite, espresse il diverso principio, secondo cui deve .considerarsi con� 
sentito, in difetto di verosimile ipotesi contraria, presumere l'impiego 
di capitali, almeno al 1ivello minimo del deposito bancairio, e quindi 
il percepimento dei relativi interessi e fondandolo sullle seguenti argo



'446 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mentazioni: a) in tema di prova per presunzioni, non occorre che i 
fatti, su cui la presunzione si fonda, siano tali da far apparire l'esistenza 
del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti 
accertati in giudizio �Secondo un legame di necessariet� assoluta ed 
esclusiva, bastando che l'operata inerenza sia effettuata alla �stregria 
di un canone di probabilit�; b) la fruttuosit� dell'impiego del denaro 
non rappresenta, rispetto alla presunzione dell'impiego stesso, un'ulteriore 
ed autonoma inerenza presuntiva, costituendo, alla luce del principio 
de11a naturale fecondit� del denaro, di cui all'art. 1282 e.e., un 
momento dell'unica presunzione di reimpiego. 

Chiamata a riesaminare la questione, questa sezione, con sentenza 
23 aprile 1987, n. 3929 (e con altre due deliberate nella stessa data, ma 
pubblicate in epoca successiva), pur uniformandosi all'indirizzo gi� 
tracciato dalle Sezioni Unite, ne ha fornito alcune precisazioni, peraltro 
gi� implicitamente contenute in quell'indirizzo. Ha, cio�, ribadito che la 
norma in esame ha attribuito il potere -e imposto il dovere _: alla 
Amministrazione di accertare lo specifico titolo del reimpiego, �senza del 
quale la presunzione del reddito di cui al 2� comma dell'art. 86 non 
pu� operare, ma ha ritenuto essere consentito all'Amministrazione di 
fornire la prova del titolo con i normali mezzi previsti dall'ordinamento 
e, quindi, anche in base a presunzioni, nella disciplina e nel modo di 
operare di questo mezzo di prova secondo le norme di diritto comune 
contenute nel codice civik Ha, quindi, precisato che, ai fini della prova 
per presunzioni, utilizzabile anche nell'ambito del 1� comma dell'art. 86, 
� sufficiente che l'inerenza del fatto noto al fatto ignoto sia effettuata 
alla stregua di un canone di probabilit� e che il convindmento del 
giudice pu� fondarsi anche su una sola presunzione, ma occorre che 
iii grado di probabilit� del fatto ignoto indotto dal fatto noto .si ponga 
con carattere di prevalenza rispetto agli a1itri fatti, ignoti, che sulla 
base di esso possono ritenersi in astratto esistenti, e che la gravit� e 
precisione dell'unica possibile presunzione sia valutata in relazione alla 
fattispecie concreta. 

Nell'escludere che, come si era ritenuto con la sentenza 934/86, la 
presunzione posta dal secondo comma deli'art. 86 (cio� la presunzione 
di interessi) costituisce un momento di un'unica presunzione, si � precisato 
che, consentita dalla norma tributaria per il solo fatto dell'accertata 
esistenza del titolo, essa si fonda esclusivamente su tale esistenza 

I

e non (<mche o it1vece) sul dive11so fatto noto che pu� fornire presunti


! 

vamente la prova del titolo stesso. Questo � oggetto della presunzione, �: 

" 
utilizzabile dall'Amministrazione come qualsiasi altro mezzo di prova ! 
per acquisire la certezza della sua esistenza; il reddito �, invece, �l'oggetto 

I 

della presunzione posta dalla norma tributaria ed opera in un momento 
logicamente e cronologicamente successivo, postulando il positivo esau-

I 
I 


II

I 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

cimento dell'accertarmento del titolo. Inoltre, a differenza della prima 
presunzione, che pu� fondarsi su qua!lsiasi fatto noto (compreso il 
possesso del denaro, quando, secondo le circostanze del caso concreto, 
consenta l'inerenza del fatto ignoto-reimpiego con un grado di maggiore 
probabilit� rispetto ad altre, parimenti possibili in astratto, utilizzazioni 
del denaro), la seconda si fonda su un unico ed esclusivo fatto noto, 
perch� accertato in concreto, che � il titolo del reimpiego. 

18. -AMa stregua di ta!li principi, deve essere esaminato �l quinto 
motivo del ricorso, con ~a premessa, in fatto (('isultante dalla decisione 
impugnata, che l'ammontare delle somme reimpiegate, determinato ini� 
zialmente in L. 15.960.000.000 con un imponibHe di L. 1.915.200.000, fu poi 
ridotto dall'Ufficio, nel corso del giudizio, a L. 5.531.850.000 con conse� 
guente riduzione del['imponibile a L. 662.726.884, essendosi ritenuta non 
provata la natura non (('eddituale di una parte del reimpiego delle somme; 
e che di L. 5.531.850.000, erano state versate sul c/c 24805 della B.N.A., 
intestato a Giovanni Auletta Armenise, L. 2.470.467.799. 
Per tale somma vi �, quindi, la pirova del reimpiego sulla quale ben 
poteva fondarsi la presunzione, ex 2� comma deli'art. 86, di percezione 
di interessi, determinata nella misura, non specificamente contestata, 
degli interessi bancari mediamente correnti all'epoca del deposito; e le 
censure del ricorire:hte sono manifestamente prive di qualsiasi fondamento. 

Ad analoghe conclusioni, ma con un ragionamento pi� articolato, la 
Commissione centrale � pervenuta in ordine al reimpiego della restante 
somma di L. .3.061.382.261, ritenuta <reimpiegata allo stesso modo della 
somma di L. 2.470.467.799. 

La prova presuntiva di tale reimpiego che, come si � visto, era consentita 
all'Amministrazione la Commissione centrale ha ritenuto raggiunta, 
considerando che -esclusane la utilizzazione non reddituale 
riconosciuta ad altra parte del ricavato da:lla vendi�ta delle azioni, per 
la quale il contribuente era stato in grado di fornire concreti elementi non 
era ragionevole ritenere che un capitale cos� ingente potesse essere 
rimasto infruttifero' nelle mani del proprietario, specialmente di una 
persona come !'Auletta Armenise, particolarmente esperta ed attiva sul 
mercato finanziario, e non fosse stata quanto meno depositata in banca. 
La Commissione centrale, cio�, ha ritenuto raggiunta [a prova del reimpiego 
sulla base di presunzioni correttamente utilizzate. Dal fatto noto 
del possesso del denaro essa � risalita al fatto ignoto-reimpiego, cui ha 
attribuito un grado di maggiore probabilit� rispetto ad altre, astratta� 
mente possibili, utilizzazioni del denaro stesso, in ordine alle quali, non 
sarebbe stato difficile al contribuente fornire elementi idonei a far 
dubitare della ritenuta inerenza. E ci� ha fatto tenendo conto delle 
circostanze del caso concreto che quella maggiore probabilit� suffraga� 
vano, quali 'l'attivit� sul mercato finanziario dell'esperto contribuente, 


448 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la rilevante entit� della somma suscettibile di fornire ulteriore ricchezza 
anche nella pi� elementare forma d'investimento costituita dal deposito 
bancario, la gi� avvenuta utilizzazione, per altre somme, di questa 
modalit� di reimpiego. 

N� potrebbe obiettarsi che, in tal modo, si sarebbe individuato un 
titolo ipotetico e non identificato nella sua specificit�. '� agevole rispondere 
che -quando debba escludersi una pi� pr�>ficua forma� di reimpiego, 
perch� ne manchi la prova, e d'altra ,parte debba escludersi una 
utilizzazione non reddituale del denaro (come � appunto, nel caso concreto) 
-l'unica residuale forma di reimpiego, che � quella del deposito 
bancario, non costituisce pi� una � ipotesi �, ma assume, per esclusione, 
connotati di specifica certezza. L'ipoteticit� postula, infatti, l'individuazione 
tra pi� fatti possibili e deve essere superata mediante l'attribuzione 
ad uno di essi della probabilit� del verificarsi, si che, quando sia invece 

I

eliminata ogni possibile alternativa tra pi� fatti diversi, quello di essi, 
che rimanga come l'unico e l'ultimo possibile, acquista inevitabilmente 

I

carattere di certezza. 
Accertato, quindi, il titolo del reimpiego, ne conseguiva la presun


I 

zione d'interessi posta daH'art. 86, 2� comma del T. U. che la Commis


I

sione centrale ha calcolato in misura adeguata a[ titolo stesso. (omissis) 

~ 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 18 giugno 1988, n. 4178 -Pres. Vela . 
Est. Senofonte -P.M. Martinelli (conf.). Ministero deille Frinanze 
(Avv. Stato D'Amico) c. Marcantonio. 

. 

' 

Tributi in genere -Contenzioso Tributario -Procedimento -Intervento in 

I:)

appello � Inammissibilit�. 

(c.p.c., art. 344 e 404). 

' 

Tributi in genere -Contenzioso Tributario � Ricorso per cassazione -Cassazione 
senza rinvio � Ammissibilit�. 
(c.p.c., art. 382). ;)

I

Nel processo speciale tributario non � ammesso l'intervento in 
appello (1). 
Nel processo tributario � applicabile l'art. 382 c.p.c. in forza del quale 

I

la Corte di Cassazione cassa senza rinvio quando ritiene che la causa w 
non poteva essere proposta o il processo proseguito (2). ~ 
1:: 

~== 

f

f:: 

(1-2) La prima massima � da condividere non tanto perch� gli artt. 344 e ;: 
404 non sono collocati nel primo libro cod. proc. civ., ma piuttosto perch� 
essendo il processo ancorato a ricorso contro atti capaci di diventare irretrat-I~ 

fil 
r= 

,,.,���,.,��,.,����

~,,,,.41 


PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 449 

(omissis) -La ricorrente denuncia: 

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 344 e 404 cod. proc. 

civ. e dell'art. 39 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, perch� a suo avviso 
non � ammesso, nel processo tributario, l'intervento di terzi, che � 
, istituto processuale previsto nel secondo libro del codice di rito ordinario, 
del quale non � stata prevista iJ.'applicabilit� nel processo tributario. 

2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 44 del citato decreto 
presidenziale, nonch� deH'art. 1306 cod. civ., sostenendo che la prima 
norma impedisce che l'opposizione del contribuente, una volta dichiarato 
estinto il processo per omessa presentazione della istanza di trattazione, 
possa risorgere nella forma di intervento di terzo o in qualsiasi 
altro modo, mentre la seconda non pu� cancellare il principio che ove 
i condebitori solidali abbiano instaurato separati giudizi, vale per ognuno 
degli attori l'esito del giudizio da lui instaurato, non di quello promosso 
dal coobbligato. 

3) Contraddittoriet� di motivazione, avendo la Commissione centrale 
fondato l'ammissibilit� dell'intervento dei Pugliese sulla supposta necessit� 
di evitare le conseguenze, per essi pregiudizievoli, 'dell'eventuale 
soccombenza della societ� venditrice, fraintendendo cos� la portata della 
sentenza n. 48 del 1968 delila Corte costi<tuzionale, che ha dichiarato 
illegi�ttimo, per contrasto con l'aTt. 24 Cost., l'istituto della mutua Tappresentanza 
dei contribuenti nel processo tributario e quindi ha reso impossibile 
proprio il verificarsi degli effetti paventati dai Pugliese. 

tabili nei confronti di ciascun destinatario, � problematico anche l'intervento 
in prima istanza che pure le norme (art. 31 e 35) suppongono senza disciplinare. 

Importante � la seconda massima. In passato la S.C. aveva ritenuto (10 novembre 
1981 n. 5947 in Comm. Trib. Centr., 1982, Il, 49; 1� febbraio 1984 n. 778, 
in Div. prot. trib., 1984, Il, 880) che nei casi di ricorso ex art. 111 Cost. essa 
non avesse H potere di sopperiTe all'omessa pronunzia del giudice del merito 
in tema �di error in procedendo e non potesse pertanto pronunziare la cassazione 
senza rinvio. In verit� la limitazione non appariva giustificata sia perch� 
il ricorso ex art. 111 Cost. non differisce dal ricorso ordinario, specie in tema 
nullit� della sentenza e del procedimento, sia perch� la Corte non si � mai 
sottratta all'esercizio del suo potere di verifica, anche in fatto, dei vizi del procedimento. 
Sembra pertanto pi� corretta la pronunzia ora intervenuta, ampiamente 
motivata. Si pu� ricordare che la S.C. aveva (sent. 20 maggio 1986 

n. 3340, in questa Rassegna, 1986, I, 299) ritenuto possibile, in applicazione 
dell'art. 383 c.p.c., rinviare direttamente alla Commissione di prima istanza in 
un caso in cui aveva rilevato la nullit� di quel giudizio per la quale il giudice 
di appello (e il giudice di terzo grado) avrebbero dovuto rimettere le parti al 
primo giudice (artt. 24 e 29 d.P.R. n. 636/1972). Anche in questo caso la Corte 
di Cassazione interviene direttamente a correggere i vizi del processo, senza 
passare necessariamente attraverso il normale rinvio al giudice di terzo grado. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

450 


Il primo motivo � fondato: conseguentemente restano assorbiti gli 
altri due. 

Poich� n� Sailvatore Pug1iese, n�, dopo di lui, i suoi eredi furono 
pairti del giudizio di primo grado introdotto con il ricorso della societ� 
Gicappa, avendo il Pugliese proposto una propria, autonoma opposizione 
all'ingiunzione di pagamento dell'Ufficio del registro, definita poi con 
altra pronuncia, la Commissione centrale ha dovuto �ricondurre l'intervento 
dei predetti eredi nel'la fase di appeHo seguita a quel giudizio, 
nell'ambito della previsione risultante dagli artt. 344 e 404 cod. proc. 
civ., a norma deMa quale � ammesso nel giudizio d'appello l'intervento 
dei terzi soltanto quando costoro sono pregiudicati daltla sentenza di 
primo grado. Senonch� tale forma di intervento non � consentita nel 
processo tributario (onde non � neppure il caso di attardarsi a stabilire 
se, tenuto conto di quanto dispone l'art. 1306 cod. civ., essa sia utilizzabile 
dal debitore solidale e quale sia il suo rapporto, nella specie, con 
l'avvenuta estinzione del giudizio promosso da Salvatore Pugliese). 

Nel processo tributario sono applicabili, in forza del rinvio contenuto 
nell'art. 39 d.P.R. 26 ottobre 1972, ID.. 636, ed in quanto siano compatibili 
con tal decreto e con le leggi che disciplinano le singole imposte, 
�le norme contenute nel libro primo del codiice di procedura civile�, 
escluse alcune; '1'art. 344 � collocato, invece, nel secondo libro di quel 
codice e quindi � -formai1mente -fuori dalla portata del rinvio. 
Inoltre -ed il 1rilievo � decisivo -� lo stesso carattere impugnatorio 
del processo tributario che rende impossibile l'intervento in appello di 
soggetti i quali, essendo stati destinatari di uno degli atti menzionati 
nell'art. 16 del citato decreto, nori. si siano opposti a questi nei tempi 
e nei modi previsti dalla disciplina processuale, o, comunque -deve 
dirsi con specifico riguardo al caso concreto -non abbiano coltivato le 
proprie ragioni nella sede in cui le avevano prospettate. 

Per conseguenza, la Commissione centrale av.rebbe dovuto ribadire 
che l'impugnazione degli eredi Pugliese non poteva avere ingresso nel 
giudizio introdotto dalla societ� Gicappa ed occuparsi esclusivamente 
dell'impugnazione proposta dall'Ufficio nei confronti di tale societ� (in 
ordine alla cui sorte non sono state sollevate contestazioni). 

L'errore importa la cassazione senza rinvio deMa statuizione fatta 
oggetto de11'attuale ricorso, perch� tale � la pronuncia prevista dall'articolo 
382, terzo comma, seconda parte, cod. proc. civ., per �ogni caso� 
in cui la Corte ritiene che la causa non poteva essere proposta o il 
processo proseguito. 

Vero � che recenti sentenze hanno deciso ricorsi analoghi con formula 
diversa, rinviando, cio�, la causa, previa cassazione della decisione 
impugnata, alla stessa Commissione tributaria centrale, affinch� fosse da 
questa dichiarata l'inammissibilit� (sent. 10 novembre 1981, n. � 5947 e 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 451 

1� febbraio 1984, -n. 778). Tuttavia il Collegio non trova ragione per aderire 
a siffatto orientamento. 

Che nel contenzioso tributario la Corte di cassazione sia chiamata 
a pronunciarsi in virt� dell'art. 323 cod. proc. civ. sulle sentenze delle 
corti di appello, non costitmsce un valido motivo per !ll.egare anzich� 
riconoscere alla Corte stessa uguali poteri di provvedimento. Invero, 
l'esclusione della possibilit� di cassare senza rinvio le decisioni della 
Commissione centrale pone le parrti che vittoriosamente sono insorte 
contro tali decisioni in una situazione deteriore rispetto a coloro che 
altrettanto vittoriosamente hanno impugnato sentenze di corte d'appello, 
costringendo solo 1e prime a riassumere, e per di pi� senza speranza di 
rimborso della relativa spesa, un processo che ovmai � stato gi� giudicato 
incontestabilmente incapace di proseguire. La disparit�, anzi, appare 
tanto pi� grave quando si consideri che, come emerge dal raffronto fra 
gli artt. 26 e 40 del decreto n. 636 del 1972 e da elementarri esigenze 
di coeren:z.a del sistema, Commissione centrale e Corti d'appello occupano 
uguali spazi nel contenzioso tributario. 

Ma pi� in generale deve dirsi che da!lla pura e semplice molteplicit� 
delle fonti di legittimazione del rricorso per cassazione non pu� trarsi 
argomento per ricavare i caratteri propri del conseguente giudizio. Questo 
trova l'aochetipo della sua disciplina nel codice di procedura civile, sicch� 
se la norma si limita a rendere esperibile il ricorso, bisogna applicare 
quella disciplina indipendentemente dal fatto che autore del provvedimento 
impugnato sia il giudice ordinario o un giudice speciale. 

13 per questo che l'art. 111 Cost., avendo assegnato senza condizionamenti 
al giudizio di legittimit� il ruolo di rimedio generale per tutte 
le decisioni dei giudici specali diversi dal Consiglio di Stato e dailla Corte 
dei conti (nonch� rispettivi giudici sottordinati), ha conferito un pi� consistente 
significato all'art. 65 r1d. 30 gennaio 1941 n. 12, che perentoriamente 
definisce la Corte di cassazione organo supremo di giustizia. 
Esso ha favorito ~�opera di uniformizzazione del processo di cassazione 
che 1a Corte, quale espressione della sostanziale unicit� della funzione 
giurisdizionale, � da sempre impegnata a realizzare, mediante l'applicazione 
vieppi� estesa e sicura delle disposizioni del codice ai ricorsi 
avverso le decisioni di giudici speciali (ad esempio, inscrivendo neHa violazione 
di legge le carenze e gli e:r.rori di motivazione anche l� dove 
specifiche norme non facciano menzione di tali vizi; oppure estendendo 
l'art. 327 cod. proc. civ. a tutte le decisioni, ancorch� non ne sia prevista 
la notificazione alle parti). 

Pu�, ovviamente, profilarsi talvolta la necessit� di raccordi: cos�, 
proprio nell'ambito del processo tributario, si riteneva, all'epoca del 
vecchio .regime, che il rinvio alla commissione avesse in alcuni casi portata 
diversa da quello fatto a1 giudice ordinario; esistono disposizioni 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

452 


apposite sul termine di proposizione di a:lcuni ricorsi, oppure sull'individuazione 
delle parti necessarie nel giudizio di legittimit�. Ma proprio 
l'esistenza di tali casi, se per un verso avverte che occorre comunque 
procedere ad una puntuale ricognizione dell'intero contesto normativo nel 
quale � inserita l'impugnazione, per un altro verso fa apparire in tutta 
la sua evidenza il ruolo di discipiina generale che � proprio del codice 
di procedura civile. 

Con riguardo alla cassazione senza rinvio, trattasi di pronuncia che 
deriva pienamente dal potere, �spettante alla Corte, di verificare la regolarit� 
dello svolgimento del processo di merito: essa �, anzi, la sola, 
coerente misura che l'ordinamento pu� apprestare di fronte alla presenza 
di certi errori (non a caso, infatti, era prevista gi� nell'art. 544 dell'abrogato 
codice del 1865, quando era meno drammatico di oggi il bisogno di 
una tempestiva definizione delle contese giudiziarie). Cos� come, in 
correlazione con la competenza della Corte a cogliere, in tutte le decisioni 
che le vengano denunciate, un vizio che dimostri l'esigell2!a di riesaminare 
la causa, non � discutibN.e l'obbligo del giudice del rinvio, qualunque 
egli sia, di procedere appunto a tale riesame, nella direzione e nei limiti 
segnatigli dalla Corte stessa, cos� non � possibile sottrarre la pronuncia 
di merito, solo perch� proveniente da un giudice speciale, alla cassazione 
senza rinvio -che oltre tutto non implica u!lteriore svolgimento di attivit� 
giurisdizionale vincolata -ogni volta in cui essa risulti emanata 
in carenza dei presupposti che consentono l'inizio o il prosieguo di 
una lite. (omissis) 


SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 novembre 1988, n. 6068 -Pres. 
Montanari -Visco -Est. Rotunno -P. M. Di Renzo (conf.) -Comune 
di Brescia (avv. Voltaggio Lucchesi) c. Ministero LL.PP. ed altri 
(avv. Stato Imponente). 

Acque -Acque pubbliche -Ricorsi avverso il piano regolatore generale 
degli acquedotti -Giurisdizione del Tribunale superiore AA.PP. 

(r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 43; d.P.R. 3 agosto 1968). 
Spetta al Tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell'art. 
143, lett. a), del r.d. 11 dicembre ~33, n. 1775, la cognizione dei ricorsi 
per violazione di legge ed eccesso di potere avverso il piano regolatore 
generale degli acquedotti. (1) 

Ai fini della risoluzione della proposta questione di giurisdizione, 
giova rammentare che, precedentemente alla sentenza di queste Sezioni 
Uriite 26 ottobre 1981, � n. 5576, il Consiglio di Stato aveva ritenuto che 
rientrassero nella sfera di cognizione del Tribunale Superiore delle Acque 
Pubbliche le controversie relative all'utilizzazione delle acque pubbliche, 
sempre che tale utilizzazione fosse diretta e immediata, come in particolare 
quelle riguardanti l'atto di concessione o i provvedimenti volti all'esecuzione 
o alla manutenzione delle opere idrauliche, di bonifica, di 
derivazione, di distribuzione, ecc., e che rientrasse invece nella sfera di 
cognizione generale dello Stesso Consiglio di Stato (ora del tribunale 
amministrativo regionale in primo grado) la controversia avente ad oggetto 
il decreto presidenziale di approvazione del piano regolatore generale 
degli acquedotti. 

Senonch�, con la indicata pronunzia, queste Sezioni Unite, dopo aver 
riconosciuto la natura di atto amministrativo definitivo al piano regolatore 
generaie predisposto dalle competenti amministrazioni in base alla 
legge 4 febbraio 1963 n. 129 ed approvato col d.P.R. 3 agosto 1966 e dopo 
aver ricordato che l'art. 143 lett. a), del r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775 
devolve alla cognizione diretta del Tribunale Superiore delle Acque Pub


(1) Cfr. Cass., S. U., 26 ottobre 1981, n. 5576, in questa Rassegna 1982, I, 
193 ed ivi nota di richiami. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dm.J..O STATO

454 

bliche i � ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione 
di legge avverso i provvedimenti definitivi presi daM'amministrazione in 
materia di acque pubbliche �, affermarono la giurisdizione di detto Tribunale 
relativamente alla controversia avente ad oggetto l'impugnazione, 
per eccesso di potere e per violazione di legge, del menzionato decreto 
di approvazione del piano regolatore generale degli acquedotti, trattandosi 
di provvedimento amministrativo definitivo che, contenendo anche 
precise e concrete disposizioni in materia di acque pubbliche, incide direttamente 
sugli interessi dei singoli comuni. 

Non ricorrendo alcuna ragione che suggerisca un mutamento di 
indirizzo, deve affermarsi, per la controversia in oggetto, la giurisdizione 
del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (che � giudice speciale 
in unico grado relativamente alle materie indicate nell'art. 143 
rid. 11 dicembre 1933 n. 1775, essendogli attribuita una giurisdizione genera1e 
di 'legittimit� rispetto a tutti i provvedimenti amministrativi 
definitivi in materia di acque pubbliche, tranne per quanto riguarda 
i consorzi, e una giurisdizione . particolare di merito nei confronti di 
alcuni provvedimenti espressarWente indicati). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 25 novembre 1988, n. 6332 -Pres. Scanzano 
-Est. Maltese -P. M. Di Renzo (conf.) -Corrieri (avv. A. Pallottino) 
c. Ente F.S. (avv. Stato Palmieri). 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Appalti delle Ferrovie dello Stato Capitolato 
generale � Disciplina delle riserve � Termini per la formulazione. 
(decreto 9 aprile 1909). 

Appalto � Appalto di opere pubbliche -Appalti delle Ferrovie dello Stato � 
Capitolato generale � Clausole in materia di riserve dell'appautatore � 
Necessit� di�specifica approvazione � Esclusione. 
((cod. civ., art. 1341; decreto 9 aprile 1909, art. 41). 

A norma dell'art. 41 del Capitolato generale amministrativo di appalto 
delle opere che si eseguono dall'Azienda autonoma delle Ferrovie dello 
Stato, il termine di cinque giorni entro il quale l'appaltatore, a pena di 
decadenza, deve avanzare la domanda di maggiori compensi decorre, 
quando la contestazione non riguardi le prescrizioni impartite con ordine 
di servizio o le risultanze dei computi metrici, dal giorno in cui si siano 
verificati il fatto o la circostanza che danno motivo alla maggiore pretesa. 

Non ricorre la figura del contratto per adesione nella ipotesi di 

contratto d'appalto stipulato a seguito di licitazione privata, con la conse


guenza che non richiede specifica approvazione per iscritto la clausola 


PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 455 

del Capitolato generale d'appalto per le opere ferroviarie, di natura 
contrattuale, relativa al termine di decadenza per la formulazione delle 
riserve. (1) 

Col primo mezzo l'impresa ricorrente sostiene che il termine cli decadenza 
cli cinque giorni previsto dall'art. 41 del �Capitolato generale 
amministrativo di appalto delle opere che si eseguono dall'Azienda autonoma 
delle Ferrovie dello Stato �, approvato dal Consiglio di amministrazione 
il 9 aprile 1909, si riferisce sempre alla �controversia� -sorta, 
nella specie, nel marzo del 1967 -non al mero �fatto �, accaduto, 
nella specie, il 28 settembre 1965. 

Questo, invero, deve esser conosciuto, apprezzato e valutato dal contraente, 
per poterne denunciare tutte le possibili conseguenze incidenti 
sull'equilibrio delle prestazioni contrattuali. 

Occorre, insomma, che la pretesa abbia preso corpo traducendosi in 
� controversia �, cui si collega il decorso del termine breve di cinque 
giorni dalla � domanda � dell'appaltatore. 

Tale interpretazione sarebbe confermata, data la natura non regolamentare 
ma contrattuale dei capitolati FF.SS., dallo stesso comportamento 
successivo dell'Amministrazione appaltante, che mai, nello svolgimento 
del rapporto, aveva eccepito pregresse decadenze. 

Comunque, il testo dell'art. 41 precostituito dal Consiglio cli Amministrazione 
dell'Azienda dovrebbe essere interpretato nel senso pi� favorevole 
alla controparte. 

Con i motivi secondo, terzo e quarto, strettamente collegati al 
primo e da esaminare congiuntamente ad esso, l'appaltatrice sostiene 
la tesi della nullit� della norma contrattuale di decadenza contenuta 
nel citato art. 41, perch� contraria al disposto dell'art. 2965 e.e. e non 
approvata specificamente per iscritto ai sensi dell'art. 1341 e.e. (secondo 
motivo), nonch� la tesi dell'infondatezza del richiamo, da parte del 
giudice d'appello, all'art. 54 r.d. 25 maggio 1895, contenente il regolamento 
degli appalti di competenza del Ministero dei LL.PP., non applicabile 
agli appalti della FF.SS., oggetto della speciale normativa del capitolato 
del 1909 (terzo motivo). 

In base a queste erronee premesse -continua la ricorrente -la 
Corte d'appello avrebbe illegittimamente negato ingresso ai mezzi istruttori 
proposti dall'impresa per provare nei fatti e avvalorare in sede 
tecnica le richieste di merito (quarto motivo). 

La complessa censura appare infondata e deve essere disattesa. 

(1) Di diverso avviso Cass. 29 settembre 1984, n. 4822, in Foro it., 1984, I, 
2442, nonch� Cass. 22 gennai� 1986, n. 398, in questa Rassegna 1986, I, 66. 
l? 



456 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Dispone l'art. 41, pi� volte citato: �Quando sorgano contestazioni 
fra l'ingegnere dirigente e l'appaltatore, oppure quando questi opponga 
che le prescrizioni dategli sono contrarie ai patti contrattuali, l'ingegnere 
dirigente decide nel pi� bveve termine ed in ogni caso entro venti giorni 
dal ricevimento della domanda dell'appaltatore. Questa deve essere presentata 
non oltre i cinque giorni dal ricevimento degli ordini di servizio 
se si tratta di contestazioni riguardanti '1e prescrizioni date con gli stessi, 
dalla firma dei computi metrici, se le contestazioni riguardano le risul� 
tanze dei computi stessi; ed in ogni altro caso dal giorno in cui _il 
fatto o la circostanza che d� motivo alla domanda si sono verificati� 
(primo comma). 

La domanda deve inoltre essere formulata in modo specifico e de� 
terminato, indicare le ragioni suHe quali � fondata e le cifre di compenso 
a oui l'appaltatore crede di aver diritto e la relativa loro dettagliata 
giustificazione ~secondo comma). 

� Quando l'appaltatore non presenti la domanda entro il termine di 
tempo e nei modi sopra indicati decade dal diritto di far valere in qua� 
lunque tempo le proprie ragioni� (terzo comma). 

Bisogna, quindi, distinguere, secondo il dettato normativo dell'art. 41 

(di natura -com'� pacifico -contrattuale), la �contestazione�, la 
�domanda� che pone la contestazione, e la �circostanza� o il �fatto�, 
nominato o innominato, che d� motivo alla domanda. 

Circostanze o fatti nominati sono, rispettivamente, il ricevimento 
dell'ordine di servizio, se la contestazione riguarda le pvescriizioni date 
con l'ordine stesso, e la firma del computo metrico, se la contestazione 
riguarda le risultanze del computo. 

In questi casi, dal ricevimento dell'ordine o dalla firma del computo 
decorve il termine di decadenza di cinque giorni per inoltrare la doman� 
da che d� luogo alla contestazione. 

In ogni altro caso, riflettente fatti e circostanze innominati, che 
danno motivo alla domanda, il termine decorre dal giorno in cui il 
fatto o la circostanza si sono verificati. 

E poich�, secondo i principi, non potrebbe decorrere il termine di 
decadenza dal mero accadimento ignorato o non adeguatamente apprez� 
zato dal contraente, questa Corte ha elaborato una nozione non mera� 
mente naturalistica del �fatto�, enunciando, con giurisprudenza ormai 
consolidata, la massima secondo la quale la tempestivit� dell'onere della 
riserva � deve essere valutata con riferimento al momento nel quale di� 
venta obiettivamente apprezzabile la rilevanza causale della situazione 
considerata, nella sua idoneit� a rendere pi� gravosa la prestazione del� 
l'appaltatore, salva la possibilit� di quest'ultimo di quantificare, al ter� 
mine dei lavori, la pretesa medesima, in quanto riferibile alla sua 
prestazione complessiva� (Sez. I, 15 dicembre 1982, n. 6911). 

1�t:11l��lllllllll~lllllllllllllllllfllllllll��1111111 



PARIB I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 

Talch� � in presenza di un fatto di natura continuativa, che possa 
determinare maggiori costi e oneri per l'appaltatore che ne pretende, 
poi, l'indennizzo, l'onere della riserva diventa attuale e va adempiuto 
nel momento in cui emerga, secondo una valutazione coerente con i canoni 
della diligenza e della buona fede, la concreta idoneit� di tale fatto 
a produrre aggravi giustificativi di ulteriori compensi o indennizzi�. 
(Sez. I, 15 dicembre 1982, n. 6911, citata). 

Con la riserva -prosegue la sentenza -l'appaltatore oppone la sua 
valutazione in ovdine ad elementi capaci di alterave il sinallagma e richiama, 
in definitiva, l'Amministrazione committente alla sua osservanza, 
pretendendo che gli venga data ragione della diversa valutazione 
degli elementi anzidetti. 

Con puntuale osservanza di questi precetti elaborati dalla giurispruden2:
a di legittimit�, la Corte di appello di Ancona ha rilevato: a) la 
mancanza di qualsiasi riserva contestuale al'1a stipulazione del contratto 
d'appello (16 ottobre 1965), a distanza di diciassette giorni dal verificarsi 
di un avvenimento -la frana, determinante l'ostruzione della strada 
statale -di tali proporzioni da non poter lasciar luogo a dubbi sulle 
negative conseguenze della diminuita agibilit� del cantiere; b) l'assenza, 
nella lettera del 22 novembre 1965, di una precisa manifestazione d'intento, 
volta a conseguire un maggior compenso; e) l'assenza, pure nella 
domanda di proroga_ del 5 gennaio 1966 -di tre mesi posteriore all'interruzione 
della strada -di qualsiasi riserva; d) la tardivit� de1la lett. 
racc. 14 maggio 1966 (l'unica richiamata nella domanda del 6 marzo 1967), 
di otto mesi successiva all'evento e di appena un mese anteriore alla 
riapertura della strada. 

La Corte d'appello ha in tal modo dimostrato, con argomentazione 
ineccepibile e in perfetta aderenza al suddetto indirizzo giurisdizionale, 
che almeno al tempo in cui era stata inoltrata la prima domanda di 
proroga (5 gennaio 1966) l'impresa appaltatrice non poteva non essere 
in grado di valutare, secondo i canoni della diligenza e della buona fede, 
la concreta idoneit� del fatto continuativo -consistente nell'interruzione 
di quell'importante via d'accesso al cantiere -a rendere pi� gravosa 
la propria prestazione. 

Secondo i principi, pertanto, l'onere della riserva diveniva, almeno 
in quel momento, attuale e doveva essere osservato, per la � concreta 
attitudine del fatto a produrre aggravi giustificativi di ulteriori compensi 
e indenniz:z;i �. 

Correttamente, dunque, la Corte d'appello ha ritenuto inammissibile 
la domanda, per decadenza derivante da intempestiva formulazione della 
riserva di maggior compenso. 

Ritiene, inoltre, il Collegio di dover disattendere le eccezioni di nullit� 
della clausola dell'art. 41 per violazione dell'art. 2965 e.e. e per 


458 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'asserita mancata osservanza della presorizione dell'art. 1341 sull'approvazione 
specifica per iscritto della clausola di decadenza. 

1:: inapplicabile, invero, J'art. 2965 e.e. sulla nullit� del patto che renda 
eccessivamente difficile a una delle parti l'esercizio del diritto, in quanto 
nella specie, lo � spatium temporis � di cinque giorni si deve ritenere 
pi� che sufficiente per formulare le oppOTtune riserve, una volta constatata 
l'attitudine della situazione di fatto ad alterare l'equilibrio contrattuale. 


Per quanto riguarda, poi, il richiamo all'art. 1341, e.e. basta ricordare 
che, secondo la giurisprudenza, non sussiste un contratto per adesione, 
soggetto alla specifica approvazione per iscritto, deHe clausole onerose 
previste dall'art. 1341, secondo comma cx:., nell'ipotesi di contratto d'appalto 
stipulato in forma pubblica amministrativa, a seguito di ljcitazione 
privata, svoltasi con la partecipazione dell'aggiudicatario, il quaJ.e abbia 
avuto in tal modo la possibilit� di esaminare e conoscere tutte le clausole 
e condizioni deU'appalto (Sez. I, 13 maggio 1971, n. 1383). 

I 
� 

Sotto ogni aspetto, pertanto, i primi quattro motivi del ricorso 

ili

devono essere disattesi e si rende superflua ogni ulteriore indagine 
sull'applicabilit� di norme diverse da quella, gi� esaminata, dell'art. 41 
del Capitolato del 1909. (omissis) 

fil 

ili 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 dicembre 1988, n. 6729 -Pres. 
Scanzano -Est. Rossi. -P. M. Di Renzo (conf.) -Impresa Bernardi fI 
(avv. De Filippis) c. Ministero beni culturali e ambientali (avv. Stato 
D'Amato). 

I 

Appalto -Appalto opere pubbliche -Revisione prezzo � Interessi sul 

I 

compenso revisionale -Decorrenza. 
(d.lvo C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501, art. 3; legge 9 maggio 1950, n. 329). 


I

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Revisione prezzo � Interessi � 

I ~ 

Misura stabilita con legge 21 dicembre 1974, n. 700 � Applicabilit� � 

Limiti. 

(legge 21 dicembre 1974, n. 700; d.P .R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36). 

Attesa la natura costitutiva dell'atto di riconoscimento della revisione 
del prezzo d'appalto, gli interessi sulle somme a tale titolo dovute 

I

non possono decorrere da un momento anteriore a quello in cui l'inte


resse dell'appaltatore, col predetto riconoscimento, abbia assunto consi� 

I 

stenza di diritto soggettivo. (1) 1 

~ 

i=

i 

(1) Sull'istituto della revisione, in genere, cfr. Cass., S. U., 23 febbraio i f 
1983 n. 1366, in questa Rassegna, 1983, I, 403. Cass., S.U., 5 aprile 1986, n. 2368, f 
f 
citata in motivazione, � pubblicata in questa Rassegna, 1986, I, 303. 1 
~ 

Il 

. . I

��,.,��, ... ,.,,���,....,,. 
i 
'f 


PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 

Agli effetti della applicazione della misura degli interessi prevista, 
in ipotesi di ritardo nella corresponsione di compensi revisionali, dalla 
legge 21 dicembre 1974, n. 700, rileva soltanto la parte dei lavori non 
ancora materialmente eseguiti alla data di entrata in vigore della legge 
stessa. 

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazJione ed erronea 
applicazione dell'art. 1 della legge n. 329 del 9 maggio 1950 di conversione 
e modifica del D.L.C.P.S. n. 1501 del 6 dicembre 1947 (art. 3, 
comma IV), censura la sentenza impugnata per non aver riconosciuto 
il suo diritto agli interessi legali (5 %) sUilla somma revisione liquidata, 
con decorrenza da un anno dopo l'approvazione degli atti di collaudo, 
cos� come dispone il comma quarto del citato art. 3. 

La Corte bolognese, continua il ricorrente, ha erroneamente ritenuto 
di rigettare tale richiesta sul riflesso che versandosi in situazioni giuridiche 
rette dall'interesse legittimo, l'obbligazione revisione nascerebbe 
soltanto dall'esercizio da parte della P.A. del potere discrezionale di natura 
costitutiva; e ci�, senza considerare, come invece avrebbe dovuto, 
che con il ripetuto art. 3, comma IV, il legislatore ha stabilito sull'importo 
dovuto per la revisione dei prezzi la corresponsione degli interessi legali 
a decorrere da un anno dall'approvazione degli atti di collaudo, collegando 
tali interessi ad un termine prestabilito indipendentemente dal 
provvedimento revisionale. 

Il motivo � infondato. 

La soluzione data dalla Corte bolognese alla questione � infatti conforme 
a consolidato orientamento giurisdizionale di questa Corte di 
Cassazione (cfr. sent. Sez. Un. 2368/1986 ed anche sent. 4099/87). 

Secondo il quale, in tema di revisione del prezzo di appalto di 
oo.pp., la posizione dell'appaltatore, che ha natura di interesse legittimo 
nella fase in cui l'amministrazione � chiamata a stabi1ire se tale revisione 
possa essere o meno accordata, vertendosi in materia di determinazione 
discrezionale correlata a preminenti interessi pubblicistici, assume 
consistenza di diritto soggettivo solo dopo che l'amministrazione 
medesima abbia positivamente eseocitato detto potere discrezionale, 
accordando esplicitamente o implicitamente la revisione, e, pertanto, � 
tutelabile davanti al giudice ordinario, al pari di qualsiasi altra ragione 
creditoria, anche per quanto riguarda la responsaMlit� della debitrice 
per interessi ed eventuale maggior danno a norma dell'art. 1224, comma 
2� e.e., a partire dalla data della insorgenza della obbligazione, cio� 
da quella del suddetto riconoscimento della revisione stessa. 

Esattamente muovendo da tafo presupposto, la Corte bolognese, 

dopo aver evidenziato la natura costitutiva e non dichiarativa di quel 

riconoscimento alla revisione, ha quindi rifiutato l'interpretazione data 


460 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dall'appaltatore alla modifica al decreto legislativo 6 dicembre 1947 

n. 1501 apportata dall'art. I della legge n. 329 del 9 maggio 1950, che 
testualmente recita: � Dopo un anno dalla approvazione degli atti di 
coHaudo decorreranno gli interessi legali a favove dell'impresa sull'im-. 
pocto dovuto per la revisione dei prezzi �, 
t!. infatti evidente -ha argomentato quella Corte -che pu� parlarsi 
di importo dovuto per revisione dei prezzi, solo in quanto sia stato 
emesso l'atto amministrativo che, riconoscendolo, ha dato vita al relativo 
diritto di credito. 

Sicch� il dies a quo della decorrenza degli interessi di cui tratta la 
norma in esame, va inteso come posto a favore della P.A., nel senso 
che, anche nel caso in cui esista il diritto al compenso revisionale, esso 
non � fruttifero se non dopo l'approvazione degli atti di collaudo e 
mai prima. 

Perci� deve escludersi che, una volta riconosciuto il diritto alla 
revisione, il relativo credito frutti interessi dal precedente momento del I 
collaudo, perch� ci� significherebbe negare la natura costitutiva dell'atto 
di riconoscimento e conferire ad esso mera natura dichiarativa, in 
contrasto con la ribadita natura di interesse legittimo di cui l'appaltatore 

l

� portatore prima del riconoscimento discrezionale da parte dell'amministrazione. 
La pronunzia si sottrae a censura in quanto l'art. 3 del D.L.C.P.S. 

l

12501/1947, come modificato con la legge 329/1950) opera nel senso che 
il diritto al compenso revisionale, qualora gi� sorto in forza del riconoscimento 
della �P.A., diviene fruttifero solo con il decorso di un anno 
dall'approvazione degli atti di coliaudo. 

I 

La norma in esame apporta cio� una deroga solo alla regola che 

I

vuole, per la produttivit� degli interessi, la liquidit� ed esigibilit� del 
credito; che deve per� essere certo nella sua esistenza: quale non � 

I 

prima del riconoscimento da parte della P.A. di un credito dell'appalf. 


I i

tatore per compenso revisionale. 
Addirittura ovvia � al fine la non configurabilit� di interessi legali 
decovrenti da un momento anteriore al sorgere del credito. 

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che la Corte bolognese 
abbia ritenuto inapplicabile la legge 21 dicembre 1974 n. 700, limitandone 
restrittivamente l'applicabilit� alla parte dei lavori eseguita dopo la sua 

I 
entrata in vigore; e si duole inoltre che quella Corte non abbia utilizzato 
il � sistema moratorio � della legge stessa atl.meno come strumento di 

I

valutazione del danno da risarcire ex art. 1226 cod. civ. anche d'ufficio. 
Anche tale motivo va Tespinto. 1 
La Corte del merito ha innanzitutto osservato che la legge n. 700 del l 

I

1974 non ha in nulla immutato il regime di cui alla legge n. 329 I 

del 1950, se non quanto aH'ammontare degli interessi che oggi sono 

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1,_,. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 

quelli di cui agli artt. 35 e 36 del Capitolato Generale d'Appalto e non 
quelli di cui all'art. 1224 e.e. 

Non solo, ma quella Corte ha immediatamente dopo affermato la 
inapplicabilit� di detta legge al caso in esame, rilevando che la legge 
stessa prevede l'applicabilit� del nuovo trattamento a quella parte dei 
lavori eseguita dopo la sua entrata in vigore, nulla rilevando che non 
fosse ancora compiutamente eseguito il contratto per il fatto che non 
si era ancora proceduto al collaudo: in quanto non l'esecuzione del 
contratto va presa in considerazione, ma la concreta esecuzione dei 
lavori, al fine di stabilire se furono materialmente effettuati prima o 
dopo l'entrata in vigore della nuova nol1Illativa. 

Della esattezza di siffatta interpretazione non pu� minimamente 
dubitarsi, atteso l'inequivoco tenore letterale del comma 3� del suo 
articolo unico, che detta: �Le norme di cui ai precedenti commi (che 
prevedono il diritto agli interessi di cui al Capitolato Generale) si applicano 
anche ai contratti in corso di esecuzione, limitatamente alla parte 
di, lavori eseguita dopo l'entrata in vigore della presente legge �. 

Correttamente pertanto la Corte bolognese ha escluso che il trattamento 
previsto dalla norma possa essere esteso alle opere gi� compiute 
prima della sua entrata in vigore, come preteso dal ricorrente. 

Quanto alla ulteriore deduzione mossa dal ricorrente con lo stesso 
secondo motivo -secondo la quale la Corte del merito avrebbe dovuto 
utilizzare anche d'ufficio il sistema moratorio della legge stessa ai 
fini di una valutazione equitativa del risarcimento del danno -�ne va 
rilevata la inammissibilit�: intanto, come questione del tutto nuova, 
che il ricorrente ha proposto senza neanche dire che essa abbia formato 
oggetto di deduzione e di dibattito tra le parti nella pregressa 
fase dei giudizio (senza essere presa in consideratlone dalla Corte 
d'appello) ed anche attinente a profilo di valutazione equitativa del 
danno da inadempimento contrattuale che esula del tutto dall'ambito 
della controversia (in relazione al quale la Corte del merito ha comunque 
escluso ogni ritardo colpevole della P.A.). (omissis) 


SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 


TRIBUNALE DI BOLOGNA, I Sez. Penale, 29 novembre 1988 -Pres. Iuzzolino 
-Rel. Avolio -Imp. Maoauda. 

Responsabilit� civile -Amministrazione pubblica -Reato doloso del 
dipendente -Interruzione del rapporto organico . Conseguenze. 

Lo Stato pu� essere chiamato a rispondere per la condotta dei dipen� 
denti quando la stessa sia stata posta in essere nel raggiungimento di 
un fine proprio dell'Amministrazione di appartenenza, oltre che a causa 
e nell'esercizio delle funzioni di cui � titolare l'agente, mai nell'ipotesi 
in cui l'attivit� del soggetto concreti gli estremi del reato doloso (1). 

(1) Il princ1p10 � stato affermato dal Tribunale in procedimento penale 
nel quale le Amministrazioni della Difesa, degli Interni e di Grazia e Giustizia 
erano state citate in qualit� di responsabili civili per i reati commessi dal� 
l'imputato consistenti in falso ideologico in verbale di polizia giudiziaria (arti� 
colo 479 c.p.) e in reiterati fatti cli calunnia materiale (art. 368 c.p.) posti in 
essere nel corso di perquisizioni effettuate a' sensi dell'art. 41 T.P.P.S.. 
Alla falsa incolpazione, attuata mediante il simulato rinvenimento di 
eroina, proiettili, agende falsificate volte a dimostrare collegamenti con am� 
bienti mafiosi in realt� insussistenti, era seguita l'ingiusta detenzione dei soggetti 
incolpati ed un sensibile ritardo nelle indagini relative a duplice omicidio 
di appartenenti all'Arma dei Carabinieri. 

L'abuso delle funzioni -contestato come aggravante a' sensi dell'art. 61 

n. 9 c.p. -appariva, nella specie, di chiara evidenza, sia con riferimento al 
mezzo utilizzato (perquisizione ex art. 41 T.U.P.S.) sia avuto riguardo alla 
utilizzazione, da parte dell'imputato, del patrimonio conoscitivo dell'Arma dei 
Carabinieri per costruire le false incolpazioni. 
L'intera trama delittuosa si inseriva nel corso delle indagini volte ad 
identificare gli autori del duplice omicidio, ed aveva la finalit� di definitiva� 
mente accreditare agli occhi degli inquirenti falsa informativa asseritamente 
proveniente da fonte confidenziale ma in realt� creata artificiosamente dal� 
l'imputato. 

Dagli atti del processo, infine, emergevano anche le finalit� dei comportamenti 
deiittuosi; in drammatico interrogatorio l'imputato infatti dichiarava 
di aver agito in odio dell'Arma al solo fine di accaparrarsi il premio stabilito 
per i confidenti prima di congedarsi. 

Il decisum del Tribunale appare conforme ad indirizzi giurisprudenziali 
consolidati che possono qui riassumersi attraverso la massima di recente deci� 
sione della S. C. (Cass. IV, 21 maggio 1985 Adorno in Cass. pen. 1986, 1107) 
secondo la quale � la Pubblica Amministrazione risponde direttamente dei 
fatti illeciti commessi dai suoi impiegati o dipendenti (che costituiscono il 
mezzo attraverso cui la P.A. spiega la propria attivit�) sempre che i fatti stessi 



PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 463 

(omissis) -Per quanto concerne la citazione del �responsabile civile 
ritiene il Collegio che problema principale ed assorbente sia quello 
riguardante la legittimazione passiva delilo Stato rispetto alla richiesta 
di risai:-cimento danni prodotti dal reato doloso commesso da un pubblico 
dipendente. A tale problema il Collegio ritiene di dover dare 
risposta negativa in quanto, secondo l'insegnamento assolutamente pre


siano commessi in atti diretti ad attuare i. fini istituzionali dell'Amministrazione 
stessa; ove tali atti tuttavia non abbiano pi� per oggetto o non siano pi� 
diretti a realizzare i fini dell'ente, bens� fini propri ed esclusivi dell'impiegato 

o del dipendente che nulla hanno a che fare con quelli dell'ente o siano 
ad essi contrari, non vi � pi� per gli stessi e limitatamente ad essi, la rappre.
sentanza organica perch� � venuto a cessare il presupposto, la natura ed il fine 
p'r:1bblico degli atti compiuti dal dipendente che ha agito esclusivamente per 
fini privati >>. � 
L'ipotesi del reato doloso come causa di interruzione del rapporto organico 
tra P.A. e dipendente � presa in esame anche da Cass. civ. 28 gennaio 1985 

n. 485 (pubblicata per esteso e con nota adesiva in Resp. civ. e prev. 1986, 73 ss.) 
secondo la quale �il reato commesso da un dipendente della P.A. per scopi 
egoistici privati interrompe il rapporto organico e la possibilit� di riferire la 
sua attivit� illecita alla P.A. stante l'assoluta incompatibilit� tra il fine persom~
le dell'autore dell'appropriazione (nella specie si trattava di reato di peculato) 
e quelli istituzionali dell'Amministrazione>>. 
Entrambe le decisioni appaiono conformi al generale principio affermato 
nella subiecta materia secondo il quale � perch� sussista la responsabilit� della 
Pubblica Amministrazione per fatti illeciti dei suoi dipendenti, devono concorrere 
due elem�nti: il nesso di causalit� obiettiva tra il comportamento del 
dipendente e l'evento dannoso, nonch� la riferibilit� all'Amministrazione del 
fatto del dipendente autore del comportamento. 

�L'attivit� del dipendente pu� essere riferita all'ente pubblico e costituisce 
fonte di responsabilit� diretta, in quanto sia e si manifesti come esplicazione 
dell'attivit� dell'ente stesso, cio� sia diretta al conseguimento dei suoi fini 
istituzionali nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio al quale il 
dipendente � addetto; si verifica, viceversa, una frattura del rapporto organico, 
con esclusione della responsabilit� della Pubblica Amministrazione, allorquando 
il funzionario agisca come semplice privato per una finalit� strettamente personale, 
configurandosi in tal caso l'attivit� da lui posta �in essere come del 
tutto estranea all'amministrazione e priva di ogni collegamento con i poteri 
propri dell'agente� (Cass. III, 17 dicembre 1986 n. 7631. Massima ufficiale 
parzialmente divergente nell'articolazione letterale da quella pubblicata in 
Giust. civ. Mass. 1986, p. 2187). 

Numerosi, invece, sono i casi nei quali la giurisprudenza ha affermato la 
responsabilit� risarcitoria dell'Amministrazione per illecito colposo del dipendente 
ritenendo 'Sussistente, nelle ipotesi decise, un collegamento sia pure anomalo 
tra l'abuso di funzioni e la realizzazione dei fini istituzionali dell'ente di 
appartenenza (v. tra :le moltissime Trib. S. Maria Capua Vetere 9 maggio 1978, 
Ragazzino e altro in Foro it. 1981, Il, 170 che ha affermato la responsabilit� 
risarcitoria del Ministero di Grazia e Giustizia per i danni provocati agli internati 
in caso di omessa vigilanza e sorveglianza del direttore e degli agenti di 
custodia; Cass. IV, 19 dicembre 1979 Rocco e altro in Foro it. 1981, Il, 145 che ha 
ritenuto la responsabilit� diretta del Ministero di Grazia e Giustizia per ille




. .. . I 

464 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

valente della S.C., lo Stato pu� essere chiamato a rispondere per la 

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condotta dei suoi dipendenti quando la stessa sia stata posta in essere ~:: 
nel raggiungimento di un fine proprio dell'Amministrazione di apparten.
enza, oltre che 1a 'causa e nell'esercizio delle funzioni di cui � titolare 
l'agente; mai nell'ipotesi in cui ['attivit� del soggetto concreti gli estremi 
di un reato doloso, per definizione commesso con viola:ztlone dei doveri 
e con abuso dei poteri inerenti ad una pubbblica funzione, sia perch� 
in tale caso non � dato parlare neppure in astratto di un raggiungimento 
dei fini propri della Pubblica Amministrazione, 1sia perch� quest'ultima 

I 

cito imputabile a medico incaricato del carcere; Cass. Sez. IV, 11 dicembre 
1980, Rossi in Giur. it. 1982, Il, 225 che ha affermato sussistere la responsabilit� 
del Ministero della Difesa per lesioni colpose cagionate da un carabiniere 
ausiliario che, scaricando la pistola d'ordinanza, accidentalmente faceva partire 
un colpo che attingeva un commilitone in violazione delle disposizioni che 
facevano divieto di tenere l'arma carica in caserma; Cass. IV, 14 aprile 1981 
Di Palo, in Cass. pen. 1983, 312 la quale ha affermato la responsabilit� risarcitoria 
del Ministero della Difesa per lesioni colpose provocate a commilitone da 
militare addetto a servizio di guardia armata; Cass. Ili, 18 giugno 1983 n. 4195, 

F. S. c. Giovannelli in Arch. giur. circol. sinistri 1983, 740 che ha affermato la 
responsabilit� dell'Azienda Ferroviaria per i danni verificatisi a seguito dell'investimento 
di un veicolo da parte di un treno ad un passaggio a livello custodito 
negando rilevanza alla circostanza che il casellante aveva aperto il passaggio a 
livello al di fuori dell'orario di servizio e su richiesta di terzi; Cass. III, 22 ottobre 
1984 n. 5333 Tartagli c. Ministero Difesa in Giust. civ. Mass. 1984, 1742 che, 
in ipotesi di incidente stradale ha escluso la responsabilit� risarcitoria dell'Am� 
ministrazione mancando un collegamento immediato e diretto del viaggio (posto 
in essere dal dipendente) con incombenze e compiti istituzionali (nella specie si 
trattava di mero rientro in citt�, all'approssimarsi della scadenza delle ferie 
con libera scelta del giorno, del mezzo e del percorso); Trib. Messina 6 giugno 
1984, D'Amma e altro c. Ministero Interno in Giust. merito 1985, 320 che ha 
affermato la responsabilit� del Ministero dell'Interno nel caso di eccesso colposo 
nell'uso legittimo delle Armi da parte di appartenenti a corpi di Polizia; 
Cass. IV, 14 giugno 1984, Cipriani in Giust. pen. 1986 Il, 396 ss. relativa ad 
ipotesi di lesioni colpose gravi cagionate a terzi durante un servizio di vigilanza 
armata; Cass. III 5 settembre 1985 n. 4620 �Coni c. Blasevich in Giur. it. 
1986, I, 863 ss. con nota di riferimenti). 
Al concetto di occasionalit� necessaria, peraltro, fa anche esclusivo riferimento 
altra pronunzia della S. C. (Cass. I, 2 settembre 1982 Leanza in Cass. 
pen. 1984, 912 ss.) affermando il principio; esposto nella massima ufficiale, 
secondo il quale neppure il dolo del dipendente costituirebbe causa di interruzione 
del rapporto organico. 

L'interpretazione, peraltro, non pu� essere condivisa proprio alla luce dei 
principi costantemente affermati dalla giurisprudenza; il mero abuso di poteri 
e funzioni da parte del dipendente non appare infatti sufficiente ad integrare la 
riferibilit� del comportamento delittuoso alla P.A. dovendosi anche accertare 
se l'illecito costituisca lo strumento, sia pure anomalo, per la realizzazione 
delle finalit� istituzionali dell'ente pubblico. 

FRANCESCO MENARINI 


PARTB I, SBZ, VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

potrebbe addirittura avere subito un danno conseguente alla rottura 
del rapporto di immedesimazione orgamca. 

L'assunto� ha certamente maggior valore nell'ipotesi in cui, come nel 
caso di specie, l'attivit� del dipendente risulta essere stata caratterizzata, 
almeno allo stato degli atti, dalla volont� di raggiungere finalit� personali 
e soggettive, in assoluto contrasto con i fini istituzionali dell'Amministrazione 
di appartenenza, alla quale incombe il compito di individuare 
i veri responsabili di azioni delittuose. L'appartenenza all'arma dei CC. 
risulta pertanto essere stata unicamente una condizione soggettiva dolosamente 
sfruttata, da considerarsi �ircostanza di collegamento meramente 
occasionale, idonea ad agevdlare la condotta delittuosa, ma non 
ad attribuirne la responsabilit� alla Pubblica Amministrazione. 

N� per giustificare una diversa conclusione potrebbe farsi riferimento 
all'addebito eventualmente ascrivibile alla P. A. di mancato controllo, 
addebito che farebbe sorgere una responsabilit� a titolo diverso, 
incapace di proporsi come proiezione di un danno immediato e diretto 
conseguente a11a commissione dell'illecito penale del dipendente. 

Queste le conclusioni alle quali iJl Tribunale � tenuto a pervenire 
� de iure condito �. 

La soluzione del problema rende superflua ogni determinazione sulle 
altre eccezioni dell'Avvocatura dello Stato, comportando di rper s� la 
estromissione dei responsabili civili. 


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PARTE SECONDA 



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QUESTIONI 


IL � DIRITTO CIVILE E POLITICO � DEL CITTADINO 
NELLA COGNIZIONE DELL'AUTORIT� GIUDIZIARIA ORDINARIA: 
IPOTESI DI GENESI STORICA DELL'INTERESSE LEGITTIMO 


Il presente articolo � tratto da una relazione presentata al Settimo 
Convegno di Studi giuridici organizzato dalla Sezione Toscana del CISA, 
intitolato �Contributi per la storia dell'interesse legittimo (Legge 31 marza 
1889, n. 5992) � e tenutosi a Firenze in date 2-3 dicembre 1988. 



SOMMARIO 

1. -PREMESSA: L'interesse legittimo. Ipotesi di genesi storica. 
2. -LA LEGGE ABOLITRICE DEL CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO. 
3. -I RELATIVI LAVORI PREPARATORI. 
4. 
-L'INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE: a) i diritti civili e politici; b) la 
disapplicazione; e) il criterio di riparto delle competenze. 
5. -CONFRONTO CON L'ESPERIENZA BELGA. 
6. -IPOTESI EZIOLOGICHE. 
7. -L'AWOCATURA ERARIALE. 
8. -LA RIFORMA CRISPI E L'INTERESSE LEGITTIMO. Storia di una genesi ed 
attualit� di una crisi. Auspicio di superamento. 

1. -Premessa: l'interesse legittimo. Ipotesi di genesi storica. 
L'interesse legittimo, da sempre singolare protagonista del nostro 
diritto amministrativo, � oggi al centro di una rinnovata attenzione ed 
� stato detto in proposito che se � prematuro parlare di morte del diritto 
amministrativo non � per� prematuro formulare una prognosi infausta 
a breve scadenza per l'interesse legittimo. 

La sua affollata � rivisitazione � cui oggi stiamo assistendo, assomiglia 
quindi molto all'affannarsi di medici al capezzale di un morente 
nella speranza che almeno in punto di morte ,si arrivi a cogliere la 
misteriosa essenza della �informe creatura� (1) malata. 

Una � informe creatura � che, a parte questa non certo lus[nghiera 
qualificazione, ha meritato, nei quasi cento anni della sua storia, anche 
quelle di � inesistente quiddit� � (2), �criterio inafferrabile ed dmponderabile 
� (3), � dil'itto soggettivo sottosviluppato� (4), �fantasma� (5), 
�oggetto misterioso� (6), �esclusiva e poco invidiabile peculiarit� del 
nostro sistema� (7), �figura mitologica che non si pu� n� comprendere 
n� discutere � (8), � pseudo-concetto di misteriosofia giuridica � (9), � allu� 
cinazione � (10), per non citarne che alcune in ordine cronologico. 

Sembra ormai ooncordemente accettata, in ogni caso, l'affermazione 
che � nelle radici storiche degli istituti che vanno individuate le ragioni 
de1la ,singolarit� del nostro sistema e deH'attuale crisi del processo amministrativo. 
Effettivamente soltanto la storia pu� spiegare come, fra 
tante decine di Paesi a regime amministrativo, con un giudice amministrativo 
distinto dal giudice ordinario, solo il nostro abbia elaborato la 
singolarissima categoria dell'interesse legittimo, situazione soggettiva sostanziale 
ancipite fra diritto ed. interesse, le cui intime contraddizioni 
si sono andate facendo sempre pi� evidenti nel nuovo corso del giudizio 
amministrativo introdotto dalla istituzione dei Tribunali regionali. 

La profonda evoluzione subita dal giudizio ammini:strativo negli 

ultimi tre lustri, non poteva, d'altronde lasciare intoccato il suo oggetto, 

attesa, in generale, la necessaria interrelazione che sempre esiste fra 

(1) G. BERTI, Amministrazione a�tonoma e giustizia amministrativa nella 
legislatura unificatrice del 1865: il contributo del deputato Francesco Borgatti, 
in L'unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, a cura di F. Benvenuti e 
G. Miglio, Milano, 1969, 418. 
(2) G. D. TIEPOLO, La giustizia amministrativa e il discentramento, in Giustizia 
amministrativa, III, 1892, 103. 
(3) V. E. ORLANDO, Contenzioso Amministrativo, in Il Digesto Italiano, voi. 
VIII; prt. 2a, Torino, 1895-98, 988. 
(4) M. S. GIANNINI -A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa, in Enciclopedia 
del diritto, XIX, 281. 
(5) E. FAZZALARI, Il futuro del processo amministrativo visto da un processualcivilista, 
Foro amm., 1985, II, 349. 
(6) E. FAZZALARI, op. loc. cit. 
(7) F. LoNGO, proposta per una riforma del supremo organo regolatore del 
riparto delle giurisdizioni e delle questioni di attribuzione giurisdizionale, in 
Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, III, 1368. 
(8) M. NIGRO, Ma che cos'� questo interesse legittimo? Illlterrogativi vecchi 
e nuovi spunti di riflessione, in Foro it., 1987, V, 470. 
(9) R. CARBONI, Gli aiuti comunitari fra diritto soggettivo e interesse legittimo, 
in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1985, 137. 
(10) F. SCOCA, Relazione alla Tavola Rotonda �Ma cos'� questo interesse 
legittimo? '" Foro Amm. 1988, 331. 

88 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
diritto sostantivo e divitto processuale; considerata, in particolare, la 
singolare vicenda, di tipo simbiotico, che lega storicamente in Italia la 
categoria giuridica dell'interesse legittimo al g1udizio dinanzi al giudice 
amministrativo (11). 
La prima affermazione � ovvia: ogni tipo di giudizio � congruente 
con le rispettive materie giudicabili e non con altre, tanto che la stessa 
� verit� processuale � � un concetto relativo, correlato alla ,regola di 
giudizio applicabile in un certo tipo di processo (12). 
La seconda poggia sulle vicende storiche ben note (ma mai abbastanza 
ricordate) che condussero a quella singolarissima -e per tanti 
versi ambigua -costruzione del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato 
italiano, nato nell'amministrazione ed evoluto nella giurisdizione per 
giudicare di un interesse legittimo considerato come situaziione �Sostan-
ziale fino alle soglie del giudizio, al cui accesso legittimava, per perdere 
poi in esso tale connotato, in quanto la natura cassatoria della pronuncia 
non riconosceva o disconosceva alcun bene della vita, limitandosi ad 
annullare -o non annullare -un atto amministrativo. 
Quello che � certo, comunque, � che la categoria giuridica dell'interesse 
legittimo, con tutte le sue contraddizioni gi� in embrione, nasce 
dalla insoddisfacente tutela offerta agli amministrati dalla legge del 
1865 -o meglio dalla interpretazione che ne fu data -e dal tipo di 
rimedio offerto, un quarto di secolo dopo, dalla riforma Crispi. 
2. -La legge abolitrice del contenzioso amministrativo 
Passando all'esame della legge abolitrice del contenzioso amministrativo, 
giover� osservare subito come anche la legge 20 marzo 1865, n. 2248, 
allegato E, che, come � noto, abol� i Tribunali ordinari del contenzioso � 
amministrativo, devolvendo alla giurisdizione ordinaria . . . � tutte le materie 
nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque 
vi possa essere interessata la pubblica amministrazione e ancorch� 
siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorit� amministrativa 
� non sfugga al bizzarro destino che � proprio di tante leggi 
in materia amministrativa: quello di provocare effetti paradossalmente 
opposti ai fini avuti di mira dal legislatore. 

Il primo e pi� vistoso esempio di tale anomalia � addirittura quello 
delle leggi francesi, a cavallo fra '700 e '800, che costituirono la matrice 
prima del diritto amministrativo. Un diritto il cui nascere fu valutato 
da Alexis de Tocqueville (13) come espressione di dispotismo ed ebbe la 
funzione, secondo gli studiosi pi� accreditati, di fornire a:lla borghesia 
emergente nuovi manici per meglio maneggiare antiche mannaie (14). 
Fatto si � per�, che da quelle leggi, che costruivano una � amministrazione 
senza giudice � seppe evolversi un sistema di giustizia amministrativa 
capace di fornire cospicue garanzie agli amministrati. 

(11) I. F. CARAMAZZA, La riforma del processo amministrativo, in Atti della 
Tavola Rotonda 19 aprile 1980, in Riv. Amm. 1980. 
(12) I. F. CARAMAZZA -M. L. GUIDA, La prova nel processo amministrativo, 
in Rass. Avv. Stato, 1985, II, 87. 
(13) A. de TOCQUEVILLE, Scritti politici, a cura di N. Matteucci, Torino 1%9, 
I, 234 ss. 
(14) M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, voce della Enciclopedia del 
Diritto, XII 855. 

PARTE II, QUESTIONI 89 

Il contrario sembra essere avvenuto per la legge italiana abolitrice 
del contenzioso amministrativo, riforma di schietto stampo liberale e 
� progressivo � e che segn� per�, nei fatti, una perdita di tutela da parte 
degli amministrati �rispetto al previgente �sistema del contenzioso (15). 
Sul punto, � noto, non tutte le opinioni concordano. Sembra, per� -e 
torneremo sul punto poco pi� avanti -che cos� la ratio ispiratrice, 
come la voluntas legislatoris come la stessa lettera della legge avrebbero 
postulato una stia interpretazione in termini ben pi� liberali di quanto 
non sia accaduto nella realt�. 

I Tribunali del contenzioso esistenti negli Stati italiani preunitari 
erano stati tutti ispirati al sistema francese introdotto nel periodo napoleonico 
(e non � certo un caso �che i vari sovrani assoluti restaurati 
trovassero comodo adottare il nuovo strumento, bench� figlio de1la Rivoluzione 
del 1789). 

Il sistema piemontese -che pi� da vicino riguarda il nostro problema 
-dopo l'ultima riforma del 1859, prevedeva l'affidamento ad un 
plesso di giudici ordinari. del contenzioso (Consigli di Governo in primo 
grado e Consiglio di Stato in appello) del compito di conoscere di tutte 
le controversie fra cittadini e Stato, che non fossero di puro diritto 
privato, restando invece queste ultime riservate al giudice ordinario. 

L'attribuzione di competenza non era per clausola generale, ma per 
enumerazione di materie in ordine alle quali la giurisprudenza ammetteva 
una modesta estensione analogica, purch� per� sempre si restasse in 
tema di amministrazione �contenziosa� (o �regolata�, o � libellata �) 
a fronte della quale si poneva un diritto dell'amministrato. Nessuna 
tutela che non fosse quella da cercare presso gli stessi organi di amministrazione 
attiva era invece offerta, in via di principio, contro gli atti 
di amministrazione � pura � o � discrezionale � o � graziosa �, che potevano 
ledere semplici interessi. 

Nel regolare il rapporto sottoposto al loro esame, i Tribunali del 
contenzioso non avevano alcun potere sull'atto amministrativo, che non 
poteva essere n� sospeso, n� annullato, n� revocato. 

I Tribunali del contenzioso si presentavano quindi come un foro 
d'eccezione (o di privilegio) qualificato dalla natura, pubblica invece che 
privata, di una delle parti e della normativa regolatrice del rapporto e 
caratterizzato dal suo inserimento nel plesso dell'esecutivo e dalla carenza 
�di quelle (pur imperfette) garanzie di indipendenza di cui godeva 
il giudice ordinario. 

In tale situazione non sorprende che essi venissero considerati 
espressione di dispotismo amministrativo da 1sopprimere come tutti gli 
altri fori speciali del passato. 

La spinta abolizionista -connaturata con l'ideologia liberale e caratterizzante 
infatti le rivoluzioni di met� secolo -precede d'altronde, e 
non di poco, l'unificazione. Gi� il progetto Galvagno del 2 dicembre 1850 
(forse sotto l'influenza della costituzione di Francoforte del 1849) prevedeva 
tout court il passaggio al giudice ordinario di tutte le competenze 
del sopprimendo giudice del contenzioso amministrativo. 

(15) S. SPAVENTA, La giustizia nell'amministrazione, in Codice della giustizia 
amministrativa (per cura dell'avv. Ranieri Porrini), Firenze, 1900, 29. 

90 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Sulla stessa linea il testo del Progetto Minghetti del 1862 che, all'articolo 
2 (relazione Panattoni) (16), prevedeva: �appartengono ... alla 
giurisdizione ordinaria tutte le questioni che fin qui erano conosciute e 
decise dai Consigli e Tribunali del contenzioso amministrativo �. 

L'approfondimento del problema port� presto per� ad emersione 
la constatazione del fatto che nell'esercizio delle proprie competenze 
� per materia � i Tribunali del contenzioso conoscevano talvolta, per 
necessaria connessione connaturata a particolari settori dell'amministrazione, 
anche di atti discrezionali (di amministrazione cio� �pura�, 
secondo la terminologia del tempo) e quindi tutelavano in tali casi 
interessi semplici oltre che diritti (17). 

Da tale constatazione furono tratte due conseguenze: la prima si 
risolveva in una ulteriore ragione di soppressione dei Tribunali del 
contenzioso che o giudicavano di diritti -e prevaricavano allora sulla 
naturale competenza del giudice ordinario -o giudicavano di interessi 
ed invadevano allora la sfera riservata all'amministrazione attiva (18). 

La seconda fu che, per rispetto al principio della divisione dei poteri, 
solo la materia dei diritti doveva essere devoluta al giudice ordinario. 

Si arriva cos� alla formula dei � diritti civili e politici � del disegno 
che doveva diventare quella della legge abo'litrice, accompagnata dal 
divieto di revoca e modifica degli atti amminist-rativi (ferma la cognizione 
degli effetti dell'atto in relazione all'oggetto dedotto in giudizio) e 
dal divieto di applicare atti e regolamenti se non conformi alle leggi. 
Legge_ ispirata, come � noto, ai principi contenuti nella Costituzione 
belga del 1831. 

Sono ben conosciute le tante diverse opinioni in proposito. Da quella 
dei propugnatori della legge, Mancini per primo, che videro in essa 
il successo di un principio di libert� sul dispotismo amministrativo, a 
quella dei suoi oppositori contemporanei (Crispi, Rattazzi e Cordova, per 
tutti) che vi ravvisarono una operazione peggio che gattopardesca, in 
quanto volta non a conservare intatta ma addirittura a ridurre l'area 
delle garanzie del cittadino sotto le mentite spoglie di un apparente suo 
ampliamento (�sotto colore di progredire si fa un regresso,�) (19). Dalla . 
storiografia classica, che vi ravvisa una riforma liberale tradita dai suoi 
interpreti ad alcuni recenti ripensamenti che vedono nella riforma del 
1865 una scelta di campo in favore dell'amministrazione e delle sue prerogative; 
scelta di campo effettuata addirittura scontando, con machiavellica 
preveggenza, le timidezze, i timori e le connivenze della magi


.stratura e quindi la giurisprudenza che si sarebbe formata (20). � 
La nostra opinione, che cercheremo di illustrare adesso, � che sia da 
condividere l'ipotesi de11a riforma liberale tradita dai suoi interpreti. 

(16) Rel. 8 aprile 1862, Atti parlamentari Camera dei Deputati, Sessione 
1861-1862, I Ed., 1080. 
(17) M. MINGHE'ITI, Rel. al Progetto omonimo, Atti ult. cit., Doc. n. 46, 
2a ristampa, 79 ss.; M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, 76. 
(18) Per tutti, P. S. MANCINI, Discorso 9 giugno 1864, Atti parlamentari 
Camera dei Deputati, I ed., Voi. dal 20 marzo al 29 giugno 1864, 5157. 
(19) F. CRISPI, ivi, 2900-2901. . 
(20) S. SAMBATARO, L'abolizione del contenzioso nel sistema di giustizia 
amministrativa, Milano 1977, 64. 

PARm II, QUESTIONI 91 

3. -I relativi lavori preparatori 
Suole comunemente dirsi che il legislatore del tempo non avesse� 
le idee chiare sul significato della locuzione � diritti civili e politici � sulla 
scorta dell'autorit� del Cammeo, che parla appunto di � intenzioni non 
chiaramente spiegate� (21). L'affermazione del chiaro autore va per� 
intesa, a noi pare, solo con riferimento a qualche ambiguit� lessicale 
ed in particolare ad una certa tendenza di alcuni parlamentari a qualificare 
gli interessi come �diritti minori� (22). 

Il difetto di chiarimento attiene quin.di solo ad un problema terminologico: 
chiarissima � invece la �voluntas legislatoris � nel senso di 
intendere la . locuzione nella sua massima estensione possibile. 

Cos� ad esempio il Mancini, parlando dei diritti politici, li definisce 
come quelli � che al cittadino sono assicurati dalla costituzione di un 
paese libero; la libert� individuale, la libert� di coscienza, la libert� di 
stampa, la libera associazione, il diritto della nazione di concorrere al 
voto delle imposte � (23), precisando anche come fossero comprensivi 
� di tutti i rapporti giuridici che si possono concepire in qualunque guisa 
esistenti fra i privati e la pubblica amministrazione� (24). 

I membri della Commissione della Camera investita del Progetto, in 
particolare, erano tutti convinti che la formula � diritti civili e politici � 
equivalesse a quella �diritti di qualunque natura� (25). E se t<tle formula 
non era stata proposta, ci� era perch� la Commissione � volendo 
appunto esonerarsi dal carico e dalla responsabilit� dell'adozione di 
una nuova formula, che certo non � agevole, anzi fu a giudizio di molti 
esperimentata malagevolissima, preferl di quasi trascrivere nel suo 
progetto di legge gli articoli anzidetti della costituzione belgica (artt. 92 
e 93 N.dA.) e quindi di accettare una formula gi� compresa ed illustrata 
dalla giurisprudenza di un altro paese libero � (26) (giurisprudenza, 
come subito vedremo, assai liberale). 

La stessa opinione � fatta propria dal Cammeo, il quale afferma: 
�L'espressione diritti civili e politici doveva avere lo stesso significato 
che essa ha nell'art. 24 dello statuto e negli artt. 92 e 93 della Costituzione 
belga � (27). 

Della stessa opinione il Mantellini, il quale sottoline� la liberalit� 
della legislazione be1ga e l'intendimento dei legislatori italiani di adeguarsi 
a quella (28). 

4. -La interpretazione giurisprudenziale: a) i diritti civili e politici; b) la 
disapplicazione,� c) il criterio di riparto della competenza. 
Come � noto, la interpretazione che si ,consolid� nella giurisprudenza 
fu invece assai pi� restrittiva e ridusse in confini molto angusti la 
tutela dell'amministrato nei confronti dell'amministrazione operando 
lungo tre direttive: la definizione dei diritti civili e politici, la delimita


(21) F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, 
Milano, s.d., I, 434. 
(22) G. MANTELLINI, I conflitti di attribuzione, Firenze, 1871, I, 34. 
(23) Atti ult. cit., Tornata del 9 giugno 1864. 
(24) ivi, Tornata del 16 giugno 1864. 
(25) Relazione Borgatti, ivi, 2461. 
(26) Discorso di P. S. Mancini, ivi, Tornata del 9 giugno 1864. 
(27) F. CAMMEO, op. cit., I, 430. 
(28) G. MANTELLINI, op. cit., 23 e ss., 35 e ss. e passim. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione dei propri poteri di disapplicazione, la individuazione del criterio 
di riparto della competenza fra autorit� giudiziaria e autorit� amministrativa. 


a) I diritti civili e politici. 

I diritti civili e politici furono considerati, infatti, nella limitata 
accezione rispettiva di diritti a prevalente contenuto patrimoniale e di 
diritti di partecipazione al governo della cosa pubblica (29). 

Quanto riduttiva questa visione rispetto a quella fatta propria dagli 
ispiratori della :riforma e sopra ricovdata e quanto riduttiva anche rispetto 
alla interpretazione che de1la stessa formula veniva data in 
Belgio (30) � inutile sottolineare. Fu persa allora un'occasione per la 
creazione di una categoria di diritti pubblici soggettivi capace di inglobare 
molte �di queHe situazioni che saranno poi qualificate interessi 
legittimi (31). 

Un'ulteriore riduzione fu poi talvolta operata con l'escludere dalla 
categoria dei diritti civili e politici le situazioni soggettive regolate da 
leggi amministrative (32): esclusione che n� la lettera della legge n� 
la ratio giustificavano. Dai lavori preparatori risulta infatti solo che era 
opinione di alcuni parlamentari che dalle leggi amministrative non potessero 
essere creati diritti ma solo precisata la natura ed il modo di essere 
di diritti da altre norme creati. 

Lo stesso Mantellini, non certo sospettabile di corrivit�, sia pure 
prima di assumere la responsabilit� di Avvocato Generale Erariale, scriveva 
che le leggi �sebbene amministrative non cessano d'essere leggi per 
questo � e che se il contenzioso che ne deriva doveva essere lasciato all'arbitrio 
dell'Amministrazione attiva, �tanto valeva non fare la legge� (33). 

In realt�, -proseguiva lo scrittore toscano -la formula �diritti 
civili e politici � si riferisce a qualunque diritto, quale che sia la legge 

o il principio generale del diritto che ne � fonte, cos� come � nel 
Belgio �del quale si poteva rifiutare la formula nella legge del '65, non 
la giurisprudenza nella identica formula� (34). 
La verit� � che il legislatore del 1865 aveva inteso rimettere al 
giudice ordinario tutta la competenza dei soppressi tribunali in materia 
di amministrazione contenziosa, alias relativa a diritti, secondo la terminologia 
del tempo, con esclusione soltanto della -peraltro eccezionale 
-competenza in materia di interessi a fronte dei quali si ponesse 
un potere discrezionale dell'amministrazione. Tutto l'ultradecennale dibattito 
dottrinario e politico che aveva preceduto la legge abolitrice 
aveva, appunto, ruotato intorno all'alternativa se attribuire o meno al 
giudice ordinario la cognizione della � amministrazione contenziosa �. 
Ma che, una volta fatta la scelta, questa dovesse passargli in blocco, era 
fuori discussione (35). 

(29) V. CERULLI IRELLI, Il problema del riparto delle giurisdizioni, Pescara, 
1979, 16; F. Cammeo, op. cit., I, 431. 
(30) G. MANTEILINI, op. cit., I, 110 ss.; V. Cerulli Irelli, op. cit., 16. 
(31) F. BENVENUTI, Giustizia Amministrativa, Enciclopedia del Diritto, XIX, 
600. 
(32) L. MEucc1, Istituzioni di diritto amministrativo, Roma, 1879, 77, 96, 99. 
(33) G. MANTEILINI, op. cit., I, 116. 
(34) G. MANTEILINI, op. cit., I, 110-113. 
(35) M. MINGHETTI, Rel. cit., 81. 

PARTE Il, QUESTIONI 91 

La relazione Tegas al progetto Rattazzi 9 gennaio 1957 � inuminante in 
proposito e cos� corre: �l'amministrazione nell'abituale suo andamento 
pu� dar luogo a richiamo per parte del privato. O questo ricorre per 
lesione di un suo interesse, ovvero si oppone ad un atto amministrativo 
perch� violerebbe il suo diritto. Si pu� ledere un interesse privato nel 
vasto campo del potere discrezionale, ma si viola soltanto un diritto 
quando il reclamante invoca una espressa violazione di legge in suo 
appoggio. Nel primo caso voi non vedete che uri appello fatto dal cittadino 
alla coscienza dell'amministratore, il quale accoglie il ricorso in via 
amministrativa chiama la riflessione sul primo suo provvedimento, la 
riforma se crede non ostarvi interesse pubblico, la conferma nel caso 
opposto: poich� come dice il Romagnosi � dovere dell'amministrazione 
il far prevalere la cosa pubblica sulla privata col minor sacrificio della 
privata propriet� e libert�. Questo ricorrere al funzionario che eman� l'atto 
contro il quale altri si richiama od al superiore di lui diretto per una 
specie o forma di appello in via amministrativa � ci� che dicono giurisdizione 
graziosa o officiosa . . . Ma quando l'opposizione contro l'atto � 
amministrativo si fonda sopra un diritto, che si pretende manomesso 
allora l'amministrazione � per cos� dire libellata, � citata a difendersi, 
quindi la controversia prende il carattere di un giudizio e vuol essere 
definita con un criterio legale e con forme giuridiche. Ed � qui solo 
che si dubit� se questi atti di amministrazione, come dicono, regolata, 
perch� fondati sovra un testo espresso di legge o di regolamento, debbano 
essere rimessi al giudizio di tribunali ordinari, ovvero di giudici 
speciali presi in seno all'amministrazione stessa. Che se per la giurisdizione 
discrezionale non � iuogo a questione (perch� il tradurre in questi 
atti l'amministrazione davanti al giudice ordinario renderebbe ogni 
governo impossibile) il dubbio sorse per gli atti dell'altra specie. La 
tendenza a rafforzare la libert� d'azione dell'amministrazione diede vita 
all'istituzione dei Tribunali amministrativi . . . Ma la distinzione fra il 
diritto legale e il semplice interesse � la norma che venne sin qui 
adottata . . . per determinare i limiti fra l'amministrazione pura . . . e 
l'amministrazione contenziosa� (36). 

Altrettanto chiaro il Mancini il quale nel suo discorso 18 giugno 
1984, nel corso dei lavori preparatori alla legge abolitrice precisava: 
� Quando l'amministrazione ha un'autorit� puramente discrezionale le 
sue decisioni possono contrariare quelli che ne soffrono, ma non feriscono 
che semplici interessi e non danno luogo a diritti. Il cittadino pregiudicato 
pu� invocare il favore dell'amministrazione, cercare di conciliarsi 
la sua buona volont�: ma non sarebbe fondato ad elevare una vera 
pretensione, perch� egli non potrebbe appoggiarsi n� al testo di una 
legge n� alla lettera di un contratto. Ma non � lo stesso, quando si 
tratta di atti per i quali l'amministrazione non gode di una piena 
autorit�: allora essa si trova in presenza non di semplici interessi, ma 
di veri diritti, ed allorquando questi diritti disconosciuti reclamano, si 
impugna fra coloro che l� invocano e l'amministrazione una vera contestazione
�. �Dunque� -seguitava il Mancini -�pu� sorgere la questione, 
se l'amministrazione anche in materia di sua competenza abbia 
provveduto circa l'intrinseco dell'atto amministrativo ~n conformit� 
della legge: potendo bens� talvolta il giudizio sull'esistenza delle condi


(36) in F. CAMMEO, op. cit., I, 399. 

9.4 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

zioni prevedute dalla legge appartenere unicamente all'autorit� amnumstrativa, 
come allorch� sia giudizio prudenziale di criterio, di apprezzamento, 
di fiducia, di convenienza amministrativa; ma potendo pure altre 
volte dipendere l'esistenza di un vero e rigoroso diritto, da circostanze 
di tempo, di luogo, di et�, di stato o qualit� giuridica ed insomma di 
condizioni legalmente accertabili ed affatto indipendenti dall'arbitrio e 
dal criterio dell'amministratore� (37). 

Dunque nella dottrina giuridica dell'epoca e nell'intenzione del legislatore 
del 1865 -e all'intenzione � conforme la lettera della legge a 
fronte di ogni attivit� vincolata dell'amministrazione l'interesse dell'amministrato 
assurgeva a1la dignit� di bene della vifa la cui perdita o deterioramento 
dava titolo a chiedere riparazione. Non assurgeva a �diritto 
solo finteresse per fa cui realizzazione era necessaria fintermediazione 
dell'esercizio di un potere discrezionale dell'amministrazione, essendo in 
tale situazione l'amministrato titolare soltanto di una legittima aspettativa 
a che l'amministratore esercitasse i propri poteri conformemente a 
legge (38). La giurisprudenza trad� dunque ['intenzione del legislatore. 

b) La disapplicazione. 
Quanto alla delimitazione dei criteri di disapplicazione dell'atto amministrativo, 
anche in questo caso, a fronte del generalissimo enunciato 
legislativo e della chiarissima �voluntas � emersa dai lavori preparatori, 
venne formandosi una giurisprudenza restrittiva. Nel suo discorso di 
replica, a nome della Commissione, fatto il 18 giugno 1864, il Mancini, 
richiamando ancora una volta l'autorit� del precedente belga, citava il 
seguente passo del Bivort (39), relativo al commento dell'art. 107 della 
Costituzione del 1831 di quel Paese (da cui, come � noto, � mutuato 
l'art. 5 della legge abolitrice): �Questo articolo presuppone che un 
oggetto di competenza del� potere giudiziario gli sia sottoposto e la 
relativa decisione dipenda dall'applicazione di un provvedimento del 
potere esecutivo. In questa ipotesi sia che il provvedimento sia deferito 
per azione diretta, sia che esso sia invocato per via di eccezione, sul 
quale punto l'articolo non distingue, esso autorizza il potere giudiziario 
a discutere e ad esaminare la legalit� dell'atto; ma ci� al solo effetto, 
se non � conforme alla legge, di dichiararne l'inapplicabilit� all'oggetto 
litigioso e di pronunciare su questo oggetto conformemente alla legge, 
come se il provvedimento non esistesse �. 
Pur in un quadro tanto poco suscettibile di interpretazioni restrittive 
come anche sottolineato dalla pi� autorevole dottrina (40) la giurisprudenza 
adott� il pi� rigoroso self-restraint, elaborando la teoria della 
disapplicazione dell'atto in via di sola eccezione, negandone invece la 
possibilit� quando la illegalit� dell'atto fosse dedotta in via diretta e 
principale, in quanto immediatamente lesiva di una posizione tutelata (41). 

(37) F. CAMMEO, op. cit., I, 438. 
(38) cfr. L. Mllucc1, Istituzioni cit., 104. 
(39) B. BIVORT, Commep.taire � la Constitution de la Belgique, cit. in Cammeo, 
op. cit., I, 435. 
(40) F. CAMMEO, op. cit., I, 437. 
(41) G. GRECO, L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, 
Milano, 1980, 76. 

PARTE II, QUESTIONI ')f 

e) Il riparto 'delle competenze. 

Sul criterio di riparto delle competenze fra giurisdizione e amministrazione, 
infine, a fronte del chiaro dettato legisfativo che poneva 
come linea discriminatrice la esistenza o meno di un diritto civile o 
politico, venne affermandosi il diverso e ben pi� limit~to criterio della 
distinzione fra attivit� iure gestionis e attivit� iure imperii (42). Di 
fronte alla prima soltanto l'Autorit� giudiziaria riconobbe la propria 
competenza, sulla scorta della coni;iiderazione che a fronte dell'atto 
autoritativo non potesse configurarsi alcun diritto. 

Singolarmente, una teoria nata nella vicina Francia per aumentare 
i poteri del giudice ordinario e consentirgli di sindacare alcune attivit� 
amministrative senza incappare nei rigori delle sanzioni penali comminate 
dalle leggi rivoluzionarie (43) veniva trapiantata in Italia con 
l'opposto effetto -attesa la ben diversa struttura del sistema di giustizia 
instaurato -di vedere limitati quei poteri in modo radicale. 

Delle tre autolimitazioni che il giudice italiano si era imposto in 
quegli anni e di cui si � detto, quest'ultima era certo la pi� grave e 
significativa, riducendo la tutela del nostro concittadino di cento anni fa 
a quella gi� goduta, oltre un secolo prima, dai sudditi di molti regimi 
assoluti. 

Di qui la necessit� presto avvertita di un completamento della tutela 
dell'amministrato. 

5. -L'esperienza belga. 
Sembra illuminante in proposito un parallelo con il caso del Belgio, 
dalla cui normativa il legislatore del 1865 aveva tratto dichiarata ispirazione. 
Qualcosa di pi�, anzi, di una semplice ispirazione, in quanto 
gli artt. 2, 4 e 5 della legge abolitrice rappresentano la quasi letterale 
trascrizione (con un tocco, anzi, di permissivismo in pi�) degli articoli 
92, 93 e 107 della Costituzione belga del 1831, portata ad esempio 
dagli studiosi di allora -insieme con il sistema inglese -di una 
modernit� e liberalit� da contrapporsi all'autoritarismo del sistema 
francese. 

Orbene, la giurisprudenza belga, assai pi� liberale di quella italiana, 
interpretando in senso estensivo fa formula � diritti civili e politici � 
permise al sistema di funzionare senza inconvenienti -o quasi -per 
pi� di un secolo. � Ogni giorno i Tribunali del Belgio risolvono questioni 
... di pubblico come di privato diritto � scriveva il Mantellini 
nel 1871 (44) e sono � costanti nel rifiutare applicazione ... agli atti am


(42) Nonostante alcune diverse opinioni deve ritenersi che fu quello il 
criterio generalmente seguito: cfr. G. VACCHELLI, La difesa giurisdizionale dei 
diritti dei cittadini verso l'autorit� amministrativa, in Primo Trattato completo 
di diritto amministrativo italiano, Milano, 1901, Vol. III, 437, nota (1); 
adde M. NIGRO, op. ult. cit., 89; F. BENVENUTI, op. loc. cit.; F. BATISTONI FERRARA, 
La difesa dello Stato in giudizio e la soluzione italiana, in �L'Avvocatura dello 
Stato �, Studio storico-giuridico per la celebrazione del centenario, Roma, 
1976, 278 ss. 
(43) M. S. GIANNINI e A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa e giurisdizione 
ordinaria, in Enciclopedia del Diritto, XIX, 278. 
(44) G. MANTELLINI, op. cit., I, 25. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

96 

ministrativi che appariscano non conformi alle leggi ... � senza aver da 
temere �censura dalla Cassazione che allorquando del regolamento e 
dell'atto pronunzino l'annullamento� (45). Tanto vero che le Corti belghe 
non ebbero difficolt� a condannare quello Stato a risarcire i danni 
causati da una inondazione artificialmente indotta dalle autorit� militari 
per la difesa di Ostenda. Il confronto con il consimile caso italiano 
dell'argine del fosso Polesella e della sua diversa soluzione (46) � immediato. 


:�. interessante notare in proposito come una polemica sulla sufficienza 
o meno della tutela offerta dal giudice unico sia sorta in 
Belgio a cavallo fra Ottocento e Novecento in coincidenza con una 
oscillazione della giurisprudenza di quella Cassazione, che, abbandonando 
le proprie tradizionali posizioni, aveva fatto propria, in alcune 
decisioni, la teoria francese degli atti d'impero come limite al sindacato 
del giudice ordinario(47). 

Ne deriv� una accesa disputa dottrinale e politica nel corso della 
quale venne proposta la reintroduzione in Belgio del Consiglio di 
Stato (48). 

La crisi fu per� superata con un deciso �ritorno alle origini� sotto 
'la suggestione della dottrina del Wodon, che denunci� l'indulgenza agli 
schemi dottrinari francesi come incompatibile con la Costituzione belga 
(49). La Cassazione di Bruxelles infatti riafferm� decisamente la 
propria tradizionale giurisprudenza ripudiando l'idea della doppia personalit� 
dello Stato sovrano e dello Stato persona civile ed affermando: 
� Argomentanto sul principio della separazione dei poteri, a volte si 
perde di vista che in Belgio esso ha una portata del tutto differente 
da quella francese, e si confondono principi distinti ... Il principio ... 
consacrato dalle leggi della Rivoluzione, � stato interamente alterato 
dalla Costituzione belga ... Obbligando i tribunali a non applicare i 
decreti ed i regolamenti generali se non in quanto siano conformi alle 
leggi, l'art. 107 li obbliga esattamente a quanto le leggi rivoluzionarie 
vietavano loro: cio� di disturbare in qualsiasi maniera le operazioni 
dei corpi amministrativi� (50). E ancora: �La Costituzione ha consacrato 
una teoria della " separazione dei poteri " che scorge una condizione 
della libert� politica nella separazione delle funzioni pubbliche 
in tre gruppi distinti ed indipendenti fra di loro, ma la medesima espressione 
serve anche a designare una regola assai antica del diritto francese, 
gi� ammessa ai tempi dell'assolutismo monarchico. Ai sensi di 
questa regola, � interdetto ai corpi giudiziari di giudicare le controversie 
in cui siano interessati lo Stato o le altre persone di diritto 
pubblico. Questa "separazione dei poteri", nata da un sentimento di 
sfiducia e di sfavore nei riguardi dei corpi giudiziari, che consentiva 
all'amministrazione di disporre sovranamente e senza ricorsi della per


(45) G. MANTELLINI, op. cit., I, 24. 
(46) G.' MANTELLINI, op. cit., I, 26; Appello Venezia 21 maggio 1885, in Foro 
Italiano 1885, I, 377. 
(47) M. SoMERHAUSEN, Belgio, in � Il controllo giurisdizionale della pubblica 
Amministrazione�, a cura di A. Piras, Torino, 1971, 31. 
(48) M. BoURGUIN, La prot�ction des droits individuels contre les abus de 
pouvoir de l'autorit� administrative en Belgique, Bruxelles, 1912, passim. 
(49) L. WoooN, Le contr�le juridictionnel de l'administration et la responsabilit� 
des pouvoirs publics en Belgique, Bruxelles, 1920, 81, 93. 
(50) Cass. belga 5 marzo 1917 in Pasicrisie, 1917, I, 118. 

PARm II, QUESTIONI 97 

sona e dei beni dei cittadini, non � stata consacrata dalla Costituzione 
belga. Al contrario, il regime che questa ha organizzato � ispirato ad 
un sentimento di sfiducia nei riguardi delle pratiche amministrative 
dei regimi anteriori e mira a porre i diritti privati al riparo degli attacchi 
dell'amministrazione e sotto la salvaguardia del potere giudiziario� (51). 

� Una febbre maligna aveva colto la nostra giurisprudenza -commenter� 
l'Avvocato Generale Leclercq -La causa di questa malattia 
� facile a scoprirsi e Wodon l'ha segnalata� (52). 

Nel Belgio occorre dunque arrivare agli ultimi anni del periodo 
fra le due guerre mondiali e quindi ad un momento in cui l'intervento 
della pubblica amministrazione nei vari settoci si era fatto particolarmente 
esteso e penetrante perch� venisse veramente avvertita la necessit� 
di una integrazione della tutela del giudice ordinario con la introduzione 
di un giudice amministrativo fornito del potere di annullamento 
degli atti (53). 

Di qui fistituzione in Belgio, nel 1946, di un Consiglio di Stato, giudice 
amministrativo con potere di annullamento ma non a competenza 
generale. � 

Sembra legittimo a questo punto concludere che se anche in 
Italia si fosse adottata l'interpretazione della legge abolitrice fatta propria 
dai giudici belgi -e che era oltretutto molto pi� aderente alla 
lettera della legge di quella riduttiva adottata -la tutela dell'amministrato 
sarebbe stata, quanto meno per molti decenni ancora, pienamente 
sufficiente, ed � doveroso notare nella classe dirigente italiana la singolarit� 
di una cultura comparatistica di notevole livello (anche se 
anteriore all'atto di nascita del diritto comparato) che, dopo aver fatto 
sfoggio di s� nelle aule parlamentari e in opere dottrinarie svan� nelle 
aule giudiziarie. 

6. -Ipotesi eziologiche. 
Le ragioni tradi:i!rlonalmente elencate per spiegare l'atteggiamento 
restrittivo assunto dalla magistratura italiana nell'interpretare la legge 
del 1865 sono in genere individuate nella disciplina dei conflitti da 
queMa legge dettata e nella scarsa indipendenza di cui godevano �allora 
i magistrati. 

1:. vero infatti che l'art. 13 dell'allegato E devolvette (sia pure in 
via transitoria) al Consiglio di Stato -cio� all'Esecutivo -la funzione 
di giudice dei comlitti di attribuzione fra giurisdizione e amministrazione 
ed era quindi prevedibile che il Consiglio di Stato procedesse 
secondo lo schema paralogico del � tu hai torto, perci� ti nego il 
giudice�. Vero � anche che la magistratura dell'epoca era costituita da 
un insieme non ancora amalgamato di giudici dei vari Stati preunitari, 
forniti di ben modeste garanzie nei confronti del Governo. Vero �, 
infine, che i magistrati -o quanto meno quelli di alto grado -erano 
espressione di quella stessa classe sociale -artistocrazia e borghesia 
agraria -che forniva i quadri alla politica ed all'alta burocrazia (54). 

(51) Cass. belga 5 novembre 1920, ivi, 1920, I, 239. 
(52) M. SoMERHAUSEN, op. cit., 34. 
(53) M. SOMERHAUSEN, op. cit., 35. 
(54) M. NIGRO, op. ult. cit., 87. 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Sta di fatto, per�, che l'errore di grammatica costituzionale dell'art. 
13 della legge abolitrice -d'altronde non premeditato e dettato 
solo dalla fretta (55) -fu subito corretto con la legge del 1877, che 
affid� alla Cassazione romana il compito di decidere dei conflitti. 

Sta di fatto, ancora, che l'orientamento restrittivo assunto dalla 
giurisprudenza fu tutt'altro che generale e tutt'altro che coerente nel 
tempo con le ragioni di cui sopra. 

Vi fu, anzi, una iniziale apertura della giurisprudenza verso interpretazioni 
liberali (56) nonostante l'arcigna guardia del Censiglio di 
Stato giudice dei conflitti; iniziale apertUTa cui fa riscontro un progressivo 
self-restraint, nonostante l'avvento della Cassazione romana 
al posto del Consiglio di Stato (57). 

Si tratta di Cass. Roma 13 marzo 1876 (58) le cui massime recitano: 
tanti rinvenibili nei repertori dei primi anni successivi alla riforma 
e che sembra emblematico sia in s� che per la nota redazionale che lo 
accompagna. 

Si tratta di Cass. Roma 13 marzo 1876 (58) le cui massime recitano: 

� Chiunque da un provvedimento generale Tegol.amentare dell'autonit� 
amministrativa riceva danno con offesa dei suoi diritti pu� domandare 
il risarcimento dinanzi all'autorit� giudiziaria. 

Cos� pu� dimandarlo il prestinaio, che abbia ricevuto qualche pregiudizio 
da un provvedimento del Comune, con cui venne fissata una 
tariffa obbligatoria pel prezzo di vendita delle farine e del pane. 

V.autorit� giudiziaria investita della <dimanda, riconosciuta l'irregolarit� 
di un provvedimento non deve revocarlo, ma soltanto dichiarare 
la responsabilit� dell'autorit� amministrativa, di fronte alla prova 
del danno. 

Fra i danni che i prestinai, nella specie suddetta, possono dimandare, 
si comprendono quelli per pretese contravvenzioni, o dalle limitazioni 
apportate alla loro industria, o da altre circostanze �. 

La nota redazionale del Foro italiano commenta, poi, i principi 

affevmati e massimati come espressione di indirizzo consolidato, citando, 

tutta una lunga serie di precedenti analoghi. 

Inutile sottolineaTe quanto pi� liberale sia questa giurisprudenza 


che afferma la risarcibilit� del danno recato ad una situazione regolata 

da leggi amministrative da un atto autoritativo, e che quell'atto di� 

sapplica in via di impugnativa principale -rispetto a .quella che si 

sarebbe andata formando e consolidando anno dopo anno, man mano 

che ci si allontanava dal 1865 e di cui si � detto. Una giurisprudenza� 

alla cui genesi sembra essere stata tutt'altro che estranea l'opera del


l'Avvocatura Erariale, istituita proprio nel 1876. 

7. �L'Avvocatura Erariale. 
Il nome di Giuseppe Mantellini viene molto pi� spesso citato dai 
cultori della materia per evocare il giuspubblicista autore dello � Stato 

(55) G. MANTELLINI, op. cit., I, 36; B. SORDI, Giustizia e amministrazione riel-
l'Italia liberale, Milano, 1985, 45. 
(56) V. CERULLI lRELLI, op. cit., 24; G. GRECO, op. loc. cit .. 
(57) F. BENVENUTI, op. cit., 599. 
(58) Foro it. 1876, I, 842. 

PARTE II, QUESTIONI 99 

e il codice civile� piuttosto che non il primo Avvocato Generale Erariale 
ed in genere la citazione viene fatta per criticare -non senza 
durezza -un misoneismo giudicato eccessivo (59). In realt�, come 
risulta anche dalJe citazioni sin qui fatte, il suo pensiero fu tutt'altro 
che illiberale. 

Suo torto fu -se torto questo si pu� chiamare per un avvocato una 
volta investito delle funzioni, quello di vincere le cause dello 
Stato affidategli adottando la linea difensiva pi� radicale possibile, 
quella di negare in capo al giudice la potest� di giudicare. 

La tesi della responsabilit� storica dell'Avvocatura Erariale nel determinare 
la linea interpretativa restrittiva di 'Cui si � detto fu gi� 
enunciata, nell'infuocato dibattito parlamentare sulla legge istitutiva 
della IV Sezione del Consiglio di Stato, dal senatore Pierantoni (genero 
del Mancini) il quale, opponendosi strenuamente al disegno, vedeva 
come unico vero rimedio alla Jnsufficiente difesa degli amministrati 
una pi� esatta lettura, da parte del giudice ordinario italiano, della 
legge del 1865, una lettura conforme alla lettera della norma ed all'interpretazione 
datane dalla giurisprudenza belga di fronte ad analogo 
testo e, criticando la distinzione fra atti di igestione e atti di imperio, 
ammoniva gli onorevoli colleghi come tale interpretazione, fatta propria 
dal giudice italiano, fosse errata: �l'opera della Cassazione -precis� fu 
spinta su questa via dalla Avvocatura Brariale, forte istituto, prevalente 
nell'opera del potere amministrativo e giudiziario� (60). 

In effetti l'istituto dell'Avvocatura -la cui originaria denominazione 
di � erariale � forse gi� denunziava le limitate dimensioni che 
Jo Stato intendeva att?ribuire al proprio contenzioso -nacque con il 
dichiarato intento di concorrere, con l'adozione di criteri di difesa 
unitaI1�, alla elaborazione ' giurisprudenziale della distinzione fra diritti 
ed .interessi e a definire i limiti oggettivi del potere del giudice ordinario 
in ordine all'atto amministrativo (61). A fronte della formula 
generale del legislatore del 1865, �di semplicit� ingannatrice� (62) parve 
infatti necessaria l'istituzione di un oTgano unitario di difesa in giudizio 
(63) per supplire alla soppressione di un foro amministrativo 
speciale (64), soprattutto in previsione del passaggio alla Cassazione 
della competenza sui conflitti. Ci� a differenza di quanto accadeva in 
Francia, dove � ... si fidano del Pubblico Ministero e del Prefetto: e 
potevano dispensarsi da un istituto di consiglieri, di avvocati demaniali 

o erariali, in grazia di quel loro foro amministrativo che ne avoca le 
maggiori cause e dove l'amministrazione trova nei giudici quanta assistenza 
a lei bisogna� (65). 
A capo dell'Istituto veniva posto Giuseppe Mantellini, il quale 
portava nella sua nuova attivit� non solo la fama del cultore di 

(59) Cfr., per tutti, B. SORDI, op. cit., 174. 
(60) Atti parlamentari, Senato del Regno, Discussioni, Tornata del 20 marzo 
1888, 1170. 
(61) F. BATISTONI FERRARA, op. loc. cit. 
(62) L. ARMANNI, Il Consiglio di Stato, in Trattato di V. E. Orlando, s.d., 
I, 949. 
(63) F. BATISTONI FERRARA, op. cit., 254 ss. 
(64) Relazione al Regolamento 16 gennaio 1876, n. 2914, serie II, pubblicata 
in allegato alla Relazione dell'Avvocato Generale Erariale per il 1876, pag. 74. 
(65) Relazione ult. cit. 

100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

diritto pubblico di livello internazionale, non solo il prestigio del laticlavio, 
ma anche la specifica esperienza di Direttore del Contenzioso, 
di consigliere di Stato, di consig1iere di Cassazione e, soprattutto, di 
Avvocato regio di Toscana nel decennio precedente l'unificazione. 

Nella nuova istituzione, da lui stesso voluta, port�, quindi, tutto 
il bagaglio professionale accumulato nell'antico istituto lorenese e gli 
schemi logici e dialettici maturati in un regime che, bench� illuminato 
-e quanto illuminato! (66) -era pur sempre stato un regime 
assoluto. 

Fin dall'inizio dell'attivit� di istituto Mantellini elabor� la linea 
difensiva della distinzione fra atti di impero e atti di gestione e della 
sindacabilit� incidenter tantum dell'atto di impero solo in via di eccezione 
e solo quando lo stesso atto aggiungesse al rapporto � politico � 
un �rapporto accidentale e contingente di natura civile� (67), coordinando 
con molta energia e molta fermezza le attivit� delle varie Avvocature 
distrettuali (68). 

Particolare cura mise nello spingere quanto pi� avanti possibile 
la linea di difesa della negazione al giudice della potestas iudicandi, 
soprattutto in materia di responsabilit� aquiliana, attraverso l'argomento 
che sotto le mentite spoglie di una pretesa risarcitoria si sindacava inammissibilmente 
-l'emanazione o la mancata emanazione di un 
atto amministrativo: �Tanto fa chiedere la condanna del sindaco 
quale ufficiale di Governo a rilasciare il certificato di buoni costumi, 
quanto il chiedere la condanna del sindaco a soddisfare al danno lamentato 
dall'attore per negatogli certificato� (69). 

L'autorevolezza, l'esperienza organizzativa, l'uniformit� di indirizzo 
difensivo, la grande capacit� ed esperienza professionale, si imposero 
ad una magistratura di varie matrici geo-culturali e ancora separata 
tra tante Cassazioni -spesso abilmente giocate le une contro le 
altre -e la pi� restrittiva delle interpretazioni della legge del 1865 
divenne �diritto vivente�. Con palese capovolgimento dei concetti ispiratori 
della riforma si afferm�, quindi, la regola -come fu detto con 
qualche pessimismo -che il punto di equilibrio fra principio di libert� 
e principio di autorit� andava trovato nell'assioma che dove vi � esercizio 
di autorit� non pu� esservi libert�. 

8. -La riforma Crispi e l'interesse legittimo � Storia di una genesi ed 
attualit� di una crisi � Auspicio di superamento. 
La acuta insoddisfazione per le limitatissime garanzie che quel 
� diritto vivente � offriva al cittadino port�, come � noto, alla istituzione 
della IV Sezione del Consiglio di Stato per la tutela di tutte quelle 
situazioni rimaste sprovviste di tutela. 

Davanti al legislatore del 1889 si aprivano due strade: o ampliare magari 
in via di interpretazione autentica -il numero delle situazioni 

(66) cfr. I. F. CARAMAZZA, L'Avvocato Regio di Toscana, in L'Avvocatura dello 
Stato cit., 185 ss. 
(67) Relazione dell'Avvocato Generale Eraliale per l'anno 1880, 49 ss. 
(68) Relazione dell'Avvocato Generale Eraliale per l'anno 1878, pagg. 18 e 
ss., e 1879, pagg. 22 e ss. 
(69) Relazione cit. 1882, 6. 
,��,,...,.,,��,..,.,,,.,,,,,.,. 



PARTE II, QUESTIONI 101 

soggettive tutelate dinnanzi al giudice ordinario, disconoscendo i risul� 

tati giurisprudenziali raggiunti, come suggerivano alcuni (70), o accettare 
per buono quel �diritto vivente� che si era creato, dando per ammesso 
che~ diritti civili e politici da tutelare come situazioni sostanziali meritevoli 
di un giudice del rapporto fossero soltanto quelli enucleati dalla giurisprudenza 
del tempo, ed istituire allora altro organo per tutelare 
situazioni diverse dai diritti. 

Fu scelta tale seconda via e fu giocoforza allora accettare il postulato 
che ci� che andava tutelato per riportare la giustizia nell'amministrazione 
erano meri � interessi �, non meritevoli di protezione� giurisdizionale in 
quant� non aventi ad oggetto � beni della vita � ottenibili senza la intermediazione 
dell'esercizio di un potere discrezionale da parte dell'Amministrazione. 
Congruente con tale scelta fu anche, ovviamente, la natura 
meramente cassatoria del rimedio offerto. 

La forza delle cose super� per� la forza delle forme: tutte le 
situazioni soggettive che la dottrina dell'attivit� iure gestionis aveva 
lasciate orfane di giudice perch� prive della tutela del giudice ordinario, 
furono portate dinanzi al Consiglio di Stato per ottenere quel tanto di 
giustizia che il sistema offriva. La coscienza del magistrato amministrativo 
avvert� per. prima lo spessore della domanda e lo stesso accadde, 
subito dopo, per la �coscienza del Paese. 

Non sorprende, quindi, che la riforma del 1889, consistente nella 
istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato, nata come garanzia 
oggettiva di legalit� dell'azi�ne amministrativa, da tutelare contro le 
intromissioni del potere politico (in ordine a cui l'interesse offeso del 
cittadino costituiva solo �motivo e oocasione �) (71), sia stata interpretata 
ex post come creazione di una istanza giurisdizionale in ragione 
della materia del contendere portata al relativo esame. 

Da ci� scaturirono ulteriori conseguenze. 

La prima, immediata, fu l'equiparazione di tutte le situazioni sostanziali 
rimaste prive di giudice a quegli � interessi coordinati agli 
interessi generali nei quali vanno a confondersi � (72) che erano stati 
l'oggetto obbligato del sindacato avuto di mira dal legislatore del 
1889 (73). 

Venivano cos� unificate in un unico contenitore -che doveva pi� 
tardi assumere l'etichetta di ,interesse legittimo -situazioni assoluta� 
mente eterogenee. 

La seconda, mediata come � espediente esegetico � dalla dottrina, 
fu la qualificazione di tali situazioni come situazioni soggettive sostanziali 
intermedie fra diritto e interesse. 

La terza, conseguenziale, fu la configurazione di un processo inadeguato 
al suo (ampliato) oggetto in quanto chiamato a conoscere, con i 
mezzi e le regole previsti per le sue originarie, limitate (e formali) fun


(70) Cfr. Atti parlamentari Senato 20 marzo 1888 cit. 
(71) S. SPAVENTA, Per l'inaugurazione della IV Sezione del Consiglio di 
Stato, in La politica della destra, Scritti e discorsi raccolti da B. Croce, Bari, 
1910, 456. 
(72) Relazione dell'Ufficio centrale sul disegno di legge di riforma del 
1889 cit. in B. Sordi, op. cit., 199. 
(73) Illuminante in proposito il discorso pronunziato dal Procuratore Generale 
della Corte di Cassazione di Roma, De Falco, il 3 gennaio 1884 cit. in 
B. Sordi, op. cit., 187, nota 33. 
19 



102 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zioni, anche situazioni soggettive che avrebbero richiesto un pi� affinato 
e ricco istrumentario, sia sotto il profilo cognitorio che sotto quello 
decisorio. 

Di qui l'origine della singolare storia dell'interesse legittimo e del 
nostro processo amministrativo, sino alla crisi attuale. 

Fu detto a suo tempo che, con l'istituzione della IV Sezione del 
Consiglio di Stato, una parte della classe dirigente fu chiamata a controllare 
s� stessa (74): questo in linea con quella tradizione transalpina 
che riconosceva nel Conseil d'Etat -nato come massima espressione 
logica di una � amministrazione senza giudice � ed evolutosi in giudice 
dell'amministrazione (75) -il duplice ruolo di garante dei diritti del 
cittadino contro gli abusi dell'amministrazione e di protettore delle 
prerogative del potere pubblico (76), considerato non solo �parte� da 
giudicare, ma anche apparato da dirigere e da consigliare (77). 

Alla conseguente ambiguit� del relativo giudizio si aggiunge poi 
quella ulteriore derivante logicamente da un sindacato di tipo cassatorio 
non omogeneamente collegato con un previo giudizio �di merito �. 

In tale ambiguit� di fondo nacque e prosper� l'interesse legittimo 
come creatura di laboratorio o pianta di serra: forse sarebbe oggi 
di moda dire � concepita in provetta �. 

Nato come espediente es~getico (78) per superare le aporie del 
sistema di giustizia creato dalle leggi del 1865 e del 1889 (o piuttosto 
dalla loro interpretazione) fu teorizzato come situazione giuridica soggettiva 
sostanziale unitaria sulla scorta del seguente sillogisma: se alla 
IV Sezione doveva riconoscersi natura giurisdizionale e se l'interesse 
davanti ad essa fatto valere poteva essere protetto denunciando uno 
qualunque dei tre vizi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso 
di potere, occorreva allora riconoscere che la riforma del 1889 aveva 
attribuito natura giuridica a situazioni diverse al tempo stesso dal 
diritto civile e politico e dall'interesse semplice, materiale, economico 
(79). 

L'argomento appare discutibile in s� e comunque condizionato dal 
postulato della situazione giuridica soggettiva come � prodotto immutabile 
della ragione � (80). 

Se il diritto fosse una scienza esatta, tale operazione logica potrebbe 
essere paragonata a quella attuata dagli astronomi quando, dallo studio 
delle orbite dei pianeti esterni del sistema solare, deducono l'esistenza 
di un invisibile decimo pianeta e ne misurano massa e orbita. Non 
essendo per� il diritto una scienza esatta, l'operazione somiglia di 
pi� -e specularmente -a quella del manzoniano don Ferrante, morto 
di quella peste che, non essendo n� accidente n� sostanza, non poteva 
esistere secondo quanto conosciuto dalla sua filosofia. 

(74) L. PICCARDI, Intervento al X Convegno di studi di scienza dell'amministrazione, 
1964, Atti, 97. 
(75) G. VEDEL, op. cit. 
(76) A. MEsTRE, Le Conseil d'Etat, protecteur des pr�rogatives de ['Administration, 
Parigi, 1974. 
(77) M. HAURIOU, Principes de droit public, Parigi, 1910, 491. 
(78) E. GUICCIARDI, Concetti tradizionali e principi ri�ostruttivi della giustizia 
amministrativa in Studi di giustizia amministrativa, Torino, 1967, 8. 
(79) O. RANELLETTI, cit. in B. SORDI, op. cit., 271-272. 
(80) L. MENGONI, Diritto e politica nella dottrina giuridica, Iustitia, 1974, 
337 ss. 

PARTE Il, QUESTIONI iOJ 

Pur con tutti i suoi vizi di origine, sta per� di fatto che l'interesse 
legittimo crebbe e si svilupp� al centro di quella elegantissima costruzione 
giuridica che il Consiglio di Stato italiano ha creato in tre quarti 
di secolo, una costruzione in cui non si sa mai se ammirare di pi� la 
fantasia nell'escogitare nuove soluzioni (basti ricordare il sileniio e 
l'atto paritetico), il rigore giuridico nell'argomentarle o il pragmatismo 
nel raggiungere sostanziali risultati di giustizia attraverso un armamentario 
normativo rozzo e limitatissimo. 

Condizione di vita per l'interesse legittimo in quanto � fiore di 
serra � era per� il permanere della serra, cio� di quello specialissimo 
giudizio di cui si � detto e che era, s�, processo di parti, ma in cui una 
parte � �meno parte dell'altra � (81) ed in cui il giudice � anche il �padre 
spirituale� di quella (82). 

Un processo, insomma, � datato � e connotato da peculiarissimi dati 
politologici, sociologici e culturali. 
Quel processo oggi non esiste pi�: i vetri della serra sono stati 
rotti dalla legge istitutiva dei T.A.R. 
Non si vuole dire con .questo che la legge 1034/71 contenga rivoluzionarie 
innovazioni normative: essa appare, anzi, rispettosa in larghis� 
sima misura delle formule tradizionali. 

Sul piano normativo-organizzatorio si potrebbe addirittura dire che 
le ambiguit� e contraddittoriet� del processo amministrativo si sono 
moltiplicate con la creazione di un doppio grado di giudizio �di .legittimit� 
che � in s� un nonsenso logico e che ancora meno sensato appare 
quando si rifletta al fatto che con il venir meno delle giunte provinciali 
amministrative e dei ricorsi gerarchici (in conseguenza della non pi� 
necessaria definitivit� dell'atto) si � cancellato anche quello schema 
procedurale preesistente al giudizio che poteva apparentarsi strutturalmente 
ad un giudizio di merito e fondare quindi logicamente un sindacato 
di tipo cassatorio (83). 

La vera innovazione � esplosa invece a livello di realt� sociale. 

La creazione di una nuova 'classe di giudici amministrativi, di estrazione 
diversa da quella �tradizionale del Consiglio di Stato e sganciati da 
ogni funzione di consulenza ha fatto s� che nei confronti dell'Amministrazione 
la giurisdizione amministrativa abbia manifestato, per 'la 
prima volta nella sua storia, un netto distacco, cui si aggiunge una nota 
di diffidenza e sospetto ogni qualvolta la questione sottoposta al giudizio 
abbia una particolare rilevanza politica o comunque incida su fatti politicamente 
rilevanti (84). 

La diffusione � sul territorio � dei giudici amministrativi ha reso, 
poi, di massa una domanda di giustizia che era prima solo elitaria. 

(81) L. PICCARDI, Il Problema della difesa dello Stato in giudizio e la soluzione 
italiana, Riv. dir. pubbl., 1931, 595. 
(82) E. CANNADA BARTOLI, in Atti parlamentari, Camera, I Commissione permanente, 
Audizioni sullo stato della giustizia amministrativa, seduta 30 ottobre 
1984. 
(83) G. GRECO, L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, 
Milano 1980, 92 ss. 
(84) F. PIGA, 150 anni del Consiglio di Stato, in Atti del Convegno celebrativo 
del 15()<> anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, �Milano, 
1983, 391. 

104 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La forza delle cose ha imposto quindi al nuovo giudice amministrativo 
di soddisfare un'esigenza di giustizia sostanziale. La richiesta sempre 
crescente montante dalla societ� era che egli si trasformasse da giudice 
dell'atto in giudice del rapporto per la conseguibilit� nel processo amministrativo 
di quel �bene della vita� che dovrebbe pur essere conseguibile 
se � vero che l'interesse legittimo � una situazione sostanziale. 
Orbene, bench� stretto nelle angustie di una giurisdizione generale di 
legittimit� che rimane pur sempre una giurisdizione di annullamento, 
il giudice amministrativo � riuscito a rendere giustizia nel rapporto 
attraverso lo strumento cautelare. 

Il fenomeno � troppo noto perch� vi si debba indugiare; basti ricordare 
come in buona sostanza il processo amministrativo oggi si risolva 
con la concessione o il diniego della sospensiva (85). 

Da un lato ci� pu� essere ricondotto a quella funzione di supplenza 
cui ogni tipo di giurisdizione � oggi chiamata da un eccesso di domanda 
di giustizia. 

Non occorre, in proposito, ricorrere a raffinate analisi sociologiche 
per constatare come al giudice italiano tocchi in sorte pagare il prezzo 
di colpe non sue, l'eccesso di contenzioso essendo dovuto ad una carenza 

o ad un difetto di funzionamento di quei meccanismi fisiologici della j 
societ� e delle istituzioni che dovrebbero ridurre a sparuta eccezione i 
casi di mancato� spontaneo adeguamento dell'essere del fatto al dover 
essere della norma (86). 
I

Chiamato a porre rimedio alla preoccupante forbice che .si va 
aprendo tra evolvere della realt� ed evolvere dell'ordinamento, il giudice 

I

italiano si � trovato costretto -il pi� delle volte per necessit� e non 

I i~ 
per scelta protagonistica -ad esercitare una funzione di vera e propria 
supplenza. La via maestra imboccata � stata quella del ricorso alla 
misura cautelare: non potendo dare risposta definitiva in tempi ragionevoli, 
il nostro giudice d� risposta provvisoria in tempi giusti, privilegiando 
l'efficacia rispetto alla meditazione. Questo � vero sia in sede 

I 

di giudizio civile, dove Fazzalari ha parlato di � settecentizzazione della 
giustizia � (87) con riferimento all'uso e all'abuso che il pretore fa 
dell'art. 700 c.p.c. � vero, purtroppo, nel processo penale, come anno


I tava malinconicamente Andrioli (88), in cui troppo spesso la vera pena 
non � quella che segue alla condanna, ma � quella scontata dagli imputati 
in sede di custodia preventiva, colpevoli o innocenti che siano. � 
vero, infine, nel processo amministrativo, dove la curva statistica della 
percentuale di sospensive si impenna a freccia, divaricandosi da quella, 
pur montante, dei ricorsi (89). 

E questo induce a certo non confortanti considerazioni. 

(85) M. NIGRO, in Atti parlamentari -audizioni cit., seduta 16 ottobre 1984. 
(86) I. F. CARAMAZZA -M. G. MANGIA, Le misure cautelari nel processo amministrativo 
in Rass. Avv. Stato, 1986, II, 87. 
(87) E. FAZZALARI, Il futuro del procedimento amministrativo visto da un 
processualcivilista, cit., 349. 
(88) V. ANDRIOLI, Relazione, in � Atti tavola rotonda romana �, 1982, 1688 
cit. in M. E. Schinaia, Brevi note sul giudizio amministrativo cautelare, in 
Riv. amm., 1985, I, 591-604. 
(89) I. F. CARAMAZZA -M. G. MANGIA, Le misure cautelari nel processo 
amministrativo, cit. 

PARTE II, QUESTIONI 10J 

D'altro lato, per�, occorre rilevare come nel momento cautelare il 
giudice amministrativo diventi fisiologicamente giudice del rapporto e 
quindi del bene della vita da riconoscere o da negare. 

. Nella fase di merito, infatti, tradizionalmente, la valutazione dell'interesse 
sostanziale tutelato ha sempre condizionato solo l'ammissibilit� 
del giudizio: nella fase cautelare, dovendo il giudice conoscere 
della �gravit� e irreparabilit� del pregiudizio�, la valutazione dell'interesse 
sostanziale condiziona anche il merito della decisione: decisione 
che regola, dunque, il rapporto (90). 

L'evoluzione della giurisprudenza amministrativa in tema di sospensiva 
(e in sede di giurisdizione generale di legittimit�) nell'ultimo decennio 
� troppo nota perch� vi si debba indugiare: � stata, infatti, affermata 
e sistematizzata la sospendibilit� di una serie di atti amministrativi 
(quali dinieghi di ammissione, atti intermedi di procedimenti, atti 
negativi di controllo, ecc.) esclusi dalla sospendibilit� secondo le teorie 
classiche perch� atti negativi. Oltretutto, il giudice amministrativo ha 
utilizzato con estrema duttilit� lo strumento cautelare, piegandolo, per 
esempio, a fini istruttori o mirandolo meglio al fine attraverso l'introduzione 
di elementi accessori come il termine o la condizione. Si � 
cos� giunti a soddisfare, in sede di sospensiva, non solo � interessi oppositivi 
�, ma anche �interessi pretensivi � (quanto meno quelli �a soddisfazione 
pre-regolata �) (91), restando quindi esclusi, come posizioni sostanziali 
conoscibili, soltanto quegli interessi pretensivi per la cui soddisfazione 
l'Amministrazione conservi margini di discrezionalit� in ordine 
all'an, al quomodo ed al quando. 

E ne restano esclusi, a nostro avviso, perch� posizioni sostanziali 
non sono, non potendo preesistere ad una nascita condizionata da quella 
vera e propria �variabile indipendente� che � l'esercizio della discrezionalit� 
amministrativa (92). 

Da quanto sopra sembra potersi trarre la conclusione che si accomunino 
sotto la stessa etichetta di interesse legittimo, come gi� si � 
accennato, situazioni assolutamente eterogenee. 

Interessi oppositivi e interessi pretensivi a soddisfazione preregolata 
sembrnno infatti presentare tante analogie con i diritti soggettivi da 
chiedersi se, per caso -e quanto meno in gran parte -diritti soggettivi 
non siano (o non siano divenuti) (93) e se tali non siano stati. 
considerati sin dal 1865 solo per quell'eccessivo � self-restraint � adottato 
dal giudice ordinario nell'interpretare la legge abolitrice del contenzioso 
amministrativo, di cui si � detto. 

Certo, per tale via, il giudice amministrntivo sconfina un po' da 
quel mero �effetto anticipatorio � della pronuncia di merito che dovrebbe 
avere la decisione cautelare alla luce dell'insegnamento chiovendiano 
secondo cui il tempo necessario ad avere ragione nel processo non deve 

(90) E. FoLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tutelati, 
Milano, 1981, 46 ss. 
(91) E. Fou.1ERI, op. loc. cit. 
(92) S. GIACCHETTI, L'oggetto del giudizio amministrativo in Studi per il 
centocinquantenario cit., III, 1489-1490. 
(93) V. ALLEGRETTI, Pubblica Amministrazione e ordinamento democratico, 
in Foro it. 1985, V, 206 ss. 

106 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

tornare a danno di chi ha ragione (94). In qualche modo il giudice 
amministrativo rimedia con quelle prescrizioni � ordinatorie � o � ad 
effetto conformativo� (95) che costituiscono idoneo ponte fra le attuali 
conquiste dell'evoluzione giurisprudenziale e le emanande norme di 
riforma del processo amministrativo che, sintomaticamente, prevedono 
una statuizione del giudice pienamente satisfattiva dell'interesse del ricorrente 
ad eccezione dei casi in cui alla pubblica amministrazione 
siano attribuiti poteri discrezionali in ordine alle modalit� ed al tempo 
dell'adozione dell'atto o del comportamento (%). 

Al fenomeno sopra accennato (e che per� dovrebbe indurre il giudice 
della cautela amministrativa a motivare anche sul fumus boni juris) si 
accompagna una nettissima tendenza all'�mpliamento delle materie attri� 
buite al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. La 
legge istitutiva dei T.A.R. segn� l'avvio, con l'attribuzione a detta competenza 
della materia delle concessioni, cos� attaccando per la prima volta 
un criterio di ripartizione non pi� basato sulla contrapposizione (o, nella 
specie, possibile confusione) fra diritto e interesse legittimo ma su una 
distinzione di �blocchi di materie� (97). Sulla stessa via sembra 
d'altronde essersi posta la Corte di Cassazione (98), in una linea di tendenza 
che sembra destinata a privare del suo principale significato 
quella distinzione di situazioni soggettive che tradizionalmente segna il 
discrillline fra le due giurisdizioni (99). 

Il tendenziale aumento dei casi di giurisdizione esclusiva (confermato 
dalle leggi 28 gennaio 1977, n. 10, 20 marzo 1980, n. 75 e 24 marzo 
1981, n. 145) (100) riceve una corposa conferma dal testo dell'ultimo 
disegno di legge-delega (101) che prevede una estensione della giurisdizione 
esclusiva alle materie � connesse e conseguenti � a quelle a tale 

(94) G. CHIOVENDA, Nota a Cass. Roma 7 marzo 1921 in Giur. civ. comm. 
1921, 362 ss. 
(95) Fra le pi� tipiche decisioni in tal senso vedasi T.A.R. Toscana 21 giugno 
1978, n. 344, in. I T.A.R. 1978, I, 349, che recita, in parte qua: �L'accogli� 
mento del ricorso giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale non comporta 
soltanto l'annullamento dell'atto impugnato, ma altres� l'accertamento della 
situazione giuridica fatta valere dinanzi al giudice amministrativo, ossia in 
un certo modo la situazione giuridica controversa; pertanto, allorch� l'annullamento 
dell'atto non sia pienamente satisfattorio della pretesa di ulteriori 
provvedimenti dell'amministrazione, quest'ultima soggiace, nella rinnovazione 
dell'atto annullato, al vincolo, derivante dal giiudicato, di non pregiudicare 
l'interesse del ricorrente, nei limiti in cui dalla decisione sia stato riconosciuto 
giuridicamente protetto�. � 
(96) Art. 1-3-N-2 del disegno di legge di iniziativa parlamentare presentato 
dai deputati Martinazzoli ed altri il 9 luglio 1987 (Camera dei Deputati n. 788) 
intitolato � Delega al Governo per l'emanazione di norme sul processo amministrativo 
di;nanzi ai Tribunali Amministrativi regionali, al Consiglio di Stato 
ed al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, nonch� sul 
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e sui ricorsi amministrativi 
'" Il relativo testo riproduce quello approvato in sede referente dalla 
I Commissione nella IX Legislatura (A. C. 1353-1803-A). 

(97) F. BENVENUTI, Atti parlamentari ult. cit., seduta del 24 ottobre 1984. 
(98) M. NIGRO, Atti parlamentari ult. cit., seduta del 16 ottobre 1984. 
(99) A. NOCCEI.LI, Prin�ipio di partecipazione e funzione del giudice amministrativo, 
in Studi per il centocinquantenario cit., III, 1671-1672. 
(100) M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, 103. 
(101) cfr. nota (96). 

PARTE II, QUESTIONI 107 

giurisdizione gi� attribuite, all'espropriazione e all'occupazione di urgenza 
e alle prestazioni dei "-Pubblici servizi di sanit�, istruzione e assistenza 
pubbliche (102). Altra c�onferma viene dall'ultimo disegno di legge governativo 
sul procedimento, che riserva alla giurisdizione esclusiva le controversie 
in materia di accordi (103). 

Ove si ponga mente al fatto che normalmente la giurisdizione per 
materie � una � giurisdizione piena � (104), sembra potersi concludere 
che in via tendenziale attraverso l'evoluzione della giurisprudenza ed 
in via conclusiva attraverso le riforme legislative in itinere e che 
sembrano ormai mature (105), gran parte delle situazioni soggettive 
sostanziali finora qualificate come interessi legittimi � avviata a trovare 
nel processo amministrativo quella soluzione pienamente satisfattiva che 
il tradizionale giudizio rigorosamente cassatorio non assicurava se non 
in alcuni casi di degradazione o di affievolimento. 

N� a tale tipo di conclusione potrebbe opporsi il dettato della Costituzione 
in materia di situazioni soggettive e di riparto di giurisdizioni.A 
parte l'ovvia considerazione che ogni problema, anche formale, risulterebbe 
superato con l'ampliamento dell'area della giurisdizione esclusiva 
(la cui forza espansiva non sembra limitata in modo categorico dal 
costituente) (106), giova osservare come il compito del legislatore costituzionale 
sia quello di porre delle norme di principio e non quello di 
scrivere un dizionario giuridico: i termini ed i concetti usati nella 
Costituzione del '47 rispecchiano �i dati semantici che la cultura del 
tempo forniva� (107); riflettono, quindi, ovviamente un diritto vivente 
che era, in tema di interesse legittimo e di processo amministrativo, 
come si � accennato, tutto una intima anche s� elegante contraddizione. 

Sembra sussistere dunque per l'interprete un largo margine di manovra 
anche in materia di ridefinizione dei concetti di diritto e di 
interesse. 

In realt�, in materia di tutela giurisdizionale e di riparto delle giurisdizioni, 
fa voluntas legis del costituente mir� soprattutto (se non soltanto) 
ad assicurare il massimo di garanzia della giurisdizione per ogni 
possibile situazione giuridica soggettiva rilevante (diritti e interessi 
legittimi fu l'endiadi ritenuta esaustiva) e nei confronti di �tutti gli 
atti della p. a. � con esclusione di tutte quelle eccezioni (per categorie 
di atti e per mezzi di impugnazione) �di cui il precedente regime autoritario 
aveva offerto ricco florilegio (108). 

(102) Art. 1-3-b-3 del disegno di legge delega n. 788 cit. a nota (96). 
(1Q3) Art. 12 del disegno di legge presentato dal Presidente del Consiglio 
dei Ministri il 19 novembre 1987 (Camera dei deputati n. 1913), intitolato 
� Nuove . norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di 
accesso ai documenti amministrativi "� 

(104) F. MERUSI, Atti parlamentari ult. cit., seduta del 23 ottobre 1984. 
(105) Cfr. disegni di legge precedentemente citati. 
(106) F. LoNGO, Proposte per una riforma cit., 1350, nota 22. 
(107) A. ROMANO, IJ giudice amministrativo di fronte alla tutela degli interessi 
c.d. diffusi, Foro it., 1979, V, 8. 
(108) Sembra opportuno riport�re la dichiarazione formulata in occasione 
della discussione dell'art. 103 del Presidente Ruini: � Non occorre che ricordi 
da quali criteri era stata dettata la disposizione. Vi � stata, durante il fascismo, 
.}'abitudine di privare del ricorso giurisdizionale molte categorie di atti 
dell'autorit� amministrativa lesivi degli interessi . e dei diritti dei privati. 
Ad ogni pi� sospinto veniva una legge e pi� spesso un decreto-legge fascista 

108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Per un prossimo definitivo superamento della crisi del processo 

amministrativo sembra dunque doversi trarre favorevole auspicio dalla 

evoluzione della giurisprudenza e dalle innovazioni normative prossime 

venture in tema di processo e di procedimento. 

Il quadro della giustizia amministrativa ohe va delineandosi in pro


spettiva prevede infatti innanzitutto una piena tutela delle situazioni 

sostanziali qualificabili come diritti soggettivi e interessi legittimi oppo


sitivi o pretensivi a soddisfazione preregolata, con riparto di competenza 

giurisdizionale fra il giudice ordinario e un giudice amministrativo for


nito di poteri istruttori, cautelari e decisori atti a garantire il consegui


mento del bene della vita (un giudice amministrativo operante, quanto 

meno tendenzialmente, in sede di giurisdizione esclusiva) (109). Prevede 

in secondo luogo -soprattutto attraverso la tutela degli interessi dif


fusi e di quelli procedimentali in genere (110) -una indiretta tutela 

di tutti quegli interessi non contemplati nell'ordinamento come posi


zioni sostanziali attraverso la (possibile) partecipazione ad un procedi


mento connotato da caratteristiche giustiziali ed il cui atto terminale � 

comunque assoggettato ad un sindacato giurisdizionale di tipo cassatorio 

affidato al giudice amministrativo a garanzia del �rispetto delle regole 

del giusto procedimento. 

Mutatis mutandis il quadro appare singolarmente somigliante all'as


setto dettato dal legislatore del 1865/1889 'letto, naturalmente, in chiave 

evolutiva. 

Teoria dei corsi e ricorsi storici messa da parte, � questo un para


dosso che dimostra quanto in anticipo sui tempi fossero quelle riforme 

e quanto restrittiva fosse l'interpretazione a suo tempo fattane. 

Una interpretazione �liberale� degli artt. 2, 3, 4 e 5 della legge 
abolitrice del contenzioso amministrativo ben avrebbe consentito, infatti, 
al giudice ordinario italiano -come analoga normativa aveva consentito 
.al suo collega belga -di conoscere di � diritti civili � ancorch� direttamente 
aggrediti da atti amministrativi illegittimi (111) e di interpretare 
la locuzione �diritti politici� nel senso dei diritti soggettivi pubblici 

della dottrina tedesca (112). 

81 sarebbe cos� realizzata una accettabile tutela di quelli che si 

qualificherebbero oggi interessi oppositivi e interessi pretensivi a. sod


disfazione preregolata (o quanto meno di buona parte di essi) restando 

riservata la tutela degli interessi condizionati dal potere discrezionale 

�che diceva: per questi atti non � ammesso alcun ricorso n� davanti ai tribunali 

n� davanti al Consiglio di Stato. 

Ci� ha preoccupato la Commissione ed abbiamo di conseguente stabilito 

che non si pu� togliere ai cittadini, per segmento di materie e di atti, la 

garanzia del ricorso giurisdizionale. Nessun dubbio che filn qui tutti noi della 

Assemblea siamo d'accordo � (M. RUINI, in La Costituzione della Repubblica 

nei lavori preparatori dell'assemblea Costituente, vol. V, Camera dei Depu


tati, p. 4194). 

(109) cfr. G. BERTI, Momenti della trasformazione della giustizia amministrativa, 
Riv. Trim. dir. pubbl., 1972, 1861. 
(110) I. F. CARAMAZZA -F. SCLAFANI, Interesse legittimo e procedimento, in 
Rass. Avv. Stato 1988, Il, 1. 
(111) Cass. Napoli, 24 f~bbraio 1876, in Foro it., 1876, I, 202; G. GRECO, L'accertamento 
autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980, 77. 
(112) F. BENVENUTI, op. cit., 600. 

PARTE II, QUESTIONI 109 

della p. a. al procedimento � quasi giudiziale � contemplato dall'art. 3 
de1la Jegge del 1865, cui la riforma del 1889 doveva poi offrire l'ulteriore 
garanzia del contro11o cassatorio della IV Sezione del Consiglio di Stato. 

Le �cose, come si sa, andarono � diversamente. Probabilmente la legge 
abolitrice del 'contenzioso, come ha notato un autorevolissimo studioso 
della materia (113), era troppo in anticipo sui tempi. Speriamo che le 
leggi prossime venture che riformeranno il processo amministrativo e 
regoleranno il procedimento non siano troppo in ritardo. 

I. F. CARAMAZZA -F. QUADRI 
(113) M. NIGRO, op. ult. cit., 86. 

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RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

I -NORME PICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

codice di procedura civile, art. 404, nella parte in cui non ammette opposi� 
zione di terzo avverso l'ordinanza con la quale il Pretore dispone l'affranca� 
zione del fondo ex art. 4, legge 22 luglio 1966, n. 607. 

Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1105, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

codice penale, art. 219, terzo comma, nella parte in cui, per i casi ivi previsti, 
subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia 
al previo accertamento della pericolosit� sociale, derivante dalla seminfermit� , 
di mente, soltanto nel momento in cui la misura di sicurezza viene disposta 
e non anche nel momento della sua esecuzione. 

Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1102, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. 

codice penale, art. 626, primo comma, n. 1, nella parte in cui non estende 
la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o 
forza maggiore, della cosa sottratta. 

Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1085, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. 

codice di procedura penale, art. 399, primo comma [come sostituito ad opera 
dell'art. 11 della legge 31 luglio 1984, n. 400] nella parte in cui esclude il diritto 
dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti dell'art. 152, secondo comma, 
del codice di procedura penale, avverso la sentenza del pretore che lo 
abbia prosciolto per estinzione del reato per prescrizione. 

Sentenza 28 luglio 1988, n. 922, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

codice di procedura penale, art. 399, primo comma [come sostituito dal� 
l'art. 11 della legge 31 luglio 1984, n. 400], nella parte in cui esclude il diritto 
dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti dell'art. 152, secondo comma, 
del codice di procedura penale, avverso la sentenza del pretore che lo abbia 
prosciolto per estinzione del reato per amnistia. 

Sentenza 28 luglio 1988, n. 922, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 8, ultimo comma, e cLP.R. 14 febbraio 1964, 

n. 237, art. l, lett. b), nella parte in cui non prevedono che siano esentati dall'obbligo 
del servizio militare coloro che abbiano perduto la cittadinanza italiana 
a seguito dell'acquisto di quella di un altro Stato nel quale abbiano gi� 
prestato servizio militare. 
Sentenza 19 ottobre 1988, n. 974, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 



112 RASSEGNA DEU.'AV.VOCATURA DELLO STATO 

r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 247 [nel testo sostituito con legge 27 giugno 1942, 
n. 851]. 
Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988; n. 42. 

r.dJ. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 128 e legge 30 aprile 1969 n. 153, art. 69, nella 
parte in cui non consentono, entro i limiti stabiliti dall'art. 2 n. 1 del d.P.R. 
5 gennaio 1950, n. 180, la pignorabilit� per crediti alimentari delle pensioni corrisposte 
dall'INPS. 

Sentenza 30 novembre 1988, n. 1041, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. 

r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, art. 69, primo comma [conv. in legge 9 gennaio 1939, 
n. 41], nella parte in cui non prevede la facolt� di riscattare i periodi corrispondenti 
alla durata legale di corsi speciali di perfezionamento, il cui diploma 
di specializzazione sia stato richiesto, in aggiunta alla laurea, quale condizione 
necessaria per l'ammissione in servizio. 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1016, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 190, secondo comma, nella parte in cui fa decorrere 
il termine di decadenza di dieci giorni per il reclamo avverso il provvedimento 
del giudice delegato di cessazione degli effetti dell'amministrazione controllata, 
dalla data del decreto anzich� dalla sua rituale comunicazione all'inI


teressato. 

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Sentenza 26 luglio 1988, n. 881, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. ili 
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d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 2, primo comma, n. 3, nella parte in cui 
non prevede la pignorabilit� e la sequestrabilit� degli stipendi, salari e retribuI


zioni corrisposti dallo Stato, fino alla concorrenza di un quinto, per ogni credito 
vantato nei confronti del personale. 

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Sentenza 26 luglio 1988, n. 878, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

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legge 10 agosto 1950, n. 648, art. 64, secondo comma, limitatamente alle parole 
� non oltre il termine di un anno dalla cessazione dello stato di guerra'" 

Sentenza 21 luglio 1988, n. 828, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. 

legge prov. aut. di Bolzano 12 agosto 1951, n. 1, art. 6 [modificata dalla legge 
provinciale 1� settembre 1971, n. 12], nella parte in cui prevede che i due rappresentanti 
degli artigiani nella commissione per l'assistenza creditizia all'artigianato 

IIsiano �scelti da due terne designate dall'Associazione provinciale dell'artigianato 
� anzich� dalle organizzazioni artigiane pi� rappresentative della provincia. 

Sentenza 19 ottobre 1988, n. 975, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 

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d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, art. 39, primo comma, lett. c), e quarto comma, t 
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nella parte in cui non prevede che la sospensione di diritto abbia a cessare 
quando venga concessa la libert� provvisoria. 

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Sentenza 7 luglio 1988, n. 766, G. U. � 13 luglio 1988, n. 28. 

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PARm II, RASSEGNA DI LBGISLAZIONB 1.H 

dJ. P .R.S. 29 ottobre 1955, n. 6, art. 122, primo, secondo, terzo e quarto com 
m11 [riapprovato con legge regionale 15 marzo 1963, n. 16]. 

Sentenza 3 novembre 1988, n. 1007, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 

d.l.p. reg. sic. 29 ottobre 1955, n. 6, art. 236, nella parte in cui non prevede, 
in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento 
del procedimento disciplinare. 
Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

legge reg. Trentino-Alto Adige 17 maggio 1956, n. 7, art. 34, terzo comma, nella 
parte in cui prevede la notificazione dell'atto di opposizione alla stima all'espropriante 
e all'espropriato. 

Sentenza 7 luglio 1988, n. 767, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85, lett. a), nella parte in cui non prevede, 
in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l'apertura e lo svolgimento 
del procedimento disciplinare. 
Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 89, ultimo comma e 140, ultimo comma, 
nella parte in cui non prevedono che dall'imponibile da assoggettare ad imposta 
vada detratta anche una somma pari alla percentuale dell'indennit� di buonuscita 
corrispondente al rapporto esistente, alla data del collocamento a riposo, 
tra il contributo posto a carico del pubblico dipendente e l'aliquota complessiva 
del contributo previdenziale obbligatorio versato all'INADEL. 
Sentenza 26 luglio 1988, n. 877, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

legge 18 marzo 1958, n. 311, art. 12, secondo comma, nella parte in cui non 
richiama, ai fini della sua applicazione ai professori universitari di ruolo, anche 
l'art. 120 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. 

Sentenza 22 dicembre 1988, n. 1128, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 66, lett. a). 
Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 24, nella parte in cui non prevede, per le 
vigilatrici d'infanzia munite di diploma rilasciato dalle scuole convitto di cui 
all'art. 7 della legge 19 luglio 1940, n. 1098, la facolt� di riscatto del biennio 
corrispondente al relativo corso di studi, purch� il predetto diploma sia stato 
prescritto per l'ammissione ad uno dei posti occupati durante la carriera. 

Sentenza 7 luglio 1988, n. 765, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 1, lett. b) e legge 13 giugno 1912, n. 555, 
art. 8, ultimo comma, nella parte in cui non prevedono che siano esentati dall'obbligo 
del servizio militare coloro che abbiano perduto la cittadinanza italiana 

11.4 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

a seguito dell'acquisto di quella di un altro Stato nel quale abbiano gi� prestato 
servizio militare. 

Sentenza 19 ottobre 1988, n. 974, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 1 e 4, nella parte in cui non prevedono 
l'assicurazione obbligatoria a favore degli artigiani italiani che lavorano all'estero. 
Sentenza 26 luglio 1988, n. 880, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 215, primo comma, nella parte in cui, per i 
casi di infortunio sul lavoro in agricoltura, richiede, ai fini della corresponsione 
della rendita, un grado di inabilit� permanente parziale superiore al quindici per 
cento, anzich� al dieci per cento. 
Sentenza 22 dicembre 1988, n. 1129, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma, nella parte in cui non 
consente l'integrazione al minimo della pensione di riversibilit� erogata dalla Gestione 
Speciale Commercianti per i titolari di pensione diretta INPS. 

Sentenza 13 dicembre 1988 G. U. 21 �dicembre 1988, n. 51. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 2 primo comma, lett. a), b), e c), nella parte 
in cui prevede che il dipendente iscritto all'INADEL consegue il diritto all'indennit� 
premio di servizio qualora abbia almeno due anni di iscrizione all'ente 
ed abbia prestato servizio per un periodo variabile da quindici a venticinque 
anni, secondo la causa di cessazione dal servizio medesimo. 

Sentenza 30 giugno 1988, n. 763, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

legge 8 marzo 1968, n. 152, art. 3, nella parte in cui subordina il diritto dei 
collaterali dell'iscritto all'INADEL all'erogazione dell'indennit� premio di servizio 
nella forma indiretta alle condizioni della loro inabilit� a proficuo lavoro, 
della nullatenenza e della convivenza a carico dell'iscritto stesso. 

Sentenza 14 luglio 1988, n. 821, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 69 e r.d.I. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 128, nella 
parte in cui non consentono, entro i limiti stabiliti dall'art. 2, n. 1 del d.P.R. 
5 gennaio 1950, n. 180, la pignorabilit� per crediti alimentari delle pensioni corri 
sposte dall'INPS. 

Sentenza 30 novembre 1988, n. 1041, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. 

legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 15, primo comma, nella parte in cui esclude 
dal diritto all'indennit� giornaliera pari all'80% della retribuzione, per il 
periodo compreso tra la fine del terzo mese dopo il parto e la fine del settimo 
mese dopo il parto, la lavoratrice madre addetta a lavori pericolosi, faticosi e 
insalubri che, non potendo essere spostata ad altre mansioni, sia costretta ad 
assentarsi dal lavoro per avviso del competente Ispettorato del lavoro. 

Sentenza 19 ottobre 1988, n. 972, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 



PARIB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE t1J 

legge prov. di Bolzano 20 agostp 1972, n. 15, art. 14 [nel testo modificato' 
dall'art. 8 della legge prov. di Bolzano 22 maggio 1978, n. 23] nella parte in cui 
prevede la notificazione all'espropriante dell'atto di opposizione alla stima. 

Sentenza 7 luglio 1988, n. 767, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

legge prov. di Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 14, primo comma [nel testo 
modificato dall'art. 8 della I. prov. 6 maggio 1976, �n. 10], nella parte in cui prevede 
che l'opposizione alla stima dell'ufficio tecnico provinciale sia proposta 
� davanti alla Corte d'appello competente per territorio �. 

Sentenza 7 luglio 1988, n. 767, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

legge 2 febbraio 1973, n. 12, art. 20, primo comma, lett. a), nella parte in cui 
esclude dal diritto a pensione di riversibilit� il coniuge superstite quando � sia 
stata pronunciata sentenza di separazione legale per colpa dello stesso �. 

Sentenza 3 novembre 1988, n. 1009, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 1 [quale sostituito ad opera dell'art. 45 della 
legge 14 aprile 1975; n. 103], nella parte in cui ricomprende nella previsione del 
suo primo comma gli apparecchi radioelettrici ricetrasmittenti di debole potenza 
di tipo portatile indicati nell'art. 334, primo comma, dello stesso d.P.R., 
anzich� includerli tra le ipotesi di assoggettamento ad autorizzazione contemplate 
dal secondo comma del medesimo art. 1. 
Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 6, nella parte in cui dispone che il concessionario 
del servizio telefonico non � tenuto al risarcimento dei danni per le 
interruzioni del servizio dovute a sua colpa, al di fuori dei limiti fissati nell'art. 
89, secondo comma, del r.d. 19 luglio 1941, n. 1198. 
Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1104, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 183, primo comma [quale sostituito ad opera 
dell'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103], nella parte in cui prevede l'assogget� 
tamento a concessione, anzich� ad autorizzazione, degli apparecchi contemplati 
dall'art. 334, primo comma, dello stesso d.P.R. � 
Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 [quale sostituito ad opera dell'art. 45 della 
legge 14 aprile 1975, n. 103], nella parte in cui comprende gli apparecchi contemplati 
dall'art. 334 dello stesso d.P.R. tra gli impianti radioelettrici soggetti a 
concessione, anzich� tra quelli sottoposti ad autorizzazione. 
Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 334, terzo, quarto, quinto e sesto comma4 
nella parte in cui assoggetta gli apparecchi contemplati dal primo comma del 
medesimo articolo alla concessione anzich� all'autorizzazione. 
Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030; G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 


116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 13 maggio 1975, n. 157, art. 1, secondo comma. 

Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 2, terzo comma, e legge 7 luglio 1980, n. 299, 
art. 4, primo comma, nella parte in cui non prevedono che il calcolo della riserva 
matematica ai fini della determinazione del contributo per la ricongiunzione dei 
periodi assicurativi sia effettuato anche per i dipendenti pubblici di sesso femminile 
secondo le tabelle predisposte, in applicazione dell'art. 13, ultimo comma, 
della legge 12 agosto 1962, n. 1338, per i dipendenti di sesso maschile. 

Sentenza 7 luglio 1988, n. 764, G.U. 13 luglio 1988, n. 28. 

d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 57, lett. a). 
Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, tabella allegato 2, nella parte in cui non 
prevede l'inquadramento nella posizione funzionale di assistente sociale coordinatore 
del personale proveniente dagli enti locali e trasferito alle UU.SS.LL. che, 
alla data del 20 dicembre 1979, abbia prestato attivit� di servizio per almeno 
otto anni con la qualifica di assistente sociale nell'ente di provenienza. 
Sentenza 21 luglio 1988, n. 827, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. 

I 

legge reg. Sicilia 4 gennaio 1980, n. 1, art. 13, ultimo comma, nella parte 
in cui prescrive che le convenzioni ivi previste sono stipulate � prescindendo 

I

dal parere prescritto dall'art. 5 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, e ~ 

f::

successive modificazioni �. 

I ~ 

Sentenza 27 ottobre 1988, n. 991, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 

legge 11 febbraio 1980, n. 19, nella parte in cui non contempla tra i desti


I 

natari dei benefici in essa previsti i pensionati della C.P.D.E.L. che fruiscano 
di pensioni o assegni privilegiati nella misura e per le infermit� previste dall'art. 
1 di detta legge. 

Sentenza 26 luglio 1988, n. 875, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

I 

legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 4, primo comma, e legge 7 febbraio 1979, 
n; 29, art. 2, terzo comma, nella parte in cui non prevedono che il calcolo della 
riserva matematica ai fini della determinazione del contributo per la ricongiunzione 
dei periodi assicurativi sia effettuato anche per i dipendenti pubblici 
di sesso femminile secondo le tabelle predisposte in applicazione dell'art. 13, 
ultimo comma, della legge 12 agosto 1962, n. 1338, per i dipendenti di sesso 
maschile. 

Sentenza 7 luglio 1988, n. 764, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 2, sesto comma. 

Sentenza 3 novembre 1988, n. 1008, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 

I

I

I 


PARTE II, RASSEGNA DI UlGISLAZIONB 

legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 2, ottavo comma, nella parte in cui 
dispone che il supplemento della pensione, spettante a coloro che dopo la 
maturazione del diritto a pensione continuano per cinque anni l'esercizio della 
professione, � � pari, per ognuno di tali anni, alla met� delle percentuali di 
cui al primo e al quinto comma, riferite alla media dei redditi professionali 
risultanti dalle dichiarazioni successive a quelle considerate per il calcolo del 
pensionamento � anzich� alle percentuali intere. 

Sentenza 3 novembre 1988, n. 1008, G. u, 9 novembre 1988, n. 45. 

legge regione Valle d'Aosta riapprovata il 17 ottobre 1980. 

Sentenza 15 novembre 1988, n. 1029, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

legg� reg. Veneto� 31 ottobre 1980, n. 88, art. 39, primo comma, lett. b). 

Sentenza 27 ottobre 1988, n. 993, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 

legge reg. Liguria approvata il 16 settembre 1981, art. 4, quinto comma. 

Sentenza 30 giugno 1988, n. 728, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, art. 8, lett. a). 
Sentenza 14 ottobre 1988, n. 971, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

legge provincia di Trento 26 aprile 1982, n. 8. 

Sentenza 26 luglio 1988, n. 876, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, ottavo comma, nella parte in cui non 
prevede, per i lavoratori prossimi alla pensione al momento della sua entrata 
in vigore, o gi� pensionati, il mantenimento in vigore, ai fini della liquidazione 
della pensione stessa, dei criteri dettati dall'art. 26, terzo comma, della legge 
3 giugno 1975, n. 160. 

Sentenza 14 luglio 1988, n. 822, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 32, quarto comma, e legge 22 dicembre 
1984, n. 887, art. 15, nella parte in cui non consentivano -con le stesse modalit� 
ivi contemplate ai fini della assunzione della spesa a carico del Servizio 
sanitario nazionale -fa eseguibilit� delle prestazioni di diagnostica specialistica 
ad alto costo anche presso strutture private convenzionate, allorch� queste 
ultime fossero le uniche detentrici delle relative apparecchiature e gli inerenti 
accertamenti risultassero indispensabili. 

Sentenza 27 ottobre 1988, n. 992, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 

legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 23, quarto comma (artt. 
108 e 117 della Costituzione). 

Sentenza 30 giugno 1988, n. 727, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

20 


118 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 22 dicembre 1984, n. 887, art. 15 e legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 32, 
nella parte in cui non consentivano -con le stesse modalit� ivi contemplate 
ai fini della assunzione della spesa a carico del Servizio sanitario nazionale la 
eseguibilit� delle prestazioni di diagnostica specialistica ad alto costo anche 
presso strutture private convenzionate allorch� queste ultime fossero le uniche 
detentrici delle relative apparecchiature e gli inerenti accertamenti risultassero 
indispensabili. 

Sentenza 27 ottobre 1988, n. 992, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 

legge reg. Liguria riapprovata il 25 marzo 1985. 

Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1103, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

legge interpretativa della regione Lombardia 27 marzo 1985, n. 22, art. 1, 
terzo comma, lett. b), nella parte in cui, vincolando l'interpretazione dell'art. 36, 
comma quarto, lett. c/3 della l.r. 29 novembre 1984, n. 60, stabilisce che nel� 
l'espressione � analoghi '" riferita ai centri regionali di formazione professionale, 
si debbano considerare esclusivamente i centri e le scuole della Regione, 
e non anche quelli organizzati a livello comunale. 

Sentenza 26 luglio 1988, n. 879, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

legge 17 maggio 1985, n. 210, artt. 20 e 21, nella parte in cui non prevedono 
l'applicazione della disciplina normativa vigente per la provincia autonoma di 
Bolzano, in materia di proporzionale etnica e di parit� linguistica. 

Sentenza 7 luglio 1988, n. 768, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

legge reg. Sardegna approvata il 4 febbraio 1986 e riapprovata il 15 mag� 
gio 1986 (artt. 51, primo comma, e 97, terzo comma, della Costituzione). 

Sentenza 30 giugno 1988, n. 726, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

legge 5 dicembre 1986, n. 856, art. 3, quarto comma, nella parte in cui, ai 
fini del pensionamento anticipato obbligatorio del personale esuberante, fissa 
per le donne un limite d'et� (cinquant'anni) diverso ed inferiore rispetto a 
quello (cinquantacinque anni) stabilito per gli uomini. 

Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1106, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, art. 1, ultimo comma [convertito in legge 6 feb� 
braio 1987, n. 15]. 
Sentenza 26 luglio 1988, n. 882, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

legge reg. Veneto approvata il 28 febbraio 1986 e riapprovata il 19 dicembre 
1986, art. 3, secondo comma. 

Sentenza 19 ottobre 1988, n. 973, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 

d.l. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma [conv. in legge 29 ottobre 
1987, n. 440], nella parte in cui dispone che � le somme dovute a titolo di 
riliquidazione della indennit� premio di servizio non danno luogo a corresponsione 
di interessi �. 
Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1060, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. 


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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

dJ. 7 settembre 1987, n. 371, art. 1, lett. a) [conv. dall'art. 1, primo comma, 
della legge 29 ottobre 1987, n. 449], nella parte in cui si riferisce ai �musei e 
biblioteche di enti locali �. 

Sentenza 28 luglio 1988, n. 921, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

legge reg. Campania approvata il 2 luglio 1986 e riapprovata il 27 novembre 
1987. � 

Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1061, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50., 

legge reg. Emilia-Romagna 13 gennaio 1988, n. 131. 
Sentenza 30 novembre 1988, n. 1042, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. 


legge reg. Liguria riapprovata il 27 gennaio 1988. 
Sentenza 22 dicembre 1988, n. 1127, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 


II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

Codice civile, art. 2120, terzo comma [modificato dalla legge 29 maggio 1982, 

n. 
297] (art. 52, secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 14 luglio 1988, n. 802, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. 
codice civile, art. 2947, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 30 giugno 1988, n. 732, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

codice penale, art. 528 (artt. 3, primo comma, e 21, primo e secondo comma, 
della Costituzione). 

Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1063, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. 

codice penale, art. 724, primo comma (artt. 2, 3, 7, 8 e 19 della: Costituzione). 
Sentenza 28 luglio 1988, n. 925, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

codice penale, art. 724, primo comma (art. 25 della Costituzione). 
Sentenza 28 luglio 1988, n. 925, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 


codice di procedura penale, art. 26 (artt. 3, 25, primo comma, e 103, secondo 
comma, della Costituzione). 

Sentenza 7 luglio 1988, n. 773, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

R.D.L. 3 marzo 1938, n. 680, art. 5, lett. p) (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 19 ottobre 1988, n. 979, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 

1.20 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 24 (artt. 3 e 25 della Costituzione). 
Sentenza 7 luglio 1988, n. 778, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 
R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 101, secondo comma (artt. 3 e 34 della 
Costituzione). 
Sentenza 30 novembre 1988, n. 1045, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. 

legge 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6, ultimo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). 


Sentenza 9 novembre 1988, n. 1021, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

legge 2 marzo 1949, n. 144, art. 15 (artt. 3 e 35 della Costituzione). 
Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1064, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. 


dJ. 5 maggio 1957, n. 271, art. 13, primo comma [conv. in legge 2 luglio 
1957, n. 474] (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 26 luglio 1988, n. 887, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, artt. 2, 4 e 5 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1109, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

legge 29 novembre 1962, n. 1680, art. 1, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 


Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1113, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

legge reg. Sicilia 3 febbraio 1968, n. 1, art. 4, terzo comma (artt. 5, 114 e 
128 della Costituzione e 14 statuto spec. reg. siciliana). 

Sentenza 3 novembre 1988, n. 1010, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 

legge 2 aprile 1968, n. 482, art: 5 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1088, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. 


legge 1� dicembre 1970, n. 898, art. 9, secondo comma [modif. dall'art. 13 
della legge 6 marzo 1987, n. 74] (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 7 luglio 1988, n. 777, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

legge reg. siciliana 23 marzo 1971, n. 7, art. 52, primo comma (artt. 3 e 97 
della Costituzione e 14 statuto reg. Sicilia). 

Sentenza 15 novembre 1988, n. 1032, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 12, primo comma, e 17, secondo comma 
(art. 42, terzo comma, della Costituzione). 

Sentenza 9 novembre 1988, n. 1022, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, art. 50 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1018, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 
legge prov. Bolzano 20 agosto 1972, n. 15, art. 14 [nel testo modificato dal� 
l'art. 8 della 1. prov. Bolzano 22 maggio 1978, n. 23], nella parte in cui prevede 
la notificazione dell'atto di opposizione alla stima alla Provincia di Bolzano 
(artt. 108, 116, 117 della Costituzione e 4, 8, 9 dello statuto spec. Trentino-Alto 
Adige). 

Sentenza 7 luglio 1988, n. 767, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1 e 183 [quali sostituiti ad opera dell'art. 45 
legge 103 del 1975] (artt. 3, 15, 21 e 41 della Costituzione). 
Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 1 e 183 [quali sostituiti ad opera dell'art. 45 
della legge 14 aprile 1975, n. 103] (art. 21 della Costituzione). 
Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, combinato disposto artt. 1, 183 e 195 (artt. 21, 
primo 
comma, 41, primo comma, 9, 33 e 34 della Costituzione). 
Sentenza 14 luglio 1988, n. 826, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183, 195 e 334 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 [quale sostituito ad opera dell'art. 45 
legge 103 del 1975] (art. 21 della Costituzione). 
Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 195, 183, 213, 322, 190, 191 e 218 [i primi due 
quali sostituiti dall'art. 45 della legge 103 del 1975] (artt. 41 e 43 della Costi� 
tuzione). 
Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

legge 12 giugno 1973, n. 349, art. 7, ultimo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
(Sentenza 6 ottobre 1988, n. 958, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 

legge prov. di Trento 30 settembre 1974, n. 26, art. 8 (artt. 4 e 8 dello 
statuto Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1107, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

legge 20 marzo 1975, n. 70, art. 8 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 28 luglio 1988, n. 928, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 



122 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 17 luglio 1975, n. 355, articolo unico (artt. 3, primo comma, e 21, 
primo e secondo comma, della Costituzione). 

Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1063, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. 

legge 26 luglio. 1975, n. 354, art. 22 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1087, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. 


d.P.R. 4 luglio 1977, n. 436 (artt. 8, n. 4; 9, n. 2; 16, 19 e 68 dello statuto speciale 
per il Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 30 giugno 1988, n. 741, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

legge 11 agosto 1977, n. 675, artt. 4, sesto comma; 5, quinto comma; 22, penul� 
timo comma; 29, ultimo comma (artt. 8 n. 23, 9 nn. 4 e 5; 15 e 16 dello statuto 
speciale per il Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 30 giugno 1988, n. 734, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

legge 27 dicembre 1977, n. 968, artt. 1, 2 e 11 (artt. 8, nn. 15 e 16 dello statuto 
spec. Trentino-Alto Adige e 116 della Costituzione). 

Sentenza 27 ottobre 1988, n. 1002, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 

legge reg. Abruzzo approvata il 30 dicembre 1977 (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 30 giugno 1988, n. 735, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 59 e 60 (artt. 3, 10, 42 e 47 della Costituzione). 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1028, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

legge reg. Abruzzo, riapprovata il 22 novembre 1978 (artt. 51, 97 e 117 della 
Costituzione). 

Sentenza 27 ottobre 1988, n. 997, G. U. 2 novembTe 1988, n. 44. 

legge reg. Toscana 13 dicembre 1978, n. 79, art. 1 (art. 117 della Costituzione). 


Sentenza 7 luglio 1988, n. 772, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

legge reg. Piemonte 20 febbraio 1979, n. 6, art. 16 (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 7 luglio 1988, n. 772, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

legge reg. Sicilia 4 gennaio 1980, n. 1, artt. 3 e 32 (art. 14, lett. l, dello 
statuto reg. Sicilia). 

Sentenza 27 ottobre 1988, n. 991, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 

legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 4, ultimo comma (artt. 3 e 97 della Costi� 
tuzione). 

Sentenza 25 ottobre 1988, n. 990, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 


PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
1.21 

legge 21 febbraio 1980, n. 28, artt. � 12, lett. o) e 4, lett. c) (artt. 3, 36 e 97 
della Costituzione). 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

legge 31 marzo 1980, n. 126, artt. 2 e 3 (artt. 8 n. 25, 9 n. 10, 16, primo comma 
e 18, secondo comma dello statuto prov. Trento e Bolzano). 
Sentenza 13 ottobre .1988, n. 963, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, artt. 6 e 36, secondo, terzo e quarto co~ 
(art. 3 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 25 ottobre 1988, n. 990, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 

d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36, ottavo comma (art. 36 della Costituzione). 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, n. 8 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1020, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

legjge reg. Veneto 30 aprile 1981, n. 16, art. 8, secondo comma (artt. 1170 
primo e secondo comma, e 128 della Costituzione). 
Sentenza 3 novembre 1988, n. 1012, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 

d.l. 6 giugno 1981, n. 283, artt. 11 e 11-ter [conv. in legge 6 agosto 1981, 
n. 
432] (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 
d.l. 6 giugno 1981, n. 283, artt. 11 e 11-ter [conv. in legge 6 agosto 1981, n. 432] 
(art. 76 della Costituzione). � � 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

legge reg. Toscana riapprovata il 30 giugno 1981 (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 21 luglio 1988, n. 829, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. � 

legge 15 ottobre 1981, n. 590, (artt. 8, nn. 13, 17, 21, 24; 16, primo comma; 
107 e seguenti dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 13 ottobre 1988, n. 965, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

legge 14 novembre 1981, n. 648, art. 3 (artt. 3, lett. p), dello statuto reg. 
sardo e 4, n. 10, dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia). 
Sentenza 28 luglio 1988, n. 924, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 


124 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, art. 13, quarto, quinto e sesto comma [conv. 
in legge 26 febbraio 1982, n. 51] (artt. 100 e 130 della Costituzione e artt. 15 
e 23 dello statuto reg. Sicilia). 
Sentenza 13 ottobre 1988, n. 961, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

legge prov. autonoma di Bolzano, riapprovata il 15 gennaio 1982 (artt. 5 e 
9, n. 10, dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 3 novembre 1988, n. 1011, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 

legge 22 gennaio 1982, n. 6, art. 1 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

d.l. 23 gennaio 1982, n. 9, artt. 6, 7, 8 e 9 [conv. in legge 25 marzo 1982, n. 94] 
(art. 3, lett. f) statuto reg. Sardegna e art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 15 novembre 1988, n. 1033, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

legge 25 gennaio 1982, n. 17, art. 4 undicesimo comma (art. 3 della Costituzione). 


Sentenza 19 ottobre 1988, n. 978, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 

legge reg. Friuli-Venezia Giulia, approvata il 16 ottobre 1981 e riapprovata 
il 1� febbraio 1982 (artt. 117 della Costituzione e 4, n. 4, dello statuto FriuliVenezia 
Giulia). 

Sentenza 19 ottobre 1988, n. 976, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 

legge reg. Liguria 17 febbraio 1982, n. 8, art. 4 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 30 giugno 1988, n. 733, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

legge reg. Puglia 19 marzo 1982, n. 12, art. 77 (art. 117 della 'Costituzione). 
Sentenza 19 ottobre 1988, n. 979, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 

legge reg. Lombardia 28 giugno 1982, n. 29, art. 2, terzo comma (artt. 3, 4, 
5, 97 e 117 della Costituzione). 

Sentenza 26 luglio 1988, n. 879, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

legge reg. Lombardia 30 giugno 1982, n. 30, art. 1, secondo comma (artt. 3, 
4, 51 e 97 della Costituzione). 

Sentenza 13 ottobre 1988, n. 964, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

legge 14 agosto 1982, n. 590, art. 34 (art. 33, ultimo comma della CostitU7jone). 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1017, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

legge 13 settembre 1982, n. 646, [cosi come sostituito dall'art. 1 della legge 
12 ottobre 1982, n. 726] (artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione), 

Sentenza 9 novembre 1988, n. 1023, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.I. 27 settembre 1982, n. 681, art. 1 [conv. in legge 20 novembre 1982, n. 869] 
(artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

d.I. 27 settembre 1982, n. 681, art. 1, ultimo comma [conv. in legge 20 novembre 
1982, n. 869] (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 9 novembre 1988, n. 1019, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

legge 31 dicembre 1982, n. 979, art. 1, ultimo comma (artt. 4, nn. 3, 10, 12 
e 5, n. 16, dello statuto spec. reg. Friuli-Venezia Giulia). 

Sentenza 15 novembre 1988, n. 1031, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

legge 31 dicembre 1982, n. 979, artt. 1, 25, 26, 27, 28 e 31 (artt. 4, nn. 3, 10, 
12 e 5, n. 16, dello statuto spec. reg. Friuli-Venezia Giulia). 

Sentenza 15 novembre 1988, n. 1031, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

legge 31 dicembre 1982, n. 979, artt. 25, 26, 27, 28 e 31 (artt. 117 della Costituzione). 
Sentenza 15 novembre 1988, n. 1031, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

cl.I. 
29 gennaio 1983, n. 17, art. 6 [conv. in legge 25 marzo 1983, n. 79] 
(artt. 3 e 
31 della Costituzione). 
Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1067, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. 

legge reg. Lombardia riapprovata il 19 maggio 1983 (art. 117 della Costituzione). 


Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1108, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

d.I. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, ottavo comma [conv. in legge 11 novem� 
bre 1983, n. 638] (artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1118, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

legge prov. Trento 23 novembre 1983, n. 41, art. 7 (artt. 4 e 8 dello statuto 
Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1107, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

legge 19 dicembre 1983, n. 696, art. 1 (artt. 8, n. 9; 9, n. 8; 15; 16; 78 e 79 dello 
statuto spec. Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 14 �luglio 1988, n. 7%, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. 

legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 23, primo comma, 
lett. b) (art. 117 della Costituzione). 

Sentenza 30 giugno 1988, n. 727, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 


1.26 

"RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 26, primo e secondo 
comma (art. 117 della Costituzione). 

Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1115, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

d.l. 17 aprlle 1984, n. 70, art. 2, secondo comma [conv. in legge 12 giugno 
1984, n. 219] (artt. 3 e 31 della Costituzione). 
Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1067, G. U. 14 dicembre 1988, n. SO. 

legge 16 maggio 1984, n. 138, art. 5, primo e ultimo comma (art. 3, lett. a) 
statuto spec. Sardegna). 

Sentenza 27 ottobre 1988, n. 998, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 

legge 12 giugno 1984, n. 222, art. 2, primo comma, e 12, primo comma 
(artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1116, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

legge 4 agosto 1984, n. 424, art. 1 (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 30 giugno 1988, n. 729, G. U 6 luglio 1988, n. 27. 


legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 4, terzo, quarto, ottavo e tredicesimo eomma 
(artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 

Sentenza 13 dicembre 1988, n. 1089, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. 

legge reg. siciliana 10 agosto 1984, n. 46, art. 9 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 28 luglio 1988, n. 923, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

legge reg. siciliana 21 agosto 1984, n. 67, art. 1 (art. 17 dello statuto regionale 
della Sicilia e artt. 2, 3, 25, secondo comma, e 32, primo comma, della Costituzione). 


Sentenza 19 ottobre 1988, n. 981, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 

d.I. 6 dicembre 1984, n. 807, artt. 3, primo, secondo e terzo comma, e 4, 
<:omma terzo bis [come conv. in legge 4 febbraio 1985, n. 10] (artt. 3 e 21 della 
Costituzione). 
Sentenza 14 luglio 1988, n. 826, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. 

d.l. 6 dicembre 1984, n. 807, art. 4, comma terzo bis [conv. in legge 4 febbraio 
1985, n. 10] (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 15 novembre 1988, n. 1030, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

legge prov. Trento 28 dicembre 1984, n. 17, art. 2 (artt. 4 e 8 dello statuto 
Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1107, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 



��. 

PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB 

legge 17. maggio 1985, n. 210, artt. 1, 2, 14, 15, 18, 22 e 25 (artt. 3; 8, nn. 5, 18 
e 29; 14; 16; 68 e 107 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 7 luglio 1988, n. 768, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

d.I. 2 dicembre 1985, n. 688, art. 4 [conv. in legge 31 gennaio 1986, n. 11] 
(artt. 3, primo comma, 42, 81 e 119 della Costituzione). 
Sentenza 30 giugno 1988, n. 742, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

dJ. 6 gennaio 1986, n. 2, art. 1, sesto comma [conv. in legge 7 marzo 1986, 

n. 60] (artt. 3 e 35 della Costituzione). 
Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1114, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

dJ. 18 giugno 1986, n. 282, artt. 7, primo e terzo comma; 16; 18, primo e 
terzo comma; 20; 23 [conv. in legge 7 agosto 1986, n. 462] (artt. 2, 8, nn. 1 e 21; 
9, n. 10; 16 e 78 dello statuto spec. per il Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 30 giugno 1988, n. 745, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

legge reg. Marche approvata il 29 luglio 1986 e riapprovata il 2 dicembre 
1986 (art. 117 della Costituzione). 

Sentenza 30 giugno 1988, n. 746, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

legge reg. Veneto, approvata il 28 febbraio 1986 e riapprovata il 19 dicembre 
1986, art. 2 (artt. 97 e 117 della Costituzione). 

Sentenza 19 ottobre 1988, n. 973, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 

legge 28 febbraio 1987, n. 56, art. 5, lett. b) e d) (artt. 117 e 118 della Costituzione). 


Sentenza 14 luglio 1988, n. 799, G. U. 20 luglio 1988, n. 29. 

legge 3 marzo 1987, n. 61, art. 1, tredicesimo comma (art. 3 della Costi� 
tuzione). 

Sentenza 26 luglio 1988, n. 885, G. U. 3 agosto 1988. n. 31. 

dJ. 4 agosto 1987, n. 326, art. 2, quarto comma, e 3, primo comma [nel testo 
sost. dalla legge 3 ottobre 1987, n. 403] (artt. 14, lett. q, 17, lett. i, 19 e 36 dello 
statuto reg. siciliana). 

Sentenza 6 ottobre 1988, n. 959, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 

dJ. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma [conv. in legge 29 ottobre 
1987, n. 440], nella parte in cui dispone che � le somme dovute a titolo di riliquidazione 
delle indennit� premio di servizio non danno luogo a rivalutazione 
monetaria � (artt. 3, 24, 36, 38, 97 e 113 della Costituzione). 

Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1060, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. 


1.28 RASJSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 30 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] 
(art. 77 della Costituzione). 
Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1060, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. 

d.I. 7 settembre 1987, n. 371, artt. 1, lett. b) e c), 2 e 4, commi secondo, terzo, 
quarto e quinto [come convertito in legge 29 ottobre 1987, n. 449] (artt. 117, 118 
e 119 della Costituzione). 
Sentenza 28 luglio 1988, n. 921, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

d.l. 19 settembre 1987, n. 384, [conv. in legge 19 novembre 1987, n. 470] (artt. 8, 
primo comma, nn. 5, 9, 10, 13, 18, 20, 21; 9, primo comma, nn. 3, 8, 11; 16, primo 
comma; 52 e 79 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 13 ottobre 1988, n. 966, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

d.I. 2 febbraio 1988, n. 22, artt. 1, quarto e sesto comma, 2, primo comma, 
5, primo comma, 6, primo e secondo comma, 7, terzo comma, e 8, secondo com� 
ma (artt. 9, n. 11, 16 e da 69 a 86 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1111, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

I

d.l. 2 febbraio 1988, n. 22, art. 1, quinto comma (artt. 9, n. 11, 16 e da 69 fil 
a 86 dello Statuto speciale Trentino-Alto Adige). fil 
Sentenza 20 dicembre 1988, n. 1111, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 
' 

, 

d.l. 1 aprile 1988, n. 103, art. 1 [conv. in legge 1 giugno 1988, n. 176] (artt. 117, 
118, 119, 77 e 97 della Costituzione). '
! 

Sentenza 30 novembre 1988, n. 1044, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. fil 

legge reg. Valle d'Aosta riapprovata il 6 aprile 1988 (artt. 3, 5, 41, 81, 97, 
primo comma, 120 e 127 della Costituzione e 3 e 51 dello statuto speciale Valle 
d'Aosta). 

I

Sentenza 6 dicembre 1988, n. 1066, G. U. 14 dicembre 1988, n. 50. 

I 

III � QUESTIONI PROPOSTE 

II

Codice civile, artt. 2086, 2087, 2095, 2099 e 2103 (art. 41 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanza 18 novembre 1986, n. 370/88, G. U. 14 settem~ 
bre 1988, n. 37. 

codice civile, art. 2120, terzo comma (art. 52 della Costituzione). 
Pretore di Brunico, ordinanza 4 maggio 1988, n. 454, G. U. 19 ottobre 1988, 


n. 42. 
codice civile, art. 2909 (artt. 3, 24, 102 e 106 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 9 marzo 1988, n. 418, G. U. 28 settembre 1988, 

n. 39. 
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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 129 

di!lposizioni attuazione codice civile, artt. 64, 118, 119 e 120 (artt. 3 e 101 
della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, 

n. 43. 
codice di procedura civile, artt. 44 e 45 (art. 25 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 14 marzo 1988, n. 419, G. U. 12 ottobre 1988, 

n. 41. 
codice di procedura civile, art. 103, secondo comma (art. 25 della Costituzione). 


Pretore di Torino, ordinanza 14 marzo 1988, n. 419, G. U. 12 ottobre 1988, 

n. 41. 
codice di procedura civile, artt. 113, secondo comma e 324 (artt. 3, 24, 102 e 
106 della Costituzione). 

Pretore di Torino, ordinanza 9 marzo 1988, n. 418, G. U. 28 settembre 1988, 
n.. 39. 

codice di procedura civile, art. 131 (artt. 3 e 28 della Costituzione). 

Tribunale di Biella, ordinanza 10 maggio 1988, n. 327, G.. U. 27 luglio 1988, 

n. 30. 
codice di procedura civile, art. 131 [nel comma aggiunto dalla legge 13 aprile 
1988, n. 117, art. 16, secondo e terzo punto] (artt. 3, 97, 101 e 108 della Costi� 
tuzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 3 maggio 1988, 

n. 448, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. 
codice di procedura civile, art. 131, ultimo comma [aggiunto dall'art. 16, 
secondo comma, della legge 13 aprile 1988, n. 117] (artt. 3, 97, 101 e 1041 della 
Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 12 maggio 1988, n. 681, G. U. 30 novembre 
1988, n. 48. 
Tribunale di Roma, ordinanze (due) 10 e 2 maggio 1988, nn. 721-722, G. U. 
7 dicembre 1988, n. 49. 
Tribunale di Catanzar�, ordinanza 2 maggio 1988, n. 762, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

codice di procedura civile, art. 131, ultimo comma [introdotto dall'art. 16, 
secondo comma, della legge 13 aprile 1988, n. 117] (artt. 3, 101 e 104 della Costituzione). 


Tribunale di Catanzaro, ordinanza 2 maggio 1988, n. 350, G. U. 3 agosto 
1988, n. 31. 

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HO RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

Tribunale di Catanzaro, ordinanze (sette) 4 maggio 1988, nn. 599-605, G. U. 
9 novembre 1988, n. 45. 
Tribunale di Catanzaro, ordinanze (due) 4 maggio 1988, nn. 635 e 636, G. U. 
23 novembre 1988, n. 47. 
Tribunale di Catanzaro, ordinanze (tre) 2 maggio 1988, nn. 766-768, G. U. 
28 dicembre 1988, n. 52. 

codice di procedura civile, art. 131, ultimo comma [aggiunto dalla legge 
13 aprile 1988, n. 117, art. 16, secondo comma] (artt. 101 e 104 della Costitu� 
zione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 4 maggio 1988, n. 326, G. U. 27 luglio 1988, 

n. 30. 
codice di procedura civile, art. 382, primo comma (art. 25 della Costituzione). 

Corte d'appello di Milano, ordinanza 13 aprile 1988, n. 642, G. U. 23 novem� 
bre 1988, n. 47. 

codice di procedura civile, art. 644 (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di Militello Val di Catania, ordinanza 12 marzo 1988, n. 563, G. U. 
2 novembre 1988, n. 44. 

codice di procedura civile, art. 650 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale di Monza, ordinanza 13 aprile 1988, n. 643, G. U. 23 novembre 
1988, n. 47. 

codice di procedura civile, art. 738, primo comma (artt. 97 e 101 della 
Costituzione). 

Giudice relatore del tribunale di Firenze, ordinanza 25 giugno 1988, n. 634, 

G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 
codice penale, artt. 9, secondo comma, e 11, secondo comma (artt. 3, 107 e 
110 della Costituzione). 

Tribunale di Padova, ordinanza 23 maggio 1983, n. 668/88, G. U. 30 novem� 
bre 1988, n. 48. 

codice penale, art. 157 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 2 maggio 1988, n. 724, G. U. 7 dicembre 1988, 

n. 49. 
codice penale, art. 177, primo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di sorveglianza di Genova, ordinanza 27 maggio 1988, n. 739, G. U. 
21 dicembre 1988, n. 51. 

codice penale, art. 266 (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'assise di Roma, ordinanza 10 giugno 1988, n. 451, G. U. 19 ottobre 
1988, n. 42. 



PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Ht 

codice penale, art. 341 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Pretore di Sampierdarena, ordinanza 23 giugno 1988, n. 646, G. U. 23 novembre 
1988, n. 47. 

codice penale, art. 649 (artt. 3 e 31 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 23 febbraio 1988, n. 322, G. U. 27 luglio .1988, 

n. 30. 
codice penale, art. 724 (artt. 3, 7 e 8 della Costituzione). 

Pretore di Monfalcone, ordinanza 18 febbraio 1988, n. 376, G. U. 14 settem� 
bre 1988, n. 37. 

codice di procedura penale, art. 28 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 4 giugno 1988, n. 682, G. U. 30 novembre 1988, 

n. 48. 
codice di procedura penale, art. 41-bis (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Trieste, ordinanza 5 aprile 1988, n. 449, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

codice di procedura penale, artt. 91, 93, 94, 101, 102 e 106 (artt. 3, 24 e 101 
della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, 

n. 43. 
codice di procedura penale, art. 261 (art. 13 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso tribunale di Perugia, ordinanza 3 maggio 1988, 

n. 368, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. 
codice di procedura penale, art. 272, settimo comma (art. 24 della Costi� 
tuzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 27 giugno 1988, n. 606, G. U. 16 novembre 
1988, n. 46. 

codice di procedura penale, art. 387, terzo comma (artt. 3 e 24 della Costi� 
tuzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 25 maggio 1988, n. 769, G. U. 28 dicembre 
1988, n. 52. 

codice di procedura penale, art. 399 (artt. 3, 24 e 136 della Costituzione). 

Sezione istruttoria corte d'appello di Trento, ordinanza 20 maggio 1988, 

n. 687, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. 
codice di procedura penale, art. 399, primo comma [come modificato dal� 
l'art. 11 della legge 31 luglio 1984, n. 400] (art. 24 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 19 aprile 1988, n. 383, G. U. 21 settembre 
1988, n. 38. 



1J2 
RASSEGNA D!lLL'AVVOCATURA DELLO STATO 

codice di procedura penale, artt. 431 e 432 (art. 24 della Costituzione). 

Pretore di Montebelluna, ordinanza 3 maggio 1988, n. 336, G. U. 3 agosto 
1988, n. 31. 

codice di procedura penale, art. 513, n. 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 29 marzo 1988, n. 738, G. U. 21 dicembre 1988, 

n. 51. 
codice di procedura penale, art. 532, 533, 534 e 536 (artt. 3, 24 e 101 della 
Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, 

n. 
43. 
codice penale militare di pace, art. 90 (artt. 3 e 27, terzo comma della 
Costituzione). 
Tribunale militare di Padova, ordinanza 27 aprile 1988, n. 335, G. U. 3 agosto 
1988, n. 31. 

codice penale militare, art. 170 (artt. 2, 3, 13 e 52 della Costituzione). 

Tribunale militare di Padova, ordinanza 17 marzo 1988, n. 303, G. U. 13 luglio 
1988, n. 28. 

r.d. 23 dicembre 1865, n. 2701, art. 103 (artt. 3 e 42 della Costituzione}. 
Tribunale di Bologna, ordinanze (tre) 16 giugno 1986, nn. 617-619/88, G. U. 
16 
novembre 1988, n. 46. 

r.d. 
21 febbraio 1895, n. 70, art. 123 [modificato dalla legge 19 
n. 
135] (artt. 2 e 3 della Costituizone). 
Corte dei conti, ordinanza 5 giugno 1985, n. 301/88, G. U. 13 
n. 
28. 
r.d. 17 agosto 1907, n. 642, art. 26 (artt. 3 e 24 della Costituzione1. 
aprile 1906, 
luglio 1988, 

Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta, ordinanza 29 gennaio 
1988, n. 436, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 

r.d.l. 3 dicembre 1922, n. 1584, artt. 10 e 14 (art. 5 della Costituztone7. 
Tribunale di Aosta, ordinanza 5 maggio 1988, 

n. 
31. 
r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282, art. 29, ultimo 
Costituzione). 
Pretore di Palestrina, ordinanza 19 luglio 1988, 

n. 49. 
n. 347, G. U. 3 agosto 1988, 
comma (artt. 2, 3 e 24 della 

n. 712, G. U. 7 dicembre 1988, 
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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 1H 

r.d. 26 giugnQ 1924, n. 1054, art. 44, primQ comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta, ordinanza 29 gennaio 
1988, n. 436, G. U. 12 ottobre 1988, ~� 41. 

r.d. 28 agosto 1924, n. 1422, art. 80, terzo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Ferrara, ordinanza 21 ottobre 1988, n. 743, G. U. 21 dicembre 1988, 

n. 51. 
d.P.R. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 6 (art. 24 della Costituzione). 
Pretore di Vercelli, ordinanza 5 febbraio 1988, n. 433, G. U. 12 ottobre 1988, 

n. 41. 
t.u.Lc.p. 3 marzo 1934, n. 383, art. 247, terzo comma (artt. 3, 24, 35, 97 e 113 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 13 novembre 
1987, n. 399/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. 

r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 254 (art. 3 della Costituzione). 
Corte d'appello di Bologna, ordinanza 27 maggio 1988, n. 568, G. U. 2 novembre 
1988, n. 44. 

r.d. 3 marzo 1934, 'n. 383, art. 254 (artt. 3, 24, 28, 97 e 103 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 5 maggio 1987, n. 465/88, G. U. 19 ottobre 1988, 

n. 42. 
r.dl. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 9, primo comma (art. 25 della Cost�tuzione). 

Corte d'appello di Torino, ordinanza 10 maggio 1988, n. 351, G. U. 3 agosto 
1988, n. 31. 

r.d.I. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 28 [conv. in legge 6 aprile 1936, n. 1155] 
(artt. 3 e 29 della Costituzione). 
Pretore di Venezia, ordinanza 11 giugno 1988, n. 675, G. U. 30 novembre 1988, 

n. 48. 
r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, artt. 34, primo e secondo comma, e 38 (art. 106 
della Costituzione). 
Pretore di Gravina in Puglia, ordinanze (sette) 28 luglio, 4, 12, 13, 25, 28 agosto 
1988, nn. 660-666; G. U. 30 novembre 1988, n. 48. 

r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 48 (artt. 97 e 101 della Costituzione). 
Giudice relatore del tribunale di Firenze, ordinanza 25 giugno 1988, n. 634, 

G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 
21 


114 ' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 1 (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della Costituzione). 
Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 maggio 1988, n. 304, G. U. 13 luglio 
1988, n. 28. 

Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 5 maggio 1988, nn. 331 e 332, 

G. U. 27 luglio 1988, n. 30. 
Tribunale mHitare di Padova, ordinanze (otto) 3 e 5 maggio 1988, nn. 337-344, 
G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 
r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 1 (artt. 3, 13, 28, 97, 105, 107 e 108 della 
Costituzione). 
Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 maggio 1988, n. 333, G. U. 3 agosto 
1988, n. 31. 
Tribunale militare di Padova, ordinanze (tre) 17 maggio 1988, nn. 386-388, 

G. U. 31 agosto 1988, n. 35. 
Tribunale militare di Padova, ordinanze (quattro) 19 maggio 1988, nn. 389-392, 
G. U. 7 settembre 1988, n. 36. 
Tribunale militare di Padova, ordinanze (trentaquattro) 26 maggio 1988, 
nn. 515-548, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 1, primo comma, n. 1 (artt. 101, 103 e 108 
della Costituzione). 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (diciassette) 24 maggio 1988, 
nn. 479-495, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (sedici) 22 giugno 1988, nn. 496-511, 

G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (quattro) 22 giugno 1988, nn. 571-574, 
G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 726, G. U. 14 dicembre 
1988, n. 50. 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 758, G. U. 
21 dicembre 1988, n. 51. 

r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, art. 1, primo comma, n. 1, 3 e 25 (artt. 3, 13, 
28, 97, 101 e 105 della Costituzione). 
Giudice istruttore presso il tribunale militare di Padova, ordinanza 30 giugno 
1988, n. 595, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 

r.d. 9 settembre 1941, n. 1022, artt. 3 e 25 (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della 
Costituzione). 
Giudice istruttore presso tribunale militare di Padova, ordinanze (quindici) 
17 giugno 1988, nn. 580-594, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 
Giudice istruttore presso tribunale militare di Padova, ordinanza 20 giugno 
1988, n. 658, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. 



PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB HJ 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 54 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 5 luglio 1988, n. 720, G. U. 7 dicembre 1988, 

n. 49. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 54, terzo comma, e 55, primo comma (artt. 3 
e 36 della Costituzione). 
Tribunale di Monza, ordinanza 18 febbraio 1988, n. 452, G. U. 19 ottobre 
1988, n. 42. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 55, �primo comma, e 54, terzo comma (artt. 3 
e 36 della Costituzione). 
Tribunale di Savona, ordinanza 5 maggio 1988, n. 550, G. U. 26 ottobre 1988, 

n. 43. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 101, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 27 gennaio 1988, n. 329, G. U. 27 luglio 1988, 

n. 30. 
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 236, cpv, n. 1 (art. .3 della Costituzione). 
Tribunale di Macerata, ordinanza 11 aprile 1988, n. 560, G. U. 2 novembre 
1988, n. 44. 

d.l.C.p.S. 13 settembre 1946, n. 233, art. 21 [ratificato con legge 17 aprllej 
1956, n. 561] (artt. 3, 23 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 20 giugno 1988, n. 667, G. U. 30 novembre 1988, 

n. 48. 
di. 4 marzo 1948, n. 137, art. 11 (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 1� luglio 1987, n. 562/88, G. U. 26 ottobre 1988, 

n. 43. 
legge 2 marzo 1949, n. 143, art. 9, quarto comma (art. 3 della Costituzione). 

Corte d'appello di Torino, ordinanza 8 aprile 1988, n. 445, G. U. 12 ottobre 
1988, n. 41. 

. d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, artt. 1 e 2 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di La Spezia, ordinanza 19 gennaio 1988, n. 514, G. U. 19 ottobre 
1988, n. 42. 

d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, artt. 1 e 2, primo comma, n. 3 (art. 3 dell~ 
Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 27 febbraio 1988, n. 367, G. U. 12 ottobre 
1988, n. 41. 


:116 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 2, primo comma, n. 3 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Taranto, ordinanza 16 febbraio 1988, n. 409, G. U. 21 settembre 
1988, n. 38. 

legge 23 maggio 1950, n. 253, art. 4, n. 1 , (art. 3 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 1� aprile 1987, n. 352/88, G. U. 3 agosto 1988, 

n. 31. 
legge reg. Sicilia 20 marzo 1951, n. 29, art. 10, primo comma, n. 4, e ultima 
comma (art. 51 della Costituzione). 

Corte d'appello di Palermo, ordinanza 24 giugno 1988, n. 477, G. U. 28 settembre 
1988, n. 39. 

legge 23 febbraio 1952, n. 92, art. 2 (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di .Roma, ordinanza 1� luglio 1987, n. 562/88, G. U. 26 ottobre 1988, 

n. 43. 
legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 10, quinto comma (artt. 3 e 38 della Costitu� 
zione). 

Pretore di Messina, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 442/88, G. U. 12 ottobre 
1988, n. 41. 

legge 4 aprile 1952, n. 218, art. 29, terzo comma (artt. 3 e 47 della Costituzione). 


Giudice conciliatore di Ferrara, ordinanza 20 luglio 1988, n. 638, G. U. 23 novembre 
1988, n. 47. 

legge 2 luglio 1952, n. 703, art. 47, ultimo comma (art. 108 della Costituzione). 

Corte di Cassazione, ordinanza 3 marzo 1988, n. 607, G. U. 16 novembre 1988, 

n. 46. 
legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27 (artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 dicembre 
1987, n. 398/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. 
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 13 novembre 
1987, n. 399/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. 

legge 27 dicembre 1953, n. 968, art. 52, primo comma (artt. 3 e 35, quarto 
comma, della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 23 maggio 1988, 

n. 678, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 117 

legge 12 novembre 1955, n. 1137, art. 26 (artt. 3, 52, 97 e 113 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanza 16 marzo 
1988, n. 473, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85 (artt. 3, 4, 24, 35, 97 e 113 della Costi. 
tuzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 18 dicembre 
1987, n. 398/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. 

d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 2 maggio 1988, n. 724, G. U. 7 dicembre 
1988, n. 49. 

legge 2 luglio 1957, n. 474, art. 13, primo comma (art. 3, primo comma, della 
Costituzione). 

Pretore di Cividale del Friuli, ordinanza 4 ottobre 1988, n. 752, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. 11 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 15 aprile 1987, n. 371/88, G. U. 14 settembre 1988, 

n. 37. 
legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. 12, sesto comma (artt. 2 e 3 della Costi� 
tuzione). 

Corte dei Conti, ordinanza 5 giugno 1985, n. 301/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

legge 20 febbraio 1958, n. 93, art. 2 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 

Tribunale di Enna, ordinanza 5 aprile 1985, n. 719/88, G. U. 7 dicembre 
1988, n. 49. 

d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 9-bis, terzo comma (artt. 3 e 51 della 
Costituzione). 
Tribunale di Lecce, ordinanza 10 ottobre 1988, n. 729, G. U. 14 dicembre 1988, 

n. 50. 
decreto presid. reg. Sicilia 20 agosto 1960, n. 3, art. 5, n. 3 (artt. 3 e 51 della 
Costituzione). 

Tribunale di Trapani, ordinanza 14 novembre 1985, n. 393/88, G. U. 21 settembre 
1988, n. 38. 

decreto presid. reg. Sicilia 20 agosto 1960, n. 3, art. S, nn. 3 e 7 (artt. 3 e 51 
della Costituzione). 

Tribunale di Catania, ordinanze (tre) 26 aprile e 8 novembre 1985, nn. 402404/
88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. 



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-

H8 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 483 (art. 76 della Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinanza 23 giugno 1988, n. 611, G. U. 16 novembre 1988, 

n. 46. 
legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 2, secondo comma, lett. a) (artt. 3 e 38 della 
Costituzione). 

Pretore di Messina, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 442/88, G. U. 12 ottobre 
1988, n. 41. 

legge 12 agosto 1962, n. 1338, art. 9, ultimo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
� 

Pretore di Messina, ordinanza 16 dicembre 1987, n. 442/88, G. U. 12 ottobre 
1988, n. 41. 

legge 12 agosto 1962, n. 1339, art. 1 (artt. 3 e 38 della Costituzfone). 

Pretore di Milano, ordinanza 15 marzo 1988, n. 349, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

legge 12 agosto 1962, n. 1339, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Siena, ordinanza 2 settembre 1988, n. 576, G. U. 9 novembre 
1988, n. 45. 
Pretore di Siena, ordinanze (due) 30 settembre 1988, nn. 735 e 736, G. U. 
21 dicembre 1988, n. 51. 

legge 22 novembre 1962, n. 1646, art. 24 (art. 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 4 novembre 1987, n. 615/88, G. U. 16 novembre 
1988, n. 46. 

legge 9 gennaio 1963, n. 9, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Lucca, ordinanza 2 febbraio 1988, n. 413, G. U. 28 settembre 1988, 

n. 
39. 
Pretore di Siena, ordinanze (due) 2 settembre 1988, nn. 576 e 598, G. U. 9 novembre 
1988, n. 45. 
Pretore di Modena, ordinanze (tre) 30 maggio 1988, nn. 696-698, G. U. 30 novembre 
1988, n. 48. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 1 e 4 (artt. 3, 35 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 27 gennaio 1988, n. 417, G. U. 28 settembre 
1988, n. 39. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 80 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Vigevano, ordinanza 26 febbraio 1988, n. 672, G. U. 30 novembre 
1988, n. 48. 
legge 13 luglio 1965, n. 836, art. 5 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Tribunale di Bologna, ordinanze (tre) 16 giugno 1986, nn. 617.{)19/88, G. U. 
16 novembre 1988, n. 46. 

PARTB II, RASSEGNA DI LBGISLAZIONB 
1J9 

legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Siena, ordinanza 30 settembre 1988, n. 734, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

legge 23 dicembre 1966, n. 1147, art. S (artt. 3 e 51 della Costituzione). 

Tribunale di Lecce, ordinanza 10 ottobre 1988, n. 729, G. U. 14 dicembre 
1988, n. 50. 

legge 3 maggio 1967, n. 315, art. 26 (art. 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 11 dicembre 1987, n. 711/88, G. U. 7 dicembre 
1988, n. 49. 

legge 2 aprile 1968, n. 482, art. 10, primo comma (artt. 2, 3 e 4 della Costituzione). 


Pretore di Bologna, ordinanza 17 giugno 1988, n. 731, G. U. 14 dicembre 
1988, n. 50. 

legge 2 aprile 1968, n. 482, artt. 10, primo comma, e 16, quarto comma 
(artt. 2, 3 e 4 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 1� marzo 1988, n. 631, G. U. 16 novembre 1988, 

n. 
46. 
Pretore di Bologna, ordinanza 5 aprile 1988, n. 654, G. U. 23 novembre 1988, 
n. 47. 
d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 18, primo e secondo comma (artt. 3 e 38 
della� Costituzione). 
Pretore di Bologna, ordinanza 9 febbraio 1988, n. 655, G. U. 23 novembre 1988, 

n. 
47.. 
legge 5 novembre 1968, n. 1115, art. 2 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanze (due) 18 gennaio 1988, nn. 608-609, G. U. 9 novembre 
1988, n. 45. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 69 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 10 febbraio 1988, n. 297, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 
Pretore di Roma, ordinanza 10 gennaio 1988, n. 297, G. U. 19 ottobre 1988, 

n. 42. 
legge 24 maggio 1970, n. 336, art. 4 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Ascoli Piceno, ordinanza 16 luglio 1987, n. 745/88, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

legge 10 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies (artt. 3 e 25 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanza 12 luglio 1988, n. 763, G. U. 28 dicembre 1988, 

n. 52. 

140 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 30 marzo 1971, n. 118, art. 12, ultimo comma (artt. 3, 24 e 38 della 
Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanze (nove) 28 marzo, 29 febbraio e 19 maggio 1988, 
nn. 699-707, G. il. 30 novembre 1988, n. 48. 

legge 13 aprile 1971, n. 114, artt. 4, 5, primo comma, 17 e 20 (artt. 3, 29, 30, 
31 e 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Foggia, ordinanza 17 febbraio 
1988, n. 305, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

legge 9 ottobre 1971, n. 82, art. 6 (artt. 3, 41 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Ascoli Piceno, ordinanza 16 luglio 1987, n. 745/88, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

legge 11 novembre 1971, n. 1046, art. 2, secondo comma (artt. 3 e 38 della 
Costituzione). 

Pretore di Vercelli, ordinanza 8 giugno 1988, n. 558, G. U. 26 ottobre 1988, 

n. 43. 
d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432, art. 10 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Torino, ordinanza 6 luglio 1988, n. 685, G. U. 30 novembre 1988, 

n. 48. 
legge 8 agosto 1972, n. 464, art; 1 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanze (due) 18 gennaio 1988, nn. 608-609, G. U. 9 novembre 
1988, n. 45. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 4, lett. e) (artt. 11 e 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Pinerolo, ordinanze (due) 22 settembre 
1986, nn. 430 e 431/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 4, lett. e), tar. ali. A (art. 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 4 marzo 1987, 

n. 375/88, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 80, secondo comma (artt. 3 e 47 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 6 maggio 1986, 

n. 302/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 23 marzo 
1988, n. 645, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 



PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 2, secondo comma (artt. 3 e 76 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 26 ottobre 
1987, n. 364/88, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 2, settimo e ottavo comma (artt. 76, 77, 
108 e 110 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 21 dicembre 
1987, n. 355/88, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 13 e 13-bis (artt. 108 e 110 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 21 dicembre 
1987, n. 355/88, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 20, terzo comma e 28, primo comma 
(artt. 3 e 108 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 21 marzo 
1988, n. 356, G. U. 3 agosto 1988, n. 31, 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35, quinto comma (art. 24, secondo comma, 
della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 12 ottobre 
1987, n. 561/88, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 39, primo comma (art. 101 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Verbania, ordinanza 21 marzo 
1988, n. 357, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, artt. 6 e 55 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Messina, ordinanza 9 maggio 
1988, n. 765, G. U. 28 dicembre 1988, n. 52. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 39 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Catania, ordinanza 28 ottobre 
1985, n. 421/88, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 3, 6, 14 e 15 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 2 novembre 
1987, n. 597/88, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 23, primo comma (art. 76 della Costituzione). 
Commissione tributaria centrale di Roma, ordinanza 7 novembre 1985, 

n. 298/88, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 

(art. 3 della Costitu� 
30 marzo 1988, n. 366, 
(art. 3 della Costitu� 
30 marzo 1988, n. 366, 
, .X . @ ~-x 

1.42 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 5, primo comma 
zione). 

Giudice istruttore Tribunale di Rimini, ordinanza 

G. U. 14 settembre 1988, n. 37. 
legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 8, secondo, terzo e ultim!> comma (artt. 2, 
3, 13, 25, 27 e 103 della Costituzione). 

Tribunale militare di Napoli, ordinanze (otto) 5 maggio 1988, nn. 459, 466-472, 

G. U. 28 settembre 1988, n. 39. 
legge 23 gennaio 1973, n. 43, art. 301 (artt. 3, 24 e 42 della Costituzione). 

Corte d'appello di Salerno, ordinanza 29 aprile 1988, n. 306, G. U. 13 luglio 
1988, n. 28. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 74 (art. 81 della Costituzione). 
Pretore di Castelfranco Veneto, ordinanza 24 maggio 1988, n. 621, G. U. 
�16 novembre 1988, n. 46. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, artt. 183 e 195 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Sannicandro Garganico, ordinanza 5 febbra�o 1988, n. 330, G. U. 
27 luglio 1988, n. 30. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195 (artt. 25 e 76 della Costituzione). 
Pretore S. Vito al Tagliamento, ordinanza 23 giugno 1988, n. 649, G. U. 
23 novembre 1988, n. 47. 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195, n. 2 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Cavalese, ordinanza 2 giugno 1988, n. 657, G. U. 30 novembre 
1988, n. 48. 

d.I. 24 luglio 1973, n. 426, art. 1, quarto comma [conv. in legge 4 agosto 1973, 
n. 495] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Padova, ordin�nza 29 ottobre 1985, n. 624/88, G. U. 16 novembre 
~a~ , 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10 (artt. 3, 42 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria centrale di Roma, ordinanza 3 dicembre 1987, 

n. 295/88, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 10 e 15 (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Foggia, ordinanza 17 febbraio 
1988, n. 305, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 



PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 14; 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 4, terzo comma (artt. 76 e 77 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 15 dicembre 
1987, n. 674/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis (art. 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Napoli, ordinanza 16 dicembre 
1987, n. 623/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 46, primo comma (art. 3 della Costi� 
tuzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Lecce, ordinanza 1 dicembre 
1987, n. 620, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 47, in relazione agli artt. 9, ultimo 
comma, e 12 dello stesso decreto (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Mantova, ordinanza 25 maggio 
1988, n. 626, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
Tribunale di Pistoia, ordinanza 9 febbraio 1988, n. 288, G. U. 19 ottobre 
1988, n. 42. 
Tribunale di Pistoia, ordinanza 20 settembre 1988, n. 730, G. U. 14 dicem� 
bre 1988, n. 50. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 56, ultimo comma (art. 112 della 
Costituzione). 
' 


Giudice istruttore presso tribunale di Bologna, ordinanza 7 marzo 1988, 

n. 374, G. U. 14 settembre 1988, n. 37. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 32, secondo comma (artt. 3 e 47 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Roma, ordinanza 6 maggio 1986, 

n. 302/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria" di primo grado di Savona, ordinanze (tre) 5 giugno 
1979, nn. 748-750/88, G; U. 21 dicembre 1988, n. 51. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 44-bis [introdotto dalla legge 31 maggio 
1977, n. 247, art. 3] (art. 3 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 8 marzo 1988, 

n. 412, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. 

144 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 52 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
I I 

Pretore di Francavilla Fontana, ordinanza 3 maggio 1988, n. 474, G. U. 
28 settembre 1988, n. 39. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 54 (art. 24 della Costituzione). 
:: 
Pretore di Vercelli, ordinanza 5 febbraio 1988, n. 433, G. U. 12 ottobre 
1988, n. 41. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92, primo comma (artt. 3, 76 e 77 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Pesaro, ordinanza 4 marzo 
1988, n. 613, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

legge 10 dicembre 1973, n. 804, art. 7 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 11 aprile 1988, 

n. 708, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. 
combinato disposto legge 14 dicembre 1973, n. 829, art. 14 e legge 17 mag� 
gio 1985, n. 210 art. 21, quarto comma (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 13 giugno 1988, n. 610, G. U. 16 novembre 1988, 

n. 46. 
legge 14 dicembre 1973, n. 829, artt. 14, 15, 16 e 36 (art. 53 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Firenze, ordinanza 3 maggio 
1988, n. 679, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. 

legge 14 dicembre 1973, n. 829, art. 44, terzo comma (art. 3 della 'Costitu� 
zione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 31 marzo 1988, n. 648, G. U. 23 novembre 1988, 

n. 47. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 13, primo comma (art. 3 della Costi� 
tuzione). 
Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, ordinanza 22 aprile 
1980, n. 411/88, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. 

d~P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 83 (artt. 2 e 3 della Costituzione). 

Corte dei conti, ordinanza 5 giugno 1985, n. 301/88, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 83 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 15 aprile 1987, n. 371/88, G. U. 14 settembre 1988, 

n. 37. 
d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, artt. 4 e 124 (artt. 3, 36, 76 e 97 della Costi� 
tuzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 21 marzo 1988, 

n. 549; G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 

PARm II, RASSEGNA DI LEGISIAZIONB 

legge 20 marzo 1975, n. 70, art. 13 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 12 febbraio 
1987, n. 348/88, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

legge 20 maggio 1975, n. 164, art. 20 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanze (due) 18 gennaio 1988, nn. 608-609, G. U. 9 novembre 
1988, n. 45. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Tribunale . di sorveglianza di Torino, ordinanza 30 maggio 1988, n. 710, G. U. 
7 dicembre 1988, n. 49. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54, primo comma (artt. 3 e 27 della Costituzione). 


Tribunale di sorveglianza di Torino, ordinanza 18 aprile 1988, n. 559, G. U. 
26 ottobre 1988, n. 43. 

legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 

Tribunale amrn'.inistrativo regionale del Lazio, ordinanze (due) 24 giugno 
1987, n. 461 e 462/88, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

legge 23 dicembre 1975, n. 698, art. 9 (artt. 3, 36, 42 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 29 ottobre 1986, 

n. 
381/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 28 maggio 1986, 
n. 555/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 
legge 12 novembre 1976, n. 751, art. 1, terzo comma (artt. 3, 29, 30, 31 e 53 
della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Foggia, ordinanza 17 febbraio 
1988, n. 305, G. U. 13 luglio 1988, n. 28. 

legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 17, ultimo comma (artt. 3, 24, 29 e 53 della 
Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Terni, ordinanza 9 marzo 1985, 

n. 628/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 
legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 17, ultimo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 


Commissione tributaria di primo grado di Terni, ordinanza 28 settembre 
1987, n. 627/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

d.l. 4 maggio 1977, n. 187, art. 5, secondo comma [conv. in legge 11 luglio 
1977, n. 395] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Catania, ordinanza 1� luglio 1988, n. 641, G. U. 23 novembre 1988, 

n. 47. 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

1.46 

legge 8 agosto 1977, n. 532, artt. 6 e 7 (artt. 3, 24 e 101 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, 

n. 43. 
legge 12 agosto 1977, n. 675, art. 2 (artt. 3, 4 e 41 della Costituzione). 

Pretore di Milano, ordinanze (due) 18 gennaio 1988, nn. 608-609, G. U. 9 novembre 
1988, n. 45. 

legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 4, primo comma, (artt. 3, 4, 37 e 38 della 
Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 28 maggio 1987, �n. 637/88, G. U. 23 novembre 
1988, n. 47. 

legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 12, secondo comma (artt. 24 e 30 della 
Costituzione). 

Giudice tutelare presso la pretura di La Spezia, ordinanza 26 novembre 
1987, n. 372/88, G. U. 14 novembre 1988, n. 37. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 6, primo comma (artt. 2. e 3 della Costituzione). 


Tribunale di Roma, ordinanza 24 maggio 1988, n. 718!) G. U. 7 dicembre 
1988, n. 49. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, artt. 12 e 14 (artt. 41 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Acireale, ordinanza 16 marzo 1988, n. 300, G. U. 13 luglio 1988, 

n. 
28. 
Pretore di Acireale, ordinanza 27 �aprile 1988, n. 420, G. U. 28 settembre 1988, 
n. 39. 
legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69, ultimo comma [come sost. dal dJ. 
9 dicembre 1986, n. 832, art. 1, conv. in legge 6 febbraio 1987, n. 15] (artt. 3 e 42 
della Costituzione). 

Pretore di Bari, ordinanza 30 giugno 1988, n. 747, G. U. 21 dicembre 1988, 

n. 51. 
legge 3 agosto 1978, n. 405, art. 1! (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale di Piacenza, ordinanza 12 gennaio 1988, n. 307, G. U. 13 luglio 
1988, n. 28. 

legge 5 agosto 1978, n. 457, art. 35 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 27 febbraio 1988, n. 647, G. U. 23 novembre 
1988, n. 47. 

legge 5 agosto 1978, n. 457, art. 35, lett. a) (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Pretore di La Spezia, ordinanza 19 maggio 1988, n. 513, G. U. 19 ottobre 
1988, n. 42. 



PARm II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, artt. 62, primo comma, e 64, secondo comma 
(artt. 2 e 3 della Costituzione). 
Corte dei conti, ordinanza 5 giugno 1985, n. 301/88, G. U. 13 luglio 1988, 

n. 28. 
legge 11 gennaio 1979, n. 12, art. 40 (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Treviso, ordinanza 17 marzo 1988, n. 353, G. U. 3 agosto 1988, 

n. 31. 
legge reg. Sardegna 5 luglio 1979, n. 59, artt. 4 e 5 (art. 27 statuto spec. reg. 
Sardegna). 

Pretore di Alghero, ordinanza 20 aprile 1988, n. 553, G. U. 26 ottobre 1988, 

n. 43. 
d.P.R. 27 settembre 1979, n. 506, art. 2 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 15 dicembre 
1987, n. 674/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. 

d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, allegato 2 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Veneto, ordinanza 28 gennaio 1988, 

n. 299, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 
d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 29, primo, secondo e terzo comma 
(artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, ordinanza 19 ottobre 
1987, n. 435/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 

d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 2 [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33] 
(artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 13 ottobre 1987, n. 728/88, G. U. 14 dicembre 
1988, n. 50. 

legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 7, ottavo comma, lett. g) (art. 3 della 
Costituzione). 

Consiglio di Stato, ordinanza 5 giugno 1987, n. 379/88, G. U. 21 settembre 
1988, n. 38. 

legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 12, primo comma, lett. o) (art. 76 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Veneto, ordinanza 14 gennaio 1988, 

n. 354, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 
legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 2, secondo comma (art. 38 della Costituzione). 


Tribunale di Siena, ordinanza 7 settembre 1988, n. 759, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 20 marzo 1980, n. 75, art. 6, primo comma (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 31 marzo 1988, n. 648, G. U. 23 novembre 
1988, n. 47. 

legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 162 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 1� luglio 1987, 

n. 294/88, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 (artt. 3, 35 e 97 della Costituzione). 
Pretore di Roma, ordinanza 23 marzo 1988, n. 569, G. U. 2 novembre 1988, 

n. 44. 
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 36 (artt. 76 e 77 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Veneto, ordinanza 14 gennaio 1988, 

n. 354, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 
d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 58, primo comma, lett. b) (art. 3 della 
Costituzione). 
Consiglio di Stato, ordinanza 5 giugno 1987, n. 379/88, G. U. 21 settembre 
1988, n. 38. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 10, terzo comma (artt. 3 e 38 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 9 giugno 1988, n. 677, G. U. 30 novembre 1988, 

n. 48. 
legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 17, 18 e 23 (artt. 3, 24 e 53 della 
Costituzione). 

Pretore di Pisa, ordinanza 1� agosto 1988, n. 676, G. U. 30 novembre 1988, 

n. 48. 
legge 10 aprile 1981, n. 151, art. 4, ultimo comma (artt. 3, 117, 118, 119 e 120 
della Costituzione). � 

Corte d'appello di Milano, ordinanza 12 luglio 1988, n. 733, G. U. 14 dicembre 
1988, n. 50. 

legge 23 aprile 1981, n. 155, art. 19 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 4 maggio 1988, n. 362, G. U. 14 settembre 
1988, n. 37. 

legge 7 maggio 1981, n. 180, artt. 1 cpv. 2, primo e secondo comma (artt. 101, 
103 e 108 della Costituzione). 

Tribunale militare di � La Spezia, ordinanze (diciassette) 24 maggio 1988, 
nn. 479-495, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (sedici) 22 giugno 1988, nn. 496-511, 

G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (quattro) 22 giugno 1988, nn. 571574, 
G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 726, G. U. 
14 dicembre 1988, n. 50. 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 758, G. U. 
21 dicembre 1988, n. 51. 

legge 7 maggio 1981, n. 180, artt. 1, primo comma, e 5, ultimo comma 
(art. 108 della Costituzione). 

Procuratore militare della repubblica di Cagliari, ordinanza 10 giugno 1988, 

n. 401, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. 
legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2 (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 105 della Costituzione). 


Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 maggio 1988, n. 304, .G. U. 13 luglio 
1988, n. 28. 
Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 5 maggio 1988, n. 331 e 332, 

G. U. 27 luglio 1988, n. 30. 
Tribunale militare di Padova, ordinanze (otto) 3 e 5 maggio 1988, nn. 337-344, 
G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 
legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2 (artt. 3, 13, 28, 97, 101, 105, 107 e 108 della 
Costituzione). 
Tribunale militare di Padova, ordinanze (tre) 17 maggio 1988, nn. 386-388, 

G. U. 31 agosto 1988, n. 35. 
Tribunale militare di Padova, ordinanze (quattro) 19 maggio 1988, nn 389-392, 
G. U. 7 settembre 1988, n. 36. 
Tribunale militare di Padova, ordinanze (trentaquattro) 26 maggio 1988, 
nn. 515-548, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2 (artt. 3. 13, 28, 97, 105, 107 e 108 della 
Costituzione). 

Tribunale militare di Padova, ordinanza 3 maggio 1988, n. 333, G. U. 3 agosto 
1988, n. 31. 

legge 7 maggio 1981, n. 180, art. 2, secondo comma, n. 3 (artt. 3, 101 e 108 
della Costituzione). 

Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 27 aprile 1988, nn. 334 e 335, 

G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 
legge 7 maggio 1981, n. 180, art. S, ultimo comma (artt. 3, 13, 28, 97, 101 e 
105 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso il tribunale militare di Padova, ordinanza 30 giugno 
1988, n. 595, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 


ifO RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.L 6 giugno 1981, n. 283, art. 17, terzo comma [conv. In legge 6 agosto 1981, 
n. 432] (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 15 gennaio 

i 

1987, n. 625/88, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 

dJ. 29 luglio 1981, n. 402, art. 13, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 

I

Pretore di Piacenza, ordinanza 3 giugno 1988, n. 632, G. U. 16 novembre 1988, 

n. 46. 
d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Genova, ordinanza 23 marzo 1988, 

n. 645, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 
legge 22 aprile 1982, n. 168, art. 3 (artt. 3 e 45 della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Lecce, ordinanza 19 febbraio 
1988, n. 753, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. 

legge 20 maggio 1982, n. 270, artt. 34 e 57 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 26 ottobre 1987, 

n. 725/88, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. 
legge 20 maggio 1982, n. 270, art. 76 (artt. 3, 35 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, ordinanza 5 novembre 
1986, n. 671/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. 

legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 1 (art. 52 della Costituzione). 

Pretore di Brunico, ordinanza 4 maggio 1988, n. 454, G. U. 19 ottobre 1988, 

n. 42. 
legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, ottavo comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
( 

Pretore di Torino, ordinanza 6 luglio 1988, n. 685, G. U. 30 novembre 
1988, n. 48. 

legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, tredicesimo comma (artt. 3, 36 e 38 della 
Costituzione). 

Tribunale d� Torino, ordinanza 4 maggio 1988, n. 362, G. U. 14 settembre 
1988, n. 37. 

legge 29 maggio 1982, n. 297, artt. 4 e 5 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Messina, ordinanza 6 febbraio 1986, n. 443/88, G. U. 12 ottobre 
1988, n. 41. 



PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] 
(artt. 2, 3, 24 e 53 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Bergamo, ordinanza 2 novembre 
1987, n. 434/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 

d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, primo comma [conv. in legge 7 agosto� 
1982, n. 516] (artt. 2, 3 e 25 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Mantova, ordinanze (due) 3 ottobre 
1986, nn. 384 e 385/88, G. U. 21 settembre 1988, n. 38. 

cl.I. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, primo comma [conv. in legge 7 agosto 
1982, n. 516] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Fermo, ordinanza 13 febbraio 
1987, n. 432/88, G. U 12 ottobre 1988, n. 41. 

Commissione tributaria di primo grado di Taranto, ordinanze (quattro) 
24 giugno 1987, nn. 564-567/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 

dl. 10 luglio 1982, n. 429, art. 26 [conv. in legge 7 agosto 1982, n. 516] 
(artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Catania, ordinanza 23 febbraio 
1988, n. 378, G. U. 31 agosto 1988, n. 35. 

d.I. 10 luglio 1982, n. 429, art. 26, primo comma [come conv. in legge 7 agosto 
1982, n. 516] (artt. 3 e _97 della Costituzione). 
Commissione tributaria di secondo grado di Palermo, ordinanze (quattro) 
28 maggio 1987, nn. 424427/88, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 

legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 2, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Teramo, ordinanza 7 aprile 1988, n. 423, G. U. 12 ottobre 1988, 

n. 41. 
legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, n. 7 (artt. 3 e 25 della Costituzione). 

Tribunale di Verbania, ordinanza 26 aprile 1988, n. 346, G. U. 3 agosto 1988, 

n. 
31. 
Tribunale di Verbania, ordinanze (due) 13 maggio 1988, nn. 457 e 458, G. U. 
19 ottobre 1988, n. 42. 
Tribunale di Foggia, ordinanza 7 giugno 1988, n. 475, G.U. 19 ottobre 
1988, n. 42. 
Tribunale di Monza, ordinanza 29 giugno 1988, n. 556, G. U. 26 ottobre 
1988, n. 43. 
Sezione istruttoria della Corte d'appello di Venezia, ordinanza 2 maggio 
1988, n. 614, G. U. 16 novembre 1988, n. 46. 
Tribunale di Genova, ordinanza 14 giugno 1988, n. 686, G. U. 30 novembre 
1988, n. 48. 
Tribunale di Verbania, ordinanza 22 luglio 1988, n. 740, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 


RASSEGNA DEll'AVVOCATURA DELLO STATO 

Tribunale di Salerno, ordinanza 5 ottobre 1988, n. 742, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

Tribunale di Lodi, ordinanza 22 settembre 1988, n. 746, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, n. 7 (art. 25 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 11 aprile 1988, n. 394, G. U. 7 settembre 
1988, n. 36. 
Tribunale di Torino, ordinanza 11 aprile 1988, n. 395, G. U. 12 ottobre 
1988, n. 41. 
Tribunale di Torino, ordinanze (otto) 18 e 29 aprile, 24 giugno e 7 luglio 
1988, nn. 688-695, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. 
Tribunale di Torino, ordinanze (quattro) 7 luglio 1988, nn. 754-757, G. U. 
21 dicembre 1988, n. 51. 

legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, primo comma, n. 7 (artt. 3 e 25 della 
Costituzione). 

Tribunale di Alba, ordinanza 22 aprile 1988, n. 440, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 
Corte d'appello di Torino, ordinanza 1� giugno 1988, n. 441, G. U. 12 ottobre 
1988, Il. 41. 
Tribunale di Mondov�, ordinanze (due) 26 maggio 1988, nn. 463464, G. U. 
19 ottobre 1988, n. 42. 
Tribunale di Livorno, ordinanza 6 maggio 1988, n. 551, G. U. 26 ottobre 
1988, n. 43. 
Tribunale di Trieste, ordinanza 3 maggio 1988, n. 570, G. U. 2 novembre 
1988, n. 44. 
Tribunale di Isernia, ordinanza 11 maggio 1988, n. 616, G. U. 16 novembre 
1988, n. 46. 
Corte d'appello di Torino, ordinanza 16 maggio 1988, n. 446, G. U. 30 novembre 
1988, n. 48. 
Corte di cassazione, ordinanza 12 febbraio 1988, n. 683, G. U. 30 novembre 
1988, n. 48. 
Tribunale di Isernia, ordinanze (due) 21 settembre 1988, nn. 714 e 715, G. U. 
7 dicembre 1988, n. 49. 
Tribunale di Isernia, ordinanza 25 maggio 1988, n. 761, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, primo comma, n. 7 (art. 25 della Costituzione). 


Tribunale di Vicenza, ordinanza 18 aprile 1988, n. 363, G. U. 14 settembre 
1988, n. 37. 
Tribunale di Lanusei, ordinanza 23 settembre 1988, n. 717, G. U. 7 dicembre 
1988, n. 49. 

legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 31 (art. 3 della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Caserta, ordinanza 2 dicem� 
bre 1987, n. 554/88, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 

I 
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I 

I

I 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE tJJ 

d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 25, primo comma (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Castelfiorentino, ordinanza 13 aprile 1988, n. 640, G. U. 23 novembre 
1988, n. 47. 

d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19 [conv. in legge 27 novembre 1982, n. 873] 
(artt. 3, 23 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 23 febbraio 1988, n. 723, G. U. 7 dicembre 
1988, n. 49. 

d.I. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, primo e secondo comma [conv. in 
legge 27 novembre 1982, n. 873] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Tribunale di Torino, ordinanza 12 aprile 1988, n. 716, G. U. 7 dicembre 
1988, n. 49. 

legge 20 novembre 1982, n. 890, art. 7 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Morbegno, ordinanza 21 marzo 1988, n. 439, G. U. 12 ottobre 
1988, n. 41. 

legge 20 novembre 1982, n. 890, art. 8, ten:o comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 


Pretore di Gallipoli, ordinanza 8 giugno 1988, n. 653, G. U. 23 novembre 1988, 

n. 47. 
dJ. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 24, quinto comma [conv. in legge 26 aprile 
1983, n. 131] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 

Tribunale di Pinerolo, ordinanza 13 maggio 1988, n. 737, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

legge 26 man:o 1983, n. 84, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3 e 10 della Costituzione). 

Tribunale di Genova, ordinanza 7 luglio 1988, n. 673, G. U. 30 novembre 
1988, n. 48. 

d.I. 12 settembre 1983, n. 463, art. 5, sesto comma [conv. in legge 11 novem� 
bre i983, n. 638] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Lecce, ordinanza 19 marzo 1988, n. 437, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 12 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Tribunale di Pinerolo, ordinanza 13 maggio 1988, n. 737, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

legge reg. Emilia-Romagna 14 man:o 1984, n. 12, artt. 19, secondo e terzo 
comma, e 23, primo comma, lett. d) (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Bologna, ordinanza 9 novembre 1987, n. 612/88, G. U. 16 novembre 
1988, n. 46. 


1J4 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

legge reg. Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, art. 26, primo e secondo 

comma (artt. 117 della Costituzione). 
Pretore di Ferrara, ordinanze (quattro) 26 aprile 1988, nn. 405-408, G. U. 

I

21 settembre 1988, n. 38. 

I 

legge 9 maggio 1984, n. 118 (artt. 3, 41 e 53 della Costitlizione). 

Pretore di Ascoli Piceno, ordinanza 16 luglio 1987, n. 745/88, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

legge 16 luglio 1984, n. 326, artt. 1 e 19 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Tribunale amm~nistrativo regionale per la Toscana, ordinanza 15 ottobre 
1986, n. 669/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. 

legge 16 luglio 1984, n. 326, art. 3, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, ordinanza 5 febbraio 
1987, n. 670/88, G. U. 30 novembre 1988, n. 48: 

r 

legge 6 agosto 1984, n. 425, artt. 1, secondo comma, e 8 (artt. 3 e 36 della 
Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, ordinanza 
27 aprile 1988, n. 596, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 

legge 6 agosto 1984, n. 425, art. 4 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Consiglio di Stato, ordinanza 26 gennaio 1988, n. 345, G. U. 3 agosto 1988, 


n. 31. 
legge reg. Liguria 27 agosto 1984, n. 44, art. 27, secondo, quinto, sesto, 
decimo e sedicesimo comma (artt. 3, 35, 36, 51, 97 e 117 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Liguria, ordinanza 9 aprile 1987, 

n. 512/88, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 
legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 13 e 22 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Sorrento, ordinanza 21 aprile 1988, n. 456, G. U. 19 ottobre 1988, 


n. 42. 
Pretore di Sorrento, ordinanza 18 luglio 1988, n. 732, G. U. 14 dicembre 
1988, n. 50. 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 22 (art. 112 della Costituzione). 
Pretore di Avola, ordinanza 29 giugno 1988, n. 293, G. U. 6 luglio 1988, n. 27. 
Pretore di Avola, ordinanza 11 marzo 1988, n. 428, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 




PARm lI, RASSEGNA DI LEGISLAZIONB 1.JJ 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 31, 34, 35,, 38 e 44 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Trentola, ordinanza 30 giugno 1988, n. 633, G. U. 23 novem� 
bre 1988, n. 47. 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. da 31 a 44 (artt. 3, 77 e 128 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Pietrasanta, ordinanza 29 giugno 1987, n. 397/88, G. U. 21 settem� 
bre 1988, n. 38. . 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 38, primo comma (art. 112 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Cagliari, ordinanza 13 ottobre 1988, n. 764, G. U. 28 dicembre 
1988, n. 52. 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 4o (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Capri, ordinanza 9 maggio 1988, n. 652, G. U. 23 novembre 
1988, n. 47. 

legge 25 marzo 1985, n. 121, art. 5, lett. b), n. 2, prob. add. (artt. 2, 3 e 19 
della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 30 marzo 1987, n. 575/88, G. U. 2 novembre 
1988, n. 44. 

legge 25 marzo 1985, n. 121, art. 9, punto 2 (artt. 2, 3 e 19 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 30 marzo 1987, n. 575/88, G. U. 2 novembre 
1988, n. 44. 

, legge 15 aprile 1985, n. 140, art. 6, n. 1 (artt. 2, 3 e 38 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 1� luglio 1987, n. 562/88, G. U. 26 ottobre 
1988, n. 43. 

legge 15 aprile 1985, n. 140, art. 6, secondo comma (art. 3 della Costituzione), 

Pretore di Torino, ordinanze (due) 1� giugno 1988, nn. 577 e 578, G. U. 
9 novembre 1988, n. 45. 

legge 15 aprile 1985, n. 140, art. 9 (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 4 maggio 1988, n. 362, G.U. 14 settembre 
1988, n. 37. 

d.l. 23 aprile 1985, n. 146, art. 8-quater [convertito in legge 21 giugno 1985, 
n. 288] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Avola, ordinanza 11 marzo 1988, n. 429, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 
Pretore di Sortino, ordinanza 18 aprile 1988, n. 438, G. U. 12 ottobre 1988, n. 41. 


156 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 17 maggio 1985, n. 210, art. 23 (artt. 3 e 25 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Toscana, ordinanza 19 febbraio 
1987, n. 325/88, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. 

legge 21 giugno 1985, n. 298, art. 8-quater (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Sorrento, ordinanza 21 aprile 1988, n. 456, G. U. 19 ottobre 
1988, n. 42. 
Pretore di Sorrento, ordinanza 18 luglio 1988, n. 732, G. U. 14 dicembre 
1988, n. 50. 

legge 24 luglio 1985, n. 409, artt. 4, 5 e 20 (artt. 3, 4 e 33 della Costituzione). 

Tribunale di Verona, ordinanza 10 luglio 1987, n. 365/88, G. U. 19 ottobre 
1988, n. 42. 

legge 8 agosto 1985, n. 443, art. 13, sesto comma (artt. 3, 38 e 116 della 
Costituzione). 

Pretore di Trieste, ordinanza 13 settembre 1988, n. 727, G. U. 14 dicembre 
1988, n. 50. 

legge 26 settembre 1985, n. 482, artt. 2 e 4 (art. 3 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Bergamo, ordinanza 26 aprile 
1988, n. 639, G. U. 23 novembre 1988, n. 47. 

legge 26 settembre 1985, n. 482, artt. 2 e 4, primo e quarto comma (artt. 3, 
38 e 53 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 16 giugno 1988, n. 644, G. U. 23 novembre 
1988, n. 47. 

legge 26 settembre 1985, n. 482, artt. 2 e 4, primo e quarto comma (art. 53 
della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 25 marzo 1988, n. 328, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. 

d.l. 30 dicembre 1985, n. 789, art. 25 [sost. dal d.l. 28 febbraio 1986, n. 47, 
art. 26] (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Tribunale di Pinerolo, ordinanza 13 maggio 1988, n. 737, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Firenze, ordinanza 14 dicembre 1987, n. 416/88, G. U. 28 settembre 
1988, n. 39. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo, nono, decimo, tredicesimo e 
quattordicesimo comma (artt. 3 e 53, primo comma della Costituzione). 

Pretore di Lodi, ordinanza 6 luglio 1987, n. 369/88, G. U. 24 agosto 1988, n. 34. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
1.f7 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, ottavo, decimo, tredicesimo e quattordicesimo 
comma (artt. 3, 53 e 81 della Costituzione). 

Pretore di Messina, ordinanza 17 marzo 1987, n. 444/88, G. U. 12 ottobre 
1988, n. 41. 

legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, decimo, tredicesimo e quattordicesimo 
comma (art. 53, secondo comma, della Costituzione). 

Pretore di Lodi, ordinanza 6 luglio 1987, n. 369/88, G. U. 24 agosto 1988, 

n. 34. 
legge 5 dicembre 1986, n. 856, art. 3, quarto comma, in relazione al secondo 
comma (artt. 3, 4, 35 e 37 della Costituzione). 

Pretore di Venezia, ordinanza 15 aprile 1988, n. 629, G. U. 16 novembre 1988, 

n. 46. 
d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, art. 1 [conv. in legge 6 febbraio 1987, n. 15] 
(art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Rimini, ordinanze (due) 17 marzo e 27 gennaio 1988, nn. 323 e 
324, G. U. 27 luglio 1988, n. 30. 
Pretore di Rimini, ordinal'!-za 14 aprile 1988, n. 380, G. U. 21 settembre 1988, 

n. 
38. 
Pretore di Rimini, ordinanza 14 aprile 1988, n. 476, G. U. 28 settembre 1988, 
n. 
39. 
d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, art. 1 [conv. in legge 6 febbraio 1987, n. 15] 
(artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Pretore di Rimini, ordinanza 22 giugno 1988, n. 659, G. �. 30 novembre 1988, 

n. 48. 
legge 13 dicembre 1986, n. 912, art. 1, primo comma (artt. 3, 24 e 38 della 
Costituzione). 

Pretore di Modena, ordinanze (nove) 28 marzo, 29 febbraio e 19 maggio 1988, 
nn. 699-707, G. U. 30 novembre 1988, n. 48. 

legge 17 dicembre 1986, n. 880, art. 11 (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). 

Commissione tributaria di secondo grado di Novara, ordinanza 18 aprile 
1988, n. 447, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 17, primo comma (artt. 3, 38 e 53 della 
Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 16 giugno 1988, n. 644, G. U. 23 novembre 1988, 

n. 47. 
legge 6 febbraio 1987, n. 15, art. 1 (artt. 3 e 42 della Costituzione). 

Pretore di Ailbano Laziale, ordinanza 24 agosto 1988, n. 741, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 


1f8 ' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 18 febbraio 1987, n. 34, art. 3 (artt. 79 e 87 della Costituzione). 

Tribunale di Teramo, ordinanza 27 febbraio 1988, n. 410, G. U. 21 settembre 
1988, n. 38. 

legge 28 febbraio 1987, n. 56, art. 21, settimo comma (art. 3 della Costituzione). 


Pretore di Milano, ordinanza 19 marzo 1988, n. 377, G. U. 21 settembre 1988, 

n. 38. 
legge 6 marzo 1987, n. 74, art. 23 (artt. 3 e 29 della Costituzione). 

Pretore di Venezia, ordinanza 11 giugno 1988, n. 675, G. U. 30 novembre 
1988, n. 48. 

d.P.R. .13 aprile 1987, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Salerno, ordinanza 10 dicembre 1987, n. 373/88, G. U. 24 agosto 1988, 

n. 34. 
Pretore di Salerno, ordinanze (due) 1� marzo 1988, nn. 650 e 651, G. U. 23 novembre 
1988, n. 47. 

d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] (artt., 3 
24 e 113 della Costituzione). 
Pretore di Bari, ordinanza 6 giugno 1988, n. 630, G. U. 16 novembre 1988, 

n. 46. 
d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] 
(artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). 
Tribunale di Pistoia, ordinanze (quattordici) 13 gennaio 1988, nn. 308-321, G. U. 
13 luglio 1988, n. 28. 
Tribunale di Pistoia, ordinanza 13 gennaio 1988, n. 455, G. U. 19 ottobre 1988, 

n. 42. 
d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23 [conv. in legge 29 ottobre 1987, n. 440] 
(artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Firenze, ordinanza 23 novembre 1987, n. 296/88, G. U. 6 luglio 1988, 

n. 27. 
d.l. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23 quarto comma [conv. in legge 29 ottobre 
1987, n. 440] (art. 3 della Costituzione). 
Corte di Cassazione, ordinanza 8 aprile 1988, n. 770, G. U. 28 dicembre 1988, 

n. 52. 
d.l. 31 agosto 1987, n. 359, art. 23, quarto comma [convertito in legge 29 ot� 
tobre 1987, n. 440] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Pretore di Pisa, ordinanze (due) 2 febbraio 1988, nn. 359-360, G. U. 3 agosto 
1988, n. 31. 



PARTB II, RASSEGNA DI. LBGISLAZIONB 
1J9 

Pretore di Firenze, ordinanza 10 dicembre 1987, n. 361/88, G. U. 24 agosto 
1988, n. 34. 

Pretore di Firenze, ordinanze (due) 16 novembre 1987, n. 414 e 415/88, G. U. 
28 settembre 1988, n. 39. 

d.I. 25 settembre 1987, n. 393, art. 2 [conv. in legge 25 novembre 1987, n. 478] 
(artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Tribunale di Roma, ordinanza 14 aprile 1988, n. 478, G. U. 28 settembre 1988, 

n. 
39. 
Tribunale di Roma, ordinanza 1� giugno 1988, n. 656, G. U. 30 novembre 1988, 
n. 
48. 
d.I. 30 dicembre 1987, n. 536, art. 5, nono comma [conv. in legge 29 feb� 
braio 1988, n. 48] (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Trento, ordinanza 20 luglio 1988, n. 751, G. U. 21 dicembre 1988, 

n. 51. 
d.I. 30 dicembre 1987, n. 536, art. 5, nono comma [conv. in legge 29 feb� 
braio 1988, n. 48] (artt. 3, 38 e 116 della Costituzione). 
Pretore di Trieste, ordinanza 13 settembre 1988, n. 727, G. U. 14 dicembre 1988, 

n. 
50). � 
d.I. 8 febbraio 1988, n. 25, art. 1, primo comma (artt. 3, 24, 38 e 113 della 
Costituzione). 
Pretore� di Parma, ordinanza 8 aprile 1988, n. 453, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 9, punto 5 (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Piacenza, ordinanza 3 giugno 1988, n. 632, G. U. 16 novembre 1988, 

n. 
46. 
legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 11 (artt. 3, 36, 38 e 101 della Costituzione). 

Pretore di Parma, ordinanza 7 giugno 1988, n. 744, G. U. 21 dicembre 1988, 

n. 
51. 
legge 11 marzo. 1988, n. 67, art. 22, secondo comma (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
� 

Pretore di La Spezia, ordinanza 19 maggio 1988, n. 513, G. U. 19 ottobre 1988, 

n. 
42. 
legge 8 aprile 1988, n. 108, artt. 1 e l�bis (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Gravina in Puglia, ordinanza 11 settembre 1988, n. 684, G. U. 
30 novembre 1988, n. 48. 

legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 16 (artt. 3, 10, 16, 
101, 104 e 108 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, ordinanza 12 maggio 1988, 

n. 
460, G. U. 5 ottobre 1988, n. 40). 

160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 1, 2, S, 7 e 8 (artt. 3, 28, 101, 103, 108 e 113 
della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 12 mag. 
gio 1988, n. 579, G. U. 9 �novembre 1988, n. 45. 

legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 1, 7, terzo comma, e 8, quarto comma! 
(artt. 3, 24 e 25 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Ravenna, ordinanza 28 aprile 1988, 

n. 422, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. 
legge 12 aprile 1988, n. 117 artt. 1 e 16, cpv., terzo comma (artt. 36, 101 cpv., 
104, primo comma, e 107 della Costituzione). 

Commissione tributaria di primo grado di Brescia, ordinanza 7 luglio 1988, 

n. 760, G. U. 21 dicembre 1988, n. 51. 
legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 1, secondo comma, 2 e 16 (artt. 3 e 28 della 
Costituzione). 

Tribunale di Biella, ordinanza 10 maggio 1988, n. 327, G. U. 27 luglio 1988, 

n. 30. 
legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 1, secondo comma e 16, secondo, quinto, e 
sesto comma (artt. 3, 24, 101 e 104 della Costituzione). 

Corte d'appello di T�rento, ordinanza 2 settembre 1988, n. 622, G. U. 16 no� 
vembre 1988, n. 46. 

legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 2, 7, 9 e 16 (artt. 101, 103 e 108 della Costi� 
tuzione). 

Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (diciassette) 24 maggio 1988, 
nn. 479-495, G. U. 28 settembre 1988, n. 39. 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (sedici) 22 giugno 1988, nn. 496.511, 

G. U. 5 ottobre 1988, n. 40. 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanze (quattro) 22 giugno 1988, nn. 571� 
574, G. U. 2 novembre 1988, n. 44. 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 726, G. U. 14 di� 
cembre 1988, n. 50. 
Tribunale militare di La Spezia, ordinanza 23 giugno 1988, n. 758, G. U. 21 dicembre 
1988, n. 51. 

legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 2, terzo comma, lett. b) e c), e 7, terzo comma 
(artt. 101, 102, 104, 107 e 108 della Costituzione). 

Tribunale di Bari, ordinanza 2 maggio 1988, n. 396, G. U. 21 settembre 1988, 

n. 38. 
legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 2, terzo comma, lett. b) e c), e 16, primo e terzo 
comma (artt. 3 e 101 della Costituzione). 

Corte di cassazione, ordinanza 2 giugno 1988, n. 557, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONll 

legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 7 e 16 (artt. 10 e 101 della Costituzione). 

Tribunale di Firenze, ordinanza 13 maggio 1988, n. 450, G. U. 26 ottobre 1988, 

n. 43. 
legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 7, primo e terzo comma (artt. 3, 101 e 108 della 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 18 maggio 1988, n. 709, G. U. 7 dicembre 1988, 

n. 49. 
legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 7, terzo comma (artt. 3, 101, secondo comma 
e 108 secondo comma, della Costituzione). 

Tribunale militare di Padova, ordinanze (due) 27 aprile 1988, nn. 334 e 335, 

G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 
legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 7, terzo comma, e 2, terzo comma (art. 3 delle 
Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanza 2 maggio 1988, n. 358, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 

legge 13 aprile 1988, n. 117, artt. 7, terzo comma, e 8, quarto comma (art. 3 
della Costituzione). 

Commissione tributaira di primo grado di Aosta, ordinanza 30 aprile 1988, 

n. 552, G. U. 26 ottobre 1988, n. 43. 
legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 9 (artt. 3, 13, 28, 97, 101, 105, 107 e 108 della 
Costituzione). 

Tribunale militare di Padova, ordinanze (tre) 17 maggio 1988, n. 386-388, G. U. 
31 agosto 1988, n. 35. 

Tribunale militare di Padova, ordinanze (quattro) 19 maggio 1988, n. 389-392, 

G. U. 7� settembre 1988, n. 36. 
Tribunale militare di Padova, ordinanze (trentaquattro) 26 maggio 1988, 
nn. 515-548, G. U. 19 ottobre 1988, n. 42. 

legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 16 (artt. 3 e 97 della Costituzione). 

Corte d'appello di Trieste, ordinanza 26 aprile 1988, n. 382, G. U. 21 settembre 
1988, n. 38. 

legge 13 aprile 1988, n. 117, art. 16, secondo comma (artt. 97 e 101 della 
Costituzione). 

Giudice relatore tribunale di Firenze, ordinanza 25 giugno 1988, n. 634, G. U. 
23 novembre 1988, n. 47. 

d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, artt. 4, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 17 (artt. 76, 
117 e 118 della Costituzione). 
Regione Liguria ricorso 19 luglio 1988, n. 21, G. U. 3 agosto 1988, n. 31. 


162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge reg. Piemonte, 16 giugno 1988 (art. 118, 119, 121 e 128 della Costituzione). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 16 luglio 1988, n. 20, G. U. 3 agosto 
1988, n. 31. 

legge prov. aut. di Trento 18 luglio 1988 (art. 8, punto 1�, statuto spec. Trentino�lto 
Adige). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 11 agosto 198.8, n. 22, G. U. 5 ottobre 
1988, n. 40. 

legge reg. Marche, 26 luglio 1988 (delibera CIPE 19 novembre 1981, paragrafo 3, 
sub f). 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso 20 agosto 1988, n. 23, G. U. 
5 ottobre 1988, n. 40. 

legge reg. Lazio, 27 luglio 1988 (legge 7 febbraio 1979, n. 29, art. 2). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 26 agosto 1988, n. 25, G. U. 5 ottobre 
1988, n. 40. 

legge reg. Lazio 27 luglio 1988 (artt. 97 e 117 della Costituzione). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 26 agosto 1988, n. 27, G. U. 12 ottobre 
1988, n. 41. 

legge reg. Abruzzo 28 luglio 1988 (artt. 3, 5, 117 e 128 della Costituzione). 

Presidente Consigilio dei Ministri, ricorso 26 agosto 1988, n. 26, G. U. 12 ottobre 
1988, n. 41. 

legge reg. Abruzzo 28 luglio 1988 (artt. 97, 117 e 121 della Costituzione). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 23 agosto 1988, n. 24, G. U. 5 ottobre 
1988, n. 40. 

legge S agosto 1988, n. 330, art. 7 (artt. 13, 102, 107 e 112 della Costituzione). 

Giudice istruttore presso tribunale di Cagliari, ordinanza 12 settembre 1988, 

n. 713, G. U. 7 dicembre 1988, n. 49. 
legge 23 agosto 1988, n. 400, artt. 2, secondo comma, lettera d), h), e p), e 24, 
primo comma, lett. c) (art. 117, 118 e 125 della Costituzione). 

Regione Veneto, ricorso 19 ottobre 1988, n. 33, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 

legge 23 agosto 1988, n. 400, artt. 2, lettera d), e), h) e p), primo comma, lett. e, 
e secondo comma, 19, lett. p), 23, sesto comma, e 24, primo comma, lett. c) (art. 116 
della Costituzione e artt. 4, 5, 16, 41, 44, 87 e 88 dello statuto reg. Trentino-Alto 
Adige). 

Reg. Trentino-Alto Adige, ricorso 19 ottobre 1988, n. 34, G. U. 9 novembre 1988, 

n. 45. 

PARTB II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 16J 

legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 2, terzo comma, lettere d) e p) (artt. 4, 5, 58 
e 60 dello statuto speciale reg. Friuli e 115 della Costituzione). 

Giunta reg. Friuli-Venezia Giulia ricorso 18 ottobre 1988, n. 30, G. U. 9 novembre 
1988, n. 45. 

legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 2, terzo comma, lettere d) e p) (artt. 5, 115, 125, 
126 e 134 della Costituzione e 3, 8, 9, 16, 33, ,38, 52, 97 e 107 dello statuto regionale). 

Prov. aut. di Trento, ricorso 18 ottobre 1988, n. 29, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 

legge 23 agosto 1988, n. 400, artt. 2, terzo comma, lettere d) e p), 5, secondo 
comma, lettere e) e f), e 12, quinto comma, lettera b) (art. 134 della Costituzione 
e art. 3 e 6 dello statuto reg. Sardegna). 

Regione. Sardegna, ricorso 18 ottobre 1988, n. 32, G. U. 9 novembre 1988, n. 45. 

legge 23 agosto 1988, n. 400, artt. 2, terzo comma, lett. d) e p), 12, quinto 
comma, lett. b), e settimo comma, 13, primo comma, lettere b) ed e), e secondo 
comma, 19, primo comma, lett. p), e 24, primo comma, lett. c) (artt. 3, 4, 5, 8, 
9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 19, 33, 38, 49, 61, 78, 87, 88, 90, 91, 92, 97, 98, 103, 
104, 107 dello statuto regione Trentino-Alto Adige e artt. 5, 6, 116, 125 e 134 della 
Costituzione). 

Prov. aut. di Bolzano, ricorso 18 ottobre 1988, n. 31, G. U. 9 novembre 1988, 

n. 45. 
legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 2, terzo comma, lett. p) (artt. 5, 115, 118, 125, 
126 e 134 della Costituzione). 

Regione Lombardia, ricorso 18 ottobre 1988, n. 28, G. U. 9 novembre 1988, 

n. 45. 
legge reg. Marche 29 settembre 1988, n. 148 (artt. 3, 97 e 117 della Costituzione). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 27 ottobre 1988, n. 35, G. U. 30 novembre 
1988, n. 48. 

legge reg. Molise 18 ottobre 1988 (artt. 3 e 97 della Costituzione e legge reg. 
Molise 3 gennaio 1983, n. 1). 

Presidente Consiglio dei Ministri, ricorso 17 novembre 1988, n. 36, G. U. 7 dicembre 
1988, n. 49.