ANNO XLI -N. 1 -5 GENNAIO -OTTOBRE 1989 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1990 ABBONAMENTI ANNO 1990 ANNO L 42.000 UN NUMERO SEPARATO . . . . 1t 8.000 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Attivit Commerciali -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Ital, Autorizzazione Tribunale di Roma Decreto n. 11089 del 13 lusllo 1966 (2219024) Roma, 1990 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del/' avv. Franco Favara) . . . . pag. 1 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura dell'avv. Oscar Fiumara) . , 79 Sezione te~a: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE (a cura degli avvocati Antonio Cingolo e Giuseppe Stipo) . . , 146 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA CIVILE (a cura dell'avvocato Antonio Cingolo) . . . . , 194 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura degli avv. Raffaele Tamiozzo e G. P. PolizziJ . 1 242 Sezione sesta GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Bafile) , 278 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura degli avvocati Sergio Laporta e Piergiorgio Ferri) . . . , 327 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE INDICE BIBLIOGRAFICO QUESTIONI , 1 RASSEGNA 01 LEGISLAZIONE . , 32 La pubblicazione diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Carlo BAFILE, L'Aquila; Nicasio MANcuso, Palermo; Rocco BERARDI, Potenza; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo SCOTTI, Trieste; Giancarlo MAND, Venezia. ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI Cerimonia d'insiediamento dell'Avvocato Generale dello Stato: discorsi del Presidente del Consiglio dei Ministri e dell'Avvocato Generale dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . G. AZZARITI: Il controllo di legittimit della Corte dei Conti e gli atti del Governo aventi forza di legge . . . . . . . . . . . I. F. CARAMAZZA e R. DI MARTINO: Avvocatura dello Stato e giustizia amministrativa ..................... . F. FAVARA: Indennizzi e sovraindennizzi espropriativi: sviluppi del 1988 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . F. FAVARA: L'omessa tenuta o conservazione di una o pi scritture contabili obbligatorie . . . . . . . . . . . . O. FIUMARA: Le sentenze della Corte di giustizia delle Comunit europee nel 1989 in cause alle quali ha partecipato l'Italia O. FIUMARA: Sulla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . pag. I, II, Il, I, I, I, xv 60 13 73 79 85 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ANTIC.HITA E BELLE ARTI -Occupazione di suolo privato -In~ dennit -Diritto soggettivo -Giurisdizione ordinaria, 222. -Ritrovamento di cose di interesse storico ed artistico -Premio per l'inventore -Interesse legittimo Giurisdizione amministrativa, 222. ARBITRATO -Controversie in materia di concessione di beni -Terreni di riforma agraria -Arbitrato -Compromesso Ammissibilit -Esclusione, 327. AVVOCATURA DELLO STATO -Patrocinio di Enti pubblici -Mandato -Necessit -Esclusione, 327. CIRCOLAZIONE STRADALE -Immatricolazione di autoveicoli per servizi di noleggio con conducente Enti locali -Non hanno diritto alla immatricolazione, 230. COMPETENZA CIVILE -Croce Rossa Italiana -Rapporto di lavoro -d.P.R. 613/80 -Mancata emanazione del nuovo Statuto -Giurisdizione del giudice amministrativo, 164. COMUNIT EUROPEE -Agricoltura -Disposizioni relative ai vini di qualit prodotti in regioni determinate -Denominazione -Delimitazione della zona -Lago di Caldaro, 100. -Appalti di lavori pubblici -Offerte anormalmente basse -Efficacia diretta delle direttive nei confronti dell'amministrazione, 119. -Declaratoria di definitivit di regolamento CEE annullato dalla Corte di giustizia -Limite di efficacia nell'ordinamento italiano -Salva guardia del diritto costituzionale alfa tutela giurisdizionale, 20. -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti -Aiuti alle organizzazioni di produttori di ortofrutticoli -Termini di pagamento Ragionevolezza, 138. -Inadempimento di uno Stato -Mancata attuazione della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, n. 80/987I CEE -Tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, con nota di O. FIUMARA, 84. -Libera circolazione dei lavoratori Impiego nella pubblica amministrazione -Lettori di lingua straniera nelle universit, 113. -Libera circolazione dei lavoratori Lettori di lingua straniera nelle universit -Durata del rapporto di lavoro, 114. -Libera circolazione dei lavoratori Lettori di lingua straniera nelle universit -Regime previdenziale, 114. -Norme nazionali incompatibili con il trattato -Disapplicazione anche ad opera degli organi amministrativi, 27. -Ravvicinamento delle legislazioni Prevenzione e smaltimento dei rifiuti -Sacchetti di plastica, 132. -Risorse proprie -Interessi moratori -Accertamento dei dazi -Rettifica, 96. -Unione doganale -Regime fiscale discriminatorio -Distillati della canna da zucchero -Rum, 127. -Unione doganale -Tasse di effetto equivalente a un dazio doganale Costo dei controlli e delle formalit amministrative in particolari fasce orarie negli uffici doganali -Commercio intracomunitario e con i paesi terzi, 108. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitto di attribuzione -Non pu essere occasionato da atto legislativo, con nota di G. AZZARITI, 59. INDICE DELLA GIURISPRU))ENZA -Conflitto di attribuzione -Organi ausiliari previsti dalla Costituzione -Sono abilitati a sollevare il con. flitto, con nota di G. AZZARITI, 59. -Corte dei Conti -Decreto leglislativo e decreto legge -Necessit costituzionale del controllo preventivo -Non sussiste, con nota di G. AzZARITI, 59. -Domande di semplice chiarimento interpretativo -Inammissibilit, 26. EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA -Contributi a carico solo dei lavoratori dipendenti -Impiego del gettito -Da assegnarsi solo alla costruzione di abitazioni per i lavoratori dipendenti, 24. ENTI LOCALI - Attivit al di fuori dell'ambito del proprio territorio -Illegittimit, 244. -Costituzione di societ per attivit non istituzionali Illegittimit, 244. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA -Cessione volontaria -Terreni con destinazione edificatoria Inapplicabilit delle disposizioni prevedenti maggiorazioni, 4. -Indennit aggiuntiva per il coltivatore non proprietario Terreni con destinazione edificatoria -Limite del costo complessivo della operazione espropriativa, 3. -Indennit di espropriazione . Media tra valore venale del terreno edificatorio e valore agricolo medio Legittimit costituzionale, 4. -Indici di rivalutazione diversi da indici ISTAT Applicabilit necessit motivazione, 212. -Occupazione legittima Indennit Rivalutazione automatica -Non compete, 212. -Realizzazione dell'opera pubblica i.n periodo di occupazione legittima . Indennit -Non COID[pete, 212. -Trasferimento di funzioni alle Regioni Acquedotto di interesse regionale Assunzione dell'impegno di spesa da parte della Cassa -Competenza delle Regioni Esclusione, 335. GIURISDIZIONE CIVILE. ---< Controversia concernente aumenti di retribuzione da valere ai fini del trattamento di quiescenza anche provvisorio -Giurisdizione Corte dei Conti, 192. -Controversie in materia di buonu scita ai dipendenti dell'Ente Ferrovie dello Stato Giurisdizione amministrativa, 156. - Lavoro Assunzioni obbligatorie L. n. 482 del 1968 -Diritti soggettivi nei confronti della P.A. -Norme di relazione -Violazione -Invalido pretermesso nell'avviamento al lavoro Domanda risarcitoria -Giurisdizione A.G.O., 172. - Pensioni -Competenza dell'A.G.O. nelle controversie in cui l'interessato abbia domandato il trattamento pensionistico INPS incrementato dal periodo di iscrizione alla CPDEL, 152. -Pensioni -Domanda diretta ad ottenere il trattamento pensionistico CPDEL anche attraverso ricongiunzione e riunificazione di precedente posizione INPS Giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti, 152., -Ricongiunzione dei servizi ai fini della pensione Giurisdizione della Corte dei Conti, 163. -Riscatto del periodo corrispondente alla durata legale degli studi universitari Giurisdizione del giudice del rapporto di lavoro, 154. -Riscatto del periodo corrispondente alla durata legale degli studi universitari Giurisdizione della Corte dei conti, 242. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Associazioni di categoria -Legittimazione ad agire e a contraddire, 243. ISTRUZIONE E SCUOLE -Atti di controllo -Scuole di lingua italiana in provincia di Bolzano Competenza del Sovrintendente scolastico, 233. -Convitti -Immobili concessi in uso per fogge -Diritto soggettivo -Carenza di potere della P. A. di disporne a favore di altri soggetti -Giurisdizione ordinaria, 232. Vlll RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO LAVORO -Costituzione del rapporto processuale con il deposito dell'atto introduttivo -Notificazione -Irrilevanza sulla instaurazione del giudizio Mancata costituzione del convenuto -Rinnovazione della notificazione, 194. -Giudizio di rinvio -Nullit della notifica -Mancata rilevanza da parte del giudice -Cassazione del rinvio Sanatoria ex tunc attraverso rituale riassunzione e notificazione, 194. - Mancata notifica dell'appello all'ap pellato -Mancata comparizione delle parti all'udienza di discussione Improcedibilit del gravame, 195. OBBLIGAZIONI (IN GENERALE) -Debiti di valuta -Momento di riferimento ai fini della rivalutazione . Quello della decisione, 212. -Debiti di valuta -Comprende anche interessi, 212. PENA -Esecuzione della pena -Lavoro del semilibero -Retribuzione -Versamento alla direzione dell'istituto . Legittimit, con nota di G. MONETA, 204. PREVIDENZA -Assicurazioni obbligatorie -Oneri sociali -Fiscalizzazione -Imprese manifatturiere ed estrattive -Inclusione delle imprese impiantistiche metalmeccaniche -Art. 22, secondo comma d.I. n. 633 del 1979 -Carattere, innovativo -Efficacia, 181. -Istituti di patronato -Finanziamento -Aliquota di prelevamento sul gettito dei contributi -Decreto di determinazione -Natura -Atto di normazione secondaria -Esclusione, con nota di G. MATALONI, 157. -Istituti di patronato Finanziamento -Aliquota di prelevamento sul gettito dei contributi -Decreto di determinazione -Posizione soggettiva dei destinatari -Natura -Interesse legittimo Lesione Giurisdizione amministrativa, con nota di G. MATALONI, 157. PROCEDIMENTO CIVILE -Sentenza che pronuncia sulla com petenza risolvendo questioni pregiudiziali -Impugnabilit nelle vie ordinarie e non con regolamento di competenza, 195. -Sentenza definitiva Riserva d'im pugnazione -Ammissibilit -Impu gnazione immediata su:cessiva Inammissibilit, 208. REFERENDUM -Referendum regionale Atto di in dizione -Pu esserne giudicata la invasivit, 47. REGIONI -A statuto ordinario Opere idrauliche di quarta o quinta categoria o non classificabili -Attribuzione regionale, 53. -Atti amministrativi regionali illegit timi -Potere statale di annullamen to straordinario Illegittimit costituzionale, 15. -Contrasto di legge regionale con lo statuto della regione -Determina illegittimit costituzionale, 1. -Funzione di indirizzo e coordinamento Fondamento e limiti In particolare rispetto alla Provincia di Bolzano, 27. -Funzione statale di indirizzo e coordinamento -Atto a contenuto notiziale -Non esercizio di detta fun. zione, 27. - Interesse regionale in ambiti estranei alle materie di competenza regionale Non configurabilit in presenza di interessi unitari, 48. SANIT -Controversie con disciolti enti mutualistici -Legittimazione passiva, con nota di G. MONETA, 200. -Disciolti enti mutualistici -Rapporti obbligatori pregressi Medici convenzionati -Trattenute -Compensi per sciopero di categoria -Ripetizione, con nota di G. MONETA, 200. -Medici ambulatoriali convenzionati Trattamento economico Delibera zione commissariale deil'O.N.I.G. difforme dalle previsioni della con INDICE DELLA GIURISPRUDENZA JX venzione nazionale unica Difetto assoluto di giurisdizione Non sussiste Applicazione delle clausole della convenzione nazionale Necessit della delibera di recezione da parte dei singoli Enti Non sussi ste, 167. -Medico Convenzionato Retribuzio ne Art. 36 Cost. Inapplicabilit . Art. 2233 cod. civ. Inapplicabilit, 219. TRASPORTI. PUBBLICI -Comuni ed -altri enti territoriali Impossibilit di esercitare servizi di linea internazionali e interregionali -Limiti e possibilit di esercita re servizi occasionali, 243. -Comuni ed altri enti territoriali Possibilit di servizi oltre l'ambito territol'iale Uniti, 243. -Comuni ed altri enti territoriali Servizi occasionali internazionali o interregionali Rilascio dei docu menti di viaggio Accertamenti e poteri del Ministero dei Trasporti, 243. -Concessione -Autorizzazione ad im piegare autobus di linea a servizio di noleggio con conducente Ri chiesta da parte di enti locali . Valutazione discrezionalit del Ministero dei Trasporti sulle esigenze della popolazione locale, 245. -Concessione -Diniego di autorizzazione ad impiegare autobus di linea a servizio di noleggio con conducente -Giurisdizione del giudice amministrativo, 245. -Costituzione di enti a partecipazione comunale Possibilit di ledere le imprese private del settore, 244. -Diniego di immatricolazione di nuovi autoveicoli da destinare a noleggio -Giurisdizione del giudice ordinario, 245. -Ferrovie Controversie di lavoro Provvedimento emanato nei riguardi del dipendente per esigenze di servizio e tutela di interessi generali Giurisdizione del giudice ordinario, 146. -Ferrovie -Controversie relative a rapporto di lavoro in corso di formazione Giurisdizione del giudice ordinario, 146. -Servizio di autoveicoli con conducente Carattere privato, 244. -Trasporti in concessione Servizi di linea interregionali e internazionaii -Impossibilit di esercizio da parte degli enti locali, 246. TRATTATO INTERNAZIONALE -Reso esecutivo con legge Legge ordinaria di modifica della preceden te -Legittimit costituzionale, 56. TRENTINO ALTO ADIGE -Norme di attuazione dello Statuto Parere della commissione paritetica -Modifiche del testo successive al parere, 14. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento Motivazione Eliminazione di spese non documentate e non inerenti t;'. sufficiente Prova -t;'. a carico del contribuen te, 316. -Imposta sul reddito delle persone fisiche Deduzioni ex art. 10 d.P.R. 25 settembre 1973 n. 597 Contributi agricoli unificati Deducibilit, 317. -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Redditi di capitale Versa menti dei soci alla societ in conto capitale -Fruttuosit Esclusione, 294. -Imposte fondiarie Fabbricati non conformi alla licenza edilizia De cadenza dalle agevolazioni Discordanza solo parziale Decadenza totale, 286. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di registro e imposta sul valore aggiunto Permuta Regime anteriore al nuovo T.U. 26 apri le 1986 n. 131 Unitariet dell'imposizione Assoggettamento alla im posta di registro della sola eccedenza del valore rispetto al bene assoggettato ad IVA, 284. -Imposta di registro Enfiteusi De terminazione imponibile ex art. 28 abrogata legge di registro Enfiteusi di azienda -Inconfigurabilit, 290. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO X -Imposta sul valore aggiunto. Presunzione dell'art. 53 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 -Prova contraria Limiti, 297. -Imposta sul valore aggiunto -Presunzione dell'art. 53 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 -Prova contraria Limiti, 298. TRIBUTI (IN GENERE) -Accertamento tributario -Imposte indirette -Requisito minimo di motivazione, 304. -Accertamento tributario -Motivazione -Provvedimento sulla spettanza di esecuzioni -Richiamo alla norma - sufficiente, 305. -Contenzioso tributario -Condono Estinzione del giudizio -Controver sia sulla condonabilit -Appartiene alla giurisdizione del giudice da vanti al quale pende la controver sia, 278. -Contenzioso tributario -Impugnazione -Acquiescenza della Ammini straziane -Indisponibilit dell'obbli gazione -Compatibilit, 281. -Contenzioso tributario -Natura -Vizi dell'atto di accertamento -Rilevanza, 304. -Contenzioso tributario -Natura -Vi zi dell'atto di accertamento -Rilevanza, 304. -Contenzioso tributario -Rimborsi Azione di indebito oggettivo -Giurisdizione ordinaria Esclusione, 287. - Reato di omessa tenuta o conservazione di scrittura contabile -Mancata previsione di soglia -Legitti mit costituzionale, con nota di F. FAVARA, 73. TRIBUTI LOCALI -Imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili -Vendita forzata -Vi soggetta, 292. VALUTA -Infrazioni valutarie -Opposizione a decreto ministeriale -Giudice competente, 227. t I I ~ INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE Z7 ottobre 1988, n. 993 .. 9 novembre 1988, n. 1022 29 dicembre 1988, n. 1165 14 febbraio 1989, n. 37 21 aprile 1989, n. 229 21 aprile 1989, n. 232 26 aprile 1989, n. 241 28 aprile 1989, n. 242 18 maggio 1989, n. 256 6 giugno 1989, n. 322 6 giugno 1989, n. 323 11 luglio 1989, n. 389 14 luglio 1989, n. 406 25 ~uglio 1989, n. 437 (ord.) . . . . . . CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE Sed. plen., 2 febbraio 1989, neLla causa 22/87 Sed. plen., 22 febbraio 1989, nella causa 54/87 Sed. plen., 25 aprile 1989, nella causa 141/87 Sed. plen., 30 maggio 1989, nella causa 340/87 sa sez., 30 maggio, 1989, nella causa 33/88 Sed. plen., 22 giugno 1989, nella causa 103/88 Sed. plen., 11 1luglio 1989, nella causa 323/87 sa sez., 13 luglio 1989, nella causa 380/87 Sed. plen., 14 novembre 1989, nella causa 14/88 CORTE DI CASSAZIONE Sez. Lav., 10 agosto 1987, n. 6874 Sez. Lav., 19 gennaio 1988, n. 385 Sez. Un., 25 marzo 1988, n. 2578 . Sez. Un., 22 aprile 1988,n. 3134 . . Sez. Un., 10 maggio 1988, n. 3423 Sez. Un., 7 luglio 1988, n. 4482 Sez. I, 11 luglio 1988, n. 4559 Sez. I, 20 luglio 1988, n. 4714 Sez. I, 21 luglio 1988, n. 4726 Sez. Un., 27 luglio 1988, n. 4768 Sez. I, 9 agosto 1988, n. 4886 . . ..... Pag. 1 ,. 3 ,. 4 ,. 14 ,. 15 ,. 20 ,. 24 ,. 26 ,. 47 .. 53 ,. 56 .. 27 .. 59 .. 73 Pag. 84 .. 96 ,. 100 ,. 108 ,. 113 ,. 119 ,. 127 ,. 132 138 Pag. 194 ,. 195 146 ,. 152 154 " 278 " 281 284 " 286 287 ,. 290 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA Dm.J..O STATO XII Sez. VI, 6 giugno 1989, n. 721 246 " Sez. I, 10 agosto 1988, n. 4908 Sez. I, 22 settembre 1988, n. 5195 Sez. I, 6 ottobre 1988, n. 5409 Sez. Un., 26 ottobre 1988, n. 5782 Sez. Un., 26 ottobre 1988, n. 5783 Sez. Un., 12 novembre 1988, n. 6131 Sez. I, 29 novembre 1988, n. 6459 Sez. I, 14 dicembre 1988, n. 6805 . Sez. Un., 19 dicembre 1988, n. 6908 Sez. I, 22 dicembre 1988, n. 7020 . Sez. Lav., 26 gennaio 1989, n. 466 Sez. Lav., 3 febbraio 1989, n. 685 Sez. Un., 18 febbraio 1989, n. 955 Sez. Un., 18 febbraio 1989, n. 956 Sez. I civ., 1 marzo 1989, n. 1099 Sez. Lav., 9 marzo 1989, n. 1245 Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1345 Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1347 Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1349 Sez. I, 21 marzo 1989, n. 1413 Sez. Un., 3 aprile 1989, n. 1590 Sez. Un., 3 aprile 1989, n. 1600 Sez. Un., 13 giugno 1989, n. 2847 Sez. Un., 24 agosto 1989, n. 3750 .. 16 ottobre 1989, n. 4145 ..... Sez. Un., 29 novembre 1989, n. 5217 . . .. CORTE D'APPELLO DI TRIESTE, Sez. Il, 8 aprile 1989, n. 122 . PRETURA DI MILANO, Sez. Lav., 16 giugno 1988, n. 1442 . . . . GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 19 dicembre 1987, n. 782 Sez. V, 14 dicembre 1988, n. 818 Sez. VI, 29 novembre 1988, n. 1291 Sez. VI, 4 marzo 1989, n. 186 Pag. 292 ,. 294 ,. '297 ,. 304 ,. 304 ,. 157 ,. 316 .. 298 ,. 146 ,. 317 ,. 200 204 ,. 208 163 " ,. 212 ,. 219 ,. 164 222 " ,. 167 227 " .. 172 181 " ,. 192 ,. 232 ,. 327 ,. 335 Pag. 230 Pag. 156 Pag. 242 ,. 244 ,. 243 245 PARTE SECONDA Questioni Rassegna di legislazione Questioni di legittimit costituzionale: I -Norme dichiarate incostituzionali II -Questioni dichiarate non fondate III -Questioni proposte . . . : . . . . Pag. 1 32 46 59 AWOCATURA DELLO STATO CERIMONIA D'INSEDIAMENTO DELL'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO GIORGIO AZZARITI Roma, 25 ottobre 1989 INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ON. GIULIO ANDREOTTI. Signor Presidente delila Repubblica, Onorevole Pvesidente del Senato della Repubblica, Onorevole Vice Presidente della Camera dei Deputati, Signor Presidente della Corte Costituzionale, Signori MagiJstrati, Signore, Signori, l'occasione particolarmente felice che ci offerta oggi di celebrare in questa Sala del Vanvitelli, alla preseil2la del Presidente della Repubblica e delle pi alte cariche de1lo Stato, l'insediamento dell'Avvocato Generale dello Stato Giorgio AzzARITI acquista dl significato di particolare rlspetto e di grande ,attenzione verso una delle nostre pi antiche Istituzioni. Mai come oggi, in una societ che sembra talvoata non avere ben chiaro il senso del confine tra il bene ed il male, tra l'illecito e il lecito, il richiamo ad alcuni c11iteri dii comportamento, quale pu essere quello di una giusta e corretta e, pert,anto, rigorosa applicazione della legge, V'llole rappresentare non soltanto un monito ma avere, sopra tutto, valore di insegnamento. L'l'Stituzione che ci ospita in questa sede cosl prestigiosa dell'ex Convento degli Agostiniani l'espressione di quello Stato di diritto sorto con la RJvoluzione Francese (di cui quest'anno celebriamo il bicentenario) e rafforzatosi nel nostro Paese attraverso le lotte del Risorgimento. La data di nascita dell'Avvocatura dello Stato di pochissimo posteriore a quella dello Stato unitiario e con questo Stato si andata sviluppando attraverso le tappe felici e meno feLici delila sua storia. Non appaia fuori luogo il richiamo al passato, in quanto, a parte ogni predilezione pel"sonale per l'approccio storico, ritengo sia verit incontrovertibile che solo l'anal~sd di ci ohe abbiamo dietro le spal[e permette Ja piena comprensione del presente, e, forse, anche qualche cauta profezia. La naturn e la funzione di questa Ist1tuzione forniscono run punto di osservazione privilegiato. L'assoggettamento dello Stato al giudizio rappresenta, infatti, nelllevolversi delle sue I'egole, un indicatore quanto mai sensibile del punto di equilibrfo fra principio di libert e principio di autorit; punto di equilibrio mobile nel progredire della societ e nell'evo! versi, quindi, della conoezione del diritto. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Quando, come nel nostro Ordinamento, la difesa dello Stato sia affidata ad nn Organo tecnico che assume in forma organica la rappresentanza e 'l'assistenza in giudizio del pubblico potere, ebbene tale Organo fini:sce col partecipare direttamente al processo di determinazione di tale equilibrio. L'Avvocatura Generale de1lo Stato, proprio perch incardinata nella Pubblica Amministrazione, particolarmente sensibile al divenire della esperienza giuridica e partecipe della sua formazione, in quanto i segnali che riceve e trasmette perx:orrono due canali privilegiati. Quello esteriore e profes1sionale del concorso, appunto, aiJ.:la formazione del diritto vivente attraverso la dialettica del cOilltenzioso e quelJ.o interno ed istitJuzionale dell'appartenenza all'Amministrazione dello Stato, da cui riceve e cui pu trasmettere, con l'attivit consultiva in continuo sviluppo, impulsi idonei a meglio comprendere il continuo divenire della societ ed a favodre l'adeguamento ad esso deH'attivit statuale. Ma vi di p1i nella funzione di questa Istituzione. Perx:h la sua natura di Organo indipendente rispetto alle diverse Ammin~straziom deMo Stato fa s che l'Avvocatura Generale in grado di superare l'ottica angusta della difesa contingente di interessi parrticolri per tutelare, invece, !.'interesse generale dello Stato-. Un interesse, cio, che in uno Stato di diritto qual il nostro, non pu non coincidere con quelfo della ;-:: giustizia. I:' r:~ Se mi consentita una parentesi personale, vorrei osservare che 1: questa dell'unicit della difesa lega:le dello Stato una soluzione della quale ho avuto pi volte modo di constatare l'efficacia nell'esperienza @= I fatta nei Dicaster1 nei quali sono passato nel -corso della mia non .breve fil carriera politica. E vorrei esprimere qui viva rfoonoscenza per uomini @ come Salvatore Scooa e GiQVanni Zappa:l dei quali mi fu in molte occasioni pre~oso !il saggio e prudente consiglio. L'esperienza giuridioa dell'Avvocatura, per tutto quanto ho detto finora, riflette, dunque, [e grandi crisi di trasformazione della nostra societ a partire dalla sua configurazione originale. Oreata nel 1876 quale immediata erede dell'Avvocato Regio di Toscana, l'Avvocatura nacque e si afferm come difesa di uno Stato meramente ~ patrimoniale, che si sottoponeva al giudice 1so1tanto per le attivit svolte ne11a sua capacit di diritto privato. Non un -caso che essa assunse al I suo nascere, e mantenne per oltre mezzo secolo, la riduttiva denominazione di Avvocatura erariale. I Certamente, l'Istituto rispecchiava allora le strutture dello Stato !liberale, edificato sui principi illuministici, che aveva ne1l'istituto della !I propriet e nella relativa regolamentazione un punto di riferimento ben f fil 1: ~ ---. I . I RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO predso. Lo Stato, insomma, partecipava ai giudizi essenziailmente in funzione della nisoluzione di questioni di mio e di tuo, dn perfetta aderenza con la maisslma del pi noto dei giuristi di Napoleone, Jean Baptiste Portalis: al cittadino appar1liene la propriet, al sovrano l'impero>>. Lo .sviluppo economio e le prime avvisaglie dell'avvento di una cirvhlt di massa indussero ben presto l'Autorit pubblica ad intervenire con incisivit sempre maggio!t'e nelie attivit economiche. Verso la fine del secolo scorso assistiamo ad una profonda evoluzione delJ'fatituto. Tale evoluzione vide appunto l'Avvocatura passare dalle modeste dimensioni erariali a quelle ben pi comprens[ve dello Stato >>, con il conseguente ampliamento del patrocinio sia in termini quantitativi, come .ri:sultato de11a sua estensione a tutte le Amministrazioni dello Stato, sia :in termini qualitativi, quale conseguenza del passaggio dehl'Avvooatura s.tessa da difensore del patrimonio dello Stato a difensore delle pTerogative del potere esecutivo. Oggi, run'altria trasformazione si va compiendo. La Societ ita11i.ana diventata pi matura e J'affaociarsi poi sulla scena pubblica di categorie sociali fino a qualche tempo fa rimaste ai margini alfa base di quella profonda evoluzione nei rapporti ~uridici che sembra talvolta presentare ispazi di incemtezze e di dubbio interpretativo. Nella societ .di oggi si affacciano e si affermano nuovi interessi e nuovi vali.od che non lasciano indifferente ~l legislatore. Anche l'Avvocatura Generale, nel nuovo assetto creato da!lla Costituzione repubblicana e dalla conseguente legislazione, tra cui ricordo la legge 103 del 3 aprile 1979, ha subto profonde riforme in parallelo con la trasformazione dello Stato e della societ. Cos, l'Avvocatura partecipa ai giudizi davanti alla Corte Costituzionale, nei quali l'Istituto interviene in difesa della legittimit delle leggi, delle competenze statuali in conflitto con quelle regionali, del Governo come potere dello stato in confliltto con altri poteri e in materia di ammissibilit di referendum. Ancora, l'Avvocatura assume la difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte di Giustizia delle Comunit Europee e la Corte Internazionale dd. Giustizia dell'Aj1a. Altra categoria di soggetti pubblici difesa dall'Avrvocatura quella delle Regjoni, sia a Statuto speciale che a Statuto ordinario. Ho fatto delle esemplificazioni. Non ho certamente esaurito il compresso dei compiti nuovi che si collegano alla funzione ed al ruolo dell'Avvocatura nella nostra Repubblica. Ma non posso passare sotto silenzio, in questo sia pur rapido esame, l'enorme aumento della domanda di giustizia, che scarica sul sistema giudiziario l'imperfetto funzionamento delle istituzioni, incapaci di tenere il passo con i mutamenti di un sistema in rapida espansione e di adeguare in tempo utile il dover essere delle nor me all'essere degli accadimenti reali e delle esigenze. xx RASSEGNA DEIJ..',,.VVOCATURA DELLO STATO N va sottaciuta la oiroostanza, a mio parere fondamentale, del prevalere di una conoezione del processo in cui lo Stato, allorch chiamato in giudiziio, non una parte privilegiata ma divenuta -o, quanto meno, tende a divenire -una parte come le altre. L'Avvocato dello Stato non pi, ai giorni nostri, un difensore delle prerogative del potere esecutivo: appare, piuttosto, come il difensore istitu2lionale di una parte pubblica multiforme, assoggettata ad una pluralit di giudi2li e sfornita in essi di qualunque privilegio nell'ambito di un contenzioso che da ristretto diventato di massa. Il Governo consapevole dell'aumento del carico di lavoro dell'Istituto. Esso quintuplicato rispetto' al 1930, anno in cui furono trattati venticinquemila affari, quasi triplicato rispetto al 1979, anno dell'ultimo aumento di organico ed in cui furono trattati cirea cinquantamila affari. Sono, queste, cifre impressionanti, sopra tutto se ragguagliate ai ridottissimi numeri del ruolo degli Avvocati dello Stato, chiamati in poco pi di 300 -ma erano gii 244 nel 1949 -a far fronte a questa mole crescente di lavoro. So bene che questi dati sono noti all'Avvocato Generale. Se li ho rioo11dati in questa occasione perch il Governo, nell'esercirlo delle responsabilit che gli sono proprie, intende compie11e fino in fondo il suo dovere per dare al lavoro dell'Avvocatura il respiro e lo spazio che le oomrpetono. L'Avvocatura Generale dello Stato, come ebbe a dire alcuni anni fa il Pvesidente Cossiga, un Co11p0 proressionale di giuristi insostituibile per l'attivit del Governo ed quindi intenzione del Governo di adoperarsi per consentirle di sV'Olgere con s1ereniit e senza affanno le proprie funzioni. Confido che le misure legislative che il Governo sta per varare siano idonee a restituire all'Avvocatura la possibilit di continuare a svolgere i suoi alti compiti oon ef.ficienza e professionalit. Confido, in particolare, che le misure urgenti proposte, sollecitamente approvate dal Parlamento, possano valere a far superare l'attuale crisi eliminando le disfun2lioni dell'attivit contenziosa e potenziando il ruolo consultivo che, tempestivamente esercitato, offrir al oittadino, attraverso l'eliminazione in via preventiva del1e liti inutili o, peggio, vessatorie, un'ulteriore garanzia di giustizia. Quella giustizia di cui l'Istituto , da oltre un secolo, fedele ed efficiente servitore perch, se consentita la parafrasi di un celebre afo11isma americano lo Stato vince 1a sua oausa ogni qualvolta venga resa giustizia in uno dei suod tribunali . Nel porgere a Lei, avvocato Azzariti, fervidi voti di buon lavoro sia consentito rico11dare Suo padve che ha impersonato a lungo nelle varie mansioni affi1dateg1i la figura ideale di servitore dello Stato devoto, pre paratissimo, letteralmente esemplare. DISCORSO DELL'AVVOCATO GENERALE DELLO STATO GIORGIO AZZARITI. Signor Presidente delta Repubbltica, desiidero innanzitutto esprimerLe, anche a nome di quanti lavorano in questo Istituto, i sensi della pi viva gratitudine per aver voluto onorare, con la Sua partecipa2lione, questa cerimonia dii insediamento. la terza volta che questto magnifico palazzo e questa stup~nda sala Vanvitelliana sono onorati della Sua presenza in ocoasrione di cerimonie ufficiali: di questa attenzione verso il nostro Istituto siamo Lusingati e conserviamo con cura il ricordo delle parole che Ella volle allora rivolgerci. Mi sia consentito esprimere ancora, a nome dell'Avvocatura dello Stato prima che mio personate, un sentito ringraziamento al sig. Presidente del Senato della Repubblica, al sig. Vice Presidente della Camera dei Deputati, al sig. Pres~dente del Consiglio dei Minist11i, al sig. Presddente ed ai giudici deHa Corte Costituzionale, ai sigg. Ministri, al rappresentante del Cardinale Vicario, al sig. Presidente della Corte Suprema di Cassazione ed al sig. Procuratore Generale della Corte, al sig. Presidente del ConsigLio di Stato, al sig. Presidente della Corte dei Conti ed al sig. Procuratore Generale della Corte, ai mppresentanti delle Organizzazioni Internazionali, delle Forze armate, della Pubblica Amministrazione, dei corpi accademici, a tutti i magistratd, al Presidente ed ai colleghi del- 1\>rdine forense e dell'Avvocatura dello Stato ed a tutti coloro che hanno vo1uto, con La loro partecipazione, onorare questo Istituto. Un ulteriore sentimento di gratitudine desidero esprimere -certamente a titolo personale, ma non solo -per la ffiducia che mi stata accordata con la nomina a questa alta carica. Ho detto non solo a titolo personale perch credo che la scelta operata dal Governo di attribuire n compito di dirigere l'Avvocatura dello Stato ad un avvocato che ha trascorso una interia vita di lavoro nell'Istituto, ha combattuto tante cause in difesa della pubblica amministrazione e dello Stato -tante vincenr done e tante anche perdendone -abbia un significato che trascende ogni rpersona1e valutazione. Costituisca cio in primo luogo apprezzamento e, mi sia consentito aggiungere, meritato apprezmmento del lavoro appasslOnato e qualificato svolto in condizioni spesso, e particolarmente oggi, dif~icili da tutti gli avvocati e procuratori dello Stato in difesa degli interessi della pubblica amministra2lione o, se Si vuole, dello Stato persona, che solo sottili argomentazioni riescono a distinguere dagli interessi della nostra Comunit nazionale; costituisca altres precisa ,i:faffermazio"he della peculiare natura e dei compiti dell'Istituto che Ella sig. Presidente della Repubblica ebbe a definire corpo professionale di giuristi al servi.z[o dello Stato, organo insostituibdle per l'attivit del Governo . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO XXII Insostituibi1it dell'apporto del corpo dei gti.uristi professionali all'attivit del Governo non significa confusione dell'attivit del giurista con quella del Governo che, nel nostro ordinamento democratico, devono restare rigidamente separate. La fun:cione necessarfa, anzi comma, che non prevede deroghe alla regola genera!le del controllo preventivo di legittimit, sicch questa regola non sopporterebbe limiti. od ecceziollli che non siano stabiliti nonch da norme di regolamento e neppure d!i legge ordinaria, ma solo da legge costituzionale. Infatti, coerentemente alla tesi cos sostenuta, si afferma nel ricorso che il r.d. 1332/34 sarebbe ormai costituzionalmente illegittimo sicch ~l!i atti in esso elencati sarebbero ora soggetti a!l controllo della Corte. La tesi ora illustrata diversa da quella deg.Ji autori che, come si ricordato prima, discuteVlalllo in base alla normativa vigente sulla soggezione a controllo preventivo della Corte dei Conti degli atti normativi del Governo, ma anche dai parlamentari che, come ricordato nel ricorso della Corte PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALIJ 67 dentali di legittimit costituzionale in sede di controllo preventivo: potere che, per la parte concernente il controllo preventivo sugli atti del Governo applicativi della legge e degli atti equiparati, non sarebbe incompatibile con l'entrata in vigore della norma fatta oggetto di conflitto. Tutto ci importa l'inammissibilit del conflitto in quanto proposto contro l'art. 16 della legge n. 400 del 1988 e quindi nei confronti del Parlamento. Nulla si oppone, invece, all'ammissibilit .del conflitto in quanto proposto nei confronti del Governo contro l'omessa sottoposizione al controllo preventivo della Corte dei conti, e contro l'intervenuta pubblicazione, malgrado tale omissione, del decreto delegato n. 1142 del 1985. Occorre dunque scendere all'esame del merito del conflitto, e cio del problema se il comportamento addebitato al Governo sia lesivo della attribuzione di controllo preventivo sugli atti del Governo conferita alla Corte dei conti dall'art. 100, secondo comma, della Costituzione, problema implicante quello relativo alla legittimit, in riferimento al richiamato (pag. 20) ritenevano conveniente mantenere questa ipotesi di controllo sugli atti legislativi del Governo ; la tesi, ancora, non trova il suo fondamento nelle due ricordate sentenze della Corte Costituzionale le quali hanno affermato la soggezione, allo stato della normativa vigente, dei decreti delegati a controllo preventivo della Corte dei Conti ma non hanno affermato la impossibilit di escludere quel controllo con norma di regolamento o di legge. L'affermazione della isoggezione costituzionalmente garantita di tutti gli atti del Governo al controllo preventivo <;\ella Corte dei Conti senza possibilit di deroghe od ecce:ziioni non espressamente stabilite dalla Costituzione si basa in primo luogo sulla formulazione Jetterale del secondo comma dell'art. 100 Cost. il quale, nel prescrivere che la Corte dei Conti esercita il controllo preventivo di legittimit sug1i atti del Governo >>, non rinvia alla 1egge oroinaria per la individuazione degli atti soggetti al controllo: fa norma avrebbe perci contenuto precettivo di immediata applicazione e n fogge n tantomeno regolamento potrebbero sottrarre alcun atlto del Governo al controllo in esame. Ma la formula esercita dl controllo preventivo non giustifica l'interpretazione secondo la quale, con l'art. 100, 2" comma, sarebbe stata introdotta la gi rilevata modifica alla disciplina del controllo quale era posta dall'art. 17 T.U. sulla. Corte dei Conti: ben diverse formulazioni sono state usate, per esempio, dagli artt. 24 e 1'13 Cost. per garanti.re a tutti i cittadini iH diritto di agire e di difendersi in giudizio e la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi contro gli atti della pubblica amministrazione. La formula esercita il controllo sembra piuttosto richiamare altre disposizioni della Carta che confel1IIlano, attribuendogili dignit costituzionale, regole generali gi desumibili dal1a legislazione ordinaria, ma che non escludono deroghe ed eccezioni che sriano .ragionevolmente poste dalla stessa normativa ordinaria. Analoga alla formula usat dall'art. 100, 2" comma, quella del successivo art. 103, secondo comma, il quale stabHisce che la Corte dei Conti ha giurisdizione nelle materie di contabilit pubb1ica , senza operare alcun r.invio alla legge oroinaria: ma la Corte Costituziona!le con numerose sentenze, ed in 68 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO precetto costituzionale, della norma di legge (art. 16 della legge n. 400 del 1988), che esonera dal detto controllo gii atti del Governo di norma. zione primaria. In dottrina non erano mancati dubbi sulla stessa sopravvivenza, dopo l'entrata in vigore della Costituzione e del sindacato di legittimit costituzionale della legge e degli atti equtparati con essa introdotto e riservato a questa Corte costituzionale, dell'art. 17 del regio decreto 12 Juglio 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti) nella parte in cui assoggettava a controllo preventivo della Corte dei conti (in quanto gi decreti reali) anche gli atti di normazione primaria del Governo. E ci anche in relazione alla costante affermazione, da parte di questa Corte, della soggezione al detto sindacato sia dei decreti legge che dei decreti delegati, e di questi anche particolare con quella n. 129/81, ha precisato che questo articolo conferisce bens capacit espansiva alla disciplina dettata dal T.U. del 1934, consentendone l'estensione a situaz:ioni non espressamente regolate in modo specifico, ma non pone un principio incondizionato, che pu perci ben essere circoscritto da una disciplina specifica entro limiti segnati da altre norme e principi costituzionali, sicch deve escludersi che. il precetto stabHito in quella norma costituzionale sia camtterizzato da una assoluta non tendenziale generalit e dotato dia immediata operativit in tutti. i casi. Che l'art. 100, 2 comma, Cost. non abbia voluto sostituire e neppure cristallizzare la disciplina precedente sul controllo preventivo di legittimit della Corte dei Conti trova, del Testo, precisa conferma nel coevo D.L.vo 6 maggio 1948 n. 655 che ha dato attuazione all'art. 23 dello Statuto della Regione siciliana. La norma stiatutaria estendeva a:I territorio ed all'amministrazione regionale la disciplina nazionale del controllo di legittimit defila Corte dei Conti: la norma di attuazione ha precisato che la Sezione siciliana della Corte dei Conti esercita il controllo sugli atti del Governo e deLl'Amminristrazione regionale in confO'I'mit delle leggi deHo Stato che d1sciplinano le funzioni della Corte dei Conti . 6. -Se, quindi, bisogna ritenere che l'art. 100, io comma, Cost. ha voluto non gi porre un precetto assoluto ed inderogabile, ma soltanto consacrare una regola generale, derogabile -cos come era derogabile in forza dell'art. 17 T.U. del 1934 -quando sussistiano speciali ragioni ed. in particolare quando l'eccezione trovi la sua giustifkazione in altre norme e principi costituzionali, il problema della legittimit costituziom!J!e dell'art. 16 deHa -legge n. 400/88, che esclude i decreti delegati dal controllo preventivo della Corte dei Conti, si risolve allora verificando se questa esclusione sia giustificata da altre norme e principi costituzionali e da identit oggettiva di materia di quei decreti con alt1:1i atti esclusi dai! controllo in parola. Sono stati ricordati g1i autori che gi in sede di applicazione dehla normativa vigente, prima e dopo l'entrata in vigore della Costituzione, ma prima della entrata in v0igore della legge n. 400/88, ritenevano che gli atti del Governo aventi forna di legge ordinaria non fossero soggetti ial controllo preventivo con PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 69 sotto il profilo della violazione della legge di delega (ricompresa nella violazione dell'art. 76 della Costituzione). N erano mancate riserve circa la legittimit costituzionale, per le ragioni suindicate, dello stesso art. 17 in parte qua. Ai fini del decidere peraltro sufficiente accertare se l'art. 100, secondo comma, della Costituzione, in conformit della tesi posta a base del ricorso per conflitto, implichi necessariamente la istituzione e, quindi, la conservazione del controllo preventivo della Corte dei conti nei confronti degli atti del Governo suindicati. Se cos fosse la sottrazione al controllo preventivo di tali atti come operata con la norma impugnata potrebbe apparire in contrasto con l'invocata norma costituzionale e in violazione di una competenza da essa assicurata alla Corte dei conti. Ma manifesto che cos non , tanto per quel che concerne H prospettato contrasto, rispetto al quale non dunque necessario sollevare in via incidentale questione di legittimit costituzionale, quanto per quel che concerne le conseguenze -che se ne vogliono trarre sulla soluzione del conflitto. L'art. 100 garantisce costituzionalmente il controllo preventivo di legittimit della Corte dei conti sugli atti del Governo, non anche l'assog argomentazioni che ben valgono a giustificare, sulla base del criterio della identit di materia e del rispetto di altri principi costituzionali, la esclusione in esame. Vero Jnfatti che, se il secondo comma dell'art. 100 stabilisce la regola generale de11a sogge:z;ione degli atti del Governo al coo.trollo preve,ntivo della Corte dei Conti, aJtre disposizioni costit1,1.zionali contengono norme speciali che, se hanno fatto ritene.re, alla dottrfaa citata, inapplicabile quella regola ai decreti legge ed alle leggi delegate, quanto meno giustificano ila deroga espressamente stabilita da speciale disposi:z;ione di legge. t=: gi significativo il rfilievo della collocazione topografica dell'art. 100 nel titolo della Costituzione dedicato al Governo, laddove .gli artt. 76 e 77 Cost. sono inseriti ,nella sezione che riguarda la formazione delle leggi. Ma, a parte tale primo r.ilievo, altri articoli della Costituzione pongono disposizioni che possono apparire speciali e derogatorie rispetto alla regola generale posta dall'art. 100, 2<> comma, e, comunque non facilmente compatibili con il controllo preventivo della Corte dei conti; l'art. 87, stabilisce che il Presidente della Repubblica promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di . fogge . Si ritiene comunemente che l'emanazione degli atti aventi valore di legge, prevista dalla norma ora richiamata, ha natura analoga alla promulgazione delle leggi formali, alla quale si attribuiscono, tra l'altro, le funzioni di attestazione della esistenza della legge, di documentazione solenne del contenuto di questa, di intimazione, diretta ai soggetti pubblici ed ai destinatari, di prestare osservanza alla legge, cos conferendo immediata efficacia ed esecutoriet all'atto normativo (Corte Cost., sent. 231/83); ed allora, specie se si ritiene, come pure stato affermato, che in sede di emanazione spettano al Presidente della Repubblica poteri di controllo sui decreti governativi pi ampi di quelli spettantigli in PARm I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 71 stesso Presidente sulle leggi ai sensi dell'art. 87, terzo comma, della Costituzione. Nel quadro dei controlli costituzionalmente necessari. cos tracciato non entra dunque l'intervento deMa Corte dei conti mediante visto e registrazione preventivi. Del resto questa Corte, con la citata sentenza n. 226 del 1976, affrontando ex professo il problema dei rapporti fra il detto controllo preventivo e il sindacato di legittimit costituzionale, aveva ritenuto che la Corte dei conti non potesse rifiutare senz'altro il visto e la registrazione in caso di ravvisate incostituzionalit -in che sarebbe consistito il contenuto proprio di un controllo preventivo esteso all'incostituzionalit -ma dovesse, in tal caso, promuovere il sindacato mcidentale di questa Corte. Ch, se si pone mente al regime degli atti di normazione primaria (valore di legge), non pu non riconoscersi che esso, se non esclude assolutamente, almeno non implica il controllo preventivo di tali atti esteso alla . loro legittimit costituzionale. Anche se un controllo cos esteso avrebbe potuto fungere, secondo quanto ritenuto dalla sentenza n. 226 del 1976 di questa Corte, da strumento del sindacato incidentale di costituzionalit sugli atti stessi, fermo restando che, come sopra osservato, il controllante sarebbe stato tenuto a denunciare a questa Corte la sospettata incostituzionalit, e a sospendere la registrazione, attribuiscono ag1i stessi decreti valore di legge . Nel nostro ordinam,ento costitU2!i.onale l'attribuzione del valore di legge ad un atto pu anche avere questo preciso significato: che l'atto non sopporta altro controllo, di qualunque natura, che non sia quello della Corte Costituzionale previsto e regolato dagli artt. 134 e 136 Cost. nonch 1 e 2 L. Cost.le n. 1/48. Quello della Corte Costituzi01?-ale . infatti un controllo tendenzialmente, se non necessariamente, esclusivo, come stato osservato nella sent. n. 73/77 della Corte che ebbe ad escludere fil controllo della Corte dei Conti su atto normativo della Regione Siciliana proprio rper la ragione che questo soggetto al diverso regime della impugnazione delle leggi .innanzi alfa Corte Costi tuzionale '" Il controllo, cos come finora stato esercitato da parte delfa Corte dei Conti sulle leggi delegate) non solo si aggiunge, ma anche male si distingue, per H contenuto, da quello delLa Corte Costituzionale che, come sempre stato osservato gi con la sentenza n. 3/57, si estende ad ogni profilo di legittimit della legge delegata, quindi anche alla sua conformit alla legge di delegazione che costituisce anche l'oggetto del controllo esercitato dalla Corte dei Conti. N l'elemento distintivo sottolineato nel ricorso -natura preventiva e necessaria del controllo della Corte dei Conti ed invece successiva ed eventuale di quello della Corte Costituzionale -sembra decisivo: la Costituzione stessa ha voluto e riservato un procedimento di controllo preventivo ai soli atti aventi forza di legge delle Regiorii (art. 127). Non pu allora essere considerato privo di significato che analogo controllo preventivo non sia previsto, e perci si sia tendenzialmente voluto escludere, per gli atti dello Stato aventi forza di legge. 72 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO senza potere esso stesso rilevare l'incostituzionalit al fine di negare fa medesima. Da quanto detto segue che il conflitto va risolto nel senso di dichiarare che. spetta al Governo adottare i decreti legge ed i decreti delegati senza successivamente sottoporli a visto e registrazione della Corte dei conti. Tuttavia la Corte non pu nell'occasione non farsi eco, anche in considerazione della diffusa preoccupazione per Ja crescente ingovernabilit della spesa pubblica, della esigenza che siano introdotti meccanismi idonei ad assicurare nel modo pi efficace la rigorosa osservanza del1' art. 81 della Costituzione e/o ad ampliare l'accesso al sindacato di legittimit costituzionale da parte di questa Corte per violazione dello stesso art. 81. Tale preoccupazione del resto stata espressa sia durante lavori preparatori della legge n. 400 del 1988, mediante la presentazione di numerosi emendamenti, che attraverso la proposizione di autonome iniziative legislative .dirette ai fini suindicati. Spetta ovviamente al Parlamento il perseguimento dei fini medesimi mediante la scelta fra gli strumenti gi sottoposti, o che saranno N, infine, ha rilievo fa considerazione che, escluso il controll della Cotte dei Conti, quello deMa Corte Costituzionale sui decreti delegati sarebbe meramente eventuale, sicch di fatto ad esso potrebbero sfuggire numerosi decreti. Il rilievo riguarda in genere tutti gli atti dello Stato aventi forza e valore di legge e sono note le polemiche insorte sulla idoneit del sistema regolato dalle nostre leggi costituzionali per l'accesso alla Corte Costituzionale. 7. -Come si prima osservato il conflitto sollevato dalla Corte dei Conti nei confronti dell'art. 16 l. n. 400/88 in quanto investe un atto legislativo inammissibile: allora irrilevante verificare la legittimit dello stesso articolo in quanto esclude il controllo della Corte dei Conti sui decreti legge. Ma per l'ipotesi che il conflitto dovesse ritenersi validamente proposto anche contro la legge e quindi anche contro il disposto di questa che esclude il controllo della Corte dei Conti sui decreti Iegge ancora pi evidente risulterebbe la sua imfondatezza. Sono stati ricordati gli autori che hanno rilevato l'anomalia del controllo della Corte dei Conti sui decreti delegati. Ma ancora pi numerosi, e costituiscono certamente la' maggioranza della dottrina, gli autori -tra questi anche coloro che pur ritengono ammissibile, ma non costituzionalmente necessario, il controllo dei decreti delegati -che hanno rilevato con maggiore c9pia di argomenti l'anomalia dello stesso controllo nei confronti dei decreti lgge. Oltre alle argomentazioni che prima sono state svolte, stato ancora osservato che il controllo della Corte dei Conti in contrasto con la responsabilit attribuita al Governo dal secondo comma dell'art. 77, con l'rgenza che giustifica l'adozione del decreto legge e con il controllo, sia pure successivo ma necessario del Parlamento prescritto dall'ultimo comma dello stesso art. 77 . GIORGIO AZZARITI PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 73 sottoposti, al suo esame. Cos come ad esso spetta la valutazione dell'opportuno equilibrio fra controllo preventivo e controllo sulla gestione e/o sui risultati, in vista del quale da pi parti si auspica la ristrutturazione delle funzioni della Corte dei conti o il rafforzamento dei suoi poteri per un pi efficiente svolgimento del ruolo che alla detta Corte compete rispetto al controllo politico parlamentare. CORTE COSTITUZIONALE, 25 luglio 1989, n. 437 .(ord.) -Pres. Saja - Rel. Caianiello. Tributi (in genere) Reato di omessa tenuta o conservazione di scrit tura contabile -Mancata previsione di soglia Legittimit costi tuzionale. (Cast. art. 3; d.l. 10 luglio 1982 n. 419, art. 1). Non contrasta con l'art. 3 Cast. la mancata previsione di una soglid di punibilit nella fattispecie penale prevista dall'art. 1 comma sesto del d.l. 10 luglio 1982, n. 429 (1). (1) La omessa tenuta o conservazione di una o pi scritture contabili obbligatorie. I libri o registri sono cose dal contenuto complesso, nel senso che sono predisposti per contenere una pluralit di annotazioni (alias regi strazioni). Occorre distinguere tra la cosa libro o registro e le annotazioni che sono invece dichiarazioni individue cosiddette di verit (o di seienza); la struttura a libro o registro vale ad assicurare contestualit ed ordine cronologico ad una pluralit di annotazioni, le quali costituiscono -esse e non la cosa che le contiene e le veicola - documenti . Questi ultimi dovrebbero valere solp contro colui che li pone in essere; un lavorio pluridecennale ha tuttavia condotto all'attribuzione di una pi ampia efficacia documentale. La distinzione tra annotazione-documento e cosa libro o registro che la contiene appare di notevole rilievo in sede di lettura dell'art. 1, comma 6, del D.L. 10 luglio 1982, n. 429. Questa distinzione costituisce il punto di partenza di un'analisi (pervero non agevole posto che la disposizione di non pregevole formulazione); in particolare interessa esaminare quali siano le condotte punibili da essa previste (non anche, ad esempio, quali siano i soggetti attivi del reato). Una prima notazione pu concernere l'inciso in conformit dell'art. 22 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 , posto che non mancato chi si domandato se esso si riferisca solo alla condotta non conserva" La risposta su questo punto deve essere che l'inciso test riportato si collega a tutte le condotte considerate: l'art. 22 richiamato disciplina infatti sia l'ob bligo di tenuta (nel comma 1, come sostituito dall'art. 42 del D.P .R. 30 dicembre 1980, n. 897) sia l'obbligo di conservazione (nei commi 2 e 3). Del resto se si fosse voluto collegare l'inciso solo al non conserva non lo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ritenuto che nel corso di due procedimenti penali entrambi concernenti l'accertamento del reato di cui all'art. l, sesto comma, del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per ia repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria) convertito in legge 7 agosto 1982, n..516, che sanziona la mancata tenuta o conservazione delle scritture contabili {obbligatorie ai fini delle imposte sui-redditi e dell'imposta sul valore aggiunto), il Tribunale di Torino con due identiche ordinanze (r.o. nn. 79 e 80 del 1989), ha sollevato questione di legittimit costituzionale della norma incriminatrice, in riferimento all'art. 3 della Costituzione; si sarebbe scritto come inciso. Va anche considerato che la disposizione in esame ha un precedente nell'art. 51, commi 2 e 3 del D.P.R. n. 600 del 1973 (nel c:Omma 33 si legge: ... tenuti in conformit alle di51Posizioni ... ); altro precedente l'art. 45, comma 2 del D.P.R. n. 633 del 1972, ed ivi si legge: ... non tengono i registri in conformit alle disposizioni ... " Delle pi condotte menzionate dalla norma in esame, non crea difficolt interpretative quella descritta dalle parole .non conserva. Il concetto di omessa conservazione del libro " o registro ,. chiaramente si riferisce alla cosa-veicolo delle annotazioni e risulta ben definibile integrando la norma penale con quelle extrapenali (tributarie e/o civilistiche). S pure indubbio che l'omessa tenuta e/o omessa conservazione anche di uno solo dei pi libri " o reg.istri ,. prescritti costituisce il reato in que stione; e che l'omessa tenuta si realiizza nel momento stesso in cui sorge l'ob bligo di tenuta del libro o registro " Difficolt interpretative si hanno invece per le parole non tiene , sia isolatamente considerate sia in collegamento con le parole in conformit all'art. 22 ... " S indubbio che siano represse penalmente l'omessa tenuta nel senso di omesso impianto di un libro " o registro" (sia nel senso di man canza totale e per cos dire fisica di esso, sia nel senso dell'assenza delle necessarie numerazione, bollatura e vidimazione) e la tenuta irregolare perch non osservante quanto disposto nell'art. 2219 del codice civile (con esclu sione delle inosservanze minori e cio non tali da pregiudicare la funzione assegnata a libri e registri). Pu anche ritenersi palese -che all'omesso imptanto della cosa-veicolo debba equipararsi il caso del libro " o registro regolarmente impiantato ma lasciato in bianco od anche' utilizzato solo per sporadiche e non impor tanti annotazioni (per il che il libro ,. o registro risulta privato della stessa sua ragion d'essere). La difficolt interpretativa insorge sul punto se l'omessa annotazione su un libro ,. o registro di singoli atti od operazioni esuli o meno dalla previsione della disposizione penale in esame. Sono state sostenute pi inter pretazioni, una delle quali collegata con l'art. 39, comma 2, lettera d) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e con l'art. 55, comma 2, n. 3) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (entrambi tali commi parlano di inattendibilit delle scritture). In ordine a quest'ultima interpretazione, occorre osservare che deve escludersi qualsiasi collegamento tra illecito penale di che trattasi ed accer PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 75 che la disposizione impugnata viene censurata nella parte in cui, punendo la mancata annotazione nelle scritture contabili -obbligatorie ai fini dell'imposta sul valore aggiunto -anche degli atti di acquisto {fatture ricevute) indipendentemente da una soglia quantitativa di punibilit, determinerebbe un'ingiustificata disparit di trattamento rispetto a quanto prevede invece il secondo comma, n. 1 {rectius n. 2) della medesima disposizione che sanziona penalmente l'omessa annotazione degli atti di cessione (fatture emesse) solo quando il loro ammontare complessivo superi i 50 milioni di lire, e la percentuale del 2 % dei corrispettivi risultanti dall'ultima dichiarazione presentata; (omissis) tamento e e:x:tracontabile ,. previsto dai citati commi degli artt. 39 e 55. Spesso in gergo, per indicare l'accertamento e extracontabile ,. si parla di accertamento sintetico,., ma l'espressione inesatta ed ingannevole, posto che e sintetico,. solo l'accertamento del reddito complessivo effettuato ai sensi dell'art. 38, comma 4, del D.P .R. n. 600 del 1973 (" sintetico termine antitetico ad analitico ,., , mentre " induttivo alias indiziario termine antitetico a documentale; un accertamento analitico pu dunque ben essere induttivo o anche induttivo, anzi normalmente lo , raramente una documentazione essendo completa e comunque essendo ineliminabile in sede amministrativa ed in sede giudiziaria al momento della lettura ed interpretazione di quanto documentato). La ragione della ferma opposizione ad un collegamento tra illecito penale de quo ed accertamento " extracontabile palese: occorre assolutamente evitare che la sentenza penale per il reato in questione divenga di fatto una sorta di pregiudiziale rispetto alla legittimit o meno dell'utilizzazione dello strumento dell'accertamento extracontabile " Il legislatore si sforzato di separare, per , quanto possibile, processo penale e procedimento di accertamento tributario (con eventuale seguito dinanzi alla giurisdizione tributaria). Esclusa l'interpretazione test esaminata, riman~ da individuare una misura,. che non sia n restrittiva al punto da consentire un'elusione del precetto penale ed un sacrificio del bene giuridico da esso tutelato, n estensiva al punto da ravvisare il reato ogniqualvolta sia omessa una singola annotazione (ancorch di modesta importanza economica). Nel reperire questa misura occorre aver presenti anche altri dati normativi. Anzitutto, lo stesso art. 1 del D.L. n. 429 del 1982, il quale prevede, come autonoma fattispecie, l'omessa (e la infedele) annotazione delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, ossia delle operazioni per cos dire attive ; e appare arduo ritenere che il reato di cui al comma 6 assorba quelli previsti nel comma 2. Ora, se ben vero che non possano configurarsi due diverse nozioni di tenuta,. a seconda che si tratta di registro Iva delle fatture o dei corrispettivi oppure invece di registro Iva degli acquisti, per anche vero che la fattispecie penale prevista dal comma 6 diversa per oggetto giuridico (bene tutelato) e per riferimento temporale -come tra breve si dir -rispetto alle fattispecie di omessa annotazione di corrispettivi e di omessa fatturazione. Occorre inoltre tener conto dell'art. 1, comma 26 del DL. 19 dicembre 1984, n. 853 (convertito nella legge 17 febbraio 1985, n. 17) che reprime penalmente l'effettuazione di acquisti senza applicazione dell'imposta (sul valore aggiunto); e ci in considerazione della oggettiva pericolosit fiscale RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 76 che la norma impugnata non esclude interpretazioni tali da fasciare al giudice di merito un certo margine di apprezzamento nel limitarne l'applicazione a quelle sole fattispecie omissive che, per entit e natura, siano effettivamente in grdo di ledere la funzione stessa della scrittura, preordinata alla ricostruzione della situazione patrimoniale e del giro di affari del contribuente; che pertanto, sotto tale aspetto, ,la mancata previ.s10ne in astratto di una soglia di punibilit, non comportando l'automatica e necessaria . incriminazione di fattispecie oculi inoffensive, non appare di per s del regime forfettario, che elimina il meccanismo di auto-sanzione dell'omessa annotazione degli acquisti, e quindi incentiva l'evasione dall'Iva, come l'esperienza a consuntivo dei 4 anni di applicazione del predetto DL. ha confermato. Questa speciale previsione penale sarebbe stata meno indispensabile, ove alla disposizione ora in esame fosse da attribuirsi una portata molto ampia . e comprensiva di ogni omessa annotazione. D'altro canto va per osservato che nello stesso DL. n. 853 del 1984 (cosiddetto Visentini-ter) v' anche un dato che potrebbe essere reputato di segno opposto, all'art. 3, comma 5, ove la incompletezza del repertorio della clientela ovvero delle scritture di cui al comma precedente trattata alla stregua di una omessa tenuta . Nel senso di una interpretazione rigorosa, altro dato normativo di rilievo l'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 22, esplicitamente richiamato nell'inciso dianzi esaminato; ivi stabilito che le registrazioni (alias, annotazioni) nelle scritture cronologiche ed in quelle di magazzino devono essere eseguite non oltre sessanta giorni . La tempestivit delle annotazioni dunque una delle prescrizioni da osservare perch si abbia regolare tenuta ; il che sta ad indicare che la tenuta certamente non si esaurisce nel mero impianto della cosa-veicolo, ma comprende anche l'esecuzione delle annotazioni all'interno dell'anzidetta cosa (quanto meno ogni qualvolta si tratti di scritture cronologiche o di magazzino). Quest'ultima considerazione parrebbe decisiva, almeno sul piano della ermeneutica giuridica, nel senso di un'interpretazione rigorosa della disposizione. Tuttavia essa va oltre misura (cfr. art. 51, comma 5, del D.P.R. n. 600 citato ed art. 45, comma 3, ultimo periodo, D.P.R. n. 633 citato), perch finisce per far operare il comma 6 in esame anche per illeciti di scarsa rilevanza e cio in presenza di sporadiche e poco importanti (in termini di importo) omesse annotazioni, con un appesantimento della repressione penale (e del lavoro dei giudici) che sembra andare oltre la volont del legislatore. La misura da adottarsi potreb~e essere recepita dagli artt. 216, comma l, n. 2) e 217, comma 2, legge fallimentare (bancarotta cosiddetta documentale, fraudolenta o semplice). Appare indubbio che costituisca il reato ex art. 1, comma 6, in esame l'aver tenuto uno o pi libri o registri in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (art. 216 citato); e deve ritenersi che parimenti costituisca l'anzidetto reato l'aver tenuto libri o registri in maniera irregolare o incompleta (art. 217 citato). Ovviamente, nell'ambito tributario occorre tener presente che la tenuta di '1ibri e registri obbligatoria anche per professionisti e artisti. L'interpretazione qui prospettata (che consente di utilizzare l'ampia ela borazione giurisprudenziale formatasi in relazione alla legge fallimentare) indi PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 77 irragionevole e ci in conformit a quanto gi affermato da questa Corte nella sentenza n. 62 del 1986, non essendo il legislatore obbligato a prevedere in ogni norma la soglia del penalmente rilevante, e potendo invece tale limite essere individuato in via interpretativa dal giudice di merito in base al principio di offensivit, che costituisce ormai un canone unanimemente accettato (punto 5 della motivazione); che per quanto attiene alla lamentata disparit di trattamento rispetto alla disciplina sanzionatoria prevista per '1a omessa annotazione delle cessioni di beni (art. 1: secondo comma, n. 2 decreto legge n. 429 del 1982) non pu che ribadirsi quanto gi costantemente affermato vidua l'oggetto giuridico della figura cnmmosa in esame nell'interesse del Fisco alla conoscenza (cosiddetta ostensibilit) dell'attivit del contribuente (in arg. tra le pi recenti cfr. Cass., 22 dicembre 1978, in Riv. pen. , 1979, 329; 12 dicembre 1980, ivi, 1981, 282; 30 ottobre 1984, ivi, 1985, 611; in particolare, per l'art. 217, legge fallimentare, cfr. Corte Cost., 29 aprile 1975, n. 93, 28 maggio 1984, in Riv. pen. , 1985, 382). A questo punto parrebbe palese che la fattispecie penale di omessa tenuta... in conformit all'art. 22... possa in astratto risultare configurata -alternativamente -come: 1) includente soltanto l'omesso impianto e condotte equivalenti (libro o registro lasciato in bianco , o contenente solo sporadiche e non significative annotazioni); 2) includente i casi test indicati sub 1), ed inoltre i casi in cui uno o pi libri o registri siano tenuti in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (art. 216 citato); 3) includente i casi test indicati sub 1) e sub 2), ed inoltre i casi nei quali uno o pi libri sono tenuti in maniera irregolare o incompleta (art. 217 citato); e 4) includenti i casi test indicati sub 1), sub 2) e sub 3), ed inoltre i casi nei quali in uno o pi libri sono omesse annotazioni, purch di non scarsa rilevanza . Parrebbero da scartare le interpretazioni indicate sub 1) e sub 4), anche perch i lavori preparatori delle norme poi trasfuse nel D.L. n. 429 del 1982 hanno considerato proprio la legge fallimentare (cosa che si rileva pure da altre disposizioni). Comunque, per evitare la repressione penale non sufficiente impiantare formalmente i libri e registri prescritti, ma occorre anche annotare in essi un complesso di atti e operazioni tale da assicurare una visione d'insieme sufficientemente illuminante circa i volumi di acquisti, di affari, di ricavi, ecc. L'adozione di una siffatta misura rende superflua la previsione di soglie quantitative determinate, come invece ipotizzato nelle ordinanze di rimessione. Del resto, mentre le soglie previste negli altri commi dello stesso art. 1 sono riferite ad uno specifico periodo di imposta (per solito, ad uno specifico anno solare), il reato di cl:~ qui trattasi prescinde da tale riferimento temporale; inoltre, come accennato, il reato in questione salvaguarda un bene giuridico diverso, non l'emersione dei fatturati e/o dei corrispettivi, ma la cosiddetta ostensibilit dell'attivit (di impresa o di esercizio di arte o professione). Il che rileva anche ai fini del concorso dei reati previsti 18 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dalla giurisprudenza di questa Corte e cio che le scelte discrezionali ~ del legislatore in materia di sanzioni penali non sono sindacabili nel \:i giudizio di costituzionalit salvo il Hmite della ragionevolezza (v. da ultimo ord. n. 376 del 1989); che ta:le Jimite in relazione alle fattispecie poste a raffronto dal I giudice a quo, non risulta violato, trattandosi di norme che perseguono finalit diverse, specie sotto il profilo degli eventuali controlli incro I ciati, e che sanzionano comportamenti fra loro non omogenei rispetto al pericolo di un'evasione fiscale. I dallo stesso art. 1 del D.L. n. 429 del 1982, ed confermato dall'ampia discrezionalit attribuita al giudice nella determinazione della pena. Ovviamente, la misura " qui indicata comporta apprezzamenti caso per caso, che per possono essere fatti anche dai funzionari o militari tenuti al dovere di rapporto penale, senza necessit di inzavorrare le Procure della Repubblica di rapporti inviati solo per scarico di responsabilit '" Giova comunque segnalare che pi difficile scoprire l'omessa registrazione di fatture ricevute che l'omessa registrazione di fatture emesse. Per queste ultime pu essere sufficiente l'ispezione nell'azienda del contribuente cedente (o prestatore di servdzi); per le prime occorre invece procedere a pi controlli incrociati, per solito in luoghi diversi dal territorio nazionale, ch la contabilit del solo cessionario (o committente) pu apparire completa e formalmente regolare pur in presenza dell'illecita omissione. Il che conferma vieppi la non razionalit di una pura e semplice trasposizione deHe soglie " quale immaginata nell'ordinanza di rimessione. FRANCO FAVARA SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE Le sentenze della Corte di giustizia delle Comunit europee nel 1989 In cause alle quali ha partecipato l'Italia. Nel corso dell'anno 1989 la Corte di giustizia delle Comnnit europee ha emesso 154 sentenze (escluse quelle in cause di persona[e): 30 di esse sono state pronnnciate in cause alle quali ha partecipato l'Italia (9 su ricorsi diretti della Commissione C.E. contro l'Italia, 2 su ricorsi diretti dell'Italia contro la Commissione, 1 su ricorso della Commissione contro il Consiglio con intervento dell'Italia, 18 su domande pregiudiziali ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE o del protocollo 3 giugno 1971 concernente l'interpretazione della convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Numerose altre ause alle quali l'Italia aveva partecipato hanno trovato una soluzione stragiudiziale e conseguentemente sono state cancellate dal ruolo della Corte. Oltre quelle pubblicate in questo numero della Rassegna, le sentenze emesse nelle cause alle quali ha partecipato l'Italia sono state le seguenti: -2 febbraio 1989, nella causa 353/87, Commissione c. Italia, con la quale la Corte ha dichiarato che la Repubblica italiana, non avendo emanato nel termine prescritto le disposizioni necessarie per l'attuazione della decima direttiva del Consiglio 31 luglio 1984, n. 84/386/CEE, in materia d'armonizza zione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari, che modifica la direttiva n. 77/388/CEE -applicazione dell'imposta sul valore aggiunto alle locazioni di beni mobili materiali, - venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato CEE " -14 febbraio 1989, nella causa 13/88, Knockel, dove stato dichiarato che l'art. 4, n. 3, del regolamento della Commissione 10 luglio 1986, n. 2169, che fissa le modalit di controllo e di pagamento delle restituzii;mi alla produzione nel settore dei cereali e del riso, pu validamente far dipendere la con cessione delle restituzioni alla produzione da nna dichiarazione, fatta dal produttore, che indica che l'amido e la fecola da utilizzare non stata prodotta da una materia prima diversa dal granoturco, il grano, il riso o le patate,., -15 febbraio 1989, nella causa 32/88, Six Construction Ltd, con la quale, in relazione alla convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale 27 settembre 1968, stato stabilito che: 1) L'art. 5 n. 1 della convenzione stessa va interpretato nel senso che, in materia di contratti di lavoro, l'obbllgazione da prendere in considerazione quella che caratterizza tali contratti, in particolare quella di effettuare l'attivit convenuta; 2) Quando, in materia di contratto di lavoro, l'obbligo del lavoratore di effettuare l'attivit convenuta stato e dev'essere adempiuto al di fuori del territorio degli Stati contraenti, l'art. 5, n. 1, della Convenzione non pu trovare applicazione; la competenza del giudice si determina in tal caso, in fnnzione del luogo del domicilio del convenuto, in conformit dell'art. 2 della convenzione . -21 febbraio 1989, nella causa 203/87, Commissione c. Italia, con la quale la Corte ha dichiarato che la Repubblica italiana, concedendo, per il periodo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 80 compreso tra il 1 gennaio 1984 e il 31 dicembre 1988, un'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto, con rimborso delle imposte versate nello stadio precedente, per talune operazioni effettuate nei confronti delle vittime del terremoto in Campania e in Basilicata, ha contravvenuto alle disposizioni dell'art. 2 della stessa direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari -sistema comune d'imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme . -2 marzo 1989, nella causa 359/87, Pinna, dove, in tema di libera circolazione dei lavoratori -previdenza sociale, stato statuito che finch il Consiglio non ha adottato nuove norme in conformit all'art. 51 del Trattato CEE, la dichiarazione di invalidit dell'art. 73, n. 2, del regolamento n. 1408/71 comporta la generalizzazione del sistema di versamento delle prestazioni familiari definito all'art. 73, n. 1, dello stesso regolamento. -14 marzo 1989, nella causa 1/88, Baldi, con la quale, ancora in tema di libera circolazione dei lavoratori-previdenza sociale, stato statuito che: 1) L'art. 78, n. 2 del regolamento n. 1408/71 riguarda solo il caso deH'orfano il cui genitore deceduto avesse personalmente la qualit di lavoratore subordinato; 2) Dall'art. 73 del regolamento n. 1408/71 risulta che un lavoratore, finch rimane sottoposto alla legislazione sociale di uno Stato membro, ha diritto, per i familiari che risiedono nel territorio di un altro Stato membro, alle prestazioni familiari contemplate dalla normativa del primo Stato, come se risiedessero sul territorio di quest'ultimo; 3) Se nei casi di cui all'art. 77, n. 2, lett. a) e n. 2, lett. b), sub i), del regolamento n. 1408/71, l'importo delle prestazioni fornite dallo Stato di residenza inferiore a quello delle prestazioni concesse dall'altro Stato debitore, il lavoratore conserva il beneficio dell'importo pi elevato e il diritto a percepire, a carico dell'istituto di previdenza sociale competente di quest'ultimo Stato, un complemento di prestazioni fornite dallo Stato di residenza e qu,ello delle prestazioni previste dall'altro Stato debitore per i titolari di una pensione d'invalidit, maggiorate se lel caso del complemento stabilito dalla normativa di quest'ultimo Stato per i figli di tali titolari. -27 aprile 1989, nella causa 324/87, Commissione c. Italia, dove la Corte ha dichiarato che, non avendo emanato nel termine prescritto tutte le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 7 febbraio 1983, n. 83/91, che modifica la direttiva n. 72/462, relativa a problemi sanitari e di poliz..ia sanitaria all'importazione di animali della specie bovina e suina e di carni fresche provenienti da paesi terzi, e la direttiva n. 77/96, riguardante la ricerca delle trichine all'importazione da paesi terzi di carni fresche provenienti da animali domestici della specie suina, la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato CEE . -25 maggio 1989, nella causa 15/88, Maxi Di, con la quale, in tema di imposizione indiretta sulla raccolta di capitali, stato precisato che l'art. 11 della direttiva t. 69/335 deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non pu esigere dalle societ di capitali ai sensi dell'art. 3 della direttiva, in occasione di un prestito obbligazionario, operazione menzionata dall'art. 11 della direttiva medesima, tributi diversi da quelli previsti dall'art. 12 della direttiva. -30 maggio 1989, nella causa 355/87, Commissione c. Consiglio delle C. E., con intervento dell'Italia, con la quale stato respinto il ricorso della Commissione diretto contro l'annullamento della decisione del Consiglio n. 87/475/ PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE CEE, che aveva conferito all'Italia un'autorizzazione incondizionata a ratificare un accordo di ripartizione di carichi, in tema di trasporti marittimi, negoziato con l'Algeria. -11 luglio 1989, nella causa 195/87, Cehave, con la quale stato dichiarato che: 1) L'art. 2, n. 1 del regolamento della Commissione 30 giugno 1986, n. 2040, va interpretato nel senso che il prelievo di corresponsabilit nel settore dei cereali dev'essere calcolato sulla base del tasso di conversione agricolo che si applica nello Stato membro sul cui territorio viene effettuata la prima trasfoI1IIlazione dei cereali; 2) Il combinato disposto dell'art. 4, n. 6, del regolamento del Consiglio 29 ottobre 1975, n. 2727, come modificato dal regolamento del Consiglio 23 maggio 1986, n. 1579, e dell'art. 5, n. 1, del regolamento della Commissione 30 giugno 1986, n. 2040, va interpretato nel senso che gli operatori che effettuano la prima trasformazione di cereali devono trasferire successivamente sui loro fornitori l'eventuale differenza positiva o negativa tra il prelievo di corresponsabilit da essi dovuto e la riduzione che stata loro concessa dai fornitori a titolo di tale prelievo; 3) dall'esame della normativa di cui trattasi non risultato alcun elemento che possa pregiudicarne la validit " -13 luglio 1989, nella causa 395/87, Tournier e, con la stessa data, nelle cause riunite 110, 241 e 242/88, Lucazeau, con le quali stato statuito, in tema di concorrenza-diritti d'autore, che: 1) Gli artt. 30 e 59 del Trattato CEE vanno interpretati nel senso che non ostano all'applicazione di una normativa nazionale che consideri come una violazione del diritto d'autore l'esecuzione pubblica, senza pagamento di compensi, di opere musicali protette mediante supporti del suono, qualora dei compensi siano gi stati versati all'autore per la riprodumone dell'opera in un altro Stato membro; 2) L'art. 85 del Trattato CEE va interpretato nel senso che vieta qualsiasi pratica concordata tra societ nazionali di gestione di diritti d'autore degli Stati membri che ha per oggetto o per effetto che ogni societ rifiuti l'accesso diretto al suo repertorio agli utilizzatori stabiliti in un altro Stato membro. Spetta ai giudici nazionali determinare se un accordo a tal fine vi sia effettivamente stato tra queste societ di gestione; 3) Il fatto che una societ nazionale di gestione di diritti d'autore in materia musicale rifiuti l'accesso degli utilizzatori di musica registrata al solo repertorio straniero che essa rappresenta ha per oggetto o per effetto di restringere la concorrenza sul mercato comune solo se l'accesso ad una parte del repertorio protetto poteva interamente salvaguardare gli interessi degli autori, compositori ed editori di musica senza pertanto aumentare le spese attinenti alla gestione e dei contratti e della sorveglianza dell'utilizzo delle opere musicali protette. L'art. 86 del Trattato CEE va interpretato nel senso che una societ nazionale di gestione di diritti d'autore che si trovi in posizione dominante su una parte sostanziale del mercato comune impone condizioni di transazione inique quando i compensi che essa applica alle discoteche sono sensibilmente pi elevati di quelli praticati negli altri Stati membri, in quanto il confronto delle nuove tariffe stato effettuato su una base omogenea. Cos non se la societ di diritti d'autore di cui trattasi poteva giustificare una tale differenza basandosi su divergenze obiettive e pertinenti tra la gestione dei diritti d'autore nello Stato membro interessato e quella negli altri Stati membri" -13 luglio 1989, nella causa 214/88, Finanze c. Politi, con la quale la Corte ha dichiarato che il combinato disposto dell'art. 9 della direttiva n. 64/433 e dell'art. 17, n. 2, del regolamento n. 121/67, costituisce una deroga, 82 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO per quanto riguarda i controlli sanitari e di polizia sanitaria sulle carni .suine, fresche, refrigerate o congelate, in provenienza da paesi terzi, al divieto di riscuotere diritti di controllo sanitario, e ci nella misura necessaria a garantire un trattamento non discriminatorio degli operatori economici, che, effettuando scambi intracomunitari di carni fresche, sono a questo titolo sottoposti al pagamento di diritti di controllo sanitario nello Stato membro esportatore, e di coloro che importano da paesi terzi, a condizione che tali diritti non superino il costo effettivo del controllo " -17 ottobre 1989, nella causa 109/88, Handels, con la quale la Corte -precisato pregiudizialmente che un tribunale arbitrale di categoria, la cui competenza e la cui composizione non dipendono dall'accordo delle parti e che dirime la lite in ultimo grado, deve essere considerato come una giurisdizione di uno Stato membro ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE -sui singoli quesiti posti da tale triblll!ale ha dichiarato che la direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, n. 75/117, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parit delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e femminile va interpretata nel senso che: 1) Quando un'impresa applica un sistema di retribuzione caratterizzato da una mancanza totale di trasparenza, il datore di lavoro ha l'onere di provare che la sua prassi salariale non discriminatoria, dal momento che il lavoratore di sesso femminile dimostra, relativamente ad un numero rilevante di lavoratori dipendenti, che la retribuzione media dei lavoratori di sesso femminile inferiore a quella dei lavoratori di sesso maschile; 2) Quando risulta che l'applicazione dei criteri di maggiorazione quali la flessibilit, la formazione professionale o l'anzianit del lavoratore sfavorisce sistematicamente i lavoratori di sesso femminile, -il datore di lavoro pu giustificare il ricorso al criterio della flessibilit se esso viene inteso nel senso che riguarda l'adattabilit ad orari e luoghi di lavoro variabili, dimostrando che tale adattabilit riveste importanza .per l'esecuzione di compiti specifici che sono affidati al lavoratore, ma non se tale criterio viene inteso nel senso che riguarda la qualit del lavoro svolto dal lavoratore; -il datore di lavoro pu giustificare il ricorso al criterio della formazione professionale dimostrando che tale formazione riveste importanza per l'esecuzione di compiti specifici che sono affidati al lavoratore; -il datore di lavoro non deve specificamente giustificare il ricorso al criterio dell'anzianit" -17 ottobre 1989, nelle cause riunite 231/87 e 121/87, Comune di Carpeneto Piacentino e Comune di Rivergaro, con la quale, in tema di imposta sul valore aggiunto, la Corte ha dichiarato che: 1) L'art. n. 5, 1 comma, della sesta direttiva IVA n. 77/388/CEE va interpretato nel senso che le attivit esercitate 'in quanto pubbliche autorit' ai sensi di tale norma sono quelle svolte dagli enti di diritto pubblico nell'ambito del regime giuridico loro proprio, escluse le attivit da ess.i svolte in forza dello stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati. Spetta a ciascuno Stato membro scegliere la tecnica normativa pi consona per trasporre nel diritto nazionale il principio del non assoggettamento sancito da detta norma. 2) L'art. 4, n. 5, 2 comma, della sesta direttiva va interpretato nel senso che gli Stati membri sono tenuti a garantire l'assoggettamento degli enti di diritto pubblico per le attivit che esercitano in quanto pubblica aumrit allorch tali attivit possono essere del pari esercitate da privati in concor~ renza con essi e qualora il loro non assoggettamento sia atto a provocare I! distorsioni di concorrenza di una certa importanza, ma non hanno l'obbligo I di recepire letteralmente tale criterio nel loro diritto nazionale, n di pre- I ! ! f J ! PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE cisare limiti quantitativi di non assoggettamento; 3) L'art. 4, n. 5, 3 comma, della sesta direttiva va interpretato nel senso che non impone agli Stati membri l'obbligo di recepire nella loro normativa tributaria il criterio del carattere non trascurabile, inteso come condizione per l'assoggettamento delle atitivit elencate all'allegato D; 4). Un ente di diritto pubblico pu invocare l'art. 4, n. 5, della sesta direttiva per opporsi all'applicazione di una disposizione nazionale che sancisca il suo assoggettamento all'IVA per un'attivit, svolta in quanto pubblica autorit, che non sia elencata nell'allegato D della sesta direttiva, e il cui non assoggettamento non sia atto a provocare distorsioni di concorrenza di una certa importanza '" -19 ottobre 1989, causa 142/88, Hoesch-Bergrohr, con la quale in tema di politica commerciale, la Corte ha dichiarato che: 1) L'art. 5 del regolamento del Consiglio 9 gennaio 1985, n. 60, relativo alle restrizioni all'esportazione di tubi d'acciaio verso gli Stati Uniti d'America, va interpretato nel senso che l'espressione 'nuovi produttori di tubi d'acciaio' comprende le imprese che, pur avendo prodotto precedentemente tubi d'acciaio e pur conservando la loro forma giuridica e la loro denominazione sociale, hanno subito una trasformazione sul piano economico che ha portato la creazione di un nuovo stabilimento dotato di una notevole capacit produttiva, in particolare quando in tale stabilimento si fabbrica un nuovo prodotto che non era gi stato fabbricato dall'impresa; 2) Un'impresa riconosciuta come 'nuovo produttore' ai sensi dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 60/85, deve poter beneficiare di una proporzione adeguata delle licenze d'esportazione disponibili, nel rispetto dei criteri che figurano in tale norma. In particolare, necessario che le autorit degli Stati membri incaricate di determinare la rilevanza di ciascuno di questi vari criteri, tengano conto della capacit produttiva del nuovo produttore e del suo potenziale di esportazione, e gli consentano un accesso reale al mercato americano dei tubi d'acciaio; 3) Le autorit tedesche erano autorizzate dal regolamento n. 60/85, senza esservi tuttavia obbligate, ad assegnare all'impresa Hoesch una quantit speciale di tubi di acciaio prelevata sulla quota nazionale di esportazione del 2,82 % lel consumo apparente degli Stati Uniti . -19 ottobre 1989, nelle cause riunite 258, 337 e 338/87, Italia c. Commissione, con la quale la Corte ha respinto i ricorsi italiani, in tema di liquidazione dei conti FEOGA per gli esercizi 1983, 1984 e 1985, confermando cos la non imputabilit al FEOGA di alcune spese relative a vendita di latte scremato in polvere di ammasso pubblico, alla trasformazione delle arance e dei limoni, al premio speciale di riporto nel settore della pesca. -23 novembre 1989, nella causa 150/88, Firma 4711, con la quale la Corte -dopo aver precisato che essa pu fornire gli elementi interpretativi del diritto comunitario che consentiranno al giudice nazionale di risolvere il problema giuridico di cui si trova adito anche qualora si tratti della valutazione della compatibilit con il diritto comunitaro delle disposizioni di uno Stato membro diverso da quello del giudice del rinvio -ha dichiarato, in relazione ai quesiti posti, che: 1) L'art. 6, n. 2, della direttiva del Consiglio n. 76/768, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, osta a che una normativa nazionale prescriva l'indicazione dei dati qualitativi e quantitativi delle sostanze menzionate sull'imballaggio, nella pubblicit o nella denominazione dei prodotti cosmetici contemplati dalla direttiva; 2) L'art. 6, n. ~. lett. a), della succitata direttiva vieta ad uno Stato membro di prescrivere, nel caso dei prodotti cosmetici importati, fabbricati da un produttore stabilito nella RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Comunit, che il nome dell'impresa stabilita e responsabile dello smercio in tale Stato membro figuri sugli imballaggi, sui recipienti o etichette dei prodotti" -5 dicembre 1989, m.J.a causa 3/88, Commissione c. Italia con la quale la Corte, in tema di appalti pubblici di forniture nel settore dell'informatica, ha dichiarato che avendo riservato alle sol.e societ a prevalente o totale partecipazione statale o pubblica, diretta o indiretta, la possibilit di concludere convenzioni per la realizzazione dei sistemi informativi per conto della pubblica amministrazione, la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 52 e 59 del Trattato CEE nonch della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, n. 77/62. -12 dicembre 1989, nella causa 265/88, Messner, dove la Corte ha dichiarato che il comportamento di uno Stato membro, il quale imponga ai cittadini degli altri Stati membri che esercitano il diritto al.la libera circolazione l'obbligo, munito di sanzione penale in caso di inosservanza, di effettuare una dichiarazione di soggiorno entro tre giorni a decorrere dall'ingresso nel territorio, non compatibile con le norme del diritto comunitario relative al.la libera circolazione delle persone " -14 dicembre 1989, nel.la causa 3/87, The Queen c. Agegate Ltd., dove la Corte ha precisato (con riferimento alla questione sulla quale soltanto aveva presentato osservazioni il Governo italiano) che la nozione comunitaria di lavoratore deve essere definita secondo criteri obiettivi che caratterizzano il rapporto di lavoro in considerazione dei diritti e dei doveri degli interessati e che quindi, dato che la caratteristica sostanziale del rapporto di lavoro la circostanza che una persona svolge, durante un certo periodo di tempo, a favore di un'altra e sotto la direzione di questa, prestazioni in compenso delle quali riscuote una retribuzione, il sol.o fatto che detta retribuzione sia qJla parte e che sia eventualmente calcolata su una base collettiva, non tale da escludere la qualit di lavoratore del.la persona cos come retribuita. O. F. CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sed. plen., 2 febbraio 1989, nella causa 22/87 Pres. Due Avv. Gen. Lenz Commissione della C. E. (ag. Traversa) c. Repubblica italiana (avv. Stato Fiumara). Comunit europee -Inadempiinento cli uno Stato -Mancata attuazione della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, n. 80/987/CEE Tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro. (Direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, n. 80/987/CEE; legge 29 maggio 1982, n. 297; legge 29 maggio 1975, n. 164; art. 2120 cod. civ.). Non avendo emanato nei termini prescritti i provvedimenti necessari a conformarsi alle disposizioni della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, n. 80/987, concernente il ravvicinamento delle iegislazioni degli Stati membri relativi alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro -in particolare alle disposizioni concernenti l'istituzione di organismi di garanzia atti ad assicurare ai la PARTB I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 85 voratori il pagamento delle spettanze risultanti da contratti di lavoro (artt. 3 e 5), la garanzia delle prestazioni dovute ai lavoratori in forza dei regimi previdenziali obbligatori (art. 7) e la garanzia delle prestazioni pensionistiche di vecchiaia previste dai regimi integrativi prof essionali o interprofessionali (art. 8) -, la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato CEE (1). (omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 28 gennaio 1987, la Commissione delle Comunit Europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso volto a far dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo emanato nei ter~ mini prescritti i provvedimenti necessari per conformarsi alle disposizioni della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, n. 80/987, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (G. U. n. L 283, pag. 23), venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato CEE. 2. -La Commissione formula pi in particolare tre censure relative all'inadempimento degli obblighi derivanti dagli artt. 3 e 5 della direttiva (istituzione di organismi di garanzia atti ad assicurare ai . lavora( 1) La difesa del Governo italiano non aveva contestato la mancanza, nell'ordinamento giuridico italiano, di disposizioni esattamente corrispondenti a quelle volute dalla direttiva 80/987/CEE, ma aveva rilevato l'esistenza, nello stesso ordinamento, di un complesso di disposizioni atte a garantire una tutela equivalente, e in certi casi addirittura superiore, a quella perseguita dalla direttiva, donde l'inconfigurabilit di un sostanziale inadempimento dell'Italia (sul concetto di recepimento nel diritto interno di una direttiva, nella giurisprudenza della Corte di giustizia, cfr., oltre la sentenza, citata in motivazione, 23 maggio 1985, nella causa 29/84, COMMISSIONE c. REP. FED. GERMANIA, le pi recenti sentenze 9 aprile 1987, nella causa 363/85, COMMISSIONE c. REP. ITALIANA, in questa Rassegna, 1987, I, 291 e 8 luglio 1987, nella causa., COMMISSIONE c. REP. ITALIANA, punto 9 della motivazione, ibidem, pag. 309). Sulla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro. (omissis) 3. -Esiste in Italia -si era detto nelle difese scritte del Governo italiano, che qui si riproducono parzialmente -un sistema complesso di istituti finalizzato ad evitare le conseguenze negative che potrebbero derivare al lavoratore dalla perdita del posto di lavoro (a questo riguardo si ricordano, richiamando per i particolari il citato documento, i benefici erogati dalla Cassa integrazione guadagni straordinaria, gli inter venti della societ finanziaria pubblica G.E.P.I., la procedura di amministra zione straordinaria, la gestione straordinaria delle imprese di assicurazione, le particolari disposizioni in favore dei lavoratori nella disciplina delle varie procedure concorsuali, le norme che garantiscono a tutti il pagamento delle 8 86 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tori il pagamento delle spettanze risultanti da contratti di lavoro), dall'art. 7 (garanzia delle prestazioni dovute ai lavoratori in forza' dei regimi previdenziali obbligatori) e dall'art. 8 (garanzia delle prestazioni pensionistiche di vecchiaia previste dai regimi. integrativi professionali o interprofessionali). 3. -Il termine di 36 mesi, previsto dall'art. 11 della direttiva, per l'emanazione da parte degli Stati membri delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva scaduto il 23 ottobre 1983. pacifico che la Repubblica italiana non ha adottato alcun provvedimento per l'attuazione della direttiva. 4. -Il Governo convenuto sostiene tuttavia che diverse disposizioni del diritto italiano vigente sono atte a garantire ai lavoratori una tutela equivalente, se non superiore, a quella perseguita dalla direttiva. 5. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti, dello svolgimento del procedimento nonch dei mezzi ed argomenti delle parti, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono indennit di fine rapporto). Considerate complessivamente (e tenuto conto altres dell'indennit di disoccupazione quale ulteriore ammortizzatore sociale), questo sistema appare assicurare in larga misura, e anche con maggiore efficacia, la tutela del prestatore di lavoro sostanzialmente voluta dalla diret tiva 80/987/CEE. Basti considerare in proposito, e in modo particolare, la garanzia introdotta dalla legge 29 maggio 1982, n. 297 (disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), secondo la quale, qualora il datore di lavoro non vi provveda, uno specifico Fondo di garanzia pubblico eroga al lavoratore o ai suoi aventi diritto il trattamento di fine rapporto. vero che la direttiva prevede la garanzia del pagamento delle somme dovute per retribuzione per un periodo determinato in caso di apertura di procedura concorsuale e che una siffatta specifica garanzia non prevista attualmente dall'ordinamento giuridico italiano. Ma tale ordinamento, con le disposizioni della legge sopra ricordata, offre una garanzia sia pur diversa ma certamente di portata ben superiore: essa, infatti, riguarda, nei confronti di tutti i lavoratori insoddisfatti, il trattamento di fine rapporto, che, come facile immaginare, generalmente di consistenza ben maggiore della retri buzione per un periodo determinato (che, ai sensi dell'art. 4 della direttiva, potrebbe essere anche soltanto di tre mesi). Questa garanzia generalizzata, seppur non corrisponde esattamente a quella indicata dalla direttiva. e formalmente non la assorbe, certamente di entit tale da offrire al lavoratore sostanzialmente una tutela addirittura superiore a quella pretesa dalla direttiva medesima. Gli altri istituti richiamati all'inizio del presente paragrafo completano, sia pure per determinati settori e per determinate categorie di lavoratori, la tutela del prestatore di lavoro subordinato. E in particolare il sistema della cassa integrazione guadagni straordinaria costituisce, per determinati set tori e per determinati lavoratori, una garanzia alternativa specificamente con PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 87 richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. 6. -In via preliminare occorre ricordare che, ai sensi dell'art. 189 del Trattato, gli Stati membri destinatari di una direttiva sono tenuti ad adottare, nell'ambito del loro ordinamento giuridico nazionale, i provvedimenti necessari a garantire la piena efficacia della dirttiva, conformemente alle finalit perseguite. Si desume in proposito dalla giurisprudenza della Corte (ed in particolare dalla sentenza 23 maggio 1985, causa 29/84, Commissione c. Repubblica .federale di Germania, Racc. pag. 1661) che se l'attuazione di una direttiva non esige necessariamente l'emanazione di ,specifici provvedimenti legislativi o regolamentari in ogni Stato membro, l'emanazione di detti provvedimenti pu ritenersi superflua solo qualora le disposizioni del diritto nazionale vigente garantiscano effettivamente la completa applicazione della direttiva. sentita dall'art. 1, n. 2, della direttiva in collegamento con l'allegato II lettera Cl di essa. La Commissione non contesta, nella sostanza, l'efficacia di questo complesso sistema e la sua rispondenza, in gran parte, ai fini della direttiva. Essa osserva per che il sistema italiano, seppur sotto certi aspetti (come quello della garanzia del trattamento di fine rapporto di cui alla citata legge numero 297/1982) assicuri una tutela pi efficace dei diritti dei lavoratori, non assicura peraltro la specifica tutela voluta dalla direttiva; e laddove la assicura (come nei casi di applicazione della "cassa integrazione guadagni straordinaria), la garanzia per limitata -in contrasto con gli obiettivi della direttiva stessa -a settori produttivi e a categorie di lavoratori ovvero presenta esenzioni o lacune non accettabili. Questa impostazione, nei suoi termini generali, non appare accettabile. Se vero, infatti, che la garanzia, accordata a tutti i lavoratori di qualsivoglia settore, del pagamento delle somme dovute per trattamento di fine rapporto di efficacia superiore a tutte le garanzie previste dalla direttiva, ben dovrebbe concludersi che il sistema italiano non deve ulteriormente adeguarsi alla direttiva stessa. Sotto un profilo subordinato, seppur si dovesse seguire l'iter logico delle osservazioni della Commissione e ammettere da un lato che la garanzia generalizzata del trattamento di fine rapporto non sufficiente a bilanciare la mancanza della garanzia specificamente voluta dalla direttiva del pagamento della retribuzione per un periodo determinato in caso di procedura concorsuale (a fronte della quale esisterebbe in Italia solo una garanzia parziale per settori determinati e p~r specifiche categorie di lavoratori.), occorrerebbe allora correggere la portata delle osservazioni stesse della Commissione per un sensibile ridimensionamento delle aree non tutelate nell'ordinamento giuridico italiano. E sotto questo profilo subordinato valgono le considerazioni dei para grafi che seguono. 4. Riguardo in particolare alla contestazione concernente gli artt. 3 e 5 della direttiva, opportuno ricordare che la stessa direttiva nasce dalla 88 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 7. -La direttiva n. 80/987, la cui inesecuzione viene addebitata alla Repubblica italiana, persegue il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro e prevede a tal fine, in parti colare, garanzie specifiche per la soddisfazione dei loro crediti non pagati. 8. -Vanno pertanto esaminate nell'ordine le tre censure formulate dalla Commissione per accertare se le disposizioni legislative italiane richiamate dal Governo convenuto assicurino ai lavoratori subordinati la fruizione delle garanzie specifiche previste dalla citata direttiva n. 80/987. Sulla prima censura relativa all'omessa attuazione degli artt. 3 e 5 della direttiva n. 80/987. 9. -Dagli artt. 3 e 5 della direttiva risulta che gli Stati membri devono istituire organismi di garanzia che assicurino la soddisfazione dei crediti non pagati dei lavoratori subordinati, risultanti da contratti necessit di sopperire alle esigenze dei lavoratori che a causa dell'insol venza del datore di lavoro vanno incontro alle difficolt dovute normalmente allo svolgimento delle procedure previste dalle legislazioni speciali nazionali, nonch ai rischi di non poter far valere i propri diritti di credito per insuf ficienia dell'attivo del patrimonio del datore di lavoro. Da ci si desume che in ogni caso si debba far capo ai soggetti che secondo le varie legislazioni nazionali possano essere implicati in tali procedure. In Italia il RD. 16 marzo 1942, n. 297 (legge fallimentare) determina sia i. soggetti assoggettabili sia quelli esclusi dalla disciplina fallimentare. E sono appunto esclusi dalla assoggettabilit al fallimento e alle altre procedure concorsuali gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, quali -ai sensi dell'art. 2083 codice civile -i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attivit professionale orga nizzata prevalentemente con il lavoro proprio o della propria famiglia. V' inoltre da considerare che alcune categorie di lavoratori si trovano in situazione del tutto particolare, per cui v' quantomeno da dubitare della applicabilit ad essi delle regole della direttiva. Si consideri da questo punto di vista la posizione dei dirigenti per i quali i contratti collettivi prevedono spesso speciali clausole di salvaguardia che forniscono loro una tutela sostru.1 ziale, in caso di licenziamento motivato da ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione, ovvero crisi aziendale o settoriale, nonch nelle ipotesi di am ministrazione straordinaria. Per quanto riguarda gli apprendisti, pur essendo essi legati da un rapporto di lavoro subordinato speciale (legge 19 gennaio 1955 n. 25), la estensione del campo di applicazione della direttiva a questa categoria sembra non corrispondere ad esigenze obiettive, tenuto conto in particolare che essi prestano la propria opera per brevi periodi. Data, poi, la specialit della definizione di lavoratore subordinato nell'ordinamento ita liano (art. 2094 codice civile, in collegamento con l'art. 2 n. 2 della direttiva) suscita perplessit l'applicazione della tutela prevista dalla direttiva ai lavora PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 89 di lavoro o da rapporti di lavoro e relativi alla retribuzione del periodo situato prima di una data determinata, stabilit secondo le condizioni previste dall'art. 3. 10. -Secondo il Governo italiano, il combinato disposto delle varie norme di diritto italiano intese ad evitare al lavoratore le conseguenze negative che potrebbero derivare dalla perdita del posto di lavoro, garantirebbe ai lavoratori una tutela equivalente a quella prevista negli artt. 3 e 5 della direttiva. Il Governo italiano cit~ in particolare le disposizioni relative al trattamento corrisposto al termine del rapporto di lavoro (trattamento di fine rapporto), contenute nella legge 29 maggio 1982, n. 297 (Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 148 del 7 giugno) e il sistema di garanzia di pag~mento predisposto con la Cassa integrazione guadagni -gestione straordinaria la quale, istituita con fogge 29 maggio 1975, n. 164 (GURI n. 147 del 31 maggio) costituirebbe un sistema alternativo di garanzia specificamente consentito dall'art. 1, n. 2, della direttiva in collegamento con l'allegato II, lett. c/1 di essa. tori a domicilio: largamente controversa, difatti, la possibilit di ritenerli o assimilarli ai lavoratori subordinati. La stessa legge 18 dicembre 1973, n. 877 (nuove norme per la tutel del lavoro a domicilio) stabilisce solo un particolare vincolo di subordinazione per questi lavoratori, in deroga a quanto previsto dall'art. 2094 del codice civile. E la legge 8 agosto 1985, n. 433 (legge quadro per l'artigianato) prevede espressamente che, qualora non superino un terzo dei lavoratori dell'impresa artigiana, i lavoratori a domicilio non sono computati ai fini del calcolo dei limiti dimensionali stabiliti dalla legge Stessa per l'impresa artigiana. Le aree non coperte dalle norme sulla cassa integrazione guadagni straordinaria indubbiamente sussistono, ma, anche solo con le precisazioni sopra fatte, sono di un'ampiezza molto minore di quella indicata dalla Commissione. E per i lavoratori appartenenti a tali aree scoperte sussistono delle ulteriori forme di efficace garanzia, anche se non coincidenti con quelle volute dalla direttiva: si pensi agli accordi della contrattazione collettiva che hanno creato organismi bilaterali (datori di lavoro e lavoratori) per il sostegno e la garanzia dei redditi in caso d'insolvenza del datore di lavoro (ad ~sempio nei contratti per il commercio e per il turismo); si pensi ai privilegi di primo grado che assistono i crediti di lavoro. Quanto all'area coperta dall'istituto della cassa integrazione guadagni straordinaria, doveroso precisare che non sussiste alcuna discrezionalit, se non tecnica, nelle determinazioni che l'amministrazione assume: il C.I.P.I. (Comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale), che l'organo che valuta l'effettivit dei motivi che giustificano il ricorso alla cassa , si dato una norma di comportamento (delibera 12 giugno 1984) in base alla quale nell'attuazione concreta dell'istituto l'erogazione dei benefici obbligatoria e non facoltativa, una volta che sia constatata obiettivamente la ricorrenza delle condizioni di legge. 5. -Quanto alla contestazione 2 concernente l'art. 7 della direttiva, si osserva che l'articolo 2116 del codice civile italiano dispone che le prestazioni RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO 90 11. -Per quel che riguarda il 1trattamento di fine rapporto, occorre rilevare che trattasi di un'attribuzione patrimoniale il cui importo determinato con riferimento alla durata del rapporto di lavoro, corrispondente in linea di principio ad un mese di retribuzione per ogni anno di anzianit di servizio, ed a cui hanno diritto tutti i lavoratori in caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ai sensi dell'art. 2120 del codice civile italiano. Il Fondo di garanzia di cui all'art. 2 della citata legge n. 297 si sostituisce al datore di lavoro insolvente per garantire il pagamento di detta attribuzione patrimoniale. Questa garanzia non si estende per al pagamento dei crediti relativi a retribuzioni dei lavoratori che non siano state regolarmente pagate nel corso del rapporto di lavoro, a causa dell'insolvenza del datore di lavoro. Ora, il pagamento di detti crediti dev'essere garantito a norma degli artt. 3 e 5 della direttiva n. 80/987. Ne consegue che le disposizioni del diritto italiano afferenti al trattamento di fine rapporto non sono atte ad adempiere gli obblighi derivanti dai precitati articoli della direttiva. indicate nell'art. 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l'imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di. previdenza ed assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali o delle norme corporative" Da tale norma si ricava il principio della cosiddetta assicurazione di diritto o automatica, per effetto del quale il diritto del lavoratore a conseguire le prestazioni assistenziali e previdenziali sussiste indipendentemente dalla regolare corresponsione da parte dl datore di lavoro dei contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto che il principio in questione sia applicabile nel campo degli assegni familiari in quanto i medesimi rappresentano, secondo il vigente sistema, una forma di assistenza obbligatoria diretta ad integrare il salario. Il principio della automaticit delle prestazioni espressamente sancito nella normativa specifica concernente varie forme assicurative (infortuni e malattie professionali, tubeI'Colosi, malattie comuni). Nella assciurazione contro la disoccupazione il principio riconosciuto per l'indennit ordinaria di disoccupazione. In materia di infortuni l'art. 67 del d.P .R. 30 giugno 1965 n. 1124 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) dispone che gli assicurati hanno diritto alle prestazioni da parte dell'istituto assicuratore anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia adempiuto agli obblighi stabiliti nel presente titolo . In particolare per quanto riguarda l'attuazione del principio dell'automaticit nell'assicurazione obbligatoria per l'invalidit, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall'I.N.P.S. (Istituto nazionale della previdenza sociale), l'articolo 27 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636, nel testo modificato dalla legge 11 agosto 1972, n. 485, recita testualmente: Il requisito di contribuzione stabilito per il diritto alle prestazioni di vecchiaia, invalidit e superstiti, si intende verificato anche quando i contributi PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 91 12. -Per quel che riguarda la Cassa integrazione guadagni -gestione straordinaria -, la quale garantisce il pagamento dei crediti dei lavoratori sino all'80 % della retribuzione in caso di crisi aziendale , nozione che include l'ipotesi dell'insolvenza del datore di lavoro, pacifico che essa atta a soddisfare ai precetti della direttiva per quel che riguarda l'ambito di applicazione ratione materiae della garanzia. Tuttavia, come ha osservato la Commissione, questa garanzia comporta lacune per quel che riguarda l'ambito di applicazione ratione personae tenuto conto di quello prescritto dalla direttiva. 13. -Infatti, occorre rilevare in primo luogo che questo sistema viene applicato esclusivamente alle imprese industriali (legge 29 maggio 1975, n. 164), alle imprese appaltatrici dei servizi di mensa di imprese industriali nonch alle imprese commerciali che occupino pi di mille dipendenti (legge 23 aprile 1981, n. 155, GURI n. 114 del 27 aprile), alle imprese di edizione e stampa dei quotidiani ed alle agenzie di stampa nazionali (legge 5 agosto 1981, n. 146, GURI n. 215 del 6 agosto), ed infine alle imprese di navigazione (legge 9 dicembre 1982, n. 918), le quali ultime non rientrano per nell'ambito d'applicazione della direttiva. non siano effettivamente versati, ma risultino dovuti nei limiti della prescri zione decennale. Il rapporto di lavoro deve risultare da documenti e prove certe. I periodi non coperti da contribuzione di cui al comma precedente sono considerati utili anche ai fini della determinazione della misura'. delle pensioni . La norma concerne tutte le pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, ivi compresa la pensione di anzianit e le prestazioni spettanti ai superstiti (pensione di reversibilit o indiretta ed indennit di morte). Da ci si evince che nel campo delle prestazioni pensionistiche il principio subisce una attenuazione nel senso che la prestazione dovuta. anche nel caso di omissione contributiva ma solo con riferimento ai contributi relativi all'ultimo decennio ossia al periodo per il quale non si ancora verificata la prescrizione del diritto della gestione previdenziale per il versamento dei contributi nei confronti del datore di lavoro. Proprio su questa deroga al principio della automaticit si concentra l'attenzione della Commissione. Ma non possiamo non rilevare la assoluta marginalit di tale deroga, tenuto conto degli effetti pratici. In effetti l'individuazione di queste ipotesi pu avvenire in casi sporadici, singoli e non pu essere generalizzata: dato il sistema vigente di sorveglianza e controllo istituito dalla legge sulla previdenza sociale, non sembra che possa rilevare in modo dirimente l'argomentazione incentrata sui limiti derivanti dalla prescrizione decennale per affermare la non corrispondenza del sistema italiano agli obblighi di cui all'art. 7 della direttiva. La legge impone all'I.N.P.S. l'obbligo di inviare ogni anno al lavoratore un estratto conto contenente l'indicazione della retribuzione denunciata dal datore di lavoro, consentendo in tal modo un controllo costante in ordine agli obblighi di contribuzione da parte del datore di lavoro. La denuncia, da parte del lavoratore, del datore di lavoro inadempiente non consentir il maturarsi della prescrizione decennale. Quanto all'osservazione della Commissione secondo cui l'esistenza di un vasto contenzioso in materia dimostrerebbe l'ampiezza del problema, si osserva 92 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 14. -Ne risult che i lavoratori delle imprese che non rientrano in una delle citate categorie sono esclusi dalla garanzia prestata dalla Cassa integrazione guadagni in caso di insolvenza dei loro datori di lavoro. 15. -In secondo luogo, si deve rilevare che non tutti i lavoratori subordinati alle dipendenze delle imprese summenzionate fruiscono del sistema di garanzia fornito dalla Cassa integrazione guadagni. Ne sono esclusi in particolare i dirigenti, gli apprendisti e i lavoratori a domicilio. 16. -Il Governo italiano sostiene tuttavia che queste tre categorie di lavoratori dovrebbero essere escluse dall'ambito di applicazione della direttiva, vista la natura particolare del loro contratto di lavoro, e, per quel che riguarda pi specificamente i dirigenti, perch esistono sistemi di tutela molto avanzati previsti dai contratti collettivi. 17. -A questo proposito occorre ricordare anzitutto che, stando al dettato dell'art. 2, n. 2, della direttiva, essa non pregiudica il diritto nazionale per quanto riguarda la definizione del termine lavoratore subordinato >>. Ora, dalle disposizioni del codice civile italiano (art. 2095 che il contenzioso in atto si svolge soprattutto per l'esigenza di qualificare la natura dei rapporti di lavoro che vengono in causa. Si ricorda, comunque, che la legge 12 agosto 1962, n. 1338 (disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidit, la vecchiaia e i superstiti) consente di sopperire a quei casi concreti in cui la insufficienza dei versamenti maturati e non versati fa sorgere l'esigenza di assicurare la pensione ai lavoratori. Tale legge, difatti, prevede, nell'art. 13, che in caso di omesso pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro e di sopravvenuta prescrizione degli stessi, possa essere costituita dall'I.N.P.S. (Istituto nazionale per la previdenza sociale), su richiesta del datore di lavoro o del lavoratore, una rendita vitalizia pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell'assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi non versati, previo pagamento da parte dell'uno o dell'altro (e salvo il diritto del lavoratore al risarcimento del danno) di quote della riserva matematica dell'apposito Fondo di adeguamento costituito presso l'l.N.P.S. Tale sistema consente di ovviare, almeno in parte, alle gi limitate conseguenze della deroga al principio dell'automaticit 6. -Relativamente, infine, alla contestazione di cui al precedente paragrafo 2, lett. e), concernente l'art. 8 della direttiva, si osserva che nel sistema italiano sono poco conosciuti regimi di sicurezza sociale diversi da quello obbligatorio legale, che impongano l'erogazione di contributi da parte del datore di lavoro. Effettivamente sul piano contrattuale solo recentemente vengono determinandosi in modo estensivo forme integrativo-complementari del genere di quelle ipotizzate dall'art. 8 della direttiva tanto che in un disegno di legge di riordino del sistema previdenziale vengono fissati gli orientamenti generali ai quali debbono ispirarsi questi sistemi nonch le prescri zioni per salvaguardare in ogni caso i diritti maturati (omissis). OSCAR FIUMARA PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE per i dirigenti, art. 2134 per gli apprendisti e art. 2128 per i lavoratori a domicilio), nonch dalle leggi speciali e dalla giurisprudenza citata dalla Commissione, non contraddetta su questo punto dal Governo italiano, risulta che nel diritto italiano i lavoratori appartenenti a queste tre cate gorie sono considerati lavoratori subordinati. 18. -Va rilevato poi che la possibilit di escludere dall'ambito di applicazione della direttiva talune categorie di lavoratori a causa della specialit del loro contratto o rapporto di lavoro, o a causa dell'esistenza di ,altre forme di garanzia che forniscano loro una tutela equivalente, possibilit prevista in via eccezionale dall'art. l, n. 2, della direttiva, limitata da quest'ultima disposizione alle categorie espressamente men zionate nell'elenco allegato alla direttiva. Ora, per quel che riguarda l'Italia, detto elenco non prevede l'esclusione di alcuna categoria di lavoratori per uno dei motivi summenzionati. 19. -Ne risulta che i dirigenti, gli apprendisti e i lavoratori a domicilio, considerati prestatori di lavoro subordinato ai sensi del diritto italiano, rientrano nell'ambito di applicazione della clirettiva. 20. -In terzo luogo, si deve constatare che la garanzia di cui fruiscono i lavoratori dipendenti delle imprese cui si applica il sistema della Cassa integrazione guadagni non automatica ma la sua concessione di pende da una serie di condizioni che devono essere valutate caso per caso dal comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale. 21. -Infatti, sia dall'art. 2 della legge 12 agosto 1977, n. 675 (GURI n. 243 del 7. settembre) sia dalla delibera del comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale 12 giugno 1984 (GURI n. 18 del 22 gennaio 1985), richiamata dal Governo convenuto, risulta che l'intervento della Cassa integrazione guadagni in caso di insolvenza del datore di lavoro caratterizzato dalla sua straordinariet e dipende da un provvedimento adottato, in particolare, a seconda della rilevanza sociale dell'impresa in relazione alla situazione occupazionale locale ed alla situazione produttiva del settore economico interessato. 22. -Il Governo italiano sostiene a questo proposito che, dallo stesso tenore letterale dell'art. l, n. 2, della direttiva e dall'elenco alle gato il quale, per quanto riguarda l'Italia, include fra i lavoratori su bordinati che beneficiano di altre forme di garanzia, e che possono di conseguenza essere esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva, anche i lavoratori subordinati che beneficiano delle prestazioni previste dalla vigente legislazione in materia di garanzia del reddito in caso di crisi economica dell'impresa, risulta che tutte le categorie di lavoratori che frui'>cono del regime di garanzia della Cassa integrazione guadagni RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 94 sono escluse dall'ambito di applicazione della direttiva. Questa esclusione non riguarderebbe soltanto i singoli lavoratori che hanno concretamente fruito del sistema di garanzia di cui trattasi, bens tutti i lavoratori che in teoria possano fruirne. 23. -Questa tesi va respinta. Sia dalla finalit della direttiva, intesa a garantire una tutela minima a tutti i lavoratori, sia dall'eccezionalit dell'esclusione di cui all'art. l, n. 2, risulta che questa disposizione non pu essere interpretata estensivamente come ha fatto il Governo convenuto. Solo i lavoratori che, in caso di insolvenza del datore di lavoro, fruiscono effettivamente del sistema di tutela della Cassa integrazione guadagni devono pertanto essere considerati esclusi dall'ambito d'applicazione della direttiva. 24. -Da tutto ci si desume che la prima censura della Commissione. fondata. Sulla seconda censura relativa all'omessa attuazione dell'art. 7 della direttiva. 25. -Ai sensi dell'art. 7 della direttiva: Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che il mancato pagamento ai loro organismi assicurativi di contributi obbligatori dovuti dal datore di lavoro prima dell'insorgere dell'insolvenza a titolo dei regimi legali nazionali di sicurezza sociale non leda i diritti alle prestazioni dei lavoratori subordinati nei confronti di questi organismi assicurativi nella misura in cui i contributi salariali siano stati trattenuti sui salari versati. 26. -Il Governo italiano osserva che l'art. 2116 del codice civile italiano sancisce il principio del cosiddetto automatismo delle prestazioni che garantirebbe ai lavoratori il conseguimento delle prestazioni anche qualora l'imprenditore non abbia versato i contributi. 27. -Occorre rilevare in proposito, come la Commissione ha correttamente sottolineato, che il principio dell'automatismo delle prestazioni riconosciuto dal menzionato articolo del codice civile, fatte salve le disposizioni delle leggi speciali adottate in materia. Ora, ai sensi in parti colare dell'art. 23 ter della legge 11 agosto 1972, n. 485 (GURI n. 223 del 26 agosto), il requisito di contribuzione stabilito per il diritto alle prestazioni di vecchiaia, invalidit e superstiti, si intende verificato anche quando i contributi non siano effettivamente versati, ma risultino dovuti nei limiti della prescrizione decennale . Ne consegue che i diritti del prestatore di lavoro subordinato alle prestazioni di vecchiaia, invalidit e superstiti non sono garantiti in caso di prescrizione del debito del datore di lavoro insolvente nei confronti dell'istituto assicuratore. PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 28. -L'argomento secondo cui i lavoratori potrebbero evitare la prescrizione controllando, per mezzo degli estratti conto, che l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha l'obbligo di inviar loro ogni anno, il versamento effettivo dei contributi da parte del datore di lavoro non pu essere accolto. Infatti, ai sensi dell'art. 7 della direttiva, la garanzia del diritto a prestazioni del lavoratore dipende da una sola condizione, e cio che i contributi salariali siano stati trattenuti sulla retribuzione. 29. -Il Governo italiano sostiene inoltre che grazie all'art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (GURI n. 229 dell'll settembre) sarebbe possibile sopperire a quei casi concreti in cui il mancato pagamento dei contributi dovuti fa sorgere l'esigenza di garantire la pensione ai lavoratori. A norma di questa disposizione, in caso di omesso pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro e di sopravvenuta prescrizione degli stessi, pu essere costituita dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, su richiesta del datore di lavoro o del lavoratore, una rendita vitalizia pari alla pensione o quota di pensione adeguata all'assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi non pagati. 30. - opportuno rilevare che la legge subordina la costituzione della rendita al pagamento da parte del lavoratore o del datore di lavoro, di quote della riserva matematica dell'apposito fondo di adeguamento costituito presso l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Ne deriva che, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la costituzione della rendita vitalizia dipender dagli apporti dello stesso lavoratore. Di conseguenza, la disposizione di legge invocata dal Governo italiano non consente di sopperire alle imperfezioni del principio dell'automatismo delle prestazipni rispetto alle ~sigenze poste dall'art. 7 della direttiva. 31. -Il Governo italiano sostiene ancora che l'art. 6 della direttiva consentirebbe agli Stati membri di escludere dall'ambito d'applicazione della direttiva i diritti dei lavoratori alle prestazioni dovute in forza sia dei regimi previdenziali obbligatori sia di queHi integrativi. 32. -Questa interpretazione dell'art. 6, che consentirebbe agli Stati membri di limitare unilateralmente la portata degli obblighi derivanti dalla direttiva, non pu essere accolta. Dalla lettera dell'art. 6 risulta che tale disposizione si limita ad autorizzare gli Stati membri a non imporre ai fondi di garanzia di cui agli artt. 3 e 5 l'onere dei contributi non versati dal datore di lavoro insolvente dando loro la possibilit di scegliere a tal fine n altro sistema di garanzia dei diritti dei lavoratori alle prestazioni previdenziali. 33. -Da quanto precede risulta che la seconda censura della Commissione fondata. 96 RASSEGNA DEIJ..'AVVOCATURA DELLO STATO Sulla terza censura relativa all'omessa attuazione dell'art. 8 della direttiva. 34. -Rispetto all'addebito della Commissione relativo all'inesistenza nel diritto italiano di disposizioni idonee ad adempiere l'obbligo derivante dall'art. 8 della direttiva, che impone agli Stati membri di tutelare i diritti dei lavoratori a prestazioni di vecchiaia e di reversibilit dovute in forza dei regimi integrativi di previdenza professionali o interprofessionali diversi dai regimi previdenziali obbligatori, il Governo italiano osserva che detti regimi integrativi sono pressoch inesistenti in Italia. 35. -A questo proposito, sufficiente rilevare che questa circostanza non pu giustificare l'inadempimento dell'obbligo derivante dall'art. 8 della direttiva. 36. -Il Governo italiano rinvia inoltre alla sua interpretazione dell'art. 6 della direttiva, che gi stata respinta nel quadro dell'esame della seconda censura della Commissione. 37. -Ne risulta che anche la terza censura della Commissione va accolta. 38. -Tenuto conto di tutte le considerazioni fin qui svolte, si deve dichiarare che omettendo di adottare entro i termini prescritti i provvedimenti necessari a conformarsi alle disposizioni della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, n. 80/987, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato CEE. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sed. plen., 22 febbraio 1989, nella causa 54/87 -Pres. Due -Avv. Gen. Darmon Commissione delle C. E. (ag. Forman e De March) c. Repubblica italiana (avv. Stato Fiumara). Comunit europee -Risorse proprie -Interessi moratori -Accertamento dei dazi -Rettifica. (Regolamento CEE del Consiglio 19 dicembre 1977, n. 2891, art. 11; decisione del Consiglio 21 aprile 1970; d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 59). La Repubblica italiana venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CEE rifiutando di pagare interessi moratori, ai sensi dell'art. 11 reg. del Consiglio 19 dicembre 1977, n. 2891, recante applicazione della decisione 21 aprile 1970, relativa alla sostituzione dei PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALB 97 contributi finanziari degli Stati membri con risorse proprie della Comunit, dovuti a seguito di un'errata classificazione di taluni dazi doganali nel gennaio, febbraio e marzo 1980 (1). (omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 20 febbraio 1987, la Commissione delle Comunit Europee, in forza dell'art. 169 del Trattato CEE, ha proposto un ricorso che, dopo la rinuncia della Commissione a due altre conclusioni, diretto unicamente a far dichiarare che la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato CEE rifiutando di pagare interessi moratori, ai sensi dell'art. 11 del regolamento n. 2891/77, recante applicazione della decisione 21 aprile 1970 relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri con risorse proprie delle Comunit (G.U. n. 336, pag. 1), dovuti a seguito di un'errata classificazione di taluni dazi doga nali in gennaio, febbraio e marzo 1980. 2. -Risulta dal fascicolo che, nei primi tre mesi del 1980, l'ufficio doganale di Ravenna ha contabilizzato per errore taluni dazi doganali CEE che, ai sensi della decisione 21 aprile 1970 di cui il regolamento citato reca applicazione, costituiscono risorse proprie della Comunit, come dazi doganali CECA, ossia come risorse nazionali, L'errore stato (1) La difesa del Governo italiano aveva fatto leva sul disposto dell'art. 59 del t.u. leggi doganali 23 gennaio 1973, n. 43, secondo cui la data in cui l'ac certamente divenuto definitivo ,. quella che l'ufficio doganale appone al momento della . annotazione della dichiarazione doganale sul registro corrispon dente all'operazione compiuta, cio al momento della contabilizzazione dell'imposta (sull'armonizzazione della nozione d contabilizzazione si veda l'art. 1 lett. d della direttiva del Consiglio 25 giugno 1979, n. 79/623/CEE, sull'obbligazione doganale, nella quale invece non contenuta una nozione comune di accertamento ). Se v' un errore nella contabilizzazione -si era detto -non pu dirsi che il credito sia stato debitamente stabilito ai sensi dell'art. 2, primo comma, del reg. CEE 2891/77, per cui, in caso di rettifica della contabilizzazione, si in presenza di un nuovo accertamento , senza alcuna conseguenza per il ritardo, ai sensi del secondo comma dell'articolo stesso. La Corte, invece, ha ritenuto che l'errore di contabilizzazione di un ufficio dganale, in quanto puramente interno al servizio o all'organizzazione nazionale competente, non influenza il momento dell'accertamento quale risulta preso in considerazione dall'art. 2 del reg. 2891/77. Sulla contabilizzazione delle risorse proprie della Comunit, cfr. le precedenti sentenze della Corte 20 marzo 1986, nella causa 303/86, COMMISSIONE c. REP. FED. GERMANIA, in Racc. 1986, 1171 (citata in motivazione), relativa ad un caso in cui si discuteva del mancato accertamento di contributi alla produzione nei settore dello zucchero nel termine fissato da specifica norma comunitaria, e 18 dicembre 1986, nella causa 93/85, COMMISSIONE c. REGNO UNITO, in Racc. 1986, in un caso in cui si discuteva del potere della Commissione di richiedere una iscrizione a credito anticipata e sull'inottemperanza dello Stato membro a tale richiesta. 98 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Irettificato nella contabilit dell'ufficio doganale nel luglio 1980, in occa f:~ sione di un controllo effettuato dalle autorit italiane cui erano associati i servizi della Commissione, e gli importi corrispondenti a questi dazi doganali sono stati messi a disposizione della Commissione il 20 settembre 1980, mediante iscrizione a credito sul conto risorse proprie della Commissione presso il Tesoro italiano. I 3. -La Commissione ha invitato le autorit italiane a pagare, in forza dell'art. 11 del citato regolamento, interessi moratori sugli importi risultanti dalla rettifica, calcolati per il periodo compreso tra il momento in cui avrebbe dovuto aver luogo l'iscrizione a credito di tali importi sul conto della Commissione e quello in cui gli importi vi sono stati effetti vamente iscritti. 4. -Secondo il menzionato art. 11, ogni ritardo nelle iscrizioni sul conto risorse proprie della Commissione d luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di un interesse di cui tale disposizione determina il tasso. 5. -Le autorit italiane hanno rifiutato di ottemperare a tale richiesta, ritenendo che essa non fosse giuridicamente fondata. 6. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti, dello svolgimento del procedimento nonch dei mezzi ed argomenti delle parti, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. 7. -In via preliminare, vanno ricordati i principi della normativa emanata con il regolamento controverso, il cui fine, secondo il penultimo considerando, quello di permettere alle Comunit di disporre delle I =~ risorse proprie nelle migliori condizioni. 8. -I dazi che, ai sensi della decisione del Consiglio 21 aprile 1970, n. 70/243 (G. U. n. L 94, pag. 19), costituiscono risorse proprie della Comunit, in particolare i dazi della tariffa doganale comune, secondo l'art. 1 del citato regolamento n. 2891/77, sono accertati dagli Stati membri in conformit alle loro disposizioni legislative, regolamentari ed am I -~ ministrative e i relativi importi sono messi a disposizione della Com ' missione alle condizioni previste dal regolamento. 9. ,..... Ai sensi dell'art. 2, 1 comma, dello stesso regolamento, un diritto accertato non appena il credito corrispondente stato debitamente stabilito dal servizio o dall'organismo competente dello Stato membro. - PARm I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 10. -Secondo l'art. 7, n. 2, del regolamento, i diritti accertati devono essere riportati nella contabilit risorse proprie , tenuta da ogni Stato membro, entro il 20 del secondo mese successivo a quello nel corso del quale ha avuto luogo l'accertamentc:l'. In forza degli artt. 9, n. 1, e 10, n. l, gli Stati membri, entro lo stesso termine, devono iscrivere a credito l'importo delle risorse proprie accertate sul conto risorse proprie aperto a nome della Commissione presso il Tesoro dello Stato membro o l'organismo da esso designato a tal fine. 11. -Risulta dalle disposizioni citate che compito degli Stati membri mettere a disposizione della Commissione l'importo di un dazio costituente una risorsa propria entro il 20 del secondo mese successivo a quello nel corso del quale stato debitamente determinato il credito corrispondente al dazio stesso dal servizio o dall'organismo competente dello Stato membro. 12. -Va anche ricordato che, ai sensi della giurisprudenza costante della Corte (cfr., in particolare, la sentenza 20 marzo 1986, causa 303/84, Commissione c/ Repubblica federale di Germania, Racc. pag. 1171), gli interessi di mora di cui all'art. 11 del regolamento sono dovuti pl:'r ogni ritardo e sono esigibili qualunque sia la ragione per cui l'iscrizione sul conto della Commissione stata effettuata con ritardo. 13. -Il Governo della Repubblica italiana fa tuttavia valere che nella fattispecie l'iscrizione sul conto della Commissione non ha subito alcun ritardo. Secondo la normativa italiana, da applicarsi in forza dell'art. 1 del regolamento, l'accertamento di un dazio comporterebbe non soltanto l'accertamento tecnico e giuridico dell'importo di cui trattasi, ma anche la sua liquidazione e contabilizzazione. Ne conseguirebbe che l'errore contabile commesso dall'ufficio doganale di Ravenna rientra nell'accertamento dei dazi ai sensi dell'art. 2, 1 comma, del regolamento. 14. -A parere del Governo italiano, t~e errore pu essere rettificato ai sensi del 2 comma dello stesso articolo, secondo cui quando occorra rettificare un accertamento effettuato in conformit del 1 comma, il servizio o l'organismo competente dello Stato membro procede ad un nuovo accertamento. La rettifica della contabilit dell'ufficio doganale cui si proceduto nel luglio 1980 costituirebbe pertanto un nuovo accertamento che, ai sensi dell'art. 8 del regolamento, andrebbe riportato nella contabilit risorse proprie solo per il mese nel corso del quale stato effettuato. 15. -Questo argomento non pu essere accolto. ~ebbene, secondo l'art. 1 del regolamento, le risorse proprie siano accertate dagli Stati membri in conformit delle loro disposizioni legislative, regolamentari ed 100 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO amministrative, il 1 comma dell'art. 2 definisce il mo~nto di tale accertamento. Secondo quest'ultima disposizione, un diritto accertato non appena il credito corrispondente stato debitamente determinato. 16. -nella fattispecie, risulta che i crediti sono stati determinati e liquidati in modo regolare e le parti sono concordi nel sostenere che l'errore commesso dall'ufficio doganale non concerne la classificazione delle merci, ma soltanto la contabilizzazione dei dazi come risorse nazionali e non come risorse proprie delle Comunit. La rettifica di questo errore di contabilit puramente interna al servizio e all'organismo competente non influenza in alcun modo la determinazione del credito e non pu quindi costituire nuovo accertamento ai sensi dell'art. 2, 2 comma, del regolamento, da cui derivi una nuova decorrenza del termine fissato per la messa a disposizione della Commissione dell'importo del dazio accertato. 17. -Gli importi relativi ai dazi contestati, accertati nel gennaio, febbraio e marzo 1980 dall'ufficio doganale di Ravenna, sono stati quindi iscritti con ritardo sul conto risorse proprie della Commissione ed in conseguenza la Repubblica italiana deve versare alla Commissione gli interessi di cui all'art. 11 del regolamento n. 2891/77 su questi importi. 18. -Va pertanto dichiarato che, rifiutando di pagare gli interessi moratori, ai sensi dell'art. 11 del regolamento n. 2891/77, dovuti a seguito di un'errata classificazione di taluni dazi doganali nel gennaio, febbraio e marzo 1980, la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi impostile dal Trattato CEE. (omissis) CORT EDI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, Sed. plen. 25 aprile 1989, nella causa 141/87 -Pres. f.f. Joliet -Avv. Gen. Jacobs -Commissione delle C. E. (ag. Karpenstein e Marenco) c. Repubblica italiana (avv. Stato Braguglia). Comunit europee -Agricoltura -Disposizioni relative ai vini di qualit prodotti in regioni determinate -Denominazione -Delimitazione della zona Lago di Caldaro. (Regolamento CEE del Consiglio 5 febbraio 1989, n. 338; dd.PP.RR. 23 marzo 1970 e 22 settembre 1981). La Repubblica italiana non venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del trattato CEE con l'aver incluso o mantenuto nella zona di produzione del vino a denominazione di origine controllata Caldaro o Lago di Caldaro talune zone vinicole della provincia di Trento, non risultando provato n che il vino a denominazione Caldaro o . I PARm I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 101 Lago di Caldaro non sarebbe tradizionalmente prodotto nella regione di Trento, n l'asserito difetto di omogeneit della relativa zona di produzione come delimitata dai decreti del Presidente della Repubblica 23 marzo 1970 e 22 settembre 1981 (1). (omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 7 maggio 1987, la Commissione ha proposto un ricorso ex art. 169 del Trattato CEE volto a far dichiarare che la Repubblica italiana venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato, avendo incluso o mantenuto nella zona di produzione del vino a denomina zione d'origine controllata Caldaro o Lago di Caldaro talune zone viticole della provincia di Trento il cui vino non presenta i requisiti richiesti per detta denominazione in conformit del regolamento del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 338 (G. U. n. L 54, pag. 48), che stabilisce disposizioni particolaTi per i vini di qualit prodotti in regioni determinate (in prosieguo: v.q.p.r.d.). 2. -Secondo l'art. 1 del regolamento del Consiglio n. 388/79, la dicitura comunitaria v.q.p.r.d. riservata ai vini conformi alle disposi zioni di detto regolamento e a quelle adottate in applicazione del medesimo e definite dalle regolamentazioni nazionali. 3. -Ai sensi dell'art. 2, n. l, del medesimo regolamento, le disposizioni, di cui all'art. l, primo comma, applicabili ai v.q.p.r.d. tengono conto delle condizioni tradizionali di produzione semprech queste non pregiudichino la politica di qualit e la realizzazione del mercato unico (1) Poich la normativa comunitaria attribuisce agli Stati membri. il potere di delimitare le zone di produzione, imponendo ad essi dii tener conto, in tale attivit, di determinati criteri, l'Avvocatura aveva sostenuto, in via prin cipale, che il controllo della Commissione ed il sindacato della Corte fossero limitati ad accertare se, nell'eserci2lio del potere di del!Lmitazione, lo Stato membro avesse o meno tenuto conto di quei criteri; senza potersi spingere sino al punto di verificare le circostanze di fatto o addirittura la congruit di valutazioni tecniche effettuate dalle autorit nazionali. La Corte ha respinto tali argomenti, affermando che, se limitate all'aspetto estrinseco, iJ. controllo deHa Commissione ed il suo stesso smdacato " sareb bero meramente formali (par. 14). Da un lato non si pu non apprezzare il pragmatismo al quale la Corte ancora una volta si ispira. .Dall'altro non si pu tuttavia non rilevare che, in subiecta materia, la Corte di giustizia finisce per essere il solo giudice competente a sindacare fatti e valutazioni tecniche; sindacato che di certo non compete al giudice amministrativo davanti al quale fosse impugnato (come avvenuto nella specie) l'atto di delimitazione della zono di produzione. In fatto, poi, la Corte ha respinto il ricorso della Commissione, sottolineando ancora una volta che l'onere della prova nei procedimenti ex art. 169 trattato CEE grava sulla Commissione medesima (par. 15). I.M.B. 9 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e siano fondate sugli elementi seguenti: delimitazione della zona di produzione, tipo di vitigno, pratiche colturali, metodi di vinificazione, titolo alcolometrico volumico minimo naturale, rendimento per ettaro, analisi e valutazione delle caratteristiche organolettiche. Il medesimo articolo dispone al n. 2 che agli Stati membri spetta definire questi diversi elementi e stabilire, eventualmente, condizioni di produzione e caratteristiche complementari, tenuto conto degli usi leali e costanti . 4. -Secondo l'art. 3, n. l, del tregolamento, per regione determinata si intende un'area o un complesso di aree viticole che producono vini che possiedono caratteristiche qualitative particolari e il cui nome serve a designare i vini rientranti nella definizione dei v.q.p.r.d., di cui all'art. 1. 5. -Infine, ai sensi dell'art. 3, n. 2, ciascuna regione determinata forma oggetto di una delimitazione precisa, per quanto possibile in base alla parcella o all'appezzamento vitato. Tale delimitazione, che effettuata da ciascuno degli Stati membri interessati, tiene conto degli elementi che contribuiscono alla qualit dei vini prodotti in detta regione e in particolare della natura del terreno e del sottosuolo, del clima e della situazione delle parcelle e degli appezzamenti vitati. 6. -Con decreti del Presidente della Repubblica italiana 23 marzo 1970 (GURI n. 115 del 9 maggio 1970, pag. 2872) e 22 settembre 1981 (GURI n. 92 del 3 aprile 1982, pag. 2607), sono stati inclusi nella zona di produzione del vino a denominazione Caldaro o ' Lago di Caldaro territori ubicati in dodici comuni della provincia di Bolzano e in otto comuni della provincia di Trento. 7. -Con lettera 18 novembre 1983, la Commissione ha comunicato alla Repubblica italiana di ritenere che la delimitazione cos operata non era conforme alle disposizioni del regolamento n. 338/79 e l'ha invitata a presentare osservazioni in merito. Poich la Repubblica italiana ha ribadito la legittimit di detta delimitazione con riguardo sia alla normativa nazionale sia a quella comunitaria, il 17 luglio 1985 la Commissione ha emesso il parere motivato previsto dall'art. 169 del ';l'rattato CEE. Avendo, la Repubblica italiana, rifiutato di conformarvisi, la Commissione ha proposto alla Corte il presente ricorso per inadempimento. 8. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti, dello svolgimento del procedimento nonch dei mezzi e argomenti delle parti, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 9. -A sostegno del ricorso per inadempimento, la Commissione formula due addebiti. Il primo, relativo all'inosservanza delle condizioni tradizionali di produzione, fondato sul fatto che taluni dei territori, inclusi nella zona di produzione del Caldaro o Lago di Caldaro dai decreti del Presidente della Repubblica italiana, non producono vini cos denominati. Col secondo addebito, la Commissione contesta alla normativa italiana di non aver tenuto conto dell'indispensabile omogeneit degli elementi naturali che caratterizzano i territori atti a produrre un vino con una data denominazione e, segnatamente, di elementi come quelli elencati nell'art. 3, n. 2, del regolamento. 10. -Nel controricorso la Repubblica italiana sostiene in via princiipale che la Commissione, e di conseguenza la Corte, possono soltanto verificare se, nella delimitazione di una zona di produzione, lo Stato interessato abbia tenuto conto dei criteri dei regolamenti comunitari e non abbia invece adottato criteri diversi. Per contro, non spetterebbe n alla Commissione n alla Corte di sindacare gli elementi di fatto o la loro valutazione tecnica effettuata dall'autorit italiana per applicare la procedura di delimitazione. Quest'ultima, secondo la regolamentazione comunitaria, costituirebbe una prerogativa nazionale. Poich non si contesta che i criteri seguiti dall'autorit italiana per delimitare la zona di produzione del Caldaro o Lago di Caldaro siano i criteri della regolamentazione comunitaria, il ricorso della Cominissione andrebbe senz'altro respinto. 11. -L'argomento della Repubblica italiana non pu essere accolto. 12. -Se vero che spetta all'autorit nazionale procedere alla delimitazione precisa della zona di produzione viticola, per quanto possibile in base alla parcella o all'appezzamento vitato, come prescrive l'art. 3, n. 2, del regolamento n. 338/79, e che nell'esercizio di detto potere l'autorit nazionale dispone necessariamente di un certo margine di discrezionalit, tuttavia i criteri da considerare a tale scopo sono essenzialmente, e in ogni caso per quel che riguarda i criteri di cui causa, quelli stabiliti dal diritto comunitario. 13. -Detti criteri sono l'espressione di discipline comuni dettate dai regolamenti del Consiglio sui v.q.p.r.d. al fine di sviluppare una politica di qualit nel settore vinicolo nonch di tutelare i produttori contro la concorrenza sleale e i consumatori contro le confusioni e le frodi. Tali scopi non potrebbero essere raggiunti, qualora l'attuazione dei criteri enunciati dal regolamento comunitario per caratterizzare la zona di produzione di un vino di qualit prodotto con una determinata denominazione rientrasse nel potere ruscrezionale dell'autorit nazionale e ammettesse la considerazione di fatti, o valutazioni e qualificazioni di RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO questi con riguardo al diritto comunitario, che potrebbero divergere da uno Stato membro all'altro senza che dette differenze siano giustificate dalla diversit, peraltro assai notevole, delle caratteristiche delle zone viticole comunitarie. 14. -Sarebbe questo il caso se, come sostiene il Governo italiano, la Commissione e la Corte dovessero esercitare le competenze loro attribuite dal Trattato limitandosi a verificare che lo Stato membro interessato abbia tenuto conto, nella delimitazione di una zona di produzione, dei criteri del diritto comunitario, senza controllare fa pertinenza e l'esattezza dei fatti considerati o la loro valutazione e qualificazione da parte dell'autorit nazionale competente a delimitare la zona di produzione. Senza detta verifica, il potere di controllo della Commissione ed il sindacato della Corte sarebbero meramente formali, svuotati di reale significato e inidonei !Sia a concorrere allo sforzo comune di armonizzazione per quel che riguarda le esigenze di qualit , scopo del regolamento n. 3381/79 a stregua del terzo considerando del suo preambolo, sia a garantire l'uniforme applicazione negli Stati membri dei regolamenti comunitari relativi ai v.q.p.r.d. 15. -Occorre tuttavia ricordare che in un procedimento per inadempimento ex art. 169 del Trattato, come quello che qui ci occupa, grava sulla Commissione, come la Corte ha pi volte affermato (da ultimo, in sentenza 22 settembre 1988, Commissione c/ Repubblica ellenica, causa 272/86, non ancora pubblicata), l'onere di provare il preteso inadempimento. 16. -Per tutte queste considerazioni di diritto, compete alla Corte di valutare se la Commissione riuscita a provare che, come essa sostiene, taluni territori, inclusi nella zona di produzione del Caldaro o Lago di Caldaro dai decreti del Presidente della Repubblica italiana, non producono vini cos denominati e che la zona delimitata non presenta tutti i requisiti idonei a caratterizzarne l'unitariet secondo i criteri della regolamentazione comunitaria. 17. -Al riguardo si deve rilevare che quando la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che uno Stato venuto meno agli obblighi che gli incombono in forza del Trattato, essa stessa tenuta a fornire la prova del preteso inadempimento. La richiesta di perizia a questo scopo presentata dalla Commissione, va dunque respinta. Sull'uso tradizionale della denominazione. 18. -Nel caso di vini con denominazione, le condizioni tradizionali di produzione , di cui all'art. 2, n. 1, del regolamento n. 338/79, PARm I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE comprendono non soltanto la tradizione del luogo di produzione con i caratteri di durata nel tempo e di costanza da cui trae origine la notoriet, ma altres le tecniche colturali e i processi di fabbricazione. 19. -Se vero che il decreto di delimitazione 23 ottobre 1931 (GURI n. 290 del 17 dicembre 1931) includeva fra i vini aventi diritto alla denominazione Caldaro solo quelli ottenuti da vigneti ubicati nei comuni di Appiano e di Caldaro e, fra quelli aventi diritto alla denominazione Lago di Caldaro , sol9 quelli provenienti da alcune zone del comune di Caldaro dominanti il lago omonimo, tuttavia niente impediva al Governo italiano di estendere la zona considerata, come d'altronde l'autorizzava espressamente l'art. l, 2 comma, del decreto 12 luglio 1963, poich esisteva un uso consolidato di produrre e mettere in commercio, sotto la denominazione Caldaro o Lago di Caldaro , vini provenienti da territori di nuova inclusione nella zona di produzione. 20. -Quanto all'esistenza di detto uso, vero quanto osservato dalla Commissione, e cio che nelle varie pubblicazioni relative alle denominazioni d'origine la denominazione Caldaro riferita ai vini della regione di Trento compare solo a met degli anni '60 e che il sottocomitato regionale per lo studio della denominazione Caldaro aveva espresso dubbi sulla tradizione di produzione di un vino con questa denominazione nella provincia di Trento. 21. -Tuttavia, devesi rilevare che la citata relazione del sottocomitato regionale per lo studio della denominazione Caldaro afferma che il produrre con gli stessi vitigni e con la stessa tradizionale vinificazione e con gli stessi caratteri chimici ed organolettici del vino analogo al "Caldaro " e poi venduto con questo nome, non mai cessato in alcuni luoghi della provincia di Trento . Inoltre, la Repubblica italiana produce diversi documenti sulla vendita e l'esportazione di vini a denominazione Caldaro o Lago di Caldaro provenienti dalla provincia di Trento, taluni dei quali datano dall'inizio degli anni 'SO. 22. -La Commissione sostiene peraltro che si tratterebbe di pratiche abusive e che sussistono dubbi sull'origine del vino in questione, ma non apporta alcuna precisazione che consenta di valutare la fondatezza delle sue asserzioni. 23. -Del resto occorre osservare che le condizioni tradizionali di produzione, menzionate dall'art. 2 del regolamento n. 338/79, pur includendo la tradizione di un luogo di produzione, non ostano ad una modifica, e in particolare ad un'estensione della zona tradizionale di produzione, quando le superfici di nuova inclusione presentino le medesime caratteristiche dell'area tradizionale, siano idonee a produrre lo . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stesso vino e vi siano rispettate le tradizionali modalit di elaborazione, soprattutto per quel che riguarda il tipo di vitigno, le pratiche colturali e la vinificazione. , 24. -Sotto quest'ultimo profilo, la Commissione non sostiente neppure che le condizioni tradizionali di produzione del Caldaro o del Lago di Caldaro non sarebbero rispettate nella provincia di .Trento. Sull'omogeneit della zona di produzione. 25. -La Commissione fa valere che la zona di produzione delimitata nel 1970 e nel 1981 non omogenea, con riferimento sia alla natura del suolo e del sottosuolo sia al clima e alla situazione delle parcelle, il che comporterebbe la diversit di qualit organolettiche dei vini provenienti dalla regione del Caldaro rispetto ai vini provenienti dalla regione di Trento. 26. -Sotto questo profilo, va osservato "in limine" che la zona di produzione, come delimitata dai decreti 1970 e 1981, st estende per una cinquantina di chilometri in zona montagnosa, in direzione nord-sud al di l e al di qua dell'Adige, approssimativamente fra notzano a nord e Trento a sud. 27. -La zona cos definita include diversi complessi secondari: quelli di Nalles e Andriano, i pi a nord, al centro quelli di Caldaro, Bronzolo ed Ora e, a sud, le zone la cui classificazione contestata dalla Commissione, e cio nella regione di Rovere della Luna e Mezzocorona, sulla riva destra dell'Adige, e nella regione di San Michele al1' Adige, Lavis e Cembra, sulla riva sinistra dello stesso fiume. 28. -La Commissione sostiene che dal punto di vista geologico i terreni sarebbero di natura calcareo-morenica nella zona del Caldaro, mentre in certe parti della zona di Trento sarebbero di natura porfirica. 29. -Dalla documentazione acquisita agli atti risulta tuttavia che la zona di produzione delimitata dai decreti 1970 e 1981 comprende, tal'lto nella regione di Bolzano quanto in quella di Trento, terreni di origine dolomitica con una componente calcareo-morenica, nonch terreni quarziferi. Dunque la Commissione non dimostra in qual modo l'inserimento dell iregione contestarta romperebbe l'unit della zona di produzione dal punto di vista geologico. 30. -La Commissione sostiene altres che vi sarebbero apprezzabili differenze climatiche fra la regione di Caldaro e quella di Trento e che la maggior parte dei vigneti di quest'ultima regione sarebbero ubicati ad altitudine pi elevata. PARm I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 31. -Va innanzitutto osservato che i raffronti relativi all'eliofania ed alle precipitazioni operati dalla Commissione non sono pienamente probanti, poich si basano su dati provenienti dalla stazione meteorologica di Bolzano, situata fuori della zona di produzione, in localit di cui non sono contestate le eccezionali condizioni climatiche. In secondo luogo, la Commissione non dimostra che le differenze relative all'eliofania e alle precipitazioni, per quanto possano essere sensibili fra le diverse parti della zona di produzione, abbiano un'influenza significativa sui caratteri del vino prodotto nelle regioni interessate. per questo che nella gi menzionata relazione il sottocomitato regionale per lo studio della denominazione Caldaro ritiene inconfutabile la produzione e la vendita nella provincia di Trento di un vino praticamente identico al Caldaro . Per giunta la Commissione non ha prodotto alcuna documentazione specifica sulla zona della Val di Cembra, la cui in clusione nella zona di produzione essa peraltro maggiormente contesta. 32. - vero che dalle carte acquisite agli atti risulta che la zona di produzione del Lago di Caldaro si trova ad un'altitudine compresa fra 212 e 556 metri mentre quella della regione di Trento ubicata fra i 339 e 654 metri, ma la Commissione non fornisce, sulla situazione delle parcelle, precisazioni che consentano di valutare esattamente l'entit delle differenze altimetriche e di verificare se queste esercitino una reale influenza sulle caratteristiche del vino prodotto. 33. -Quanto, infine, alle caratteristiche chimiche ed organolettiche dei vini in causa, la Commissione sostiene che quelli provenienti dalla regione tridentina sono aciduli, mentre quelli della regione del Caldaro sono poco acidi . 34. -Se vero che secondo la motivazione del regolamento n. 338/79, come pure del regolamento del Consiglio 16 marzo 1987, n. 822 (G. U. n. L 84, pag. 1), L'acidit un elemento di valutazione della qualit nonch un fattore di conservazione del vino, la Commissione non forD. isce per alcun elemento da cui possa dedursi in qual modo differenze di acidit, e dunque del contenuto di fosfati, comporterebbero sostanziali differenze fra i vini in causa, mentre non si prendono in considerazione altri elementi analoghi, come ad esempio il contenuto di zucchero. 35. -Perci, talune delle differenze invocate dalla Commissione fra le aree della zona di produzione non sono state accertate, mentre non stato provato che le conseguenze di altre siano significative. Ci considerato, la mancanza di omogeneit della zona di produzione non si pu ritenere dimostrata. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 108 36. -Risulta da quanto precede che la Commissione non assolve il suo onere di prova n in relazione all'addebito secondo il quale il vino a denominazione Caldaro o Lago di Caldaro non sarebbe tradizionalmente prodotto nella regione di Trento, n in relazione all'asserito difetto di omogeneit della relativa zona di produzione, come delimitata dai decreti del Presidente della Repubblica italiana 23 marzo 1970 e 22 settembre 1981. Il suo ricorso deve dunque essere respinto (omissis). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sed. plen., 30 maggio 1989, nella causa 340/87 Pres. Due -Avv. Gen. Van Gerven -Commissione delle C. E. (ag. Berardis) c. Repubblica italiana (avv. Stato Braguglia). Comunit europee Unione doganale Tasse di effetto equivalente a un dazio doganale Costo dei controlli e delle formalit amministrative in particolari fasce orarie negli uffici doganali Commercio intracomunitario e con i paesi terzi. (Trattato CEE, artt. 9 e 12; direttiva del Consiglio 1 dicembre 1983, n. 83/643/CEE, art..5; reg. CEE del Consiglio 14 feb.braio 1977, n. 425; reg. CEE del Consiglio 25 giugno 1973, n. 1691; d.P.R. 23 gelll1lUo 1973, artt. 11 e 15). La Repubblica italiana, addebitando agli oper:atori economici, nell'ambito del commercio intracomunitario, il costo dei controlli e delle formalit amministrative espletati durante una parte dell'orario ordinario di apertura degli uffici doganali dei posti di frontiera fissato dall'art. 5, n. l, lett. a), 2 trattino, della direttiva del Consiglio 1 dicembre 1983, n. 83/643, relativa all'agevolazione dei controlli fisici e delle formalit amministrative nei trasporti di merci fra Stati membri, come modificata dalla direttiva n. 87/53, venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 9 e 12 del Trattato CEE. Viceversa l'analogo addebito nell'ambito degli scambi con i paesi terzi non costituisce violazione delle disposizioni che vietano la riscossione di tasse di effetto equivalente a dazi doganali negli scambi con i paesi terzi contenute nei regolamenti CEE relativi alle organizzazioni comuni dei mercati agricoli e negli accordi preferenziali stipulati dalla Comunit con taluni paesi terzi (1). (1) Il dibattito tra le parti verteva soprattutto sull'ambito di applicazione della direttiva n. 83/643 CEE. Se essa riguardasse soltanto i controlli e le formalit negli uffici doganali di confine, ovvero anche le effettive operazioni doganali. Non sembra che la Corte abbia affrontato ex professo tale problema (che perci stato riproposto in altra causa attualmente pendente), avendo essa I (. I ~ 1 ! ! PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 109 (omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 2 novembre 1987, la Commissione delle Comunit Europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana, addebitando agli operatori il costo dei controlli e delle formalit amministrative espletati durante una parte dell'orario ordinario di apertura degli uffici nei posti di fron tiera, venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 9 e 12 del Trattato CEE, delle disposizioni che vietano la riscos sione di tasse di effetto equivalente a dazi doganali negli scambi con i paesi terzi contenute nei regolamenti CEE relativi alle organizzazioni comuni dei mercati agricoli e negli accordi prefereriziali stipulati dalla Comunit con taluni paesi terzi, nonch dell'art. 5 della direttiva del Consiglio 1 dicembre 1983, n. 83/643/CEE, relativa all'agevolazione dei controlli fisici e delle formalit amministrative nei trasporti di merci tra Stati membri (G. U. n. L 359, pag. 8), come modificata dalla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1986, n. 87/53/CEE (G. U. 1987, n. L 24, pag. 33). 2. -L'art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica italiana 23 gennaio 1973, n. 43, recante testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, come modificato dall'art. 1, punto 2, del decreto 8 maggio 1985, n. 254, dispone che, quando il volume del traffico lo giustifichi, l'orario degli uffici e delle sezioni delle dogane di confine, di mare e aeroportuali dev'essere stabilito in modo da consentire che i controlli e le formalit relativi alla circolazione dei mezzi di trasporto e delle merci che non circolano in regime doganale di transito possano essere espletati da luned al venerd per almeno dieci ore senza interruzione, salvo se questi giorni sono festivi. Ai sensi della stessa disposi zione, per le operazioni doganali effettuate nel periodo di apertura degli uffici oltre il limite dell'orario ordinario di lavoro degli impiegati civili dello Stato -ohe nella Repubblica italiana 'di sei ore al giorno dal luned al sabato -viene addebitato il costo del servizio. L'art. 15 del detto decreto n. 254 dispone, pi in generale, che i controlli e le forma lit contemplati dallo stesso decreto, effettuati nel periodo di apertura degli uffici ohe eocede il limite dell'orario ordinario di lavoro degli im piegati civili dello Stato, sono espletati con addebito del costo del servizio. ritenuto di porre in primo piano non l'addebitato inadempimento della diret tiva, bens la violazione del divieto di tasse d'effetto equivalente a dazi doga nali negli scambi intracomunitari. Conseguente a tale impostazione il rigetto del ricorso nella parte relativa agli scambi con i paesi terzi. l.M.B. 110 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 3. -La Commissione ha considerato che le citate disposizioni della Repubblica italiana, in quanto prescrivono l'addebito agli operatori economici che si presentino agli uffici doganali dei posti di frontiera du rante l'orario ordinario d'apertura degli stessi -fissato dalla direttiva n. 83/643, come modificata dalla direttiva n. 87/53 -del costo dei ser vizi prestati dal personale delle dogane dal luned al venerdi durante le quattro ore che eccedono l'orario ordinario di lavoro degli impiegati civili della Repubblica italiana, non solo sono incompatibili con l'art. 5, nn. 1 e 4, della direttiva n. 83/643 -come modificata dalla direttiva n. 87/53 -ma inoltre istituiscono una tassa d'effetto equivalente a un dazio doganale vietata, per quanto riguarda il commercio intracomunitario, dagli artt. 9 e 12 del Trattato. Per di pi, la criticata normativa italiana infrangerebbe, nel settore degli scambi con i paesi terzi, le disposizioni che vietano la riscossione di tasse d'effetto equivalente a dazi doganali figuranti nei regolamenti CEE istitutivi di organizzazioni comuni dei mercati di prodotti agricoli e negli accordi preferenziali stipulati dalla Comunit con taluni paesi terzi. 4. -Di conseguenza, il 28 aprile 1986 la Commissione ha i.Ilviato al Governo della Repubblica italiana una lettera di diffida, dando cosi inizio al procedimento previsto dall'art. 169 del Trattato. 5. -Poich la detta lettera non ha avuto risposta, la Commissione ha indirizzato al Governo della Repubblica italiana, il 31 ottobre 1986, il parere motivato previsto dall'art. 169, 1 comma, del Trattato. 6. -Il 21 maggio 1987 la Repubblica italiana ha fatto sapere alla Commissione che erano in corso riunioni interministeriali per procedere all'esame approfondito del problema e che i risultati di tale esame sarebbero stati comunicati immediatamente alla Commissione. 7. -Non avendo ricevuto comunicazioni in proposito, la Commissione ha proposto il presente ricorso. 8. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti, dello svolgimento del procedimento e dei me~zi e degli argomenti delle parti si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. 9. -Per quanto riguarda il commercio intracomunitario, si deve accertare in primo luogo se l'onere di cui trattasi costituisce una tassa d'effetto equivalente a un dazio doganale, vietata ai sensi degli artt. 9 e 12 del Trattato, in combinato disposto con l'art. 5 della direttiva n. 83/643, come modificata dalla direttiva n. 87/53. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 10. -A questo proposito si deve ricordare in primo luogo che l'art. 9 del Trattato sancisce il divieto, tra gli Stati membri, dei d.i doganali veri e propri e di qualsiasi tassa d'effetto equivalente. 11. -Si deve rammentare in secondo luogo che, come la Corte ha pi volte rilevato (si veda da ultimo la sentenza 27 settembre 1988, causa 18/87, Commissione c/ Repubblica federale di Germania, non ancora pubblicata), la giustificazione del divieto delle tasse d'effetto equi valente a dazi doganali risiede nell'ostacolo che oneri pecuniari, sia pure minimi, riscossi in ragione del passaggio delle frontiere costituiscono per la circolazione delle merci, poich aumentano artificiosamente , il prezzo delle merci importate o esportate rispetto a quello delle merci nazionali. Di conseguenza, qualsiasi onere pecuniario imposto unilateralmente, a prescindere dalla sua denominazione e dalla sua struttura, il . quale colpisca le merci in ragione del fatto che esse varcano la frontiera, costituisce una tassa d'effetto equivalente a un dazio doganale ai sensi degli artt. 9, 12, 13 e 16 del Trattato. 12. -Nella fattispecie pacifico che il tributo contemplato dalla normativa della Repubblica italiana colpisce le merci in ragione del passaggio della frontiera e si aggiunge alle spese di trasporto, incidendo cos sul prezzo delle merci trasportate. 13. -D'altro canto, non stato sostenuto che le formalit e le operazioni effettuate in ragione del passaggio della frontiera e che danno luogo alla riscossione del tributo siano prescritte dal diritto comunitario. Si deve pertanto ammetter che nella fattispecie trattasi di formalit e di operazioni effettuate ai sensi della sola normativa nazionale. 14. -Secondo il Governo della Repubblica italiana, il tributo prescritto dalla sua normativa per giustificato perch, essendo percetto in occasione di formalit e di operazioni effettuate oltre l'orario ordinario di lavoro degli impiegati degli uffici doganali dei posti di frontiera, costituisce il corrispettivo di un servizio prestato nell'interesse del trasportatore ed proporzionato al valore del detto servizio. 15. -Secondo la costante giurisprudenza della Corte, un onere pecuniario che colpisca le merci in ragione del fatto che esse varcano la frontiera non pu essere qualificato tassa d'effetto equivalente qualora costituisca il corrispettivo di un servizio determinato, reso effettivamente e individualmente all'operatore economico, d'importo l'roporzionato al detto servizio (si veda la sentenza 26 febbraio 1975, causa 63/74, Cadsky, Racc. pag. 281). In altri termini, deve trattarsi di un vantaggio, specifico o individuale, procurato all'operatore economico. 112 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLLO STATO 16. -Si deve tuttavia rilevare che tale servizio specifico non prestato al trasportatore che si presenti ad un ufficio doganale durante l'orario ordinario di apertura dello stesso, che, per quanto riguarda i posti di frontiera, fissato dall'art. 5, n. 1, lett. a), 2 trattino, della direttiva n. 83/643 -come modificata dalla direttiva n. 87/53 -in almeno dieci ore ininterrotte dal luned al venerd e in almeno sei ore ininterrotte il sabato, a meno che non si tratti di giorni festivi. 17. -Dalle considerazioni che precedono risulta che la Repubblica italiana, addebitando agli operatori economici, nell'ambito del commercio intracomunitario, il costo dei controlli e delle formalit amministrative espletati durante una parte dell'orario ordinario d'apertura degli uffici doganali dei posti di frontiera fissato dall'art. 5, n. 1, lett. a), 2 trattino, della direttiva n. 83/643 -come modificata dalla direttiva n. 87/53 - venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 9 e 12 del Trattato CEE. 18. -Per quanto riguarda le operazioni doganali da effettuare nell'ambito degli scambi con i paesi terzi, la Commissione considera nella lettera di diffida inviata al Governo della Repubblica italiana che l'imposizione ai contribuenti che operano nelle condizioni di cui all'articolo 5, paragrafo 1, 2 trattino, della direttiva 83/643/CEE, di speciali indennit a titolo di remunerazione dei servizi resi dal personale doganale, dal luned al venerd, durante quattro ore comprese nell'orario giornaliero ordinario di apertura degli uffici doganali, costituisce una tassa d'effetto equivalente ad un da.Zio doganale vietata dai regolamenti (CEE) relativi alle organizzazioni comuni dei mercati nell'ambito della politica agricola comune, nonch dagli accordi preferenziali conclusi dalla Comunit con taluni paesi terzi . 19. -Nel parere motivato la censura della Commissione formulata in termini identici. 20. -Nell'atto introduttivo la Commissione si esprime in termini analoghi, aggiungendo per che, in particolare, il tributo riscosso ai sensi della normativa italiana in contrasto con l'art. 20, n. 2, del regolamento del Consiglio 14 febbraio 1977, n. 425, che modifica il regolamento n. 805/68, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore delle carni bovine, e che adatta il regolamento n. 827/68 nonch il regolamento n. 950/68, relativo alla Tariffa Doganale Comune (G. U. n. L 61, pag. 1), e con l'art. 6 dell'accordo allegato al regolamento del Consiglio 25 giugno 1973, n. 1691, che reca conclusione di un aocovdo tra la Comunit Economica Europea e il Regno di Norvegia e ne stabilisce le disposizioni d'applicazione (G. U. n. L 171, pag. 1). PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 21. -Tuttavia, la Commissione non ha avanzato alcun argomento tale da indurre ad ammettere che un tributo riscosso nelle condizioni sopra descritte vada considerato tassa d'effetto equivalente a un dazio doganale vietata dal diritto comunitario. Poich nella fattispecie si tratta di formalit e di operazioni che possono considerarsi effettuate per adempiere obblighi imposti dal diritto comunitario, segnatamente per l'applicazione della Tariffa Doganale Comune, la Commissione avrebbe dovuto dimostrare sotto quale profilo e in base a quali presupposti l'imporre tale tributo sia incompatibile con obblighi imposti dal Trattato o dal diritto derivato. 22. -Anche se si pu considerare che in linea di massima gli Stati membri non hanno la facolt di aggiungere tributi nazionali a queHi dovuti in base alla normativa comunitaria, perch altrimenti questa perderebbe la sua necessaria uniformit (si veda la sentenza 28 giugno 1978, causa 70/77, Simmenthal, Racc. pag. 1453), sta di fatto che la Commissione non ha corroborato la sua censura col sia pur minimo argomento che consenta di valutare se e in base a quali presupposti l'asserito inadempimento debba considerarsi assodato, segnatamente con riguardo all'argomento svolto dal Governo della Repubblica italiana secondo cui il tributo controverso costituisce il corrispettivo di un servizio effettivamente prestato all'importatore. 23. -In tal modo la Commissione non ha messo la Corte in grado di identificare con la necessaria precisione l'inadempimento addebitato alla Repubblica italian. 24. -Di conseguenza, la domanda della Commissione dev'essere respinta nella parte in cui riguarda i tributi esatti nell'ambito degli scambi con i paesi terzi (omissis). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE -5a sez., 30 maggio 1989, nella causa 33/88 -Pres. Joliet -Avv. Gen. Lenz -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Pretura di Venezia nella causa Allu e Coonan (avv. Capelli) c. Universit degli studi di Venezia Interv.: Governo italiano (avv. Stato Ferri) e Commissione delle C. E. (ag. Traversa). Comunit europee -Libera circolazione dei lavoratori -Impiego nella pubblica amministrazione -Lettori di lingua straniera nelle universit. (Trattato CEE, art. 48). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 114 Comuni,t europee -Libera circolazione dei lavoratori -Lettori di lin gua straniera nelle universit -Durata del rapporto di lavoro. (Trattato CEE, art. 48; d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28). Comunit europee -Libera circolazione dei lavoratori -Lettori di lingua straniera nelle universit Regime previdenziale. (Regolamento CEE del Consiglio n. 1408/71, art. 3). Il posto di lettore di lingua straniera nelle universit non un impiego nella pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 48, n. 4, del Trattato CEE (1). L'art. 48, n. 2, del Trattato CEE osta all'applicazione di una norma nazionale che limiti la durata del rapporto di lavoro fra le universit e i lettori di lingua straniera, mentre tale limitazione non esiste, in via di principio, per quanto riguarda gli altri lavoratori (2). L'art. 3 del regolamento n. 1408/71, relativo all'applicazione dei regimi di previdenza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunit, osta alle clausole di un contratto di assunzione di lettori di lingua straniera da parte di una universit di uno Stato membro in base alle quali gli interessati siano privi della copertura previdenziale di cui fruiscono gli altri lavoratori (3). (omissis) 1. -Con ordinanza 21 dicembre 1987, pervenuta in cancelleria il 29 gennaio 1988, la Pretura Unificata di Venezia, Sezione Lavoro, ha sottoposto a questa Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, tre questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 48, nn. 2 e 4, e 51 del Trattato CEE, nonch dell'art. 3 del regolamento n. 1408/71, relativo all'applicazione dei regimi di previdenza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunit, come modificato (G. U. 1983, n. L 230, pag. 8). 2. -Dette questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia fra le sigg.re Pilar Allu, cittadina spagnola, e Carmel Mary Coonan, cittadina britannica, e l'Universit degli studi di Venezia presso la quale esse hanno lavorato come lettrici di Hngua straniera dal 1980 al 1986. All'inizio dell'anno accademico 1986-1987 l'Universit ha comunicato alle sigg.re Allu e Coonan di non poter rinnovare il contratto di lavoro, tenuto conto dell'art. 28 del Decreto del Presidente della Repub( 1-3) Le sentenze della Corte, citate in motivazione, 16 giugno 1987, nella causa 225/87, COMMISSIONE c. R.EP. ITALIANA, e 16 gennaio 1986, nella causa 41/84, PINNA, sono pubblicate, con note, in questa Rassegna, rispettivamente 1987, I, 301 e 1986, I, 425. PARTE I, SBZ. II, GIURIS. C.OMUNITARIA E INTERNAZIONALE 115 blica 11 luglio 1980, n. 382 {in prosieguo: DPR). Ai sensi del terzo comma di questo articolo i contratti di cui al precedente primo comma (rela-, tivi all'assunzione di lettori di lingua_ straniera) non possono protrarsi oltre l'anno accademico per il quale sono stipulati e sono rinnovabili annualmente per non pi di cinque anni . 3. -Le interessate hanno pertanto proposto un ricorso diretto, in sostanza, a che il giudice nazionale adito dichiari la natura privatistica de! loro rapporto di lavoro con l'Universit, condanni l'Universit a versare loro la differenza fra le retribuzioni percepite e quelle che sarebbero dovute secondo i parametri retributivi del professore associato a tempo definito, riconosca loro il diritto alle prestazioni di previdenza sociale e di assicurazione obbligatoria dal sorgere del rapporto di lavoro, dichiari che il contratto stipulato fra le parti costituisce un contratto a tempo indeterminato, annulli di conseguenza il termine previsto per la sua scadenza e conqanni l'Universit a versare loro le dovute retribuzioni dal 1 novembre 1986. In subordine, le ricorrenti hanno chiesto che il giudice nazionale condanni l'Universit a reintegrarle nel posto di lavoro, con effetto dal 1 novembre 1986, e consideri non manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit costituzionale dell'art. 28, terzo comma, del DPR, gi citato, da loro sollevata a sostegno del ricorso. 4. -Il giudice nazionale ha deciso di sospendere il procedimento fintantoch la Corte di giustizia non si sia pronunziata in via pregiudiziale sulle seguenti questioni: a) Innanzitutto si pone la questione sulla compatibilit con l'art. 48 n. 4 del trattato CEE nell'interpretazione della CGCE (sentenza 17/12/80), dal momento che nel rapporto di specie non sono implicati partecipazioni dirette n indirette all'esercizio di pubblici poteri n a mansioni che abbiano ad oggetto la tutela di interessi generali della collettivit, di una legge nazionale di uno Stato membro che imponga una disciplina speciale per il lavoro di lettori di lingua straniera rispetto alla durata dei contratti che viene limitata nel tempo mentre per gli altri lavoratori dello Stato viene garantita in generale la stabilit attraverso la legge 18/4/1962 n. 230, non potendosi rinvenire nella fattispecie peculiariet clel rapporto giustificanti la deroga al principio anzidetto. b) In secondo luogo, si pone il quesito sulla compatibilit o meno della legislazione interna di uno Stato membro e/o di una contrattazione di diritto privato che limiti la durata del rapporto ad un termine prestabilito di cinque anni con l'art. 48 n. 2 trattato CEE, dal momento che la libera circolazione dei lavoratori nell'ambito degli Stati comunitari implica ed esige l'abolizione di qualsiasi discriminazione e appare discriminante la deroga alla regola generale vigente nel diritto interno RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dello Stato, relativamente alla durata del rapporto di lavoro. Ulteriore quesito attiene alla compatibilit della mancata copertura assicurativa, espressamente stabilita nei contratti costitutivi dei rapporti di cui causa, con i diritti riconosciuti ai lavoratori migranti in materia di sicurezza sociale, alla luce dell'interpretazione della C.G.C.E. sul Regolamento n. 1408/71 in relazione all'art. 51 del Trattato CEE. 5. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti e del contesto giuridico della causa principale nonch delle osservazioni scritte presentate alla Corte si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. Sulla prima questione. 6. -con la prima questione il giudice nazionale mira, in sostanza, a far accertare se il posto di lettore di lingua straniera nelle universit debba essere considerato impiego nella pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 48, n. 4, del Trattato CEE, l'accesso al quale pu essere negato ai cittadini degli altri Stati membri. 7. -A questo proposito si deve ricordare che, come la Corte ha rilevato nella sentenza 3 luglio 1986 (causa 66/85, Lawrie-Blum, Racc. pag. 2121), i posti di insegnante non implicano la partecipazione, diretta o indiretta, all'esercizio dei pubblici poteri e alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato e delle altre collettivit pubbliche e non presuppongono, da parte dei loro titolari, l'esistenza di un rapporto particolare di solidariet nei confronti dello Stato, nonch la reciprocit di diritti e di doveri che costituiscono il fondamento del vincolo di cittadinanza. 8. -Inoltre, secondo la costante giurisprudenza della Corte (vedasi, fra l'altro, la sentenza 16 giugno 1987, causa 225/85, Commissione c/ Repubblica italiana, non ancora pubblicata), anche qualora si tratti di impieghi nella pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 48, n. 4, del Trattato, questa disposizione non pu giustificare, dopo che taluni lavoratori di altri Stati membri siano stati ammessi a occupare detti impieghi, discriminazioni nei loro confronti in materia di retribuzione o di altre condizioni di lavoro. 9. -La prima questione pregiudiziale va pertanto risolta nel senso che il posto di lettore di lingua straniera nelle universit non un impiego nella pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 48, n. 4, del Trattato CEE. PARm I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 117 Sulla seconda questione. 10. -Con la prima parte della seconda questione il giudice nazionale mira, in sostanza, a far stabilire Se l'art. 48, n. 2, del Trattato CEE osti all'applicazione di una norma nazionale che limita la durata del rapporto di lavoro Jira le universit e i lettori di lingua straniera, mentre tale limitazione non sussiste, in via di principio, per gli altri lavoratori. 11. -A questo proposito si deve rilevare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il principio della parit di trattamento, di cui l'art. 48, n. 2, del Trattato costituisce un'espressione specifica, vieta non soltanto le discriminazioni palesi, basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma dissimulata di discriminazione che, mediante l'applicazione di altri criteri distintivi, conduca di fatto allo stesso risultato (vedasi, fra l'altro, la sentenza 15 gennaio 1986, causa 41/84, .Pinna, Racc. pag. 1). ( 12. -A questo proposito si deve osservare che la limitazione posta dalla normativa italiana alla durata dell'esercizio delle funzioni di lettore di lingua straniera nelle universit, sebbene valga indipendentemente dalla cittadinanza del lavoratore interessato, riguarda essenzialmente dei lavoratori cittadini di altri Stati membri. Infatti, in base ai dati statistici forniti dal Governo italiano, soltanto il 25 % dei lettori di lingua straniera ha la cittadinanza italiana. 13. -.Per giustificare la normativa contestata nella causa principale il Governo italiano fa presente che essa costituisce per le universit l'unico mezzo che consenta loro di disporre di lettori di lingua straniera aventi una conoscenza e una pratica aggiornate della madrelingua da loro insegnata. 14. -A questo proposito si deve rilevare che il pericolo che i lettori perdano i contatti con la madrelingua limitato, data l'intensificazione degli scambi culturali e delle facilit di comunicazione, e che inoltre le universit hanno comunque la possibilit di controllare il livello delle cognizioni dei lettori. Si deve constatare, peraltro, che in base alla normativa di cui trattasi un lettore pu essere assunto da un'univerisit dopo aver lavorato per sei anni presso un'altra universit dello stesso Stato membro; la liJmitazione della dUTata delle funzioni non pu quindi essere giustificata dal motivo invocato dal Governo italiano. 15. -Detto Governo sostiene inoltre che le disposizioni contestate sono giustificate dal fatto che la stabilit del posto d'insegnante pu essere garantita solo qualora gli interessati abbiano competenze qualificate, attestate dal superamento delle prove di un concorso. Orbene ci non si verificherebbe nel caso dei lettori di lingua straniera. 10 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 118 16. -A questo proposito si deve constatare che il limite di sei anni per J'esercizio delle funzioni di oui trattasi non necessario per consentire alle universit di porre termine al contratto dei docenti che si rivelino incompetenti. Siffatto limite non esiste per quanto riguarda i professori assunti per contratto, che esercitano anch'essi le funzioni di docente senza aver superato un concorso. Nel caso di questi docenti, bench la durata delle funzioni sia, in via di principio, limitata a tre anni, iJ Ministro della pubblica istruzione pu concedere deroghe (art. 25, settimo comma, dello stesso D.P.R.). 17. -Infine, secondo il Governo italiano, la disposizione di cui trat tasi giustificata ani;:he dalla necessit di limitare il numero dei lettori di lingua straniera in funzione del fabbisogno dell'universit, che dipende dall'afflusso degli studenti alle facolt in cui impartito l'insegnamento delle lingue straniere. Si deve rilevare tuttavia che questo obiettivo di buona gestione pu essere raggiunto con altri mezzi e in particolare non irinnovando i contratti dei lettori in soiprannumero, a norma del l'art. 28, terzo comma, del D.P.R. 18. -Da quanto precede emerge che nessuno dei motivi esaminati consente di giustificare la limitazione posta al rapporto di lavoro dei lettori di lingua straniera e quindi all'applicazione del principio della parit di trattamento. 19. -La prima parte della seconda questione pregiudiziale va pertanto risolta dichiarando che l'art. 48, n. 2, del Trattato dev'essere inter pretato nel senso che esso osta all'applicazione di una norma nazionale che limiti la durata del rapporto di lavoro fra le universit e i lettori di lingua straniera, mentre tale limitazione non esiste, in via di principio, per quanto riguarda gli altri lavoratori. 20. -Con la seconda parte della seconda questione pregiudiziale il giudice nazionale mira, in sostanza, a far accertare se il menzionato regolamento n. 1408/71 debba essere interpretato nel senso che esso osta alle clausole di un contratto di assunzione di lettori di lingua straniera da parte di un'universit di uno Stato membro, in base alle quali gli interessati sono privi della copertura previdenziale di cui fruiscono gli altri lavoratori. 21. -A questo proposito sufficiente rilevare che i regimi di previdenza sociale devono rispettare il principio della parit di trattamento di cui l'art. 3 del regolamento n. 1408/71 costituisce un'espressione specifica. Questo principio infranto quando una categoria determinata di lavoratori, essenzialmente cittadini di altri Stati membri, sia esclusa dal regime previdenziale di uno Stato membro di cui fruiscono, in generale, gli altri lavoratori di questo Stato membro. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 119 22. -La seconda parte della seconda questione pregiudiziale va pertanto risolta nel senso che l'art. 3 del regolamento n. 1408/71, relativo all'applicazione dei regimi di previdenza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro famigliari che si spostano all'interno della Comunit, osta alle clausole di un contratto di assunzione di lettori di lingua straniera da parte di un'universit di uno Stato membro in base alle quali gli interessati siano privi della copertura previdenziale di cui fmiscono gli altri olaivoratori. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sed. plen., 22 giugno 1989, nella causa 103/88 -Pres. Due -Avv. Gen. Lenz -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia nella causa F.lli Costanzo s.p.a. (avv. Acquarone) c. Comune di Milano (avv. Marchese) e Impresa Lodigiani (avv. Pericu). Interv.: Governi spagnolo (ag. Cond~ de Saro e Silva de La:querta) e italiano {avv. Stato Braguglia) e Commissione delle C.E. (ag. Berardis). Comunit europee -Appalti di lavori pubblici -Offerte anormalmente basse -Efficacia diretta delle direttive nei confronti dell'amministrazione. (Trattato CEE, art. 189; direttiva del Consiglio 26 luglio 1971, n. 71/305/CEE; legge8 agosto 1977, n. 584; dd.ll. non convertiti 25 maggio 1987, n. 206, 27 luglio 1987, n. 302, 25 settembre 1987, n. 393; legge 25 novembre 1987, n. 478). 1) L'art. 29, n. 5, della direttiva del Consiglio n. 71/305 vieta agli Stati membri di emanare disposizioni che prescrivano l'esclusione d'ufficio dagli appalti di lavori pubblici di talune offerte determinate secondo un criterio matematico, invece di obbligare l'amministrazione aggiudicatrice ad applicare la procedura di verifica in contraddittorio prevista dalla direttiva. 2) Gli Stati membri, nel recepire la direttiva del Consiglio n. 71/305, non possono scostarsi in misura sostanziale da quanto prescrive l'art. 29, n. 5, della stessa direttiva. 3) L'art. 29, n. 5, della direttiva del Consiglio n. 71/305 consente agli Stati membri di prescrivere la verifica delle offerte quando queste appaiono anormalmente basse e non solo quando siano manifestamente anormalmente basse. 4) Al pari del giudice nazionale, l'amministrazione, anche comunale, tenuta ad applicare l'art. 29, n. 5, della direttiva del Consiglio n. 71/305 e a disapplicare le norme del diritto nazionale non conformi a questa dispo sizione (1). (1) Di particolare importanza il princ1p10 stabilito al punto 4) del dispositivo. Non soltanto i giudici nazionali, ma anche le amministrazioni pubbliche sono tenute ad applicare le disposizioni di una direttiva aventi la c.d. efficacia 120 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) 1. -Con ordinanza 16 dicembre 1987, pervenuta in can celleria il 30 marzo 1988, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, varie questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 29, n. 5, della direttiva del Consiglio 26 luglio 1971, n. 71/305, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici (G. U. n. L 185, pag. 5), e dell'art. 189, terzo comma, del Trattato. 2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di un procedimento promosso dalla Firatelli Costanzo S.p.a. (in prosieguo: Costanzo) per l'annullamento della deliberazione con cui la Giunta Municipale di Milano ha escluso l'offerta presentata dalla Costanzo in una gara di appalto di lavori pubblici ed ha aggiudicato l'appalto all'impresa Ing. Lodigiani S.pA. (in prosieguo: Lodigiani). 3. -L'art. 29, n. 5, della suddetta direttiva del Consiglio n. 71/305 recita: Qualora, per un determinato appalto, talune offerte presentino manifestamente un carattere anormalmente basso rispetto alla prestazione, l'amministrazione aggiudilcatrice ne verifica la composizione prima di decidere in merito all'aggiudicazione dell'appalto. Essa tiene conto del risultato di tale verifica. All'uopo, essa chiede all'offerente di fornire le giustificazioni necessarie, segnalandogli eventualmente quelle ritenute inaccettabili. Se i documenti relativi all'appalto prevedono l'aggiudicazione al prezzo pi basso, l'amministrazione aggiudicatrice tenuta a motivare il rigetto delle offerte ritenute troppo basse presso il Comitato consultivo istituito con decisione del Consiglio del 26 luglio 1971 , 4. -L'art. 29, n. 5, della direttiva n. 71/305 stato recepito nell'ordinamento italiano con l'art. 24, 3 comma, della legge 8 agosto 1977, n. 584, recante norme di adeguamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici alle direttive della Comunit Economica Euro- diretta, disapplicando le norme nazionali che non le ablano correttamente attuate (ovvero, si pu aggiungere, in mancanza di tempestiva attuazione). Dopo questa pronuncia, la c.d. efficacia diretta di talune disposizioni di direttive non pu pi essere racchiusa ne1l'runbito del processo, come eccezione da far valere avanti al giudice e contro lo Stato inadempiente (c.d. estoppel). Sembra iLnvece che con il principio affermato la Corte abbia voluto compiere un altro passo in avanti nel processo di avvicinamento -quanto ad effetti pratici -delle direttive ai regolamenti. E non da escludere che a tale passo in avanti la Corte sia stata indotta anche dai frequenti e talora gravi inadempimenti degli Stati membri (in particolare, dell'Italia), rispetto all'obbligo di attuare tempestivamente e correttamente le direttive. I.M.B. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE pea (G. U. della Repubblica italiana n. 232 del 26 agosto 1977, pag. 6272). Questa disposizione redatta come segue: Se, per un determinato appalto, talune offerte risultano basse in modo anomalo rispetto alla prestazione, il soggetto appaltante, richieste all'offerente le necessarie giustificazioni, segnalandogli eventualmente quelle ritenute inaccettabili, verifica la composizione delle offerte e pu escluderle se non le consideri valide; in tal caso, se l'appalto bandito col criterio dell'aggiudicazione al prezzo pi basso, il soggetto appaltante tenuto a comunicare il rigetto delle offerte, con la relativa motivazione, al Ministero dei lavori pubblici il quale ne curer la trasmissione al Comitato consultivo per gli appalti di lavori pubblici della Comunit Economica Europea, entro il termine di cui al secondo comma dell'art. 6 . 5. -Successivamente, nel 1987, il Governo italiano ha emanato, uno dopo l'altro, tre decreti legge che hanno apportato modifiche provvisorie all'art. 24, 3 comma, della legge n. 584 (decreto legge 25 maggio 1987, n. 206, G.U.R.I. n. 120 del 26 maggio 1987, pag. 5; decreto legge 27 luglio 1987, n. 302, G.U.R.I. n. 174 del 28 luglio 1987, pag. 3; decreto legge 25 settembre 1987, n. 393, G.U.R.I. n. 225 del 26 settembre 1987, pag. 3). 6. -Ciascuno dei suddetti decreti legge contiene un art. 4, redatto in termini identici, che cos recita: Al fine dell'accelerazione delle procedure relative all'affidamento degli appalti di opere pubbliche e per un periodo di due anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono considerate anomale, ai sensi dell'art. 24, terw comma, della legge 8 agosto 1977, n. 584, e sono escluse dalla gara le offerte che presentano una percentuale di ribasso superiore alla media delle percentuali delle offerte ammesse, incrementata da un valore percentuale che dovr essere indicato nel bando o nell'avviso di gara. 7. -Non essendo stati convertiti in legge entro il termine prescritto dalla costituzione italiana, i citati decreti legge hanno perduto efficacia. Tuttavia, una legge successiva ha precisato che restano validi gli atti emanati in base ad essi (art. l, n. 2, della legge 25 novembre 1987, n. 478, G.U.R.I. n. 277 del 26 novembre 1987, pag. 3). 8. -In vista delle partite del campionato mondiale di calcio che nel 1990 si svolgeranno in Italia, il Comune di Milano ha indetto una licitazione privata per l'aggiudicazione dei lavori di modifica di uno stadio. Il criterio di aggiudicazione prescelto era quello del prezzo pi basso. 9. -Risulta dal bando di gara che, conformemente all'art. 4 del citato decreto legge 25 maggio 1987, n. 206, sarebbero state considerate RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 122 anomale e quindi escluse dalla gara le offerte che avessero presentato una maggiorazione inferiore del 10 % alla maggiorazione media, rispetto all'importo base fissato come prezzo dei lavori, di tutte le offerte ammesse a gareggiare. 10. -Le offerte presentate sono risultate superiori, in media, del 19,48 % all'importo base fissato come prezzo dei lavori. Conformemente al bando di gara tutte le offerte che non superavano almeno del 9 ,48 % l'importo base dovevano essere automaticamente escluse. 11. -L'offerta della Costanzo risult inferiore all'importo base. Di conseguenza, la Giunta Municipale di Milano, basandosi sull'art. 4 del decreto lgge 25 settembre 1987, n. 393, che nel frattempo aveva sostituito il decreto legge richiamato nel bando di gara, ha escluso dalla gara, con deliberazione 6 ottobre 1987, l'offerta della Costanzo e ha aggiudicato l'appalto alla Lodigiani, che aveva presentato l'offerta inferiore fra quelle che rispondevano al requisito stabilito nel bando di gara. 12. -La Costanzo ha impugnato la suddetta deliberazione dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, deducendone l'illegittimit perch basata su un decreto legge incompatibile con l'art. 29, n. 5, della direttiva del Consiglio n. 71/305. 13. -Il predetto Tribunale ha pertanto sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte di giustizia .le seguenti questioni pregiudiziali: A. Premesso che, in base all'art. 189 del Trattato CEE, le norme contenute in una direttiva possano riguardare il 'risultato da raggiungere ' (in seguito 'nonne di ,risultato') oppure possono concernere 'la forma e i mezzi' per raggiungere un certo risultato (in seguito 'norme di forma e mezzi') -dica la Corte se la norma contenuta nell'art. 29 punto 5 della direttiva del Consiglio 26 luglio 1971, n. 305 (nella parte in cui prevede che -in caso di offerta che presenti manifestamente un carattere anormalmente basso -l'Amministrazione deve procedere ad una' verifica della composizione', con obbligo di richiedere all'offerente le giustificazioni necessarie, segnalandogli quelle ritenute inaccettabili) sia una ' norma di risultato ' ed abbia, comunque, carattere tale che la Repubblica italiana era tenuta a ' recepire ' tale norma, senza potere apportare ad essa alcuna sostanziale modifica (come effettivamente stato fatto con l'art. 24, comma 3, legge 8 agosto 1977, n. 584) oppure se si tratti di tina 'norma di forma. e mezzi 11 tale cio che la Repubblica italiana potesse derogare ad essa, disponendo che in caso di offerte anormalmente basse, l'offerente debba essere escluso automaticamente dalla gara, senza alcuna 'verifica della composizione' e senza alcuna richiesta di 'giustificazione' all'offerente (di 'offerta anomala'). PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE B. Ove al quesito sub A si dia risposta negativa (nel senso che la norma contenuta nell'art. 29 punto 5 della direttiva CEE n. 305/71 sia ' norma di forma e mezzi ') dica la Corte se: B.1 La Repubblica italiana (dopo avere 'recepito' la norma predetta (con la L. 8 agosto 1977, n. 577) senza apportare alcuna modifica sostanziale per quanto riguarda il procedimento da seguire in caso di offerta anormalmente bassa) conservasse ancora il potere di modificare la norma interna di recepimento: in particolare, se gli artt. 4 -di contenuto uguale -del D.L. 25 maggio 1987, n. 206, del D.L. 27 luglio 1987, n. 302, e del D.L. 25 settembre 1987, n. 393, potessero modificare l'art. 24 L. 8 agosto 1977, n. 584; B2 gli artt. 4 -di contenuto uguale -del DL. 25 maggio 1987, n. 206, del D.L. 27 luglio 1987, n. 302, e del D.L. 25 settembre 1987, n. 393, potessero modificare l'art. 29 punto 5 direttiva CEE n. 305/71 -cos come recepito dalla L. 5 aprile 1977, n. 584, senza adeguata motivazione sul punto, tenuto conto del fatto che la motivazione -essendo necessaria per gli atti normativi comunitari (arg. ex art. 190 Trattato CEE), sembra necessaria anche per gli atti normativi ' interni ' che siano posti in attuazione di norme comunitarie (e che sono pertanto atti normativi 'sub-primari', a cui, nel silenzio, non pu non applicarsi la regola della motivazione degli atti normativi ' primari '). C. Dica la Corte se, comunque, sussista contrasto fra la norma contenuta nell'art. 29 punto 5 dir. n. 305/71 e le norme contenute: a) nell'art. 24, comma 3, L. 8 agosto 1977, n. 584 (quest'ultima si riferisce ad offerte ' basse in modo anomalo ', mentre la direttiva 1dguarda le offerte che presentino ' manifestamente ' un carattere anormalmente basso e soltanto in presenza del carattere ' manifestamente ' anomalo, prevede la verifica della composizione ecc.); b) negli artt. 4 dei DD.LL. 25 maggio 1987, n. 206, 27 luglio 1987, n. 302, e 25 settembre 1987, n. 393 (queste ultime escludono la previa verifica della composizione, con richiesta di chiarimenti alla parte privata, contrariamente a quanto previsto dall'art. 29 punto 5 della direttiva; inoltre i DD.LL. ricordati sopra, non si riferiscono alle offerte 'manifestamente anomale e in ci sembrano viziati, al pari della L. 8 agosto 1977, n. 584). D. (Ove la Corte di giustizia ritenga che le citate norme contenute nei citati atti normativi italiani, siano in contrasto con la norma conte nuta nell'art. 29, n. 5, Dir. n. 305/71) dica la Corte di giustizia se l'Amministrazione comunale avesse il potere-dovere di ' disapplicare ' le norme interne contrastanti con la detta norma comunitaria (eventualmente 'interrogando' l'Amministrazione centrale) o se tale potere-dovere di disapplicazione sia attribuito soltanto ai Giudici interni . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 14. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti della causa principale, della normativa pertinente, dello svolgimento del procedi mento e delle osservazioni scritte presentate alla Corte si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo , nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. Sulla seconda parte della terza questione e sulla prima questione 15. -Con la seconda parte della terza questione il giudice nazio nale chiede in sostanza se l'art. 29, n. 5, della direttiva del Consiglio n. 71/305 vieti agli Stati rnernbri di emanare disposizioni che prescrivano l'esclusione d'ufficio dagli appalti di lavori pubblici di talune offerte determinate secondo un criterio rnaternatico, invece di obbligare l'arnrninistrazione aggiudicatrice ad applicare la procedura di verifica in contraddittorio prevista dalla direttiva. Con la prima questione esso chiede se gli Stati rnernbri, nel recepire la direttiva del Consiglio n. 71/305, possano scostarsi in misura sostanziale da quanto prescrive l'art. 29, n. 5, della stessa direttiva. 16. -Per quanto riguarda la seconda parte della terza questione, si deve ricordare che l'art. 29, n. 5, della direttiva n. 71/305 prescrive all'autorit aggiudicatrice di verificare la composizione delle offerte che presentino rnanifestarnente carattere anorrnalrnente basso e, a questo scopo, le impone di chiedere all'offerente di fornire le giustificazioni necessarie. La stessa disposizione fa obbligo all'arnrninistrazi~ne aggiudicatrice di segnalare eventualmente all'offerente le giustificazioni ritenute inaccettabili. Infine, qualora il criterio di aggiudicazione adottato sia quello del prezzo pi basso, l'arnrninistrazione aggiudicatrice tenuta a motivare il rigetto delle offerte ritenute troppo basse presso il Comitato consultivo istituito con la decisione del Consiglio 26 luglio 1971 (G. U. n. L 185, pag. 15). 17. -Il Comune di Milano e il Governo italiano considerano conforme allo scopo dell'art. 29, n. 5, della direttiva la sostituzione della procedura di verifica in contraddittorio prevista da questa disposizione con un criterio d'esclusione rnaternatico. Essi ricordano che, carne la Corte ha rilevato nella sentenza 10 febbraio 1982 (causa 76/81, Transporoute. Racc. pag. 417, in particolare a pag. 428), il detto scopo consiste nel tutelare l'offerente dall'arbitrio dell'amministrazione aggiudicatrice. Un criterio di esclusione rnaternatico offrirebbe a questo proposito una garanzia assoluta e presenterebbe inoltre, rispetto alla procedura prevista dalla direttiva, il vantaggio di una maggiore rapidit d'applicazione. PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 18. -Questo argomento non pu essere accolto. Un criterio di esclusione matematico, infatti, priva i partecipanti alla gara che abbiano presentato offerte particolarmente basse della possibilit di provare che si tratta di offerte serie. L'applicazione di un criterio del genere contrasta con lo scopo della direttiva n. 71/305, che consiste nel favorire lo sviluppo di una concorrenza effettiva nel settore degli appalti di lavori pubblici. 19. -Pertanto, la seconda parte della terza questione dev'essere risolta nel senso che l'art. 29, n. 5, della direttiva del Consiglio n. 71/305 vieta agli Stati membri di emanare disposizioni che prescrivono l'esclusione d'ufficio dagli appalti di lavori pubblici di talune offerte determinate secondo un criterio matematico, invece di obbligare l'amministrazione aggiudicatrice ad applicare la procedura di verifica in contraddit torio prevista dalla direttiva. 20. -Per quanto riguarda la prima questione, si deve ricordare che il Consiglio ha prescritto, nell'art. 29, n. 5, della direttiva n. 71/305, una precisa e dettagliata procedura di verifica delle offerte risultanti anormalmente basse proprio per consentire ai partecipanti alla gara che abbiano presentato offerte particolarmente basse di dimostrare la seriet di tali offerte e per garantire in tal modo l'accesso agli appalti di lavori pubblici. Tale scopo sarebbe compromesso qualora gli Stati membri, nel recepire l'art. 29, n. 5, della direttiva, potessero scostarsene in misura sostanziale. 21. -Pertanto, la prima questione dev'essere risolta nel senso che gli Stati membri, nel recepire la direttiva del Consiglio n. 71/305, non possono scostarsi in Inisura sostanziale da quanto prescrive l'art. 29, n. 5, della stessa direttiva. Sulla seconda questione 22. -Con la seconda questione il giudice nazionale chiede se gli Stati membri, dopo aver recepito l'art. 29, n. 5, della direttiva del Consiglio n. 71/305 senza essersene scostati in misura sostanziale, possano successivamente modificare la norma interna di recepimento e, in caso affermativo, se tale modifica debba essere motivata. 23. -Il giudice nazionale ha sollevato la seconda questione solo per il caso in cui dalla soluzione della prima questione emergesse che gli Stati membri possono recepire l'art. 29, n. 5, della direttiva n. 71/305 scostandosene in misura sostanziale. 24. -Data la risposta fornita alla prima questione, la seconda questione priva d'oggetto. 126 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sulla prima parte della terza questione 25. -Con la prima parte deHa terza questione il giudice nazionale chiede se l'art. 29, n. 5, della direttiva del Consiglio n. 71/305 consenta agli Stati membri di prescrivere la verifica delle offerte quando queste appaiono anormalmente basse, e non solo quando siano manifestamente anormalmente basse. 26. -Si deve rilevare che la procedura di verifica dev'essere applicata ogniqualvolta l'amministrazione aggiudicatrice intenda escludere delle offerte perch le considera anormalmente basse rispetto alla prestazione. Pertanto, qualunque sia il valore limite al di l del quale la detta procedura dev'essere applicata, gli offerenti hanno la garanzia di non essere esclusi dall'appalto oggetto della gara senza aver avuto la possibilit di dimostrare la seriet delle loro offerte. 27. -Di conseguenza, la prima parte della terza questione dev'essere risolta nel senso che l'art. 29, n. 5, della direttiva del Consiglio n. 71/305 consente agli Stati membri di prescrivere la verifica delle offerte quando queste appaiano anormalmente basse e non solo quando siano manifesta mente anormalmente basse. Sulla quarta questione 28. -Con la quarta questione il giudice a quo chiede se, al pari dei giudici nazionali, l'amministrazione, anche comunale, sia tenuta ad applicare l'art. 29, n. 5, della direttiva del Consiglio n. 71/305 e a disappli ~are le norme del diritto nazionale non conformi a questa disposizione. 29. -Si deve ricordare come, nelle sentenze 19 gennaio 1982 (causa 8/81, Becker, Racc. pag. 53, in particolare a pag. 71) e 26 febbraio 1986 (causa 152/84, Marshall._ Racc. pag. 737, in particolare a pag. 748), la Corte abbia considerato che in tutti i casi in cui alcune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale sia che l'abbia recepita in modo inadeguato. 30. -Va rilevato che il motivo per cui i singoli possono far valere le disposizioni di una direttiva dir:\anzi ai giudici nazionali ove sussistano i detti presupposti, che gli obblighi derivanti da tali disposizioni valgono per tutte le autorit degli Stati membri. 31. -Sarebbe peraltro contraddittorio statuire che i singoli possono invocare dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni di una direttiva PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 127 aventi i requisiti sopra menzionati, allo scopo di far censurare l'operato dell'amministrazione, e al contempo ritenere che l'amministrazione non tenuta ad applicare le disposizioni della direttiva disapplicando le norme nazionali ad esse non conformi. Ne segue che, qualora sussistano i presupposti necessari, secondo la giurisprudenza della Corte, affinch le disposizioni di una direttiva siano invocabili dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi dell'amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicare le suddette disposizioni. 32. -Per quanto riguarda in particolare l'art. 29, n. 5, della direttiva n. 71/305, emerge dall'esame della prima questione che tale disposizione incondizionata e abbastanza precisa per poter essere invocata dai singoli nei confronti dello Stato. I singoli possono quindi avvalersene dinanzi ai giudici nazionali e, come risulta dalle considerazioni che precedono, tutti gli organi dell'amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicarle. 33. -Pertanto, la quarta questione dev'essere risolta nel senso che, al pari del giudice nazionale, l'amministrazione, anche comunale, tenuta ad applicare l'art. 29, n. 5, della direttiva del Consiglio n. 71/305 e a disapplicare le norme del diritto nazionale non conformi a questa disposizione (omissis). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Se. plen., 11 luglio 1989, nella causa 323/87 -Pres. Due -Avv. Gen. Jacobs Commissione delle C. E. (ag. Marenco) c. Repubblica italiana (avv. Stato Conti). Comunit europee -Unione doganale -Regime fiscale discriminatorio Distillati della canna da zucchero Rum. (Trattato CEE, art. 95; dJ. 15 giugno 1984, n. 232, conv. con mod. in legge 28 luglio 1984, n. 408). Il trattamento fiscale dell'alcole distillato dalla canna da zucchero e dei prodotti contenenti detto alcole, istituito transitoriamente in Italia con la legge 28 luglio 1984, n. 408, pi gravoso rispetto a quello che colpisce le altre acquaviti agricole, contrasta con l'art. 95 del Trattato {:BE limitatamente alla sua applicazione al rum originario di altri Stati membri (1). (1) Sul regime fiscale degli alcolici in Italia si vedano, oltre le sentenze, citate in motivazione, 27 febbraio 1980, nella causa 169/78, COMMISSIONE c. ITALIA, in questa Rassegna, 1980, I, 273, relativa ai contrassegni di Stato sui recipienti 128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 16 ottobre 1987, la Commissione delle Comunit Europee pa proposto un ricorso ex art. 169 del Trattato CEE volto a far dichia. rare che la Repubblica italiana, avendo istituito un regime fiscale che icolpisce l'alcole distillato dalla canna da zucchero ed i prodotti conteinenti detto alcole in misura maggiore rispetto agli altri alcoli e alle ;altre acquaviti agricole, venuta meno agli obblighi che le incombono :in forza dell'art. 95 del Trattato. 2. -Risulta dagli atti di causa che, a seguito delle sentenze della Corte ;15 luglio 1982 e 15 marzo 1983 (Cogis, 216/81, Racc. pag. 2701 e Commis: sione c/ Italia, 319/81, Racc. pag. 601), la Repubblica italiana ha emenpato la sua legislazione fiscale sugli alcolici. Con decreto legge 15 giu, gno 1984, n. 232 (GURI del 18 giugno 1984, n. 166), stato abolito il ;diritto erariale che colpiva esclusivamente gli alcoli non ottenuti dalla distillazione del vino e delle materie vinose, mentre per l'imposta di ,fabbricazione sugli alcoli prodotti in Italia, e la corrispondente sovraim. posta di confine per gli alcoli importati, stata stabilita l'aliquota ,unificata di 350.000 lire per ettanidro di alcole. Tuttavia, all'atto della ;conversione del decreto legge nella legge 28 luglio 1984,. n. 408 (GURI ;del 2 agosto 1984, n. 212), l'imposta di fabbricazione e la sovraimposta ;di confine sono state elevate a 420.000 lire ed stata introdotta una ,deroga secondo la quale, fino al 31 dicembre 1988, l'imposta e la sovra; imposta sugli alcoli ottenuti dalla distillazione del vino, dei sottopro; dotti della vinificazione, delle patate, della frutta, del sorgo, dei fichi, ;delle carrube e dei cereali erano fissate in 340.000 lire per ettanidro. ;Nella fase scritta del presente procedimento, la Repubblica italiana ha ,reso noto alla Corte che le aliquote piene e ridotte della predetta im, posta sono state portate, rispettivamente, a 546.000 lire e 442.000 lire per ettanidro e che l'aliquota ridotta si applica fino al 31 dicembre 1992. contenenti acquavite destinata alla vendita al minuto, e 15 luglio 1982, nella causa 216/81, CoG1s, ibidem, 1982, I, 913, relativa alla sovrimposta di confine e al diritto erariale sull'whisky importato, la sentenza 11 luglio 1985, nella causa 278/83, Co~MISSIONE c. ITALIA, ibidem, 1985, I, 571, relativa ai vini spumanti, e le altre pronunzie citate in nota ad essa, nonch la sentenza 4 marzo 1986, nella causa 243/84, JOHN WALKER, pur essa citata in motivazione. Con quest'ultna sentenza la Corte aveva statuito che l'art. 95, 1 comma, del Trattato CEE va interpretato nel senso che prodotti come il whisky scozzese ed il vino di frutta di tipo liquoroso non possono essere considerati prodotti similari; e che allo stato attuale del suo sviluppo, il diritto c0munitario, e in particolare l'art. 95, 2 comma, del Trattato CEE, non osta all'applicazione, relativamente a talune bevande, di un sistema di imposizione differenziato, in base a criteri obiettivi; un siffatto sistema non ha l'effetto di proteggere una produzione nazionale qualora, in ciascuna categoria fiscale, figuri una parte sostanziale della produzione interna di bevande alcoliche. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 3. -La Commissione ritiene, in particolare, che la tassazione diffe, renziata di cui alla legge n. 408 crei categorie artificiali e no'n obiettive di alcoli, allo scopo di proteggere indirettamente i prodotti nazionali gravati da un'accisa meno elevata di quella sull'alcole etilico distillato dalla canna da zucchero e sui prodotti contenenti detto a:lcole, come il rum, i quali, non essendo fabbricati in Italia e non potendo beneficiare dell'aliquota ridotta, sono soggetti all'imposta piena del regime fiscale sugli alcoli. Rispondendo ai quesiti scritti della Corte, la Commissione ha precisato che il suo ricorso riguarda non soltanto il trattamento fiscale del rum, ma anche quello dell'alcole di canna allo stato naturale, degli alcoli aromatizzati, come il gin e la vodka, e. dei liquori ed altre -bevande alcoliche, nella misura in cui siano fabbricati con alcole di canna da zucchero. 4. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti della causa, dello svolgimento del procedimento nonch dei mezzi ed argomenti delle parti, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. Sul trattamento fiscale del rum 5. -La Commissione fa valere che il rum e le altre acquaviti sono prodotti similari ai sensi dell'art. 95, 1 comma, del Trattato. In subordine, essa afferma che si tratterebbe in ogni caso di prodotti in concor renza tra loro, ai sensi dell'art. 95, 2 comma. 6. -La Repubblica italiana contesta che rum e acquaviti di vino e di cereali possano essere considerati prodotti similari, tenuto conto delle rispettive caratteristiche organolettiche. Tuttavia, essa riconosce che il rum e le altre acquaviti sono prodotti in concorrenza tra loro, ai sensi dell'art. 95, 2 comma. 7. -Secondo la giurisprudenza costante della Corte, l'art. 95, nel suo complesso, ha lo scopo di garantire la libera circolazione delle merci fra gli Stati membri in condizioni normali di concorrenza, mediante l'eliminazione di qualsiasi forma di protezione che possa derivare dal l'applicazione di tributi interni discriminatori nei confronti di prodotti di altri Stati membri, e di garantire altres la perfetta neutra:lit dei tributi interni nei confronti della concorrenza fra prodotti nazionali e prodotti importati (sentenza 9 luglio 1987, Commissione c/ Regno del Belgio, 356/85, non ancora pubblicata nella Raccolta). 130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEUO STATO 8. -In materia di alcole destinato al consumo umano, la Corte ha gi precisato, in sentenze 27 feb.braio 1980 (Commissione c/ Italia, 169/78, Racc. pag. 385) e 15 'luglio 1982 (216/81, cit.), che le acquaviti di cereali e il rum, in quanto prodotti della distillazione, hanno, con le acquaviti di vino e di vinacce, propriet comuni sufficienti per costituire, almeno in talune circostanze, un'alternativa nella scelta del consumatore. Basta questa constatazione per ammettere che detti prodotti sono in concorrenza fra loro e che la loro tassazione non dev'essere tale da favorire la produzione nazionale. 9. -Su quest'ultimo punto, la Commissione sostiene che il regime fiscale italiano delle acquaviti finalizzato a compensare la differenza fra il costo di produzione degli alcoli da materie vinose e da frutta e quello degli alcoli da melasso. A suo parere, lo scopo di questa differenziazione fiscale di per s sufficiente a provarne il carattere non neutrale, atteso che, per l'economia italiana, le attivit economiche legate alla viticoltura sono infinitamente pi importanti della produzione del- l'alcole da melasso. 10. -Dal canto suo, la Repubblica italiana deduce che, per accertare la sussistenza di una violazione dell'art. 95, 2 comma, del Trattato, non sufficiente porre semplicemente a confronto gli oneri fiscali rispettivamente gravanti sui prodotti di cui si tratta, ma necessario dimostrare che, in concreto, la differenza fra questi oneri idonea a produrre effetti protezionistici. Ora, nessuna dimostrazione sarebbe .stata fornita al riguardo dalla Commis~ione. 11. -La Repubblica italiana sostiene inoltre che il sistema fiscale in questione conforme ai criteri ai quali, secondo la giurisprudenza della Corte, gli Stati membri debbono attenersi nell'istituire sistemi impositivi differenziati. Richiamandosi in special modo alla sentenza della Corte 4 marzo 1986 (Walker, 243/84, Racc. pag. 875), essa afferma che l'imposta pi elevata controversa si applica ad una quota importante della produzione di alcole, in particolare alcoli da melasso, di barbabietola e di canna d'importazione. 12. -Devesi ricordare che, prima dell'emanazione della legge n. 408, il regime fiscale italiano \era contraddistinto dal fatto che i prodotti nazionali pi tipici, ossia le acquaviti di vino e vinacce, rientravano nella categoria fiscale pi agevolata, mentre le acquaviti di cereali e il rum, due prodotti quasi totalmente importati da altri Stati membrf, erano assoggettati ad un trattamento fiscale pi gravoso. Nelle citate sentenze 27 febbraio 1980 e 15 luglio 1982, (169/78 e 216/81), la Corte ha ritenuto che queste differenze di tassazione incidessero sul mercato dei prodotti in questione, diminuendo il consumo dei prodotti importati. II I i ~ r PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 13. -Nel caso di specie, risulta dagli atti che la nuova legge n. 408 ha abolito le differenze d'imposizione rispetto all'whisky, mentre il rum ancora soggetto ad un regime pi oneroso. Ci considerato, sufficiente fare rinvio a quanto dichiarato dalla Corte nelle citate sentenze, senza che l'esistenza dell'effetto protezionistico del sistema impositivo italiano rispetto al rum debba essere suffragata da un raffronto dell'incidenza dei diversi carichi fiscali sui rapporti di concorrenza fra i prodotti di cui causa. 14. -In simile contesto, la Repubblica italiana non pu validamente invocare la sentenza 4 marzo 1986 (Walker, cit.). Secondo tale sentenza, infatti, un sistema di tassazione differenziata non produce effetti protezionistici a favore di un prodotto nazionale, qualora in ciascuna categoria fiscale figuri una quota sostanziale della produzione interna di bevande alcoliche. 15. -Al riguardo, la Repubblica italiana afferma che l'imposta pm elevata si applica a tutta la produzione nazionale di alcoli non ottenuti da vino, frutta o cereali, in particolare gli alcoli da melassa. Va tuttavia osservato che si tratta di alcoli puri che, non essendo come tali destinati al consumo dell'uomo, non po~sono essere considerati in concorrenza con le acquaviti. Ci considerato, la Repubblica italiana non ha provato che una quota sostanziale della produzione nazionale di bevande alcoliche rientrasse nella medesima categoria fiscale del rum. 16. -Si deve dunque dichiarare che, avendo istituito un regime fiscale del rum originario di altri Stati membri pi gravoso rispetto alle altre acquaviti agricole; la Repubblica italiana venuta meno agli _obblighi che le incombono in forza dell'art. 95 del Trattato. Sul trattamento fiscale degli altri prodotti alcolici 17. -Per quel che riguarda il trattamento fiscale dei prodotti alcolici, diversi dal rum, soggetti all'imposta pi elevata, la Commissione ha riconosciuto che le statistiche sulle importazioni di cui essa dispone non distinguono fra alcoli aromatizzati e liquori fabbricati con alcole da canna, e quelli fabbricati con altri alcoli agricoli. 18. -Quanto alle importazioni di alcole di canna allo stato naturale, la Commissione ha affermato che le stesse cifre inglobavano l'alcole di origine industriale (alcole di sintesi) e l'alcole agricolo, senza distinzione a seconda della materia agricola di base. Infatti, a partire, da un certo grado alcolico e di purezza, non sarebbe possibile distinguere l'origine precisa dell'alcole. 132 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 19. -Secondo una giurisprudenza costante (da ultimo, sentenze della Corte 25 aprile 1989 e 30 maggio 1989, Commissione c/ Italia, 141/87 e 340/87, non ancora pubblicate nella Raccolta), in un procedimento per inadempimento ex art. 169 del Trattato grava sulla Commissione l'onere di provare il preteso inadempimento. 20. -Nel caso di specie, la Commissione non ha provato se, ed eventualmente in quale misura, i prodotti importati fossero ottenuti dal l'alcole di canna da zucchero e, dunque, soggetti all'imposta pi elevata. In assenza di tali prove, la Corte non pu pronunziarsi sul rapporto di concorrenza fra i prodotti nazionali e quelli importati n sul carat tere protezionistico del regime fiscale in causa. Ci considerato, il ricorso va respinto nella parte relativa al trattamento fiscale dei prodotti alcolici diversi dal rum {omissis). CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 5a sez., 13 luglio 1989, nella causa 380/87 -Pres. Joliet -Avv. Gen. Jacobs -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo regionale per ola Lombardia nella causa Enichem ed altri c. Comune di Cinisello Ba1samo -Interv.: Governi italiano (aw. Stato Ferri), del Regno Unito (agente R.R.L. Purse) e portoghese (ag. Fernandes e Fl:!_lcao De Campos) e .Commissione delle C. E. (ag. Marenco e Van Rijn). Comunit europee -Ravvicinamento delle legislazioni -Prevenzione e smaltimento dei rifiuti Sacchetti di plastica. (Direttive CEE del Consiglio 15 luglio 1975, n. 75/442, 6 aprile 1976, n. 76/403, 20 mar zo 1978, n. 78/319). 1. -La direttiva n. 75/442 va interpretata nel senso che essa non conferisce ai singoli il diritto di vendere o di utilizzare sacchetti di plastica e altri contenitori non biodegradabili, 2. -L'art. 3, paragrafo 2, della direttiva stessa va interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri l'obbligo di informare la Commissione di un progetto di normativa quale quello contestato nel procedimento nazionale (provvedimento del Sindaco di un comune che limita la vendita e l'uso dei prodotti suddetti), previamente alla sua adozione definitiva. 3. La norma medesima va irJ.terpretata nel senso che non conferisce ai singoli alcun diritto che essi possano far valere dinanzi ai giudici nazionali al fine di ottenere l'annullamento o la disapplicazione di una normativa nazionale PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITAltIA B INTERNAZIONALB 133 rientrante nel campo di applicazione di questa disposizione, in quanto tale normativa stata adottata senza che la Commissione della C. E. ne fosse stata previamente informata (1). (Omissis) 1. -Con ordinanza del 23 novembre 1987, pervenuta alla Corte il 21 dicembre successivo, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, ha posto diverse questioni pregiudiziali relative all'in'terpretazione della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, n. 75/442, relativa ai rifiuti (G. U. n. L 194, pag. 47), della direttiva del Consiglio 6 aprile 1976, n. 76/403, concernente lo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili (G. U. n. L 108, pag. 41) e della direttiva del Consiglio 20 marzo 1978, n. 78/319, relativa ai rifiuti tossici e nocivi (G.U. n. L 84, pag. 43), nonch sulla determinazione dei principi che vanno applicati al risarcimento del danno causato da un atto amministrativo contrastante con il diritto comunitario. 2. -Queste questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia che oppone diversi produttori di contenitori, imballaggi e sacchetti di plastica al Comune di Cinisello Balsamo, con riferimento al provvedimento del sindaco del Comune stesso del 16 febbraio 1987, col quale si vietava, a decorrere dal 1 settembre 1987, la fornitura ai consumatori, per l'asporto delle merci acquistate, di sacchetti e di altri contenitori non biodegradabili nonch la vendita o la diffusione di sacchetti di plastica, fatta eccezione per quelli destinati al conferimento di rifiuti. 3. -La societ Enichem Base, Montedipe, Solvay, S.I.P.A. Industriale, Altene, Neophane e Polyflex Italiana (nel prosieguo: le ricorrenti nel procedimento nazionale) hanno proposto, dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, un ricorso diretto all'annullamento del citato provvedimento. Esse hanno anche chiesto la sospensione dell'esecuzione. Dato che le ricorrenti nel giudizio nazionale avevano addotto a sostegno dei ricorsi l'incompatibilit del provvedimento contestato con il ,diritto comunitario, il giudice nazionale ha sospeso la decisione e ha sottoposto alla Corte le quattro questioni pregiudiziali seguenti: 1. dica la Corte di giustizia se le direttive CEE del Consiglio n. 75/442, del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti; n. 78/319 del 20 marzo 1978, relativa ai rifiuti tossici e nocivi e n. 76/403 del 6 aprile 1976, concernente lo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili attri( 1) Soluzioni conformi a quelle proposte dalla difesa del Governo italiaoo. li RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO buiscano ai singoli cittadini della CEE il diritto soggettivo ollJ.unitario che i Giudici nazionali debbono tutelare anche nei confronti degli Stati membri (e che quindi gli Stati membri non possono limitareY di vendere o di usare i prodotti presi in considerazione dalle predette direttive, dato che queste (direttive) hanno previsto il principio dell'osservanza di specifiche regole per il relativo smaltimento, non il divieto di vendita o di uso dei prodotti in esame. 2. dica la Corte di giustizia se: a) dalle direttive comunitarie indicate sopra o comunque dal diritto comunitario, si ricavi il principio per cui qualsiasi progetto di regolamento o di atto normativo, generale (relativo all'impiego, alla vendita o all'uso dei prodotti de quibus) che possa causare difficolt tecniche di smaltimento o comportare costi di smaltimento eccessivi, debba essere portato in tempo utile a conoscenza della Commissione; b) se l'obbligo sub a) sia posto a carico dello Stato e dei Comuni i quali, pertanto, non avrebbero il potere di disporre in merito all'impiego, alla vendita o all'uso di prodotti diversi da quelli che la direttiva CEE n. 76/403 ha inserito nell'elenco tassativo dei prodotti ritenuti nocivi, in assenza della previa verificazione comunitaria che la misura non crei disuguaglianze nelle condizioni di concorrenza. 3. Dica la Corte di giustizia (tenuto presente il primo ' considerando ' delle tre direttive indicate nella prima ' questione ' e soprattutto la parte in cui si afferma che una disparit fra le disposizioni in applicazione o in preparazione nei vari Stati membri per lo smaltimento dei prodotti considerati pu creare disuguaglianza nelle condizioni di concorrenza ed avere perci un'incidenza diretta sul funzionamento del mercato comune) se: a) questo considerando e, comunque, le tre direttive citate, prevedano il diritto soggettivo comunitario in capo ai cittadini della CEE -con relativo vincolo per tutti gli Stati membri -per cui qualsiasi progetto di regolamento relativo all'impiego dei prodotti in esame, quando possa causare difficolt tecniche di smaltimento o comportare costi di smaltimento eccessivi debba essere portato a previa conoscenza in tempo utile della Commissione (art. 3, n. 2, direttiva n. 75/442); b) se il diritto soggettivo sub a) (relativo all'obbligo di portare alla previa conoscenza della Commissione CEE qualsiasi progetto di regolomento ecc., come sub a)) -ove es1stente -concerna anche gli atti generali che siano emessi dai Comuni e che, quindi, abbiano efficacia territoriale limitata. 4. si chiede alla Corte di giustizia di precisare se -in base al diritto comunitario -la Pubblica Amministrazione sia tenuta al risar PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE cimento del danno quando essa, con un suo atto amministrativo illegit-. timo, produca la lesione (illegittima) di un diritto soggettivo comunitario, il quale dopo il suo trasferimento nell'ordinamento giuridico italiano pur mantenendo il suo carattere comunitario -si presenti come interesse legittimo . 4. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti, dello svolgimento del procedimento nonch delle osservazioni scritte presentate dinanzi alla Corte, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo neHa misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. 5. -Va rilevato in via preliminare che, secondo l'ordinanza di rinvio, la controversia nel giudizio nazionale riguarda prodotti che non rientrano nel campo di applicazione delle citate direttive nn. 76/403 e 78/319. Infatti, i sacchetti di plastica non contengono n policlorodifenile n policlorotrifenile e non costituiscono, di per s, rifiuti tossici o nocivi. Di conseguenza, le questioni pregiudiziali vanno esaminate con riferimento alla 'sola direttiva del Consiglio n. 75/442. Sulla prima questione. 6. -La prima questione va compresa come diretta in sostanza a stabilire se la direttiva n. 75/442 conferisca ai singoli il diritto di vendere o di utilizzare sacchetti di plastica o altri contenitori non biodegradabili. 7. -Va ricordato che la direttiva n. 75/442 ha ad oggetto il riavvicinamento delle norme dei diversi Stati membri riguardo allo smaltimento dei rifiuti al fine, in primo luogo, di evitare gli ostacoli agli scambi comunitari e la disuguaglianza nelle condizioni di concorrenza risultante dalla loro disparit e, in secondo luogo, di contribuire a realizzare gli obiettivi della Comunit nel settore della protezione della salute e dell'ambiente. In essa non si vieta la vendita o l'utilizzazione di qualsivoglia prodotto, ma da ci non pu dedursi che essa osti a che gli Stati membri possano formulare tali divieli al fine della tutela dell'ambiente. 8. -Una diversa interpretazione non troverebbe fondamento nella lettera della direttiva e sarebbe d'altra parte in contrasto con gli obiettivi di essa. Infatti, risulta dall'art. 3 della direttiva che questa diretta, tra l'altro a favorire le misure nazionali atte a prevenire la formazione di rifiuti. Orbene, la limitazione o il divieto di vendita o di utilizzazione di prodotti quali i contenitori non biodegradabili sono idonei a contribuire a tale obiettivo. 136 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 9. -Le ricorrenti nel procedimento nazionale hanno sostenuto anche che un divieto assoluto di messa in commercio dei prodotti di cui trattasi costituisce un ostacolo agli scambi il quale non pu essere giustificato dalle esigenze della tutela dell'ambiente ed pertanto incompatibile con l'art. 30 del Trattato CEE. 10. -Va tuttavia constatato che il giudice nazionale non ha posto alcuna questione relativa all'art. 30 del Trattato e che, di conseguenza, non occorre interpretare questa norma. 11. -La prima questione va quindi risolta affermando che la direttiva n. 75/442 va interpretata nel senso che essa non conferisce ai singoli il diritto di vendere o di utilizzare sacchetti di plastica e altri contenitori non biodegradabili. Sulla seconda questione. 12. -La seconda questione diretta in sostanza a stabilire se l'art. 3, paragrafo 2, della direttiva n. 75/442 imponga agli Stati membri l'obbligo di comunicare alla Commissione ogni progetto di normativa, quale quella contestata .el procedimento nazionale, previamente alla sua definitiva adozione. 13. -A tal proposito, stato sostenuto che la normativa di cui trattasi non rientra nel campo di applicazione dell'art. 3 della direttiva in quanto essa non concerne prodotti il cui smaltimento pu causare difficolt tecniche o costi eccessivi. 14. -:e sufficiente constatare a tal proposito che l'art. 3, paragrafo 2, della direttiva n. 75/442 impone agli Stati membri l'obbligo di informare in tempo utile la Commissione non soltanto dei progetti di normativa riguardanti in particolare l'impiego dei prodotti che possono causare difficolt tecniche di smaltimento o comportare costi di smaltimento eccessivi, ma anche, mediante il riferimento al paragrafo 1, di ogni progetto di normativa diretto a promuovere in particolare la prevenzione, il riciclo e la trasformazione dei rifiuti. 15. -Di conseguenza, anche se l'asserzione secondo cui i prodotti contemplati dalla normativa controversa non possono causare difficolt tecniche di smaltimento o costi di smaltimento eccessivi si rileva esatta, non ne consegue tuttavia ohe un siffatto progetto di normativa sia sottratto al campo di applicazione dell'art. 3, paragrafo 2, della direttiva. 16. -:e stato inoltre sostenuto all'udienza che l'obbligo di previa informazione di cui all'art. 3, paragrafo 2, della direttiva, riguarda sol PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE tanto i provvedimenti di una certa importanza e che esso non pu comprendere provvedimenti di portata pratica estremamente limitata, quali quelli adottati da un Comune di dimensioni ridotte. La comunicazione di un tale progetto alla Commissione si rivelerebbe impraticabile. 17. -A tal proposito, sufficiente constatare che la direttiva non prevede alcuna deroga o limitazione per quanto riguarda l'obbligo di comunicazione dei progetti contemplati all'art. 3. Di conseguenza, questo obbligo si estende ai progetti di normativa formulati da tutte le autorit degli Stati membri, compresi gli enti territoriali quali i Comuni. 18. -La seconda questione va quindi risolta affermando che l'art. 3, paragrafo 2, della direttiva n. 75/442 va interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri l'obbligo di comunicare alla Commissione uri progetto di normativa quale quello contestato nel procedimento nazionale, prima della sua adozione definitiva. Sulla terza questione. 19. -La terza questione diretta a stabilire se l'art. 3, paragrafo 2, della direttiva n. 75)442 conferisca ai singoli un diritto che essi possono far valere dinanzi ai giudici nazionali al fine di ottenere l'annullamento o la disapplicazione di una normativa nazionale rientrante nel campo d'applicazione di questa norma, in quanto tale normativa sarebbe stata adottata senza che la Commissione delle Comunit Europee ne fosse stata previamente informata. 20. -Va cnstatato a tal proposito che il citato art. 3, paragrafo 2, si limita a imporre agli Stati membri l'obbligo di informare in tempo utile la Commissione dei progetti di normativa che esso intende adottare senza stabilire una procedura di controllo comunitaria di questi progetti e senza subordinare l'entrata in vigore delle normative progettate all'accordo o alla mancata opposizione della Commissione. 21. -L'obbligo imposto agli Stati membri col citato art. 3, paragrafo 2, diretto a consentire alla Commissione di essere informata dei provvedimenti nazionali progettati nel settore dello smaltimento dei rifiuti al fine di poter valutare la necessit di adottare provvedimenti comunitari di armonizzazione nonch di esaminare se i progetti ad essa sottoposti siano o meno compatibili con il diritto comunitario e di trarne eventualmente le relative conseguenze. 22. -N il testo n la finalit della disposizione in esame consentono quindi di ritenere che dal mancato rispetto dell'obbligo di previa 138 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II comunicazione imposto agli Stati membri derivi di per s l'illegittimit delle normative in tal modo adottate. 23. -Deriva da quanto precede che la menzionata disposizione riguarJ i i f.' k' da le relazioni tra gli Stati membri e la Commissione, ma che essa non attribuisce invece ai singoli alcun diritto atto ad essere leso in caso di violazione, da parte di uno Stato membro, dell'obbligo di previa comunicazione alla Commissione dei suoi progetti di normativa. 24. -La terza questione va quindi risolta affermando che l'art. 3, paragrafo 2, della direttiva n. 75/442 va interpretato nel senso che esso non conferisce ai singoli alcun diritto che essi possano far valere dinanzi ai giudici nazionali al fine di ottenere l'annullamento o la disapplicazione di una normativa nazionale rientrante nel campo d'applicazione di questa disposizione, in quanto tale normativa stata adottata senza che la Commissione delle Comunit Europee ne fosse stata previame:p.te informata. Sulla quarta questione. 25. -Vista la soluzione adottata nelle tre prime questioni, non necessario decidere sulla quarta questione pregiudiziale. (omissis) OORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE, Sed. plen., 14 novembre 1989, nella causa 14/88 -Pres. Due -Avv. Gen. Van Gerven -Repubblica italiana (avv. Stato Fiumara) c. Commissione delle C.E. (ag. Toledano, avv. Capelli). Comunit europee -Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (F.E.O.G.A.) -Liquidazione dei conti -Aiuti alle organizzazioni di produttori di ortofrutticoli -Termini di pagamento -Ragionevolezza. (Reg. CEE del Consiglio 18 maggio 1972, n: 1035, art. 14). La Commissione delle Comunit europee ha il potere di precisare, fissando un termine di pagamento ragionevole e non arbitrario, la portata di una norma di carattere generale, come l'art. 14, n. 1, del reg. CEE del Consiglio 18 maggio 1972, n. 1035, al fine di conservare agli aiuti alle organizzazioni .di produttori di ortofrutticoli ivi contemplati la loro finalit. Tale potere deve essere esercitato attraverso istruzioni generali le quali, stabilite previa consultazione degli Stati interessati, deb bono essere loro tempestivamente comunicate. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 14 gennaio 1988, la Repubblica italiana ha chiesto, ex art. 173, 1 comma, del Trattato CEE, l'annullamento parziale della decisione della Commissione 5 novembre 1987, n. C (87) 2027, relativa al rimborso alla Repubblica italiana, da parte del Fondo europeo agricolo d'orientamento e di garanzia (in prosieguo: FEAOG), sezione orientamento, degli aiuti concessi alle organizzazioni di produttori di ortofrutticoli per l'anno 1984, nella parte in cui ha fissato in 700.924.832 lire il contributo per tali aiuti della sezione orientamento del FEAOG, mentre la Repubblica italiana aveva presentato domanda di rimborso per 2.935.382.400 lire. 2. -Il regolamento del Consiglio 18 maggio 1972, n. 1035, relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli (G. U. n. L 118, pag. 1), prevede all'art. 13 la costituzione, per iniziativa dei produttori di ortofrutticoli, di organizzazioni di produttori, allo scopo di agevolare la realizzazione degli obiettivi dell'organizzazione comune dei mercati. 3. -Ai sensi dell'art. 14, n. l, di detto regolamento, gli Stati membri possono accordare alle organizzazioni di produttori, nei tre anni successivi alla data della loro costituzione, aiuti destinati ad incoraggiarne la costituzione e ad agevola.me il funzionamento, purch tali organizzazioni offrano una garanzia sufficiente quanto alla durata ed efficacia della loro azione . L'art. 36, n. 2, del medesimo regolamento dispone che gli aiuti concessi dagli Stati membri conformemente all'art. 14, n. 1, sono rimborsati dal FEAOG, sezione orientamento, fino a concorrenza del 50 % del loro importo . Le decisioni sulle domande di rimborso sono prese dalla Commissione previa consultazione del Comitato del Fondo. 4. -Avendo constatato ritardi nel rispetto di detto termine triennale, con documento 13 dicembre 1977 la Commissione ha ricordato agli Stati membri che, ai fini del rimborso da parte del FEAOG, la domanda di aiuti, la concessione nonch il versamento di questi da parte dello Stato membro dovevano intervenire nel corso dei tre anni che seguono la costituzione di un'organizzazione, per salvaguardare la loro finalit di aiuti di avviamento. Tuttavia, onde tener conto delle difficolt incontrate, segnatamente dall'Italia, per l'osservanza di detto termine, con nota 30 luglio 1980 la Commissione ha accettato di considerare come dies a quo la data di riconoscimento dell'organizzazione dei produttori, precisando che a partire dal 1981 i rimborsi sarebbero stati ammessi solo a condizione che nel corso dei tre anni successivi alla data di costituzione dell'organizzazione avessero avuto luogo la concessione e il pagamento 140 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA. DELLO STATO ldegli aiuti per i primi due anni di funzionamento e che la concessione e ; il pagamento di questi per il terzo anno di funzionamento fossero avveI f. nuti entro e non oltre il quarto anno dalla data di costituzione. J i 5. -Avendo versato nel 1984 un importo di 5.870.764.800 lire a titolo t ! di aiuti ex art. 14, n. 1, la Repubblica italiana ha chiesto alla Commis1 sione, il 12 dicembre 1985, il rimborso del 50 % di detto importo. Con la 1 decisione impugnata la Commissione ha accettato di porre a carico del FEAOG solo l'importo di 700.924.892 lire, avendo constatato l'inosservanza I da parte delle autorit italiane dei termini indicati nella nota 30 luglio I 1980, in 27 su 32 casi di aiuti versati. I 6. -Prima della decisione controversa, la Commissione aveva confermato la propria posizione al Governo italiano, con note in data 20 marzo e 17 luglio 1987, e cio che i termini indicati nella nota 30 luglio 1980, I pur non espressamente previsti dal regolamento n. 1035/72, trovavano fondamento nell'art. 14, n. 1, ai sensi del quale gli aiuti alle organizzazioni 1 I e di produttori sono destinati ad incoraggiarne la costituzione e ad agevolarne il funzionamento, di guisa che un aiuto pagato dopo quattro I anni non potrebbe pi costituire un aiuto di avviamento. 7. -Per una pi ampia illustrazione degli antefatti della controversia, dello svolgimento del procedimento nonch dei mezzi e degli argoi t'menti delle parti, si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi I del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla com .~ prensione del ragionamento della Corte. 8. -In via principale, il Governo italiano deduce tre motivi di I ricorso: 1) difetto di motivazione della decisione impugnata, 2) violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 36 del regolamento n. 1035/72 e 3) eccesso di potere, in cui sarebbe incorsa la Commissione esercitando, nel I fissare il termine di pagamento, un potere non attribuitole da alcuna norma del regolamento ed il cui fondamento essa ha tratto dall'errata interpretazione dell'art. 14, n. 1. Essendo in gran parte analoghi, il secondo e il terzo motivo verranno esaminati congiuntamente. 9. -Come motivo in subordine, il Governo italiano deduce inoltre che, anche se validamente apposto, il termine di pagamento degli aiuti stabilito dalla decisione impugnata avrebbe dovuto decorrere tuttavia dal riconoscimento delle organizzazioni e non dalla loro costituzione. Sul motivo relativo al difetto di motivazione. 10. -Il Governo italiano fa valere che la decisione impugnata, ove non si menziona neppure l'importo del rimborso richiesto, non suffi. cientemente motivata poich non precisa le ragioni per le quali stato PARm I, SBZ. I~, GIURIS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 141 concesso un rimborso inferiore a quello reclamato. In proposito esso ldosi cli ritiene che, sebbene il penultimo ' considerando ' della decisione precisi ilusa la che l'importo a carico del FEAOG stato determinato secondo i criteri t:be Un comunicati alle autorit italiane con la nota della Commissione 17 luglio .'abilite 1987, una motivazione 'per relationem' non sarebbe sufficiente nella ~stiva. fattispecie. l>ecie 11. -Si deve ricordare al riguardo che la Corte ha gi affermato ' atti , (vedasi sentenza 27 gennaio 1981, Repubblica italiana c/ Commissione, 1251/79, Racc. pag. 205 e, da ultimo, sentenza 24 marzo 1988, Regno Unito e/ Commissione, 247/85, non ancora pubblicata nella Raccolta) che le decisioni di liquidazione dei conti non esigono una motivazione dettagliata qualora il Governo interessato sia stato strettamente associato al procedimento di elaborazione della decisione e conosca quindi i motivi per cui la Commissione ritiene non dover imputare al FEAOG la somma controversa. 12. -Nel caso di specie, va rilevato che il penultimo 'considerando' della decisione impugnata si 'richiama alla nota 17 luglio 1987, ove la Commissione ha ribadito la propria posizione sul termine di pagamento gi espressa in una nota del 30 luglio 1980. Come risulta dagli atti di causa, detta nota conclude un fitto carteggio su tale soggetto, intercorso fra le parti per oltre sette anni. pertanto pacifico che, essendo stato strettamente associato al procedimento di elaborazione della decisione impugnata, il Governo italiano a conoscenza dei motivi per cui la Commissione ritiene di non dover imputare al FEAOG l'importo controverso. 13. -Ci considerato, il motivo relativo all'insufficienza di motivazione dev'essere respinto. Sui motivi relativi alla violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 36 del regolamento n. 1035/72. 14. -Il Governo italiano avanza al riguardo una duplice argomenta zione. Innanzitutto, esso afferma che l'art. 14 non impone alcun termine per il pagamento dell'aiuto. Il periodo triennale ivi menzionato varrebbe solo come riferimento per la determinazione dell'ammontare del contri buto. In secondo luogo, esso desume che, pur essendo opportuno che il pagamento sia effettuato il pi rapidamente possibile per agevolare l'esi stenza dell'organizzazione nella fase iniziale, ci non significa che debba avvenire entro un termine di tre anni, essendo idoneo a raggiungere lo scopo della regolamentazione comunitaria anche un pagamento sue cessivo. 15. -La Commissione ribatte di essersi sempre fondata sulla necessit di rispettare il termine triennale, non perch si tratti di un ter 144 RASSEGNA DEll.'AVVOC:ATURA DELLO STATO alle varie formalit amministrative preliminari al pagamento dell'aiuto, termine che costituisce in ogni caso un termine ragionevole. 24. -Resta ancora da esaminare l'argomento del Governo italiano secondo il quale, anche ammettendo l'esistenza di un termine perentorio, taluni ritardi nel pagamento degli aiuti erano dovuti ad un'indagine conoscitiva della Commissione o a successivi controlli, decisi dalle autorit italiane sulla base dei risultati di detta indagine, al fine di verificare se le organizzazioni fossero conformi ai requisiti indicati dall'art. 14, n. 1. 25. -L'argomento non pu essere accolto. Per quel che riguarda l'indagine della Commissione che si chiusa nel 1981, il Governo italiano non stato in grado di produrre, nemmeno a seguito di un quesito specifico postogli dalla Corte, elementi probatori dell'esistenza di un qualsivoglia nesso di causalit fra i ritardi neI pagamento degli aiuti e le indagini di cui sopra. Quanto alle verifiche operate dalle autorit ita liane, va ricordato che in sentenza 28 gennaio 1986 (Repubblica italiana c/ Commissione, 129/87, Racc. pag. 309), la Corte ha gi affermato che una decisione governativa di procedere ad un formale riconoscimento di diritto interno delle organizzazioni interessate, da parte delle autorit nazionali, mediante iscrizione delle organizzazioni riconosciute in un re gistro, non poteva influire sull'applicazione del diritto comunitario. Per tanto, non possono essere presi in considerazione gli eventuali ritardi imputabili a verifiche relative alle condizioni nazionali di riconoscimento. 26. -Ugualmente, non potrebbe essere accolto l'ultimo argomento avanzato dal Governo italiano, secondo il quale i ritardi nell'erogazione degli aiuti si spiegherebbero con le difficolt di pagamento sopraggiunte a causa di indisponibilit dei fondi. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, uno Stato membro non pu invocare norme, prassi o situazioni dell'ordinamento nazionale per giustificare l'inosservanza degli obblighi e dei termini stabiliti dal diritto comunitario. 27. -Ne consegue che i motivi di violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 36 del regolamento n. 1035/72 debbono essere respinti. Sul motivo invocato in subordine. 28. -Il Governo italiano sostiene infine che, quand'anche fosse legittimo il termine di pagamento degli aiuti imposto dalla decisione impugnata, nondimeno esso dovrebbe decorrere dalla data di riconoscimento delle organizzazioni e non da quella di costituzione, dato il legittimo affidamento che la Commissione avrebbe determinato nel Governo itaI li liano con la nota 30 luglio 1980. Esso sottolinea che se la Commissione avesse considerato la data del riconoscimento, l'importo da rimborsare avrebbe dovuto essere aumentato di 158.524.000 lire. PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA B INTBRNAZIONALB 29. -Rispondendo ad un quesito deUa Corte su tale punto, la Commissione ha riconosciuto la fondatezza di detto motivo e con lettera 14 giugno 1988 ha confermato che, previo esame della documentazione ricevuta dalle autorit italiane, era pronta a versare la somma di 158524.650 lire. 30. -Ci considerato, e avuto riguardo al legittimo affidamento ragionevolmente invocabile dal Governo italiano a seguito della posizione assunta dalla Commissione nella nota 30 luglio 1980, il motivo dedotto in subordine deve essere accolto. 31. -Risulta da quanto precede che la decisione impugnata va annullata nella parte in cui non ha posto a carico del FEAOG, sezione orientamento, l'importo di 158.524.650 lire a titolo di aiuti concessi alle organizzazioni di produttori di ortofrutticoli. (omissis) , .. SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 marzo 1988, n. 2578 -Pres. Bran:' caccio -Rel. Pontrandolfii -P. M. Caristo (conf.). -Colantuono (avv. Fiore) c. Ente F. S. (avv. Stato Stipo). Trasporti pubblici -Ferrovie -Controversie relative a rapporto di lavoro in corso di formazione -Giurisdizione del giudice ordinario. Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie relative a un rapporto di lavoro in corso di formazione alla data di entrata in vigore della legge 17 maggio 1985, n. 210 istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato (1). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 19 dicembre 1988, n. 6908 -Pres. Zucconi Galli Fonseca -Rel. Pontrandolfi -P.G. Caristo (conf.) -Ente Ferrovie Stato (avv. Stato Stipo) c. Pelagatti (avv. Cossu). Trasporti pubblici -Ferrovie -Controversie di lavoro -Provvedimento emanato nei riguardi del dipendente per esigenze di servizio e tutela di interessi generali -Giurisdizione del giudice ordinario. Con l'entrata in vigore della lf!gge 17 maggio 1985 n. 210 sussiste la giurisdizione ordinaria per tutte le controversie concernenti rapporti di impiego dei ferrovieri ancora a quella data in atto; la circostanza che determinati comportamenti di un ente pubblico economico, nell'ambito (1-2) Le Sezioni Unite, con le sentenze in rassegna, danno per scontata la natura di ente. pubblico economico dell'Ente Ferrovie dello Stato ed applicano la giurisprudenza intervenuta riguardo tali enti. Considerato che in dottrina controverso che la legge 17 maggio 1985 n. 210 istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, abbia voluto creare un ente pubblico economico, sarebbe stato opportuno che le Sezioni Unite affrontassero ex professo il problema e motivassero il proprio orientamento. La natura di ente pubblico non economico sostenuta da SPAGNUOLO VIGORITA (in Rass. Giur. ENEL 1986, V, 1), mentre invece la natura di ente pubblico ecof PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 147 della gestione del rapporto di lavoro con i propri dipendenti siano caratterizzati da meccanismi decisionali con margine di discrezionalit non osta a che il .giudice ordinario sia competente a sindacare la legittimit di tali .atti e comportamenti, giacch le particolari esigenze del servizio e di tutela dell'interesse generale non riguardano affatto il problema della giurisdizione, ma toccano l'individuazione concreta della norma da applicare alla fattispecie (2). I (omissis) La questione della giurisdizione va, per riconsiderata nella fattispecie alla luce della L. 17 maggio 1985, n. 210, istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, Ente, che ha, a norma del 2 comma dell'art. 1, personalit giuridica ed autonomia patrimoniale, contabile e finanziaria, ai sensi dell'art. 2093, 2 comma, e.e. (in tema di imprese esercitate da enti pubblici) e che, a norma del 3 comma dello stesso articolo, succede in tutti i rapporti attivi e passivi -beni, partecipazioni, gestioni speciali -gi di pertinenza dell'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato , Tale legge, costituente ius superveruiens di immediata applicazione anche in tema di competenza giurisdizionale, stabilisce, all'art. 23, nomico sostenuta da PEYRON, Il rapporto di lavoro del personale dell'ente Ferrovie dello Stato, in Foro It. 1986, V, 157; ALBENZIO, La natura del nuovo Ente Ferrovie dello Stato, ivi, 164; FUSARO, Il nuovo Ente Ferrovie dello Stato e l'applicazione del principio della proporzionale etnica, in Cons. Stato 1986, II, 153. La Corte dei conti ha ritenuto la propria giurisdizione in punto di responsabilit amministrativa dei dipendenti dell'Ente (C. Conti 27 novembre 1987 n. 534). Nessun accenno viene poi fatto alla sentenza delle stesse Sezioni Unite 2 novembre 1979 n. 5688, in Giust. Civ. 1980, I, 357, che, giudicando in materia di giurisdizione riguardo il personale degli enti pubblici economici, avevano posto in ev.idenza la particolarit del servizio di trasporto pubblico sia in ordine ai poteri disciplinari ed in genere a tutti quelli connessi all'esercizio. Non sembra sia possibile giudicare in ordine alle mansioni relative all'esercizio ferroviario alla stregua delle regole generali della correttezza e buona fede fissate dagli artt. 1175 e 1375 cod. civ., in quanto adibire un ferroviere ad una mansione piuttosto che ad altra obbedisce a superiori interessi di ordine generale relativi alla sicurezza ed incolumit, di fronte ai quali debbono cedere gli interessi individuali e patrimoniali privati. Quando l'Ente ferroviario giudica sull'assunzione di un ferroviere ha di mira l'interesse pubblico alla sicurezza e regolarit del servizio di pubblico trasporto e non gi l'interesse imprenditoriale. Tanto vero che l'art. 14 della citata legge n. 210/1985 sottrae alla contrattazione collettiva le modalit di reclutamento del personale stabile che deve sempre avvenire mediante procedure concorsuali pubbliche consistenti in una valutazione obiettiva del merito dei candidati accertato con prove selettive o anche per mezzo di corsi selettivi di reclutamento e formazione a contenuto 148 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che le conrt:rm.'.ersie di lavoro relative al personale dipendente dall'Ente Ferrnvie dello Stato sono dJi competenza del pretore del luogo ove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie , Trattasi, quindi, cLi attribuzione della giurisdizione .al giiudice ordinario per le controversie 'di lavoro, giudice che individuato (in primo grado) nel pretove competente secondo il foro erariale. /' Ci conseguenza della privatizzazione del rapporto di lavoro del personale ferroviario, attuata dall'art. 21 de11a legge, che stabilisce che hl rapporto di lavoro del personale dipendente dall'Ente FerrovJe dello Stato regolato su base contrattuale coll!ettiva ed individuale . In mancamJa di apposite norme di diritto transitorio, devesi ritenere che, per le controvers~e relative a rapporti dJi lavoro sorti in origine con l'Azienda Autonoma e ancora in corso di svolgimento alla data di entrata in vigove della legge n. 210/1985, o relative a rapporti in formazione con la stessa Azienda e non ancora definiti alla stessa data (come nella fattispecie), o relative a irapporti di lavoro la cui cessazione costituisca materia del contendere per la pretesa del lavoratore, nei confronti dell'Ente Ferrovie dello Stato, di ottenerne il ripristino per la dedotta illegittimit dell'atto es.tintivo, sussista la giurisdizione del giudice OI'dinario e che permanga, invece, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie re1ative a rapporti di lavoro tecnico pratico, intesi a conferire il grado di professionalit necessario alla qualifica cui si riferiscono ,., nonch " i criteri e le modalit per l'accertamento ed il controllo dell'idoneit fisica e psicoattitudinale dei candidati all'assunzione e dei ferrovieri in servi:llio, da parte del servizio sanitario aziendale, ed ancora il successivo art. 24 ribadisce che "il servizio sanitario, gi appartenente alla Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, continua ad esercitare il controllo sul personale e sull'ambiente di lavoro conformemente al disposto dell'art. 6 della legge 23 dicembre 1978 n. 833 . Ora, nelle materie sottratte alla contrattazione collettiva (ci vale principalmente per quanto riguarda la prima delle due sentenze !in rassegna), si pone il problema se i giudizi e le valutazioni degli organi dell'Ente (ma il servizio sanitario tale non pu pi ritenersi in quanto il citato art. 24 intende sistemarlo nell'ambito del Ministero dei Trasporti) siano sindacabili da parte del giudice ordinario. Qualora si discuta della violazione di una norma di legge (ripetesi, si in tema di materie sottratte alla contrattazione collettiva), nessun dubbio pu sus sistere in merito al sindacato del giudice ordinario. Ma se viene contestata la valutazione discrezionale in ordine alle capacit, attitudine ad espletare un determinato servizio, il sindacato non pu che ri guardare un vizio di eccesso di potere, ma non sembra ipotizzabile che il giu dice si sostituisca all'Amministrazione nella scelta di merito. E poich di fronte all'atto viziato da eccesso di potere, la posizione del privato di interesse legittimo, la tutela non pu che spettare al giudice am ministrativo. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONB 149 con la soppressa Azienda Autonoma gi cessati alla data di entrata in vigore de11a nuova legge (conccwdano in questo senso queste Sezioni Unite e il Consiglio di Stato: Cass. civ., Sez. Un., 234-1987, n. 3945; Cons. Stato, Sez. VI, 29-11-1985, n. 628, in Foro Amm., 1985, 2256; Cons. Stato, Sez. VI, 5-12-1985, n. 645, in Foro H., 1986, III, 285; Cons. Stato, Sez. VI, 5-3-1986, n. 239, in Foro It., 1986, III, 331). Ne1la specie, si verte in un rapporto di lavoro in corso di forma: llione. Infatti, in esito alla graduatoria di concorso indetto dalla cessata Azienda Autonoma per l'assunzione di incaricati a11'espletamento dei servizi di custodia e di vigilanza di passaggi a livello, il Colantuono venne assegnato in vii:a provvisoria al servdzio per un periodo di tirocinio, in attesa dei debiti accertamenti e della stirpulazione della convenzione, ma poi il provvedimento di utitizZJazione provviisoria venne annullato con atto de1l'Amminist11azione confiermato, su ricorso gerarchico del Co1amtuono, dal Mirastero dei Trasporti. Suocessivamente, !iJ. provwcLimento di annullamento, impugnato dal Colantuono davanti al TAR, venne sospeso in via cautelativa, onde il rapporto si fiinora protratto nella configurazione di utilizzazione pro'V'Visoria (v. per un analogo caso di sopravvenuto diretto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine al rico11so proposto dal vincitore di un concorso a posti di capostazione indetto dal Ministro dei T.rasporti, dichiarato fiisicamente inidoneo dal servi2lio sanitario delle Ferrovie dello Stato, contro hl provvedimento di decadenza dalla nomina in prmna: Cons. Stato, Sez. VI 5-3-1986, n. 240, in Foro It., 1986, III, 331). Per le consi1derazion[ che precedono, va dichiarata, la giur~sdizione del giudice 011dinario. (omissis). II (omissis) La pronuncia di queste Sezioni unite va limitata alla censura concernente la giurisdizione contenuta nel primo motivo di ricorso e per la quale la causa stata ad esse assegnata, avendo il pubblico ministero d'~ruenZJa espressamente richiesto l'applicazione dell'art. 142 delle disposi:llioni di attuazione del c.p.c. Con il detto motivo, denunciando violazione ru norme di legge (art. 103 Cost.; a:ritt. 2, 3, 4 e 5 della L. 20 marzo 1865,n. 2248, All. E; artt. l, 2, 14, 21, 22 e 23 della L. 17-5-1985, n. 210) nonch omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il tutto rin I1elazione all'art. 360, pp., nn. l, 3 e 5 c.p.c., l'Ente mco:nrente sostiene che con la citata legge n. 210 del 1985 esso stato istituito con rpe11sonalit giuridica ed autonomfa patrimomale, contabile e finanziaria, ad sensi de1l'art. 2093, 2 comma, del codice civile e gli stato affidato l'esei:iciZJio di un pubbLico servii.zio di primaria importanza, per cui, nella disciplina del rapporto di lavoro con 150 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO i dipendenti, non pu xiavviisarsi U1I1a sitUMione di omogeneit con la disciplina applicabile ai dipendenti degli enti pubblici economici, in quanto il settore dei trasporti pubblici comporta particolari fol1Jlle di ingerenza di carattere amministrativo nel funzionamento delle aziende. Ci impone -secondo il ricorrente -che l'assegnazione dei compiti di lavoro non possa prescindere dall'attivit che la legge ha riservato .all'ente quale pubblica a.mministraz.ione cui non pu sostiturirsi il giudice. A fronte di questa attivit, che si concretizza in atti aimmini stxiativi diretti unicamente aiJ. filne di realizzare initeressi di carattere ge. nerale, sono configurabili non diritti soggettivi (nella specie, il diritto del ferroviere alla sede o ad un wfficio della stessa sede), ma soltanto interessi legittimi, devoluti a:11a giurisdizione del giudice ammin.istrativ; o, essendo Limitarta alJe controvoosie relative a diritti soggettivi la giurisdizione del giudice ordinario prevista dall'art. 23 della legge n. 210 del 1985 per le controversiie relative al :mpportO dli lavoro dei d:iipendenti de1l'Ente Fe11rov.ie dello Stato. I Secondo il ricoI1l'ente, la tutela in materia di trasferimento e di assegnazi0111i de11e mansioni al pe11sonale ferroviari.o rientrerebbe nella giunisdizione del giudice amrnlil!istmti.vo pur dopo l'entrata in vii.gore della legge n. 210 del 1985 -il oui art. 23 attri.buisce la competenza per 1e controversie di lavoro relative al personale dipendente del nuovo Ente Ferrovie dello Stato a:l. pretore del lavoro e, quindi, implicitamente attribudsce la giw::sdizione al giudice 011diinario -poich, atteso il filne pubblicistico che contraddistingue l'attivit procedimentale e valutativa dell'ente pubblico, non confilgurabille in capo al ferroviere Ulil diiritto soggettivo alla sede o a11'.ufficio, ma un semipliice interesse legittimo a:1la regolm;it dell' iter ammi:nistrativo prevd:srto, tute1abhle, come tale, solamente dav:anti al giudice amministratiivo. Il motiv:o infondato, dovendo, invece, essere diichiarata l giurisdizione dell'adito giudice 011dinario. Queste Sezioni Unite haruno gi affermato hl pmncipio secondo cui l'istituziione del nuovo Ente Fel1rov.ie delJ.o Stato e 1a sua successione nei rapporti attivi e passivi che facev:ano capo all' Aziienda Autonoma deve intendersi compiuta al momento della entrata in vigore della legge n. 210 del 1985 (cio a:l 14 giugno 1985) e, pertanto, sussiste la giurisdiZlione ordinaI1ia per tiutte 1e controversie COIJJCemien.ti xiapportii di impiego ancora a quella data in atto, mentre permane la giurisdiziione amministrativa per i rapporti anteriormente cessati (Cass. oiv., S.U., 23-4-1987, n. 3945). Ed anche la Corte Costituzionale ha testualmente ritenuto, nella sentenza 3/13/7 /1987, n. 268, che il nuovo Ente ag~sce a tHoJo impcrenditoI1iale ... sulla base Cparitetica), nel rapporto di lavoro, della contrattazione ; onde all'area di cui trattasi, I1mane ... estranea ... ogni connota2lione autoritativamente discrezionale e si in presenza, adunque, PARTE I, SEZ, III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GI~ISDIZIONE di vi'Cenda avvinta a comportamenti obbligatori per le pairti e perci ricadenti per 1a loro esaustiva tutela reaile, priva cli presunti coni d'ombra, nella competenza del giudice ordinario, abilitato a conosoorne integralmente . Peraltro, anche a volersi 11itenere, itn viia di ipotesi -(iil che andr verificato in punto di diritto dopo essersi. risolto il problema della giurisdizione) ohe 1a normafliv;a contenuta ne1:1a legge n. 210 del 1985 non abbia abrogato per incompatibfilit la normativa speciale precedelite, la situazione in punto di giurisdizione non muta. La olOOOstanza, infatti, ohe determinati comportamenti di ll.lil ente pubblico economico, nell'ambito dehla gestione del rapporto di lavoro oon i propri dipendenti, siano caratterizzati da meccanismi decisionali con mavgiiDI di discrezionalit, non osta a che il giuidioe ordinario, OU! S01110 devoLute le controveiisie inerenti a quel :riapporto di lavoro, sia competente a sindacare la legittimit di tali atti .e comportamenti, sia in relazione alle regole generali della correttez~a e dehla buona fede fissate daill'art. 1175 e dall'art. 1375 CJC., sia itn rclazione ai! rispetto deJJe prescrizioni formali e sostanziali dettate dalla fogge o dalla contrattazione collettiva', atteso che i medesimi configurano espressione non di un ;potere amministrativo, in collegamento con la difesa di superiori iinteressi di ordine generale, ma di un potire privatistico, del tutto analogo a quieihlo spettante a qualsiasi altro imprenditore nel settore privato (Cass. civ., S.U., 2/11/1979, n. 5688; idem, 5/11/1985, n. 5387), e, comunque, la pTetiesa del dipendente nei confronti deM'ente pubblico economico datore di lavoro, cliretta alla tutela della propria posi2lione di lavoro, non investe, ilil via generale, i poteri discrezionali di autorgaDIzzazione spettlatnti ai! datore di lavoro, ma solo le posizioni di diiritto soggettivo, ed i correlativi obblighi, inerenti al singolo rapporto (Cass. civ., S.U., 4/1/1980, n. 1). In definitiva, 1a sfera deLla ctiisorezionaLit pu riguardare l'attivit generale ed organizzativa dellil'ente pubblico economiico, ma non la gestione del sililgolo rapporto di lavoro. E, neihla specie, la questione di giucisdiZJione viene ad essere posta in modo su:rirettdzio giacch 1e particolari esigen:zJe del servizio e di tutela deJJ'runteresse generale non ri~ gua11dano affatto hl problema de11a giurisdizione, ma toocruno l'inclividuazione concreta della norma da appil!icare aihla fattispecie. Anche se si affeI1masse che l'art. 2103 e.e. non applicabile al caso concreto, sa11ebbe PUtl' sempre il giudice 01rdi1Ilarrio a doveto affermare. Il motivo attinente aHa giurisdizione va, pertanto, rigettato e va dichiarata la giurisdizione del giudice ordmairio a conoscere della controversia. Gli atti vanno rimessi al P.rimo Presidente per l'assegnazione del ricorso in oodine agli altri moflivi, ai sensi dell'art. 376, 1 comma, e dell'art. 3742 2 comma, c.p.c. 152 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 22 aprile 1988 n. 3134 -Pres. Granata . Rel. Panzarani -P.M. Paolucci -Istituti di Previdenza (Avv. Stato Stipo) c. Nigri. Giurisdizione civile -Pensioni -Domanda diretta ad ottenere il trattamento pensionistico C.P .D.E.L. anche attraverso ricongiunzione e riunificazione di precedente posizione I.N.P.S. -Giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti. Giurisdizione civile -Pensioni -Competenza dell'A.G.O. nelle controversie in cui l'interessato abbia domandato il trattamento pensionistico I.N.P.S. incrementato dal periodo di iscrizione alla C.P.D.E.L.. Sussiste la giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti in ordine alle domande dirette ad ottenere il trattamento pensionistico dovuto dalla Cassa di Previdenza per i Dipendenti degli Enti Locali, anche quando l'interessato abbia chiesto, a tal fine, il ricongiungimento e la riunificazione della sua precedente posizione assicurativa presso l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (1). Rientra nella giurisdizione dell'Autorit Giudiziaria Ordinaria la controversia nella quale l'interessato non abbia domandato il trattamento pensionistico della Cassa di Previdenza per i Dipendenti degli Enti Locali ma quello dell'l.N.P.S., ancorch incrementato dal periodo relativo alla posizione assicurativa gi costituita presso quella Cassa (2). (omissis) Con il pdmo motivo del ricorso sono addebitate alla sentenza impugnata violazione e falsa applicazione dell'art. 60 del r.d. 3 maxzo 1938 n. 680 in reilazione all'art. 442 cod. prnc. civ. nel testo di cui aill'art. 1 della legge n. 533 deil 1973 e, inoUre, omessa o quanto meno in sufficiente motivamone su pUillto decisivo della controv~sia. (1-2) La sentenza in Rassegna afferma che l'azione proposta contro la Cassa cli Previdenza affinch provveda ai necessari adempimenti relativi alla posizione assicurativa gi costituita presso la Cassa medesima, presenta un petitum nettamente diverso rispetto a quello dell'azione prevista dall'art. 60 del r.dl. n. 680 del 1938. Tale art. 60 prevede infatti il ricorso alla Corte dei Conti avverso il dec11eto concessivo o negativo della pensione o dell'indennit una tantum. Ma nel giudizio di cui alla sentenza in Rassegna, il petitum non era la domanda del trattamento cli pensione I.N.P.S. perch, in tal caso, l'azione andava rivolta contro l'I.N.P.S. e non contro la C.P.D.EL. Nemmeno la vertenza richiedeva l'accertamento incidenter tantum della posizione assicurativa presso la C.P.D.E.L., in quanto il trattamento di quiescenza presso detta Cassa era gi intervenuto, sia pure attraverso la forma dell'indennit una tantum e non della pensione. L'azione era perci sostanzialmente diretta contro iJ. provvedimento C.P.D.E.L. che aveva deliberato il trattamento della indennit una tantum e se ne chiedeva la modifica con il conseguente versamento dei contributi all'I.N.P.S. PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 153 Con riferimento all'eccezione di difetto di giurisdizione, dleva l'Av vocatura generale che -avendo l'attrice chiesto di poter benef\iciare presso l'I.N.P .S. della posizione assicurativa posta a carico della C.P .D.E.L., la controve11sia rientiraw ne1la cognizione della Corte dei conti e ci in base all'art. 60 del r.d. 3 marzo 1938 n. 680. Deduce al rigua11do che la portata del!la norma di cui ahl'iart. '442 cod. proc. civ. va intesa nel senso che essa ha compreso nietLJ.'ambito della girurisdizione oocli.J:liari:a le con troversie in matooia di previdemJa e aissiisteruia obbligatoria cli , tutti i lavoratori privati ancorch non .concernenti i rapporti di cui all'art. 409 dello stesso coclioe di ruto e non gi che abbi!a modifioato i criteri ge: nieraili sulla rupairtizione della ~urisdizione ed abbia devoluto al giudice del lavoro tutte le controversie previdenziali e assistenziali pur inerenti a rapporti di pubblico impiego per i quali resta pertanto ferma la giurisdizione della Corte di conti. Id suddetto motivo -che ha giustificato la remissione della causa a queste Sezioni unite - privo di fondamento. Al riguaroo sufficiente rilevare che, se esatto che la disdplina de11'~t. 442 cod. proc. civ. (e del successivo art. 444) sub art. 1 della legge 11 agosto 1973 n. 533 non ha aflatto soppresso le speoifiche forme di competenza giurisdizionale prev~ ste in ordine a determinati ,rapporti di natura previdenziale, tuttavia le disposizioni che i!n siffatta materia devolvono la giurisdizione a giudici diversi da que11o ordinario non possono essere applicate al di l dei casi da esse espressamente (ed eccezionalmente) regoJati. Orbene, oon riguardo alle contiroversie con la Cassa di previdenza per i dipendenti degli enti locali, va osse:rvato che l'art. 60 (comma 1) del r.d.l. 3 marzo 1938 n. 680 prevede il ricorso alla Corte dei conti (da parte del privato i!nteressato) contro i provvedimenti di cui al quinto comma dell'a11t. 59 e cio quelli aventi ad oggetto la decisione sulle istanze mvolte al conseguimento della pensione (o dell'lindennit) amministrata dalla suddetta Cassa ~cfJ:". in materfa, p. es. la sentenza di queste Sezioni unite 10 gennaio 1984 n. 167): siffatta giurisdizione della Corte dei conti suss1iste pertanto esclusivamente in ordine alle domande dirette ad ottenere il trattamento pensionistico dovuto dalla Cassa e p:erci anche quando l'interessato abbia chiesto a tal fine il ricongiungimento e la riunificazione della sua precedente posizione assicurativa presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale, dato invero che in tale ipotesi la causa non investe diirettamente il rapporto assicurativo con tale Istituto e i diritti ad esso relativi, ma tende all'individuazione ed alla qualificazione di diritti afferenti pur sempre al suddetto trattamento pensionistico del1a Cassa (cfr. la sentenza Sez. un. 5 marzo 1985 n. 1824). Diametralmente opposta invece l'ipotesi in cui -come nella pre sente controversia -l'interessato non abbfa affatto domandato il trat tamento pensionistico della Cassa di previdenza, bens quello dell'I.N.P.S. 154 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I ancorch incrementato in relazione alla ~osizione assicurativa gi costi~ tuita presso la Cassa medesima. L'azione proposta CO!llrtro quest'UJ1tima, affi111ch provveda ai necessari adempimenti al rigua11do, presenta per I ci un petitum nettamente diverso rispetto a quello dell'azione pre 1 vista dal richiamato art. 60 del r.d. n. 680 del 1938, ed invero l'accertamento de11a posizione assicurativa costituita presso la Cassa solo strumentale ai fini della determinazione del trattamento pensdonistdco globale dovuto esclusivamente dall'l.N.P.S., talch la relativa controversia I non pu sfuggire alla generale previsione degli artt. 442 e 443 cod. proc. I civ. in virt del principio secondo cui (tranne specifiche eoceZJioni) la giurisdizione in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie arppar tiene all'Au1lol1t giuchiziaria oooinaria e 1a competenza -ratione mal teriae del giudice del lavoro. (omissis) I I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 10 maggio 1988, n. 3423 -Pres. Sandul i li -Rel. Caturani -P. G. Paolucci (diff.) -Drusian (avv. Izzo) c. Min. i Finanze (avv. Stato Stipo). I i Giurisdizione civile . Riscatto del periodo corrispondente alla durata ~ legale degli studi universitari Giurisdizione del giudice del rapporto di lavoro. ! ~ Qualora venga impugnato un atto amministrativo che, in costanza del rapporto di pubblico impiego, provvede circa il riscatto del periodo di tempo corrispondente alla durata legale degli studi universitari che hanno preceduto l'ammissione in servizio, ai fini del futuro trattamento di quiescenza, la controversia spetta al giudice del rapporto del I lavoro (1). ~ (omissis) 1. H ricorso ammissibile in rito, investendo i limiti es,terni della giurisdizione della Corte dei conti in quanto si assume che la controversia sottoposta al suo esame appartiene ad una diversa giurisdizione, sfuggendo ,aJi suoi poteri di cognizione e di decisione (art. 111, comma 3, della Costituzione). (1) In materia di riscatto di servizi pregressi ai fini del trattamento di quiescenza corrisposto dagli Istituti di Previdenza presso il Ministero del Tesoro (Cassa Pensioni Dipendenti Enti locali -Cassa Sanitari) le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato la giurisdizione della Corte dei conti con sentenza 20 gennaio 1987 n. 467. Esistono infatti al riguardo espresse disposizioni normative (art. 71 r.d.l. 3 marzo 1938 n. 680, sull'ordinamento della Cassa Pensioni Dipendenti Enti Lo PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 155 2. Con unico motivo, il ricorrente sostiene che ila decisione impugnata viziata da difetto assoluto di giurisdizlione perch la Corte dei conti ha statuito su cli una causa pregiudiziale sulla quale avrebbe dovuto invece pronunciarsi ,un divevso 011gaino giurisdizionaile. Si afferma, infatti, ohe fa domanda di riscatto della dUJ.1ata legale degli studi unive!lsitari compm".ta, nel 1caso in esame, Ja riisoluzione della controversia relativa alla qualificazione .giuridica degli studi compiuti in epoche diverse, onde non si M1 presenza di 'Ll!lla mera questione pregiudiziaile risolvibile incidenter tantum daMa Corte dei coillti, ma di antecedente logico che deve formare oggetto di un giudizio autonomo rientrante nella giur~sdizione di ailtiro giudice. 3. Il ricorso fondato in base alle seguenti considerazioni. La giurisprudenza delle Sezioni unite d'erma nel ritenere che la giurisdizione della Corte dei conti richiede che la controversia investa un provvedimento di ri.Conosoimento o di diniego della penSlione, ai sensi dell'art. 62 del r.d. 12 ~uglio 1934, n. 1214, secondo oui contro i provvedimenti def.iinitivi di liquidazione di pensione a carico totale o parziale dello Stato ammesso ricorso alla competente Sezione della Corte (cfr. per tutte la sentenza n. 1865 del 1981). Ove quindi, come S verifica nella fattispecie, non venga impugnato un siffatto provvedimento, ma un atto amministrativo che, in costanza del rapporto di pubblico mpiego, provveda circa fil riscatto del periodo di tempo corrispondente alla dumta [egale degli studi unive11sitari che hanno preceduto l'ammissione in servizio, ai fdni del futuro trattamento dii quiescenza, la controversia spetta al giudice del .rapporto di lavoro, poich la pretesa fatta valere in giudizio dal dipendente nel corso del mpporto di pubblico impiego, attiene a1la durata del rapporto ,di ser cali -art. 65 legge 6 luglio 1939, n. 1035 sull'ordinamento della Cassa di Previdenza per le pensioni dei sanitari). Coerenza d'impostazione indurrebbe a ritenere, in conformit alle conclusioni del P. G., nella vertenza di cui alla sentenza in Rassegna, che anche ai fini del trattamento di quiescenza degli statali le controversie in materia di riscatto siano di competenza della Corte dei conti, in assenza di una norma espressa per le domande proposte in costanza di servizio (dopo il provvedimento di quiescenza la giurisdizione della Cort dei conti prevista. dall'art. 62, u.c., t.u. 12 luglio 1934, sull'ordinamento della Corte dei conti). Per la giurisdizione della Corte dei conti si espresso il Consiglio di Stato con le decisioni della sez. IV 19 dicembre 1987 n. 782 (pubblicata in questo stesso fascicolo); 8 febbraio 1972 n. 61; 6 giugno 1972 n. 489 e della sez. VI 18 marzo 1980 n. 358 (in Foro amm. 1980, I, 429) nonch con parere sez. Il, 1 marzo 1977 n. 462 (in Cons. Stato 1978, I, 1370). Anche per il riscatto dovrebbero valere le stesse considerazioni che le Sezioni Unite hanno formulato in materia di ricongiunzione di servizi (v. Cass. 18 febbraio 1989 n. 956, Cass. 13 giugno 1989 n. 2847, Cass. 22 aprile 1988, n. 3134, :in questo stesso fascicolo. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 156 vizio anche se ai soli effetti pensionistici ed !incide immediatamente sul corrispettivo doVTUto dal prestatore di lavoro attraverso fa richiesta dei contributi ed id meccanismo delle ritenute. Quanto precede trova testuale conferma nehl'art. 62 cit. !.l cui ultimo oomma statuisce che in materia di riscatto di servizi -ma il principio per identit di ratio ovviamente estensibile al !!'~scatto dei periodi di studi superiori ex art. 13 del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092 -il ricorso alla Corte dei conti ammesso soltanto contro il decreto concernente la liquidazione del trattamento di quiescenza. Il che perfettamente in linea 'con un indirizzo ormai costante seguito dalle Sezioni unite nel senso che fa .giurisdizione defila Corte dei conti non si estende a sindacare la legittimit di atti amministrativi rilevanti per l'an o il quantum della pensione, ma direttamente attinenti al rapporto dli impiego (sent. 7293/83; 6084/82). 4. In definitiva, il ricorso deve essere accolto, con la conseguente cassazione della decisione impugnata, dichiarandosi la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere deHa controversia oggetto del presente giudizio (omissis). PRETURA DI MILANO, Sez. lavoro, 16 giugno 1988, n. 1442 -BonavitacolaBarbato c. Opera di Previdenza e Assistenza ai Ferrovieri dello Stato. Giurisdizione civile Controversie in materia di buonuscita ai dipendenti dell'Ente Ferrovie dello Stato Giurisdizione amministrativa. Il rapporto che si instaura tra l'O.P.A.F.S. ed il dipendente dell'Ente Ferrovie dello Stato ha natura pubblicistica; pertanto sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie in materia di buonuscita (1). (1) La legge 17 maggio 1985, n. 210, istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, ha creato vari problemi nella giurisdizione, stante l'art. 23 che attribuisce al Pretore la giurisdizione in materia di controversie di lavoro. Mentre il rapporto di lavoro che lega il ferroviere e l'Ente Ferrovie dello Stato ha natura privatistica, altrettanto non pu dirsi per il rapporto previ denziale sorto in virt della legge 14 dicembre 1973, n. 829, istitutiva dell'Opera di Previdenza e di Assistenza per i Ferrovieri dello Stato. Stante la natura pubblica del rapporto previdenziale l'art. 44 della citata legge n. 829/1973 ha inteso attribuire alla Corte dei Conti la giurisdizione nelle controversie in materia di buonuscita. Non isolato il caso che, mentre il rapporto di lavoro ha natura privata, il rapporto previdenziale ha natura pubblica ed in virt di espresse norme sulla giurisdizione, questa spetta per le controversie previdenziali a giudice PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 157 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 12 novembre 1988, n. 6131, Ministero del lavoro e della previdenza sociale e Ministero del tesoro (vice Avv. Gen. Stato Matafoni) c. Cassa di previdenza ed assistenza ingegneri ed architetti (avv. Angelini). Previdenza -Istituti di patronato -Finanziamento -Aliquota di prele vamento sul gettito dei contributi -Decreto di determinazione Natura -Atto di normazione secondaria -Esclusione. Previdenza -Istituti di patronato -Finanziamento -Aliquota di prelevamento sul gettito dei contributi -Decreto di determinazione Posizione soggettiva dei destinatari -Natura -Interesse legittimo Lesione -Giurisdizione amministrativa. Il decreto con il quale, ai sensi dell'art. 4 del d.l.c.p.s. 29-7-1947 n. 804, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro determina, per i singoli enti previdenziali specificamente individuati ed elencati nel decreto stesso, le aliquote ( diff erenziate) percentuali del prelevamento sul gettito dei contributi da ciascuno di essi incassati, destinato al finanziamento degli istituti di patronato e di assistenza sociale, non atto di normazione secondaria, in quanto primo del carattere della generalit ed astrattezza (1). La concreta determinazione delle aliquote (da effettuarsi in base a valutazioni dell'Amministrazione sul fabbisogno complessivo degli istituti di patronato e di assistenza sociale, valutazione che comporta anche l'apprezzamento della estensione e dell'efficienza dei servizi forniti dagli istituti tra i quali i fondi devono essere ripartiti ai sensi del successivo art. 5 del citato d.l.c.p.s.) comporta esercizio di potere discrezionale, la cui correttezza investe ( semprech, ovviamente, esercitato entro il limite quantitativo fissato dalla legge, essendo evidente che un diritto soggettivo quello di non pagare una aliquota superiore al detto limite) posizioni di interesse legittimo, tutelabili davanti alla giurisdizione amministrativa (2). diverso dalla magistratura del lavoro (con riguardo ai dipendenti delle aziende municipalizzate Cass. SS.UU. 24 giugno 1985, n. 3798, in questa Rassegna 1985 I, 784, Pretura di Roma Sez. Lav. 21 maggio 1986, ivi, 1987, I, 82). Sui vari problemi di giurisdizione a seguito dell'entrata in vigore della legge 17 maggio 1985 n. 210, v. Stipo G.: Problemi di giurisdizione a seguito della istituzione dell'Ente Ferrovie dello Stato, in questa Rassegna, 1987, I, 70. (1-2) Con sentenze 18 gennaio 1980, nn. da 412 e 418 (e poi ancora con sentenza 4 marzo 1988, n. 2271, che ha annullato la decisione del Consiglio di Stato, Sesta Sezione n. 11/1979) le Sezioni Unite -chiamate a giudicare della giurisdizione in relazione a due decisioni del Consiglio di Stato (Sesta, nn. 828 e 881 del 1977) che, dopo aver affermata la soggezione degli enti in causa (casse ed enti di previdenza a favore di lavoratori autonomi) al prelevamento di cui al l'art. 4 del d.I.c.p.s. n. 804/1947, avevano per annullato i decreti impugnati per 158 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis). Le amministrazioni ricorrenti impugnano la decisione del Consiglio di Stato per difetto di giurisdizione, invocando l'art. 362 c.p.c., l'art. 48 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 in relazione agli artt. 2, 4 e 5 della I. 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, e al d.1.c.p.s. n. 804 del 1947 e successive modificazioni e integrazioni. Nel ricorso si riporta quasi integralmente la sentenza di queste SS.UU. n. 418 del 18 gennaio 1980 (e si ricordano le altre analoghe della stessa data, dalla n. 412 alla n. 417), sostenendosi che on essa si ritenuto che tui.ta fa materia del contendere, investa essa la individuazione di soggetti obbligati o la misura della aliquota, attiene alla sfera dei diritti soggettivi e appartiene quindi alla giurisdizione del giudice ordinario; da d la erroneit della dedsione impugnata, con la quale il Consiglio di Stato ha giudicato che resti riservata alla giurisdizione amministrativa la cognizione della legittimit del provvedimento ministerale impugnato per ci ohe attiene alla determinazione dell'aliquota del prelevamento iimposto all'Ente in questione. Al rigua11do Je amministrazioni ricorrenti osservano, da un J:ato, che i provvedimenti di cui si discute sono atti di normazione secondaria, rispetto ai quali non neppure configurabile un sindacato di legittimit del tipo che il Consiglio 'di Stato ha ritenuto di doversi riservare. E, dal l'altro, che la legge determina tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi della obbligazione pubblica; ponendosi i provvedimenti !in discorso come meramente attuativi della legge stessa. n fatto che sia consentito alla amministrazione di stabilire aliquote inferiori a quella mdicata come massima della legge -osservano le ricorrenti -non pu far ritenere consentito un sindacato di legittimit del giudice amminist:rativo in ordine alla determinazione in concreto di detta aliquota, perch J'apprez vizi di legittimit relativi alla determinazione delle aliquote -avevano dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario sulla questione concernente la soggezione degli enti stessi al prelevamento, aggiungendo: La determinazione del giudice ordinario -(sulla questione concernente la soggezione o non degli enti al prelevamento) -non pu essere impedita dal rilievo che l'individuazione dei soggetti obbligati e la determinazione dell'aliquota del prelievo sono strettamente. e funzionalmente collegati e che, avendo i ricorrenti impugnato anche la misura dell'aliquota davanti al giudice amministrativo, questi poteva e doveva decidere incidenter tantum sull'altra questione. L'obiezione non ha al cuna rilevanza o concludenza. Infatti la questione della assoggettabilit al prelievo ovviamente pregiudiziale rispetto alla questione relativa al quantum debeatur ed da questa ben distinta. Pertanto, l'esame della seconda questione acquista rilevanza processuale solo se e quando la prima si risolve in senso af fermativo: ma a fronte di essa il giudice amministrativo avrebbe dowto dichiarare il proprio difetto di giurisdizione e quindi astenersi dal pronunziare e sull'una e sull'altra proprio per il collegamento tra di loro esistente, e che di dipendenza dell'una dall'altra. Appare di tutta evidenza come una pronuncia del genere ponesse gravi problemi interpretativi ed applicativi, perch, escluso che il giudice amministra PARIB I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 159 zamento che ne alla base espressione non di discrezionalit amministrativa, e neppure di discrezionalit tecnica, ma di valutazioni di carattere economico e sociale in ordine all'attivit degli istituti di patronato, che sfuggono ad ogni possibilit di sindacato sia da parte del giudice amministrativo che di qualsiasi altro giudice. Il ricorso, , a giudizio delle Sezioni Unite, infondato. A paTte la contraddizione tra la adesione, espressa dalle ricorrenti senza riserve, alle precedenti pronunce di questa corte del 1980, sopra ricordate, 1e quali certaimente non contengono alcun concetto suscettibile di interpretazione nel senso che si sottragga al sindacato di qualsiasi giudice la determinazione della misura dell'aliquota del prelievo, e la tesi principale contestualmente sostenuta che non sfa consentito ad al cun giudice un tale sindacato, deve essere rilevato che nessuna delle proposizioni avanzate nel ricorso pu essere condivisa, n quella secondo la quale 'a nessun giudice potrebbe sottoporsi la questione dcl.la legittimit della determinazione della aliquota da parte della amministrazione, n l'altra che indica il giudice <>rdinario come il solo fornito di giurisdizione per :l'esame della questione stessa. Gli argomenti addotti a sostegno della prima non reggono alla critica. La affermazione che i provvedimenti ill1 questione siano atti di normazione 'secondaria in pri:mo luogo del tutto inconferente, una volta che non pu essere disconosciuto ad essi il valore di atti amministrativi, come tali soggetti, quale che ne sia il contenuto (art. 113 Cost., art. 2 1. 20 marzo 1865, n. 2248 ali. E) al generale controllo di legittimit; n vero peraltro che questa Corte abbia ad essi attribuito la natura di atti di normazione secondaria, chiaramente smentita dalla palese carentivo possa giudicare incidenter tantum della questione relativa alla soggezione dell'ente previdenziale al prelevamento, sembrava anche escludere ogni possibilit per lo stesso giudice amIIlI).strativo di conoscere della questione, contestualmente proposta, relativa alla legittimit della determinazione delle ali quote. Tornto quindi ad occuparsi di cause analoghe, il Consiglio di Stato (stessa Sesta Sezione) con decisione n. 54/1982, e poi ancora con decisione, n. 170/1982, pur conformandosi alla detta pronuncia per quanto concerne la giurisdizione in ordine alla questione sulla soggezione degli enti previdenziali al prelevamento -ha, invece, ritenuto di non poterne seguire le restanti indicazioni, osservando: Una decisione con cui la Sezione, seguendo le indicazioni della sentenza citata della Corte di Cassazione, si astenesse (allo stato) dal pronunciare sull'una e sull'altra questione e chiudesse il giudizio, potrebbe risolversi in un danno irreparabile per l'ente appellante, il quale non avrebbe pi la possibilit di riprodurre l'istanza dopo il de.corso del termine per l'impugnazione. Una simile conseguenza, che risulterebbe in contrasto con i principi costituzionali sulla tutela giurisdizionale, , per, agevolmente evitabile, in quanto possibile, facendo ricorso a norme disciplinanti fattispecie analoghe e ai principi generali del processo, tenere aperto il giudizio per il tempo necessario e suffi. 160 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO za del carattere della generalit e della astrattezza (essi contengono la indicazione di ciascuno degli istituti obbligati, per ciascuno prevedendo la misura della aliquota della prestazione dovuta), non potendo certo la attribuzione di quella natura dedursi dall'accostamento di essi agli atti normativi primari che impongono le prestazioni, espresso da questa corte al solo scopo di escludere che la imposizione trovasse la propria fonte solo nei provvedimenti in .discorso. Parimenti inaccettabile la affermazione -contraria ai principi informatori aell'ordinamento in questa materia -che le valutazioni di carattere economico e sociale .in ordine all'attivit degli istituti al fine di determinare le aliquote siano riservate in via esclusiva all'Amministrazione, senza possibilit di sindacato da parte di qualsiasi giudice. L'esercizio di questo potere indice sulla misura della prestazione pecuniaria imposta e non si comprende in forza di quale argomentazione si dovrebbe adottare un criterio secondo il quale il soggetto colpito dal provvedimento dovrebbe essere al riguardo privo di qualsiasi. tutela, ci che, oltretutto, sarebbe in pieno contrasto con il precetto dell'art. 113 della Cost., secondo il quale contro gli atti della p.a. sempre ammessa la tutela dei diritti e degli interessi legittimi; n concepibile che di fronte all'esercizio di questo potere della p.a. il soggetto colpito nel suo patrimonio non abbia, in ordine aMa misura del prelievo, neppure un interesse legittimo. Quanto alla tesi secondo la quale questa posizione sarebbe di diritto soggettivo -che diametralmente opposta alla prima, pur nello stesso ricorso sostenuta -si deve cominciare con l'osservare non essere esatto che tale sia stato il pensiero di queste Sezioni Unite nelle richia dente ad assicurare all'ente predetto una tutela completa . E, facendo applicazione analogica dell'art. 42 del regolamento di procedura n. 642/1907, ha sospeso il giudizio, assegnando all'ente ricorrente termine per la proposizione dell'azione davanti al giudice ordinario sulla questione relativa alla sua contestata soggezione al prelevamento, con la precisazione che poich... dalla soluzione della questione pregiudiziale non possibile in alcun modo prescindere (a differenza di quanto pu avvenire nel caso di presunta falsit di un documento, alla cui deduzione la parte pu rinunciare) il mancato rispetto. del termine condurrebbe non alla conseguenza prevista dal capoverso del citato art. 42 (decisione omni modo della controversia principale), ma alla decadenza dal ricorso in esame" In presenza di un tale pur parziale contrasto l'Avvocatura ha impugnato sia la decisione n. 54/1982 sia la successiva decisione n. 170/1982, al precipuo scopo di provocare dalle Sezioni Unite un definitivo chiarimento, chiarimento che si appunto ottenuto con la sentenza qui annotata e con la successiva conforme sentenza n. 1324/1989 (ancorch nel testo di entrambe le sentenze le Sezioni Unite abbiano espresso un dubbio, non rilevante peraltro in quella sede, sulla applicazione analogica dell'art. 42 del regolamento di procedura). G. MATALONI PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE mate ;sentenze del 1980. Vero che, sta.nido al dispositivo, di cassazione della decisione del Consiglio di Stato che aveva ritenuto Ja giurisdizione del giudice amministrativo sul ricorso contro il provvedimento in parola, potrebbe sembrare che l'intera controversia sia stata ritenuta di oompetenza giur.isdizionale del giudice ordinario. sufficiente per l'esame della motivazione per convincersi del contrario. fofatti le Sezioni Unite in quella occasione hanno affrontato anche il problema se io stretto e .funzionale collegamento tra la questione sulla individuazione dei 1soggetti obbligati e la determinazione del:l'aliquota del prelievo; e l'avere i ricorrenti impugnato anche quest'ultima, potesse consentire al giudice amministrativo di decidere incidenter tantum l'altra questione, e l'hanno risolto con la osservazione che la questione dell'assoggettabilit al prelievo ovviamente pregiudiziale rispetto alla questione relativa al quantum debeatur, con la conseguenza che l'esame della seconda acquista rilevanza processuale e pratica utHit solo se e quando la prima si risolve in senso affermativo. Orbene, il fatto stesso che ,questa corte si sia posto il problema della soluzione incidenter tantum da parte del giudice amministrativo dimostra che la questione sul quantum, nel ipensiero espresso in quelle sentenze, .rientra nell'area giurisdizionale di quest'ultimo, altrimenti il problema di un possibile esame incidenter dell'altra questione non avirebbe avuto neppure ragione di poi;si. Ed in ei;fetti, esaminato il problema sotto il profilo imposto dalla separazione, operata dalla decisione del Consiglio di Stato "qui impugnata, delle due questioni ai fini dell'accertamento della giurisdizione sull'una e sull'alti;a, non si pu dubitare della appartenenza al giudice amministrativo della giurisdizione su quella Tiguardante il quantum. decisivo in t~l senso il fatto che Ja legge istitutiva di questo contributo a carico degli istituti di previdenza (d.l.c.p.s. 29 luglio 1947 n. 804, modificato dalla legge 27 marzo 1980, n. 112) fissa soltanto J.a aliquota massima da applicare sul gettito dei contributi incassati da detti istituti (lo 0,50 %), attribuendo dunque alla p.a. e precisamente al ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il ministro per il tesoro, il potere di determinare la aliquota in misura variabile entro quel limite massimo. Tale potere collegato funzionalmente con l'altro, attribuito dall'art. 5 della legge allo stesso ministro del lavoro e della previdenza sociale di ripartire, di concerto con il ministro per il tesoro, tra gli istituti di patronato e di assistenza sociale i fondi cos raccolti, in relazione alla estensione e all'efficienza dei servizi degli istituti stessi. Poich l'aliquota non pu essere concretamente determinata se non in base alle valutazioni dell'amministrazione intorno al fabbisogno complessivo degli Istituti ,di patronato e di assistenza soci:a.le e questa valutazione comporta anche l'apprezzamento della estensione ed efficienza 162 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dei servizi forniti dagli istituti fra i quali i fondi devono essere ripartiti, si deve ammettere ohe la concreta determinazione della aliquota comporta l'esercizio di un potere discrezionale della rp.a. a fronte del quale non possono ravvisarsi diritti soggettivi degli istituti tenuti a subire il prelevamento imposto dalla legge, ma soltanto l'interesse legittimo al corretto uso di tale potere, semprech, ovviamente, esercitato entro il limite quantitativo fissato da1la legge, essendo evidente che un diritto soggettivo quello di non pagare una aliquota superiore al limite massimo predetto. D'altra rparte non si saprebbe come configurnre un tale diritto, che presuppone la possibilit di stabilire in giudizio l'esatto ammontare di quanto dovuto, in modo da rpotere istituire il rapporto tra quanto preteso dalla p.a. e l'importo dovuto risu:ltante dalla applicazione della legge; a1meno si dovrebbe potere stabilire con siturezza se la misura pretesa daLl'amministirazione sia superiore a quanto legalmente dovuto. Ma se un tale raffronto non pu essere istituito, perch la 'Legge non solo non determina quell'importo, ma J.o fa dipendere da apprezzamenti discrezionali della p.a: e se l'unica indagine possibile pu essere rivolta solo a stabilire se la p..a. ha fatto buon uso del potere discrezionale attribuitole dalla legge nel fissare l'aliquota entro quel limite massimo, la conclusione non pu essere se non nel senso che non di diritto soggettivo si tratta, bens di interesse legittimo, tale qualifica dovendosi attribuire alla posizione soggettiva di chi deve subire l'esercizio di un I ' potere discrezionale della p.a. In definitiva, a parte il dubbio che pu suscitare la decisione impugnata sotto il profilo deHa applicazione analogica dell'art. 42 del regolamento approvato con r.d. 17 agosto 1907 n. 642 (dubbio che per non rileva in questa sede), queste Sezioni Unite ritengono che la decisione si adegua al criterio discriminatorio della giurisdizione da tempo elaborato nella giurisprudenza in materia, quello secondo H quale rientra nella giurisdizione del giudice ordinario ogni controversia nella quale si contesti a1la p.a., sulla base della disciplina legale, di avere agito in carenza di potere, vuoi per difetto dei presupposti che ne condizionano la attribuzione, vuoi per il superamento dei limiti (soggettivi od oggettivi o temporali o di altra natura) assegnati dalla legge, mentre rientra neLla giurisdizione del giudice amministrativo ogni controversia nella quale, non contestandosi la appartenenza alla rp.a. del rpotere concretamente esercitato .ne1la specie, n il superamento dei limiti entro il qua:le dalla legge circoscritto, si lamenti il cattivo esercizio del potere stesso e in particolare la ricorrenza nel provvedimento amministrativo emesso di vizi che ne consentO!Ilo secondo l'ordinamento la impugnazione. Il Ticorso pertanto deve essere rigettato. PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 163 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 febbraio 1989, n. 956 -Pres. Zucconi Galli Fonseca -Rel. Anglani -P. G. Virgilio (conf.) -Guarino (avv. Gualtieri) c. Min. Tesoro (avv. Stato Stipo). Giurisdizione civile -Ricongiunzione dei servizl ai fini della pensione Giurisdizione della Corte dei conti. Rientra nella giurisdizione della Corte dei conti la controversia avente ad oggetto la ricongiungibilit del servizio prestato presso lo Stato a quello prestato alle dipendenze di un ente pubblico con iscrizione alla Cassa Pensioni Dipendenti Enti Locali (1). (omissis) IJ ricorrente deduce che l'accertamento de11'esistenza del diritto alla ricongiunzione dei servizi incide soltanto sul rapporto pensiomstico. L'istanza fondata. Queste Se2lioni Unite, nell'affel1IIlare costJalll.temente ohe in virt deghl artt. 13 e 62 T.U. 12 lugi1io 1934 n. 1214 appartengono alla giurisdizione della Corte dei Conti le controversie relative a provvedimenti dell'amministrazione che incidono sulla concessione sul rifiuto o sulla concesrsione del trattamento di pensione hanno anche precisato (fra le altre 10 gennaio 1984 n. 168) che tale attivit cognitiva non tocoa fa legittimit irntrinseca degli atti ma attiene aHa quaJ.ificazione giuridica (in base alla normatiiva applicabile al concreto rnpporto pensionistico) dei loro effetti ai fini dell'efficacia riflessa sull'an e sul quantum della pensione. (1) Con R.DL. 3 marzo 1938, n. 680, stato approvato l'ordinamento della Cassa di Previdenza per le pensioni ai dipendenti degli Enti Locali (CPDEL). La Cassa provvede alle pensioni e alle indennit di fine servizio dei dipendenti degli enti locali e degli altri enti per i quali ammessa l'iscrizione alla Cassa stessa. Nasce cos un rapporto giuridico di natura previdenziale intercorrente tra la Cassa e il dipendente, che diverso dal rapporto giuridico d'impiego intercorrente con l'Ente datore di lavoro. Mentre ogni questione concernente il rapporto d'impiego cade sotto la giurisdizione amministrativa se trattasi di ente pubblico non economico (art. 7 L. 6 dicembre 1971, n. 1034 istitutiva dei T .A.R.) ovvero sotto la giurisdizione del giudice del lavoro nel caso di enti diversi (art. 409 nn. 4 e 5 cod. proc. civ. nel testo modificato con Legge 11 agosto 1973, n. 533 sulle controversie di lavoro e previdenziali), in ogni questione concernente il rapporto previdenziale con la C.P,D,E.L. la giurisdizione della Corte dei Conti (artt. 60, 71 cit. ordinamento). E ci stato puntualmente sottolineato dalla Cassazione Sezioni Unite, le quali hanno affermato che, alla stregua dei criteri generali sulla ripartizione della giurisdizione, in tutte le controversie previdenziali e assistenziali, pur se inerenti al rapporto di pubblico impiego, resta ferma la giurisdizione della Cprte dei Conti (SS.UU. 7 novembre 1979, n. 5731). La giurisditlone della Corte dei Conti non pu infatti essere limitata alle controversie concernenti il provvedimento che liquida la pensione, ma deve, per RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 164 Ci posto deve ritenersi compresa nel novero delJe controversie appartenenti a tale giurisdizione quella in esame, avente ad og~tto la ricongiungibilit (negata dall'amministrazione) del servizio prestato da!l ricorrente quale dipendente dell'Amministrazione delle Poste e telecomunicazione dall'll dicembre 1961 al 31 luglio 1965 a quello prestato alle dipendenze dell'Inam e dell'Unit Sanitaria locale ed, in particolare l'applicabi1it dell'art. 131 del Testo umco 29 dicembre 1973 n. 1092 sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1345 Pres. Monta nari-Vi.ISco; Rel. Sensale; P. M. Minetti (conci. conf.) Croce Rossa Italiana (arvv. Stato Sica) c. Di Lonardo (avv. Lotito). Competenza civile -Croce-Rossa Italiana -Rapporto di lavoro -d.P .R. 613/80 Mancata emanazione del nuovo Statuto Giurisdizione del giudice amministrativo. L'art. 1 del d.P.R. 613/80 ha disposto il mutamento della natura giuridica della C.R.l. da ente pubblico in ente privato d'interesse pubblico, ma l'ha subordinato alla emanazione del nuovo statuto. Pertanto, fintanto che tale statuto non venga emanato, la C.R.I. mantiene la sua natura necessaria connessione, intendersi estesa ad ogni controversia che diretta all'accertamento del diritto a pensione o alla misura del trattamento stesso. Normalmente la pensione liquidata in base agli anni di servizio prestati nell'Amministrazione, presso la quale il dipendente ha ultimato il suo rapporto di impiego. Tuttavia, alla stregua di disposizioni speciali, consentito che all'anzidetto periodo vengano sommati ulteriori periodi attraverso l'istituto del riscatto (es. periodo di studi wriversitari.) e della ricongiunzione. Quest'ultimo istituto stato introdotto dalla Legge 22 giugno 1954, n. 523, con la quale stato disposto che ai fini del trattamento di quiescenza, i servizi resi allo Stato sono ricongiungibili con i servizi prestati presso enti locali con iscrizione agli J,stituti di Previdenza (art. 1). Gli istituti del riscatto e della ricongiunzione hanno pertanto come fine quello di determinare il periodo da prendere in considerazione, al fine del quantum del trattamento pensionistico. In questi casi la giurisdizione della Corte dei Cohti, peraltro ricavabile dai criteri generali sulla giurisdizione esclusiva in materia pensionistica, viene ulteriormente ribadita in varie dispos.izioni normative (v. art. 71 cit. ordinamento C.P.D.E.L., art. 8 cit. Legge 22 giugno 1954, n. 523; art. 255 T.U. sulle pensioni 29 dicembre 1973, n. 1092). ' ' La giurisprudenza del Consiglio di Stato pertanto costante nell'escludere la propria giurisdizione ogni qual volta venga portato alla sua cognizione un provvedimento che ha valore esclusivamente agli effetti pensionistici (v. Cons. Stato VI, 25 agosto 1984 n. 493; Cons. Stato VI, 15 novembre 1982 n. 578, in Cons. Stato 1982, 1439; Cons. Stato VI, 18 marzo 1980, n. 358, in Foro amm. 1980, I, 429; Cons. Stato Il, 1 marzo 1977 n. 562; in Cons Stato 1978, I, 1370). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 165 di ente pubblico, con la conseguenza che le controversie relative ai suoi rapporti di lavoro sono di giurisdizionale spettanza del giudice amministrativo (1). La Croce rossa italiana deduce che la .sua natura di ente pubblico non economico, riconosciutale dalla legge 20 marzo 1975, n. 70, non lascia alcun dubbio sulla qualificazione del rapporto con i suoi dipendenti come rapporto di pubblico impiego. Tale natura n()[l mutata automaticamente con l'entrata in vigore del d.P.R. 31 luglio 1980 n. 613, che ha previsto la trasformazione della C.R.I. da ente di diritto pubblico in ente privato d'interesse pubblico, in connessione con l'art. 70 della legge 23 dicembre 1978 n. 839. Tale trasformazione, invero, stata subordinata all'emanazione del nuovo statuto dell'ente che viene, cosi, a costituire condizione sospensiva e legittimante del mutamento della sua natura giuridica, di guisa che, fino a quando il nuovo statuto non verr emanato, la C.R.I. conserver natura di ente pubblico non economico, con ogni conseguenza per quanto attiene ai rapporti con i dipendenti. N, ad avviso dell'ente ricorrente, rileva che, per l'emanazione del nuovo statiuto, l'art. 3 del d.P.R. 613/80 preveda il termine di un anno, poich, a parte la natura oooinatoria di tale termine, ci che conta che il nuovo statuto non stato emanato e che la C.R.I. tuttora a totale carico dello Stato. n controricorrente risponde che, qualunque sia la natura della C.R.I., decisivo, ai fini dell'affermazione della giurisdizione ordinaria, che egli fu assunto con espresso riferimento alla (ed in applicazione della) disciplina legale e collettiva regolante il rapporto privatistico di portierato. Questa obiezione priva di rilievo. principio pi volte affermato da questa Corte (v. sent. 22 aprile 1976 n. 1443, 6 giugno 1979 n. 3189, 19 luglio 1986 n. 4679, 5 dicembre 1986 n. 7210, 2 aprile 1987 n. 3154 e 5 ottobre 1987 n. 7421) che, ai fini della qualificazione pubblicistica del rapporto di lavoro, con la conseguente devoluzione della controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non rileva l'eventuale assoggettamento del rapporto alla disciplina sostanziale dettata da un contratto collettivo di diritto privato; e che, in particolare, le prestazioni lavorative subordinate di custode-portiere presso uno stabile nel quale, come nel caso in esame, si svolga l'attivit istituzionale di un ente pubblico non economico, pur se assoggettate alla disciplina collettiva di diritto comune, sono atti (1) Non constano precedenti in termini. La decisione risulta pienamente condivisibile per la corretta applicazione che fa dell'art. 1 del d.P.R. 613/80, considerando che dal nuovo emanando statuto discender il nuovo assetto dell'ente. 13 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 166 nenti alle finalit pubblicistiche dell'ente e, se espletate con continuit ed inserite nell'ambito dell'organizzazione del datore di lavoro, integrano un rapporto di pubblico impiego (v., in proposito, le sentenze, gi citate, 3189/79, 4679/86, 7210/86 e 7421/86, nonch la sentenza n. 4068 dell'll luglio 1984). Per risolvere la proposta questione di giurisdizione, dunque necessario stabilire se fa natura di ente pubblic~ (non economico) della C.R.I. -sempre ritenuta o presupposta da queste Sezioni unite (v. sent. 1443/76, dtat~. e 18 dicembre 1985, n. 6440) e da diverse decisioni della prima sezione civile (v. sent. 9 marzo 1979 n. 1477, 11 ottobre 1978 n. 4516, 18 novembre 1978 n. 5376 e 24 luglio 1980 n. 4811), desumendosi dalla legge 20 marzo 1975 n. 70, dallo statuto e dall'atto costitutivo del- l'ente, nonch dalle caratteristiche della sua organizzazione e dalle finalit da esso perseguite -sia mutata per effetto del d.P.R. 31 luglio 1980 n. 613, sul riordinamento della C.R.I., il cui art. 1 dispone che l'Associazione italiana dell Croce rossa riconosciuta ente privato d'interesse pubblico ...a seguito dell'approvazione del nuovo statuto, ai sensi del ,successivo art. 3, a norma del quale entro il 1 gennaio 1981 il nuovo statuto ... trasmesso al Ministero della Sanit ed approvato entro il 30 giugno con d.P.R. . Tali disposizioni sono correlate all'art. 70 della legge 23 dicembre 1978 n. 839, che ha previsto lo scol'Poro dei servizi sanitari della croce rossa e il triordinamento dell'Associazione, nonch il trasferimento ai Comuni, da attuarsi, per quanto possibile, secondo il dettato degli articoli 65 e 67 della stessa legge, dei servizi, dei beni mobili e immobHi, e del relativo personale, concernenti l'assistenza sanitaria e non connessi direttamente alle originarie finalit dell'ente. La stessa norma ne ha disposto il riordinamento, secondo criteri direttivi tendenti. a conformare l'organizzazione dell'Associazione (su base regionale) al principio volontaristico per il perseguimento delle finalit statutarie e dagli adempimenti imposti dagli accordi e dagli organi internazionali. Nonostante che abbia trasferito ai Comuni, con effetto dal 1 gennaio 1980, i servizi di assistenza sanitaria della C.R.I., non connessi diirettamente alle sue originarie finalit, per essere destinati alla U.S.L., la norma in esame non ha immediatamente mutato la configurazione soggettiva della C.R.I., quale ente pubblico, conservandole, anzi, l'esercizio di quei servizi, se connessi direttamente con i suoi scopi originari, ed attribuendole in tal modo il perseguimento di finalit tuttora pubblicistiche; ed ha delegato il Governo ad emanare uno o pi decreti, aventi valore di legge ordinaria, per il riordinamento della C.R.I. in base ai criteri direttivi nella stessa norma indicati. In tale quadro programmatico, e in esecuzione della delega, il Governo ha emanato il d.P.R. 613/80, il cui art. 1 ha -si -disposto il mu tamento della natura giuridica della C.R.I. da ente pubblico in ente pri PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE vato d'interesse pubblico, ma l'ha subordinato alla emanazione del nuo vo statuto, coerentemente con le nuove finalit di cui ai criteri direttivi contenuti nehl'art. 70 della legge 833/78 e riprodotti nell'art. 2 dello stesso decreto. Tale mutamento, cio, non stato fatto dipendere dalla previsione e dalla disciplina normativa del riordinamento da attuarsi (ch, se questo fosse stato l'intento legislativo, sulla mutata natura dell'ente si sarebbe potuto esprimere gi l'art. 70 della legge 833/78), ma dal riordinamento in quanto realizzato sul piano fattuale, ai cui fini era indispensabile l'approvazione del nuovo statuto, avendo -quello precedente, ancora esistente -connotati e finalit inconciliabili con la configurazione privatistica che l'ente destinato ad assumere ed alla quale il nuovo statuto dovr conformarsi, e continuando ad essere, la C.R.I., a totale carico dello Stato. Il significato da attribuire all'art. 1 del d.P.R. n. 613 del 1980 , dunque, che la C.R.I. assumer la natura giuridica di ente privato di interesse pubblico soltanto con l'approvazione del nuovo statuto, anche se non avvenuta nel termine, peraltro ordinatorio, indicato dal successivo art. 3 e tuttora non risultante. La natura di ente pubblico, conservata dalla C.R.I. non solo nel momento in cui sorse il rapporto di lavoro subordinato dedotto in giudizio (16 maggio 1976), ma anche in quello del contestato licenziamento (10 febbraio 1983), conduce ad affermare che la controversia, investendo un rapporto di pubblico impiego, riservata all'esame del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 marzo 1989 n. 1349 -Pres. Sandulli Relatore Tondo -P. M. Grossi (conci. conf.) -Commissario Unico per l'Assistenza Sanitaria in Sicilia (avv. Stato Caramazza) c. De Santis e Mascali (avv. Silvestri). Sanit -Medici ambulatoriali convenzionati -Trattamento economico Deliberazione commissariale dell'O.N.I.G. difforme dalle previsioni della convenzione nazionale unica -Difetto assoluto di giurisdizione Non sussiste -Applicazione delle clausole della convenzione nazionale -Necessit della delibera di recezione da parte dei singoli Enti Non sussiste. Ai sensi dell'art. 7 della L. 29 giugno 1977, n. 349, ai medici attribuito un diritto soggettivo perfetto all'adozione, da parte dei commissari dei soppressi Enti mutualistici, della convenzione nazionale unica: non pu perci ritenersi che l'interesse dei medici all'applicazione di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO 168 quest'ultima costituisca un interesse di mero fatto, come tale insuscet tibile di tutela (1). Le controversie promosse dai medici per conseguire i corrispettivi previsti dalle convenzioni nazionali uniche spettano alla cognizione del giudice ordinario, in quanto si ricollegano a posizioni di diritto soggettivo scaturenti da un rapporto professionale di natura privatistica (di c.d. parasubordinazione) (2). Le clausole delle convenzioni nazionali uniche sono dotate di autonoma e diretta. efficacia, tanto da determinare la nullit (ex art. 10, i 0 e 3 comma L. 349/1977) delle convenzioni difformi apposte dalle parti nella convenzione e da inserirsi in essa in sostituzione di queste ultime clausole (art. 1339 cod. civ.): non pertanto necessaria, ai fini della loro applicazione, la preventiva delibera di recezione da parte dei singoli enti (3). (omissis) Ai sensi dell'art. 151 disp. att. cod. proc. civ., si deve, in primo luogo, disporre la riuniOIIl.e dei ricorsi, la cui decisione dipende dalla soluzione di identiche questioni. I ricorsi sono, ci premesso, affidati ai seguenti mezzi di annulla mento: I -difetto assoluto di giurisdizione, perch l'interesse dedotto in giu dizio dai medici ambulatoriali quello del contraente alla stipula di un contratto (individua!le) a lui pi favorevole mediante adesione ad uno schema nuovo e diverso da quello a suo tempo accettato, ed quindi un interesse di mero fatto non tutelabile di fronte a qualsivoglia autorit giusdicente, restando irrilevante la circostanza che il procedimento di formazione delle nuove clausole contrattuali sia di certo tipo piuttosto che di altro, una volta che sia accertato che l'O.N.I.G., su (1-2-3) Punctum saliens della questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite era la definizione della natura e degli effetti, nel sistema della legge 29 giugno 1977, n. 349, delle delibere di recezione della convenzione nazionale unica da parte dei soppressi enti mutualistici. La Cassazione ha riconosciuto a tali delibere un effetto meramente rico gnitivo '" ritenendole non indispensabili ai fini dell'operativit delle clausole con venzionali; in coerenza con tale impostazione, la Suprema Corte ha disatteso l'eccezione di difetto (assoluto e relativo) di giurisdizione sollevata dall'Avvoca tura muovendo dall'antitetico presupposto dell'imprenscindibilit del provvedi mento di recezione ai fini del sorgere di situazioni soggettive giuridicamente tutelate in capo agli interessati. La decisione, di cui non constano precedenti specifici, non sembra risolvere ogni dubbio circa la sua compatibilit con il costante indirizzo giurisprudenziale (richiamato in motivazione) secondo il quale l'atto ammtnistrativo di recezione della convenzione unica non pu in nessun caso attribuire alla disciplina di que st'ultima un'operativit anteriore alla data dell'atto medesimo (cfr., tra le pi recenti pronunce in tal senso, Cass., Sez. Lavoro, 30 marzo 1988, n. 2706). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE conforme parere (esatto o meno che sia) del Ministero della Sanit, non ha adottato l'Accordo Nazionale, perch, anche ad ammettere che tale mancata recezione sia contra legem , le conseguenti sanzioni sono soltanto quelle previste dall'art. 10 della legge n. 349/77 e non gi la produzione automatica ex lege degli effetti che avrebbe dovuto produrre la deliberazione non adottata; II -difetto di giurisdizione del giudice o:rtlinario nei confronti del giudice amminii>trativo o, in alternativa, violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 L. 29 giugno 1977 n. 349, 1378 e 1339 cod. civ., perch la procedura per la formazione delle convenzioni uniche in questione , all'evidenza, cosa del tutto divrsa dalla contrattazione collettiva, posto che l'intervento dei sindacati non avviene sul piano paritetico dell'incontro di volont generatore di un consenso di per s produttivo di effetti, ma integra, invece, soltanto un momento di UIIla procedura pubblicistica, concorrendo a determinare il contenuto di un atto emanando dai pubblici poteri, neiJ. quadro di una collaborazione istituzionalizzata delle organizzazioni sindacali con l'attivit della P.A., sicch la normativa .procedimentale corrispondente una tipica normativa di azione , fonte -nel caso possa essere superata la eccezione di difetto assoluto di giurisdizione -di interessi legittimi del singolo sanitario e non gi di diritti soggettivi; e perch comunque, a tutto voler concedere, la deliberazione di recezione di ogni singolo ente segna l' an ed il quando dell'entrata in vigore delle nuove regolamentazioni a livello di normazione secondaria (art. 8 comma 4 legge n. 349/77), con la conseguenza che, prima di essa, sussiste il solo obbligo dell'ente di emanare un atto a contenuto conformemente vincolato, in difetto del quale la inserzione automatica delle sue clausole, in sostituzione di quelle difformi contenute nella contrattazione pregressa -cos come operata dai giudici di merito -appare operazione arbitraria e condotta in violazione della normativa vigente. La eccezione di difetto assoluto di giurisdizione, sollevata con il primo motivo, palesemen~e infondata. L'art. 7 della legge 29 giugno 1977 n. 349 stabilisce: Fino all'entrata in vigore della riforma sanitaria, i comm~ssari di cui al precedente articolo 2 sono tenuti ad adottare per la disciplina dei rapporti convenzionali con i medici generici, con gli specialisti esterni, con i medici ambulatoriali, con i titolari di farmacie, con i biologi e con gli appartenenti alle categorie sanitarie ausiliarie, le convenzioni nazionali uniche in tutto conformi arll'aocordo na.Zionale tipo stipulato ai sensi dell'art. 8 della presente legge . Insostenibile , ci posto, che, una volta stipulata la convenzione nazionale unica, l'interesse dei medici alla applicazione di quest'ultima al proprio rapporto ed alla conseguente modifica 170 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione del medesimo, costituisca un interesse di mero fatto, che non trova, nemmeno astrattamente, tutela nell'ordinamento (v. al riguardo, da I! ultimo, sent. 21 febbraio 1987, n. 1879; 20 giugno 1987, n. 5453), dal momento che la norma sopra trascritta indubbiamente attribuisce ai medici un diritto soggettivo perfetto, che ha quanto meno per oggetto l'adozione della convenzione da parte dei commissari, in adempimento di II un'obbligazione di fare posto a loro carico dalla legge senza alcun margine di discrezionalit. Parimenti infondata l'eccezione di drnetto _li giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo. Anche ad ammettere che la procedura stabilita dall'art. 8 della legge n. 349 del 1977 non costituisca svo1gimento di un'ordinaria contrattazione collettiva, mettendo invece capo ad un procedimento di natura pubblicistica diretto alla determinazione del contenuto di un atto emanando dai pubblici poteri, assorbente il rilievo che le controversie promosse per conseguire i corrispettivi previsti dalle nuove tariffe spettano alla cognizione del giudice ordinario, in quanto si ricollegano a po<> izioni di diritto soggettivo scaturenti da un rapporto professionale di natura privatistica (di c.d. parasubordinazione; v. per tutte, sent. 24 .giugno 1987, n. 5517), mentre a tal fine irrHevante -come gi ritenuto (v. sent. 5 dicembre 1985, n. 6094) -la questione del se gli accordi nazionali che disciplinano quel rapporto siano atti negoziali (come ritenuto dalla cit. sent. n. 5453/87) oppure amministrativi, dal momento che tale questione pu soltanto incidere sui limiti interni (artt. 4 e 5 L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E) della giurisdizione ordinaria. Chiaro poi come con quest'ultima non interferisca neppure la questione della diretta efficacia delle convenzioni nazionali uniche sui rapporti, a prescindere dalla emanazione di una rdelibern di recezione da parte dell'ente, perch questa una questione di merito, non gi di giurisdizione. Resta da precisare che le pur pregevoli argomentazioni della difesa dell'Amministrazione ricorrente in ordine alla normativa procedimentale in esame come noDmativa di azione ed alfa conseguente natura di interesse legittimo attribuibile ana posizione soggettiva dei medici, si spuntano contro il rilievo che questi ultimi non hanno fatto valere un proprio individuale interesse allo svolgimento della procedura di cui al 1 comma dell'art. 8 della legge n. 349 del 1977 (il che avrebbe reso pertinenti le anzidette argomentazioni), ma hanno invece azionato il proprio interesse all'applicazione di una convenzione unica gi stipulata e, come gi detto, obbligatoria per l'ente senza margine alcuno di discrezionalit. Con l'ultima parte del secondo motivo, l'Amministrazione ricorrente ha dedotto che, in ogni caso, la deliberazione di recezione della convenzione da parte di ogni singolo ente essenziale ed indispensabile ai PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE fini dell'applicazione della nuova regolamentazione, mentre la sussistenza a carico dell'ente dell'obbligo di emanare un atto a contenuto conformemente vincolato di per s non giustifica un'inserzione automatica nei mpporti delle nuove clausole, arbitrariamente nella specie operata dal giudice del merito. Anche questa censura infondata. Se . infatti vero che l'art. 8 della legge n. 349 del 1977, nel disciplinare gli ademptmenti di cui all'art. 7, prevede la emanazione, da parte dei commissari, di deliberazioni di adozione, nel termine di trenta giorni dalla notificazione dell'accordo nazionale da parte del Ministero del lavoro, e, con il 4 comma, stabilisce che le normative e gli accordi vigenti presso ciascun ente o cassa mutua alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di avere efficacia dalla data delle deliberazioni che recepiscono le corrispondenti convenzioni nazionali uniche , non men vero che tale disciplina dettata al filile di assicurare e la conoscenza legale dell'accordo nazionale (soltanto con la legge n. 833 del 1978 siffatti accordi devono esser resi esecutivi con decreto del Presidente della Repubblica) e la sollecita attuazione in sede amministrativa di quanto necessario per l'effettiva, concreta applicazione dell'accordo. Evidentemente contrario ad una siffatta ratio l'assunto che le deliberazioni di recezione abbiano una funzione essenziale e costitutiva ~anzich meramente ricognitiva) di un obbligo gi compiutamente discendente, invece, dalla legge e suscettibile, ai sensi del 1 comma dell'art. 10, di interventi sostitutivi; mentre il 2 ed il 3 comma dello stesso art. 10, comminando la nullit di qualsiasi convenzione (generale od individuale) non conforme alle clausole delle convenzioni uniche, chiaramente attestano come siffatte clausole posseggano un'autonoma, diretta efficacia, tanto da determinare la nullit delle clausole difformi apposte dalle parti nella convenzione e da inserirsi in essa, in sostituzione di queste ultime clausole ~art. 1339 cod. civ.). Si deve del resto osservare che la contraria interpretazione, lungi dal comportare il sacrificio dell'interesse dei medici ad UOJ:a tempestiva applicazione della convenzione unica, soltanto imporrebbe di soddisfarlo, indirettamente e macchinosamente, mediante un'azione risarcitoria fondata sull'inadempimento dell'obbligo di adottare la deliberazione, approdandosi cos allo stesso risultato pratico oui giunge l'interpretazione come sopra preferita. Contro questa interpretazione non infine invocabile quell'indirizzo giurisprudenziale (v. sent. 24 febbraio 1988, n. 1996) secondo cui la deliberazione di recezione della convenzione unica non pu attribuirle operativit anteriore rispetto al termine indicato dalla legge, con conseguente nullit delle clausole della stessa convenzione o di pattuizioni con singoli medici le quali prevedano analoga retroattivit, anche se opportuno precisare che per termine indicato dalla legge si deve, a questi effetti, intendere non soltanto quello normale (preso es 172 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pressamente in considerazione, come tale, dal 4 comma dell'art. 8 della legge n. 349 del 1977) della data della deliberazione di recezione, ma anche quello della data in cui la omessa recezione sarebbe dovuta intervenire. I ricorsi devono pertanto essere rigettati. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. unite, 3 aprile 1989, n. 1590; Pres. (ff) Sandulli -Est. Micali -P. M. Paolini -Rusciica (avv. Cordova e La Rose) c. Lavoro e Previdenza Sociale (Avv. Stato Fiengo). Giurisdizione civile Lavoro Assunzioni obbligatorie L. n. 482 del 1968 Diritti soggettivi nei confronti della P.A. Nonne di relazione Violazione Invalido pretermesso nell'avviamento al lavoro Domanda risarcitoria Giurisdizione A.G.O. La l. 2 aprile 1968 n. 482 nel disciplinare il collocamento obbligatorio di invalidi e minorati configura, a seguito dell'iscrizione dei lavoratori nelle liste di collocamento, diritti soggettivi perfetti e non gi interessi legittimi in capo ai medesimi, uti singuli, nei confronti della Pubblica Amministrazione, in armonia con i precetti costituzionali di cui all'art. 38, 4 e 5 comma della Cost. (1). Mentre le norme che regoano l'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli appositi elenchi sono relative ad una fase di organizzazione (norme di azione), quelle che riguardano il momento successivo all'iscrizione regolano e tutelano direttamente i rapporti tra la P. A. ed i privati (norme di relazione); pertanto appartiene al giudice civile la cognizione della controversia concernente la violazione di tali ultime norme, come nel caso in cui venga illegittimamente pretermesso l'avviamento dell'invalido iscritto nell'elenco (2). Il ricorrente, col primo e col secondo motivo del ricorso, che costituiscono entrambi aspetti diversi di una medesima censura, deducendo violazione e falsa aipplicazione degli artt. 1, 7, 9, 11, 12, 15, 16, 19 e 22 (1) Le Sezioni Unite hanno richiamato d lavori preparatori dell'art. 38 Cost., di cui la Legge 482/68 costituisce attuazione. Da essi emerge l'originario intento di stabilire una relazione tra la comunit ed i singoli che avrebbero costituito, poi, la categoria protetta>>, non considerando, pertanto, questi ultimi come una trascendenza di uomini che avrebbero goduto di un diritto riflesso concessogli dallo Stato . (2) Le S.UU. hanno posto una differenza tra le norme sul collocamento ordinario, dalle quali sorge il diritto riflesso del singolo a trovare occupazione (norme di azione) e quelle invece sul collocamento obbligato:rfo che vanno suddistinte in norme di azione e relazione. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE della legge 2 aprile 1968, n. 482, degli artt. 6 e 7 della legge 13 marzo 1958, n. 308, deM'art. 33 della legge 20 maggio 1970, n. 300, degli artt. 2, 4 e 38 Cost. e degli artt. 12 e 13 del r1d. 30 dicembre 1923, n. 2641, nonch omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n. 3 e 5, c.p.c., ha sostenuto che la Corte di Appello aveva errato nell'aver ritenuto che le norme di cui alla legge 2 aprile 1968 n. 482, costituivano una molteplicit di regole ordinate al buon funzionamento dell'organizzazione pubblica che presiede al collocamento agevolato delle categorie protette e, quindi, dovevano esser considerate norme di azione, poste a tutela di semplici interessi legittimi dei cittadini interessati, che si avvantaggiano di esse soltanto indirettamente per la soddisfazione delle loro esigenze. Il giudice a quo, per contro, secondo la tesi esposta, avrebbe dovuto ritenere che quelle norme, finalizzate a proteggere in via immediata il diritto primario degli invalidi a trovare un lavoro degnamente remunerativo, ex art. 2, 3 e 38 Cost., costituivano norme di relazione, poste a tutela di ,diritti soggettivi perfetti dalla cui lesione so11ge, nei soggetti lesi, il diritto al risavcimento del danno nei confronti della pubblica amministrazione. La doglianza fondata. Essa , nei termini in cui viene posta, ciel tutto nuova in giurisprudenza onde impone al collegio di individuare i tratti differenziali tra il collocamento o:ridinario e quello obbligatorio e, all'interno di quest'ultimo, di stabilire, quando, esaurita la fase amministrativa, da cui sorgono soltanto interessi legittimi, sorga lo status d'invalido, da cui derivano per i soggetti protetti diritti nei confronti della pubblica amministrazione e dei privati. La legislazione sul collocamento ordinario attua una norma programmatica della Costituzione, secondo i precetti di cui agli artt. 1 e 4. Il legislatore costituente, dopo aver stabilito con l'art. 1 che il lavoro il fondamento stesso della Repubblica, ha disposto, in particolare, con l'art. 4, 1 rcomma, che la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al 'lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo 1diritto . Si tratta, pertanto, di un obiettivo di fondo la cui legge di attuazione, concernente le modalit per la realizzazione del collocamento, costituisce il modo dello Stato di organizzarsi e di darsi un ordinamento adatto a far s che i cittadini conseguano il lavoro. Da detta legislazione sorge il diritto riflesso del singolo a trovare un'occupazione, e non gi il suo diritto immediato, intuitu personae, a conseguirlo, e da qui il carattere giuridico d'interesse legittimo per tale aspettativa. La giurisprudenza quindi, con buona ragione ha 'definito sempre le norme sul collocamento ordinario come norme di azione, rivolte all'organizza2: ione di una struttura pubblica quanto pi possibile efficiente RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 174 per il raggiungimento di una finalit costituzionale e, quindi, fonte di un interesse legitHmo per i cittadini. Non cos, invece, pu dirsi per il collocamento obbligatorio. Esso non trae origine dai precetti costituzionali suddetti, inscritti significativamente nel capo concernente i principi fondamentali della Repubblica, bens dall'art. 38, 4 e 5 comma, Cast., contenuto nel titolo terzo sui rapporti economici, che un precetto di tutela rafforzata di gruppi minoritari a cagione d'imperfezioni fisiche o di sventure incolpevoli (e da qui gli orfani e le vedove di guerra nonch i profughi) che rendono ancor pi imperioso per quei soggett! il bisogno di lavorare, perch sfavoriti sui luoghi di lavoro e non accettati per il loro disadattamento o per la mancanza di una professionalit specifica. Tali precetti costituzionali costituiscono delle vere e proprie regole di civilt giuridica finalizzate immediatamente e direttamente alla tutela di valori fondamentali concernenti i cittadini pi deboli o, pi in generale, meno favoriti dalla sorte per ragioni sociali o politiche, di cui la collettivit si fa carico ex s come dovere suo di rendere uguali il pi possibile i cittadini anche contro le rego~e economiche del profilo imprenditoriale. Da qui il tratto differenziale con le norme sul collocamento ordinario, perch quelle sul collocamento obbligatorio, volte all'attuazione costituzionale di diritti finalizzati alla valorizzazione dei disabili, sono fonte di diritti soggettivi intuitu personae, e non gi rivolte alla tutela di una molteplicit indistinta di cittadini, onde esse, in linea di massima, sono norme di relazione. Tuttavia, anche all'interno del sistema del collocamento obbligatorio bisogna distinguere tra una fase preliminare di organizzazione in cui lo Stato predispone i modelli di attuazione delle provvidenze volute (norme di azione) e quelle in cui, superata la prima, sorge nel soggetto protetto lo status d'inabile (momento iniziale delle norme di relazione). La prima fase costituita dalla domanda presentata a:lla pubblica amministrazione dall'avente diritto all'iscrizione, e dagli accertamenti che quella deve compiere per verificare la sussistenza delle condiciones juris richieste dalla legge, per cui tale fase del rapporto, costituita, com', da norme di azione, d luogo soltanto ad un interesse legittimo in favore del richiedente ed tutelabile dinanzi al giudice amministrativo. Superata tale fase, ed accertata in sede amministrativa la sussistenza dei requisiti richiesti, l'iscrizione dell'avente ditritto nell'elenco che gli compete fa sorgere in lui lo status d'invalido, che, come tale, fonte soltanto di diritti soggettivi, perch la legislazione che lo assiste costituita da una serie di norme di relazione ohe lo proteggono e lo sostengono uti singulus nel suo bisogno particolarre di lavorare. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 175 Di tanto ne d certezza la stessa legge n. 482/68, che riepilogativa di una molteplicit di norme gi poste a favore delle categorie protette ai fini del collocamento obbligatorio (leggi nn. 453/45, 479/46, 1222/47, 538/48, 375/50, 539/50, 137/52, 142/53, 292/53, 594/54, 594/57, 130/58, 365/58, 1539/62 e 367/63) e che ha la medesima ratio dei provvedimenti legislativi c):le riassume, ordinati tutti a dare attuazione, come gi detto, ai precetti costituzionali di cui agli artt. 4 e 36 Cost. Il legislatore, pertanto, ha voluto conseguire con essa una doppia finalit: introdurre, anzi tutto, un criterio volto a temperare in favore delle categorie meno favorite quoad laborem exercendum la regola economicistica della valutazione del posto di lavoro secondo criteri di utilit marginale (rapporto di profitto in termini di capitalizzazione imprenditoriale, tra lavoro svolto e retribuzione corrisposta) e, dall'altro, restringere l'intervento as,sistenziale dello Stato mediante la soLlecitazione dello spirito solidaristico dei datori di lavoro, sia privati che pubblici, al fine dell'inserimento dei cittadini parzialmente disabili nel tessuto economico e produttivo della nazione. Or tali scopi, per la iloro stessa natura, afferendo alla vita di relazione ed avendo come mira il conseguimento del bene comune (che gi di per s, significativamente, si novera da ci che ne ridonda nei singoli) possono esse.r conseguiti soltanto con la promulgazione di una molteplicit di norme di relazione, ordinate tutte, strutturalmente e funzionalmente, all'attuazione dei precetti costituzionali gi detti, che, anche nei rapporti economici, sono finalizzati allo svi1uppo defila personalit dei cittadini. La legge n. 482/68, pertanto, volta a costituire, ontologicamente, nei soggetti protetti, dei diritti soggettivi (nei limiti gi indicati) e non gi degli interessi legittimi, perch l'apparato burocratico da essa predisposto si pone in posizione immediatamente dialogica coi cittadini in ordine ai bisogni oui essa deve provvedere. Su tale caratterstica fondamentale ha convenuto anche per ben due volte la Corte Costituzionale (sent. nn. 38/60 e 55/61) seppure con riferimento alla legislazione frammentaria precedente, ed essa ha posto in rilievo la funzione relazionale di quella legislazione, osservando che il precetto di cui all'art. 38 Cost. si sostanzia e si realizza nell'effettivo collocamento al lavoro, e tal fine, nella specie, viene assolto dallo Stato per mezzo di un ~uo organo, la Commissione prevista dall'art. 4 del r.d.lgt. 3 ottobre 1947, n. 1222, che provvede al collocamento dei minorati ed attua il reinserimento di essi nel mondo del lavoro . l)ella caratteristica di norme di relazione deHa legislazione in esame ne d certezza anche la Carta Sociale Europa adottata in Torino il 18 ottobre 1981 e recepita nel nostro ordinamento con la legge 3 luglio 1965, n. 929, il cui art. 15 dispone che: per assicurare l'esercizio effettivo del diritto della persona fisicamente o mentalmente minorata 176 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO alla formazione professionale ed al riadattamento professionale e so ciaile le Parti contraenti s'impegnano: ... 2) a prendere misure adeguate per il collocamento delle persone fisicamente minorate specialmente per mezzo dei servizi specializzati di collocamento, di possibilit d'impiego protetto e di misure atte ad incoraggiare i datori di lavoro ad assumere persone fisicamente minorate . Appare evidente, quindi, che la legge n. 482/68, tenuto conto deiJa sua finalit di attuazione dei precetti costituzionali, se non costituisce diritti soggettivi perfetti tra gli iscritti nelle liste di. collocamento ed datori di lavoro cui i primi vengono avviati, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, ne costituisce certamente, anzi esclusivamente nei confronti dalla pubblica amministrazione dopo l'avvenuta iscrizione degli aventi diritto negli elenchi appositi. L'efficacia obbligatoria di tale legge, quindi, ha come soggetti di riferimento, i disabili, . da un lato, e la pubblica amministrazione, dall'altro, dopo che sia avvenuta da parte di quest'ultima la constatazione della sussistenza dei requisiti di legge richiesti per l'iscrizione dei primi. La caratteristica della legge in esame, di contenere, cio, essenzialmente norme di relazione, idonee a costituire diritti soggettivi perfetti .in favore dei cittadini invalidi, 1si trae non soltanto dal tenore generale delle singole disposizioni, ma dalla stessa letteralit della norma di cui all'art. 30, che si riferisce ai soggetti protetti definendoli come aventi diritto. Or non v' dubbio che se di costituzione di un diritto pu parlarsi nella fattispecie, esso pu esser riferibile, ed avere come termine di relazione, soltanto la pubblica amministrazione, perch il momento costi tutivo del contratto di lavoro caratterizzato dall'in idem placitum et consensus dei contraenti e non gi dall'atto amministrativo di avviamento al lavoro emesso dalla commissione per il collocamento (salvo ovviamente il diritto dell'invalido al risarcimento del danno in caso di non avvenuta assunzione). Che la legge n. 482/68 non ontenga principalmente norme di azione rivolte soltanto al funzionamento interno della pubblica amministrazione, bens norme di relazione, si trae anche dall'interpretazione che ha dato ad essa il Consiglio di Stato con l'enunciazione del principio di diritto seguente: l'art. 19 della legge 2 aprile 1968, n. 482, il quale prevede l'istituzione presso gli uffici provinciali del lavoro degli elenchi, _ per singole categorie d'inva11di in possesso di determinati requisiti, non si rivolge unilateralmente all'amministrazione per regolairne il funziona i:! mento interno (cos dette norme di azione, da cui le posizioni giuridiche dei privati ricevono soltanto protezione occasionale), ma regola e tutela I direttamente i rapporti tra la pubblica amministrazione ed i privati, : ii f f f: PARm I, SBZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 177 che si atteggiano secondo gli schemi (correlazione al diritto di un soggetto, dell'obbligo, in 1senso lato, dell'altro) che normalmente valgono, secondo il diritto comune, a distinguere e ad armonizzare i rapporti tra le sfere giuridiche dei singoli soggetti cos dette no:rime di relazione (sent. n. 495 del 22 giugno 1971). Pi particolarmente, la ratio della legge n. 482/68 trova la sua legit timazione nei principi che il legislatore costituente pose a fondamento del precetto di cui all'art. 38 Cost. L'iter legislativo di tale norma fu molto ~aborioso, ma, ripercorrendone il cammino, esso dimostra che il legislatore consider sempre i precetti di carattere assistenziale e previdenziafo, con rigu.aroo agli inabili, come norme primarie della vita di relazione, poste a garanzia dei diritti inalienabili della persona (diritti soggettivi primari) per il conseguimento dei quali le leggi o:ridinarie a'VTebbero avuto soltanto funzione d'agevolazione tra il cittadino e lo Stato e, quindi, il carattere costitutivo di norme di relazione. La prima formulazione che il precetto ebbe ad opera del relatore nominato dalla terza sottocommissione dell'assemblea costituente nella seduta dell'll settembre 1946, constava di quattro commi di cui gli ultimi due concernevano pi direttamente i diritti previdenziali ed assistenziali: ogni essere che, a motivo dell'et, dello stato fisico o mentale, o della situazione economica, si trovi nell'impossibilit di lavorare, ha diritto di o.ttenere dalla collettivit mezzi adeguati di sussistenza. rgani pubblici di protezione sociale garantiranno i menzionati diritti, attuando e promovendo ogni forma di assistenza, compresa quella medica gratuita, che deve tendere anche al riattamento fisico della persona minorata . L'illustrazione che ne fece il relatore fu la seguente: 1) la formula prospettata deriva dagli insegnamenti di altre costituzioni cui opportuno accostarsi p~r un'auspicabile unicit di sistema, ma contiene anche, in implicito, il richiamo ad una solidariet sociale che risponde alla generosit consapevole de1lo spirito, che fonte primaria e spontanea del nostro diritto; 2) ogni cittadino, per il fatto stesso che esiste e vive, ha diritto di essere posto in condizioni di poter far fronte alle minime esigenze di vita, e queste possono venire soddisfatte attraverso un'attivit diretta, in quanto l'individuo ha la possibilit fisica od intellettuale nonch l'occasione sociale ed economica di lavorare, (nel qual caso ha anche il dovere di farlo) ovvero attraverso l'obbl1go che in combe alla collettivit, quando il cittadino, indipendentemente dalla sua volont, non sia in condizioni, o per una crisi sociale, o per una causa fisica, intellettuaile o psichica, di lavorare; 3) non ritengo che debba 178 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO essere affrontato il problema molto dibattuto se l'assistenza e la previdenza debbano essere a carico dello Stato o della produzione, ovvero dell'una o dell'altro, perch la questione ha carattere secondario, che dovr essere precisato dalle leggi speciali, essenziale l'affermazione che spetta alla collettivit di corrispondere alle esigenze determinate da situa zioni particolari di carenza economica . Si comprende facilmente, quindi, che il precetto fu riguardato iniziailmente in un'ottica solidaristica, e fu ritenuto realizzabile secondo i principi tr<:.dizionali della mutualit, onde esso ebbe all'inizio carattere sinallagmatico e, quindi, di relazione tra la comunit ed i singoli, che avrebbero costituito, poi, le categorie protette. Queste ultime erano state considerate, pertanto, non gi come una trascendenza di uomini che avrebbero goduto di un diritto riflesso concessogli dallo Stato, secondo la concezione etica dello Stato idealista (che tanti guasti aveva cagionato in un passato recente e che la prima sottocommissione dell'assemblea costituente aveva rifiutato formalmente nella seduta del 9 settembre 1946) bens come una sommatoria di uomini che avrebbero goduto ciascuno della protezione loro accordata come espressione del loro diritto naturale ed individuale alla vita ed al lavoro. Non v' dubbio, quindi, che i precetti costituzionali di cui all'art. 38, 4 e 5 comma, escludevano fin dal suo sorgere che le leggi ordinarie che vi avrebbero dato attuazione sarebbero state norme di azione, astratte ed impersonali, rivolte soltanto all'organizzazione statuale e non gi correlate ai bisogni dei cittadini inabili, che, uti singuli, si sarebbero avvantaggiate di esse. La formulazione della norma, poi, in sede di adunanza plenaria delle sottocommissioni, ricevette la formulazione seguente ed in tali termini fu posta in votazione nella seduta dell'assemblea del 10 maggio 1947: ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari alla vita ha diritto al mantenimento ed all'assistenza sociale. I lavoratori, in ragione del lavoro che prestano, hanno diritto che siano loro assiicurati mezzi adeguati per vivere in caso d'infortunio, ma. Jattia, invalidit e vecchiaia, All'assistenza ed alla previdenza provvedono istituti ed organi predisposti ed integrati dallo Stato. Il precetto, pertanto, rimase incantato, nella sua formulazione non del tutto felice, al vecchio criterio mutualistico, e non specificava con chiarezza il gra do di tutela del diritto naturale degli inabili a:l.Ja loro riabilitazione ed al loro reinserimento nel mondo del lavoro. Fu proposto, quindi, un emendamento la cui formulazione avvicinava sempre pi lo stesso precetto costituzionale alla natura di norma di relazione che esso avrebbe assunto definitivamente rispetto alle esigen PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE ze ed ai bisogni primari di vivere e ben vivere dei cittadini disabili, come aspetto emblematico dell'esigenza di eliminazione o di attenuazione della minorit fisica parziale quale sventura da sopraffare: La Repubblica si assume , e di fronte ad esso i singoli diritti aJl layoro dei cittadini acquistano, in concreto, di volta in volta, valore e specificit d'interessi legittimi che trovano tutela riflessa nel conseguimento della finalit programmata d'ordirne generale. Non cos, invece, le norme sul collocamento obbligatorio, il cui scopo legislativo di proteggere i disabili come aventi diritto particolare alla soddisfazione delle esigenze primarie di vita rispetto alla gene ralit dei cives trova fondamento anche nella nostra tradizione giuridica, le cui categorie tenute presenti erano costituite soltanto dai reduci e dagli invalidi di guerra. Il Senato di Roma promulg per es!li una legge apposita di carattere premiale per quanti avevano ben meritato per la patria, onde la protezione sociale derivatane fu tanto di tutela, per la diminuita capacit di lavoro, quanto di f avor ad civitatem augendam (Plutarco: Vite parallele, Agiole e Chiomene ed i Gracchi). Oggi, il nostro legislatore, in armonia con il mutamento dei tempi e dei valori (questi ultimi, affermatisi nella coscienza sociale), ha ritenuto di accordare maggior tutela a tutti gli invaHdi. Senza distinzione di origine e di causa, assimilando il premio per meriti c01;nbattentistici alla sollecitudine e alla giustizia sociale, nello spirito di valorizzazione della persona umana, ritenuto tanto pi necessario quanto meno que sta dotata per sorte di natura. Da quanto innanzi esposto consegue che il primo ed il secondo motivo del ricorso sono fondati e devono essere accolti, mentre il terzo motivo dev'essere dichiarato assorbito. (omissis) PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 181 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 3 aprile 1989, n. 1600 -Pres. Brancaccio -Est. Fanelli -P. M. A.matucci -Soc. A.P.T. ed altri (avv. Russo e Galluppi) c. Min. Tesoro (Avv. Stato Sabelli). Previdenza Assicurazioni obbligatorie -Oneri sociali Fiscalizzazione Imprese manifatturiere ed estrattive Inclusione delle imprese im piantistiche metalmeccaniche Art. 22 secondo comma dJ. n. 633 del 1979 Carattere innovativo Efficacia. Ai sensi dell'art. 22, secondo comma del d.l. 30 dicembre 1979 n. 633, convertito con modificazioni in l. 29 febbraio 1980 n. 33, il beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali deve innovativamente ritenersi esteso anche alle imprese impiantistiche del settore metalmeccanico, dovendo queste ultime essere ricomprese nella categoria delle impre:,e manifatturiere ed estrattive di cui all'art. 1 del d.l. 7 febbraio 1977 n. 15, convertito con modificazioni in l. 7 aprile 1977 n. 102. Pertanto, tale estensione del beneficio riguarda l'anno 1980 e non pu essere invocata l'efficacia ex tunc della norma citata, non costituendo essa interpretazione autentica della precedente normativa (1). (omissis) 1. Il ricorso principale e quel!to incidentale vanno riu niti (art. 335 c.p.c.). 2. Con l'unico motivo del loro ricorso principale denunciando violazione e faJ.sa applicazione degili artt. 1 della I. 7 aprile 1977 n. 102 e 22 della I. 29 fobbraio 1980 n. 33, le Societ sostengono che le aziende di installazione di impianti hanno natura di impresa manifatturiera, confermata dall'espresso disposto dell'art. 22 cit. che costituisce norma di interpretazione autentica e non gi mera norma innovativa di estensione del beneficio unicamente per il futuro: esse quindi hanno (1) Le S.UU. hanno evidenziato che la precisazione della nozione di im prese manifatturiere ed estrattive, in forma di interpretazione autentica era gi avvenuta con l'art. 5 della Legge n. 92 del 1979. Nell'occasione la Corte ha prospettato i dubbi di costituzionalit che deri verebbero dall'attribuzione di carattere d'interpretazione autentica alla norma controversa, nei riguardi degli artt. 81, u.co. e 3 della Cost. In contrasto con l'ult. co. dell'art. 81 Cost. sarebbe la mancata previsione di una copertura di spese aggiuntiva nella Legge di conversione n. 33/80 in relazione all'onere aggiuntivo derivante dal riconoscimento di uno sgravio per le imprese impiantistiche con effetto retroattivo. Infine, in contrasto con l'art. 3 della Cost. sarebbe la disparit di trattamento tra imprese impiantistiche per le quali lo sgravio costituirebbe una vera misura di sostegno e le imprese di altri settori per le quali lo sgravio era finalizzato ad una manovra di raffreddamento dei prezzi, strettamente connessa al momento storico in cui fu emanato il DL. 1977, n. 15. 14 182 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO diritto a1la fiscalizzazione degli oneri sociali (anche) per. il periodo 1977-1979. 3. -n ricorso infondato. Oggetto della causa la spettanza o meno, aille imprese impiantistiche del settore metalmeccanico, del beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali quale introdotto dall'art. 1 del d.l. 7 febbraio 1977 n. 15, convertito con modificazioni nella legge 7 aprile 1977 n. 102, e successivamente prorogato da1la normativa infra citata. In particolare si controverte in ordine alla portata del secondo comma dell'art. 22 del d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, convertito con modificazioni nella legge 29 febbraio 1980 n. 33, che recita: l'espres5ione "imprese manifatturiere ed estrattive", di cui all'art. 1 del decreto legge 7 febbraio 1977 n. 15, convertito con modificazioni nella Jegge 7 aprile 1977 n. 102, deve intendersi comprensiva delle imprese impiantistiche del settore metalmeocanico , discutendosi se esso abbia carattere interpretativo, nel senso che il legislatore del 1980 abbia inteso fugare ogni dubbio riconoscendo espressamente (e retroattivamente) alle imprese impiantistiche del settore metalmeccanico il beneficio della fiscalizzazione (anche) per gli anni 1976-1979, intervenendo con una norma di interipretazione autentica della disciplina regolatrice di tale sgravio; ovvero innovativo, avendo il legislatore inteso lllnicamente estendere anche alle imprese suddette il beneficio della fiscalizzazione per l'anno 1980, disinteressandosi della spettanza, o meno, dello stesso per gli anni precedenti. 4. -Il beneficio de1la fiscalizzazione degli oneri sociali stato introdotto dal menzionato d.l. 7 febbraio 1977 n. 15 (recante norme per il contenimento del costo del lavoro e dell'inflazione) per il periodo dal 1 febbraio di quell'anno fino al 31 gennaio del 1978. Il beneficio consisteva nel riconoscimento alle imprese di un credito dell'importo di L. 14.000 corrispondenti a 4 punti di contingenza per ogni mese di retribuzione (compresa la tredicesima mensilit), reddito maggiorato di L. 10.500 (corrispondenti ad altri A3 punti di contingenza) a decorrere dal l maggio 1977. Tale credito era destinato ad operare a con guaglio degli importi contributivi dovuti dalle imprese agli enti gestori dell'assicurazione contro le malattie. Per compensare le conseguenti minori entrate di tali enti previdenziali era previsto un pari apporto de1lo Stato con .relativa copertura finanziaria. A beneficiare de1la fiscalizzazione degli oneri sociali erano -secondo l'originaria formulazione del decreto legge -~e imprese industriali ed artigiane, escluse q1Uelle edili ed affini (art. 1 d.l. cit.). In sede di conversione di detto decreto legge l'ambito delle imprese beneficiarie della fiscalizzazione fu meglio precisato individuando le stesse nelle imprese manifatturiere ed estrattive . PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 183 Invece un'estensione di tale ambito fu prevista dalla successiva legge 8 agosto 1977 n. 573 che accord il beneficio suddetto anche ad altre categorie di imprese (quelle commerciali -comprensive dei loro consor:z;i e societ consortili -condotte anche in forma cooperativa, considerate esportatrici abituali secondo i criteri fissati dalla legge sull'IVA, nonch le imprese alberghiere, anche con prestazioni termali, i pubblici esercizi per fa somministrazione di alimenti e bevande). La fiscalizzazione fu 'successivamente prorogata prima (fino al 31 marzo 1978) con d.l. 30 gennaio 1978 n. 15 (convertito nella legge 22 marzo 1978), indi con d.l. 6 luglio 1978 n. 353 (convertito nella legge 5 agosto 1978 n. 502). Contestualmente a1la proroga, fu anche modificato lo stesso meccanismo operativo e di calcolo del beneficio; fu infatti prevista (in luogo del credito da far valere in sede di conguaglio) un'immediata riduzione contributiva, peraltro in misura diversa secondo che si trattasse di personale maschile ovvero femminile, privilegiando quest'ultimo in modo da sostenere ed incentivarne (indirettamente) l'occupazione. P,ertanto a partire dal 1 luglio 1978 alle imprese beneficiarie della fiscalizzazione fu concessa una riduzione di L. 24.500 mens1li sui contributi per l'assicurazione di malattia dovuti per ogni addetto di sesso maschile, nonch l'esenzione totale dal pagamento dei contributi medesimi per 1e prime 400.000 lire di contribuzione per ogni addetto di sesso femminile. Beneficiarie della proroga della fiscalizzazione, nei nuovi termini come sopra descritti, erano -secondo .l'espresso disposto dell'art. 2 del d.l. n. 353 del 1978 -le imprese di cui all'art. 1 del d.l. 7 febbraio 1977 n. 15, convertito con modificazione nella legge 7 aprile 1977 n. 102, nonch le imprese di cui all'art. 1 della legge 8 agosto 1977 n. 573 . Non di meno l'ambito delle imprese aventi diritto alla riduzione o al parziale esonero contributivo fu ampliato rispetto alla previgente di. scipHna, giacch l'art. 2 della legge n. 573 del 1977, estendendo il beneficio della fiscalizzazione anche alle aziende alberighiere con prestazioni termali, alle aziende per la somministrazione di alimenti e bevande, alle agenzie di viaggio, ai complessi turistico-ricettivi dell'aria aperta, foro consorzi e societ consortili condotte anche in forma cooperativa. Un'ulteriore proroga della fiscalizzazione (fino al 30 giugno 1979) fu prevista dal d.l. 30 gennaio 1979, n. 20, convertito nella legge 31 marzo 1979 n. 92. Contestualmente a tale proroga per il legislatore ptl:ecis sia il contenuto del beneficio (in ordine alla specifica questione dell'applicabilit o meno dello stesso sulla tredicesima mensilit), sia il suo ambito di applicazione non solo definendone meglio la sua originaria estensione, ma anche ampliandola. 184 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ed infatti -quanto al contenuto del beneficio , -l'art. 2 della legge n. 94 cit. prevede, con una norma di interpretazione autentica, che mentre l'originario credito contributivo (riconosciuto alle imprese dal d.l. n. 15 del 1977 cit.) doveva intendevsi riferito anche alla tredicesima mensiilit, invece la riduzione o parziale esenzione contributiva (introdotta dal d.l. n. 353 del 1978) non trovava applicazione n sulla tredicesima mensilit, n su altre mensilit aggiuntive. Quanto all'ambito di applicazione del beneficio il legisil.atore oper, come gi detto, in duplice modo. Introdusse innanzi tutto una precisazione in ordine alla determinazione delle imprese originariamente beneficiarie della fiscalizzazione, chiarendo (all'art. 5 della legge n. 92 del 1979) che Je imprese manifatturiere ed estrattive di cui all'art. 1 del d.l. 7 febbraio 1977, n. 15, convertito con modificazioni nella legge 7 aprile 1977, n. 102, sono individuate con riferimento alla classificazione deLle attivit economiche predisposte dall'ISTAT. Inoltre il legislatore (sia nel decreto fogge cit. che nella stessa legge di conversione) ampli ulteriormente l'ambito delle imprese aventi diritto a11a fiscalizzazione, prima estendendolo -con l'art. 1 del d.l. n. 20 del 1979 -alle imprese costituite come societ per azioni che esercitassero, mediante una complessa organizzazione tecnico-amministrativa, l'attivit di progettazione di impianti industriali, alle aziende idrotermali, anche se non annesse. ad imprese alberghiere, e alle imprese di distribuzione e noleggio di films e di esevcizio delle sale cinematografiche; poi ulteriormente estendendolo -con l'art. 1 legge n. 92 del 1979 -alle imprese artigiane, escluse. quelle edili ed arffini, limitatamente ai lavoratori dipendenti e con esclusione dei titolari e dei coadiuvanti. Un'ulteriore proroga (fino al 31 dicembre 1979) fu prevista dalla legge 13 agosto 1979, n. 375. 5. Interviene alfine ola norma che forma oggetto della questione dibattuta col presente ricorso, cio l'art. 22 del d.J.. 30 dicembre 1979, n. 663 (recante norme sul finanziamento del servizio sanitario naziona' 1e), ,convertito con modificazioni nella legge 29 febbraio 1980, n. 33, norma questa che pur saldandosi ai precedenti provvedimenti di concessione del beneficio in esame (talch non vi soluzione temporale di continuit), ha nuovamente strutturato l'istituto della fiscalizzazione degli oneri sociali prevedendone sia il contenuto che i beneficiari. Quanto al contenuto il legislatore ha abbandonato il sistema della riduzione in cifra del contributo di malattia (ossia una_ somma uguale per tutte le imprese beneficiarie a prescindere dalla retribuzione iin concreto erogata ai dipendenti), optando per una riduzione percentuale PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 185 delle aliquote complessive nella misura rispettivamente di quattro punti (percentuali) rper il personale maschile e di dieci ipunti per il personale femminile. Quanto all'ambito di applicazione di questo nuovo sistema di fiscalizzazione il legislatore, invece di ripetere l'ormai lungo elenco di categorie di imprese beneficiarie che, da11'origina:ria definizione del d.I. n. 15 del 1977, si era progressivamente ampliato -cos come gi detto, -ha preferito far riferimento, con la tecnica del rinvio recettiz10 e quindi con una formulazione pi sintetica, alle precedenti norme di legge, via via .succedutesi nel tempo. Tale rinvio cos testualmente operato dall'art. 22 cit.: In attesa del riordino organico di tutta fa materia concernente gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali, a decorrere dal periodo di paga successivo a quello in corso al 31 dicembre 1979 e fino al 31 dicembre 1980, le aliquote complessive della contribuzione per J'assicurazione obbligatoria contro le malattie a carico: -delle imprese di cui alil'art. 1 del d.I. 7 febbraio 1977, n. 15, convertito, con modificazioni, nella legge 7 aiprile 1977, n. 102; -delle imprese di cui all'art. 1 della legge 8 agosto 1977, n. 573 nel testo modificato dall'art. 2 della legge 5 agosto 1978, n. 502; -nonch de1le imprese di aui all'art. 1 del d.I. 30 gennaio 1979, n. 20, convertito, con modificazioni, nella Jegge 31 marzo 1979, n. 92; sono ridotte... . In sede di conversione del cit. decreto legge nella legge 29 feh braio 1980, n. 33, fu inserito nell'art. 22 .un secondo comma, la cui interpretazione cqstituisce oggetto della presente controversia, che prevedeva che l'espressione imprese manufatturiere ed estrattive , di cui all'art. 1 del decreto-legge 7 febbraio 1977, n. 15, convertito con modificazioni nella legge 7 aprile 1977, n. 102, dovesse intendersi come com prensiva delle imprese impiantistiche del settore metalmeccanico . Di tale modifica fu data ragione in aula dal primo firmatario dell'emendamento on. Romei, secondo cui (v. il resoconto stenografico dclla seduta) l'emendamento tende a dare l'interpretazione autentica delle norme del primo provvedimento sulla fiscalizzazione, inserendo nelle imprese manufatturiere ed estrattive le imprese impiantistiche del settore metalmeccanico che Je classificazioni ISTAT comprendono invece nel settore edilizio . 6. -Anche i provvedimenti legislativi successivi alla legge n. 33 del 1980, di cui si discute, mantengono distinte le imprese impiantistiche sul settore metalmeccanico (come categorie a s) dalle imprese manifatturiere. Invero, con d.I. 9 luglio 1980, n. 301 il legislatore ha dettato un'ulteriore speciale riduzione di una serie di oneri sociali (analiticamente in RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 186 dicati nell'art. 1) a carico delle imprese al fine di frenare l'inflazione e sostenere la competitivit del sistema industriale: beneficiarie di tale intervento sono state le imprese industriali ed artigiane operanti nei settori manifatturieri ed estrattivi individuati con riferimento alla classificazione delle attivit economiche predisposte dall'ISTAT e ile imprese impiantistiche del settore metalmeccanico . Decaduto tale decreto-legge, veniva ripresentato con d.1. 30 agosto 1980, n. 503, (convertito nella legge 23 ottobre 1980, n. 687); veniva riprodotta la Stessa definizione neH'amibito delle impres beneficiarie del l'intervento di sostegno. Infine con legge 28 novembre 1980, n. 782 il legislatore da una parte prorogava al 30 giugno 1981 il termine di cui al cit. art. 22 del d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, d'altra parte a:ccoridava nuovi sgravi contributivi ed inqividuava le imprese beneficiarie della fiscalizzazione nelle imprese industriali ed artigiane operanti nei settori manifatturieri ed estr~ttivi. nonch nel1e imprese impiantistiche del settore metalmeccanico, risultanti da1la classificazione delle attivit economiche adottata dall'ISTAT. 7. -Il problema interpretativo che pone il secondo comma dell'art. 22 cit. consiste sostanzia1mente -come gi innanzi rilevato -nell'indagare se il legislatore, nel porre la nuova disciplina della fiscalizzazione degli oneri sociali (ossia quella relativa all'anno 1980), abbia a:nche inteso dettare una disposizione atta a meglio regolare la precedente fiscalizzazione (ossia quella relativa agli anni 1977/1979). Dagli atti parlamentari parnebbe che l'intento quanto meno del primo firmatario dell'emendamento fosse appunto quello di cogliere l'occasione de1l'introduzione della disciplina della nuova fiscalizzazione per regolare, con una norma interipvetativa, un aspetto della vecchia fiscalizzazione. Viceversa la g1urisprudenza di questa Corte ha in sostanza ritenuto che il legislatore della legge n. 33 del 1980 si completamente disinteres sato della pvecedente fiscalizzazione, nonostante che un diservo inter1dimento fosse in animo dei promotori deH'emendamento in questione. In altre parole, la manifestata volont di incidere anche sulla vecchia fiscalizzazione non si sarebbe tradotta in realt in un precetto normativo. E sotto questo profilo -che quello che rileva al fine di accertare se alle imprese impiantistiche del settore metalmeccanico spetti anche il beneficio della vecchia fiscalizzazione in forza del secondo comma dell'art. 22 cit. -non vi alcun contrasto, avendo tutta la giurisprudenza ritenuto che tale norma riguardi unicamente la nuova fiscalizzazione. Alla base di tale affermazione vi il carattere innovativo, e non gi interpretativo, del secondo comma dell'art. 22: la giurisprudenza di gran lunga prevalente ha infatti ritenuto che il Jegislatore, nel porre al se - PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 187 condo comma de11'art. 22 (in sede di legge di conversione) J'equiparazione delle imprese impiantistiche del settore metalmeccanico alle imprese manifatturiere ed estrattive ~di cui all'art. 1 del d.l. n. 15 del 1977, conv in 1. n. 102 del 1977), ha inteso unicamente estendere il beneficio della nuova fiscalizzazione (ossia quella relativa all'anno 1980) anche a tali prime imprese che invece ne sarebbero rimaste escluse se l'ambito delle imprese beneficiarie dell'intervento di sostegno fosse rimasto defi nito dal solo primo comma dell'art. 22 del decreto ~egge (Cass. 15 ottobre 1986, n. 6061; 13 aprile 1987, n. 3693; 11 maggio 1987, n. 4332; 26 novembre 1987, n. 8570; 19 dicembre 1987, n. 9482; 19 gennaio 1988, n. 373; 19 gennaio 1988, n. 383; 19 gennaio 1988, n. 387; 21 gennaio 1988, n. 459; 5 f.ebbraio 1988, n. 1243; 17 giugno 1988, n. 4157). 8. -Le ragioni di tale orientamento unfforme possono cos sintetiz zarsi: A) Il primo comma dell'art. 22 non indica nominatim le imprese be neficiarie della nuov'a fiscalizzazione, ma rinvia ai precedenti testi nor mativi al fine di definire l'ambito di applicazione del nuovo intervento di sostegno. Questa tecnica incide anche sull'interpretazione del secondo comma nel senso che la puntualizzazione in ordine all'espressione imprese manifatturiere ed estrattive contenuta nell'art. 1 del d.l. n. 15 del 1977 va letta anch'essa in chiave di mero rinvio recettizio per definire meglio (ampHandolo) l'ambito delle imprese beneficiarie della nuova fiscalizzazione e non gi di quelle destinatarie del precedente interv,ento di sostegno ormai esaurito. B) Il legislatore, appena un anno prima, aveva gi precisato (con l'art. 5 della legge n. 92 del 1979) la nozione di imprese manifatturiere ed estrattive, facendo riferimento alla classificazione delle attivit eco nomiche predisposte dall'ISTAT, ossia ad un criterio oggettivo che non lasciava margine a contestazioni; alla stregua di tale puntualizzazione le imprese impiantistiche erano sicuramente escluse dal beneficio della (vecchia) fiscalizzazione perch la classificazione dell'ISTAT le te neva distinte da quelle manifatturiere ed estrattive. Sarebbe ben strano -si rileva nella cit. sentenza -che, a cos breve distanza di tempo e senza neppure richiamare la precedente legge n. 92, il legislatore sia tornato a precisare ulteriormente l'ambito delle imprese aventi diritto al beneficio con una prescrizione di segno opposto rispetto a quella contenuta nell'art. 5 cit. C) L'art. 22 inserito nel contesto di un provvedimento legislativo che riguarda il finanziamento del servizio sanitario nazionale e la fi. scalizzazione degli oneri sociali per l'anno 1980 e limitatamente a tale anno prevista la copertura dell'one;re finanziario relativo. . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pertanto anche il secondo comma di tale norma si riferisce alla fiscalizzazione per l'anno 1980 e non anche a quella degli anni precedenti; quindi ha carattere innovativo. D) La legislazione successiva alla sopraindicata legge n. 33 del 1980 continua a tenere distinte le imprese impianHstiohe del settore metalmeccanico dalle imprese estrattive e manifatturiere. Ta.Je rilievo autonomo delle prime non av:r~ebbe senso se l'equiparazione sancita dal secondo comma dell'art. 22 non fosse da intendere come limitata alla fiscalizzazione per l'anno 1980; E) Allorch il legislatore ha voluto eccezionalmente estendere con efficacia retroattiva H beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali ad imprese divevse da queHe originariamente previste ha manifestato in modo espresso tale intento; il cit. art. 1 della legge n. 573 del 1977 ha previsto che il beneficiario della fiscalizzazione contemplata dall'art. 1 del d.I. n. 15 del 1977 si applica anche ad ulteriori categorie di imprese con le stesse modalit e decorrenze. F) Il tenore lettemle del secondo comma dell'art. 22 non univoco. Nel testo delle varie leggi suHa fiscalizzazione degli oneri sociali espressioni quali si considera o deve intendersi non conferiscono necessariamente carattere interpretativo alla norma che le contiene, n comportano l'efficacia retroattiva della medesima. Quando il legislatore ha inteso introdurre una norma interpretativa, lo ha fatto in termini espliciti (ad es. l'art. 2 della citata legge n. 92, del 1979 stabilisce che l'art. 2 del d.I. n. 353, del 1978, che ha prorogato. la fiscalizzazione, va interpretato nel senso che il beneficio non si applica anche alla tredicesima mensilit). 9. -Solo apparentemente si pone in contrasto con tale orientamento )a sentenza 10 febbraio 1988, n. 1435. Anche secondo tale pronuncia, al pari .di quelle sopra citate, hi legge di conversione n. 33 del 1980, nell'introdurre il secondo comma de1l'art. 22, non ha inteso affatto precisare ex post l'ambito soggettivo di appli cazione della vecchia fiscalizzazione, della quale si disinteressato, ma ha soltanto corretto l'ambito di applicazion della nuova fisca lizzazione rispetto alla determinazione contenuta nel primo comma del l'art. 22 del decreto legge n. 663 del 1979. Questa correzione -secondo la sentenza n. 1435 (che valorizza H dato testuale della norma ritenuto tipico delle leggi di natura inter pretativa) - avvenuta mediante una norma interpretativa, mentre secondo tutte le altre pronunce sopra richiamate -con una norma innovativa. Ossia queste ultime sostengono che il Jegisfatore, mentre in sede di decreto-legge avrebbe limitato la nuova fiscalizzazione alle stesse im PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 189 prese che avevano beneficiato della veochia fiscalizzazione (con esclusione quindi delle imprese impiantistiche), iri sede di ,Jegge di conversione avrebbe aggiunto tra le imprese aventi diritto al beneficio anche quelle impiantistiche del settore metalmeccanico. Invece, secondo la :sentenza n. 1435, il legislatore -per raggiungere lo stesso risultato -avrebbe interpretato autenticamente l'art. 1 del d.l. n. 15 del 1977 come modificato dalla legge n. 102 del 1977, al quale rinvia il primo comma dell'art. 22. Quindi oggetto dell'interpretazione autentica s l'art. 1 cit. (che riguarda la vecchia fiscalizzazione), ma unicamente in quanto norma ri chiamata con rinvio recettizio per definire l'ambito di applicazione della nuova fiscalizzazione, rinvio che quindi costituisce null'altro che un espediente per non ripetere nella norma nuova il lungo elenco di imprese beneficiarie, progressivamente allungatosi in occasione delle varie proroghe de1la fiscalizzazione. Afferma in particolare la sentenza n. 1435 che l'estensione del beneficio de1la fiscalizzazione degli oneri sociali (si tratta della nuova fiscalizzazione relativa all'anno 1980) a favore delle imprese impiantistiche stata ottenuta non attraverso una pura e semplice estensione del beneficio a dette imprese, e quindi con una norma immediatamente dispositiva, ma attraverno l'imposizione di una divevsa e pi ampia interpretazione della categoria delle imprese manifatturiere ed estrattive, gi beneficiarie di tale fiscalizzazione. Quindi -precisa ulteriormente la sentenza -l'interpretazione imposta riguarda unicamente il periodo di vigenza de1la nuova fiscalizzazione e sotto questo profilo pu dirsi che retroagisce solo fino al 1 gennaio 1980, ossia solo fino al giorno a partire dal quale trova applicazione il nuovo regime della fiscalizzazione. A tale conclusione perviene anche il maggioritario orientamento giurisprudenziale che vede nel 2 comma dell'art. 22 una norma innovativa e non prescrittiva, talch non vi contrasto di giurisprudenza non solo in ordine all'inapplicabilit della vecchia fiscalizzazione (per gli anni 1977/1979) alle imprese impiantistiche del settore metalmeccanico, ma anche in ordine alla portata della (pacifica) applicabilit alle stesse del beneficio della nuova fiscalizzazione . Sotto questo duplice profilo pertanto vi in sostanza soltanto una divergenza in ordine alla qualificazione formale del dato normativo, divergenza di carattere ricostruttivo-sistematico e quindi essenzialmente teorico. N, d'altra parte, stato mai posto in dubbio fra le parti che l'in novazione introdotta dalla legge di conversione operasse quanto meno a far tempo dalla entrata in vigore del decreto legge convertito. 10. -In conclusione, queste Sezioni Unite ritengono di dover aderire all'indirizzo maggioritario (ed anzi unico quanto alla soluzione da dare RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 190 alla controveI'Sia), perch le ragioni che Jo presidiano, ed innanzi rias sunte, appaiono del tutto convincenti e conformi a legge, n ad esse si oppongono contrastanti decisioni. 11. -Del resto, la interpretazione accolta trova conforto anche nella cons1derazione che la tesi del carattere interpretativo dell'art. 22, pur se di valenza meramente teorica, potrebbe porsi in contrasto con la Carta costituzionale. E costitui8ce principio generale che nell'interpretazione di una nor ma di legge occorra privilegiare il significato maggiormente conforme ai canoni costituzionali, rispetto a quello che esporrebbe fa norma a dubbi di costituzionalit. Nella specie, ove si leggesse il secondo comma dell'art. 22 come nor ma di interpretazione autentica della disciplina della fiscalizzazione per gli anni 1977/79, insorgerebbero dubbi di costituzionalit sotto il profilo sia dell'art. 81, u.co., che dell'art. 3 Cost. Infatti -tenuto conto che il precedente criterio del riferimento alla classificazione dell'ISTAT escludeva le imprese impiantistiche dal beneficio della fiscalizzazione -il riconoscimento anche a queste ultime dello sgravio con effetto retroattivo comporterebbe un onere finanziario aggiuntivo per lo Stato -che si fatto carico di compensare la riduzione di provvista degli enti previdenziali con il trasferimento di fondi in misura pari alla concessa riduzione contributiva. Pertanto sar,ebbe operativa la prescrizione dell'ultimo comma dell'art. 81 Cost. che impone al Jegislatore ordinario di indicare nelle leggi di spesa (che -secondo il ,dato testuale della norma -sono quelle che comportano non solo nuove spese, ma anche maggiori spese) i mezzi per farvi fronte, mentre dubbio che l'originaria copertura finanziaria del decreto legge n. 663 cit. (riguardante esclusivamente la nuova fiscalizzazione) autorizzasse fa previsione, nella legge di conversione n. 33, di una nuova spesa aggiuntiva relativa alla vecchia fiscalizzazione senza una copertura aggiuntiva. Nella specie, invece, la legge di conversione de qua (n. 33 del 1980) -che ove si ritenesse che il secondo comma dell'art. 22 costituisca norma di interpretazione autentica dell'ambito delle impre se beneficiarie della vecchia fiscalizzazione, comporterebbe un considerevole aggravio per l'erario -non contiene una norma di copertura finanziaria ad hoc e quindi, sotto questo profilo, potrebbe dubitarsi della sua legittimit costituzionale. Un secondo profilo di costituzionalit attiene all'art. 3 Cost. L'originario provvedimento di fiscalizzazione costituiva una manovra di politica economica perseguendo il dichiarato fine di contenere l'inflazione monetaria che negli anni 1977/79 aveva raggiunto livelli elevati. Questa specifica finalit giustificava il carattere mirato del prov vedimento, nel ,senso che -con valutazione di merito riservata al legi PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE slatore -erano state individuate determinate categorie di imprese dove pi urgente o pi efficacie era la manovra di raffreddamento dei prezzi. Una tale finalit invece non pu pi essere perseguita retroattivamente da un provvedimento di fiscalizzazione che intervenga ex post, quando ormai non pi storicamente possibile incidere sull'andamento dei p;rezzi nell'arco di tempo al quale la fiscalizzazione stessa si riferisce. In tal caso vi sarebbe null'altro che una mera misura di sostegno dell'attivit dell'impresa; ma allora d sarebbe da interrogarsi in ordine alla legittimit della disparit di trattamento -rilevante sotto il profilo dell'art. 3 Cost. -tra imprese impiantistiche del settore metalmeccanico ed imprese (impiantistiche e non) di altri settori anch'esse originariamente escluse dalla fiscalizzazione per gli anni 1977/79. 12. -Quanto ana tesi, in via principale e ampliamente illustrata nella memoria presentata per l'odierna discussione, ma evincibile anche dal ricorso (peraltro niente ffatto discussa nei controricorsi dell'INPS e del Ministero del Tesoro, i quali hanno evidentemente -e correttamente -ritenuto limitata la materia del contendere alla questione della natura interpretativa o innovativa dell'art. 22), secondo cui, indipendentemente dalle norme interpretative, le imprese impiantistiche dovevano gi ab origine intendersi incomrprese fra quelle minifatturiere (e non fra quelle edili), da rilevare che essa estranea alla sentenza impugnata, che, indicando in nanrativa il thema decidendum (quanto al merito) come avente ad oggetto la questione della natura interpretativa o innovativa dell'art. 22 del d.I. n. 663/79, convertito ne11a negge n. 33/80, esclusivamente di tale questione si occupata. N i ricon~enti denunciano in proposito vizio di omessa pronuncia o di omesso esame di punto decisivo, per sostenere che la questione della qualificabilit come manifatturiera delle imprese impiantistiche a prescindere alla pretesa norma intevpretativa sia stata gi proposta alla fase di merito, ma trascurata dal tribunale. Ed anzi, proprio la discussione sulla natura interpretativa o meno dell'art. 22 presuppone che dette imprese non siano state, prima dell'avvento di tale norma, in linea di fatto considerate manifatturiere, cosicch, in mancanza di specifiche contestazioni o difese sul punto nelle opportune sedi, tale presupposto di fatto deve ritenersi ormai fuori discussione. Trattasi, d'altra parte, di un nuovo sistema difensivo, che involge, fra l'altro, l'esame di elementi di fatto (quali quelli relativi alle classificazioni INPS e ISTAT), e che pertanto non potrebbe certo essere affrontato -per di pi d'ufficio -per la prima in questa sede di legittimit. In definitiva, la questione non pu che ritenersi preclusa, e dunque, estranea all'ambito del presente giudizio. (omissis). RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO .STATO 192 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un., 13 giugno 1989, n. 2847 -Pres. ZUJOconi Galli Fonseca -Rel. Amirante -P. G. Paolucci (conf.). Ministeri Tesoro e Pubblica Istruzione (avv. Stato Stipo) c. Fasano e Coen (avv. D'Astice). Giurisdizione civile Controversia concernente aumenti di retribuzione da valere ai fini del trattamento di quiescenza anche provvisorio Giurisdizione Corte dei Conti. La controversia avente ad oggetto l'applicabilit, ai soli fini del trattamento di quiescenza, sia pur provvisorio, degli aumenti previsti sulle retribuzioni del personale statale rientra nella giurisdizione della Corte dei conti. (omissis) La tesi dei Ministeri ricorrenti, secondo la quale deve essere dichiarata la giurisdizione della Corte dei Conti, fondata. L'art. 162 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari de1lo Stato) detta testualmente: Dalla data di cessazione dal servizio e sino all'inizio del pagamento della pensione diretta corrisposto al pensionato, dal medesimo ufficio da cui dipendeva all'atto della cessazione del servizio, un trattamento provvisorio determinato in relazione ai servizi accertati, da recuperare in sede di liqu1dazione della pensione definitiva Osserva la Corte che, contrariamente all'assunto dei resistenti, la stessa fo11mulazione letterale della norma riportata a denotare che quello da essa disciplinato un diritto omogeneo rispetto a quello avente ad oggetto la pensione definitiva. Infatti, l'avente diritto viene qualificato pensionato e dell'erogazione si prevede il recupero in sede di liquidazione della pensione definitiva. Disposizione quest'ultima, che, mentre diversifica i diritti per quanto concerne il tempo della corresponsione delle somme, stabi!lisce tra di essi una sostan:zfale identit, potendosi ravvisare un'opposizione tra gli aggettivi provvisorio e definitiva , riferiti trispettivamente al trattamento ed alla pensione, ma non anche tra i sostantivi. Non superfluo soggiungere, a conferma di quanto detto, che la norma dell'art. 162 cit. reca la rubrica liquidazione provvisoria ed inclusa nel titolo II della parte seconda del T.U., intitolata liquidazione del trattamento di quiescenza . Inoltre, la omogenit tra la pensione definitiva e l'istituto in questione dimostrata dal fatto che anche il trattamento corrisposto a causa della 'cessazione dal servizio ed commisurato ai servizi accertati. N, per contrastare l'affermazione della giurisdizione della Corte dei Conti vale obiettare che dal combinato disposto degli artt. 62 e 64 PARm I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, potrebbe risultare l'inammissibilit di rimedi giurisdizionali avverso il diniego del trattamento provvisorio o la concessione in misura inferiore a quanto dovuto. Invero, l'esistenza di un sistema normativo che comprima l'esercizio del diritto davanti al giudice cui spetta la giurisdizione sul medesimo non vale a mutare le regole di riparto della giurisdizione, ma pu soltanto far s che il giudice che ha girurisdizione, ove ne ravvisi le condizioni, sollevi eccezione di megittimit costituzionale di quelle nonne, le quali, in quanto comprimano o escludano il diritto di difesa, siano in contrasto .con la Costituzione. Per conclude11e, si rileva che la controversia, in cui s'innesta il presente ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, non ha ad oggetto aocertamenti relativi allo status dei resistenti quali pubblici dipendenti, ine11enti quindi al pregresso rapporto di pubb[ico impiego, bens l'applicabilit, ai soli fini del trattamento di quiescenza, sia pur provvisorio, degli aumenti previsti sulle retribuzioni del personale della scuola dal d.P.R. n. 34, del 25 giugno 1983. (v. S.U. 7 luglio 1988, n. 4503). , pertanto, corretto l'orientamento espresso sulla questione dal Consiglio di Stato con le sentenze n. 469 dell'8 ottobre 1982, n. 482 del 26 settembre 1985. (omissis). SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lavoro, 10 agosto 1987, n. 6874 -Pres. Afeltra -Rel. Buccarelli -P.G. Visalli (conf.). -Ferrovie dello Stato (avv. Stato Stipo) c. Albanese. Lavoro -Costituzione del rapporto processuale con il deposito dell'atto introduttivo -Notificazione -Irrilevanza sulla instaurazione del giudizio -Mancata costituzione del convenuto -Rinnovazione della notificazione. Lavoro -Giudizio di rinvio -Nullit della notifica -Mancata rilevanza da parte del giudice -Cassazione con rinvio -Sanatoria ex tunc attraverso rituale riassunzione e notificazione. Nel nuovo rito del lavoro la costituzione del rapporto processuale, tanto in primo che in secondo grado e quindi anche nel giudizio di rinvio, si realizza processualmente a tutti gli effetti mediante il deposito nella cancelleria del giudice adito, con la conseguenza che la mancata o irregolare notificazione dell'atto introduttivo del giudizio non ha alcuna influenza sulla gi avvenuta rituale costituzione del rapporto processuale, con l'obbligo per del giudice in caso di mancata costituzione della parte convenuta di disporre ex art. 291 cod. proc. civ. la rinnovazione della notificazione {1). Qualora nel processo del lavoro il giudice di rinvio non abbia rilevato la nullit della notifica, in quanto eseguita nei confronti di un'amministrazione statale presso l'Avvocatura generale anzich presso l'Avvocatura del distretto del giudice adito, e la Corte di cassazione abbia cassato la sentenza disponendo un nuovo rinvio ad altro giudice, la nullit della notifica pu ancora essere sanata con effetto ex tunc mediante la riassunzione della causa dinanzi al nuovo giudice, di rinvio, ritualmente eseguita dall'una o dall'altra parte in lite, con le forme della notificazione prescritte dall'art. 392, comma 2, cod. proc. civ. (2). (1-4) Le sentenze in rassegna tengono a precisare che nel nuovo rito del lavoro il rapporto processuale si instaura con il deposito dell'atto introduttivo presso la cancelleria del giudice adito. Pertanto depositato ritualmente il ricorso in appello (entro 30 giorni dalla notifica ovvero ehtro l'anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata), l'im PARTI! I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 195 II CORTE DI CASSAZIONE, sez. lavoro, 19 gennaio 1988, n. 385 -Pres. Zappulli -Rel. Amirante -P. G. Tridico {conf.) -Azienda Ferrovie dello Stato i(avv. Stato Stipo) c. Memoli (avv. Spagnuolo). Procedimento civile Sentenza che pronuncia sulla competenza risolvendo questioni pregiudiziali -Impugnabilit nelle vie ordinarie e non con regolamento di competenza. Lavoro Mancata notifica dell'appello all'appellato -Mancata comparizione delle parti all'udienza di discussione Improcedibilit del gravame. L'impugnazione diretta a rimettere in discussione una questione pregiudiziale va proposta con ricorso ordinario per cassazione e non con il regolamento di competenza qualora la sentenza di appello, pronunciando sulla competenza, abbia deciso, sia pure implicitamente, sulla ammissibilit e validit dell'impugnazione e sulla esistenza e regolarit del contraddittorio in appello, requisiti in difetto dei quali non avrebbe potuto pronunciare neppure sulla sola competenza (3). Alla prima udienza fissata per la discussione, nell'assenza di entrambe le parti e mancando la dimostrazione da parte dell'appellante che il ricorso in appello ed il pedissequo decreto di fissazione dell'udienza era stato notificato all'appellato, il Tribunale non pu fissare una nuova udienza in applicazione dell'art. 348 cod. proc. civ., ma difettando il presupposto di fatto (irregolarit della notifica) per fa rricorso all'art. 291 cod. proc. civ., deve dichiarare l'improcedibilit dell'appello (4). I (omissis) Con l'unico motivo del ricorso, denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 137 e segg.; 144; 392 e 393 C.P.C.; il T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611; L. 25 marzo 1959, n. 260 in relazione a:1l'art. 360 n. 3 c.p.c.; ,e deducendo. altres il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della contrnversia (art. 360 n. 5 c.p.c.): si duole la ricorrente della sentenza impugnata/ per avere la Corte di Appello di Salerpugnazione arnmdssibile ed ogni ulteriore vicenda potr dar luogo alla improcedibilit, come nel caso della seconda sentenza in rassegna. Quest'ultima sentenza inoltre, richiamando principi consolidati in giurisprudenza, ha inteso chiarire che le questioni relative alla regolarit del contraddittorio ed alla v'aiidit della impugnazione sono preliminarii rispetto alla questione sulla competenza. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO no, giudicando in sede di rinvio, definito il giudizio nella non-costituzione della amministrazione convenuta-appellata, senza rilevare per che l'atto con il quale l'Albanese aveva riassunto il giudizio nei confronti deH'Azienda Autonoma F. S., era stato notificato presso l'Avvocatura dello Stato Roma, ovverossia presso l'Avvocatura Generale dello Stato e non (invece) presso la competente Avvocatura distrettuale dello Stato Deduce al riguardo l'amministrazione ricorrente: a) eh~ la riassunzione della causa deve farsi (art. 392 cpv. c.p.c.) con citazione notificata personalmente alla parte a norma degli artt. 137 e segg. c.p.c.; e che, allorquando si tratti di una Amministrazione dello Stato, devono ritenersi applicabili (art. 144 c.p.c.) le disposizioni delle leggi speciali che prescrivono la notificazione presso gli Uffici dell'Av vocatura dello Stato; b) che in forza di tali leggi speciali (art. 11 t.u. 30 ottobre 1933, n. 1611; art. 1 I. 25 marzo 1959, n. 260 e succ.) le citazioni, al pari di o~ni altro atto giudiziale, devono essere notificate presso l'Ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'Autorit giudiziaria innanzi alla quale portata la causa. Ne consegue, aggiunge l'amministrazione ricorrente, in aderenza del resto all'orientamento giurisprudenziale di questa stessa Corte, costante e consolidato in subiecta materia, che la notificazione dell'atto di riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio eseguita in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 137 e segg. cip.e. da considerarsi inesistente >>, o comunque affetta da. nullit sanabile solo con la costituzione della convenuta. E poich, nel caso di specie, non stata disposta la rinnovazione della notifica inficiata da nullit (art. 291 c.p.c.), n si costituita in giudizio l'ammini!)trazione convenuta appellata, conclude l'amministrazione ricorrente per l'annullamento della sentenza impugnata, pronunciata dalla Corte di rinvio in violazione delle disposizioni che regolano la ritualit del contraddittorio, e per la conseguente estinzione dell'intero processo. Le censure sono fondate. La notificazione della citazione riassuntiva del giudizio dinanzi al giudice di rinvio, dopo l'annullamento della sentenza impugnata statuito dall Corte di Cassazione, avrebbe dovuto essere eseguita, ex artt. 392, 137 e segg. c.p.c. e art. 11 comma primo, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, alla Amministrazione interessata presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'autorit giudiziaria (nel caso concreto: Corte d'Appello di Salerno) dinanzi alla quale doveva essere instaurato il giudizio di rinvio. Al contrario, nel caso in esame, la notificazione stata eseguita all'azienda autonoma delle FF. SS. in Roma, presso la sede dell'avvo PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE catura generale dello Stato, in violazione pertanto delle disposizioni sopra citate. Da tale violazione deriva, secondo giurisprudenza costante, la nullit della notificazione irritualmente eseguita, nullit che, come noto, per sanabile (dr. C. Costituzionale 27/1967: che ha dichiarato l'incostituzionalit del terzo comma dell'art. 11 del r.d. itato 1611/1933 nella parte in cui escludeva la sanatoria del vizio delle notificazioni eseguite in violazione delle disposizioni dei primi due commi dello stesso articolo, per il principio generale di cui all'art. 156, terzo comma, c.p.c.) con effetto ex tunc, dalla costituzione dell'amministrazione convenuta, o, in mancanza, mediante la rinnovazione (da disporsi ex art. 291 c.p.s.) della notificazione medesima. Orbene, poich il giudizio di rinvio egualmente proseguito, nonostante la nullit di tale notificazione, evidentemente non rilevata dalla Corte di Appello designata, e l'Amministrazione interessata non si costituita, e poich la questione stata esplicitamente dedotta in questa sede, mediante il ricorso per Cassazione presentato contro la sentenza pronunciata dalla C. A. di rinvio, devesi conseguentemente cassare la sentenza impugnata, con (ulteriore) rinvio della causa ad altro giudice {che si designa nella C.A. di Potenza), anche se si dedotto (v. ricorso) che il giudizio deve essere comunque dichiarato estinto (ex art. 393 c.p.c.). Va ricordato, infatti, che il giudizio rientra nella categoria delle controversie individuali di lavoro (artt. 409 e sgg. del c.p.c.) ed noto che, nel nuovo rito del lavoro (v. 1. 533/1973), Ia costituzione del rapporto processuale, tanto in primo quanto in secondo grado {e quindi anche nel giudizio di rinvio), si realizza processualmente, a tutti gli effetti, mediante il deposito (avvenuto nel caso di specie in data 16 giugno 1983 e pertanto entro l'anno della pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione: 10 maggio 1983) nella cancelleria del .giudice di rinvio adito; di guisa che, la successiva notificazione del ricorso del tutto estranea alla fase vera e propria della instaurazione del giudizio, essendo essa diretta alla produzione di altri effetti, ulteriori e diversi, quale, tra gli altri, la costituzione rituale del contraddittorio. Con la conseguenza che Ia mancata o irregolare notificazione dell'atto introduttivo del giudizio non ha alcuna influenza sulla gi avvenuta rituale costituzione del rapporto processuale, mediante deposito del ricorso, con l'obbligo per del giudice in caso di mancata costituzione della parte convenuta di disporre ex art. 291 c.p.c. la rinnovazione della notificazione. Non senza rilevare, infine, che la denunziata nullit pu comunque ancora essere sanata con effetto retroattivo (ex tunc ) mediante 198 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la riassunzione della causa dinanzi al (nuovo) giudice di rinvio, ritualmente eseguita dall'una o dall'altra parte in lite, con le forme di notificazione prescritte dall'art. 392, comma 2, c.p.c. (cfr. Cass. 24 novembre 1984, n. 6093). II (omissis) Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 348, 435, 437 cod. proc. civ., omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ., dopo aver premesso che il Memoli non aveva notificato il ricorso in appello ed il pedissequo .decreto di fissazione dell'udienza, critica il Tribunale per aver fissato una nuova udienza, nentre l'art. 348 cod. proc. \ civ. non applicabile alle controversie di lavoro, ma soprattutto per aver omesso di rilevare che, non essendo stato originariamente notificato il ricorso e non essendo stata poi formalmente indicata la nuova udienza, l'appello era inammissibile. (omissis) Preliminarmente deve essere esaminata l'eccezione di inammissibilit del ricorso, sollevata dal resistente per la ragione, che avendo il i' Tribunale di Napoli pronunciato soltanto sulla competenza, unico rimedio esperibi'le, ai sensi dell'art. 42 cod. proc. civ., sarebbe stato il regolamento di competenza. I f: L'eccezione infondata. II r: Questa Corte, infatti, ha gi avuto modo di statuire che la sentenza >: la quale, pur non pronunciando sul merito della controversia, inteso come il bene della vita in contestazione, abbia, anche implicitamente, deciso una questione pregiudiziale rispetto alla determinazione della competenza, va impugnata con ricorso ordinario ogni qual volta si voglia rimettere in discussione non direttamente la pronuncia sulia competenf' za, bens tale questione pregiudiziale (v. Cass. n. 1572 del 1959; Cass. n. 881 del 1973; Cass. n. 385 del 1980 e Cass. n. 1386 del 1982). Nel caso in esame, il Tribunale di Napoli, investito con appello del Meinoli, nel pronunciare sulla competenza, nella contumacia dell'Azienda, ha deciso, sia pure implicitamente, sulla ammissibilit e validit dell'impugnazione e sulla esistenza e regolarit del contraddittorio in appello, requisiti I in difetto dei quali non avrebbe potuto pronunciare neppure sulla sola I competenza. Ne consegue che l'Azienda, volendo dolersi della soluzione data alla li questione pregiudiziale, inerente alla valida instaurazione del giudizio I: di appello e del contraddittorio, non aveva altro mezzo che proporre, I come ha fatto, ricorso ordinario per cassazione. I f: -{f: PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Passando quindi all'esame dei motivi, si rileva che il primo di essi fondato nei limiti delle considerazioni che seguono e va accolto per quanto di ragione. Si osserva, anzitutto, che nelle controversie soggette al rito del lavoro, secondo il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il giudizio d'appello s'instaura con il deposito del ricorso in cancelleria, mentre tutto ci che attiene alla fase ulteriore riguarda non l'ammissibilit, ma la esistenza e la regolarit del contraddittorio, i vizi della cui costituzione, sussistendo determinati presupposti di fatto, possono essere sanati o con la costituzione dell'appellato, oppure con la rinnovazione della notifica ai sensi dell'art. 291 cod. proc. civ. Nella specie, pertanto, l'appello era ammissibile. (omissis) La ricorrente ha, invece, ragione di dolersi della mancata dichiarazione d'improcedibilit dell'appello. Il Tribunale di Napoli, infatti, alfa prima udienza fissata per fa discussione, nell'assenza di entrambe le parti e mancando la dimostrazione da parte dell'appellante che il ricorso in appello ed il pedissequo decreto presidenziale di fissazione dell'udienza era stato notificato alla appellata, non poteva fissare una nuova udienza in applicazione dell'articolo 348 cod. proc. civ. Il Tribunale si discost dall'insegnamento delle sezioni unite, le quali, con la sentenza n. 1884 del 26 marzo 1982, cos statuirono: nelle controversie soggette al rito del lavoro non appllcabile l'art. 348 cod. proc. civ.: pertanto in caso di mancata comparizione dell'appellan~e all'udienza di discussione il giudice d'appello non deve rinviare la causa ad altra udienza -e in caso di mancata comparizione dell'appellante anche in tale udienza, dichiarare improcedibile il gravame -ma deve emettere la sua sentenza ai sensi dell'art. 437 cod. proc. civ. . Nel caso in esame, il Tribunale, in presenza della situazione processuale suindicata (mancanza di notifica dell'appello all'appellata), e quindi in difetto del presupposto di fatto (irregolarit della notifica) per far ricorso all'art. 291 cod. proc. civ., avrebbe dovuto dichiarare l'improcedibilit dell'appello. Invero, questa Corte, con la sentenza n. 1523 del 10 marzo 1981, ha stabilito che nelle controversie di lavoro, improcedibile l'appello, ove l'appellante, in caso di mancata costituzione e comparizione dell'appellato all'udienza di discussione non fornisca la prova alla stessa udienza di aver provveduto alla notificazione del ricorso e del decreto (v. nello stesso senso, Cass. 14 aprile 1986 n. 2637). Agli enunciati principi stabiliti con le sentenze citate il Collegio ritiene di uniformarsi, in mancanza di ragioni che possano indurre a discostarsene. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 200 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. lavoro, 26 gennaio 1989, n. 466 -Pres. Pontrandolfi -Rel. Genghini -P. M. Leo Nobile {avv. Garaffa) -c. Assessorato per la Sanit della Regione Siciliana (A~. Stato Fiengo). Sanit -Controversie con disciolti enti mutualistici Legittimazione passiva. Sanit -Disciolti enti mutualistici Rapporti obbligatori pregressi Medici convenzionati Trattenute Compensi per sciopero di categoria Ripetizione. (L. 23 dicembre 1978 n. 883, artt. 10, 51, 61, 65, 66; L. 29 giugno 1977 n. 349 artt. 1-3; L. reg. sic. 18 aprile 1989 n. 69). La legittimazione passiva in ordine alle controversie instaurate dai sanitari convenzionati con gli enti mutualistici soppressi per il pagamento dei crediti professionali appartenuta, fino al 30 giugno 1981, non gi alle regioni o alle unit sanitarie locali, ma agli stessi enti predetti, le galmente rappresentati dai Commissari liquidatori, cui succeduto con l'assunzione della legittimazione processuale in ordine alle obbligazioni anteriori a tale data -l'Ufficio liquidazioni del Ministero del Tesoro (1). Sulla domanda del medico convenzionato di ripetizione di somme trattenute per sciopero di categoria l'Assessorato Sanit privo di legit timazione, ancorch si debba negare altres quella della U.S.L., versandosi in ipotesi di compensi sanitari indebitamente trattenuti che rientrano nelle competenze del commissario liquidatore (2). Con il primo mezzo il ricorrente si duole per essere stato ritenuto il difetto di legittimazione in violazione degli artt. 61 e 66 della legge 23 (1) Sulla prima massima in senso conforme cfr. Cass. Sez. Un. 8 giugno 1987 n. 5012 in questa Rassegna 1987, I, 322. Con riferimento alle attivit e passivit dei soppressi enti ospedalieri. della Regione Lazio, relativamente alle quali la legittimazione riconosciuta al Comune territorialmente competente, ma in quanto affidatario di quella gestione stralcio " che la Legge reg. 28 gennaio 1980, n. 10 all'art. 3 considera alternativa rispetto alle equipollenti gestioni di liquidazione del Ministero del Tesoro ,. cfr. Cass. 8 gennaio 1987 n. 19 Foro lt. 1987, I, 373. (2) Non risultano precedenti in termini. La Cass. 466/1989 perviene alla conclusione della legittimazione passiva dei Commissari liquidatori rilevando che sebbene il 1 comma dell'art. 1 dl. 1 lu glio 1980, n. 285, affermi che I'" esercizio delle funzioni di assistenza sanitaria svolte dai Commissari liquidatori (tra le quali rientra quella di liquidazione dei ben! estranei all'assistenza sanitaria) cessa alla data di entrata in vigore del decreto stesso, il successivo comma prevede espressamente il proseguimento mediante l'emanazione di atti amministrativi ove l'effettivo funzionamento delle unit sanitarie non sia possibile. GABRIELE MONETA PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE dicembre 1978 n. 883, nonch degli artt. 38 e 39 legge reg. sic. 12 agosto 1980 dell'art. 78 legge reg. sic. 18 aprile 1981 n. 69, della legge reg. sic. 6 gennaio 1981 n. 6 e dell'art. 4 d.P.R. 28 luglio 1982 n. 84 :(art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.). Il Tribunale ha ritenuto trattarsi di una successione a titolo particolare delle U.S.L. agli enti locali nella gestione del servizio sanitario nazionale e nei rapporti giuridici pregressi, senza tener conto che si trattato di un trasferimento graduale che in Sicilia si realizzato tramite il Commssicirio unico per la Sanit, mentre il fatto che le U.S.L. siano centro di imputazione di attivit giuridica esclude che le stesse possano essere chiamate a rispondere di atti e rapporti che non hanno posto in essere. Con il secondo mezzo si censura la sentenza per violazione degli artt. 100, 101, 110 e 111 cod. proc. civ. (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.) per non aver considerato che l'organo esistente al momento in cui era stata instaurata la controversia era il Commissario Unico e conseguentemente l'Assessorato per la Sanit al quale i rapporti vanno imputati per il rapporto organico. I due mezzi del ricorso, che per la loro evidente connessione possono congiuntamente esaminarsi, sono infondati. Come pi volte affermato da questo Supremo Collegio, e, da ultimo, ripetutamente anche dalle S.U. della Corte, alla stregua della disciplina transitoria dettata in particolare dall'art. 77, primo e terzo comma, della legge 23 dicembre 1978 n. 833 (sull'istituzione del servizio sanitario nazionale), la legittimazione passiva in ordine alle controversie instaurate dai sanitari convenzionati con gli enti mutualistici soppressi per il pagamento dei crediti professionali appartenuta, fino al 30 giugno 1981, non gi alle regioni o alle unit sanitarie locali (non ancora costituite) ma agli stessi enti predetti, legalmente rappresentati dai commissari liquidatori, cui succeduto -con l'assunzione della legittimazione processuale in ordine alle obbligazioni anteriori a tale data -l'ufficio liquidazioni del Ministero del Tesoro (sent. 2855, 4614, 5292, 6057, 6354, 6819, 7090 del 1986 e 2937 del 1987; inoltre le S.U .. n. 5012, 5521, 5522 e 6093 del 1987). Come noto, l'art. 12 bis d.l. 8 luglio 1974 n. 264, convertito con 1. 17 agosto 1974 n. 386 nel prevedere la sostituzione con commissari straordinari dei consigli di amministrazione di vari enti, stabiliva eh~ entro due anni dalla nomina dei commissari straordinari gli enti si estinguessero e le loro funzioni e strutture fossero ripartite fra Stato, regioni e altri enti territoriali per I'attuazione del servizio sanitario nazionale. Successivamente la 1. 29 giugno 1977 n. 349, dopo aver previsto al'art. 1 la trasformazione dei commissari straordinari in commissari liquidatori, con l'art. 3 ne fiss anche le attribuzioni consistenti tra l'altro RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nell'adottare i provvedimenti compatibili con la legge gi riservati dalla competenza dei disciolti organi ordinari di amministrazione e nel compiere qualsiasi atto di gestione, al fine di garantire l'assolvimento degli obblighi istituzionali gi propri dei rispettivi enti preposti all'assistenza sanitaria, attraverso la riscossione dei contributi assicurativi e delle altre entrate, l'erogazione delle spese, comprese quelle riferite lle funzioni trasferite, l'amministrazione del personale, la rappresentanza anche in giudizio e quant'altro necessario, in base alle direttive del comitato centrale di cui al successivo art. 4. Con quest'ultima disposizione fu istituito il detto comitato per la liquidazione degli enti e gestioni autonome preposte all'erogazione dell'assistenza sanitaria. Inoltre, il successivo art. 6, 1 comma stabil che le regioni, per l'attuazione delle funzioni in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera trasferite, si sarebbero avvalse di personale degli enti posti in liquidazione. Le norme suindicate vanno interpretate, ad avviso del collegio, nel senso che gli enti, pur posti 'in liquidazione, continuavano ad esistere con piena personalit giuridica al fine di garantire fino all'attuazione della riforma sanitaria l'assistenza agli aventi diritto. Alle regioni furono attribuiti, in questa fase, i ,compiti di indirizzo e controllo delle attivit svolte dai commissari liquidatori (v. art. 5 1. n. 349/ 77). Infatti, oltre al principio generale secondo il quale la messa in liquidazione non determina l'estinzione dell'ente, inducono a tale convincimento il rilievo che il citato art. 3 espressamente attribuisce ai commissari liquidatori compiti di rappresentanza anche giudiziale, rappresentanza che postula necessariamente l'esistenza di un rappresentante, e l'osservazione che J'art. 61 1. 23 dicembre 1978 n. 833, della quale si tra~ter pi diffusamente in seguito, impone alle regioni di adottare provvedimenti tra l'altro destinati ad attuare il graduale trasferimento ai comuni delle funzioni, dei beni e delle attrezzature di cui sono attualmente titolari gli enti i cui compiti e funzioni vengono a cessare. Ora, a prescindere, dall'espressa indicazione della gradl,lalit dei trasferimenti, ci che conta che il legislatore considera testualmente gli enti ancora titolari non solo dei beni e delle strutture ma anche delle funzioni. L'affermazione di cui all'art. 1 1. n. 349/77, secondo la quale a far tempo dal 1 luglio 1977 le, funzioni amministrative concernenti l'assistenza sanitaria sono trasferite di cui al successivo gi citato art. 3, vanno pertanto, considerati come affermazioni di principio dirette a informare tutta la fase transitoria dell'antico sistema mutualistico al nuovo servizio sanitario, e non come disposizioni aventi immediata efficacia estintiva degli enti in questione. La 1. 23 dicembre 1978 n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, non soltanto ha dettato la disciplina sistematica relativa all'assistenza sanitaria, ma ha ulteriormente disciplinato la fase di passaggio PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE dall'un sistema all'altro e ha stabilito norme per la liquidazione. Infatti oltre al gi citato art. 61 l'art. 65 stabilisce che in applicazione del piano di riparto di cui all'art. 4 1. 349/77, i beni e le attrezzature destinate pre valentemente ai servizi sanitari, appartenenti agli enti soppressi, sono trasferiti al patrimonio dei comuni, con vincolo di destinazione alle USL. I rimanenti beni, ivi comprese le sedi in Roma delle direzioni gene rali degli enti soppressi, sono realizzati dalla gestione di liquidazione ai sensi dell'art. 77. Ma anche qui, per quanto riguarda in particolare i beni destinati all'assistenza sanitaria, all'affermazione del 1 comma (i beni sono trasferiti), che farebbe pensare ad un immediato trasferimento, segue la disposizione del 3 comma il quale stabilisce che alle operazio ni di trasferimento di cui al 1 comma provvedono i commissari liqui datori di cui alla citata L. 29 giugno 1977 n. 349, che provvedono altres al trasferimento di tutti i rapporti giuridici relativi alle attivit di assi stenza sanitaria attribuite alle U.S.L. . Un altro rilievo opportuno e concerne la netta distinzione che la citata 1. n. 833/78 opera tra i beni e i rapporti relativi all'assistenza sani taria e i rimanenti, e la conseguente distinzione nei compiti dei commis sari liquidatori tra attivit inerenti alla vera e propria liquidazione, aven te ad oggetto beni e rapporti estranei all'assistenza sanitaria, e beni e rapporti a questa inerenti, in ordine ai quali sembra giusto parlare non di liquidazione, bens di gestione transitoria. Distinzione che acquista riliev nella legge anche per quanto riguar da i limiti temporali dei poteri dei commissari liquidatod. Infatti, men tre l'art. 60 proroga i poteri e i compiti affidati ai commissari liquida tori dagli artt. 3 e 7 1. 29 giugno 1977, n. 349, fino ai provvedimenti regio nali di costituzione delle USL, da adottare entro il 31 dicembre 1979, U successivo art. 77 (recante la rubrica: liqu1dazione degli enti soppres si e ripiano delle loro passivit) stabilisce con il 1 comma che fermo restando quanto disposto dall'art. 60, 2 comma, alla liquidazione degli. enti, casse, servizi e gestioni autonome di cui all'art. 12-bis d.l. 8 luglio 1974, n. 264, come modificato dalla legge di conversione 17 agosto 1974, n. 386, si provvede entro .diciotto mesi dall'entrata in vigore della presente legge... e con il 3 comma che le gestioni di liquidazione elle non risultano chiuse nel termine di cui al 1 comma sono assunte dalb speciale ufficio liquidazioni presso il ministero del tesoro di cui alla I. 4 dicembre 1954, n. 1404 Sulla base delle norme richiamate, la duplicit di funzioni attribuile ai commissari liquidatori in relazione alla duplicit di destino delle atti. vit e dei rapporti dell'ente, a seconda che ineriscono o meno al munus dell'assistenza sanitaria, sembra chiarirsi. Da un lato, per quanto riguarda l'assistenza sanitaria, gli enti, in attesa dell'effettiva costituzione delle U.S.L., continuano a svolgere le loro funzioni, e i nuovi compili 204 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO delle regioni si atteggiano come compiti di indirizzo e controllo, dell'altro i commissari liquidatori provvedono alla liquidazione dei beni estranei all'assistenza sanitaria secondo le direttive del comitato centrale costituito con il citato art. 4, 1. n. 349/77. Siffatti duplici compiti degli enti sarebbero dovuti cessare nei termini rispettivamente indicati dagli art. 60 e 77. Senonch, le difficolt di attuazione di una riforma di cos grande portata costrinsero il legislatore a prorogare i termini originariamente previsti e a unificarli. Infatti, con il d.l. 1 luglio 1980 n. 285, onvertito con la 1. 8 agosto 1980, n. 441, fu fissata la data del 31 dicem bre 1980 come termine ultimo sia per l'esercizio delle funzioni di assistenza sanitaria svolte dai commissari liquidatori sia per la liquidazione dei beni estranei all'assistenza. Infatti, se vero che ancora una volta il 1 comma dell'art. 1 del citato decreto n. 285 afferma in modo perentorio che l' esercizio delle funzioni di assistenza sanitaria svolte dai commissari liquidatori di cui alla 1. 29 giugno 1977, n. 349, cessa alla data di entrata in vigore del decreto stesso il successivo comma espressamente prevede il proseguimento mediante l'emanazione di atti amministrativi, ove l'effettivo funzionamento delle unit sanitarie non sia possibile . Consegue a quanto esposto che effettivamente l'Assessorato Sanit era privo di legittimazione, ancorch si debba negare altres quello della U.S.L., versandosi in ipotesi di compensi sanitari indebitamente trattenuti in occasione di uno sciopero che rientrano nelle competenze del commissario liquidatore, nel senso che si accennato ed in cui va corretta la motivazione. Consegue a quanto esposto il rigetto del ricorso. CORTE DI CASSAZIONE -Sez. lavoro, 3 febbraio 1989, n. 685 -Pres. Menichino -Rel. Rabagnani -P. M. De Tommaso -Min. Grazia e Giustizia (avv. Stato Fiumara) c. Mestriner {avv. Paoletti). Pena Esecuzione della pena Lavoro del semilibero Retribuzione Versamento alla direzione dell'istituto -Legittimit. (L. 26 luglio 1975 n. 354 artt. 20-25; d.P.R. 29 aprile 1976 n. 431 artt. 46-48-51; L. 18 ottobre 1986 n. 663). Al datore di lavoro dei condannati ed internati in regime di semilibert incombe l'obbligo del versamento della retribuzione alla direzione dell'istituto (1). (1). Non constano precedenti in termini. Su1la differenza fra i due 'istituti del lavoro all'esterno e della semilibert cfr. Corte Cost. 15 febbraio 1984 n. 29 in Giur. Cast. 1984, I, 100. In dottrina GENNARO-BONOMO BREDA Ordinamento peni PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 205 (omissis) L'amministrazione ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 20, 21, 22, 23, 24, 25 e 48 della legge 26 luglio 1975 n. 354, 51 del d.P.R. 29 aprile 1976 n. 431 e 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E, premesso che il lavoro in semilibert fuori dell'isti tuto penitenziario alle dipendenze di terzi sarebbe disciplinato dagli articoli 48, l comma, della legge e 51 e 48, ultimo comma, del regolamento, e non dall'art. 21, 2 comma, della legge, assume che l'obbligo del datore di lavoro di versare la retribuzione alla direzione dell'istituto penitenziario, stabilito per gli ammessi al lavoro all'esterno dall'art. 46, 7 comma, del regolamento, avrebbe lo scopo di garantire al detenuto o internato il pagamento di quanto dovutogli e di non consentirgli il materiale possesso di denaro in misura eccedente le necessit relative alla temporanea assenza dall'Istituto, nonch di far s che la direzione dell'istituto possa provvedere in ordine agli assegni familiari, alle dovute ritenute per rimborsi e risarcimenti, e possa disporre delle somme depositate senza dover eventualmente ricorrere a pignoramento o a sequestro. Pertanto, l'art. 46, 7 comma, del regolamento di esecuzione sarebbe applicativo delle norme contenute negli artt. 25 (per il quale il corrispettivo del lavoro entrerebbe a far parte del peculio del detenuto o internato), 2 e 23 della legge, ed altrettanto dovrebbe dirsi per la disposizione che pone a carico dei datori di lavoro dei condannati ed internati in semilibert analogo obbligo di versamento della retribuzione alla direzione dell'istituto, (art. 51, 1 comma, del regolamento), tenuto conto che i regolamenti di esecuzione mirano a consentire la pratica attuazione della legge mediante norme secondarie non soltanto chiarificatrici e di dettaglio, ma, ove necessario, anche integrative delle norme prindpali, purch non in contrasto con queste. Il ricorso fondato. Il lavoro, che nella concezione giuridica cui era improntato il pre vigente regolamento carcerario del 1931 risultava essere un fattore di tenziario e misure alternative alla detenzione, 1978, 208 n., F. GIORDANO In margine ad un convegno sulla riforma delle pene (con riferimento al lavoro carcerario) in Riv. giur. lav. 1974, I, 327; F. RUSTIA Il lavoro dei detenuti in Giur. merito 1973, IV, 73 -La sentenza in rassegna, pregevole nella individuazione dei caratteri. peculiari dell'istituto della semilibert, sottolinea come la ratio della risocializzazione del condannato o internato (ricavata soprattutto dall'art. 92 D.P.R. 431/76) non inficiata dalla indisponibilit della retribuzione, atteso che essa fondata non sulla libera amministrazione del reddito da lavoro, bens sul fatto stesso dello svolgimento di una attivit lavorativa all'esterno, senza scorta e adeguata a detta ratio. La sentenza viene positivamente commentata da V. MARINO Lavoro in regime di semilibert e retribuzione in Giust. Civ. 1989, I, 1095. G. MONETA rar1&1~11i1r1J111111111J111r11ti11111111111Ji11111111r11111111r1111111 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 206 ulteriore afflizione, cui dovevano sottostare quanti erano stati privati della libert, diventato, a seguito delle innovazioni introdotte dal nuovo ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975,. n. 354, contenente norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libert; d.P.R. 29 aprile 1976, n. 431, di approvazione del regolamento di esecuzione della legge cit.; legge 10 ottobre 1986, n. 663, contenente modifiche alla medesima legge) che hanno notevolmente contribuito a conferire dignit e valore educativo alle prestazioni lavorative dei condannati ed internati (artt. l, 13 e 20 della legge n. 354 del 1975), un elemento cardine del, trattamento rieducativo (art. 15 legge cit.), non eguale ma assimilabile al lavoro libero, sia esso svolto nei confronti dell'amministrazione all'interno o all'esterno dell'istituto penitenziario, sia esso svolto all'esterno alle dipendenze di altri datori di lavoro. La centralit del lavoro nel trattamento rieducativo, quale si evince dalle norme di cui agli articoli citati contenuti nel titolo primo del trattamento penitenziario -comprendenti i principi direttivi di esso (capo primo), le condizioni generali (capo secondo), le modalit {capo ter.lo) concernenti, tra l'altro, l'organizzazione del lavoro all'interno o all'esterno (art. 21), e le misure alternative alla detenzione (capo sesto), tra le quali il regime di semilibert (art. 48) -, non impedisce di rilevare sul piano normativo il divario fra i due istituti del lavoro all'esterno e della semilibert ampiamente illustrato dalla dottrina e dalla giurisprudenza anche costituzionale {v. Corte Cost. 15 febbraio 1984, n. 29 e 7 luglio n. 107) e rivelato essenzialmente dal fatto che il lavoro all'esterno viene prestato sotto scorta degli agenti di custodia e non implica necessariamente uno specifico progra,mma di trattamento rieducativo con relative prescrizioni, come invece previsto per la semilibert (art. 92 reg.). Tale centralit peraltro costituisce un elemento unificante e qualificante sia del lavoro all'esterno sia di quello del semilibero, in quanto l'art. 15, primo e 2 comma, della legge n. 354 del 1975 concerne indi / stintamente tutti i condannati, e induce a ravvisare un coordinato parallelismo tra le norme di legge relative ai due istituti in questione e le rispettive norme regolamentari. Invero, in particolare, come la disposizione che impone per il lavoro all'esterno l'obbligo del datore di lavoro di versare alla direzione dell'istituto la retribuzione dovuta (art. 46, 7 comma, reg.) applicativa delle norme contenute negli artt. 2, 23, 24 e 25 della legge n. 354 del 1975 -relative ai dovuti prelievi dalla retribuzione ed alla disponibilit della parte pignorabile o sequestrabile di essa, -cos devesi ritenere, in relazione all'art. 48 legge cit., per la disposizione che pone a carico del datore di lavoro dei condannati ed internati in regime di semilibert I li ----. 1 . I! f PARm I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE l'analogo obbligo di versamento della retribuzione alla direzione dell'isti tuto {art. 51 reg.). E la legittimit di questa seconda disposizione emerge dal rilievo che essa, se non secundum , certamente non neppure contra legem e correttamente pu essere qualificata praeter legem . Al riguardo appena il caso di ricordare che il regolamento di esecuzione di una legge pu essere considerato quale atto amministrativo illegittimo, e quindi pu essere disapplicato dal giudice ordinario, quando contenga norme che superino la necessit di dare attuazione alla legge o addirittura le siano contrarie, ma non quando contenga norme che coml?letino o integrino la legge (Cass. Civ. 12 maggio 1975, n. 1836; 24 luglio 1971, n. 2479). Orbene, l'obbligo sancito dall'art. 51 del regolamento in esame non sospettabile, in particolare, di essere contrario alla ratio dell'istituto della semilibert per i seguenti rilievi: a) la stessa stipulazione del contratto di lavoro non rimessa alla esclusiva autonomia del detenuto, atteso che tra i limiti posti dalla legge al potere discrezionale del giudice di ammettere il condannato o l'internato al regime di semilibert vi l'obbligo di accertare, tra l'altro, con adeguata motivazione, il tipo di attivit lavorativa cui il condanni;ito intende dedicarsi nel luogo in cui deve espiare la pena residua, essendo quella finalizzata a rendere effettiva la auspicata sua risocializzazione (Cass. pen. 22 giugno 1985, n. 1766 -e.e. 5 giugno 1985; 23 maggio 1985, n. 1248 -e.e. 29 aprile 1985); b) tra istituto della semilibert e rapporto di lavoro interagiscono vicende proprie dell'uno e dell'altro, tanto che la revoca della semilibert determina ovviamente l'estinzione del rapporto, cosi come la cessazione dell'attivit del datore di lavoro o il licenziamento comporta necessariamente la revoca della semilibert {Cass. pen. 20 ottobre 1983, n. 1976 -e.e. 27 settembre 1983; 7 agosto 1982 n. 1450 -e.e. 28 giugno 1982); e) il condannato o internato in semilibert deve necessariamente risentire dello stato di detenzione in cui pur sempre si trova, e la cui misura alternativa costituita dalla semilibert ha precisi limiti temporali nell'arco di ciascuna giornata, e, pertanto, per il principio di parit cui deve ispirarsi il trattamento penitenziario (art. 3 legge n. 354 del 1975), non pu essere esonerato dall'obbligo di non disporre di moneta nell'istituto, secondo le limitazioni stabilite dal regolamento in ordine all'ammontare dei beni provenienti dall'esterno. D'altra parte, la ratio della risocializzazione del condannato o internato non inficiata dalla indisponibilit della retribuzione, posto che essa fondata non sulla libera amministrazione del reddito da lavoro, stante il divieto di possesso di moneta all'interno dell'istituto, bens sul fatto stesso dello svolgimento di una attivit lavorativa all'e:sterno, senza scorta e adeguata a detta ratio . 208 RASSEGNA DEIJ.'AVVOCATURA DELLO STATO N le innovazioni apportate all'istituto dalla legge n. 663 del 1986 hanno inciso sulla funzione di esso, essendo soltanto modificative, in favore del ,condannato o internato, delle condizioni oggettive di ammissibilit al regime della semilibert. N, infine, potrebbe ravvisarsi l'illegittimit dell'art. 51 reg. sotto il profilo del vizio dell'eccesso di potere per disparit di trattamento tra condannato o internato ammesso al lavoro subordinato e condannato o internato ammesso al lavoro autonomo, concernendo tale articolo soltanto il primo, talmente diverse essendo le rispettive condizioni di svolgimento ed evidente l'impossibilit di vincolare alla fonte il corrispettivo del lavoro autonomo. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 febbraio 1989, n. 955 -Pres. Zucconi Galli Fonseca -Rel. Anglani -P. M. Virgilio. Mazzetti (avv. Di Marco, Piccialuti) c. Cassa pensioni dipendenti Enti locali (avv. Stato Stipo) e Azienda Municipalizzata servizi nettezza Urbana di Firenze (avv. Lania, Golati). Procedimento civile -Sentenza non definitiva -Riserva d'impugnazione Ammissibilit Impugnazione immediata successiva Inammissibilit. (Cod. proc. civ. artt. 41, 279, 340, 420). Anche in tema di sentenza non definitiva pronunziata dal giudice> del lavoro ammissibile la riserva di impugnazione ex art. 340 c.p.c.; l'impugnazione immediata proposta successivamente alla riserva inammissibile (1). (omissis) Il ricorrente, denunziando con il primo motivo la viola zione degli artt. 340 e 420 c.p.c., deduce che il Tribunale ha ritenuto ammissibile l'appello proposto dalla Cassa in base all'erronea opinione che, a seguito delle modifiche innovative apportate dalla legge 533 del 1973 all'art. 420, le disposizioni dell'art. 340 sulle impugnazioni diffentt: (1) Nello stesso senso della sentenza, circa l'ammissibilit della riserva d'impugnazione contro sentenze non definitive nel processo del lavoro cfr. I[!= Cass. 11 gennaio 1986 n. 118 Foro It. Rep. 1986 voce Appello civile n. 14. ":: :: Oirca l'ammissibilit di sentenza non definitiva anche nel rito del lavoro: Cass. 5 giugno 1987 n. 4937 Foro lt. 1988, I, 874. Sull'ammissibilit della impugnazione immediata, dopo che ci si sia avval1ll si della riserva: Cass. 4 giugno 1984 n. 3325 Foro It. 1987, I, 145 con nota di CEA " Pluralit di domande e sentenze non definitive " I ?:' PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE non siano pm applicabili alle sentenze non definitive pronunziate dal giudice del lavoro, suscettibili soltanto d'impugnazione immediata. Il motivo fondato. La sentenza impugnata muove dalla premessa che il 4 comma dell'art. 420, nell'elencare le ipotesi in cui il giudice deve pronunziare sentenza, pone sullo stesso piano (seppure in alternativa) quella in cui la causa matura per la decisione e quelle in cui sorgono questioni attinenti alla giurisdizione, alla competenza ed altre pregiudiziali la cui decisione pu definire il giudizio (in particolare le questioni riguardanti la capacit processuale delle parti, l loro rappresentanza, la litispendenza, continenza e connessione, la validit degli atti introduttivi); 2 la ratio di tali disposizioni, ispirate all'esigenza della concentrazi~ne e della rapidit di svolgimento del processo del lavoro, ravvisabile nella necessit t:he la regolarit del processo sia subito accertata, onde evitare che inutilmente ci s'inoltri nella trattazione del merito, necessit che impone -e non semplicemente permetta -al giudice del lavoro di decidere con sentenza immediata (sempre che non possa adottare, senza istruzione, la decisione definitiva di merito) tutte le suindicate questioni pregiudiziali, aprendo cos la via alle impugnazioni immediate . Alla stregua di siffatte premesse, dalla considerazione che la suindicata esigenza sarebbe frustrata dal differimento della impugnazione ed, infine, dal rilievo che, contestualmente all'entrata in vigore della legge 533 del 1973 non si provveduto a modificare l'art. 340, inserendosi un richiamo espresso anche all'art. 420, 4 comma, oltre che agli artt 278 e 279 2 comma n. 4 , la sentenza pervenuta alla conclusione che le sentenze non definitive pronunciate ritualmente dal giudice del lavoro debbono essere subito impugnate ai sensi dell'art. 41 o dell'art. 42 o degli art. 339 e 433 . Tale conclusione muove da una inesatta comprensione dell'ambito di applicazione dell'art. 340 e del rapporto tra l'art. 279 e 420. L'art. 340 che, nel testo modificato dell'art. 35 legge 14 luglio 1950, n. 581, ha attribuito con H primo comma alla parte soccombente .la facolt di scelta tra l'appello immediato e quello differito avverso la sentenza non definitiva, regolando il tempo, il modo e i limiti dell'esercizio di tale facolt, non enuncia esplicitamente la nozione di sentenza non definitiva (espressione usata soltanto nella rubrica dell'articolo, intitolata Riserva facoltativa d'appello contro sentenze non definitive) ma ne indica implicitamente gli estremi, sia attraverso il rinvio formulato nel primo comma con l'~spressione contro le sentenze previste 'dall'articolo 278 e dal n. 4 del 2 comma dell'art. 279 sia attraverso la contrapposizione alla sentenza che definisce il giudizio indicata nel secondo comma. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 210 In sostanza deve affermarsi che le disposizioni dell'art. 340 sono applicabili per qualsiasi sentenza che, alla stregua dei due suindicati elementi debba essere qualificata non definitiva. Or dal 2 comma dell'art. 279 -norma di carattere generale, avente, nel suo complesso, la finalit di fissare i poteri decisori e istruttori dell'organo giudicante (s1a del collegio che del giudice monocratico nella fase decisoria del procedimento) precisando in quali casi deve pronunziare sentenza e in quali ordinanza -si evince che, ove sorga questione (prospettata alle parti o rilevabile d'ufficio) di giurisdizione o di competenza (n. 1 del comma) e cio sulla esistenza della potestas iudicandi del giudice adito in relazione al rapporto dedotto in giudizio, deve considerarsi definitiva -in quanto, accertando l'inesistenza di tale potest impedisca l'esame del merito e definisce perci il giudizio -la sentenza che dichiara il difetto assoluto di giurisdizione o il difetto della giurisdizione ordinaria ovvero l'incompetenza del giudice adito. Per converso deve qualificarsi non definitiva la sentenza che, poich risolve la questione affermando la giurisdizione o la competenza, consente la prosecuzione del giudizio per l'esame del merito. Alle medesime conclusioni deve pervenirsi per le sentenze pronunziate. nel processo di lavoro. Invero l'art. 420 (contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale) non pu essere considerata una norma innovativa (tanto meno in relazione ai principi sopra esposti in tema di sentenze) ma ha la precipua funzione di adattare al giudizio del lavoro -nel quale i poteri istruttori e decisori e istruttori, sono concentrati nel medesimo organo e vengono esercitati in un'unica fase --alcune norme del giudizio ordinario di cognizione {fra le altre, gli artt. 116, 117, 177, 189, 181 e 279) concernenti i poteri del giudice e della parte, norme strutturate in relazione alla esistenza di due organi (giudice istruttore e collegio) e di due fasi nei procedimenti dinanzi a giudice collegiale ed allo svolgimento in due fasi anche dinanzi al giudice monocratico (che in esse svolge rispettivamente funzioni istruttorie e decisorie). Per quanto riguarda in particolare il 4 comma il quale dispone che se la conciliazione non riesce e il giudice ritiene la causa matura per la decisione, o se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali la cui decisione pu definire il giudizio, il giudice invita le parti alla discussione e pronunzia sentenza anche non definitiva dando lettura... appare evidente che detto comma (anche a prescindere dalla espressa previsione di pronunzia di sentenza non definitiva e dalla implicita contrapposizione di tale ipotesi o quelle in cui le questioni indicate nella prima parte sono state decise nel senso d'impedire la prosecuzione del giudizio) stato inserito non gi per derogare al 2 comma dell'art. 279 bens (in relazione alla ricordata finalit di inserire nella struttura del processo del lavoro di disposi PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE zioni del procedimento ordinario) per attribuire al giudice del lavoro, quale organo decidente, il potere di delibaziol'\e della necessit od opportunit di far decidere dal collegio talune questioni, potere attribuito al giudice istruttore dall'art. 187 c.p;c. I primi tre commi di tale norma (in gran parte sostanzialmente riprodotti nel 4 comma dell'art. 420) dispongono infatti che il giudice istruttore rimette le parti al collegio quando ritiene che la causa sia matura per la decisione senza bisogno di assunzione di mezzi di prova o pu rimetterle quando ritiene che sia opportuno far decidere immediatamente questioni attinenti alla giurisdizione, alla competenza o ad altre pregiudiziali o preliminari di merito. Affermato quindi che l'art. 340 deve essere applicato anche in tema di sentenza non definitiva pronunziata dal giudice del lavoro, e tale va considerata la sentenza affermativa della giurisdizione, si osserva che la sentenza del pretore del 16 marzo 1979, avverso la quale la Cassa Pensioni dopo aver formulato riserva di appello differito, propose appello immediato, contiene due distinte pronunzie: l'una espressamente formulata nel dispositivo, con la quale si dichiara il difetto di giurisdizione in ordine a tutte le domanda proposte contro l'ASNU ha natura definitiva (e di essa si tratter in proseguo) l'altra, chiaramente enucleabile nella motivazione ed implicitamente menzionata nel dispositivo mediante l'anteposizione dell'avverbio limitatamente alla pronunzia definitiva, con la quale si dichiara che la controversia nei confronti della Cassa appartiene alla giurisdizione ordinaria. Orbene tale seconda pronunzia (coevamente alla quale fu emessa ordinanza di rinvio ad altra udienza per il tentativo di conciliazione e per l'eventuale espletamento di mezzi istruttori) , in quanto affermativa della giurisdizione, una sentenza non definitiva. Il Tribunale avrebbe dovuto peri, in applicazione dell'art. 340, dichiarare inammissibile l'appello proposto dalla Cassa dopo la riserva di differimento. Accolto il primo motivo e dichiarato assorbito il secondo, proposto in subordine, con il quale si censura l'apprezzamento di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, la sentenza del tribunale va cassata senza rinvio in quanto il processo non poteva essere proseguito in appello. Con il secondo motivo {dichiarato assorbito per la parte riguardante la Cassa) il ricorrente, denunziando violazione degli artt. 409, 442 e 444 c.p.c. e, premesso che il Tribunale confermando sul punto la sentenza del Pretore, ha qualificato come rapporto di pubblico impiego quello intercorso con l'ASNU, che ha invece natura privata, deduce che erroneamente stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, atteso che la domanda da esso Mazzetti proposta, qualificabile come domanda di maggior pensione rientrava tra le controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie comprese nella RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 212 consulenza del Pretore quale giudice del lavoro ed era volta in ogni caso ad ottenere il risarcimento del danno derivato dall'omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro . Il ricorso, infondato sotto un duplice profilo va rigettato. certo anzitutto che il Tribunale, non ha emesso alcuna pronunzia nei confronti del Mazzetti, ma si limitato a dare atto in narrativa che il pretore aveva dichiarato il difetto di giurisdizione nei confronti dell'ASNU e che la stessa ASNU si era costituita ad vigilandum nella eventualit non verificatasi, di un'impugnazione non incidentale del Mazzetti . Il ricorso del Mazzetti sarebbe per cui inammissibile, sotto un primo profilo, per difetto d'interesse ad impugnazione, in mancanza di una pronunzia nei di lui confronti. Ove poi il Mazzetti abbia inteso riproporre in questa sede la questione di giurisdizione, il ricorso deve essere rigettato in quanto, non avendo lo stesso Mazzetti, com' pacifico, proposto impugnazione avverso la sentenza del pretore, nei suoi confronti definitiva, ed essendosi perci formato il giudicato formale, deve ritenersi preclusa la possibilit di riproporre la questione di giurisdizione nelJo stesso processo. CORTE DI CAiSSAZIONE, I -Sez. civ., 1 marzo 1989, n. 1099 -Pres. Scanzano -Rel. Vignoli -P. M. Amirante -Leotta e Pulvirenti (avv. Basile e Spina) c. A.N.A.S. (vice avv. gen. Stato Baccari). Espropriazione P.I. -Occupazione legittima -Indennit -Rivalutazione automatica -Non compete. Espropriazione P.I. -Indici di rivalutazione diversi da indici ISTAT Applicabilit necessit motivazione. Espropriazione P.I. Realizzazione dell'opera pubblica in periodo di occupazione legittima Indennit Non compete. Obbligazioni (in generale) Debiti di valuta Rivalutazione -Comprende anche interessi. Obbligazioni (in generale) Debiti di valore Momento di riferimento ai fini della rivalutazione Quello della decisione. (Legge 25 giugno 1865 n. 2359; art. 1224 e.e.). Il debito per indennit di occupazione legittima, quale debito di valuta, non deve essere automaticamente rivalutato alla attualit, potendo essere maggiorato dell'ulteriore danno da svalutazione monetaria solo ove, a norma dell'art. 1224, Zo comma cod. civ., sussistano e siano stati PARIB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 213 positivamente valutati elementi di prova, pur se presuntiva, di quest'altro danno (1). Pur non sussistendo per il giudice l'obbligo di adottare particolari indici di svalutazione, occorre pur sempre -specie quando la parte chieda la applicazione di indici ufficiali -che egli spieghi i motivi per i quali. non ritiene di adottarlii(2). Se l'irreversibile destinazione pubblica del suolo occupato si veri ficata durante il periodo di occupazione temporanea, la propriet del suolo deve intendersi passata all'ente occupante con l'inizio dell'occu pazione illegittima, tal che nessun danno pu liquidarsi per il mancato godimento del bene nel periodo successivo alla perdita della propriet (3). Nelle obbligazioni originariamente pecuniarie (debiti di valuta) il risultato che si ottiene quando si rivaluta alla attualit la somma dovuta, consiste in una cifra comprensiva anche degli interessi legali t(4). Nelle obbligazioni di valore il momento al quale il giudice deve rap, portare il debito ai fini della rivalutazione quello della decisione {5). (1) Ciroa il problema del risarcimento del danno da svalutazione monetaria nelle obbligaziollli pecuniarie, nello stesso senso della massima (dopo le incertezze susoitate da Cass. 30 novembre 1978 n. 5670 e Cass. Un. 4 luglio 1979 n. 3776 in questa Rassegna 1979, I, 286) Cass. Sez. Un. 5 aprile 1986 n. 2368 in Foro it. 1986, I, 1265 con nota di PARDOLEST e AMATULLI; nonch in Foro it. 1986, I, 3035 nota di E. QUADRI. La sentenza leggesi anche in Giust. civ. 1986, 1595. Da notare, al riguardo, che il Pret. Roma con ord. 14 aprile 1988 in Foro it. 1988, I, 3447 ha sollevato questione di costituzionalit del principio nominalistico di cui all'art. 1277 e.e. (2) Non constano precedenti in termini; ma non sembra possano sussistere dubbi sull'esattezza della decisione. (3) Nello stesso senso gi Cass. 12 giugno 1987 n. 5127 Foro it. Mass. 1987, 871. Sulla questione si veda anche nota redazionale a Cass. 13 novembre 1987 n. 8344 In Foro it. 1987 I, 3236. (4) In tal senso si va orientando la giurisprudenza della Corte Suprema. Lo stesso principio gi stato affermato da Cass. 14 gennaio 1988 n. 260 in Foro it. 1988, I, 384 la quale ha puntualizzato che gli interessi in aggiunta alla rivalutazione costituirebbero una illecita duplicazione ed un lucro per il creditore. La sentenza favorevolmente annotata da VALCAVI in Foro it. 1988, I, 2318 secondo il quale il principio potrebbe essere esteso anche ai crediti risarcitori. In precedenza e cio per la cumulabilit degli interessi quali lucro cessante presunto si erano pronunciate Cass. 13 febbratio 1987 n. 1607 in Foro It. Rep. 1987 voce Danni civili n. 268; Cass. 16 marzo 1987 n. 2690 in Foro it. Mass. 442. (5). Affermazione che potrebbe sembrare in contrasto con Cass. 13 novem bre 1986 n. 6650 in Cons. Stato 1987, Il, 664 la quale ha stabilito che il valore dell'immobile irreversibilmente destinato all'opera pubblica va determinato con riferimento al valore che aveva all'epoca e non al momento della decisione 16 Pll&llrllliilllllrllllllllfllllllllllllllllllllllll&flllllll4' RASSEGNA DEI.J..'AVVOCATURA DELLO STATO 214 (omissis) Ricorso principale ed incidentale vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ. Col primo motivo, i ricorrenti principali si dolgono: a) della insufficiente motivazione della pronncia. impugnata relativamente alla determinazione del valore del suolo occupato (un agrumeto), lamentando, in particolare, che il giudice del merito non abbia tenuto conto che l'ANAS, in sede di accordo amichevole, aveva riconosciuto al suolo confinante (appartenente ad un loro congiunto) il pi elevato valore di L. 4500 al mq.; b) di un erroneo calcolo dell'indennit di occupazione legittima, in quanto liquidata sulla base soltanto del valore della parte di suolo occupata e non, invece, del danno complessivamente arrecato all'intero fondo; e) del fatto che il risarcimento del danno da occupazione illegittima, computato alla stregua degli interessi sul valore del suolo con decorrenza dalla scadenza dell'occupazione temporanea, sia stato liquidato fino alla data della sentenza di primo grado, sostenendo, a tal uopo, di aver appellato il capo della decisione di primo grado che a tale momento finale aveva limitato la liquidazione del danno e che, quindi, non si era formato il giudicato sul punto. Col secondo motivo, si dolgono del fatto che: a) alla somma determinata come valore del suolo il giudice del merito abbia applicato equitativamente un coefficiente di svalutazione non corrispondente agli indici ISTAT e comunque non adeguato alla realt; b) che quanto liquidato a titolo di risarcimento del danno da occupazione illegittima non sia stata rivalutato, come sarebbe stato necessario per un debito di valore; e e) che n su tale somma, n sull'indennit di occupazione legittima, n sull'importo corrispondente al valore del bene siano stati calcolati gli interessi compensativi. Con il ricorso incidentale, l'ANAS si duole che il giudice del merito abbia rivalutato tutte le somme liquidate con riferimento al momento della sua decisione, laddove tale rivalutazione avrebbe dovuto aver luogo con riguardo all'epoca in cui era intervenuta la costruzione dell'opera pubblica o a quella dell'emissione del decreto di esproprio e su tale valore avrebbero dovuto essere calcolati i soli interessi legali; lamenta ancora che, relativamente all'indennit di occupazione legittima, sia stato liquidato il maggior danno da svalutazione senza che i creditori ne abbiano fornito la prova, come sarebbe stato necessario per un debito di valuta. (perch il prezzo dei suoli pu variare per fattori indipendenti dal potere di acquisto della moneta). Ma nel caso di cui alla massima il riferimento al momento della decisione non riguarda il valore dell'immobile, bens il termine finale di rivalutazione del debito. G. MONETA PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE I punti a) e e) del primo motivo del ricorso principale sono infon dati. Dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che il giudice del merito, pur provenendo la domanda di risarcimento da proprietaricoltivatori diretti del suolo illegittimamente occupato dall'ANAS, ha ritenuto dover liquidare il danno con riferimento esclusivo alla perdita del diritto di propriet (tenendo conto, quindi, innanzitutto del valore dell'immobile), senza considerare la lesione della specifica posizione soggettiva degli istanti e, in particolare, del diritto a quel trattamento indennitario speciale, consistente nella corresponsione del triplo dell'in dennit provvisoria (art. 17 della legge n. 865 del 1971, mod. dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977), che la legge attribuisce ai proprietari-coltivatori in sede di procedimento espropriativo, quando addivengono alla cessione volontaria dell'immobile. Si trattato, per, di un'impostazione seguita gi dal giudice di primo grado e della quale gli attuali ricorrenti, pur proponendo appello incidentale contro la relativa sentenza, non si dolsero, limitandosi a criticare la decisione del tribunale perch, nel liquidare il danno, non aveva considerato l'ulteriore pregiudizio derivante dallo smembramento del suolo, n i danni arrecati al caseggiato rurale, n il deprezzamento e la accresciuta difficolt di accesso al terreno residuio. Conseguentemente, su quel criterio di liquidazione del danno deve ritenersi formato il giudicato. Ci posto, ai fini dell'adeguatezza della motivazione relativa alla determinazione del valore del bene occupato, assolutamente inconferente risulta l'osservazione che quello liquidato dalla Corte d'appello inferiore al valore riconosciuto dall'ANAS al .proprietario del fondo confi nante, giacch, come risulta dall'impugnata sentenza, per il suolo limitrofo il prezzo fu fissato in sede di cessione volontaria e, quindi, con l'applicazione delle maggiorazioni di cui al predetto art. 17 della legge n. 865 del 1971. Anzi, alla luce di quanto precisato (ossia del fatto che per il fondo confinante il prezzo di cessione doveva per legge essere costituito dal triplo del valore medio dei suoli agricoli della zona), la decisione, in relazione al valore di mercato del bene, appare sufficientemente motivata, in quanto lo stesso -sulla base di precise indicazioni del consulente tecnico, delle caratteristiche positive del suolo e della sua appetibilit - stato determinato dal giudice del merito in misura superiore a quella riportata dalle tabelle dei valori agricoli medi formate dalla Commissione istituita presso l'UTE. Di formazione del giudicato deve parlarsi anche a proposito della doglianza relativa al momento in cui, nella sentenza impugnata, stata fissata la cessazione del danno da occupazione illegittima, ivi liquidato in misura pari agli interessi legali sul valore venale fino alla data della decisione di primo grado. Invero, prescindendo per il momento dalla questione della liquidabilit, a titolo di risarcimento del danno da 216 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO occupazione illegittima, di altri danni oltre a quello della perdita del I suolo, in quegli stessi termini aveva deciso anche il giudice di primo grado e gli attuali ricorrenti, contrariamente a quanto da loro affermato nel ricorso per cassazione, non articolarono, al rigu~o, uno spe I cifico motivo di appello. Fondato appare, invece, il punto b) dell'articolato primo motivo di ricorso, che appare opportuno esaminare unitamente alla parte del ricorso incidentale in cui, pure fondatamente, l'Anas si duole che, in irela . zione a questa indennit, sia stato liquidato anche il maggior danno da svalutazione, senza che i creditori ne avessero fornito la prova, come sarebbe stato necessario per un debito di valuta quale quello che ha la sua fonte nell'occupazione legittima. Invero, la Corte d'appello ha determinato l'indennit per questo tipo di occupazione in misura corrispondente agli interessi legali per due anni, sul valore venale (rivalutato all'attualit) del suolo occupato. Il criterio adottato, tuttavia, non corretto, in quanto, pur quando si voglia ricorrere al sistema pragmatico di liquidare l'indennit in questione col sistema degli interessi le- gali sul capitale liquidato a titolo di risarcimento del danno da occupazione illegittima o di indennit di esproprio, l'importo base per il calcolo degli interessi non dato solo dal valore venale della parte di suolo occupata, bens, ove si tratti di occupazione parziale (ossia quando sia residuata al proprietario altra parte di terreno pi o meno deprezzata dall'occupazione) dal cumulo della somma corrispondente al valore venale con quella liquidabile a titolo di risarcimento del danno per il degrado della parte residua di fondo, oppure, il che conduce al medesimo risultato, dalla differenza tra il valore venale originario del fondo e quello della parte residuata dopo l'occupazione. E tale importo, considerato che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, il debito per indennit di occupazione legittima di valuta, certamente produttivo di interessi moratori, ma non deve essere automaticamente rivalutato all'attualit, potendo essere maggiorato dell'ulteriore danno da svalutazione monetaria solo ove, a norma dell'art. 1224, 2 comma, cod. civ., sussistano e siano stati positivamente valutati elementi di prova, pur se presuntiva, di quest'altro danno. Principio questo che, nella specie, non stato seguito, giacch la Corte di merito ha proceduto ad un'automatica rivalutazione che stata perci fondatamente censurata dall'Anas. Fondato deve ritenersi anche il punto a) del secondo motivo del ricorso principale, col quale ricorrenti lamentano l'insufficiente motivazione della sentenza in merito al coefficiente applicato per determinare ~i all'attualit il danno subito dai proprietari a seguito della perdita del i.: suolo illegittimamente e irreversibilmente occupato dall'ANAS. Invero, f,. pur non sussistendo, per il giudice, l'obbligo di adottare particolari indici ! .. I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 217 di svalutazione, occorre pur sempre -specie quando la parte chieda l'applicazione di indici ufficiali -che egli spieghi i motivi per i quali non ritiene di adottarli. Nella specie, invece, la svalutazione risulta determinata dal giudice del merito nella misura del 128 % e la scelta di questo coefficiente, pur tenuto conto che si tratta di valutazione equitativa del danno, non appare sufficientemente motivata, specialmente se si considera che il suo valore assoluto molto pi basso rispetto al coefficiente risultante dall'attestazione rilasciata dall'ISTAT, tempestivamente prodotta in giudizio, secondo quanto affermato dai ricorrenti e non contestato dalla resistente. Infondate sono, invece, tutte le altre doglianze. Invero, per quanto riguarda quelle relative alla mancata rivalutazione del danno da occupazione illegittima e all' omessa attribuzione degli interessi compensativi sulla somma corrispondente al valore del bene e sul risarcimento del danno da occupazione illegittima , va osservato, innanzitutto, che se la irreversibile destinazione pubblica del suolo occupato che determina il trasferimento della propriet a favore dell'occupante, si verificata (come nella specie dato per pacifico) durante il periodo di occupazione temporanea, tale trasferimento si deve ritenere realizzato al termine dell'occupazione stessa e all'inizio di quella illegittima, sicch il danno che la trasformazione illegittima del suolo arreca al proprietario consiste proprio ed esclusivamente nella perdita della propriet del bene, n dato aggiungere alla sua liquidazione (che si effettua con l'attr~buzione dell'equivalente patrimoniale del suolo, rivalutato all'attualit, nonch, secondo una giurisprudenza consolidata, con gli interessi compensativi su tale somma dal compimento del fatto illecito al pagamento), una distinta indennit (rectius: voce di danno) per occ1:1pazione illegittima, ma solo gli interessi compensativi su quella somma. A questo criterio, invero, il giudice del merito non si affatto atte nuto (ma la statuizione non stata censurata dall'Anas), ritenendo di poter liquidare, a titolo di risarcimento patrimoniale, oltre all'equivalente economico del bene occupato rivalutato all'attualit, anche una indennit da occupazione illegittima (evidentemente per il mancato godimento del suolo) liquidata con gli interessi sulla somma stessa a partire dalla consumazione dell'illecito e fino alla data della decisione di primo grado, dimenticando che, con l'inizio dell'occupazione illegittima, la propriet dello stesso doveva intendersi passata all'ente occupante, tal che nessun danno poteva liquidarsi ai ricorrenti per il mancato godimento del bene nel periodo successivo alla perdita della propriet. Comunque, quello che deve correttamente intendersi per risarcimento del danno da occupazione illegittima (ossia l'equivalente economico del bene), in concreto stato rivalutato dal giudice del merito, mediante l'applicazione del predetto coefficiente di svalutazione. E cos, llllcillllllllllllllllllllllllltlllllllllll4flllll&lllllfll:ll 218 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cli fatto, sono stati attribuiti anche gli interessi compensativi sul valore venale, erroneamente qualificati come indennit da occupazione illegittima , sul cui termine finale di scadenza, come si gi detto, s1 e formato il giudicato e che non sono, a loro volta, produttivi di altri interessi. Quanto, poi, all'ultima doglianza dei ricorrenti principali, inerente alla mancata attribuzione degli interessi sulla somma liquidata a titolo di indennit di occupazione legittima, deve rilevarsi che, secondo il principio di cui all'art. 1224 cod. civ., nelle obbligazioni originariamente pecuniarie (ossia nei debiti di valuta), il risultato che si ottiene quando si rivaluta all'attualit la somma dovuta, consiste in una cifra comprensiva anche degli interessi legali, in quanto costituita appunto dall'importo degli interessi legali e dalla differenza tra il danno da svalutazione e l'importo degli interessi stessi. E poich, nella specie, ai ricorrenti stata attribuita una indennit di occupazione legittima rivalutata, appare evidente che il giudice del merito non solo ha rispettato la regola che d diritto al cred~tore di ottenere la 1condanna del debitore al pagamento degli interessi moratori, ma addirittura ha maggiorato l'importo con l'ulteriore danno da svalutazione. E la relativa pronuncia non deve ritenersi caducata per effetto dell'accoglimento del ricorso incidentale If. dell'Anas, giacch esso involge la parte della statuizione relativa al maggior danno da svalutazione, ma non anche quella inerente alla liquidazione degli interessi moratori. Riguardo, infine, alla rimanente censura mossa dall'ANAS alla sentenza de qua col ricorso incidentale, va osservato che nelle obbligazioni I di valore, il momento al quale il giudice deve rapportare il debito ai fini della rivalutazione, quello della decisione; tal che nessun fonda I ~j mento ha la prospettata tesi, secondo la quale nella particolare fattispecie di obbligazione di risarcimento del danno da occupazione illegittima, questo momento debba esser anticipato al tempo della irreversibile destinazione pubblica del bene oppure a quello della emissione del decreto di esproprio illegittimo (o irrilevante) e che da tale momento possano essere attribuiti al creditore slo gli interessi legali; destinazione pubblica irreversibile ed emissione del decreto di esproprio illegittimo o ir~ilevante, invero, costituiscono eventi che non sanano l'illegittimit dell'occupazione n riducono l'entit del danno, per cui nessuna incidenza possono avere ai fini della liquidazione dello stesso. In conclusione, quindi, l'indennit di occupazione legittima (liquidata col sistema degli interessi legali sul capitale) va calcolata, nel caso di specie, sulla somma corrispondente al valore del suolo occupato, maggiorata di quella determinata per il deprezzamento del terreno residuo. , PARTB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 219 Tale indennit, sulla quale sono dovuti gli interessi legali, non deve essere, per, rivalutata automaticamente. Ai ricorrenti spetta, inoltre, la rivalutazione all'attualit del valore del suolo, mediante applicazione di indici la cui scelta sia congruamente motivata. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 9 marzo 1989, n. 1245 Pres. Fanelli Rel. Genghini -P. M. Gazzara -Mastronardi (avv. Pala e Veneto) c. Ministerc; Tesoro (Avv. Stato Nucaro). Sanit Medico Convenzionato Retribuzione -Art. 36 Cost. Inapplicabilit Art. 2233 cod. civ. -Inapplicabilit. (Cost. art. 36, art. 2323 cod. civ.). esclusa l'applicabilit dell'art. 36 della Costituzione ai rapporti di lavoro c.d. parasubordinati (1). inapplicabile al rapporto intercorso tra il professionista e la Cassa Soccorso e Malattia la disciplina di cui all'art. 2233 cod. civ., relativa al compenso, che concerne il rapporto tra professionista e cliente destinatario dell'opera, e non il rapporto tra il professionista stesso 1e la Cassa, rapporto quest'ultimo contenuto nei limiti della disponibilit da parte del prof es sionista (2). (omissis) Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente censura la impugnata sentenza per violazione degli artt. 35 e 36 della Costituzione, degli artt. 1418 e 2233, II comma cod. civ. dell'art. 432 cod. proc. civ. e dell'art. 2 III comma della legge 21 febbraio 1963 n. 244; l'art. 36 della Costituzione era applicabile alla fattispecie in quanto il sanitario, secondo quanto accertato dal Tribunale si era obbligato non con i singoli dienti, ma verso la Cassa ad assistere gli iscritti alla medesima, che avessero richiesto la sua opera; inoltre la sentenza ha erroneamente (1) Giurisprudenza costante. Cfr., citata in motivazione, Cass. 7 aprile 1987 n. 3400 in Foro It. Rep. 1987 voce lavoro autonomo n. 6, Cass. 13 dicembre 1986 n. 7497 in Foro lt. Rep. 1986 voce lavoro (rapporto) n. 1246; nonch cli recente Cass. Sez. Un. 11 Ottobre 1988 n. 5471 Foro lt. 1989, I, 62. In dottrina, in senso conforme, AM. GRIECO Lavoro subordinato e diritto del lavoro 1983, 164, nota 68; M. V. BALLESTRERO La ambigua nozione di lavoro subordinato Lavoro e dir. 1987, 66; Contra: G. VERONESI Il rapporto di lavoro dei medici di guardia in Giur. It. 1984, I, 2, 533, G. SANTORO PASSARELLI Il Lavoro parasubordinato 1979, nota 34, pag. 24 e pag. 99. (2) Non risultano precedenti in termini. Afferma in sostanza, la decisione in esame, che il rapporto tra medici convenzionati e Cassa retto da un regime particolare integralmente disciplinato dalla convenzione, alla quale ciascuna delle parti ha aderito autonomamente previa valutazione della convenienza. G. MONETA RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 220 escluso che il rapporto in questione rientrasse nella previsione dell'art. 2233 cod. civ. riguardante la prestazione di opera intellettuale specificamente per quanto concerne la determinazione del compenso; ne conseguiva che era consentito ricorrere ad una determinazione secondo equit, anche tenuto conto del fatto che il compenso contrattualmente stabilito era in contrasto con le tariffe professionali inderogabili nei minimi. Con il secondo motivo il ricorrente censura la impugnata sentenza per insufficiente motivazione sui punti decisivi su accennati. I due mezzi, data la loro connessione, possono esaminarsi congiuntamente. Questo Supremo Collegio, ripetutamente, ha escluso l'applicabilit ell'art. 36 della Costituzione ai rapporti di lavoro c.d. parasubordinati (sent. S.U. 16 gennaio 1986, sez. Lavoro 13 novembre 1986 n. 6662 e n. 6666, 13 dicembre 1986 n. 7497, 7 aprile 1987 n. 3400); ci in quanto nel corrispettivo di prestazioni lavorative svolte in piena autonomia e che si aggiungono all'abituale e normale esercizio di un'attivit liberoprofessionale non senz'altro ravvisabile quella funzione di garanzia dei bisogni primari e di sostentamento che la retribuzione, ai sensi dell'art. 36 Cost., deve assicurare ai lavoratori subordinati. Il rapporto di lavoro parasubordinato integra sempre una specie del lavoro autonomo, n pu trarsi argomento contrario dall'art. 409 n. 3 cod. proc. civ. atteso che questo equipara i rapporti di parasubordinazione ai rapporti di lavoro subordinato solo ai fini dell'applicazione di determinati istituti, prevalentemente di carattere processuale. Naturalmente del tutto diverso il caso in cui sia configurabile J'.esistenza, fra i medesimi soggetti, di un rapporto di lavoro autonomo a fianco a quello di lavoro subordinato, nel qual caso -per quest'ultimo -deve ritenersi applicabile l'art. 36 Cost. I due richiami alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, indipendentemente dalla natura interpretativa e dunque non cogente di quelle affermazioni, non appaiono pertinenti. Ci sia per quanto concerne la sentenza 7 luglio 1964 n. 75 la quale, pur contenendo una generica affermazione di applicabilit dei principi contenuti nell'articolo 36 (che peraltro affermazione molto diversa dalla applicabilit del precetto nella sua interezza) nel campo del lavoro autonomo, ed in particolare delle professioni intellettuali, verteva su una fattispecie ben diversa riguardante la derogabilit da parte del legislatore delle tariffe professionali fissate con la collaborazione degli ordini; ed in quella occasione la Corte Costituzionale aveva modo di sottolineare come al valore economico di un atto o di una controversia, non corrispondeva necessariamente la quantit e la qualit di lavoro richiesto al professionista. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Non diversamente nella sentenza 5 maggio 1967 n. 60 concernente l'art. 522 prima parte cod. proc. civ. secondo cui il custode non ha diritto a compenso se non l'ha chiesto e se non gli stato riconosciuto dall'ufficiale giudiziario all'atto della nomina, tale norma non poteva considerarsi in contrasto con l'art. 36 tenuto conto dell'attivit del tutto occasionale e temporanea del custode di beni mobili pignorati: si tratta, in altri termini, di un compenso avente caratteristiche peculiari del tutto diverse da quelle proprie della retribuzione. La impugnata sentenza ha esattamente colto, come gi era stato ritenuto da questa Suprema Corte (sent. 20 dicembre 1978 n. 6124) che l'art. 36 Cost., cOIDe si evince chiaramente dal contenuto delle sue prescrizioni che fanno riferimento, tra l'altro, alla durata massima della giornata lavorativa, al riposo settimanale ed alle ferie retribuite, riguarda soltanto il rapporto di lavoro subordinato e non applicabile al compenso per il lavoro autonomo del professionista. N invocabile, a questo riguardo (sentenza 22 agosto 1966 n. 2269), la affermazione di ricorribilit all'art. 36 in tema di prestazione svolta da socio di cooperativa di lavoro, trattandosi evidentemente di fatti specie del tutto diversa con proprie caratteristiche e per la quale, in ogni caso, la dottrina ha pressoch unanimamente escluso la configurabilit di un rapporto di parasubordinazione. La giurisprudenza di questo S.C. con riguardo alla inapplicabilit dell'art. 36 al compenso per il lavoro autonomo pu dirsi non avere subito contrasti (tra le molte decisioni: sent. 4 settembre 1956 n. 3176, 30 ottobre 1969 n. 3605, 19 aprile 1974 n. 1073, 17 maggio 1975 n. 1945, 20 dicembre 1978 n. 6124), e ci anche con riguardo al procedimento da seguire per determinare il compenso da attribuire ad un avvocato per un lavoro parasubordinato in mancanza di specifica previsione nella tabella professionale (sent. 17 aprile 1984 n. 2491). Proprio la cit. sentenza n. 3176 del 1956 aveva affermato che l'art. 36 il risultato della lotta secolare tra capitale e lavoro, il punto di arrivo di una evoluzione del rapporto di lavoro subordinato che si riassume nell'esigenza affiorata nei tempi moderni della tutela del lavoratore subordinato, non soltanto perch economicamente pi debole, ma anche per ristabilire l'armonia e la pace tra le classi sociali ed elevare il tono di vita di quelle inferiori . Ed 11ppena il caso di sottolineare la completa estraneit della situazione del libero professionista e del compenso per la sua attivit, al complesso di motivazioni suesposte, segnatamente alla caratteristica di parte economicamente pi debole , indipendentemente dalle controversie che, sulla propriet di tale definizione, pure non sono mancate con contrapposte motivazioni. 222 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Si tratta evidentemente di un regime particolare integralmente disciplinato dalla convenzione, alla quale ciascuna delle parti ha aderito autonomamente, previa valutazione della convenienza. A questo riguardo appena il caso di sottolineare la esattezza della affermazione della sentenza impugnata della inapplicabilit alla fattispecie di tutte le norme che regolano le professioni intellettuali ed in particolare della norma di cui all'art. 2233 cod. civ. relativa al compenso: tali norme evidentemente concernono il rapporto della prestazione di opera tra professionista e cliente destbatario di quell'opera, non la diversa fattispecie del rapporto in questione che intercorso tra profes~;ionista e Cassa soccorso e malattia, e per il quale destinatari delle prestazioni professionali erano gli assistiti, essendo propriamente il rapporto con la Cassa contenuto nei limiti della disponibilit da parte del professionista. Ne conseguiva che ogni valutazione di convenienza o di sproporzione tra compenso e prestazioni in concreto effettuate non poteva essere compiuta che a postriori e, come rilevato dalla sentenza impugnata, in caso affermativo, dare luogo ad una disdetta della convenzione al momento della sua_ scadenza periodica. : invero ev~ente che la tariffa profes.sionale alla quale dato ricorrere ai sensi dell'art. 2233 cod. civ. una fonte sussidiaria alla quale si pu ricorrere soltanto ove, come nel caso specifico, non sia intervenuta una convenzione, soprattutto -come si visto -quando questa stata stipulata con una parte (la Cassa soccorso e malattia) che non certo destinataria dell'attivit professionale che riguarda solo (ed eventualmente) i suoi assistiti. Consegue a quanto esposto il rigetto del ricorso. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 marzo 1989, n. 1347 -Pres. Mon-. tanari Visco -Rel. Meriggiola -P. M. Minetti -Ministero per i beni culturali e ambientali (Avv. Stato Ferri) c. Sciarra. Antichit e Belle Arti ' Ritrovamento di cose di interesse storico ed artistico Premio per l'inventore Interesse legittimo Giurisdizione amministrativa. Antichit e Belle Arti Occupazione di suolo privato Indennit Di ritto soggettivo -Giurisdizione ordinaria. (Legge 1 giugno 1939 n. 1089 art. 44, art. 932 cod. civ. legge 20 marzo 1865 n. 2248 art. 2). V a affermata la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda relativa al premio da parte del proprietario sul cui fondo siano rinvenute cose d'interesse storico o artistico (1). (1) Netto revirement della Suprema Corte che nei precedenti (pur se scarsi) sulla materia aveva ravvisato nel diritto al premio un vero e proprio PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 223 Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia insorta a seguito della domanda diretta al conseguimento dell'indennizzo per l'occupazione del fondo (2). (omissis) Nel richiamare il disposto dell'art. 44 della legge n. 1089 del 1939, il ricorso puntualizza che tale norma conferisce al Ministero per i beni culturali ed ambientali la duplice facolt di scegliere tra la corresponsiol).e di un premio in natura e un premio in danaro, ed altres di stabilire l'importo del premio entro il limite massimo del quarto del valore del bene rinvenuto, anche questo determinabile dal Ministero, o in caso di disaccordo, da una speciale commissione -elementi tutti dai quali emerge evidente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla liquidazione del premio, dovendosi altrimenti ammettere che l'A.G.O. avrebbe il potere di sostituirsi all'amministrazione in una scelta che invece la legge riserva a questa in via esclusiva. A. non dissimile conclusione deve giungersi, conclude il ricorso, per la determinazione dell'importo dell'indennit dovuta per l'occupazione del suolo, considerando che l'art. 43 della legge n. 1089 del 1939, dopo aver precisato che il proprietar'io dell'immobile ha diritto ad un indennizzo per i danni subiti, rinvia alla disciplina dell'art. 65 della legge 25 giugno 1865 n. 2359. Di conseguenza si rende necessaria la determinazione dell'indennit in via amministrativa, avverso la quale, in virt del successivo art. 69, diritto soggettivo con conseguente giurisdizione al riguardo dell'A.G.O.: cfr. Cass. Sez. Un., 27 gennaio 1977 n. 401 in questa Rassegna 1977, I, 408 con nota critica di E. VITALIANI. La decisione in rassegna capovolge l'impostazione data da Cass. Sez. Un. 401/1977 (secondo cui l'art. 44 L. 1089/39 costituisce tipica norma di relazione, diretta a tutelare specificatamente la posizione del privato) ed afferma, al contrario, che l'art. 44 cit. attribuisce alla pubblica amministrazione fini di pubblico interesse, sicch la situazione soggettiva che ad essa si contrappone non tutelabile come diritto soggettivo . La decisione in rassegna si mostra sensibile alle critiche gi mosse dalla dottrina (E. VITALIANI op. loco cit.) a Cass. Sez. Un. 401/1977 e si discosta da quella autorevole dottrina che condivide l'orientamento di Cass. Sez. Un., 401/ 1977 considerandolo il pi aderente sia all'origine storica dell'istituto sia alla formula incondizionata usata dagli articoli della legge n. 1089 . (ALIBRANDI- F'ERRI I beni culturali e ambientali 1985, pag. 592). (2) Viene affermata la giurisdizione dell'A.G.O. sul presupposto che, nella fattispecie, l'azione stata proposta avverso il silenzio del Ministro, silenzio che, a sensi dell'art. 2 legge 20-4-1865 n. 2248, fa sorgere il diritto di adire l'A.G.O. alla quale spetta, in surrogazione dell inerzia della P.A., di statuire sulla domanda di indennizzo, costituente una forma di risarcimento danni ed avente funzione sostitutiva dell'indennizzo, ottenibile facendo ricorso al procedimento amministrativo . La sentenza annotata da S. DI PAOLA in Foro lt, 1989, I, 1813. G. MONETA 224 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO il proprietario pu ricorrere all'autorit giudiziaria ordinaria nei modi e nelle forme previsti dall'art. 51. Sulle deduzioni cos sintetizzate, va preliminarmente considerato che la disciplina contenuta nella legge n. 1089 del 1939 sulla tutela delle cose di interesse storico ed artistio persegue il fondamentale scopo, alla luce del quale vanno lette ed interprette tutte le sue norme, di soddisfare l'interesse della collettivit alla conservazione e all'incremento del patrimonio artistico della Nazione. I poteri dello Stato hanno ovunque e da secoli avvertito l'esigenza di valorizzare cose d'arte o i reperti storici con vincoli ed interventi anche diretti, e la legge n. 1089 del 1939 costituisce l'effetto di tale aspirazione, affermatasi in modo sempre pi ampio nella societ italiana di questo ultimo secolo, sino a divenire fenomeno di rilevanza sociale, con conseguente instaurazione di una disciplina pubblicistica generaliz zata, atta a soddisfare gli interessi culturali deUa generalit e contribuire a promuovere la ricerca scientifica, beni entrambi la cui preminenza I viene riconosciuta dall'art. 9 della Costituzione, indipendentemente dalla I considerazione del valore intrinseco della cosa, in molti casi di scarsa rilevanza o addirittura del tutto mancante. I Innegabile appare l'abbandono in tale settore della tradizionale concezione privatistica della propriet, propria di una civilt superata, attualmente limitata all'acquisizione del tesoro, in virt dell'art. 932 del codice l civile. f. In nome di tale filosofia, alle amministrazioni dello Stato viene ricof: f: nosciuta una serie di poteri di intervento, spesso diretto ed immediato, al duplice scopo di salvaguardare l'integrit di determinate categorie di beni, eliminando situazioni che possano compromettere il godimento attuale o potenziale della collettivit ed imporre .ai proprietari di cose I d'arte la loro consegna allo Stato o determinati comportamenti, sanf zionando nel contempo, anche in via penale, l'inosservanza deHe regole imposte. Naturalmente l'estensione dei poteri esercitabili dalla pubblica amministrazione o il grado di tutela accordata al cittadino dipendono dalle scelte del legislatore, cui spetta di valutare la diversa rilevanza degli I interessi in gioco. Ne deriva un intreccio di rapporti nei quali i destinatari delle norme assumono a volte posizioni di diritto soggettivo, pi spesso posizioni di interesse contrapposte a poteri discrezionali esercitati con apprezzamenti di merito che possono persino esser sottratti al controllo della stessa giurisdizione amministrativa. Per quanto concerne la disciplina dei ritrovamenti e delle scoperte, l'art. 44 afferma anzitutto che le cose ritrovate, aventi interesse artistico, storico, archeologico e etnografico, appartengono allo Stato , cui in PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE tal modo viene attribuito sin dal rinvenimento un titolo originario di acquisto, in virt del quale i reperti entrano a far parte del suo patrimonio indisponibile. Al proprietario dell'immobile, aggiunge la norma, sar corrisposto dal Ministro, in danaro o mediante rilascio di una parte delle cose ritrovate, un premio che in ogni caso non pu superare il quarto del valore delle cose stesse. Nell'ipotesi di disaccordo, il premio sar invece determinato insindacabilmente e in modo irrevocabile, da una commissione composta da tre membri, da nominarsi uno dal Ministro, l'altro dal proprietario ed il terzo dal Presidente del Tribunale. Il Ministro competente dunque ha la facolt di scegliere due possibilit ed il silenzio della legge sui criteri da seguire mostra chiaramente l'intento del legislatore di affidare alla pubblica amministrazione il potere di valutare discrezionalmente la convenienza in relazione all'interesse pubblico alla conservazione del bene -situazione questa in pre senza della quale non pu che sussistere una posizione di interesse legittimo. La pubblica amministrazione in altri termini persegue fini di pubblico interesse e la situazione soggettiva che ad essa si contrappone non tutelabile come diritto soggettivo. A conforto di tale conclusione, va aggiunto che il Ministero competente, sempre in virt del disposto dell'art. 44, ha la facolt di fissare misure remunerative discrezionalmente determinabili quanto alla natra e all'entit, denominate premio, dizione legislativa questa che pur non escludendo la funzione di indennizzo per la perdita subita, costituisce anche l'espressione di un criterio di giustizia distributiva e riconoscimento nei confronti di coloro che hanno proceduto al ritrovamento o ai proprietari dei terreni, oltrech stimolo per ulteriori ri:cerche (v. in tal senso relazione 24 aprile 1939 del Ministro proponente alla Camera). Ben diversa posizione pu invece assumere il proprietario in momenti successivi ed in determinate particolari circostanze, nel corso del procedimento per la determinazione del premio, ad esempio dopo la costituzione, in caso di disaccordo con il Ministro, della commissione di tre periti, di fronte alla quale proprietario e pubblica amministrazione sono in condizione paritaria, con esclusione di qualsiasi posizione autoritativa di quest'ultima. In tali ipotesi la reazione del proprietario che insorga ritenendosi leso nei suoi interessi per una valutazione non congrua, dipendente da vizio di consenso, costituisce l'espressione di una posizione di diritto soggettivo al giusto riequilibrio, anche se in linea di principio la legge afferma che il premio viene stabilito dalla commissione in via insindacabile ed irrevocabile (v. sez. unite 27 gennaio 1977 n. 401). 228 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con il primo motivo, l'Ammini'strazione denuncia che erroneamente il pretore ha ritenuto ammissibile l'opposizione, posto che in materia di infrazioni valutarie non poteva essere seguito il procedimento di opposizione di cui alla legge n. 689 del 1981, ma doveva ricorrersi a quello ordinario. Col secondo motivo, lamenta che il pretore si sia dichiarato competente a conoscere dell'opposizione ritenendo applicabile la predetta legge del 1981, laddove nella specie doveva ritenersi esperibile la normale azionP, giudiziaria, secondo le regole ordinarie di competenza per materia e territorio. Con il terzo motivo afferma che, in ogni caso, la disciplina di cui alla legge del 1981 non sarebbe stata applicabile ad infrazioni valutarie commesse in epoca precedente alla sua entrata in vigore. Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente data la loro stretta connessione, sono fondate. Questa Corte (cfr. sent. 4 febbraio 1986 n. 684), ha gi precisato che la. disciplina della legge 24 novembre 1981 n. 689 non si applica alle infrazioni valutarie, le quali restano soggette alla disciplina di cui al r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928 e succ. mod., tal che l'opposizione al decreto ministeriale che infligge la sanzione pecuniaria deve essere proposta innanzi al giudice competente secondo le regole ordinarie. Ed invero l'art. 12 della legge n. 689 del 1981, laddove stabilisce che le norme del capo primo (riguardanti sia i principi generali sull'applicazione delle sanzioni amministrative, che le procedure di accertamento dell'infrazione e di opposizione) vanno osservate in relazione a tutte le violazioni per le quali sia prevista una sanzione amministrativa, sempre che siano applicabili e salvo che non sia diversamente stabi ( salvo che non sia diversamente stabilito il che pone la L. 1938/28 fuori della portata della L. 689/1981) nonch dell'art. 42 L. 689/1981 (la cui previsione abrogativa non investe la L. 1938/1928); bens analizzando la struttura stessa del sistema sanzionatorio di cui alla L. 1938/1928, la cui peculiarit, sia in ordine all'autorit che emette il decreto irrogativo della sanzione, sia in ordine ai caratteri del decreto medesimo, esclude la possibilit di applicazione dell'art. 22 L. 689/81. E da osservare, comunque, che la decisione in rassegna, seppure recentissima, appartiene ormai al passato in quanto il d.p.r. 29 settembre 1987 n. 454 (Disposizioni in materia valutaria, ai sensi dell'art. 1 L. 26 settembre 1986, n. 599) all'art. 31 n. 6) dispone testualmente: contro il decreto di ingiunzione al pagamento pu essere proposta opposizione davanti al pretore del luogo in cui stata commessa la violazione ovvero, quando questa stata commessa all'estero, del luogo in cui stata accertata, contro i termini previsti dall'art. 22 della legge 24 novembre 1981 n. 629. Il giudizio davanti al Pretore regolato dall'art. 23 della legge 24 novembre 1981 n. 689 . G. MONETA 228 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con il primo motivo, l'Amministrazione denuncia che erroI, r neamente il pretore ha ritenuto ammissibile l'opposizione, posto che in materia di infrazioni valutarie non poteva essere seguito il procedimento di opposizione di cui alla legge n. 689 del 1981, ma doveva ricorrersi a quello ordinario. Col secondo motivo, lamenta che il pretore si sia dichiarato competente a conoscere dell'opposizione ritenendo applicabile la predetta legge del 1981, laddove neHa specie doveva ritenersi esperibile la normale azione giudiziaria, secondo le regole ordinarie di competenza per materia. e territorio. Con il terzo motivo afferma che, in ogni caso, la disciplina di cui alla legge del 1981 non sarebbe stata applicabile ad infrazioni valutarie commesse in epoca precedente alla sua entrata in vigore. Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente data la loro stretta connessione, sono fondate. Questa Corte (cfr. sent. 4 febbraio 1986 n. 684), ha gi precisato che la. disciplina della legge 24 novembre 1981 n. 689 non si applica alle infrazioni valutarie, le quali restano soggette alla disciplina di cui al r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928 e succ. mod., tal che l'opposizione al decreto ministeriale che infligge la sanzione pecuniaria deve essere proposta innanzi al giudice competente secondo le regole ordinarie. Ed invero l'art. 12 deHa legge n. 689 del 1981, laddove stabilisce che le norme del capo primo (riguardanti sia i principi genernli sull'applicazione delle sanzioni amministrative, che le procedure di accertamento dell'infrazione e di opposizione) vanno osservate in relazione a tutte le violazioni per le quali sia prevista una sanzione amministrativa, sempre che siano applicabili e salvo che non sia diversamente stabi (salvo che non sia diversamente stabilito il che pone la L. 1938/28 fuori della portata della L. 689/1981) nonch dell'art. 42 L. 689/1981 (la cui previsione abrogativa non investe la L. 1938/1928); bens analizzando la struttura stessa del sistema sanzionatorio di cui alla L. 1938/1928, la cui peculiarit, sia in ordine all'autorit che emette il decreto irrogativo della sanzione, sia in ordine ai caratteri del decreto medesimo, esclude la possibilit di applicazione dell'art. I 22 L. 689/81. da osservare, comunque, che la decisione in rassegna, seppure recentissima, appartiene ormai al passato in quanto il d.p.r. 29 settembre 1987 .:[ffe n. 454 (Disposizioni in materia valutaria, ai sensi dell'art. 1 L. 26 settembre ~ 1986, n. 599) all'art. 31 n. 6) dispone testualmente: contro il decreto di lili ingiunzione al pagamento pu essere proposta opposizione davanti al pre-~ tore del luogo in cui stata commessa la violazione ovvero, quando questa l stata commessa all'estero, del luogo in cui stata accertata, contro i ter-W mini previsti dall'art. 22 della legge 24 novembre 1981 n. 629. Il giudizio davan-Jli ~ ti al Pretore regolato dall'art. 23 della legge 24 novembre 1981 ;::.:, I W:.02WJ&Jfu d ~=~:I:::~~f~t=~t=it~=~===~~:~~~ f:'.~ llWI~ I 9r&wm w 2 ~.:r.t{i l ':/;-:..::::..V:::::=~ . -::: .,..~~4'fr:::~::::,,IEMIZ:4mr~~xd 225 / / / J ik .ie .~a .Aza ./ma /delfa, in ~plati, .itivo . trasporto Jdi le dedella Ras i ! / .. ,. { ... ... { / ::= / I I ~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE L'art. 57 del Codice della Strada (a proposito dell'uso degli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi) stabilisce che questi possono essere destinati ai segue1:1;ti usi: 1) uso privato: a) per trasporto di persone; (omissis) e) per trasporto di persone con autoveicoli . . . da noleggiare con conducente; (omissis) 2) uso pubblico; a) per trasporto di persone o di cose in servizio da piazza; b) per trasporto di persone o di cose in servizio di linea '" Stabilisce, ancora, per quanto qui interessa, tale articolo che Previa autorizzazione deH'Ispettorato della motorizzazione civile gli autobus destinati a noleggio con conducente possono essere impiegati in via eccezionale in servizio di linea e viceversa . incontrovertibile, dunque, che il trasporto di persone con autoveicoli da noleggiare con conducente (e cio il noleggio da rimessa) costituisce uso privato e non pubblico dell'autoveicolo e, infatti, l'offerta indifferenziata al pubblico (che tipica e caratterizzante lel servizio da piazza o del servizio di linea e quindi dell'uso pubblico del veicolo) postula sempre e in ogni caso, quali ohe siano le sue modalit di estrinsecazione, una iniziativa che manca invece nel noleggio da rimessa, nel quale il trasporto viene effettuato su richiesta dello utente (Cass. pen. Sez. IV, 5 aprile 1965). N vale, per sostenere il contrario, richiamare la normativa precedente all'entrata in vigore del nuovo codice della strada, perch, anche se tale normativa non risulta espressamente abrogata dall'art. 145 del codice stesso, essa deve ritenersi implicitamente abrogata per incompatibilit, tanto pi che l'anzidetto art. 145 precisa che sono inoltre abrogate tutte le disposizioni comunque contrarie o incompatibili con le presenti norme, L'art. 58 del Codice della Strada, poi, prescrive (donde la piena legittimit del contestato comportamento dell'Ufficio della M.C.T.C. di Gorizia) che nella carta di circolazione sia indicato l'uso al quale il veicolo destinato ; uso che, per il noleggio con conducente (legislativamente qualificato come uno dei modi di uso privato degli autoveicoli), fuori dalle ipotesi eccezionali dell'autorizzazione speciale temporanea di cui al 3 comma dell'art. 57 -inconfigurabile nei riflessi di autoveicoli in genere di propriet di aziende municipalizzate o, come l'A.P.T., provincializzate, e da queste gestiti. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO E, invero, il 6 comma dell'art. 58 del Codice della Strada dispone che quando si tratti di autobus da destinare ad uso privato la carta di circolazione non pu essere ri1asciata se non ad imprenditori, collettivit e simili, per le loro necessit . Non vi chi non veda come sia ben diEficile includere nella dizione imprenditori, collettivit e simili aziende municipalizzate o provincializzate o enti pubblici in genere, perch: a) il termine imprenditori , senza altra aggiunta, designa comunemente gli imprenditori privati; b) il termine collettivit designa comunemente, organizzazioni plurisoggettive non pubbliche, come bande musicali, associazioni sportive, associazioni d'arma; c) l'espressione e simili ha sempre un carattere di riferimento analogico e residuale, in cui possono, ad esempio, farsi rientrare le organizzazioni assisteziali private, ma non una categoria specifica e cos importante come gli enti e le aziende pubbliche sopra nominate. In ogni modo, anche ammettendosi -sul presupposto di un particolarmente grave atecnicismo della disposizione in esame -che le aziende di trasporto municipalizzate e provincializzate rientrino, in qualche modo, nella previsione in argomento, resterebbe comunque insuperabile, per la tesi dell'appellata, la condizione che deve trattarsi di autobus da essere destinati all'uso privato delle aziende predette per le loro necessit e cio per le loro necessit dirette ed immediate (come potrebbe, al caso, essere il trasporto al lavoro dei loro dipendenti); necessit dirette ed immediate che, con tutta evidenza, l'appellata A.P.T. non pu concettualmente soddisfare con un autobus da noleggiare con proprio conducente ai terzi utenti che lo richiedano. Nella fattispecie, pertanto, il rifiuto dell'Ufficio Provinciale della M.C.T.C. di Gorizia del tutto conforme a legge, per cui -in riforma della impugnata sentenza -la domanda dell'A.P.T. di Gorizia (come ridotta e precisata in questa sede) deve essere del tutto disattesa. Ne consegue la condanna della stessa A.P.T. alla rifusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio, da liquidarsi -oltre alle prenotazioni a Campione -come nel dispositivo. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 agosto 1989, n. 3750 -Pres. Zucconi Galli Fonseca -Rel. Sgroi -P. G. Di Renzo -Provincia autonoma di Bolzano (avv. Guarino) c. Convitto naz. Damiano Chiesa (avv. Stato Favara). Istruzione e scuole Convitti Immobili concessi in uso per legge Diritto soggettivo Carenza di potere della P.A. di disporne a favore di altri soggetti -Giurisdizione ordinaria. PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE tal modo viene attribuito sin dal rinvenimento un titolo ongmario di acquisto, in virt del quale i reperti entrano a far parte del suo patrimonio indisponibile. Al proprietario dell'immobile, aggiunge la norma, sar corrisposto dal Ministro, in danaro o mediante rilascio di una parte delle cose ritrovate, un premio che in ogni caso non pu superare il quarto del valore delle cose stesse. Nell'ipotesi di disaccordo, il premio sar invece determinato insindacabilmente e irr modo irrevocabile, da una commissione composta da tre membri, da nominarsi uno dal Ministro, l'altro dal proprietario ed il terzo dal Presidente del Tribunale. Il Ministro competente dunque ha la facolt di scegliere due possibilit ed il silenzio della legge sui criteri da seguire mostra chiaramente l'intento del legislatore di affidare alla pubblica amministrazione il potere di valutare discrezionalmente la convenienza in relazione all'interesse pubblico alla conservazione del bene -situazione questa in pre senza della quale non pu che sussistere una posizione di interesse legittimo. La pubblica amministrazione in altri termini persegue fini di pubblico interesse e la situazione soggettiva che ad essa si contrappone non tutelabile come diritto soggettivo. A conforto di tale conclusione, va aggiunto che il Ministero competente, sempre in virt del disposto dell'art. 44, ha la facolt di fissare misure remunerative discrezionalmente determinabili quanto alla natura e all'entit, denominate premio, dizione legisiativa questa che pur non escludendo la funzione di indennizzo per la perdita subita, costituisce anche l'espressione di un criterio di giustizia distributiva e riconoscimento nei confronti di coloro che hanno proceduto al ritrovamento o ai proprietari dei terreni, oltrech stimolo per ulteriori ricerche (v. in tal senso relazione 24 aprile 1939 del Ministro proponente alla Camera). Ben diversa posizione pu invece assumere il proprietario in momenti successivi ed in determinate particolari circostanze, nel corso del procedimento per la determinazione del premio, a!d esempio dopo la costituzione, in caso di disaccordo con il Ministro, della commissione di tre periti, di fronte alla quale proprietario e pubblica amministrazione sono in condizione paritaria, con esclusione di qualsiasi posizione autoritativa di quest'ultima. In tali ipotesi la reazione del proprietario che insorga ritenendosi leso nei suoi interessi per una valutazione non congrua, dipendente da vizio di consenso, costituisce l'espressione di una posizione di diritto soggettivo al giusto riequilibrio, anche se in linea di principio la legge afferma che il premio viene stabilito dalla commissione in via insindacabile ed irrevocabile (v. sez. unite 27 gennaio 1977 n. 401). 226 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In relazione alla determinazione dell'indennizzo reclamato dagli Sciar ra per l'occupazione del loro suolo, protrattasi per l'intero anno 1980, si impongono invece considerazioni di diversa natura. L'amministrazione ricorrente invero invoca al riguardo l'applicazione dell'art. 43 della legge n. 1089, che rinvia per la determinazione dell'indennizzo alla procedura e ai criteri stabiliti dalle norme sull'occupazione temporanea contenuti nella legge sulle espropriazioni forzate 25 giugno 1865 n. 2359, in virt delle quali l'autorit giudiziaria ordinaria pu essere adita soltanto in caso di disaccordo sull'importo dell'indennit, mentre spetta al Prefetto procedere in via preliminare ai necessari accertamenti e alla liquidazione della somma dovuta, sulla base di una stima tecnica. L'affermazione indubbiamente esatta in linea di principio, ma non considera che nella specie, come emerge dall'atto di citazione, il Ministero per i beni culturali ed ambientali, bench ripetutamente sollecitato, ha mantenuto il silenzio, comportamento questo che in base ai principi generali dettati dall'art. 2 della legge sul contenzioso amministrativo 20 mrzo 1865 n. 2248 fa sorgere il diritto di adire l'autorit giudiziaria ordinaria, alla quale spetta, in surrogazione della inerzia della pubblica amministrazione, di statuire sulla dqmanda di indennizzo, costituente una forma di risarcimento per danni ed avente funzione sostitutiva dell'indennizzo, ottenibile facendo ricorso al procedimento amministrativo. N pu negarsi l'esistenza di una. posizione diritto soggettivo del proprietario, tale da conferirgli la facolt di avvalersi del disposto dell'articolo 2 detto, integrando l'occupazione temporanea il sacrificio di un diritto patrimoniale del cittadino, a ristoro del quale indiscutibilmente riconosciuta la corresponsione di un indennizzo, in conformit dei principii generali sanciti dalla Costituzione '(art. 42). Come noto, la giurisdizione va individuata sulla base della intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio, in relazione alla protezione in concreto accordata a tale posizione dall'ordinamento giuridico. Va infine sottolineato che le deduzioni del ricorso nel loro insieme tendono ad una visione unitaria dei problemi sollevati, sul rilievo che in entrambe le ipotesi si rende necessaria una preliminare determina zione amministrativa allo scopo di evitare che l'autorit giudiziaria ordi naria si sostituisca in scelte discrezionali spettanti alla pubblica ammi nistrazione in via esclusiva -argomentazione questa da disattendere considerando che anche nell'ambito di uno stesso rapporto, o comunque di rapporti strettamente connessi e conseguenziali, si verificano situa zioni diverse, in relazione alle quali sussistono differenti forme e diversi gradi ai tutela determinati dalle scelte del legislatore, con la conseguenza PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 227 che accanto alla competenza del giudice amministrativo sulle domande dirette alla tutela di posizioni di interesse legittimo, ben pu sussistere la competenza del giudice ordinario sulla domanda rivolta alla tutela di una posizione di diritto soggettivo. Non quindi difetto di giurisdizione del giudice ordinario in relazione all'indennizzo, come sostene ii Ministero ricorrente, ma riaffermazione della giurisdizione del Tribunale di Roma, correttamente adito dagli Sciarra. Per l'insieme delle considerazioni svolte, va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda relativa al premio, la giurisdizione dell'autorit giudiziaria ordinaria sulla domanda diretta al conseguimento dell'indennizzo per l'occupazione del fondo. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 marzo 1989, n. 1413 -Pres. Tilocca - Rel. Vignale -P. M. Lo Cascio -Ministero del Tesoro (Avv. Stato De Figueiredo) c. Magnani (avv. Zaccaria). Valuta -Infrazioni valutarie -Opposizione a decreto ministeriale . giudice competente. (r.d.l. 5 dicembre 1988 n. 1928. L. 24 novembre 19,81 n. 689 artt. 12, 14, 17, 18). Il decreto irrogativo della sanzione pecuniaria in materia valutaria privo dei caratteri propri dell'ordinanza-ingiunzione, opponibile a norma dell'art. 22 della legge 689/81, provenendo non da un'autorit amministrativa periferica locale, ma direttamente 'dal Ministro del Tesoro e, a differenza dell'ordinanza ingiunzione anche carente di efficacia esecutiva giacch, nel caso di infrazione valutaria, tale efficacia attribuita solo all'ordine emesso dall'Intendente di Finanza a norma del T.U. 14 otto bre 1910 n. 639 (1). (1) Gi la Cass. 4 febbraio 1986 n. 684 yoro it. 1986, I, 1315) si era pronun ciata per l'inapplicabilit della L. 24 novembre 1989 n. 689 alle infrazioni valutarie, con la conseguenza che l'opposizione al decreto ministeriale che infligge la sanzione pecuniaria deve essere proposta al giudice competente secondo le regole ordinarie. Contra Pret. Roma 28 novembre 1984 (Foro It. 1986, I, 581). In dottrina ne1lo stesso senso della giurisprudenza della Cassazione cfr. GUERRIERI La giurisdizione sull'irrogazione di sanzioni in materia valutaria in Temi Romana 1983, 55 P; DI STEFANO, Lineamenti del sistema valutario italiano 1982, [, 791 11; CAPRIGLIONE -MEZZACAPO Il sistema valutario Italiano 1981 Il, 970 ss. Sulla inapplicabilit della L. 689/1981 alle infrazioni finanziarie cfr. Cass. Sez. Un. 12 febbraio 1988 n. 1496 Foro It. 1988, I, 2981 e Giust. civ. 1988, I, 2335. La Cass. 1413/1989, in rassegna, motiva pi compiutamente, rispetto a Cass. 684/1986, sulla inapplicabilit in materia valutaria della L. 689/1981, argomentando non solo in base al riferimento testuale di cui all'art. 12 L. 689/1981 228 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) Con il primo motivo, l'Ammini:strazione denuncia che erroneamente il pretore ha ritenuto ammissibile l'opposizione, posto che in materia di infrazioni valutarie non poteva essere seguito il procedimento di opposizione di cui alla legge n. 689 del 1981, ma doveva ricorrersi a quello ordinario. Col secondo motivo, lamenta che il pretore si sia dichiarato competente a conoscere dell'opposizione ritenendo applicabile la predetta legge del 1981, laddove nella specie doveva ritenersi esperibile la normale azione giudiziaria, secondo le regole ordinarie di competenza per materia e territorio. Con il terzo motivo afferma che, in ogni caso, la disciplina di cui alla legge del 1981 non sarebbe stata applicabile ad infrazioni valutarie commesse in epoca precedente alla sua entrata in vigore. Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente data la loro stretta connessione, sono fondate. Questa Corte (cfr. sent. 4 febbraio 1986 n. 684), ha gi precisato che la. disciplina della legge 24 novembre 1981 n. 689 non si applica alle infrazioni valutarie, le quali restano soggette alla disciplina di cui al r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928 e succ. mod., tal che l'opposizione al decreto ministeriale che infligge la sanzione pecuniaria deve essere proposta innanzi al giudice competente secondo le regole ordinarie. Ed invero l'art. 12 del:la legge n. 689 del 1981, laddove stabilisce che k norme del capo primo (riguardanti sia i principi generali sull'applicazione delle sanzioni amministrative, che le procedure di accertamento dell'infrazione e di opposizione) vanno osservate in relazione a tutte le violazioni per le quali sia prevista una sanzione amministrativa, sempre che siano applicabili e salvo che non sia diversamente stabi ( salvo che non sia diversamente stabilito il che pone la L. 1938/28 fuori della portata della L. 689/1981) nonch dell'art. 42 L. 689/1981 (la cui previsione abrogativa non investe la L. 1938/1928); bens analizzando la struttura stessa del sistema sanzionatorio di cui alla L. 1938/1928, la cui peculiarit, sia in ordine all'autorit che emette il decreto irrogativo della sanzione, sia in ordine ai caratteri del decreto medesimo, esclude la possibilit di applicazione dell'art. 22 L. 689/81. da osservare, comunque, che la decisione in rassegna, seppure recentissima, appartiene ormai al passato in quanto il d.p.r. 29 settembre 1987 n. 454 (Disposizioni in materia valutaria, ai sensi dell'art. 1 L. 26 settembre 1986, n. 599) all'art. 31 n. 6) dispone testualmente: contro il decreto di ingiunzione al pagamento pu essere proposta opposizione davanti al pretore del luogo in cui stata commessa la violazione ovvero, quando questa stata commessa all'estero, del luogo in cui stata accertata, contro i termini previsti dall'art. 22 della legge 24 novembre 1981 n. 629. Il giudizio davanti al Pretore regolato dall'art. 23 della legge 24 novembre 1981 n. 689 . G. MONETA PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 229 lito , deve interpretarsi nel senso che il limite all'applicazione della nuova disciplina dato dalla preesistenza di altra normativa che regoli taluno dei predetti procedimenti in maniera talmente difforme, da rivelarsi incompatibile con la normativa sopravvenuta (cos come per le violazioni finanziarie, espressamente sottratte alla disdplina della legge dal successivo art. 39). Tale interpretazione - stato, altres, affermato -non urta contro i~ disposto dell'art. 42 della stessa legge n. 689 del 1981 (il quale dispone espressamente l'abrogazione di alcune specifiche leggi in materia di depenalizzazione e poi, genericamente, quella di ogni altra legge incompatibile) giacch dal contesto di tale norma agevole argomentare che questa formula finale di chiusura si riferisce solo ad altre leggi che, analogamente a quelle elencate, depenalizzarono illeciti originariamente previsti come reato o provvidero, successivamente, a disciplinare gli illeciti amministrativi. Nella specie, l'applicabilit della normativa di cui alla legge n. 689 del 1981 deve escludersi in considerazione del fatto che il procedimento di formazione del decreto irrogativo della sanzione pecuniaria in materia valutaria affatto diverso da quello di cui agli artt. 14 e segg. della predetta legge n. 689 e, in particolare, con esso incompatibile la normativa di cui agli artt. 17 e 18. Infatti, per tale ultima legge, la determinazione della sanzione, presuppone l'invio (da parte dell'accertatore della violazione) di un rapporto o all'ufficio periferico cui sono demandati attribuzioni e compiti del Ministro nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione o, in mancanza, al prefetto (art. 17). Orbene, secondo il r.d.l. 5 dicembre 1938 n. 1928 (Norme per la repressione delle violazioni valutarie), la determinazione della sanzione eseguita dal Ministro del tesoro, previa audizione della commissione consultiva per le infrazioni valutarie, e non esisteva originariamente un'autorit periferica di tale ministero, competente per i suddetti illeciti, n stata istituita successivamente dalle norme di cui al d.P.R. n. 571 del 1982 (di attuazione della legge n. 689 del 1981). D'altro canto, come stato esattamente osservato, la particolare procedura di determinazione della sanzione -che prevede il parere obbligatorio di un'autorit centrale, quale la c.ommissione predetta -neppure consente di ipotizzare una competenza residuale dei prefetto. Il decreto irrogativo della sanzione pecuniaria in materia valutaria , pertanto, privo dei caratteri propri dell'ordinanza ingiunzione, opponibile a norma dell'art. 22 della legge n. 689 del 1981, in quanto proviene non da un'autorit amministrativa periferica locale, ma direttamente dal Ministro del Tesoro e, a differenza dell'ordinanza-ingiunzione, anche carente di efficacia esecutiva giacch, nel caso di infrazione valutaria, tale efficacia attribuita solo all'ordine emesso dall'Intendente di Finanza a norma del t.u. 14 aprile 1910 n. 639 (art. 7 del r.d.l. n. 1928 del 1938). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 230 Conseguentemente, l'interessato, al fine di ottenere la declaratoria di illegittimit del provvedimento, avrebbe dovuto far ricorso non gi alla normativa di cui alla legge n. 689 del 1981, che prevede la competenza per materia del pretore, bens instaurare il procedimento davanti al giudice competente secondo le regole ordjna:de. In accoglimento del ricrso, deve dichiararsi, quindi, la nullit del procedimento svoltosi innanzi al pretore di Roma, la cui pronuncia va cassata senza rinvio, a norma dell'art. 382 cod. proc. civ. CORTE D'APPELLO DI TRIESTE, Sez. Il, 8 aprile 1989, n. 122 -Pres. rel. Ambrosi -Ministero dei Trasporti (avv. Stato Scotti) c. Azienda Provinciale Trasporti Gorizia (avv. Verbari). Circolazione stradale -Immatricolazione di autoveicoli per servizi di noleggio con conducente. Enti locali Non hanno diritto alla immatricolazione. E legittimo il rifiuto del Ministero dei Trasporti ad immatricolare autoveicoli di propriet di enti locali e loro aziende da destinare a noJ leggio con conducente (1). Va ribadito anzitutto che l'eccezione di difetto di giurisdizione dell'A. G.O., riproposta genericamente in questa sede dall'Arrlministrazione appellante, infondata. Sull'argomento si , come ricordato dal Tribunale, pronunciata la Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza 11 aprile 1981 n. 2113, in cui si afferma che sussiste nella materia in esame la giurisdizione del giudice ordinario, essendo il rilascio della carta di circolazione riconducibile tra le abilitazioni amministrative, implicanti una valutazione soltanto tecnica della pubblica amministrazione circa la ricorrenza di determinati requisiti senza alcun potere discrezionale della medesima e previsto da norma che non tende ad assicurare la conformit dell'azione amministrativa all'interesse pubblico, bens mira alla tutela, in via immediata e specifica, dell'interesse dei soggetti in essa contemplati, il quale, pertanto, ha consistenza di vero e proprio diritto soggettivo. Nel merito, l'appello fondato. (1) Sulla possibilit per gli locali di destinare autoveicoli al trasporto di persone per esigenze che esulano dai loro fini istituzionali, vedi le decisioni del Consiglio di Stato riportate in questo stesso fascicolo della Rassegna. PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE L'art. 57 del Codice della Strada (a proposito dell'uso degli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi) stabilisce che questi possono essere destinati ai segue~ti usi: 1) uso privato: a) per trasporto di persone; (omissis) e) per trasporto di persone con autoveicoli ... da noleggiare con conducente; (omissis) 2) uso pubblico; a) per trasporto di persone o di cose in servizio da piazza; b) per trasporto di persone o di cose in servizio di linea . Stabilisce, ancora, per quanto qui interessa, tale articolo che Previa autorizzazione dell'Ispettorato della motorizzazione civile gli autobus destinati a noleggio con conducente possono essere impiegati in via ecce zionale in servizio di linea e viceversa . incontrovertibile, dunque, che il trasporto di persone con autoveicoli da, noleggiare con conducente (e cio il noleggio da rimessa) costituisce uso privato e non pubblico dell'autoveicolo e, infatti, l'offerta indif ferenziata al pubblico (che tipica e caratterizzante ael servizio da piazza o del servizio di linea e quindi dell'uso pubblico del veicolo) postula sempre e in ogni caso, quali ohe siano le sue modalit di estrinsecazione, una iniziativa che manca invece nel noleggio da rimessa, nel quale il trasporto viene effettuato su richiesta dello utente (Cass. pen. Sez. IV, 5 aprile 1965). N vale, per sostenere il contrario, richiamare la normativa precedente all'entrata in vigore del nuovo codice della strada, perch, anche se tale normativa non risulta espressamente abrogata dall'art. 145 del codice stesso, essa deve ritenersi implicitamente abrogata per incompatibilit, tanto pi che l'anzidetto art. 145 precisa, che sono inoltre abrogate tutte le disposizioni comunque contrarie o incompatibili con le presenti norme, L'art. 58 del Codice della Strada, poi, prescrive (donde la piena legittimit del contestato comportamento dell'Ufficio della M.C.T.C. di Gorizia) che nella carta di circolazione sia indicato l'uso al quale il veicolo destinato ; uso che, per il noleggio con conducente (legislativamente qualificato come uno dei modi di uso privato degli autoveicoli), fuori dalle ipotesi eccezionali dell'autorizzazione speciale temporanea di cui al 3 comma dell'art. 57 -inconfigurabile nei riflessi di autoveicoli in genere di propriet di aziende municipalizzate o, come l'A.P.T., provincializzate, e da queste gestiti. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 232 E, invero, il 6 comma dell'art. 58 del Codice della Strada dispone che quando si tratti di autobus da destinare ad uso privato la carta di circolazione non pu essere rilasciata se non ad imprenditori, collettivit e simili, per le loro necessit . Non vi chi non veda come sia ben difficile includere nella dizione imprenditori, collettivit e simili aziende municipalizzate o provincializzate o enti pubblici in genere, perch: a) il term~ne imprenditori, senza altra aggiunta, designa comunemente gli imprenditori privati; b) il termine collettivit designa comunemente, organizzazioni plurisoggettive non pubbliche, come bande musicali, associazioni sportive, associazioni d'arma; c) l'espressione e simili ha sempre un carattere di riferimento analogico e residuale, in cui possono, ad esempio, farsi rientrare le organizzazioni assisteziali private, ma non una categoria specifica e cos importante come gli enti e le aziende pubbliche sopra nominate. In ogni modo, anche ammettendosi -sul presupposto di un particolarmente grave atecnicismo della disposizione in esame -che le aziende di trasporto municipalizzate e provincializzate rientrino, in qualche modo, nella previsione in argomento, resterebbe comunque insuperabile, per la tesi dell'appellata, la condizione che deve trattarsi di autobus da essere destinati all'uso privato delle aziende predette per le loro necessit e cio per le loro necessit dirette ed immediate (come potrebbe, al caso, essere il trasporto al lavoro dei loro dipendenti); necessit dirette ed immediate che, con tutta evidenza, l'appellata A.P.T. non pu concettualmente soddisfare con un autobus da noleggiare con proprio conducente ai terzi utenti che lo richiedano. Nella fattispecie, pertanto, il rifiuto dell'Ufficio Provinciale della M.C.T.C. di Gorizia del tutto conforme a legge, per cui -in riforma della impugnata sentenza -la domanda dell'A.P.T. di Gorizia (come ridotta e precisata in questa sede) deve essere del tutto disattesa. Ne consegue la condanna della stessa A.P.T. alla rifusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio, da liquidarsi -oltre alle prenotazioni a Campione -come nel dispositivo. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 agosto 1989, n. 3750 -Pres. Zucconi Galli Fonseca -Rel. Sgroi -P. G. Di Renzo -Provincia autonoma di Bolzano (avv. Guarino) c. Convitto naz. Damiano Chiesa (avv. Stato Favara). Istruzione e scuole Convitti Immobili concessi in uso per legge Diritto soggettivo Carenza di potere della PA. di disporne a favore di altri soggetti Giurisdizione ordinaria. PARIB I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 233 Istruzione e scuole -Atti di controllo -Scuole di lingua italiana in provincia di Bolzano -Competenza del Sovrintendente scolastico. L'art. 27 della legge 24 luglio 1962, n. 1073, secondo cui ad pgni Convitto concesso il gratuito e perpetuo uso degli immobili dello Stato posti a servizio degli istituti medesimi, configura una posizione soggettiva dell'assegnatario come di diritto soggettivo, che trova la sua fonte non in una concessione amministrativa, bens nella legge; a fronte del suddetto diritto soggettivo non sussiste alcun potere di disporre nell'interesse pubblico concedendo lo stesso bene in uso ad altro soggetto, con la conseguenza che il relativo atto amministrativo deve ritenersi adottato in carenza di potere ed il Convitto deve adire l'Autorit giudiziaria ordinaria a tutela del diritto di uso che assume esser stato leso. La competenza ad emanare gli atti di controllo, ai sensi dell'articolo unico della legge 21 luglio 1967, n. 647 (che nelle altre province d'Italia spetta al Provveditore agli studi), nella provincia di Bolzano spetta al Sovrintendente scolastico, il quale competente per l'amministrazione della scuola in lingua italiana di quella provincia, ai sensi dell'art. 19, quarto comma, dello Statuto. {omissis) I ricorsi devono essere riuniti, ex art. 335 c.p.c. Col primo motivo del ricorso principale la Provincia di Bolzano denuncia la vi.olazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9, 16 e 68 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670, dei D.P.R. 20 gennaio 1973 n. 115, 1 novembre 1973 n. 687, art. 5, 20 gennaio 1973 n. 116 artt. 1 e ss., eccependo il difetto di giurisdizione ed osservando che gli artt. l, 1 comma e 2 comma del d.P.R. n. 116/73 hanno tr~sferito alla Provincia di Bolzano tutte le attribuzioni spettanti all'Amministrazione dello Stato in ordine agli Istituti di istruzione elementare e secondaria operanti nel territorio della Provincia; analogamente stato disposto dall'art. 4 d.P.R. 1 novembre 1983 n. 687, per le attribuzioni gi esercitate dallo Stato in materia di edilizia scolastica. La Provincia di Bolzano ha la piena autorit delle funzioni amimnistrative (oltre che legislative) in ordine al Convitto Damiano Chiesa, nonch in ordine agli immobili di cui causa e ad essa spetta di valutare discrezionalmente le esigenze edilizie del Convitto in relazione ai' suoi compiti istituzionali e provvedere . di conseguenza. La Provincia (sulla base della verifica delle esigenze obiettive del Convitto) aveva ritenuto maggiormente confacente all'interesse pubblico concedere il bene alla Croce Bianca, valutando nella sua piena discrezionalit amministrativa quale fosse l'uso pi conveniente di un bene di sua propriet. Il conflitto attiene all'esercizio di una potest amministrativa ed esula pertanto dalla giurisdizione del G.O. Il suddetto difetto di giurisdizione non verrebbe meno, neppure ritenendo applicabile l'art. 27 legge n. 1073/62, 234 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO perch era comunque al giudice amministrativo che il Convitto si sarebbe dovuto rivolgere per contestare la legittimit dell'atto ammini!strativo della Provincia. Il motivo infondato. Non dubbio che la Provincia di Bolzano sia titolare di potere amministrativo nella materia che attinente a questa causa, ma il vero problema cli essa (sotto il profilo della giurisdizione) non consiste in detta attribuzione di competenza in via generica, ma -invece -nella ricerca se essa sia munita di un potere con riguardo al diritto fatto valere in giudizio dal convitto, con la necessaria conseguenza che, se l'illegittimit dell'atto amministrativo di destinazione del bene ad altro soggetto attenesse soltanto alle modalit di eseI'Cizio di un potere esistente, sarebbe indubbia la giurisdizione del giudice amministrativo. Pertanto, l'indagine va distinta sotto i due profili. I) Sotto il primo profilo, la competenza amministrativa della Provincia di Bolzano nei confronti del Convitto Damiano Chiesa e del bene di cui causa fondata sulle seguenti norme dello Statuto del Trentino Alto Adige: a) I Convitti Nazionali svolgono funzioni nel campo dell'assistenza scolastica (come stata definita dall'art. 42 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616) almeno in tema di conferimento di posti gratuiti di studio in qualit di convittori o semiconvittore. L'art. 42, citato, nella sua portata definitoria stato esteso alla Provincia di Bolzano con l'art. 9 d.P.R. 19 novembre 1987 n. 526, e, quindi, per quanto riguarda la materia dell'assistenza scolastica, la Provincia di Bolzano ha le funzioni amministrative basate sull'art. 8 numero 27 e sull'art. 16 dello Statuto di cui al T.U. 31 agosto 1972 n. 670 (cfr., per maggiori dettagli, la sentenza della Corte costituzionale 14 luglio 1988 n. 797). b) Ammesiso che la suddetta competenza amministrativa della Provincia sia basata su un testo (il D.P.R. n. 526 del 1987) che sopravvenuto rispetto al provvedimento amministrativo di destinazione del bene di cui si tratta (che dell'ottobre 1979), tuttavia (a prescindere da ogni approfondimento del problema, che pu restare impregiudicato, ai fini di causa) gi allora sussistevano competenze amministrative della Provincia in base all'art. 9 n. 2 ed all'art. 16 dello Statuto speciale, perch non pu essere posto in dubbio che i Convitti Nazionali sono anche istituti di istruzione elementare e secondaria, in base all'art. 139 del r.d. 6 maggio 1923 n. 1054 e successive modifiche (fra cui il dJ. 16 aprile 1948 n. 576, a norma del quale le Scuole elementari di Stato annesse ai Convitti nazionali sono amministrate dai Provveditori agli Studi) ed alla legge 9 marzo 1967 n. 150, sull'ordinamento delle scuole interne dei convitti nazionali; scuole fra cui compresa in ogni caso quella media (a cui possono accedere anche alunni esterni) e pu essere compreso ogni altro istituto secondario superiore di PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 235 qualsiasi tipo (a titolo di mero esempio, si citi da ultimo la legge 24 giugno 1988 n. 251, sull'istruzione tecnica e professionale). c) Inoltre, il bene di cui si tratta appartiene all'edilizia scolastica (art. 27 legge 24 lugHo 1962 n. 1073, che compreso nel titolo I, il quale regola la materia dell'edilizia scolastica), e cio ad una materia attribuita alla competenza amministrativa della P~ovincia, ai sensi dell'art. 16 e dell'art. 8 numero 28 dello Statuto speciale. Il fondamento statutario di tali competenze non risolve, per il problema. Ogni competenza amministrativa trova il limite della legge; quando, di fronte ad essa, la legge attribuisce ad un soggetto (che pu essere privato o pubblico e cio, come nella specie, un istituto pubblico con piena personalit giuridica ex art. 119 r.d. 6 maggio 1923 n. 1054) un diritto sog gettivo pieno, occorre verificare se la legge concede all'amministrazione il potere di affievolire detto diritto, degradandolo ad interesse legittimo; ovvero se detta attribuzione di potere non sussiste. Nel primo caso la posizione del soggetto tutelabile dinanzi al giudice amministrativo; nel secondo, dinanzi al G.O. (ad ultimo, Sez. Un. 21 gennaio 1988, n. 429; Sez. Un. 2 dicembre 1987, n. 8960; id. 3 giugno 1985, n. 3283; id. 21 febbraio 1987 n. 1874, fra le altre conf.). Viene in rilievo, pertanto, il secondo profilo, il quale deve essere esaminato secondo l'ordinamento in concreto {e non secondo la prospettazione della parte), ma tuttavia a prescindere dagli aspetti che attengono alla fondatezza della domanda {art. 386 c.p.c.), quali sono -nella specie -quelli attinenti all'effettiva destinazione al servizio del Convitto D. Chiesa dell'immobile di cui causa e quelli relativi 'all'epoca di tale destinazione, ex art. 27 legge 24 luglio 1962 n. 1073. Invero {a prescindere dal riferimento al giudicato, con riguardo al quale la Provincia ricorrente non solleva censure inerenti alla giuri sdizione) la domanda del Convitto era basata sul 1diritto gratuito e perpetuo d~uso attribuitogli dall'art. 27 citato, e cio su una norma che -per il suo tenore letterale -{Ad ogni Convitto ... concesso il gratuito e perpetuo uso degli immobili dello Stato posti a servizio degli istituti medesimi, qualunque sia all'epoca in cui l'assegnazione stata realizzata) giustifica la configurazione della posizione soggettiva dell'assegnatario come di diritto soggetivo, non sorgente da una concessione amministrativa effettuata con provvedimento ~con conseguente giurisdizione esclusiva ex art. 5 comma 1 legge 6 dicembre 1971 n. 1034, profilo che infatti non invocato dalla ricorrente), ma da un'attribuzione diretta della legge. A fronte del suddeto diritto soggettivo non sussiste alcun potere (conferito all'Amministrazione dalla legge) di disporne nell'interesse pub blico, in modo tale da sopprimere il diritto stesso, e cio concedendo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 236 lo stesso bene in uso ad altro soggetto. g evidente che, se tale potere (come si accenna nel ricorso) dovesse collegarsi soltanto al diritto di propriet spettante alla Provincia, l'esercizio del diritto fino all'estinzione del diritto altrui sul bene riguarderebbe un rapporto coinvolgente diritti soggettivi (ai sensi degli articoli 1021-1026 e.e.). Se invece dovesse collegarsi anche ad un potere amministrativo di incisione sul diritto altrui, nell'ambito dell'utilizzazione della propriet del bene per finalit apprezzate dalla P. A. (poich il provvedimento non presentato -n comunque si atteggia, per la sua natura oggettiva -come un alto d espropriazione o di requisizione, mancando la previsione di un indennizzo, ma come un atto concessorio a favore di un tei:zo soggetto) soltanto in base alla legge potrebbe sussistere detto potere in capo alla Pubblica Amministrazione proprietaria. La legge n. 1073 del 1962, art. 27, non 'conferisce tale potere di sostituire al titolare del diritto di uso gratuito e perpetuo un altro . concessionario, per cui l'atto stato adottato dalla P.A. in carenza di potere e la cognizione dei suoi effetti '(illeciti) nella sfera dei diritti patrimoniali altrui appartiene all'A.G.O. Il problema si sposta, pertanto, alla soluzione del quesito se la Provincia di Bolzano, nell'ambito dei suoi gi descritti poteri amministrativi (di quelli legislativi, indubbiamente sussistenti, non si discute ovviamente in causa) incontrava il limite del rispetto del pieno diritto soggettivo dell'Istituzione amministrata in forza della legge citata. In base all'art. 105 dello Statuto nelle materie attribuite alla competenza della provincia, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi provinciali, si applicano le leggi dello Stato . Gi questa disposizione, di rango superiore perch norma costituzionale, dovrebbe far ritenere risolto in radice il problema, perch non esiste una legge 1(regionale o) provinciale che abbia abrogato esplicitamente o implicitamente l'art. 27 pi volte citato. L'indagine si deve estendere alle norme di attuazione, perch -supponendo che in base ad esse si possa ritenere quell'abrogazione -si aprirebbe soltanto il diverso problema del rapporto della norma di attuazione con l'art. 105 dello Statuto. Nelle difese della Provincia, si afferma che l'art. 27 della I. n. 1073 del 1962 non riohiamato dal d.p.r. n. 687 del 1973, che reca le norme di attuazione dello Statuto in materia di assistenza ed edilizia scolastica. L'argomento non ha pregio, stante la vasta portata dell'art. 5 del suddetto D.P.R., a norma del quale sono esercitate dalle provincie di Trento e di Bolzano pe!' il rispettivo territorio le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato in materia di edilizia scolastica, per cui vi una perfetta identit fra le attribuzioni precedenti dello Stato e quelle assegnate alle Provincie i(in base alle leggi vigepti ex art. 105 PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE Statuto). La 'Circostanza che l'art. 6 richiami solo la legge 28 luglio 1967 n. 641, da un canto si spiega perch il richiamo riguarda la continuazione dell'applicazione della detta legge per l'attuazione di un programma che era all'epoca ancora in corso, e dall'altro canto irrilevante perch la legge n. 641 ha abrogato soltanto le norme precedenti incompatibili con essa (art. 60) e l'art. 27 della legge n. 1073 del 1962 non incompatibile, perch concerne una materia che non regolata affatto dalla legge del 1967. D'altra parte, il D.P.R. 20 gennaio 1973 n. 115, che riguarda all'art. 8 lettera g) il trasferimento alla Provincia di Bolzano dei beni dello Stato attinenti all'edilizia scolastica dispone all'ultimo comma dello stesso art. 8 l'applicazione dell'art. 7, a norma del quale il trasferimento dei beni, con tutti gli oneri e pesi inerenti, ha luogo nello_ stato di fatto e di diritto in cui essi si trovano... . Se il bene dello Stato, alla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 115, era -secondo l'assunto dell'attore, salva la verifica di merito sulla fondatezza di esso -oggetto di un diritto in forza di una legge del 1962, il medesimo diritto stato mantenuto, a favore del terzo, all'atto del trasferimento del bene dallo Stato alla Provincia, attuato nel 1973. Concludendo, eliminando la parte della motivazione della sentenza impugnata che non conforme al diritto r(e cio quella riassunta in narrativa sub c) n. 1. si deve mantenere fermo il dispositivo (art. 384 c.p.c.) di affermazione della giurisdizione, in quanto conforme al diritto. Con il secondo motivo la Provincia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 9, 16 e 19, 4 comma D.P.R. 3 gennaio 1972 n. 670, degli artt. 1 e ss. e 23 d.P.R. 20 gennaio 1973 n. 116; nonch degli articoli 19 lett. g) r,d. 1 settembre 1925 . 2009 e dell'art. unico legge 21 luglio 1967 n. 647, denunciando il difetto della legittimazione a stare in giudizio del Convitto, in quanto la delibera del Consiglio di Amministrazione riguardante l'azione in giudizio non stata approvata dall'Autorit tutoria competente, e cio dalla Giunta provinciale, bens dal Sovraintendente scolastico di Bolzano, ritenuto competente dalla Corte di Trento. Il d.P.R. n. 1116 del 1973 {artt. 1 e 2) ha disposto il trasferimento alla Provincia delle fonzioni gi proprie delle Amministrazioni dello Stato anche in ordine ai convitti nazionali, tra cui quelle dell'art. unico legge 21 luglio 1967 n .. 647 e pertanto spettano alla Provincia le attribuzioni che erano prima riconosciute ai Provveditori agli Studi, in quanto le attribuzioni del Sovraintendente Scolastico per la Provincia di Bolzano (organo statale) riguardano alcune specifiche competenze, in deroga alla competenza generale dell'Amministrazione provinciale e precisamente quelle relative alle scuole e cio all'esercizio della funzione di insegnamento. Esulano dalle attribuzioni del Sovraintendente secondo il ricorrente -quelle relative alla gestione patrimoniale di un ente pub 238 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO blico, perch esse seguono la regola generale degli artt. 1 e 2 d.P.R. n. 116 -del 1973. Il motivo infondato. Esso deve essere esaminato sulla base della premessa -gi posta supra -della competenza della Provincia di Bolzano in ordine all'lsti tuto ed alla materia che oggetto della causa, per cui devono essere corrette le contrarie affermazioni della Corte d'appello. Deve essere confermata, per, la onclusione a cui pervenuta la sentenza impugnata, e che cio la competenza ad emanare l'atto di controll9 della delibera dell'Istituto, previsto dall'art. unico della legge 21 luglio 1967 n. 647 {che nelle altre Province d'Italia spetta al Provveditore agli Studi) nella Provincia di Bolzano spetta al Sovraintendente scolastico, il quale competente per l'amministrazione della scuola in lingua italiana di quella Provincia, ai sensi dell'art. 19 quarto comma dello Statuto. Le norme di attuazione di questa parte dello Statuto (d.P.R. 20 gennaio 1973 n. 115 e 4 dicembre 1981 n. 761 e t.u. approvato con d.P.R. 10 febbraio 1983 n. 89) contengono l'affermazione di principio (art. 1 primo comma) che le attribuzioni dell'Amministrazione dello Stato in materia di scuola materna e di istruzione elementare e secondaria... esercitate sia direttamente dagli organi centrali e periferici dello Stato sia per il tramite di enti ed istituti pubblici a carattere nazionale o pluriregionale sono esercitate dalla Provincia di Bolzano, ai sensi e nei limiti di cui all'art. 16 dello Statuto e con l'osservanza delle norme del presente decreto. Non si pu porre, pertanto, quel rapporto fra norma generale e norma speciale o derogatoria che vuole istituire la ricorrente, raffrontando l'art. 1 (e 2) da un lato e l'art. 23 dall'altro, posto che, al contrario, lo stesso art. 1 che rinvia agli articoli seguenti per l'individuazione della concreta disciplina applicabile, caso per caso. La suddetta disciplina non pu essere quella dell'art. 2 comma 1 (che riguarda il Consorzio per l'istruzione tecnica) e neppure quella del secondo comma dell'art. 2 {iche riguarda gli enti, istituzioni ed organizzazioni locali operanti nella materia di cui all'art. 1) perch la norma non si attaglia ai Convitti nazionali, che non sono organismi locali, ma enti strumentali per l'esercizio delle Scuole elementari e secondarie che sono istituite nel loro seno {secondo lo stesso assunto della ricor rente) e pertanto, per far' funzionare le scuole definite espressamente di carattere statale dall'art. 3 comma 1. L'unica norma che riguarda la vigilanza e tutela sui Convitti quella dell'art. 23 (ora art. 22 del testo un~co del 1983 n. 89): Il sovra intendente scolastico esercita relativamente alle scuole materne, agli istituti e scuole d'istruzione elementare e secondaria in lingua italiana le stesse attribuzioni che, a norma delle vigenti disposizioni, spettano ai PARTE I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 239 Provveditori agli studi { da notare 1a distinzione fra istituti e scuole: nella prima categoria possono comprendersi i Convitti, che sono enti morali). La norma chiarissima nell'attribuire al Sovraintendente, per le Scuole in lingua italiana, le medesjme funzioni che le vigenti disposizioni conferiscono al Provveditore agli studi, fra cui quella di cui alla legge n. 647 del 1967. Nessuno dei due argomenti contrari della ricorrente pu accogliersi. Il primo che l'art. 23 riguarderebbe solo le scuole e cio l'esercizio delle funzioni di insegnamento e non la gestione patrimoniale dell'Istituto. L'assunto, oltre ad essere contrario alla lettera della norma (che non distingue fra gli aspetti didattici e quelli di altro tipo, compresi quelli patrimoniali) contrario a tutto l'art. 23 che al sesto comma riguarda il potere di vigilanza di cui al precedente comma e lo definisce come comprendente il controllo sull'attivit didattica ed amministrativa delle scuole in lingua tedesca e ladina. Invero, il quinto, sesto e settimo comma dell'art. '23 riguardano i poteri del Sovraintendente nei confronti delle Scuole in lingua tedesca e ladina, che sono molto pi limitati di quelli nei confronti delle scuole in lingua italiana, sia perch sono poteri soltanto di vigilanza e non di tutela di merito, sia perch sono esclusi il potere di annullamento e quello di direttiva. Ebbene, se il sesto comma estende tale potere anche all'attivit amministrativa (in un contesto normativo limitativo dei poteri, quale quello che riguarda le scuole in lingua tedesca e ladina) a maggior ragione con riguardo al primo comma, nel quale non esistono limitazioni espresse di poteri, il richiamo alle leggi vigenti (ex art. 105 Statuto, si tratta delle leggi statali, fino a che non verranno sostituite da quelle provinciali) non pu riguardare che tutte le attribuzioni gi del Provveditore, concernenti sia l'attivit didattica, sia quella amministrativa, a cui si riferisce palesemente la legge n. 647 del 1967. L'altra obiezione che, poich l'azione giudiziale riguarda l'edilizia scolastica, dovrebbe applicarsi l'art. 5 d.P.R. 1 novembre 1973 n. 687, che conferisce le attribuzioni in merito alle Provincie. In effetti, le leggi statali non prevedono competenze dei Prov.veditori in materia di edilizia scolastica, perch esse sono distribuite fra il Ministero LL.PP., il Ministero della P. I. ed i Sovraintendenti preposti agli Uffici scolastici regionali (art. 3 legge 28 luglio 1967 n. 641, che fa salve le competenze regionali), ed i comitati di cui agli artt. 4 e ss. legge n. 641 del 1967. La risposta a tale obiezione sta nel rilievo che la legislazione sull'edilizia riguarda l'oggetto del giudizio, non l'aspetto che si sta esaminando e cio l'atto di controllo ed approvazione della delibera di stare in giudizio che riguarda l'intgrazione della capacit processuale dell'Ente e cio la sua soggettivit, che non ha niente a che vedere con RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 240 l'oggetto del giudizio. L'autorit competente non pu essere identificata con riguardo alle norme che riguardano l'oggetto del giudizio, ma con riferimento a quelle concernenti l'organizzazione e la soggettivit dell'ENTE. Come i giudizi in materia di edilizia scolastica che possono interessare i Comuni della Repubblica saranno autorizzati dai consueti vrgani di controllo del Comune, cos nel presente caso l'autorizzazione al giudizio non di competenza dell'orga110 attributario delle funzioni in materia di edilizia scolastica (La Provincia), ma dell'autorit che sull'Ente (Convitto) esercita la vigilanza e tutela, ex art. 23 primo comma d.P.R. n, 116 del 1973 {ora, primo comma art. 22 d.P.R. n. 89 del 1983) ai sensi della legge n. 647 del 1967. Col terzo motivo del ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 27 legge 24 luglio 1962 n. 1073, degli artt. 8, 16 e 68 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 e del d.P.R. 1 novembre 1973 n. 687, osservando in primo luogo che la legge n. 1073 del 1962 vincolava soltanto lo Stato, fino a quando stato proprietario dei beni e non opponibile alla Provincia, tanto che non richiamata dal d.P.R. n. 687 del 1973. Ma anche ad ammetterne l'astratta applicabilit, secondo la ricorrente, il vincolo di destinazione presuppone che il bene sia posto al servizio dell'Istituto, mentre indubbio che al momento del trasferimento della propriet del bene dallo Stato alla Provincia il bene non era posto al servizio del Convitto D. Chiesa, ma del Corpo dei Vigili del fuoco. Infine, la necessit di un'effettiva utilizzazione stata confermata da una circolare del Ministero delle Finanze (n. 100 del 23 aprile 1977), da cui si evince che i locali concessi in uso gratuito e perpetuo ai convitti, che non vengono utilizzati per i loro fini, devono essere restituiti alle Amministrazioni proprietarie. Il motivo inammissibile. La difesa del controricorrente ha eccepito che la sentenza impugnata si fonda anche sul1e considerazioni di carattere assorbente circa gli effetti del giudicato nascenti dalla sentenza del 5 febbraio 1955, che fa stato anche nei confronti della Provincia; considerazioni in ordine alle quali la ricorrente non muove doglianze. Il rilievo del controricorrente esatto, perch la Corte d'appello ha esaminato la precedente sua sentenza del 1955 non soltanto ai fini della giurisdizione, ma anche al fine di trarne gli effetti di giudicato in ordine all'accertamento del diritto vantato in quel giudizio dall'attore (Convitto) i(pagg. 19-20). Rilevato che la precedente sentenza accert e dichiar che l'attore aveva sull'immobile un vero e proprio di.ritto di uso gratuito, fa Corte di Trento ha cos motivato: Orbene l'art. 2909 e.e. riconosce autorit di PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 241 cosa giudicata non soltanto alle statuizioni emesse nel dispositivo, ma anche all'accertamento dei fatti, delle situazioni e dei rapporti che costituiscono il presupposto dell'accertamento e delle condanne contenute nel dispositivo. Ci che considerato vincolante nei successivi giudizi appunto l'accertamento immutabile sancito dalla pronuncia giurisdizionale, intesa nel suo complesso, su tutto quanto ha costituito oggetto della decisione, ivi comprese le premesse ed il fondamento logico-giuridico della decisione . g evidente che la suddetta ratio decidendi del ttto autonoma da quella fondata sulla legge del 1962, posto che il giudicato si era formato sette anni prima e non poteva, quindi, tener conto di tale legge; e che (qualunque ne sia la correttezza), da sola sufficiente a sorreggere la sentenza. Poich si tratta di ratio non impugnata, la censura che riguarda la distinta ragione basata sulla legge del 1962 inammissibile, perch il suo eventuale accoglimento non condurrebbe mai alla cassazione della sentenza, secondo costante giurisprudenza. (omissis). SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 19 dicembre 1987, n. 782 -Pres. Pezzana -Rel. Patroni Griffi -Mini Finanze (avv. Stato Stipo) c. De Martino (avv. Fognier). Giurisdizione civile -Riscatto del periodo corrispondente alla durata legale degli studi universitari -Giurisdizione della Corte dei conti. La normativa vigente tende ad uniformare il regime di impugnazione dei provvedimenti concernenti il computo dei servizi o periodi ai fini pensionistici; pertanto i provvedimenti con i quali si conceda o si neghi il riscatto di periodi o servizi pregressi sono impugnabili da parte degli interessati dinanzi alla Corte dei conti (1). (omissis) Carattere pregiudiziale riveste la censura di imprnponi bilit del ricorso di primo grado, gi disattesa in quella sede e riproposta dall'Amministrazione appellante, sul rilievo che la cognizione del provvedimento con il quale venga negato il riscatto a fini pensionistici del periodo di studi universitari esula dalla giurisdizione amministrativa per essere devoluta alla Corte dei conti. Il motivo fondato. La insussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in materia di riscatto a fini pensionistici (a differenza di quanto avviene per il riscatto ai fini della indennit di buonuscita) -gi ritenuta da questo Consiglio di Stato in precedenti decisioni (VI, 15 novembre 1982, n. 578; II, 1 marzo 1977, n. 462/75) -discende dal combinato disposto degli artt. 6, penultimo comma, legge 15 febbraio 1958, n. 46, e 147, 149 e 225; d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (t.u. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti statali) ed coerente con quella tendenza normativa e giurisprudenziale volta a configurare in termini di esclusivit4 -ove a ci non ostino espresse disposizioni -normative o principi -la giurisdizione devoluta nella materia de qua alla Corte dei conti. Dalle richiamate disposizioni normative -tendenti a uniformare il regime di impugnazione dei provvedimenti concernenti il computo dei servizi o periodi ai fini pensionistici -si evince, invero, che i provvedimenti con i quali si conceda o si neghi il riscatto di periodi o servizi pregressi sono immediatamente impugnabH da parte degli interessati dinanzi alla Corte dei conti. Sicch risulta superato lo stesso disposto di cui all'art. 62 del testo unico sulla Corte dei conti (r.d. 12 luglio 1934, (1) In argomento v. Cass. SS.UU. 10-5-1988, n. 3423, in questo fascicolo, pag. 154. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA n. 1214) -richiamato dall'appellato -secondo il quale (( m materia di riscatto di servrai il ricorso ammesso soltanto contro il decreto concernente la liquidazione del trattamento di quiescenza con la conseguenza che o si negava attualit al relativo interesse o si consentiva la impugnazione in sede di giurisdizione amministrativa generale. In accoglimento dell'appello, la sentenza impugnata deve quindi essere riformata, con la declaratoria di improponibilit dinanzi al giudice amministrativo del ricorso di primo grado. (omissis). I CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 29 novembre 1988, n. 1291 -Pres. Laschena -Rel. Pajno -Associazione Nazionale Esercenti Noleggio e Trasporti (avv. Zammit), Ministero dei Trasporti (avv. Stato Stipo) c. Azienda Consortile Trasporti -Consorzio Lucchese Autotrasporti Pubblici ed altri (avv. Tesauro). Giustizia amministrativa -Associazioni di categoria -Legittimazione ad agire e a contraddire. Trasporti pubblici -Comuni ed altri enti territoriali -Possibilit. di servizi oltre l'ambito territoriale -Limiti. Trasporti pubblici -Comuni ed altri enti territoriali -Impossibilit di esercitare servizi di linea internazionali e interregionali -Limiti e possibilit di esercitare servizi occasionali. Trasporti pubblici -Comuni ed altri enti territoriali -Servizi occasionali internazionali o interregionali -Rilascio dei documenti di vaggio Accertamenti e poteri del Ministero dei Trasporti. . Poich parti necessarie del giudizio di primo grado sono esclusivamente il ricorrente, l'autorit emanante il provvedimento amministrativo e il controinteressato, la legittimazione ad agire e a contraddire delle associazioni di categoria a tutela degli interessi corporativi della collettivit rappresentata possibile a fronte di un provvedimento che arrechi una lesione immediata e diretta di tali interessi o in difesa di un provvedimento che attribuisca alla collettivit rappresentata una diretta posizione di vantaggio. La natura di enti territoriali propria dei Comuni implica non che i servizi pubblici siano limitati all'ambito locale (limitazione questa legata alla distinzione tra spese obbligatorie e spese facoltative), ma che i servizi pubblici, in ipotesi svolgentisi anche oltre l'ambito locale, siano tuttavia istituiti in relazione a specifiche esigenze della comunit locale. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 244 Dalla impossibilit per i Comni di conseguire la titolarit(J. di concessioni di autoservizi di linea internazionali o interregionali, non pu essere dedotta l'impossibilit, per i medesimi, di esercitare servizi occasionali, che, pur implicando la possibilit di fuoriuscire dal territorio nazionale, devono pur sempre rimanere ancorati ad esigenze delle comunit locali. , Essendo il rilascio dei documenti di viaggio da parte ,del Ministero dei Trasporti preordinato anche all'accertamento della legittimit della circolazione degli autoveicoli, in sede di rilascio dei libretti di viaggio, potranno essere effettuati, anche attraverso la predisposizione di opportune modalit procedimentali, gli accertamenti volti a stabilire che in concreto l'esercizio dei servizi occasionali internazionali sia collegato alla necessit di far fronte ad una oggettiva esigenza della popolazione residente. II CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 14 dicembre 1988, n. 818 -Pres. Catallozzi -Rel. Trovato -Bucci (avv. Zammit) c. Comune di Urbino (avv. Tesauro). Trasporti pubblici -Servizio di autoveicoli con conducente -Carattere privato. , Enti locali -Attivit al di fuori dell'ambito del proprio territorio Illegittimit. F.nti locali -Costituzione di societ per attivit non istituzionali Illegittimit. Trasnorti pubblici -Costituzione di enti a partecipazione comunale Possibilit di ledere le imprese private del settore. Il servizio di autoveicoli con conducente, ancorch definito come pubblico dall'art. 113 r.d. 8 dicembre 1933, n. 1740, concreta una attivit ricompresa nella naturale capacit e libert dei privati, anche se assoggettata a disciplina e al rilascio di autorizzazione da parte della P.A. e non appare, comunque, riconducibile nell'ambito delle pubbliche comunicazioni in ordine alle quali i comuni sono legittimati a provvedere ex art. 2 r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578 o del trasporto pubblico locale cos come definito dall'art. 1 della legge 10 aprile 1981 (servizi adibiti normalmente al trasporto collettivo di persone e di cose effettuati in modo continuativo o periodico con itinerari, orari, frequenze e tariffe prestabilite e offerta indifferenziata, con esclusione di quelli di competenza statale). / PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA I comuni debbono limitare l'assunzione dei servizi ed uffici di pubblica utilit entro i termini della rispettiva circoscrizione amministrativa. Una Amministrazione comunale non pu legittimamente costituire una societ per assumere servizi che non rientrano per le loro caratteristiche topografiche e/o per il contenuto dell'attivit svolta nei propri compiti istituzionali e in ogni caso senza aver prima attentamente ponderato e congruamente esternato le relative esigenze organizzatorie. La creazione di un nuovo soggetto, a partecipazione comunale, nel settore del trasporto suscettibile di configurare una lesione concreta nei confronti delle imprese private del settore, in quanto contrappone ad esse un operatore la cui presenza di per s sufficiente ad alterare le pregresse condizioni di concorrenza e, quindi, ad incidere immediatamente nella sfera giuridica delle imprese gi in attivit, non solo nella prospettiva di sottrazione alle medesime di spazi commerciali, ma anche in termini di diversa situazione di svolgimento e di sviluppo della loro attivit. III CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 4 marzo 1989, n. 186 -Pres. Laschena - Rel. Perricone -Ministero dei Trasporti (avv. Stato Stipo) c. Azienda T~asporti Consorziali di Bologna e altri (avv. Cristoni). Trasporti pubblici -Diniego di imnatricolazione di nuovi autoveicoli da destinare a noleggio -Giurisdizione del giudice ordinario. Trasporti pubblici -Concessione -Diniego di autorizzazione ad impiegare autobus -di linea a servizio di noleggio con conducente Giurisdizione del giudice amministrativo. Trasnorti pubblici -Concessione -Autorizzazione ad impiegare autobus di linea a servizio di noleggio con conducente -Richiesta da parte di enti locali -Valutazione discrezionale del Ministero dei Trasporti sulle esigenze della popolazione locale. Il giudice amministrativo difetta di giurisdizione in ordine alla controversia concernente il diniego di rilascio della carta di circolazione (immatricolazione) di nuovi autoveicoli con destinazione a noleggio con conducente. Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla controversia concernente il diniego di autorizzazione all'impiego di auto bus in servizio di linea a servizio di noleggio con conducente. Nell'esercizio del potere autorizzatorio di cui all'art. 57 secondo comma del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 (codice stradale), WMinistero dei Trasport,i gode di un potere discrezionale volto ad apprezzare l'opportu RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nit del mutamento (eccezionale) di utilizzazione, con riferimento alle esigenze della circolazione, sicch in caso di richiesta di autorizzazione da parte di un ente territoriale, potr essere accertato, anche mediante la predisposizione di opportune modalit procedimentali, che in concreto l'esercizio dell'attivit di noleggio cui si vuole destinare un autobus impiegato in servizi di linea, sia collegato alla necessit di far fronte ad una oggettiva esigenza della popolazione locale. IV CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 6 giugno 1989, n. 721 -Pres. Laschena - Rel. Barberia Corsetti -SADEM e F.lli Lazzi S.p.A. (avv. Zammit), Autostradale S.p.A., e S.G.E.A. Lombardia S.p.A. (avv. Tanzarella e Montuori) c. Ministero Trasporti (avv Stato Stiipo) e A.T.P. S.p.A. (avv. Bergontlni e Romano).' Trasporti in concessione -Servizi di linea interregionali e internazionali Impossibilit di esercizio da parte degli enti locali. La legge 28 sttemhbre 1979, n. 1822, contenente la disciplina degli autoveicoli di linea si riferisce, come risulta dalla formulazione del suo titolo, esclusivamente all'industria privata, che pertanto l'unica nei confronti della quale possano essere assentite le concessioni per l'esercizio di autolinee interregionali ed internazionali; va pertanto esclusa la possibilit dell'esercizio di tali autolinee da parte degli enti locali territoriali e loro aziende e consorzi. -I 3. -Prima di passare all'esame delle complesse questioni, sostanziali e processuali, poste dalla presente controversia, sembra opportuno ricordare preliminarmente che l'oggetto del presente giudizio sostanzialmente costituito (oltre che dai provvedimenti con cui l'Amministra zione dei Trasporti ha dfiutato il rilascio dei c,d. libretti verdi alle Aziende municipalizzate appellate) dalla circolare del 27 marzo 1986, nella parte in cui il Ministero dei Trasporti, nel dettare le disposizioni Con le quattro decisioni in rassegna il Consiglio di Stato ha trattato la questione della capacit giuridica degli enti locali territoriali nella gestione di servizi eccedenti la loro circoscrizione territoriale. In precedenza lo stesso Consiglio di Stato in sede consultiva si era espresso negativamente (v. Cons. Stato, II, 21 ottobre 1975, n. 1111 e 24 ot tobre 1984, n. 1426). -Portata la questione all'esame delle sezioni giurisdizionali, si sono avute decisioni contrapposte tra la sez. VI (sopra riportata decisione 29 novem PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 247 necessarie per il rilascio dei fogli di viaggfo CEE/ASOR , abilitati allo svolgimento dei servizi occasionali internazionali di trasporto viaggiatori con autobus, ai sensi del Regolamento 56/83/CEE, (che d esecuzione all'accordo sui servizi occasionali stradali -ASOR) e del d.m. 30 luglio 1985, ha eso1uso dalla possibilit di conseguiire i cennati documenti di viaggio le Aziende pubbliche di trasporto viaggiatori su strada ancorch titolari di licenza comunale di noleggio con conducente . Va al riguardo, precisato che con decisione n. 82/505 del 12 ~uglio 1982 del Consiglio ,della Comunit Europea veniva approvato l'accordo relativo ai servizi occasionali internazionali di trasporto di viaggiatori su 'Strada effettuati con autobus (ASOR), negoziato tra la CEE ed alcuni paesi europei (Austria, Spagna, Finlandia, Norvegia, Portogallo, Sv,ezia, Svizzera e Turchia). In particolare il predetto accordo, dopo aver definito i c.d. servizi occasionali internazionali di trasporto di viaggiatori su strada, ha previsto all'art. 6 un apposito documento, destinato a sostituire tutti i documenti di controllo gi esistenti. ~ stato, in particolare, previsto, (art. 6) !'obbligo di tutti i vettori che effettuano ,servizi occasionali, di munirsi di un foglio di viaggio che faccia parte di un documento di controllo, rilasciato dalle competenti autorit della parte contraente in cui il veicolo immatricolato, o da qualsiasi organismo abilitato a tal fine . Il documento di controllo costituito, peraltro, (art. 7) da un libretto contenente 25 fogli numerati, staccabili, in duplice esemplare. bre 1988, n. 1291 e 4 marzo 1989, n. 186) e la sez. V (sopra riportata decisione 14 dicembre 1988, n. 818). Successivamente la stessa sez. VI, con la sopra riportata decisione 6 giugno 1989, n. 721, ha dnteso escludere categoricamente la possibilit per gli enti locali di essere titolari di autolinee, il cui esercizio va oltre l'ambito del proprio territorio, ma ammettendola (senza per tener presente le argomen tazioni della sez. V) qualora trattasi di servizi occasionali, semprech abbiano " la funzione precipua di soccorrere necessit determinatesi sul territorio dell'ente locale. La decisione n. 186/1989 della sez. VI affronta poi il problema della giurisdizione uniformandosi alla intervenuta ~urisprudenza (Cass. SS.UU. 11 aprile 1981, n. 2113 e Consiglio cli Stato, VI, 15 novembre 1982, n. 571) che ravvisa la posizione cli diritto soggettivo nel soggetto che chiede la immatricolazione di un autoveicolo nuovo, mentre nel caso di richiesta di mutamento di destinazione di un autoveicolo gi immatricolato, la posizione del soggetto richiedente di interesse legittimo, dovendo la PA. emettere un provvedimento autorizzatorio, espressione di un tipico potere basato su una valutazione discrezionale concernente l'esistenza dei presupposti idonei a consentire il mutamento della utilizzazione dell'autoveicolo. ,La giurisprudenza di merito (v. App. Trieste 8 aprile 1989 pubblicata in altra parte della Rassegna) ha ritenuto legittimo il diniego di immatricola zione ad ente locale per autobus da destinare a noleggio con conducente, per ch ci non rientra nei compiti istituzionali dell'.ente stesso. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 248 Al cennato accordo -che risponde all'esigenza di facilitare l'organizzazione e l'esecuzione dei servizi occasionali su strada nell'ambito della CEE e dei paesi aderenti all'accordo medesimo - stata data esecuzione con regolamento CEE n. 56/83, e nell'ordinamento interno, con dm. 30 luglio 1985. stato previsto l'obbligo di tutte le imprese ohe effettuano servizi occasionali nell'ambito della CEE e degli altri stati contraenti, di utilizzare lo speciale foglio di viaggio CEE/ASOR mentre, per quanto riguarda J'ordinamento interno, con l'art. 3 del predetto decreto stato previsto che il Ministero dei Trasporti -Direzione generale della Motorizzazione Civd.le -provveda al rilascio del documento, ,direttamente o per mezzo di organismi all'uopo incaricati. Lo stesso Ministero dei Trasporti ha gi provveduto, con circolare del 27 marzo 1986, sia a dettare le necessarie prescrizioni per l'applicazione della nuova disciplina, sia a procedimentalizzare il rilascio del nuovo documento, prevedendo, tra l'atro, le relative modalit di conseguimento. In tale occasione stato disposto appunto che, allo stato attuale, inoltre, restano escluse e con riserva di successive disposizioni, le Aziende pubbliche di trasporto viaggiatori su strada, ancorch titolari di licenza comunale di noleggio di autobus con conducente, in relazione sia ai pareri gi espressi dal Consiglio di Stato in materia, n. 1111 del 21 ottobre 1975, e n. 920 del 9 ottobre 1976, sull'effettuazione del servizio privato di noleggio con conducente, sia alla necessit di approfondire ulteri0rmente la questione, avvalendosi nuovamente degli organi consultivi dello Stato: che costituisce, appunto, la prescrizione impugnata in questa sede. Appare, cos evidente, da una parte, che il rpotere di organizzazione, volto a disciplinare il rilascio del nuovo documento di trasporto, stato censurato daUe Aziende ricorrenti in primo grado, l dove con esso si ritenuto di introdurre le cennate limitazioni; e, dall'altra, che la questione su cui si intrattenuto il giudice di primo grado, concernente la possibilit per le Aziende Pubbliche di Trasporto, di effettuare il servizio di noleggio con conducente, costituisce una sorta di accertamento incidentale, posto in essere al fine di stabilire la legittimit della prescrizione contenuta neLla circolare che, escludendo le cennate aziende pubbliche dal novero dei soggetti che possono ottenere il nuovo documento di trasporto, le ha, altres, escluse dalla possibilit di effettuare servizi occasionali internazionali. Come, infatti, stato esattamente osservato dal giudice di primo grado, la normativa concernente il nuovo documento di viaggio (sia quella di cui al regolamento CEE n. 56/83, che quella di oui al D.M. 30 luglio 1985) non si oocupa di sta:biHre i irequisiti per io svolgimento di servizi occasionali internazionaH, sicch l'Amminri:strazione dei trasporti, nel fornke le necessarie prescrizioni per dare esecuzione alla normativa comunitaria, ha ritenuto di dover procedere ad una for PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA male deli!IDitazione dell'area dei soggetti che, in quanto Jegittimati a conseguire il nuovo documento di trasporto previsto dal cennato accordo, fossero (implicitamente) legittimati allo svolgimento di servizi occasionali internazionali. A tal fine il Ministero dei Trnsporti ha, ~mplicitamente, ma chiaramente, ritenuto che i servizi occasionali internazionali fossero equiparabili ai servizi di noleggio con conducente, dal momento che, al fine di negare la possibilit delle Aziende Pubbliche di conseguire il :nuovo documento di viaggio, l'Amministrazione ha fatto riferimento a due pareri della seconda sezione del Consiglio di Stato che, pur prendendo atto della circostanza che in passato le medesime avessero conseguito la titolarit di licenze comunali di servizio privato di no1eggio con conducente, ha tuttavia riteooto in via generale che tali aziende pubbliche non potessero svolgere l'attivit di noleggio con conducente, potendo queste assumere soltanto l'esercizio di servizi pubblici, e dovendo l'attivit in questione essere riguardata come servizio privato ai sensi dell'art. 57, primo comma, del d.P.R. n. 393 del 1953. Pur apparendo, quindi, la questione prospettata, in qualche modo collegata con il problema della possibilit, o meno, per le aziende municipalizzate, di effettuare servizi privati di noleggio con conducente, e ci a causa della motivazione addotta dall'Amministrazione, l'oggetto formale del presente giudizio pur sempre costituito dalla legittimit della determinazione del Ministero dei Trasporti di escludere daUa possibilit di conseguire il nuovo documento di viaggio per le Aziende Pubbliche di Trasporto; 4. -Nell'ordine logico, deve innanzi tutto essere esaminata l'eccezione formulata dalle .Aziende Pubbliche resistenti ed appellanti incidentali, secondo cui l'impugnazione proposta dall'Associazione Nazionale Esercenti Noleggio Autobus e Trasporti Turistici (E.N.A.T.) e dall'Associazione Nazionale Autoservizi in Concessione (A.N.A.C.) dovrebbe essere considerata inammissibile. Secondo la relativa prospettazione, infatti, alle Associazioni in questione (A.N.A.C. ed E.N.A.T.) sarebbe stata attribuita con l'impugnata decisione la qualit di parte interveniente (non, quindi, quella di parte necessaria), sicch l'ammissibilit deH'appello proposto dalle medesime associazioni sarebbe subordinata alla esistenza di una censura volta a contestare specificamente tale qualit. Non essendosi a ci provveduto da parte delle Associazioni interveni~nti in primo grado, l'appello dalle stesse proposto dovrebbe essere considerato inammissibile. L'eccezione priva di consistenza. Con l'atto di appello, infatti, l'E.N.A.T. e l'A.N.A.C. hanno espressamente dedotto l'inammissibilit dei ricorsi di primo grado in quanto non notificati alle medesime associazioni, da considerarsi controinteressate. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Affermando fa propria qualit di controinteressati -e cio di parti necessarie del processo di primo grado -l'A.N.A.T. e l'E.N.A.C. hanno, con ogni evidenza, contestato la qualit di parte non necessaria, loro riconosciuta dal Tribunale Amministrativo regionale del Lazio con l'im pugnata sentenza. 5. -Sempre nell'ordine logico, acquista poi valore decisivo l'accel" tamento dell'esistenza o meno, della qualit di controinteressate rispetto alla circolare impugnata in primo grado, in .capo all'E.N.A.C. ed al l'A.N.A.T,: qualit questa, che le predette Associazioni -rnppresenta tive della categoria delle Aziende private di trasporto -riv.endicano sia in relazione alla ci11costanza che le stesse sarebbero espressamente contemplate nella dr.colare ministeriale, che risulta anche ad esse indi rizata, sia in relazione alla circostanza che alle stesse dovrebbe essere riconosciuto un interesse qualificato nei confronti del ricorso di primo grado, avendo la circolare indicato come sole legittimate al rilascio del nuovo documento di trasporto le imprese private titolari di licenza comunale per il servizio privato di noleggio con conducente. Dall'accertamento, in capo alle cennate associazioni, della qualit di controinteressate, dipende, infatti, non soltanto la fondatezza del primo motivo dell'appello proposto dalle cennate associazioni, ma -in linea strettamente pregiudizia1e con le conseguenti preclusioni in ordine alla possibilit di passare all'esame del gravame -l'ammissibilit stessa dell'impugnazione proposta dall'A.N.A.C. e dall'E.N.A.T. noto infatti che, secondo un indirizzo giurisdizionale da tempo consolidato, legittimate a proporre appello avverso le decisioni dei T.A.R. sono soltanto ed esclusivamente le parti necessarie del giudizio di primo grado, anche se eventualmente non costituite, e cio i sog getti tra i quali deve intercorrere il rapporto processuale, in relazione alla contmversia dedotta, ed indipendentemente dalla circostanza che sia stato loro notificato il ricorso, ovvero che siano, o meno, costituite nel giudizio di prima istanza (Sez. VI, 20 febbraio 1987, n. 71; 22 maggio 1985, n. 203; 2 giugno 1983, n. 478; 7 luglio 1982, n. 338; Sez. IV, 3 aprile 1985, n. 114). E poich le parti necessarie del giudizio di. primo grado -quelle, cio, fra le quali deve necessariamente intercorrere, a pena di nullit, il rapporto giuridico processuale -sono esclusivamente il ricorrente, l'autorit emanante ed il controinteressato, appare evidente che l'impugnazione dell'A.NA.C. e dell'E.N.A.T. potr essere considerata ammis sibile soltanto ove alle stesse sia possibile riconoscere la qualit di controinteressate, e cio di soggetti che -secondo la ricevuta no zione -"abbiano conseguito, per effetto diretto ed immediato dell'atto, PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA rma posizione giuridica di vantaggio che comporta l'esistenza di un interesse quailificato alla conservazione del medesimo. Una situazione del genere non sembra, peraltro, sussistere nella fattispecie. Va, in proposito preliminarmente ricordato che il primo giudice ha sostanzialmente ritenuto l'atto impugnato con il ricorso n. 748/86, al di l della qualificazione come circolare (e cio come un atto di rilevanza meramente interna), come un atto normativo a contenuto generale volto ad introdurre una disciplina del rilascio dei ilibretti di viaggio per [ servizi occasionali di trasporto viaggiatori; conformemente del resto alla prospettazione delle stesse Associazioni appellanti che proprio con riferimento alla natura provvedimentale dell'atto in questione deducono l'esistenza della propria quailit di controinteressate. Si tratta di una prospettazione su oui si ormai formato il giudicato, non risultando contestata da alcuno degli appellanti e non essendo stata riproposta in questa sede da parte dell'Amministrazione l'eccezione -sostanzialmente disattesa dal primo giudice -secondo oui la ciocolare sarebbe stata meramente esplicativa di una limitazione gi sancita dalla legge. Tanto premesso, la disciplina introdotta con la cennata circolare, nell'ammettere al conseguimento del documento di trasporto, necessario per l'effettuazione dei servizi occasionali internazionali, le aziende di trasporto privato, attribuisce a queste ultime una posizione qualificata e differenziata ohe fa delle medesime aziende un contraddittore necessario per l'ipotesi che venga impugnata la prescrizione attributiva di tale posizione di vantaggio. Nel caso in esame, invece, con il ricorso proposto in primo grado non contestata la particolare posizione di vantaggio .direttamente attribuita dalla circolare alle imprese cennate, ma l'esclusione delle imprese pubbliche di trasporto dalla possibilit di conseguire il documento di viaggio; e cio una prescrizione che non riguarda direttamente ed immediatamente 1e aziende private di trasporto, e che non attribuisce alle stesse un vantaggio diretto ed immediato (cui si correla una posizione soggettiva qualificata e differenziata) ma semmai un vantaggio indiretto. Correlativamente il pregiudizio che le imprese di trasporto private riceverebbero dall'eventuale accoglimento del ricorso proposto in primo grado sarebbe di tipo derivato ed indiretto, discendente dall'ampliamento del numero dei soggetti imprenditori operanti sul mercato dei trasporti occasionali internazionali e correlato all'ammissione al conseguimento del libretto verde delle aziende pubbliche di trasporto. Nessuna posizione soggettiva qualificata e differenziata pu essere, pertanto, riconosciuta alle Associazioni appellanti con riferimento alla esclusione impugnata in questa sede, sicch alle medesime non pu essere riconosciuta la qualit di controinteressate in ordine al ricorso RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO a suo tempo proposto dalla Federtrasporti, dell'Azienda Consortile Trasporti -Consorzio Lucchese Autotrasporti Pubblici e dell'Azienda Consorziale Trasporti di Parma. N, in contrario, pu valere il rilievo formulato dalle Associazioni appellanti, e cio che, come riconosciuta la legittimazione delle Associazioni di Categoria a ricorrere per la tutela degli interessi della collettivit rappresentata, cos dovrebbe essere riconosciuta alle medesime associazioni la legittimazione a resistere, in qualit di parti sostanziali, ai ricorsi proposti dalle imprese concorrenti. Nessun dubbio sussiste, infatti, circa 1a legittimazione ad agire ed a contraddire delle associazioni di categoria a tutela degli interessi corporativi della collettivit rappresentata. Ci, peraltro possibile a fronte di un provvedimento che arrechi una lesione immediata e diretta di tali interessi o in difesa di un provvedimento che attribuisca alla collettivit rappresentata una diretta posizione di vantaggio: civcostanza, questa, che non si verifica nella fattispecie. Il problema astratto della ricoo.oscibilit di una legittimazione ad agire ed a contraddire in capo alle associazioni di categoria non pu, infatti, essere confuso con la questione concveta della riconoscibilit, in relazione ad uno specifico atto, della qualit di controinteressato in capo alle medesime associazioni. Dal.la accertata inesistenza della qualit di controinteressate in capo all'E.N.A.T. ed all'A.N.A.C. deriva l'assenza, in capo alle medesime, della qualit di parti necessarie del presente giudizio. L'appello delle cennate associazioni deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto da soggetti non costituenti parti necessarie del giudizio di primo grado (Sez. VI, 20 !febbraio 1987, n. 71, cit.). Degli argomenti svolti daHe predette associazioni -che possono partecipare al giudizio di appello in qualit di intervenienti -si potr pertanto, tener conto nei limiti in cui non introducono questioni nuove rispetto all'appello dell'Amministrazione. 6. -Infondato appave, invece, l'appello ~ncidentale proposto dalla T.E.P. e dalla C.L.A.P. avverso il capo della decisione impugnata con cui stata riconosciuta la legittimit dell'intervento in giudizio dell'E. N.A.T. e dell'A.N.A.C. noto, infatti, che secondo un indirizzo giurisprudenziale da tempo consolidato, nel processo amministrativo sono legittimati a proporre atto di intervento anche i soggetti p6rtatori di un interesse di mero fatto (Sez. VI, 26 luglio 1986, n. 565; 14 luglio 1984, n. 446). Un interesse di fatto certamente riconoscibile nella fattispecie in capo deUe Associazioni di categorie delle imprese private di trasporto, atteso che le medesime hanno un evidente interesse a limitare l'ambito dei soggetti beneficiari della normativa in materia di libretti verdi >>, PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA in conseguenza, come ha esattamente rilevato il primo giudice, del vantaggio economico che deriverebbe alle imprese private dalla mancata concorrenza di quelle pubbliche. N un ostacolo all'ammissibilit dell'intervento pu essere riscontrato nella circostanza che il medesimo stato spiegato da due associazioni di categoria, apparendo sufficiente, a tal fine, che l'utilit perseguita da queste sia conforme alle finalit statutarie (si veda per una ipotesi in cui, su tale presupposto, stato dichiarato ammissibile l'intervento di una associazione di cittadini, Sez. V, 14 maggio 1986, n. 255). 7. -Dev,e, adesso, essere preso in considerazione l'appello proposto dal Ministero dei Trasporti, con il quale, con la prima doglianza, viene dedotta l'erroneit della decisione impugnata nella parte in cui con essa stata rigettata l'eccezione di inammissibilit dei ricorsi di primo grado, in quanto rivolti avverso un atto meramente confermativo di precedenti disposizioni amministrative non impugnate. Ad avviso del Ministero appellante, infatti, le disposizioni contenute nella circolare ministeriale impugnata in questa sede, sarebbero meramente confermative di quelle contenute ne1le precedenti circolari n. 8 del 16 marzo 1974 e n. 11 del 20 aprile 1976, mentre non apparirebbe convincente l'assunto dei primi giudici, secondo cui la circolare del 26 marzo 1986 disciplinerebbe llilla materia diversa dalle precedenti e sarebbe stata adottata sulla scorta di presupposti normativi diversi. La circolare, infatti, nella parte impugnata, non sarebbe altro che una presa d'atto di una limitazione gi introdotta con le precedenti circolari, essendo state 1e aziende pubbliche escluse dall'attivit di noleggio con conducente, sia pure limitatamente al territorio nazionale. L'assunto , sotto diversi profili, infondato. Ad escludere il carattere meramente confermativo della circolare impugnata in questa sede, pare infatti sufficiente il rilievo che, mentre essa concerne la disciplina del rilascio del nuovo documento di viaggio per i servizi occasionali internazionali di trasporto su strada, le circolari cui fa riferimento l'Amministrazione, riguardano invece l'immatricolazione di autobus per il servizio di noleggio con conducente da parte dei comuni (circolare n. 8/74), e l'immatricolazione di autobus per il medesimo servizio da parte delle Aziende provincializzate e dei Consorzi (circolare n. 11/1976). A ci va aggiunto che la circolare ministeriale impugnata in questa sede fa riferimento, allo scopo di motivare l'esclusione delle aziende pubbliche di trasporto dal novero dei soggetti legittimati a conseguire il libretto contenente i fogli di viaggio CEE/ASOR, ai due pareri espressi dal Consiglio di Stato n. 1111 del 21 ottobre 1975 e n. 920 del 9 ottobre 1976. Ci appare sufficiente ad escludere la confermativit,. della circolare del 27 marzo 1986, dal momento. che il riferimento ai 254 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cennati pareri evidenzia come la determinazione in questa sede impugnata sia -a prescindere dalla rilevata diversit della materia frutto di valutazioni rinnovate rispetto a quelle espresse nelle precedenti circolari; il ohe appare sufficiente, per ricevuto insegnamento giurisprudenziale, ad escludere ogni confermativit . Il parere del 21 ottobre 1975 , infatti, successivo alla circolare n. 8 del 1974, come il parere del 9 ottobre 1976 ~ successivo alla circolare n. 11 del 20 aprile 1976: il che rende palese come, alla base delle determinazioni assunte con la circolare del 27 marzo 1986 vi siano anche valutazioni ed elementi di giudizio non esistenti alla data di adozione delle circo1ari precedenti. Tale considerazione -che.ev1denzia la novit del provvedimento del 1986 rende priva di rilevanza l'osservazione formulata dal Ministero dei Trasporti, secondo cui il servizio di noleggio con conducente per i trasporti nazionali e quello per i trasporti internazionali avrebbero il medesimo carattere. Come, poi, ha esattamente osservato il giudice di primo grado, pacifico fra le parti che, anteriormente all'emanazione della circolare impugnata, alle imprese pubbliche ricorrenti in primo grado era consentito svolgere i servizi occasionali di trasporto di noleggio con conducente, in quanto gi titolari della relativa licenza: il che rende evidente l'autonomia della lesione arrecata alla sfera giuridica delle ricorrenti in primo grado con la circolare in questione. Il vero infatti, che le stesse espressioni, contenute nella predetta circolare, rendono palese che quella di escludere le imprese pubbliche di trasporto dalla possibilit di conseguire il nuovo documento di viaggio una autonoma determinazione dell'Amministrazione, che, pur motivata con riferimento ai pareri acquisiti in m:idine al diverso problema dell'attivit di noleggio di autobus con conducente, tuttavia adottata aHo stato attuale ed in attesa di ulteriori approfondimenti, ritenuti necessari: il che rende palese come si sia di fronte ad una autonoma prescrizione imposta dall'Amministrazione in via interinale, suggerita dalla necessit di una riflessione pi approfondita sulla questione. 8. -Deduce, altres, il Ministero dei Trasporti con la seconda doglianza prospettata, che erroneamente il T.A.R. avrebbe dichiarato illegittima la circolare ministeriale del 27 marzo 1986, nella parte in cui esclude le aziende pubbliche di trasporto dalla possibilit di conseguire il c.d. libretto verde , sotto i profili dedotti dalle ricorrenti in primo grado con i primi due motivi di ricorso. Ed infatti, ad avviso dell'Amministrazione la circolare -provvedimento dovrebbe esser ritenuta legittima, perch motivata per relationem con il richiamo a precedenti pareri del Consiglio di Stato che, intervenuti in ordine al problema dello svolgimento del servizio di noleggio PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA con conducente, potrebbero essere richiamati per fa concessione dei c.d. libretti verdi, avendo i servizi occasionali ai trasporto internazionale di viaggiatori il medesimo carattere dei servizi nazionali dri. noleggio con conducente. Il cennato servizio occasionale internazionale potrebbe, peraltro, essere svolto soltanto da soggetti privati, essendo equiparabile alla attivit di noleggio con conducente che costituirebbe servizio privato ex art. 57, comma primo, del d.P.R. n. 393 del 1959. Gli enti locali, peraltro, non potrebbero eludere i limiti commisurati all'esercizio dei propri servizi pubblici di trasporto, mentre il Ministero dei Trasporti, competente al rilascio dei libretti verdi, sarebbe tenuto a verificare la sussistenza dei requisiti per la relativa concessione. L'appello dell'Amministrazione deve essere respinto, dovendo essere confermata la statuizione di accoglimento adottata dal primo giudice. Deve peraltro, essere disposta la correzione della relativa motivazione nei sensi che saranno di seguito precisati. 9. -Come si gi avuto modo dii sottolineare, la esclusione, disposta dal Ministero appellante, delle Aziende Pubbliche di Trasporto Viaggiatori su strada, ancorch titolari di licenza comunale di noleggio con conducente , dalla possibilit di ottenere il rilascio dei documenti CEE/ASOR, stata motivata, oltre che con la necessit di ulteriori approfondimenti, in relazione ai pareri gi espressi dal Consisiglio di Stato in materia n. 1111 del 21 ottobre 1975 e n. 920 del 9 ottobre 1976, sulla effettuazione del servizio privato di noleggio con conducente . Tale essendo la motivazione addotta a sostegno della prescrizione impugnata, il problema posto dal presente giudizio consiste esclusivamente nello stabilire se il riferimento ai cennati pareri -ed agli argomenti in esso richiamati -sia idoneo, o meno, a sostenere la esclusione delle Aziende Pubbliche di Trasporto dal rilascio dei documenti CEE/ ASOR. Esula, invece, dal presente giudizio, ogni ulteriore e diversa questione, ed in particolare quella concernente l'identificazione dell'autorit deputata a sindacare la congruit delle attivit eventualmente svolte dalle Aziende Municipalizzate con gli interessi delle collettivit locali. Si tratta, infatti, di aspetti non apprezzati n valutati dall'Amministrazione, dal momento che, con la circolare impugnata in questa sede, il Ministero dei Trasporti, dopo aver programmaticamente precisato che i documenti di trasporto occasionale internazionale sarebbero stati rilasciati soltanto alle imprese titolari di licenza comunale di servizio privato 'con conducente, ha tuttavia escluso le aziende pubbliche di trasporto, ancorch titolari di tale licenza, in relazione ai pareri espressi dal Consiglio di Stato. L'unica ragione dell'esclusione delle aziende pubbliche dal conseguimento dei documenti di viaggio sta, pertanto, negli arigomenti espressi nei pareri cennati, mentre Ja legittimit della prescrizione impugnata non potr che essere apprezzata nei limiti della motivazione addotta dall'Amministrazione. 10. -Deve, peraltro, essere ricol'dato che con i predetti pareri (ed in particolare, con que1lo del 21 ottobre 1975), Ja II Sezione del Consiglio di Stato, dopo aver ricoroato che i comuni, in economia o mediante aziende municipalizzate, possono assumere ,l'esercizio di servizi pubblici (art. 292, T.U. n. 383 del 1934 ed artt. 1 e 2 del R.D. n. 2578 del 1925), ha rilevato, sostanzialmente, che il servizio privato di noleggio con conducente non pu essere assunto dai comuni e dalle aziende municipalizzate in quanto qualificato come servizio privato dall'art. 57 del T.U. n. 393 del 1953. Con il cennato parere J.e considerazioni espresse per i comuni e le aziende municipalizzate sono ,state, altres, ritenute valide per le aziende provinciali di trasporto e per i consorzi tra ,comuni e provincie operanti nel settore dei Trasporti. Ln relazione, poi, alla circostanza, rappresentata dall'Amministrazione, secondo la quale diverse aziende municipalizzate e provincializzate risultavano gi titolari di licenze di noleggio con conducente, l'organo, consultivo escludeva sia la possibilit dii revocare le relative carte di circolazione, sia di ricorrere all'autotutela, sia infine, la possibilit di noo ammettere alla revisione prevista dall'art. 55 del codice della strada gli autobus immatricolati per servizio di noleggio con conducente, intestati a comuni, aziende municipalizzate e provincializzate e consorzi. stato ritenuto invece opportuno, nel quadro di una scelta volta a realizzare una normalizzazione graduale del settore, lasciwe per ciascun autobus inalterata la situazione attuale, solo fino a quando non venga richiesto il trasferimento, su carta di circolazione di altro veicolo, dell'annotazione di legittimazione del primo autobus a servizio pr.ivato di noleggio con conducente , tin tal modo definendo la situazione mediante la sostanziale negazione dell'abilitazione al noleggio con conducente di nuovi automezzi. Tale essendo il tenore dei pareri richiamati, risulta evidente che, come ha osservato il primo giudice, il richiamo generico ai medesimi non appare idoneo a sorreggere la circolare impugnata, nella parte in cui iha disposto l'esclusione delle aziende pubbliche, anche se titolari della licenza di noleggio privato con conducente, dal novero dei soggetti legittimati a conseguire il nuovo documento di cui all'accordo CEE/ASOR. Ci, peraltro perch con i sopra ricordati pareri (ed in particolare con quello del 1975) si era sostanzialmente ritenuto opportuno che, in relazione agli autoveicoli gi immatricolati per servizio privato di noleg PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA gio con conducente, le Aziende pubbliche continuassero a svolgere la relativa attivit. Il mero richiamo ai predetti pareri, non d, pertanto, .ragione dell'iter logico seguito dall'Amministrazione per pervenire alla esclusione di tutte le aziende pubbliche ......,. ancorch in possesso di licenza di noleggio con conducente -dal rilascio dei !IlJUOvi documenti CEE/ASOR per il trasporto occasionale internazionale. Sotto questo profilo deve, anzi, essere rilevato che, avendo l'Amministrazione ritenuto di dover accordare il rilasdo dei cennati documenti per il 'trasporto occasionale intel1nazionale ad imprese titolari di licenza comunale di servizio privato con conducente , appare illogico e contraddittorio giustificare l'esclusione -dalla possibilit di conseguire i cennati documenti -delle aziende pubbliche gi titolari della cennata licenza, in forza del richiamo e dei pareri che, proprio in relazione a tali aziende pubbliche, titolari di licenze di noleggio con conducente, suggerivano che fosse consentita, sia rpure temporarneamente, la prosecuzione dell'attivit. Come stato osservato con la decisione di primo grado, non trattandosi, nella specie, di negare l'autorizzazione a svolgere l'attivit di noleggio con conducente, ma, di pervenire indirettamente, attraverso la prec1usione al rilascio dei documenti, all'esito di impedire a determinati .soggetti ~le ,aziende pubbliche titolari di licenze di servizio di noleggio con conducente), una attivit per la quale le stesse erano gi in possesso dei requisiti abilitativi, l'Amministrazione avrebbe, quarnto meno, dovuto fruire una autonoma motivazione che desse conto dell'apprezzamento di circostanze idonee a superare le considerazioni che avevano indotto l'organo consultivo ad esprimere un avviso contrario alla limitazione dell'attivit dei medesimi soggetti. N, in contrario, pu valere quanto rilevato dall'E.N.A.T. e dalla A.N.A.C. (i cui argomenti, come si visto, devono essere presi in considerazione nella misura in oui sono volti a sostenere l'impugnazione proposta dal Ministero), secondo cui nella fattispecie non si sarebbe trattato di tollerare la continuazione di una attivit gi esercitata dalle aziende pub~iche sulla base di titoli rilasciati anteriormente al 1975 (epoca a cui risale il parere del Consiglio di Stato), ma di consentire l'esplicazione .di una nuova e diversa attivit. Ed infatti, premesso che l'unico presupposto -espressamente indicato dall'Amministrazione -per il conseguimento del nuovo documento di viaggio era costituito per noleggio privato con conducente, appare evidente che il nuovo documento non poteva essere negato alle aziende pubbliche in possesso di tale licenza, costituendo lo svolgimento del servoizio occasionale internazionale, per esplicito riconoscimento dell'Amministrazione, un'attivit comunque idonea ad esser posta in essere 1n forza del possesso della predetta licenza. 258 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Come riconosce lo stesso Ministero dei Trasporti con l'atto di appello, i servizi occasionali di trasporto internazionale hanno il medesimo carattere dei servizi nazionali di noleggio con conducente (pag. 7 dell'atto di appello): sicch non esisteva alcuna ragione (e comunque, nessuna motivazione in ;proposito ravvisabile n nella circolare n nei pareri r.ichiamati) per escludere dal conseguimento del documento di trasporto internazionale le aziende (pubbliche) gi in possesso della licenza di noleggio con conducente. 11. -Deve, peraltro, essere rilevato che, oltre per le rilevate carenze sul piano della motivazione, la circolare impugnata in pdmo grado, come ha ritenuto il Tr.1bunale, si palesa viziata da una pi radicale ragione di illegittimit, non potendo essere condiviso l'assunto, pure posto a base della esclusione impugnata e sostenuto dal Ministero appellante, secondo cui l'attivit di noleggio con conducente costituirebbe esclusivamente servizio privato ai sensi dell'art. 57, primo comma, n. 1 del d.P.R. n. 393 del 19S3, in quanto tale non assumibile dalle aziende municipalizzate; le quali potrebbero, invece, assumere esclusivamente l'esercizio di servizi pubblici, o di servizi privati nei limiti di cui all'art. 58 sesto comma del codice della strada (e cio per necessit proprie dell'ente pubblico come persona giuridica). Assume, in proposito, valore determinante fa considerazione dell'articolo 57 del codice della strada e cio della norma che, indicando come di uso privato .il trasporto di persone con autoveicoli o motocarrozzetta da noleggiare con conducente (art. 57, primo comma, lett. e), nella prospettiva della circolare impugnata in questa sede, determina l'impossibilit, per le aziende municipalizzate, di gestire tale servizio. In particolare, premesso ohe i Comuni possono gestire soltanto servizi pubblici (artt. 292 T.V. 3 marzo 1934, n. 383, 1 e 2 R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578), il problema posto dalla presente controversia consiste nello stabilire se la indicazione uso privato contenuta nel codice del1a strada, possa essere assunta come sinonimo di servizio privato, ovvero -il che lo stesso -se la distinzione tra uso privato ed uso pubblico posta dal T.V. n. 393 deJ 1959 con riferimento agli autoveicoli e motocicli ammessi alla circolazione si collochi sullo stesso piano della distinzione tra servizio privato e servizio pubblico. Il Collegio ritiene che a tale quesito debba essere fumita risposta negativa. L'art. 57 del T.V. del 1959, inserito nel capo III, concernente l'ammissione dei veicoli alla circolazione, dispone che gli autoveicoli, i motocicli ed i rimorchi possono essere destinati ad uso privato (art. 57, primo comma, n. 1), ovvero ad uso pubblico (art. 57, primo comma, n. 2), distinguendo successivamente i singoli casi di uso pubblico da quelli di uso privato . PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Gi da tale prima ricognizione appare, pertanto, evidente l'impossibilit di riferire la distinzione uso pubblico -uso privato all'altra servizio pubblico -servizio privato; e, correlativamente 'l'impossibilit di considerare i singoli oasi di uso pubblico e di uso privato ivi previsti come altrettante ipotesi 1ricondudbili ri:spettivamnete ad un servizio pubblico ovvero ad un sernizio privato. La normativa contenuta nell'art. 57, , infatti, volta a disciplinare l'ammissione alla circolazione degli' autoveicoli, ed in tale logica, di conseguenza, non pu che essere letta la distinzione tra uso pubblico ed uso privato da essa introdotta. La stessa distinzione uso pubblico-uso privato appare poi espressamente ed esclusivamente riferita agli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi e cio ai mezzi da immettere nella circolazione, sicch la stessa, non pu, con ogni evidenza, essere riferita ad un servizio che costituito invece da una attivit o da un complesso di attivit. La distinzione uso pubblico -uso privato di aui all'art. 57 indica infatti l'utilizzazione che pu essere effettuata dei singoli mezzi, ai fini della circolazione, da parte degli utenti dei medesimi, ma non dice nulla in ordine al diverso problema della natura dell'attivit svolta dai soggetti titolari di tali mezzi. La disciplina di cui all'art. 57 , infatti, esclusivamente volta a descrivere le diverse esigenze che possono essere soddisfatte attraverso l'utilizzazione dei singoli mezzi _(trasporto di persona; trasporto cli persona con o senza conducente; trasporto di persona o cose in servizio da piazza o di linea) e non, invece, a qualificare l'attivit che viene posta in essere attraverso l'approntamento e l'utilizzazione del mezzo. Non a caso, infatti, la norma in esame introduce una distinzione che attiene esclusivamente all'uso del mezzo da parte dell'utente, -e cio alla modalit di fruizione da parte di questo -e non alle finalit ed agli interessi .che attraverso le diverse utilizzcioni del mezzo si intendono realizzare o perseguire. L'impossibilit di trasferire la distinzione tra uso pubblico ed uso privato, introdotta dall'art. 57 del Codice deHa strada, sul piano della dicotomia servizio pubblico -servirlo privato (e cio sul piano della qualificazione dell'attivit in relazione alla ;rispondenza ad interessi generali) risulta, peraltro, confermata dalla considerazione dei singoli casi che il medesimo art. 57 riconduce all'uso pubblico o all'uso privato . Basta, a tal fine, considerare che l'art. 57 del d.P.R. n. 393 del 1959 ricomprende nella nozione di uso pubblico , oltre che il trasporto di persone o di cose in servizio di linea (lett. b), soltanto il trasporto di pernone o di cose in servizio da piazza . Se, infatti, dovesse ritenersi la distinzione a uso pubblico ed uso privato del mezzo sovrapponibile a quella servizio privato -s>ervizio RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELW STATO pubblico, dovrebbe anche affermarsi che il trasporto di persone o di cose in servizio da piazza costituisca un vero e proprio servizio pubblico nel senso di servizio originariamente riservato all'autorit pubblica, laddove appare evidente che il medesimo un servizio che, pur assoggettabile a regolamentazione perch interessante la collettivit (ed in questo senso di mteresse pubblico), ben pu essere affidato a privati, rientrando la relativa attivit nella sfera della generale capacit dei soggetti di diritto. In particolare con riferimento al servizio di auto pubbliche da piazza (che quello preso in considerazione dall'art. 57, primo comma, n. 2, lett. a, del Codice della strada) stato espressamente affermato che esso, nonostante l'evidente impropria qualificazione di servizio pubblico dovuta al linguaggio corrente, costituisce attivit gi compresa nella naturale capacit e libert dei privati, anche se facoltativamente assoggettabile a .disciplina da parte dell'Amministrazione, consistente nel rilascio di apposite licenze (Sez. V, 11 marzo 1966, n. 430). L'impossibilit di considerare l'uso privato di cui cenno nell'art. 57 come serviizio privato '---quindi non municipalizzabile -, poi, ulteriormente confermata dal secondo comma del medesimo art. 57, il quale dispone che previa autorizzazione dell'Ispettorato della Motorizzazione civile gli autobus destinati a noleggio con conducente possono essere impiegati, in via eccezionale, in servizio di linea e viceversa , La norma, infatti, prevedendo che in via eccezionale autobus destinati ad uso iprivato (quale queHo di noleggio con conducente) possono essere destinati ad un uso pubblico (il servizio di linea) implica, almeno tendenzialmente, una sostanziale omogeneit tra il noleggio con conducente ed il servizio di linea (rispondendo sia il primo che il secondo ad una esigenza di trasporto dell'utenza), non apparendo appunto possibile il mutamento di utilizzazione nell'assenza di tale tendenziale omogeneit. La .norma, d'altra parte, intende rispondere alle esigenze delle imprese esercenti servizi di trasporto, consentendo alle medesime, sia ;pure in via eccezionale, l'impiego secondo un ruso pubblico di propri. mezzi destinati ad uso privato e viceversa. Ci rende palese ohe l'art. 57 non si occupa in alcun modo della qualificazione (se pubblica o privata) dei servizi di trasporto e delle imprese che gestiscono tali serviu, ma che, invece, esso riguarda soltanto le modalit di utilizzazione degli automezzi. La facolt di utilizzare mezzi ad uso privato in servizio di linea (e cio per uso definito pubblico dal Codice della Strada), deve, infatti, essere riconosciuta anche alle imprese private di trasporto, le quali gestiscono servizi che, pur interessando la collettivit, non possono che essere ricondotte ad una attivit che costituisce manifestazione della naturale capacit e Libert dei privati. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 12. -Se dunque nessun elemento pu essere tratto dalla qualificazione come ad uso privato del.,IIloleggio con conducente, contenuta nel Codice della stra:da, per dedurne l'impossibilit di procedere alla municipalizzazione del relativo servizio, deve essere osservato che nessun ostacolo, a tale esito, sembra pervenire dalla legislazione comunale e proviinciale e dalla legge sulla municipalizzazione dei servizi. L'art. 292 del T.U. del 1934 dispone in via generale che i comuni e le province possono assumere nei casi e nei modi stabiliti dalla legge, l'impianto e l'esercizio diretto dei pubblici servizi . La norma, pertanto, pur prevedendo m astratto la possibilit per i comuni di procedere all'assunzione di pubblici servizi, rimanda alla fonte legislativa per fa determinazione delle relative condizioni e dei limiti. L'art. 1 del R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578, dopo aver affermato in via generale la possibilit dei Comuni di aswmere l'esercizio diretto dei pubblici servi:ci, offre una. elencazione dei medesiini, che, alla stregua della dizione normativa ( e segnatamente di quella relativa agli oggetti seguenti), ha natura meramente esemplificativa e non certo taJSSativa. In tale elencazione risultano, peraltro, compresi al n. 14, anche i servizi attinenti all'impianto ed esercizio di omnibus, automobili ed ogni altro shnile mezzo, diretto a provvedere alle pubbliche comunicazioni. L'ampiezza della dizione legislativa, ohe, da una parte, fa riferimento all'impianto ed esercizio di omnibus, automobili ed ogni altro siinile mezzo, e, dall'altro, qualifica gli stessi solo in relazione alla finalit cui i medesimi obbediscono (diretti a provvedere alle pubbliche comunicazioni), rende palese che possono essere municipalizzati tutti i servizi volti ad assicurare pubbliche comunicazioni, con qualunque mezzo gli stessi siano effettuati, ed a prescindere delle modalit concrete di organizzazione del servizio. La legge infatti, proprio con riferimento all'ampiezza della prescrizione in essa contenuta, lascia chiaramente intendere che possono essere assunti dai comUIIl, in ragione del peculiare interesse pubblico ad essi connesso, tutti i servizi volti comunque ad assicurare le pubbliche comunicazioni, indipendentemente dal tipo di mezzo prescelto e dalle modalit concrete con cui si provveda a tale scopo. Considerata l'ampiezza della previsione normativa, nella relativa prescrizione rientra certamente anche l'attivit di noleggio con conducente. Si visto sopra come la qualificazione ad uso privato fornita dal Codice della strada non possa essere considerata ostativa, attenendo .essa non alla natura del servizio, ma alle modalit di utilizzazione del medesimo; qui il caso di aggiungere che anche l'esercizio dell'attivit di RASSEGNA DEl.l.'AVVOCATURA DELLO STATO noleggio con conducente ha riferimento alla necessit di provvedere alle pubbliche comunicazioni, sicch non sussiste alcuna ragione per escludere la stessa dalla possibilit di municipalizzazione. In particolare, se il serviziio pubblico di trasporto attiene a tutto ci che idoneo ad assicurare le pubbliche comunicazioni, ~ppare evidente che l'esercizio dell'attivit di noleggio con conducente nient'altro costituisce se non una modalit particolare di organizzazione del servizio pubblico. 13. -H vero infatti che la nozione di swvizio pubblico non pu essere definita in astratto, in relazione al tipo di attivit cui es,so si riferisce ed a prescindere da un contesto normativo che la qualifichi. Cos , ad esempio, per l'attivit di autoservizio di lilllea che si effettui con itinerari fissi (attivit che diversa da quella di noleggio con conducente), che costituisce a servizio pubblico tin virt di una apposita previsione normativa (art. 1 legge 28 settembre 1939, n. 1822) che come tale espressamente lo disciplina, riservandolo ab origine all'Amministrazione pubblica. Cos , anche, per la nozione di serviziio pubblico mumcipalizzabile assumibile, cio, da parte dei Comuni -che non pu essere stabilita in astratto, ovvero in relazione a previsioni normative dettate per altre finalit, ma che non pu che essere determinata avuto riguardo ai caratteri ed agli elementi in proposito desumibili dall'art. 1 del R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578. Questo, fornendo una elencazione non tassativa di attivit municipalizzabili, lascia chiaramente intendere quale sia la nozione di servizio pubblico che stata presa in considerazione ai fini della municipalizzazione, o se si vuole, indica implicitamente i tipi di servizi municipalizzabili. Ora, se si ~arda all'elencazione di cui all'art. 1 del T.U. sulle municipalizzazioni, facile rendersi conto che m esso sono ricompresi sia servizi individuati espressamente od implicitamente come ad uso pubblico (e cio offerti indistintamente alla collettivit), sia servizi individuati ad uso privato (che si attuano, cio all'interno di un rapporto che si instaura con un singolo ,soggette o con un gruppo ,di soggetti: basti pensare al servizio di trasporto funebre, che indiscutibilmente ad uso'privato) ed in ogni caso 'servizi di interesse generale, rispondenti, cio, ad interessi generali, la cui realizzazione pu peraltro essere affidata (ed , anzi, normalmente affidata) a soggetti privati (si pensi, ad esempio, all'impianto ed all'esercizio di farmacie, ai trasporti funebri, alla. costruzione di molini e forni, di stabilimenti per la macellazione, di bagni e lavatoi pubblici, di asili notturni: art. l, nn. 6, 8, 9, 10, 12 e 14). Val quanto dire, che, nel sistema del R.D. n. 2578 del 1925 la nozione di servizio pubblico municipalizzabile non quella di servizio re lativo ad una attivit sin dall'origine necessariamente .riservata all'Aro 1 l; i: PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA ministrazione ed eventualmente trasferibile ai soggetti privati in virt di un rapporto di concessione, (c.d. servizi pubbLici in senso stretto), ma l'altra, di serviZJio rispondente ad esigenze di utilit generale o ad essa destinato, in quanto preordinato a soddisfare interessi della collettivit, e tuttaVSerne titolari (VI, 29 novembre 1988, n. 1291). Tale impostazione trova la sua ulteriore giustificazione nella circostanza che mentre i triasporti internazionali occasionali, che la citata sentenza ha ["itenuto possano essere assunti anche dagli enti locali, hanno la funzione precipua di soccorrere necessit determinatesi sul territorio dell'ente locale, i servizi di linea solo in minima parte assolvono a tale funzione, mentre principalmente sono destinati ad integrare la rete del trasporto per tutta la collettivit nazionale, L'accoglimento di tale motivo, dal quale discende fannullamento della concessione all'ATP, comporta la reiezione dell'appello da questa proposto. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE -Sez. Un. 7 luglio 1988 n. 4482 -Pres. Gra- nata -Est. Lipari -P. M. Paolucci {conf.). Soc. S.I.R. c. Ministero delle Finanze {avv. Stato Palatiello). Tributi in genere -Contenzioso tributario Condono Estinzione del giudizio -Controversia sulla condonablllt Appartiene alla giurisdizione del giudice davanti al quale pende la controversia. La controversia sulla spettanza del condono deve essere decisa dal giudice innanzi al quale pendente la controversia di merito in quanto rilevante sulla estinzione del processo, e non dalla commissione tributaria adita contro il provvedimento amministrativo di rigetto della istanza (1). (omissis) 2. I riassunti-motivi sono tutti privi di giuridico fondamento. Assume nel primo mezzo la societ ricorrente che, rientrando certamente la questione dell'applicabilit o meno del condono nella competenza delle commissioni tributarie, la Corte di appello avrebbe errato nell'escludere la pregiudizialit di tale profilo, rifiutando di sospendere il giudizio nell'attesa della relativa pronuncia, richiamandosi ad un indirizzo giurisprudenziale da considerare ormai superato. Si osserva al riguardo che l'art. 11 del d.l. n. 660 ha previsto la sospensione del processo a seguito della presentazione della domanda di condono e la successiva estinzione per effetto dell'iscrizione a ruolo, della liquidazione o del pagamento, ponendosi la legge del condono quale ius superveniens nei soli confronti del giudice davanti al quale pende la controversia, privandolo temporaneamente (sospensione), o definitivamente (interruzione) di potestas decidendi. La Corte d'appello, avrebbe dovuto, pertanto, sospendere il giudizio sino all'esito definitivo della controversia sul condono (trattandosi nella , specie di stabilire non tanto se sussistessero i presupposti per l'acco- Iili I,, (1) L'orientamento giurisprudenziale sul punto sempre stato oscillante; l'ultima pronunzia, riferita al condono del 1982 (ma non sembra che la soI ilJ luzione possa essere diversa in ragione della norma di condono da applicare), -era in senso del tutto opposto (Cass. 10 febbraio 1987 n. 1385, in questa Rassegna, 1987, I, 409 con richiami di precedenti contrastanti). ~; 1::: - - - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA glimento della domanda di condono, ma di verificare se, a seguito dell'ammissione al condono, potesse richiedersi il parziale rimborso di imposta gi pagato. Le esposte argomentazioni non colgono nel segno. Non esatto che la proposizione della domanda di condono faccia venir meno temporaneamente la giurisdizione del giudice ordinario adito. Non ipotizzabile concettualmente un profilo attinente alla giurisdizione in termini di asserita carenza temporale della giurisdizione stessa dipendente dallo svolgimento e dall'esito del giudizio sulla sussistenza nella specie dei presupposti per fruire del condono. Nemmeno se fosse esatta la divaricazione ipotizzata fra la cognitio sull;i /pretesa tributaria in quanto tale e cognitio sulla sussistenza dei presupposti per fruire del condono si potrebbe impostare un ragionamento in termini di difetto temporaneo di giurisdizione, giacch anche in questa ipotesi non viene meno la giurisdizione in quanto tale, ma resta analizzata solo la possibilit di esercitare, emettendo una pronuncia di merito, quella potestas iudicandi cui, del resto, con singolare lapsus, si riferisce la stessa societ ricorrente. Ma, pi radicalmente, la stessa premessa da cui muove la SIR a non poter essere condivisa, giacch la vicenda dell'applicabilit o meno del condono ad una determinata fattispecie attenendo ad un fatto estintivo della pretesa, rientra, come tale, nella competenza giurisdizionale del giudice di tale pretesa {giurisprudenza costante). 3. L'essere stata assegnata la causa a queste Sezioni Unite per un preteso difetto temporaneo di giurisdizione induce il Collegio a spendere qualche parola per negare validit al concetto e ricondurre la situazione ipotizzata nell'ambito del condizionamento della potestas iudicandi per l'ipotesi di attribuzione divaricata di competenza giurisdizionale, condizionamento di cui, peraltro, nel caso di specie, non sussistono i presupposti dovendosi ricondurre, come gi rilevato, alla competenza del giudice della pretesa tributaria la cognizione sulla spettanza del diritto del contribuente a godere del condono. L'innestarsi nell controversia d'imposta, retta dalle norme sul contenzioso tributario vigenti anteriormente alla riforma del 1971-73 (opposizione all'apposizione fiscale per imposta di registro davanti al giudice ordinario e non ancora davanti alle commissioni tributarie) di una parallela vicenda circa la sussistenza del diritto del contribuente ad avvalersi del condono e circa le conseguenze dell'istanza stessa in ordine alla eventuale restituzione di quanto gi pagato in adempimento della obbligazione nel suo originario ammontare non decurtato dalle soprav 280 RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO venute norme di favore, (negate dall'amministrazione) determinando un ricorso non gi davanti allo stesso giudice ordinario, ma davanti alle commissioni tributarie, non fa venir meno l'attribuzione astratta di giurisdizione al giudice designato dall'ordinamento, ma comporta puramente e semplicemente che la potestas decidendi del giudice stesso, ove un meccanismo di giurisdizione condizionata sia stato introdotto, resti quiescente non essendo consentito al giudice adito medio tempore di pronunciare nel merito. Nemmeno in tale ipotesi si pone un problema di difetto temporaneo di giurisdizione, essendo il relativo concetto (cui pure in passato la giurisprudenza di questa Corte si richiamata) dogmaticamente indifendibile, e si deve parlare, correttamente, di giurisdizione condizionata, nei suoi sbocchi di merito, al verificarsi di deter minati eventi. Messo in chiaro, perci, che non di sussistenza hic et nunc della giurisdizione si tratta, ma di attualit o meno delle possibilit di esercitare nel merito la potestas iudicandi, il problema della sospensione del giudizio sulla opposizione alle ingiunzioni fiscali, in attesa della conclusione della pregiudiziale vicenda sulla esistenza dei presupposti per fruire del condono appare affrontato e risolto dalla impugnata sentenza in termini rigorosi e corretti, essendo pervenuta la Corte di appello allo stesso risultato gi ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione, anche a Sezioni Unite, che cio il I I f.' condono fiscale costituisce un fatto modificativo o estintivo della pretesa tributaria controversa, sicch della sussistenza di tale fatto, cosl come di qualsiasi altro fatto che modifichi o estingua i diritti in discussione competente a conoscere, per affermarlo o negarlo, lo stesso giudice che deve affermare o negare la sussistenza della pretesa, tenendo conto dello ius superveniens. Con recente sentenza in tema di rapporti fra cognizione riguardante I l'applicabilit del condono fiscale e cognizione sulla sussistenza della ., pretesa tributaria i(Cass. S.U. n. 1878 del 1987) questa Corte regolatrice ha puntualmente rilevato che qualora il giudizio di opposizione avverso ingiunzione fiscale davanti al giudice ordinario venga sospeso, per effetto di presentazione da parte del contribuente di domanda di condono, secondo la disciplina dettata dal d.l. n. 660/73 {convertito nella L. n. 823 del 1973) ed il contribuente medesimo, vista respingere dall'ufficio tale istanza, ricorra, contro il provvedimento negativo alle commissioni tributarie, deve dichiararsi il difetto di giurisdizione di tali commissioni a conoscere deHa spettanza o meno del suddetto beneficio, poioh la relativa questione, inerendo ad un fatto estintivo o modificativo della pretesa tributaria, rientra nell'ambito della cognizione del predetto giudice ordinario adito con l'opposizione. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA La fattispecie richiamata, sia pure in termini specularmente inver titi, si attaglia alla presente vicenda, giovando precisare che, mentre sul versante della giurisdizione ordinaria un discorso sulla eventuale carenza di giurisdizione deve affidarsi alla labile nozione di difetto temporaneo di giurisdizione, proprio il riconoscimento che si tratti di profili attinenti alla cognizione del giudice della pretesa tributaria (che era appunto, prima della riforma, il giudice ordinario) comporta che nello stesso contesto temporale di vicende disciplinate dalla nor mativa anteriore alla riforma, non sia ipotizzabile in alcun modo la competenza delle commissioni stesse, valendo il principio del pieno parallelismo di competenza in ordine alla pretesa tributaria ed in ordine alle vicende modificative od estintive di tale pretesa (fra le quali deve essere annoverato il condono ). Spetta perci sempre e solo al giudice davanti al quale pende la controversia tributaria accertare se la stessa sia riconducibile o meno al paradigma di quelle cui si riferisce il condono (cfr. Cass. 2534/76; 4254/76). Ne consegue de plano che il ricorso del contribuente contro il provvedimento di rigetto dell'istanza di condono fiscale non comporta la sospensione necessaria del processo di opposizione all'ingiunzione, dato che la circostanza che il medesimo abbia successivamente presentato istanza di condono fiscale ed impugnato il provvedimento negativo dell'ufficio davanti alle commissioni tributarie no1,1 incide sul potere del giudice di accertare se il richiesto condono sia stato a ragione o a torto negato, trattandosi di indagine necessaria per il riscontro della sussistenza del diritto fatto valere .dall'a1nministrazione con l'ingiunzione fiscale (cfr. Cass.: 1935/81; 4279/80; 1112/79; 651, 2679, 5604/78; 4370/76). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 luglio 1988 n. 4559 -Pres. Falcone Est. Vercellone -P. M. Grossi (conf.). -Balducci (avv. Romano) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Arena). Tributi in genere Contenzioso tributario Impugnazione Acquiescenza della Amministrazione Indisponibilit dell'obbligazione Compa tibilt. (c.p.c. art. 329). L'indisponibilit dell'obbligazione tributaria non costituisce un impedimento assoluto ad una manifestazione tacita di acquiescenza da parte dell'Amministrazione ed i fatti concludenti da cui l'acquisizione emerge non devono consistere in attivit portate a conoscenza dell'altra 282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO parte; di conseguenza l'acquiescenza desumibile dalla cancellazione degli articoli del campione eseguita dall'ufficio del registro su autorizzazione dell'intendenza di finanzai(l). (omissis) Il ricorso contiene le seguenti dogliame. 1) violazione e falsa applicazione dell'art. 329 cod. proc. civ. L'Amministrazione avrebbe manifestato univocamente la volont di far acquiescenza alla decisione di primo grado sia attraverso la comunicazione dell'intendenza di finanza all'ufficio del registro di Fano e all'Ufficio distrettuale delle imposte, sia dando esecuzione alla decisione mediante l'annullamento dei crediti di imposta e la cancellazione dei relativi articoli -campione. Erroneamente la Corte di appello avrebbe ritenuto necessaria la comunicazione della rinunzia ai contribuenti che, viceversa, non occorreva, trattandosi di accettazione tacita. 2) violazione dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. Difetto di motivazione sulla ritenuta incompatibilit dei fatti dedotti con la volont dell'amministrazione di impugnare la decisione sfavorevole. 3) Violazione e falsa applicazione dei principi di diritto in materia di manifestazione di volont della P. A. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che la P. A. non possa esprimere la sua volont se non in forma solenne e non anche attraverso un comportamento concludente e non equivoco. 4) Violazione e falsa applicazione dell'art. 15 della legge 6 agosto 1967 n. 765 (art. 41 ter, della L. 17 agosto 1942 n. 1150). I giudici del merito avrebbero errato nel ritenere che la violazione della licenza edilizia in quanto limitata alla destinazione e alla strutturazione di ambienti interni (nella specie, del sottotetto) integri una causa di esclusione dalle agevolazioni . fiscali. 5) Violazione e falsa applicazione della stessa norma, sotto diverso ' . profilo. ' , (1) Identiche sono le decisioni 6 luglio 1988 n. 4419 e 8 luglio 1988 n. 4518. II La decisione non convince. i:!. seriamente dubbio che l'ufficio che ha il potere di proporre (o non proporre) l'impugnazione possa validamente dichiarare di accettare la deci6l f sione o di rinunciare a proporre l'impugnazione; e comunque una dichiarazione del genere, del tutto atipica, non dovrebbe precludere l'impugnazione. Ancor meno pu condividersi l'affermazione che il registro del campione sia pub li blico e che le risultanze di esso siano destinate ad essere conosciute dal contribuente. i . Ili PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA La decadenza, se ritenuta, avrebbe dovuto essere considerata limitatamente alla sola unit immobiliare costruita in difformit dalla licenza e non all'intero edificio. Possono essere esaminati congiuntamente i primi tre motivi del ricorso che tutti :investono la decisione sul punto della asserita (o negata dalla Corte d'appello) acquiescenza da parte della Pubblica Amministrazione alla decisione delle Commissioni tributarie. Va premesso che l'acquiescenza -qualora non risulti da una accettazione espressa della sentenza e da una espressa rinuncia di impugnarla -pu desumersi soltanto da fatti univoci incompatibili con la volont di avvalersi della impugnazione; e che 1'acoertamento deUa volont della parte di prestare acquiescenza giudizio di fatto che compete anche a questa Corte trattandosi di accertare un elemento di immediata rilevanza processuale, in quanto preclusivo dell'impugnazione (Cass. 3964/68, 2709/78), e produttivo di giudicato interno. Va ancora premesso che il principio dell'indisponibilit dell'obbligazione tributaria va coordinato' -quando tale obbligazione costituisce oggetto di contenzioso giurisdizionale -con le norme che disciplinano il processo tra cui appunto quelle relative all'acquiescenza, applicabili alla P. A. come a qualsiasi altra parte in causa. dunque inesatta l'affermazione a carattere generale per cui non sarebbe ammissibile riguardo alla P. A. una forma di acquiescenza tacita di una decisione per essa sfavorevole in quanto la P. A. dovrebbe sempre adeguare le manifestazioni della sua volont a forme obbligate, formali e sacramentali. Tale principio nella materia considerata non sussiste; le manifestazioni di volont della Pubblica Amministrazione nel processo sono soggette al regime proprio delle attivit di qualsiasi parte del processo stesso, e quindi possono anche essere tacite, sempre che si accerti l'esistenza di un comportamento concludente cui la legge attribuisce rilevanza. Non sussiste la regola per cui ogni manifestazione di volont delle P. A. deve rivestire forme obbligate, diverse da quelle previste per le altre parti. pure inesatta l'affe:tmazione secondo cui la risoluzione della parte rinunciante deve essere portata a conoscenza dell'altra. Ci pu essere vero per quanto riguarda l'accettazione espressa, ma non per l'acquiescenza che. si desume da fatti incompatibili. Questi, per definizione, sono appunto fatti , non dichiarazioni e men che mai comunicazioni: sufficiente, anche se necessario, che quei fatti siano venuti a conoscenza delia controparte la quale li abbia appunto percepiti e valutati come incompatibili con la volont di avvalersi. delle impugnazioni ammesse dalla legge come tali li abbia dedotti. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 284 g infine non condividibile l'ulteriore affermazione secondo cui tutto il comportamento della P. A. quale descritto dai contribuenti sarebbe rimasto confinato nella sfera degli atti interni alla P. A. Ci pu certo affermarsi per la corrispondenza intercorsa tra Ufficio ed Intendenza di Finanza, non invece per la cancellazione degli articoli di credito, che atto che si manifesta all'esterno (in quanto risulta dal registro -pubblico -del campione) ed perfettamente conoscibile, per sua natura, da parte del contribuente; e proviene dall'organo che era legittimato ad impugnare la decisione della Commissione di primo grado. Nel corso della motivazione, e dunque al di l delle affermazioni di principio ora riportate, i giudici anconetani, hanno affermato che giammai tuttavia i fatti cui si riferiscono gli istanti potrebbero considerarsi di conoludenza ,tale da escludere, siccome con essi incompatibile, la volont dell'amministrazione medesima di resistere ad una decisione; onde potrebbe apparire che una valutazione di quei fatti sarebbe stata fatta dalla Corte di appello. Ma, come esattamente rilevano i ricorrenti, questa affermazione proprio soltanto una asserzione, non fondata su distinta valutazione di fatto, giustificata dunque soltanto dai postulati astratti prima ricordati e dei quali questa Corte ha ora ritenuto l'infondatezza. Una logica valutazione di quei fatti impone invece di ritenere che, con la cancellazione degli articoli di campione l'Ufficio -avuto anche il benestare dell'Intendenza di finanza -assumeva come definitiva, e non intendeva impugnare, la decisione del giudice tributario di primo grado. Il ricorso va dunque accolto, risultando assorbiti gli altri motivi di esso. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 luglio 1988 n. 4714 -Pres. Vela Est. Maltese -P. M. Lo Cascio (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Siconolfi) c. Ferretti. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro e imposta sul valore aggiunto Permuta Regime anteriore al nuovo T.U. 26 aprile 1986 n. 131 Unitariet dell'imposizione Assoggettamento alla imposta di registro della sola eccedenza del valore rispetto al bene assoggettato ad IVA. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, artt. 38 e 41). La norma dell'art. 40 del nuovo T.U. sulla imposta di registro 26 aprile 1986 n. 131, secondo la quale nel caso di permuta di bene soggetto ad IVA con bene soggetto a registro entrambi i tributi sono dovuti sulla correlativa prestazione, innovativa, precedentemente, vigendo il PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 285 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, la permuta era considerata anche agli efftti fiscali contratto unitario, si che nel caso di equivalenza di valore l'assoggettamento all'I.V.A. di uno dei beni comportava l'applicazione dell'imposta fissa sull'altro bene permutato, mentre l'imposta proporzionale di registro era durata solo quando il bene permutato non soggetto ad IVA era di valore eccedente e nei limiti di detta eccedenza (1). (omissis) La ricorrente denuncia, con l'unico mezzo, la violazione degli artt. 38 e 41, 1 e 2 comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 e artt. 11 e 13 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. Sostiene che, se nessuno dei beni permutati soggetto all'I.V.A., dovuta, secondo la regola dell'art. 41, n. 2 I. n. 634 del 1972, l'imposta proporzionale di registro sul bene di maggior valore; se entrambi sono soggetti all'I.V.A., dovuta, per il principio di alternativit, la sola imposta fissa di registro (artt. 11 I. n. 633 del 1972 e 36 I. n. 634 del 1972); se, come nella specie, un solo bene soggetto all'I.V.A., si applica la stessa regola dell'art. 41, n. 2 I. n. 634 del 1972, ed , quindi, dovuta l'imposta proporzionale di registro sull'immobile di maggior valore (l'area fabbricabile: Lire 27.000.000). Il ricorso infondato. Secondo l'Amministrazione ricorrente, se, a fronte di prestazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto, sono previste controprestazioni soggette all'imposta di registro, entrambi i tributi sono dovuti, ognuno sulla correlativa prestazione. Questa, indubbiamente, la regola sancita dalla nuova legge di registro D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 {T.U. delle disposizioni concernenti l'imposta di registro). Per la prima volta, infatti, la nuova legge ha affrontato in modo espresso il problema della tassazione degli atti che contengono permuta di beni rientranti in regimi tributari diversi, perch soggetti, rispettivamente, all'I.V.A. e all'imposta di registro. E ha inteso risolvere tale problema (art. 30, n. 2, in rei. all'art. 11 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) riconoscendo l'autonomia della tassazione delle singole prestazioni, sebbene le stesse derivino da un contratto, come quello di permuta, da considerare unitariamente sotto il profilo civilistico {in tal senso, C. M. 37/220391 del 10 giugno 1986, Dir. Gen. Tasse). (1) Non constano precedenti. La statuizione non convince a pieno. L'unitariet del negozio, come riconosciuta nell'art. 41 n. 2 del d.P.R. n. 634/1972, tale nell'ambito della imposta di registro, mentre esclusa nell'ambito del- 1'1.V.A. dall'art. 11 del d.P.R. n. 633/1972; quando le due norme vengono a conflitto la coordinazione deve rispondere a criteri finalistici secondo l'ispirazione delle due imposte; sembrerebbe pi logica la separazione delle imposizioni che non altera il regime delle rivalse. 286 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Ma tale disposizione ha carattere sicuramente innovativo. Prima della sua entrata in vigore la permuta era considerata in modo unitario sotto il profilo non solo civilistico ma anche fiscale perch nel negozio di permuta una cosa tien luogo di prezzo e di } ~ corrispettivo dell'altra; talch la tassa -come nella vendita -non colpisce se non il trasferimento di una sola cosa. Correttamente, quindi, la giurisprudenza della Commissione Centrale ha ritenuto che a norma del combinato disposto degli artt. 38 e 41, n. 2 D.P.R. 26 ottobre 1942, n. 634, nei confronti di un contratto di permuta che, ai fini fiscali, da considerare come atto unitario, l'imposta di registro si applica in misura fissa se il maggior valore costituito dal bene permutato soggetto ad I.V.A., mentre se il maggior valore costituito dal bene non soggetto a I.V.A. l'imposta si applica in misura proporzionale e la base imponibile costituita dalla differenza tra questo maggior valore e quello iniziale del bene permutato soggetto a I.V.A. con la conseguenza che quando la permuta avviene a parit di valori non individuabile una differenza di valore su cui applicare l'imposta proporzionale di registro (dee. n. 2535 del 14 marzo 1985 e n. 5263 del 28 maggio 1985). Perci la sentenza impugnata ha sattamente ritenuto che l'imposta proporzionale di registro era dovuta sull'eccedenza del valore dell'area, non soggetta a I.V.A., rispetto al valore delle costruzioni future, soggette a I.V.A., che ne rappresentavano il corrispettivo nel contratto di permuta tra cosa presente e cosa futura, i~tervenuto fra la proprietaria del terreno e il costruttore, geom. Ferretti. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 luglio 1988 n. 4726 -Pres. Vercellone -Est. Jofrida -P. M. Leo {conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato Tallarida) c. Elena. Tributi erariali diretti -Imposte fondiarie -Fabbricati non conformi alla licenza edilizia -Decadenza dalle agevolazioni -Discordanza solo parziale Decadenza totale. (L. 6 ~gosto 1967 n. 765, art. 15).. La decadenza stabilita nell'art. 15 della legge 6 agosto 1967 n. 765 per le opere edilizie non conformi alla licenza, non ammette alcuna valutazione sulla sua estensione, s che ove esista contrasto con la licenza, la decadenza si verifica per l'intera opera senza possibilit di frazionamento (1). (1) Decisione da condividere. In senso diverso v. Cass. 30 marzo 1983, n. 2301 in questa Rassegna, 1983, I, 545. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 287 (omissis) Deduce l'Amministrazione ricorrente, con l'unico mezzo violazione dell'art. 15 della 1. 6 agosto 1967 n. 765 (art. 360 e 3 c.p.c.). La norma, disponendo che non possono godere delle agevolazioni fiscali le opere eseguite in difformit della licenza, non autorizza eccezioni ed applicazioni parziali discrezionali. Come non frazionabile una licenza edilizia, cos non ne frazionabile la violazione di modo che, accertato il contrasto delle opere con la licenza, la natura ed entit delle violazioni e la loro previsione normativa, doveva escludersi qualsiasi beneficio. La censura fondata. Come pi volte ricordato ~Cass. n. 250/73; n. 1210/78; n. 99/82) le agevolazioni previste dalla normativa tributaria ad hoc riguardano i fabbricati nel loro complesso e non le singole parti di cui si compongono e d'altronde fa norma ex art. 15 1. n. 765/67, nel disporre che non possano beneficiare delle agevolazioni fiscali le opere eseguite in . difformit della licenza edH.izia, nel suo tenore letterale, non lascia alcuna discrezionalit riguardo alla estensione della decadenza o del diniego delle agevolazioni: ove susshta il contrasto con la -licenza e sia della natura e della entit previste, il beneficio delle agevolazioni fiscali deve necessariamente essere negato per l'intero oggetto della licenza. Insomma, il contrasto o la violazione riguarda la licenza che unica e come non frazionabile la l'icenza, cos non frazionabile la violazione di essa n sono faazionabili le conseguenze della violazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 27 luglio 1988 n. 4768 Pres. Brancaccio Est~ Corda P. M. Caristo (conf.). Soc. Ala (avv. Cassola) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta). Tributi in genere Contenzioso tributario -Rimborsi Azione di indebito oggettivo Giurisdizione ordinaria Esclusione. Ogni volta che la pretesa dell'Amministrazione si fondi su una causa petendi di natura tributaria, la relativa contestazione ha sempre natura di controversia tributaria appartenente alla giurisdizione delle Commissioni; non configurabile una azione di indebito oggettivo proponibile innanzi all'A.G.O. (1). (1) Identica la sentenza in pari data n. 4769. Giurisprudenza ormai fermissima; la contestazione in radice del potere impositivo non pu servire a derogare alla giurisdizione del giudice speciale n se proposta in via di rimborso come azione di indebito n se proposta in via preventiva come azione 288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (omissis) 1. -L'impugnata sentenza ha respinto il gravarne della Soc. A.L.A. e ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva negato la giurisdizione del giudice ordinario, dopo aveve osservato che la controversia in atto ha natura tributaria e, pertanto, appartiene alla giurisdizione delle commissioni istituite col d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636. A tale conclusione la sentenza pervenuta dopo avere osservato che controversia tributaria la controversia in cui si discute di questioni prettamente tributarie, in esse comprese quella che ha per oggetto la negazione in radice del potere impositivo. , infatti, sufficiente che il petitum si fondi su una causa petendi di natura tributaria per aversi una controversia rientrante nella giurisdizione delle dette commissioni; di modo che deve essere attribuita natura tributaria anche alla controversia presentata come attinente a .un rapporto privatistico di ripetizione di indebito, se la ragione del pagamento ricollegata a una pretesa tributaria. N fa natura tributaria della controve11sia poteva essere negata con riferimento al fatto che la domanda proposta era (almeno in parte) di accertamento negativo, poich la regola secondo cui una tale domanda non proponibile con riferimento ai rapporti tributari aventi ad oggetto il debito d'imposta vale esclusivamente per l'accertamento negativo richiesto in via preventiva, non per quello finalizzato al rimborso del tributo che si assume indebitamente pagato. 2. -L'annullamento di tale pronuncia viene richiesto dalla Soc. A.L.A. in base ai tre seguenti motivi di censura. Il primo (col quale si denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 1 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) proposto per sostenere che la controversia non poteva essere considerata come avente natura tributaria, poich la Finanza difettava totalmente del potere impositivo nei confronti della ricorrente L'azione proposta tendeva, inf~tti, ad ottenere, non gi una pronuncia dichiarativa dell'inesistenza della pretesa fiscale , bens a ottenere una pronuncia dichiarativa dell'inesistenza del potere impositivo (in concreto negato con riferimento al fatto della mancanza dello svolgimento, in Italia, di qualsiasi attivit comrnercia1e e della mancanza della produzione, in Italia, di redditi tassabili). Il secondo motivo di censura (col quale si denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dello di accertamento negativo. Da ci consegue che trovano applicazione tutte le regole del contenzioso tributario anche ci che concerne le preclusioni e le decadenze (Cass. 27 aprile 1988 n. 3174 e 28 aprile 1988 n. 3197, in questa Rassegna, 1988, I, 421 e 422). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 289 art. 82 del t.u. approvato col d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645) presentato per sostenere che il presupposto del'la sussistenza del potere impositivo difettava in concreto, in quanto la Societ ricorrente aveva sede in San Marino e :non aveva prodotto redditi in Italia. Il terzo motivo di ricorso {col quale si denuncia, ai sensi del l'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione del l'art. 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) eproposto per sostenere che era stata richiesta una pura e semplice restituzione di somma indebi tamente pagata e che non era configurabile la fattispecie tipica del rimborso , poich la contestazione era attinente a:lla (negata) sussistenza del potere impositivo, non gi alla regolarit formale dei singoli atti impositivi. 3. -Il ricorso privo di fondamento giuridico. L'accertata insussistenza del potere impositivo, opposta all'Amministrazione finanziaria che aveva effettuato un prelievo qualificato come imposta, comporta l'obbligo dell'Amministrazione stessa di attuare il rimborso . Non una semplice restituzione , quindi (come assume la ricorrente), ma il rimborso, cos come discip1inato dalla legge tributaria. E se il rimborso viene negato, e sorge quindi una specifica controversia, la cognizione di essa specificamente attribuita (art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) alle commissioni tributarie. Controversia che -come queste Sezioni Unite hano gi avuto modo di chiarire (v., per tutte, la sent. 16 gennaio 1986, n. 210) -resta qualificata dal fatto della impugnativa del provvedimento, esplicito o implicito, di rifiuto del rimborso. Questa conclusione non muta se la ragione del demandato rimborso viene indicata nella totale carenza del potere impositivo. Non v' dubbio, secondo la regola generale, che qualunque lesione di un diritto soggettivo patrimoniale attuata dalla P. A. in carenza del potere di affievolimento del diritto medesimo, in caso di controversia deve essere conosciuta dal giudice ordinario. Ma se sul diritto patrimoniale interviene, con un tipico atto di prelievo, l'Amministrazione finanziaria, la controversia che deriva dalla pretesa dcl soggetto che ha subto l'imposizione, anche nel caso di negazione assoluta del potere impositivo, appartiene sempre al giudice tributario, istituito proprio per risolvere controversie .(anche) del tipo di quelle descritte. In altri termini, se sorge controversia tra un privato e la P.A., per la restituzione (al privato) di una somma indebitamente percetta (dalla P. A.), la controversia stessa ha natura tributaria se ricorrono (come in concreto) le due seguenti condizioni: a) l'Amministrazione quella finanziaria; b) la percezione della somma avvenuta attraverso un tipi:co atto di prelievo fiscale. Non rileva, invece, che la causa petendi sia la carenza del potere impositivo, perch tutta la materia I f: I ' ' i,! l l t 290 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO devoluta alla giurisdizione del giudice tributario, tanto se sia dedotta l'assoluta carenza del potere impositivo, quanto se venga rappresentato un semplice cattivo esercizio del potere medesimo. Irrilevante -ai fini che interessano (ossia ai fini di stabilire se correttamente il giudice ordinario ha negato la propria giurisdizione) anche l'assunto che sarebbe stato insussistente il presupposto della tassabilit in Italia. Se, infatti, l'assunto dovesse risultare fondato, dovrebbe sicuramente essere ordinato quel rimborso che l'Amministrazione ha invece negato. Ma incontestabile -dopo quanto stato detto -che l'ordine di rimborso dovr essere impartito dal giudice tributario, non da quello ordinario. Non meno irrilevante , infine, la circostanza che la domanda sarebbe stata proposta come ripetizione di indebito, non gi come richiesta di rimborso (in senso tecnico). Si gi visto, infatti, quali sono gli elementi caratterizzanti che consentono di qualificare come tributaria una controversia: e tra essi, com' evidente, non figura il petitum. D'altra parte intuitivo che, essendo stata di fatto (ma erroneamente) la controversia portata all'esame del giudice ordinario, non poteva {se si volevano rispettare le regole formali del ;processo) essere a quello domandato di ordinare all'Amministrazione finanziaria l'effettuazione del rimborso , Ma tutto ci -come si detto - irrilevante ai fini della qualificazione della controversia, per la determinazione del giudice giurisdizionalmente competente a conoscerla. (omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 agosto 1988, n. 4886 -Pres. Bologna -Est. Senofonte -P. M. Caristo {conf.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato Cocco) c. Soc. Umbra (avv. Rastello). Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Enfiteusi Determinazione imponibile ex art. 28 abrogata legge di registro Enfiteusi di azienda Inconfigurabllit. (r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, art. 38). L'enfiteusi, se pure pu avere per oggetto fondi urbani, sempre riferibile esclusivamente ai beni immobili; conseguentemente l'azienda, quale universalit di mobili, non si presta per impossibilit giuridica dell'oggetto ad essere causa di enfiteusi, cosicch il relativo negozio non pu giovarsi della speciale determinazione automatica della base imponibile stabilita nll'art. 28 dell'abrogata legge di registro (1). (1) Decisione da cona1videre pienamente. La questione ormai superata con la normativa vigente (art. 44 d.P.R. 634/1972 e art. 47 d.P.R. n. 631/1976). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 291 (omissis) L'errore fondatamente addebitato alla decisione impugnata consiste nell'aver preso passivamente atto dell'intento dei contraenti di stipulare un contratto unitario avente per contenuto (o causa) la concessione in enfiteusi dell'azienda alberghiera e nell'averne dedotto l'applicabilit al negozio, nella sua globalit, deUa particolare tecnica di determinazione (automatica) dell'imponibile prevista dall'art. 28 della previgente legge sull'imposta di registro, dando per scontata l'attitudine della azienda a porsi come oggetto del rapporto enfiteutico e senza, quindi, indagare affatto sulla compatibilit di un oggetto siffatto con la materia del contratto di cui si discute; mentre era {ed ) proprio questo il problema centraile da risolvere preliminarmente e in relazione al quale non pare che la soluzione affermativa aprioristicamente adottata dalla Commissione centrale possa essere condivisa. Per consolidata tradizione storica, fatta propria dal codice civile in vigore (artt. 957 ss.), oggetto dell'enfiteusi sono, infatti, i fondi,., ossia gli immobili, originariamente so'lo rustici e poi anche urbani, esclusi, dunque, i beni mobili, il cui catalogo, com' ampiament noto, si defi nisce per esclusione (art. 812, II comma, e.e.), con riferimento, cio, alla categoria reciproca e positivamente delimitata dei beni immobili (oltre che dei diritti e delle azioni immobiliari). Natura mobiliare deve essere, per questo, attribuita anche al:l'azienda (indipendentemente dalla sua -controversa -iscrivibilit tra le universitates rerum o iuris ), con la conseguenza che essa non si presta, per impossibilit giuridica dell'oggetto, ad essere concessa in enfiteusi e non pu, quindi, fruire dello speciatle trattamento fiscale di cui all'art. 28 cit. peraltro erronea mente inteso, anche dall'ufficio, come ostativo al giudizio di congruit, sulla base di una giurisprudenza della Commissione Centri.de, superata a partire, almeno, dalla sentenza n. 2681/1968 di questa Corte, cui la stessa Commissione Centrale si successivamente adeguata con la decisione n. 239/1980 della XIX sezione). Al risultato opposto il giudice a quo pervenuto facendosi, verosimHmente, fuorviare da remote sentenze (Cass. 679/1946, Cass. 432/1948) evocate dalla. contribuente, senza considerare che esse risultano ambientate, con riguardo alle dimensioni fattuali delle rispettive fattispecie, nell'ottica del fundus instructus , relativamente al quale il rapporto enfiteutico pienamente configurable, rispett<:> ad esso atteggiandosi le attrezzature come pertinenze dell'immobile e, perci, come cose accessorie, astratte, proprio in ragione del!la loro accessoriet e del vincolo pertinenziale, nel rapporto avente per oggetto la cosa principale (il fondo) al cui servizio sono state poste. Nel caso concreto, a:l contrario, oggetto del rapporto (come specificato nella decisione impugnata) l'azienda, la cui nozione, ormai compiutamente elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, implica un r11t1111111111r111111111r1 292 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rapporto di complementariet -incompatibile col concetto di subordinazione funzionale che contraddistingue la relazione pertinenziale -tra tutti gli elementi che la compongono e ,che globalmente concorrono a realizzare la funzione produttiva del complesso (Cass. 391/1985, Cass. 6629/1984, Cass. 2255/1984, Cass. 1584/1980, Cass. 52/1979). Ribadita, pertanto, la natura mobiliare dell'azienda e, di conseguenza, la sua inettitudine astratta a formare oggetto del contratto di enfiteusi, cos come legislativamente modellato, ne deriva che, non potendo le parti, nell'esercizio dei poteri di privata autonomia, dilatare le categorie dei beni ad esso assogettabili (afr. per riferimenti, Ca:ss. 6629 e 2225/1984, citt.), stante il principio di tipicit dei diritti reali {che -anche -tale divieto include), la decisione _impugnata, che ha diversamente statuito (o supposto), deve essere cassata, con rinvio per nuovo esame a:lla stessa Commissione Centrale, la quale si uniformer al principio di diritto secondo cui l'azienda non pu costituire oggetto di enfiteusi. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 agosto 1988 n. 4908 -Pres. Vercellone -Est. Graziadei -P. M. Leo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Fiorilli) c. Ruggeri. Tributi locali Imposta comunale sull'incremento di valore degli ilmnobili Vendita forzata -Vi soggetta. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, art. 2). La vendita forzata a seguito dell'esecuzione immobiliare soggetta all'INVIM anche in base al testo originario dell'art. 2 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 prima della modificazione introdotta con l'art. 1 del d.P.R. 23 dicembre 1974 n. 688 avente portata interpretativa (1). (omissis) n ricorso fondato. L'art. 2 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, istitutivo dell'INVIM, prende in considerazione, fra l'aHro, i trasferimenti del diritto di propriet, a titolo oneroso od a titolo gratuito, per atti tra vivi, il successivo art. 4 individua i1 soggetto passivo nell'alienante, ove si tratti di trasferimenti a titolo oneroso. (1) >Decisione indubbiamente esatta ma che non risolve il problema della attuazione concreta della imposizione. Spesso si nega che il Cancelliere, non ostante l'espressa previsione degli artt. 18 e 19, abbia il potere di prelevare dalla somma ricavata l'importo necessario per il pagamento dell'imposta liquidata in base alla dichiarazione e si assume che l'imposta, non rientrante fra le spese di giustizia, debba essere prelevata secondo l'ordine dei privilegi sta PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 293 Si ritiene che i trasferimenti a titolo oneroso, di cui alle dtate norme, comprendano anche quello disposto dal giudice dell'esecuzione immobiliare, ai sensi dell'art. 586 cod. proc. civ., il quale, pertanto, rende applicabile il tributo a carico dell'esecutato, pure prima dell'espressa previsione del nuovo testo del citato art. 2, fissato dall'art. 1 del D.P.R. 23 dicembre 1974 n. 688, avente portata meramente esplicativa. Detta affermazione si fonda sul rilievo che la disposizione in esame, sostanzialmente riproduttiva deliJ.'art. 6 n. 1 della legge delega 9 ottobre 1971 n. 825, non fornisce elementi testuali che consentano di delimitare il suo ambito di operativit alle sole alienazioni di tipo negoziale, come invece sostenuto dalla sentenza impugnata. Essa, invero, riguarda,. senza ulteriori specificazioni, i trasferimenti a titolo oneroso del diritto dominicale, e le relative connotazioni sono presenti tanto nel contratto traslativo, stipulato, dietro corrispettivo, dall'originario titolare della propriet, quanto nel decreto pronunciato in sede esecutiva in favore dell'aggiudicatario del bene, che qualificato dall'art. 586 cod. proc. civ. come atto di trasferimento, ed altres si correla al versamento del prezzo da parte del beneficiario (analogamente alla sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 2932 secondo comma cod. civ., ugualmente inclusa fra gli atti tassabili con la mnzionata riformulazione di cui all'art. 1 del d,P.R. n. 688 del 1974). L'indicato risultato ermeneutico trova un sicuro conforto nella ratio legis, ed inoltre un indiretto riscontro nei dubbi di legittimit costituzionale, in relazione all'art. 3 deliJ.a Costituzione, che potrebbero profilarsi per un'interpretazione della norma (nel suo testo originario) secondo la tesi della sentenza impugnata. Sotto il primo profilo, si osserva che l'lNVIM, nei trasferimenti a titolo oneroso, colpisce l'incremento patrimoniale di cui beneficia l'alienante, per i[ maggior valore finale del bene, rispetto a quello dell'epoca della sua precedente acquisizione; questo presupposto dell'imposizione si verifica, con identiche caratteristiche, anche nell'esecuzione forzata, atteso che la vendita giudiziale, pure se disposta indipendentemente o bilito nell'art. 2780 e.e. (Cass. 24 luglio 1987 n. 6436, in questa Rassegna, 1988, I, 168). Il problema mal posto e la sentenza ora intervenuta pu contribuire a 11imuovere le premesse. Se in termini di eguaglianza la vendita forzata non pu non essere parificata alla vendita ordinaria (e alla vendita volontariamente conclusa per acquisire disponibilit al fine di pagare i creditori) non si pre senta affatto il concorso dei creditoI1i (anteriori) con H credito di imposta che l'effetto del trasferimento; per la stessa ragione l'imposta di registro deve essere corrisposta dndipendcntemente dal concorso con i creditori. Il cancelliere ha il dovere sanzionato di provvedere al pagamento da cui non pu essere esonerato dal giudice dell'esecuzione in sede di distI1ibuzione della somma ricavata. 21 294 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO contro 'I.a volont dell'esecutato, implica l'incasso di un prezzo a suo vantaggio, senza che possa rilevare, ai fini tributari, la prioritaria destinazione di tale prezzo, per effetto del vincolo del pignoramento, al soddisfacimento del creditore procedente, data l'equipollenza, in termini di risultato economico, dell'estinzione di una posizione debitoria rispetto ad un diretto incameramento del corrispondente ammontare. Sotto il secondo profilo, va considerato che un'esenzione dell'esecutato dall'INVIM implicherebbe una diversit di trattamento, in pregiu,dizio del venditore volontario , che sarebbe priva di obiettive giustificazioni, rispetto ad un tributo correlato al mero fatto dell'evidenziarsi di un incremento di valore, in occasione della traslazione ( inter vivos ed a titolo oneroso) del diritto di propriet. Basta pensare, ad esempio, al caso di vendita negoziale per fronteggiare improrogabili bisogni, ovvero per il lodevole intento di acquisire disponibilit al fine di pagare i creditori, evitando l'esecuzione forzata, per cogliere l'arbitrariet ed iniquit. di un'imposta che gravasse su tali alienazioni spontanee , esentando invece il soggetto inerte, che preferisca subire l'espropriazione esecutiva. (omissis) I l CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 settembre 1988 n. 5195 -Pres. Scanzano -Est. Cantillo -P. M. Caristo ~diff.) Soc. Costruzioni Pesce (avv. Esposito) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Pa:latiello). I Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche Redditi di capitale Versamenti dei soci alla societ in conto capitale Fruttuosit Esclusione. -~ (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 43). I versamenti dei soci alla societ in conto capitale considerati nell'art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, non sono soltanto quelli destinati ad aumento del capitale, che sarebbero da definire conferimenti, ma anche quelli aventi natura di finanziamento (1). (omissis) Con il primo motivo di ricorso, denunziando la violazione dell'art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, la s.r.l. Costruzioni Pesce sostiene che erroneamente la decisione impugnata ha qualificato i versa . menti effettuati dai soci come finanziamenti produttivi di interessi, lad. ' I dove nella specie concorrevano i presupposti stabiliti dalla disposizione 1:: suddetta per ritenere che le somme erano state versate in conto capitale, (1) Interpretazione evolutiva della norma determinata dalla nuova lazione dello stesso art. 43 del nuovo T. U. delle imposte sui redditi. Ilr: formu !i i: {i fil ~; ~ PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 295 al quale scopo -contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione tributaria centrale -non necessario che i versamenti vengano portati in aumento del capitale n essi cambiano natura e si trasformano in mutui se a distanza di tempo, cessato il bisogno, vengano restituiti ai soci; senza dire che la norma pone una presunzione di fruttuosit dei finanziamenti, ma non di pagamento degli interessi, sicch non scatta l'obbligo di ope rare la ritenuta di acconto. La censura fondata. La Commissione tributaria di 1 grado di Salerno aveva ritenuto non operante la presunzione del diritto agli interes,si sancita dall'art. 43 cit., osservando che la societ ricorrente aveva dato puntuale dimostrazione dei presupposti della fattispecie, prevista dalla stessa norma, di esclusione della presunzione medesima per le somme versate dai soci in conto capitale, cio che la societ sia regolarmente costituita in uno dei tipi indicati dall'art. 2200 'c.c. e che i versamenti siano effettuati in base a formale deliberazione e in modo proporzionale alle quote di partecipazione dei soci aJ capitale sociale. In particolare, la Commissione aveva riscontrato l'esistenza delle condizioni suddette in base agli estratti notarili di quattro verbali di assemblea, da cui risultava che i due soci della societ avevano in pi riprese effettuato i suddetti versamenti, in proporzione delle proprie quote sociali e in conto capitaile. E questi argomenti erano stati sostanzialmente riprodotti neHa decisione della Commissione tributaria di secondo grado. La decisione ora denunziata, senza neppure menzionare gli elementi suddetti, ha negato che i versamenti possano essere considerati infruttiferi, osservando che: la natura di veri e propri prestiti risulta dalla circostanza -affermata dall'Amministrazione e non contestata dalla societ -che in seguito le somme sono state restituite ai soci ; comunque, non ogni finanziamento o prestito del socio integra un reintegro di capitale, bens solo il versamento regolarmente effettuato ail fine pacifico di concorrere a realizzare un aumento di capitale sociale preventivamente deliberato nelle forme pres,critte. Le due proposizioni -che esauriscono l'intera motivazione -non possono essere condivise. Non la prima, la quale si traduce nell'affermazione di un principio sicuramente inesatto, cio che somme versate in conto capitale in confor mit alle prescrizioni dell'art. 43, e perci non qualificabili come mutui fruttiferi, possano ricevere tale qualificazione ex post solo perch succes ' . sivamente, magari dopo un notevole periodo di tempo, la societ provveda a corrispondere ai soci somme di uguale importo (vale a dire neppure aumentate di interessi). Una tale operazione, ancorch venii;se espressamente giustificata come restituzione dei precedenti versamenti (il che nella specie non risulta, ,,,,.,,.,.,1111111111111~ 296 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO giacch la decisione impugnata non fornisce alcuna informazione circa l'epoca, le modalit, le denominazioni delle relative poste e verosimilmente iscritte in bilancio, etc.), potrebbe costituire, al limite, il fondamento di una presunzione di distribuzione di utili ai soci, per essere, ad es., i finanziamenti avvenuti a fondo perduto con imputazione al conto profitti e perdite, concorrendo alla formazione del risultato di esercizio; verificandosi siffatta ipotesi, per, l'operazione potrebbe legittimare una corrispondente tassazione in capo alla societ e agli stessi soci, giammai condurre a disconoscere la sostanziale conformit dei precedenti atti negoziali al nomen iuris di versamenti in conto capitale, attestato da deliberazioni e scritture contabili. Con ci non si vuol dire, ovviamente, che la restituzione delle somme versate non possa essere apprezzata come circostanza idonea a far ritenere l'esistenza di un mutuo oneroso, quando in tal senso concorrano altri elementi univoci che tolgano valore alle risultanze delle scritture. Ma questa evenienza non si configura alla stregua della decisione impugnata, Ja quale -giova ripeterlo -ha del tutto ignorato le deliberazioni dell'assemblea della societ da cui risultano -secondo quanto affermato dai giudici di primo e secondo grado -i presupposti della fattispecie di cui all'art. 43 cit., la cui esistenza o rilevanza occorreva in concreto negare. In realt, la Commissione Centrale si deliberatamente sottratta ad un'indagine di questo tipo in quanto partita dall'opinione -racchiusa nella seconda delle proposizioni innanzi riportate -che l'art. 43 sia applicabile solo ai versamenti in conto aumento di capitale; e ha (implicita mente) ritenuto perci di non doversi occupare della vicenda in relazione a tale norma, essendo pacifico che le somme versate non furono portate In aumento del capitale. Ma la tesi destituita di giuridico fondamento, giacch l'art. 43, comma 2, del d.P.R. n. 597 del 1973 si limita a richiedere che i versamenti avvengano in conto capitale, cio a titolo di finanziamento alla societ, senza affatto esigere l'ulteriore requisito della de~tinazione dei versamenti ad aumento del capitale, nel qual caso cessano, manifestamente, di essere finanziamenti per assumere la diversa natura di veri e propri conferimenti. La norma, privilegiando la realt economica piuttosto che l'aspetto formale, prende atto dell'esistenza di rapporti soci-societ non riconducibili negli schemi t.ipici della disciplina civilistica, relativi a finanziamenti finalizzati al ripianamento di perdite o ad altre esigenze, spesso transitorie, che richiedono la disponibilit di capitali liquidi; e pertanto, in presenza delle condizioni in precedenza ricordate, esclude che possa essere presuntivamente attribuita la qualifica di mutui onerosi a tutti gli apporti di capitale, qualunque sia Ja loro destinazione, dunque anche se non effet PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARlA 297 tuati in conto futuro aumento di capitale {contrariamente a quanto mostra di ritenere la decisione impugnata deve trattarsi comunque di aumenti non ancora deliberati in via formale, perci futuri). a dire, anzi, che i casi pi comuni di versamenti c.d. atipici sono proprio quelli che vengono imputati al conto profitti e perdite; fenomeno del quale si reso conto il legislatore del T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, che ha innovato la precedente normativa escludendo la natura onerosa dei versamenti dei soci, e dunque la presunzione di fruttuosit, alla sola condizione che dai bilanci allegati alla dichiarazione dei redditi della societ risulti che il versamento stato effettuato a titolo diverso dal mutuo (art. 43 del T.U., che riguarda le societ personali, essendosi ritenuta superflua un'apposita disposizione per le societ di capitali, gi tenute ai.le indicazioni di bilancio). (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 ottobre 1988 n. 5409 -Pres. Scanzano Est. Cantillo -P. M. Di Renzo {conf.). Soc. Curdo Editore (avv. Fantozzi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato La Porta). Tributi erariali indiretti. Imposta sul valore aggiunto. Presunzione dell'art. 53 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633. Prova ontrarla -Limiti. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 53). La presunzione di cessione stabilita nell'art. 53 del d.P.R. 26 otto bre 1972, n. 633, nel testo modificato con il d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 241 p1,1. essere esclusa mediante prova contraria che pu esser data nelle ipotesi della lettera a) (utilizzazione per la produzione, perdita o distruzione) con qualunque mezzo e nelle ipotesi della lettera b) (consegna a terzi a titolo non traslativo) esclusivamente con i mezzi indicati nel secondo comma; non sono quindi idonee a vincere la presunzione della lettera b) le documentazioni provenienti dai soggetti consegnatari {1). (1-2) Decisioni di evidente esattezza. La documentazione imposta dalla normativa I.VA. particolarmente rigorosa: stata dichiarata manifestamente infondata (Corte Cost. ord. n. 108/1988 e n. 395/1989) la questione di illegittimit dell'art. 55 che non consente la detrazione dell'imposta sugli acqlllisti. non risultante dalle dichiarazioni anche se documentata da regolari fatture; parimenti stata confermata la legittimit dell'art. 39 che esclude l'utilizza bilit di fatture non registrate (ord. n. 1038/88). Sul tema specifico la Cassa zione aveva gi escluso (sent. 2 dicembre 1987 n. 8953, Foro It. 1989, I, 808) l'utilizzabilit delle bolle di accompagnamento, che sono pure considerate dalla norma ma per un fine specifico. 298 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II CORTE DI CASSAZIONE, Sez I, 14. dicembre 1988, n. 6805 -Pres. Scanzano -Est. Sensale -P. M. Di Renzo (conf.). Soc. Lombardini (avv. Cassola) c. Ministero delle Finanze {aw. Stato Palatiello). Tributi erariali indiretti -Imposta sul valore aggiunto. Presunzione dell'art. 53 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 -Prova contrarla Limiti. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 53). La presunzione di cessione stabilita nell'art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, nel testo modificato con il d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24 pu essere esclusa dalla prova contraria dimos_trativa o di un fatto materiale (utilizzazione per la produzione, perdita, distruzione), ed in tale caso ammesso qualunque mezzo, o di un titolo giuridico (consegna a terzi a titolo non traslativo) ma in quest'ultimo caso sono ammessi sol tanto i mezzi indicati nel secondo comma; di conseguenza non sono. titolo idoneo a vincere la presunzione le bolle di consegna alle quali nessuna rilevanza fiscale attribuita dalla legge (2). I (omissis) Con l'unico motivo, denunziando la violazione dell'art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo originario e in quello modifi cato con: d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, la societ ricon:ente critica la deci sione della Commissione tributaria centrale per avere affermato che la presunzione di cessione di beni, nelle fattispecie di cui alla lettera b) del la norma, pu essere vinta solo mediante i documenti richiamati nel secondo comma. Sostiene che questo prevede una serie di adempimenti formali imposti al contribuente per agevolare il controllo amministrativo e la documentazione di determinate vicende dell'attivit d'impresa, ma non esclude che l'inesistenza di una cessione traslativa possa essere dimo strata, ai sensi del primo comma della norma, con ogni mezzo di prova consentito nella materia tributaria; sostiene altres che tale efficacia probatoria deve essere riconosciuta alle scritture regolarmente tenute da terzi, sicch nella specie l'affidamento delle merci in conto lavorazione era incontestabilmente provato dalle schede apprestate da essa ricorrente e conservate dalle imprese affidatarie (tipografie e legatorie). La censura infondata. L'art. 53 primo comma del d.P.R. n. 633 del 1972 -nel testo fissato da11'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, cui stato attribuito valore di interpretazione autentica, in quanto espressamente dichiarato applica bile con decorrenza dall'entrata in vigore della legge istitutiva del tri PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA buto {1 gennaio 1973) -pone una presunzione di cessione dei beni acqui stati, importati o prodotti dall'imprenditore, i quali al momento della verifica non si trovino nella sede in cui egli esercita l'attivit (comprese le sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi o depositi dell'impresa) n presso suoi rappresentanti: accertati tali pre supposti -cio da un lato l'acquisto, l'importazione o la produzione di determinati beni, dall'altro il mancato rinvenimento nei locali di pertinen za dell'impresa -i beni medesimi si considerano ceduti in evasione all'i.v.a., costituendo i loro prezzi ricavi non contabilizzati. Si tratta, per, di una presunzione relativa a iuris tantum, giacch essa non opera se viene dimostrato che i beni: a) sono stati utilizzati per la produzione, perduti o distrutti; b) sono stati consegnati a terzi in lavo razione, deposito o comodato o in dipendenza di contratti estimatori o di contratti di opera, appalto, trasporto, commissione o altro titolo non tra slativo della propriet. Occorre dimostrare, cio, che l'assenza del bene non dovuta ad un negozio traslativo della propriet ovvero costitutivo o traslativo di un diritto reale di godimento, sicch non si configura un atto giuridicamente qualificabile come cessione, secondo la nozione di tale presupposto del tri buto accolta dalla legge {art. 2). Pertanto il contribuente tenuto a provare l'esistenza di una precisa causa, diversa dalla cessione, giustifi cativa della mancanza del bene, la quale pu consistere, ovviamente, tan to in un fatto elisivo riguardante il bene nella sua entit fisica -ricon ducibile, quindi, in una delle tre categorie di eventi materiali menzionate nella lettera a) -quanto in un rapporto giuridico in forza del quale il bene, pur appartenendo ancora al contribuente, non nella sua detenzione, essendo stato consegnato a terzi per un titolo non traslativo d~lla propriet o, comunque, con effetti traslativi o costitutivi differiti o sospesi (fatti specie previste alla lettera b). Il regime probatorio tuttavia diverso per i due tipi di vicende. La norma nulla dispone per quelle del primo tipo e si deve perci ritenere che possano essere provate con ogni mezzo, ai sensi degli articoli 2697 ss. c.'C. E la mancanza di qualsiasi limite pienamente razionale, in quanto si tratta di accadimenti che determinano la fisica eliminazione . del bene e che non implicano l'esistenza di un titolo di disposizione risultante da documento: cos, l'impiego dei beni nella produzione o, all'opposto, la loro distruzione da obsolescenza possono risultare da scritture contabili, da coefficienti tecnici, da verbali constatazione, etc.; l'entit delle perdite da lavorazione e per ali naturali o tecnici pu essere determinata in base a dati di comune esperienze o in qualsiasi altro modo idoneo; le perdite e le distruzioni dovute a caso fortuito o forza maggione possono risultare da denunce alla pubblica autorit o a privati, da verbali idi ricognizione, etc. 300 RASSEGNA .DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In relazione alle vicende dell'altro tipo, il secondo comma dell'art. 53, dispone, invece, che la consegna di beni a terzi deve risultare dal libro giornale o da altro libro tenuto a norma del codice civile (art. 2214 ss.) o da apposito registro tenuto in conformit all'art. 39 dello stesso d.P.R. n. 633 del 1972 oppure da altro documento conservato a norma dello stesso articolo. La norma, cio, richiede specifiche prove documentali per gli atti negoziali non traslativi della propriet indicati alla lettera b) del primo comma; e poich solo in presenza di siffatti rapporti giuridici non opera ...,..-come si visto -la presunzione di vendita, evidente che la disposizione limita ai documenti suddetti, da cui quei rapporti debbono risultare, i mezzi di prova per vincere la presunzione medesima fuori dai casi di materiale eliminazione dei beni non rinvenuti presso l'azienda. Una diversa esegesi non consentita dall'enunciato normativo, in particolare dal collegamento testuale e sistematico fra i due precetti qui considerati: non essendo seriamente contestabile che il primo comma pone una presunzione di cessione dei beni non rinvenuti in magazzino, si deve necessariamente dconoscere che il precetto del secondo comma, riferito in modo espresso proprio alla dimostrazione dei (soli) rapporti che valgono ad escluderla, disciplina la prova contraria a quella presunzione, stabilendone il tipo (documentale) e le caratteristiche (libri, registri o documenti conformi alla normativa fiscale). Non ha fondamento, quindi, la tesi della ricorrente {che si rinviene, per altro, anche in talune pronunce di giudici speciali tributari), per cui il secondo comma dell'art. 53 impor~ebbe oneri di documentazione svincolati dalla presunzione, rispetto alla quale opererebbero nel senso di limitarla ai soli casi di mancanza dei documenti prescritti: soltanto l'inosservanza della disposizione farebbe scattare la presunzione del primo comma, 1che perci anche nelle ipotesi in esame potrebbe essere contrastata dal contribuente con ogni mezzo di prova. A parte il palese e arbitrario capovolgimento dello schema normativo (per ci che, in contrasto con l'articolazione dell'enunciato, il primo comma dovrebbe essere fotto in funzione del secondo e non viceversa), l'equivoco logico-giuridico che domina quel discorso si coglie agevolmente considerando che esso eleva l'omessa tenuta del.fa documentazione ad elemento costitutivo della presunzione, laddove questa correlata, come si visto, al fatto materiale del mancato rinvenimento di beni che dalla contabilit risultano acquistati o prodotti e non venduti; in relazione a questo fatto che la legge individua gli accadimenti materiali e le vicende giuridiche i:donei ad escludere fa presunzione, la cui dimostrazione deve essere data dal contribuente nel modo suddetto. ! i~j I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Occorre aggiungere che la prescrizione di determinate forme di documentazione risulterebbe praticamente inutile se fosse consentito al contribuente di dimostrare altrimenti l'esistenza di un titolo non traslativo, cio dei medesimi atti cui quelle forme si riferiscono; che se cos fosse la stessa presunzione si svuoterebbe di pratico contenuto, essendo evidente che, in relazione all'assenza di beni documentalmente risultanti ancora in carico all'imprenditore, non configurabile alcun onere probatorio nei confronti della finanza; e che, per contro, la limitazione alle risultan ze documentali pienamente in linea con il sistema dell'iva e con lo specifico oggetto della prova, occorrendo dimostrare atti negoziali costi tuenti .il titolo di operazioni che, in quanto implicano il trasferimento della detenzione dei beni a terzi, presentano in nuce lo stesso aspetto fattuale della cessione e, anzi, molto spesso preludono alla produzione degli effetti traslativi (vendita con riserva di propriet, contratto estimatorio, altre cessioni con effetti differiti e sospesi). Si deve concludere, quindi, che la presunzione di cessione posta dall'art. 53, primo comma, nelle ipotesi di consegna di beni a terzi previste alla lettera b), pu essere vinta soltanto dimostrando l'esistenza di un atto non traslativo della propriet dei beni mediante le scritture e i documenti elencati nell'ultima parte del secondo comma e pu pertanto dirsi che la presunzione assume cos i connotati delle presunzioni cosiddette miste, nelle quali la prova contraria tassativamente limitata nell'oggetto e nel mezzo di prova. Ci posto, correttamente la decisione impugnata ha escluso che le schede e documenti provenienti dalle ditte consegnatarie, prodotti dalla contribuente in copia autentica, costituissero prova idonea a vincere la presunzione suddetta. Come risulta dalla motivazione della pronuncia, tali documenti non trovavano riscontro alcuno in libri e registri de1la ricorrente; pertanto, anche ammesso che fossero oggettivamente annoverabili fra le scritture e documenti menzionati dall'art. 53 secondo comma, si trattava di documenti non tenuti dalla contribuente e, dunque, in radice inidonei a supe rare la presunzione di cessione. (omissis) II (omissis) Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972, come modificato dal d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, sostenendo che, contrariamente a quanto ritenuto nella decisione impugnata, le bo~le di consegna sono documenti idonei a vincere la presunzione di cui al citato art. 53, in virt del richiamo dell'art. 39 dello stesso d.P.R. in esso contenuto. 302 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N ricorreva l'ipotesi di bolle di consegna non registrate nel prescritto registro -deduce la ricorrente con il terzo motivo -poich la registrazione poteva essere eseguita entro sessanta giorni dalla data di formazione, il che era poi puntua:lmente avvenuto. Tale circostanza era stata sempre prospettata dalla ricorrente, senza che su ci la Commissione centrale abbia svolto alcuna motivazione. A parte ci, anche per quanto attiene agli argomenti 'che vi appaiono trattati, la motivazione della decisione impugnata -deduce la ricorrente con il quarto motivo - puramente apparente e si sostanzia in affermazioni apodittiche recanti richiami normativi inconferenti. Le censure prospettate con i motivi suddetti, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono prive di fondamento. L'art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 istitutivo dell'i.v.a., nel testo modificato dal d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 29 con decorrenza dal 1 gennaio 1973, stabilisce, al primo comma, che i beni acquistati, importati o prodotti, che non si trovino nei luoghi in cui il contribuente esercita la sua attivit (comprese le sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi o depositi dell'impresa) n presso suoi rappresentanti, si presumono ceduti, ai fini dell'i.v.a., se non sia dimostrato: a) che sono stati utilizzati, perduti o distrutti; oppure b) che sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito o comodato o in dipendenza di contratti estimatori o di contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato o commissione o altro titolo non traslativo della propriet. Tale disposizione pone, quindi, una presunzione iuris tantum di cessione, con conseguente onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare o un fatto materiale (utilizzazione, perdita, distruzione), che escluda la fisica esistenza dei beni e giustifichi, per ci, che non si trovino nei luoghi indicati dalla norma, o un titolo giuridico, non traslativo della propriet, di consegna a terzi di beni fisicamente esistenti in natura per non avere subito uno degli eventi indicati sub a). Ma, mentre !'-evento materiale pu essere provato con ogni mezzo (com' proprio dei fatti che abbiano determinato 'la eliminazione in natura dei beni e che non implicano l'esistenza di un titolo documentabile di disposizione), diverso il regime probatorio per gli atti di cessione, di cui deve dimostrarsi, con i mezzi tassativamente indicati nel comma successivo, la natura non traslativa della propriet Il secondo comma dell'art. 53 stabilisce, infatti, che, al fine di vincere la presunzione posta dal primo comma 1(la quale si veste, in tal modo, del carattere di presunzione legale, assumendo, nel suo complesso, i connotati delle presunzioni cosiddette miste), la consegna di beni a terzi, di cui alla lettera b), deve risultare dal libro giornale o da altro libro tenuto a PARTB I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 303 norma del codice civile (artt. 2214 e segg.) o da apposito registro tenuto in confo~it all'art. 39 dello stesso decreto ovvero da altro documento conservato a norma dello stesso articolo. Il diverso regime -prova con ogni mezzo degli eventi di cui alla lettera a); prova, con le modalit tassativamente indicate, dell'atto di cessione non traslativo della propriet -si giustifica con la gi rilevata diversa natura di ci che forma oggetto deHa prova: nel primo caso, un fatto materiale, che si verifica a prescindere dalla esistenza di un titolo documenta:le; nel secondo caso, una causa negoziale di cessione, come tale agevolmente documentabile e soggetta, quindi, all'obbligo di registra- zione nelle prescritte scritture contabili. Disposizioni uniformi l'art. 53 detta, all'ultimo comma, per i beni che si trovino nei luoghi suindicati, attraverso il rinvio alla disciplina stabilita nei commi precedenti. Ci premesso, deve escludersi che le bolle di consegna costituiscano documenti idonei a vincere la presunzione di cesisione o di acquisto a . titolo traslativo e ad integrare le modalit di prova legale stabilite dalla norma in esame. Occupandosi delle bolle di accompagnamento di beni viaggianti (art. 1 del d.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627), questa Corte (sent. 2 dicembre 1987 n. 8953) ha osservato che tali documenti non sono riconducibili all'art. 39 del d.P.R. 633/72; ci deve dirsi, e ancora di pi, per le c.d. bolle di consegna, cui nessuna rilevanza fiscale attribuita dalla legge. La citata norma, infatti, fa riferimento unicamente a registri numerati e bollati ai sensi dell'art. 2215 e.e. e tenuti a norma dell'art. 2919 ( dello stesso codice; all'ammissibilit di schedari a fogli mobili o di tabulati di macchine elettrocontabili, secondo moda:lit previamente approvata dall'Amministrazione finanziaria su richiesta del contribuente; e ad altri specifici documenti secondo la previsione del penultimo comma delllart. 53. Dato il carattere tassativo del riferimento, da parte di quest'ultimo, all'art. 39 e lo specifico richiamo alle caratteristiche dei documenti in tale norma indicati, deve ritenersi che l'art. 53 non attribuisce a documenti, diversi da quelli menzionati nell'art. 39, la idoneit a superare la presunzione di cessione o di acquisto. Secondo tale norma, i documenti da conservare ordinatamente sono le fatture, 1e bollette doganali e gli altri documenti previsti nello stesso decreto, fra i quali non possono essere comprese le bolle di consegna, che ii decreto istitutivo dell'i.v.a. non menziona e che, del resto, sono oggettivamente inidonee-ad esprimere (e comunque a far fede del) la causa giuridica della consegna dei beni. (omissis) 304 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 26 ottobre 1988 n. 5783 Pres. Brancaccio Est. Granata P. M. Caristo {conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Limonzini. Tributi in genere Contenzioso tributario Natura . Vizi dell'atto di accertamento Rilevanza. Tributi in genere Accertamento tributario -Imposte indirette Requi sito minimo di motivazione. Il giudizio tributario costruito formalmente come giudizio di impugnazione dell'atto ma tende all'accertamento sostanziale del rapporto, nel senso che l'atto il veicolo di accesso al giudizio di merito al quale si perviene per il tramite della impugnazione dell'atto; tuttavia al giudizio di merito sul rapporto non dato pervenire quando ricorrono vizi formali dell'atto, quali il difetto assoluto la carenza totale di motivazione, di fronte ai quali il giudice deve fermarsi alla pronunzia di annullamento {1). Il contenuto minimo ed essenziale della motivazione dell'atto di accertamento nelle imposte indirette sui trasferimenti deve soddisfare la duplice esigenza di delimitare il campo delle ragioni adducibili dall'ufficio nella eventuale successiva fase contenziosa con la indicazione del metodo di valutazione prescelto e di consentire al contribuente l'esercizio del diritto di difesa {2). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. un. 26 ottobre 1988 n. 5782 -Pres. Brancaccio -Est. Granata -P. M. Caristo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Aimaro. Tributi in gen'ere Contenzioso tributario Natura Vizi dell'atto di accertamento . Rilevanza. (1-4) Le Sezioni unite ritornando sul tormentato problema della natura del processo tributario in connessione con la motivazione dell'accertamento, si adoperano per conciliare le posizioni espresse in termini non del tutto coincidenti con le due sentenze 3 giugno 1987 n. 4844 e 4853 (in questa Rassegna, 1988, I, 132). Viene cosl confermato che il giudizio tributario pu anche essere di annullamento, ma in concreto tale .ipotesi si contiene in limiti talmente stretti (difetto assoluto di motivazione) da ridursi ad una invalidit di ordine processuale. Con riferimento alle imposte indirette si specifica che l'accertamento di maggior valore deve contenere l'indicazione del metodo di PARm I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 305 Tributi in genere -Accertamento tributario -Motivazione -Provvedimento sulla spettanza di esenzioni JUchiamo alla norma E' sufficiente. Il giudizio tributario costruito formalmente come giudizio di impugnazione dell'atto ma tende all'accertamento sostanziale del rapporto, nel senso che l'atto il veicolo di accesso al .giudizio di merito al quale si perviene per il tramite della impugnazione dell'atto; tuttavia al giudizio di merito sul rapporto non dato pervenire quando ricorrono vizi formali dell'atto quali il difetto assoluto o la carenza totale di motivazme, di fronte ai quali il giudice deve fermarsi alla pronunzia di annullamento (3). Il provvedimento di diniego della spettanza di esenzioni tributarie (nella specie ex art. 15, legge 6 agosto 1967 n. 765) sufficientemente motivato, secondo il canone di idoneit allo scopo, con la indicazione della norma applicata (4). I (omissis) 1. -Col primo mezzo la ricorrente denuncia vizi di eccesso di potere giurisdizionale e di violazione e falsa applicazione dei principi generali sulla nullit degli atti amministrativi. Osserva che le Commissioni tributarie sono organi di giurisdizione speciale del tutto diversi dagli organi della giustizia amministrativa. valutazione seguito (uno di quelli previsti nella legge o altro); ma poich si ammette che l'indicazione pu anche essere implicita, si potrebbe riconoscere, con un piccolissimo passo innanzi, che il metodo comparativo, pressoch universalmente seguito, sia quello presuntivamente e implicitamente adottato come normale criterio di stima e che solo quando sia seguito un metodo diverso (di capitalizzazione della rendita o altro) se ne richieda la specificazione. La prima parte della seconda sentenza identica alla precedente; nella seconda parte, seguendo la stessa impostazione si riduce il requisito della motivazione all'essenziale. Ma in questo caso la possibilit dell'annullamento del provvedimento viziato da carenza assoluta non si presentava affatto; il mero annullamento dell'atto che nega la spettanza di esenzione non avrebbe alcun effetto sostanziale s che il giudizfo tributario si rivelerebbe puramente demolitorio al pari del giudizio amministrativo. Non certo questo lo scopo che si prefigge il contribuente che chiede al giudice l'accertamento del diritto all'esenzione e non una eliminazione fine a s stessa dell'atto sfavorevole. Qui il tentativo di configurare il giudizio tributario con un duplice oggetto (cli annullamento e di accertamento) svela la sua fragilit. Il giudizio sempre di accertamento anche quando accerta che la pretesa tributaria non stata valida mente esercitata. Sull'intero problematico v. BAFILE. Recentissime di giurispru denza sulla natura del processo tributario e Motivazione dell'accertamento e natura del processo secondo l'ultimo indirizzo delle Sezioni Unite, in Rass. Trib., 1987, I, 497 e 1989, I, 247. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 306 Il sistema di tutela giurisdizionale ad esse affidato si realizza -in fatti -non con l'annullamento degli atti della p.a. ma attraverso l'accertamento del rapporto tributario. Oggetto della cognizione del giudice speciale il completo riesame di tale rapporto. Trattasi, quindi, di un giudizio di merito e non di impu gnazioneannullamento. Nello svolgimento di esso non compete all'organo giudiziario un po tere autoritativo volto alla rimozione del concreto atto di esercizio della potest amministrativa; per cui le Commissioni pervengono all'accerta mento della obbligazione tributaria ex lege . senza necessit della formale eliminazione dell'atto, spettando successivamente all'ammini strazione finanziaria il compito di sostituire i provvedimenti riconosciuti illegittimi e riliquidare. l'imposta. Di conseguenza, l'eventuale mancanza della motivazione nell'avviso di un atto di imposizione fiscale viene sanata, in sede contenziosa, attra verso l'acquisizione, disposta, anche d'ufficio, degli elementi necessari per il giudizio di stima, in merito al quale la pronuncia delle commissioni as sume valore sostitutivo dell'originario provvedimento. Le commissioni, in definitiva, sono tenute a compiere l'accertamento del rapporto e non possono limitarsi ad una mera pronuncia costitutiva di annullamento dell'atto, venendo meno altrimenti alla loro funzione, consistente nel risolvere la controversia tributaria con la verifica della fondatezza della pretesa avanzata dalla pubblica amministrazione. Col secondo mezzo la ricorrente denuncia violazione e falsa appli cazione degli artt. 48 e 49 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634. Osserva, in primo luogo, che il preteso difetto della motivazione del l'accertamento in realt non esiste; in secondo luogo, che non sarebbe sta to comunque possibile, per l'ufficio del registro, esplicare i criteri 4i valu tazione -comparazione dei valori e capitalizzazione del reddito -ai quali fa riferimento la decisione impugnata Sotto il primo profilo, la amministrazione pone in rilievo che la legge del registro non usa il termine motivazione , ma, nel testo del 26 otto bre 1972 (in vigore alla data dell'accertamento di cui si discute) richiede 'l'indicazione degli elementi per la determinazione del valore e, nel testo del 6 dicembre 1977, l'indicazione del criterio seguito dall'ufficio. :Fra motivazione e indicazione degli elementi -sottolinea la ricorrente -esiste una differenza qualitativa, poioh l'indicazione dei motivi qualcosa di pi rispetto alla indicazione dei soli elementi. 2. -Il ricorso ripropone la complessa problematica concernente la nozione, la rilevanza e gli effetti, in materia di imposte di registro ed INVIM, del difetto di motivazione degli avvisi di accertamento di maggior valore, sulla quale queste Sezioni unite si sono recentemente pronunzia ~ PARm I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRmUTARIA te in due distinte occasioni, peraltro non in termini del tutto coincidenti, con le sentenze -fra le altre di pari data -n. 4844 e n. 4853 emesse il 3 giugno 1987. Per larga parte del loro svolgimento le due decisioni, con piena consonanza di accenti, enunciano, o meglio ribadiscono suna scia di risalente giurisprudenza consolidata, taluni fondamentali concetti. n giudizio tributario costruito, formalmente, come giudizio di impugnazione dell'atto, ma tende all'accertamento sostanziale del rapporto, nel senso che J'atto il veicolo di accesso al giudizio di merito, al quale si perviene appunto per il tramite della impugnazione dell'atto. Quindi concerne la legittimit formale e sostanziale del provvedimento, con la precisazione peraltro che al giudizio di merito sul rapporto non dato pervenire quando ricorrano determinati vizi formali dell'atto in presenza dei quali il giudice deve arrestarsi alla invalidazione di esso, con ci non omettendo affatto di esercitare la giurisdizione attribuitagli, ma anzi pienamente e correttamente esplicandola. In particolare il giudice deve fermarsi alla pronunzia di annullamento nel caso di ,difetto assoluto (sent. 4853) o di totale carenza (sent. 4844) di motivazione di una espressa comminatoria legale di nullit, la invalidazione dell'atto. E tanto basta per rilevare la infondatezza del primo motivo, che ancora una volta ripropone (anche con la prospettazione, peraltro infon data come rileV'ato nelle citate decisioni, di una questione di giurisdizione) la tesi, da quelle decisioni disattesa, della illegittimit, in princi pio, di una pronunzia limitata all'annullamento dell'atto di accertamento carente di motivazione. -3. Le due sentenze pi volte richiamate concordano anche sulla individuazione in linea 'di principio della .funzione e, in ,ragione di questa, del contenuto minimo ~dell'obbligo) della motivazione. La funzione concordemente individuata nel compito di esternare, ancorch in termini sommari e semplificati, le ragioni del provvedimento, evidenziandone i momenti ricognitivi e logico-deduttivi essenziali, in modo da consentire al destinatario dell'atto di svolgere efficacemente la propria difesa attraverso la tempestiva impugnazione di esso. Conseguentemente, il contenuto minimo essenziale della motivazione in coerenza con la misura di conformit al modello legale data dal riscontro della idoneit dell'atto al raggiungimento dello scopo normativamente assegnatogli, quello che sia tale da consentire la identificazione dei presupposti materiali e giuridici cui correlata la pretesa tributaria. Le due sentenze, peraltro, poi divergono, per un verso, quanto alla ulteriore specificazione e messa a punto di tale contenuto minimo in principio concordemente individuato, e, per altro verso,, quanto alla disciplina 308 RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DELLO STATO dell'onere della prova in ragione della maggiore o minore articolazione della motivazione al di l del contenuto minimo cos precisato. Sotto il secondo aspetto, infatti, mentre la sentenza n. 4853 colloca su piani affatto diversi motivazione dell'accertamento e onere della prova e ritiene che l'onere della prova dei fatti costitutivi della pretesa incomba sempre all'amministrazione, invece per la sente~a n. 4844 l'onere della prova resterebbe influenzato e condizionato dalla misura in cui l'ufficio abbia motivato l'atto. Sotto il primo aspetto, poi, mentre la sentenza n. 4844 ravvisa la esiste~a di un (sufficiente) principio di motivazione nella mera indici;L zione di un presunto valore venale, invece fa sentenza n. 4853 -pur con la precisazione che n l'adozione di un metodo estimativo non conforme al tipo di bene valutato, n il ricorso ad. un criterio diverso da quelli in dicati nella legge, n l'eventuale adozione di formule ripetitive o di particolari mezzi grafici danno luogo, in principio, al difetto di motivazione conducente alla invalidazione -esige che la motivazione permetta di individuare quale dei metodi di stima previsti dalla legge sia stato prescelto o, comunque, quali criteri siano stati seguiti nella valutazione, ed altres di conoscere, sia pure in modo sommario, gli elementi qualificativi del bene o comparativi all'uopo utilizzati. 4. Rimeditati questi ultimi aspetti della questione, le 'Sezioni unite ritengono di dover confermare l'indirizzo espresso dalla sentenza n. 4853, con le ulteriori precisazioni concettuali che risulteranno d_al prosieguo del discorso cos pervenendo a giudicare a sua volta fondato per quanto di ragione il secondo motivo di ricorso, che a tali specifici aspetti si correla. Nel procedimento di accertamento dell'obbligazione d'imposta -di registro e Invim -bisogna distinguere le operazioni {attivit ricognitive e momenti logico-valutativi) attraverso le quali si determina il valore dell'immobile, dall'atto di imposizione che l'ufficio, nel caso di retti fica del valore, deve, in forma d'avviso, portare a conoscenza del contribuente per mezzo della notificazione. Alle operazioni di accertamento dedicato, nel sistema del d.P.R. 6 dicembre 1977 n. 914, la disposizione dell'art. 1, che a modifica dell'art. 48, 2 co. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, prescrive all'ufficio di osservare, in via alternativa, tre possibili criteri nella valutazione del cespite immobiliare: comparativo, avendo riguardo ai trasferimenti, avvenuti negli ultimi tre anni, di immobili con analoghe caratteristiche; di capitalizzazione del reddito al tasso medio, applicato alla stessa data e nella stes-1: sa localit per gli investimenti immobiliari; e di acquisizione degli ele-!f menti di valutazione forniti dai comuni. ! ! ( i: I t . I - PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA L'ufficio finanziario tenuto a seguire questi criteri nell'esercizio dei poteri di controllo del valore dichiarato dal contribuente o del corrispettivo pattuito; con la precisazione, peraltro, che pu adottare criteri diversi da quelli menzionati espressamente nella legge quando risulti, anche implicitamente, la inutilizzabilit o la insufficienza di questi ultimi con riferimento al tempo, al luogo, all'oggetto e ad ogni altra peculiarit del rapporto tributario da accertare; e che nell'eventuale futuro giudizio, esso rimane vincolato alla propria scelta e deve dimostrare il fondamento della propria pretesa. L'atto di imposizione invece, che conclude le operazioni di cui all'art. 1, contemplato e regolato dal successivo art. 3, mod. dell'art. 49, 2 co. d.P.R. n. 634 del 1972, in base al quale l'avviso di rettifica -da notificare entro il termine di decadenza di due anni dal pagamento dell'imposta proporzionale -deve contenere l'indicazione del valore (...) noneh il criterio seguito dall'ufficio per la determinazione del valore venale ( ...) secondo le indicazioni di cui al precedente articolo { ...) : dove le indicazioni rappresentano le direttive legali di metodo per lo svolgimento delle operazioni di accertamento, e il criterio seguito rappresenta il metodo, adottato, di volta in volta, dall'ufficio per il perseguimento dei propri fini istituzionali, nell'esercizio dei suddetti poteri di contro1lo del valore dichiarato o del compenso pattuito. Solo del metodo scelto, dunque, non delle operazioni concretamente svolte in esecuzione di esso, l'ufficio deve informare, con l'avviso di rettifica del valore, il soggetto passivo del rapporto. In sede contenziosa, poi, l'ufficio ha l'onere di provare la sussistenza dei concreti elementi di fatto che, nel quadro del parametro prescelto, giustificano il quantum accertato, peraltro rimanendogli inibito di dimostrare la fondatezza della sua pretesa allegando criteri diversi da quelli enunciati nell'avviso di accertamento, salvo il potere di rinnovare l'atto entro il termine di legge, mentre al contribuente consentito di dimostrare la infondatezza di quella pretesa anche in base a criteri non utilizzati dall'ufficio. Ci posto, in linea di principio, va subito aggiunto che, nella determinazione del contenuto minimo della motivazione dell'accertamento, va tenuto presente che questa tende ad una duplice finalit: (a) quella di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'ufficio nella eventuale fase contenziosa successiva e {b) quella di consentire al contribuente !'.esercizio giudiziale del diritto di difesa di fronte alla pretesa maggiore fiscale. Per il raggiungimento di questa duplice finalit, nel valutare la congruit della motivazione dell'accertamento -e quindi nella ipotesi negativa per dichiarare la nullit di questo -vanno distinti i .. casi in cui le 310 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO peculiarit della fattispecie consentano di ritenere sufficiente l'indicazione del criterio in astratto seguito nella stima, da quelli in cui tali peculiarit richiedano una ulteriore concreta illustrazione e specificazione. Il discrimine fra le due categorie di casi non suscettibile di canonizza zione astratta, in quanto solo la concretezza delle singole fattispecie che consente rdi stabilire se l'indicazione del criterio di legge o di altro simile sufficiente ad evitare che il Fisco introduca nell'eventuale giudizio di opposizione elementi di ampliamento della controversia tributaria e soprattutto che il contribuente sia sacrificato nel suo diritto di difesa. di tutta evidenza che compito del giudice di merito valutare la congruit della motivazione dell'accertamento alla duplice suddetta finalit, sia operando la scelta del criterio astratto, vuoi in base alle indicazioni espresse dal legislatore vuoi in base ad altre similmente significative, come anche di stabilire se il riferimento al criterio prescelto sia sufficiente o se sarebbe dovuto essere integrato con riguardo ad ulteriori elementi che avrebbero consentito una adeguata esplicazione del diritto di difesa del contribuente. ovvio che il giudizio in proposito sottoposto al controllo di legittimit della Corte di Cassazione per eventuali vizi della sua motivazione. Questa soluzione del complesso quesito, stabilendo il minimun essenziale della motivazione dell'accertamento a seconda della peculiarit delle fattispecie, e quindi I.asciando un largo apprezzamento al giudice di merito, si presenta come un equilibrato superamento delle opposte soluzioni estremistiche, sostenute in giurisprudenza e in dottrina: da una parte cio quella che esige una motivazione dell'accertamento ancorata sempre ad elementi concreti -nella prospettiva di una accentuata garanzia del contribuente -soluzione la quale appare eccessivamente formalistica, cio non corrispondente ad effettive esigenze sostanziali, spesso di non facile o addirittura impossibile adempimento, e quasi sempre in pratica, risolventesi in una ingiusta elusione dell'obbligo tri butario; dall'altra l'opposta soluzione, che tende a ridurre la motivazione ad una mera apparenza, e, quindi, in manifesto contrasto con l'ispirazione garantista che recepita nel nostro ordinamento tributario, coerentemente ad un orientamento generale del sistema. 5. appena il caso di precisare che il quesito concernente le modalit strutturali della motivazione dell'avviso non rioeve una risposta diversa con riferimento al precedente assetto normativo degli artt. 48 . e 49 d.P.R. n. 634 del 26 ottobre 1972, nel quale l'art. 48 riguardava le operazioni di accertamento e l'art. 49 l'atto conclusivo del procedimento stesso e le sue forme. Per lo svolgimento delle operazioni, invero, l'art. 48 prescriveva all'ufficio l'osservanza di un criterio cumulativo, di cui erano elementi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA costitutivi la comparazione dei valori accertabili nell'ultimo triennio, nonch la capitalizzazione del redditb, oggetto .della indicaziont: -in via cumulativa o alternativa, a seconda dell'effettiva utilizzabilit dell'uno o dell'altro o di entrambi i parametri -prevista dal successivo art. 49, concernente il momento finale impositivo della procedura amministrativa di accertamento: indicazione necessaria e sufficiente a integrare il minimo di forma richiesto per la validit dell'avviso. Ferma restando, sempre, la facolt dell'ufficio di applicare criteri diversi (ricorrendo le condizioni, sopra accennate, ostative alla operativit dei parametri legali) dando comunicazione della propria scelta, nelle stesse forme, al contribuente. Sotto il profilo interessante la controversia, non esiste, pertanto, una differenza apprezzabile fra i due sistemi normativi del '72 e del '77, che impongono una soluzione unitaria del problema concernente ia struttura formale dell'avviso di rettifica, alla cui validit pu essere sufficiente anche la sola indicazione del criterio astratto adottato dall'ufficio nello svolgimento delle operazioni di liquidazione del valore del bene immobile trasferito, peraltro con le precisazioni sopra espresse. Il problema delle conseguenze giuridiche della inosservanza di tali prescrizioni formali trova la propria soluzione nelle premesse gi svolte intorno alla natura del processo tributario come giudizio d'impugnazione. Invero -come gi queste S.U. hanno precisato - la tutela giurisdizionale non pu che consistere nella invalidazione del provvedimento quando la carenza di motivazione sia tale da non consentire l'identificazione dei presupposti materiali e giuridici cui correlata la pretesa dell'Amministrazione, relativa all'esistenza, alla quantificazione e all'attuazione dell'obbligazione tributaria; e risulti conseguentemente precluso il controllo di questi presupposti da parte del giudice tributario, il quale, ai fini del riesame del merito del rapporto, dispone di un ampio potere di indagine istruttoria (...) ma non pu, ovviamente, sostituirsi all'Amministrazione nella ricerca della materia imponibile e dei presupposti del rapporto d'imposta {che devono essere allegati dall'Amministrazione) (sent. cit., 3 giugno 1987, n. 4853). 6. -Non rimane che trarre le condusioni dalle considerazioni fm qui svolte, per la risoluzione del caso controverso. La Commissione tributaria Centrale ha espresso un giudizio non conforme alla pi corretta interpretazione del sistema legislativo vigente con l'escludere che, nel motivare l'avviso di accertamento, l'ufficio del registro di Savona avesse osservato le condizioni necessarie e sufficienti a integrare il minimo di forma richiesto per la validit dell'atto di imposizione. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Esattamente rileva, a questo proposito, l'amministrazione che la Commissione non ha tenuto presente che, trattandosi di un edificio adibito ad albergo, era praticamente impossibile applicare il criterio della comparazione, non essendo rinvenibile, nel triennio, il trasferimento di un immobile analogo; e che non era neppure agevole ricorrere al criterio della capitalizzazione del reddito, data la difficolt di distinguere il reddito proveniente dall'immobile da quello derivante dall'attivit imprenditoriale in essa esercitata. L'ufficio del registro -prosegue la ricorrente -fu costretto a utilizzare, eome il sistema normativo consente, criteri diversi da quelli menzionati espressamente nella legge, riferendosi al valore riconosciuto per il precedente trasferimento, avvenuto nel 1968. Tale indicazione permise al contribuente di svolgere la propria difesa, consistente nel precisare che al valore determinato nel 1968 dovevano essere applicati indici di valutazione che portavano, con riferimento all'anno 1974, all'accertamento di un valore diverso da quello liquidato dall'ufficio. Sotto questo profilo, pertanto, la decisione impugnata non si sottrae alla censura della ricorrente, apparendo contraria al sistema l'affermazione secondo la quale l'ufficio del registro avrebbe dovuto perentoriamente attenersi ai criteri tipici della comparazione dei valori e della capitalizzazione del reddito, senza porsi il problema se, in concreto, tali criteri fossero utilizzabili. Ne consegue che entro questi limiti il ricorso ~dell'amministrazione finanziaria deve essere accolto, con la cassazione della decisione impugnata ed il rinvio della causa alla stessa Commissione Centrale, la quale, nel procedere al nuovo esame della controversia, si dovr attenere ai seguenti principi di diritto: In materia di imposte di registro ed Invim l'avviso di accertamento di maggior valore, per rispondere al canone della idoneit allo scopo il cui difetto ne determina la nullit anche indipendentemente da una espressa comminatoria di legge, deve essere corredato da una motivazione adeguata al conseguimento del duplice risultato (a) di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'ufficio nella eventuale fase contenziosa successiva, e {b) di consentire al contribuente l'esercizio giudiziale del diritto di difesa di fronte alla maggiore pretesa fiscale. , . All'uopo necessario che l'ufficio enunci il criterio astratto in base al quale ha determinato il maggior valore, con le eventuali specificazioni ed illustrazioni concrete richieste dalle peculiarit della fattispecie, ed in relazione ad esse possibili, affinch l'atto risulti idoneo al suo scopo. La utilizzazione e la indicazione di criteri diversi da quelli menzionati PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA espressamente nella legge possibile quando risulti anche implicitamente la inutilizzabilit o la insufficienza di questi ultimi con riferimento al tempo, al luogo, all'oggetto e ad ogni altra peculiarit del rapporto tributario da accertare. In sede contenziosa, l'ufficio ha l'onere di provare la sussistenza dei concreti elementi di fatto che, nel quadro del parametro prescelto, giustificano il quantum accertato, peraltro rimanendogli inibito di dimostrare la fondatezza della sua pretesa allegando criteri diversi da quelli enunciati nell'avviso di accertamento, salvo il potere di rinnovare l'atto entro il termine di legge, mentre al contribuente consentito di dimostrare la infondatezza di quella pretesa anche in base a criteri non utilizzati dall'ufficio. In mancanza di una motivazione che risponda a tali requisiti il giudice tributario deve limitarsi a dichiarare la nullit dell'accerta mento, senza poter conoscere del merito. La valutazione della sussistenza nel caso concreto dei requisiti minimi indicati rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, naturalmente sindacabile in sede di legittimit sotto il profilo della congruit e sufficienza della motivazione. (omissis) II Col primo mezzo la ricorrente denuncia vizi di eccesso di potere giurisdizionale e di violazione e falsa applicazione dei principi generali sulla nullit degli atti amministrativi. Osserva che le Commissioni tributarie sono organi di giurisdizione speciale del tutto diversi dagli organi della giustizia amministrativa. Il sistema di tutela giurisdizionale ad essi affidato si realizza -infatti -non con l'annullamento degli atti della p.a. ma attraverso l'accertamento del rapporto tributario. Oggetto del giudizio avanti alle Commissioni il completo riesame di tale rapporto. Trattasi, quindi, non di una impugnazione ma di un giudizio di merito, nel quale manca un potere autoritativo del giudice di rimuovere l'atto, consistente nel concreto esercizio della potest amministrativa. Le Commissioni, in realt, pervengono all'accertamento dell'obbligazione tributaria senza procedere alla formale eliminazione del provvedimento impositivo, spettando poi all'amministrazione finanziaria il compito di sostitutire gli atti riconosciuti illegittimi e di riliquidare l'imposta. Di conseguenza, l'originaria mancanza della motivazione sul diniego dell'esenzione fiscale -come, in genere, la mancanza della motivazione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nell'avviso di un atto di imposizione tributaria -viene sanata, in sede contenziosa, attraverso l'accertamento del rapporto che la Commissione tenuta a compiere, senza potersi limitare ad una mera pronuncia costitutiva di annullamento dell'atto. Altrimenti l'organo giurisdizionale speciale verrebbe meno alla propria funzione, consistente nel risolvere la controversia tributaria con la verifica della fondatezza della pretesa avanzata dalla pubblica amministrazione. Nel caso concreto, pertanto, le Commissioni avrebbero dovuto negare qualsiasi rilievo alla contestazione concernente l'asserito difetto della motivazione del provvedimento fiscale impugnato, e passare senz'altro all'esame dell'esistenza o inesistenza delle. violazioni, idonee ad escludere il beneficio dell'esenzione. La censura infondata. Sul problema se il giudice tributario, in presenza di un provvedimento lato sensu impositivo (quale quello, -oggetto della fattispecie di diniego della esenzione tributaria) affatto carente di motivazione, debba limitare la sua pronunzia alla invalidazione dell'atto senza passare al merito della controversia, queste Sezioni unite si sono gi pronunziate affermativamente, con piena consonanza di accenti sul punto, con le sentenze -fra le altre di pari data -n. 4844 e n. 4853 emesse il 3 giugno 1987, che in proposito enunciano, o meglio ribadiscono sulla scia di risalente giurisprudenza consolidata, taluni fondamentali concetti. Il giudizio tributario costruito, formalmente, come giudizio di impugnazione dell'atto, ma tende all'accertamento sostanziale del rapporto, nel senso che l'atto il veicolo di accesso al giudizio di merito, al quale si perviene appunto per il tramite della impugnazione dell'atto. Quindi esso concerne la legittimit formale e sostanziale del provvedimento, con la precisazione peraltro che al giudizio di merito sul rapporto non dato pervenire quando ricorrano determinati vizi formali dell'atto, in presenza dei quali il giudice deve arrestarsi alla invalidazione di esso, con ci non omettendo affatto di esercitare la giurisdizione attribuitagli, ma anzi pienamente e correttamente esplicandola. In particolare il giudice deve fermarsi alla pronunzia di annulla mento nel caso di difetto assoluto {sent. 4853) e di totale carenza {sent. 4844) di motivazione dell'accertamento tributario di maggior valore, tale vizio comportando, pur in mancanza di una espressa comminatoria legale di nullit, l'invalidazione dell'atto. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRffiUTARIA E tanto basta per rilevare la infondatezza del primo motivo, che ancora una volta ripropone {anche con la prospettazione, peraltro infondata come rilevato nelle citate decisioni, di una questione di giurisdizione) la tesi, da quelle decisioni disattesa, della illegittimit, in principio, di una pronuncia limitata all'annullamento dell'atto di accertamento carente di motivazione. In tal senso deve essere risolto, con il rigetto del primo motivo del ricorso, il problema concernente la definizione dei limiti interni dei poteri delle Commissioni tributarie. Col secondo mezzo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 15 1. n. 765 del 1967. Sostiene che si deve ritenere, comunque, inesistente il preteso di: fetto di motivazione del provvedimento di decadenza delle agevolazioni fiscali. La sanzione di decadenza trae origine, secondo la ricorrente, solo dall'atto -perfettamente noto all'autore dell'infrazione -col quale il Comune e/o l'autorit giudiziaria riconoscono e puniscono la violazione della legge n. 1150 del '42, mod. dalla 1. n. 765 del 1%7. Il provvedimento di diniego delle agevolazioni fiscali si deve considerare, perci, adeguatamente motivato con la sola indicazione della norma applicata. La censura fondata. L'amministrazione finanziaria -come esattamente osserva l'Avvocatura dello Stato -si limita a recepire i risultati dell'azione di accertamento dell'infrazione urbanistica svolta dagli organi competenti, i quali, adottati i provvedimenti del caso, li portano a conoscenza dell'interessato. La contestazione dell'illecito, cui si collegano sanzioni di varia natura, compresa quella di decadenza dai benefici fiscali, gi nota al contribuente in base ad una vicenda anteriore (atti della amministrazione comunale o del giudice). sufficiente, quindi, a motivare, secondo il canone di idoneit allo scopo (S.U., sent. n. 4853/87 citata), il diniego della esenzione tributaria, l'indicazione della stessa norma applicata da quegli uffici, a conclusione dell'indagine amministrativa o giudiziaria: norma contenuta nell'art. 15 della 1. 6 agosto 1967, n. 765, che prevede esplicitamente, fra le altre ipotesi di illecito urbanistico, il mancato rispetto delle destinazioni >>, di cui si discute in questo processo. La Commissione Centrale, pertanto, incorsa nell'errore, denunciato dalla amministrazione ricorrente, di violazione e falsa applicazione del citato art. 15 1. n. 765 del 1967. (omissis) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 316 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 novembre 1988, n. 6459 -Pres. Ver cellone -Est. Senofonte -P. M. Leo (conf.) Sos. Soproma Italy (avv. Moschetti) c. Ministero delle Finanze {avv. Stato Palatiello). Tributi erariali diretti -Accertamento Motivazione Eliminazione di spese non documentate e non inerenti :t!: sufficiente Prova :t!: a carico del contribuente. L'accertamento che esclude dal passivo spese non documentate e non inerenti in se stesso motivato, mentre la prova di tali spese Ql carico del contribuente; pertanto illegittima la decisione che dichiara la nullit di un tale accertamento, invece di pronunciare in merito allq estimazione {1). (omissis) Per quanto concerne, invece, le contestazioni, in punto di motivazione e di prova, formulate con il primo motivo, in ordine alla legittimit delle riprese fiscali analiticamente enunciate nell'avviso di accertamento, , preliminarmente, necessario sottolineare che esse sono speculari alle corrispondenti voci di spesa enucleate dal bilancio annuale della societ e traggono, quindi, origine dalla dichiarata non deducibilit di queste ultime, in ragione della loro natura ovvero perch non documentate, non necessarie, generiche o non qualificate: in sintesi, perch non inerenti o non provate. Ora, proprio sulla documentazione e sulla inerenza di queste spese si era progressivamente conentrato il dibattito, disinvoltamente risolto dalla Commissione di secondo grado imputando all'ufficio di non aver motivato al riguardo: senza considerare, anzitutto, che escludere la deducibilit di determinati oneri per mancanza di inerenza e/o di documentazione implica gi una motivazione delle correlate riprese fiscali e senza, comunque, risolvere il problema estimativo, del quale, al contrario, avrebbe dovuto essa farsi (1) La pronunzia molto importante non solo ove afferma che il rilievo della indeducibilit di costi noli documentati o non inerenti motivato in re ipsa e che la prova dei costi esposti nel passivo del bilancio a carico del contribuente, ma Soprattutto sulla parte in cui, pur succintamente, precisa l'oggetto del giudizio affidato alle Commissioni; la S.C. rimprovera alla commissione di aver disinvoltamente risolto il di.battito imputando all'ufficio di non aver motivato al riguardo... senza risolvere il problema estimativo del quale, al contrario, avrebbe dovuto essa farsi carico. Compito della Commissione dunque decidere nel merito, senza inseguire, salvo casi limite, enunciazioni astratte sull'adempimento dell'obbligo di motivazione . La statuizione si inserisce in un costante indi11izzo recentemente rinverdito (3 giugno 1987 n. 4844; 13 luglio 1987 n. 6096; 3 luglio 1987 n. 5812, in questa Rasse gna 1988, I, 132, 133 e 152, nonch 26 ottobre 1988 n. 5783 e 5782, in questo fascicolo, pag. 304). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 317 carico, nel senso che avrebbe dovuto essa preliminarmente statuire sulla attinenza {normativa o di fatto) delle singole voci all'attivit dell'azienda e, nell'affermativa, indagare sulle relative prove, tenendo presente, al fine, che, nel concorso delle condizioni di cui all'art. 120 cit., l'onere di giustificare le spese riportate al passivo in bilancio a carico del contribuente che ne pretende la deduzione, non gi dell'ente impositore che la nega (Cass. 3745/1987, 1704/1985, 2234/1983, 2479/1982, tra le tante). E ci non solo perch cos espressamente dispone l'art. 121, II comma, d.P.R. 645 cit., ma anche perch, una volta superata la presunzione di veridicit delle scritture contabili, si rende pienamente applicabile il principio generale secondo cui, ove non venga in discussione il presupposto dell'imposta, spetta al contribuente fornire la prova dei fatti a s favorevoli, che influiscano riduttivamente sull'imponibile accertato o sull'imposta dovuta. In questo quadro non v' spazio per enunciazioni astratte sull'adempimento dell'obbligo di motivazione dell'accertamento tributario (sintetico o non), sulla sua integrabilit e sulla ripartizione dell'onere della prova nel consecutivo giudizio di opposizione: questioni, tutte, relativamente alle quali le certezze interpretative proposte dalla ricorrente non si possono, comunque, per niente condividere (e basterebbe, in proposito, ricordare non solo la giurisprudenza nettamente favorevole alla integrabilit della motivazione -v., ad esempio, Cass. 402/1986, 4541/1984, 4261/1979 -ma anche quella che, pi radicalmente, riconnette alla sua carenza, in tema di imposte indirette, il solo effetto di aprire l'accesso all'esame sul merito della pretesa tributaria: da ultimo, Cass. 4844/1987). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 dicembre 1988, n. 7020 -Pres. Scanzano -Est. Ruggiero -P. M. Virgilio '(diff.). Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Venerosi (avv. Menghini). Tributi Erariali Diretti Imposta sul reddito delle persone fisiche Deduzioni ex art. 10 d.P.R. 25 settembre 1973 n. 597 Contributi agri coli unificati Deducibilit. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 10). I contributi agricoli unificati, in quanto non dedotti dal reddito fondiario, sono deducibili dal reddito complessivo a norma dell'art. 10 lett. i) d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 quali contributi previdenziali i(l). (1) La pronunzia non persuade pienamente. Non sembra che possano oggi ricercarsi analiticamente tutte le componenti del reddito fondiario tenute presenti all'impianto del catasto per ammettere la deduzione dei costi che non 318 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO '(omissis) Col primo motivo, l'Amministrazione Finanziaria denuncia la violazione dell'art 10. lett. d) del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 e degli articoli 5 e 23 legge 13 aprile .1977 n. 114, anche in riferimento agli artt. 24 e 30 del d.P.R. n. 597, sostenendo che le disposizioni introdotte con la legge n. 114 si applicano relativamente ai redditi posseduti a partire dall'anno 1976; che dal tenore letterale dell'art. 10 lettera d) del d.P.R. n. 597 si desume che i contributi previdenziali ed assistenziali pagati dal contribuente sono deducibili in quanto siano stati sostenuti nel suo interesse o in quello di altra persona al cui mantenimento egli sia tenuto per legge e che tale condizione non ricorre per i contributi agricoli unificati, non essendo il datore di lavoro obbligato al mantenimento dei suoi dipendenti. Peraltro, anche l'art. 5 lett. i) della legge n. 114 del 1977 va interpretato nel senso pi restrittivo, e cio in quello che i contributi previdenziali ed assistenziali sono deducibili solo se sostenuti dal contribuente per se stesso. Col secondo motivo l'Amministrazione denuncia la violazione degli drtt. 24 e 30 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, anche con riferimento ai principi di cui al r.d. 8 ottobre 1931 n. 1572; al r.d. 12 ottobre 1933 n. 1529; al r.d.l. 4 aprile 1939 n. 589; al d.P.R. 29 settembre 1973 n. 604, nonch l'insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), sostenendo che il reddito dominicale e quello agrario sono redditi medi ordinari determinati in base a tariffe d'estimo, che riflettono le quantit medie ordinarie dei prodotti e mezzi di produzione, valutate in base alla media dei prezzi furono ricompresi. La situazione economica-sociale profondamente mutata s che la determinazione del reddito pu apparire anacronistica, ma resta pur sempre valido il criterio del reddito medio ordinario aggiornato con il coeffilciente. Ma soprattutto fa tariffa dei redditi determinata secondo i criteri e le tecndche produttive oggettive senza tener conto delle variabili, positive e negative, riferibili alle singole particelle, cos che un costo non universale e non omogeneo, quale quello dei contributi unificati agricoli, non pu essere apprezzato in modo specifico, come non sono apprezzabili le incentivazioni e le provvidenze, ma ci non esclude che nel costo del lavoro siano ricompresi gli oneri previdenziali. Sotto l'altro aspetto va rilevato che in vda generale le deduzioni dell'art. 10 del d.P .R. n. 697/1973 riguardano oneri personali, che caratterizzano appunto il tipo di imposta, e non componenti dei singoli redditi. vero che nel lungo elenco accresciutosi nel tempo, figurano anche oneri specifici (canoni, livelli e censi, mutui agrari), ma questi oneri sono per l'appunto eccezioni che non possono essere estese al di l dei casi espressamente previsti. E per quel che concerne i contributJi previdenziali e assistenziali sembra chiaro che la norma fa riferimento a contributi a beneficio del soggetto e non anche a contributi a beneficio di terzi (altrimenti dovrebbero ritenersi deducibili i contributi previdenziali corrisposti, sia pure obbligatoriamente, per il personale domesti co); al contrario i contributi obbligatori riferiti al soggetto sono deducibili anche se non concorrono a formare il suo reddito complessivo. I I ~ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA correnti, tra i quali il costo del lavoro. Da un attestato rilasciato nell'ottobre 1981 dall'U.T.E. di :Pisa risultava che dei contributi agricoli unificati si era tenuto conto nella determinazione dell'estimo. La Commissione Centrale, da un lato, aveva omesso di tener conto di quel certificato e, dall'altro, aveva sostenuto che mancava la prova che l'onere dei contributi fosse stato considerato nella determinazione delle tariffe, incorrendo nell'errore di ritenere che considerare l'onere dei contributi si-, gnifichi doversene detrarre la misura dal reddito medio ordinario, mentre un tale elemento di analiticit incompatibile con la determinazione legale del reddito medio. I motivi sono infondati. Poich la presente controversia riguarda la dichiarazione dei redditi relativi all'anno 1975, non applicabile la legge 13 aprile 1977 n. 114 (vedi art. 23, cirea il suo effetto dal 1 gennaio 1976), bensi l'art. 10 del d.P.R. n. 597/1973 nella sua originaria formulazione: Dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente o dalle persone i cui redditi gli sono imputati a norma dell'art. 4 (inciso questo da leggere alla, stregua della sentenza Corte Cost. 14 luglio 1976 n. 179) anche nell'interesse di altre persone al mantenimento delle quali siano obbligati per legge: (omissis) d) i contributi previdenziali e assistenziali . Dalla lettera e dallo scopo della norma, che va coordinata con l'ultimo comma {Le deduzioni di cui ai precedenti commi sono ammesse nella misura in cui gli oneri siano rimasti effettivamente a carico del contribuente o delle altre persone indicate nel primo comma) risultano le condizioni della deducibilit dei contributi previdenziali e assistenziali: a) l'altemativit fra la loro deducibilit nella determinazione dei singoli redditi o la deducibilit dal reddito complessivo; b) l'essere a carico del contribuente. Non sussiste invece l'ulteriore condizione {affermata dall' Ainmini strazione nel ricorso) che i contributi non siano erogati nell'interesse di persone diverse da quelle al mantenimento delle quali il contribuente sia obbligato per legge. Anche i contributi erogati nell'interesse di altre persone (purch senza diritto a rivalsa e cio purch restino a carico del contribuente) sono deducibili, se attengono all'attivit del soggetto produttiva cli una componente del suo reddito complessivo. Invero, stante l'altemativit della previsione (con riguardo o al singolo reddito o al reddito complessivo) la condizione della deducibilit deve essere identica in entrambi i casi, perch la ratio della disciplina che detti oneri non siano detratti per due volte, ma debbono per 320 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO essere necessariamente detratti, quando afferiscono al reddito del contribuente, nel suo prodursi. Se la detrazione avviene in sede di determinazione del singolo reddito (per esempio, d'impresa) non potr avvenire ai sensi dell'art. 10. Ma -cos come la deduzione in sede di determinazione del reddito d'impresa svincolata dal collegamento fra i contributi e la persona del contribuente .-la medesima autonomia deve ritenersi sussistente nella deducibilit ai sensi dell'art. 10, stante l'uniformit della ratio della disciplina della deduzione alternativa nelle due diverse sedi. Per esempio, l'art. 52 del d.P.R. n. 597/73 i(testo originario) disponeva che il reddito d'impresa costituito dagli utili netti conseguiti nel periodo d'imposta, determinato in base alle risultanze del conto dei profitti e delle perdit_e con le variazioni derivanti dai criteri stabiliti dalle successive disposizioni. evidente che, nel conto dei profitti e delle perdite, l'imprenditore ha gi tenuto conto (deducendoli) dei contributi previdenziali ed assistenziali per i lavoratori dipendenti, da lui pagati e rimasti a suo carico. Tali contributi non sono quindi pi deducibili ai sensi dell'art. 10; ma Ia deduzione in sede di determinazione del singolo reddito {d'impresa) prescinde dalla riferibilit dei contributi al soggetto-imprenditore, in quanto determinata invece dalla riferibilit dei contributi alla sua attivit di produzione del reddito. La medesima ratio sta alla base, per fare un esempio, della non deducibilit ex art. 10 dei contributi versati per il personale di servizio dal soggetto non imprenditore, in quanto si tratta di spese erogate e non di costi di produzione di un reddito. Se il reddito dell'impresa agraria {o -comunque -derivante dal possesso di terreni) fosse determinato con gli stessi criteri di riferimento puntuale a quello in concreto prodotto, non dubbio che si dovrebbe seguire il medesimo criterio della non deducibilit ex art. 10, in quanto la spesa per i contributi agricoli unificati sarebbe gi compresa al passivo del conto dei profitti e perdite dell'azienda agraria. Ma la legge fiscale (come meglio si vedr avanti) non d alcun rilievo al suddetto conto dei profitti e perdite dell'azienda agraria, per cui si deve necessariamente far ricorso all'art. 10, dal quale risulta un criterio fondamentale di deducibilit che quello oggettivo dell'inerenza al reddito prodotto, con riguardo all'ipotesi alternativa della deduzione in sede di determinazione dei singoli redditi; criterio che -per esigenze di parit di trattamento fiscale, alla luce del principio della capacit contributiva (art. 53 Cost.) -non pu non permeare anche la deducibilit ex art. 10, con riguardo a contributi che hanno un collegamento oggettivo con i redditi fondiari di cui all'art. 21 del d.P.R. 597. Nella suddetta prospettiva, la dizione anche nell'interesse di altre persone al mantenimento delle quali siano obbligati per legge assume PARTE I, SEZ, VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA una valenza non limitativa, ma estensiva, nel senso che -lungi dal limitare la deducibilit dei contributi a quelli riguardanti il soggetto contribuente come soggetto individuale nonch le suddette altre persone la legge invece estende 1!1 deduzione dei contributi a quelli riguardanti queste ultime, senza per apportare una limitazione per quanto riguarda i contributi pagati dal contribuente e rimasti a suo carico, nell'esercizio delle attivit produttive di reddito; contributi per i quali non si esige, n nella lettera n nello scopo della legge, la loro referibilit esclusiva all'interesse personale del contribuente. La suddetta conclusione convalidata dalle successive modifiche della legislazione, che pertanto opportuno esaminare. L'art 5. primo comma della legge 13 aprile 1977 n. 114, nel modificare l'art. 10 cit. ha spostato l'inciso anche se sostenuti nell'interesse dei soggetti indicati nell'art. 15 {e cio delle persone a carico del contribuente) all'ultimo comma e lo ha rapportato soltanto agli oneri indicati dalle lettere d), f) ed l), non riferendolo pertanto agli oneri della lettera i), che per sono stati indicati con una formula diversa da quella originaria {i contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge). Da tale modifica non si pu tr,arre l'illazione, sostenuta dall'Amministrazione ricorrente, che cio per gli altri oneri {ivi compreso quello della lettera i) sarebbe implicitamente sottintesa la necessit della loro riferibilit al soggetto ed all'interesse personale del contribuente. Al contrario, si deve verificare caso per caso la ratio della detrazione: dato che la norma ha conservato la dizione se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare (il reddito complessivo), valgono le considerazioni gi fatte supra sul significato di detta alternativit (basata sul criterio-base della capacit contributiva, che nel decreto delegato n. 597/73 si collegava al criterio direttivo contenuto nell'art. 2 comma 1 n. 6 della legge-delega 9 ottobre 1971 n. 825, che prevedeva la deduzione dal reddito complessivo di oneri e spese rilevanti che incidono sulla situazione personale del soggetto; ed stato significativamente confermato da una legge ordinaria, quale la numero 114 del 1977). Inoltre, la dizione versati in ottemperanza a disposizione di legge indica che sufficiente che una legge imponga {a differenza che per i contributi non obbligatori di cui alla lettera l) il versamento dei contributi, perch operi la deducibilit ex art. 10, a prescindere dalla circostanza che essi siano versati nell'interesse del medesimo soggetto obbligato, oppure no (salvo, ovviamente, il caso gi fatto supra che si tratti di erogazioni di reddito e non di spese inerenti alla sua produzione). Per quanto riguarda le persone a carico, la legge n. 114 conferma il riterio estensivo '(e non restrittivo) della deducibilit degli oneri. 322 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Per quelli di cui alla lett. l) vale la ratio che il contribuente, nell'erogare i premi per l'assicurazione sulla vita o contro gli infortuni ovvero i contributi non obbligatori nell'interesse delle persone a suo carico, soddisfa in qualche modo obblighi di mantenimento e di sicurezza delle suddette persone. Per quelli di cui alla lettera d), evidente che i suddetti obblighi riguardano anche la salute delle persone a carico. Per quelli di cui .alla lettera f), vale l'obbligo di istruzione verso le suddette. Ma se una legge impone dei contributi previdenziali ed assistenziali nell'interesse delle persone a carico, ovvio che basta la formula dell'art. 10 lettera i) (nel nuovo testo) per ritenerli deducibili. Se una legge impone che il contribuente paghi i suddetti contributi obbligatori nell'interesse di altri soggetti, dipendenti da lui nell'esercizio dell'attivit produttiva di reddito, la formula predetta sufficiente a farne ritenere la deducibilit (fermo il criterio base della alternativit, rispetto a quelli dedotti nella determinazione dei singoli redditi). Le medesime considerazioni valgono per le formulazioni successive, fino a quella dell'art. 10 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 che, per quel che interessa la presente controversia, sono rimaste invariate. Il primo profilo dell'indagine si deve concludere affermando che i contributi agricoli unificati, versati dal contribuente nell'interesse dei soggetti indicati dalle leggi sulla previdenza ed assistenza in agricoltura (r;d.l. 28 novembre 1938 n. 2138 e succ. modif.), a carico per legge del contribuente che dichiara redditi fondiari, sono compresi negli oneri dedudbili, in quanto non deducibili nella determinazione dei singoli redditi {fondiari). Il Collegio ritiene sussistente anche la suddetta ulteriore condizione. In primo luogo, deve trattarsi di una deducibilit per legge e non di una deduzione di mero fatto o presunta. : da notare che l'Amministrazione {almeno nel ricorso, pur accennandovi nella discussione orale) ha abbandonato la tesi -gi sostenuta dinanzi alle Commissioni -che si sarebbe tenuto conto degli oneri per i contributi agri coli unificati in sede di determinazione dei coefficienti a norma dell'art. 87 del d.P.R. n. 597 (v. ora il d.l. 4 agosto 1987 n. 326, art. 4, conv. in 1. 3 ottobre 1987 n. 403) che disponeva: Per i periodi d'imposta anteriori a quello in cui avranno effetto le modificazioni derivanti dalla prima revisione delle tariffe d'estimo... i redditi dominicali dei terreni ed i redditi agrari saranno aggiornati mediante l'applicazione di coefficienti (omissis) . Si tratta, peraltro, di tesi che non trova appiglio n nella legge n nei decreti emanati in sua attuazione, che hanno riguardo soltanto al mutamento dei valori monetari esprimenti il reddito catastale, in relazione al mutamento del valore della moneta (sia pure, come noto, con un adeguamento non pieno). Piuttosto, giova sottolineare che questa tesi presuppone la deducibilit dei contributi, indi PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA pendentemente dal riferimento degli stessi all'interesse personale del contribuente (essendo sufficiente il loro collegamento con l'attivit produttiva di reddito) e forse per questo stata abbandonata, per evitare una contraddizione con ,il primo motivo del ricorso. Si deve poi osservare che la censura di difetto di motivazione, in ordine alla mancata valutazione della. documentazione esibita, infondata. Invero, qualunque sia il suo tenore {si tratta di un certificato attestante che in sede di determinazione delle tariffe d'estimo sono stati dedotti i contributi de quibus), essa irrilevante, mancando il carattere decisivo del punto. La legge prevede la deducibilit nella determinazione dei singoli redditi {quale condizione ostativa alla deduzione ex art. 10) e cio la possibilit ex lege della deduzione. Se una deduzione possibile per legge non stata eseguita, l'interessato potr insorgere nella cc:>mpetente sede censuaria, ma non potr -invece -pretendere una deduzione nella sede alternativa di cui all'art. 10. Se -al contrario -una deduzione non dovuta per legge stata eseguita, sar l'Amministrazione a dover mettere in moto i rimedi nella competente sede censuaria, ma non potr opporsi alla deduzione ai sensi dell'art. 10. Pertanto, la questione non di fatto, ma puramente di diritto, e deve risolversi alla stregua del gi cit. art. 87, secondo il quale (a parte i coefficienti di aggiornamento), i redditi sono quelli risultanti dall'ultima revisione (r.d.l. 4 aprile 1939 n. 589, conv. in 1. 29 giugno 1939 n. 976). Con riguardo a tale sistema, la circostanza che i contributi previdenziali ed assistenziali obbligatori in agricoltura gi esistessero a cominciare dal secondo decennio del secolo {cfr. il d.lt. 23 agosto 1917 n. 1450, conv. in 1. 17 aprile 1925 n. 473, mod. da 1. 24 marzo 1921 n. 297, per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni in agricoltura; e poi le norme sull'assicurazione invalidit e vecchiaia, trasfuse nel r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827) porta un elemento contrario alla tesi dell'Amministrazione. Infatti, se (nonostante la preesistenza dei contributi obbligatori per la previdenza ed assistenza dei lavoratori agricoli) il suindicato d.l. del 1939 non ha modificato la legislazione preesistente, alla stregua della quale (come si vedr) non si deducevano i suddetti contributi nella determinazione delle tariffe d'estimo, si deve concludere che dette tariffe ne prescindevano a ragion veduta '(cfr., in tal senso, Cass. n. 874 del 1964, le cui argomentazioni sono in gran parte ancora valide, salvi i riferimenti alle leggi fiscali sopravvenute). Il citato r.d.l. n. 589 del 1939, all'art. 2 ultimo comma dispone: Ferme restando le vigenti disposizioni circa le detrazioni da effettuarsi dal valore della produzione come sopra determinato {scilicet: in base alla media dei prezzi correnti nel periodo compreso fra il 1 gennaio 1937 e la fine delle operazioni) per ottenere la rendita imponibile, la rimunerazione del Iavoro manuale calcolata sulla base dei contratti collet -~ -~ RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DELLO STATO tivi di lavoro anche quando si trat~a di lavoro manuale prestato dallo stesso conduttore . La norma non ha il significato che le attribui5ce ~ lAmministrazione, che cio dovesse effettuarsi la detrazione del costo i: complessivo del lavoro {comprensivo, oltre che del salario, anche dei contributi previdenziali ed assistenziali) perch: a) la legge del 1939 usa la dizione rimunerazione e si riferisce pertanto al compenso dato al lavoratore; b) essa recepisce in un atto avente forza di legge e comunicando cio sostanzialmente ad essi la medesima natura le disposizioni gi vigenti {r.d. 8 ottobre 1931 n. 1572 e r.d. 12 ottobre 1933 n. 1539). L'art. 13 del r.d. n. 1572 dispone: La rendita imponibile quella parte del prodotto totale del fondo che rimane al proprietario, netta delle spese e perdite eventuali; gli artt. 96 e seguenti del r.d. numero 1539, nello specificare quali sono le spese, non indica i contributi previdenziali, ma soltanto i compensi al lavoro sia intellettuale che manuale (lett. c) dell'art. 96), e cio la rimunerazione o salario, in quanto i contributi 'non sono compensi. da notare che il Regolamento n. 1539 conosce la figura dei contributi , l dove prevede la deducibilit dei contributi per opere di irrigazione od idrauliche {artt. 98 e 101); c) lo scopo dell'art. 2 ult. comma del d.l. del 1939 quello di fare riferimento ai contratti collettivi di lavoro, i quali non riguardano i contributi, la cui fonte esclusiva la legge. Anche l'art. 4 secondo comma del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 604, sulla revisione degli estimi {v., ora, art. 25 e 31 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917) prevede, fra gli elementi economici di riferimento, la rimunerazione del lavoro manuale, calcolata sulla base delle tariffe salariali vigenti {che non comprendono i contributi). Il d.m. 13 dicembre 1979, emanato in base alla suddetta normativa (autorizzazione a procedere alla revisione generale degli estimi dei terreni), dopo aver disposto che alle quantit medie ordinarie dei prodotti e dei mezzi di produzione deve essere applicata di norma la media dei prezzi correnti nel biennio 1978/79 {ed il riferimento ai prezzi non pu includere i contributi), dispone: In ogni caso il costo del lavoro manuale, compreso quello prestato dallo stesso conduttore, deve essere computato sulla base della media delle tariffe salariali vigenti nel medesimo periodo . Dopo aver usato l'espressione costo {che di per s potrebbe includere i contributi), il d.m. citato lo individua con riguardo esclusivo alle tariffe salariali, confermando che anche nella revisione (non ancora in vigore: vedi il gi citato d.l. n. 326 del 1987, conv. in I. n. 403/87) non si prevede un calcolo in detrazione dei contributi. PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Le tariffe delle rendite catastali vengono determinate {art. 109 del r.d. numero 1539) secondo i metodi di stima suggeriti in dottrina dall'estimo rurale per la determinazione della rendita fondiaria quale base del valore dei fondi rustici, tenendo presente per (vedi numero 2 del citato articolo) che la rendita fondiaria da prendersi a base, del valore dei terreni calcolata al netto dell'imposta e delle sovrimposte, che sono comprese invece nelle tariffe di estimo . In sostanza, la normativa catastale differisce dal1'a stima in concreto dei fondi, anche perch non si detraggono i tributi gravantr sui fondi. Il criterio pu applicarsi anche ai contributi {parafiscali), come confermato dall'art. 96 ultimo comma: non si fanno deduzioni per decime, canoni enfiteutici o livellari, diritti di pascolo e di legnatico, debiti e pesi ereditari, compensi e prestazioni in genere . da sottolineare che -invece -gli oneri suddetti 1sono previsti come detraibili ai sensi dell'art. 10 del d1P.R. n. 597 (lettere b) e e) del testo originario; lettere b), e) e d) del t.u. nmero 917 del 1986). Viene confermato, in modo espresso per tali oneri, il criterio di alternativit illustrato nella prima parte della presente decisione, nella deduzione di oneri o dal reddito complessivo o dal singolo reddito. II medesimo criterio non pu non valere per i contributi unificati. L'Amministrazione sostiene che la mancata deduzione dei contributi dal reddito medio ordinario non comport la loro deducibilit ai sensi dell'art. 10, perch il reddito medio ordinario forfettario, per cui incompatibile con esso la logica dell'analiticit. Secondo la ricorrente, ammettere i C.A.U. in deduzione, significa introdurre un elemento di nullificazione del reddito dominicale tassabile e snatu.mre la norma concernente il reddito medio ordinario, in base a cui determinato. L'argomento non pu essere accolto. vero che il reddito catastale un reddito medio, ordinario, e non puntualmente riferito al singolo fondo, ma ci non toglie che esso formato -ai sensi dell'art. 109 del Regolamento e delle norme gi richiamate -analiticamente, in quanto la ordinariet ed il suo carattere medio attengono alla applicazione delle tariffa, ai vari fondi, ma non alla sua formazione. Quanto alla nullificazione del reddito, essa dipende in gran parte dalla mancata revisione tariffaria, per cui i coefficienti ministeriali di moltiplicazione possono non risultare adeguati alle nuove realt economiche. D'altra parte, il fenomeno della detraibilit degli oneri vale in ogni altro tipo di reddito, con possibili effetti riduttivi o addirittura soppressivi del reddito corrispondente {si pensi agli interessi per mutui ipotecari, la cui deducibilit potrebbe nullificare il reddito dei fabbricati determinato catastalmente) e non vi ragione per non renderlo operante nel presente caso, in ossequio al gi richiamato principio fissato dalla legge 1di delega per la riforma tributaria {e confermato con la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 326 legge ordinaria del 1977), nel rispetto della capacit contributiva del soggetto. Invero, il ragionamento si pu capovolgere: non esprime una capacit contributiva un reddito a fronte del quale il contribuente obbligato per legge a pagare contributi inerenti alla sua attivit produttiva, per finanziare gli istituti pubblici di assistenza e previdenza obbligatori. Concludendo, i contributi agricoli unificati, non detraibili per legge in sede di tariffe d'estimo fondiario, possono invece dedursi dal reddito complessivo, ai sensi dell'art. 10 del d.P.R. n. 597 del 1973 e succ. modif. (omissis) SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, 16 ottobre 1989, n. 4145 -Pres. Brancaccio -Rel. Morsillo -E.R.S.A.P. (avv. Stato De Stefano) c. Nard {avv. Leonetti). Avvocatura dello Stato -Patrocinio di Enti pubblici -Mandato -Necessit -Esclusione. (R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43; legge 3 aprile 979, n. 103, art. 11). Arbitrato -Controversie in materia di concessione di beni -Terreni di riforma agraria -Arbitrato -Compromesso -Ammissibilit -Esclu sione. (Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5; cod. proc. civ., artt. 806 e 808). A seguito delle modifiche apportate con legge 3 aprile 1979, n. 103 all'art. 43 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, deve in via generale ritenersi che per le amministrazioni pubbliche non statali e per gli enti pubblici statali e regionali autorizzati ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, questa esercita la rappresentanza in giudizio in via organica ed esclusiva, salvo il caso di conflitto di interessi con lo Stato. Ne deriva che, una volta intervenuti i provvedimenti autorizzativi di carattere generale, l'assunzione della rappresentanza e difesa di tali enti da parte dell'Avvocatura non richiede specifiche investiture per i singoli giudizi, essendo invece necessari particolari provvedimenti per l'esclusione di una tale rappresentanza e l'affidamento della stessa a privati professionisti (1). Non compromettibile in arbitri, appartenendo alla giurisdizione esclusiva dei T.A.R. ex art. 5 legge n. 1034/1971, la controversia tra l'Ente regionale di sviluppo a~ricolo e l'assegnatario di un terreno di riforma fondiaria allorch la stessa non sia limitata al mero profilo riguardante la indennit per miglioramenti ma involga questioni sulla estinzione del rapporto concessorio, da dichiararsi ad esito di un procedimento amministrativo pur in caso di rinuncia del concessionario (2). (1) Cfr. Cass., S.U., 5 luglio 1983, n. 4512, in questa Rassegna, 1983, I, 699 ed ivi ulteriori richiami. V. pure T.S.A.P., 14 giugno 1985, n. 32, ivi 1985, I, 496 e, con specifico riferimento all'ERSAP, Cass. 21 marzo 1987 n. 2807 sempre in questa Rassegna, 1987, I, 180. (2) Nello stesso senso Cass., S.U., 10 dicembre 1981, n. 6517, in questa Rassegna, 1981, I, 607 con richiami. Per l'appartenenza dei terreni di riforma al patrimonio indisponibile degli eil!ti di sviluppo v. anche C. Stato, VI, 17 ottobre 1978, n. 1152, in Cons. Stato 1988, I, 1260. 328 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). Nel proposto controricorso il Nard in via pregiudiziale sostiene violazione dell'art. 82 c.p.c. sotto il profilo che l'Avvocatura dello Stato non avrebbe avuto, all'epoca dell'impugnazione del lodo avanti alla oorte d'appello, alcun potere di rappresentanza e difesa del l'ente regionale, onde l'impugnazione dovrebbe considerarsi nulla ed ine sistente perich proposta da ente non legittimato e comunque da un difensore privo assolutamente deHo jus postulandi, e la relativa nul lit sarebbe rilevabile in ogni stato e grado del procedimento. Assume la difesa del resistente che l'Ersap un ente regionale e che gli enti regionali possono avvalersi della rappresentanza e della difesa dell'Avvocatura dello Stato, quando la regione abbia adottato la deliberazione prevista dal 1 comma dell'art. 10 della legge n. 103 del 1979, e che una tale deliberazione debba essere pubblicata nella G.U. e nel Bollettino ufficiale della Regione Puglia, mentre entrambe le cose non risulterebbero mai avvenute. La deliberazione, inoltre, dovrebbe essere stata approvata dal consiglio di amministrazione dell'ente, con dizionando tale approvazione l'assunzione dello stesso patrocinio da parte dell'Avvocatura dello Stato, in via organica ed esclusiva. J.l motivo, che stato proposto per la prima volta solo in questa sede e che va esaminato attinendo esso al potere di rappresentanza in giudizio dell'amministrazione, e quindi ad un vizio che comporterebbe una nullit rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, chiaramente infondato. Costituisce, infatti, giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte il principio che 1a rappresentanza e difesa degli enti di riforma fondiaria da parte dell'Avvocatura dello Stato deriva direttamente dalla legg (art. 31 legge 12 maggio 1950, n. 230, integrato dalla legge 21 ottobre 1950, n. 841; nonch dall'art. 3, ultimo comma, della legge 8 luglio 1957, n. 600). Ai sensi, poi, dell'art. 3, ultimo comma, della legge 9 luglio 1957, n. 600, Ja facolt di avvalersi in giudizio del patrocinio e dell'assistenza dell'Avvocatura dello Stato stata estesa a tutti gli enti (e loro sezioni speciali) di colonizzazione e .di trasformazione fondiaria previsti dalla legge 21 ottobre 1950, n. 841, e che .sono stati successivamente trasformati in enti di sviluppo. Anche per tali enti, pertanto, il potere di rappresentanza e difesa in giudizio compete ex lege (R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, come modificato dalla legge 3 aprlie 1979, n. 103) all'Avvocatura dello Stato senza che si richieda una deliberazione dell'ente al riguardo, che per contro necessaria solo al fine di escludere tale potere e di avvalersi di liberi professionisti, n il conferimento all'uopo di una formale pmcura per il concreto esercizio de1Io jus postulandi (Cass. S.U. 27 luglio 1982, n. 4317). La legge, infatti, rende applicabile la disdplina prevista dagli articoli 43 e segg. del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, con la conseguenza f PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 329 della impossibilit da parte dei terzi di indagare sul conferimento del l'incarico, costituente atto meramente interno, che non necessario che si esteriorizzi in un formale mandato, neanche quando le norme pro cessuali ordinarie prescrJvano un mandato speciale (Cass. S.U. 15 mar zo 1982, n. 1672; Cass. S.U. 24 febbraio 1975, n. 700). Con la .Jegge 3 aprile 1979, n. 103 mutata, infatti, sostanzialmente la disciplina della rappresentanza e difesa in giudizio delle Amministra zioni non statali e degli enti sovvenzionati, sottoposti a tutela o anche a sola vigilan:m dello Stato, a seguito dell'integrazione apportata all'ar ticolo 43 del T.U. 1611 del 1933 dall'art. 11 della richiamata legge 103 del 1979. Per tali enti, autorizzati con legge o con altro provvedimento, e ora anche per gli Enti regionali che, previa deliberazione degli organi competenti abbiano richiesto il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato (art. 11, quarto comma) la rappresentanza e la diifesa nei giudizi indi cati nel primo comma dell'art. 43 sono assunte dall'Avvocatura .in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di confilitto d'interessi con lo Stato e con le Regioni. Salvo le ipotesi di conflitto, ove tali Amministrazioni ed enti in tendano in casi speciali non avvalersi dell'Avvocatura dello Stato, deb bono adottare apposita motivata deliberazione da sottoporre agli organi di vigilanza. In via generale pu pertanto affermarsi che ad eccezione degli enti che esercitano funzioni delegate o subdelegate della Regione, per le Re gioni, per tutte Je altre amministrazioni pubbliche non statali e per gli enti pubblici statali e !'egionali autorizzati ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura, questa esercita la rappresentanza in via organica ed esclusiva, salvo H caso di conflitti di interessi con lo Stato. Ne deriva che, posti in essere i provvedimenti autor.izzatiw di caratte!' e generale (deliberazioni del consiglio regionale, autorizzazioni con legge, regolamento o altro provvedimento approvato con decreto presidenziale, deliberazione degli organi competenti degli enti regionali) l'assunzione della rappresentanza e difesa da parte dell'Avvocatura av. viene in forma generale ed organica, onde non occorrono per i singoli giudizi investiture particolari, essendo necessari, invece, proprio per l'esclusione di una tale rappresentanza e l'affidamento di essa a privati professionisti, provvedimenti talvolta soggetti al visto degli organi di vigilanza. Ed il sistema introdotto con la legge citata, lungi dall'intac care il principio dell'autonomia degli enti, si ispira invece all'esigenza di coordinamento e di unit dell'indirizzo amministrativo dello Stato, che proprio nella funzione consultiva e di difesa in giudizio delle ammi nistrazioni de1lo Stato, delle regioni e degli enti pubblici, da parte dell'Avvocatura trova concreta attuazione e riferimento. E ci a pre scindere dall'ulteriore e decisivo rilievo che con d.P.R. 6 ottobre 1978, RASSEGNA DBLL'AWOCATURA DELLO STATO 330 n. 873 t'Avvocatura dello Stato stata autorizzata ad assumere il patrocinio dell'ERSAP. N pu considerarsi fondata l'obiezione di tacita 1abrogazione delle sopracitate disposizioni a seguito dell'entrata 'in vigore della legge 103/ 1979, in quanto (Cass. S.U. 15 marzo 1982, n. 1672 cit.) con l'entrata in vigore di tale ultima legge la deliberazione del Consiglio regionale necessaria solo per far conseguire alle regioni a statuto ordinario, e quindi agli enti regionalii eventualmente considerati, il pieno regime del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato proprio delle amministrazioni statali, ma non richiesta per l'estensione di quel patrocinio, su diverso piano giiuridico, gi concessa in precedenza da altre norme (art. 107 d.P.R. 616 del 1977 per le regioni a statuto ordinario). La legge posteriore non contiene cio alcuna disrposizione incompatibile con le disposizioni normative della precedente normativa. Va adesso esaminato il ricorso dell'ERSAP. Con il primo motivo di gravame l'ente ricorrente denuncia violazione dei rprindpi ~elativi alla giurisdizione, violazione e falsa applicazione dell'art. 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1034; degli artt. 16 e segg. legge 12 maggio 1950, n. 230; della legge 21 ottobre 1950, n. 41 e della legge 29 maggio 1967, n. 379, art. 7, in relazione agli artt. 360 n. l, 3 e 5 cod. proc. civ., 808 e 829 ste'sso codice. Assume dl ricorrente, prospettando violazione di legge in ordine alla ripartizione della giurisdizione che la questione concernente l'accertamento e la liq.dazione delle indennit di miglioria non si sottrae alla giurisdizione del TAR, in quanto presuppone un procedimento amministrativo che si conclude con l'atto con cui l'ente formalmente d atto dell'estinzione della concessione ovvero dichiara Ja decadenza per inadempienm dell'assegnatario, onde la rinuncia non dovrebbe essere regolata dai rprindpi privatistici e non sarebbe operativa se non assunta nel corso di un procedimento amministrativo, che ne esamini i motivi, concludendosi per il rigetto o per l'accoglimento. Osserva in particolare il ricorrente che la Corte del merito ha definito beni patrimoniali indisponibili i terreni assegnati nel quadro della riforma fondiaria, riconoscendo la sussistenza nell'assegnazion~ di un vero e proprio provvedimento di concessione. La con.seguenza appare di rilievo sul piano pratico, poich con la legge 6 dicembre 1971, n. 1034 stato introdotto un nuovo caso di giuriisdizione esclusiva del giudice 1amministrativo, attribuendosi al TAR la competenza .in tema di concessione di beni pbblici. Competenza che, in quanto esclusiva, non appare limitata agli atti, ma estesa anche a.i rapporti, .in tal modo superandosi le conseguenze della distinzione tra diritti e interessi nelle concessioni-contratto, avendo la legge concentrato in un unico giudice ogni questione relativa a materia che, per i congiunti profili pubblicistici e privatistici, frequentemente dava luogo a dubbi interpretativi. W.:: %. :::=: x @, w.-<:% ~ .-< .-X . 7..Y.W. . li :-: -~--~ :x.:::::::::: . PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 331 Dalla competenza del TAR, ai sensi dell'art. 5, 2 comma, della legge restano escluse le sole controversie concernenti indennit, oanoni ed altri corrispettivi, cio questioni -ad avviso del ricorrente -diverse da quella in esame, in cui non si discute dei corrispettivi, in senso ampio della concessione, ma se spettino o meno i miglioramenti eseguiti dal concessionario e, in caso affermativo, in quale misura. Conseguentemente il collegio arbitrale manoava di ogni potere decisorio al r.iguardo, cos come privo di giurisdizione sarebbe stato il giudice ordinario. Il motivo fondato. L'art. 5 della legge n. 1034, del 1971 stabilisce che sono devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi contro atti e provvedimenti relativi ,a rapporti di concessione di beni o di servizi pubblici... Resta salva la giurisdizione dell'autorit &iudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennit ed altri corrispettivi . Prima, per, di affrontare la questione sollevata con ,il proposto ricorso sulla sussistenza o meno della giurisdizione del giudice ordinario in su]?iecta materia, deve osservarsi che nel caso in esame non vi dubbio che ci si trovi m presenza di una concessione amministrativa (concessione-contratto) secondo l'elaborazione che di tale .istituto ebbero a compiere queste Sezioni Unite con la nota sentenza del 7 ottobre 1972, n. 2914. Si osserv in quella sede che gli enti di riforma (oggi enti di sviluppo) sono enti pubblici e pubblici sono i beni della loro assegnazione. I terreni provenienti da espropriazioni in danno di privati so.no, infatti, trasferiti a tali enti per il raggiungimento di fini di pubblico .interesse, cio dei fini della riforma agraria e fondiaria, che sono fondamentalmente quelli deHa migliore ripartizione della propriet fondiaria e deHa valorizzazione delle terre, attraverso la trasformazione delle colture. N pu ritenersi che non si verserebbe, nell'ipotesi in esame, in materia di beni pubblici indisponibili, in senso tecnico, poich per questi non vige, come per i beni demaniatli, una tipicit normativa nel senso che possono appartenere soltanto allo Stato, con estensione del relativo regime alle province e ai comuni (art. 822 capov. e.e.) se appartengono a tali enti (art. 824 e.e.). I beni pubblici indisponibili, infatti, se destinati ad run pubblico servizio, e ci pu affermarsi per i beni della riforma fondiaria ove appartengano ad enti pubblici non territoriali, ,sono egualmente soggetti a quanto stabilisce l'art. 828, 2 comma e.e. e JJ.on possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi previsti dalle leggi che 1li riguardano (Cass. S.U. 10 dicembre 1981, n. 6517). N rilievo alcuno ha la circostanza, ai fini in esame, che i detti beni al termine del rapporto giuridico intercorso tra le parti, si trasferiscano , " .::::: . , . fili _,. ~ . . .m mm . -. .:;r,.:. -/;;: --, . x ,:::::; , . X mm . 332 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dal patrimonio dell'ente al patrimonio dell'assegnatario in propriet, in quanto la disciplina caratteristica della concessione-contratto opera egualmente durante tutto il periodo di vita dell'atto di assegnazione (Cass. S.U. 10 dicembre 1931, n. 6517 cit.). N migliore fondamento ha la tesi per cui l'art. 5 non sarebbe applicabile al caso di specie perch la controversia non presuppone l'impugnativa di un atto o di un provvedimento della P.A., bastando qui osservare che pur essendo vero che il processo che si svolge innanzi al giudice 1amministrativo rimane pur sempre un procedimento da .ricorso, non pu tuttavia sottovalutarsi che il giudice, per l'intima connessione che sussiste tra il diritto soggettivo e l'interesse legittimo, esamina l'intero rapporto giuridico sottostante e non si limita a riscontrare la legittimit del provvedimento amministrrativo che, in ipotesi, pu anche mancare. N vi problema ciin:a la necessit di rispettare gli eventuali termini di decadenza per l'impugnativa, posto che appare nettamente corisolidato l'indirizzo per cui, scendendo il giudice amministrativo all'esame di situazioni qualificabiH come diritti soggettivi, la loro tutela deve ritenersi ammessa per tutto il periodo di prescrizione (Cass. S.U. 10 dicembre 1981, n. 6517). Non vi sono, pertanto, ostacoli di carattere pregiudiziale che si frappongono all'applicazione del cit. art. 5 alla fattispecie concreta, la quale rientra nella competenza giurisdizionale del TAR. Come risulta dall'impugnata sentenza l'assegnatario, senza pervenire previamente ad alcun accordo con l'ente di svHuppo, ha ritenuto unilateralmente di recedere dal rapporto, per di pi senza illeanche abbandonare il fondo ed ha adito il coHegio arbitrale, ai sensi' dell'art. 19 del contmtto, per far valere sulla base dell'affermata cessazione del rapporto il diritto all'indennit per i migliorramenti. Ne consegue che la controversia tra le parti non attiene al mero prof.ilo che riguarda l'indennit prevista dall'art. 5, 2 comma, ma s.i estende al controllo circa la sussistenza dei presupposti che potevano indurre, nel caso concrreto, ad una risoluzione del rapporto ad iniziativa dell'assegnatario o dei suoi eredi ed alfinterpretazione del contratto accessivo alla concessione, il che comporta l'applicabilit dell'art. 5, 1 comma, che stabilisce che la controversia appartiene alla sfera di giurisdizione del TAR. Poich nel caso in esame la questione di giurisdizione (risolta nel senso del difetto di giurisdizione del giudice ordinario) stata so)levata dal ricorrente come mezzo onde ottenere il riconoscimento giudiziale della non compromettibilit in arbitri della presente controversia, necessario stabilire se ed in quali limiti il difetto di giurisdizione deil'autorit giudizia:r;ia ordinaria in materia incida sui poteri decisori degli arbitri. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 333 L'indirizzo gi, accolto da queste S.U. e che va confermato in questa sede (v. S.U. 2 maggio 1979, n. 2522; 24 febbraio 1981, n. 1112; 4 luglio 1981, n. 4360; 24 settembre 1982, n. 4934; 18 gennaio 1984, n. 404; 19 maggio 1986, n. 2320; 19 maggio 1986, n. 3326; 16 giugno 1986, n. 4006; Cass. 21 marzo 1987, n. 2814), nel senso che ove si tratti di controversia relativa a diritti soggettivi, gi devoluta al giudice ordinario ma attualmente rientrante nella giurisdizione esclusiva del Tar (in quanto non compresa nella riserva di giurisdizione dell'AGO, limitata alle indennit, canoni ed altri corrispettivi delle concessioni di beni o di servizi pubblici, ai sensi dell'art. 5, 2 comma della legge) in difetto di contraria previsione normativa, deve escludersi la facolt di compromettere in arbitri. Due sono gli argomenti fondamentali a sostegno di una tale tesi: a) l'uno attiene alla funzione propria del compromesso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, sostitutivo od equivalente della _giurisdizione ordinaria e quindi deroga convenzionalmente alla giurisdizione dell'autorit giudiziaria ordinaria; b) l'altro pone l'accento sugli effetti giuridici che si verificano allorch determinate materie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice speciale in relazione ai diritti soggettivi delle parti, i quali subendo necessariamente le conseguenze che sono connesse all'intimo intreccio con gli interessi legittimi, perdono o riducono la loro disponibilit, onde non sono pi suscettibili 'di essere compromessi in aJ1bitri (art. 806 c.ip.c.). D'altra parte stato sottolineato che ammettere la deferibilit ad arbitri delle controversie relative a diritti che si pretendono lesi dal provvedimento concessorio, non soltanto importerebbe che le controversie circa la distinzione tra i. diritti ed interessi permarrebbero nella materia in violazione della legge n. 1034 del 1971, che provvedimento d'ordine e d'interesse pubblico, ma autorizzerebbe una deroga alla concentrazione di tutte le controversie nella giurisdizione amministrativa, che stata ritenuta la pi idonea, in materia di concessioni amministrative, alla pi penetrante e completa tutela delle situazioni giuridiche soggettive lese dall'autorit amministrativa. Si deve, dunque, diehiarare che essendo la controversia insorta tra le parti devoluta alla gillrisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 5, 1 comma legge 1034 del 1971, la controversia non compromettibile in arbitri. N va trascurato di sottolineare che la eventuale rinuncia dell'assegnatario e la morte dello stesso non determinano ipso iure l'estinzione del rapporto concessorio. Nel primo caso perch oggetto della concessione un bene patdmoniale indisponibile dell'ente di riforma, ed il rapporto di assegnazione, compresa la particolare questione dei miglioramenti, risulta interamente disciplinato da disposizioni legislative, le quali, proprio in quanto dirette al preminente fine pubblico della ri RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO forma, sono da ritenere inderogabili con la conseguenza della radicale nullit della clausola, data l'impossibilit di compromettere controversie non soggette a transazione perch riguardanti diritti indisponibili (art. 808 c.p.c., 1966 cod. civ.). Nel secondo caso, la morte dell'assegnatario non determina ipso iure l'estinzione del rapporto concessorio, perch secondo la particolare disciplina delle concessioni di cui trattasi, nel caso di morte dell'assegnatario subentrano nell'assegnazione i discendenti in linea retta e, in mancanza, il coniuge non legalmente separato (art. 7 legge 29 maggio 1967, n. 379; art. 19 legge 12 maggio 1950, n. 239). Ne deriva che, con la morte dell'assegnatario non si verifica nessuna, estinzione del rapporto di assegnazione, che automaticamente prosegue nei confronti degli aventi diritto, tanto vero che l'ultimo comma del cit. art. 7 dispone che solo se nessuno dei discendenti o il coniuge disposto a subentrare nell'assegnazione, il fondo ritorna nella disponibilit dell'ente, ma ci comporta l'espletamento di un procedimento amministrativo, a conclusione del quale l'ente potr formalmente dare atto dell'estinzione della concessione ovvero anche dichiararne la decadenza, come nel caso in cui l'assegnatario sia stato inadempiente violando gli obblighi della concessione. Fino a quando tale provvedimento non risulti emanato permane la giurisdizione esclusiva del TAR, poich se in ordine al riconoscimento del diritto ai miglioramenti si faccia questione sulle vicende estintive del rapporto (risoluzione, inadempimento dell'assegnatario, revoca da parte dell'ente concedente) o pi in generale, fo ordine a profili diversi da quelli inerenti all'accertamento ed alla qualificazione delle migliorie, la controversia appartiene al giudice amministrativo e di conseguenza non opera la clausola compromissoria. Di taJch deve dirsi che nessuna rinuncia del concessionario o di coloro che abbiano diritto a succedergli operativa, se non sia assunta nel corso di un procedimento amministrativo, che ne esamini i motivi, concludendosi per il suo accoglimento ovvero per il suo rigetto. Solo in tale ipotesi ha luogo l'estinzione della concessione, per cui in relazione allo specifico contenuto della c~ntroversia m esame la giurisdizione non poteva che spettare al giudice amministrativo, con la conseguente nullit delle clausole compromissorie, in quanto l'oggetto della contestazione fra le parti non limitato al puro profilo patrimoniale del diritto all'indennit per i miglioramenti, rientrante nella previsione di cui al secondo comma dell'art. 5 della legge n. 1034 del 1971, ma si estende sia al controllo dell'esistenza dei presupposti che potevano indurre, nel caso concreto, ad una risoluzione del rapporto ad iniziativa dell'assegnatario, sia all'interpretazione del complesso contratto accessivo alla concessione. N peraltro pu sostenersi che avrebbero una qualche rilevanza fatti sopravvenuti in corso di causa, atteso che la giurisdizione deve es PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 335 sere determinata con riiferimento al momento della domanda (C~ss. 11 febbraio 1980, n. 964; Cass. 3 marzo 1976, n. 708) n potx:ebbero averla i cosidetti comportamenti conclusivi dell'Ente (peraltro da escludersi nel caso in esamef. attesa la solennit conclsiva del rapporto di assegnazione. Ma quand'anche un atto formaJ.e di risoluzione possa rinvenirsi o quand'anche sia gi intervenuta la morte dell'assegnatario quale fatto estintivo del rapporto, non per questo si potrebbe affermare che la causa riguardi esclusivamente questioni di carattere patrimoniale dovute all'AGO. : noto, infatti, che la giurisdizione deve essere determinata non solo in base al contenuto della d.Omanda, ma anche in considera:llione delle eccezioni sollevate dal convenuto. E poich l'ente, di fronte alle richieste di indennit rivoltegli dagli assegnatari ha eccepito cli volta in volta, che le asserite trasformazioni fondiarie furono operate dall'ente stesso prima dell'assegnazione, ovvero che l'assegnatario non ademp ai propri obblighi di coltiva:llione mcorrendo m gravi responsabilit per aver danneggiato il podere od averlo abusivamente ceduto a terzi, ovvero che la risoluzione del rapporto .era basata sul. presupposto dell'inesistenza di qualsiasi credito per migliorie e poteva essere invalidata da qualsiasi successiva pretesa cli mettere in discussione l'avvenuta definizione dei rapporti economici, chlaro che simili ecceziorri dell'ente determinano l'ampliamento dell'oggetto della causa ed impongono il riesame delle fasi di costituzione, svolgimento ed estinzione del rapporto, cio il riesame di quei profili pubblicistici della concessione che, come sopra si gi evidenziato, sono riservati alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo. Il motivo va, pertanto, accolto con conseguente assorbimento dei restanti motiv.i. L'impugnata decisione va, quindi, cassata senza rinvio (Cfr. Cass. 21 marzo 1987, n. 2814). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 29 novembre 1989, n. 5217 -Pres. Granata -Rel. Girone -Prefetto di Catanzaro e Cassa Mezzogiorno (avv. Stato Laporta) c. Bisogni (avv. Lombardi Comite). Espropriazione per pubblica utilit -Trasferimento di funzioni alle Regioni -Acquedotto di interesse regionale -Assunzione dell'impegno di spesa da parte della Cassa -Competenza delle Regioni -Esclusione. (d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, art. 10; d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, art. 125). Il regime transitorio dettato dall'art. JO d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, a tenore del quale sono conservate agli organi statali le funzioni ammi 336 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nistrative in tema di espropriazione per p.u. quando, pur trattandosi dell'esecuzione di opere d'interesse regionale, il relativo impegno di spesa sia stato assunto a carico del bilancio statale in data anteriore al 1 gennaio 1978, applicab.ile anche alle espropriazioni per opere da realizzare a cura della Cassa per il Mezzagiorno, il cui specifico ordinamento contabile comporta che l'impegno di spesa richiesto dalla norma sia da identificare con la delibera di approvazione dei lavori (e la connessa riduzione delle disponibilit finanziarie costituenti la dotazione annua della Cassa) (1). (Omissis). Con il primo motivo di impugnazione denunziando vio , lazione e falsa applicazione degli artt. 10 d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, 125 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, 4 e 16 Jegge 6 ottobre 1971, n. 853, oltre che degli artt. 4 e 6 della legge 10 agosto 1950, n. 646 (art. 360 n. 3 c.p.c.) i ricorrenti lamentano ohe il Tribunale Superiore delle acque pubbliche abbia ritenuto non assunto .l'impegno di spesa per iil solo fatto che ne era mancata l'imputazione ad un capitolo di bilancio preventivo e ci senza considerare che la Cassa per dl Mezzogiorno, quale entit straordinaria creata per un eccezionale mtervento volto allo sviluppo dei territori di riferimento della sua attivit oltre 1a un bilancio consuntivo non ha anche un bilancio preventivo che si articoli in capitoli e voci, ma solo un fondo complessivo di disponibilit cui attingere entro il tetto annuo di a~segnazione, salvo il ricorso a speciali operazioni finanziarie per le opere comprese nei programmi di intervento gi approvati .(art. 4 e 6 della legge n. 646, del 1950). Sostengono quindi che le delibere del ConsigLio di amministra:lione, di approvazione della spesa, costituiscono l'unica forma di impegno della Cassa, 'riportabile alla fattispecie dell'art. 10 d.P.R. n. 8 del 1972 che conserva alla competenza dello Stato le opere corrispondenti. Il motivo fondato. Invero, innanzi tutto devesi rilevare che per quanto l'art. 10 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 faccia riferimento agli organi dello Stato nello statuirne il permanere della competenza per le opere tin materia attribuite alle Regioni ove sia gi stato assunto un impegno di spesa a norma dell'art. 49 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 sulla contabilit dello Stato, detta norma, per identica ratio, deve essere ritenuta applicabile anche agli altri enti pubblici, ci che trova conferma nel disposto dell'art. 125 secondo comma del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. (1) Sulla nozione di impegno di spesa, per gli effetti de1la disposizione di cui la sentenza ha fatto applicazione, v. pure Cons. Stato, IV, 30 ottobre 1979, n. 888 (in Cons. St. 1979, I, 1351) nonch Cons. Stato, IV, 9 dicembre 1980, n. 1161 (ivi, 1980, I, 1317 ed in questa Rassegna, 1981, I, 95 con nota di R. Tamiozzo). PARm I, SBZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 337 Inoltre, poich l'impegno di spesa previsto dalle indicate disposizioni deve essere riferito alla specifkit delle modalit relative a ciascun ente, consegue che, non essendo previsto dalla Jegge 20 agosto 1950, n. 646 istitutiva della Cassa per il Mezzogiorno, a causa della straordinaa-iet dei relativi interventi, un bilancio preventivo, articolato in capitoli e voci, ma soltanto un fondo complessivo annuo di disponibilit, deve ritenersi costituire impegno di spesa per detto Ente la delibera di approvazione dei favori e di destinazione della somma occorrente da parte del Consiglio di amministrazione e quindi, nella specie, la delibera 7 giugno 1968 relativa alla costruzione dell'acquedotto di Nocotera Marina, per la cui realizzazione fu emesso l'impugnato decreto di espropriazione da parte del Prefetto di Catanzaro. L'accoglimento del primo motivo di :impugnazione rende irrilevante l'esame del secondo con cui i ricol'll'enti sostengono che la competenza del Prefetto a pronunciare il decreto di espropriazione a richiesta della Cassa per il Mezzogiorno sarebbe rimasta comunque ferma in base all'art. 16 della legge 6 ottobre 1971, n. 853 che autorizza la Cassa stessa a proseguire gl'interventi nelle materie che saranno trasferite alle Regioni ai 'Sensi del primo comma del precedente art. 4 , e quindi il. permanere della competenza ordinaria di tale ente pur dopo l'attuazione dell'ordinamento Tegionale e fino al completo esaurimento dei mezzi finanziari stanziati dalla legge medesima per il quinquennio 19711975. (Omissis). PARTE SECONDA I . j 1 1 1 I I I QUESTIONI AWOCATURA DELLO STATO E GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA Il presente articolo tratto da una relazione presentata in occasione dell'incontro celebrativo ael primo centenario della legge 31 marzo 1889 n. 5992, istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, tenutosi in Roma, Campidoglio, il 12 aprile 1989. 1. -Introduzione. Fra le istituzioni che si sono illustrate per i loco meriti nel contributo dato all'evoluzione della coscien:m civile del Paese, il Consiglio di Stato si pone senza alcun dubbio iin prima fila. perci motivo di orgoglio per l'Avvocatura dello Stato poter vantare qualche merito -dir,etto e indiretto -per aver contribuito -nei modi e nelle forme che ci si accinge a tratteggiare -cos al processo storico che port alla creazione della IV Sezione del Consiglio di Stato come al1a prima immediata evoluzione del sistema .di giustizia amministrativa cos istituito. Va subito notato come la storia di queste istituzioni sia in gran paJrte la storia degli uomini che hanno dato loro vita. Questo perch l'epoca a cui facciamo riferimento -la seconda met del secolo scorso -era l'et dei notabili, un'et in cui i Grand Commis dello Stato, i vertici deg1i Istituti, i Presidenti, i Procuratori Generali, gli Avvocati generali -gli Auriti, gli Spaventa, i De Falco, i Mantellini -guidavano la .vita e le riforme istituzionali dialogando fra loro nei trispettivi uffici e nelle aule parlamentari, in cui spesso sedevano come autorevolissimi rappresentanti. Questo anche perch, dn generale, la bont delle istituzioni, pi che dalla perfezione delle normative che le regolano, data dalla qualitdegli uomini che danno foro vita. Questa risoluzione di uno dei punti della antica disputa tra Voltaire e Rousseau pu ritenersi ormai sufficientemente pacifica e la storia del giudice amministrativo italiano potrebbe fornire in proposito, ove mai ve ne fosse ancora bisogno, un decisivo riscontro. Hn dai primissimi anni della sua attivit e nonostante una normativa istitutiva e regolatrice quanto mai limitata ed imprecisa, la IV Sezione del Consiglio di Stato seppe offrire, infatti, piena garanzia di giustizia, trasformandosi da quell'organo di amministrazione che aveva voluto il legislatore in organo di giurisdizione. Il che dimostra una volta di pi, come sottolineato da Vittorio Scialoja, che la fortuna delle istituzioni, pi che dal rigidismo teorico delle norme che le regolano, pu talvolta dipendere dalil'abnegazione e dalla virt degli uomini che queste istituzioni reggono. E soprattutto balza evidente... la confortante verit che la consapevolezza dell'importanza e del valore delle funzioni che si esercitano, quando sia chiamato ad esercitarle chi abbia alto sentimento del dovere, garanzia di perfetta giustizia non minore di quella puramente esteriore che ingegnosi congegni legislativi possono prestare. 24 2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Uomini di alto sentire non sono mai mancati nel Consiglio di Stato italiano (1). La tradizione d'altronde continuata da Scialoja fino ai nostri giorni: la giustizia amministrativa italiana non gode neppure oggi, nonostante pi recenti leggi, di un supporto normativo adeguato. Non sembra, anzi, azzardato definire tale supporto come rudimentale, approssimativo ed obsoleto. Ciononostante il giudice amministrativo italiano continua la sua opera pretoria di cosfruzione di un sistema, un'opera in cui non si sa mai se apprezzare maggiormente la fantasia nell'escogitare nuove soluzioni, il rigore giuridico nell'argomentarle o i:1 pragmatismo nel trovare tra le pieghe delle norme rimedi atti a fornire r.isultati di sostanziale giustizia. 2. Le carenze del sistema della giustizia amministrativa dopo la leggeabolitiva del contenzioso e l'interpretazione datane dalla giurisprudenza italiana . . risaputo che, in seguito alJl'entrata in vigore della legge 20 marzo 1865, .n. 2248, allegato E, l'esigenza di istituire un sistema che garan I tisse un'adeguata tutela dei cittadini nei confronti della pubblica Am ministrazione .fu avvertita come pressante ed assolutamente ineludibile I ~ in connessiorte con l'orientamento affatto restrittivo cui si attenne la giurisprudenza nell'individuazione delle linee di confine segnate al giudice ordinario dalla predetta legge che, com' noto, aveva abolito i Tri bunali ordinari del contenzioso amministrativo e devoluto alla giurisdi ili 1; zione ordinaria tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa esser interessata la pubblica amministrazione e ancorch siano emanati provvedimenti del potere ese : 1 cutivo o dell'autorit amministrativa . Si recentemente avuto modo di sottolineare (2) come tale inter pretazione (che paradossalmente -come .fu rilevato nella relazione se natoriale al progetto Crispi (3) -rispetto al previgente sistema aveva segnato un vero regresso, in quanto che lasci al solo apprezza mento dell'autorit amministrativa interessi che prima avevano un giu dice) sostanzialmente trad l'intenzione del legislatore, che era quella di devolvere al giudice ordinario tutte le competenze dei soppressi tri bunali in materia di amminisrazione contenziosa, con la sola esclusione dell'eccezionale competenza in materia di interessi a fronte dei quali si ponesse un potere discrezionale dell'Amministrazione. Le ragioni tradizionalmente elencate per spiegare l'atteggiamento re strittivo assunto dalla magistratura italiana nell'interpretare [a legge del 1865 sono in genere .individuate nella disciplina dei conflitti da quella legge dettata e nella scarsa indipendenza di cui godevano allora i ma gistrati. vero infatti che l'art. 13 dell'allegato E devolvette (sia pure in via transitoria) al Consiglio di Stato -cio all'Esecutivo -la funzione di (1) V. ScIALOIA, Come il Consiglio di Stato divenne organo giurisdizionale, in Riv. Dir. Pubbl., 1931, 417. (2) I. F. CARAMAZZA, Il diritto civile e politico del cittdino nella cognizione dell'autorit giudiziaria ordinaria, in Atti del settimo Convegno di Studi Giurldici, Firenze, 1989, in corso di pubblioa2Jione. (3) Atti parlamentari, Senato del Regno, Tornata del 22 novembre 1887 (n. 6), 1. PARTE II, QUESTIONI 3 giudice dei conflitti di attribuzione fra giurisdizione e amministrazione ed era quindi prevedibile che il Consiglio d Stato procedesse secondo fo schema pa:ralogico del tu hai torto, perci ti nego il giudice, Vero anche che la magistratura all'epoca era costituita da un insieme non ancora amalgamato di giudici dei vari stati preunitari, forniti di ben modeste garanzie nei confronti del Governo. Vero , infine, che i magistrati -o quanto meno quelli di alto grado -erano espressione di quella stessa classe sociale -la borghesia agraria -che forniva i quadrial1a politica ed all'alta burocrazia (4). Sta di fatto, per, che l'errore di grammatica c.ostituzionale dell'ar ticolo 13 della legge abolitrice -d'altronde non premeditato e dettato s>lo dalla fretta (5) -fu subito corretto con la legge del 1877, che af fid alla Cassazione rnmana H compito di decidere dei conflitti. Sta di fatto, ancora, che l'orientamento restrittivo assunto dal1a giu risprudenza fu tutt'altro che generale e tutt'altro che coerente nel tempo con le ragioni di cui sopra. Vi fu, anzi, una iniziale apertura deUa giurisprudenza verso interpretazioni liberali (6) nonostante l'arcigna guardia del Consiglio di Stato giudice dei conflitti: iniziale apertura cui fa riscontro un progressivoself-restraint, nonostante l'avvento 'della Cassazione romana al posto del Consiglio di Stato (7). Al compimento del primo decennio della riforma poteva riscontrarsi infatti nella giurisprudenza del giudice ordinar.io italiano un orientamen to prevalente che affermava la risarcibilit del danno recato ad una situazione regolata da leggi amministrative; la risarcibilit del danno causato da atti autoritativi (o iure imperii); fa potest del giudice di disapplicare gli atti autoritativi non solo in via di eccezione ma anche in via di impugnativa principale (8). Tale orientamento era allineato a q~ello della coeva giurisprudenzabelga ed era quanto mai ragionevole m quanto gli artt. 2, 4 e 5 della legge abolitrice rappresentavano la quasi letterale traduzione degli articoli 92, 93 e 107 della Costituzione belga del 1831, Costituzione dalla qale il nostro .legislatore aveva tratto dichiarata ispirazione e che consent ad un Paese per molti aspetti paragonabile al nostro di considerare soddisfacente per oltre un secolo la tutela offerta in tal modo dal giudice ordinario. dunque legittimo supporre che se anche in Italia, come in Belgio, quella interpretazione liberale della normativa abolitrice del contenzioso .si fosse consolidata, non sarebbe stata avvertita a cos breve distanza di tempo dalla riforma la necessit di una sua integrazione. Dopo le prime iniziali aperture di cui si detto, invece, come noto, la interpretazione che si consolid nella giurisprudenza italiana fu assai pi restrittiva e ridusse in confini molto angusti la tutela dell'amministrato nei confronti dell'amministrazione operando lungo tre direttive: la definizione dei diritti civili e politici, la delimitazione dei propri poteri di disapplicazione, la individuazione del criterio di riparto della competenza fra autorit giudiziaria e autorit amministrativa. (4) M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, p. 87. (5) G. MANTELLINI, I conflitti di attriibuzione, Firenze, 1871, I, 36; B. SORDI, Giustizia e amministrazione nell'Italia liberale, Milano, 1985, 45. (6) V. CERULLI IRELLI, Il problema del riparto delle giurisdizioni, Pescara, 1979, 24; G. GRECO, L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio ammi nistrativo, Milano, 1980, 76. (7) F. BENVENUTI, Giustizia Armninistrativa, Enciclopedia del Diritto, XIX, 599. (8) Foro It., 1876, I, 842. 4 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO a) I diritti civili e politici. I diritti civili e politici furono considerati, infatti, nella limitata accezione rispettiva di diritti a prevalente contenuto patrimoniale e di diritti di partecipazione al governo de1la cosa pubblica (9). Quanto riduttiva questa visione rispetto a quella fatta propria dagli ispiratori della riforma (10) e quanto riduttiva anche rispetto alla in terpretazione che della stessa formula. veniva data in Belgio (11) inutile sottolineare. Fu persa allora un'occasione per 1a creazione' di una categoria di diritti pubblici soggettivi capace di inglobare molte di quelle situazioni che saranno poi qualificate interessi legittimi (12). Un'ulteriore riduzione fu poi talvolta operata con l'escludere dalla categoria dei diritti civiH e politici le situazioni soggettive regolate da leggi amministrativ.e (13): esc1usione che n la lettera della legge n la sua ratio giustificavano. Dai lavori preparatori risulta infatti solo che era opinione di alcuni parlamentari che dalle leggi amministrative non potessero essere creati diritti ma solo precisati la natura ed il modo di essere di diritti da altre norme creati. Lo stesso Mante1lini, non certo sospettabile di corrivit, sia pure prima di assumere la responsabilit di Avvocato Generale Erariale, scri veva che le leggi sebbene amministrative, non cessano d'essere leggi per questo e che se il contenzioso che ne deriva doveva essere lasciato all'arbitrio dell'Amministrazione attiva, tanto valeva non fare la legge (14). In riealt -proseguiva lo scrittore toscano -la formula diritti ci vili e politici .si riferisce a qualunque diritto, quale che sia la legge o il principio generale del diritto che ne fonte, cos come nel Bell}io del quale si poteva rifiutare la formula nella legge del '65, non la giuri sprudenza nella identica formula (15). La verit che .il legislatore del 1865 aveva inteso rimettere al giu dice ordinario tutta la competenza dei soppressi tribunali in materia di amministrazione contenziosa, alias relativa a diritti, secondo la ter minologia del tempo, con esclusione soltanto della -peraltro ecce zionale -competenza in materia di interessi a fronte dei quali si po nesse un potere discrezionale dell'amministrazione. Tutto l'ultradecen nale dibattito dottrinario e politico che aveva preceduto la legge aboli trice av.eva, appunto, ruotato intorno all'alternativa se attribuire o meno al giudice ordinario la cognizione della amministrazione contenziosa . Ma che, una volta fatta la scelta, questa dovesse passargli in blocco, era fuori discussione (16). Dunque nella dottrina giuridica dell'epoca e nell'intenzione del le gislatore del 1865 -e all'intenzione conforme la lettera della legge a fronte di ogni attivit vincolata dell'amministrazione l'interesse del l'amministrato assurgeva alla dignit di bene della vita la cui perdita o deterioramento dava titolo a chiedere riparazione. Non assurgeva a (9) V. CERULLI IRELLI, op. cit., 16; F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d., I, 434. . (10) Relazione Borgatti, in Atti parlamentari Camera dei Deputati, Torna ta del 16 giugno 1864, 2461; Discorso chi P. S. Mancini, ivi, Tornata del 9 giugno 1864; Mantellini, op. cit., 23 e ss., 35 e ss. e passim. (11) G. MANTELLINI, op. cit., I, 110 ss.; V. CERULLI !RELLI, op. cit., 16. (12) F. BENVENUTI, op. cit., 600. (13) L. MEuccr, Istituzioni chi diritto amministrativo, Roma, 1879, I, 77, 96, 99. (14) G. MANTELLINI, op. cit., I, 116. (15) G. MANTELLINI, op. cit., I, 110-113 (16) M. MINGHETTI, Rel. al progetto omonimo, Atti parlamentari cit., Doc. n. 46, II ristampa, 79 ss.; F. CAMMEO, op. cit., I, 399 e 438. PARTE Il, QUESTIONI I diritto solo l'interesse per la cui realizzazione era necessaria l'intermediazione dell'esercizio di un potere discrezionale dell'amministrazione, essendo in tale situazione l'amministrato titolare soltanto di una legittima aspettativa a che l'amministrazione esercitasse i propri poteri . conformemente a legge (17). La giurisprudenza trad dunque l'intenzione del legislatore. b) La disapplicazione. Quanto alla delimitazione dei criteri di disapplicazione dell'atto amministrativo, anche in questo caso, a fronte del genemlissimo enunciato legislativo e della chiarissima voluntas emersa dai lavori preparatori, venne formandosi una giurisprudenza restrittiva, con la elaborazione della teoria della disapplicabilit dell'atto in vda di sola eccezione, negandosi invece la possibilit di disapplicazione qua